Il dono di Yavanna

di idrilcelebrindal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Battaglia dei Cinque Eserciti ***
Capitolo 2: *** Botti e padelle ***
Capitolo 3: *** Sensazioni ***
Capitolo 4: *** Ombre nella notte ***
Capitolo 5: *** Gli avvoltoi si radunano ***
Capitolo 6: *** Imprevisti ... e novità ***
Capitolo 7: *** Molte miglia a ovest ***
Capitolo 8: *** Ostaggi ***
Capitolo 9: *** Ricordi perduti ***
Capitolo 10: *** I Sogni ***
Capitolo 11: *** Biscotti allo zenzero ***
Capitolo 12: *** Risentimenti ***
Capitolo 13: *** Un nemico mortale ***
Capitolo 14: *** Una complessa partita ***
Capitolo 15: *** Fuga ***
Capitolo 16: *** Una decisione difficile ***
Capitolo 17: *** Spirito Luminoso ***
Capitolo 18: *** La Gente del Fiume ***
Capitolo 19: *** Una strana coppia ***
Capitolo 20: *** Gwennis ***
Capitolo 21: *** La scelta di Fili ***
Capitolo 22: *** Confronto ***
Capitolo 23: *** Fuga nel bosco ***
Capitolo 24: *** Due improbabili compagni di viaggio ***
Capitolo 25: *** Una tovaglia da picnic ***
Capitolo 26: *** Sogno o ricordo? ***
Capitolo 27: *** Qualcosa si muove ***
Capitolo 28: *** Il Lupo Nero ***
Capitolo 29: *** Una lettera ***
Capitolo 30: *** Il tesoro di Erebor ***
Capitolo 31: *** Agguato ***
Capitolo 32: *** Una lunga caccia ***
Capitolo 33: *** Tradimento ***
Capitolo 34: *** Kili alla riscossa ***
Capitolo 35: *** La voce del cuore ***
Capitolo 36: *** Intimità ***
Capitolo 37: *** La mia anima giace racchiusa nel palmo della tua mano * ***
Capitolo 38: *** Tramonto sulla Terra di Mezzo ***
Capitolo 39: *** E se deve finire nel fuoco ***
Capitolo 40: *** Ad un passo dalle stelle ***
Capitolo 41: *** Presagi ***
Capitolo 42: *** Dove tutto cambia in un istante ***
Capitolo 43: *** La sorte di Fili ***
Capitolo 44: *** Jeli ***
Capitolo 45: *** Un atto di fede ***
Capitolo 46: *** La leggenda del Settimo Nano ***
Capitolo 47: *** Uno sguardo ad ovest ed uno ad est ***
Capitolo 48: *** Ali di farfalle ***
Capitolo 49: *** Ricerca frenetica ***
Capitolo 50: *** Un posticino tranquillo ***
Capitolo 51: *** Elkar il Rosso ***
Capitolo 52: *** Organizziamo una spedizione ***
Capitolo 53: *** Ritornare a casa ***
Capitolo 54: *** Un momento di pausa ***
Capitolo 55: *** Pensieri di una principessa ***
Capitolo 56: *** Fratello e sorella ***
Capitolo 57: *** La Compagnia di Thorin Scudodiquercia ***
Capitolo 58: *** Notizie da Mirkwood ***
Capitolo 59: *** A casa di Beorn ***
Capitolo 60: *** Cambi di prospettiva ***
Capitolo 61: *** Tappa intermedia ***
Capitolo 62: *** Alba ***
Capitolo 63: *** Scoperte ***
Capitolo 64: *** 64 In cui qualcuno potrebbe fare due più due... ***
Capitolo 65: *** ... ma ci riesce solo troppo tardi ***
Capitolo 66: *** Consiglio di guerra ***



Capitolo 1
*** La Battaglia dei Cinque Eserciti ***


1. La Battaglia dei Cinque Eserciti
Ciao! Prima di partire per le vacanze,  e so che farò molta fatica a rimanere  in contatto, voglio darvi un assaggio del mio prossimo lavoro. Fatemi sapere se vale la pena che perseveri.
Come alcune già sanno, sono sempre stata profondamente insoddisfatta del finale de “Lo Hobbit”, nella parte in cui Dàin diventa Re sotto la Montagna senza, praticamente, aver fatto nulla per conquistarsela; dopo aver visto “Un viaggio inaspettato”, trovo ancora più sgradevole la sorte riservata a Nani così simpatici. Quindi, se nella mia altra long ho immaginato che il solo Kili sopravvivesse, questa volta le cose saranno diverse: non faccio spoiler, ma prometto che, in un modo o nell’altro, Dàin non diventerà Re sotto la Montagna. Così impara.
Buona lettura e buone vacanze!


1 La Battaglia dei Cinque Eserciti

Il sole stava calando sulla  pianura davanti ad Erebor, e la terribile battaglia che un giorno sarebbe stata  chiamata dei Cinque Eserciti era ormai finita. I pochi orchi supersiti cercavano rifugio verso le loro tane nelle Montagne Nebbiose; i Popoli Liberi avevano vinto, ma non vi era gioia nella vittoria.
L’enorme campo di battaglia era cosparso di morti e feriti, ed il sangue intrideva la terra. I superstiti si aggiravano alla ricerca di un amico, di un fratello, di un compagno; poche erano le riunioni, molte le lacrime  quando la ricerca terminava  davanti ad un corpo senza vita. Qua e là si alzava un filo di fumo, dove il fuoco era stato usato come arma; la brezza agitava stendardi laceri e dimenticati. L’odore di sangue e di morte aleggiava  nell’aria, penetrava nelle narici,  pervadeva cose e persone. I lamenti dei feriti si accompagnavano ai richiami ed ai pianti.
Gandalf, con un braccio al collo, si aggirava per le tende dei guaritori elfici, cercando qualcuno. La sua ricerca terminò quando, davanti ad una tenda, vide un gruppo di volti noti, cupi e imbrattati di sangue; notò immediatamente alcune vistose assenze.
“Lui è qui?” chiese il mago. Balin assentì,  la preoccupazione  che segnava il suo volto. “Gli altri?” proseguì il mago.
“Dwalin, Bifur, Nori e Bofur stanno bene; stanno cercando i ragazzi… Fili e Kili. Non sono tornati.” Il mago chiuse gli occhi, ed il dolore gli strinse il cuore. Proprio loro.. così giovani!
Gandalf sollevò l’ingresso della tenda ed entrò. Due guaritori si stavano affacendando intorno alla figura coperta di sangue distesa sul lettuccio; in un angolo, la spada spezzata e lo scudo infranto. Thorin si accorse della nuova presenza, aprì gli occhi e guardò il mago, lo sguardo colmo di un infinito dolore; le guance erano rigate di lacrime.
“ I miei ragazzi, Gandalf…i miei ragazzi! Cercali, ti prego… erano davanti  a me, ho visto Kili con una freccia nel fianco, e Fili accanto  a lui… stavano difendendo me, Gandalf!  Avrei dovuto essere io  a proteggerli…! Invece ho saputo solo metterli in pericolo…” un singhiozzo spezzò la voce già flebile del ferito.
“Li troverò Thorin, te lo giuro. Li troverò e li porterò da te. Tieni duro, amico… non è ancora finita.”
Gandalf uscì e guardò il cielo: era tardi, e la battaglia era terminata da tempo; se Fili e Kili fossero stati illesi, sarebbero già arrivati alle tende in cerca di Thorin.
“Dove li avete visti l’ultima volta?” fu ancora Balin a rispondere. Seduto a terra, Ori singhiozzava disperatamente abbracciato al fratello maggiore.
“Siamo usciti insieme dai Cancelli, ed abbiamo seguito tutti Thorin per un po; ma quando gli orchi lo hanno circondato siamo stati divisi, ed i ragazzi erano con lui. Mio fratello e gli altri stanno cercando di ripercorrere i movimenti che hanno fatto, ma non è facile, il campo è così grande, i corpi sono ammassati gli uni sugli altri…”
“Beorn!” esclamò Gandalf. “E’ stato Beorn a riportare Thorin. Lui dice che ricorda di aver visto Fili e Kili ergersi a sua difesa, quindi è quello il luogo dove cercare. Devo trovare Beorn…!”
Fu fortunato. Dopo essersi aggirato per il campo qualche decina di minuti, avvistò l’uomo-orso, tornato ormai al suo aspetto normale, e gli chiese di mostargli dove avesse trovato Thorin.
Poco dopo Gandalf era sul posto, e si guardava intorno. Un  mucchio di corpi disposti in semicerchio bruciava lentamente; erano quasi tutti orchi, ma vide anche qualche nano: tuttavia non gli parve di riconoscere nessuno. Qualche uomo, qua e là; lance spezzate, laghi di sangue… e poi lo vide, seminascosto da un enorme orco.
Kili sembrava dormire, il viso pallidissimo rivolto verso il cielo, gli occhi chiusi; era coperto di sangue, e tre lunghe frecce lo avevano trafitto, alla spalla, al petto ed al fianco.  Senza alcuna speranza, il mago si inginocchiò accanto al giovane nano bruno, ed un’acuta fitta di rimpianto lo colse, per la bellezza e la giovinezza perduta dell’ultimo erede di Durin.  Come farò a dirlo a Thorin?
Gandalf toccò la gola di Kili, solo per scrupolo, senza aspettarsi null’altro che il silenzio, ma subito si immobilizzò, trattenendo il respiro: non era possibile, eppure gli era sembrato di cogliere un palpito di vita. Aprì un poco la camicia intrisa di sangue e riprovò.
Sì: era solo un alito, ma c’era.
“E’ vivo! Non so come, non so per quanto, ma è vivo…”  si guardò intorno, alla ricerca di Beorn, e lo vide, poco lontano, esaminare con attenzione un gruppo di corpi ammassati. Lo chiamò.
“Beorn! Il ragazzo è vivo, ma non per molto, senza cure! Puoi portarlo alle tende dei guaritori elfici? Io  rimango qui, a cercare l’altro…” L’Uomo sollevò il corpo esanime con estrema delicatezza, facendo attenzione a non toccare le frecce conficcate nel torace: ci avrebbero pensato gli Elfi.
Giunto alle tende di Thranduil, Beorn tuonò:
“Il principe di Erebor è gravemente ferito! Dove sono i guaritori?”
Un elfo alto si affacciò ad una tenda: era Inglor, il capo guaritore di Thranduil.
“Qui! Portalo qui!” In due, deposero Kili sopra un tavolo. Un cuscino venne infilato sotto la testa bruna, ed  Inglor si accinse ad esaminare le ferite con l’aiuto del suo assistente. Con difficoltà tolsero al ferito le armi e le protezioni, finchè rimase solo la camicia lacera e fradicia di sangue, che tagliarono abilmente.
“La freccia nel fianco e quella nella spalla..” disse Inglor all’assistente, “ toglile e fai attenzione a fermare subito l’emorragia, ha già perso troppo sangue. Questa … a questa cercherò di pensare io.”

Thorin non poteva riposare, tormentato da un  dolore diffuso. Ma il tormento peggiore era nella sua mente, e la mancanza di notizie  era tanto più intollerabile quanto accompagnata dallo spaventoso senso di colpa che gravava sull’animo del Re sotto la Montagna. Balin lo aveva avvisato che Kili era stato ritrovato, gravemente ferito, mentre non vi erano tracce di Fili.
“I miei ragazzi, Balin… cosa ho fatto, per tutti gli dei? Come ho potuto essere così cieco? Cosa me ne farò, ora, di tutti i tesori di Erebor, se avrò perso il tesoro più grande?”
“Non disperare, ragazzo, non è ancora finita. Kili è un combattente, se c’è qualcuno che può farcela è lui; e quanto a Fili… il campo è grande, potrebbe essere ovunque, ferito ed impossibilitato a muoversi, ma vivo…” Balin cercava di confortarlo, sapendo che anche le ferite di Thorin erano tutt’altro che lievi, e che la disperazione avrebbe potuto velocemente portarlo alla fine; ma il rimorso ed il dolore del re erano troppo profondi per qualsiasi conforto.
Mahal,  se è vero che sei giusto, non permettere che i miei cari  paghino il prezzo dei miei errori! Per orgoglio, per avidità ho  intrapreso questa assurda ricerca! E ancora l’orgoglio e l’avidità mi hanno reso talmente folle da provocare una guerra! Fili aveva cercato di dirmelo… sapevo cosa  pensavano lui e suo fratello… eppure non li ho ascoltati! Li ho trascinati in una tragica avventura, li ho messi in pericolo  e non ho saputo nemmeno proteggerli!
I suoi tormentosi pensieri furono interrotti dall’ingresso di due persone, ed alla luce fioca delle torce riconobbe Gandalf ed Inglor. Non osò formulare nessuna domanda, desiderando disperatamente le risposte eppure temendole.  Galdalf si sedette stancamente.
“Nessuna traccia di Fili, niente. Ormai è buio, riprenderemo le ricerche domani all’alba. Non può essere svanito nel nulla.” Non c’era bisogno dicesse che ad ogni minuto diminuivano le già poche speranze di ritrovare vivo l’erede al trono di Erebor. Fu Inglor a prendere la parola.
“Mio signore Thorin, tuo nipote Kili è vivo, e questa è già una buona notizia di per sé. Ha molte ferite, ed una è veramente grave: la freccia che lo ha colpito al petto ha provocato una forte emorragia interna che comprimeva il cuore. Sono riuscito a bloccare l’emorragia ed ad alleviare la pressione, ed ora il suo cuore batte, anche se debole ed irregolare; però ha perso una tale quantità di sangue che è un miracolo che sia ancora vivo.”  Thorin chiuse gli occhi, straziato da quella che alle sue orecchie suonava come una condanna. Osò chiedere, con un filo di voce:
“Può guarire…?” Inglor sospirò.
“Non lo so. Un elfo sarebbe morto da tempo, ma i Nani sembrano essere più robusti, e tuo nipote è giovane e forte. In verità, la sua vita è nelle mani dei Valar.”

Vagava da un tempo infinito in un universo di dolore e di incubi, dove orchi, goblin e warg aggredivano ed uccidevano i suoi amici; vedeva Fili venire verso di lui e cadere colpito da una mazza; Thorin rovesciato a terra con un’ascia conficcata nella spalla, le ossa frantumate; e Liatris… la sua Lia, che moriva in mille modi diversi, sotto i suoi occhi, senza che lui potesse fare nulla; e poi Balin, Ori… Dalla nebbia emergevano volti sconosciuti, elfi e nani; Gandalf con l’aria preoccupata, Dwalin in lacrime…Dwalin? In lacrime? Che assurdità.
E poi la sensazione di un dolore devastante, che scorreva in  ogni nervo, pervadeva ogni cellula del suo corpo, ma con un punto focale nel petto. Lenzuola lisce contro la pelle nuda. Un cerchio di ferro intorno al torace, che gli impediva il respiro. Con uno sforzo indicibile socchiuse gli occhi: una tenda… elfica?    
Gandalf seduto accanto a lui, un sorriso a rischiarare il vecchio volto stanco.
“Ben svegliato, Kili.”
La battaglia… è successo, non erano sogni.. almeno, non tutti.
“Gandalf... “ il giovane nano non riuscì a produrre più di un sussurro, ma si fece forza. Doveva sapere. “Fili…dov’è Fili..?  Sta... sta bene..?” Lo stregone sospirò, con una strana espressione.
“Non lo so, Kili. Lo cerchiamo da due giorni, ma nessuno l’ha visto. Non c’è traccia di lui, né del suo corpo. Abbiamo solo trovato una delle sue spade, qualche metro più in là rispetto al punto in cui abbiamo trovato te.”
Kili cercò di sollevarsi, ma invano. Il suo corpo non rispondeva ai suoi comandi, era solo una fonte infinita di dolore. Ogni respiro gli provocava una nuova fitta, quindi cercò di calmarsi. Appena riacquistato il controllo, continuò con un filo di voce:
“Ma.. stava venendo …  verso di me… quattro…cinque metri… un orco…con  la mazza…”
“L’hai visto cadere?”  il mago si raddrizzò, subito attento.
“Si… ma si muoveva… ” Il giovane nano scosse il capo. I suoi ricordi terminavano lì. Ma aveva qualcosa da dire, anche se ogni parola gli costava una fatica terribile.
“E’ vivo, Gandalf… sono sicuro. Lo so … lo sento…” Kili si abbandonò contro il cuscino. Il breve sforzo lo aveva sfinito. Chiuse gli occhi e cercò di pensare. E’ vivo. Ne sono più che sicuro. Lui c’è.
“Continueremo a cercare, Kili. Puoi starne certo. Tu devi solo pensare a riposare ed a guarire.”
I ricordi tornavano a poco a poco nella mente del giovane principe.
“Thorin..?”
“Malconcio ma vivo, devastato dai sensi di colpa. Disperato per voi.”
In quel momento Bilbo entrò nella tenda.
“Thorin mi manda per avere notizie … Kili! Sei sveglio! Grazie a tutti gli dei!” l’hobbit si avvicinò al letto dove giaceva il ferito e gli prese la mano. Aveva le lacrime agli occhi.
“Amico mio, sono così felice… “ cominciava a dire l’hobbit; ma Kili sentiva che le forze gli stavano venendo meno, e aveva qualcosa di molto importante da chiedere a Bilbo, era arrivato al momento giusto.
“Bilbo…” alitò. “Liatris…”
“Ho già provato a cercarla, Kili, e continuerò.”
“Ho promesso… sarei tornato…” la mano di Kili si aggrappò con le ultime forze a quella di Bilbo.
“Non cercare di parlare, stai tranquillo, ho capito. La troverò e la porterò da te. Te lo giuro.”
Il giovane nano perdeva rapidamente la lucidità.
“Grazie…” chiuse gli occhi. “Lia… oro e argento…” sussurrò ancora una volta, poi perse i sensi.

“E’ un buon segno che abbia ripreso conoscenza, no?” chiese Thorin ad Inglor. L’elfo sospirò.
“Sì e no. Sì perché significa che aveva ancora qualche risorsa, e no perché lo sforzo lo ha distrutto. Respira a  malapena, ed il suo cuore… si sta aggrappando disperatamente alla vita, ma non so se basterà.” Thorin soffocò un singhiozzo.
“Gandalf! Non puoi guarirlo.. come facesti con me..?” chiese angosciato il Re dei Nani. Il mago chinò il capo, stringendosi nelle spalle.
“E’ ben oltre  le mie possibilità, Thorin. Tu non eri ferito così gravemente. L’unica cosa che posso fare per aiutarlo  è dargli un po’ di forza,  l’ho già fatto e lo rifarò finchè mi sarà possibile, ma non posso prometterti niente.”

Fuori dalla tenda Gandalf trovò l’hobbit che lo aspettava.
“Dobbiamo andare ad una fattoria a due ore di cavallo da qui. Avendo un cavallo, insomma! A piedi un’eternità. Puoi farti prestare un cavallo? “ il mago guardò l’amico con aria esasperata.
“Insomma, Bilbo Baggins! Cos’è questa storia? Dove di preciso dovrei condurti?”
“Hai sentito, no? Devo trovare Liatris… per Kili.”
“E chi sarebbe, di grazia, questa Liatris?” Bilbo sbuffò.
“Gandalf, non fare il difficile, non c’è tempo! Liatris è la fidanzata di Kili… o l’innamorata… come dicono i Nani?”
“Uhm! Non ho tempo da perdere con le sottigliezze linguistiche del khuzdul, ma vedo che sei agitato. Va bene, cercherò di farmi dare un cavallo, ma tu preparati a darmi molte spiegazioni!”


MOLTE MIGLIA LONTANO, AD OVEST

Non esisteva un sopra, o un sotto. La testa gli faceva un male tremendo, e… non era al suo posto!

Non sentiva il suo corpo… solo dolore. Qualcosa.. o qualcuno… lo colpiva sulle costole, che però erano sopra la testa…
Il buio era totale, e lo disorientava. Apri gli occhi! Gli gridò la sua mente. Facile a dirsi, impossibile a farsi.
Sono morto? Una devastante ondata di nausea lo colse.  Ma i morti possono dare di stomaco?

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Capitolo 2
*** Botti e padelle ***


2 Botti e padelle
N.d.A. La Battaglia dei Cinque Eserciti è il punto nodale di questa storia. Alcuni fatti importanti però sono avvenuti prima; non volevo ripercorrere tutta la vicenda narrata ne “Lo Hobbit” solo per inserire gli elementi nuovi, così ho pensato di usare il flashback. Non insulterò la vostra intelligenza dando ulteriori spiegazioni.
So che nel film che vedremo a dicembre la fuga dei Nani dal Regno degli Elfi avviene diversamente ( bellissima la scena delle botti!); nella mia storia però mi  riferisco, per questo particolare, al libro, quindi le botti sono chiuse.  Mi serve così. Chiedo venia.

2. Botti e padelle

Mezz’ora dopo, mentre spronava il cavallo preso a prestito verso la foresta, Gandalf  chiese a Bilbo, in sella davanti a lui:
“Allora, dove diavolo stiamo andando?”
“Ho cercato Liatris all’accampamento, ma mi hanno detto che alcuni giorni  prima della battaglia è tornata a casa dai suoi genitori, in questa fattoria vicino al limitare del Bosco Atro.”
“Non so ancora da dove è spuntata fuori.”
“Ricordi quando ti raccontai come siamo fuggiti dalla prigione degli Elfi? Ebbene, quando approdammo con le botti vicino a Laketown, c’era qualcuno sul fiume ad aspettare le botti, o meglio, una particolare botte…”

La notte era giovane, e freddissima. Pioveva a dirotto, e Liatris malediceva il clima e se stessa. Ma chi me l’ha fatto fare? Non potevo rimanere a casa a coltivare le erbe medicinali con mamma e papà? Che mi è saltato in testa di far l’indipendente? Ecco cosa si ottiene! Di notte, sotto la pioggia, ad aspettare un carico di pentole da far riparare… e per cosa?
Ancora una volta sospirò. Quella notte era un caso eccezionale; di solito era perfettamente felice di aver lasciato la noia della fattoria. Amava molto il suo lavoro presso la Locanda di Laketown , dove il proprietario le aveva affidato l’incarico di sovrintendere alla conduzione della dependance riservata ai Nani che spesso facevano tappa a Laketown nei loro viaggi d’affari, e gradivano molto avere alloggi e servizi su misura… in ogni senso.  Aveva diversi camerieri  e braccianti ai suoi ordini, e nonostante la giovane età se la cavava molto bene.  Poi capitavano serate come questa…
Il cuoco del Re degli Elfi aveva alcune pentole da far riparare, ed aveva preso accordi con il Locandiere per inviarle a Laketown insieme alle botti vuote; purtroppo il Locandiere si era beccato una brutta infreddatura, ed aveva pregato Liatris di provvedere lei a recuperare la merce, perché il cuoco di Thranduil era un cliente importante e non si poteva offenderlo. Ed il suo capo non si fidava proprio di nessun altro.
Così l’infreddatura me la prenderò io! Rimuginò la giovane nana. Nonostante l’ampia cerata che la copriva, si sentiva il gelo nelle ossa; poi si era appena accorta che il vento le spingeva la pioggia sul viso e giù per il collo, infradiciandole i capelli e l’abito. Per non parlare del fatto che stava sguazzando nella melma! Fortunatamente la luce della città era abbastanza forte per illuminare chiaramente il fiume e la secca, nonostante la pioggia.
Che notte infernale! Ma quando arrivano queste maledette botti? E spero che la croce blu sia dipinta chiaramente, altrimenti sarò costretta ad aprire tutte le botti che arriveranno per trovare le stramaledettissime pentole del Re degli Elfi!
E finalmente, eccole. Liatris attese che i  barcaioli conducessero le botti fino al punto di approdo, e se ne andassero a Laketown; poi si avviò sotto la pioggia battente e cominciò ad esaminare le botti più vicine, alla ricerca della croce blu. Una volta individuata la botte, avrebbe dovuto aprirla, togliere le dannate pentole dal loro imballaggio e caricarle sul carretto trainato da un pony che aveva lasciato al riparo qualche decina di metri più in là, sotto una tettoia per le merci.  Ma prima devo trovarla. Quante sono, maledizione?
Stava per aggirare un gruppo di botti legate tra loro, quando udì un esplosivo starnuto. C’era qualcun altro! Stai a vedere che devo anche litigare con qualche ladruncolo! Ma non avrei dovuto essere l’unica a sapere della merce?  Proseguì con più cautela, ed ecco l’intruso: una figura piccolissima, a prima vista un ragazzino, che armeggiava con il coperchio di una botte sulla quale, come Liatris notò con sollievo, non figurava alcuna croce blu. Quindi le pentole non c’entrano. Ma chi è…? E cosa cerca in una botte vuota?
“Ehi!” chiamò. Era un ragazzino, dopo tutto, avrebbe potuto  sempre mollargli un ceffone se avesse manifestato cattive intenzioni. “ Chi accidenti sei e cosa stai cercando?”
La creatura fece un balzo e si voltò con uno strano squittio. Liatris rimase esterrefatta. Non era un ragazzino! Aveva l’aspetto di un adulto, ma era… piccolo!! Come un adulto ristretto ed un po’ strano. Chi se ne sarebbe andato in giro senza scarpe  per una  palude,  in una notte come quella?

“Te lo giuro, Gandalf, mi ha quasi procurato un infarto! E lì per lì ho avuto paura che gli Elfi ci avessero trovato! Ma poi ho visto, date le dimensioni, che non avevo a che fare con un elfo, ma con un nano, anzi.. una nana!  Era la prima nana che avessi mai visto, ed io credevo che le nane avessero la barba. Non riuscivo a immaginare come fossero, ma questa non ce l’aveva, quindi… anzi, a parte il fatto che era fradicia e coperta di fango, non era affatto male. Allora è una leggenda, Gandalf, quella delle nane con la barba?”
“ Ci sono anche nane con la barba, e donne con i baffi! Ma perché stiamo discutendo di queste cose? Immagino che la nana fosse la famosa Liatris. E che ci faceva lì? Di solito le nane perbene non vanno in giro di notte…”

“Ma chi… cosa sei?” chiese Liatris, ancora sconcertata, anche se era ormai  quasi sicura che la creatura fosse innocua. Al massimo le avrebbe attaccato il raffreddore.
“Bilbo Baggins, al vostro servizio!” disse il tizio, inchinandosi gentilmente. “Sono un hobbit, anzi un gentilhobbit, non ho cattive intenzioni e cerco solo di far uscire tredici nani miei amici da queste botti.”
“Troppe informazioni, mastro Baggins! In primo luogo, cosa è un hobbit? Come fai ad essere amico di tredici nani? E cosa ci farebbero tredici nani nelle botti?”
“Un hobbit è un mezzuomo; e le altre domande richiederebbero una risposta lunga un paio di giorni! Ma ho paura che i miei amici non stiano benissimo dopo essere rimasti nelle botti fin dalle aule del Re degli Elfi, se non sono addirittura annegati! Anzi, che ne diresti di darmi una mano a cercarli ed a tirarli fuori?”
Veramente intrigante, questa storia! Pensò Liatris. Ma il signor Baggins sembra a modo, e se davvero ci fossero  dei poveracci dentro le botti? Di certo avrebbero bisogno di aiuto!
“Bene, mastro Baggins, io sono Liatris. Sto aspettando un carico che viene dalle cucine del Re degli Elfi; io ti aiuterò a trovare e liberare i  tuoi amici, ma tu  mi avviserai se mai  vedessi la botte che sto cercando io. Ha una croce blu sul coperchio.”
“Affare fatto, madamigella Liatris!” rispose Bilbo.  Molto cortese davvero! Così Liatris seguì l’esempio di Bilbo, che correva da una botte all’altra, battendole per capire se fossero vuote o piene. Ecco che ne aveva trovata una piena, e si affacendava ad aprirla ed a far uscire un nano semiaffogato e quasi incapace di muoversi.  Ma allora è vero! Pensò Liatris che  fino a quel momento era  stata incline a pensare che Bilbo fosse più o meno pazzo. Così si mise d’impegno e finalmente trovò una botte che non suonava vuota. Era adagiata sul lato. Con l’arnese che si era portata per aprire la botte delle pentole, Liatris attaccò il coperchio superiore finchè questo non saltò via; e un essere fradicio e coperto di paglia e rifiuti rotolò fuori, finendo lungo disteso a pancia in giù davanti ai suoi  piedi. L’unica cosa che notò fu una arruffata capigliatura, lunga e scura, che copriva anche la faccia del nuovo venuto, indubbiamente un nano.   
“Ehi, Bilbo! Viaggio divertente, ma un po’ freddo… e la mia botte imbarcava acqua!” Alzò una mano a spazzarsi via i capelli dalla faccia e si alzò in ginocchio. Solo allora sembrò notare che quelli davanti a lui non erano piedi di hobbit, ma stivali che spuntavano da una lunga gonna verde scuro, e guardò in su.
Liatris rimase senza parole. Stava guardando il nano più bello che avesse mai visto… due profondi occhi scuri, le labbra piegate in un mezzo sorriso, la barba appena accennata… le condizioni pietose in cui si trovava – bagnato come un pulcino, arruffato e con paglia ovunque – non diminuivano di una virgola il suo fascino.  Quando gli occhi scuri incontrarono i suoi, il nano si immobilizzò, e sul suo volto comparve un’espressione incantata… una piccola parte della mente di Liatris, quella ancora funzionante, le disse che lei stessa probabilmente doveva avere la stessa aria  da idiota totale. Non che questo  rendesse il nano  meno bello, anzi le parve anche… tenero, e giovanissimo.
“Ehi, Kili! Liatris!” era la voce di Bilbo.
Nessuno dei due mosse un muscolo.
“Ehi! Allora! Venite ad aiutarmi! Kili! Bombur sembra morto! Liatris! Giorni celesti! Che state facendo..?”  
Il nano davanti a lei sorrise. E Liatris si sentì le farfalle nello stomaco.
“Uhm… tu devi essere Liatris…” azzardò lui, alzandosi in piedi. Era molto più alto di lei, con le spalle larghe ma decisamente sottile per essere un nano.
“.. e tu sei Kili…?” la giovane nana si stupì di avere ancora una voce normale, anzi, di avere una qualsiasi voce.
“ Al tuo servizio,” rispose lui, inchinandosi. Anche Kili era un ragazzo beneducato.

“Insomma, Gandalf, lei era fradicia, avvolta in una incerata lurida, lui era altrettanto bagnato e coperto di fango, ma quando  è uscito dalla botte… beh, sono rimasti a fissarsi come due idioti per un minuto buono, sotto il diluvio, senza dire una parola mentre io facevo tutto il lavoro! E pensare che stavo malissimo e starnutivo ogni due secondi! Che ingratitutine! E dire che le avevo anche trovato la botte con la croce blu…”
 “Uhm!” Bofonchiò lo stregone. “E poi?”
“E poi a Laketown so per certo che si sono incontrati diverse volte, e l’ultima notte prima di partire per Erebor… beh, gli altri hanno trovato Kili al tavolo della colazione, ed hanno pensato che fosse sceso per primo, ma Fili sapeva che quella notte non aveva dormito nel suo letto, ed anch’io, perché ero talmente agitato che non riuscivo a dormire, e l’ho visto rientrare dalla finestra…”

Era sera tardi, e la pioggia cadeva leggera  su Laketown. Nella sua cameretta al secondo piano della Locanda, Liatris si preparava per andare a letto. Seduta davanti allo specchio, con la sola camiciola addosso, si spazzolava i lunghi capelli biondi.
Stavano per partire. ‘Lui’ stava per partire. Lo aveva sentito dire alla Locanda; e già Liatris si sentiva un immenso vuoto nel cuore. L’arrivo delle Compagnia  di Thorin Scudodiquercia aveva portato una specie di rivoluzione  a Laketown; ma l’arrivo di quel particolare nano aveva sconvolto la sua, di vita: vi aveva fatto irruzione come il vento di primavera, e  niente sarebbe più stato come prima.
Aveva iniziato incontrandolo ovunque,  sempre con quel suo devastante sorriso e più affascinante che mai ora che si era ripulito, ed ogni volta il cuore di Liatris faceva una capriola. Poi, chissà come, quel briccone aveva scoperto il segreto della giovane nana, e cioè che la sera, quando gli ospiti della Locanda erano sistemati e lei aveva già dato disposizioni per la colazione della mattina dopo , aveva l’abitudine di trascorrere un po’ di tempo da sola sul pontile, tempo permettendo.
Una sera si era appena sistemata al suo posto preferito, seduta sul molo con le gambe penzoloni sopra l’acqua, quando Kili, con la massima naturalezza, si era seduto accanto a lei. Ogni sera successiva Liatris lo aveva trovato ad aspettarla;  ed ogni sera lei lo raggiungeva, dopo aver atteso con ansia quel momento per tutto il giorno.
Avevano così iniziato a conoscersi; prima timidamente, poi con sempre maggiore disinvoltura ognuno di loro aveva svelato all’altro i propri pensieri ed il proprio cuore. Era stato naturale scivolare verso una tenera confidenza; naturale era diventato il tenersi per mano, le delicate carezze, i primi timidi baci; come se entrambi trattenessero il respiro per il timore di rovinare quanto di puro e dolcissimo sentivano nascere tra loro. Poi venne la consapevolezza del legame, nuovo ma già sorprendentemente forte, che non poteva essere ignorato; e con essa la consapevolezza del desiderio.
La sera prima, senza nemmeno sapere come, Liatris si era trovata stretta fra le braccia del giovane nano, impegnata in un bacio che, se pur ancora tenero, diventava sempre più esigente, e li aveva lasciati entrambi storditi, senza fiato ed incapaci di staccarsi l’uno dall’altra. Solo le voci di alcuni pescatori che si recavano alle barche li avevano costretti a separarsi, e lei aveva visto che Kili non sorrideva più. I suoi occhi scuri erano incredibilmente seri mentre si chinava a lasciarle un ultimo bacio, alitandole sulle labbra due parole che l’avevano cullata per tutta la notte : “Amore mio…”
Ecco fatto. Bravissima. Pensò Liatris guardandosi allo specchio. Sua madre l’aveva sempre ammonita: “Non innamorarti mai di un guerriero! Ti lascerà per l’onore, per la gloria o per il dovere, o con una scusa qualsiasi altrettanto altisonante ed altrettanto vuota. L’amore per loro  non ha importanza… “  Ed eccomi qui, innamorata persa proprio di un guerriero che presto se ne  andrà e che non vedrò mai più. La sua mente si rifiutava di chiedersi, in ogni caso, quale futuro potesse avere un legame con un discendente di re.
Sospirò di nuovo. Cadeva una pioggerellina gelida e sottile, e non era certo il caso di uscire; lui non sarebbe venuto quella sera, sarebbe stato impegnato nei preparativi per il viaggio.
Un fruscìo attirò la sua attenzione; qualcosa aveva toccato la finestra chiusa. Ma cosa…?  Un altro tocco… Liatris si alzò ed andò ad aprire la finestra; appena fuori vide un forma scura  sul tetto, ed udì un sussurro soffocato:
“Alla  buonora! Stavo pensando che avrei dovuto rompere il vetro! Posso togliermi dalla pioggia?”
La ragazza indietreggiò e fece posto all’ospite inatteso; questi scivolò attraverso la finestra e si tolse l’ampio mantello che lo avvolgeva e che formò un mucchio bagnato sul pavimento. La stessa sorte toccò al pesante giaccone, che finì a sgocciolare su una sedia.
Ed eccolo lì, bello come non mai alla luce delle candele; sorrideva e le prese le mani portandosele sul petto.
“Non potevo andare via senza salutarti…”
“Allora partite davvero…”
“Non possiamo più aspettare, abbiamo una scadenza: il giorno di Durin si avvicina.” Il volto di Kili divenne serio, ed egli l’attirò più vicina a sé.
“Ho esitato a lungo prima di venire qui, Lia: è tutto il giorno che mi chiedo se non sarebbe stato più giusto sparire, non dirti nulla e rimandare ogni cosa al giorno in cui tutto questo sarà finito, il drago morto ed Erebor riconquistata.  Ma non ho potuto” continuò con voce bassa e commossa. “Qualcosa dentro di me mi dice che devi sapere… che, qualunque cosa accada, specie se non dovessi tornare,  devi sapere cosa sei per me.” Liatris fu colta da un brivido.
“Non dire queste cose!”
“E’ la realtà, Lia. C’è un drago, là dentro, ed io non ho certezze sul futuro. O meglio, ho una sola certezza : che ti amo.”


MOLTE MIGLIA LONTANO, AD OVEST

Il mondo era sottosopra… o sono io ad esserlo? Si chiese.
Respirò profondamente per respingere l’ondata di nausea, ma la pressione sulle costole rendeva il tentativo estremamente complicato.
Per Mahal, cos’è questa tremenda puzza?
Agitò la testa per allontanare il fetore, ma fu uno sbaglio. Un’altra fitta violenta dietro gli occhi, e di nuovo il buio.

Dall’oscurità completa emersero suoni ovattati.
Il mondo non era più sottosopra. Tirò un sospiro di sollievo…
“ Fratello, resisti…” la voce, molto vicina, lo fece sobbalzare. Roca, strozzata, sconosciuta.
Parla con me?



N.d.A. Di passaggio dalla civiltà, vi lascio questa seconda puntata. Spero che  sia valsa la pena.
Grazie per le recensioni e le visite!! Vado a rispondere.
Buon proseguimento di vacanze
idril

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Capitolo 3
*** Sensazioni ***


3 Sensazioni
3. Sensazioni

Liatris rimase senza parole. Ho capito bene? Ha detto che… mi ama..?
Sempre tenendola stretta a sé, Kili fece balenare il suo sorriso.
“D’accordo, sono deluso. La mia prima dichiarazione d’amore, e non ottengo nessuna reazione: niente urla di gioia, niente baci… nemmeno uno schiaffo! Devo fare eserc…” Non potè finire: Liatris gli aveva preso il viso fra le mani, l’aveva abbassato alla sua portata  e gli aveva catturato le labbra con le sue.
Quando si staccarono per prendere fiato, il giovane nano sussurrò:
“Decisamente meglio… allora mi ami un po’?” il tono sembrava scherzoso, ma gli occhi scuri erano seri, e la voce tremava per l’emozione.
“Kili, io ti amo tantissimo, non un  po’… ed ho paura.”
“Paura? Del drago?”
“Prima di tutto del drago, ma non solo. Kili, anche se andasse tutto secondo i vostri piani, tu sei un principe. Come potremmo mai stare insieme?” Kili ridacchiò.
“Non me ne importa un fico secco di essere un principe. Non ha mai significato niente per me e non comincerà adesso. Mio fratello è l’erede: io che c’entro? Al massimo mi daranno un qualche comando o incarico militare: e con questo? Noi  staremo insieme, e se agli altri sta bene, saremo tutti contenti; altrimenti, ce ne andremo nelle Montagne Azzurre e nessuno avrà niente da ridire. In fondo non me ne importa poi così tanto di  Erebor, di certo non al prezzo di perdere te!” Liatris lo guardò un po’ incuriosita.
“Allora perché ci vai? Per il tesoro?” La domanda lasciò Kili un po’spiazzato, non era abituato ad analizzare ed esprimere i propri sentimenti.
“No, in realtà del tesoro non me ne importa molto: cosa ci farei? Certo, sono un nano e le cose belle mi piacciono, ma preferisco crearmele, e poi posso tranquillamente vivere senza, come ho fatto in tutta la mia vita: zio Thorin non ci ha mai fatto mancare nulla, ma di certo non eravamo molto ricchi.”
“Per riprendere la tua casa, come dice tuo zio?”
“Non avevo mai visto la Montagna Solitaria fino a pochi mesi fa: come faccio a considerarla la mia casa? Casa è nei boschi dovo sono cresciuto… “
Liatris ricordò quello che diceva sua madre.
“ Sei un guerriero : per l’onore, o la  vendetta, o la  gloria… “ Anche questa volta Kili si fermò un attimo a riflettere. Sedette sul letto ed attirò a sé la ragazza, circondandole le spalle con il braccio.
“Noi giovani nati dopo la Caduta, siamo cresciuti  ascoltando i racconti della venuta di Smaug, della strage, dell’esilio e delle battaglie combattute contro gli Orchi; le storie sui morti  che attendono vendetta nelle Aule di Mandos…  ma non è questo. No,” disse, guardandola negli occhi, “ci vado perché non posso lasciare Thorin. Questa è la sua battaglia, ha vissuto per recuperare ciò che la sua famiglia ha perso; lui è stato un padre per Fili e me, per lui tutto questo è importante. Lasciarlo ora sarebbe un tradimento, e me ne pentirei per tutta la vita. Non sarei mai più in pace con me stesso.”
“Allora lo fai per amore…” Lui la guardò, un po’ sorpreso.
“Sì, credo che tu abbia ragione…” Gli occhi di Liatris si riempirono di lacrime, e abbracciò Kili con tutte le sue  forze, nascondendo il viso nella sua spalla.  Madre, cosa puoi dirmi di questa scusa “vuota ed altisonante”? Poi lo guardò negli occhi.
“Se lo fai per amore, non posso chiederti di non andare, anche se mi fa male il cuore. Ma se anch’io ho il tuo amore, questa notte resta con me.”

Nell’animo di Liatris si agitavano pensieri e sentimenti. Una parte di lei, quella ragionavole, agitava mille campanelli d’allarme. Ma sei impazzita? Cosa diavolo stai facendo? Stai giocando tutto su uno che probabilmente non tornerà mai! Nella migliore delle ipotesi si troverà una ricca principessa e buonanotte a Liatris! E nella peggiore… hai presente lo Sputafuoco Dorato? ma c’era il suo cuore, che diceva 'Se è destino che io debba avere da lui solo questa notte, allora che sia. Accetto il rischio. Meglio che nulla.' Una strana sensazione di ineluttabilità mise a tacere tutti gli allarmi; rimase solo l’amore, senza vincoli né ostacoli
Kili la staccò da sé per poterla guardare in viso.
“Ne sei sicura?” lei non rispose;  con un unico movimento si tolse la vestaglia; sciolse la cintura che tratteneva la camicia di Kili e la lasciò cadere a terra;  poi fece scivolare le mani sul petto del giovane nano fino a raggiungere i lacci, e iniziò a scioglierli. Sentì che lui tratteneva il respiro.
Non ci posso credere! Ma come ti stai comportando? Sei una nana beneducata, per Mahal! Sembri una …  Liatris sentiva quella parte di lei che continuava a richiamarla; sapeva che domani si sarebbe stupita di se stessa, ma ora nulla aveva importanza. Questa Liatris sapeva quello che voleva e non se ne sarebbe pentita.
”Oh, Mahal…” sussurrò lui. Rimase fermo, finchè lei non sciolse l’ultimo laccio e la camicia si aprì.  Quando le dita di lei sfiorarono la pelle nuda, Kili sussultò ed il suo respiro iniziò ad accelerare; le mani risalirono verso le spalle e la camicia seguì la sorte della cintura. Poi gli prese le mani e lo face alzare in piedi; in ginocchio sul letto, davanti a lui, Liatris gli mise le mani sui fianchi. Obbedendo alla muta richiesta, come trascinato in un sogno, Kili si chinò e si sfilò gli stivali; immobile, ad occhi spalancati e con il respiro affannoso, la guardò mentre Liatris scioglieva i lacci dei pantaloni, finchè rimase nudo davanti a lei.
Mahal, è bellissimo… il cuore della giovane nana batteva all’impazzata, si sentiva la bocca secca e lo stomaco in subbuglio, mentre lo guardava lentamente.  Le spalle ampie, i muscoli del petto e delle braccia perfettamente modellati;  la pelle liscia, solo  pochi peli scuri al centro ed intorno ai capezzoli, una linea sottilissima che scendeva fino all’ombelico ed oltre, fino al cespuglio alla base del ventre piatto, dove si annidava il sesso teso e pulsante che denunciava a chiare lettere la sua eccitazione.
Stavolta fu Kili a tendere le braccia; prese l’orlo della camicia da notte di Liatris e, con la stessa esasperante lentezza che aveva usato lei, la sollevò, sempre fissandola negli occhi. Lei era come affascinata da quegli splendidi occhi scuri, che in quel momento le sembrarono pozzi profondi in cui perdersi; si accorse che le labbra socchiuse del giovane nano tremavano leggermente. E’ emozionato quanto me…
Lui le prese le mani; salì a sua volta sul letto finchè fu in ginocchio davanti a lei. Si posò le mani di lei sul cuore, e Liatris sentì il battito impazzito sotto le sue dita.
“Sei un dono meraviglioso, sei la cosa più bella che io abbia mai avuto…” sussurrava lui, con voce alterata. Le mani di Liatris cominciarono a muoversi delicatamente sulla sua pelle, ed il giovane nano chiuse gli occhi. Il suo petto si alzava e si abbassava velocemente, come se avesse corso. Lei guardò incantata l’effetto che le sue carezze suscitavano, e si fece attirare in un vortice di desideri: si abbassò ed alle carezze si aggiunsero i baci. Quando le sue labbra sfiorarono uno dei  bottoncini sensibili, già erti, Kili si lasciò sfuggire un gemito; e a Liatris parve naturale  toccarlo con la punta della lingua, poi afferrarlo tra le labbra con maggiore decisione…
Kili trasse un profondo sospiro tremante, e delicatamente allontanò la testa bionda dal suo petto.
“Se fai così… “ mormorò con voce arrochita, “mi farai impazzire… e non voglio, non ancora..”
L’attirò a sé e questa volta fu Liatris a lasciarsi  sfuggire un sussulto: Kili era caldo, liscio e solido contro di lei, e desiderò di fondersi con lui. Le mani cominciarono a vagare, poi Liatris sentì la bocca del suo amante sul collo, sulla spalla, e poi più giù…
Non seppe mai esattamente cosa successe: la sua mente era del tutto annebbiata, sommersa dalle sensazioni nuove ed intense che lui sapeva donarle; senza capire come, si trovò adagiata delicatamente  sul letto, mentre le mani e la bocca di Kili percorrevano tutto il suo corpo, ed i lunghi capelli scuri le accarezzavano la pelle. Vi affondò le dita, spingendosi contro di lui alla ricerca di un contatto sempre maggiore. Sentì dentro di sé la sensazione di un vuoto che reclamava di essere colmato; il desiderio crebbe fino a portarla sull’orlo delle lacrime, mentre ogni sua fibra gridava “di più… di più… amami di più…”
“Lia, non ce la faccio più… “
“Kili…” sussurrò lei, “sì… sì!..” e poi lo vide incombere su di lei, ed alzò le braccia  per accarezzargli il petto e le spalle; lo sentì prendere posizione tra le sue gambe, e trattenne il respiro. La prima spinta delicata, poi Kili alzò la testa, spalancando gli occhi: aveva trovato l’ostacolo, e si era fermato, indeciso, spiazzato. Ma il corpo di Liatris chiamava a gran voce il suo amante: avvicinò la bocca a quella di lui, e mugugnò, con l’urgenza nella voce:
“Non fermarti!” tutto l’autocontrollo di Kili andò in frantumi, ed egli si spinse dentro di lei, con più decisione.  Liatris si aspettava dolore, ma non ne sentì: solo qualcosa che cedeva, dentro di lei… e con un gemito Kili  si fece strada nel suo corpo, fino in fondo. Oh, dèi…  la giovane nana era completamente sopraffatta dalla sensazione di completezza che provava, dall’intenso piacere che le provocava il sentirlo dentro di sé, un piacere mentale oltre che fisico, che le offuscava i pensieri. Alzò le gambe e le intrecciò intorno ai fianchi  di lui, spingendo il suo corpo contro quello di lui,  ancora di più.
Rimasero entrambi immobili per un attimo, trattenendo il respiro; poi i loro corpi presero il sopravvento. La mente vuota, Liatris era solo un insieme di sensazioni, sempre più intense, sempre più travolgenti; il tempo si fermò, ogni attimo divenne un’eternità, ogni ora un attimo, finchè  il piacere esplose dentro di lei, corse lungo i nervi, trafisse tutti i punti sensibili del suo corpo, scuotendolo in contrazioni convulse;  percepì distintamente l’istante in cui , un battito di cuore più tardi, il suo giovane amante  oltrepassò il punto di non ritorno, e socchiuse gli occhi in tempo per vedere il corpo di Kili inarcarsi,  scosso da lunghi spasmi, mentre lo sentiva riversarsi dentro di lei ancora, e ancora, e ancora…
Stravolto ed ansante, Kili crollò su di lei, che  lo strinse a sé con le braccia e con le gambe. Liatris sentiva il cuore del giovane nano che batteva all’impazzata, ed i loro fremiti si confusero, come i sospiri.
Lui cercò di alzarsi, sussurrando:
“Ho paura  di farti male…”
Ma lei lo strinse più forte. Era troppo esaltante la sensazione del peso del suo corpo, caldo e solido, sopra di lei, dentro di lei.
“No. Questa notte sei mio.
 
“E poi Kili è rimasto stralunato tutto il giorno. Avevo quasi pensato di dire qualcosa a suo fratello, quando mi sono accordo che anche Fili lo teneva d’occhio con uno sguardo preoccupato. E quella sera mi chiese di sostituirlo durante il suo turno di guardia, perché voleva parlare con Kili…”

Fili andò a cercare suo fratello. Kili  era stato strano per tutto il giorno, distratto  e perso nei suoi pensieri; Thorin gli aveva chiesto cosa avesse, e la risposta era stata “Scusa, ma non ho dormito molto”. Tutti avevano creduto che fosse stato il pensiero di Smaug a tenerlo sveglio, ma Fili riteneva più probabili pensieri di altro genere, anche se questo non giustificava lo strano comportamento. Ci doveva essere dell’altro.
Fili sapeva che il fratello minore stava attraversando un periodo difficile. Non era più il ragazzo spensierato di sei mesi prima; aveva visto la morte in faccia più di una volta, e questo è una cosa che cambia chiunque, lo stesso fratello maggiore aveva dovuto fare i conti con l’esperienza. Si era anche reso conto che per Kili la prigionia dagli Elfi aveva scatenato un sottile ma inequivocabile cambiamento… anche se solo Mahal sapeva di cosa si trattasse veramente: forse la solitudine e l’inattività forzata lo avevano costretto a fare i conti con se stesso. Infine, aveva incontrato lei.
Fili si era reso conto immediatamente dell’effetto che la ragazza aveva avuto sul suo volubile fratellino: non era solo bella, c’era molto di più. Il giovane nano biondo rise tra sé. Da quando aveva avuto età sufficiente a rendersi conto dell’esistenza delle Nane, Kili aveva avuto una vita sociale quanto meno impegnativa; anche perché contemporaneamente le Nane si erano rese conto della  sua esistenza.
Da allora la cosa aveva assunto un andamento ciclico: Kili notava una nana – o questa si faceva notare da lui; per circa una decade sembrava perso in un universo parallelo, e la osservava circospetto; poi passava alla fase della conquista, che poteva durare dai tre ai quindici giorni, a seconda della resistenza della damigella; raggiunto l’obiettivo, quale che fosse, seguiva qualche settimana – dalle tre alle cinque – di folle coinvolgimento… e tutto svaniva in una bolla di sapone. Sempre che lei non desse segno di avanzare qualche pretesa, perché in tal caso la sparizione era istantanea.
Ma Fili sapeva che questa volta era diverso… se non altro perché Kili non lo aveva tenuto costantemente aggiornato sugli eventi, cosa che aveva sempre fatto. Se Kili non parlava, la faccenda era seria.   
Eccolo là, pensò Fili.
Kili gli voltava le spalle, in piedi, la schiena dritta. Il fratello maggiore identificò nella postura del minore la concentrazione per dominare i propri sentimenti e nello stesso tempo una profonda sofferenza.
Gli battè una mano sulla spalla.
“Allora, fratellino, che c’è?”
Kili non rispose subito, e Fili capì che cercava di fare ordine nei propri pensieri.
“Sei mai stato terribilmente felice e terribimente disperato?”
“No,” rispose Fili, “ma non sono mai stato terribilmente innamorato.”
Kili lo guardò di traverso, con un piccolo sorriso imbarazzato.
“Si vede così tanto?”
“No, ma io ti conosco  meglio degli altri.”
Fu come se avesse aperto un argine: Kili cominciò a parlare, e le parole si affastellavano sulle sue labbra come se litigassero tra loro per uscire per prime.
“Oh, Fili! Questa notte… non so, lei mi completa come non immaginavo si potesse, estingue una sete che non sapevo di avere… così vicina, così mia e così terribilmente aliena, innocente – era la prima volta! – ma allo stesso tempo così.. ‘perversa’! Quando ci penso, mi sembra che il cuore mi scoppi di gioia, adoro tutto, tutto di lei! E’ profumo di fiori, sapore di miele, liscia e morbida sulla mia pelle…” si interruppe e respirò profondamente, poi ridacchiò. “Sembro pazzo, vero? E lo sono. Sto perdendo la testa…”
 Fili taceva, preferiva lasciarlo continuare. Questa volta la sbandata è grossa… pensò. Potrebbe essere …. amore! Kili sospirò e riprese:
“Ti voglio raccontare una cosa… ad un certo punto, questa notte, lei teneva il capo sulla mia spalla, tutta rannicchiata al mio fianco, ed io potevo solo circondarla con le braccia e tenerla stretta a me… sembra fatta su misura, si adatta così bene al mio corpo… ho sentito che ridacchiava piano, e mi ha detto: ‘Mi sono fatta il nido vicino al tuo cuore.’ No, Fee, lei si è sistemata ‘dentro’ il mio cuore, e lasciarla questa mattina è stata la cosa più difficile che io abbia mai fatto in tutta la mia vita.”
Kili si sedette su un masso e si prese il viso tra le mani.
“Questa mattina… pensavo di non svegliarla, ma è stato inutile. Mentre mi vestivo, lei mi guardava in silenzio, dal letto, con quegli occhioni spalancati. Sai? I suoi occhi hanno il colore del cielo dopo  che il sole è scomparso, quando l’azzurro diventa blu ma conserva ancora il riflesso viola del tramonto…”
Dopo un attimo continuò:
“Si è alzata, si è messa addosso una camicia – per fortuna! – ha afferrato un pettine, mi ha fatto sedere e mi ha dato una sistemata ai capelli. Ero sotto choc. Nessuno l’aveva mai fatto, dopo te e mamma… quanto tempo fa? Ormai era quasi l’alba. L’ho abbracciata, e nessuno di noi due è riuscito a dire nulla. Sono uscito dalla finestra sul tetto, ho fatto pochi passi, e, ti giuro, sono tornato indietro. Non si era mossa e aveva gli occhi pieni di lacrime. L’ho stretta forte, ho giurato che sarei tornato e me ne sono andato in fretta; ma quando sono arrivato a casa ho dovuto fermarmi, perché mi sono accorto che piangevo.”
Fili lo ascoltava meravigliato. Era come un fiume in piena: sentimenti talmente forti che traboccavano dalla sua anima. Sì,  pensò, è proprio amore… e questo pone alcuni problemi che andranno affrontati… ma non adesso. E’ già abbastanza confuso. Ma Kili non era confuso.
“Fee, lei è tutta la mia vita… e sono disperato perché ho trovato l’amore più grande proprio adesso che sento la mia vita sfuggire al mio controllo… sento che ci sono forze contro cui non posso combattere, e temo che mi separeranno da lei.”

 Allora, cosa ne dite di questo Kili?
Non considerate il capitolo indicativo del resto della storia: questo è solo un antefatto. La vicenda non è ancora cominciata.
Grazie di tanta attenzione! Cercherò di essere all’altezza.
Baci

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Capitolo 4
*** Ombre nella notte ***


4 Ombre nella notte
4. Ombre nella notte

Fili era senza parole, ed anche un po’ spaventato. Per Durin, cosa gli sta succedendo?
“Kili, cerca di calmarti. Capisco che lei per te è importante, e se è così, tutto il resto per me non conta. Ti prometto che, quando sarà il momento di parlarne, ti sosterrò in tutto e per tutto; se hai paura che Thorin abbia da ridire, lo convinceremo. Sai che in fondo ti vuole molto bene, farebbe qualsiasi cosa per te… e poi la tua Liatris potrebbe conquistarlo con uno sguardo!”
Kili sorrise, un piccolo sorriso nervoso. Fili non capisce, ma nemmeno io! Perché ho questa sensazione di disastro incombente?
“In ogni caso,” continuò Fili, “sai che puoi contare su di me. Ci copriremo le spalle a vicenda, come abbiamo  sempre fatto, no?” e lo abbracciò.
Kili emise un profondo sospiro; come sempre la vicinanza del fratello maggiore gli era di conforto.
“Ce la caveremo, vedrai,” stava dicendo Fili.
“Ne abbiamo passate tante, Fee… passerà anche questa!”
“Certo! Cosa vuoi che sia un piccolo drago? Dopo aver vissuto con mamma e zio Thorin, tutto il resto è una passeggiata!”
Ridendo, i due fratelli tornarono verso l’accampamento. Kili si era rasserenato, ma Fili si ripromise di tenerlo d’occhio.

“Dovrebbe essere da queste parti…” disse Bilbo.
Dalla strada maestra si distaccava una stradina ben tenuta, fiancheggiata da cespugli di sempreverdi. Percorsero poco meno di un miglio, e, dopo una svolta, il sentiero si aprì in un ampio cortile, chiuso da una cancellata dipinta di verde. Bilbo sospirò di nostalgia: la fattoria sembrava un angolo della sua Contea. Un edificio basso, con il tetto spiovente, i muri imbiancati a calce decorati da roseti rampicanti, le imposte ben verniciate… peccato che porte e finestre non fossero rotonde! Sul fianco della costruzione faceva bella mostra di sé una grande serra a vetrate, attraverso le quali brillavano i colori della primavera nonostante si fosse in  inverno.
Oltrepassarono il cancello, ma prima che arrivassero alla porta, questa si aprì e sulla porta comparve una nana.
Giunti al portico, i due visitatori scesero da cavallo, Bilbo con l’aiuto di Gandalf.
L’hobbit si fece avanti e si inchinò.
“Bilbo Baggins, al vostro servizio,” salutò, “ e questo è Gandalf il Grigio.”
“Nevis l’erborista, al vostro. Avete bisogno di me?”
Bilbo si agitò, incerto su come affrontare l’argomento. L’espressione della nana era serena, ma… Deve essere la madre di Liatris, pensò l’hobbit. Infatti,  anche se la chioma intrecciata conteneva più argento che oro, la somiglianza era innegabile, ed il viso di Nevis conservava ampie tracce di una notevole bellezza.
“Sto cercando Liatris, signora. Posso vederla?”
“E perché cerchi mia figlia?”
“Siamo amici, e le porto un messaggio da parte di una persona che…”
L’espressione di Nevis si fece severa.
“Mia figlia non è qui, e prima di dirvi dove trovarla, voglio saperne molto di più su di voi e sul motivo per cui la cercate. Ma Liatris mi ha parlato di te, signor Baggins; possiamo entrare e spiegarci con calma.” E senza aspettare risposta, si girò ed entrò nella cucina linda e profumata di erbe.

“Allora, chi vi manda?”
Bilbo era in difficoltà. Cosa sapeva Nevis? Fu Gandalf a trovare una soluzione.
“Il nome di Thorin Scudodiquercia ti basta?”
Il viso della nana non espresse alcuno stupore.
“Non ho obblighi verso Thorin Scudodiquercia, ma visto che siete in difficoltà, vi parlerò apertamente. Mia figlia mi ha parlato di un ragazzo, e mi ha mostrato un medaglione con il Corvo Imperiale; ma io so che solo la famiglia reale ha diritto a quello stemma,  e Thorin non ha figli…”
“Ma ha dei nipoti,” rispose Bilbo.
Nevis trattenne il respiro. Poi un lampo di comprensione passò per i suoi occhi.
“Dìs,” mormorò, “il ragazzo è il figlio di Dìs?”
“Il figlio più giovane, sì,” rispose Gandalf. “Conosci Dìs?”
Nevis non rispose; si alzò e fece qualche passo.
“Vi ha mandato lui, allora. Perché non è venuto di persona?”
“Nevis,” disse Bilbo, “ avrebbe voluto, ma è stato ferito in battaglia. Ha bisogno di Liatris al suo fianco…”
Nevis sospirò, e guardò fuori dalla finestra.

“Ho sempre detto a Liatris di non innamorarsi di un guerriero, ma il destino non si può evitare. Mio padre era il Comandante della Guardia di Thròr, il mio promesso era il suo secondo. Quando venne il drago, mi misero al sicuro con mia madre, e poi tornarono a combattere… e non li rividi mai più.” Sospirò di nuovo. “Ma, come ho detto, il destino è nelle mani di Mahal.  Il  principe è ferito gravemente?”
“Non ti mentirò, Nevis… sì. E’ per questo che stiamo cercando Liatris. “ Bilbo non aggiunse altro.
“E le intenzioni di questo principe nei confronti della mia Liatris sono oneste?”
“Rinuncerebbe a tutto per lei, ne sono sicuro.”
Nevis si voltò e sedette al tavolo davanti a Bilbo, guardandolo direttamente.
“Liatris ha aspettato per tutta la giornata di ieri l’arrivo di qualcuno, diventando sempre più nervosa e preoccupata; e ieri sera ci ha raccontato del ragazzo. Voleva andare a cercarlo.  Abbiamo discusso – noi non sapevamo nulla di lui, e tento meno delle sue intenzioni, capite? Non sarebbe la prima volta che un imbroglione si spaccia per quello che non è solo per ingraziarsi una ragazza, o che un nobile si comporta in modo spregevole -  quindi alla fine abbiamo raggiunto un compromesso. Liatris questa mattina ha accompagnato suo padre che doveva consegnare erbe medicinali al campo dei profughi di Laketown e al punto di soccorso per i feriti della Battaglia. Ormai dovrebbero essere arrivati. Liatris ci ha promesso che avrebbe cercato te, prima di fare qualsiasi cosa.”
Bilbo si alzò.
“Sta cercando me! Gandalf, dobbiamo andare di corsa…”
“Maledizione, Bilbo! Se per una volta ti fossi comportato come un tranquillo Baggins, invece di un dannato Tuc, ci saremmo risparmiati la cavalcata!”  
“Nevis,” disse Bilbo, prima di uscire, “Ti prometto che avrò cura di tua figlia, qualcunque cosa accada.”

Dopo aver cavalcato a rotta di collo per qualche miglio, Gandalf fece rallentare il cavallo per dargli un po’ di respiro, e ne approfittò per fare una domanda che gli frullava nella mente da un po’ di tempo.
“Ma alla fine, Bilbo, cosa c’entri tu con questa storia? Capisco che  ti sia affezionato a Kili, gli voglio bene anch’io, ma perché proprio tu? Gli altri non sanno di Liatris? E perché tu sì?”
“Non credo che nessuno sappia nulla,  a parte Fili, non era esattamente il momento migliore per parlarne. Io però… beh,  li avevo già aiutati una volta, e si fidano di me…”
“Ancora segreti, Bilbo?”
“E’ solo che non ti ho raccontato proprio tutto…”  
 
Una mano sulla spalla raggelò Bilbo. Scoperto!
Si voltò, cercando di inventare una scusa plausibile, ma non fu necessario. L’alta figura davanti a lui, avvolta in un mantello scuro, non chiese nulla.
“Vengo con te.”
“Ma… ma dove credi.. cosa pensi che…” farfugliò Bilbo, indeciso.
“Bilbo, stai andando là. Hai avuto un’idea – vero ? – per porre fine a questa follia. Fili ed io ci stiamo pensando da giorni, ma per noi non è facile. E quanto a me…” Kili sospirò, “..io devo andare. Devo vederla, Bilbo, devo essere sicuro che stia bene, e devo dirle…”
“Kili, è una follia. Se vuoi andrò a cercarla,  vedrò che sia al sicuro, le porterò un tuo messaggio… Thorin è tuo zio. Non posso lasciare che tu sia coinvolto in quello che sto facendo.”
“Non voglio sapere cosa intendi fare, mi fido di te. Tu solo  puoi trovare una soluzione a questo pasticcio. Io… Bilbo, non capisci.” Kili gettò indietro il cappuccio, mostrando il volto,  e la sua espressione tormentata colpì l’hobbit come una mazzata.  Il nano continuò:
“Quando abbiamo saputo che il drago aveva attaccato Laketown, mi sono sentito morire. Ho pensato alle mille cose brutte che avrebbero potuto accaderle… ma in fondo al cuore sentivo che lei stava bene, che se le fosse accaduto qualcosa… beh, l’avrei saputo. Ma adesso, ho un peso che mi opprime l’anima, sento che devo… devo vederla, subito, questa notte.” Chinò il capo, smarrito, affranto. “Non mi piace la nostra situazione. Ho delle brutte sensazioni, come… sai, come quando sta per scoppiare un temporale, l’aria è ferma,  non si muove una foglia, e tutto sembra trattenere il respiro in attesa del disastro. Non sono questi eserciti davanti a noi, no; è qualcosa di diverso, di ben più  terribile.”
Bilbo era impressionato. Era proprio Kili, l’allegro, travolgente Kili dal sorriso contagioso, questo nano tormentato e con lo sguardo perso lontano? Non ci mise molto a decidere
“D’accordo. Però tu resti fuori dall’accampamento; io cercherò Liatris e la porterò da te.”
“Ma…”
“Nessun ma. Saresti un ostaggio troppo prezioso per gli elfi. Giurami che mi obbedirai o sveglio tutti quanti, e poi ti lascio a spiegare a Thorin cosa stai facendo qua fuori.”
Per un attimo si fissarono di traverso, poi Kili sorrise ed il sollievo di Bilbo fu  palpabile.
“D’accordo, capo. Te lo giuro sulla mia barba, su quella di Durin e di tutti i miei antenati! Fai strada.”
Quando  giunsero ad un fitto boschetto di noccioli ai piedi della Montagna, appena a ridosso dell’accampamento, Bilbo si fermò.
“Tu resti qui. Ci vorrà un po’, ma prometto che farò di tutto per portarti Liatris.”
“Va bene. Quando arrivi, chiurla due volte come un barbagianni e una volta come un  allocco,” disse Kili con la sua aria più innocente, le labbra incurvate in un sorriso malizioso. Bilbo sbuffò.
“Farò un fischio e basta. Se fischio due volte, scappa! E se non torno per mezzanotte sparisci senza voltarti indietro, d’accordo? Niente eroismi!”

“Ho camminato per qualche minuto, prima di imbattermi in due elfi, che, non troppo gentilmente,  mi hanno accompagnato da Bard. Ho sbrigato i miei affari con lui – e di questo ti ho raccontato proprio tutto –  e sono andato a cercare Liatris, che stava organizzando la distribuzione dei rifornimenti appena arrivati dal fiume. Avevo intenzione di prenderla alla larga, ma…”

“Bilbo!” esclamò la giovane nana. “Cosa fai qui? E… stanno tutti bene i tuoi compagni?”
“Tutti in perfetta salute, per ora… se Thorin non scatena una guerra a causa della sua cocciutaggine. Ma c’è qualcuno che si preoccupa e darebbe qualunque cosa per essere altrove…”
Liatris arrossì, ed un piccolo sorriso imbarazzato le salì alle labbra.
“Bene, così lo sai. Te l’ha detto lui?”
“In realtà… te la senti di fare una  passeggiata  notturna?”
“Bilbo!” Liatris lo afferrò per le spalle. “Stai cercando di dirmi che lui è qui… che posso vederlo…?”

“Giorni celesti, Gandalf, mi ha trascinato fuori dall’accampamento come un sacco di patate, e siamo giunti al boschetto di noccioli in un lampo! Le ho detto che avevano tempo fino al tramonto della luna, poi li avrei chiamati; ho fischiato, e… beh, me ne sono andato a riposare in riva al fiume, stando bene attento a non addormentarmi!”

Kili contemplava il cielo notturno. C’erano così tante stelle! Come ogni volta, pensava a suo padre. Non aveva molti ricordi di lui, Jeli era  morto quando Kili aveva solo cinque anni, ma uno era fisso nella sua mente: le serate di quell’ultima estate, rannicchiato tra le braccia del padre che gli insegnava a riconoscere le costellazioni: la Falce, il Cacciatore, la Cintura della Regina… Sei lassù, padre? Mi stai guardando?
Un fischio acuto interruppe le sue fantasticherie; in un salto fu in piedi, con il cuore che batteva forte. Un fischio solo.
Si girò, e la vide: stava correndo verso di lui, e la luce della luna faceva brillare i suoi capelli come una cascata d’argento. Kili aprì le braccia e l’accolse sul suo cuore.
Per alcuni minuti rimasero così, incapaci di parlare, sopraffatti e ancora un po’ increduli; poi Liatris ritrovò la voce.
“Kili, Kili!” sussurrò. “Grazie a tutti gli dèi! Ho avuto tanta paura che ti fosse successo qualcosa… quando è arrivato il drago, e nessun segno di voi.. tutti dicevano che eravate morti…”
“Lia, amore mio, sapessi… sapessi quante volte ho tentato di venire da te, specie quando abbiamo saputo che il drago …”
“Sst, non importa, ora sei qui, è solo questo che conta!”
E  vennero i baci, finchè si trovarono entrambi senza fiato, abbracciati sul mantello che Kili aveva steso a terra; poi le carezze, sempre più urgenti, inframmezzate da risatine e imprecazioni a mezza bocca, quando le mani si imbattevano in lacci e stoffa che impedivano il contatto  tanto desiderato, oppure quando la pelle nuda veniva accarezzata da mani fredde per il gelo della notte.
Poi non risero più. Gli ostacoli più importanti  furono rimossi; sotto il mantello di Liatris non sentirono più il freddo, quando si persero l’uno nell’altra, pelle bollente contro pelle bollente, e l’aria fu piena di sospiri, di parole d’amore sussurrate, di gemiti trattenuti; e la loro unione quella notte fu tenera, appassionata e disperata al tempo stesso, animata dal bisogno di sentirsi una cosa sola, uniti nel corpo e nell’anima in un vortice di esaltante passione che li lasciò pieni di meraviglia, come ebbri d’amore.  
Dopo, rimasero a lungo abbracciati, senza bisogno di parole: i loro cuori si parlavano.
Liatris, con il viso affondato nel petto del suo   amato, sentì le lacrime pungerle gli occhi e si morse il labbro.  Non deve vedermi piangere! Doveva solo inebriarsi i sensi del profumo di lui, del suo sorriso, del battito del suo cuore, della stretta delle sue braccia, per ricordarli  quando lui sarebbe stato lontano; doveva assaporare la dolce sensazione di sentirlo vivo e sano contro di lei, dentro di lei…
Kili, tenendo tenendo il suo amore tra le braccia, sentì le sue inquietudini stemperarsi in una sensazione di ineluttabilità, ed abbandonandosi al destino trovò pace. Allo stesso tempo capì che la sua vita non gli apparteneva più, non del tutto: c’era lei, ora, e doveva pensare a lei.
In  quel momento risuonò il fischio di Bilbo: era ora di andare. Si alzarono e si ricomposero; Kili allacciò il mantello sotto il mento di Liatris, poi aprì un poco la camicia e si sfilò dal collo una sottile catena di mithril con un piccolo ciondolo.
“Lia…” disse, “non ho anelli, e non possiedo nulla che sia veramente mio, tranne questa. La porto da quando sono nato, e voglio che l’abbia tu.”Così dicendo, mise la catenina tra le mani di Liatris, le richiuse e se le appoggiò sul cuore. “E’ un pegno d’amore ed una promessa, ma anche una protezione. Se sarai nel bisogno ed io non… non fossi lì ad aiutarti, vai dal Capo della Casa di Durin ed appellati a lui nel mio nome. Quello che potrà fare per te, lo farà.”
Liatris si strinse a lui.
“Non dire queste cose! Promettimi che ci rivedremo presto, e che quando tutto questo sarà finito, staremo insieme!”
Lui l’abbracciò forte.
“Ti giuro che farò tutto quanto sarà in mio potere per questo; però, Lia, non rimanere qui. Vai alla fattoria dei tuoi genitori, subito, domani mattina!”
Bilbo era comparso e faceva cenni frenetici verso di loro.
“Ma Kili, cosa credi che…”
“Non lo so, Lia, ma se mi ami, vai via da qui. Promettimelo! Ho bisogno di sapere che sarai al sicuro, e sento che qui non lo sei.”
Un ultimo bacio, poi Liatris si avviò dietro l’hobbit e Kili la seguì con lo sguardo, finchè non scomparve dietro gli alberi.
Il giovane nano si sedette; gli sembrava di non avere più forze. Respirò profondamente.  Grande Mahal, proteggici.

“Cosi l’ho accompagnata per un tratto, e Kili ed io siamo tornati alla Montagna proprio in tempo per svegliare il povero Bombur. Capisci perché devo trovarla, Gandalf? Kili ha bisogno di lei…” gli occhi dell’ hobbit erano pieni di lacrime, “almeno per un ultimo bacio.”

Questo è l’ultimo flashback, lo giuro. Sapete tutto quello che vi serve, possiamo andare avanti.
Grazie a Lily_ook, Yavannah, Ska, nini superga, LadyDenebola, Lady of the sea, a chi ha inserito la storia nelle preferite/ricordate/seguite e a chi legge soltanto, grazie per l’attenzione!!

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Capitolo 5
*** Gli avvoltoi si radunano ***


Gli avvoltoi si radunano
5 Gli avvoltoi si radunano

Liatris si aggirava per l’accampamento. Era enorme, e la confusione era tale che si era già persa diverse volte, e nessuno sapeva dove trovare il mezzuomo. Aveva anche sentito notizie che le avevano gelato il sangue: un principe di Durin morto, uno scomparso, uno in fin di vita, uno impazzito… e nessuno che sapesse dare un nome a nessuno di loro. Ma quanti sono, poi, questi Durin? Pensavo solo due…
Ad ogni minuto che passava la sua ansia cresceva. Sarebbe venuto da me, se avesse potuto… Mahal, ti prego, fa’ che stia bene…  non desiderava altro che vedere il suo sorriso, gettarsi tra le sue braccia, sentire la sua voce.
Non riusciva nemmeno ad incontrare un nano della Compagnia. Ma dove si saranno cacciati, tutti?  Le mancava solo di avventurarsi nell’accampamento degli Elfi. Ma perché avrebbero dovuto trovarsi lì? Era circondata da Nani sconosciuti… Poi una frase colta al volo le diede un po’ di sollievo. Il principe morto era Gràin, il secondogenito di Dàin dei Colli Ferrosi. Ecco perché sono così tanti…ma il mio Kili dov’è?
Aveva sentito  che  anche Thorin Scudodiquercia era gravemente ferito, ma vivo, e pensò che Kili sarebbe stato con suo zio. Ho promesso di cercare Bilbo, ma se trovo  Thorin li troverò tutti, no? Si aggirò quindi tra le tende che ospitavano i Nani feriti, ma nessuna traccia.
Si fermò un attimo a riflettere. E proprio mentre arrivava alla conclusione che doveva per forza chiedere a qualcuno, anche a costo di sentirsi rivolgere domande inopportune, si sentì chiamare.

“Eccola!” disse Bilbo a Gandalf. “Non avrà pensato che stessimo tra gli Elfi, era più facile che credesse di trovarmi  qui…” poi si fermò un attimo. “Giorni celesti, come faccio a dirle che…”
“Bilbo,” disse lo stregone, severo. “Dille solo la verità.”

“Bilbo!” Liatris  si era voltata con un sorriso ad illuminarle il viso. “Sono così contenta di averti trovato! Dov’è Kili? So che suo zio è ferito, ho pensato che fosse con lui, ma non trovo nessuno!”
“Thorin è alle tende dei guaritori elfici,” disse Bilbo, “ed anche Kili. Sono due giorni che ti cerco…” la serietà stonava sul volto dell’hobbit. Liatris sentì come un pugno stringerle la  gola impedendole di respirare. La voce le uscì soffocata.
“Bilbo, lui... sta bene, vero…?”
L’ hobbit scosse il capo; era più difficile del previsto. Poi pensò che stava perdendo tempo, e trasse un profondo respiro.
“Liatris, Kili è ferito. Sta molto male…” si interruppe perché le dita di Liatris gli avevano afferrato il braccio in una stretta convulsa.
“Portami da lui,” mormorò la giovane nana, “subito.”
Senza parlare, l’hobbit si avviò verso le tende. Liatris lo seguiva come allucinata, tutti i suoi timori avevano preso corpo, ed ora voleva solo vederlo, stare vicino a lui, toccarlo. Non sta succedendo davvero, non a noi…
Un giovane Elfo corse loro incontro, gesticolando.
“Gandalf! Gandalf, grazie ai Valar! Vieni, presto!”
Il vecchio mago lo afferrò per un braccio.
“Calma, ragazzo! Cosa c’è?”
“Vieni, presto! Il principe Kili non… non respira…”

Il cuore di Liatris saltò un battito. Pietrificata, guardò il mago mettersi a correre, percorrendo diversi metri con le lunghe gambe, prima che il suo corpo reagisse; sollevò la gonna e corse dietro al mago. No, Mahal, no, no, no! Ti prego, no!
In pochi momenti fu sull’ingresso della tenda al cui  interno era scomparso Gandalf. E lì si fermò.
Kili giaceva su un basso letto elfico, e Gandalf, seduto accanto a lui, gli teneva una mano sul petto mentre con l’altra stringeva le dita inerti del giovane principe dei Nani. Lui era immobile, così immobile che il terrore strisciò su per la schiena di Liatris. No, non può essere…
Il petto coperto dalla fasciatura si sollevò in un lieve sospiro, e il sollievo fu tale che la nana sentì che le cedevano le gambe. Fece gli ultimi passi e si inginocchiò di fianco al letto.  Kili teneva gli occhi chiusi, e le lunghe ciglia nere, così come le sopracciglia eleganti, spiccavano sul volto bianco come le bende; Liatris allungò una mano ed accarezzò delicatamente la guancia pallida ed i capelli scuri, ribelli come sempre, sparsi sul cuscino. Amore mio, ti  prego, apri gli occhi. Sono qui. Guardami.
Con l’altra mano strinse quella di lui, abbandonata sulle coperte.  Ti prego. Torna da me.
La  nana sentì una mano gentile sulla spalla e riconobbe il tocco di Bilbo. Senza distogliere lo sguardo dal viso di Kili, chiese, in un sussurro:
“Guarirà?”
Fu una voce sconosciuta a rispondere; Liatris si voltò ed incontrò lo sguardo saggio e senza tempo di un Elfo.
“Non lo sappiamo. Non riprende conoscenza da ieri mattina, ed è molto debole; ma non devi rinunciare a sperare. Questo nano è molto speciale; può avere risorse che non conosciamo.”

Era notte ormai. Nell’accampamento regnava il silenzio; le attività si erano fermate. L’opera pietosa di composizione e riconoscimento dei morti era terminata; le ricerche sarebbero continuate l’indomani.
“Niente, Thorin. Nessuna traccia di lui. Nessuna. Non riesco a capire,” diceva Gandalf mentre percorreva a grandi passi la tenda di Thorin. Balin e Oìn erano seduti accanto al Re; e fu Balin a prendere la parola.
“Ho interrogato tutti quelli che si trovavano nelle vicinanze; non sono molti, nessuno dei più vicini a voi è sopravvissuto. Dwalin, ed altri, da una certa distanza, hanno visto Kili cadere, ed in quel momento Fili era ancora in piedi e combatteva, apparentemente illeso. Qualche attimo dopo, solo una massa di orchi, finchè non è arrivato Bèorn.” Nel silenzio, il vecchio nano continuò:
“Ho  anche saputo che Fili non è il solo a mancare. Risultano dispersi   tre nobili elfi, di cui uno è il nipote di Thranduil,  un comandante di Dàin e  due  guerrieri dei Colli Ferrosi.”
Il Re sotto la Montagna era l’ombra di se stesso; aveva gravi ferite alla schiena, e le ossa della spalla sinistra erano talmente frantumate da far pensare che non avrebbe mai più usato il braccio.  Non era questo, però, il pensiero che tormentava Thorin; pensava solo a Fili e Kili, e non si dava pace né di giorno né di notte.
Il Re parlò per la prima volta.
“Avanti, nessuno osa dirlo, ma tutti lo state pensando. Gli orchi divorano i nemici. E i Warg non sono da meno, anzi.”
Un coro di proteste si levò dai presenti.
“Thorin,” disse Oìn, “abbiamo trovato alcuni… resti. Ma non può trattarsi né di Fili né degli Elfi, per via dei capelli biondi. Il comandante nano è di pelo rosso, quindi con ogni probabilità si tratta dei due guerrieri. Come posso dire… qualcosa abbiamo trovato. Le persone non spariscono nel nulla.”
“E allora che spiegazione date? So che anche questa mattina avete trovato altri corpi, la battaglia è stata combattuta su un fronte talmente esteso, che di certo qualcuno ha lottato anche nei boschi. Forse è finito là, forse  è in qualche luogo talmente impervio ed inaccessibile che non lo troveremo mai.  Ma in ogni caso,  a quest’ora… nessuno può essere ancora vivo. Nessuno.”
“Thorin…”
“L’ho perso. L’ho perso ed è solo colpa mia… e non oso pregare Mahal che mi lasci l’altro, perché non me lo merito. Vorrei solo che prendesse me al suo posto!”

Più tardi, solo Balin era rimasto nella tenda di Thorin.
“Mi spezza il cuore, Thorin. E’ così giovane, e così bella. E’ lì, lo guarda, lo accarezza…”
Il Re mosse il braccio sano, in cerca di una posizione più confortevole.
“Quante cose non sapevo di lui, Balin! Sono stato così preso da me stesso, dalle mie manie di grandezza, che non mi sono nemmeno reso conto di una cosa così importante. Come ho potuto lasciare che orgoglio ed avidità mi offuscassero la mente a tal punto? Una volta avrei letto il viso di Kili come un libro aperto; una volta sarebbe venuto a parlarmi. Ho allontanato le persone che mi amavano, ho rovinato la loro vita ed alla fine l’ho distrutta…”
Balin sospirò. Evidentemente Thorin era deciso  a considerare qualsiasi cosa come un motivo per autoaccusarsi. Il vecchio  nano decise che era ora di cambiare tattica. C’erano cose da fare e Thorin doveva assolutamente smettere di crogiolarsi nell’autocommiserazione.
“Adesso non esagerare, Thorin! Non è da te. Avere accanto qualcuno di così importante può solo aiutare il ragazzo, non credi? Cerca di riprenderti!”
“Non c’è più nulla che mi importi, Balin… spero solo di levare il disturbo prima che arrivi Dìs. Come potrò mai guardarla negli occhi sapendo di averle tolto i suoi figli?”
Balin, per la prima volta in molti anni, perse la pazienza.
“Per Durin, ragazzo! Non credi che sia ora di farla finita con queste sciocchezze? Hai commesso un errore madornale; e allora? E non venirmi a dire insulsaggini tipo ‘preferisco morire’: niente affatto! Devi darti da fare per rimediare a questo pasticcio, e, dannazione, ci sarà da lavorare! Siamo sul filo del rasoio. Ti sei messo nei guai con tutti i tuoi vicini, e anche se la Battaglia ha distolto l’attenzione dal problema,  non credere che sia finita!  Guardiamo in faccia alla realtà: non vuoi essere Re? Ritieni di non meritartelo? D’accordo! Ma  vuoi davvero che Kili guarisca per ritrovarsi senza il Regno che gli spetta di diritto? Vuoi fargli anche questo?” era un colpo basso, Balin lo sapeva benissimo; ma erano necessari i sistemi energici per scuotere Thorin.
“Perdere Fili è un colpo devastante, ma la Casa di Durin non è ancora finita. Erebor è tornata nostra: deve restarlo. La nostra gente deve riavere la sua casa,  e possibilmente un Re legittimo. Non credi che la situazione vada affrontata?”
Il vecchio nano riprese fiato e guardò il viso di Thorin: era livido di rabbia. Balin gli rispose con uno sguardo truce.
Rimasero per un po’ a guardarsi in cagnesco, ma fu Thorin il primo a cedere. Prese alcuni profondi respiri, poi parlò:
“Per Durin, ho voglia di prenderti a pugni, nano, ma hai ragione. Sono certo che mentre facevo le bizze, hai analizzato la situazione ed elaborato qualche soluzione. Sono pronto ad ascoltarti.”
“Anche se sono conclusioni che non ti piaceranno?”
Lo sguardo di Thorin rimase torvo.
“Non mi aspetto che mi piacciano.”
“Allora, il primo passo è parlare con Dàin. E’ da stamattina che chiede di vederti, cominciamo sentendo cosa vuole.”
 
Dàin era un nano imponente, anche se non come Dwalin, di mezza età. Balin si alzò per accogliere il visitatore con un abbraccio.
“Dàin… ho sentito dei tuoi figli. Condividiamo il tuo dolore. Come sta Nàin?”
“Quando è sveglio ha continue allucinazioni e convulsioni. Ma gli Elfi dicono di non perdere la speranza, per ora lo tengono sotto l’effetto di pozioni  che lo fanno dormire, mentre Inglor sta studiando una cura. E il vostro ragazzo?”
“Nelle mani di Mahal, Dàin. Posso solo dire che è vivo.”
Una voce sommessa  giunse dal letto.
“Dàin…”
Il nuovo venuto strinse la mano sana di Thorin.
“Thorin… Mahal  ha colpito duramente la stirpe di Durin, questa volta. Mio figlio e tuo nipote nelle Aule di Mandos; gli altri due, a un passo dalla morte.”
“Per loro possiamo solo sperare, “ disse il Re sotto la Montagna, “ma dobbiamo far fronte a questa situazione nell’interesse della nostra gente. Elfi e uomini premono…”
“… e gli avvoltoi si radunano,” proseguì Dàin. “Per questo volevo parlarti. Giusto questa mattina…”

Dàin sedeva al capezzale del figlio. La testa del giovane Nàin era stata completamente rasata, ed era avvolta in una voluminosa fasciatura.  Si arrabbierà quando scoprirà di non avere più le sue amate trecce, pensò il Signore dei Colli Ferrosi.
Tieni duro, figlio mio. Resisti. Non mi sono mai piaciuti gli Elfi, ma questi sembrano sapere il fatto loro.
Non posso perdervi entrambi. Uno di voi è già troppo. Non riusciva a togliersi dalla mente la vista del corpo di Gràin seminudo e straziato dai Warg, irriconoscibile se non per i lunghi capelli biondi. Gli Orchi avevano fatto scempio del corpo del principe e dei guerrieri della sua Guardia Personale,  comandata dal suo amico Frèar: tutti caduti l’uno accanto all’altro.  Non è così che voglio ricordarlo.
E poi il pensiero costante: perché ho permesso che venissero?
Perché non avrebbero mai accettato di rimanere a casa.





Allora! Le cose si stanno muovendo. Se nel libro Tolkien ha risolto la situazione togliendo di mezzo tutti i Durin, forse è perché non sapeva in che altro modo  sbrogliarsi dal pasticcio combinato da Thorin?
Mi sono peraltro sempre chiesta che bisogno ci fosse  di questa conclusione. Voi che ne pensate?

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Capitolo 6
*** Imprevisti ... e novità ***


Imprevisti e novità
6 Imprevisti e … novità

Dàin tornò nella tenda del comando, dove il  suo attendente gli fece rapporto sulle condizioni dei feriti.
“Mio signore, Vodren ha chiesto più volte un colloquio privato,” disse infine il nano.
Dàin sospirò. Il fratello della sua defunta moglie non gli piaceva, ma era un valente guerriero e comandante, e godeva di un ampio consenso, oltre a far parte del Concilio Ristretto.
“Leviamoci il pensiero, Nàr. Fallo entrare,” rispose .
Vodren entrò e fece un breve inchino. Era un nano massiccio, dai lunghi capelli brizzolati ed una barba imponente.
“Dàin, bisogna riunire il Concilio. Ci sono decisioni da prendere.”
Il Signore dei Colli Ferrosi alzò le sopracciglia cespugliose.
“Non vedo nulla di così urgente.  Siamo bloccati qui almeno per qualche giorno, finchè il grosso dei feriti non sarà in grado di viaggiare; e a casa mi risulta che sia tutto tranquillo.”
“Parlavo di Erebor,” interruppe Vodren. Non avevo dubbi in proposito, pensò Dain. Gli sembrava di vedere la mente del cognato che elaborava la sua strategia. So benissimo dove vuoi andare a parare.
“Balin mi ha confermato ieri che avremo la parte del Tesoro che ci è stata promessa, ed i tesorieri sono al lavoro  per redigere l’inventario. Sarà un bel bottino.”
“E la Corona?”
Dàin finse di non capire.
“La Corona dei Corvi non è ad Erebor. Era stata salvata da Thròr e custodita dai suoi discendenti. Non ho idea di dove sia adesso, e comunque quella non ci spetta, non credi?”
Vodren sbuffò rabbiosamente.
“Intendevo il Regno della Montagna Solitaria! Che ne sarà?”
“Cosa vuoi dire? Thorin è Re sotto la Montagna, no?”
“Sappiamo bene che Elfi e Uomini non lo accetteranno mai, dopo quello che  ha fatto. Tra l’altro, corre voce che resterà invalido: non è adatto a fare il Re, deve abdicare.”

Dàin si alzò e fece qualche passo. Tra sé e sé maledisse i pettegoli: Non capisco come le notizie si spargano quasi ancora prima che ne siano al corrente i diretti interessati.
“Elfi e Uomini non hanno voce in capitolo nella scelta del Re sotto la Montagna. Ed è troppo presto per dire se Thorin guarirà del tutto o no. In ogni caso ha ancora un nipote,” rispose Dàin con voce tranquilla.
“… che sta morendo.”
“Per ora è vivo,” interloquì l’altro, lasciando trasparire l’irritazione dalla voce. Vodren colse l’avvertimento e fece rapidamente marcia indietro.
“Certo, tutti noi preghiamo che si salvi… ma in ogni caso si tratta di un ragazzino.”
“Non direi tanto un ragazzino. L’hai visto combattere? Hanno dovuto farlo cadere con le frecce, da lontano, perché nessuno riusciva ad entrare nel raggio della  sua spada; ed anche così, sono riusciti  a colpirlo solo perché ha usato lo scudo per proteggere Thorin a terra, anziché se stesso. Non vorrei trovarmi a combattere quel ragazzino, Vodren: e tu?”
Altra rapida retromarcia.
“Certo che no, so che tuo cugino Kili è un grande guerriero, nonostante la sua giovane età; ma non sa nulla di governo. Come potrebbe reggere una corona?”
“Sai bene che avrebbe Balin come consigliere.”
Vodren fece una smorfia, e Dàin ne fu segretamente compiaciuto. Balin era un grosso ostacolo ai piani del cognato: di sangue reale, universalmente stimato… e fedele a Thorin fino alla morte. Il reggente ideale per Erebor. Vodren decise di rompere gli indugi.
“Dàin, se Thorin abdica, o viene estromesso, il suo vero erede sei tu.”
“Non posso assumere la Corona dei Corvi, Vodren! Non mi spetta, e comunque devo occuparmi del mio Regno! Se Nàin non dovesse farcela, a chi dovrebbe essere affidato? Se io divenissi Re sotto la Montagna, che ne sarebbe dei Colli Ferrosi?”
“Hai un altro figlio.”
“Fain ha solo quindici anni, Vodren; lui sì che è un ragazzino.”
“Ci potrebbe essere una reggenza…”
Eccolo qui, pensò Dàin. È  qui che  volevi arrivare, vero? Se io venissi ad Erebor, che reggente scegliere per i Colli Ferrosi? Chi meglio del caro zio Vodren,  che non può rappresentare una minaccia non essendo della stirpe di Durin? Ma sarebbe il potere dietro il trono, e chi sa cosa diverrebbe Fàin sotto la sua guida? I tuoi piani sono a lungo termine, vero, amico mio? Se Fàin diventa una tua creatura, dopo di me chi governerebbe Erebor?
 
“Ho finto di essere interessato. Gli ho detto che ci avrei pensato, ma so che tornerà alla carica… se non farà qualcosa per forzarmi la mano.” Dàin concluse così il suo racconto. “Ci sono molti se, nei progetti di Vodren, e molte vite tra lui ed il potere… ma vite appese ad un filo: mio figlio, tuo nipote…, se morissero improvvisamente, chi sospetterebbe?  Ho già messo sotto sorveglianza Nàin, ti consiglio di fare lo stesso per te e per tuo nipote, ma temo il veleno. Temo che Vodren non si fermerà davanti a niente, e non posso accusarlo senza prove, ha troppa influenza.”
Balin e Thorin si guardarono preoccupati. Fu il primo a rispondere.
“Manderò subito a chiamare  Dwalin. I nostri sono alla Montagna, ma saranno più utili qui che a sorvegliare il Tesoro. Per quanto riguarda i rifornimenti, da noi tutto  viene dalla cucina di Thranduil, che è molto sorvegliata, ma parlerò con Inglor, anche per tuo figlio.”
“Teniamo gli occhi aperti,” concluse Thorin, “e speriamo che Mahal ci protegga tutti. Certo non credevo di dovermi guardare anche dalla nostra gente.”
“E con Elfi e Uomini?” chiese Dàin. “Mi aspetto che tra poco arrivi qualche invito poco velato a chiarire le nostre intenzioni  riguardo al Tesoro. Io risponderò che mi basta la parte che mi avevi promesso, Thorin, e che non avanzo ulteriori pretese… a meno che tu non mi chieda di comportarmi diversamente. Ma Erebor?”
Balin sospirò e rispose, lentamente:
“Le condizioni  di Thorin e Kili, ed il mistero irrisolto sulla sorte di Fili ci consentono di tergiversare qualche giorno e non prendere decisioni affrettate…” ma Thorin scosse la testa.
“No. Le nostre condizioni giustificano una Reggenza. Redigi un mandato a tuo nome, Balin; per ora tratterai tu per Erebor, almeno dimostreremo che ci stiamo muovendo. Poi si vedrà.”

Liatris non si era mossa. Inginocchiata accanto al letto di Kili, continuava a tenere tra le sue la mano inerte del giovane nano. Contemplava il viso immobile del suo amore, e la sua mente vagava. Immagini di lui le comparivano davanti agli occhi, sovrapponendosi alla realtà: Kili seduto accanto a lei sul molo, Kili alla luce della luna, solo pochi giorni prima, ma soprattutto il suo sorriso travolgente, quei suoi bellissimi occhi scuri, ora ridenti, ora pieni di tenerezza, di passione, d’amore. E quella notte meravigliosa… il ricordo più bello e più doloroso allo stesso tempo.
Le sembrava così innaturale quella immobilità! Lui, proprio lui, sempre in movimento, sempre allegro, con la battuta pronta… quel silenzio non gli si addiceva proprio.
L’alba era vicina. La notte era quasi trascorsa, senza nessun cambiamento; il guaritore elfo ed il suo assistente si erano avvicendati nella tenda; la sera prima avevano medicato le ferite, e Liatris aveva avuto la sensazione che fossero impresse nella sua stessa carne. Nella serata, diversi Nani erano venuti a vedere Kili, ed erano stati molto gentili con lei; ma Liatris non era riuscita a rispondere se non con un pallido sorriso.
Amore mio, come è possibile? Ti ho incontrato solo da poche settimane; possibile che ci sia voluto così poco perché mi entrassi nel cuore e nell’anima? Hai illuminato la mia vita come un nuovo sole appena sorto, così sfolgorante da non poterlo guardare; mi hai dato un assaggio di una felicità senza confini; non puoi lasciarmi adesso. Non puoi togliermi tutto!
Una mano leggera si posò sulla sua spalla; alzando gli occhi vide che si trattava di Inglor. L’Elfo mormorò, a bassa voce:
“Dovresti riposare un po’. Da quanto tempo non dormi? Ci sono letti liberi nella tenda accanto.”
“No!” rispose subito Liatris. “E se si svegliasse? Non posso lasciarlo!” strinse più forte la mano di Kili, come se temesse di essere staccata a forza da lui.
“Allora rimani qui, ma cerca di dormire un po’. Devi pensare anche al tuo piccolo.”
La giovane nana fissò Inglor con gli occhi spalancati; la sua mente ci mise un  attimo ad elaborare il concetto, poi alitò, con un filo di voce:
“Cosa…? Il mio…?”
“Sei stata benedetta, bambina. Non te ne eri resa conto? Io lo Vedo.”
Oh, dèi, pensò Liatris, con tutto quello che è successo, il drago, l’incendio, la guerra, gli orchi…  si rese conto solo in quel momento che la sua luna rossa non sorgeva da molto tempo, certo da prima di quella loro stupenda prima notte. Lasciò andare un respiro che non sapeva di aver trattenuto, e spostò lo sguardo sul viso del ferito.  Oh, dèi, sì, potrebbe essere…
Guardò con infinita tenerezza il suo amore. “Resterò con lui,” disse.
 Sfiorò le labbra di Kili con le sue,  quindi appoggiò la fronte sulla sua spalla sana,  assaporando  il profumo di lui, così alieno e allo stesso tempo così familiare, quel profumo che era lui. Gli accarezzò una guancia, passando le dita tra la barba corta e morbida.
Amore mio, sarà meglio che ti svegli, ed alla svelta. Abbiamo una novità…

Era l’imbrunire, ed il sole calava sull’accampamento.
Il viso  di Thorin era di pietra, e la sua voce strozzata   spezzò un silenzio pesantissimo.
“Non…non è possibile fare altro…? Gandalf..?”
Il vecchio mago scosse il capo.
“Niente che sia in mio potere, amico mio. L’ho tolto dai guai un paio di volte, ma oggi il Risanamento non ha funzionato. Non so cos’altro fare.”
“Oìn? Inglor?”
Il Nano  non rispose. L’ Elfo invece disse:
“Non vi è niente che la mia arte possa fare per lui, più di quanto sia già stato fatto. Però … il principe Kili sfugge alla mia Vista. C’è qualcosa in lui che mi lascia perplesso,  che non ho mai visto e che mi spinge ad evitare qualsiasi giudizio. Non posso dire nulla riguardo al suo destino, però…” Inglor esitò,  “non so se ti possa consolare, ma la compagna di tuo nipote è incinta.”
Un silenzio sorpreso accolse la notizia, mentre nelle iridi azzurre del Re passò un piccolo lampo.
“Un buon auspicio,” bisbigliò Oìn “per la Casa di Durin in questo difficile momento…”
Ma Thorin  disse:
“Un piccolo Durin…una volta forse avrei tratto consolazione da ciò. Ora ci vedo solo un nuovo dolore, vedo solo un altro bimbo che crescerà senza padre… una nuova colpa sulle mie spalle…” Mahal,  pensò, come sai punire duramente. Non sarò mai Re sotto la Montagna, ora lo so; me lo sono meritato per il mio sciocco orgoglio e la mia  empietà. Ma non ti è bastato.
Non avevo capito cosa era davvero importante, così, per insegnarmelo, me l’hai tolto. Ma, Mahal, non potevi uccidermi? No, devo vivere dopo aver perso tutto; ma il prezzo più alto lo paga chi è senza colpa.
Un ricordo, tra tanti, gli emerse dalla memoria: quando tornava dai suoi viaggi, ospite di Dìs, e due piccoli nani indiavolati festeggiavano il suo arrivo. La sera, dopo cena, dedicava sempre un po’ di tempo ai suoi nipoti.
Con gli occhi della mente vide distintamente Fili, a meno di dieci anni, seduto su un basso panchetto davanti alla sua poltrona, che lo ascoltava con gli occhi azzurri spalancati. Già allora portava treccine nei capelli dorati, le aveva pretese molto presto, per averle ‘come lo zio’. Thorin si rifletteva in quegli occhi azzurri così simili ai suoi, e che già allora esprimevano rettitudine e saggezza ben oltre la sua età.
Kili era diverso. Pretendeva immediatamente di essere preso in braccio,  e si raggomitolava sull’ampio petto dello zio come un gattino davanti al fuoco. Da lì, dito in bocca, rassicurato dal respiro e dal battito del cuore, ascoltava i racconti, finchè, esausto, si addormentava. Thorin si meravigliò di come fosse vivido il ricordo della sensazione del piccolo corpo caldo, profumato di sapone dopo il bagno serale, accoccolato contro il suo petto.
Il Re chiuse gli occhi, lasciando che una lacrima scivolasse nella barba.
”Fatemi sapere...” sussurrò.
“Non perdere la speranza,” disse Inglor, “non ancora.”
Gandalf gli strinse la spalla buona, prima di uscire e di avviarsi verso la tenda di Kili.
Adesso la parte più difficile.

Balin rimase a lungo seduto in silenzio. Era profondamente affezionato al suo giovane allievo; ma proprio per amore del ragazzo, c’era qualcosa da fare, subito, prima che la notizia si diffondesse.
“Thorin… vado a dire a Dwalin e agli altri di estendere la sorveglianza anche alla ragazza. Se c’è un piccolo Durin in arrivo, c’è un’altra vita in pericolo: un altro discendente con pieno diritto al trono del Re sotto la Montagna.”

Gandalf trovò Liatris così come l’aveva lasciata, inginocchiata accanto al letto di Kili. Con gesto delicato, gli accarezzava le ciocche scure sparse sul cuscino; poi prese tra le sue la mano inerte del  giovane nano e se l’appoggiò alla guancia.
Gandal sospirò e posò una mano sulla spalla della ragazza.
“Liatris…”
La Nana alzò lo sguardo e l’espressione di dolore sul suo viso fu un duro colpo per il vecchio mago.
“Cara…” disse sottovoce, “non… non possiamo continuare così.”
“Cosa vuoi dire?” rispose lei, allarmata.
“Ho tentato di Risanarlo per cinque volte, in questi due giorni, e non ha funzionato.”
“Ma riprende forza!”
“Ma non si sveglia, e poco dopo si indebolisce di nuovo. Liatris, se questa è la volontà dei Valar, dobbiamo lascialo andare.”
“No… oh, no!” Liatris baciò le dita immobili intrecciate alle sue. “Gandalf, no…” sussurrò.
Dopo un attimo di silenzio, combattendo il nodo che le stringeva la gola, la ragazza continuò:
“Ti prego, Gandalf… aiutalo. Ancora una volta! Prova ancora una volta, ti prego…”
Il mago sospirò; posò una mano sul petto di Kili e si concentrò.
Un minuto, due, cinque… sentiva sotto le sue dita il cuore  del ferito che riprendeva forza, la vita che scorreva  nel corpo immobile con più vigore… ma gli occhi rimasero ostinatamente chiusi.
Gandalf si alzò, senza dire nulla.
“Ti manderò Bilbo. Non voglio che resti da sola.”
Liatris annuì, senza distogliere lo sguardo dal viso di Kili.
“Grazie.” Sussurrò.
“Gli dèi sanno che vorrei poter fare di più.”
Rimasta sola con il ferito, Liatris iniziò a parlare, a voce bassa, la guancia contro quella di lui.
“Kili, amore mio, non lasciarmi. La nostra prima notte pensavo : ‘se avrò solo questo, meglio di niente’; ma non mi basta. Voglio una vita con te, voglio stringerti tra le braccia, voglio che tu mi sorrida. Ti amo. Non riesco ad immaginare come sarebbe vivere senza di te.”
“Sai,” continuò, “mi hanno detto che avremo un bambino…io non lo so, non riesco a crederci, ma se fosse vero, non voglio crescerlo da sola.”
Pensando a quel figlio,  l’Elfo ne è sicuro, e sì, è possibile, Liatris provava sentimenti contrastanti. Da una parte era qualcosa di lui che le sarebbe rimasta, qualunque cosa fosse accaduta; dall’altra…
“Se te ne andassi, amore mio, vivrei solo per tuo figlio… ma vedo già come sarà  la mia vita: una distesa infinita di giorni grigi senza di te.”
“Ti amo, Kili, ti amo così tanto che nulla ha importanza, solo tu.”
“Ti prego, amore, torna da me.”

N.d.A.Come vi avevo anticipato, Dàin ha sempre meno possibilità di diventare Re sotto la Montagna. La cosa mi dà molta soddisfazione.
A proposito: per tutte quelle che continuano a chiedere: e Fili? Qualche indizio nelprossimo capitolo, ma ... armatevi di pazienza. La strada è lunga.

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Capitolo 7
*** Molte miglia a ovest ***


7 Molte miglia lontano, a ovest
7. Molte miglia a ovest

Non esisteva un sopra, o un sotto. La testa gli faceva un male tremendo, e… non era al suo posto!
Non sentiva il suo corpo, tranne dove qualcosa gli causava dolore. Qualcosa.. o qualcuno… lo colpiva sulle costole, che però erano sopra la testa…
Il buio era totale, e lo disorientava. Apri gli occhi! Gli gridò la sua mente. Facile a dirsi, impossibile a farsi.
Sono morto? Una devastante ondata di nausea lo colse.  Ma i morti possono dare di stomaco?
Il mondo era sottosopra… o sono io ad esserlo? Si chiese.
Respirò profondamente per respingere l’ondata di nausea, ma la pressione sulle costole rendeva il tentativo estremamente complicato.
Per Mahal, cos’è questa tremenda puzza?
Agitò la testa per allontanare il fetore, ma fu uno sbaglio. Un’altra fitta violenta gli trafisse il cervello, e poi più  nulla.

Nell’ oscurità completa emersero suoni ovattati.
 “ Fratello, resisti…” la voce, molto vicina, lo fece sobbalzare. Roca, strozzata, sconosciuta.
Parla con me?
“Sto arrivando…” di nuovo la voce.
Il mal di testa era sempre atroce, era come avere grossi chiodi conficcati tra le ossa del cranio. Si accorse che girare la testa gli causava violente ondate di nausea; cercò di respirare regolarmente e usò i sensi che aveva a disposizione. Capì  subito di essere disteso sulla schiena, e che qualcosa gli si stava conficcando nelle reni.
Il mondo non era più sottosopra. Tirò un sospiro di sollievo e cercò di fare l’inventario.

Le spalle, le braccia, le gambe. Ci sono.
Muoviti! Lo incitò la sua mente. Impossibile! Sono immobilizzato…
Per un attimo pensò di non essere in grado di controllare il proprio corpo, e un terrore gelido e soffocante lo assalì.  Poi capì.
Sono legato. Polsi e caviglie.
Di colpo la sua mente intorpidita dall’emicrania ricominciò a funzionare. E si rese conto di qualcosa che non era affatto incoraggiante.
Prigioniero! Sono prigioniero… ma come? Dove?  E soprattutto: di chi e perché?

Calma. Analizza la situazione.
Si sentiva come se fosse reduce da una rissa in cui avesse avuto la peggio. Gli facevano male tutte le ossa. Deve essere stata una rissa  violenta!  Ma a parte il dolore diffuso, effetto di contusioni o indolenzimenti, e quell’atroce mal di testa, solo il braccio sinistro gli inviava segnali di ferite.  Fa male dalla spalla al gomito… sembra un colpo di spada, o di pugnale. Alzò e ruotò la spalla. Nessun dolore particolare. Niente di serio. Dovrei essere in grado di muovermi.
Cercò di ruotare testa e collo e fu un errore. Un nuovo dolore lancinante gli corse su per il collo e gli esplose dietro gli occhi; un nuovo, violento attacco di nausea lo assalì. Immediatamente si immobilizzò.
Devono avermi steso con una botta in testa. Bella forte, anche.
Cercò di respirare in modo profondo e regolare, per calmare lo stomaco, ed a poco a poco la nausea passò.
La cosa peggiore era quel buio assoluto. I suoi sensi lo avvertivano che si trovava all’aperto: sentiva l’aria gelida che gli entrava sotto i vestiti, e si rese conto di non essere abbastanza coperto. Maledizione, ci manca solo  che mi prenda una polmonite!
Perché non ci vedeva? Anche se fosse stata notte, qualche barlume di luce avrebbe dovuto esserci. Poi, di nuovo la voce.
“Resisti.. sono qui…”
Qualcuno accanto a lui. Ricordò di aver già sentito la voce: spezzata, roca… in khuzdul. Cercò di rispondere, ma dalla gola gli uscì solo un rantolo. Si accorse in quel momento di avere una gran sete.
Ho la bocca più asciutta del deserto. Dèi, che sete! Riprova, maledizione…
Si schiarì la voce, e stavolta riuscì a mormorare un roco:
“Chi… chi sei..?”
In risposta ottenne solo un borbottìo indistinto, e capì che il suo sconosciuto compagno non doveva essere molto lucido. Tornò quindi a concentrarsi su se stesso, in particolare sulla sua misteriosa cecità; mosse i muscoli della faccia, facendo smorfie e sentendosi molto idiota, ma la manovra gli consentì di capire che qualcosa di secco – fango, forse? – gli copriva buona parte del viso compresi gli occhi.

Un po’ sollevato dalla scoperta, si concentrò di nuovo ed ordinò alle braccia di alzarsi; con fatica, a causa dei muscoli spaventosamente indolenziti e della ferita al braccio, riuscì a portarsi le mani legate fin sulla faccia.
Sotto le dita sentì una sostanza grumosa e strofinò piano all’altezza degli occhi. Non fa male.
Strofinò più energicamente e la sostanza cominciò a venire via a scaglie; non era riuscito ad aprire gli occhi perché le palpebre erano incollate insieme.
Per un po’ lavorò con la punta delle dita, aiutandosi facendo smorfie, ed improvvisamente l’occhio destro fu libero. Con immenso sollievo si rese conto che vedeva perfettamente; in fondo in fondo un po’ di timore era rimasto. Si portò le dita alla bocca e con la punta della lingua toccò la sostanza misteriosa, che aveva un sapore metallico. Sangue. Secco.

Rimase per un attimo perplesso, poi scrollò le spalle… per quel che poteva. Beh, se è mio, ormai è vecchio.  
Continuò a togliersi il sangue dal viso per liberare anche l’altro occhio, ma era un lavoro faticoso, perché le spalle cominciavano a dolergli per la posizione in cui erano costrette, e le dita erano goffe e quasi insensibili.
Colpa delle corde; cerca di non stringere ancora di più i nodi.
Pazienza.
Nel frattempo riuscì a notare che era notte, e che si trovavano in una radura, con pochi alberi radi e spogli per l’inverno. Minacciava pioggia. Nessuna stella.  

Alla fine ebbe la visuale  libera, e si guardò intorno. Una luce fioca proveniva da un punto alle sue spalle, e riconobbe il riflesso di fuochi da campo sugli alberi intorno intorno a lui. Rumori di un accampamento, tonfi e voci, troppo lontane per poterle identificare. Era fin troppo evidente che doveva trattarsi dei suoi catturatori; ma scrutando nel buio, individuò alcune forme a terra, chiaramente altri corpi legati come lui. Altri prigionieri.
La cosa lo sollevò un poco: almeno aveva dei compagni di sventura. Ne intravide almeno tre, ma troppo lontani per distinguere altro; uno invece era abbastanza, vicino, non più di cinque metri. Legato mani  e piedi, era certamente un nano, e doveva essere sua la voce che aveva udito; ma il viso era in ombra.  Cercò di attirare la sua attenzione.
“Ehi! Amico!”
Un mormorio indistinto gli rispose.
“Ehi! Mi senti? Sono alla tua destra! Dove siamo?”
Nessuna risposta. Forse mi sono sbagliato.  Abbandonò il Khuzdul e passò alla Lingua Corrente, ripetendo il suo richiamo. Anche questa volta il suo vicino non rispose, ma in compenso una voce giunse da una delle forme più lontane. Una voce giovane, con uno strano accento.
“Prigioniero! Non credo che ti senta, è tutto il giorno che delira e chiama suo fratello… credo che sia conciato male.”
“Ma cosa ci facciamo qui?”
“Mi sembra abbastanza evidente,” rispose sarcastica un’altra  voce, più matura, ma con lo stesso accento che suonava strano alle sue orecchie. “Ci siamo fatti cogliere di sorpresa, come te, Nano… perché sei un Nano, vero? Anche il tuo vicino.”
All’improvviso capì.
“Voi… voi siete Elfi?”
“Ma come siamo perspicaci.”
“Adesso capisco perchè gli Elfi non ci  piacciono,” brontolò il Nano. “Sono gli esseri più saccenti della Terra di Mezzo, anche quando sono nei guai.”
“Non dar retta a Darendel,” intervenne la prima voce. “E’ solo seccato di essersi fatto prendere.”
Il Nano sospirò. Non riusciva a pensare lucidamente. Avrebbe avuto un milione di domande, ma la sua mente non riusciva ad organizzarle: colpa di quel mal di testa allucinante che non voleva allentare la sua morsa, anzi, sembrava aumentare di momento in momento. Tutto gli sembrava assurdo: potrei capire di essere prigioniero degli Elfi, ma con gli Elfi…?
Sentiva la risposta lì, a portata di mano, ma non riusciva ad afferrarla.

E poi delle voci. Aspre, gutturali, sembrava un litigio. E si stavano avvicinando.
Tutto divenne chiaro nella mente confusa del Nano.
Una lingua orribile. Orchi. Il gelo lo invase.
Sono prigioniero degli Orchi!  Gli  mancava il respiro. Freneticamente, si diede una spinta e cercò di rotolare via; dove, nemmeno lui lo sapeva, ma doveva andare via, perché stavano arrivando e non doveva farsi trovare lì… la linea degli alberi sembrava solo a pochi metri…
“Dove credi di andare, amico?”
Un piede pesante gli calò sulla schiena e lo schiacciò a terra. Cercò di girare la faccia per non soffocare, ma il  peso sulle spalle glielo impediva. Annaspò in cerca d’aria, ed il fango gli entrò in bocca e nelle narici.  Macchie nere iniziarono a danzargli davanti agli occhi. Sto annegando nel fango!
Stava per perdere i sensi, quando all’improvviso  si trovò libero. Alzò la testa e respirò una boccata d’aria fresca, ansimando.
“Cosa credi di fare con il mio prigionero, Shaghat?”
“Quel piccolo verme stava scappando!”
“Ma così lo stavi uccidendo!”
“E allora?”
“Sei proprio un idiota, Shaghat! Già l’altro che hai preso è più di là che di qua, e vuoi uccidere anche questo? Prima ne prendi uno già morto…”
“Ma aveva delle belle armi…”
“Ma era morto! Gli ordini erano belle armi  vivi!
“Ma perché, Nathak?  Così per mangiarli ci tocca ucciderli! E’ vero che se sono vivi possono camminare da soli, ma questi abbiamo comunque dovuto portarli! Tanto valeva prenderli morti!”
Il Nano agghiacciò. Ci hanno rapiti per mangiarci?!

“Abbiamo dovuto portarli perché quello che hai scelto era male in arnese!”
“Anche il tuo non era conciato bene! Ha dormito per due giorni!” ribattè Shagat, piccato.
“E’ un tipetto pericoloso,” brontolò Nathak, “aveva già infilzato tre Orchi di Gundabad! Mi sono ricordato solo all’ultimo di girare l’ascia di piatto, sennò gli saltava la testa…”
Il Nano rabbrividì. Avrei potuto svagliarmi nelle Aule di Mandos… e senza testa!
 “Comunque, non-sono-da-mangiare!”
 Sospiro di sollievo. Grazie, Mahal.
“E allora a cosa servono?” continuò Shaghat in tono lamentoso.
“Non lo so e non mi interessa! I Capi dicono che li vogliono vivi e noi glieli portiamo vivi… più o meno.”
Nathak afferrò il Nano per la camicia e lo sollevò, cercando di metterlo in piedi. Il prigioniero ricadde come un sacco di patate.
“Se non gli sleghi i piedi, non camminerà mai!” osservò Shaghat.
“Ma se gli slego i piedi, scappa! E’ una piccola donnola infida, questo…”
Aspetta che mi liberi e ti faccio vedere io la piccola donnola, brutto scarafaggio!
L’Orco lo osservò con aria pensosa. Poi lo prese e se lo gettò di traverso su una spalla.
“Muoviti a prendere il tuo, Shagat! Ci aspettano.” Così dicendo, Nathak si voltò, ed il Nano potè finalmente vedere i suoi compagni di prigionia. Altri Orchi, che recavano a loro volta delle torce, fecero alzare i  due Elfi, mentre il terzo era evidentemente inanimato, così se lo caricarono sulle spalle. Il Nano suo vicino aveva ricominciato a farfugliare parole incoerenti, mescolando Lingua Corrente e khuzdul; alla luce della torcia di Shagat vide che aveva il viso coperto di sangue rappreso, così come i capelli parzialmente intrecciati. L’unica cosa che potè vedere fu che era un Nano basso e muscoloso, con baffi chiari e una barba  corta.
Shagat lo toccò con un piede, poi gli sferrò un calcio. Nessuna reazione evidente. L’altro orco brontolò:
“Mi sa che quello è proprio quasi morto, Shagat…”
“Meglio! Così possiamo mangiarcelo!”
L’altro scosse il capo.
“Sei senza speranza.”
Shagat si caricò il suo prigioniero su una spalla, come un sacco.
Il Nano sulla spalla di Nathak se ne stava tranquillo, risparmiando le forze.
Aspetta che mi rimetta in piedi… e vedrai se non provo a scappare!


N.d.A. Cambiamento di scena! Voglio che le varie parti della vicenda restino più o meno cronologicamente alla pari, giusto per non perdere la prospettiva.
Grazie ancora a tutte le degne persone che seguonoricordanopreferiscono, o leggono soltanto! Grazie soprattutto a chi lascia un segno. Leggervi riscalda il cuore.

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Capitolo 8
*** Ostaggi ***


8 Ostaggi
Scusate il ritardo, in questo periodo sono davvero molto impegnata  e non riesco a trovarmi il mio angolino tranquillo. Accidenti, speriamo in tempi migliori!
Ho seminato indizi come Pollicino…  buona lettura!


8. Ostaggi

Il Nano si guardava intorno, dal suo  scomodo punto di vista, cercando di  raccogliere più informazioni possibili  sul numero, la disposizione, lo stato di quelli che lo tenevano prigioniero. Gli Orchi in vista erano un centinaio, e non tutti uguali. Orchi, di tribù diverse, e Goblin, insieme. Non è comune.
E’ possibile che ce ne siano altri più distanti?  Si chiese.
Sì. Tra gli alberi radi ed i grossi cespugli si intravedevano bagliori che potevano far pensare ad altri fuochi. Una grossa banda… ma piuttosto male in arnese. Gli Orchi ed i Goblin accanto ai quali passava mostravano i segni di un aspro combattimento: molti erano feriti, tutti erano sporchi – beh, più del solito -  e chiaramente affamati. Per un attimo un brivido gelido gli percorse la spina dorsale.  Speriamo che gli ordini non cambino… vivi e belle armi.
Già, perché? Le belle armi, se mai le aveva avute, erano sparite, ma non c’era da meravigliarsi. Un pensiero gli frullò per la mente, qualcosa che aveva a che fare con i suoi stivali. Scosse il capo, istintivamente, come per schiarirsi i pensieri. Era ancora molto confuso e il mal di testa, che peggiorava in quella posizione, non aiutava di certo. Stivali…?
Coltelli negli stivali!  Ho dei coltelli negli stivali! Ma… ho gli stivali?

Stava oziosamente pensando che di certo non era a piedi nudi, quando fu brutalmente scaraventato a terra, dove rotolò alcune volte per fermarsi a faccia in giu. Cercò di far forza sui gomiti per girarsi, ma una mano lo afferrò per il dietro della camicia, cercando di metterlo in piedi. Impedito dalle corde intorno alle caviglie, e sentendosi cedere le gambe, immediatamente ricadde sulle ginocchia.
“Ti avevo detto che se non lo sleghi non può stare in piedi!” la voce dietro di lui era ancora quella di Shagat.
“E se scappa?” ribattè Nathak.
“Ma dove vuoi che vada?”
Il battibecco fu interrotto da una voce aspra davanti a lui.
“Basta, voi!” il Nano alzò gli occhi, cercando di mettere a fuoco le figure che stavano davanti a lui. Almeno cinque mostri, di cui due Orchi e tre Goblin. Insieme.
Gli altri prigionieri erano accanto a lui. Due Elfi in piedi, uno a terra, inanimato, accanto al Nano che biascicava parole incomprensibili. Potè vedere quest’ultimo  un po’ meglio e si rese conto che doveva essere piuttosto giovane.   Gli Elfi … erano Elfi. Per lui, tutti uguali, con quei capelli biondi lisci; anche i due in piedi però  sembravano malconci, uno dei due aveva uno straccio legato intorno alla fronte, mentre l’altro era coperto di sangue e zoppicava vistosamente.
Ma per Mahal, cosa ci faccio qui?
Riportò la sua attenzione sui cinque davanti a lui, che avevano cominciato ad interrogare gli Elfi.
“Chi siete, voi due? E il vostro amico a terra?”
“Siamo Elfi Silvani,  della Guardia di Mirkwood.”
L’ Orco più grosso ruggì.
“Non cominciamo con le fandonie, feccia elfica! I guerrieri della Guardia di Mirkwood hanno tutti la stessa divisa e le stesse armi. Voi tre no. Chi siete?”
“Ma non è una fandonia!” rispose l’Elfo dalla voce giovane. “Facciamo parte della Guardia. Cosa ne sai di come siamo equipaggiati?”
“Qui le domande le faccio io!” ruggì di nuovo l’Orco. “Avrete un nome, almeno! E se non è così… vuol dire che non ci servite a niente.”
Il Goblin più grosso intervenne.
“Avevo detto che non era una buona idea! Mangiamoceli e basta!” I Goblin intorno acclamarono all’idea. L’Orco che non aveva ancora parlato alzò la lancia che teneva in mano. “Silenzio.” La voce bassa e raschiante, il tono calmo, fece rabbrividire il Nano più che i ruggiti o gli urli. Era… raggelante. Istintivamente capì che doveva essere il più potente dei cinque. Poi continuò, con un tono vagamente annoiato, come se stesse spiegando l’ovvio a dei cuccioli un po’ tonti.
“Ed una volta mangiate queste quattro ossa, avremo tutto l’inverno per morire di fame… o per essere annientati. Possiamo cavarcela durante il viaggio, visto che per ora nessuno ci sta inseguendo da vicino, ma quando faremo ritorno alle nostre tane nelle Montagne Nebbiose, sarà dura. Noi a Gundabad abbiamo poche  scorte, e lassù ci sarà già la neve; Azog contava di passare l’inverno ad est, e non ha provveduto. Anche se siamo rimasti in pochi, non sopravviveremo un mese con quello che abbiamo. Voi state meglio? Se non avete bisogno di questi prigionieri ce li terremo noi; ma di sicuro non si mangiano adesso.”
Il Nano pensò che il mondo stava andando alla rovescia. Non avrei mai pensato di essere d’accordo con un orco.
“Non oseranno inseguirci! E una volta nelle nostre grotte, saremo invincibili!” gridò il secondo Goblin.
L’Orco lo guardò sprezzante.
“Se vuoi crederci… ne riparleremo quando avrete Elfi a est ed Elfi a Ovest… per non parlare dei Nani. Credi che non ne vedremo più? Si sposteranno da ovest a est a migliaia! E noi siamo esattamente sulla loro strada.  Siamo rimasti in pochi,  malconci, e tra poco saremo affamati! E se vogliamo salvarci abbiamo bisogno di…”
Il Nano stava rapidamente elaborando le informazioni. Ma certo. Sono nei guai; non possono nascondersi, se non hanno scorte, e un combattimento li eliminerebbe. Hanno bisogno di…
“… merce di scambio!” disse l’Orco.
Beh, io avrei usato la parola ostaggi, ma questi sono orchi... ed io sono nei guai fino al collo. Se non altro non mi faranno la pelle subito. Spero.
“Quindi,  Ogerak, scegli qui e subito! Vuoi questa feccia o no?” intervenne il primo Orco.
Ogerak lo guardò con odio.
“Vedremo se serviranno a qualcosa, Uglùn! Chi dannazione sono, tanto per cominciare? E perché i loro compagni dovrebbero fare  qualcosa per loro?”
“E’ quello che stiamo cercando di scoprire,” rispose Uglùn, “se la piantate di farci perdere tempo!” poi si rivolse ai prigionieri frastornati.
“Beh, vi è chiara la situazione? Convincetemi che ho interesse a tenervi vivi… perché in caso contrario vi lascerò finire nella pentola dei Goblin! Allora, ricominciamo. Chi siete?”
I due  Elfi si guardarono, poi il più vecchio si strinse nelle spalle.
“Siamo Guardiani; facciamo parte della Guardia Personale di Thranduil. Io mi chiamo Darendel e lui è Lirien.”
Il secondo Orco chiamò con un cenno della mano un altro mostro dietro di lui. Questo si avvicinò e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Dopo un breve scambio di battute, concluse:
“Sono sicuro, mio signore Thorbag.”
“Hmm!” bofonchiò Thorbag. “Potrebbero essere utili. Mi dicono che i Guardiani di solito sono Elfi di stirpe nobile, vedremo se ai loro parenti importa qualcosa di loro. Continua, Uglùn. E l’altro?”
Di nuovo i due elfi si guardarono. Lirien scosse il capo, ma Darendel lo ignorò.
“Lui è Vandil. E’ un Guardiano, ma anche il nipote di Thranduil…”
“No!” cercò di interromperlo Lirien, ma un Goblin alle sue spalle lo colpì, facendolo cadere in ginocchio.
“Bene bene,” osservò Uglùn, il primo Orco. “Quindi vale qualcosa… se lo rimetteremo in piedi. Non credo che Thranduil concederebbe alcunchè per un cadavere. Portatelo via e vedete di curarlo!”  Due orchi sollevarono l’elfo inanimato e lo portarono via.
Il  Nano sentì una mano brutale che lo rimetteva in piedi, trattenendolo mentre un coltello scendeva a recidere le corde che gli legavano le caviglie. Mosse impacciato i piedi, tentando di trovare un equilibrio e di evitare di cadere a faccia in giù davanti ai suoi catturatori. Maledizione, stai in piedi!  Si ordinò. Fai vedere chi sei.
“Cosa abbiamo qui? Chi siete voi due?” era ancora Uglùn.
Nessuna risposta. Naghak diede una spinta brutale nella schiena del Nano, che cadde in ginocchio per un momento, ma subito si alzò di nuovo.
“Ebbene?”
Un piccolo Goblin corse ad inginocchiarsi davanti ad  Ogerak, squittendo:
“Signore, signore! E’ uno di loro! Uno di quelli che hanno ucciso il Grande Goblin!”
Un silenzio di tomba cadde sul gruppo e sugli spettatori.
Oh. Maledizione. Adesso sono davvero nei guai.
Ogerak balzò in piedi.
“Uno di loro! Lo uccido!” così dicendo si avventò verso il Nano con la lancia alzata.
“Un attimo.” La voce imperiosa di Thorbad  lo fermò. L’Orco si voltò verso il piccolo goblin.
“Ne sei sicuro? Come hai fatto  a vederlo così bene ed a ricordartelo?” il goblin vacillò davanti allo sguardo gelido del grande Orco di Gundabad. All’improvviso non sembrò più così sicuro.
“S-sì signore… credo… mi sembra…”
“Lo è o no? O ti sembra…”
“Come… come faccio ad essere sicuro, signore? Sono tutti  uguali!”
Certo. Come no, pensò il Nano.
“Cosa ti ricordi di loro?” continuò Thorbad.
“Erano tantissimi! Decine! No, centinaia! Delle furie scatenate! E uno era bruttissimo, pensa, senza barba! Un mostro!”
“Beh, questo la barba ce l’ha… come tutti i Nani. Ma il testimone non mi sembra attendibile: i Compagni di Thorin Scudodiquercia non sono mai stati più di quindici…” meditò l’Orco.
“Guarda, signore!” lo interruppe Naghak. “Ha sussultato quando hai nominato il Grande Nemico! E’ uno dei suoi!”
“Certo che è uno dei suoi, maledetto idiota!” sbottò Uglùn. “Erano tutti ai suoi ordini, tutti maledetti Durin! Certo che lo conosce!” poi si rivolse al Nano. “Allora, feccia nanica! Preferisci finire subito arrosto o vuoi dirci chi sei tu, e chi è  il tuo compagno?”
“Chi sia lui, non ne ho idea. So solo che è il fratello di qualcuno. Non l’avevo mai visto prima.”
“Allora la voce ce l’hai!” intervenne Ogerak. “Dicci qualcosa di interessante, topo, o ti farò squittire!”
Naghak si sporse per colpire di nuovo il Nano, ma questa volta il prigioniero era pronto. Fece un passo di lato e ruotò il busto, sferrando una violenta gomitata che colse il goblin allo stomaco.  Con un grugnito, Naghak si piegò su se stesso; il Nano alzò i pugni legati e li abbattè sulla nuca del goblin, che finì a terra privo di sensi.
I Goblin presenti si avventarono sul Nano, che si trovò a terra circondato da una selva di lame. In tutto questo tempo, dalle sue labbra non era uscito un suono.
“Fermi!” ancora una volta la voce gelida di Thorbad bloccò tutti. “Indietro.”
“Hai visto! E’ pericoloso!” gracchiò il secondo capo dei Goblin.
“Ha detto indietro, feccia!” sbraitò Uglùn. “Obbedite!”
I Goblin si allontanarono di malavoglia, tenendo sempre le lame puntate contro il Nano che  si stava rialzando.  Thorbag lo guardava con uno sguardo calcolatore.
“Bene, bene… un bravo rissaiolo, vedo. Se davvero fosse uno dei Compagni di Thorin Scudodiquercia, potrebbe essere utile. Portate qui le sue cose, vedremo se ci diranno più di quanto intende dire lui.”
Un Orco si fece largo, portando una bracciata di armi e pezzi di armature che gettò a terra ai piedi di Thorbag. Fu Uglùn, però, ad alzarsi  e ad andare a rovistare nel mucchio.
Una cotta di mithril. Protezioni per i gomiti e le spalle,  spade e pugnali, un elmo, cinture, tutti oggetti di fattura nanica, meravigliosamente forgiati, del migliore acciaio con decorazioni degne di un principe o di un comandante.
“Uhm… non è l’equipaggiamento di un normale soldato, questo; devono essere entrambi personaggi importanti.” Poi, rivolto al Nano: “Beh, non vuoi dirci chi sei?”
Ancora nessuna risposta. Uglùk scambiò uno sguardo di intesa con Thorbag; poi, improvvisamente, raccolse una spada e la lanciò al Nano. D’istinto, questi sollevò le mani ancora legate ed afferrò la spada dalla parte dell’elsa, con la mano sinistra, e si mise in guardia.  Thorbag fece un sorriso gelido, mostrando le zanne, ed il Nano capì di aver commesso un errore irreparabile.
“Bene,” grugnì l’Orco. “Un guerriero addestrato.  Troppo giovane per essere un veterano che ha imparato in mille battaglie; sei  un Nano di nobile stirpe che ha avuto maestri d’armi fin da bambino. E mancino. Ci hai detto un sacco di cose su di te, bastardo, anche senza parlare. Non sarà difficile scoprire chi sei. Portateli via, e curate quell’altro! Ah, dategli qualcosa per coprirsi, se vogliamo che vivano.”
“Un momento.” L’ultimo Goblin parlò per la prima volta.
“Che hai, Sobek?” grugnì Ogerak. “Non abbiamo già perso abbastanza tempo con queste sciocchezze?”
“Perdonami, Ogerak,” disse Sobek a mezza voce. Il Nano sentì un brivido correre lungo la spina dorsale. Per qualche motivo quest’ultimo Orco lo spaventava più di tutti gli altri, anche più di Thorbag; doveva essere quella voce sibilante, sommessa… perversa. C’era qualcosa in lui che faceva vacillare la ragione del Nano, e gli ispirava un terrore cieco. Pazzia
Il Goblin si alzò ed andò a piazzarsi davanti al prigioniero.
“Hmmm… penso che Kretak potrebbe aver ragione, potrebbe essere uno dei Compagni di Scudodiquercia…” girò attorno al prigioniero, che fece appello a tutto il suo autocontrollo per rimanere impassibile.
“Che dici?” proseguì la voce sibilante. “Sei tu che hai fatto cadere il nostro Grande Re?” si chinò vicino all’orecchio del Nano. “Sai, potrei perfino ringraziarti per aver tolto di mezzo quel pazzo…”
Nessuna risposta.
L’Orcò alzò una zampa e con un dito munito di artiglio sollevò il mento del Nano che fu costretto ad assecondarlo per non rimanere sgozzato. Anche così, l’artiglio penetrò nella pelle delicata della gola: un sottile rivolo di sangue macchiò la corta barba del prigioniero.
“Hmmm… in ogni caso sei un bell’esemplare… certo, potremo sempre usarti come ostaggio… ma non è necessario che tu sia integro… cosa ne dici…?”
A questo punto il Nano non era solo  spaventato: era terrorizzato. E’ più che semplicemente pazzo; è uno psicopatico totale.  Intravedeva un abisso di orrore e di perversione che lo spaventava ben più di una semplice morte in battaglia.  Si sentiva come l’uccellino incantato dal gatto in caccia che gira lentamente attorno a lui, così terrorizzato da non riuscire a muovere un muscolo.
“Basta così, Sobek.” La voce di Thorbag pose fine all’incantesimo perverso in cui il Goblin pazzo aveva avvolto il prigioniero, al quale sembrò di liberarsi da un incubo. “Basta con i giochetti. E in quanto a te, Nano, parleremo ancora domani. E finalmente mi dirai il tuo nome.”
Il Nano si lasciò condurre via senza emettere un suono. Sempre in silenzio afferrò un mantello di cuoio che Naghak gli aveva lanciato, mettendoselo con difficoltà sulle spalle a causa dei polsi ancora legati. Puzzava da morire, ma almeno riparava dal vento della notte.
Non che potesse far qualcosa per scaldare il gelo che il Nano aveva nell’anima. Sedette a terra; guardò l’otre con l’acqua ed il tozzo di pane che gli avevano messo davanti, senza raccoglierli, anche se la sete lo tormentava.
Non avrebbe potuto ingoiare nulla, talmente era tormentato dalla nausea.
Appena i suoi carcerieri voltarono le spalle, si accasciò appoggiando la fronte  sui polsi legati, le spalle scosse da un tremito violento.
Perché quando gli avevano chiesto il suo nome, non aveva taciuto per orgoglio.
Aveva taciuto perché non aveva la più pallida idea di quale fosse.
Non so chi sono. Non so da dove vengo, niente.
Niente.




Colpo di scena!
E adesso vado a studiarmi gli aspetti medici dell’amnesia. Non voglio dire bestialità. 

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Capitolo 9
*** Ricordi perduti ***


9 Ricordi perduti
9.  Ricordi perduti
 
Il Nano si strinse nel mantello lurido e puzzolente  e si rannicchiò in posizione fetale. Stava tremando violentemente.
Lo choc era stato talmente forte da fargli dimenticare anche l’atroce mal di testa che gli offuscava la vista. Cercava freneticamente  di richiamare qualcosa, un ricordo, un viso, un nome… di far emergere qualche particolare, invano.
Niente.  Come se fosse nato in quel momento. Altro che chiedermi cosa ci faccio qui! Non so nemmeno dove sia, qui… ma anche se lo sapessi, e potessi fuggire, dove andrei? Si sentiva soffocare, così cominciò a respirare affannosamente. Mille pensieri gli turbinavano in testa, sempre più forte, ombre e scintille gli danzavano davanti agli occhi,  il cuore batteva all’impazzata, e si rese conto che stava per svenire di nuovo.
Sto respirando troppo in fretta. Fermo.
Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi, ma era difficile, così… cominciò a contare.
Uno, due, tre…  il ritmo divenne ipnotico.  Quindici, sedici, diciassette… in qualche modo la prevedibilità dei numeri gli diede conforto. C’era ancora qualcosa di ordinato nella sua mente. Ventuno, ventidue… cominciò a respirare seguendo il ritmo del conteggio, e a poco a poco il battito cardiaco rallentò.
Trentacinque, trentasei…  una parte della sua mente cominciò ad esaminare la situazione. Il problema dei suoi ricordi perduti era come un’enorme montagna davanti a lui; era spaventosa a guardarsi, quindi cercò di evitarla. Esaminò quello che vi era attorno, bisogni e concetti e idee, e prese a rigirarli nella mente.
Quando arrivò a  cento, si rese conto di avere una sete terribile. E fame.
Così prese l’otre e iniziò a bere, a sorsi piccolissimi – qualcosa gli suggerì che era il modo giusto – sempre contando tra sé.  Si fermò, perché gli venne in mente che non sapeva quando avrebbe avuto altra acqua.
Il braccio gli faceva male, così come la testa; ma non vi era nulla che potesse fare, così cercò di ignorare entrambi.
Chiuse gli occhi un istante e trasse qualche respiro profondo. D’accordo, cerca di pensare.
Mentre sbocconcellava il pane, ripercorse con la mente gli ultimi avvenimenti.
Cosa aveva detto Thorbag? Un giovane Nano di stirpe nobile. Un guerriero addestrato.
Il suo corpo aveva reagito istintivamente. Il Nano sapeva di conoscere le posizioni successive; sapeva come si reagiva ad un attacco. Sapeva esattamente cosa avrebbe fatto. Sapeva di essere un combattente, ed anche pericoloso. Bene, è già qualcosa.
Le armi che aveva visto non gli suggerivano niente: erano solo belle armi.
Gli stivali! Controllò  rapidamente, ma fu deluso. Niente coltelli. Non ci sono mai stati, o me li hanno tolti.
Però c'erano delle fibbie interessanti...
Un rumore alle sue spalle lo mise in allarme: si stava avvicinando qualcuno. Un orco si accoccolò davanti a lui con un coltello in mano, ed il Nano si ritrasse istintivamente; ma l’altro gli afferrò i polsi e tagliò le corde. Senza dire nulla, gli tolse il mantello dalle spalle e gli afferrò il braccio sinistro, tirandolo verso di sé, prima che il Nano sbalordito potesse reagire in qualche modo.
“Fermo!” grugnì l’orco. “Vedere ferita.” Così dicendo rigirò tra le zampe il braccio del Nano, che finalmente potè vedere bene il danno: un lungo squarcio  trasversale sul bicipite, dalla spalla al gomito. Decisamente brutto a vedersi.
L’orco si tolse dalla spalla un grosso otre; lo stappò e lo porse al Nano, facendogli cenno di bere; quest’ultimo, diffidente, diede un’annusatina al contenuto e si ritrasse di colpo: i vapori che si levavano gli fecero lacrimare gli occhi. Scosse il capo e tentò di restituire l’otre, ma l’orco davanti a lui si fece insistente:
“Bevi! Bevi! Buono!” grugnì incalzandolo.
Il Nano tentò di indietreggiare, ma si fermò subito : una lama gli punzecchiava le spalle. Niente da fare, da questa parte.
“Bevi! Medicina!”
Il Nano tornò a guardare l’otre, poi si strinse nelle spalle.  Di qualcosa si deve pure morire, no?  Pensò, e si portò il recipiente alla bocca, chiudendo gli occhi e traendo un respiro profondo.
“Svelto! Meglio!” disse  l’orco, e sollevò di colpo l’otre facendo scivolare nella gola del Nano un grosso sorso di liquido. Questi inghiottì ed istantaneamente iniziò a tossire violentemente: gli sembrava di avere ingoiato fuoco liquido. Un bruciore indescrivibile gli aveva avvolto la gola e l’esofago, fino allo stomaco.
E subito dopo una vampata di calore gli percorse tutte le membra. Scosso, cercò di asciugarsi le lacrime, ma non era finita.
L’orco gli afferrò il braccio sinistro e versò una dose abbondante di liquido sulla ferita. Lo choc fece spalancare gli occhi al Nano e gli mozzò il respiro, strozzando in gola l’urlo che vi si stava formando. Fuori brucia più che dentro, maledizione!
L’orco davanti a lui si esibì in una smorfia a tutte zanne che forse voleva essere un sorriso. Quindi gli diede una pacca di incoraggiamento sulla spalla, quella sana, per fortuna, gli legò di nuovo i polsi e se ne andò.
Medicina orchesca.

L’esperienza ebbe il vantaggio di riscaldarlo, e poco dopo  il dolore al braccio diminuì.  Anche la mente diventava più lucida: stava cominciando ad accettare l’idea della sua situazione, e quindi prese la decisione di affrontare un problema per volta.
Devo trovare il modo di andarmene.  Questo  gli era assolutamente chiaro. Se gli orchi avessero scoperto che non era utile come ostaggio, sarebbe finito in pentola, quindi bisognava defilarsi prima che accadesse.
Ma prima di tutto devo sapere dove sono e cosa è successo.
Proprio in quel momento un gruppo di goblin spinse a terra, accanto a lui, i due elfi.
Ecco le mie fonti.
Darendel si gettò sulla schiena, con uno sbuffo esasperato; Lirien invece si rannicchiò con la testa sulle ginocchia. Era evidentemente infuriato. Appena i  carcerieri si furono allontanati, si girò verso l’amico e sibilò:
“Cosa ti è saltato in testa di dire quella fandonia! Non era meglio tacere del tutto?”
“A che pro? Se pensano che siamo preziosi ci terranno in vita, ma in caso contrario…”
“E quando scopriranno che Vandil non è il nipote di nessuno? Lo uccideranno!”
“E come faranno a scorprirlo, dimmelo! Il nipote di Thranduil è effettivamente  scomparso dal campo di battaglia, no? E sono sicuro che Vandil sarebbe stato d’accordo… anche perché così avranno cura di lui.”
Lirien si girò brontolando.
“Sarebbe stato meglio fare come il nostro Nano, qui… che ha tenuto la bocca chiusa.”
L’interpellato si strinse nelle spalle.
“Non so a cosa sia servito, prima o poi scopriranno tutto di me. Gli ho già dato abbastanza indizi.” Rispose. “Beh, chi vivrà, vedrà, quindi ho deciso di far di tutto per rimanere vivo.”
Lirien ridacchiò.
“Mi sembra una buona idea.”
Il Nano si sentì incoraggiato dall’atteggiamento amichevole del giovane elfo.
“Allora, tanto per cominciare, potresti dirmi cosa mi sono perso mentre me ne stavo nel mondo dei sogni? Dove siamo, tanto per cominciare?”

Poco più in là, l’orco guaritore si stava occupando dei due ostaggi privi di sensi. Erano stati distesi l’uno accanto all’altro su un carro coperto, perché lo stregone aveva predetto molta pioggia, fino alle Montagne. Erano malconci entrambi, ma il Nano era maledettamente rumoroso: continuava a  farfugliare e a biascicare in quella sua orribile ed incomprensibile lingua.
L’orco maledì l’abitudine dei suoi compagni di stordire la gente a mazzate sulla testa. Se lo vuoi vivo, spezzagli una gamba, che non scappi… o legalo! Con le botte in testa va a finire che si rimbambiscono e non servono più a niente!
Sempre brontolando e grugnendo, finì il suo lavoro. Lanciò un’ultima occhiata ai due pazienti inanimati, finalmente silenziosi entrambi, e scese dal carro scrollando le spalle.
Non vide un che un occhio azzurro e sorprendentemente lucido si era aperto.

Lo stregone di Gundabad doveva essere un ottimo metereologo. Piovve a dirotto il giorno dopo, quello dopo ancora e quello successivo, per tutta la settimana.
La colonna degli orchi si trascinava stancamente verso le Montagne Nebbiose, sempre costeggiando le propaggini settentrionali di Bosco Atro. Nessuno li inseguiva. Gli esploratori non riferivano alcun avvistamento, né a est né a ovest, né a sud né a nord. I nemici erano troppo malconci, anche loro, per pensare ad un inseguimento.
Thorbag si concesse un sospiro di sollievo. Per il momento tutto filava liscio; ma quando fossero stati in vista delle Montagne prevedeva guai con i goblin riguardo ai prigioneri.
Quanto a lui, aveva già scelto i suoi. Appena possibile, avrebbe di nuovo messo alla prova quel Nano.

Ignaro dei progetti di Thorbag, il Nano in questione camminava con gli altri prigionieri dietro al carro con i due feriti. L’elfo si era ripreso, ma con una gamba fratturata era confinato comunque sul carro; il Nano continuava a farneticare in khuzdul ed a non dare segno di aver ritrovato la lucidità, sebbene le ferite stessero guarendo. L’orco guaritore cominciava a pensare che il suo cervello fosse stato irrimediabilmente danneggiato.
I tre  prigionieri in grado di camminare erano legati per i polsi ad una sola corda, e la marcia non era certo agevole; stanchi, affamati, sporchi e fradici di pioggia, arrancavano procedendo malinconicamente verso est.

Quando si fermavano, i prigionieri ricevevano un tozzo di pane e un po’ d’acqua; di nuovo legati, strisciavano nel fango sotto il carro alla ricerca di un po’ di riparo, ed avvolti nelle cerate puzzolenti fornite dagli orchi, cercavano di riposare i corpi esausti per poter sopportare la marcia dell’indomani.
In quei momenti di calma, il Nano esaminava la sua mente, cercando di far emergere un nome o un volto, ma invano. Solo nei sogni, a volte, scorgeva un paesaggio che sapeva noto, delle colline boscose, e alcuni visi: sapeva di conoscere quelle persone, quasi tutti guerrieri nani, ma per il resto indistinti; solo un viso ricorreva frequentemente, un giovane nano, che nella sua  mente identificava come un caro amico.  Ma nulla di più, nulla che lo portasse più vicino a scoprire qualcosa di sé.

I tre prigionieri, nel loro riposo agitato, non videro mai la forma che talvolta, brevemente, si affacciava dal carro, o addirittura scivolava a terra, nelle poche occasioni in cui la pioggia battente costringeva gli orchi ad allentare la sorveglianza sui prigioneri.
Giorno dopo giorno, il viaggio continuava, mentre le Montagne Nebbiose davanti a loro si facevano sempre più vicine.


Non ho il coraggio di chiedere scusa per il vergognoso ritardo.
Comunque, mi sono informata. Il Nano soffre di amnesia post-traumatica retrograda (cioè ha dimenticato i fatti prima del trauma ma ricorda quelli successivi), che mi dicono comunque sia piuttosto rara…
Rileggendo questo capitolo, non mi piace granchè; ma avevo bisogno di seminare qualche altro particolare. Abbiate fede: la prossima volta succederà qualcosa..

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Capitolo 10
*** I Sogni ***


10 I Sogni
10. I Sogni

Oh Mahal, non ne posso più.. fa tanto male…
Ogni respiro è una tale fatica…
Voglio riposare un po’ … se smetto di lottare forse il dolore svanirà…
Guarda! Se non respiro è tutto più facile… mi sento già più leggero…
Mahal che freddo fa…
Se mi lascio andare, passerà tutto… basta dolore, basta fatica…
Niente… solo riposo…
Ecco… così…

Cosa? Chi…
“Ti prego, amore, torna da me.”
Ma sono così stanco…
“Amore mio, vita mia, ho bisogno di te…”
E all’improvviso, il freddo svanì. Un’ondata di calore l’avvolse, come una coperta, come due braccia amorevoli che lo cullassero.  Profumo di fiori, sapore di miele…
Lia.
Con un sospiro, tornò indietro.

Come la prima volta, la prima sensazione fu il dolore. Non lancinante, accecante, come allora, no; sordo e diffuso, come una belva in agguato, pronta a scattare e a devastarlo al minimo movimento.
Kili rimase immobile, ad occhi chiusi. Sapeva che anche un respiro troppo profondo avrebbe scatenato una sofferenza bruciante, così si sforzò di rimanere tranquillo. Lasciò che la consapevolezza tornasse lentamente, e cercò di fare ordine nella sua mente.
Ricordò la battaglia, e il risveglio nella tenda elfica. Thorin. E’ vivo. E Fili. L’angoscia gli strinse il cuore. Fili, il suo fratellone,  sempre pronto a toglierlo dai guai; Fili, bello, bravo, perfetto, l’idolo del fratello minore… Fili che si era slanciato verso di lui quando lo  aveva visto cadere… Fili che era perduto.
Perduto, non morto. Oh, no. Lo so che non è  morto.
Dovrò vedere il suo corpo per credere che non tornerà più.
Si sentiva inquieto, tormentato… Fili era nei guai. Ma era vivo. E sarebbe tornato, qualunque cosa dicessero tutti quanti.
Lia. Bilbo la troverà. La rivedrò presto.  L’amore gli colmò l’anima. Sarebbe andato tutto bene…
Sospirò ed aprì lentamente gli occhi.

Il suo cuore perse un battito.
Un’onda d’oro e d’argento si allargava sul suo letto ed il viso perfetto della sua amata era a pochi centimetri dalla sua mano. Liatris  dormiva con il capo appoggiato contro il suo fianco; con un braccio gli cingeva il torace, mentre l’altro era ripiegato sulla coperta, le dita sottili  intrecciate a quelle di lui.
Kili la contemplò, e con una stretta al cuore ricordò quando l’aveva vista dormire, nella sua stanza di Laketown. Giacevano esausti  e sazi d’amore, e lei teneva la testa bionda sul suo petto; gli sembrava di sentire ancora la carezza dei capelli di seta sulla pelle nuda. Così bella… così mia.
A poco a poco lei era scivolata in un sonno leggero, e lui era rimasto a guardarla, ancora incredulo, ebbro di gioia. Eccola, sì, proprio come adesso: la curva delicata della guancia, le lunghe ciglia ricurve di un incredibile color bronzo, mentre le punte apparivano dorate alla luce calda delle candele;  la bocca socchiusa, che invitava ai baci. E poi il corpo morbido e liscio sotto le sue dita, la pelle vellutata contro la sua…
Un piccolo movimento con conseguente fitta di dolore lo riportarono immediatamente alla realtà. Kili, sei un idiota. In questo momento attività di quel genere sono lontane come la luna! Non riesco nemmeno a muovere un braccio  senza soffrire le pene d’inferno…
Un braccio no, ma forse una mano… lentamente – non avrebbe potuto fare di più – sfilò la mano dalla stretta di Liatris e  ed allungò le dita fino a sfiorarle il viso. Aveva pianto… Kili ebbe un fremito comprendendo che aveva pianto per lui.
Sotto quella delicata carezza,  gli occhi di Liatris si aprirono lentamente, disorientati per un attimo, per illuminarsi di gioia subito dopo.
“Kili… Kili!”
“Ti ho svegliata… mi dispiace,” sussurrò lui. Un pallido sorriso gli salì alle labbra, l’ombra di quel sorriso travolgente che aveva incantato Liatris, ma bastò a riempirle gli occhi di lacrime.
“Kili… ho tanto desiderato di vederti sorridere!” si appoggiò la mano di lui sulla guancia e gli baciò le dita; ma il giovane Nano allungò l’indice ed asciugò una lacrima.
“Basta piangere, amore mio… siamo insieme, andrà tutto bene.” Trattenne il respiro, mentre una fitta di dolore lo costringeva a chiudere gli occhi.
“Kili!” subito allarmata, Liatris sentì che le dita di lui si aggrappavano alle sue. Si  raddrizzò, guardandosi attorno. “Chiamo Inglor!”
“No!” un rantolo soffocato sfuggì dalle labbra contratte del ferito. “No… resta con me. Sta già passando…” ansimò.
Così Liatris gli tenne la mano, sussurrandogli parole incoraggianti sebbene avesse  il cuore a pezzi, finchè, qualche momento più tardi, sentì che il respiro si  faceva più regolare, e la stretta si allentava. Alla fine, lui aprì gli occhi  e trasse un tremulo sospiro.
“Oh, Kili… non parlare, non stancarti. E’ già un miracolo che tu possa guardarmi e sentirmi…”  con la mano libera, scostò delicatamente dalla fronte di Kili le ciocche scure e ribelli che vi erano ricadute, ed accarezzò la guancia.
“Lia…”
Lei capì la richiesta inespressa di quegli occhi castani, sempre bellissimi nonostante i profondi cerchi scuri che segnavano il volto pallido; si chinò e lo baciò sulle labbra. Doveva essere un bacio leggero, ma la bocca di lui rispose, e divenne un bacio vero, pieno di una infinita tenerezza, poi un altro… Liatris sentì la dita di Kili tra i capelli, una carezza che si esprimeva meglio di mille parole; ma subito il giovane nano si abbandonò sui cuscini dietro le sue spalle, chiudendo gli occhi. Anche se piccolo, il movimento lo aveva lasciato esausto  ed aveva risvegliato il dolore.
Liatris si sentì stringere il cuore. Lo baciò delicatamente sulla fronte, lo coprì, e riprese il suo posto accanto al letto, tenendo sempre la mano di Kili tra le sue. Non poteva fare a meno di toccarlo.

Il risveglio di Kili non era sfuggito all’assistente di Inglor,  che sempre sorvegliava con discrezione il suo regale paziente; solo pochi  minuti dopo Bilbo fece irruzione nella tenda, seguito con più calma dall’ Elfo.
L’hobbit  sedette ai piedi del letto; un enorme sorriso campeggiava sul viso espressivo.
“Sapevo che si sarebbe ripreso, lo sapevo! Te l’ho portata apposta, sai, Kili? Sapevo che avrebbe funzionato! Non potevi continuare a dormire con lei vicina!”
“Avevi ragione, amico…” disse il principe con un filo di voce, “non mi stancherò mai di guardarla.”
“Non mi stancherò mai di stare vicino a te,” rispose Liatris.
Nel frattempo  Inglor  aveva rapidamente controllato le condizioni del suo paziente.
“Sì… come ti senti?”
“Stanco,” sussurrò Kili, “… e debole.”
“Hai camminato sull’orlo della morte per molto tempo, e ci vorrà molto tempo per guarire…. Almeno ora potremo aiutarti di più.”
“Grazie… per tutto.”
Gli occhi di Liatris si alzarono sul guaritore elfico.
“Inglor… soffre così tanto. Non puoi…”
Inglor annuì.
“Adesso che è un poco più forte, può sopportare qualche sedativo. Ci penserò io.”

Quando  seppe che Kili si era ripreso, Thorin pianse.
Mahal, se mi stai dando una seconda occasione, saprò coglierla.

Per tutta la giornata Kili ondeggiò tra la veglia ed un sonno inquieto. La consapevolezza della presenza di Liatris lo confortava e lo tranquillizzava.
Poi, all’imbrunire, venne la febbre. E con la febbre i Sogni.

Kili bruciava per la febbre, e, in preda al delirio, agitava la testa bruna sul cuscino, sussurrando frasi sconnesse. Un respiro corto ed affannoso sollevava il petto fasciato.
Sul volto contratto, dalle labbra riarse, si alternavano espressioni di ansia, paura, rabbia… sembrava stesse assistendo ad  un’aspra battaglia, o  combattendo lui stesso, a fianco delle persone a lui care; tra parole prive di senso ricorrevano spesso i nomi di  Thorin,  dei suoi altri  Compagni, ma soprattutto quello di Fili.
“Fili… non farlo! Attento! Dietro a te… Fili!”
Solo a tratti si calmava un poco, e Liatris lo sentiva sussurrare il suo nome con immensa tenerezza.
“Sono qui, Kili, ascoltami…amore mio, va tutto bene, non ti lascio…”
La giovane Nana accarezzava i capelli scuri intrisi di sudore, e rinfrescava la fronte rovente con panni intrisi di acqua fresca.
Inglor ed il suo assistente tentarono tutti i rimedi possibili per far scendere la febbre, ma la loro battaglia sembrava vana. Kili continuava ad agitarsi, tormentato da allucinazioni e visioni, lottando contro un nemico che lui solo poteva vedere.
Quando la sera divenne notte, il giovane Nano smise di agitarsi, come se la battaglia combattuta fino a poco prima fosse finita: gli occhi vitrei e lucidi di febbre lanciavano sguardi ciechi, cercando qualcuno che non vedeva.
“Lia, Lia… non ti trovo… dove sei…”
Liatris gli stringeva la mano, chiamandolo dolcemente, con gli occhi pieni di lacrime; poi si voltò verso Inglor.
“Perché non mi vede? Cosa gli  sta succedendo?”
L’Elfo si strinse nelle spalle.
“A me sembra che abbia delle Visioni… a volte la febbre amplifica la sensibilità, ma solo lui potrà dirti cosa abbia visto. Penso che sarà già successo, no..?” ma si interruppe, davanti allo sguardo perplesso della Nana.
“Ma di cosa parli?”
L’Elfo la guardò, a sua  volta disorientato.
“Pensavo che sapeste…” poi tacque, indeciso; e concluse, prudentemente:
“A mio parere, non possiamo fare nulla se non aspettare.”
Ma Liatris non era disposta ad aspettare. Con espressione decisa, dichiarò:
“Ah, si? Beh, se non mi vede, farò in modo che mi senta. Deve sapere che sono qui, che non lo lascio, e forse…” così dicendo si mordicchiò un labbro e lanciò un’occhiata obliqua ad Inglor, sfidandolo tacitamente a fermarla.
Passò un braccio dietro alle spalle di Kili e lo sollevò un poco; quindi scivolò dietro di lui e lo strinse con entrambe le braccia, appoggiandosi la testa bruna sulla spalla. Aggrottò le sopracciglia, e, cogliendo il messaggio, Inglor prese una coperta e la avvicinò alle sue mani.
Liatris avvolse il corpo febbricitante del suo amato nella coperta; poi gli baciò la fronte e vi appoggiò la guancia.
“Mi senti, amore?” sussurrò. “Non ho intenzione di lasciarti andare, e non permetterò che tu smetta di combattere. Ho bisogno di te! Abbiamo bisogno di te…”
Ai piedi del letto, l’assistente di Inglor gli afferrò il braccio.
“Maestro! Le ferite…”
Il guaritore lo calmò.
“Beriel,” disse, “la nostra arte e la nostra scienza non arrivano a tutto; i Valar hanno scopi che noi non conosciamo, e li raggiungono attraverso sentieri che solo loro comprendono.”
“Hai Visto, qualcosa, vero, Maestro?”
“Ho dato per scontato che la famiglia del principe Kili sapesse alcune cose di lui, ma ora capisco che forse non è così. Avrei dovuto pensarci.”
Inglor era molto indeciso: avrebbe dovuto rivolgersi allo zio del ragazzo, il Capo della Casa di Durin, ma non sapeva come affrontare la questione.
“Devo parlare un attimo a Mithrandir. Tu rimani qui, e avvisami di ogni minimo cambiamento.”
Il saggio Elfo uscì dalla tenda.

Era notte fonda ormai. Il respiro di Kili, da affannoso si era fatto corto e leggero, ed il corpo caldissimo non si agitava più. Con un sospiro, si abbandonò tra le braccia di Liatris e rimase immobile.

La ragazza raggelò per un attimo, il cuore in gola. Esitante, mosse lentamente una mano per toccarlo, e si fermò, timorosa di quello che avrebbe sentito. E’ così immobile… Poi si riscosse, e gli sfiorò la fronte con le dita, per trovarla calda sì, ma non rovente; e proprio in quel momento, Kili si mosse un poco tra le sue braccia, proprio come se stesse cercando la posizione migliore, ed emise un altro sospiro, che  questa volta a Liatris sembrò inequivocabilmente… soddisfatto.
Un’ondata di sollievo indicibile pervase la giovane Nana, tanto che le venne addirittura voglia di ridere; il suo amato si era tranquillamente addormentato tra le sue braccia.  Non c’erano dubbi: non era più la tragica immobilità dei giorni passati, né il sonno inquieto e tormentato delle ore precedenti. Era un profondo sonno ristoratore.

Nel suo campo visivo entrarono le mani di Inglor, che, scostata la coperta, si mossero rapide e sicure sul corpo di Kili, allo stesso tempo tanto delicate da non turbargli  il sonno.
Liatris seguì i movimenti, ed alzò il capo, incontrando un sorriso incoraggiante.
“Sta meglio,” confermò il capo guaritore. “La febbre è scesa. Oh, tornerà; ma non sarà più così pericolosa. Il peggio è passato.”
Fu come se le levassero un peso enorme dal cuore. Guardò il viso tranquillo del giovane Nano bruno.  Grazie, grazie, Mahal. Grazie.
“Starà più comodo disteso,” sussurrò Inglor. Liatris annuì;  in due, adagiarono Kili sui cuscini, mentre la Nana scivolava via da dietro le sue spalle.  Lui continuò a respirare regolarmente, senza dare segno di aver sentito il cambiamento; ma Liatris  avvertì, per un istante, un acuto senso di perdita.
Inglor coprì il ferito, poi si raddrizzò, e, con tono che non  ammetteva repliche, si rivolse alla ragazza:
“Adesso però basta. Devi dormire, dovessi drogarti! Lui non ha bisogno di te, adesso, ma ne avrà domani. In quell’angolo c’è una brandina. Beriel rimarrà con voi tutta la notte, ed il primo che si sveglia avrà a che fare con me!”
Liatris si rese conto che, per la prima volta dopo giorni, sorrideva spensierata.



N.d.A. Allora! Confesso che ho avuto la tentazione di fermarmi  prima, rimandando al prossimo capitolo gli ultimi  due paragrafi *risatina malvagia*
Sarebbe stato troppo cattivo. Non ho avuto il fegato di farlo. 

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Capitolo 11
*** Biscotti allo zenzero ***


11. Biscotti allo zenzero
11. Biscotti allo zenzero

Mamma ha fatto i biscotti allo zenzero!
Il pensiero si fece strada tra le nebbie del sonno. Durante l’esilio Dìs aveva dovuto imparare ad arrangiarsi da sola per molte cose, prima fra tutte la cucina, e  aveva rivelato un vero talento. La vecchia Darla, che era stata la sua bambinaia a Erebor, poi quella dei suoi figli, le aveva insegnato molto, ma i biscotti allo zenzero di Dìs erano una vera poesia, ed una festa per i suoi due demonietti.
Kili fece per allungare un braccio, biascicando:
“Ehi, Fee, mamma ha…”

Il dolore alla spalla lo riportò alla realtà più in fretta di un secchio di acqua gelata; e fu seguito subito dopo dal pugno allo stomaco che provava ogni volta che pensava a Fili.
Erano passati otto giorni dalla Battaglia. Il campo era stato ripulito, i caduti onorati con una degna sepoltura. E ancora nessuna traccia del principe ereditario di Erebor. Ma Kili non aveva dubbi.
E’ vivo. Tornerà.  E questo è quanto.
Riportò con cautela il braccio nella posizione più comoda e sospirò. I rumori all’esterno della tenda gli dicevano che doveva essere mattina inoltrata. Passo la maggior parte del tempo a dormire…  
Poi spalancò gli occhi, colpito da un particolare. C’è davvero profumo di biscotti allo zenzero!
Si guardò intorno nella tenda, e la vide. Gli dava  le spalle, e stava armeggiando con qualcosa su un tavolino; i capelli biondi ondeggiavano sulla schiena, trattenuti solo da due treccine che dalle tempie si riunivano sulla nuca in un delicato fermaglio d’argento.
Come ogni volta, il giovane nano sentì il cuore accelerare i battiti. Grazie, Mahal, per averla messa sulla mia strada.
Come se avesse sentito il suo sguardo, Liatris si voltò, illuminandosi.
“Kili! Buongiorno!” in un secondo fu accanto a lui prendendogli la mano; Kili se la portò alle labbra e baciò le dita.
“Come ti senti?”
“Benissimo… se la prima cosa che vedo quando mi sveglio è una nana bella come la luna…e che mi ha portato i biscotti allo zenzero!”
Lei rise.
“Vedo che stai meglio! Sì, sono proprio biscotti allo zenzero. Vuoi anche una tazza di tè?”
“Si,” rispose lui, “ma prima voglio un bacio.”
Fu prontamente accontentato. Con le labbra contro quelle di lui, Liatris sussurrò:
“Come potrei dire di no a un nano che sviolina complimenti appena svegliato? E’ il mio fascino o sono i biscotti?”
“Tutti e due. Sono stufo di  brodini e di intrugli elfici, molto energetici e privi di sapore! Credi che potrei chiedere della birra? E una bistecca, magari…” Liatris rise di nuovo per il tono lamentoso del suo giovane amante.
“Mi sa che per un po’ devi scordarti birra e bistecche. Inglor ha già chiarito che i biscotti allo zenzero sono un’eccezione.”
Kili brontolò qualcosa di incomprensibile. Doveva sentirsi decisamente meglio.  

Liatris si inginocchiò accanto al letto; aiutò Kili a sollevarsi un poco e lo sostenne con un braccio dietro le spalle mentre gli reggeva un bicchiere con l’ “intruglio elfico” che Inglor aveva lasciato.  Dopo pochi sorsi lo sentì ansimare: era già stanco. Il giovane nano appoggiò la fronte alla spalla di Liatris e chiuse gli occhi, respirando lentamente.
Lei posò il bicchiere e lo strinse delicatamente a sé, mordendosi il labbro; vederlo così debole le spezzava il cuore, e per un attimo l’ansia le attanagliò la gola. Purchè guarisca, il mio amore…
Lo sentì alzare la testa, e si scostò un poco per guardarlo.
Un’ondata di sollievo cancellò la paura; Kili stava sorridendo, e negli occhi scuri danzava la scintilla maliziosa che la Battaglia sembrava aver cancellato..
“Beh? E i miei biscotti?”
Sarebbe andato tutto bene.

Con due grossi cuscini dietro le spalle a sostenerlo, Kili assaporava pezzetti di biscotto allo zenzero intinti nel tè; sul viso, un’espressione sognante.
“Ah, che beatitudine…  il paradiso di Mahal deve essere così. Nane bellissime che ti infilano in bocca pezzetti di delizia…” Liatris ridacchiò.
“Ti accontenti di poco,” disse, “ti fai comprare da quattro biscotti allo zenzero?”
“Beh, no,” rispose lui strizzando un occhio, “ma con queste premesse il  dopocena deve essere qualcosa di straordinario!”
“Mi sa che dovremo riparlarne tra un po’…”
Com’è bello vederlo scherzare di nuovo!  Pensò Liatris.

“Quello che non ho capito,” preseguì Kili, “è da dove vengano questi biscotti. Non puoi averli fatti sul fuoco da campo, o su questi bracieri!”
“Li ha portati mia madre. E’ venuta questa mattina, mentre dormivamo ancora.”
Kili si immobilizzò per un istante.
“Oh, dei…” mormorò, con uno sguardo allarmato, “non ci avevo mai pensato! Dovrò incontrare i tuoi genitori, parlare con loro! Chissà che razza di barbaro pensano che sia…”
Liatris fece una risatina e lo guardò intenerita.
“Niente affatto! Le circostanze non sono certo normali; credo che Bilbo abbia avuto una lunga conversazione con mamma, e non solo lui!”
“Ma avrei almeno dovuto salutarla, presentarmi…”
“Ci sarà tempo, comunque lei ti ha visto…”
“Oh, per Durin!”
“… e ha detto che sei bello come tua madre.”

Quando Liatris si svegliò, quella mattina, per prima cosa il suo sguardo corse verso Kili. Quante volte, nelle ultime tre notti, si era svegliata, in preda all’ansia, timorosa che fosse accaduto qualcosa, che lui stesse peggio, ma fortunatamente ogni volta si era riaddormentata, dopo un sorriso rassicurante o poche parole sussurrate dal guaritore elfico di turno, quasi sempre Beriel. Andava tutto bene.
Anche questa volta Kili dormiva tranquillamente; la debolezza ed i medicinali elfici contro il dolore gli consentivano di riposare, e secondo Inglor era la miglior cura.
Nella tenda che fungeva da mensa per i guaritori elfici la aspettava una sorpresa. Seduta al tavolo, mentre sorseggiava una tazza di tè insieme a Bilbo, c’era sua madre, che si alzò per abbracciarla.
“Ma quando sei arrivata?” chiese. Nevis ridacchiò.
“Ho già avuto il tempo di incontrare qualche persona, tra cui Bilbo, qui, che si è mangiato quasi tutta la mia torta di mele. Fortuna che ho tenuto da parte i biscotti allo zenzero!”
“E’ talmente deliziosa, Liatris!” squittì Bilbo. “mi sembrava di essere ritornato a Casa Baggins…”
“Bilbo mi ha anche detto che il tuo principe sta meglio.”
“Grazie a Mahal, sì. Mamma,” proseguì, incerta. Non era facile spiegare. “Vedi, io.. rimarrò con lui, almeno…” Nevis la zittì.
“E’ tutto a posto, cara. Tuo padre ed io abbiamo parlato con … chi di dovere. Sei libera di restare, o tornare a casa, esattamente secondo il tuo desiderio, e Bilbo, qui, mi terrà informata.” Liatris la guardò stupita.
“A proposito, ho visto il tuo giovanotto… è bello come sua madre.”
Se prima  si era  stupita, stavolta Liatris rimase di sasso.

“Ma… conosce mia madre? Ma com’è possibile?” Kili era talmente sorpreso che si dimenticò i biscotti.
“Ha detto che me l’avrebbe spiegato la prossima volta, era una storia lunga e non aveva tempo…” Fu interrotta dall’ingresso di Gandalf, accompagnato da Bilbo e da Inglor.
“Buongiorno, Kili,” Inglor salutò il giovane nano. “Dobbiamo dare un’occhiata alle ferite.”
Kili sospirò. Nonostante la delicatezza e le attenzioni dei guaritori elfi, non era mai un’esperienza piacevole.
“E’ proprio necessario…? Stanno bene così come sono…”  
“Vedo che stai meglio, ragazzo mio!” esordì Gandalf. “Pensi di poter fare a meno della tua compagna per un po?”
“Perché?” Kili lo guardò di traverso, sospettoso.
“Tuo zio vuole vederla.” Liatris rimase paralizzata. Oh Mahal. Cosa…
“Vecchio impiccione!” brontolò Kili a mezza bocca. “Non può pensare alla sua salute?”
Ma Gandalf lo guardò serio.
“Kili,” disse, “hai idea di quanto sia stato in pensiero per te? Siamo tutti convinti che, se tu non ce l’avessi fatta, avremmo perso anche lui.” Un’espressione dura comparve per un attimo negli occhi scuri. Kili si guardò le mani, e non disse nulla, ma il silenzio era più eloquente di molte parole. Alla fine sospirò, alzò gli occhi e Liatris vide che un sorriso danzava agli angoli della bocca espressiva.
“Sarà meglio accontentarlo, Lia. Prima o poi doveva succedere, quindi leviamoci il pensiero.”
“Oh, Kili, cosa devo fare?” Liatris era veramente imbarazzata. “Come devo comportarmi?”
Lui la attirò a sé, e le accarezzò il viso con la mano sana. Sussurrava, in modo che nessuno potesse sentirlo tranne lei.
“Amore mio, devi essere te stessa. E pensa questo: qualunque cosa succeda, lui non può  chiederci nulla. Nulla, capito? Siamo noi, e solo noi, a contare. Sempre. Io e te, ricordati. Nessun altro.”  Quindi la baciò delicatamente.
“Coraggio, amore. Vai e fagli vedere chi sei.”

Gandalf accompagnò Liatris ad una tenda poco lontano. La giovane nana era molto in ansia, nonostante le parole di Kili: Thorin era il Re sotto la Montagna, e lo zio del suo nano, e chissà cosa avrebbe potuto fare se non gli fosse piaciuta!  Magari non approvava che suo nipote – il principe Kili! – avesse a fianco una ragazza qualunque… magari le avrebbe detto di farsi da parte… a quel pensiero le sembrò che il suo cuore andasse in frantumi. Non voleva che Kili soffrisse per lei, non voleva che a causa sua si mettesse in urto con suo zio…  il mago sembrò leggerle nella mente, e le pose una mano sul braccio, fermandola prima che entrasse.
“Non aver paura,” disse, “Thorin ha avuto modo di pensare molto a tutto quello che ha fatto. Non credo che parlerà l’orgoglio dei Durin: ha altro in mente.” Lei annuì, non fidandosi della sua voce.  
La tenda di Thorin era vivamente illuminata. Il grande nano era semidisteso in una specie di poltrona, il braccio destro  fissato contro il torace da una voluminosa fasciatura; una pelliccia copriva le gambe.
Liatris fece una riverenza, ringraziando Mahal che sua  madre le avesse insegnato le buone maniere; ma Thorin la fermò.
“No, non farlo,” disse con voce sommessa, “non è il caso. Siediti qui, vicino a me.”
Liatris obbedì e sedette su un basso panchetto accanto alla poltrona. Thorin era chiaramente sofferente, ed infastidito per la limitazione dei movimenti causata dalle ferite.
Guardò attentamente la giovane nana davanti a lui. L’aveva vista a Laketown, ovviamente, quando erano stati ospiti della locanda, ma non aveva mai avuto modo di osservarla da vicino. Molto bella, certo: il ragazzo ha buon gusto. Che sguardo limpido. Una nana di carattere, che lotta per quello in cui crede…  ne avrà bisogno.
Liatris si sentiva a disagio sotto lo sguardo di quei fermi occhi azzurri, ma  si rifiutò di farsi intimidire.  Nella mente le risuonò la voce di Kili: lui non può  chiederci nulla. Nulla, capito? Siamo noi, e solo noi, a contare.
Alla fine le parve che gli occhi azzurri si addolcissero. Fu Thorin a rompere il silenzio.
“Come sta?”
“Migliora,” rispose Liatris. Il nano si schiarì la voce.
“E’ stato…” lei capì la domanda  che Thorin non riusciva a formulare.
“… terribile. Ma è vivo, e guarirà, grazie a Mahal.”
“Lo ringrazio ogni momento per questo, e per avergli mandato te. Almeno non deve affrontare tutto questo da solo.”
“Non sarà mai solo.” Liatris guardò Thorin dritto negli occhi, e lui annuì.
“Ne ero sicuro. Avrei voluto essere con lui, ma ho perso questo diritto… l’ho perso quando ho messo l’oro davanti a tutto.” Il grande nano alzò gli occhi, lo sguardo perso lontano, e Liatris seppe che non stava parlando a lei quanto a se stesso.
“Mahal impartisce durissime lezioni. Ho perso me stesso dietro ad un tesoro senza capire che quello più importante l’avevo già, che era già mio. Così mi è stato tolto. Non mi lamento, meritavo tutto questo, ma loro, Mahal…  nella tua saggezza hai trovato un modo per aiutare Kili, ma il mio Fili… oh, Fili!”
Liatris trattenne il fiato. Non le pareva  giusto essere lì, testimone di quella disperazione,  ma Thorin sembrava trarne conforto, in una specie di … espiazione.
Il nano tacque per qualche momento, lottando contro il nodo che gli serrava la gola.  Poi riprese.
“Fili… un principe fino al midollo. Era il mio specchio, la mia coscienza, risvegliava la parte migliore di me. Il mio rimpianto più terribile è quello di non averlo ascoltato. Sarebbe stato un grande Re, molto più di me. Si fidava di me, e l’ho tradito.”
Liatris era come affascinata dalla voce profonda del Re. Prima di pensare, sussurrò:
“E Kili?”
“Kili è il mio cuore. Passione, generosità, onore… ma soprattutto un insopprimibile desiderio  di libertà. Ho lasciato che avesse più spazio possibile, per non soffocare  quello spirito forte, che sapevo capace di grandezze impensabili.  E quando quello spirito ha parlato, l’ho respinto. Ho tradito anche lui, e l’ho perso, anche se in modo diverso da suo fratello. Ed entrambi hanno ricambiato il tradimento con il sacrificio, in nome dell’onore; ma non è finita, almeno per Kili. Perchè ora… “
Thorin guardò Liatris.
“Ora il suo retaggio potrebbe imporgli obblighi  che  non aveva mai previsto di doversi assumere. Sarebbe diverso se suo fratello fosse vivo, ma così…”
“Non c’è più speranza, dunque?” sussurrò Liatris. Per Kili sarà un colpo  terribile.
“Non ce n’è mai stata molta, ma dopo tutto questo tempo senza una traccia…”
“Kili è assolutamente convinto che sia vivo.”
“Lo immaginavo… e in questo momento è meglio per lui che continui a crederci, finchè non sarà forte abbastanza. Grazie a Mahal ci sarai tu vicino a lui! In ogni caso sono certo che non ha affatto considerato la sua futura posizione, e nemmeno tu, vero? Potreste dover prendere decisioni difficili.”
Liatris rimase per un attimo senza parole. Stava appena cominciando a capire le implicazioni di quanto diceva Thorin; in realtà le cose erano state sotto il suo naso, ma non le aveva mai considerate… o forse aveva avuto paura di farlo. Trasse un respiro profondo e sollevò lo sguardo, fissando gli occhi azzurri del nano avanti a lei.
“Certo che Kili non ha considerato nulla: è stato così male che niente altro era importante. Ma sono sicura che appena starà meglio saprà come affrontare la situazione… e se ci saranno decisioni da prendere, lo faremo insieme, lui ed io.” Concluse, ricordando le parole di Kili e lo sguardo duro che per un attimo aveva intravisto.
Thorin parve gradire la decisione nelle parole e negli occhi della nana.
“Adesso che ti ho visto, ne sono sicuro. Da parte mia, posso giurare che rispetterò le scelte di mio nipote, qualunque esse siano. Ho imparato la lezione, e nessuno potrà dire che Thorin figlio di Thrain sia tanto sconsiderato da commettere due volte lo stesso errore.”
Thorin si agitò, ed una smorfia di fastidio gli comparve sul viso. Il braccio gli faceva male, e Liatris capì  quale fatica dovesse essere stata per lui quel colloquio. Era stanco, ma aveva ancora qualcosa da dire.
“Tu sei la benedizione di Mahal alla stirpe di Durin… tu e tuo figlio siete il futuro di Kili, ed io sono profondamente lieto che lui possa guardare avanti con fiducia. Lo sa?”
“No,” rispose Liatris, arrossendo un poco. “Inglor ha detto di aspettare un po’, quando fosse stato meglio… ho intenzione di dirglielo oggi.”
Finalmente un piccolo sorriso comparve sul volto austero del Nano.
“Sarà un bel momento.” Poi, a voce più alta, con un tono regale che non aveva mai avuto per tutto il  tempo, disse:
“Sei la benvenuta nella mia casa e nella mia famiglia; Erebor è la tua casa, Liatris figlia di Nevis figlia di  Nevur. Ricordo bene tuo nonno.”


N.d.A. Scusate per il vergognoso ritardo! Ringrazio per tutta l’attenzione che riservate a questa mia storia! Grazie a tutte le nuove amiche,  ma un pensiero particolare alle mie fedelissime! Auguro a tutte voi un bellissimo Natale, un esplosivo Capodanno ed un anno comunque e sempre migliore di quello vecchio!

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Capitolo 12
*** Risentimenti ***


12 Risentimenti
12 Risentimenti

Kili se ne stava disteso sul basso letto elfico, alcuni cuscini dietro le spalle per farlo stare più comodo. Teneva gli occhi chiusi e lasciava vagare la mente. Nonostante la delicatezza dei guaritori, le medicazioni lo lasciavano sempre esausto e dolorante, con l’unico desiderio che smettessero di toccarlo e di … maneggiarlo come una bambola!
Invano. Per gli elfi curare un ferito significava anche una scrupolosa pulizia, massaggi per i muscoli indolenziti ed oli per  la pelle, nonché lenzuola sempre fresche. Per la verità, Kili dovreva ammettere che la sensazione di benessere che ne derivava compensava i disagi e aiutava.
La sua mente non andava mai lontano. Quando torna?
Il solo pensare a lei gli riempì l’animo di calore. Era stupito dalla forza che gli dava il  saperla al suo fianco. Potrei fare qualunque cosa per te, amore mio… ti terrò al sicuro, a qualunque costo, contro tutto e contro tutti. Anche Thorin.
Nonostante le parole rassicuranti che aveva rivolto a Liatris, era inquieto e non vedeva l’ora che lei tornasse.
Thorin. Cosa vuole da lei? Cosa vuole da noi?
Thorin non era più lo zio che conosceva.  I nipoti increduli lo avevano visto giorno dopo giorno soccombere all’ossessione per il tesoro, o forse per quella maledetta pietra. A poco a poco si era trasformato in qualcuno di così diverso, di così terribilmente alieno… un abisso di avidità, di orgoglio smisurato; un Nano empio, in pieno delirio di onnipotenza. Uno che il giovane principe  non poteva né rispettare né amare.

Thorin non parlava più a nessuno, se non a monosillabi. Passava tutto il suo tempo nella camera del tesoro, a cercare, diceva lui, ma in realtà Kili e Fili lo avevano visto aggirarsi nervosamente, borbottando tra sé parole incomprensibili. Sembrava un pazzo.
Balin era disperato, perché quello che aveva temuto fin dall’ingresso nella Montagna si stava avverando. Thorin sembrava sprofondare nella nebbia dell’ossessione, quasi come suo nonno: quasi. Per ora.
“Devo parlargli. Forse mi ascolterà… almeno devo provare!” il viso di Fili era contratto dall’ansia. “Non posso stare senza far nulla!”
Kili lo guardava senza sapere cosa dire. Quel  nuovo Thorin lo lasciava senza parole: al contrario di suo fratello, aveva sempre visto il volto più sereno dello zio; solo con Fili, il suo erede, il suo alter ego, a volte Thorin avava lasciato scorgere la profondità del suo tormento e della sua inquietudine. E Fili, come Thorin, aveva sempre avuto la tendenza a proteggere il fratello minore dalle realtà spiacevoli, per non togliergli quella gioia di vivere che era per loro fonte di forza.
Così, se Kili era spiazzato dalla piega presa dagli eventi, Fili si sentiva in dovere di intervenire. In che modo, non lo sapeva: ma qualcosa doveva fare. Sentì la mano del fratello sul braccio.
“Sono con te. Mi fido di te. Come sempre.” Fili alzò lo sguardo, ed incontrò un paio di occhi scuri, per una volta seri e consapevoli.  E’ facile sottovalutare Kili,  pensò. C’è in lui molto più di quanto appare, lo so bene; eppure la sua forza d’animo e la sua sensibilità riescono sempre a sorprendermi.
“Come sempre,” rispose. “Andiamo.”

Fu un colossale buco nell’acqua. Dopo le prime parole l’espressione di Thorin, già corrucciata, si era rabbuiata ancora di più.
“Non ho bisogno di lezioni! So io cosa devo fare!” lo sguardo di Thorin, allucinato ed improvvisamente ostile,  si era posato sul giovane Nano biondo.
“Non sei tu il Re sotto la Montagna! Non ancora!”
Fili lo guardò sbalordito.  Cosa sta dicendo…?  Ma il peggio doveva ancora venire.
“Tu… tu vuoi rubarmi il tesoro! Ma non riuscirai a levarmi di mezzo!”
Negli occhi del giovane erede lo sbalordimento lasciò il posto alla costernazione ed al dolore.
“Come puoi pensare che io …”
Kili, al suo fianco, lo interruppe, altrettanto allibito.
“Cosa… cosa stai dicendo? Zio!”
Thorin si rivoltò contro  il Nano bruno come un serpente a cui fosse stata calpestata la coda.
“ Anche tu! Credi che non lo sappia? Credi che non noti come mi guardate, come sussurrate? E’ stata vostra madre, vero? E’ sempre stata gelosa di me!  Vi ha mandati per spiarmi?”
“No, un momento!” lo sbalordimento nella mente di Kili lasciò il posto alla rabbia, ed il giovane Nano  fronteggiò lo zio a pugni stretti. Un mano decisa lo fermò. Fili.
“Kili!”
“Lasciami!”  Tentò di liberarsi dalla presa del  fratello, ma non ci riuscì; sebbene più basso di lui, Fili aveva una stretta d’acciaio.
“Lascia perdere, Kili. Non è in sé. Non vedi?” mormorò  il biondo a mezza voce.
Kili continuò a fissare lo zio, gli occhi neri che mandavano  lampi. La profonda ingiustizia dell’accusa lo mandava fuori dai gangheri; Thorin, da parte sua, inveiva contro di loro a voce sempre più alta.
“Traditori! Dovete ubbidire! Io sono il Re sotto la Montagna! Io! E tutto questo è mio! Mio! Mio!” a Kili mancava veramente un soffio a perdere il lume della ragione, mentre la mano libera brancolava in cerca di un’arma.
 “Kili!” la voce di Fili fece finalmente breccia attraverso la nebbia rossa che aveva offuscato la mente del fratello minore.  Lo zio… non è più lui. Sempre senza interrompere il contatto visivo, Kili rilassò i muscoli contratti.
“Farò finta di non aver sentito,” sibilò, “ per rispetto al Nano che mi ha allevato. Quanto a te, non ti conosco.” Girò sui tacchi e lasciò che Fili lo  allontanasse, ignorando le urla di Thorin, in cui la nota isterica si faceva sempre più accentuata.
Tornati nella stanza in cui gli altri si erano radunati, i due giovani nani si gettarono a terra, sbalorditi ed affranti. Non riuscivano a credere che il Nano severo, ma  nobile e giusto, che aveva fatto loro da padre si fosse trasformato in quel mostro.

Il ricordo dell’incidente lasciava Kili ancora sconvolto. E con Bilbo? Come ha potuto trattare in quel modo indegno l’hobbit che gli ha salvato la vita, lo ha tolto dai guai ed alla fine ci ha fatti entrare nella Montagna?
Quella ingratitudine nera lo lasciava senza fiato. Come aveva fatto, Thorin, a non capire che Bilbo li aveva tolti dai guai in cui lui li aveva cacciati con la sua avidità e la sua follia?
E le richieste di Bard erano giuste! Avrebbero dovuto essere esaudite prontamente, senza discussioni e soprattutto senza costrizioni!  Lo zio che conoscevo non avrebbe mai messo l’avidità sopra la giustizia.

Kili cercò di calmarsi.  La rabbia aveva da tempo lasciato il posto ad un dolore bruciante, ad una disperata nostalgia per il Nano che aveva amato, a cui doveva tanto… per il quale aveva, consapevolmente, deliberatamente, rischiato la vita.
Ora il debito è saldato. Nessuno potrà mai dire che non ho agito con onore. Il rimpianto però sarebbe rimasto,e non sarebbe sparito tanto presto; ma quello che, sopra ogni cosa, non avrebbe mai potuto perdonare a Thorin era il dolore che aveva visto negli occhi di Fili quando era stato accusato di voler tradire il suo Re.
Kili era ben consapevole che, sebbene fosse stato allevato come un discendente di Durin, conscio degli obblighi e delle responsabilità del suo rango, tutto questo non era nulla al confronto del peso che era gravato, fin dalla più giovane età, sul fratello maggiore. Fili era l’erede al Trono di Erebor, e in nessun momento gli era stato permesso di dimenticare questo fatto. La pressione sul secondo principe era stata di sicuro minore.
E Fili aveva accettato l’onere della sua posizione, ed aveva sostenuto  con enorme dignità e senso di responsabilità i suoi doveri; e questo in particolare nel suo rapporto con Thorin, ma anche con ogni Nano che avesse mai incontrato.
Per tutto questo Kili aveva sempre nutrito per suo fratello una smisurata ammirazione. Aveva spesso toccato con mano il costo, in termini di libertà, che Fili aveva dovuto pagare; sapeva bene quanto avesse sacrificato per essere all’altezza della situazione: e l’ingratitudine con cui era stato ricompensato da Thorin era un affronto che il giovane Nano bruno non riusciva proprio a tollerare.
Fili! Con tutto quello che hai fatto per lui…

Ma il pensiero di Fili liberò l’ansia devastante che Kili aveva rinchiuso in un angolo del suo cuore, per non farsi travolgere.
Fili ha bisogno di aiuto. Ed io non posso darglielo! L’impotenza lo devastava. Cercò di dare voce alla sua mente razionale.
Lo stanno cercando….  
Ma solo io posso trovarlo!  Un’immagine vivida di Fili  con la spada in pugno, che combatteva per la sua vita, gli sfolgorò nella mente; e spalancò gli occhi, improvvisamente spaventato. Si rese conto di tremare da capo a piedi.
Cosa mi sta succedendo? Il suo cuore batteva all’impazzata, e la tensione dei muscoli aveva scatenato il dolore delle ferite.
Calma. Cercò di respirare in modo regolare, concentrandosi sul proprio corpo. Rilassò i muscoli contratti ed abbassò le palpebre. Rinchiuse di nuovo tutte le sensazioni travolgenti, le paure e le inquietudini dietro la porta robusta in quell’angolo della sua anima, e trattenne solo quell’incrollabile certezza.
Fili è vivo. Tornerà a casa.
Ed in quell’istante seppe che lei era vicina.

Liatris camminava a passo spedito verso la tenda di Kili, ripensando al colloquio con Thorin. Decise quasi subito che non avrebbe detto nulla di Fili al suo amato; e ci sarebbe stato tempo più avanti anche per parlare di decisioni e responsabilità.
Entrò nella tenda e rimase a guardarlo qualche attimo. Era ancora molto pallido, con ombre scure sotto gli occhi  chiusi e profonde linee di sofferenza intorno alla bocca; era magro, e sparuto e così debole,  ma era vivo, e Liatris ringraziò, per l’ennesima volta, tutti gli dei.
Gli avevano fatto indossare una camicia azzurro cupo che metteva in risalto i capelli corvini e la pelle ambrata… ed era sempre bellissimo. E i suoi baci sono sempre teneri e innamorati…
Il pensiero dei  baci attirò l’attenzione di Liatris sulla bella bocca espressiva, e vide che gli angoli tremavano in modo appena percettibile. Sorrise a sua volta, prima che Kili parlasse.
“Ti piace lo spettacolo?”
La Nana sedette sul tappeto accanto al letto. Era tanto basso che il suo viso era all’altezza di quello di Kili, quindi fu molto comodo sporgersi per baciarlo.
“Moltissimo.” Lui la baciò a sua volta.

“Allora, cosa voleva Thorin?” senza nemmeno pensare, intrecciò le dita con quelle di lei.
“Darmi il benvenuto nella famiglia e nella vostra nuova casa.”
Le sopracciglia di Kili scattarono verso l’alto, in un’espressione incredula.
“Non mi dire! Si ricorda ancora di avere avuto una famiglia, una volta?” il commento sarcastico confermò l’impressione che Liatris aveva avuto poco prima. Così, gli accarezzò la guancia con la mano libera.
“Kili… non so cosa sia successo tra voi, ma quello che ho visto oggi è un Nano devastato dai rimorsi. Ed ha perso molto del suo orgoglio rispetto a come l’avevo visto a Laketown, credimi.”
Kili la guardò, e lei lesse negli occhi scuri rimpianti, rabbia, dolore, nostalgia…
“Non so cosa pensare,” sospirò infine. “Era così cambiato…”
“Non devi pensare nulla e fare nulla, ora, Kili.” Sussurrò Liatris, dolcemente. “Lascia passare un po’ di tempo. Quando starai meglio, si vedrà. Dice che rispetterà qualsiasi decisione tu voglia prendere.  Io ricordo solo che una volta mi dicesti che lo seguivi per amore…”
“Lo so. Ma quell’amore è stato talmente sommerso dal dolore e dal risentimento, che davvero non so cosa sia rimasto.” L’abbracciò, e trasse conforto dal suo calore e dalla sua dolcezza.
E poi Kili si rese conto che c’era ancora qualcosa.

La scostò da sé, le posò una mano sulla guancia e percorse con le dita, in una lenta carezza, il contorno delle labbra. Poi sussurrò:
 “Allora, cos’è che devi dirmi, ancora?”
Liatris alzò gli occhi ed incontrò quelli scuri e carezzevoli del giovane Nano.
“Non è una brutta notizia, lo so; altrimenti non saresti stata  così tranquilla,” proseguì. “Non si tratta di… di Fili, vero?”
Lai scosse il capo.
“No,” disse, “ma è … difficile.”
“Ehi! Io sono qui per te, ricordalo. Qualunque cosa sia, la affronteremo insieme: solo questo è importante.”
Esiste un modo delicato per dire queste cose?  Pensò Liatris.  Trasse un profondo respiro e, guardandolo  dritto in faccia, disse:
“Kili… sono incinta.”
Il giovane principe dei Nani si immobilizzò, trattenendo il respiro. Le eleganti sopracciglia arcuate scattarono verso l’alto, mentre  spalancava gli occhi ed ansimava violentemente; aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma la richiuse subito;  per un momento Liatris credette di vedere un bagliore dorato attraversare le iridi castane, ma fu solo un momento, e Kili subito abbassò gli occhi, guardando le loro mani ancora allacciate.
La Nana credette che il suo cuore si fermasse. No! Non è contento, non… cosa sta pensando? Che.. che l’ho imbrogliato, che… una ridda di pensieri gli si affastellava nella mente, mentre dentro di lei montava un’ondata di delusione e di dolore e le lacrime le bruciavano gli occhi. Per un attimo ebbe l’impulso di alzarsi ed andare via, via, in qualunque posto ma lontano da lì… e poi Kili alzò su di lei uno sguardo serio ed intenso. Le sue mani strinsero quelle di Liatris in una morsa nervosa, e lei sentì che tremavano.
“Lia… come stai?” la voce era sommessa, poco più di un sussurro. Lei lo fissò un attimo.
“Bene,” rispose. Ma lui scosse il capo.
“Questo lo vedo,” continuò. “Intendevo… cosa pensi tu di questo…” si schiarì la voce “… bimbo?”
Liatris non capiva bene il motivo delle domande, ma era facile rispondere.
“Kili… per un po’ ho pensato che… mi sarebbe rimasto solo lui. Io… io lo amo già.”
E mentre pronunciava queste parole, vide fiorire sulle labbra di Kili un sorriso che si fece sempre più largo, illuminando anche gli occhi.  
“E’… è una cosa bellissima … e sconvolgente! …oh, Mahal! Non riesco a crederci…”  con il braccio buono l’attirò a sé. “Sono sbalordito.. e ho tanta paura.. ma ti giuro che sarò all’altezza, vedrai! Farò di tutto.. vi terrò al sicuro… tutti e due! Io..  oh, Mahal…!” le parole si affollavano sulle sue labbra ed i pensieri nella sua mente.
Liatris rispose all’abbraccio, con cautela per non fargli male, mentre un immenso sollievo la pervadeva. Abbandonò la testa sulla spalla sana del suo giovane amante, godendosi le sue carezze ed i suoi baci. Sentì che tremava leggermente.
“Ne sono sicura, amore mio! Oh, Kili!” sospirò. “Ho avuto paura che tu non… non fossi contento. Avresti potuto pensare che volevo intrappolarti, che…”
“Sssh! Che sciocchezze vai dicendo?” mormorò lui con la guancia sulla chioma bionda. “E’ successo… a Laketown, vero? La notte più magica della mia vita…  talmente magica e perfetta che abbiamo perso entrambi ogni senso della realtà… avrei dovuto stare attento, lo so, ma ora… non mi dispiace di non averlo fatto!”
Era vero. Non ci sarebbe stato spazio per nessun calcolo, nessun ragionamento, niente che non fossero loro due. Ma allora…
“Perché hai esitato, Kili?” sussurrò Liatris sollevando un poco il capo ed accostando la  guancia a quella di lui. “Perché quelle domande?”
Per un attimo lui la strinse più forte. Poi la allontanò un poco, per guardarla negli occhi.
“Questo cambia un po’ le cose, no? E’ un legame forte, un impegno. Ho pensato che magari tu non… non avessi ancora… cioè,  che ti potessi sentire costretta…” Kili annaspava alla ricerca delle parole giuste per esprimere i suoi sentimenti. “Che lo vogliamo o no, il nostro bimbo è un Durin, e so cosa comporta. L’ho provato sulla mia pelle. E questo ricadrà anche su di te, anche se Mahal sa che cercherò in ogni modo di evitarlo.   Avrei capito se tu non avessi voluto accettare tutto questo… in fondo ci conosciamo da così poco tempo! Ed anche se questa notizia mi dà una gioia immensa, come avrei potuto essere felice per qualcosa di cui tu non fossi contenta?”
Gli occhi di Liatris si riempirono di lacrime, e lei alzò una mano per asciugarle. Fece una risatina.
“Mahal, non faccio che piangere, in questi giorni… anche mentre sono talmente felice che mi sembra di toccare il cielo!”  quindi lo guardò a sua volta, seria. “Amore,  ormai è tardi per i ripensamenti. E’ stato tardi dal momento in cui sei entrato dalla mia finestra per dirmi che mi amavi. Tutto il resto è venuto di conseguenza. E per il futuro… sarà quello che Mahal vorrà, giusto? L’unica  cosa che conta è che siamo insieme.”

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Capitolo 13
*** Un nemico mortale ***


13 Un nemico mortale
13. Un nemico mortale

Clang!
La scimitarra ricurva del Goblin si bloccò contro l’elsa dell’altra. Una torsione secca e rapida del polso ed il Goblin era disarmato; un veloce presa sulle caviglie ed il secondo successivo era a terra, con la spada del Nano alla gola.
Un brontolio irritato si levò dal pubblico, ma non mancò qualche sogghigno malevolo dalle fila degli Orchi di Gundabad: il Nano aveva imparato presto che i suoi nemici non erano poi così amici, tra di loro. Anzi. Erano alleati a dir poco riluttanti.
Il Nano indietreggiò, spazzandosi con un braccio i capelli sudati dalla fronte.  Era il terzo avversario, quella notte, e forse, l’esibizione era finita. Per ora. Non credeva affatto che Thorbag  avrebbe abbandonato il suo gioco. Ripensò a come era iniziata quella storia…

La mezzanotte si avvicinava, e come al solito dal cielo plumbeo cadeva una pioggerella fastidiosa. I prigioneri, avvolti nelle cerate, si raggomitolavano sotto il carro, nella vana ricerca di un punto asciutto. Il Nano era sicuro che l’acqua gli fosse arrivata alle ossa.
Si stava rivoltando per l’ennesima volta, cercando un sonno che non arrivava sebbene fosse esausto.  Non sarò mai più caldo e asciutto!
Una mano sul braccio lo fece sobbalzare. Si voltò e vide una figura incappucciata, un Orco, dalle dimensioni, che grugnì:
“Vieni con me.” il Nano si guardò intorno. L’Orco era solo. Gli Elfi dormivano.
Si strinse nelle spalle, strisciò fuori dal carro e seguì la sua  guida fino ad una tenda sorvegliata da quattro robuste guardie.
Dentro, lo aspettava Thorbag.

Seduto sulla sella del suo Warg, l’Orco guardò il prigioniero  in silenzio, con espressione imperscrutabile.  Se aspetti che sia io a parlare, aspetterai in eterno, pensò il Nano.
“Allora, chi sei?” grugnì l’Orco, con voce roca. Il Nano non rispose.
“Vedo che insisti nel  non collaborare,” continuò l’Orco. “E questo mi dà due alternative. O sei un signor nessuno, e non lo dici perché pensi che ti faremmo fuori subito – e probabilmente hai ragione – o sei troppo importante, tanto che  temi che se scoprissimo chi sei potremmo chiedere un riscatto astronomico – ed avresti ragione anche in questo caso. Quindi  a che punto siamo?”
Il Nano stava riflettendo con tutta la velocità che la sua mente gli consentiva.  Stava valutando la possibilità di dire all’Orco la verità… ma nulla traspariva dal suo volto impassibile.  Fu ancora Thorbag a continuare.
“Gli indizi  mi fanno propendere per la seconda soluzione. L’addestramento, anche l’espressione che hai in questo momento..”
Dannazione! Pensò il Nano.  Quest’orco è troppo sveglio!
“… e anche quello che hai addosso.”
Il Nano si guardò. A parte gli stivali, con fibbie elaborate, portava solo camicia e pantaloni; ma la camicia, anche se lurida, e stracciata, aveva fini ricami all’orlo ed intorno al collo.
Devo sviarlo! Devo…  la bocca del Nano si aprì prima che potesse rifletterci ancora.
“Non lo so chi sono.”
L’Orco lo fissò.
“Come hai detto?”
“Non so chi sono… non mi ricordo nulla. Né il mio nome, né da dove vengo, niente. Neanche la battaglia. Ricordo solo di essermi svegliato, ed ero vostro prigioniero.”
L’Orco ruggì.
“Se credi di prendermi in giro… “ iniziò. Poi si rivolse  all’Orco che aveva chiamato il Nano, evidentemente il suo aiutante personale, e scambiò con lui alcune frasi nella loro aspra lingua. Alla fine si voltò verso il Nano, soppesandolo con gli occhi socchiusi.
“Vedremo. Presto dovrei avere qualche risposta. Per ora… ho una proposta da farti.”
“Potrei rifiutare?”
Thorbag rise, una risata che sembrava un ruggito.
“Ovviamente no.”

Così l’aiutante di Thorbag lo accompagnò ad uno dei carri del bottino, e gli permise di scegliere una blusa imbottita, una corazza  e guanti di cuoio con i parabracci, oltre ad un mantello più grande; da un altro carro gli fece provare alcune spade, tra le quali il Nano ne aveva scelta una adatta alla sua taglia.. L’Orco se l’era ovviamente tenuta.
E la sera dopo erano cominciati i combattimenti.

Le Montagne Nebbiose, ad ovest, erano ormai vicine. Orchi e Goblin erano accampati in una radura, e per una volta non stava piovendo; il vento gelido da nord però preannunciava la neve.
La  banda era un po’ più numerosa rispetto alla partenza, poiché parecchi dispersi si erano uniti al gruppo nei giorni successivi. Al momento tutti, escluse le poche sentinelle, erano disposti in cerchio ad osservare lo spettacolo  che ormai da giorni riempiva lo loro serate; l’idea era stata di Thorbag, stufo delle risse continue; e le scommesse riempivano l'aria.
Almeno adesso litigavano per  le scommesse.
Il Nano sapeva che Thorbag non voleva solo offrire ai suoi un divertimento gratuito; se gli Elfi venivano fatti combattere una o al massimo  due volte per sera, sembrava che l’Orco non si stancasse mai di vedere lui in azione. Lui, da parte sua, pur sapendo che doveva esserci un motivo, non era ancora riuscito a scoprirlo; ma aveva raccolto la sfida. Non aveva mai perso un combattimento, sebbene i Goblin facessero la fila per confrontarsi con lui.
Naturalmente  gli incontri si fermavano al primo sangue, gli ostaggi non dovevano essere danneggiati, e uccidere un Orco o un Goblin poteva scatenare una rivolta; ma anche così era un giochetto che poteva costare parecchi lividi ed ossa rotte… ma non al Nano.

Come aveva sempre saputo, era un ottimo guerriero, dotato e ben addestrato; ma se il suo corpo e la sua mente sapevano bene come ci si muovesse in uno scontro, la memoria continuava a tradirlo. Le emicranie erano quasi sparite, grazie anche all’abominevole intruglio del guaritore orco; anche il braccio era guarito, lasciando solo una brutta cicatrice, e non lo intralciava affatto nel maneggiare la spada;  ma i suoi ricordi erano svaniti. Salvo qualche piccolo ed incomprensibile flash, di solito immagini di combattimenti, o volti a cui non riusciva ad associare alcun nome,  non ricordava  nulla.
Alzò gli occhi con la solita espressione gelida, che aveva imparato ad indossare come una maschera, con estrema naturalezza, come se gli fosse propria; ed incontrò come al solito lo sguardo impenetrabile di Thorbag, una sfida ormai usuale. Sfiorò con lo sguardo l’Orco Uglùn, Ogerak, e l’ultimo capo Goblin, che aveva scoperto chiamarsi Butz; ma evitò accuratamente Sobek. Quel Goblin  risvegliava  in lui un terrore cieco, come un nido di tarantole mortali. A volte sentiva gli occhi di Sobek puntati su di lui, mentre marciava, o combatteva; ed ogni volta il gelo gli risaliva la spina dorsale.
Thorbag fece un cenno ai suoi, perché portassero via il prigioniero, ma una voce intervenne.
“Un momento.” Thorbag si voltò, chiaramente infastidito, verso  Sobek. Quest’ultimo continuò:
“Il nostro Nano è un combattente troppo bravo per questi miseri guerrieri. Di certo si divertirà di più con qualcuno alla sua altezza.”
“Parli di te stesso, Sobek?” grugnì Uglùn.
Sobek lo fulminò  con lo sguardo, ma la voce rimase il solito sibilo  inquietante che faceva sempre rabbrividire il Nano.
“Io combatto per uccidere, non per gioco! Parlavo del mio secondo, Guraz.”
Thorbag fissò per un attimo il Goblin.
“Ti ricordo che gli ostaggi non vanno danneggiati. Il tuo campione conosce le regole?”
“Ma certo, tutto questo è solo per divertimento.”
Ma io so qual è la tua idea di divertimento… pensò l’Orco. Il Nano notò l’esitazione di Thorbag, come se cercasse una scusa per rifiutare. Non dovette trovare niente, però, perché grugnì un assenso e riprese il suo posto.
Guraz avanzò lentamente. Era un Goblin grosso quasi quanto gli Orchi più grandi, coperto da una pesante cotta a piastre metalliche ed armato di mazza chiodata. Il Nano avvertì una stretta allo stomaco. Non dovrebbero permettergli di uccidermi, ma quel bestione può storpiarmi!   E il fatto che fosse il secondo di Sobek  faceva temere che non avesse intenzioni puramente … sportive.
Esaurita la bailamme delle scommesse, un silenzio di tomba cadde sull’accampamento, mentre i due avversari si muovevano lentamente in cerchio, studiandosi.
Poi Guraz ruggì e si lanciò all’attacco con la mazza levata.

Il combattimento durava ormai da parecchi minuti e per l’ennesima volta i due contendenti si muovevano lentamente a pochi passi di distanza l’uno dall’altro.
Fin a quel momento, il Nano si era essenzialmente difeso, schivando i colpi dell’avversario e mandandolo fuori misura. L’idea era quella di farlo stancare, ma il Nano si stava rendendo conto che  anche lui stesso perdeva forza.
Il quarto  combattimento, dopo aver marciato tutto il giorno, dopo giorni di scarso nutrimento… devo farla finita alla svelta, altrimenti mi massacrerà.
E proprio in quel momento Guraz partì in un altro attacco furioso. Il Nano lo lasciò avvicinare, poi con un’agile giravolta lo evitò, e, passando sotto la sua guardia, finì alle sue spalle e lo colpì con il piatto della spada sul collo, facendogli perdere l’equilibrio. Il Goblin cadde sulle ginocchia. Combattimento finito.
Un ululato deluso si levò dal pubblico; ed il Nano istintivamente si girò verso Sobek. Fu un errore.
Non vi era solo furia nell’espressione del Goblin: la rabbia era chiaramente mescolata ad una perversa soddisfazione, ed il Nano, raggelato, vi lesse chiaramente Adesso sei mio.

In seguito pensò che solo il puro istinto lo aveva spinto, in quel medesimo istante, a girarsi di nuovo verso Guraz; proprio quando il Goblin, in piedi alle sue spalle, gli afferrava con una mano il polso che teneva la spada, bloccandoglielo, mentre con l’altra levava la mazza preparandosi a sferrare un colpo che avrebbe staccato la testa al Nano.  Credendo l’avversario in suo potere, Guraz si attardò un istante a sogghignare; ma il Nano, fulmineo, prese con la mano destra la spada dalla sinistra bloccata e con un unico movimento la conficcò nel ventre del Goblin.
Guraz ululò, lasciando cadere la mazza, e l’assemblea esplose.  Dieci , cento Goblin furono addosso al Nano, inchiodandolo a terra.
E’ finita,  pensò,  e non so nemmeno come mi chiamo.

Un ruggito spaventoso pietrificò tutti sul posto.  Thorbag, preceduto dalla sua guardia,   si fece strada senza complimenti tra i Goblin, fino ad arrivare accanto al Nano; ma qui si trovò davanti Sobek.
“Ha ucciso il mio secondo,” sibilò il Goblin, “ha violato le regole. Deve essere punito, e mi spetta un risarcimento. E’ mio. Lo voglio!”
“E’ stato il tuo uomo a violare le regole per primo,” ringhiò Thorbag. “Lo abbiamo visto tutti. Il prigioniero appartiene ancora a tutti noi, e tu non lo avrai. Di sicuro non adesso!” poi continuò, a voce più bassa, in modo che solo i fedelissimi dei due capi, ed il Nano ancora a terra, riuscirono a sentire.
“Credi forse che non sappia dei tuoi giochetti perversi, Sobek?  I tuoi stessi seguaci hanno paura di te. Ogni tanto qualcuno di loro scompare, ma sanno che non si deve fare domande.”
Poi strinse gli occhi, e sogghignò:
“Adesso che Guraz è fuori combattimento, a chi ordinerai di far  sparire  ciò che resta dei tuoi divertimenti? Vuoi sfidarmi, Sobek? Io sono pronto, quando e dove vuoi!”
“Non puoi comandare tutti, Thorbag! Nemmeno Azog poteva!” sibilò Sobek a denti stretti.
L’Orco ghignò.
“Questo resta da vedere”, poi latrò ai suoi:
“Portate via il prigioniero!”   
Ancora incredulo, il Nano fu strattonato e rimesso bruscamente in piedi, per essere poi riportato a suo carro e legato di nuovo.

Thorbag si avviò alla sua tenda. Era ancora furioso. Prima o poi verrà la resa dei conti.
Quando entrò, scoprì che il suo aiutante lo stava aspettando.
“Allora?” brontolò, gettandosi sulle pellicce a terra.
“Mio signore, è arrivato Gorth.”
Thorbag si raddrizzò, interessato: Gorth era stato il luogotenente di Azog. “Dimmi tutto.”
“E’ malconcio, ma lucido, e si rimetterà presto. Ci segue da un po’  ma solo oggi è riuscito a raggiungerci. Ho parlato con lui, e mi ha detto cose molto interessanti prima di addormentarsi.”
“Sui prigionieri?”
“Anche. Era presente quando le spie e gli esploratori hanno fatto il loro ultimo rapporto ad Azog, prima dell’attacco, e sa chi c’era su quel campo.”
“Gli hai descritto i  prigionieri? Sa chi abbiamo in mano?”
“E’ possibile. Per quanto riguarda gli Elfi, la Guardia Personale al completo ha combattuto; ed è vero che nella Guardia ci sono due nipoti del Re. Ha anche confermato che comunque la Guardia Personale è composta solo ed esclusivamente di Alti Elfi. I Nani… visto che i nostri prigionieri sono entrambi piuttosto giovani, mi dice che ci sono alcune possibilità interessanti.  Di certo era presente l’intera Compagnia di Scudodiquercia e tra questi c’erano solo tre giovani Nani, di cui due nientemeno che i suoi nipoti. Uno è escluso: era un possibile obiettivo, essendo immediatamente riconoscibile per la mancanza di barba, e non è nessuno dei nostri due.”
“Sì, l’aveva detto il Goblin… quindi abbiamo due possibilità. Poi?”
“L’esercito dei Colli Ferrosi era composto quasi esclusivamente da veterani, quindi pochi giovani, al massimo una decina: ma due di loro erano i figli di Dàin.”
“Ovviamente non sa che fine abbiano fatto tutti questi Nani interessanti…”
“No, è fuggito appena le cose si sono messe male. Però è in grado di riconoscere quelli che stavano con Scudodiquercia, perché li ha inseguiti per molto tempo.”
Thorbag si raddrizzò, con un sibilo soddisfatto.
“Bene. Domani glieli mostreremo… anzi, no. Facciamo in modo che li veda, ma teniamoci per noi tutto questo. Nessuno deve sapere niente; ufficialmente, i nostri prigionieri sono e rimangono degli sconosciuti. Ci sarà già da litigare quando ci divideremo dai nostri amici Goblin, se dovessimo contenderci il nipote di Thorin potrebbe essere una strage… e potremmo non essere noi a cavarcela.”

L’ombra acquattata dietro al cespuglio ai margini dell’accampamento rimase immobile. Aveva avuto l’intenzione di approfittare dello spettacolo serale, ma il maledetto guaritore si era attardato finchè la sua pozione non aveva fatto effetto sull’elfo, facendolo dormire. L’unico orco coscienzioso della Terra di Mezzo dovevo incontrare!  Era stato difficilissimo reggere la finzione di incoscienza con un guaritore tanto attento, ma ci era riuscito.  
Scivolato dal carro, stava per attraversare l’aperta radura che circondava l’accampamento; le sentinelle erano poche e tenevano d’occhio chi si avvicinava, non chi si allontanava.  Aveva fatto solo alcuni passi quando aveva sentito alcune voci avvicinarsi e si era gettato nel primo riparo che aveva avvistato.
“Quei maledetti Goblin sono degli imbroglioni nati!”
“Cosa ti aspettavi da quella spazzatura, Shaghat? Ma il nostro signore non si fa mettere i piedi in testa da nessuno!”
L’ombra vide che due Orchi stavano riaccompagnavano l’altro Nano prigioniero e per un attimo si trastullò con l’idea di portarlo con sé.
Mi dispiace, amico… non so proprio come fare.
Non appena gli Orchi si sistemarono accanto al carro, dopo aver legato di nuovo il Nano, l’ombra scivolò silenziosa fuori dal cespuglio; corse veloce da un punto riparato all’altro, finchè giunse al limitare del bosco  che costeggiava la radura. Si voltò per un attimo, e un raggio della luna, uscita dalle nuvole in quel momento, si riflesse in due seri occhi azzurri.


Angolo Autrice:
Ho un sacco di ringraziamenti arretrati: le nuove amiche F a i r, KuroCyou, Halfblood_Slytherin, Xariel, Evenstar 76, innamoratahobbit  per aver lasciato un segno;  Notte Nera, Ania Black, Lena G , veru_echelon  -  per citare solo le ultime – e chi segue/ricorda/preferisce, e naturalmente anche chi legge soltanto : le visite sono tantissime! Grazie. E senza mai dimenticare , nemmeno per un momento, le mie fedelissime Lily_Ook e Yavannah. La vostra attenzione scalda il cuore.

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Capitolo 14
*** Una complessa partita ***


15 Una complessa partita
Ciao!!
In questo capitolo si giocherà una trattativa “diplomatica”. Attenzione ai sottintesi! Ho cercato di costruirla in modo più realistico possibile, e di sicuro sono andata oltre la solita descrizione degli Orchi e dei Goblin dipinti come “perfidi e stupidi”. Che ci fossero Orchi e Orchi, Orchetti e Goblin a seconda delle varie traduzioni, in ogni caso  per Tolkien non erano una razza unica ed uniforme; a parte gli Uruk-hai ( invenzione di  Peter Jackson), c’erano quanto meno gli Orchetti di Moria  e quelli di Mordor.  Partendo da questo presupposto, per me ci sono i Goblin ( quelli delle grotte delle Montagne Nebbiose, più piccoli) e gli Orchi (di Gundabad, più simili a quelli di Mordor che abbiamo visto nella Battaglia del Pelennor).

15  Una complessa partita

La neve era infine arrivata anche sulle terre alle pendici delle Montagne Nebbiose, ed imbiancava il grande campo. Orchi e Goblin rabbrividivano nei loro mantelli, accoccolati intorno ai fuochi.  Pochi privilegiati potevano ripararsi sotto qualche telo teso tra alcuni pali, o sfruttando i nudi alberelli come sostegni; meno ancora trovavano rifugio sotto o dentro i pochi carri.
Solo al centro dell’accampamento spiccavano alcune tende, circondate da guardie armate e da Mannari accucciati ma sempre vigili; e fu proprio verso la più grande di queste che i prigionieri furono scortati.
Il capo scorta sollevò la tenda che chiudeva l’ingresso, ed intimò:
“Dentro!”
Il Nano, Lirien e Darendel furono spinti rudemente in un angolo, e fatti sedere; rapidamente si trovarono con le mani e le caviglie di nuovo legate. Poco dopo anche Vandil fece in suo ingresso, sorretto dall’orco guaritore.
Al centro della tenda, i cinque capi sedevano in cerchio. Un piccolo braciere proiettava ombre sui loro musi bestiali, rendendoli ancora più mostruosi agli occhi dei prigionieri, già in apprensione per la novità. Perché ci hanno fatti venire qui? Il Nano si arrovellava intorno a questa domanda. Di certo avrebbero deciso la loro sorte: ma perché farlo in loro presenza?
Qualcuno non si fida dei suoi alleati.  Gli venne da ridere. Non si sarebbe fidato nemmeno lui… di nessuno.
Thorbag e Uglùn, come al solito, si trovavano sulla sella del loro Warg; i Goblin su sedili di legno. La discussione doveva essere iniziata già da un po’, e gli animi si stavano chiaramente surriscaldando. Thorbag sembrava furioso.
“Se non fosse stato per noi – per me! – non avreste nulla!” grugniva agitando l’enorme pugno contro i Goblin. “Come osate venire ad avanzare pretese! Dovreste accontentarvi di quello che decideremo di darvi!”
Ogerak balzò a in piedi, fronteggiando l’Orco.
“Scodatelo, Thorbag! Abbiamo preso prigionieri anche noi,  e senza di noi avreste perso anche i vostri!”
“Maledizione! Ne avete preso uno e l’avete anche perso!”
Un coro di grugniti furiosi da parte dei Goblin accolse queste parole.
“Era sotto la sorveglianza del tuo guaritore! Per quanto ne  sappiamo, potreste averlo nascosto da qualche par…”
Il ruggito di Thorbag raggelò i prigionieri nell’angolo. Ogerak indietreggiò davanti alla furia dell’Orco, che sembrava incontenibile. Il Nano era sicuro che sarebbero venuti alle mani, invece Thorbag si limitò a sbraitare.
“Cosa vorresti insinuare? Sarà anche sfuggito al mio guaritore, ma è passato sotto il naso delle tue sentinelle!”
Ogerak ringhò, ma si ritrasse; Thorbag risedette pesantemente sulla sua sella e lo folgorò con un’occhiata truce.
I prigionieri, immobili, non osavano fiatare. Mi sento una  capra contesa da un branco di cani,  pensò il Nano. Speriamo che non decidano di dividerci a pezzi per accontentare tutti, dopo tutto sono in cinque e noi in quattro….
“Comunque,” continuò Thorbag, “il principe Elfo è nostro. Lo abbiamo preso noi!”
“No!” lo interruppe subito Ogerak. “Quello spetta a noi!”
“Perché?”
“Perché siamo più numerosi di voi. Vuoi uno scontro, Thorbag?”
Ecco. Adesso si uccidono a vicenda. Il Nano si stava preparando ad approfittare di un eventuale parapiglia, invece Thorbag ruggì di nuovo ma non parlò, apparentemente placato.
Il Nano sentì che Lirien, al suo fianco, si agitava e lo guardò di sfuggita. L’elfo era chiaramente sorpreso. Si aspettava anche lui un’esplosione.
 Dopo qualche istante, invece, l’Orco proseguì:
“Allora noi ci teniamo gli altri.”
Dai Goblin si levarono urla di disappunto, e Sobek parlò per la prima volta.
“Non credo proprio.” Fino a quel momento era stato in silenzio, a scrutare con attenzione i contendenti. Con la sua voce raschiante, concluse:
“Sono quattro. Due a voi, due  a noi. Come buoni amici. Anche se a noi ne spetterebbero di più, visto che siamo di più.”
Uglùn posò una mano sul braccio di Thorbag, come per esortarlo a non reagire; scambiarono alcune frasi a bassa voce nel loro dialetto, poi Thorbag grugnì un assenso.
“Noi ci teniamo il principe Elfo e il Nano.” Proseguì Sobek.
Il Nano si raggelò, peggio che se fosse stato gettato in un torrente nel pieno dell’inverno.

No! Non da quello, no! Un terrore cieco lo assalì. Sono perduto.
Cercò di respirare normalmente, ma gli sembrava di soffocare. Si rendeva conto, dentro di sé, di quanto fosse irrazionale quella reazione. Orchi o Goblin, Sobek o Thorbag, era comunque un prigioniero, era comunque in un mare di guai e probabilmente ci avrebbe lasciato la pelle comunque. Eppure diventare proprietà di Sobek per qualche motivo lo terrorizzava più di qualsiasi altra cosa. Di Sobek, certo: era assolutamente sicuro, senza ombra di dubbio, che era con il Goblin pazzo che avrebbe dovuto vedersela, non con Ogerak né con Butz.

“No!” Il Nano sbattè le palpebre, pensando per un momento di aver espresso il suo diniego ad alta voce; ma subito si rese conto che era la voce di Thorbag.
“Perché?” chiese Sobek. “Sai qualcosa che noi non sappiamo su quel Nano?”
All’interessato si mozzò il fiato. Ha scoperto chi sono! Ma la sua speranzosa aspettativa fu subito delusa.
“No, perché io non prendo gli scarti di voi sporchi Goblin! Cosa ti fa pensare di poter decidere chi a va chi?”
La frase si perse in un’esplosione di urla, ruggiti e grugniti, e di nuovo Ogerak e Thorbag si fronteggiavano muso a muso, fiancheggiati questa volta anche dagli altri capi.  Le mani stavano già volando ad asce e mazze,e le guardie allarmate dal frastuono si affacciarono alla tenda. Dalla mischia si levò un ruggito più altro di tutti, e i contendenti si fermarono.
“Allora! Vogliamo ucciderci a vicenda o tornare alle nostre tane?”
L’urlo era di Uglùn, che a braccia tese teneva lontani Thorbag e Ogerak. Diede una spinta al Goblin, mandandolo sul suo seggio, ed afferrò per un braccio Thorbag, parlandogli a bassa voce nella loro lingua; questi lo fissò con espressione truce ma non ribattè, e tornò a sedersi sulla sua sella. Il suo sguardo però parlava di morte.
“Si è detto due  a noi e due a voi, giusto? Bene! Voi proponete i due gruppi di due prigionieri e noi ne scegliamo uno. Così nessuno cercherà di imbrogliare.”
“No!” esclamarono in coro i Goblin. Uglùn sbuffò esasperato.
“Perché!?”
“Non sarete voi a scegliere! Ci lascereste gli scarti.” Era ancora Ogerak. Butz annuì, ma  Sobek sbuffò, cercando di attirare l’attenzione del Grande Goblin, che però lo ignorò. “Saremo noi  a scegliere!”
Thorbag si agitò esprimendo la sua rabbia ed il suo dissenso con una serie di imprecazioni. Uglùn lo fulminò con un’occhiata, quindi si voltò verso il Goblin.
“Allora noi formiamo i gruppi.”
“Non possiamo lasciar scegliere a loro!” sbraitò Thorbag; ma Ogerak, vedendolo in minoranza, sogghignò:
“O così o ce la vedremo, Orco di Gundabad! Cinque contro uno!”
Uglùn si affiancò di  nuovo a Thorbag, parlandogli in tono concitato; a sua volta Sobek cercò di parlare a Ogerak, ma  ottenne solo un ruggito malevolo che lo zittì.
Dopo qualche istante, un Thorbag immusonito grugnì l’ennesimo assenso; ma fu Uglùn a proporre:
“D’accordo. Il principe e l’Elfo più vecchio; il Nano e l’Elfetto.”

Il Nano guardò di sottecchi il suo compagno di sventura: Lirien sembrava pietrificato all’idea di essere separato da Darendel. Quindi tornò a rivolgere la sua attenzione ai cinque in mezzo alla tenda, perché qualsiasi particolare poteva risultare utile, un giorno; chissà, magari qualche particolare contesa tra i suoi nemici poteva in qualche modo favorirlo. Curiosamente, aveva l’impressione che gli stesse sfuggendo qualcosa: come se l’assurda controversia che si stava svolgendo sotto i suoi occhi fosse in realtà un complesso gioco condotto da qualcuno all’insaputa di altri. Non avrebbe mai pensato che la sottigliezza diplomatica fosse una caratteristica di Orchi e Goblin, eppure…
Gli bruciava ancora la momentanea illusione di poter avere qualche notizia sulla sua identità. Non contare sugli Orchi se ti serve qualcosa,  pensò ironicamente. Mentre tornava a concentrare l’attenzione sui contendenti, il suo sguardo sfiorò Sobek… e subito tornò indietro, per vedere meglio. Fortunatamente il Goblin pazzo non lo stava guardando: sul suo muso era dipinta l’espressione più rabbiosa che avesse mai visto. La cosa gli sollevò il morale; chissà perché, era assolutamente convinto che il fallimento di qualsiasi piano di quel mostro poteva essere solo un vantaggio per lui… quanto meno in termini di scampato pericolo.

“Dispettosi fino all’ultimo, voi Orchi, vero?” grugnì Ogerak. “Ma se pensate che rinuncerò al principe, avete sbagliato. Prendiamo lui e l’Elfo più vecchio, anche se sappiamo che non vale niente. Il principe compensa.” Alla sua sinistra si levò un basso ruggito: Sobek.
Il Grande Goblin si voltò e lo fulminò.
“Credi che non abbia capito quello che vuoi, Sobek? Hai messo gli occhi sul Nano per i tuoi giochetti, ma non crederai che io rinunci all’ostaggio più importante per i tuoi capricci! Dovrai uccidermi, prima… o intendi provarci ora?”
I due Goblin si guardarono con malevolenza, ma fu Sobek a ritirarsi. Evidentemente, non si sentiva pronto.
Uglùn guardò Thorbag.
“Allora?”
Il grande Orco di Gundabad balzò in piedi.
“E allora cosa? Maledetto te, non mi  hai lasciato scelta!” poi si rivolse ai Goblin.
“Fuori dalla mia tenda, spazzatura! Mi auguro di non vedervi mai più! E portatevi  via  la vostra merce!” così dicendo, voltò le spalle. Sembrava scosso da una furia a malapena controllabile.
Ogerak si alzò e gli rivolse un’occhiata gongolante, poi si diresse all’uscita seguito dai suoi, mentre due guardie Goblin si occupavano dei prigionieri.
Come per un ripensamento, il Grande Goblin, dalla soglia, si voltò e disse:
“Ah, Thorbag, vecchio mio, visto che ci avete lasciato un prigioniero che non cammina, mi prenderò anche il tuo carro,  d’accordo? Ormai non ti serve più. Il guaritore invece puoi tenertelo.” Uscì, e nella tenda si udì distintamente la sua risata gutturale.
 
Nella tenda cadde un silenzio tale che i due prigionieri sentivano distintamente il crepitio del fuoco che ardeva nel braciere. Si guardarono in silenzio, poi il Nano fece un mezzo sorrisetto di incoraggiamento, a cui l’Elfo, dopo averlo scrutato attentamente, rispose. Quanto meno ci siamo liberati di Sobek, pensava il Nano, piuttosto sollevato. Quanto meno con Thorbag si poteva contare su un comportamento coerente.  O almeno, così è stato finora. Perché oggi…
Guardò l’Orco che continuava a dare le spalle ai prigionieri e ad Uglùn: era sempre fermo, ma sembrava reprimesse un impulso a malapena controllabile. Sta per esplodere, deve essere furibondo. Ma allora perché è stato così arrendevole? Arrendevole: il Nano non riusciva a crederci, eppure la sensazione era nettissima. L’Orco non si era affatto opposto alle scelte dei Goblin, o meglio, la sua sembrava essere una opposizione di facciata. Possibile…?
Ed in quel momento, quando i Goblin dovevano essere ben lontani, Thorbag si voltò: quella che aveva represso fino a quel momento era una fragorosa risata.
I prigionieri allibiti  videro i due Orchi abbandonarsi ad una irrefrenabile ilarità, dandosi pacche sulle spalle talmente forti che avrebbero abbattuto un cavallo.
Nella mente del Nano balenò un frivolissimo pensiero: non ho mai saputo che gli Orchi ridessero in questo modo. Di certo, per Mahal, non ne avevo mai visto uno farlo. Figuriamoci due.

“Sei stato perfetto, Uglùn. Bravo, veramente bravo! Ogerak c’è cascato con tutte le zampe… e pensava anche di aver fatto l’affare migliore!” Thorbag stava ancora ridacchiando. Allungata una mano, afferrò l’otre e lo offrì a Uglùn.  
“Adesso però mi spiegherai perché volevi proprio quei due.” Lanciò un’occhiata di traverso ai due prigionieri ancora sorpresi, che non capivano una parola della conversazione.
“Ho avuto dubbi fin dall’inizio sul cosiddetto principe Elfo. Strano che la sua identità sia venuta fuori subito, vero? Di solito gli Elfi non sono così loquaci: più facile che si facciano ammazzare. Mi sarei aspettato che tenessero la bocca chiusa, come il Nano.”
“Invece no. Almeno: l’Elfetto era seccato, ma l’altro non ha avuto esitazioni. Eppure è una guardia esperta.”
“Ci stai arrivando? Inventare di sana pianta che ci fosse un principe tra loro sarebbe stato troppo: più facile che il principe ci fosse davvero… ma che fosse un altro.”
Uglùn sbirciò di sottecchi i prigionieri un’altra volta.
“Quindi tu sei convento che sia questo.”
“E’ il  più probabile. Se li guardi senza preconcetti, è abbastanza chiaro, anche da come si comportavano. Tutti sono Alti Elfi; ma gli altri due… sono Guardie, e basta. Li ho osservati bene. E se ho perso la scommessa, pazienza, ma non credo proprio.”
“E il Nano? Perché lui? A parte il piacere di fare un dispetto a Sobek.”
Thorbag sogghignò.
“Il Nano è la carta migliore… anche se forse lui stesso non lo sa.”

I prigionieri furono riportati fuori dalla tenda, e legati ad uno stentato alberello spoglio. Era ormai sera. Aveva smesso di nevicare, e le nuvole si stavano aprendo: già apparivano le prime stelle.
Il Nano alzò lo sguardo. Curioso che ricordasse il nome delle costellazioni e non il suo!
Per un momento seppe  di aver guardato le stelle innumerevoli volte, nelle sere d’estate. Ricordò  la sensazione dell’erba sotto il suo corpo; e improvvisamente ebbe la sensazione di qualcuno  accanto a lui, qualcuno a cui era legato così profondamente  da provare le sue stesse emozioni. Era una sensazione così forte che si voltò di scatto.  
Non c’era nessuno accanto a lui. Sei un’idiota. Chi volevi che ci fosse? Sei solo. Ma il breve deja-vu aveva incrinato la dura corazza che aveva costruito a sua difesa, ed ora tutti i sentimenti che aveva chiuso in un angolo della sua anima stavano per sopraffarlo. Un disperato senso di solitudine lo portò quasi sull’orlo delle lacrime.
Dicono che quando stai per morire rivedi la tua vita… l’altra sera sono stato ad un passo dalla morte, e non avevo nessuno, nessuno! a cui rivolgere un ultimo pensiero. Qualche viso nella memoria, nessun nome… niente.
Chi ero, prima? Che tipo di persona? Ho vissuto, amato, odiato? C’è qualcuno che piange perché mi crede perduto?
A volte mi chiedo perché fuggire, perché lottare.
E se scoprissi che non ho niente e nessuno a cui tornare?
La Battaglia, a quanto pare, è stata terribile. Chi mi dice che le persone che vedo nei miei sogni siano ancora vive?
Un brivido incontrollabile lo scosse.  Sarebbe così facile lasciarsi morire. 

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Capitolo 15
*** Fuga ***


14 Fuga
14  Fuga

Il Nano si svegliò di soprassalto, quando due mani ben poco gentili lo strattonarono trascinandolo fuori da sotto il carro; immediatamente una valanga di urla e calci  brutali gli piovve addosso. Cercò di proteggersi il viso e la testa con le braccia, cosa non facile con le mani legate.
Cosa diavolo sta succedendo?
Salvo qualche occasionale spinta o pugno, i prigionieri non erano stati mai picchiati selvaggiamente come stava succedendo in quel momento. Dalle esclamazioni capì che anche Lirien e Darendel stavano subendo lo stesso trattamento, mentre altre urla provenivano dall’interno del carro dei feriti.
Una zampa brutale gli afferrò il davanti della camicia ed il Nano si ritrovò faccia a faccia con Uglùn, che gli sbraitò contro:
“Allora, dov’è?”
Il Nano perse quasi i sensi, semisoffocato dalla presa ed investito da una zaffata di un alito pestilenziale, e dovette respingere una monumentale ondata di nausea. Riuscì solo a farfugliare qualche parola smozzicata, mentre cominciava a vedere tutto nero.
“Ma… ma cos…”
L’Orco lo mollò di colpo ed il Nano si accasciò a terra, tossendo disperatamente ed ansimando per riprendere fiato.
“Inutile feccia!” ruggì Uglùn rifilandogli un altro calcio mentre si allontanava. “Legateli!”
Il prigioniero a terra cercò di aprire gli occhi, e vide qualcosa di inaspettato.
Doveva essere ancora notte fonda; l’accampamento era in subbuglio, illuminato a giorno da decine e decine di torce fiammeggianti. Orchi e Goblin si agitavano, rovistando ogni angolo ed ogni tenda.
Uglùn, già a cavallo del suo Mannaro, ruggiva contro gli altri Cacciatori, anche loro montati sulle proprie orrende cavalcature. Scambiò alcune frasi con Thorbag, nella loro orribile lingua, poi spronò il Warg fuori dall’accampamento, seguito dai suoi.

Il Nano sbalordito fu gettato  contro una ruota del carro e legato saldamente; la stessa  sorte fu riservata agli Elfi. Lirien era il più vicino, ed il Nano si voltò verso di lui.
“Ma cosa sta succedendo?”
“Credo che sia fuggito un prigioniero,” rispose l’Elfo. “Prego Eru che sia così. Mi piacerebbe che fosse Vandil, ma non ci spero: dove vuoi che vada con una gamba rotta? No, sarà l’altro, il tuo compagno. Ehi, Darendel!”
“Sì, è scappato il Nano,” rispose l’Elfo dall’altro lato del carro. “Il guaritore è venuto a controllare, e non c’era più.”
 
Fuggito! E’ fuggito… ha colto al volo l’occasione. Forse se sto attento, magari potrei provare…
Il Nano si trastullò per un po’ con l’idea; non che non ci avesse mai pensato prima. Semplicemente, l’occasione non si era mai presentata.
A differenza del fuggitivo, il Nano era sempre stato tenuto legato; e durante le marce, alcuni guardiani seguivano  i prigionieri, tenendoli costantemente sott’occhio. Quando dormivano, erano circondati da sentinelle. No, niente da fare: verrei ripreso dopo due passi.
A pensarci, nemmeno il fuggitivo aveva tante probabilità di farcela, inseguito da un branco di Mannari; però, con un po’ di fortuna… il Nano si ripromise di raddoppiare l’attenzione. Già conosceva la routine del campo e della marcia; sapeva  quante erano le sentinelle e come si muovevano. Sapeva che, se fosse riuscito a sfuggire all’attenzione dei suoi immediati guardiani, uscire dal campo non era complicato.
L’idea della fuga portò però con sé l’altro problema, così enorme e così devastante da provocargli la nausea. La voragine nera che era la sua memoria.
Fuggire… per andare dove?
A est, aveva già deciso. Dalle poche informazioni che aveva potuto ottenere dagli Elfi senza rivelare di aver perso totalmente la memoria, e da quanto aveva detto Thorbag in quel primo interrogatorio, si era fatto l’idea che la sua casa fossero i Colli Ferrosi. Ricordava delle colline boscose; ricordava volti di guerrieri; ed anche quel volto che toccava il suo cuore era quello di un guerriero. Avrebbe tentato di raggiungere il popolo di Dàin; e lì… se era fortunato, lì avrebbe trovato persone che lo conoscevano. Amici, parenti… una famiglia. Ci sarà qualcuno che mi cerca, che si preoccupa per me? O avranno pensato che sono morto, e si saranno rassegnati?
Riuscirò mai a ritrovare il mio passato?

Quando sorse il sole, la pattuglia di esploratori non era ancora tornata. Nell’alba freddissima, Orchi e Goblin raccolsero le loro masserizie e si rimisero in cammino verso ovest, mentre i prigionieri, legati come al solito, camminavano dietro al carro dove ora si trovava il solo Elfo Vandil. L’orco guaritore camminava tristemente al loro fianco, scrollando il capo: doveva essere stato aspramente redarguito per la fuga del Nano che aveva ritenuto del tutto inerme… ma che non doveva esserlo poi tanto, visto quel che era successo.
Percorse alcune miglia, la colonna si addentrò in un boschetto di salici spogli per l’inverno; il terreno era paludoso, ed era facile finire in qualche acquitrino. Oltrepassato il bosco, si aprì davanti a loro uno spettacolo inaspettato.
“Anduin il Grande!” esclamò l’elfo Lirien, accanto al Nano. Questi alzò gli occhi: davanti a lui si ergevano, maestose e terribili, per buona parte coperte di neve, le Montagne Nebbiose.
E lui le riconobbe. Sono già stato qui.

Uglùn richiamò i suoi Cacciatori. I Warg avevano fiutato  le tracce del fuggitivo e le avevano seguite fino ad una profonda forra boscosa; oltrepassato il torrente, però, le avevano perse. Era chiaro che il maledetto aveva seguito il corso d’acqua,  proprio per eludere il fiuto dei Mannari: ma verso est o verso ovest? E dove aveva riguadagnato la riva?
“Qualche traccia?” ruggì.
“No, mio signore!”
Uglùn cercò di ragionare. Il torrente doveva essere un affluente del Grande Fiume, che si trovava qualche miglio ad ovest; se il fuggitivo fosse andato da quella parte sarebbe incappato nel grosso della carovana, ferma sulla riva del  fiume, o intenta ad attraversarlo. Inoltre la destinazione del Nano era presumibilmente est, fossero i Colli Ferrosi o la Montagna Solitaria. E’ vero che vi erano Nani anche a ovest; ma assai più lontani. No.
“Andiamo ad est!” urlò, radunando i suoi e guidando il suo Mannaro nel torrente per tornare sui suoi passi. Superato il guado, i Cacciatori si lanciarono ululando nel bosco, scomparendo ben presto tra gli alberi.
Circa trenta metri più in là, dal fitto del  fogliame di un alto albero sempreverde, due occhi azzurri scrutavano la scena.

Il fuggitivo fece passare diversi minuti di profondo silenzio prima di lasciare il suo nascondiglio. Aveva in effetti percorso qualche decina di metri camminando nel torrente; poi, quando aveva visto un ramo, sporgente sul corso d’acqua,  sufficientemente basso da essere alla sua portata, con uno sforzo vi si era issato, arrampicandosi quindi fino ai rami più alti dell'enorme agrifoglio per nascondersi tra il fogliame più fitto; imprecando contro le innumerevoli  spine ed i rametti che gli laceravano i vestiti e la carne, si era disposto ad attendere, ed aveva visto i suoi inseguitori piombare con entrambi i piedi nella sua trappola.
Si sentiva molto orgoglioso di se stesso.
Quando pensò di essere al sicuro, scese lentamente a terra; quindi, rivolto al varco nel bosco dove erano scomparsi i Cacciatori, esclamò:
“Ah, ah! Idioti! Andate, andate! Siete così tonti che imbrogliarvi è uno scherzo!”
 E ora… a casa!
Si avviò verso il folto del bosco, quando una voce raschiante che veniva dalla sua sinistra lo bloccò dopo pochi passi:
“Dove credi di andare, lurido nanerottolo?”

Uglùn radunò i suoi al margine della radura dove si era trovato l’accampamento.
“Ci siamo tutti?”
I Cacciatori si guardarono l’un l’altro.
“Manca Durtz.”
Uglùn imprecò.
“Il solito maledetto idiota!”
In quell’istante dal folto del bosco risuonò un corno.
“Forse è meno idiota di quanto pensassi,” grugnì. “Torniamo indietro!”

Il fuggitivo correva a perdifiato  nella boscaglia, gettandosi sotto i cespugli e nel folto dove il Warg poteva avere più difficoltà a seguirlo. Stava maledicendo se stesso, l’Orco, la malasorte e l’universo intero; aveva cantato vittoria troppo presto.
Più di  una volta urtò violentemente contro un ostacolo che non aveva visto in tempo; gli arbusti gli frustavano la faccia e gli arti, stracciandogli i già malconci abiti; per fortuna gli stivali erano di buona qualità e gli consentivano di correre; ma ogni volta che pensava di essere riuscito a seminare il Mannaro, un ululato terribilmente vicino lo smentiva. E altri ululati  gli dicevano fin troppo chiaramente che il branco stava tornando: tra poco non avrebbe avuto un solo inseguitore, ma molti.
Non mi prenderanno vivo, non stavolta!
Scostò gli  ultimi rami di una gigantesca felce, e frenò bruscamente: davanti a lui uno strapiombo di oltre cinquanta metri di rocce, e, in fondo, il fiume.
Fine della corsa. Il movimento nella boscaglia gli disse che aveva solo pochi istanti prima che  l’inseguitore gli fosse addosso.
Trasse un profondo respiro, si voltò e cominciò a scendere il dirupo aggrappandosi con mani e piedi. Le sporgenze c’erano, ma spesso troppo lontane… e troppo fragili. Troppe volte  si aggrappava ad un sasso che rotolava via, o ad  un appiglio che  crollava sotto il suo stivale. Era sceso di una decina di metri, quando, alzando lo sguardo, vide il Warg sporgersi, mentre il Cacciatore lo fissava incerto sul da farsi.
Sì, bravo, scendi, così rotolerai fino in fondo… basta che non mi caschi addosso!
Incalzato, cercò di scendere più in fretta, quando  per l’ennesima volta una roccia franò sotto i suoi piedi, lasciandolo aggrappato ad una sporgenza con le sole mani. Cercò freneticamente sotto di sé, e di lato, un appiglio che potesse sopportare il suo peso, ma invano. Gli sembrava che le braccia gli si staccassero dalle spalle, le unghie sanguinavano nel tentativo di non perdere la presa…
L’intera parete, destabilizzata dai suoi movimenti frenetici, crollò all’improvviso, trascinandolo con sé.
L’Orco sul dirupo arretrò per non essere risucchiato via dalla frana;  vide il Nano precipitare rovinosamente, insieme alle rocce, sollevando un polverone e  terminando la sua corsa con un tonfo nel fiume. Quando il movimento ribollente dell’acqua cessò, era comparsa una nuova spiaggia rocciosa, ma non si vedeva  nessuna traccia del fuggitivo.
Uglùn ed i suoi erano giunti in tempo per assistere, impotenti,  alla caduta.
“L’abbiamo perso!” imprecò. “A Thorbag tutto questo non piacerà.”

Non gli piacque affatto.
Era stata una giornata infernale. Tutta la carovana aveva guadato il fiume, che, anche se in quel tratto non era largo come più a valle, tuttavia aveva un corso vorticoso, con una forte corrente. Le piogge autunnali, poi, ne avevano aumentato la portata a dismisura, cancellando tutti i guadi abitualmente usati durante la stagione secca: attraversarlo era stata una faccenda maledettamente complicata e faticosa.
Tutti i carri con le scorte e quel poco  bottino avevano dovuto essere trainati a braccia, con delle lunghe corde, per evitare che venissero spazzati via; i cavalli da tiro, spaventati, si erano imbizzarriti; i Goblin avevano attraversato legati in lunghe cordate, piagnucolando e sputacchiando. C’erano volute ore, e spesso Thorbag si era augurato che annegassero tutti… almeno avrebbero smesso di causare guai. I suoi Orchi appiedati non se l’erano cavata molto meglio, ma almeno non piagnucolavano.
Solo i Mannari con i loro cavalieri avevano attraversato senza problemi ed in ordine.
Mentre osservava la traversata a cavallo del suo Warg, Thorbag meditava su quello che aveva saputo da Gorth, e su come avrebbe dovuto condurre la partita per avere quello che voleva. L’indomani, infatti, Goblin ed Orchi avrebbero diviso le loro strade: mentre i Goblin avrebbero voltato a sud ovest, raggiungendo le loro caverne nel cuore delle Montagne Nebbiose, gli Orchi avrebbero voltato a nord, fino  raggiungere la grande Via del Nord, che portava all’Alto Passo ed a Gundabad.
La Via era stata costruita dagli Elfi  e dagli Uomini dei Tempi  Remoti per collegare Arnor alle miniere negli Ered Mithrim, ed era il più grande passaggio per oltrepassare le Montagne Nebbiose, adatto alle grandi carovane che trasportavano merci, così come a piccoli gruppi di viaggiatori. Lungo la Via erano frequenti antichi rifugi, costruiti per soccorrere i viandanti sorpresi dalla neve o da un temporale estivo, che a quella latitudine potevano entrambi essere devastanti.
Da molti anni tuttavia gli Orchi si erano impadroniti della zona, ed i tempi delle grandi carovane commerciali erano finiti. Troppe imprese erano finite con cumuli di cadaveri abbandonati sulla pista; ormai solo piccoli gruppi di ardimentosi osavano passare, inosservati, o addirittura ignorati dalle sentinelle degli Orchi perché prede troppo poco allettanti.
Le cose cambieranno molto, si disse Thorbag. Siamo così pochi che non faremo più paura a nessuno, e saremo costretti a ritirarci sulle montagne più alte. Abbiamo un disperato bisogno di ostaggi, se vogliamo sopravvivere. O meglio, se non vogliamo vivere per molti anni una vita infame e precaria. Con i rifornimenti sufficienti per superare agevolmente l’inverno, e senza dover sorvegliare ogni sentiero per paura di  essere assaliti, in poche stagioni potremo tornare potenti quanto prima… e senza l’ossessione di Azog andrà anche meglio.
Fu in quel momento che Uglùn gli comunicò la perdita definitiva dell’ostaggio.
Il ruggito di Thorbag fu si udì per buona parte dell’accampamento; e molti rabbrividirono, ripromettendosi di non farsi trovare sulla strada del grande Orco, nei prossimi giorni.

Uglùn rimase impassibile davanti al diluvio di imprecazioni provenienti da Throbag: ci era abituato. Sapeva anche che l’esplosione sarebbe finita presto, lasciando l’altro Orco gelido e pronto ad elaborare una soluzione. In questo era molto meglio di Azog, sempre accecato dai propri violenti impulsi e pronto ad allearsi con chiunque pur di raggiungere i suoi scopi.
Thorbag era veramente furioso, ma soprattutto era preoccupato. Aveva elaborato una strategia per ottenere dai Goblin quello che voleva, ma la partita ruotava intorno al Nano fuggito. Senza di lui, avrebbe dovuto rivedere i propri progetti, e le cose sarebbero state molto più difficili; di sicuro Sobek gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote.
Sedette e meditò in silenzio, mentre Uglùn lo lasciava fare.
Alla fine trasse un lungo sospiro.
“Ho una sola possibilità di giocare la partita come voglio io: devo far leva sull’avidità di Ogerak. Butz lo seguirà, perché è un idiota e non sa ragionare; e insieme comandano i quattro quinti dell’orda dei Goblin. Sobek sarà contrario, ma non si metterà apertamente contro gli altri due… non con il rischio di essere annientato.” Si rivolse quindi a Uglùn.
“Però, per portare Ogerak dove voglio, ho bisogno di una trappola… e sarai tu a tendere il laccio.”

Angolo Autrice
Un’altra quota di ringraziamenti! Little Marty, happy_three_friends3… e ancora Strix, Aiko_88, Noomi, Minuialwen… siete tante! Prima o poi riuscirò a ringraziare tutte.
Laurelin, Halfblood_Slytherin e KuroCyou per avermi aggiunta agli autori preferiti! Sono commossa.
Grazie ancora a tutti quelli che leggono, una grande “maggioranza silenziosa”!

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Capitolo 16
*** Una decisione difficile ***


16 Una decisione difficile
A grandissima richiesta, cambio di scenario. Lasciamo il nostro Nano immerso nella neve, diretto verso Gundabad, e vediamo che Kili, a modo suo, è altrettanto nei guai…

16.Una  decisione difficile

“Avanti, Balin, sputa il rospo.” Kili guardava il suo antico maestro con uno sguardo severo piuttosto inconsueto.
Il giovane Nano stava decisamente meglio. Dopo i primi tempi di estrema debolezza, la sua forte struttura e la sua giovinezza avevano avuto la meglio, ed ora era in grado di lasciare il letto per qualche ora ogni giorno, anche se di tornare alla Montagna non se ne parlava. Le ferite si stavano rimarginando bene, è vero, ma Kili stesso, pur con tutta la sua impazienza, si rendeva conto che non doveva chiedere troppo al suo corpo così provato; aveva già avuto un’accesa discussione con Inglor, in merito al divieto di usare il braccio sinistro, la cui conclusione era stata che, al momento, il braccio in questione era stato immobilizzato contro il torace  con una fascia. La ferita alla spalla, però, così andava decisamente meglio.
Balin lo fissò per un attimo. Seduto su un’antica ma comoda poltrona recuperata dalle stanze di Thròr, ornata con intagli di corvi dorati, ad avvolto in un caldo mantello di pelliccia, il giovane Nano davanti a lui aveva un’aria quanto mai principesca. Molto appropriato, pensò Balin, compreso quello sguardo autoritario. Ma, a guardare meglio, negli occhi scuri danzava anche una scintilla divertita: Kili era perfettamente consapevole di aver spiazzato il vecchio  diplomatico.
Balin non sapeva bene se essere seccato o compiaciuto. Era seccato per essersi fatto scoprire il gioco, e nello stesso tempo compiaciuto dall’acume dimostrato dal suo antico allievo.
Avrei dovuto saperlo, si disse. Era facile farsi sviare dall’aspetto e dall’attegiamento di Kili; ma  Balin avrebbe dovuto ricordare che sotto la capigliatura arruffata c’era un cervello, e che occhi sgranati e sorriso affascinante in realtà nascondevano una mente sottile ed un intuito straordinario. All’istante decise di portare avanti il gioco, e chiese a sua volta, con uno sguardo innocente:
“Cosa vuoi dire, Kili? Io stavo solo…” iniziò, ma non potè continuare. La scintilla divertita negli occhi scuri ora era sottolineata da un mezzo sorriso a fior di labbra.
“Andiamo, Balin. E’ da più di  mezz’ora che mi dici che gli Elfi sono diffidenti, gli Uomini si agitano e che tra i Nani serpeggia il malcontento. Non  hai parlato per niente dei progressi dei lavori ad Erebor, come fai ogni volta che vieni a trovarmi, e non hai nominato Thorin nemmeno una volta, anche se mi racconti sempre di quanto sia pentito di quello che ha fatto e di come sia stato in ansia per me, e come sia addolorato per Fili. E tutto questo  anche se io non ti rispondo mai una parola. E mi dici quanto tu sia contento che io abbia Liatris ed il nostro bimbo…”
“Ma lo sono, ragazzo!” il sorriso di Kili si fece ancora più largo.
“Lo so, vecchio mio! So che saresti felice di avere altri piccoli Nani a cui insegnare l’alfabeto.  Ma so anche che mi stai ricordando che ‘lui’ ha accettato Liatris, e che non mi ostacolerà in alcun modo. Ne ho preso atto, ma non gli devo essere grato per questo.”
“Ragazzo, è tuo zio…”
“Non lo so, cos’é. So che ha perso qualsiasi diritto di intromettersi negli affari miei. Per come la vedo io, non gli devo proprio niente.”
“Kili…” sospirò Balin. Gli dispiaceva vedere il disaccordo tra due persone che amava così tanto; ma il giovane principe alzò una mano e lo interruppe.
“Balin, non voglio parlare di questo. Voglio che mi dici chiaramente il motivo per cui sei qui. Anche se qualcosa posso indovinare. Vuoi che provi?”

Balin annuì con un sorriso storto. Mahal, non si rende conto di quanto assomigli a Thorin, in questo momento! A quel giovane principe che vidi una volta su un campo di battaglia intriso di sangue e di dolore… solo gli occhi erano diversi, scuri, e in quel momento, insondabili come un pozzo senza fondo. Thorin, amico mio, avrai una bella gatta da pelare, con questo ragazzo! Credo che balleremo tutti alla  sua musica, alla fine.

“Il fatto è,” iniziò Kili, “che né Elfi né Uomini si fidano di Thorin, e non vedono di  buon occhio che sia lui il legittimo Re sotto la Montagna. E, detto tra noi, credo che abbiano le loro ragioni, specialmente Bard.  Thranduil un po’ meno, ma gli Elfi sono Elfi e non sempre i loro motivi sono chiari. Quanto ai Nani, esitano perché sembra che Thorin resterà invalido e tutti sappiamo cosa significa, anche se in realtà potrebbe non avere tutta questa importanza. A questo punto la domanda è solo una: cosa vuole fare Thorin?”
Balin prese un profondo respiro.
“Thorin vuole rinunciare al trono.”
Kili emise un sibilo  sorpreso, e tacque per un attimo.
“Non senza condizioni, immagino.”
“Ovviamente no. Vuole che sia tu il Re sotto la Montagna.”
“Ma l’erede è Fili!” obiettò il giovane Nano bruno.
Balin gli prese una mano e gliela strinse senza parlare. Un lampo terrorizzato passò nei grandi occhi castani.
“Balin! Devi dirmi qualcosa di Fili…? L’avete… l’avete trovato…?
Il vecchio  Nano scosse il capo.
“No, no, Kili! Non c’è nessuna novità! Ma proprio per questo…”
Il principe scosse il capo.
“Balin, non cercare di convincermi  che Fili è morto, perché io so che non lo è. Non discuterò oltre su questo punto.” Poi sospirò e dopo qualche istante proseguì:
“Però è vero che mio fratello non è qui e non sappiamo quando tornerà. E se Thorin rinuncia al trono, non può esserci un vuoto a tempo indefinito, quindi io… o Dàin.”
“A proposito di Dàin, c’è qualcosa che devi sapere.” E Balin raccontò a Kili la storia di Vodren, e di come Nàin non si fosse ancora ripreso. Alla fine il giovane annuì.
“Quindi io, per forza. Però…”
Guardò Balin dritto negli occhi, ed il vecchio maestro non ricordò di averlo mai visto più serio.
“Balin, devi essere assolutamente sincero con me. Che intenzioni ha veramente Thorin? Si farà davvero da parte o sta solo cercando un fantoccio dietro cui nascondersi?”

L’altro sospirò tra sé. Me lo aspettavo. Mi dispiace, Thorin, amico mio, ma credo che tu non abbia alcuna scelta, ormai. Questo ragazzo andrà diritto per la sua strada qualunque cosa tu possa dire o fare.  Ricambiò lo sguardo diretto del giovane Nano.
“Thorin si farà da parte. In questo momento non accetterebbe nemmeno di farti da consigliere, tanto poco si fida di se stesso. Ha giurato che rispetterà tutte le tue decisioni, e, credimi, lo farà.”
Kili lo fissò con uno sguardo gelido, e Balin sospirò di nuovo.
“Non ti fidi, lo so, e hai le tue ragioni. Io però…” scivolò dalla sedia e piegò un ginocchio a terra. “Mio Signore, giuro per Mahal e per tutti i miei antenati, che la stirpe di Fundin ti sosterrà in ogni circostanza, anche contro Thorin, se accetterai di essere Re.  Conosco tuo zio, conosco i segni. Se dovesse… cadere di nuovo, lo saprò e agirò di conseguenza, per il bene di Erebor e della Casa di Durin.”
Kili lo guardò ancora, a lungo, e a Balin sembrò di essere messo alla prova. Non c’era solo un giovane Nano inesperto e indebolito dalle ferite, davanti a lui: era come se tutta la stirpe di Durin gli chiedesse a chi andava  la sua lealtà. Alla fine il principe di Erebor annuì.
“C’è ancora una cosa. E quando Fili tornerà?”
“Conosci la legge. Conosci la cerimonia che si deve svolgere  se  un Re rinuncia al trono: quando il nuovo Re ha accettato, è Re per sempre.”
“E se rinunciassi anch’io?”
“Il tuo Erede sarebbe tuo figlio…”
“… e non Fili. E mio figlio non potrebbe rinunciare fino alla maggiore età, anche se Fili potrebbe essere Reggente. Non va bene! Non posso privare mio fratello dei suoi diritti. Ci deve essere un altro modo.”
“Sinceramente, non lo vedo.”
“La cerimonia, da quel che ricordo quando ce la descrivesti, è lunga e faticosa. Non credo che né io né Thorin la sopporteremmo. Io no di sicuro.”   
“La tradizione consente delle deroghe, in certe circostanze. Thrain fu incoronato sul campo di battaglia, Thorin addirittura in segreto…”
Kili spalancò gli occhi. “Non lo sapevo.”
“Pochi lo sanno. Io, Dwalin, Dàin, Oìn, e pochi altri. Per questo deve rinunciare: Thorin è già Re. Pochi sanno addirittura che esiste questa possibilità.”
Per qualche minuto rimasero in silenzio.
“Cosa dice Gandalf di tutta questa storia?”
“Concorda che Thorin deve farsi da parte, ma i motivi di Gandalf li conosce solo lui. A quanto ho capito, vuole un forte Re sotto la Montagna; forte e amico.”
Kili annuì. “Ha ragione. Ho come la sensazione che prima o poi sarà un elemento importante in un gioco molto più grande di noi.”
Balin lo guardò con aria perplessa, ma Kili scosse il capo come per liberarsi la mente da un pensiero importuno.
“Voglio una soluzione che non leda i diritti di mio fratello. Trovare cavilli è la tua specialità, Balin, so che puoi farcela. Se la trovi, potrei accettare.”
“Ma…”
“Per ora dovrai accontentarti, vecchio mio. Mi hai dato un sacco di cose su cui riflettere, e voglio un po’ di tempo. Ne riparleremo domani.”
Balin si alzò. Stava per uscire dalla tenda, quando si fermò.
“Kili, e se ti avessi detto che tuo zio non voleva realmente farsi da parte?”
Il sorriso  di Kili balenò luminoso.
“Sicuramente ti avrei detto di no; e, appena fossi stato in grado di reggermi in piedi, avrei preso con me Liatris e sarei tornato nelle Montagne Azzurre. E non è ancora detto che non lo farò.”

Dopo che Balin fu uscito, Kili si abbandonò contro la spalliera della poltrona, gli occhi chiusi e la mano libera premuta sul petto. Respirò lentamente.
Era molto fiero di essere riuscito a non mostrare quanto il colloquio lo avesse provato. Non che non si fidasse di Balin, no; ma stava giocando una partita delicata e mostrare debolezza lo avrebbe messo in svantaggio.
Mahal, chi avrebbe mai creduto, solo due mesi fa, che saremmo arrivati a questo?
Dopo l’ingresso nella Montagna tutto era cambiato. Sotto i loro occhi Thorin si era trasformato in un mostro inaffidabile; avevano combattuto una tremenda Battaglia, che gli era quasi costata la vita; e Fili era scomparso.
Maledizione, fratello! Tutto questo avrebbe dovuto essere affar tuo! Sei sempre stato il più saggio, giudizioso, responsabile: ero io quello svitato perennemente nei guai! E scegli proprio questo momento per deciderti a cambiare vita e diventare avventuroso? E in quel momento gli comparve davanti agli occhi una vivida immagine di Fili: una figura sporca, scarmigliata e lacera. A Kili si mozzò il fiato.
Non era la prima volta che vedeva Fili, ma le altre volte stava sognando, o era in dormiveglia, o comunque la febbre e la debolezza gli offuscavano i pensieri: questa volta era perfettamente in sé. Cosa mi sta succedendo? Contemporaneamente, avvertì, e non era la prima volta, la consapevolezza che suo fratello avesse bisogno di aiuto.  Rabbrividì violentemente.

Una mano fresca e delicata gli sfiorò la fronte. Lia.
Aprì gli occhi e la vide davanti a lui, uno  sguardo preoccupato negli occhi color pervinca.
“Hai la febbre… come ti senti?”
“Stanco.”  Ancora si stupiva di come la presenza di Liatris avesse il potere di cancellare dolore e preoccupazione. Allungò il braccio libero e le accarezzò i capelli; aveva un intenso bisogno di sentirla vicina. “Vieni qui.”
Liatris si accoccolò accanto a lui nell’ampia poltrona e lo abbracciò delicatamente, accostando la guancia alla sua; Kili la strinse a sé, senza parlare, lasciando baci leggeri  ovunque arrivasse.
Liatris lo sentiva tremare leggermente, e provò l’intenso desiderio di proteggerlo da tutto e da tutti. Non possono lasciarlo in pace? E’ stato così male…    
Quelle settimane erano state difficilissime, ma nelle difficoltà il loro amore era cresciuto più forte che mai. All’iniziale folle infatuazione si era unito un legame profondo… e il bambino in arrivo lo aveva  rinsaldato. E non erano mancati momenti dolcissimi.
Quante volte, con il cuore a pezzi, Liatris aveva accarezzato la fronte sudata di Kili, e lo aveva sentito aggrapparsi alla sua mano, in attesa che i medicinali elfici facessero effetto placando il dolore, finchè scivolava in un sonno inquieto! E quante volte aveva ricacciato le lacrime mentre lo guardava muoversi a fatica, debole come un gattino appena nato… poi Kili alzava su di lei quei bellissimi occhi scuri, divenuti troppo grandi nel viso smagrito, ma così pieni d’amore da mozzarle il fiato; e sulle labbra pallide fioriva un piccolo sorriso, stanco ma così luminoso… tutti i momenti bui sparivano dalla mente di Liatris.
Poi Kili aveva iniziato a riprendersi… ma allora era comparso un dolore diverso. Il giovane Nano aveva perduto le due persone che erano state il fondamento di tutta la sua vita; Liatris vedeva quanta nostalgia e quanto rimpianto vi fosse nel cuore di Kili per lo zio che aveva amato; e temeva che potesse essere ferito di nuovo.
E quando lo sorprendeva con lo sguardo perso lontano, gli occhi colmi di un oscuro dolore, sapeva che lui stava pensando a Fili.
Lo aveva visto lottare contro la debolezza e la sofferenza fisica; lo aveva visto reagire alle avversità sollevando con orgoglio la testa, senza mai cedere alla disperazione; e lo amava per questo, ancora più di prima, ed era talmente fiera di lui che a volte le pareva che il suo cuore traboccasse.
Si strinse a lui, pensando: non sarai mai solo, amore mio. Io sono qui per te. Sempre.

Kili sentiva che la tensione a poco a poco si scioglieva al calore della vicinanza di Liatris. Aspirò il suo profumo. “Come fai a profumare di fiori anche in pieno inverno?” sussurrò, con la bocca sulla fronte di lei. La sentì tremare leggermente: era una risatina.
“Sono figlia di due erboristi, amore mio… conosco qualche trucchetto.”
Noi Nani diamo poca importanza all’amore, pensò Kili, pensando che renda deboli e vulnerabili. Che idioti. Quando lei è con me, mi sento talmente forte da sfidare il mondo intero.
Ed è quello che sto per fare.

Parlando piano, senza smettere di accarezzarla, Kili raccontò alla Nana tra le sue braccia tutto quello che era successo con Balin.
Mentre ascoltava, rannicchiata contro di lui, Liatris si ricordò delle parole di Thorin. ‘Il suo retaggio potrebbe imporgli obblighi  che  non aveva mai previsto di doversi assumere’.  Ed era successo.
“Cosa intendi fare?” sussurrò lei, alla fine. Kili sospirò.
“Non voglio essere Re. Non ho mai pensato di poterlo diventare, ed ho sempre ringraziato Mahal di avermi risparmiato la primogenitura. E non era certo questo che avrei voluto per noi.
Ma adesso…”  
Rimasero entrambi in silenzio per qualche momento. Quindi lui riprese.
“Non ho scelta, non se voglio difendere i diritti di mio fratello. Se lascio che la corona vada a Dàin, anche senza contare la questione di Vodren, Fili l’avrà persa per sempre. Se invece la reclamo io, al suo ritorno potrò sempre restituirgliela: conto su Balin per questo.”

Si interruppe e le fece alzare il viso per guardarla negli occhi:
“O forse a te piacerebbe diventare Regina di Erebor?” negli occhi scuri la tenerezza era mista al divertimento. Liatris rabbrividì.
“Mahal, no! Mi terrorizza il solo pensiero che esista questa possibilità! No… voglio solo vivere tranquilla con te, e con il nostro bimbo.”

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Capitolo 17
*** Spirito Luminoso ***


17 Spirito Luminoso
17. Spirito Luminoso

Rimasero un attimo in silenzio, abbracciati.
“Sul serio, Kili. L’ultima cosa che apprezzerei è una responsabilità così grande,” continuò Liatris, con voce tranquilla. “ E’ qualcosa che non mi sono mai sognata, e non saprei da che parte cominciare. Però… capisco perfettamente cosa c’è in gioco, e  non voglio in alcun modo che questo condizioni le tue decisioni.” Si scostò un poco per poterlo guardare negli occhi. “Amore, qualunque strada tu scelga, e qualunque cosa accada, puoi contare su di me.  Sarò al tuo fianco sempre e comunque.”
Lui le accarezzò il viso, gli occhi colmi di un’infinita tenerezza.
“Nel bene e nel male, eh? A questo proposito, ora che ci penso….” Il sorriso  di Kili fu pieno d’amore. “Se accettassi la proposta di Balin… dovrei fare di te una Nana onesta, non credi? Non sarebbe ammissibile che l’erede di Durin nasca illegittimo. E mamma avebbe comunque qualcosa da dire, quando arriverà. Dimmi…pensi di poter sopportare un marito? Ultimamente è un po’ acciacato, e quasi inutile per divertirsi, ma ti prometto che le cose miglioreranno.”
Nonostante il tono scherzoso, Liatris sentì che il cuore di Kili batteva forte contro il suo. Decise di stare al gioco: si scostò un attimo e lo guardò dalla testa ai piedi. Poi annuì.
“Mi chiedi se posso accettare per marito il Nano più bello e dolce della Terra di Mezzo…? Sì, penso di poterlo fare…”
Kili la abbracciò ridendo, e si chinò a baciarla. Timidamente, le appoggiò una mano sull’addome, e sussurrò:
“… e lui? Dici che si arrabbierà se non gli procureremo una corona?”
“Lui ha solo bisogno di amore… e non glielo faremo mai mancare.”

“Dovrei scrivere a mamma; mi ucciderà se avrò permesso che sappia di noi e del piccolo da qualcun altro. Chissà se un corvo imperiale potrebbe portare una lettera? Certo,” ridacchiò Kili dopo qualche momento, “mi piacerebbe tanto vedere la sua faccia quando scoprirà che sta per diventare nonna! E’ di certo l’ultima cosa che si immagina dal suo scapestrato figlio minore: che diventi un serio e responsabile padre di famiglia. A dir la verità, viene da ridere anche a me; poi ti guardo e penso che devo solo ringraziare Mahal e cercare in tutti i modi di essere degno di quello che ho avuto.”
Si mosse leggermente sulla poltrona, e sul suo viso comparve una smorfia di dolore che Liatris colse immediatamente.
“Ti aiuto a tornare a letto.”
Kili annuì, senza parlare. Con perfetto tempismo, Beriel entrò nella tenda con una tazza fumante in mano.
“Ora di riposare,” disse.

Liatris sedeva sul tappeto accanto al basso letto, il capo appoggiato sulla spalla buona di Kili, le dite intrecciate  a quelle di lui. Non parlavano, non ce n’era bisogno: bastava la vicinanza reciproca. Il giovane Nano sentiva i dubbi e le preoccupazioni svanire dalla sua mente : andrà tutto bene.
Il dolore a poco a poco si affievoliva sotto l’effetto dell’infuso di  Beriel;  Kili stava per scivolare tranquillamente nel sonno quando qualcosa  o qualcuno attirò la sua attenzione, ed aprì gli occhi, improvvisamente attento. Poco dopo, un fruscio, ed un grosso uccello entrò nella tenda con un frullo d’ali, scostando di forza il telo chiuso.  Liatris si alzò, spaventata.
“Ma cosa…”
Kili invece guardò con curiosità l’uccello che era atterrato sulle coperte del  letto, sulle sue ginocchia per la precisione.
“Lia, è un corvo imperiale!”
Puntellandosi su un gomito, cercò di alzarsi a sedere. Liatris lo aiutò e gli sistemò i cuscini dietro le spalle. Il giovane Nano  non aveva distolto lo sguardo dall’animale.
“Io ti conosco,vero?” chiese. La voce del corvo era raspante e rauca, ma perfettamente comprensibile per lui.
“Ci siamo già incontrati. Io sono Groac figlio di Roac, Spirito Luminoso. Hai bisogno dei miei servigi?”
Kili lo guardò allibito.
“Mi hai già chiamato così, Groac… perché?”

I Nani della Compagnia di Thorin Scudodiquercia erano radunati nella sala appena dietro alla Porta Principale, armati di tutto punto. Fuori, i combattimenti infuriavano, e i rumori della battaglia provenivano da ogni direzione. Attendevano da ore che qualcuno si presentasse alla porta pretendendo di entrare, ed  erano pronti a difendersi fino alla fine, ma non era accaduto nulla del genere.
“Cosa starà succedendo?” Ori si era arrampicato sul muro che avevano costruito a difesa della loro roccaforte, ma non aveva potuto distinguere nulla, un po’ per la distanza, un po’ perché la polvere ed il fumo impedivano di vedere.
Dwalin, seduto a terra, affilava una delle sue asce da battaglia con un rumore sinistro.
“C’è un sacco di gente, là fuori. Molti più guerrieri di quelli che abbiamo visto.”
“Dàin è arrivato, si staranno aprendo la strada combattendo,” azzardò Dori; ma Dwalin e Balin scossero la testa.
“No,” disse il più vecchio, cercando lo sguardo del fratello minore. “c’è molto di più.”
“Scommetterei che là fuori è pieno di Orchi,” aggiunse Dwalin.
“Orchi!” guaì Ori. “Cosa dobbiamo fare?”
Mentre gli altri Nani discutevano, Kili guardò il fratello seduto accanto a lui. Fili aveva la fronte corrugata e si tormentava un baffo, segno certo che stava pensando. Thorin dovrebbe essere qui, non a contemplare il tesoro. Se i nostri parenti là fuori stanno combattendo, dobbiamo aiutarli, pensava il Durin più giovane, in un impeto di rabbia.  Come può…
Un frullo d’ali interruppe ogni discorso, e dall’alto calò un corvo imperiale, che si posò su una colonna frantumata appena sopra di  loro.
“Ho un messaggio per il Re sotto la Montagna,” gracchiò. Fu Balin a rispondere.
“Thorin non è qui, purtroppo…” ma fu interrotto da una voce calma.
“Io sono Fili, principe di  Erebor, erede di Thorin. Vuoi parlare con me, corvo imperiale?”
Il giovane nano biondo si era alzato in piedi, ed aveva levato in alto il braccio sinistro coperto da uno spesso parabraccio di cuoio. Il corvo parve soppesarlo; Kili sentì lo sguardo dell’animale scivolare anche su di lui, per tornare poi sul fratello maggiore.
“Il tuo sangue è scritto sulla tua fronte, erede di Durin: parlerò con te.”
L’animale svolazzò per qualche metro fino a posarsi sul braccio protetto di Fili.
“Sono Groac, figlio di Roac, figlio di Carc. Sono venuto per avvisarti che si sta combattendo una grande battaglia. Eserciti di Orchi di Gundabad e delle Montagne Nere, montati su Mannari; orde di Goblin provenienti dalle Montagne Nebbiose; e stormi di pipistrelli che oscurano il cielo. Elfi, Nani e Uomini si sono alleati contro il nemico comune, dimenticando ogni futile contesa. Cosa faranno i Nani di Erebor?”
Fili sospirò profondamente.
“I Nani di Erebor faranno la loro parte. Ti ringrazio, Groac figlio di Roac; che Mahal protegga il tuo nido ed il tuo volo.”
Il corvo chinò il capo in segno di omaggio.
“Il sangue di Durin ha parlato. Onore a te, Fili, principe di Erebor.”  L’uccello spiccò un breve volo, ma, anziché librarsi verso l’alto, si diresse verso Kili. Sorpreso, il giovane alzò il braccio per proteggersi il viso, ma il corvo vi si posò delicatamente. “Il tuo spirito brilla luminoso, figlio di Durin.” Così detto, si inchinò di nuovo; poi spiccò il volo,  lasciando Kili esterrefatto.

Il corvo guardò il Nano davanti a lui: gli occhi brillavano come schegge di tormalina nera.
“I corvi imperiali riconoscono il sangue del tuo antenato Thrain,* primo Re sotto la Montagna, con il quale concludemmo la nostra alleanza mille anni fa. A parte questo, per noi coloro che camminano su due gambe sono quasi uguali tra loro. Tu sei in grado di riconoscere uno stormo di corvi da uno di rondini, ma riconosceresti un corvo in mezzo ad uno stormo? Ma vi sono alcune creature che si distinguono tra le altre, come le Aquile di Gwaihir* si distinguono dagli altri uccelli, e tu sei una di queste. Il tuo spirito risplende ai miei occhi,” gracchiò il corvo, “ed io sento il tuo richiamo.”
Kili era senza parole. Tese la mano ed il corvo gli si avvicinò; e   con un dito  il giovane Nano  gli accarezzò le piume, ammirandone la setosa lucentezza. Sembrava ammaliato dall’animale.
“Non voglio approfittare di te come se fossi un servitore,” sussurrò. “Sei un magnifico uccello, degno di un Re, un Re tu stesso.”
“E’ un onore servirti, Spirito Luminoso. Kementàri* ne sarà compiaciuta.”
“Se è così, vorrei mandare  una lettera a mia madre, per comunicarle che ho trovato una compagna, ed avrò un piccolo. Dìs si trova nelle Terre Selvagge a ovest delle Montagne Nebbiose, diretta all’Alto Passo a capo di una schiera di guerrieri. Puoi trovarla?”
“Le ho già portato la chiamata di Thorin, dopo la morte del drago. La conosco, e la troverò. Prepara il tuo messaggio, Spirito Luminoso.”

Liatris guardava affascinata i due interlocutori davanti a lei. Era chiaro che comunicassero, ma era un linguaggio che lei non poteva comprendere.  Avvertì una profonda affinità tra i due, solo suggerita dai colori di entrambi; il nero corvino dei capelli di Kili echeggiava il colore delle piume dell’uccello, ed i loro occhi scuri si specchiavano reciprocamente, ma non era solo questo. La giovane Nana vide due creature  libere, selvagge e bellissime, legate in un modo che poteva solo percepire.
Vide il corvo chinare il capo davanti al principe di Erebor e saltellare verso il fondo del letto. Si alzò ed aprì la tenda  mentre l’uccello spiccava il volo.

Il giorno dopo, Kili sedeva nella sua tenda, e contemplava il foglio davanti  a lui. Quando prese la penna, le parole vennero sempre più facilmente. Scrisse in caratteri piccoli e fitti.
“Non sai quanto sia felice di poterti far avere questa mia lettera. Il messaggero è mio amico, quindi trattalo bene; troverai che è simpatico, anche se un po’ troppo cerimonioso per i miei gusti.
Non mi vergogno di dire che mi sei mancata molto, e mi sono chiesto spesso se la tua presenza avrebbe potuto cambiare qualcosa, intendo riguardo a Thorin. Ma nemmeno tutti i fabbri della fucina di Mahal possono riparare un uovo rotto, e quel che è stato fatto non si può disfare.
So che  vuoi sapere di me, e ti dirò subito che è stata dura, ma sto meglio. Mi dicono che ci vorrà ancora del tempo, e sai che la pazienza non è il mio forte, ma non ti preoccupare; c’è qualcuno accanto a me che mi tiene d’occhio. A volte mi ricorda un po’ te (specie quando insiste perché riposi), è altrettanto dolce ma un po’  meno autoritaria, eh-eh. Si chiama Liatris; sua madre è Nevis figlia di Nevur, e Thorin si ricorda bene di entrambi quindi penso che anche tu sappia  di chi sto parlando.
So che sarà una sorpresa per te, mamma, ma credimi: Liatris è il mio cuore, è tutta la mia vita. Non so cosa avrei fatto senza di lei; il suo amore  mi sta aiutando a superare tutto quello che è successo, e mi dà modo di guardare avanti con speranza.”
La parte successiva era un po’ complicata, così sul foglio comparvero molte cancellature.
“Come dicevo sopra, la pazienza non è il mio forte, quindi.. cosa ne diresti di un nipotino per la tarda estate?
Immagino che a questo punto tu abbia ricominciato a leggere dopo un breve malore.
L’idea di diventare padre mi sgomenta, e mi riempie di dubbi: ne sarò in grado? Ma quando penso ad un piccolino mio e della mia Lia, beh, mi vengono le lacrime agli occhi e mi chiedo cosa ho mai fatto per meritarmeli, tutti e due.
Non so cosa ti abbiano detto di Fili. Tutti sembrano pensare che sia morto, ma so che non è così. Mi manca da morire; non vedo l’ora di stare meglio per andare a cercarlo. Sento che è là fuori, da qualche parte,  anche se non può tornare, e qualcosa mi dice che io, e solo io,  posso trovarlo.
Non so se lo sai, ma Thorin intende rinunciare al trono. Non posso che approvare, anche se questo mi mette nei guai, perché indovina chi dovrà rimpiazzarlo? Almeno finchè non avrò trovato Fili. Conto sul tuo aiuto, quindi sbrigati ad arrivare.
Non ho più visto Thorin dal giorno della battaglia, stavamo tutti e due troppo male per far visite. Non sono ansioso di incontrarlo, perché non so chi mi troverò davanti: lo zio di sempre o un mostro avido e folle d’orgoglio? Balin dice che ha capito i suoi errori, ma non sono sicuro che quel mostro non esista ancora, da qualche parte. Lia dice di lasciar passare del tempo, e forse ha ragione. Vedremo. Forse quando sarai qui sarà più facile.
Ora devo chiudere perché non voglio stremare il mio messaggero con un peso eccessivo. Per quanto robusto, è solo un corvo.”

Aveva appena finito di ripiegare il messaggio, quando arrivò Balin.
Il vecchio Nano sedette: era chiaramente stanco.
“Ho trovato una soluzione; non è proprio quello che vuoi, ma è il meglio che si possa fare.”
Kili annuì ed invitò Balin a preseguire con un gesto della mano.
“Thorin sottoscriverà un atto di rinuncia al trono davanti ad un Consiglio di Nani. Chiarirò che la cerimonia formale al momento non è possibile, perché siete ancora convalescenti e perché siamo impegnati nel ripulire e rendere abitabile Erebor. A proposito, la prossima settimana potremo trasferirci: una prima zona sarà pronta, sufficiente per noi, per tutti quelli che ci hanno raggiunto dalle Montagne Grigie e  per i Nani dei Colli Ferrosi che vorranno rimanere anche solo per collaborare ai lavori.”
“Benissimo: sono proprio stufo di vivere in una tenda in mezzo alla neve, senza poter mettere fuori il naso per il freddo.”
“Non hai idea di come siano soddisfatte le mie vecchie ossa!” ridacchiò Balin. “L’inverno è fatto per stare a cuccia davanti al fuoco… ma tant’è.  Dal momento quindi che  la cerimonia al momento non si può fare, prima di rinunciare Thorin ti conferirà la Reggenza, così potrai agire in piena legittimità a nome del Regno.”
“Perfetto, Balin! Sapevo di poter contare su di te! Così quando Fili tornerà dovrò solo rinunciare alla Reggenza, e il trono sarà suo!” Kili respirò, sollevato, ma Balin non aveva finito.
“La reggenza non può durare  all’infinito. Mi aspetto che qualcuno voglia già sentire una data, e la risposta dovrà essere accettabile e in qualche modo giustificabile.”
“Cosa vuoi dire?”
“Solo fino al giorno di Mezza Estate, Kili. Non riesco proprio a trovare un motivo per ritardare oltre  la cerimonia di incoronazione, almeno adesso. Se proponessimo una data più lontana non verrebbe accettata. La rinuncia di Thorin passerà senza obiezioni; tu sei l’erede legittimo, al momento, quindi gli eventuali mal-di-pancia saranno tacitati facilmente, specie con Dàin dalla tua parte;  diremo che l’incoronazione ufficiale si farà a Mezza Estate, come data simbolica, e per avere il tempo di rendere abitabile Erebor, e che per il momento sei Reggente. Ma devi promettermi che se Fili non torna in tempo, tu sarai Re.”

Il giovane principe guardò di traverso Balin, seduto davanti a lui. Chiuse un attimo gli occhi. Sì. Lui tornerà in tempo.
“D’accordo, Balin. Facciamolo.”
“Non hai ancora incontrato Thorin, ma prima o poi…” argomentò Balin. Kili sospirò.
“Lo so.” Alzò gli occhi  e per un momento il vecchio Nano vide dello smarrimento nel suo sguardo. “Sarà difficile.”
“Sono sicuro che lo sarà di più per lui, ragazzo.”


Angolo autrice
Groac fa alcuni riferimenti che saranno perfettamente comprensibili agli appassionati di Tolkien, o anche semplicemente a chi abbia letto Il Signore degli Anelli  e Il Silmarillion.
Dal momento che però molti hanno scoperto la Terra di Mezzo solo con i film di PJ, preciso:
Thrain : non si tratta del padre di Thorin, Thrain II, ma di Thrain I. Nelle appendici del Signore degli Anelli , nella sezione  Il Popolo di Durin  e negli Annali dei Re e dei Governatori,  si narra  che fu Thrain I a condurre i Nani alla Montagna Solitaria, intorno all’anno 2000 T.E. ( la nostra vicenda si svolge nel 2941 T.E.), e che fu lui a trovare l’Arkengemma.
Kementàri:  appellativo di Yavanna, una delle Valier e moglie di Aule, che i Nani chiamano Mahal. Sì, è la Yavanna del titolo. E sì, certo che c’entra. Non do titoli a caso.
Gwaihir :  Re delle Aquile delle Montagne Nebbiose. E’ lo stesso che va a recuperare Frodo e Sam sul Monte Fato.
Finiti i riferimenti tecnici, grazie a fede95 e MaleficDwarf per l’attenzione; a Yavannah, Halfblood-Slytherin, F a i r , LilyOok e innamoratahobbit per la fedeltà! E naturalmente a tutti i lettori silenziosi, grazie! Un abbraccio
Idril

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Capitolo 18
*** La Gente del Fiume ***


18 La Gente del Fiume
Premessa.
Questo è un capitolo di passaggio, e temo che sarà poco interessante, ma mi è necessario per presentare i nuovi personaggi. Ancora? Ebbene sì. Abbiamo un altro cambio di scena! In effetti questa ff era iniziata come un breve racconto, stile “Erede di Durin”, una quindicina di capitoli, ma a poco a poco si è sviluppata di sua iniziativa come l’edera velenosa… ma non abbiate paura, non arriverà alle dimensioni delle “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”. Credo.
Qualche chiarimento tecnico alla fine del capitolo. Buona lettura!

18 La Gente del Fiume

Neala camminava  a grandi passi sul sentiero che portava al fiume. Fumava di rabbia al punto da non sentire nemmeno  il freddo pungente: la neve era finalmente arrivata anche sul Grande Fiume, in ritardo, ma quello era l’anno delle stranezze. Da mesi erano in allerta: il loro Signore aveva ordinato di sorvegliare i confini, ed era stato un bene. Orchi dappertutto, moltitudini di quella spazzatura di Goblin, Lupi Mannari ed altre amenità avevano tenuti occupati gli uomini, ma per fortuna non  erano interessati al saccheggio o alle razzie: erano tutti diretti a est. Dopo qualche settimana di calma, rieccoli, diretti a ovest, questa volta; suo padre, suo fratello, gli zii e tutti i vicini erano di guardia venti miglia più a nord. Gli esploratori parlavano di una colonna numerosa ma malconcia, e si diceva di una grande battaglia, là oltre il Bosco, in cui gli Orchi avevano avuto la peggio. Era una buona notizia, in sé; ma quei reduci sconfitti potevano  essere anche più pericolosi, se si fossero dati alle razzie.
La consegna, per tutti, era ‘occhi aperti e non allontanatevi da soli’; quindi tecnicamente Neala non avrebbe dovuto essere lì. Ma era talmente furiosa che se fosse rimasta in casa avrebbe mangiato viva sua sorella, quindi aveva preferito scontare subito il suo castigo; e comunque un Goblin che si fosse messo sulla sua strada in quel momento se ne sarebbe pentito amaramente.
Strinse più forte il cesto della biancheria sporca sotto il braccio, resistendo alla tentazione di scaraventare il tutto nel fango.
Odio  i castighi inutili! Che senso ha lavare la biancheria al fiume in pieno inverno?
In realtà, essendo  un castigo, sua madre aveva scelto la cosa più fastidiosa che le era venuta in mente così sui due piedi; probabilmente Neala poteva ringraziare il Padre delle Acque di non essere stata spedita a dissodare le aiuole dell’orto mentre nevicava.
La ragazza strinse i denti: avrebbe avuto voglia di urlare, ma era troppo vicina alla casa, e non era il caso di provocare ulteriormente sua madre.
Maledetta Sybella, me la pagherai. Lo giuro. Perché, perché la sorte le aveva mandato una sorella maggiore così smorfiosa e saccente? Perché Sybella non si faceva mai, ma proprio mai, i fatti suoi?  Perché non rimaneva a guardarsi allo specchio, la sua principale preoccupazione? No: doveva sempre impicciarsi di quello che faceva Neala.
Che bisogno aveva di andare a raccontare a mamma che il mio ricamo lo aveva terminato  Byrna, ieri, mentre io ero fuori?
Eh, già: ma chi aveva inventato il ricamo? Chi diceva che ogni ragazza doveva passare un tempo infinito in un’occupazione così noiosa? Neala aveva da fare! Stava iniziando a nevicare, e qualcuno doveva assicurarsi che gli scoiattoli avessero abbastanza provviste! E come avrebbero fatto i suoi passeri se nessuno avesse portato loro le briciole del pane?
La ragazza passò il cesto da un braccio all’altro e scosse il capo, facendo ondeggiare i riccioli del colore delle castagne mature.
Sybella è la maledizione della mia vita! Di sicuro il Padre delle Acque l’ha mandata per insegnarmi la pazienza. Proprio come quell’arpia della zia Egles! Di quelle persone che ti fanno sempre sperare di vederle cadere di faccia in una pozzanghera melmosa!
Il pensiero di sua sorella con la faccia coperta di fango le regalò un attimo di delizia, ma non durò molto. La cesta pesava e ad ogni passo le rammentava il castigo che doveva scontare.
E poi, ma chi si crede di essere! Una stupida elfa? Beh, stupida lo è di certo, ma quanto a somigliare ad un’elfa… ah,ah,ah! Solo perché è bionda con gli occhi azzurri… sempre lì a lisciarsi i capelli! E mangiare solo insalata! Ma pensa davvero che dormire con una molletta da bucato sul naso lo renderà più affilato? E se mamma sapesse le schifezze che si mette in faccia per sembrare più pallida!
Beh, avrebbe potuto essere una bella vendetta,  raccontare a tutto il villaggio le mille cose idiote che faceva quella stupida di sua sorella, ma Neala sapeva che non l’avrebbe fatto. Non era da lei: la sua vendetta doveva essere più privata e diretta.
Potrei tagliarle i capelli mentre dorme.
Scosse la testa. Una bravata simile e avrebbe lavato biancheria al fiume per le prossime tre stagioni. Però…
Potrei mettere della polvere di carbone in quella stupida crema lisciante che usa per i capelli. O per la faccia. Voglio vedere cosa racconterà a mamma.
Per un attimo si cullò immaginando la scena, ma un nuovo impeto di rabbia spazzò via il compiacimento. Per il momento, lei era lì, con quei maledetti panni sporchi…
Uscì dalla boscaglia ed arrivò sulla riva del Grande Fiume. Sulla sua sinistra, era stato scavato un bacino artificiale, coperto da una tettoia e  munito di pietre piatte sagomate, fatte apposta per lavare. Da utilizzarsi d’estate, beninteso: d’inverno si lavava in casa, con l’acqua calda!
A meno che non ti abbiano affibbiato un castigo maledetto!
Scelse la pietra più vicina e si inginocchiò. Prima di iniziare, però, alzò gli occhi e si guardò intorno, contemplando il panorama imbiancato. Il fiume scorreva ampio e lento, ma Neala sapeva che nascondeva correnti profonde ed infide, che erano costate la vita a molti sprovveduti. Attraversare l’Anduin, anche così lontano dalla foce, era un affare serio, da farsi solo in pochi punti selezionati: uno dei più importanti era il Guado di Carrock, molte miglia più  a nord… ed  anche lì gli incidenti non erano infrequenti: succedeva spesso che la gente del villaggio ripescasse il cadavere di qualche imprudente viaggiatore che aveva messo il piede in fallo durante il guado. La corrente portava corpi e masserizie sempre nello stesso punto.
Gli occhi di Neala corsero istintivamente all’Ansa dei Relitti… e le sfuggì un’esclamazione.
L’Ansa era letteralmente cosparsa  di relitti. E di cadaveri.

Neala sapeva che la curiosità sarebbe stata la sua rovina, una volta o l’altra; ma non poteva resistere.  Abbandonata la biancheria, percorse il sentiero lungo la riva e si avvicinò cautamente all’Ansa. Una bassa spiaggia sassosa  la circondava, e proprio quella caratteristica faceva sì che relitti e corpi si sottraessero alla corrente, che in quel  punto rallentava, e si arenassero.
Goblin… e qualche Orco.  Neala capì subito che l’orda aveva guadato il Grande Fiume, e la traversata aveva riscosso un prezzo: salato, a quanto pareva. Avrebbe dovuto avvisare subito suo padre; non che si potesse recuperare qualcosa, ma quella roba avrebbe fatto danni se fosse rimasta troppo tempo lì a marcire. Il suo sguardo curioso percorse tutta la riva, cercando di fare un inventario di quello che vedeva.
In quel momento un raggio di sole si fece largo tra le pesanti nuvole ed andò ad illuminare la riva. Neala stava per voltarsi e tornare a casa, quando qualcosa attirò la sua attenzione: un bagliore, un… un colore che le sembrava incongruente tra il bianco della neve ed i neri ed i marroni della riva e di quanto vi si trovava. Cercò di trovare il punto, ma invano. Ripercorse con attenzione tutta la scena: niente. Eppure…  e proprio quando stava per rinunciare, convinta di essersi sbagliata, rieccolo! Il sole era riapparso, ed illuminava qualcosa di molto più chiaro, qualcosa che la luce sembrava incendiare…
Esitò solo un attimo. Sollevò le gonne e si avviò sulla riva, sforzandosi di non guardare i cadaveri dei Goblin. E proprio sotto un cumulo di masserizie e rami secchi, ecco…
Questo non è un Goblin, e nemmeno un Orco.  Si avvicinò, per essere sicura.
Non ha nemmeno l’aspetto di un annegato, pensò Neala. Allungò la mano e  toccò la capigliatura fradicia ed arruffata, scostandola dal viso: era quella che aveva attirato la sua attenzione, provocando quel riflesso; niente a che vedere con il nero tipico di Orchi e Goblin.  Era disteso  a faccia in giù, e non si vedeva molto, ma non c’erano dubbi. Questo è un Nano… e respira.
Si voltò e corse verso casa.
Non aveva visto che, dall’altra riva, qualcuno stava seguendo con interesse la scena. L’osservatore sapeva benissimo che non poteva affrontare la traversata del fiume in quel punto, né per diverse miglia a nord o a sud. Però poteva essere interessante sapere cosa sarebbe successo: si nascose meglio tra i cespugli rinsecchiti e si dispose ad attendere.

Maledizione, legato come un salame un’altra volta!
Questo fu il primo pensiero coerente che riuscì a mettere insieme. Era disteso sulla schiena e non riusciva a muoversi. Ancora prigioniero.
Il secondo pensiero fu che aveva dolori dappertutto.
Il terzo fu che qualcosa non quadrava.  
Infatti, per quanto il guaritore Orco fosse sorprendemente premuroso e competente, certo non disponeva di cuscini. Né di materassi. Gli Orchi non sono ancora a conoscenza di invenzioni come i materassi di piume. Mentre sentiva chiaramente l’uno e l’altro sotto di sé.
Era certo un sollievo non essere più prigioniero degli Orchi,  e se chi l’aveva trovato si era preso il disturbo di ficcarlo in un letto,  con tanto di lenzuola e coperte, notò, di sicuro non doveva avere intenzione di fargli la pelle, quanto meno non subito, però meglio non correre rischi.
Se il trucco aveva funzionato una volta, poteva funzionare una seconda.
Deciso quindi a fingersi incosciente anche questa volta, allargò il raggio della sua attenzione, e subito ebbe un’amara sorpresa. Aveva un braccio immobilizzato contro il torace, e la sua gamba destra era steccata. Cercò di muoverla, e fu subito evidente che era malamente fratturata. Non andrò da nessuna parte. Niente razzie notturne… quindi niente cibo né acqua.
I suoi piani andavano rivisti, ed immediatamente.

Diventava indispensabile capire chi  l’avesse trovato e che intenzioni avesse.  Socchiuse appena un occhio, cercando di sbirciare tra le ciglia.
Era una normale camera da letto, non grande ma nemmeno piccola, arredata con mobili semplici ma di buona qualità. Non troppo grandi per lui. Una finestra con tendine colorate. La luce gli disse che era pieno giorno, forse primo pomeriggio. Una porta massiccia. Chiusa.  Gli ricordava casa sua.
Escluse di essere capitato tra gli Elfi.
E allora, chi?
La maniglia della porta si mosse, e lui chiuse istantaneamente gli occhi.

Qualcuno si aggirava nella stanza, con passo leggero. Sentì una mano sulla fronte, un tocco delicato. La curiosità era veramente troppa, e lui socchiuse di nuovo gli occhi…
Una figura sottile, circonfusa da un bagliore dorato.
“Sei sveglio, allora?”
Beccato come un idiota. E adesso?
Adesso facciamo l’idiota.  Spalancò gli occhi, fissò dritto in faccia il personaggio misterioso, e tutte le sue idee si sparpagliarono.
Un’elfa!  Ma subito capì di essersi sbagliato. Una ragazza.  L’errore era stato causato dalla capigliatura lunga, liscia e bionda, ma il viso, seppure molto grazioso e dai lineamenti fini, non aveva niente di elfico. Però quel nasino all’insù è proprio simpatico.
La ragazza sbattè le lunghe ciglia su due occhioni azzurri e sorrise.
“Ciao. Chi sei?”
Fu lì lì per gettare alle ortiche la prudenza, ma la vocina furiosa, dentro la sua mente, che gli urlava insulti già da un po’, ebbe la meglio. Rispose con una domanda in Khuzdul.
“E tu chi sei, raggio di sole?”
L’effetto fu quello prevedibile: la ragazza lo guardò perplessa. Non sono in molti a capire il Khuzdul…  quindi si voltò ed uscì dalla stanza, lasciando la porta aperta.
“Padre! Si è svegliato, ma non capisco cosa dice!”
Un trapestio nella stanza accanto gli fece capire che vi si dovevano trovare molte persone. Poteva provare a fare il confuso per un po’, ma il gioco non avrebbe retto molto; e chi avesse avuto cattive intenzioni non avrebbe certo mandato una ragazza come quella a tenerlo d’occhio.  Inoltre non sembrava possibile che quella casa fosse abitata da amici degli Orchi. Anche la vocina furiosa si stava acquietando.
Quando gettò un’occhiata alle  tre persone che si affacciarono sulla soglia, la decisione fu presa.
“Mi… mi dispiace,” esordì, in Lingua Corrente, “non avevo intenzione di spaventarla…”
“Non ho dubbi, amico mio,” rispose quello che , all’apparenza, sembrava il capo: un Uomo, di mezza età, con folti riccioli castani striati di grigio, vivaci occhi nocciola ed una scarsissima barba. Piuttosto basso per essere un Uomo, ma gli altri erano ancora più bassi; sicuro di sé, evidentemente abituato ad esercitare autorità, si muoveva con l’agilità di un guerriero, o di un esploratore. “Non ti dispiacerà se ti faccio qualche domanda…”
“Oh, Tad, non ti sembra di esagerare? Lascia in pace questo povero ragazzo almeno per un po’. Sarà già abbastanza confuso  senza che tu peggiori la situazione!” la donna doveva essere chiaramente la moglie: piacevolmente  in carne, un viso tondo  dalle guance rosse, con tante piccole rughe del sorriso agli angoli degli occhi azzurri dallo sguardo dolce e materno, il tutto incorniciato da boccoli castano chiaro trattenuti da un fermaglio a forma di farfalla. “Dimmi, hai fame?”
Lo sguardo del Nano  ferito correva, meravigliato, dall’uno all’altra; erano così normali  che gli vennero le lacrime agli occhi. Per la prima volta, dopo tante settimane difficili, si sentì al sicuro. Guardò la donna ed annuì.
Sì, aveva fame. E tanta.



Angolo autrice
La Gente del Fiume è una mia invenzione, ma ispirata ad un paio di particolari. Nel prologo del “Signore degli Anelli” ( “A proposito degli Hobbit”), leggiamo che gli hobbit erano originari della zona sulle rive dell’Anduin ad est delle Montagne Nebbiose, e che in seguito migrarono verso ovest fino ad arrivare alla Contea; e quando Gandalf parla per la prima volta a Frodo dell’Anello, a Casa Baggins, spiega le origini di Smeagol-Gollum, raccontando di una popolazione affine agli hobbit Sturoi,  che viveva sulle rive del Grande Fiume, evidentemente discendenti di coloro che non migrarono a ovest.  E’ vero che sono passate centinaia di anni; ma anche ne “L’Hobbit” si parla dei popoli del Fiume, che Beorn aveva riunito sotto il suo dominio  e che mantennero il controllo dell’Alto Passo e del Guado di Carrock  fino ai tempi della Guerra dell’Anello (come racconta Glòin a Frodo a Gran Burrone prima del Consiglio di Elrond): immaginate quindi una popolazione mista, una specie di sintesi tra antichi Sturoi e Uomini…
Il Padre delle Acque : Ulmo.

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Capitolo 19
*** Una strana coppia ***


19 Una strana coppia
19 Una strana coppia

La neve cadeva sempre più fitta, e la colonna si trascinava stancamente. Il Nano tentava inutilmente  di trovare un po’ di riparo schermandosi dietro l’ampia forma dell’Orco che procedeva avanti a lui tenendo il capo della corda che legava i polsi dei prigionieri.
Invano. Anche procedendo a capo chino, la neve, spinta dal vento, gli si attaccava alle ciglia ed alle sopracciglia, per non parlare dei ghiaccioli che pendevano dalla barba incolta. Con un mugolìo rabbioso sputò neve e baffi, e sollevò le mani davanti alla faccia per ripulirsi: non riusciva più a vedere dove stava andando.
Si accorse che l’Orco si era fermato appena in tempo per non sbattergli attosso. Per Mahal, no! Puzza come l’inferno…
L’elfo dietro di lui non fu altrettanto pronto e quasi gli rovinò addosso. Il Nano si voltò con un sogghigno:
“D’accordo che hai freddo, d’accordo che non resisti al mio fascino, ma insomma…! Questi Orchi potrebbero pensare male!”
Lirien rispose con uno sguardo infelice. L’Elfo appariva particolarmente miserabile: fradicio, vestito troppo leggermente, i capelli che pendevano flosci sulle spalle, sembrava un pulcino bagnato.
Da quando erano rimasti soli, il Nano aveva sviluppato verso il suo compagno di prigionia un atteggiamento protettivo che stupiva lui stesso per primo. Elfi e Nani di solito si  mescolano come l’acqua e l’olio; non si comprendono affatto e spesso si disprezzano. Nello specifico, quel  Nano e quell’Elfo non avevano proprio niente in comune. Eppure era successo qualcosa. Il Nano sapeva che l’Elfo era molto più vecchio di lui; sapeva che era un guerriero addestrato ed esperto, ma nonostante tutto gli dava l’impressione di qualcuno bisognoso di guida e di aiuto; e da parte sua l’Elfo aveva imparato a fidarsi di quel Nano sconosciuto in modo del tutto inaspettato.
Devo avere  l'istinto della chioccia. Siamo veramente una strana coppia, quanto mai improbabile,  pensò il Nano, non per la prima volta.  Era stato l’Elfo ad iniziare con un timido approccio; a poco a poco la diffidenza atavica era svanita, tanto che il Nano, in una serata in cui entrambi erano particolarmente depressi, prima ancora di rendersene conto, aveva svelato a Lirien la sua perdita di memoria.
La cosa aveva colpito moltissimo il giovane Elfo. Come conseguenza, aveva raccontanto al Nano tutti i particolari che ricordava sulla vicenda che aveva portato alla Battaglia in cui entrambi erano stati catturati: sulla Montagna Solitaria, su Smaug,  Laketown, gli Elfi, gli Orchi, i Nani dei Colli Ferrosi, i Compagni di Thorin Scudodiquercia, che Lirien non aveva mai visto durante la loro prigionia nel Reame Boscoso.  Se non ancora il seme dell’amicizia, quanto meno quello della solidarietà era stato piantato; e logica conseguenza fu collaborare al loro progetto.

Per giorni avevano prestato attenzione ad ogni particolare, sperando che si presentasse una possibilità di fuga. Niente.  A volte, a sera, mentre consumavano il loro magro pasto, i due prigionieri si guardavano sconsolati: ogni passo li portava sempre più vicini a Gundabad, e una volta lì… come fuggire da quella fortezza in mezzo alle Montagne Nebbiose, in pieno inverno? Nella migliore delle ipotesi sarebbero stati subito ripresi, nella peggiose sarebbero caduti  in qualche burrone, o morti di fame e di freddo.
E così, la colonna aveva continuato a procedere lentamente verso Nord, sempre lungo il Grande Fiume; gli Orchi si fermavano spesso, per approvvigionarsi pescando o cacciando i pochi animali ancora in giro. Ogni sera si accampavano, ma non c’era più tempo per i combattimenti; tutti pensavano solo a trovare un modo per ripararsi, ed il Nano aveva notato che anche la disciplina si stava allentando: sembrava che la colonna procedesse alla cieca, senza nemmeno più utilizzare gli esploratori.
Fu questo il motivo per cui nessuno si accorse mai delle ombre che li seguivano passo passo, tenendosi ben nascoste tra gli alberi: ombre che, evidentemente, avevano uno scopo ben preciso e molta pazienza; e fu sempre per questo motivo che successe qualcosa di inaspettato.

Il Nano se ne stava fermo, a testa bassa, quasi curvo contro la furia del vento gelido. Ad un tratto l’Orco davanti a lui ripartì, deviando  verso sinistra e tirandolo con sé, ed improvvisamente  la bufera si attenuò. Alzò gli occhi, e vide una ripida parete rocciosa ergersi alla sua destra, mentre dall’altra parte comparvero le sagome di alti alberi:  erano entrati in una valle relativamente stretta, e sotto i suoi stivali comparvero, qua e là, lastre di pietra. Era l’Antica Via di cui gli aveva parlato  Lindir, e capì che si stavano inoltrando nel profondo delle Montagne.
Non c’è più tempo.

Improvvisamente la colonna si bloccò. Più avanti, grida d’allarme, urla nella orribile lingua degli Orchi, e clangori metallici; due Orchi furono al fianco dei prigionieri, e li strattonarono, spingendoli  nel folto del bosco. Allontanatisi dalla strada di circa cento passi, li gettarono a terra contro un albero e legarono intorno al tronco la corda che tratteneva i polsi dei prigionieri.
“Ehi!” gridò il Nano, “che succede?”
“Silenzio, se tieni alla testa,” grugnì uno dei due. L’intero bosco era pieno di rumori di combattimenti. Gli Orchi si stavano scontrando con qualcuno, ma chi?  
Le loro sentinelle si agitavano, grugnendo tra di loro. Ad un tratto si sentirono dei rumori particolarmente vicini, nella boscaglia, ed uno dei due, facendo cenno all’altro di non muoversi, vi si inoltrò. Ne uscì pochi minuti dopo.
“Ehi, Shagat! Che succede?”
“Non ho visto niente. Aspetta qui, proverò ad andare più avanti.”

Il Nano   era deciso a cogliere l’occasione. Alzò gli occhi verso Lirien e incontrò quelli dell’Elfo, chiari ed altrettanto vigili. L’Orco sentinella voltava loro le spalle, ma erano legati all’albero…
Poi il Nano si accorse che il suo compagno stava facendo strani movimenti con le spalle, guardandolo fisso; e ad un tratto l’Elfo si lasciò andare contro il tronco,  sollevando le ginocchia e nascondendo i polsi in grembo. Il Nano sentì che la corda che lo legava al tronco si allentava, e cominciò a tirare; a  poco a poco, lentamente, centimetro per centimetro, raccolse la corda tra le mani, senza mai distogliere lo sguardo dalla sentinella, che però non stava prestando loro alcuna attenzione. Saltellando e stringendo le armi, l’Orco ruotava di scatto la testa da una parte all’altra, attento ad ogni rumore; ma sembrava che i suoni del combattimento e le urla si allontanassero anziché avvicinarsi.
Il Nano alzò a sua volta le ginocchia ed incassò le spalle, per nascondere le mani; l’Elfo allungò una delle sue e con le dita agili sciolse velocemente il nodo che fissava il polso destro del Nano, liberandolo. Bastava.

Il Nano ripiegò più volte la corda, attorcigliandola; quando fu soddisfatto fece un cenno all’Elfo, che cominciò a gridare.
“Ehi! Aiuto! Siamo prigionieri! Liberateci!”
L’Orco si voltò di scatto, con un grugnito, e si precipitò verso l’albero con la mazza levata per far tacere quell’importuno; ma quando fu abbastanza vicino, l’Elfo distese di colpo le lunghe gambe,  l’Orco non potè evitarle e cadde rovinosamente. Non riuscì a toccare il suolo: la corda attorcigliata era intorno al suo collo, mentre il Nano stringeva finchè l’altro smise di dibattersi.
“Presto, via di qui!”
I due si inoltrarono nel bosco, correndo a perdifiato finchè non ritennero di essere sufficientemente distanti; quindi si fermarono, per decidersi sul da farsi.  I rumori dei combattimenti erano piuttosto lontani: per il momento, erano al sicuro.
“Da che parte?” chiese il Nano, boccheggiando per la lunga corsa. Non sono più abituato a questi scatti.
L’Elfo si guardò intorno: erano in mezzo ad alti abeti, tutti uguali. La corsa frenetica aveva fatto loro perdere il senso dell’orientamento, e la neve che continuava a cadere, sebbene meno fitta, contribuiva a confonderli.
“Saliamo su un albero…” propose Lirien, “magari si vede qualcosa.”
Dovettero salire parecchio. La visuale era ridotta dalla nevicata, però parve loro che a destra il terreno salisse, non così a sinistra.
“La strada stava salendo tra le Montagne,”  argomentò il Nano.
“Per quel che ricordo, dovrebbe salire fino all’Alto Passo: è vero che ci sono parecchi dislivelli, ma credo che il primo tratto vada solo all’insù, quindi l’Alto Passo è di là,” indicò alla sua destra, “e la pianura ed il Fiume dall’altra parte.”
“Quella è la nostra direzione,” assentì il Nano. Aveva da tempo deciso che sarebbe andato verso est; e Lirien gli aveva comunque promesso che in sua compagnia avrebbe attraversato  tranquillamente il Bosco  fino alle Aule di Thranduil, e da lì tramite il Fiume Foresta avrebbe potuto raggiungere Laketown, Erebor o i Colli Ferrosi, a sua scelta.
Silenziosamente scesero dall’albero e scivolarono tra gli alberi; ma la loro manovra era stata attentamente osservata.

“Shagat! Cosa ci fai qui?” L’Orco affannato, appena sbucato da un sentiero, apostrofò bruscamente il compagno proveniente dalla direzione opposta. “Chi sorveglia i prigionieri?”
“Tra-dak. Ma cosa sta succedendo? Anch’io voglio combattere! Anch’io voglio il bottino!”
“Ma quale bottino, razza di idiota! Siamo stati attaccati!”
In quel preciso istante, un frastuono accompagnato da urla guerresche annunciò l’arrivo di un nutrito gruppo di inseguitori. Shagat rimase fermo.
“Ma.. ma chi sono..?”
“E che ne so… sono tanti, e cattivi! Corri, corri!”

“Sta arrivando qualcuno!” Lirien si bloccò: il suo udito da Elfo l’aveva avvisato che stava succedendo qualcosa. Il Nano si guardò intorno alla ricerca di un riparo: niente da fare, non c’era sottobosco in quel punto.
“Per di là! Corri!”
Non era facile percorrere velocemente la zona, piena di rami caduti e di insidie; i due fecero del loro meglio, ma gli inseguitori non mollavano, anzi guadagnavano terreno.
Ci riprenderanno! Pensava il Nano. Passi pesanti si facevano sempre più vicini, e guardandosi alle spalle vide alcune figure avvolte in cerate nere, che brandivano le solite mazze ed asce.
Ad un tratto un albero enorme si parò davanti ai due fuggitivi. Lirien, fulmineo, spinse il Nano a destra dell’albero, facendolo ruzzolare per diversi metri giù da un pendio; lui stesso si gettò invece a sinistra.
Il Nano finì la sua corsa dentro un grosso cespuglio di agrifoglio, convenientemente adorno di splendide bacche rosse … e delle corrispondenti spine, che immediatamente catturarono ogni centimetro dei suoi vestiti, capelli, barba, e pelle. Più si agitava per liberarsi, più si ritrovava invischiato.
Fermo. Sto peggiorando la situazione. Cercò di ragionare. Non poteva certo chiedere aiuto; non vi era nessun inseguitore in vista, ma se avesse attirato l’attenzione se li sarebbe subito trovati addosso.  I suoi ragionamenti furono interrotti da grida rabbiose.
Lirien! L’hanno trovato…  l’istinto lo spingeva a correre in aiuto al compagno, ma le spine lo trattenevano con una tenacia incredibile. Spezzò alcuni rami, ma riuscì solo a liberare una gamba; le spine si piantavano sempre più profondamente nella sua carne.
Devo uscire di qui!
Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Ragiona. Guardati intorno.  Restando immobile, passò lentamente in rassegna il suo corpo e le immediate vicinanze. Scivolando, si era infilato di schiena sotto il cespuglio. Tornare indietro  era fuori discussione: ci aveva già provato. Dall’altra parte, però… a poca distanza dalla sua spalla, ecco il grosso  tronco centrale del cespuglio. L’acqua piovana, scorrendo, aveva liberato una zona intorno alle radici, ed appena più in là, un tronco cavo di un albero caduto da chissà quanto tempo.
Se provo a spingere quel tronco…
Fece scivolare le gambe sul terreno, imprecando ad ogni movimento per le foglie spinose; spezzò alcuni rametti con le mani, pungendosi abbondantemente, ma, come Mahal volle, si trovò nel bel mezzo del cespuglio, con gli stivali puntati contro il tronco morto.

Fu una fatica improba, e non seppe  mai quanto tempo ci fosse voluto, ma lentamente il tronco scivolò verso l’esterno, aprendo un varco tra i rami; il Nano si spostò lungo il varco, dietro al tronco, finchè entrambi non furono fuori dalla parte opposta.
Bene. Adesso devo trovare Lirien. Si rese conto che l’idea di andarsene senza l’Elfo non gli era nemmeno passata per la mente. Cercò di giustificarsi con se stesso, dicendosi che da solo non sarebbe andato lontano,  che non conosceva la zona, e di certo non avrebbe potuto attraversare Bosco Atro  senza un Elfo a fargli da guida, e coì via… avanti, sono tutte scuse. Lo sai che non potresti mai lasciare un amico nei guai, specie se questo amico ti ha appena aiutato a fuggire. Rise di se stesso, mentre esaminava circospetto la radura in cui era finito. I suoi sconosciuti antenati si sarebbero rivoltati nella tomba a sentire il loro indegno discendente chiamare amico un Elfo. Il mondo va alla rovescia.
Un frastuono nella boscaglia lo spinse a trovare rifugio di nuovo sotto la siepe di agrifoglio, tirando a sé il tronco. Imprecando  contro le spine, vide passare al galoppo un pony, sellato ma senza cavaliere, seguito da vicino  da due Orchi ululanti che cercavano, evidentemente, di procurarsi la cena.
Un pony? E da dove diavolo viene un pony?  Gli Orchi non ne avevano.
Stava meditando di uscire, quando un altro frusciare di rami lo costrinse a battere precipitosamente in ritirata.
Chiunque fosse in arrivo, non aveva fretta. I rumori proseguivano, ed  i cespugli di sempreverdi ai margini della radura vibravano, finchè si aprì un varco e comparve un secondo pony, questo carico di fagotti e sacche: un animale da soma. Niente Orchi all’inseguimento.
Il pony si aggirava lentamente nella radura, strappando le rade erbe che emergevano dal suolo innevato. Il Nano lo contemplava, molto interessato.
Chissà cosa c’è in quegli involti. Magari qualcosa da mangiare. Magari delle coperte!
Se doveva inseguire gli Orchi e tentare di liberare Lirien, quel pony era una manna dal cielo. Anche se non ci fosse nulla di interessante nel bagaglio, e ci credo poco, posso sempre montarlo. Al massimo mangiarlo.
Devo catturarlo.

Presa questa importante decisione, il Nano strisciò lentamente fuori dal cespuglio. Senza perdere di vista il pony, che peraltro non sembrava intenzionato ad andarsene, fece lentamente il giro della radura. Ancora pochi metri.  Buono, amico, buono… vieni da papà.
Il Nano non seppe mai come successe. Un secondo prima si stava avvicinando al pony, l’attimo dopo era stato scaraventato a terra da una meteora che l’aveva investito all’improvviso. E non contenta, la creatura si stava divincolando come un serpente, urlando e scagliando arti in tutte le direzioni, specialmente verso varie parti del corpo del Nano, che reagì tentando di ripararsi.
“Ehi! Cosa diavolo…” esclamò. Ma si immobilizzò quando qualcosa – un particolare – si fece strada nella sua mente confusa. La creatura stava urlando in khuzdul. Ed in verità, più che urlare, strillava.
La voce era inequivocabilmente femminile.
“Ehi! Ferma!” gridò il Nano, a sua volta in khuzdul.
Troppo tardi. Un pugno ben diretto si abbattè tra l’orbita sinistra e la radice del naso, facendogli esplodere dietro agli occhi milioni di stelle.

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Capitolo 20
*** Gwennis ***


20 Gwennis
20 Gwennis

“Ferma!” ripetè il Nano; e questa volta funzionò.
La bufera terminò repentinamente come era iniziata; la sua avversaria rotolò via da lui e gli consentì di alzarsi. Imprecando, il Nano  si tastò con precauzione il naso  e lo zigomo: no, faceva un male dannato, ma non sembrava ci fossero fratture. E adesso vediamo chi è questa pazza!
Appena schiaritasi la vista, squadrò l’autrice del danno.
Una Nana. E questo l’avevo capito. Abbigliamento da viaggio, di ottima fattura, decorato. Elegante. Coltelli: due, nella cintura. E forse altri negli stivali. Una tipa che sa difendersi, a quanto pare. Giovane, ma non una ragazza: una Nana adulta. Occhi grigi come nubi temporalesche: il riferimento era obbligato, vista l’espressione torva con cui fissava il suo interlocutore; pugni stretti e bocca serrata, come in preda ad un’ira furibonda. Una fiammeggiante testa rossa, che richiamò subito alla mente del Nano tutto quello che si diceva sul carattere delle persone con i capelli rossi.
Era sbalordito.
“E tu da dove sei piovuta?” chiese; si rese conto vagamente che doveva avere un’espressione idiota.
La rabbia sul viso della Nana lasciò il posto alla perplessità.
“… e tu? Non ti ho mai visto…” il Nano stava per rispondere che la cosa era reciproca, ma lei non lo lasciò parlare.
“Non sei della carovana!” il Nano pensò che il tono accusatorio fosse del tutto fuori luogo,  tentò di chiedere di quale carovana parlasse, e di dire che sì, in realtà era nella carovana con gli Orchi, ma ancora una volta fu zittito.
“La mia Signora non avrebbe mai permesso che uno dei suoi guerrieri fosse così sporco e malvestito!” dalla voce trapelò più di una punta di disgusto.
Il Nano non potè fare a meno di sentirsi un po’ offeso.
“Senti, signora bella, vorrei vedere te, se avessi passato quello che ho passato io! Non ho avuto molto tempo per passare dal sarto e dal barbiere, ultimamente, e fare il bagno nell’Anduin gelato non è così attraente!”
“Ma chi accidenti sei?”
Sempre con le domande difficili. La gente non ha altro da chiedere? Pensò il Nano, seccato. Alcuni tonfi  poco lontano lo riscossero.
“Non è il momento né il luogo per fare conversazione! Ti sei resa conto che il bosco è pieno di Orchi sanguinari?”
“Certo! Quei dannati mi hanno rubato il pony…”
La conversazione sembrava del tutto oziosa. Il Nano prese la sua compagna per una manica, e, ignorando le sue proteste, la trascinò tra due bassi cespugli sempreverdi.
“Ehi! E il mio pony?”
Il Nano la fulminò con un’occhiata.
“Zitta! Preferisci spiegarti con un branco di Orchi?” raccolse un nodoso bastone, si acquattò a sua volta tra i cespugli, a fianco della Nana, e si dispose ad attendere.

Gwennis era frastornata. Quella tranquilla mattinata si stava sviluppando in un pomeriggio da incubo.
Un minuto prima stava cavalcando placidamente  a fianco della sua Signora, ammirando la nevicata; e qualche minuto dopo tutta la carovana era in fermento. Gli esploratori avevano avvistato una colonna di Orchi che veniva loro incontro sull’Antica Via, ed era stato dato  l’ordine di combattimento. I guerrieri, esperti e preparati, si erano appostati; la sua Signora aveva sfilato l’ascia dal fodero fissato sulla sella, e le aveva detto:
“Cerca di stare fuori dai guai, d’accordo?”
Più facile a dirsi che  a farsi! Gwennis non si era mai trovata in mezzo ad una battaglia; in verità, fino a qualche mese prima aveva condotto una tranquilla vita casalinga… e poi tutto era finito. Una nuova opportunità, aveva detto la sua madrina; pur dispiaciuta di separarsi da lei, si era convinta che Gwennis non avrebbe mai potuto ricominciare una vita serena se non avesse lasciato Gabilgathol, dove era costantemente seguita dai pettegolezzi,  e così l’aveva spedita da sua cognata, che viveva più a sud-est, ed era rimasta sola di recente.  Pochi mesi per adattarsi ad un nuovo paese, il tempo di affezionarsi alla sua protettrice, ed era arrivata questa convocazione: la Montagna Solitaria era stata ripresa, e Re Thorin chiamava tutta la sua gente a difenderla. E così, di nuovo in viaggio! I coltelli erano nuovi di zecca: il maestro d’armi aveva iniziato ad insegnarle a difendersi ancora prima di partire, e durante il viaggio i volonterosi disposti ad allenarla non erano mancati, ma in realtà Gwennis non sapeva cosa avrebbe fatto in caso di necessità.
Al contrario di quel Nano misterioso che aveva appena incontrato, che invece aveva l’aria di sapersela cavare benissimo. Anzi,  pensò con un brivido, sembra anche un tipo un po’ losco. Guardandolo di sottecchi, lo soppesò rapidamente. Mahal ma quanto è malmesso! Ma da dove  diavolo viene?  
Improvvisamente si immobilizzò: aveva sentito un tocco sul fianco. Prima esitante, poi più deciso… e si stava spostando! Scendeva! E si dirigeva verso una zona piuttosto imbarazzante!
Per un attimo Gwennis raggelò. Sensazioni che pensava di aver scordato la investirono con violenza, facendole annodare lo stomaco; poi si riscosse, ed avvampò di rabbia.
Non ci posso credere! Ci sono Orchi dappertutto, siamo in mezzo a gente che combatte e si ammazza, e questo maledetto porco mi sta… mi sta toccando!
Sentì la furia montare come  una marea, mentre i tocchi si facevano sempre più arditi.
Orchi o non Orchi, gliela faccio vedere io! Altro che il naso gli rompo, brutto…
Si voltò di scatto, aspettandosi di vedere un ghigno lascivo dipinto sul volto del Nano, invece no. Non la stava affatto guardando; era, o sembrava, all’erta, tutti i sensi tesi, gli occhi che saettavano da un cespuglio all’altro, come per cogliere il più piccolo movimento.
La cosa la fece infuriare ancora di più. Fa finta di niente, il bastardo!
Alzò il braccio per sferrargli un pugno, ma il Nano, fulmineo, glielo bloccò con la mano destra, guardandola allarmato.  Solo con le labbra, senza emettere alcun suono, sillabò: che succede?
Gwennis aprì la bocca per coprirlo di insulti… e rimase così, paralizzata. Si era resa conto che la mano destra del Nano la stava ancora trattenendo per la manica, mentre il braccio sinistro era piegato davanti a lui, e la mano stringeva il bastone. E il tocchi sul suo.. ehm… continuavano!
Spalancò gli occhi ed il terrore le fece venire la pelle d’oca. Il Nano adesso la guardava con aria preoccupata.
“C’è…” Gwennis riuscì ad alitare, boccheggiano, “c’è qualcuno che mi … mi sta toccando il…”
Si inceppò ed arrossì violentemente. Le sopracciglia del Nano scattarono verso l’alto.
Stai ferma,  sillabò. Lasciò il braccio di Gwennis e  posò a terra la mano destra, aperta, in modo da poterla usare per far leva; strinse meglio le dita della sinistra sul bastone. Con un movimento lentissimo, ruotò il capo all’indietro.
Gwennis lo vide immobilizzarsi; poi girarsi di nuovo velocemente  in avanti, e nascondere la testa tra le braccia, le spalle scosse da un tremito. La Nana ci mise qualche istante a capire cosa stava succedendo… e quando credette di aver capito, beh, non ci poteva credere.  Ma… sta ridendo? Continuò a fissarlo, allibita, finchè lui non alzò il viso. Effettivamente stava ridendo fino alle lacrime, rosso in viso per lo sforzo di non emettere suoni. Con la testa le fece cenno di guardare dietro di lei.
Gwennis si voltò, e nonostante la situazione difficile in cui si trovavano, non potè fare a meno di ridacchiare. Lo sfacciato che si stava prendendo delle libertà non era altro che Billy, il suo pony da soma, alla ricerca degli zuccherini che solitamente la Nana teneva nelle tasche o nella tracolla.

L’intermezzo leggero durò solo qualche istante, perché il Nano si rese conto che il pony superava in altezza i cespugli dietro ai quali erano nascosti, e richiamava gli Orchi meglio di un fuoco acceso; e d’altra parte, di abbandonarlo non se ne parlava, avrebbero avuto un bisogno disperato  dell’animale e del suo carico, se volevano cavarsela.
“Dobbiamo spostarci e nasconderci meglio,” disse, “almeno finchè gli Orchi non se ne sono andati. Non ci metteranno molto, hanno bisogno di raggiungere il Monte Gundabad al più presto.”
“E tu come lo sai?” il Nano sospirò.
“Sei piena di domande, vedo, ma non è il momento. Se vuoi restare viva, muoviti: altrimenti mi prendo il pony e ti lascio qui!”
“Ma il pony è mio!” replicò lei, offesissima. Il Nano la guardò dritta in faccia.
“E. Allora. Muoviti!” sillabò. Ma anche questa idiota dovevo incontrare, non ho abbastanza guai?
Chiedendosi, non per la prima volta, cosa avesse mai fatto per offendere Mahal al punto  da meritarsi tutte quelle avversità, il Nano strisciò fuori dal cespuglio.
Gwennis era offesa. Come si permetteva quel vagabondo anche solo di pensare di rubarle il pony? Era peggio degli Orchi! Beh, forse peggio degli orchi no…  ha dei begli occhi. La voce del buon senso esplose dentro di lei. Cosa le veniva in mente di perdere tempo ad ammirare gli occhi di uno sconosciuto sporco e malmesso, quando era in un mare di guai! Dove’era la carovana? Come aveva potuto perdersi a questo modo? Cosa avrebbe fatto adesso?
Ci mise solo una manciata di secondi per rendersi conto che aveva bisogno di quello sconosciuto. L’unione fa la forza,  si disse, meglio assecondarlo.  Così strisciò fuori anche lei  afferrò le redini del pony, e seguì il Nano, trascinandosi dietro l’animale. Ma il pony lo tengo io!

“Da che parte?” chiese.
Il Nano si stava ponendo la stessa domanda; la corsa frenetica per fuggire gli aveva fatto perdere completamente l’orientamento; la neve non cadeva quasi più, ma era comunque difficile orizzontarsi in quel bosco sconosciuto.
“Sai per caso da che parte sia la strada?” chiese alla sua compagna. Lei rimase un attimo in silenzio. Lontano, si sentiva un rumore di acqua corrente.
“L’ultima cosa che ricordo è che ha costeggiato un torrente fino al punto in cui abbiamo incontrato gli Orchi. Gli esploratori dicevano che solo più avanti avrebbe deviato a nord,  quindi se troviamo il torrente e lo seguiamo dovremmo trovare la strada.”
Il Nano pensò che questo rialzava leggermente l’opinione che aveva della sua compagna. Almeno non è del tutto priva di buon senso.
“Buona idea,” annuì.

Il bosco sembrava deserto; l’unico rumore era quello lontano del torrente, e lo stormire dei rami. Gwennis osservava il Nano, ed ogni particolare che notava faceva sorgere in lei altre domande. L’abbigliamento era strano e disparato. Stivali che dovevano essere stati molto belli, in origine, ma ora erano decisamente malconci. Nessun equipaggiamento: cosa molto strana, per un viaggiatore lontano da ogni insediamento; niente armi, anche se la Nana aveva imparato a riconoscere l’andatura del guerriero. Che mistero è mai questo?
Sembrava un vagabondo che fosse stato lontano dalla civiltà per un tempo indefinibile; di sicuro non faceva un bagno da mesi, come le suggeriva il suo naso. Eppure sotto tutta quella sporcizia … Abbastanza giovane, e niente male. I lineamenti sembrano forti, più che belli, e lo sguardo è fermo.  
Anche il Nano si interrogava sulla tizia che gli camminava a fianco. La sua presenza in quel bosco era quanto meno sconcertante e del tutto fuori luogo. Era chiaro come il sole che non si trattava di una persona abituata a stare sulla strada: e allora da dove veniva?
L’unica spiegazione era che venisse dal gruppo dei misteriosi attaccanti che erano piombati all’improvviso  sugli Orchi causando tutto quello scompiglio; e questo apriva interessanti possibilità. Doveva chiedere.
“Come sei finita in questo bosco? Di certo non eri da sola!”
“Certo che no!” rispose Gwennis. Che domanda stupida! Chi viaggerebbe mai da solo sull’Antica Via?  “Non so come sia successo, ma quando ci siamo scontrati con il gruppo di Orchi, il mio pony si è imbizzarrito ed è scappato, trascinandosi dietro me e Billy, che era legato alla mia sella. Era del tutto incontrollabile, sembrava pazzo. Quando sono riuscita a sganciare Billy ed a saltare giù di sella, mi ero persa. La colonna con la mia Signora non si vedeva più, Billy è scappato ed io l’ho rincorso e poi… beh, ho incontrato te.”
“Ma da dove venite?”
“Dalle Montagne Azzurre. La mia Signora comanda una colonna di guerrieri che sta andando ad Erebor, in risposta alla chiamata di suo fratello, Re Thorin. Hai sentito che  Smaug è morto e la Montagna Solitaria è tornata ai Nani, no?”
Il Nano annuì. Beh, non proprio. Immaginavo che fosse così, da quanto aveva sentito all’accampamento e dal racconto di Lirien.  La possibilità era interessante.  Avrebbe dovuto raggiungere la colonna di Nani ed andare con loro ad Erebor? Non pensava che ci fosse realmente la possibilità che qualcuno lo riconoscesse, ma forse avrebbe potuto avere aiuto.
E Lirien?
Una cosa fu subito chiara nella sua mente. Non posso abbandonarlo.  E dubitava molto che i Nani delle Montagne Azzurre lo avrebbero aiutato a liberare un Elfo. Mi prenderanno per pazzo. A meno che tutti gli Orchi non siano stati annientati, e Lirien sia  libero… e anche in questo caso, non posso lasciarlo qui solo. I Nani lo aiuterebbero a tornare a casa? Forse sì, visto che aveva combattuto a fianco dei loro parenti nella grande Battaglia. E forse no.
Mille pensieri si affollavano nella sua mente.  

Fu forse per le molteplici considerazioni che gli frullavano nel cervello, fu forse perché le novità lo avevano un po’ frastornato, in ogni caso  la sua attenzione calò per un momento; solo un momento, ma bastò per farli finire nel guai.
“Bene bene bene,”  gracchiò una voce alla sua destra. “Guarda chi c’è, Shagat. Dove stai andando di bello, amico ?”
La Nana strillò vedendo i due Orchi avvicinarsi decisi.
“Ehi, Nathak! Hai visto? Si è trovato un’amichetta!”
Il Nano spinse Gwennis dietro di lui, e le comandò, secco:
“Scappa!”
Non sentendo alcun movimento, voltò velocemente il capo, sempre tenendo d’occhio i due Orchi che si stavano dividendo per attaccarlo da due diverse direzioni.
Gwennis lo stava guardando perplessa.
“Vattene! Scappa!”ripetè lui.
“Dove…?”
Il Nano la maledisse, non per la prima volta, poi non ci fu più tempo. Oscillò il bastone da destra a sinistra, tenendosi basso; poi si gettò sull’avversario più vicino, Nathak.
Il bastone prese l’Orco in pieno muso, rompendogli qualche osso e facendolo stramazzare a terra senza un lamento; ma nell’urto il bastone si ruppe.
Il Nano rotolò via per allontanarsi dall’altro avversario, ma era tardi: un piede pesante gli bloccò la spalla, e un muso bestiale entrò nel suo campo visivo. Per un momento tutto sembrò rallentare, l’attimo diventò eterno; notò le zanne striate di nero dell’Orco, scoperte in un ghigno sardonico, le escrescenze tondeggianti sul muso, i peli lunghi e ispidi delle orecchie; una zaffata di alito pestilenziale lo fece quasi svenire.
L’Orco alzò la sciabola per vibrare il colpo mortale.
Possibile che l’ultima cosa che avrò visto in vita mia sia il muso di un Orco?


Angolo delle scuse *si cosparge il capo di cenere*
Nel capitolo precedente c’è un refuso enorme. L’Elfo prigioniero è indicato come Lindir, anziché Lirien ( se andate a vedere ho corretto). Il fatto è questa ff è nata dall’idea dell’amicizia tra Fili  ed  un Elfo, e l’Elfo avrebbe dovuto proprio essere il Lindir di Imladris. Questa parte  è stata scritta da molto tempo ( le mie storie sono puzzle: all’inizio scrivo le parti che mi ispirano di più, nell’ordine in cui vengono, e poi le metto insieme …), quando c’era Lindir. Poi mi è venuto un dubbio amletico: mi piaceva molto l’idea che sto raccontando, ma anche quella del Popolo del Fiume. Non sapevo proprio quale dei due filoni scegliere per la storia di Fili! Non volevo a rinunciare a nessuno dei due… così invece di ridurre le storie ho moltiplicato i Nani. Solo che, una volta creato l’equivoco sull’identità di Fili, dovevo per forza far sparire Lindir, che l’avrebbe di sicuro riconosciuto. Così Lindir è sparito per far posto a Lirien… tranne che nel capitolo 19. Chiedo ancora scusa!
Grazie a Yavannah, Kano_chan, Halfblood_Slytherin per i commenti; benvenuta a Laucace! Grazie, anche se un po’ in ritardo, a Kili-filiToghether, MrsElfetta e Aleley… e, dulcis in fundo, ad Emouel che mi ha messa tra gli autori preferiti *si commuove*.. e a tutti i lettori!
Alla prossima
Idril 

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Capitolo 21
*** La scelta di Fili ***


21 La scelta di Fili
21. La scelta di Fili

Kili aveva passato gli ultimi giorni in lunghi colloqui con Balin e con Gandalf. Aveva parlato anche con Dàin, con Oìn e Glòin, e con tutti i suoi compagni, e da ognuno di loro aveva avuto informazioni ed idee. E quel giorno, a mezzogiorno, era previsto il concilio dei capi dei Durin.
Balin era inquieto perché non sapeva bene cosa il giovane principe avesse in mente; non aveva dato spiegazioni a nessuno. Aveva solo detto che, se tutto fosse andato bene, ma cosa intende per ‘bene’?  si chiedeva il vecchio Nano, l’indomani avrebbe incontrato Bard ed il capo della delegazione Elfa, nella fattispecie il principe Legolas, a cui Gandalf aveva chiesto di rimanere.
“Sei pronto?” chiese Balin.
“Non sarò mai più pronto di così,” rispose Kili, lottando con un pettine e la sua chioma arruffata. “Ma prima o poi dovrò vedere Thorin, non credi?”
“Non parlavo di Thorin, ma del resto.”
Kili esibì un sorriso luminoso, ma negli occhi scuri Balin vide un’ombra di trepidazione.
“Se riesco a vedermela con Thorin, credimi, il resto sarà una passeggiata.”
Il vecchio Nano fu costretto a sorridere a sua volta.
“Volevo  darti questi, per un’occasione speciale. Li ho trovati nella Montagna, erano miei… molti anni fa.” E così dicendo porse al giovane Nano alcuni fermagli d’oro da treccia.
Kili li prese, commosso. Li rigirò tra le mani; erano di finissima fattura, intarsiati con fili di mithril, e riportavano lo stemma della Casa di Durin. Alzò gli occhi.
“Grazie…” mormorò, “per tutto.”

Balin uscì e Kili rimase solo. L’idea che tra poco avrebbe incontrato Thorin, dopo tutto quello che era successo,  dopo tutto quel tempo, lo sgomentava davvero, molto più che affrontare un gruppo di capi Nani, per quanto riottosi e piantagrane.  Sul campo di battaglia non c’era stato tempo per pensare, ed in ogni caso Kili ricordava pochissimo di quei momenti: solo immagini slegate, flash improvvisi, visioni impresse indelebilmente nella sua mente ma avulse da  un contesto logico. Non riusciva nemmeno a definire per quanto tempo avesse combattuto: le ore si confondevano con i minuti,  nella sua mente. In realtà, forse per la prima volta in quel momento stava cercando coscientemente di ricordare; e ricordava di aver pensato che il suo posto era accanto a suo zio e suo fratello. Davanti agli Orchi ululanti, quando si trattava di vivere o morire, niente altro importava… fino al dolore lancinante ad al buio che era piombato su di lui.
Adesso che il pericolo immediato era svanito, però, tornavano ad assumere importanza altri sentimenti.
Ben preciso nella sua mente, e nel suo cuore, era il ricordo di cosa era accaduto dentro la Montagna, dopo l’ingresso di  Groac e la sua  conversazione con Fili; ed era un ricordo che faceva ancora molto male.   

Quando il corvo fu scomparso nell’oscurità, Fili guardò i suoi Compagni. Gli occhi azzurri erano fermi, l’espressione serena di chi ha fatto la sua scelta.
“Io andrò là fuori, a combattere con i Popoli Liberi. Non lascerò che la gente di Durin perda di nuovo la sua casa; ci riuscirò, o morirò nel tentativo. Non chiederò a nessuno di rinunciare alle sue convinzioni, o di rinnegare i suoi giuramenti di fedeltà: ma questa è la mia scelta.”
Il silenzio era talmente profondo che si sarebbe sentito un solo respiro; poi si levò un’altra voce, altrettando tranquilla.
“Io sono con te.” Kili si alzò e si pose a fianco di suo fratello. Fili lo guardò con un mezzo sorriso.
“Vorrei tanto che tu rimanessi qui… e non per tenerti lontano dalla battaglia, ma per evitarti il mio destino: la scelta è tra la morte sul campo e l’esilio, ne sei consapevole? Ma so che non mi ascolterai.”
“Sei sempre stato il più perspicace, fratello,” sogghignò a sua volta Kili, “non mi deludi neanche stavolta.”
“Anch’io sono con te.” I due fratelli si voltarono. Bombur.
Bombur, il gioviale Bombur, sempre affamato e sempre fedele a se stesso. Non fu di molte parole.
“Perché è giusto.” Affermò.
In silenzio, tutti gli altri si alzarono. Nori, Bifur, Bofur, Glòin, Oìn, Ori, Dori, Dwalin, e per ultimo, con un sospiro addolorato, Balin.
“E’ giusto,” annuì. “Vado a dirlo a Thorin, almeno questo glielo devo.” Fece per avviarsi all’interno della Montagna, ma una voce giovane e decisa lo fermò.
“No.”  Voltandosi, il vecchio Nano si trovò davanti Fili.
“Tocca a me.” proseguì il principe biondo. “Sono io che glielo devo. Per tutto quello che è stato per me e per noi.”
Balin guardò il giovane Nano davanti a lui. Ricordò come lo aveva educato, tutto quello che aveva cercato di insegnargli, e fu segretamente compiaciuto di come era diventato.  Un vero Durin, un vero re. Purchè possa realizzare il suo destino.  Chinò il capo in segno di omaggio.
“Come comandi, mio signore.”

Non aveva percorso che un paio di corridoi, quando Fili sentì echeggiare dei passi dietro di lui.
Sorrise tra sé: se l’aspettava.
“Non riesci proprio a non metterti nei guai, vero fratello?” disse senza voltarsi.
“Ti seguo da tutta la vita, non crederai che smetta adesso!”
Fili si fermò e si girò, fronteggiando il fratello minore.
“Kili, promettimi che ne starai fuori. Non possiamo giocare entrambi la nostra vita ed il nostro retaggio, lo capisci? Per la nostra gente. Se perdiamo questa battaglia  nulla  più avrà importanza, ma se vinciamo… se la Montagna resta nostra… non possiamo lasciare la nostra gente nelle mani di Thorin. Io sarò esiliato, o peggio, per  la decisione di oggi, sempre se dovessi sopravvivere; ma tu devi restare. Devi proteggere la nostra gente. Non possono perdere anche te.”
Fili mise le mani sulle spalle del fratello, guardandolo dritto negli occhi. Per la prima volta in vita sua, Kili ascoltò in silenzio: e mentre ascoltava, pensava a quanto Fili in quel momento assomigliasse allo zio di una volta. Ed il potere di quei fermi occhi azzurri gli  impedì di protestare.
“Mi capisci, fratello?”
Kili agì d’istinto, come al solito: ma in quel momento gli sembrò appropriato. Appoggiò un ginocchio a terra e chinò il capo.
“Come comandi, mio signore. Qualunque cosa accada, non ti deluderò.” Quindi alzò gli occhi e sorrise: il momento era passato.
“Fratello, ho sempre saputo che saresti stato un grande re. Ottieni sempre ciò che vuoi!” Fili  lo guardò un attimo di traverso, poi lo attirò in un abbraccio spaccaossa.
Per un momento rimasero così, troppo commossi per riuscire a guardarsi in viso: dopo tutto si presume che i Nani non piangano, tanto meno dei Durin!

“Allora io mi fermo qui, Fee.” Kili si fermò sulla porta della sala del tesoro. L’ambiente era illuminato a giorno da decine di torce, che strappavano miriadi di bagliori dall’oro e dalle gemme del grande tesoro di Smaug.
“Non ci vorrà molto.”
Thorin era in piedi, e dava le spalle alla porta. Sembrava perso dietro a chissà quale fantasia, ma Fili capì che si era perfettamente reso conto che qualcuno si stava avvicinando. Del resto, il giovane Nano non aveva fatto nulla per evitare di essere sentito.
Si fermò a pochi passi.

All’improvviso era così difficile parlare.  Quello davanti a lui era Thorin… suo zio. Quasi un padre. La sua guida, il suo punto di riferimento per quasi tutta la sua vita.
Ma non è più lui. Ed io  non sono più un ragazzo.
“Thorin, c’è battaglia fuori.”
“I ladri sono alle nostre porte?” Thorin rispose con voce rauca, senza voltarsi. Come uno che non parla da troppo tempo, pensò il nipote.
Fili trattenne il respiro.
“Nessun ladro. C’è un esercito di Orchi e Goblin; Dàin si è alleato con Elfi e Uomini, e li stanno combattendo.” La schiena di Thorin si raddrizzò.
“Mio cugino mi ha tradito!”
“Nessun tradimento. I Popoli Liberi si sono uniti contro il Male. Cos’altro avrebbero potuto fare?” Solo il silenzio gli rispose.
“Io sto per andare là fuori.” Continuò il Nano più giovane. “A combattere per  difendere la nostra casa.”
Una risata di scherno. “A che scopo? Per consegnare il tesoro ai nostri nemici, ai ladri e traditori?”
Fili chiuse gli occhi. Contro ogni ragionevolezza, in fondo, aveva sperato…
“Se gli Orchi vincono, preferisco morire combattendo là fuori che rintanato qui dentro. E non voglio morire chiedendomi cosa sarebbe accaduto  se, forse, avessi fatto  qualcosa di più. Se avessi combattuto. Se vinciamo noi,  vedremo cosa succederà. Sei stato tu ad insegnarmi l’onore, ed il nostro dovere verso la nostra gente. A questo ora mi attengo.”
“Anche a costo della tua vita?”
“Se questo è il prezzo che dovrò pagare, che sia.”
“E se ti ordinassi di restare?”
“Spero che tu non lo faccia, per il rispetto che ti ho portato, ma la mia decisione  non cambia.”
Il Re sotto la Montagna non disse più alcuna parola; dopo qualche momento Fili si voltò e si allontanò.

Kili ricordò cosa aveva provato in quel preciso momento. Orgoglio. Non sono mai stato tanto fiero di te, Fee. E dolore. Perché sapeva quanto suo fratello fosse ferito nell’animo. Sapeva perfettamente quanto gli fosse costato venire meno alla fedeltà di una vita, ma sapeva anche quanto Fili fosse capace di profonde convinzioni. Mahal, l’hai creato per essere un grande Re della nostra  gente. Aiutami a riportarlo a casa.

Quando Fili arrivò alla porta, trovò suo fratello ad attenderlo. Senza una parola, Kili gli tese una mano, ed il principe biondo la strinse forte.
“Andiamo,” disse, ma Kili scosse il capo.
“Dammi solo un minuto. Non uscire là fuori senza di me.” Fili annuì e se ne andò.

Kili avanzò lentamente. Respirò per calmare il tumulto del suo cuore, perché sapeva che erano troppe le parole che gli salivano alle labbra. Troppe cose avrebbe voluto dire, avrebbe dovuto dire.
“Zio… lascerai che andiamo là fuori senza di te? Riesci a vedermi, zio? Mi puoi sentire attraverso la foschia? E’ così forte l’incantesimo dell’oro, da farti dimenticare la tua famiglia?”
Nessuna risposta; Kili vide solo la mano di Thorin stringersi a pugno.
“Tu sei mio zio, io ti amo molto e non so dove sarei senza di te. Sei l’unico padre che ho davvero avuto, visto che il mio lo ricordo appena. E adesso mi lasci? Davvero questo splendore è più importante di me, di noi? Della nostra gente?”
La voce del giovane principe si incrinò, ma lui non cedette.
“Davvero siamo traditori se combattiamo a fianco degli Elfi? O degli Uomini? Non vedi quello che è giusto? Vuoi scacciare anche noi, come hai fatto con Bilbo?”
Ora entrambe le mani di Thorin erano chiuse a pugno, ma ancora nessuna parola da lui.
“Non vuoi nemmeno guardarmi prima che vada a combattere?”
Kili non resistette più. Le lacrime cominciavano ad offuscargli la vista. E ancora nessuna risposta.
E allora qualcosa scattò dentro di lui. Con gesto rabbioso si asciugò gli occhi con il dorso della mano.  Non meriti le mie lacrime. Raddrizzò le spalle, posò la mano sulla spada e disse, con voce gelida:
“Sarò fedele a quanto mi hai insegnato.” Poi girò sui tacchi e se ne andò.

Kili si rese conto che quelle erano le ultime parole che avesse rivolto a suo zio. Avevano lavorato per scalzare il muro, e proprio mentre stavano per farlo cadere, Thorin era comparso, armato di tutto punto, con la spada sguainata in mano. I Compagni gli avevano fatto strada fino alla posizione centrale, e Fili si era messo al suo fianco; con un cenno, il Re sotto la Montagna aveva ordinato a Dwalin di aprire il varco. Nessuno ha detto una parola.
Tra poco avrebbe sentito di nuovo la voce di Thorin. Si chiese cosa avrebbe detto.
Ed io, cosa voglio dirgli?
 
“Va tutto bene, Kili?” una mano delicata sulla sua spalla, la voce di Liatris.
“Tra poco vedrò Thorin.”  
“Capisco.” Liatris si tolse il mantello e sedette accanto a lui. Kili la guardò e si sentì scaldare il cuore; lei veniva dall’esterno, aveva le guance rosse per il freddo e gli occhi ridenti. Per Durin, è così bella.
Liatris fece per prendergli le mani, ma quelle di Kili  erano occupate da alcuni fermagli d’oro.
“Vuoi che ti aiuti con le trecce?” sussurrò la ragazza. Kili annuì.
“Quattro, vero?”
“Quattro.” Quelle della famiglia reale. Come Thorin. Come Fili. Le trecce che si era sempre rifiutato di portare. Scomode e pesanti come il dovere.
Le dita agili di Liatris lavorarono velocemente; alla fine fissò le trecce con i fermagli e guardò il suo amato.
“Sei bellissimo.” Liatris sorrise ed il suo sorriso inondò  d’amore il cuore di Kili ; il principe si alzò e la prese tra le  braccia, la strinse a sé e nascose il viso tra la capigliatura bionda.
“Ti amo da impazzire,” mormorò. “Non vedo l’ora di stare con te, senza nessuno che entri all’improvviso, senza rumori molesti come sottofondo, senza niente e nessuno tranne noi.”
“Ancora pochi giorni soltanto, amore mio.” Liatris alzò il viso cercando un bacio e fu prontamente accontentata.  “Sai che tutto l’accampamento è in subbuglio? Se pensavi che il nostro matrimonio sarebbe stato una tranquilla cerimonia intima, ho paura che dovrai ricrederti.” Ridacchiò. Kili spalancò gli occhi.
“Ma di cosa stai parlando?” Liatris rise ancora.
“Ha iniziato Bilbo.  Ha detto che non potevamo assolutamente sposarci senza una torta.”
“Beh, posso sopportarlo…”
“Aspetta! E’ stato solo l’inizio. Bombur ovviamente è stato d’accordo, e così suo fratello. Quando l’ha saputo, Sigrid si è indignata. Conosci Sigrid?”
“Sì, certo, la figlia di Bard. Cosa c’entra?”
“Sigrid è mia amica, ed ha dichiarato che dovevo assolutamente avere un abito adatto. Così ne ha parlato con mamma… ma l’ha fatto nella mensa dei guaritori elfi. Madian e sua sorella hanno sentito, e si sono offerte di dare una mano.”
“Scusa, chi è Madian?”
“Kili! E’ quell’Elfa bionda che ogni tanto sostituisce Beriel…”
“A me pare che quasi tutte le elfe sono bionde, ma comunque ho capito.”
“E poi non so, una cosa tira l’altra, hanno smesso di dirmi cosa stanno combinando perché, secondo loro dovrebbe essere una sorpresa, e così ho quasi paura di quello che succederà…”
Liatris rideva e Kili la strinse forte, sorridendo a sua volta.
“Oh, per Durin! Dici che devo preoccuparmi?” Liatris lo baciò ancora. Era felice di essere riuscita a farlo sorridere di nuovo.
“Non credo. Sono i nostri amici e vogliono solo farci sentire il loro affetto ed il loro sostegno.”
“Sai? Sarà molto gradito.”

In quel momento, Dwalin scostò l’apertura della tenda. Era ora.
“Vuoi che ti accompagni per un tratto?” sussurrò Liatris. Kili sorrise.
“Sarà  molto gradito.”

Uscirono insieme nel mattino. Faceva molto freddo, e la neve ricopriva quasi ogni cosa; ma il sole brillava facendola scintillare. La neve è molto più bella dell’oro, pensò Kili. Così pulita.  Si voltò e guardò la Montagna Solitaria, che incombeva su di loro, anch’essa bianchissima e scintillante. La neve aveva cancellato ogni segno della battaglia, come se non fosse mai avvenuta.
Che illusione.
La loro comparsa non passò inosservata, e molti Nani si avvicinarono e si inchinarono davanti al principe di Erebor. Nani sconosciuti, guerrieri ed  artigiani; Kili parlò con tutti, salutò tutti, e soprattutto sorrise, e la magia fu fatta. Erano suoi.


Angolo Autrice
A tutte le ammiratrici di Thorin, mi dispiace. Ma era necessario. Tolkien dice che i Compagni erano d’accordo con Thorin, riguardo alle richeste di Bard, tranne Fili  e Kili, e “il vecchio Bombur”. E’ solo logico che ad un certo punto ci sia stato un conflitto; e avevo bisogno di radicalizzarlo, per poterlo poi risolvere. Abbiamo già visto che Thorin annega nei rimorsi, ma non è mai stato detto il perché. Eccolo.
Siate indulgenti e non odiatemi. Riconoscere i propri errori è una forma di eroismo ( forse dovrei smettere di scrivere, che ne dite…?)

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Capitolo 22
*** Confronto ***


22 Confronto
22. Confronto

Nella grande tenda erano state disposte diverse massicce poltrone intorno ad un lungo tavolo; a capotavola, una poltrona più alta recava intagliati motivi di corvi.
Thorin si mosse, a disagio, sulla poltrona, fino  a trovare la posizione meno scomoda per la sua schiena danneggiata. La spalla era immobilizzata in una vistosa fasciatura, che gli impediva quasi ogni movimento del braccio; e camminare gli era ancora estremamente difficile, anche con l’aiuto dell’elegante bastone in ebano con decorato in oro, appoggiato sl bracciolo.
Respirò lentamente, cercando di prepararsi agli eventi. La giornata si preannunciava faticosa, ma andava fatto: su questo il Re non aveva dubbi. La sua decisione era presa, e sarebbe stato un intimo sollievo darvi esecuzione. E’ giusto così, e sarà il meglio che possa fare per la mia gente.
Era assolutamente sicuro che Kili sarebbe stato un ottimo Re. Se aveva un rimorso, era quello aver praticamente  imposto al nipote  un onere che non aveva cercato né voluto;  se  Kili avesse rifiutato, Thorin non avrebbe sollevato obiezioni, anzi, forse, in fondo al cuore, ne sarebbe stato felice. Ma Kili era un Durin fino al midollo, e lo zio era anche terribilmente fiero di lui. Si rese conto di quanto i suoi sentimenti fossero contraddittori, ma non poteva farne a meno: qualsiasi decisione fosse stata presa, avrebbe portato onori ed oneri, a andavano accettati tutti insieme. Se Fili fosse qui…  l’acuta fitta di rimpianto che lo colpiva ogni volta che pensava al Nano biondo si rifece viva.
In quel momento però Thorin stava cercando dentro di sé ogni riserva di coraggio per affrontare Kili; cosa gli avrebbe detto?
La verità. Ammetti i tuoi errori ed accettane le conseguenze… tutte. Se ti respingesse, beh, sarebbe nel suo diritto.

Kili e Liatris, ancora sorridenti per l’entusiasmo dimostrato dai Nani che avevano trovato sulla loro strada, ancora per mano, erano ormai giunti all’ingresso della tenda preparata per il Consiglio. Dwalin li seguiva da vicino, ed avanzò per annunciare l’arrivo del principe.
Il sorriso svanì sul volto del giovane Nano, e Liatris si strinse a lui, guardandolo negli occhi.
“Buona fortuna,” sussurrò lei, “io sono con te.”
Kili si chinò e Liatris vide che gli tremavano le labbra; si alzò sulla punta dei piedi e le sfiorò con le sue… e lui colse al volo l’occasione per un vero bacio appassionato.
Dietro di loro si levarono fischi e battimani, e Liatris, rossa fino alle orecchie, affondò il viso nel collo del suo amato.
“Mahal!” alitò.
Kili invece si voltò, esibendo il suo sorriso più luminoso, e, sempre tenendo la ragazza stretta a sé, alzò il braccio a salutare gli spettatori; quando riportò lo sguardo su di lei, Liatris vide che il momento difficile era passato.
“Sono pronto.” Ed entrò.

Di tutto, Kili non si era aspettato un cambiamento tanto netto nell’aspetto dello zio: le conseguenze della battaglia erano quanto mai evidenti sul Re. C’era molto più argento nei capelli neri, elegantemente acconciati in trecce, e gli abiti regali non mascheravano la perdita di peso, a parte le evidenti fasciature. Gli occhi azzurri, però… c’era qualcosa in loro che Kili non ricordava di aver mai visto, e faticò non  poco a riconoscerla.
Era pace.  Sparito il tormento interiore, l’ansia, la durezza con cui aveva disciplinato la sua vita, il fuoco che l’aveva spinto alla riconquista di Erebor; sparita, grazie Mahal,  la follia per l’oro.

Quando vide Kili, Thorin trattenne per un attimo il respiro; poi, prese il bastone e si alzò faticosamente in piedi.
L’istinto del giovane Nano lo avrebbe spinto ad aiutarlo; ma si fermò in tempo, sapeva che Thorin non avrebbe gradito. Si limitò a dire:
“Non era necessario.”
“Chi deve fare ammenda dovrebbe stare in ginocchio; solo, non credo di riuscirci.”
“Facciamoci un favore,” disse Kili inclinando il capo, “nessuno di noi due ha forze da sprecare, oggi, quindi sediamoci.” E si avviò alla sedia accanto a quella che Thorin aveva occupato in precedenza.
Per alcuni istanti rimasero a guardarsi: Kili doveva ancora assimilare il cambiamento fisico dello zio, che l’aveva un po’ spiazzato. Del resto anch’io non devo essere proprio in forma, pensò. Sapeva che ci sarebbe voluto molto tempo perché il suo corpo si riavesse dai danni subiti. Entrambi si guardavano circospetti, come se non sapessero bene cosa fare. Alla fine Thorin sospirò.
“Quello che ho fatto non ha giustificazioni. La rinuncia al trono è del tutto dovuta.”
“La consideri una specie di punizione per i tuoi errori?” la domanda salì spontanea alle labbra del giovane Nano. Voleva capire, doveva capire le motivazioni e le intenzioni dello zio.
“Non intendevo questo. Il trono non è un premio da conquistare, lo sai benissimo anche tu; semplicemente, ho dimostrato di non essere adatto a governare. Ho fatto le scelte peggiori possibili, e non sono sicuro che non farei altri errori altrettanto gravi.  E la cosa più dolorosa,”sospirò, “è che il prezzo dei miei errori l’hanno pagato le persone che avrei dovuto proteggere.”
Kili non disse nulla. Thorin stava descrivendo la pura realtà dei fatti, e negandola in qualche modo il  nipote  avrebbe sminuito lo sforzo che il Re stava facendo. Non era il momento delle bugie cortesi o diplomatiche.
“Quello che ho fatto a te ed a tuo fratello non ha scusanti e non mi aspetto che possa mai essere perdonato. Non vi è nulla che io possa dire o fare per rimediare o mutare in qualche modo quello che è accaduto, e so che le cose non potranno mai tornare come prima; mi rimetto pertanto alla tua volontà. Dopo che avrò rinunciato al trono, se deciderai che devo andarmene, non farò obiezioni.”
Kili  lo guardò in silenzio per diversi minuti. Pensieri sparsi gli si affollavano nella mente; curiosamente, ricordò particolari e momenti della loro vita nelle Montagne Azzurre, o del viaggio verso Erebor, che parevano non avere nulla a che fare con il momento presente, o con quello che era successo nella Montagna.
Ma, prima di tutto, c’era una cosa che doveva sapere.
“Perché, Thorin?” chiese. “Perché alla fine hai deciso di combattere?”

Thorin sospirò.
“E’ difficile spiegare cosa è accaduto in quella Montagna,” sussurrò  ad occhi bassi, mentre faceva girare con il pollice l’anello a sigillo che aveva sempre portato. “Quando ci penso, mi sembra quasi che non sia successo a me.  Oh, non che abbia dimenticato le mie azioni! Solo, mi sembra di essere stato a guardare qualcun altro che si comportava in quel modo abominevole; e, allo stesso tempo, mi sembrava necessario essere così. In ogni angolo era annidata un’ombra in agguato; su ogni viso vedevo solo avidità. Anche su quelli che mi avevano mostrato solo amore… mi sentivo assediato, in pericolo costante, costretto a difendermi da chiunque. L’unico mio amico era il tesoro, solo il tesoro non mi avrebbe tradito, e quando avessi trovato l’Archengemma, allora, e solo allora, sarei stato al sicuro. Ma i miei amici mi avevano tradito, me l’avevano portata via… Era come una prigione che si stringeva sempre più su di me, e la cosa peggiore era che non volevo uscirne.  Avevo paura  di uscirne.”
Kili ascoltava inorridito ed affascinato allo stesso tempo.
“E poi è successo qualcosa. Fino ad allora avevo respinto ogni contatto, ogni richiesta, ogni supplica, perché mi sembravano tutte trappole, tutte false speranze; ero così avvolto nel bozzolo di inganni che io stesso mi ero creato, da vedere solo quello che volevo, finchè la mia costruzione è volata in frantumi all’improvviso.”
Per la primissima volta, un piccolo sorriso storto fiorì sulle labbra del Re. Era una cosa così inconsueta, non vista da tanto tempo, che Kili non potè fare a meno di spalancare gli occhi.
“Per colpa di due giovani teste calde che sono venute a sbattermi in faccia i miei errori. Tuo fratello…” e qui la voce di Thorin tremò, “quando l’ho visto, così forte, così regale,  mi sono vergognato come un ladro. Mi ha fatto vedere come si comporta un Durin, come si comporta un Re! E una lezione del genere da un Nano che ho visto nascere, così giovane eppure così giusto, è  stato peggio di una doccia fredda: è stato un tremendo pugno in faccia!”
Kili ricordò di quanto fosse stato orgoglioso di suo fratello in quel momento. Fili, sai proprio sempre fare la cosa giusta… sbrigati a tornare a casa e togliermi dai guai, dannazione!
Ma Thorin non aveva finito.
“E mentre ero lì che mi chiedevo cosa diavolo avevo fatto, sei arrivato tu. E hai colpito dritto al cuore. E’ stato il colpo di grazia. Come potevo non riprendere il senno, dopo una serie di bastonate del genere?”
Kili a questo punto rimase a bocca aperta. Aveva avuto l’impressione che le loro parole scivolassero sul ghiaccio dell’indifferenza di Thorin, invece…
“E allora…” non potè fare a meno di chiedere, “… perché non hai detto niente, perché non ci hai risposto… ci hai lasciato credere di averci ignorati!”
Thorin ebbe un sospiro e negli occhi azzurri passò un lampo di tristezza.
“Kili, l’orgoglio… una volta Gandalf mi disse che il mio orgoglio sarebbe stato la mia rovina. E aveva ragione. Mi sono detto che non c’era tempo da perdere in chiacchiere, ma la realtà era che non so ammettere  i miei sbagli.”
Fu Kili, stavolta, a sorridere lievemente.
“Ma adesso ci stai provando…”
“Non credo di riuscirci molto bene, temo. Spero solo di averti dato modo di capire.”

Ancora una volta calò il silenzio.
Sarebbe facile dimenticare tutto,  pensava Kili. Abbracciarlo come quando ero piccolo. Si stava così al sicuro…  niente conflitti, niente responsabilità, niente lotte. Niente a cui stare attento, niente da prevedere, pensare, analizzare…
Non era possibile. Come poteva fidarsi di Thorin? Si rese conto che le sue esitazioni avevano origine nella paura di essere tradito ancora, di  soffrire ancora; e poi c’era qualcosa di più. Non posso pensare solo a  me; se sbaglio nel fidarmi, non sarò solo io a pagare. Sarà tutta la gente di Durin, tutto il mio popolo. Fili mi ha chiesto di proteggere la gente di Durin; finchè lui non è qui, devo pensarci io.
Però non era necessario fare qualcosa subito.
Ricordò quello che Liatris gli aveva detto qualche tempo prima.  “Non devi pensare nulla e fare nulla, ora, Kili. Lascia passare un po’ di tempo. Quando starai meglio, si vedrà. Io ricordo solo che una volta mi dicesti che lo seguivi per amore…”  
Kili sospirò: mi sembra un buon consiglio.
“Facciamo un passo per volta, d’accordo?” disse, guardando Thorin. “I nostri affari personali possono aspettare; ora c’è il Regno a cui pensare. Mi basta sapere che sei sicuro della tua decisione; tu farai la tua parte ed io la mia, per il bene della gente di Durin. Non voglio che Fili torni e  si trovi senza ciò che gli spetta di diritto.”
Il nome di Fili colpì Thorin come uno schiaffo, almeno quella fu la reazione che Kili lesse sul suo viso. Vide che lo zio prendeva fiato, per parlare, per poi esitare.
Sta per dirmi che Fili non tornerà… e  successe. Lì. Ancora.
Kili vide suo fratello con una nitidezza stupefacente. Malconcio, sporco, così diverso dal solito Fili, e la vista gli strinse lo stomaco come una morsa; una corrente di sensazioni lo assalì, ma a differenza delle altre volte, non c’era angoscia. Ansia, sì; ma la tormentosa sensazione di disastro incombente era sparita.  Era sempre stato sicuro che suo fratello fosse vivo, ma adesso…
Come era venuta, la visione passò; era stata talmente breve che se non fosse già accaduto avrebbe pensato di essersi sognato tutto, ma era bastata ad infondergli una profonda fiducia.
“Fili tornerà presto a casa, Thorin; lo so.” Disse, e si alzò per avvisare Balin che erano pronti ad affrontare i capi della gente di Durin.


Angolo autrice.
Il capitolo è corto, lo so; ma l’argomento ed il tono cambiano troppo. Preferisco che l’incontro tra Thorin e Kili non si confonda con altre cose.
Grazie per l’attenzione, come al solito; ogni critica è comunque gradita!  

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Capitolo 23
*** Fuga nel bosco ***


24 Fuga nel bosco
23 Fuga nel bosco

Un suono stridente devastò le orecchie del Nano. Cos…? Ma chi strilla a quel modo..!
L’Orco, colto di sorpresa, ed anche un po' allarmato, istintivamente si voltò, allentando la presa sulla spalla del Nano; fu un istante, ma bastò perché quest’ultimo ne approfittasse. Afferrando la zampa dell’Orco con entrambe le mani la spinse bruscamente verso l’alto e rotolò su se stesso nel tentativo di allontanarsi.
La manovra riuscì… quasi. Con un ruggito di rabbia l’Orco vibrò un fendente, che raggiunse il Nano sulle costole, ma ormai questi era in movimento e si trovò libero dalla presa; un dolore bruciante al fianco però lo assalì all’improvviso e gli mozzò il fiato, rallentandolo, e all’Orco bastò fare qualche passo per recuperare la posizione.
“Scambio o no, ne ho abbastanza di te,  lurido ratto!” ruggì.
Questa volta è proprio la fine, pensò il Nano, e chiuse gli occhi, aspettando il colpo di grazia.

Che però non arrivò. Dopo qualche secondo, il Nano a terra aprì gli occhi e vide a poche decine di centimetri il muso del suo avversario, ma vi era dipinta un’espressione di stupore. Sembrava ... congelato.
Non è un’impressione. E’ davvero… non riuscì a completare il pensiero, che l’Orco si afflosciò su se stesso come un otre svuotato e crollò a terra.
Il Nano rimase fermo un attimo, incredulo e come intorpidito. Ripreso un poco il controllo dei suoi arti, si raddrizzò lentamente a sedere, mordendosi il labbro per il dolore del fianco ferito; quindi il suo sguardo cadde sulla sua compagna.
La Nana era immobile, ad occhi spalancati, tanto che le sopracciglia erano sparite sotto gli arruffati riccioli rossi che le ricadevano sulla fronte, i pugni chiusi stretti contro il petto come nell’atto di ritrarsi il più possibile.
“Sei… sei stata tu..?” articolò lui. Aveva la bocca talmente asciutta da faticare a parlare. Lei mosse le labbra più volte, senza riuscire ad emettere un suono; poi vi passò la punta della lingua.
“Il m-m-mio m-maestro diceva c-che lì n-n…” riprese fiato,  e continuò: “non ci s-sono o-o-osta.. ostacoli…” non riusciva ad impedirsi di battere i denti.
Il Nano seguì lo sguardo di lei e vide che l’elsa decorata di un pugnale sporgeva dalla schiena dell’Orco, dove la lama era penetrata completamente.
“Beh, allora li sai usare, quei pugnali!”  esclamò il Nano. “Ottimo lavoro. Più tardi ti ringrazierò come si deve, ora non c’è tempo. Andiamocene, prima che ne arrivi qualcun altro.” Così dicendo, il Nano si alzò, imprecando contro la ferita, e fece qualche passo verso gli orchi caduti per raccoglierne le armi, quando si rese conto che la sua compagna era rimasta immobile.

“Ehi! Che aspetti?”
Nessuna risposta. La Nana sembrava pietrificata sul posto.
Cosa diavolo succede, adesso? Pensò il Nano esasperato; poi capì. Oh, Mahal.
Le andò di fronte, mettendosi deliberatamente tra lei ed il cadavere dell’Orco, e le prese le mani nelle sue.
“Ascolta, tu… come ti chiami?” solo in quel momento si rese conto di non saperlo.
“G-Gwennis…” la risposta fu poco più di un sibilo.
“Gwennis,” proseguì lui con voce tranquilla. “Gwennis, guardami.”
Lei battè le palpebre un paio di volte, e gli occhi grigi si spostarono lentamente verso il  viso del Nano… per poi guizzare di nuovo sull’Orco morto, come attirati da una calamita.
“Guarda me, non lui. Forza.”
Quando  gli sembrò che lo sguardo di Gwennis fosse a fuoco su di lui, proseguì:
“La prima volta è difficile, lo so. Ma hai dovuto farlo. Mi avrebbe ucciso, mi hai salvato la vita. Sei stata bravissima, capito? Non potevi evitarlo, non è colpa tua.”
“L-l’avevo avvisato, io… ho-ho gridato, ma l-lui n-n…”
Ah, ecco: era lei che urlava.
“Ma  certo, è stata colpa sua, non ti ha ascoltato, e sei stata costretta.”
Le strinse le mani, sempre guardandola negli occhi e cercando di apparire rassicurante.
“Capito?” Gwennis si rilassò un poco e le sopracciglia  tornarono al loro solito posto.
“S-sì…” farfugliò.
“Va meglio?”
“S-s-sì.”
“Brava ragazza!” il Nano le lasciò le mani, che ricaddero lungo i fianchi, e le diede una amichevole pacca sulla spalla. “Forza, recupera il coltello e vediamo di sparire prima che arrivi qualcun altro.”
Così dicendo si chinò sul primo cadavere, e gli prese tutte le armi che trovò, infilandosele nella cintura o negli stivali; quindi, memore della sua ferita, che bruciava come l’inferno, si impadronì anche dell’otre dell’Orco, dopo aver controllato che contenesse il famigerato intruglio che si era rivelato tanto disgustoso quanto efficace. Infine, stringendosi il fianco ed imprecando a denti stretti, si alzò e si voltò, solo per scoprire che Gwennis era rimasta esattamente dove l’aveva lasciata. Non aveva mosso un muscolo.
“Ehi! Non abbiamo tutto il giorno!” esclamò a mezza voce. “Perché non recuperi il coltello?”
Non aveva ancora finito di pronunciare quelle parole, che Gwennis iniziò a scuotere ripetutamente il capo, scompigliandosi ulteriormente i ricci sfuggiti alla treccia.
“Io quello non lo tocco. M-mi f-fa paura!”
Il Nano la fissò un attimo, un po’ perplesso.
“L’hai appena fatto secco e adesso che è morto ti fa paura?”
L’unica risposta fu un’occhiataccia rovente. Il Nano scosse il capo,come per liberarsi il cervello dalle ragnatele che evidentemente gli impedivano di vedere la logica di quel comportamento; scrollò le spalle, rassegnato e ormai deciso  a prendere con filosofia tutta quella faccenda. Estrasse il coltello dalla schiena dell’Orco, lo ripulì con attenzione sulla casacca del morto e lo porse a Gwennis tenendolo per la lama; tolse all’Orco altri due pugnali e la sua borraccia, poi si guardò intorno.
“Dov’è  finito quel pony?”
Gwennis si strinse nelle spalle.
“Sarà scappato, i rumori improvvisi lo spaventano. Prima o poi tornerà.”
Fantastico animale da battaglia, pensò il Nano, ma in quel momento furono raggiunti da altri rumori: qualcuno stava arrivando di corsa attraverso la boscaglia.
“Di qua!” Il Nano prese Gwennis per un polso e la trascinò nella direzione opposta, attraverso il sottobosco composto di rovi, notando che il terreno scendeva progressivamente.
I due fuggitivi corsero come meglio potevano, evitando di fare rumori inutili; dopo circa trecento metri si fermarono, ansanti, e rimasero in ascolto.
Nessuno li stava inseguendo. Nessuna presenza troppo vicina. Proseguirono con cautela, sempre scendendo, seguendo lo scroscio del torrente, finchè si trovarono dinnanzi un’enorme barriera di sempreverdi; il rumore dell’acqua era ormai vicinissimo. In silenzio, spostando lentamente i rami, aggirarono il cespuglio… ed entrambi si gettarono a terra, mettendosi al riparo tra la vegetazione. Proprio davanti a loro scorreva il fiume, ma non solo.
Il torrente era largo una decina di metri, cosparso di rocce intorno alle quali l’acqua gelida vorticava, formando pozze e trabocchetti in cui l’incauto viaggiatore poteva facilmente cadere e perdersi. Oltre il fiume, la Via, che in quel punto lo costeggiava; ed appena oltre la via, in uno spiazzo  libero di alberi, Orchi, decine di Orchi, centinaia di Orchi che si agitavano come le formiche calpestate da un incauto cavaliere.

Dev’essere il punto in cui si stanno radunando, pensò il Nano. Lo scontro deve essere finito.  La carovana di cui faceva parte Gwennis ha sfondato l’Orda e li ha oltrepassati, dando loro una bella lezione.  Gli Orchi erano ancora più malconci di prima, ed ancora inferiori di numero.
Guardò la Nana accanto a lui.
Cosa me ne faccio, di questa, adesso?
Il suo  gruppo sicuramente non sarebbe tornato, ma avrebbe proseguito verso est. Per un attimo si gingillò con l’idea di dirle  ‘guarda, cara, se prosegui sempre verso est prima o poi troverai la Via, e seguendo la Via ritroverai i tuoi compagni’.  Ma quando la guardò di nuovo con aria critica, si ritrovò a pensare che quella Nana da salotto non sarebbe sopravvissuta un giorno da sola nelle Terre Selvagge, figuriamoci con gli orchi dispersi ancora in circolazione; e, a parte tutto, non era affatto sicuro che lei sapesse da che parte era l’est.
Raccompagnarla dai suoi era altrettanto fuori discussione: il Nano doveva stare in vista della carovana degli Orchi, in attesa dell’occasione per liberare Lirien. Nemmeno per un attimo aveva preso in considerazione l’idea di abbandonarlo, specie dato che lui stesso era libero solo per merito dell’Elfo che aveva attirato su  di sé gli inseguitori.
Che specie di Nano pazzo sono, che rischio il tutto per tutto per un Elfo? Si strinse nelle spalle: tante cose cambiano…  
In ogni caso, riportare Gwennis alla sua carovana non era consigliabile nemmeno per lui, dato che, non avendo idea di chi fosse, non poteva prevedere come sarebbe stato accolto. Potrei anche essere un assassino in fuga… e se al contrario dovessi essere qualcuno di importante, non mi permetterebbero di tornare a cercare Lirien. Non posso rischiare.
Rimaneva quindi una sola alternativa: doveva portare Gwennis con sé…e la cosa era altrettanto assurda se non tragica.  Di sicuro quella Nana era una compagna imprevedibile.
E per giunta non  potevano assolutamente restare lì. Continuavano ad arrivare Orchi dispersi, da tutte le parti, e prima o poi qualcuno sarebbe capitato anche sul punto dove si nascondevano. Erano troppo allo scoperto.

“Non possiamo restare qui,” sussurrò Gwennis, sorprendendo il Nano che stava pensando esattamente la stessa cosa. “E non possiamo raggiungere la mia carovana, per ora: dovremmo passare attraverso quei brutti ceffi.”
Non definirei esattamente “brutti ceffi” quei mostri… è come chiamare venticello un uragano, pensò oziosamente il Nano, poi si maledisse. Sto cominciando a pensare sciocchezze! Ma che razza di influenza malefica ha su di me questa tizia?
“Dobbiamo risalire il torrente,” continuò Gwennis, sempre sussurrando. Il Nano non potè fare altro che annuire, commentando:
“Dobbiamo passare da un cespuglio all’altro e trovare un nascondiglio migliore, almeno finchè non calerà il buio…” e ci vorranno quanto meno  un paio d’ore, all’imbrunire.
Scivolarono lentamente fuori dal riparo offerto dal sempreverde, e cercando di non far rumore, risalirono per un tratto la riva del torrente, mantenendosi bassi e nascosti.  
Ma la fortuna non era con loro.

Improvvisamente urla e richiami echeggiarono da una riva all’altra del torrente: qualcuno doveva aver notato del movimento nella boscaglia.
I due Nani cercarono di allontanarsi, stando in ascolto per cercare di capire da quale parte venisse il pericolo; ma non era facile.
“Meglio rintanarci in un punto nascosto e non muoverci finchè non se ne siano andati,” disse il Nano, i cui occhi guizzavano a destra ed a sinistra alla ricerca di un riparo. Il fianco gli faceva male, e cominciava ad essere molto stanco; aveva usato  una striscia di stoffa tolta dalla tunica per fasciare la ferita, più che altro per impedirsi di lasciare tracce di sangue, ma sapeva di aver bisogno di una pausa.
Proseguirono qualche passo, finchè Gwennis vide un enorme cespuglio di quei sempreverdi che sembravano costituire la maggior parte del sottobosco di quella zona.
“Guarda! Lì sotto, forse…”
Si avvicinarono rapidamente ed il Nano sollevò i rami più bassi, rivelando effettivamente uno spazio nascosto: ma non sarebbe bastato per due.
“Forza, dentro!”
“Ma tu…”
“Da solo potrò trovare un riparo più facilmente,” sussurrò lui, di rimando. “Non ti muovere e non fiatare, verrò io a cercarti quando il pericolo sarà passato.”
Svelta, Gwennis si infilò sotto i rami, e quando il Nano li lasciò ricadere, era del tutto invisibile. Ringraziò mentalmente Mahal di non aver dovuto sostenere una discussione e ripartì al piccolo trotto; ma dopo pochi passi si ritrovò sulla riva del fiume.
Lo risalì, tenendosi basso in modo da non poter essere visto dalla riva opposta; fortunatamente, alte e folte piante crescevano subito a ridosso del letto del torrente, ed i loro rami pendevano addirittura nella corrente.
Anche stavolta però non percorse più di cinquanta metri: un costone a ridosso del torrente era franato, ed il passaggio era ostruito. Non poteva continuare, a meno di non arrampicarsi sul ghiaione, in piena vista; e proprio mentre si accingeva a tornare sui suoi passi, si levarono, vicinissime, le  voci degli inseguitori.
Era in trappola.

Si guardò  freneticamente intorno, e capì subito di non avere scelta: l’unica possibilità erano gli alberi sulla riva del torrente, e forse sotto i loro rami più bassi, quelli che finivano in acqua, avrebbe potuto nascondersi, anche perché ormai la luce stava declinando.
Senza aspettare oltre, si gettò a terra e strisciò rapidamente sotto i rami… solo per trovarsi immerso nell’acqua gelida. Il torrente aveva scavato sotto le radici dei cespugli, portando via tutta la terra, tanto che ora le piante sporgevano sull’acqua, ed il riparo che gli sembrava di aver visto in realtà era una piccola pozza, profonda circa due spanne.
La temperatura dell’acqua gli tolse tutto il fiato dai polmoni e letteralmente lo congelò sul posto; ma non c’era scelta. Non poteva muoversi in alcun modo, perché gli inseguitori l’avrebbero visto immediatamente; così si rassegnò ad una umida permanenza.
Di tutti i guai possibili, ora finirò per prendermi una polmonite, dannazione!
Cos’altro poteva andare storto, ancora?



ANGOLINO AUTRICE
Le scuse per il ritardo nell’aggiornamento sono dovute, ma… inutili! Non posso  promettere di emendarmi dai miei peccati, ma ci proverò.
*Grazie!* ad Eestel, Bonni_District4, ma soprattutto ad Emouel per la bellissima recensione! Ti risponderò, ma un omaggio pubblico ci stava tutto. Grazie. 

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Capitolo 24
*** Due improbabili compagni di viaggio ***


25 Due improbabili compagni di viaggio
24  Due improbabili compagni di viaggio

Il Nano perse velocemente la nozione del tempo. Ogni tentativo di evitare l’acqua gelida era del tutto vano. Ben presto la ferita smise di far male, completamente anestetizzata dal freddo; e velocemente capì che se non avesse tenuto mani e piedi fuori dall’acqua sarebbero congelati: già iniziava a perdere la sensibilità.
La sua mente cominciò a vagare. Davanti agli occhi danzavano immagini di Nani, Elfi e Uomini impegnati in battaglia; in mezzo al grande caos rivedeva diverse facce note, alcune che gli provocavano un tuffo al cuore; e poi boschi e colline, ed altri volti, stanchi, allegri, e fuochi da campo, e… e… Gli occhi si stavano chiudendo.
Dèi, sono così stanco… così stanco…
Una voce dentro di lui gli urlava che non doveva addormentarsi, doveva muoversi, perché altrimenti…

Si stava ritirando in un caldo bozzolo, e cominciava a sentirsi sorprendentemente bene, quando  percepì una presenza  accanto a lui. Con uno sforzo si riscosse, e cercò di prestare attenzione.
Qualcuno stava annusando. Annusando lui, per la precisione; subito dopo, uno sbuffo sul collo,
seguito  da un colpetto alla nuca gli fece riprendere completamente i sensi. Qualcosa di umido e morbido gli si appoggiò sul capo!
Una irrazionale paura dell’ignoto gli fece immaginare serpenti immensi che gli strisciavano addosso, ma per fortuna durò solo un momento: le sue orecchie gli portarono un sibilo di richiamo:
“Ehi, Mastro Nano! Sei vivo? Non farmi prendere spaventi, per favore, è già stata una brutta giornata!”
La Regina degli eufemismi è tornata, pensò, sollevato, esasperato e divertito allo stesso tempo.
“Sì,” rispose, “adesso esco, fatti indietro.”
Lentamente, facendo i conti con le sue membra intorpidite, strisciò fuori dalla pozza e dall’intrico di piante, trovandosi  per un attimo a faccia in giù sul terreno; e qualcosa colpì la sua attenzione.
Davanti a lui si disegnava sul terreno un piccolo cerchio di luce.
Ma cos…?
“Ce la fai ad alzarti?” la voce sommessa di Gwennis lo raggiunse, poi sentì una mano sulla spalla.
“Ma sei tutto bagnato! Vuoi prenderti un malanno?”
Eccola. Dovevo aspettarmelo.  Lentamente si alzò sulle ginocchia. Sapeva di essere una figura miseranda, con i capelli fradici che gli piovevano sul viso e gocciolavano sulla cerata orchesca che portava ancora sulle spalle.
“Dal momento che non facevo un bagno da un po’, ho pensato di approfittare della sosta,” rispose, con tutta la dignità che riuscì a racimolare.
Gwennis lo guardò perplessa, forse cercando di decidere se stesse scherzando. Il Nano alzò a fatica le braccia, si spazzò i capelli dalla faccia e li respinse indietro. Con le dita intorpidite, fu davvero un’impresa, ed il risultato non fu dei migliori, ma almeno poteva vedere davanti a sé.
“Ecco, così va meglio,” e finalmente guardò la sua compagna. E rimase di sale un’altra volta.
La ragazza stringeva tra le mani un oggetto del tutto improbabile, indubbiamente utile in quelle circostanze ma di certo l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di vedere nelle mani di una Nana da salotto, come ormai definiva la sua compagna.
Era una piccola lanterna, munita di svariati sportellini che consentivano di illuminare solo la direzione che interessava… in genere solo a terra, in modo da farsi luce senza essere visti.
“Come diavolo fai ad avere una lampada da ladri?”
Gwennis lo guardò interdetta.
“Una cosa?” poi seguì lo sguardo del Nano. “Ah, questa? No, ma che ladri! E’ una lampada da cucina!  Per quando vuoi fare uno spuntino notturno senza svegliare il resto della casa…”
No. Non ci posso credere. Mentre lui la guardava interdetto, lei proseguì, ora un po’ incerta.
“L’ho comprata a Gabilgathol, l’anno scorso! Me l’ha venduta un Nano molto simpatico, con una strana pettinatura a tre punte, capelli rossicci… doveva lasciare la città il giorno dopo, pensa,  per una emergenza familiare, poverino, e così era costretto  a svendere tutta la sua merce. Ho fatto davvero un ottimo affare!”
“Ah, sì?” il Nano si passò la lingua sulle labbra secche; si era alzato, con l’intenzione di muovere i piedi per riattivare la circolazione, ma in realtà si sentiva piuttosto malfermo sulle gambe, anche perché stava tremando in modo incontrollabile. “E cosa vendeva d’altro? Argenteria?”
“No, di quella ormai non ne aveva più. Era rimasto solo un set di arnesi per pulire il pesce, veramente belli, sai: lame sottili, uncini di vario genere, perfino piccole pinze…”
Il Nano non rispose: gli sembrò totalmente inutile tentare di spiegare a quella tizia fuori di testa cosa fossero, ed a cosa servissero, dei grimaldelli.
“… ma a me il pesce non piace, ed in ogni caso il pescivendolo è bravissimo a vendere il pesce già pulito…”
“Sì, sì,” bofonchiò il Nano, strofinandosi le braccia. Aveva ricominciato a nevicare leggermente, e tirava un vento gelido. “Sarà meglio andarsene.” Poi si rese conto di un particolare.
“Come hai fatto a trovarmi?” chiese, incuriosito.
“Non sono stata io,” ridacchiò Gwennis. “E’ stato Billy. Ti avevo detto che sarebbe tornato.” Il pony scelse proprio quel momento per dargli, con il muso,  un colpetto sulla nuca, seguito da un’energico sbuffo.
“Quando gli ho detto di trovarti, ha fiutato l’aria e si è avviato.”
Il Nano si voltò per trovarsi naso a naso con il pony. In tutta questa follia, ci mancava solo il pony da fiuto!

Per un istante, il Nano guardò perplesso la coppia davanti a lui. Non avrebbe potuto immaginare compagni di viaggio più improbabili. Poi si riscosse: non potevano rimanere lì.
Giusto. E dove andiamo?
Era indispensabile trovare un riparo. Nello stato in cui si trovava, non avrebbe resistito molto: anche la ferita si era risvegliata, ed il fianco gli pulsava terribilmente. E non riusciva a smettere di battere i denti.
E davanti a lui Gwennis lo guardava con aria speranzosa, come se avesse in tasca la soluzione a qualsiasi problema. Adesso i suoi occhi sono grigi come la nebbia sulle colline.
“Dobbiamo trovare un riparo, Mastro Nano. Ti prenderai un malanno.” La prosaica affermazione lo riscosse dai pensieri poetici; imprecò tra sé.
Rieccola. La fiera dell’ovvio. Ed io che mi perdo in particolari irrilevanti!
“Madamigella,” rispose con aria seccata, “sono perfettamente consapevole di questo. Puoi consigliarmi una qualche confortevole locanda, raggiungibile in meno di mezz’ora, con una buona cucina e possibilmente bagni caldi?”
Nel frattempo la sua mente aveva ricominciato a funzionare.  Gettò uno sguardo al carico del pony, e fu subito evidente che, nonostante ci fossero pellicce e coperte, non vi era nulla di impermeabile, tranne una piccola copertura che proteggeva la soma. No, niente per costruire un riparo, nemmeno il più sommario.
“Permetti che ti dica che questa domanda è piuttosto ridicola, Mastro Nano! L’ultima locanda che ho visto, con le caratteristiche da te richieste, è a Brea, che, se non lo sai, si trova a circa un mese di cammino da qui…”
Il Nano non le badò affatto. Potrei attraversare il fiume, gli orchi si sono accampati, e magari potrei rubare qualche telo…
“… non posso indicarti alcuna locanda, qui vicino. Però potremmo accontentarci di un Rifugio della Via, non credi..?..”
Impossibile rubare qualsiasi cosa per ripararsi, pensò il Nano scartando la sua precedente idea, li staranno usando tutti. A meno di trovare l’equipaggiamento di qualche morto… ma si saranno affrettati a spartirsi ogni cosa, ridotti come sono.
“… certo, è solo un muro di pietre che chiude una grotta,  manca anche la porta e di certo non c’è acqua per un bagno, ma…”
In questo bosco potrebbe esserci qualche grosso albero cavo… ma non ne ho visti, e come trovarli con solo una piccola lanterna…
“… ma almeno potremo accendere un fuoco e stare al caldo!”
Fu quella parola, caldo, che si fece finalmente strada nella mente del Nano, che aveva completamente ignorato la sua compagna.
“Cosa hai detto?”
Lei lo guardò perplessa.
“Ho detto che potremmo accendere un fuoco, e…”
“Ma dove?”
“Non è molto lontano, forse mezzo miglio, e bisogna attraversare il torrente, e ci vorrà più di mezz’ora, ma…”
Il Nano alzò una mano e trasse un profondo respiro.
“Fermati e ricomincia da capo. Ti faccio le mie scuse, ma non sono molto lucido, oggi.”
Gwennis lo guardò con aria critica.
“L’avevo detto che stai per prenderti un malanno. Non può far bene farsi un bagno gelato nel mese di febbraio..  comunque ti stavo parlando di un Rifugio della Via. Se non lo sai, è…”
“So cos’è. E ce n’è uno a mezzo miglio da qui?”
“Sì. La mia Signora ha fatto ripulire tutti quelli che abbiamo trovato, ed in questo abbiamo trascorso la notte passata. Non è un gran che, ma la mia Signora ci ha fatto lasciare una scorta abbondante di legna, esca ed acciarino, e qualche altra cosetta utile; sai, c’è una grossa carovana in arrivo dalle Montagne Azzurre, ma è partita diversi giorni dopo di noi ed andranno molto piano, perché hanno carri, attrezzature, e tutte le loro cose. Ci vorrà probabilmente ancora un mese perché arrivino qui, ma la mia Signora pensa che la Via sarà di nuovo  molto frequentata tra non molto ed ha dato ordine di ripristinare più rifugi possibile.”
“Sia benedetta la tua Signora, chiunque lei sia!” esclamò il Nano con fervore. “Da che parte?”

Fu un viaggio infernale, per quanto breve. Il Nano continuava a tremare incontrollabilmente, e le forze gli venivano rapidamente meno; dopo qualche centinaio di metri fu costretto ad aggrapparsi alla soma del pony. Fortunatamente la  piccola lanterna di Gwennis fu sufficiente per costeggiare il fiume, finchè giunsero in uno spazio aperto. La Via, che fino a quel punto si trovava sulla riva opposta del torrente, proseguiva proprio davanti a loro descrivendo una lunga curva verso sud.
“La mia Signora ha fatto liberare e segnare il guado,” disse Gwennis indicando alcuni grossi pali piantati nel greto del torrente, tra cui erano tese alcune spesse funi. “Il rifugio è dall’altra parte, a circa cento passi dalla riva.”
Il Nano non rispose subito. Batteva i denti, e tutto il suo corpo era un insieme di dolori; non si sentiva più i piedi, e pensava che avrebbe avuto difficoltà a sciogliere le dita dalla soma del pony.
“D-dobbiamo a-a-attraversare..?” Non credo che ce la farò.
Gwennis alzò un poco la lanterna, e dopo una rapida occhiata si pose al suo fianco, circondandolo con un braccio.
“Forza,” mormorò, “un passo per volta. Billy, vai avanti piano.”
In seguito, il Nano non ricordò quasi nulla di quella traversata. Ogni suo sforzo era concentrato nel mettere un piede davanti all’altro, nella corrente bassa che non superò mai l’altezza delle caviglie dei due Nani.  Il cammino era sufficientemente agevole, visto che ogni pietra troppo grossa era stata  spostata ed ogni buca colmata, ma lui era allo stremo delle forze: la ferita faceva male e l’acqua gelida aveva prosciugato ogni calore dal suo corpo. Ad un tratto furono all’asciutto, e continuarono a procedere ancora per un piccolo tratto.
Alla fine,  il Nano si rese conto che il vento aveva cessato di soffiare, e non nevicava più. A fatica, ad una ad una, staccò le dita dalla soma del pony ed alzò lo sguardo.
“Siamo arrivati, Mastro Nano: questo è il rifugio. Accendo subito un fuoco.”
Grazie, Mahal, pensò lui, e cadde in ginocchio.
 
Molto più a sud… e molto più in basso
Un piccolo Goblin correva sulle passerelle di Goblin Town, ignorando le maledizioni di coloro che urtava nel suo procedere frenetico. Non aveva tempo da perdere.
Senza fiato, si fermò sull’ingresso di un antro  posto in una zona riservata. I due alti mostri pesantemente armati lo lasciarono passare senza una parola: era conosciuto, e nessuno osava far aspettare il suo Padrone.
 “Vostra Malvagità, ho notizie.” Il piccolo Goblin si avvicinò a schiena curva, lo sguardo fisso a terra. Sapeva che anche solo un’occhiata poteva provocare reazioni violente ed impreviste.
“Dimmi, Broeer, mio subdolo servitore. Da chi?”
Broeer tirò segratamente un sospiro di sollievo. Sembrava una giornata poco pericolosa.
“Da Uroch.”
“Ah, il villaggio sul Fiume. Che novità?”
“Uroch si è appostato con i suoi sulla riva ovest del Fiume, ma ha mandato una pattuglia ad est. Il Nano è ancora nel villaggio, la casa è stata individuata facilmente. Deve essere abbastanza malconcio da non poter uscire, ma non tanto da non poter  parlare con i Capi, che infatti si sono recati da lui più volte. Uroch dice che, se la Vostra Malvagità vuole, è possibile prenderlo con un attacco rapido, il villaggio  sembra poco sorvegliato e gli abitanti non troppo pericolosi.”
Sobek grugnì.
“Ha individuato la Bestia? So che è tornato dalla Montagna Solitaria.”
“Non ha mandato a dire nulla in proposito…”
“Come al solito Uroch pensa con la mazza da guerra. Per fortuna ha almeno il buon senso di  chiedere istruzioni!”
Broeer rimase in silenzio; il suo signore ora sembrava irritato, meglio non attirare la sua attenzione su di sé. Notò che Sobek giocherellava con una spada di fattura nanica, non troppo lunga, molto bella; e non era la prima volta.
“Nessun’altra notizia? Brorig?”
“La pattuglia di Brorig non ha comunicato nulla, Vostra Malvagità.”
“E’ ancora presto. L’Antica Via è lontana, e Gundabad ancora di più… se è così sciocco da aspettare tanto per agire.”
Dopo un silenzio che a Broeer parve eterno, Sobek sibilò, a voce bassa.
“Manda a Uroch questi ordini: non deve attaccare il villaggio per nessun motivo, a meno che non sia assolutamente sicuro che la Bestia sia molto, molto lontana: è tremendamente veloce, e farsi sorprendere sulla via del ritorno con il prigioniero non è una buona idea. Posso sopportare la perdita di Uroch e di tutti i suoi, ma la Bestia prenderebbe il Nano con sé, e non sarebbe mai più raggiungibile.”
“Sarà fatto, Vostra Malvagità.”
“Deve piazzare un folto contingente a est del villaggio, tra il Fiume ed il Bosco: voglio qualsiasi messaggio diretto a est. Voglio sapere cosa dice, e soprattutto a chi è diretto.”
Dopo un ultimo inchino strisciante, Broeer si dileguò.
Sobek rimase a contemplare la lama nanica, che brillava alla luce delle torce.
“Quell’idiota di Ogerak si è fatto fregare, ma io no. Thorbag voleva i Nani, tutti e due, anche a costo di rinunciare al principe elfico; e per quale motivo? Doveva sapere qualcosa che rendeva quei Nani molto preziosi. E quindi saranno miei… e quando le mie spie a est avranno scoperto chi risulta disperso in battaglia, saprò quanto sarà forte la mia leva per il potere a Goblin Town!”
Passò un dito sulla spada affilatissima, che gli lasciò un taglio sui polpastrelli. Osservò una goccia di sangue scuro formarsi sotto il bacio della lama, lo lasciò scorrere un poco poi si portò il dito alla bocca e leccò voluttuosamente.
“E in ogni caso, biondino mio, io e te ci divertiremo un sacco.”   


Angolo Autrice
Una precisazione: Gwennis può sembrare stupida, ma non lo è. Non lo è affatto, anzi; è solo terribilmente ingenua! Il fatto è che ha sempre condotto una vita molto riparata e tranquilla, dove Orchi e combattimenti sono solo cose di cui si legge nei libri.
Angolo del *Grazie*!
Ad Elanor 02, Venice 93,  Ishtar13, jodie_always: benvenute!
Un abbraccio ad Emouel, kili_filiTogether… e sempre e comunque alla carissima LilyOok! 

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Capitolo 25
*** Una tovaglia da picnic ***


26
Ciao! Dopo la fuga rocambolesca del capitolo precedente, i nostri due – tre, contando il pony da fiuto – fuggitivi si conoscono un po’ meglio…


25 Una tovaglia da picnic

Il Nano si abbandonò a terra, privo di forze. Devo muovermi… non posso restare così fradicio. Rotolò sulla schiena e tentò di sganciare la cerata orchesca che ancora indossava, ma le dita parevano non ubbidirgli. E la mente neanche. Ci volle tutta la sua concentrazione per riuscire ad aprire il fermaglio…  e adesso cosa devo fare…?
Due mani salde gli vennero in soccorso.
“Ce la fai a rotolare vicino al fuoco?” Gwennis stava davvero cominciando a preoccuparsi. Il guerriero deciso ed audace che aveva conosciuto sembrava scomparso, ed era chiaro che questo Nano era nei guai. Lo aiutò a trascinarsi vicino al rozzo focolare, dove scoppiettava un bel fuocherello; si tolse i guanti e  prese fra le sue le mani del suo compagno. Erano gelide.
“Devi toglierti subito questi vestiti, o congelerai,” affermò, decisa.
Sì, ci avevo pensato anch’io, in effetti, ma…
 “La porta… copri la porta,” gracchiò il Nano, con una voce che lui stesso stentò a riconoscere. E dato che lei lo guardava perplessa, spiegò: “La luce del fuoco… se gli Orchi lo vedono…”
“Ho capito,” disse Gwennis. Prese la cerata abbandonata e la spiegò.
“Io copro la porta, ma tu togliti quella giubba!”
Sopra l’apertura che fungeva da porta, Gwennis trovò una sporgenza irregolare, e su quella appoggiò la cerata, fermandola con alcuni sassi; non arrivava fino a terra, ma poteva bastare, anche perché aveva cominciato a nevicare forte, e di certo gli Orchi se ne sarebbero stati rintanati nei loro miseri rifugi.
La temperatura nel piccolo rifugio stava salendo, ed anche il Nano cominciava a sentirsi meglio. Riuscì a sciogliere la cintura, dopo aver sfilato tutte le armi che aveva tolto agli Orchi morti, e lottando un po’ per mettersi seduto, si tolse  i parabracci e la pesante giubba. Decisamente più complicato fu sfilare gli stivali, ma ci riuscì.
Alzò gli occhi solo per incontrare lo  sguardo allibito di Gwennis.
Ma cosa… oh, Mahal. Non ho le calze! Ricordava vagamente un tempo in cui aveva avuto degli spessi e caldi calzettoni, ma ad un certo punto non c’erano più stati, e non era certo stata la sua preoccupazione principale! Ma adesso, contro ogni logica, si sentì avvampare.
“No aspetta… una volta le avevo, cioè… è solo che…”
Perché tutto ad un tratto era diventata una cosa così importante?

Sto perdendo la ragione. Cosa mi sta succedendo? Questa Nana sballa tutte le mie priorità!
Confusione, imbarazzo ed anche una certa rabbia verso se stesso si agitavano nella sua mente. E poi Gwennis era in ginocchio  davanti a lui, e gli avvolgeva i piedi in una calda pelliccia.
“Ecco,” disse, porgendogli un telo ripiegato, “asciugati con questo. Ci sono coperte e pellicce per entrambi, ed io farò il tè. Ma togliti subito quei vestiti fradici!”
Il Nano si riscosse: c’era del dannato buon senso in quello che lei stava dicendo, ed era anche necessario occuparsi della sua ferita. Quindi, sciolti i lacci della camicia, cominciò a sfilarsela, quando si bloccò. Oh.
Non posso spogliarmi davanti a questa Nana!

“Beh? Cosa stai aspettando?” Gwennis era inginocchiata dall’altra parte del focolare, e  stava riempiendo una teiera – una teiera! – con l’acqua di un otre di pelle.
Il Nano si accorse che stava arrossendo violentemente. “Ecco, cioè… io non…”
Gwennis aggrottò la fronte.
“Sono stata sposata, Mastro Nano. Non hai niente che io non abbia mai visto, suppongo, quindi smettila di fare storie! Ma se proprio vuoi proteggere la tua virtù, vorrà dire che mi volterò dall’altra parte!” E così dicendo gli voltò le spalle, iniziando a frugare in uno zaino che aveva scaricato dal pony.
Il Nano rimase allibito per l’ennesima volta: l’affermazione meritava una risposta lunga alcune ore, o nessuna, quindi decise di tacere. Quella Nana aveva il potere di sorprenderlo in ogni momento: quando credeva di essersi fatta un’idea di lei, ecco che se ne usciva con qualcosa che rivoluzionava tutto.
Rapidamente si sfilò la camicia ed i pantaloni, spiegò il telo e vi si avvolse, asciugandosi accuratamente; poi gli cadde lo sguardo sull’oggetto. Ma questi sono ricami!
“Ehm… scusa… con cosa mi sto asciugando, giusto per la cronaca?”
Sempre di spalle, Gwennis rispose:
“Tovaglia da picnic. Posso girarmi?”
Tovaglia da…
“S-sì..”
Gwennis si voltò con il filtro del tè in mano ed un sorriso luminoso sul volto.
“Lo so che è fuori luogo. Ma quando sono partita tutto sembrava diverso, e comunque alla fin fine è stata utile, non credi?”
Improvvisamente, davanti a quel sorriso, tutto sembrò logico. Perfetto. Ed il Nano non potè fare a meno di sorridere a sua volta.

Avvolto in una coperta e rannicchiato accanto al fuoco, il Nano cominciò a sentirsi di nuovo se stesso, anche se continuava a rabbrividire e la ferita bruciava molto.  Con un sospiro  si allungò per prendere la borraccia dell’Orco; la stappò e, avuta la conferma – tramite un’unica annusata che lo fece lacrimare – del contenuto, si tolse la coperta dalle spalle, avvolgendola accuratamente attorno al giro vita, e si esaminò il fianco.  C’era un lungo taglio orizzontale sulle costole, che stillava ancora un filo di sangue, ma sembrava abbastanza superficiale; di certo qualche dose dell’intruglio avrebbe risolto il problema.

“Oh, Mahal!”
La frase mormorata a bassa voce, a distanza ravvicinata, ebbe l’effetto di farlo sussultare.
Non l’aveva sentita avvicinarsi, ma ora Gwennis era in ginocchio proprio davanti a lui ed osservava la ferita con uno sguardo allarmato.
“Sei ferito!”
Al Nano parve di cogliere un leggero tono accusatorio.
“Beh, si, ma non…” si schiarì la voce, maledicendosi per l’ennesima volta. Perché mi metto sulla difensiva?
“E’ una brutta ferita…!
Lui si contemplò con aria critica.
“Beh, ammetto che non è bella da vedere, ma…”
“Non dire idiozie!” sbottò lei. “Volevo dire: è grave?”
“Non ho intenzione di morire, se è questo che intendi!”
Gwennis tirò un plateale sospiro di sollievo.
“Mi fa piacere sentirlo. Ora dimmi: come posso aiutarti? Non credo di avere medicinali nel mio bagaglio, a parte un infuso per il mal di testa.”
“Ho io il medicinale giusto, ma ci vorrebbe qualcosa per fasciarla.”

Mentre Gwennis frugava tra sacche ed involti, il Nano raccolse il suo coraggio e buttò giù una bella sorsata dell’intruglio. Fa bene dentro e fuori, diceva il dio della medicina orchesca!
Il fiume di fuoco percorse tutto il tragitto dalla gola allo stomaco, con il consueto effetto dirompente. Il Nano si sforzò di non tossire, perché il suo fianco si era messo immediatamente a protestare, ma gli sembrò che gli occhi gli cadessero fuori dalla sede naturale insieme ad un fiume di lacrime.
Maledizione! Non mi ci abituerò mai…
“Non voglio sapere cosa diavolo stai bevendo, ma deve essere potentissimo, visto l’effetto che ti fa,” disse Gwennis, tornando ad inginocchiarsi davanti a lui e tendendogli alcuni quadrati ed una lunga striscia di stoffa. “Va bene così?”
Il Nano si asciugò le lacrime e prese la tela.
“E questi cosa…” gracchiò; l’intruglio gli aveva ustionato la gola.
“Tovaglioli,” tagliò corto lei, “ e striscia di tovaglia. Cosa devo fare?”
Giusto. Come fare un picnic senza tovaglioli?

Quando il liquido toccò la ferita, il corpo del Nano si inarcò per il dolore. Rimase disteso per un attimo, mordendosi il labbro ed ansimando pesantemente.
“Ancora?” sussurrò Gwennis, un po’ pallida.  Lui annuì; non aveva fiato per parlare.
La seconda volta fu meno terribile, forse perché la ferita bruciava già tanto che la differenza si notava appena. Il Nano si limitò a rimanere immobile, mentre mani ferme ma delicate gli  tamponavano il fianco  con la stoffa morbida; poi Gwennis completò l’opera facendo passare la striscia di tovaglia intorno al torace del Nano e fissando così i tovaglioli al loro posto. Lo aiutò ad avvolgersi di nuovo nella coperta ed a distendersi accanto al fuoco.

Per un po’ nessuno dei due parlò. Gwennis era occupata  con il tè, ed il Nano non poteva fare a meno di guardarla.
Si ritrovò ancora una volta sconcertato dal personaggio, e tremendamente curioso. Non è così sprovveduta come sembra. La situazione è di certo difficile, ma lei ci si adatta immediatamente, anche se è chiaro che è abituata ad una vita molto diversa. E non dimentichiamoci che ha ucciso un Orco!  Non era certo una cosa facile da gestire, per chi non ci era abituato, eppure lei, dopo il primo momento di choc, sembrava aver reagito piuttosto bene. Per la prima volta pensò  che  doveva avere qualche esperienza difficile alle spalle, nonostante la sua aria da “Nana dell’alta società”.
Fu più forte di lui, era troppo  curioso.
“Ehm, Gwennis… scusa… hai detto che sei sposata?”
Lei era occupata a versare il tè bollente in due tazze comparse da una sacca, e non alzò gli occhi.
“Sono  stata  sposata. Mio marito è morto due  anni fa.”
Il Nano avrebbe voluto sprofondare per l’imbarazzo.  Perché non mi sono fatto i fatti miei? Così imparo a ficcare il naso dove non mi compete..
“Oh, Mahal,  diavolo, mi… mi dispiace, non volevo…”
Dalla sacca di Gwennis comparve un vaso di terracotta, e lei mescolò al tè due generose cucchiaiate del contenuto, quindi gli porse una delle tazze. Questa volta lo guardò, il volto insolitamente inespressivo.
“Attento, che scotta. Non dispiacerti, non è stato un gran matrimonio e mi ha portato più guai che gioie.” Il messaggio era chiaro: non voglio parlarne.
Il Nano non trovò di meglio che affondare il naso nella tazza aspirando l’aroma speziato. Per un attimo scomparve tutto, in un’emozione travolgente: quel profumo parlava di quiete, di sicurezza, di famiglia… di casa.

Un fuoco allegro ardeva nel camino, ed intorno alcune persone sedute tranquillamente a fumare; su una poltrona un Nano dai capelli bianchi raccontava qualcosa, ed alcuni ragazzini lo ascoltavano trattenendo il respiro, seduti a terra intorno a lui. Il più vicino era un piccoletto con delle arruffate treccine brune semidisfatte, aggrappato al bracciolo della poltrona, che guardava il vecchio con enormi occhi scuri  pieni di meraviglia…

Il ricordo svanì come era arrivato, ma lasciò nel cuore del Nano un calore che non aveva mai provato in tutti i mesi trascorsi da quando si era ritrovato prigioniero degli Orchi. Un miscuglio si sentimenti lo assalì: sollievo, e speranza, c’è amore e serenità nel mio passato, ho una famiglia, amici…  e subito dopo una terribile nostalgia gli strise la gola e gli fece bruciare gli occhi di lacrime che non poteva versare.  Cosa sarà accaduto di loro? Mi staranno cercando? Mi credono morto?
Cercò di dominare i suoi sentimenti. Non era il momento di lasciarsi andare a cattivi pensieri, proprio adesso che, per la prima volta in tante settimane, le cose cominciavano a girare per il verso giusto. Era libero, per la barba di Mahal! Per la prima volta poteva fare piani precisi per il futuro.
Ma non stasera. Prima di tutto doveva riprendersi, e domani avrebbe deciso cosa fare.
Nascose il viso nella tazza un’altra volta, e sorseggiò il tè. Questa volta la sensazione fu di pura beatitudine. Miele!
“Mastro Nano, mi dispiace ma posso offrirti solo qualche biscotto: non ho altro che si adatti al tè…”
Lo sguardo che le rispose fu quello di chi aveva appena incontrato Mahal nel proprio salotto.
“Mia Signora,” scandì il Nano, “ti assicuro che questo va ben oltre qualsiasi mia aspettativa.”

Mentre assaporava i dolci come se fossero l’ultimo pasto della sua vita – e non era detto che non lo fosse, quanto meno di quel livello – il Nano si accorse che la sua compagna gli lanciava sguardi perplessi sopra la sua tazza di tè. Sospirò tra sé. Era inevitabile. E adesso?
“Scusa, Mastro Nano… posso almeno chiederti come ti chiami?”
Lui tacque per qualche momento, guardando nella sua tazza. Poi alzò gli occhi.
“Mi dispiace, Gwennis… non posso dirtelo.”
Le sopracciglia sparirono nuovamente sotto i riccioli che ricadevano sulla fronte. Una parte della mente del Nano osservò oziosamente che quell’espressione le metteva in evidenza gli occhi grigi  e le davano un’aria deliziosamente ingenua.
“Come, scusa…?”
“Non posso dirtelo… oh, non è per te! Solo, non posso.”
“Non posso nemmeno sapere da dove sei piovuto? Non eri con noi, ne sono sicura, anche se non conosco tutti i guerrieri. Tu sei… diverso.”
“Hai ragione. In verità ero con gli Orchi.”
Altro guizzo delle sopracciglia verso l’alto.
“Co… come..?”
“Ero prigioniero degli Orchi, per la precisione. Il vostro attacco mi ha dato l’occasione per scappare.”
“Oh, Mahal! E come è possibile?”
“E’ una storia lunga e spiacevole, e sono solo felice che sia finita.”
Gwennis sorrise.
“Allora andrai a casa, ora? E dove…”
Prima che pronunciasse un’altra domanda difficile, il Nano scosse la testa.
“Non posso. Devo seguire gli Orchi perché ho una missione da compiere. Devo liberare un prigioniero.”
“Allora non eri solo! C’è un altro Nano nelle  mani degli Orchi?”
Il Nano sospirò di nuovo. Ecco qua.
“Non un Nano. Un Elfo.”
 
Angolo del *GRAZIE!*
*A chi legge! Le visite sono tantissime, non ci posso credere... quasi 2500!
*A Laucace, Venice93, kili_filiTogether, LilyOok, Yavannah (con la h!) zaynlove2999, e, dulcis in fundo, Emouel: le tue recensioni sono sempre bellissime, cara! Grazie.
A tutti Bacio
Idril 

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Capitolo 26
*** Sogno o ricordo? ***


27 Sogno o ricordo?
SCUSATE, A TITOLI FACCIO SCHIFO!..

26 Sogno o ricordo?

Non erano solo i suoi occhi: tutti i suoi sensi erano assediati da quella miriade di sensazioni violente.  Certo, quello che vedeva era sconvolgente, ed in qualche modo del tutto irreale: il sangue scorreva a fiumi, gocciolava dalle lame, si raccoglieva in pozze sotto i corpi, scorreva in rivoli, tanto che la terra non riusciva ad assorbirlo. Ad ogni colpo della sua spada, sangue nero ed altre cose, che preferiva non osservare da vicino, schizzavano, e si mescolavano al fango. Tutti quelli che vedeva, amici e nemici, gli sembravano coperti di sangue, di fluidi non identificati, e dell’onnipresente fanghiglia fatta di  terra, pioggia e nevischio; si ritrovò ad osservare come il sangue schizzasse a volte  in spruzzi, altre volte in gocce, o addirittura come una nebbiolina rossastra, o nera. Notò il rumore che faceva quando raggiungeva una corazza, o un’altra parte di armatura. Ecco, i rumori: le urla dei feriti, i gemiti dei morenti,  i ruggiti, i grugniti di fatica e di rabbia… il tonfo sordo della freccia che affondava nella carne, o il sibilo della lama che calava… il clangore delle armi che si scontravano con forza, degli scudi infranti… una cacofonia che assediava le sue orecchie e gli penetrava nel cervello. Era passato il momento dei canti di guerra, ora c’era solo spazio per la lotta, fino all’ultimo.
E gli odori. Il sudore. Il sangue, che gli lasciava in bocca il sapore del metallo.  Quell’insieme di tanti effluvi che non si poteva definire altro che odore di morte.
Il suo corpo combatteva, senza fermarsi, un affondo, una parata, rotola e rialzati, muovi i piedi, dietro di te! Attenzione! L’adrenalina correva dentro di lui, e gli impediva di sentire la stanchezza, il dolore e la sete terribile: niente poteva fermarlo. La sua mente… era come se non riuscisse a credere alle sensazioni che riceveva. Come se tutto  questo non stesse accadendo a lui, ma vi assistesse, in qualche modo, che non riusciva a comprendere. Tutto era alieno. Tranne un particolare.
I nemici cadevano di fronte a lui, ma il suo sguardo guizzava sui suoi compagni,  persone che gli erano care, e il suo cuore sussultava ogni volta che li vedeva parare un colpo: terrore e sollievo, attento! Scampato pericolo!
Da quanto tempo combatteva? E quanto ancora?
E poi accadde.
In mezzo a tutto quel frastuono, sentì distintamente il tonfo del metallo che affonda nella carne. Un grido soffocato, un lamento, una voce nota. Girò appena il capo e lo vide.
Un secondo lungo quanto l’eternità. La spada  che scivolava dalle dita improvvisamente prive di forza. Sangue, sangue ovunque. Gli occhi improvvisamente enormi, spalancati sotto la visiera dell’elmo… vide in quegli occhi che conosceva meglio dei suoi lo stupore, poi il dolore, atroce, devastante…
Ed infine la luce che svaniva, come la vita che fluiva via dal corpo snello che si afflosciava al suolo…

“Noooo!”
Spalancò gli occhi e si trovò seduto. Il cuore che batteva all’impazzata, la bocca secca, per un momento rimase disorientato, nella mente ancora impressa l’immagine indelebile della morte di qualcuno…  quello che ho visto mi distrugge l’anima, e non ricordo nemeno il suo nome!
Ansimò pesantemente; non riusciva a capire, a distinguere.
“Va tutto bene, Mastro Nano… tranquillo, è tutto  a posto.”
Le mani sulle spalle e la voce lo riportarono alla realtà. Chiuse gli occhi e cercò di respirare normalmente.
“Era  un sogno… brutto, ma solo un sogno,” sussurrò Gwennis a bassa voce, con un tono che voleva essere tranquillizzante.
Un sogno. Solo un sogno… ma così terribile! Il suo cuore ebbe un sussulto.  O un ricordo?
La grande battaglia doveva essere un ricordo… e il resto? Era un ricordo anche quello o… un sogno provocato da un ricordo? E la scena finale… rabbrividì violentemente. Aveva già visto quel Nano nei suoi brevi squarci di ricordo, e nei suoi sogni. Sarà successo davvero…?
“Non è successo nulla…”
Nulla. Tranne che ho visto morire qualcuno che amavo.

Scosse il capo e cercò di  allontanare il pensiero. La sua parte razionale, quella su cui aveva sempre fatto affidamento,  quella che lo aveva salvato anche nei momenti più difficili, gli venne in aiuto ancora una volta.
Non posso alimentare cattivi pensieri. Impediscono di ragionare lucidamente. E’ stato solo un sogno, niente di più. Respinse fermamente tutti gli ‘e se’ in un angolo della mente, insieme a tutti i pensieri sgradevoli, i dubbi e le paure… solo che quell’angolo stava iniziando ad essere un po’ troppo affollato per una persona abituata al pensiero lucido e razionale.
Cacciò anche questo piccolo tarlo in quello stesso angolo, a si guardò intorno. Dalla luce che filtrava da sotto la cerata, era pieno giorno; e nevicava. Forte.
Si passò le mani sul viso, ed il suo naso gli disse che puzzava di sudore e di qualcos’altro. Di… orco? Puah!
“Nevica da ieri sera?” chiese. Gli orchi se ne saranno andati?
“Dall’altra sera, vorrai dire, anche se ieri c’è stata una pausa di qualche ora,” rispose Gwennis, porgendogli una tazza di tè.
“L’altra sera? Ma…” il Nano guardò perplesso la sua compagna di viaggio, poi spalancò gli occhi.
“Non sei stato al massimo della forma, direi, Mastro Nano, anche se adesso hai un aspetto migliore.” Scosse il capo, con la tipica espressione delle Nane rassegnata alla mancanza di buon senso dei Nani maschi. “Ti avevo detto che ti saresti buscato un malanno con quel bagno nell’acqua gelata!”
Il Nano, piccato, stava per argomentare in merito all’ingiustizia dell’affermazione, ma gli parve più costruttivo cercare di ricordare.
Era vero. La mattina precedente si era svegliato prima dell’alba, incapace di continuare a dormire a causa della tosse che lo squassava e della gola in fiamme; per non parlare dello stato in cui versava la sua testa! Credeva che se si fosse mosso un po’ troppo, gli sarebbe rotolata via dal collo… e ci erano stati  momenti in cui si era augurato che lo facesse, dato che sembrava sul punto di andare in frantumi. Se ne era rimasto tutta la giornata a rabbrividire sotto le pellicce, ingoiando di tanto un tanto una tazza di tè con il miele ed un sorso dell’intruglio orchesco: tanto non ne sentiva più nemmeno l’effetto fiammeggiante!
E la sera.. beh, della sera e della notte non ricordava un granchè, anzi quasi nulla… solo confusi flash del tutto incongruenti, a parte qualche immagine, o sensazione, che… involontariamente scoccò un’occhiata a Gwennis da sotto le ciglia semiabbassate.  Al solo pensiero si sentiva arrossire. E’ troppo tempo che non sto con una Nana,  si disse. Ho le allucinazioni.  
“Ho… ho avuto la febbre?” chiese. Dopo il tè con il miele la voce era un po’ migliorata.
“Sembravi una fornace, Mastro Nano. Mi hai spaventata…” Gwennis lo guardò con un’espressione leggermente imbarazzata. “Poi… beh, poi ad un certo punto ti sei addormentato. Come ti senti adesso?”
Lui si esaminò.
“Il peggio direi che è passato, anche se non so cosa darei per un bagno caldo, e mi sento un po’ a corto di fiato. Non è che avresti qualcosa da mangiare?” chiese speranzoso.
Gwennis esibì un sorriso luminoso.
“Sono davvero felice di annunciarti che per il bagno è tutto pronto… speravo tanto che me lo chiedessi! Sai, non sei una compagnia precisamente piacevole in questo buco di rifugio! E per la colazione mi sto organizzando!” così dicendo, esibì al Nano allibito due grandi secchi di cuoio pieni d’acqua a metà, vi aggiunse con precauzione acqua bollente da una pentola sul fuoco, e gli allungò un pezzo di sapone. Il Nano sapeva perfettamente di avere un sorriso idiota dipinto sulla faccia, ma non poteva farci nulla. Era un sogno che si avverava.

Dopo aver aggiunto altra acqua alla pentola sul fuoco, Gwennis gli indicò alcuni teli di lino e i suoi vestiti, accuratamente ripuliti, asciugati e riparati.
“Ho fatto del mio meglio, ma davvero, Mastro Nano, dovresti avere più cura delle tue cose! Da quanto tempo non provvedi?”
“Ti ringrazio moltissimo, madamigella Gwennis. Sai, il servizio lavanderia presso gli Orchi era decisamente scadente, e non si trovava un sarto decente per leghe!”
Gwennis guardò l’espressione leggermente seccata del Nano e fece una risatina imbarazzata, arrossendo in un modo che lui trovò delizioso.
“Ho detto una sciocchezza, mi dispiace…”
All’istante fu lui a sentirsi in imbarazzo.
“Sono io che devo scusarmi,” disse a bassa voce, “tu sei stata così gentile e io riesco solo a fare battute sgradevoli.” Le porse la mano. “Mi scusi?”
“Scuse accettate,” rispose Gwennis sorridendo e stringendogli la mano.

Gwennis sedeva davanti all’ingresso del rifugio, con la tenda scostata per avere un po’ di luce. La nevicata era talmente fitta che non si vedeva a dieci metri.
Teneva tra le mani la giubba del Nano, cercando di ricucire lo squarcio prodotto dalla lama dell’Orco, oltre a tutti gli altri strappi più piccoli.
Gwennis aveva sempre amato il lavoro di cucito, soprattutto perché mentre le mani erano occupate, la mente era libera di lavorare; ed in quel momento la Nana stava pensando molto seriamente al suo compagno di viaggio, cercando di non far caso ai rumori provenienti dalle sue spalle, che gli suggerivano pensieri poco adatti al momento.
Il personaggio era assolutamente misterioso. In sé la sua storia era perfettamente plausibile; era stato fatto prigioniero dagli Orchi in fuga dopo la Grande Battaglia, ed era riuscito a fuggire nello scompiglio causato dall’incontro. Il tutto confermato anche dalla brutta cicatrice che aveva sul braccio, chiaramente recente e chiaramente trattata con poca cura, come è logico aspettarsi in un prigioniero degli Orchi. Del tutto logico, ancora, che non fosse l’unico prigioniero; e il fatto che l’Elfo lo avesse aiutato a fuggire e che lui a sua volta non volesse abbandonare l’amico, non era strano per Gwennis. Gabilgathol era una città cosmopolita, ed non era così inconsueto vedere Elfi che si recavano a consultare la Grande Biblioteca, che conservava testi salvati dal Disastro dei Tempi Remoti; così non trovava affatto fuori luogo il rapporto tra i due prigionieri. Ma tutto il resto…  
Già il fatto di non voler dire il suo nome era indicativo di qualcosa di molto strano; ed ora che Gwennis aveva avuto tra le mani i suoi abiti le incongruenze diventavano, se possibile, ancora più evidenti. La giubba che stava riparando era di mediocre qualità, fatta probabilmente per qualcuno più alto di lui; e così i parabracci di cuoio, semplici e disadorni. Ma il resto era tutta un’altra storia.  I pantaloni erano di pelle abilmente lavorata, con decorazioni  lungo i fianchi; e la camicia era di tessuto finissimo, con delicati ricami  di una fattura che non conosceva, ai polsi, intorno al collo ed all’allacciatura, e rifiniture minuziose. Un capo di grande qualità, che non  si accordava affatto con la descrizione che il Nano aveva fatto di se stesso come semplice guerriero. Vero, avrebbero potuto essere capi rubati, o trovati; ma sembrava che gli si adattassero perfettamente.
Così come, elemento assai più rilevante,  non si accordava il suo linguaggio, privo di espressioni dialettali e di inflessione: a Gagilgathol, dove la provenienza ed il ceto sociale erano fondamentali, Gwennis aveva  imparato presto che il modo di parlare rivelava moltissimo di qualsiasi persona, e quello del Nano denunciava a chiare lettere un’educazione formale anche di alto livello. Niente a che vedere con un soldato o un mercenario. Ed infine gli stivali: quelli sì, da guerriero, con molti recessi per nascondere coltelli o altre armi; ma, sebbene consumati, erano di ottima pelle, doppia e con incisioni a rilievo, e le fibbie erano d’argento, con leggeri intarsi di qualcosa che poteva solo essere mithril. Un soldato? Ma per favore.
Era pertanto chiaro come il sole, per Gwennis, che il Nano non era affatto quello che voleva far credere; ma perché questa finzione? Visto che avrebbe viaggiato con lui ancora per un po’, la risposta a questa domanda era fondamentale.

Gwennis posò la giubba rammendata.
“Posso voltarmi?” chiese.
Le rispose una risatina.
“Se intendi che ormai hai perso la possibilità di vedere qualcosa di bello, sì: puoi voltarti.”
Il Nano era seduto a gambe incrociate su una coperta, e si stava districando i capelli pieni di nodi.
“La vita è piena di delusioni, vero?” rispose lei. Una volta ripulito, il Nano era sicuramente una vista gradevole. Gwennis gli tese un pettine preso dalla sacca dei suoi effetti personali.
“Dobbiamo parlare.”

Gwenns ascoltò attentamente il Nano mentre esponeva i suoi progetti,e contemporaneamente si intrecciava con abilità i capelli, formando due trecce sulle tempie che annodò insieme sulla nuca. La Nana non potè fare a meno di notare come le lunghe ciocche sciolte, finalmente pulite, si arricciassero in gradevoli onde, che brillavano quietamente alla luce del fuoco.
Cosa avrebbe dovuto fare? Tornare da sola alla carovana, dopo tre giorni, le sembrava fuori discussione: non ce l’avrebbe fatta, anche se il tempo fosse migliorato.  Il grosso dei Nani dei Monti Azzurri era troppo indietro perché potesse fermarsi ed attenderli; anche ammesso di non fare brutti incontri, sarebbe morta di fame nel frattempo.
D’altra parte, se il Nano voleva avere un’occasione per liberare il suo amico Elfo, non aveva altra scelta che affrettarsi a seguire gli Orchi, e pregare Mahal di riuscire a raggiungerli prima che imboccassero la strada impervia che saliva fino a Gundabad. Gwennis l’aveva vista: si dipartiva a nord dall’Antica Via e si inoltrava nella zona più paurosa e desolata che avessero mai visto in tutto il viaggio. I Nani erano rimasti rigorosamente sulla Via ed avevano oltrepassato quel tratto con le armi in pugno e una fitta rete di esploratori, ma non avevano visto nessuno, ed il motivo era ormai evidente.
 “Ti prometto che non appena liberato Lirien ti accompagnerò per la Via fino alla tua carovana, o fino ad Erebor, se sarà necessario,” stava dicendo il Nano. Sempre che ce la caviamo, era la condizione implicita, che però Gwennis capì benissimo.
Restare con  lui, però, poteva essere altrettanto pericoloso che tentare di raggiungere la sua Signora da sola. Erano troppi i misteri che circondavano quel Nano, a partire dal suo nome.
Doveva scegliere.
La sua ragione le diceva di non fidarsi di lui. Di sicuro era un combattente abile e spietato. Perché non spiegare chi fosse e da dove venisse? Poteva essere un assassino ricercato; chi le diceva che non l’avrebbe abbandonata, magari mentre dormiva, portandosi via tutte le sue cose? O peggio? Con il pony poteva tentare di tenere un’andatura elevata, e forse Lady Dìs si sarebbe fermata sperando che lei la raggiungesse; poteva essere in salvo in un paio di giorni.
Il suo istinto le diceva l’esatto contrario. Vai con lui. Perché… perché sì.
Lo guardò negli occhi.
Fin dal primo momento avevano attirato la sua attenzione.
Gli occhi di una persona retta, leale.
Occhi saggi.
Già una volta aveva seguito la ragione, ignorando l’istinto, e l’aveva pagata cara. Aveva dato retta a tutti i consigli così logici, e ragionevoli, e prudenti, ed era stato un disastro. Stavolta avrebbe fatto a modo suo.
“D’accordo,” gli disse, “verrò con te.”

Angolo autrice
Sono stata colta da una crisi di ispirazione. Ho diversi capitoli già pronti, e la storia e tutta delineata, ma... c'è uno scoglio in mezzo. Così, se non mi farò viva per un po', sapete che sono in pausa meditativa. Posso garantire che la storia finirà, in primo luogo perchè io non lascio mai niente a metà, e poi perchè quello che ho già scritto mi piace molto, quindi certo non me lo terrò per me. In ogni caso, buone vacanze!

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Capitolo 27
*** Qualcosa si muove ***


28 Qualcosa si muove
27  Qualcosa si muove

Il sole del mattino splendeva e traeva bagliori dalla neve. Neala chiuse fragorosamente la finestra e si precipitò in cucina a far colazione. Finalmente!
La sua entrata le fece guadagnare un’occhiataccia da parte di sua madre.
“Neala! Smettila di far confusione! Il nostro ospite sta ancora riposando!”
“E chi se ne importa! C’è il sole! Posso uscire… devo uscire!”
“Neala!”
Uno scappellotto la colpì sulla nuca e  la raffreddò immediatamente.
“Non c’è motivo per comportarsi da maleducata!”
Dall’altra parte della tavola, Sybella la guardava con la sua solita aria scandalizzata, mentre con movimenti aggraziati e misurati spalmava il burro sul pane. Neala si chiese oziosamente come facesse rendere leziosa anche un'azione così normale. Mentre la madre non guardava, occupata a togliere i biscotti dal forno, Sybella si produsse nel suo miglior sorrisetto di sufficienza.
Per Neala fu troppo. Dopo  giorni e giorni di bufera, vento e neve, era finalmente uscito il sole, e quindi poteva uscire,  andare a vedere come stavano i suoi amici passeri, ammirare il paesaggio innevato; i suoi piedi fremevano dall’impazienza di correre  e di godersi la bella giornata ed era già faticoso star ferma in attesa della colazione… se avesse osato sarebbe direttamente uscita dalla finestra della sua camera! Stava letteralmente morendo dalla voglia di godersi la natura nella sua nuova veste, e la rimproveravano! Non solo, quella stupida di Sybella si permetteva anche di fare le smorfie! Fissò la sorella con sguardo omicida e deliberatamente le mostrò la lingua.
“Neala!!!”
Acc..! Adesso mamma mi terrà chiusa in casa tutto il giorno..!  sentì le lacrime salirle agli occhi e chinò il capo. Perché, perché sua madre vedeva solo quello che faceva lei, e Sybella la faceva sempre franca?
“Neala, niente colazione, stamattina! Mangerai quando imparerai a stare a tavola come una persona civile!”

La mamma mi sorprende sempre. Dall’alto del  suo punto di osservazione preferito, e segreto, Neala contemplava il panorama sotto di lei. Adorava la neve. Dava una tale sensazione di pulito… di nuovo… anche le rovine della vecchia fattoria abbandonata,  lontana a nord, offrivano uno spettacolo suggestivo. La distesa di neve intoccata, là dove d’estate c’erano campi coltivati, sembrava a Neala un magico mare.
Si spostò sul ramo dove si trovava ed appoggiò la schiena al tronco, con un sospiro soddisfatto.
La vecchia quercia era la sua amica del cuore. Quel giorno vi si era arrampicata ignorando i blocchi di neve che le scivolavano sulla mantella e sul cappuccio, caduti a causa dei suoi movimenti che agitavano i rami; ad un certo punto però aveva alzato la testa per controllare quanto mancasse al suo punto preferito… ed era stata centrata in piena faccia da una massa  di neve scivolata dalla cima. Oh, beh. Era un piccolo prezzo da pagare per quella magnificenza.
La natura è sempre uno spettacolo meraviglioso, in qualsiasi stagione.  Il Grande Fiume fluiva lento e maestoso, e le Montagne Nebbiose che incombevano ad ovest mozzavano il fiato, coperte di neve, e là a nord ancora incappucciate di nuvole minacciose. Il bel tempo sarebbe durato poco, e tutti dicevano che quell’anno l’inverno avrebbe faticato a lasciare il posto alla primavera; proprio per questo Neala era così ansiosa di raggiungere il suo posto preferito.
Un movimento attirò la sua attenzione: qualcuno si stava avvicinando al villaggio, e la ragazza non ci mise molto a riconoscere il loro Signore, inconfondibile anche da lontano se non altro per la sua mole.
Alcuni avevano paura del loro Signore Beorn,  su cui si raccontavano storie di ogni genere, ma non Neala. L’aveva incontrato faccia a faccia poche volte, ma conosceva il suo amore per tutte le creature, anche le più piccole; ed era sicura che lui sapesse che Neala condivideva questo sentimento.  I suoi occhi possono diventare severi, ma c’e dolore ed amore in essi.
La ragazza vide che Beorn si dirigeva verso la sua casa, e capì che era venuto per incontrare il loro ospite.
A Neala piaceva il Nano. Aveva creduto che tutti loro fossero burberi come il vecchio Hrar, che ferrava i cavalli giù a Campo Gaggiolo; si faticava a vedergli il volto in mezzo a tutta quella barba, ed i suoi occhi sembravano sempre arrabbiati! Invece lui era diverso, forse perché era il primo Nano giovane che avesse mai visto. Una volta ripulito e con la barba ben regolata, non era affatto male; ed ora che stava meglio, era un ottimo compagno di serate,  allegro e divertente, ed era bravissimo a giocare a scacchi ed alle sciarade, o agli anagrammi. Se non fosse stato per quella smorfiosa di Sybella, che era sempre lì a girargli intorno per un motivo  o per l’altro!  “Vuoi un tè? Assaggia questi biscotti, li ho fatti con le mie mani! Vuoi ascoltare una canzone? Oh davvero, sai suonare! Quando il tuo braccio  guarirà potremo suonare insieme! Conosci quella ballata…”  e lui rispondeva, sempre gentile, e la guardava, e sorrideva, e… aveva un bel sorriso, e  gli occhi del colore del cielo sereno.
Neala si spostò, infastidita. Sua sorella le faceva venire l’orticaria con le sue smorfie! Ma la ragazza sapeva anche che Sybella era molto graziosa, una perfetta donna di casa, faceva davvero delle torte  e dei biscotti deliziosi, e molte madri di ragazzi grandi avevano messo gli occhi su di lei per i loro figli. E lui la guardava. E sorrideva. Ma sorrideva anche a lei, Neala, e rideva spesso quando gli raccontava come si divertiva nel bosco….

Beorn era arrivato alla casa, e Neala vide suo padre andargli incontro.  Dopo qualche minuto, suo fratello  aiutò il loro ospite a sistemarsi su una comoda poltrona portata in veranda per lui, mentre Beorn si accomodava sul loro tavolo da giardino. La ragazza ridacchiò. Era talmente grande!
I due parlarono a lungo, ed alla fine il Nano consegnò a Beorn alcuni fogli ripiegati con cura; quindi il loro Signore prese congedo e l’ ospite rimase solo.
Neala sorrise tra sé. Mamma ha spedito Sybella da zia Egle a provarsi il vestito nuovo; se ne starà via per un po’. Questa è la mia occasione.
In un attimo scivolò giù dall’alto albero su cui si era arrampicata e corse verso casa.
Non notò mai gli occhi attenti che, da un grosso bosco di sempreverdi sulla riva opposta dell’Anduin, sorvegliava ogni movimento del tranquillo villaggio sonnolento.

“Hai  incontrato il nostro Signore, ho visto,” disse Neala sedendosi sulla ringhiera della veranda. Le piaceva sentire il calore del sole sulla schiena. “Impressionante, vero?”
Le rispose una risatina. “Abbastanza.”
L’espressione degli occhi però azzurri rimase remota.
“Va tutto bene? Hai ricevuto cattive notizie?”
“No… e l’incertezza a volte è peggio di una cattiva notizia.”  Sospirò. “Devo sapere di mio fratello. Era vicino a me, sul campo di battaglia; stavamo combattendo vicini, c’era una marea di Orchi intorno, avevo perso di vista  anche i nostri compagni… e un attimo dopo mi sono trovato su un carro traballante con un Orco puzzolente che mi strattonava di qua e di là…”
“Deve essere stato terribile,” sussurrò Neala, rapita dal racconto.
“Tremendo,” rispose lui con una scintilla negli occhi. “Non ho mai sentito una puzza simile! Un tale letamaio…”
Risero entrambi.
“Hai  chiesto al nostro Signore di poter inviare un messaggio ai tuoi familiari?”
Lui annuì. “Almeno sapranno che sono vivo, e mi risponderanno.”
“Hai molta nostalgia di casa, vero?” sussurrò la ragazza.
“Non sono precisamente un tipo casalingo, ma avrei davvero voglia di riposare. L’ultimo anno è stato… difficile.” Poi si guardò intorno: il giardino, il villaggio, la ragazza.
“Ma anche questo posto ha le sue  attrattive,” concluse  con un sorriso luminoso.

La notte successiva  un enorme orso nero attraversò il fiume e si inoltrò nel bosco sulla riva opposta.
Quando il sole sorse di nuovo, Uroch scese dal pino dove avea trovato rifugio e contemplò i resti straziati di quelli che erano i suoi seguaci. Per un momento si trastullò con l’idea di comunicare a Sobek l’accaduto, chiedendo rinforzi; ma subito scosse il capo. Racimolò le poche cose utili che potè trovare e si incamminò verso sud.
Di sicuro a Moria avrebbero accolto un buon combattente.

Broeer cercava di farsi piccolo piccolo, nel tentativo di sottrarsi alla furia del suo padrone. Fortunatamente il grosso dell’ira di Sobek non si stava abbattendo su di lui, ma sull’espoloratore inviato a cercare notizie di Uroch e dei suoi.
“Tutti!”
Il Goblin annuì tremando. Aveva la bocca così secca che non riusciva a spiccicare parola.
“Quel dannato idiota!”
Sobek  percorreva la caverna a grandi passi, snocciolando orribili imprecazioni.
“Chiamami Tradach, Broeer.” Il piccolo Goblin fece per alzarsi, ma Sobek lo fermò.
“Aspetta un momento. I messaggeri di Ogerak per Thranduil sono già partiti?”
“Ieri, Vostra Malvagità. Portavano con sé le spille dei prigionieri ed una richiesta di un riscatto in oro e una montagna di viveri.”
“Oro!” la risata raspante di Sobek mise i brividi al suo servo. “Tipico di Ogerak. Avrebbe dovuto chiedere ferro, non oro! Pensa di comprare qualcosa?  Tu hai mai comprato qualcosa, Broeer?”
“I Goblin prendono, non comprano,” recitò il piccoletto.

“Dividerai i tuoi uomini in due contingenti, Tradach. Lasciano uno, con un subalterno sveglio, sorvegliare il villaggio sul fiume:  il Nano rimane uno scopo primario, e dovrà  trovare il modo di catturarlo. Tu però, con gli altri, ti apposterari sulla pista che porta a Nord, e terrai d’occhio l’arrivo di Brorig, pronto a dargli manforte.”
“Sarà fatto, Signore.”
“La trappola è innescata e tesa. Presto avrò nelle mie mani la  chiave del potere a Goblin Town!”

Sulla via che porta ad est

Dìs era seduta a terra, a gambe incrociate, all’ingresso della  sua tenda. Davanti a lei ardeva un  fuoco allegro, e la Nana teneva in grembo uno scrittoio da viaggio con un foglietto appoggiato sopra, il più sottile che avesse trovato.  La luce illuminava il bel volto della principessa di Erebor; gli occhi di un blu intenso, come quelli di suo fratello, e la folta capigliatura bruna venata d’argento raccolta in una comoda treccia arrotolata intorno al capo le davano un’aria davvero regale. Alzò la testa e sorrise al corvo imperiale  che si lisciava le piume.
“Non ci metterò molto, amico mio, e potrai tornare a casa.”
“Spirito Luminoso sarà lieto di avere la tua risposta, figlia di Durin,” gracchiò l’uccello, ammiccando con i brillanti occhi neri. La Nana scosse il capo: era proprio da Kili farsi gli amici più impensabili, e sembrava che questo corvo si fosse votato a lui.  Al pensiero del figlio e delle notizie ricevute, Dìs non potè fare a meno di sorridere. Dèi, non vedo l’ora di abbracciarlo, il mio cucciolo.
Si erano accampati per la notte ai piedi delle Montagne. La parte più difficile e lunga del viaggio era passata, e potevano permettersi una sosta; avrebbe atteso tutta la giornata di domani che gli esploratori tornassero, poi avrebbe dovuto rassegnarsi alla perdita di Gwennis e andare avanti. Per l’ennesima volta si chiese cosa potesse essere successo. La ragazza era accanto a lei, ed un minuto dopo non c’era più. Sospirò. Si era affezionata  alla giovane Nana, più di quanto avrebbe pensato, e le mancava.

Quando Dehala le aveva scritto chiedendole di accogliere per un po’ la sua figlia adottiva, era emersa un’ombra da un passato che le era sembrato distante quanto la Prima Era. Erano tornati tutti i ricordi di quei pochi anni felici con Jeli, e le era sembrato un singolare scherzo del destino che fosse accaduto proprio ora, proprio quando i suoi figli, i loro figli, erano partiti per una ricerca pericolosa lasciandola con il cuore a pezzi.  Aveva incontrato Dehala, la sorella maggiore di Jeli, solo un paio di volte, e le era piaciuta; ma Jeli aveva rotto i ponti con la sua famiglia ancora prima di incontrarla, ed anche se la sorella era  stata l’unica ad essersi schierata a sua difesa, tuttavia non c’erano mai stati veri rapporti. Poi Jeli era morto, e adesso, dopo decine e decine di anni, questa richiesta. Bene, aveva pensato, perché no? Non ho mai avuto una ragazza per casa, potrebbe essere un’esperienza interessante, e mi sentirò meno sola.
Così Gwennis era arrivata con armi e bagagli da Gabilgathol alla piccola cittadina dei Monti Azzurri dove la Casa di Durin aveva fissato la sua dimora in esilio, e Dìs aveva scoperto quasi subito che la giovane Nana le piaceva molto, nonostante alcune differenze culturali: Gabilgathol era la più antica e sofisticata città dei Nani, fondata all’inizio della Seconda Era dai sopravvissuti delle grandi e potenti Città che, prima della Caduta del Beleriand, dominavano le Montagne Azzurre, allora ben più imponenti; una città brulicante di  persone, con la grande Biblioteca ed il Tempo di Mahal, e studiosi che provenivano da tutte le parti della Terra di Mezzo. La cittadina fondata dai Nani di Erebor in esilio non era certo la stessa cosa; ma Gwennis si era rapidamente adattata, ed  il suo  buon cuore e la  sua gentilezza l’avevano resa presto ben accetta a tutti.
E così Dìs l’aveva portata con sé ad Erebor… e l’aveva persa. Speriamo che Kador l’abbia trovata.

Il cielo notturno era trapunto di stelle; la grande nevicata che li aveva accompagnati per tutta la strada dopo lo scontro con gli Orchi era terminata la notte precedente, lasciando un mondo imbiancato, e quel giorno si erano fatti strada  fra la neve fino al Fiume. La mezzanotte era passata da tempo.
Dìs scriveva in fretta ed in pochi minuti il foglio era terminato. Ci sarebbero state molte altre cose da dire, ma non c’era più tempo, né spazio. Rilesse velocemente, sorridendo tra sé.
Stava ripiegando il foglio, quando udì un trambusto verso l’esterno dell’accampamento.
“Morur! Cosa sta succedendo?”
Un Nano massiccio corse verso di lei, l’ascia in mano.
“C’è un enorme animale là fuori, Signora! Stiamo organizzando la difesa. Se dovesse attaccare il campo…”
Dìs si affrettò a legare il suo scritto alla zampa del corvo.
“Vai, amico mio. Riferisci a mio figlio del nostro scontro con gli Orchi e portagli tutto il mio affetto. Non vedo l’ora di incontrare lui e la sua compagna.”
“Sarà fatto, figlia di Durin.” Groac si alzò in volo e Dìs lo seguì con lo sguardo finchè non scomparve nella notte; quindi prese dalla tenda la sua ascia,e si avviò con Morur.
“Vediamo cos’è questo essere.”
Percorsero circa cento metri, prima di incontrare un altro Nano che si avvicinava di corsa.
“Signora, Signora! C’è un Uomo che vuole parlare con te! Solo che… beh…”
“Non farfugliare, Nano! Se vuole parlare con me, ed è solo, fallo venire avanti!”
“Ma Signora, lui, ecco… “
“Cos’ha quest’Uomo?” strillò Dìs spazientita, “Due teste?”
“No,” ammise l’altro, “ma è… grande! Molto grande!”

Circa un’ora dopo, Dìs sedeva davanti alla sua tenda, lo sguardo rivolto ad est dove il corvo era scomparso. I suoi occhi brillavano di lacrime, ma un sorriso aleggiava sulla bocca espressiva. Oh, Kili! Se avessi aspettato a far partire il corvo… avrei potuto dirti che il tuo istinto non sbagliava.
“Morur,” ordinò a mezza voce al guerriero in piedi  davanti  a lei. “Voglio i tuoi tre migliori esploratori. Devono portare un messaggio ad Erebor, a tutta velocità.”


Angolo Autrice.
Ecco. L’ho fatto. Volevo rispettare la cronologia, ma mi sono fatta prendere la mano. Come vi sarete resi conto, questi fatti avvengono in contemporanea con quanto accade nel capitolo precedente, ma prima  della vicenda della reggenza di Kili ( al cap.23). Chiedo venia; è sempre colpa degli occhi da cucciolo del Durin bruno. In seguito vedrò se invertire l’ordine dei capitoli per rispettare l’ordine degli eventi.
Ho quindi risolto il l’ingorgo che si era  formato, ma l’ispirazione è ancora un po’ latitante. Spero che la vacanza mi faccia bene.
Mi sono presa un sacco di libertà con il personaggio di Jeli, il padre dei ragazzi. Trovo ingiusto che non compaia mai da nessuna parte, nemmeno per nome ( a me piace Jeli, ma ho visto Rili, Vili, Pirli...ognuno si sbizzarrisce come vuole) così ho cominciato a costruire un contorno; vi anticipo che la famiglia di Jeli avrà un peso rilevante nella storia.
Nota tecnica.
Non cercate Gabilgathol sulle mappe de ISdA. Non la troverete. Dovete cercarla sulla mappa annessa a Il Silmarillion, dove si vedono i Monti Azzurri sul margine destro ( il nome elfico di Galgilgathol è Belegost; l'altra città dei Nani dei Monti Azzurri era Nogrod).

Angolo del grazie
*Grazie!” a  Frammento, Venice 93, Laucale, LilyOok, fili-kiliTogether, e, naturalmente, ad Emouel! Un grosso bacio a tutte voi e, ancora, buone vacanze!
P.S. Mi accorgo adesso che ho iniziato questa storia giusto un anno fa! Da non credere.

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Capitolo 28
*** Il Lupo Nero ***


23 Il Lupo Nero
28. Il Lupo Nero

Kili sedeva su una panca di pietra, stringendosi nelle pellicce. La notte era serena, il cielo trapunto di stelle, in mezzo alle quali brillava una splendida luna piena. Faceva molto freddo.

Sono passate esattamente due lune dal dì di Durin. * Due lune che avevano cambiato la sua vita, ancora una volta, come se tutto ciò che era accaduto durante il terribile viaggio a est non fosse bastato per tre vite di Nano.
Le rovine di Dale erano illuminate dalla luce della Luna, ma ancor più dai grandi falò accesi ovunque. Una mano lo toccò delicata sulla spalla. Lia. Alzò gli occhi e la vide davanti a sé; la manina si trasferì sul suo viso, in una tenera carezza. Chiuse gli occhi e catturò le dita tra le sue, accompagnando la carezza; poi voltò la testa e le baciò.
Liatris sorrise e affondò l’altra mano nella chioma bruna del principe dei Nani, mentre lui l’attirava a sé e le appoggiava per un attimo il capo sul seno; ma quando  Kili alzò la testa e la guardò in viso, lei vide le ombre scure sotto gli occhi e le linee di tensione sulla fronte.
“Sei stanco,” sussurrò. Non era una domanda.
“Sì… ma è necessario. Avrò tempo per riposare.”
Liatris si sciolse delicatamente dall’abbraccio e si sedette accanto a Kili.
“Vieni… distenditi.” Lui si allungò sulla panca  con un sospiro di sollievo, e, tenendole il capo in grembo, si strinse di nuovo nelle pellicce. Come sempre, lei cancella ogni inquietudine. Chiuse gli occhi un attimo, godendosi le carezze di Liatris, ma la pace non durò molto.
“Siamo quasi pronti, Kili.” La voce di Gandalf.
Il giovane principe si sollevò a sedere, e dal suo posto di osservazione privilegiato osservò il grande spazio aperto sotto di lui.

Una volta doveva essere stata la piazza principale di Dale; un ampio lastricato circondato da mura diroccate e macerie, che fornivano luoghi ideali per vedere. Focolari improvvisati ed enormi bracieri fornivano luce ed attenuavano il  freddo della notte; una moltitudine di Nani affollava la piazza e le rovine.
Era passata parola in tutto l’accampamento di come si fosse tenuta una riunione tra i Capi dei Nani; e la voce della rinuncia di Thorin si era sparsa come un incendio boschivo in una estate di siccità. Si parlava di una Reggenza, e le speculazioni più sfrenate avevano percorso il campo per tutto il  giorno; ogni nome possibile era circolato, da Dàin e Balin, fino ad un improbabile Oìn,  quando era arrivata   la convocazione:  tutti i Nani erano chiamati  alla piazza di Dale per quella notte.
“Sono arrivati tutti, vedo,” disse Kili. Gandalf annuì, ed il giovane Nano percorse con lo sguardo le  delegazioni dei Capi, in prima fila.
Era stato facile convincere il vecchio Nàr dei Monti Grigi, giunto ad Erebor insieme al nipote Nèir, i cui capelli rossi spiccavano alla luce del fuoco: Thorin aveva salvato la sua unica figlia dal Drago, durante l’attacco di Smaug, e la sua lealtà era a tutta prova. Aspettava solo di poter tornare ad Erebor con la sua gente.
Altri argomenti avevano portato dalla sua parte Moinar, un gigantesco guerriero delle Montagne del Nord, che anche in quel momento impugnava una mostruosa mazza da guerra ed aveva addosso più armi pesanti di quante non ne avesse Dwalin; e da lui Kili aveva appreso, con sorpresa, di aver guadagnato un soprannome.

“Siamo arrivati troppo tardi per combattere,” aveva detto Moinar; “tuttavia abbiamo sentito narrare della battaglia, e delle gesta di coloro che affrontarono il Male. Il Re sotto la Montagna, che ha abbattuto l’Arcinemico, ha la nostra gratitudine e la nostra ammirazione; a malincuore, capiamo la sua decisione di lasciare il comando ad un Nano più valido. Abbiamo anche sentito racconti e canti sugli Eredi di Durin, il Leone Dorato ed il Lupo Nero: sebbene giovani, anzi, a loro maggior merito, hanno dato prova di valore superiore a molti Nani più esperti di loro. I Nani delle Montagne del Nord saranno lieti di avere simili alleati; e, tutti quelli che, con la nostra benedizione,  vorranno venire ad Erebor, saranno orgogliosi di giurare fedeltà al nuovo Re sotto la Montagna. Così è detto.”

Così sono diventato il Lupo Nero,  pensò Kili.  Beh, nero lo sono di certo, benchè non mi senta proprio così… lupesco, in questo momento. Vorrei solo crogiolarmi al sole e non far nulla come una lucertola.
Anche Rogan, dei Monti di Cenere, non aveva obiettato ai progetti di Thorin; anzi, la sua mentalità tradizionalista non gli aveva permesso di prendere in considerazione alcuna   alternativa, rispetto alla successione legittima. Quanto a Dàin, aveva confermato gli accordi presi con Thorin, ma ad un certo punto… Kili fece una smorfia, e cercò qualcuno nella folla.   

Thorin passò in rassegna con gli occhi tutti i Nani intorno al tavolo.
“Qualcuno ha ancora qualcosa da dire, prima che formalizziamo le decisioni prese sulla Reggenza?”
Kili sapeva di dover dire alcune parole di circostanza, e  stava per parlare, quando una voce inaspettata si levò.
“Scusate, miei Signori. Non sono un Durin, e non ho alcuna pretesa qui, ma la fedeltà al mio Signore Dàin non mi consente di tacere.”  Tutti i Nani intorno al tavolo, Dàin compreso, si voltarono attoniti a guardare Vodren; per un istante, parve a Kili che un lampo di rabbia passasse negli occhi di Dàin, e pensò che il Signore dei Colli Ferrosi fosse sul punto di ordinare a Vodren di uscire… ma poi tacque. Bravissimo, Dàin. Lascialo parlare. Meglio che sparga qui il suo veleno, piuttosto che far serpeggiare il malcontento e la critica tra la gente.

“Mi duole molto, come a tutti, che il mio Signore Thorin non resti Re sotto la Montagna, tuttavia comprendo le sue motivazioni. Ma quanto alla successione… se almeno Fili figlio di Dìs fosse qui, sarei meno inquieto. Da quanto ho sentito, non solo era più anziano di suo fratello, ma era anche noto per la sua responsabilità e per la sua saggezza.”
Scoccò uno sguardo a Kili da sotto le palpebre semiabbassate.  Stai cercando di provocarmi? Dovrai essere molto più furbo se vuoi screditarmi davanti a questo Consiglio. Il principe gli restituì uno sguardo gelido ed estremamente padrone di sé, e Vodren distolse immediatamente il suo, continuando il discorso.
“Erebor possiede molte risorse, per non parlare del Tesoro, e tornerà ad essere  un Regno grande e ricco; e molto potere riposerà nelle mani del suo Re. Perché rischiare su un giovane che, per quanto valido e coraggioso, potrebbe non avere la forza necessaria a reggerlo, quando  c’è, a disposizione e con pari diritto, un Nano che offre migliori garanzie di affidabilità? Il mio Signore Dàin ha certamente sangue Durin a sufficienza per legittimare la sua pretesa!”
“Non riesco a credere,” sibilò Dàin, furente, “che tu ti sia permesso di portare qui questo argomento, sapendo benissimo cosa penso! I Colli Ferrosi sono la mia casa, la sua gente è la mia gente! Non trascurerò i miei per un trono più alto!”
“Mio Signore,” insistette Vodren, “ma tu hai dei figli che…”
“Non ti è permesso continuare!” Dàin sbattè un pugno sul tavolo, facendolo tremare. “Taci prima che mi dimentichi che sei lo zio dei miei figli!”

“Un momento, Dàin.” Kili si alzò, costringendo tutti a voltarsi verso di lui e facendo pesare la sua statura. Per un attimo rimase in silenzio, la mente vuota, in preda al panico più totale; poi pensò a Fili, e le parole vennero da sole. “Permettimi di rispondere al tuo consigliere; altri potrebbero avere lo stesso pensiero, e la questione va chiarita subito.”
La voce di Kili si levò giovane ma sicura. Spostando indietro la sedia, appoggiò le mani sul tavolo, chinandosi verso Vodren che sedeva di fronte a lui.
“Dimmi, Vodren: cos’è la legge?”
Vodren ammmutolì, chiaramente sorpreso. Non era questa la reazione che si aspettava. Aveva palesemente insultato Kili, allo scopo di farlo innervosire, ed aspettandosi una reazione violenta. Le sue informazioni descrivevano il Durin più giovane come  impulsivo ed irruento, incline a parlare prima di pensare.
“Non hai una risposta?” proseguì Kili. “Strano. Avrei detto che la legge fosse il pane quotidiano di un bravo consigliere; il mio,” disse indicando Balin, “la conosce. La legge è l’insieme delle regole che Mahal ha dato al nostro popolo, che nel corso dei secoli e dei millenni è stata modellata ed elaborata perché diventasse sempre più giusta per noi. Migliore. Ed uno dei primi principi della legge è che un figlio succede a suo padre, solo per il fatto che è suo figlio; e se non ha figli, gli succederà il figlio di sua sorella.  Tu sei qui, ora, a proporre di sovvertire uno dei principi fondamentali della nostra legge, ed io ti chiedo: perché?”
Mentre prima il suo sguardo era corso sui Nani presenti, cogliendo con piacere l’approvazione sul vecchio viso di Rogan, ora si voltò a fissare direttamente Vodren.
“Solo perché tu” e puntò il dito contro il Nano, “ritieni che Dàin sarebbe un Re migliore di mio fratello. O di me. Ma chi ha il diritto di valutare i Re, se non Mahal? Cosa darebbe a te il diritto di valutare i Re? Cosa ti dà il diritto di valutare me?”

Dopo questo scambio di battute tutto era stato facile. I Capi Nani si erano anche indignati che Vodren avesse osato prendere la parola, ed il cognato  di Dàin era stato allontanato.
Kili non lo vedeva da nessuna parte, e non era un buon segno. Tieniti vicini gli amici, ed i nemici ancora di più;  ma ormai era tempo di iniziare. Kili abbracciò Liatris, accanto a lui.
“Augurami buona fortuna, amore mio,” sussurrò.
“Ti guarderò dalla scalinata: Bilbo mi ha promesso di tenere un buon posto per me. E non darti pensiero: ti adoreranno, vedrai.”

Ad un capo dell’ampio emiciclo, Thorin aveva preso posto su una enorme poltrona portata per lui, circondato dai Compagni, e Kili non poteva fare a meno di pensare a quanto regale  apparisse.  Quando il Re sotto la Montagna si alzò, cadde un profondo silenzio.
Thorin avanzò lentamente fino al centro della piazza, dove tutti potevano vederlo, e la sua voce si levò calma e maestosa, raggiungendo sorprendentemente ogni angolo delle rovine.
Bene, Gandalf: il trucchetto funziona. Non sarò costretto a sgolarmi, pensò Kili.
“Vi ringrazio tutti dal più profondo del cuore perché siete qui.  Vi ho chiamati quale Re sotto la Montagna, ma ora le cose sono cambiate. La Battaglia ha preteso un prezzo altissimo dalla Casa di Durin; ed altre circostanze sono in questo momento estremamente sfavorevoli. Per questi motivi, dopo lunghe meditazioni, sono giunto alla conclusione che, per il bene del Regno di Erebor e della Casa di Durin, la cosa migliore è che io rinunci al trono.”
I Nani si agitarono un poco, ma non vi furono esclamazioni di sorpresa: la decisione era nell’aria, e tutti se l’aspettavano.  Thorin continuò.
“Il mio erede legittimo è Fili, figlio di Jeli  e di mia sorella Dìs; ma al momento risulta disperso in battaglia, senza che peraltro vi sia la prova certa della sua morte.”
Questa volta un mormorìo serpeggiò tra la folla.
“D’altra parte, Erebor non può stare senza governanti, e vi sono trattative ed incombenze  che io non sono in grado di gestire ma che vanno affrontate subito. Data l’assenza dell’erede legittimo, ed, in ogni caso, la assoluta inopportunità di una cerimonia solenne di incoronazione quando Erebor necessita di interventi lunghi e radicali per tornare anche solo abitabile, ho nominato  un Reggente per Erebor, che  da oggi eserciterà tutti i poteri reali.”
Ora aveva catturato la loro attenzione, e Kili ebbe l’impressione che ogni persona presente trattenesse il respiro: questa sarebbe stata la vera sorpresa.
“Il prossimo nella linea legittima di successione, dopo Fili, è suo fratello Kili, figlio di Jeli e di Dìs: e lui sarà il Reggente di Erebor.”

Un attimo di silenzio stupito, quindi un mormorìo percorse la folla come un’onda.
“Il principe Kili!”
“Il Lupo Nero!”
I sussurri divennero grida.
“La Casa di Durin è tornata ad Erebor!”
“Per il Lupo Nero!”
“Kili! Kili!”
Era il momento. Kili avanzò verso il centro della piazza, fino a fronteggiare lo zio. Thorin gli pose le mani sulle spalle, e la commozione nei suoi occhi era visibile anche da lunga distanza; ma Kili lo abbracciò, d’istinto, senza pensare a nulla. Ci sarà tempo per il resto.
La folla esplose.

Scioltosi dall’abbraccio, ancora un po’ scosso, Kili alzò un braccio in segno di saluto e girò su se stesso, per guardare tutti i Nani presenti; la sua voce si levò limpida nel profondo silenzio.
“Amici! Siamo qui stanotte per progettare un nuovo inizio. Il Verme è stato distrutto, e l’esercito dei Malvagi che ci minacciava è stato disperso, ma la battaglia non è finita. Ci aspetta un compito enorme, talmente arduo e complesso da far tremare i polsi; ma sono sicuro che ce la faremo! Riporteremo Erebor al suo antico splendore!”
La folla si stava scaldando, e rispose con urla di approvazione ed applausi.
“Tutti voi, che siete venuti alla chiamata di Thorin, avete la possibilità di entrare a far parte di questa impresa. Se vorrete prestare la vostra opera, quando tornerete alle vostre dimore sarete ben ricompensati: l’oro di Erebor non rimarrà inutile a raccogliere polvere ed a turbare le menti, verrà usato per il maggior splendore della Montagna Solitaria! Le merci torneranno a confluire ad Erebor attraverso il Lago Lungo, il Fiume e l’Antica Via per l’Alto Passo, per la prosperità di tutti; ed a coloro che vorranno rimanere a vivere qui, io dico: sarete parte del più potente Regno dei Nani della Terra di Mezzo!”
Un boato gli rispose; Kili sentì attorno a sé l’entusiasmo della folla ed in quel momento, per la prima volta, pensò che forse era davvero, davvero possibile che tutto finisse bene. E quando Fili sarà tornato…

Liatris, seduta in alto su una gradinata diroccata, a fianco di Bilbo, guardò il suo amato raccogliere l’entusiasmo della gente. Teneva le braccia alzate e sorrideva, il capo sollevato a far scorrere lo sguardo sui Nani che lo acclamavano; e l’oro scintillava tra i suoi capelli ed alla sua cintura, riflettendo i bagliori dei falò. Liatris era così fiera di lui! Ma quando Kili si voltò e gli occhi scuri e ridenti incontrarono i suoi, lui fu di nuovo  il ragazzo che era uscito dalla botte sulla riva del Lago Lungo per rubarle il cuore.
Era talmente concentrata a guardare il volto del giovane principe, che fu solo con un attimo di ritardo che si accorse del silenzio calato improvvisamente sulla folla. Un frullo d’ali, ed un grosso corvo andò a posarsi sul braccio alzato di Kili.
“Groac!” esclamò il giovane Nano, sorpreso. “Bentornato!”
Il corvo si inchinò e parlò.
“Ti saluto, Spirito Luminoso. Porto notizie da Ovest.”
La folla era ammutolita. Non capivano le parole di Groac, ma era evidente come il grosso corvo rendesse omaggio al Nano; e tutti notarono l’affinità tra i due.
“Sei appena arrivato,” sussurrò Kili a bassa voce, sorridendo, “o questo è un altro trucco di quel mago da strapazzo?”
“Tutte e due le cose. Sono giunto due ore fa, ma il Grigio Pellegrino mi ha chiesto di raggiungerti solo ora. Non sempre i suoi scopi sono noti, ma questa volta anche un umile corvo capisce il suo intento; e del resto, è volere di Kementàri che io ti stia al fianco.”
Così dicendo, si sollevò dal polso di Kili per posarsi sulla sua spalla destra. I Nani rumoreggiavano.
“Un corvo imperiale!”
“Guarda, il principe capisce il suo linguaggio!”
“I corvi rinnovano l’alleanza con il sangue di Thrain!”
“Il Lupo si allea con il corvo!”
“Porto un messaggio,” proseguì nel frattempo il corvo, “ma sarà meglio parlarne dopo.”
Kili annuì, ed alzò la mano ad accarezzare le piume dell’uccello.
“E’ un segno!” una voce profonda echieggiò per l’emiciclo, ed il vecchio Oìn avanzò verso il centro. Sussurri ed esclamazioni corsero tra la folla.
“E’ Oìn!”
“L’indovino!”
“Abbiamo già visto i corvi parlare ai figli di Dìs!” anche la voce di Oìn raggiunse ogni angolo della piazza: Gandalf si stava dando da fare. “Prima della Battaglia Groac figlio di Roac ha riconosciuto Fili come Erede di Thorin, ed ha salutato Kili come figlio di Durin! Ed ora conferma pubblicamente l’alleanza con la stirpe reale! E Mahal ha mandato un altro segno del suo favore alla discendenza di Thròr: tra poco sarà noto a tutti!”
Proprio in quel momento, il ruggito del fuoco sovrastò il mormorìo della folla. Le fiamme si levarono alte da ogni braciere e da ogni falò, e tra le lingue di fuoco ed i bagliori la folla riconobbe distintamente le sagome di leoni rampanti e lupi con il muso alzato verso la luna.
“Accidenti a Gandalf ed al suo gusto per le sceneggiate!” bofonchiò Kili tra sé e sé; ma nessuno dei Nani presenti dimenticò mai la notte in cui il fuoco aveva consacrato i figli di Dìs al Trono del Re sotto la Montagna.  


Angolo Tecnico.
Due parole sulla cronologia. Non mi sono presa delle libertà. Chi ha letto il libro, sa che i tempi delle azioni sono molto diverse: i Nani si fermano a Laketown almeno una ventina di giorni; altri giorni vengono impiegati nel viaggio  alla Montagna e nella ricerca dell’entrata nascosta,  che viene trovata giusto in tempo per il Dì di Durin. Almeno in questo film e libro coincidono: l’ultima luna d’autunno, tenuto conto che vi era luna piena nel giorno di Mezza Estate (il 30 giugno nel calendario della Terra di Mezzo, quando i Nani sono a Gran Burrone), doveva essere il 13 o il 14 di dicembre; e nel libro Balin dice, poco prima della scoperta della Porta Secondaria “domani comincia l’ultima settimana d’autunno”: ancora, quindi il 13 o 14 di dicembre. La Battaglia dei Cinque Eserciti segue il Dì di Durin di non meno di 15/20 giorni: quindi è Tolkien che cade in una delle sue contraddizioni tra “Lo Hobbit” ed “Il Signore degli Anelli”, quando data la Battaglia nel 2941. Sarebbe stato più coerente il gennaio 2942; ma tant’è. A noi piace così. Come ci piace Thorin molto più giovane che nel libro; e come ci piace Balin come vecchio saggio e mentore.  
Non insulterò la vostra intelligenza precisando quando si svolge l’azione descritta nel capitolo.
Angolino del grazie
Grazie a chi spende un po’ di tempo per le mie divagazioni! Non riesco a crederci!
Grazie alle lettrici fedelissime che riescono sempre ad incoraggiarmi! Benvenute a Gilraen12, Alaehris, Ardesiia, e soprattutto a Eowyn_ ! 
Alla prossima
Bacio
Idril   

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Capitolo 29
*** Una lettera ***


29 Una lettera
Ciao! Sono tornataaaaa!!
Chi non muore si rivede, vero? Finite le vacanze? Avete trovato un sacco di sole come me, o l’alluvione? Pare che il blocco dello scrittore sia passato, quindi la storia va avanti. Fatemi sapere se vi piace lo sviluppo.
Buona lettura!


29 Una lettera

Le fiamme ruggivano sempre più alte, fra lo stupore dei Nani ammutoliti. Leoni e lupi si agitavano tra il fumo ed il fuoco, in una danza gioiosa e trionfante, ed i loro movimenti proiettavano ombre suggestive sulle rovine circostanti, illuminando la notte.
In mezzo alla piazza, Kili rimaneva immobile. Il fuoco si rifletteva sull’oro tra i capelli e traeva suggestivi bagliori dagli occhi neri, così come dalle piume del corvo immobile sulla sua spalla.
Il giovane Nano sentiva  l’entusiasmo, l’esaltazione, la gioia intorno a lui, diretta a lui; sentiva  le emozioni della folla. Ancora una volta.

Era accaduto anche poco prima. Quando si era trovato in quello stesso punto, dopo l’annuncio di Thorin, mille sensazioni l’avevano assalito: sorpresa, nostalgia, speranza… come se fosse comparso un raggio di luce in una notte buia.
All’inizio era rimasto spiazzato, senza fiato; poi aveva cominciato a capire. L’anima dei Nani intorno a lui era piena di nostalgia; venivano da anni di esilio, di umiliazioni, di speranze deluse. Erano corsi a Erebor inseguendo un sogno, preparati a vederlo svanire come fumo per ritrovarsi un’altra volta  senza nulla. Avevano trovato una terra devastata da una battaglia epocale; morte, distruzione e sofferenza. Oh, sì, il drago era sparito: ma il Regno sotto la Montagna era una rovina, ed il suo Re era screditato e minacciato dai suoi vicini.
Ma improvvisamente, ecco! Un giovane principe, un eroe, a quanto avevano sentito: il Lupo Nero, una promessa di grandezza rinnovata, di un futuro migliore. Kili sentiva tutto questo meglio che se gli fosse stato detto a parole, come se le mille anime attorno a lui parlassero al suo cuore.
Si aspettano un futuro luminoso… da me!
Per un momento si sentì tremare le ginocchia.
Ehi, un momento! Deve esserci un errore… io non sono Thorin, nemmeno Fili! Io sono Kili, quello spericolato, sempre nei guai…solo Kili!
Non sono all’altezza.
Per un attimo si gingillò con un desiderio folle di salutare tutti e sparire… si morse il labbro.
Come posso deluderli?  Girò lo sguardo sui Nani  che ancora fissavano le fiamme, meravigliati ed attoniti; da loro gli veniva un riverente rispetto.
Infine incontrò uno sguardo azzurro.
“Sarò al tuo fianco sempre e comunque.”
Tutti i dubbi sparirono. Poteva farlo. Per lei, per il loro bimbo. Per il futuro della sua piccola famiglia. Sorrise, e le parole vennero spontanee.

Lentamente, le fiamme si abbassarono e la luce scemò; i fuochi ritornarono quelli che erano stati, bracieri e torce per illuminare la piazza. I Nani, sciolti dall’incantesimo che li aveva legati, si affrettarono verso il loro principe, per esprimere il loro entusiasmo, affollandosi intorno a lui.
Kili sentiva l’omaggio della folla, ed il loro entusiasmo era come una bevanda inebriante; ma fu in quel momento che si ricordò del corvo immobile sulla sua spalla. Si girò verso di lui.
“Groac, mia madre ti ha dato un messaggio per me?”
“Uno scritto, Spirito Luminoso. E’ legato intorno alla mia zampa. Ti sarei grato se tu lo prendessi, così che io possa far ritorno, per la notte, al mio nido. La mia compagna tende ad innervosirsi se viene a sapere che non sono passato subito da lei. Domani tornerò da te e parleremo.” Così dicendo, saltellò fin sul polso del giovane Nano, che, nascondendo il gesto con una carezza, tolse il foglietto facendoselo scivolare nel palmo. Non c’era ragione di far sapere che poteva comunicare in quel modo.
“Se tu volessi alzare il braccio, potrò fare un’uscita spettacolare, Spirito Luminoso, e tutti potrebbero ammirare quanto sono belle le mie piume alla luce del fuoco.”
Kili lo guardò di traverso, sorpreso e un po’ divertito.
“Non sapevo che tu fossi così vanitoso, Groac… e di certo hai frequentato maghi con tendenza alla teatralità di bassa lega!”
L’uccello non si scompose.
“Non sono vanitoso, Spirito Luminoso… sono bello.”
I Nani videro il loro principe accarezzare il corvo e, subito dopo, con ampio gesto, lanciarlo verso il cielo notturno. L’ombra nera si levò in un volo elegante, e, alla luce della luna, si diresse verso la Montagna Solitaria che incombeva a nord. Un’altra magia in quella notte così piena di suggestione e di incanti.

Dalla  loro posizione privilegiata, Liatris e Bilbo osservavano affascinati lo spettacolo delle lingue di fuoco, visibile probabilmente da miglia di distanza, ben oltre l’accampamento e le rovine di Laketown. Il cielo stesso era inondato di raggi di luce. L’hobbit  fece una risatina.
“Se non sapessi che è opera di Gandalf, mi aspetterei di vedere qualche dio comparire sulla terra,” disse.
“E’ meraviglioso,” sussurrò Liatris, incapace di distogliere gli occhi dallo spettacolo.
“Dovresti vedere i suoi fuochi d’artificio!”
In quel momento Kili fece volare Groac; si voltò verso la sua amata  e tese la mano, chiamandola a sé.

Kili era semisdraiato sull’ampia poltrona nella sua tenda, e con un braccio stringeva a sé la fidanzata accoccolata al suo fianco, mentre con l’altra mano reggeva il foglietto recuperato dalla zampa del corvo. Appena aveva potuto restare solo con Liatris si era affrettato a srotolarlo.
Liatris lo circondava con le braccia, e gli aveva appoggiato il capo sul petto; ascoltava il battito del cuore del suo amato come se fosse la musica più bella che avesse mai sentito.
“Sei sicuro che non vuoi leggerla da solo, almeno la prima volta?” sussurrò. Era un po’ in apprensione, e temeva che la leggendaria Dìs, di  cui aveva tanto sentito parlare, non l’approvasse.
Kili sapeva benissimo cosa passava per la testolina della ragazza, ma da parte sua aveva fiducia nel buon senso e nella sensibilità della madre; ed in ogni caso, non sentiva il bisogno dell’approvazione di nessuno. Era in una posizione perfetta per coprirla di baci e lo stava facendo, indugiando con le labbra sui capelli setosi, sulla fronte e sulla pelle delicata vicino all’orecchio…
“Non ci sono segreti tra noi, amore mio,” disse piano, “e del resto conosco mamma. Fidati, so già cosa avrà da dire.”

“Non so dirti,” scriveva Dìs, “quanta gioia mi abbia portato la tua lettera, tanto più perché così inaspettata. E le notizie che mi dai … ah, caro! Mi sono tormentata per settimane, pensando che stavi affrontando i momenti più difficili e dolorosi della tua vita da solo. Senza Fili, in aperto disaccordo con tuo zio… oh, sono brava a capire i sottintesi, e Balin non ha ordinato al corvo di tenere la bocca chiusa. Roac è un chiacchierone, e non si è limitato a dirmi che tu e Thorin eravate fuori pericolo, e ho tratto le mie conclusioni.
E’ stato quindi per me un immenso sollievo sapere che hai potuto contare sull’amore di qualcuno molto vicino al tuo cuore. So come l’amore può aiutare a superare anche le difficoltà più grandi; ed uno dei miei più profondi – ed inconfessati - desideri è sempre stato che i miei figli potessero sapere quanta forza e quanta gioia viene dall’amore ricambiato, e questo in particolare per te. Vedo così tanto di tuo padre in te, Kili! Forte ed appassionato, capace di dare così tanto ed allo stesso tempo troppo sensibile per il tuo stesso bene; proprio come lui.  Spero che la tua Liatris sappia capire quanto fuoco c’è dentro di te e ti lasci spazio; ma allo stesso tempo ricordati che ora non appartieni più solo a te stesso. Jeli ed io ci siamo riusciti, ed il risultato è stato… non riesco a trovare nessuna parola adatta, quindi dico solo che ne è valsa la pena, anche se è durata così poco.

Kili tacque un attimo, stupito. Dìs non parlava mai del marito, e né lui né Fili avevano mai osato chiedere, nel timore di risvegliare ricordi dolorosi.
Liatris alzò gli occhi e si accorse che Kili era pensoso. Ne immaginò il motivo, e sussurrò:
“Ti ricordi di tuo padre?”
“Poco,” rispose lui, “più che altro sensazioni.”

Calore. Sicurezza. Papà era questo. Un posto nel suo cuore, morbido e riparato, in cui crogiolarsi senza nessun timore.  Un’immagine si formò davanti ai suoi occhi, scorci e particolari che emergevano all’improvviso dalla sua memoria: un Nano alto, bruno, due caldi occhi scuri, un sorriso travolgente… il suo stesso sorriso. Si rese conto in quel momento che aveva il sorriso di suo padre. Strano che nessuno me l’abbia mai detto. Forse per non addolorare mamma. Era contento di aver ricordato quel particolare.
Poi successe qualcosa.

Quel posto caldo dentro di lui all’improvviso non c’era più. Solo il freddo, il vuoto… e la paura, un dolore quasi fisico, come se una  parte della sua anima fosse stata strappata via. Correva, correva, senza sapere dove stesse andando, come se fosse possibile sfuggire al dolore, con la vista offuscata dalle lacrime ed un nodo enorme che gli stringeva la gola…
… e poi era nel bosco, ed una voce familiare, amichevole e simpatica, che diceva: “Eccoti qui piccolo Kili! Perché sei fuggito? La tua mamma è così in pensiero!”…

“Kili!”
Il giovane Nano si riscosse improvvisamente, disorientato.
“Kili, stai bene? Che ti succede?” Liatris si era rizzata a sedere, e teneva il viso di lui tra le sue mani. Sembrava turbata. Kili scosse il capo chiudendo gli occhi per un attimo, e chiedendosi cosa gli fosse successo. Sentiva il cuore battere forte.
“Non… non so, ma sto bene, sì, Lia, non preoccuparti,” la sua stessa voce gli sembrò strana, e si accorse di avere la gola secca.
“Per un attimo mi hai spaventata. Avevi una strana espressione, e non rispondevi…”
Kili allungò una mano verso il tavolino e si versò un bicchiere d’acqua. Bevve lentamente, poi fece alcuni respiri profondi, per calmarsi.
“Ho ricordato papà… come non avevo mai fatto. E’ stato… strano.”  Allontanò dalla mente quell’ultimo flash, quel ricordo così doloroso riemerso in modo inaspettato; sorrise e si chinò a baciare Liatris sulle labbra.
Per un po’ la lettera di Dìs rimase abbandonata sul suo grembo.  

“Ma basta prediche!” continuava Dìs. “Per tua informazione, ti comunico che io non ho mai alcun malore. Se sono quasi caduta dal pony che stavo montando è solo perché quello stupido animale è inciampato in una tana di coniglio. Oltre a ciò riesco solo a pensare che la tarda estate è una magnifica stagione, e non scrivo altro perché mi mancano le parole. Mi permetto solo di ricordarti che un bimbo della Linea di Durin ha diritti regali, quindi… fai le cose per bene. Capito?”

Kili ridacchiò.
“Eccola qua. Esattamente come mi aspettavo!”

“E comunque, sono sicura che te la caverai benissimo, sia come padre, sia come sostituto di tuo zio. Ho un’idea vaga di quello che è successo – i corvi imperiali adorano ascoltarsi mentre parlano, ma hanno strane priorità, non credi? – ma mi sembra di capire che mio fratello l’abbia fatta davvero grossa. Credo che la tua Lia sia saggia e che il suo consiglio sia ottimo: lascia passare il tempo. Fidati del tuo giudizio, e del suo, e tutto andrà bene; solo, ricordati che Thorin rimane sempre tuo zio, e gli devi almeno il rispetto. Questo, ovviamente, non vale per me, e me la vedrò con lui non appena sarò arrivata. Spero che la mia ascia non sia necessaria.”

Liatris spalancò gli occhi.
“Ascia? Non dirà sul serio, vero?”
“No… non proprio. Non che avrebbe remore ad usarla, se fosse necessario; ma  di solito basta lei, anche disarmata, e le cose vanno magicamente a posto. Thorin non l’ha portata con noi ufficialmente per lasciare un Durin a governare Ered Luin, ma mi sono chiesto spesso cosa sarebbe successo se fosse stata qui.” Si strinse nelle spalle. “Pura speculazione. In ogni caso mamma è una Nana notevole.”
“Sì, me ne sto rendendo conto,” mormorò Liatris con voce sommessa.
Kili rise apertamente, stavolta, e la baciò sul naso.
“Non morde. Fidati.”

“Fili. Ogni volta che penso a lui mi manca il respiro, e so cosa stai provando in questo momento. Non riesco a immaginare cosa possa essergli accaduto, ma sono sua madre: anche se non avessimo notizie di lui per cento anni, in fondo al mio cuore rimarrà sempre la speranza che, in qualche modo, da qualche parte, lui sia vivo e stia bene. Non smetterò mai di cercarlo.”

“Saremo in due,” sussurrò Kili.
Liatris lo abbracciò forte; era un argomento delicato, e la ragazza temeva, soprattutto, che lui fosse destinato a soffrire, se le sue speranze si fossero rivelate vane. E lo erano, secondo Thorin e gli altri Nani, e Liatris si rifiutava di prendere in considerazione quello scenario che ne sarebbe seguito se loro avessero avuto ragione e Kili torto. Come se le avesse letto nel pensiero, il giovane principe ricambiò l’abbraccio.
“So che è contro ogni ragione, Lia. So perfettamente che tutti pensano che Fili sia morto, da qualche parte, senza che siamo riusciti a ritrovarlo. So perfettamente che non me lo dicono a chiare lettere perché hanno paura di come reagirei. Ma non mi sto solo rifiutando di accettare una realtà che non mi piace.” Cambiò posizione e le sollevò il viso con la mano per poterla guardare negli occhi.
“Io sento  Fili dentro di me. Lo sento vivo.  Sono sicuro che se gli accadesse qualcosa lo saprei. E, in qualche modo, so  che è la fuori, e al momento giusto capirò dove cercarlo.”

Angolo autrice.
E questo è quanto, e spero che sia valsa l’attesa. Ho risistemato l’ordine dei capitoli, ma se ho dimenticato qualche particolare fatemi sapere.
*Grazie*
Ad ile223, Ishtar13, Athelas, Teardropp, Laucace, Emouel… eccetera.
Un pensiero particolare a Mik92 e AluAS18, anche se non so se le raggiungerà. Fa piacere vedere che la mia vecchia serie “L’Erede di Durin” interessi ancora. Una volta o l’altra tornerò a lavorarci.
Alla prossima
Bacio
Idril

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Capitolo 30
*** Il tesoro di Erebor ***


30 Il tesoro di Erebor
Ciao! Questo è un capitolo un po’… tecnico, e vediamo come Kili risolve le beghe con i suoi alleati. Magari non sarà molto intenso, ma mi serve per far capire quello che succederà dopo…

30 Il tesoro  di Erebor

“Non vedo l’ora di riabbracciarti,” concludeva Dìs, “e di conoscere la tua Liatris. Mi ricordo bene di sua madre, e se somiglia a Nevis almeno un po’, figlio mio, è un vero tesoro, ma attenzione: sotto quel mare di dolcezza c’è un filo di mithril. Non sottovalutarla.”
Kili guardò la ragazza tra le sue braccia socchiudendo gli occhi, con espressione indagatrice. Lei rispose con un sorriso sornione.
“Tua madre è saggia.”
“Mmmmh… l’ultima cosa che intendo fare è non darle retta.”
La lettera scivolò a terra mentre i baci si facevano più bollenti.
“Oh Lia, mi manchi da morire…” alitò Kili con la vista annebbiata.
“Anche tu…”
“Credi che ci lasceranno in pace…?”
“Kili…”
Le carezze divennero più audaci, ed i sospiri riempirono l’aria, insieme alle parole sussurrate.

“Ora della medicina e poi…nanna!”
La voce allegra di Beriel  mandò in frantumi l’incantesimo. Dopo un attimo l’Elfo si guardò intorno e ebbe la decenza di apparire imbarazzato.
“Ho…ho interrotto qualcosa?”
“Oh, Mahal!” mugugnò Kili, tentando di riprendere fiato. Liatris si abbandonò sul suo petto, completamente disorientata.
Quando potremo trasferirci alla Montagna, dèi? Quando?!

Era pomeriggio inoltrato quando la delegazione degli Elfi entrò nella tenda dove Kili teneva gli incontri ufficiali. Il giovane principe sedeva sulla poltrona con i corvi, ed attorno a lui  Balin, Glòin, Gandalf, Bombur, Bilbo e Liatris si inchinarono davanti agli ospiti.
“Principe Kili,” salutò Legolas, con un lieve cenno del capo.
“Principe Legolas,” ricambiò il Nano, invitando  con un gesto della mano gli ospiti a prendere posto sulle sedie.
“Sono lieto di vederti in buona salute,” disse Legolas. Kili chinò il capo in un cenno di ringraziamento.
“Grazie a Mahal ed ai tuoi guaritori.”
Per un attimo i due si fissarono con aria circospetta; chiaramente nessuno dei due sapeva esattamente cosa aspettarsi dall’altro. Fu Kili a prendere l’iniziativa, con un mezzo sorriso sul volto.
“Bene, sgombriamo il campo dalle questioni più noiose,” disse. “Come saprai, abbiamo bisogno di abbondanti rifornimenti, visto tutto il lavoro che abbiamo davanti a noi. Uno sforzo che potrebbe durare anni, e mi aspetto che molti altri Nani si trasferiscano ad Erebor, sia per lavorare sia per risiedervi. Al momento è chiaro che non siamo in grado di procurarci da soli il necessario, anche se ritengo che con il tempo le cose cambieranno, ed è altrettanto chiaro che il Reame Boscoso è la nostra principale porta sul mondo. Il tesoro di Erebor verrà usato per ricostruire; propongo che i nostri delegati commerciali si incontrino con i tuoi per stabilire  termini e condizioni. Naturalmente Glòin provvederà a pagare tutto quanto è stato fornito fino ad ora.” E così dicendo indicò Bombur e Liatris, e non gli sfuggì lo sguardo  sorpreso di Legolas all’indirizzo della ragazza.
L’Elfo si riprese in fretta.
“Perdonami, mio Signore; non mi aspettavo…”
“Ci sono molte cose che non conosci dei Nani, principe Legolas,” disse Kili sorridendo a Liatris con uno sguardo d’intesa, “ed in particolare di me. Liatris ha diretto una taverna per anni; sa esattamente come fare acquisti.”

“Ed ora veniamo a noi,” disse infine Kili; nella tenda erano rimasti, oltre ai due principi, solo Balin, Gandalf, Bilbo e due consiglieri Elfi. “Alla luce della nuova situazione di Erebor, il Reame Boscoso ritiene di avere ancora qualche rimostranza o richiesta verso di noi? Se c’è, preferisco risolverla subito: ho troppo da fare per trascinare qualche questione con i  miei vicini.”
“Prima una domanda, principe Kili. Ho incrociato Bard mentre venivo qui; ho motivo di ritenere che tu abbia raggiunto un accordo con gli Uomini.”
Kili lo guardò un attimo con uno sguardo che Legolas trovò impenetrabile. Sono bravo anch’io a fare il sostenuto, principino  biondo.
“Penserei che l’accordo tra Uomini e Nani non siano affari del Reame Boscoso; ma capisco il vostro interesse alla tranquillità nella regione. In effetti ho esposto a Bard la proposta di Erebor, e lui l’ha trovata soddisfacente. L’Arciere ha rinunciato alla sua richiesta di una quota del tesoro; e per fortuna, perchè  non avrei dato oro agli Uomini. Tra loro sono troppo numerose le persone come il Governatore di Laketown, e sarebbe stata un’occasione troppo bella di soddisfare l’avidità di pochi a danno di molti. No; il tesoro di Erebor pagherà la ricostruzione  di Dale, a condizione che Bard ne divenga Re, così come pagherà le opere per riportare il nostro Regno all’antico splendore. Per quanto riguarda gli abitanti di Laketown, il tesoro di Erebor pagherà anche la ricostruzione di Esgaroth, se loro provvederanno ai lavori. Tutti i rifornimenti di qualunque genere saranno a carico nostro, ma non  un grammo d’oro uscirà da Erebor se non su ordine diretto di Glòin. E non si farà imbrogliare da note gonfiate.”
Legolas fissò Kili con aria sbalordita. Poi sul suo viso comparve un sorrisetto, che si fece via via più largo fino ad arrivare ad una vera risatina. Kili faticò a mantenere il controllo. Mahal! Sta ridendo! Non sapevo che gli elfi sapessero ridere! Sono sempre così solenni, spocchiosi e... snob!

“Sei davvero un Nano singolare, principe Kili. Credo che con te le cose saranno interessanti!”
Disse infine Legolas, ancora con l’inconsueto  sorrisetto sulle labbra. “La soluzione mi sembra del tutto soddisfacente, ed anche molto generosa. Non mi aspettavo che disponessi dell’oro di Erebor con tanta liberalità.”
“E’ quello che farebbe mio fratello Fili, principe Legolas; ed anche a me sembrava una buona idea. Ora, se il Reame Boscoso non ha altre questioni…”
“In verità sì, principe Kili,” interruppe l’Elfo. “Mio padre di ritiene portare alla tua attenzione la questione delle gemme di nostra proprietà che…”
Lo sguardo di Kili si fece gelido.
“Non  mi risulta che ci sia nulla in Erebor di proprietà degli Elfi.”

Le parole caddero in un silenzio attonito, prima che la tensione salisse a livelli palpabili. Gandalf aggrottò la fronte a questa svolta inaspettata, e Legolas chiuse la bocca mentre sul suo volto appariva un’espressione irata.
“Kili…” iniziò il mago, ma il giovane principe alzò una mano chiedendo silenzio.
“Non voglio entrare in dispute sorte prima della mia nascita. Non intendo cedere a richieste di cui non conosco il fondamento e non voglio nemmeno indagare su fatti accaduti secoli fa. Quello che il mio bisnonno ha fatto, o non ha fatto,  è morto e sepolto  con lui e non intendo avere nulla a che fare con esso. Il mio compito è rimettere in piedi un Regno, e non ho tempo per scavare nel lontano passato. Mi interessa solo il futuro,e, al massimo, il passato prossimo.”
Sul suo giovane viso l’espressione era indecifrabile.
“Il passato prossimo ci ha visti alleati. Abbiamo combattuto insieme e abbiamo pianto i nostri morti insieme. Balin, vuoi prendere quella cassa nell’angolo e portarla qui?”

Con l’aiuto di Gandalf, Balin trascinò davanti alla poltrona di Kili una pesanta cassa. Il giovane principe l’aprì, e tutti i presenti trattennero il fiato. Un bagliore di candide gemme illuminò la tenda; Kili vi immerse la mano facendovi scorrere un fiume di brillanti.
“Deve essere chiaro, principe Legolas, che questo è un dono di ringraziamento.  Di Erebor, verso alleati preziosi; sono ben consapevole che senza di voi la nostra casa sarebbe ora dominio di immonde creature. Ed anche mio personale. Devo la vita ai tuoi guaritori, e un Nano non dimentica mai le gentilezze ricevute, come non dimentica i torti.” Sfoderò il suo sorriso più luminoso. “Pensi che tuo padre possa gradire la soluzione? Credo che qui ci sia  più di quanto  a suo tempo conteso.”

Davanti a quel sorriso così caldo, ancora una volta Legolas non potè fare a meno di sorridere a sua volta. Il fascino di quel Nano era irresistibile! E non poteva fare a meno di ammirare la sottigliezza con cui Kili aveva proposto un dono conciliativo di grande valore, evitando da una parte di  irritare alleati importanti, e dall’altra di ammettere che Erebor o la Casa di Durin avessero fatto torto a chicchessia. Uno sguardo di traverso ai suo consiglieri gli fece capire che condividevano la sua posizione, e tutti sapevano che anche il Re del Reame Boscoso, con il suo bizzarro senso dell’umorismo, avrebbe apprezzato l’eleganza della soluzione.
“Sì, principe Kili,” rispose, “penso che riterrà la soluzione soddisfacente. E’ un dono regale, ed il Reame Boscoso apprezza molto.” Si alzò e tese la mano a Kili, che la prese in una stretta decisa e sincera.
“Come ho detto, sei una persona sorprendente. Però… posso fare un’ultima domanda, solo per curiosità?”
Kili annuì.
“Che ne è stato dell’Arkengemma?”
Ancora una volta, un sorriso furbo spuntò sulle labbra del principe dei Nani, che ricordò un burrascoso Concilio dei Durin.

 “E l’Arkengemma?” A parlare era stato il guerriero delle Montagne del Nord, Moinar.
Kili rimase impassibile, e lo guardò freddamente.
“L’Arkengemma verrà restituita. Ma non dominerà più il Trono del Re sotto la Montagna.”
Un silenzio attonito cadde su tutto il Consiglio. Prima che qualcuno si riavesse abbastanza da sollevare obiezioni, Kili continuò:
“Ha già ossessionato fin troppo la mente dei Figli di Durin. Ho  incaricato Gandalf di trovare un modo per renderla inoffensiva, anche a costo di seppellirla nel buco più profondo che conosca, o di distruggerla.”
“Ma il tuo stesso diritto di governare si fonda sull’Arkengemma! Ti dà il diritto di chiamare gli eserciti in battaglia!” disse Rogan, delle Montagne di Cenere.
“Abbiamo giurato all’Arkengemma,” obiettò Moinar.
“A me personalmente dell’Arkengemma non importa nulla,” intervenne il giovane Neir, “ e nemmeno a mio nonno. Vogliamo solo tornare a casa! Vogliamo che la Montagna ritorni potente e ricca!”
L’intervento scatenò un putiferio. Tutti i presenti, tranne Balin e Thorin, si alzarono ed iniziarono ad esprimere a gran voce la loro opinione.
Kili li lasciò parlare, guardandoli ad uno ad uno con lo stesso sguardo fermo e gelido che aveva imparato da Thorin, anche se dentro di sé era in subbuglio, ed si sentiva il cuore in gola. Questo è il momento in cui mi gioco tutto. Fili, sto mettendo il tuo trono quale posta per una scommessa azzardata, ma devo farlo: o tutto o niente. Volutamente non diresse lo sguardo verso Thorin: non intendeva dare l’impressione di cercare aiuto, o di aver bisogno di imbeccate. Però socchiuse gli occhi, e sotto le lunghe ciglia lanciò un’occhiata allo zio.
A suo onore, non mosse un muscolo: ma fu uno choc. Thorin stava sorridendo. Era solo un movimento agli angoli della bocca, ma lui lo conosceva bene. Suo zio era compiaciuto!
Trasse un lungo respiro e parlò.
“Basta così.” Non alzò la voce, ma fece un effetto maggiore che se avesse urlato. “Il mio sangue mi dà il diritto di governare, non l’Arkengemma. Il mio sangue  ed il volere della gente di Durin.”
“Ma non ti seguiranno senza l’Arkengemma!” obiettò ancora Rogan, infervorato.
“Davvero?  Quando Thorin ha intrapreso questa ricerca, nessuno dei Durin ha risposto. E’ accaduto perché non aveva l’Arkengemma?”
“Certo!” rispose l’altro Nano, pavoneggiandosi come se fosse stato dimostrato che aveva ragione.
“E allora perché sei venuto ad Erebor, adesso, Rogan? Thorin non ha ancora l’Arkengemma, non l’ha mai avuta. O qualcuno ti ha detto il contrario?”
Poi girò lo sguardo sugli altri capi. Da gelido era diventato sprezzante.
“E tutti voi, perché siete venuti, adesso, e non prima? Ci avete detto che questa ricerca era nostra, e solo nostra. Adesso non lo è più?”
I Nani si agitarono, imbarazzati; ma inaspettatamente, Kili sorrise, il suo sorriso più luminoso… e li spiazzò tutti. Ancora. Sarà meglio che vi abituiate alle sorprese. Altrimenti come ve la caverete quando avrete a che fare con un diplomatico furbo  come Fili?
“Voi tutti siete dei capi. Avete la responsabilità della vostra gente,  avete fatto la scelta migliore per il loro bene. Perché impegnarli in una ricerca rischiosa? Dopo la morte del drago, invece, le cose sono diverse. Azanulbizar ha insegnato qualcosa ai Nani.”
In fondo alla tenda, dal suo angolo, Gandalf fumava la pipa e si godeva lo spettacolo. Kili  non era sicuro che stesse ridacchiando, ma non ebbe più  dubbi quando il mago gli strizzò l’occhio.
“Questo per dimostrarvi che l’Arkengemma non ha alcun vero significato pratico, perché i Nani seguiranno me, e soprattutto seguiranno mio fratello,  con o senza quella maledetta pietra, se sarà giusto per loro.  E Fili lo sarà, come ho intenzione di fare io, a suo nome. L’Arkengemma  è solo un simbolo, ma di qualcosa che non mi piace: è il simbolo della pazzia del mio bisnonno, e la Casa di Durin non ha bisogno di queste cose, non con un Regno da ricostruire da zero.”
L’atmosfera era rovente, ma fu Dàin ad intervenire, con voce tanto sommessa che all’inizio non fu udito.
“Ascoltatelo. Ha ragione.”
Tutti si voltarono verso il Signore dei Colli Ferrosi.
“Quella gemma è malvagia. Io… io l’ho sentita.”
Kili fissò il cugino ad occhi spalancati.
“Anche… anche tu…”
Il più vecchio annuì.
“Quando ci siamo incontrati con Bard, e Thranduil, prima della battaglia… doveva essere lì, nella tenda, anche se non lo sapevo. All’inizio non capivo, poi… mi chiamava. Diceva che avrei dovuto essere io il Re sotto la Montagna… che il Tesoro spettava a me… che dovevo prenderlo… era come una musica che incantava. Diceva che non conta l’onore, o il benessere della mia gente… solo il Tesoro.” Alzò gli occhi. “Ho avuto paura di me stesso, in quel momento. Se non ci fosse stata la battaglia incombente, se l’avessi avuta tra le mani, non so, davvero, non so cosa avrei fatto.”
Il silenzio era talmente profondo da far pensare che tutti stessero trattenendo il respiro.
“Anche adesso, in questo momento, se ci penso…” continuò Dàin, “ mi sembra di sentire quel richiamo.” Sbirciò verso il giovane principe di Erebor. “E tu?”
Kili fece un verso di disgusto.
“Sempre…” mormorò, “ ma non è un dolce richiamo. E’ come un putridume che tenta di impadronirsi della mia  anima. Inganna… illude.”
Si girò verso il mago.
“Gandalf, hai trovato una soluzione?”
Il vecchio si levò la pipa di bocca.
“Sì. E, modestamente, è un’idea brillante.  Mi piace molto, e piacerà anche a voi.”

“L’Arkengemma è stata appena consegnata nelle mani di Dori, il nostro miglior Maestro Tagliatore. Verrà tagliata in diverse gemme, sempre magnifiche ma non pericolose, che verranno distribuite tra i Regni dei Durin e le tribù alleate. Diventerà un simbolo di unità, e non di dominio; e non irretirà più nessuno.”

*GRAZIE!!*
Ad Emouel, sempre fantastica, kili_filitogether, Laucace, Marilu2011… e tutti i lettori silenziosi, sempre tantissimi! Grazie.

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Capitolo 31
*** Agguato ***


31 Agguato
31 Agguato

Kili era stanco. L’incontro con gli Elfi si era rivelato carico  di tensione, che, aggiunto alle emozioni della giornata e della notte pecedenti, aveva contribuito a prosciugare l’organismo ancora fragile del giovane Nano; ma d’altra parte, Kili odiava sentirsi così stanco.
Non andrò da nessuna parte in questo modo,  si disse. E se Liatris viene a sapere che non ho riposato, diventerà più pericolosa di mamma. Sorrise tra sé.
Rasserenato, o rassegnato, si distese sul basso letto elfico nella sua tenda, e, cullato da dolci pensieri a proposito di setosi capelli biondi e morbide curve, senza saperlo scivolò nel sonno.

Fu una sensazione a svegliarlo; una sensazione di allarme.
Si guardò intorno, ma non vide nessuno. I suoni dell’accampamento attorno a lui erano quelli soliti del pomeriggio; doveva aver dormito un paio d’ore.
Eppure uno strano senso di inquietudine gli rendeva faticoso respirare, e un brivido gli risaliva la spina dorsale. Si accorse di avere la pelle d’oca.
Cosa diavolo sta succedendo?
Non riusciva a star fermo. Si alzò, si vestì, ed afferrato il pesante cappotto foderato di pelliccia, uscì dalla tenda.

“Tutto bene, Kili?” chiese Dwalin. Il grande guerriero era accovacciato davanti alla tenda, di fronte a Bifur, e giocava a dadi con lui mentre due guardie osservavano interessate.
“Ho voglia di fare due passi,  ma non è necessario che veniate con me…” iniziò a dire il principe, ma Dwalin lo fulminò con una delle sue occhiate.
“All’improvviso anche noi abbiamo voglia di camminare, vero Bifur?”
L’altro assentì e borbottò qualcosa in khuzdul antico.

“Sono così orgoglioso di lui, Balin. E’ riuscito a fare tutto quello che era necessario. Ha ottenuto il rispetto di tutti i nostri vicini, ed il futuro di Erebor non è mai stato così radioso. Ha persino risolto il problema di quella maledetta gemma. Non ha mai, mai ceduto ad essa! Ed io invece non mi ero nemmeno accorto di quello che mi stava succedendo!”
Balin sospirò. Thorin sembrava molto sereno, in quegli ultimi giorni. Come se   un enorme peso fosse stato tolto dalle sue spalle. Si era tenuto al corrente delle attività di Kili, e Balin aveva trepidato un po’ nel raccontargli come il nipote stesse disponendo con liberalità del Tesoro di Smaug; ma Thorin non aveva mostrato alcun risentimento, né avanzato alcuna obiezione. Anzi, lo aveva guardato di sottecchi, con un sorrisetto.
“Stai aspettando una reazione violenta? Mi dispiace deluderti, ma ho imparato la lezione. Ho ammesso i miei errori; non posso far nulla per cambiare quello che è stato, ed il rimorso mi perseguiterà finchè vivo. In ogni momento della giornata devo convivere con la consapevolezza che uno dei  miei nipoti ha pagato i miei errori con la sua vita; e in quanto all’altro…” Thorin sospirò profondamente.
Per alcuni momenti si guardò le mani, tentando di dominare la commozione che gli stringeva la gola.
“Kili non vuole essere Re. Non l’ha mai voluto, ed io lo so bene. Kili  vuole  una vita libera ed interessante, di scoperta e di conoscenza, e nei miei progetti avrebbe dovuto essere l’occhio di Erebor sul mondo. Ora invece…”
Balin gli posò una mano sulla spalla. Sapeva bene che Thorin aveva ragione; Kili era stato suo allievo, e lo conosceva.
“Sta facendo molto bene, Thorin. Ha gestito al meglio alcune situazioni difficilissime; è intuitivo, innovativo, ed ha molto coraggio. Sembra che sappia sempre quale sia il modo migliore di trattare con la persona che ha davanti…”
“Ma non è quello che vuole. Ha dovuto assumersi un fardello che non gli competeva, e per quanto sia fiero di lui, non mi perdonerò mai per questo… e devo ancora fare i conti con Dìs.”
Il sorrisetto di Thorin era vagamente imbarazzato.
“Non sono ansioso di incontrarla. Mia sorella ha un modo devastante di chiederti il rendiconto delle tue azioni.”

“Si può?” una voce nota fuori dalla tenda interruppe lo scambio.
“Certo, amico mio, vieni pure,” rispose Thorin. Gandalf fece la sua comparsa, accompagnato da tre enormi boccali di birra.
“Doppiamente benvenuto, Gandalf!” rise Balin. Il mago ammiccò.
“So come guadagnarmi una bella accoglienza!” distribuì i boccali e si abbandonò su una sedia accanto ai due.
“Uffh! Anche questa è fatta!” sospirò. Poi guardò Thorin di sottecchi.
“Ti riferisci all’Arkengemma? Buona idea, Gandalf. Ed a questo proposito…” il Nano esitò, ed il mago con un gesto lo incoraggiò a proseguire.
“E’ davvero magica, Gandalf?”
Il vecchio sospirò.
“Difficile dirlo. La magia è cosa antica, ed io sono ben lungi dal conoscere tutte le sue forme. Però…”
“Sarebbe troppo facile, vero?” sussurrò Thorin, “attribuire alla magia le colpe delle nostre azioni. Per quanto riguarda me, so che non è così.  A meno che non vogliamo chiamare magia l’avidità e l’orgoglio.”
Rimasero tutti un attimo in silenzio. Fu Gandalf a romperlo.
“Forse sono vere tutte e due le cose. L’Arkengemma è simbolo di potere e ricchezza, che sono due potentissime sirene. Offuscano il giudizio, e tanto più quanto più una persona è vicina ad essi. Il potere scorre nelle vene dei Durin fin dal Risveglio; nessun’altra stirpe di mortali risale ininterrotta e diretta così indietro nel tempo; hanno il potere ed il comando nelle ossa, nell’anima, e quindi il richiamo è potente. Per te come per Dàin. Anche Dàin ha sentito la voce del potere, ed anche lui ha imparato la lezione nel modo più duro.”
“Hai ragione, Gandalf. Per fortuna Nàin si è ripreso,” disse Thorin. “Perdere un figlio  è già più di quanto si possa sopportare. Però anche Kili è un Durin, e lo sta dimostrando, eppure ha detto di provare disgusto…”
Gandalf ridacchiò.
“Kili è come un uragano, sta sovvertendo tutti gli schemi, e gli riesce bene! Ma Kili è diverso. Ha altre priorità, e le idee chiare; poi non vi è dubbio che tuo nipote sia qualcosa di speciale. Ricordi cosa diceva Inglor?”
“Sì, anche se non ho mai capito cosa intendesse.”
“Nemmeno io… ma credo che ne vedremo delle belle.”

“Davvero non ti dispiace per l’Arkengemma?” chiese il mago serio, dopo una breve pausa in cui tutti si dedicarono alla birra.
Thorin rimase un attimo in silenzio.
“Sì e no. E’ un peccato distruggere una simile meraviglia, ma nelle mani sbagliate sarebbe troppo pericolosa. Kili ha ragione: la follia di mio nonno l’ha caricata di significati simbolici, tutti negativi. E’ meglio così, e l’idea di dividerla con gli altri Nani ha un impatto emotivo fortissimo. Complimenti, Gandalf!”
“Del tutto immeritati,” rispose il vecchio sorseggiando con aria estatica la sua birra, “io ho solo pensato di tagliarla. L’idea di distribuire le gemme è di Kili. Tuo nipote ha il dono di sapere come conquistare la gente… anche quando mi fa vedere i sorci verdi con le sue manovre con gli Elfi!”
Balin ridacchiò.
“Sì, ha fatto lo stesso effetto a me… mi sono chiesto dove avevo lasciato la mia spada!”
“Invece Kili sapeva il fatto suo, come in tutta questa vicenda. Posso partire tranquillo, ora.”
“Quindi dopo il matrimonio te ne andrai?” chiese Thorin, tranquillo.
“Sì. Per Bilbo è ora di tornare a casa, ed io voglio fare una tappa da Beorn. Viaggeremo con comodo. Anche se…” il mago si azzittì un attimo, guardando il fondo del suo boccale, come sorpreso di trovarlo vuoto.
I Nani lo guardarono  sorpresi. Gandalf scosse il capo.
“Per un attimo ho avuto la sensazione che questa storia non sia finita, ma beh… non vedo cosa potrebbe succedere, ancora!”
“Credo che andrò a prendere dell’altra birra,” rise Balin. “Quando un uomo diventa sentimentale, vuol dire che ha bisogno di bere!”

Era ormai sera, e Kili e Liatris stavano tornando alla loro tenda, seguiti sempre da Dwalin e Bifur.  Il giovane principe ascoltava la fidanzata mentre raccontava aneddoti della giornata trascorsa a compilare le liste degli ordinativi, ascoltando le richieste più assurde di Nani e Uomini.
“Dovevi vederlo, Kili! Era rosso come un pomodoro e ha farfugliato per un quarto d’ora prima di riuscire a dirmi che il legname gli serve per costruire delle latrine!”
“Beh, posso capirlo,” commentò Kili con un sorriso malizioso. “Probabilmente stava pensando che le future principesse non dovrebbero avere  molta dimestichezza con la costruzione di  bagni e gabinetti!”
Risero entrambi.  
Kili aveva trascorso il pomeriggio in mezzo alla gente, ascoltando i Nani, e  i loro progetti; e quando gli Uomini di Laketown l’avevano visto, erano stati tutti inchini e cerimonie, finchè Kili stesso non aveva posto fine a tutte quelle sciocchezze con un paio di battute ed un sorriso malandrino.  Il giovane Nano aveva goduto ogni momento, e quando Liatris si era unita a lui, tutto era stato perfetto… anche quella strana sensazione era come sbiadita, sparita sullo sfondo. Avevano cenato in compagnia, nella enorme tenda delle cucine, e per una sera era tornato tutto come una volta… niente decisioni, niente diplomazia, niente problemi.
Kili era pronto a liquidare il tutto come fisime dovute alla stanchezza, ma nel momento preciso in cui entrò nella tenda, rieccola. Quella sensazione mozzafiato.
“Kili, stai bene?” alla domanda di Liatris si accorse di essersi fermato di botto.
“Sì,sì… credo di essere solo  un po’ stanco.”

Il campo era tranquillo. Si avvicinava la mezzanotte, e Kili stava dormendo profondamente, esausto per la faticosa giornata.
E poi successe qualcosa.

Kili si svegliò di colpo, completamente vigile. La sensazione di pericolo era più forte che mai, ed il giovane Nano si guardò intorno, senza notare nulla di strano. La tenda era silenziosa, Liatris dormiva rannicchiata sotto le pellicce. Un’ombra alla sua destra richiamò la sua attenzione, ma era solo Beriel, che gli voltava le spalle; raccolte alcune cose, l’Elfo scivolò fuori dalla tenda. Non vi era niente di strano, eppure…
Kili gettò indietro le coperte: si sentiva soffocare, il cuore gli batteva all’impazzata, e tutto quello che riusciva a pensare era pericolo pericolo pericolo.
Devo mandarla via, pensò guardando Liatris. Non osava nemmeno chiamarla, così scivolò giù dal letto, e , senza alzarsi in piedi, si accucciò vicino a lei.
Toccò leggermente i capelli biondi, l’unica parte visibile di lei, e Liatris fu subito sveglia.
“Kili…” sussurrò emergendo dalla pelliccia.
“Ssst!” La zittì lui. “Non parlare,” alitò, facendole cenno di seguirlo.
“Ma…”
“Sstt!” Gli occhi della ragazza erano enormi nella luce fioca del braciere. Kili stava cercando qualcosa nell’angolo della tenda, e riemerse poco dopo con un pugnale ed una spada.
Liatris trattenne il respiro, chiaramente piena di domande.
Ora che aveva preso l’iniziativa di fare qualcosa, Kili si sentiva molto meglio. Era ormai sicuro che stava per succedere qualcosa, lo sapeva come era certo che il sole sarebbe sorto a est, ma sapeva anche cosa doveva fare.
Condusse Liatris sul fondo della tenda, sul lato opposto all’ingresso. Si chinò su di lei e le sussurrò all’orecchio. “Vestiti, mettiti stivali e mantello, presto!”
“Ma…”
“Sta succedendo qualcosa,” le rispose Kili, mentre, in ginocchio, armeggiava con la parete della tenda. “Devi andare alla tenda di Thorin, trova Dwalin e digli di venire subito con qualche guerriero.”
Liatris spalancò gli occhi.
“Vado!” sussurrò mettendosi gli stivali e raccogliendo il mantello.
“Non di lì!” l’urgenza nella voce di Kili la fermò. “Da questa parte.” Liatris vide che aveva tagliato la tenda con il pugnale, praticando un’apertura.
“Non passare davanti alla tenda; gira intorno e costeggia la cucina, e a quel punto, cerca di far rumore!”
“Kili… cosa sta succedendo?” Liatris era seria, e lo stava guardando con occhi preoccupati. “Non sento niente, fuori…”
Kili scosse il capo.
“Tra poco sentirai. Non c’è più tempo, muoviti!”
Così dicendo, la spinse fuori; chiuse la tenda meglio che potè e tornò a letto. Si tirò addosso le pellicce, disponendole in un cumulo informe; e tra di esse, in un punto non visibile dall’ingresso, sistemò la spada.
“Al  fuoco!” il grido echeggiò nella notte.
Strinse le dita sull’impugnatura e si dispose ad attendere. Sono pronto.


“Al fuoco!”
Liatris si immobilizzò un istante. Aveva percorso pochi metri sul margine della tenda, e davanti a lei vedeva quella della cucina. Guardò con attenzione, ma non vi era nessuno in vista.
Uscì dall’ombra della loro tenda e sparì dietro l’angolo della cucina.

Dopo solo pochi istanti, si levarono altri clamori; suoni di combattimento e il ruggito inconfondibile di Dwalin squarciarono la tranquillità della notte.
Kili rimase immobile, in attesa, cercando di regolare il respiro.
Un rumore soffocato ed un tonfo sordo fuori dalla tenda attirarono la sua attenzione. Qualunque cosa fosse, stava per accadere; un fruscio, e  per un attimo, da sotto le ciglia semiabbassate,  Kili vide un squarcio di cielo notturno stellato, oscurato subito dopo da un’ombra più intensa del buio della tenda. Sta entrando qualcuno.

Liatris corse costeggiando la tenda della cucina e riemerse a pochi metri da quella di Thorin; era in corso uno scontro, poche persone di scambiavano colpi violenti; la luce del fuoco, che stava divorando una tenda  poco lontana, illuminò la sagoma inconfondibile di Dwalin con le due asce in mano. Con un ruggito, il Nano ne calò  una su un’ombra accanto a lui, che stramazzò a terra,  e tutto finì.

Il cuore di Liatris batteva all’impazzata. Kili aveva ragione, era successo qualcosa di grave… e lui era solo!
Superò di corsa lo spazio e si aggrappò al braccio del Nano tatuato.
“Dwalin! Dwalin, presto, devi venire! Kili ha detto di venire…” farfugliò senza sapere nemmeno bene lei cosa dire, ma i sensi di Dwalin erano all’erta.
“Cosa succ...? Kili!”
Il Nano si raddrizzò, ed in quel momento il fratello  e Bifur lo raggiunsero fuori dalla tenda di Thorin.
“Dwalin, l’hai preso…”
“Kili!” gridò il grande guerriero. Balin guardò  il fratello, poi Liatris.
“Bifur, tienila qui!” gridò, e con Dwalin si diresse di corsa, armi in pugno, verso la tenda di Kili.

Furono sufficienti pochi secondi per arrivarci, ed un istante per capire che era davvero successo qualcosa: la guardia era accasciata a terra, esanime. Seguito a ruota dal fratello, Dwalin si precipitò all’interno e si fermò di botto.
A terra, due corpi giacevano immobili, l’uno sull’altro, immersi in un lago di sangue.



Angolo autrice
Colpo di scena!
Graziegraziegrazie, a chi ha lasciato un segno del suo passaggio. Anche se non rispondo a tutti, ogni recensione è un fiore nel mio giardino preferito.  Grazie a chi mi ha seguito fin qui. Mi rendo conto che ho oltrepassato i 30 capitoli, e che non sento più da tempo chi si era fatto vivo all’inizio. Avranno gettato la spugna, magari? 31 capitoli sono tanti, ma la cosa peggiore è che non  è ancora venuto fuori il significato del titolo… OMG. Beh, siete talmente intelligenti che forse qualche sospetto l’avete, gli indizi sono decisamente oscuri ma ci sono.
Alla prossima
Bacio
Idril

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Capitolo 32
*** Una lunga caccia ***


32 Una lunga caccia
32  Una lunga caccia

Il Nano rimase immobile, cercando di scomparire nelle ombre ancora fitte. L’aurora stava iniziando a  rischiarare il buio della notte, ma tra i boschi a lato della Via aveva il solo effetto di rendere l’oscurità meno intensa.
Gli Orchi si erano fermati, ed occupavano la Via e lo spiazzo a sud. Raggruppati qua e là, intorno a piccoli fuochi che tentavano invano di rendere meno gelida la temperatura invernale, rabbrividivano stretti nei loro miseri ripari, salvo quei pochi fortunati che potevano contare sulla vicinanza, e sul calore, dei loro Warg.
Il Nano si mosse silenziosamente come poteva, cercando di evitare gli spazi aperti dove sarebbe spiccato contro il candore della neve. Stava cercando qualcuno, o qualche indizio che lo portasse a Lirien.
Era stato facile raggiungere gli Orchi. La nevicata li aveva rallentati molto, ed anche quando era cessata non avevano tenuto un passo svelto; nei loro boschi si sentivano abbastanza al sicuro, ma evidentemente preferivano non incappare in altri disastrosi incontri, quindi procedevano con prudenza. Al contrario i due Nani, con annesso pony da fiuto, procedevano più speditamente, tenendosi nei boschi sopra la Via, ed in pochi giornate di cammino avevano raggiunto il loro obiettivo.
Da tre giorni il Nano si aggirava nei dintorni dell’accampamento, cercando di cogliere qualche segno della presenza dell’Elfo prigioniero. Non appena la carovana degli Orchi accennava a fermarsi, lasciava Gwennis poco lontano, alcune volte addirittura in un Rifugio, altre semplicemente in un punto riparato, e mentre lei si dedicava a cucinare le prede catturate la notte precedente, il Nano sistemava qualche trappola o laccio nei boschi ed andava in esplorazione.  Fino ad ora, senza risultato alcuno.
Il Nano imprecò tra sé. L’accampamento degli Orchi non presentava alcun ordine o criterio, ognuno si fermava dove capitava, ed i fuochi erano sparsi in uno spazio  molto grande. Era difficile costeggiarlo tutto nel poco tempo disponibile prima che la luce rendesse troppo pericoloso aggirarsi nelle vicinanze; nonostante la cerata di foggia orchesca che indossava, la statura del Nano lo rendeva troppo diverso dagli  orchi di Gundabad, per rischiare di farsi vedere. E la volta successiva era necessario ricominciare da capo.
Ci voleva un colpo di fortuna, ma finora niente da fare.
E poi, finalmente, vide qualcuno. Mahal mi assiste.

Stava seduto a terra, con le spalle appoggiate ad un grosso tronco spoglio. Fortunatamente per il Nano, il tronco si trovava al limitare della radura, e dietro di esso un grosso cespuglio degli onnipresenti sempreverdi offriva un magnifico riparo per il Nano, che, cercando di essere il più silenzioso possibile, vi si intrufolò.
Procedette facendosi largo lentamente fra i rami, finchè si trovò esattamente dietro il tronco e vi si accoccolò. Trasse di tasca alcuni lacci che aveva usato per le  trappole; rapidamente li annodò e se li  arrotolò intorno al polso, quindi trasse alcuni profondi respiri per concentrarsi.
Restò in ascolto: dall’altra parte del tronco proveniva un russare sommesso: l’Orco dormiva, ma non troppo profondamente.
Si va.

L’Orco sussultò, risvegliato bruscamente dal sonno; ma la prima cosa che percepì fu il gelo di una lama premuta contro la sua gola.
“Se fiati, sarà l’ultima cosa che farai nella tua miserabile vita,” fu il sussurro che proveniva dalle sue spalle.
Il Nano vide l’Orco irrigidire la schiena, sorpreso.
“Tu! Ma cosa…”
“Silenzio! Mettiti le mani dietro la schiena.”
L’altro obbedì e, prima di potersene rendere conto, fu saldamente legato contro il tronco. La lama non aveva allentato di un filo la pressione sulla gola del mostro.
“Benissimo,” sibilò il Nano, “adesso veniamo a noi. Dov’è l’Elfo?”
“L’Elfo?”
“Non fare l’idiota, guaritore. Il giovane Elfo prigioniero, Lirien.”
“Ma… con i Goblin, credo… e dovresti esserci anche tu!”
Il Nano rimase un attimo interdetto, ma non mollò la presa sul collo dell’Orco.
“Cosa diavolo stai dicendo? Siamo fuggiti insieme, ma l’avete ripreso! Cosa c’entrano i Goblin?”
L’Orco cercò di scuotere il capo, ma si immobilizzò all’istante quando la lama fece presa sulla pelle coriacea.
“Fuggiti? Abbiamo trovato dei Goblin morti, insieme ai nostri che dovevano sorvegliarvi, ed abbiamo pensato che vi avessero presi loro. Thorbag era una furia. E’ convinto che sia stato quel traditore di Sobek, che ha colpito proprio mentre eravamo impegnati a combattere con quei Nani indiavolati!”
Il Nano si lasciò cadere a terra, completamente svuotato.
“Allora Lirien non è qui…!”
“Certo che no. Hai intenzione di tagliarmi la gola, adesso?”
Per tutta risposta, uno straccio venne infilato nelle fauci, e rapidamente  fissato con un altro laccio; una botta alla tempia fu l’ultima cosa che  l’Orco avvertì.
Il Nano riposizionò velocemente la cerata del prigioniero, in modo che solo avvicinandosi molto qualcuno avrebbe potuto capire che il guaritore non stava semplicemente dormendo.  Con un po’ di fortuna, se ne accorgeranno solo al momento della partenza.
Non era tanto ingenuo da credere alla parola di un Orco, anche se non vedeva perché avrebbe dovuto mentire:  tra l’altro, se avesse voluto farlo catturare di nuovo, molto meglio spedirlo in qualche zona particolarmente pericolosa del campo, dove avrebbe potuto essere notato facilmente; ma in ogni caso, prima di spostare la direzione della sua ricerca, aveva bisogno di conferme. Ricominciò a muoversi cercando di essere il più silenzioso possibile e  di girare al largo dai Warg che avrebbero potuto fiutarlo.

Mentre gli occhi scrutavano il campo alla ricerca di indizi, la sua mente cominciava già a programmare il passo successivo.
Era un bel problema. Cosa sapeva dei Goblin? Che vivono a sud, sotto le  Montagne Nebbiose. Le possibilità di scoprire l’ingresso sono quasi nulle: o  lo conosci o non lo conosci, ed in questo caso c’è il rischio concreto di aggirarsi per le migliaia di miglia delle Montagne Nebbiose senza concludere nulla per anni.  Non posso accamparmi in una zona per un tempo indefinito, sperando in un colpo di fortuna.
Oltre tutto doveva anche pensare a Gwennis.  Ma questo lo vedremo dopo.
Concentrò la sua attenzione sul campo degli Orchi, cercando qualcuno di vulnerabile o disattento, o facilmente accessibile… e doveva essere qualcuno che, presumibilmente, fosse al corrente dei prigionieri, ma niente da fare.  Ben presto capì che doveva rischiare, ed entrare nel campo; ma  come?

Aveva trovato un buon punto di osservazione ed era rimasto per un po’ a scrutare gli Orchi che passavano, diretti chissà dove. Quasi tutti da soli, si muovevano stancamente, alcuni addirittura a fatica, nessuno con baldanza. Solo raramente passava un ufficiale, con il solito portamento arrogante, a volte abbaiando ordini che  venivano perlopiù ignorati dopo che se ne era andato.  Il movimento si riduceva progressivamente, a mano a mano che l’accampamento scivolava nel sonno.
Il Nano rimase ad osservare ed a pensarci su per un bel po’. Poi decise. Posso farcela.

Imbottirsi la giubba di foglie  e  zolle di muschio in modo da alzare ed ingrandire le spalle non fu una passeggiata: scivolavano ovunque ed avevano la preoccupante tendenza a raggrupparsi tutte intorno ai suoi piedi, inoltre erano oltremodo umide e sgradevoli, ma alla fine fu fatto. Coprì il tutto con la sua cerata orchesca, sperando che potesse bastare ad un esame superficiale. Un lato era più alto dell’altro, e trascinando una gamba il Nano poteva dare l’impressione di essere piegato su se stesso, mascherando l’altezza e l’andatura. Gli sarebbe piaciuto poter controllare l’effetto generale, ma non c’era modo.
Trasse un profondo respiro, si raccomandò a tutti gli dèi che gli venivano in mente e si avviò verso l’accampamento.

Si accorse ben presto che nessuno badava a lui. C’erano pochi orchi in giro, quasi tutti  erano acquattati sotto ripari improvvisati o in angoli asciutti, e dormivano. Alcuni erano accoccolati intorno a piccoli fuochi da campo, ma non erano interessati a chi si aggirava apparentemente diretto a badare agli affari suoi.  Fece attenzione ai rari ufficiali, e quando ne scorgeva uno in lontananza, senza affrettarsi cambiava direzione, o si dirigeva verso qualche angolo, come se stesse cercando un posto per accucciarsi.
Nessuno lo fermò mai.

Si aggirò a lungo per il campo, maledicendosi per non aver tentato prima uno stratagemma così semplice invece di passare ore a gelarsi nella foresta, e ben presto si rese conto che non vi era alcun luogo sorvegliato, niente che poteva far pensare alla presenza di prigionieri. Vide anche, da lontano,  le tende dei capi, con i Warg accucciati fuori, e per un attimo si trastullò con l’idea di controllare se Lirien fosse lì, ma la scartò rapidamente.  Non ce l’avrebbe mai fatta, ma in ogni caso perché mai avrebbero  dovuto tenersi l’Elfo tra i piedi?  No.
Alla fine giunse alla conclusione che l’Orco guaritore non aveva mentito. Lirien non era lì, ed il Nano aveva davanti a sé un compito ben più arduo di quanto avesse pensato all’inizio.

Dopo essersi liberato del suo umido travestimento, affare più semplice a dirsi che a farsi, il Nano sgattaiolò in silenzio attraverso la foresta, fino al boschetto a ridosso di uno sperone roccioso dove aveva lasciato Gwennis, e la prima cosa che attirò la sua attenzione fu un delizioso profumo di stufato.
Maledizione! Vogliamo gridare a tutti che siamo qui? Ma dovre crede di essere, ad una scampagnata?
Di umore pessimo, si affrettò verso il rifugio, e si precipitò nel boschetto.

Furono solo i suoi sensi prontissimi a salvarlo da una botta che probabilmente l’avrebbe spedito a dormire per parecchie ore e di sicuro gli sarebbe costata una commozione cerebrale e qualche dente. Appena le sue orecchie percepirono un sibilo, si gettò prontamente a terra, cosicchè l’arma gli fece solo volare i capelli. Rotolò sulla schiena e brandì due coltelli, pronto ad attaccare, ma quando alzò lo sguardo si bloccò all’istante.
Gwennis troneggiava su di lui, occhi spalancati e chioma fiammeggiante, brandendo con due mani una padella di ferro. Per intenderci, quella che aveva usato due giorni prima per friggere il pesce.

Il Nano notò, con una parte della mente, che la ragazza sfoggiava una salda posizione di difesa, ben equilibrata sulle gambe e con una presa sicura sull’impugnatura dell’arma, e si disse che il maestro che gli aveva impartito i primi rudimenti del combattimento doveva essere in gamba, e lei una brava allieva: il colpo fallito avrebbe sbilanciato più di un combattente poco esperto, mandandolo a gambe levale, ma non Gwennis.
Poi pensò che quella padella era passata ad un soffio dalla sua testa.
“Ma sei impazzita? Cosa diavolo stai facendo?”    
“Cosa stai facendo tu!” Gwennis sbuffava come un gatto arrabbiato, ed i riccioli arruffati accentuavano la somiglianza. Un bel gatto rossiccio decisamente infuriato. “Cosa ti è saltato di far tutta quella confusione? Sembrava una pattuglia di Orchi! E come mai sei tornato così presto?”
“Sei stata fortunata che non fossero Orchi! Con quel profumo potresti attirare chiunque nel giro di trecento metri!”
“Bel ringraziamento per il mio stufato! La prossima volta te lo mangi crudo, il coniglio! E, tra l'altro, come diavolo ti sei conciato? Hai strisciato per tutto il bosco? ”
Ormai erano naso a naso, urlandosi contro, lui con i coltelli ancora in mano, lei continuando a brandire la padella. Il Nano prese fiato per una risposta adeguata, ma Gwennis lo interruppe:
“Bravo! Attirerai gli Orchi nel raggio di cinquecento metri!” sibilò.
La bocca del Nano si chiuse all’istante. Un buon argomento.
Rimasero per qualche momento a guardarsi in cagnesco, poi Gwennis sospirò.
“Scusa,” disse, “ma mi hai proprio spaventato:”
“Scusa tu,” fu pronto lui a rispondere, “avrei dovuto avvisarti che ero io. Bel colpo, comunque.”
“Per fortuna non ti ho preso,” ridacchiò la Nana.
“Grazie a Mahal,” rispose lui, con fervore, alzando gli occhi al cielo.  Rise anche lui, e la guardò negli occhi. Quando rideva le si arricciava leggermente il naso, ed il Nano trovò la cosa deliziosa.  Poi si scosse. Ma cosa, in nome di Mahal, vado a pensare?

Mentre mangiavano lo stufato, che era delizioso, dovette ammettere il Nano, lui le parlò delle sue scoperte.
“Cosa faremo?” chiese alla fine Gwennis. “Ormai saranno molto lontani.”
“Non posso rinunciare, almeno finchè c’è una possibilità. Sappiamo che i Goblin stanno andando a sud. Le nevicate dei  primi giorni devono aver rallentato anche loro, e noi saremo più veloci camminando sulla strada; non dovremmo metterci molto a trovare il luogo dove erano accampati.” A meno che le tracce non siano state cancellate dalla neve, pensò.
“Inoltre, a  sud dovrebbero esserci villaggi, oltre il Fiume. Lì saresti al sicuro.”
Gwennis tacque. Curiosamente, stava iniziando ad apprezzare la compagnia del Nano. Anche se continuava a non parlare mai di sé, era un compagno piacevole, ironico e garbato; talvolta riusciva perfino a dimenticare quanto pericoloso e spietato potesse essere.
La curiosità della Nana era più viva che mai riguardo al suo compagno di viaggio; ma era arrivata anche a capire che vi era un serio motivo per il suo silenzio, e che era qualcosa che lo faceva soffrire. Così si guardava bene dal porre domande inopportune. In realtà, pensò Gwennis, stava bene in compagnia di quel Nano, la conversazione era piacevole ma anche i silenzi non erano mai imbarazzanti.  Da non credere.  Ammirava anche la sua dedizione all’amico elfo. C’era solo una cosa che la turbava: spesso il sonno del Nano era inquieto, e se era il suo passato a tormentarlo nei suoi sogni, doveva essere davvero terribile. Più di una volta era stata tentata di svegliarlo; ma poi si era accorta che era sufficiente un tocco delicato sul braccio e lui, a   poco a poco, si calmava.  Allora Gwennis guardava il viso tornato sereno , facendosi  una montagna di domande.
Di certo, non si era mai pentita della decisione di seguirlo.
“Allora, domani andremo a sud,” concluse Gwennis, “ e speriamo  che il tempo tenga.”

Più a sud, sulle pendici delle Montagne Nebbiose

“Allora, avete trovato qualcosa?” bofonchiò  Brorig agli esploratori trafelati.
“No,” sbuffò il primo.
“Niente tracce,” aggiunse il secondo.
“Sembra volatilizzato!” aggiunse un terzo.
“Nessuna traccia nemmeno con tutta quella neve… come è possibile che non abbia lasciato impronte? Anche se è un elfo…”

Angolo del *grazie!*
A Laucace, Elanor02, Ardesiia, i vostri commenti sono sempre brillanti.
Emouel e kili_filiTogether, fedelissime! Bacio
Halfblood_Slytherin e Yavannah… bentornate!
e… jodie_always grazie per la preferenza!
E dulcis in fundo, tutti i lettori silenziosi ma fedeli, per il loro tempo e la loro attenzione. Grazie
.

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Capitolo 33
*** Tradimento ***


33 Tradimento
33 Tradimento

“Maledizione!” bofonchiò Dwalin. Mollata l’ascia, fece pochi passi fino ai corpi immobili ammassati l’uno sull’altro, subito seguito da Balin e  poi da Inglor, entrato nella tenda  dietro i due Nani. Senza tante cerimonie sollevò l’uomo, che giaceva riverso sopra Kili, e lo scagliò da un lato; nel frattempo Inglor si era portato a fianco del principe a terra.
“Più luce!”  gridò l’Elfo; fu prontamente accontentato da Beriel, comparso a sua volta, che passò una lanterna a Dwalin, procedendo poi ad accendere i lumi presenti nella tenda. Dei passi frenetici, fuori, annunciavano l’arrivo di qualcuno, e Balin si voltò giusto in tempo per ricevere tra le  braccia Liatris.
La Nana singhiozzò quando il suo sguardo cadde sul giovane principe a terra. Kili era immobile, ad occhi chiusi, il davanti della camicia coperto di sangue, così come la manica sinistra.
“Kili… oh, Kili!”
“Sstt! Calmati,” le disse Balin a mezza voce. “Non è brutta come sembra, se non mi sbaglio.”
Nel frattempo Inglor aveva abilmente tagliato la  camicia di Kili, e fu subito evidente che la leggera fasciatura che proteggeva le cicatrici, per evitare che la pelle ancora troppo delicata si irritasse a contato con gli indumenti,  era solo leggermente macchiata di sangue. L’Elfo passò poi a controllare le condizioni generali del suo paziente. Sedette sui talloni e si rivolse ai Nani davanti a lui, sorridendo leggermente a Liatris.
“Va tutto bene,” disse, “il sangue non è suo, almeno per la maggior parte.  Credo che abbia  un taglio superficiale al braccio, per il resto è solo svenuto per la fatica.” Allungò una mano e Beriel prontamente gli porse una fialetta di vetro sottilissimo; Inglor la spezzò e l’accostò al viso del giovane Nano privo di sensi. Un profumo muschiato e penetrante si diffuse nella tenda, e quasi subito il viso di Kili si contrasse cercando di allontanarsi dalla fonte del fastidio; poi egli trasse un sospiro profondo e spalancò gli occhi allarmato, brancolando con la mano destra in cerca di un’arma.
“Tranquillo!” Dwalin gli posò una grande mano sulla spalla. “Va tutto bene. L’hai tolto di mezzo.”
Gli occhi castani si tranquillizzarono; Kili sospirò e guardò le persone attorno a lui.
“Che è successo?”
“Ce la fai a sederti, prima?” chiese Inglor. “Devi riposare, ma non sul pavimento freddo, ed hai un taglio sul braccio che va  ricucito.”
Kili si guardò e sbuffò.
“Un’altra bella camicia rovinata, e poi sono stufo di sanguinare,” brontolò, “ ma se mi date una mano posso farcela.”
Con l’aiuto del grande guerriero, Kili  riuscì a sedersi sul letto; e subito, il suo sguardo cercò intorno a lui finchè vide Liatris e le tese il braccio sano.
La ragazza fece due passi, poi le gambe le cedettero e cadde in ginocchio davanti al suo principe, gettandogli le braccia al collo con un singhiozzo. Kili la strinse a sé accostando il viso a quello di lei e sussurrando dolci parole, mentre Liatris riusciva solo ad emettere piccoli singulti, mordendosi le labbra per non scoppiare in lacrime. Si era presa un tale spavento che non aveva più voce: in un istante era tornato l’incubo dei primi giorni, con quella paura di perderlo che le devastava l’anima.
“Sshh...” diceva Kili, “Va tutto bene, sto bene, davvero… tranquilla, amore mio…”
A poco a poco la sentì smettere di tremare, finchè un profondo sospiro gli disse che era tornata padrona di sé. La allontanò un poco e le sollevò il viso con la mano, per poterla guardare negli occhi.
“Va meglio?” mormorò sorridendole con tanta tenerezza che il cuore di Liatris fece una capriola. Sì, andava meglio, ma non si fidava ancora della sua voce; così si limitò ad annuire con  un piccolo sorriso teso, assaporando la sansazione di enorme sollievo che stava provando, e gli appoggiò il capo sulla spalla.
Sempre tenendola stretta, Kili si informò su quanto fosse realmente accaduto, e  mentre l’Elfo faceva il suo lavoro, Balin raccontò.
“Erano in tre. Uomini. Uno ha appiccato un incendio alla tenda vicina a quella di Thorin, si è nascosto, poi insieme al secondo ci ha attaccati approfittando della confusione, facendoci credere che il bersaglio fosse Thorin… ma lo scopo di tutta questa manovra era quello di distrarre l’attenzione. Due volte. Il vero obiettivo eri tu; e poteva farcela, se ti avesse colto alla sprovvista: aveva solo una guardia da superare, e ci è riuscito facilmente, perchè l’idiota stava guardando dalla nostra parte.”
“E’ morto?”
“No. Ha solo un bel trauma cranico,  fortunatamente.”
“Come te ne sei accorto, Kili?” intervenne Dwalin. “Nessuno aveva visto né sentito il terzo uomo.”
Kili rimase in silenzio. Già, come? Quindi scosse il capo.
“Non so. Devo aver sentito qualcosa di strano, o di diverso dal solito. Sapevo  che c’era un pericolo, là fuori, e che dovevo fare qualcosa.” Me la sentivo, che c’erano guai in vista.
Balin rise piano, e somministrò a Dwalin una solenne pacca sulla spalla.
“Beh, fratello, tutto quell’addestramento da esploratore che hai impartito ai ragazzi è servito a qualcosa!”

“Immagino che nessuno dei tre sia più in condizioni di dire chi li ha mandati…” chiese Kili.
Balin guardò il fratello minore di traverso.
“No… il primo l’avevamo preso vivo, ma qualcuno non sa controllare la rabbia.”
Dwalin  gli rispose a sua volta con un’occhiata incendiaria.
“Io, quando picchio, picchio!”
“Non c’era bisogno di fracassargli il cranio… in ogni caso, penso che il mandante possa essere uno solo, e non lontano da noi, ma non abbiamo prove.”
Kili annuì, pensoso.
“Certo. Ho concluso alleanze vantaggiose  con Uomini ed Elfi. I capi dei Nani, in generale, mi approvano, specialmente adesso; i nostri guerrieri e la gente comune…” fece un sorrisetto compiaciuto.
“… vanno pazzi per te,” concluse Balin  ridacchiando a sua volta. “No, sei solo sulla strada di Vodren.” Kili si accigliò.
“Stasera siamo stati fortunati, ma non voglio continuare ad essere un bersaglio… e tanto meno voglio che lo diventi Liatris. Vodren si è mosso perché pensa di essere a corto di tempo, visto che tra tre giorni mi sposo, con tutto quello che comporta in termini di successione; ma noi sappiamo che è già tardi, e togliere di mezzo me non gli basterebbe. Se lo scopre…”
I figli di Fundin annuirono.
“Kili, ci trasferiamo ad Erebor. Subito dopo il matrimonio, direi: per tre giorni possiamo resistere.” Kili  guardò Liatris.
“Lia, devi stare attenta. Basta passeggiate per il campo da sola, almeno per i prossimi giorni.” Lei annuì. Le loro dita erano ancora intrecciate.
Inglor aveva terminato il suo lavoro, e Kili aveva di nuovo il braccio al collo. Il giovane Nano guardò malinconicamente la fascia. “E’ il mio destino…”
Mosse le spalle per scioglierle dopo essere rimasto  a lungo immobile. C’era ancora qualcosa che gli frullava per la mente.
“C’è un particolare che mi sfugge. L’intento era solo quello di eliminarmi? E poi: perché usare uomini? Qualcuno sa chi siano?”
“Nori li sta esaminando per cercare di capire da dove vengano, ma in questi  giorni ci sono talmente tanti nuovi venuti che potrebbero essere chiunque, “ rispose Balin. “Saranno tre disperati a cui sono stati offerti un bel po’ di soldi.” Kili non era convinto, e scosse la testa bruna.
“Ci deve essere dell’altro…” improvvisamente rialzò il capo, restando in ascolto.
“Sta succedendo qualcosa, là fuori.”
Gli altri si guardarono un po’ frastornati.
“Non ho sentito nulla…” azzardò Dwalin.
“Eppure c’è qualcosa… avverto  confusione, e rabbia…” continuò Kili, con una strana espressione. Inclinò la testa di lato, come mettendosi in ascolto; dopo qualche secondo trasalì.
“Sì,” disse, “Dwalin, vai là fuori, urla, fatti sentire, e costringi tutti a fermarsi. Liatris, i miei vestiti: devo uscire, subito!”
Balin e Dwalin si guardarono allibiti, senza comprendere cosa stesse succedendo;  ma poco dopo giunse distintamente, dall’esterno, un urlo di rabbia.
“Traditori!”

Dwalin si precipitò  fuori, mentre l’urlo isolato diventava una serie di grida. Grida in Comune, ma soprattutto in Khuzdul: era una folla di Nani furiosi.
“Maledetti Uomini!”
“Hanno ucciso il nostro principe!”
“Vogliono la nostra Montagna!”
“Vogliono il tesoro!”
“Vendichiamoci!”
“Al campo degli Uomini!”

“Hai visto, Balin? E’ tutto chiaro, adesso! Devo fermarli!” gridò Kili mentre si infilava gli stivali.  Liatris gli gettò di nuovo le braccia al collo:
“Kili, no! Non puoi andare.. vuoi ucciderti?”
Il giovane principe guardò gli occhi azzurri colmi di lacrime.
“Kili, ti prego… non hai la forza di combattere..!”
Lui la strinse a sé con forza; le sue lacrime gli spezzavano il cuore.
“Spero che bastino le parole. Lia… Se non li fermo sarà una strage…” sussurrò con la bocca nei suoi capelli, “un’altra battaglia, Nani contro Uomini innocenti, che non se l’aspettano! Sarà la fine di tutto!”
Attirò la testolina bionda  contro la sua spalla, si chinò a baciare le tempie e la fronte.
“Non lo vedi… sarà la fine per Erebor, la fine dei sogni, delle speranze di tutti. Saremo un regno assediato, senza alleati, senza amici, condannato a combattere per la sopravvivenza… non meglio di Orchi. L’oro non basta, amore mio…”
Trasse un profondo sospiro e si accinse ad allontanarla. Era la cosa più difficile che avesse mai fatto... ma Liatris riuscì a sorprenderlo. Si raddrizzò, staccandosi da lui, e si spazzò le lacrime con il dorso della mano, in un gesto deciso e rabbioso.
“Vengo là fuori con te.”
A Kili sembrò che il suo cuore si fermasse.
“NO!” prese fiato per una veemente protesta, ma un’occhiata al viso della fidanzata lo ammutolì.
“Non provare a dirmi quello che devo o non devo fare, signor Reggente!  Se tu vai là fuori ci vengo anch’io e questo è quanto!”
“Ma sei…” anche questa volta Kili si rimangiò la frase: non era la cosa migliore da dire, ed infatti gli occhi di Liatris divennero due fessure.
“…incinta? Certo! C’eri anche tu, ricordi? E questo dove ci porta?”
“Che non voglio che tu corra rischi!” il tono di Kili si abbassò decisamente, ma non abbastanza.
“Hai usato la parola voglio?”  
Kili la guardò, infuriato ed ammirato allo stesso tempo, senza sapere cosa dire. Una parte di lui avrebbe voluto legarla ed imbavagliarla; ma un’altra era terribilmente orgogliosa della  forza della sua compagna, e fu questa a prendere il sopravvento.
“Siamo insieme su questa maledetta barca!” stava sibilando Liatris. “Qualsiasi cosa, la faremo insieme! Capito, idiota di un Nano?”
Per tutta risposta, Kili la attirò a sé con un movimento repentino e la baciò con forza sulla bocca. Lei rimase talmente sorpresa che spalancò gli occhi  e rimase senza parole… non che avrebbe potuto dire molto.
Kili interruppe il bacio, e sempre tenendola stretta, sussurrò sulla sua bocca:
“Hai ragione, incosciente di una Nana. Ho bisogno di te.”
 
Angolo autrice
Vado molto di fretta!
Solo un secondo per ringraziare jodie_always! Infilando la storia tra i preferiti l’ha spedita direttamente anche nella relativa classifica delle più popolari. Graziegraziegrazie.
Come sempre, a chi legge, anche se silenzioso; un abbraccio speciale ad Emouel
Alla prossima
Bacio
Idril

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Capitolo 34
*** Kili alla riscossa ***


34 Kili alla riscossa
34 Kili alla riscossa

In tutta quella confusione, Balin si guardava intorno spiazzato, per la prima volta, non avendo ancora capito con precisione cosa stesse succedendo; ma fuori si levò il ruggito inconfondibile di Dwalin.
“Nani!” urlava. “Aspettate! Il vostro principe lo comanda!  Venite qui! Ascoltate le  parole  del Lupo Nero!” La voce di Dwalin risuonava tonante, e fece tornare alla ragione molti Nani.
“Allora è vivo!”
“E’ vivo, Dwalin?”
“Se fosse morto, sarei qui?” abbaiò il grande guerriero. “O vi starei  guidando alla ricerca degli assassini? E’ vivo, e sta bene! C’era un traditore, è vero, ma il principe Kili lo ha ucciso!”
“Perché non è qui?” si alzò una voce isolata. “Cosa ci nascondi?”
“Nano, metti in dubbio le mie parole? Hai deciso che non ti interessa più vivere?”
Dwalin vide che i suoi sforzi stavano avendo successo: Nani sommariamente vestiti ma armati  si avvicinavano a lui,  anziché dirigersi verso il campo degli Uomini. Ed ecco un’altra voce isolata:
“Il nostro Lupo! Vogliamo vederlo!”
“Lo hanno ucciso! Vendichiamoci!”
Dwalin passò al tono sfrontato.
“Ehi, amici! Stava dormendo, quando è stato attaccato. Sono certo che le signore troverebbero piacevole la vista di un giovane Nano nudo, ma la fidanzata non approverebbe! Volete dargli il tempo di vestirsi?”
L’atmosfera si stemperò in una serie di risate.
“Ehi tu, Nano!” continuò Dwalin. “Non preferiresti una bella Nana prosperosa?”

Altre risate; ma quando il telo della tenda dietro di lui si agitò, cadde il silenzio. Ne uscì Balin, con un basso tavolino; dietro di lui, Kili, che teneva Liatris per mano. Il giovane principe  salì sul rialzo con un agile movimento,  nascondendo il braccio con cui  si aggrappava alla spalla di Balin per darsi lo slancio, e  si girò verso la folla.
Indossava un lungo cappotto foderato  di pelliccia, con il cappuccio gettato sulle spalle; la manica sinistra che pendeva vuota attirava l’attenzione sul braccio appeso al collo, segno che qualcosa era davvero accaduto. Ma alla luce delle torce, il giovane volto di Kili era serio, e gli occhi scuri mandavano lampi scorrendo sulla folla sotto di lui.
“Cosa devo sentire! Il mio popolo ha dimenticato l’onore?”
La voce decisa giungeva lontano nel silenzio profondo.
“Siete diventati Orchi? I Nani non si fanno giustizia da sé! I Nani puniscono i veri colpevoli! I Nani non si fanno trascinare come un gregge di pecore da qualche idiota esaltato!”
La folla intorno a lui era ammutolita. La furia  e la disperazione si erano  placate in un sollievo sbalordito, a cui stava rapidamente subentrando un’ intenso imbarazzo, sotto le parole sferzanti del principe.
“Cosa pensavate di fare? Una strage di Uomini? E poi?”

Il silenzio era talmente profondo che si sarebbe sentita volare una mosca. Kili si guardò intorno, esaminando con occhio critico i Nani davanti a lui. Non erano guerrieri: erano artigiani, minatori, commercianti, armati sommariamente. I guerrieri eccoli là dietro: stavano arrivando in quel mentre, in drappelli ordinati, guidati dai loro comandanti, Moinar e  Rogan con la loro Guardia Personale, così come Dàin, che si affiancò ad una figura ammantata nella quale Kili riconobbe Thorin. I due parlottavano sottovoce, mentre Bifur agitava le dita nel linguaggio segreto. Nèir si fece largo fino a porsi alle sue spalle, fianco a fianco con Dwalin, e Kili respirò di sollievo: Liatris sarebbe stata al sicuro. Ringraziò mentalmente tutti gli dèi che gli Elfi non si vedessero da nessuna parte: non era il momento.

“Cosa pensate che mangeremmo, senza l’alleanza e la collaborazione dei nostri vicini? L’oro?” continuò.

Mentre parlava, la sua mente lavorava freneticamente, e presto tutto gli fu chiaro. Maledì tra sé l’astuzia del suo nemico: se avesse tentato di sollevare i guerrieri, questi, per lunga disciplina, sarebbero andati dai loro ufficiali, non si sarebbero precipitati a seguire qualche esaltato. Queste persone comuni, invece, erano facilmente manovrabili… e cosa sarebbe accaduto se l’attentatore avesse avuto successo, o anche semplicemente se Kili non fosse riuscito a fermare la folla?
Il volto  espressivo del principe dei Nani era una maschera di disgusto. E’ fin troppo chiaro. I guerrieri avrebbero dovuto scegliere tra combattere altri della loro razza, Nani contro Nani, oppure non intervenire: in ogni caso il risultato sarebbe stato lo stesso. Con Thorin fuori gioco, io morto o screditato per non aver saputo controllare i miei, Dàin sarebbe stato costretto a prendere in mano la situazione, ed a riportare l’ordine con il pugno di ferro. Lasciando campo libero a Vodren nei Colli Ferrosi; in più, Dàin avrebbe dovuto negoziare una pace umiliante. In ogni caso, la fine per Erebor. Le sue ricchezze a disposizione del più astuto.
Rabbrividì.

“Vi siete fatti abbindolare come degli idioti!”
Mentre le parole aleggiavano ancora nell’aria,  la voce di Kili  si abbassò, e divenne fredda come il ghiaccio. La sua furia era palpabile.
“Ci sono traditori tra noi. Traditori che volevano rovinare il nostro futuro, trascinarci in una guerra senza senso e senza fine. E voi li stavate seguendo!”
Kili tacque un attimo, per riprendere fiato. Girò lo sguardo severo sui Nani attorno a lui, e molti chinarono il capo; infine abbassò gli occhi, e ne incontrò altri, azzurri, intenti e preoccupati. Lia.

Inspirò profondamente e riprese.
“Prima della battaglia mio fratello, il Leone Dorato, mi ha  chiesto di proteggere la gente di Durin al suo posto, se lui non avesse potuto. E’ uscito da quella Montagna a combattere per il suo popolo, non per l’oro. A Fili non è mai importato dell’oro o del potere: solo del suo popolo. Ho promesso che l’avrei fatto, e per i miei antenati, voglio mantenere il mio impegno nei confronti del mio Re… del nostro Re. Quando tornerà, voglio che sia orgoglioso di noi, di quello che abbiamo fatto. Non deve trovare un Regno in rovina! Giuro per Mahal che chi oserà mettersi sulla mia strada si pentirà di essere nato!”
La passione nella sua voce era contagiosa, trascinava, esaltava. I Nani attorno a lui gonfiarono il petto per l’emozione; ma Kili non aveva finito.
“Siate accorti. Attenti alle voci subdole, malevole, che  insinuano, che adombrano; attenti a coloro che gettano il sasso e nascondono la mano. Dove sono quelli che gridavano ‘vendetta!’? Non si mostrano ora, i loro piani sono stati sventati, ma si ripresenteranno. E quando succederà, tacete. Venite da me. Se saremo uniti, vinceremo!”
“Sì!” fu un coro unanime, di grida e di entusiasmo.  Ma un giovane Nano con i capelli color zenzero, in prima fila, con gli occhi spalancati e fissi sul suo principe, chiese:
“Tornerà, il Re? Tornerà il Leone Dorato?”
Kili ricambiò lo sguardo, con occhi fermi  e sicuri.
“Sì. Tornerà.”

“Ed ora, amici miei,” concluse, con voce che raggiunse anche i più lontani, “andate a riposare. Domani avremo molto da fare, per ricostruire il nostro futuro;  vi prometto che i responsabili di quanto è accaduto stasera saranno trovati e puniti. E non permettete più a nessuno di tramare per rubarvi la grandezza che è vostra per diritto!”
Ciò detto, scese dal panchetto ed allungò la mano verso Liatris; lei gli fu subito accanto, cingendogli i fianchi con il braccio. Kili si appoggiò alla ragazza, e Liatris lo sentì tremare. Un’occhiata al suo viso tirato era le era bastata per capire che lui si reggeva in piedi per pura forza di volontà.
Seguiti dappresso da Dwalin, che copriva loro le spalle, percorsero i pochi metri fino alla tenda con passo regolare; ma appena oltrepassata la cortina, solo le braccia tese del grande guerriero impedirono a Kili di crollare a terra.
 
Liatris era ammutolita. Sedeva su uno sgabello dietro il capezzale di Kili, mentre Inglor e Beriel si affacendavano attorno al principe inerte. Sapeva che Kili non era del tutto incosciente, anche se teneva gli occhi chiusi; e leggeva sul suo volto i segni della sofferenza, nella tensione delle labbra e nelle piccole rughe sulla fronte, tra le sopracciglia leggermente aggrottate. Aveva visto quegli stessi segni per settimane, e li conosceva bene.  Si sentiva il cuore a pezzi e la mente in subbuglio, e moriva dalla voglia di toccarlo, di baciarlo…
Nella tenda si agitavano altre persone, Balin, anche Thorin, che appariva sconvolto, ma Liatris non badò a nessuno e non guardò nessuno. Era preoccupata, addolorata… e furiosa. Furiosa con tutti! Con Balin, con Thorin,  con i maledetti Nani dei Colli Ferrosi, con la dannata Montagna, tutti quelli che avevano messo Kili in quella situazione difficile, anche con Fili, per essere sparito… e con Kili.
Capisco perché mamma si arrabbiò così tanto.  Una volta, quando era molto  piccola, aveva pensato bene di nascondersi per gioco; ma poi si era addormentata. Quando alla fine suo padre la l’aveva trovata, mamma l’aveva abbracciata e coperta di baci… poi gliele aveva date di santa ragione, tanto che non aveva potuto sedersi per una settimana. In quel momento voleva solo che Kili stesse bene, che la prendesse tra le braccia, sorridendo come solo lui sapeva fare… per poi strapazzarlo come uno strofinaccio. Maledetto incosciente.

“Non dovrebbe correre alcun pericolo,” concluse Inglor. “E’ solo esausto. Anche la febbre è dovuta a questo esaurimento estremo, e dovrebbe abbassarsi tra poco tempo. Visto che farlo riposare non è esattamente semplice, lo farò dormire. Almeno per diciotto ore. Preparerò degli infusi, e lo sveglieremo ogni tanto solo per il tempo di prenderci cura di lui e per i pochi minuti in attesa che l’infuso faccia effetto. Domani dovrebbe stare bene, quindi invito tutti lor signori ad andare a dormire.”

Liatris rilasciò un respiro che non sapeva di aver trattenuto, e l’oppressione sul suo cuore sparì. Allungò la mano e accarezzò la fronte del giovane Nano, scostandogli le ciocche ribelli che si ostinavano a ricadervi.  Possibile che sia bellissimo anche quando è distrutto dalla debolezza?

Kili fluttuava appena sopra il limite della coscienza. Aveva bruciato ogni piccolo residuo di energie, ed ora riusciva a malapena a respirare, figuriamoci aprire gli occhi. Anche le ferite si erano risvegliate, e pulsavano dolorosamente al ritmo del suo cuore.
Si rese conto di tremare irrefrenabilmente, e non tentò nemmeno di controllarsi; era vagamente consapevole delle mani che lo spogliavano e si occupavano di lui. La  mente confusa, sentiva solo una necessità: lei. Voleva lei accanto, voleva accoccolarsi tra le sue braccia... gli mancava tanto da mozzargli il respiro.
E finalmente eccolo, il profumo di fiori così familiare, il tocco delle mani delicate sulla fronte: un’ondata di sollievo lo sommerse. Prese un lungo respiro e concentrandosi, lentamente, aprì gli occhi.

Le lunghe  ciglia scure fremettero un istante, e Liatris incontrò lo sguardo di Kili, all’inizio vacuo ed annebbiato, poi più lucido, quando un lampo di riconoscimento attraversò le iridi castane.  Il giovane Nano mosse a fatica le labbra.
“Mi… mi dispiace…” sussurrò, e quegli occhi erano talmente pieni d’amore e di dolore che Liatris sentì svanire tutti i suoi confusi pensieri; rimase solo un’infinita tenerezza. Gli accarezzò la guancia.
“Ssh!... tranquillo. Va tutto bene, amore. Devi solo riposare.”
Kili appoggiò la guancia sulla mano di Liatris e con un sospiro richiuse gli occhi. Era una tale fatica tenerli aperti…
“Lia…”
“Sono qui. Sono sempre qui per te.”
Kili scivolò in un sonno tranquillo, confortato dal tocco della sua amata.

Liatris si gettò il mantello sulle spalle e diede un’ultima occhiata a Kili.
Era mattino inoltrato,  lui dormiva ormai da ore, e cominciava ad avere un aspetto migliore. I cerchi scuri sotto gli occhi stavano scomparendo, e sulle guance sembrava tornare un po’ di colore.
“Starà bene, vedrai.” La voce di Inglor dietro le sue spalle la sorprese: non l’aveva sentito entrare.
“Spero che duri.” La ragazza si rese conto di aver avuto un tono un po’ acido, e si scusò. “Mi dispiace, Inglor, non volevo essere scortese, specialmente non con te.”
L’Elfo le sorrise.
“Bambina, vedo che hai intenzione di uscire. E’ una buona idea, sei stata  fin troppo relegata in questa tenda. Non preoccuparti di niente, penserò io a lui.”

Qualche istante dopo, Liatris si dirigeva verso la tenda della cucina. Quando il grosso delle truppe elfiche avevano  lasciato l’accampamento per tornare a casa, dopo la battaglia, Balin si era accordato con Thranduil ed aveva acquistato le tende e tutte le attrezzature. Era stato previdente, ed ora almeno c’era un riparo per tutti i Nani che continuavano ad arrivare, in attesa che la Montagna divenisse almeno parzialmente abitabile.
La giovane Nana sentiva il bisogno di fare ordine nei suoi pensieri e nei suoi sentimenti, e sperava di non incontrare nessuno. Non era più furiosa, ma risentita sì; e sapeva che non sarebbe riuscita ad essere gentile, ad esempio con Balin o con Thorin, anche se entrambi non le avevano mai dimostrato altro che affetto.  Quindi non voleva offendere nessuno, ma in quel momento non era sicura di riuscirci.
Il desiderio di strapazzare Kili era scomparso nell’esatto istante in cui lui aveva aperto gli occhi, sostituito da una tenerezza travolgente; e come risultato Liatris era stizzita anche con se stessa.  Accidenti a te, Liatris! Possibile che lui fa gli occhi dolci e tu istantaneamente gli perdoni tutto?
Ma in realtà non era così semplice. Doveva accettare che non sarebbe stato possibile tenere Kili lontano dai pericoli; e nemmeno poteva pretendere che venisse  meno ai suoi impegni ed ai suoi doveri. D’altra parte… era difficile vederlo rischiare.
Per un momento si gingillò con l’idea di un Kili che coltivava erbe, come suo padre… e scoppiò quasi a ridere. No.  Non è da lui.  Non è così che lo voglio.
Entrò nella tenda, e, seduta ad un tavolo, vide sua madre, in compagnia come al solito di Bilbo. Entrambi la riservarono  un caldo benvenuto, e Bilbo si alzò per andare alla ricerca di altri dolci, ed anche per lasciare le due Nane un po’ sole. Aveva imparato a conoscere Liatris e la burrasca sul suo viso non gli era sfuggita.
“Allora, Liatris,” chiese Nevis, “ho sentito le novità. Come sta Kili?”
“Meglio. Inglor dice che era solo esausto. Sta ancora dormendo.”
Nevis prese le mani della figlia tra le sue.
“Andrà tutto bene, vedrai.” Poi rimase in silenzio. Sapeva che sua figlia stava lottando con qualche idea, e doveva darle il tempo di elaborare quello che voleva dire. Liatris guardava pensierosa le loro mani unite.
“Mi hai sempre detto ‘Non innamorarti mai di un guerriero! Ti lascerà per l’onore, per la gloria o per il dovere, o con una scusa qualsiasi altrettanto altisonante ed altrettanto vuota. L’amore per loro  non ha importanza’.  Non ti ho ascoltato. Mi sono innamorata di un principe guerriero, il che è peggio!” Liatris guardò sua madre con un piccolo sorriso un po’ amaro.
“Liatris, quel ragazzo ti adora! Non ti lascerà mai,” disse Nevis. La ragazza sospirò.
“Lo so.” Quindi alzò gli occhi e guardò la madre  con uno sguardo  un po’ timido, consapevole che si stava avventurando su un terreno delicato.
“Non era per quello, vero? Non perché i guerrieri siano infidi…”
Nevis rimase in silenzio per un po’. Alla fine sospirò.
“No. Perché è facile perderli. E perdere qualcuno che ami ti devasta l’anima.”

 

 Angolino autrice
Allora! Abbiamo visto nel precedente capitolo il primo  contrasto tra Kili e Liatris. Eh, dai! Non può essere sempre tutto perfetto, e le cose non sono finite lì, perché Lia è davvero risentita; del resto la situazione non è facile. Vedremo se Kili si comporterà come il solito maschio idiota o sarà sensibile quanto  sua madre pensa che sia.
*GRAZIE!*
Alle nuove amiche Wykkie e Shaon Nimphadora, benvenute! A jodie-always, a Kili_filiThogether, e soprattutto a chi legge in silenzio! La prima cifra del contatore delle visite segna  3000 (tremila!) . Non ci posso credere, davvero.
Bacio
Idril

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Capitolo 35
*** La voce del cuore ***


35 la voce del cuore
35 La voce del cuore

Perdere qualcuno che ami ti devasta l’anima.
Le parole aleggiavano ancora nell’aria, e Liatris pensò che non aveva mai sentito una verità più sacrosanta. Solo la possibilità di perdere Kili la mandava nel panico.
Ma la curiosità stava prendendo il sopravvento. Sbirciò la madre di sotto in su; Nevis aveva uno strano sguardo lontano.
“E’ per questo… che non hai mai parlato di Erebor? Avevi qualcuno, lì…?”
Nevis annuì. “Troppi ricordi, troppo difficili.”
“Ma non te ne sei andata.”
“No. Come altri, trovai rifugio alla fattoria, durante la fuga. Allora apparteneva ad una coppia di umani, ormai anziani, che furono molto gentili con noi. Non avevano figli, e furono felici di tenermi con loro; e quando morirono  mi lasciarono la fattoria.”
“E mio padre?” chiese Liatris, timidamente.
La domanda aleggiò per qualche momento nell’aria.
“Lo incontrai molti anni dopo. Tuo padre mi ha dato la serenità, e mi ha dato te, e non lo ringrazierò mai abbastanza per questo.” Nevis guardò la figlia con un piccolo sorriso malinconico. “Ci sono molti tipi d’amore, e tutti sono doni di Mahal. Ma una cosa l’ho imparata, dai miei genitori adottivi umani; loro, con le loro vite così brevi, mi hanno insegnato che non bisogna avere paura di quello che accadrà domani. Anzi, bisogna vivere ogni giorno con intensità, come se fosse l’ultimo, e ringraziare gli dèi per tutti i doni che ci hanno elargito.”

Liatris stava tornando verso la sua tenda, in compagnia di Bifur. Era ormai sera; le aveva fatto bene dedicarsi ai suoi compiti, ed aveva avuto modo di sentire il calore e la simpatia che Nani e Uomini provavano per il suo promesso sposo. 
Era  stata compiaciuta che Kili capisse il suo bisogno di essere attiva e di fare qualcosa che riteneva utile, quando non era certo una mentalità usuale tra i Nani; anche se fino ad ora non c’era stato tempo e modo di affrontare la questione, sapeva che sarebbe stato difficile per lei accettare di fare la principessa coccolata, riverita, e.. inutile. Invece,  era rimasta piacevolmente sorpresa dalla decisione di Kili di affidarle un incarico impegnativo.
Avrei dovuto fidarmi di lui,
pensò. Il mio Kili non è un Nano qualsiasi.

Concentrarsi su altre cose le aveva consentito di lasciar decantare i suoi interrogativi, e, anche grazie al colloquio con sua madre, era riuscita a far ordine nei suoi pensieri e nei suoi sentimenti; ed era giunta ad alcune conclusioni. C’erano cose che non poteva far altro che accettare; e ce n’erano altre, invece, che avrebbe dovuto mettere bene in chiaro con il suo Kili.
Quando sarai in te, signor Reggente, dobbiamo fare due chiacchiere.  Poi sorrise: ho molto di cui ringraziare gli dèi, vero, piccolo mio?

Nella tenda, trovò Inglor, che le sussurrò:
“Dorme ancora. Va tutto bene.”
Liatris contemplò il suo compagno tranquillamente addormentato. Sovente il sonno di Kili era stato turbato, dal dolore delle ferite, dalle preoccupazioni, per Fili, e per tutta la situazione, e da strani sogni. Liatris sapeva che il giovane Nano era  spesso tormentato da incubi  in cui riviveva la battaglia, e da altri di cui non capiva il senso ma che lo lasciavano sempre un po’ scosso; ma questa volta no. Il bel viso di Kili era disteso, e le labbra si incurvavano in un lieve sorriso.
Oh, Kili! Cosa darei per vederti sempre così sereno…
colta da un impulso irresistibile, si chinò e baciò delicatamente la bocca espressiva, senza svegliarlo. Sorrise.


Kili emerse dal sonno con una profonda sensazione di benessere. Si crogiolò nel calore delle pellicce e nello stato di grazia in cui si trovava: sereno, fiducioso… felice. 
Riportò alla mente i sogni che gli avevano rasserenato il cuore. Aveva visto Liatris, bella come sempre; in abiti da viaggio, con i capelli biondi intrecciati, cavalcava un pony color crema e rideva. Sullo sfondo, prati e campi, boschi e ruscelli in una terra benedetta dagli dèi, sotto un limpido cielo estivo.
Kili si accorse che stava sorridendo.
Certo! Che sogno sarebbe, io e lei sulla strada, liberi come l’aria! Ah, ma prima o poi…
   rimase senza fiato quando si rese conto che il luogo da lui sognato era la Contea. Era stata la parte più bella del loro viaggio, e ricordava ancora la sensazione del sole sulla pelle e della brezza profumata tra i capelli, mentre cavalcavano tra prati e boschetti.

Beh, avevo intenzione di andare a far visita a Bilbo, una volta o l’altra…  Poi ricordò qualcos’altro. Qualcosa che aveva sognato prima…  una donna bellissima, vestita di verde, con lunghi riccioli biondi coronati da una ghirlanda di fiori, ballava in un giardino. Sembrava un’Elfa, e qualcosa gli ricordava Gran Burrone, ma Kili sapeva di  non aver mai visto quel luogo. Una musica dolcissima la accompagnava, ma il giovane Nano non avrebbe saputo riprodurla nemmeno se ne fosse andato della sua vita; e poi si era accorto che la donna non ballava da sola. Accanto a lei una ragazza, questa indiscutibilmente Nana, sottile come un giunco, con lunghi capelli castani, occhi color ambra scura ed un sorriso che sembrava esprimere tutta la gioia di vivere dell’universo.

Kili scosse il capo. Era ormai abituato ai sogni strani, e questi almeno erano gioiosi. Non era piacevole svegliarsi sconvolto e tremante per qualche incubo che non sapeva spiegare…
Si guardò intorno e si accorse che era di nuovo notte fonda. Doveva aver trascorso l’intera giornata dormendo, e si sentiva sorprendentemente bene. Le ferite non dolevano quasi più, e quello sfinimento indicibile era scomparso. Gli elfi sono veri maestri di medicina, bisogna ammetterlo.
Nella tenda non c’era nessuno, tranne Liatris; era a letto e pareva dormisse.  Il giovane Nano  la guardò e gli ritornò in mente tutto quello che era accaduto. Devo parlare con lei. Assolutamente e subito.
Gli bastò sollevarsi su un gomito e subito Liatris rialzò la testa.
“Kili?” sussurrò. “Sei sveglio? Va tutto bene?” la vena di preoccupazione nella voce colpì dolorosamente il cuore del principe. Oh, amore…
“Sto bene, Lia. Ascolta… puoi venire qui?” così dicendo sollevò il lenzuolo e pellicce. “Ho bisogno di parlarti. Ti prego…”
Liatris si alzò a sedere.
“Dovresti riposare…” disse, ma quello spazio  accanto a lui era terribilmente invitante.
“Non ho intenzione di muovermi più del necessario, credimi. Vieni…?” Kili fece balenare il suo sorriso. “E’ un bel letto caldo, e la compagnia non sembra male, che ne dici?”
Liatris ridacchiò; in pochi passi fu accanto  a lui, e scivolò sotto le pellicce mentre Kili ricopriva entrambi. La strinse a sé e le fece appoggiare il capo sulla sua spalla; le mani di Liatris risalirono la schiena  di lui, accarezzando la pelle nuda.  Kili sospirò e per alcuni minuti si persero in baci leggeri e carezze delicate.

Sarebbe bello rimanere così per sempre, pensò Kili, ma c’era qualcosa che gli pesava sul cuore.
“Lia...” iniziò, “so che sei arrabbiata.”
Lei si mosse tra le sue braccia, alzò una mano e gli accarezzò la guancia.
“Kili, non…” ma lui non la lasciò finire.
“Ti prego, ascoltami. Forse non sei più arrabbiata adesso, ma lo eri. E non pensare che non riconosca che avevi motivi per esserlo.” Sospirò. Per Durin, com’è difficile spiegarsi.
“Credimi, lo so che i miei giorni da spericolato sono finiti. Sono finiti quella notte nel bosco dei noccioli, quando sei venuta da me prima della battaglia. Allora ho capito che la cosa che più desidero al mondo era che tu sia felice e al sicuro, e che in buona parte questo dipende da me. Ho capito che non sono più responsabile solo per me stesso; ma che quello che faccio ha riflessi pesanti su di te. Quindi, basta con le follie.” Fece una risatina un po’ amara.
“Detto da uno che il giorno dopo ha rischiato di morire in battaglia, suona un po’ strano; ma è così.”
“Kili,” sussurrò Liatris, “non sempre abbiamo scelta.”
Il giovane principe dei Nani rimase un attimo in silenzio: lei aveva colpito dritto al punto.
“E’ proprio questo che volevo dirti. Ieri sera… beh, non mi sono mai sentito così lacerato  da una scelta. Il mio cuore avrebbe fatto qualunque cosa per non farti preoccupare, per fare ciò che mi chiedevi… ma io sono chi sono, e questo è quanto. C’era la mia gente a cui pensare, e nessun altro per farlo.”
Liatris lo strinse più forte e gli appoggiò il capo sul petto. Le sue mani accarezzavano la pelle liscia del suo amato.
“Lo so, Kili.” Arrivò a sorridere tra sé, sorpresa ed intenerita da quanto i loro pensieri avessero viaggiato su rotte simili.
“Ricordi quello che ti chiesi quando mi dicesti del bambino? Io sono un Durin. Non ho mai previsto di dovermi assumere certe responsabilità, e di certo non voglio essere Re. Sto facendo tutto questo solo per Fili, e solo finchè lui non sarà tornato; ma  come Durin avrò sempre certi doveri. Tu sei al primo posto nel mio cuore, e lo sai; niente e nessuno sarà mai più importante di te, però quello che è successo ieri sera potrebbe succedere ancora.”
Sospirò profondamente. La sua voce tremava un poco.
“Te lo chiesi allora, ma te lo chiedo di nuovo: sei sicura di… di noi, anche con tutto quello che comporta l’essere un Durin? Perché se non lo sei, se pensi di non riuscire ad accettarlo,  allora io…”
“Non dirlo!” Liatris alzò la testa di scatto e gli posò due dita sulle labbra. “So quello che intendi, e… non dirlo.”  Lo guardò intensamente, e per un attimo si perse in quei bellissimi occhi scuri così pieni d’amore.
“Allora ti risposi che era troppo tardi, e la mia risposta non cambia. Mi sono innamorata di te per come sei, per quello che sei; e non dirmi che ti ritirerai a coltivare i campi, o a fare l’artigiano, o qualche amenità del genere, perché non saresti più tu. Anche se non ti pentissi mai della tua scelta, e ne dubito, non so…”
Kili sorrise.
“Mi stai dicendo che se smettessi di essere spericolato non mi ameresti più?”
Liatris gli tirò scherzosamente una lunga ciocca scura ed arruffata.
“Ma no, sciocco! Non voglio che tu sia spericolato! Ma c’è una passione, un fuoco, dentro di te…” per un attimo abbassò la voce, “… ed è quello che mi ha affascinato. E che io amo immensamente. E non ti voglio diverso, mai, in nessun momento ed in nessun modo. Non dirmi che cambierai, perché non voglio.”
 
Kili la strinse, appoggiò il capo alla chioma bionda e ne aspirò il profumo. Era così commosso che non si fidava a parlare, e fu solo dopo qualche minuto che sussurrò:
“Ti prometto : niente rischi inutili.”
“E’ il minimo, mio caro futuro marito: e non solo. Voglio un’altra promessa da te.”
Kili la scostò per guardarla in viso: era terribilmente seria, ma negli occhi azzurri brillava una scintilla.
“Non provare mai più ad escludermi, capito? Non voglio che tu mi tenga all’oscuro delle cose, o mi allontani per proteggermi. Decido io quando voglio essere protetta.”
“Mi stai chiedendo una cosa incredibilmente difficile, lo sai?” disse lui sottovoce. “Preferirei affrontare una squadra di Orchi che saperti in pericolo…”
Ma Liatris lo guardò dritto negli occhi, e lui capì che non avrebbe ceduto; e poi c’era un altro motivo… Quindi sospirò.
“Hai ragione. In fondo è quello che stai accettando tu. Siamo sulla stessa barca, giusto?” sorrise maliziosamente, ricordando il loro primo litigio.
“Giusto. Siamo una squadra!” Liatris rise a sua volta; ma Kili tornò subito serio, ed abbassò un attimo gli occhi, giocherellando con una ciocca bionda. La ragazza rimase in silenzio, perché sapeva che lui stava cercando le parole.
“E’ più vero di quanto tu pensi. Sai… sai che non voglio essere Re. Non mi piace quello che devo fare; e parlare alla gente è così difficile. Ogni volta mi sembra che tutte le idee mi svaniscano  dal cervello. Io li guardo, e loro si aspettano così tanto da me,  ed io vorrei l’Anello di Bilbo per scomparire definitivamente… ma tu sei lì. E quando vedo te, so che posso farcela.” Alzò il viso, e con il cuore negli occhi disse: “Ho bisogno di te.”

Gli occhi di Liatris istantaneamente divennero lucidi, e si strinse a lui, senza parlare: non c’era bisogno di parole. Rimasero così, aggrappati l’uno all’altro, immemori di tutto tranne che di loro stessi, cuore a cuore, vicini come forse non lo erano stati mai; e senza che nemmeno se ne rendessero conto, un desiderio struggente, irrefrenabile, di sentirsi una cosa sola si impadronì di loro. I baci si fecero più languidi, le carezze più intime…

“Bene, Kili! Sono felice di vedere che stai meglio!” la voce allegra di Beriel riempì la tenda; ma per i due amanti fu un terribile risveglio. Liatris crollò sul petto di Kili, del tutto smontata; ma il giovane principe aveva altre intenzioni.
Si alzò su un gomito e fulminò Beriel con un’occhiata incendiaria.
“Fuori di qui.”
L’elfo lo guardò interdetto.
“Ma Kili…”
“Chi c’è là fuori, Bifur? Me lo chiami, per favore?”
Liatris sbirciò il volto del suo amato, e le venne da ridere. Kili aveva il volto tempestoso di un Durin furibondo, ma la ragazza vedeva tremare un angolo della bocca.
Quando il Nano entrò, seguito dall’Elfo, Kili andò dritto al punto.
“Aprite le orecchie, tutti e due. Questo è un ordine reale: fuori di qui. Nessuno deve entrare qui finchè non vi chiamo, salvo i soli casi di incendio, attacco di draghi o eserciti di Orchi superiori  alle mille unità. Sono stato chiaro?”


Angolo autrice
Sono stata un po’ in dubbio su questa parte, ma alla fine ho deciso di inserirla perché voglio caratterizzare al meglio Liatris. Mi spiego: ho inventato tre Nuovi Personaggi principali, Liatris, Gwennis e Neala; e l’ultima cosa che voglio e che siano l’una la fotocopia dell’altra. Anzi! Le ho pensate  molto diverse,  come diverse sono le loro storie. Mi piacerebbe credere di esserci riuscita.
Angolo del *grazie*
Grazie! a  moon_26,  cm8forever,  Emouel – sempre così generosa
Bentornata  a Yavannah,  anche se mi fa stare sulle spine!  Come sempre tutti i lettori silenziosi che sembrano moltiplicarsi  ad ogni capitolo ma sono troppo timidi per farsi sentire…
Alla prossima
Bacio
Idril

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Capitolo 36
*** Intimità ***


36 intimità
36 Intimità

Elfo e Nano sparirono all’istante, anche se Liatris era quasi sicura di aver visto Bifur ammiccare per un attimo, prima di uscire trascinando con sé Beriel. Kili li seguì con lo sguardo corrucciato finchè la portiera della tenda non  fu immobile; allora un largo sorriso gli illuminò i lineamenti.
“Per Durin! Avrei dovuto pensarci prima!”
Liatris, il viso nascosto nel collo del suo Nano, cercava di soffocare le risatine che non riusciva a trattenere. Tirò un profondo respiro ed alzò la testa.
“Oh, Kili! Sei stato magnifico!” ridacchiò asciugandosi le lacrime di ilarità.
“Vero? Fili mi ha sempre detto che imito benissimo lo zio Thorin quando è arrabbiato…”
“Assolutamente spaventoso,” concordò Liatris, prima che una bocca sulla sua  le impedisse di continuare.

“Kili… sei sicuro di star bene? Dovresti riposare…” Liatris esitava ancora.
“Lia,” sussurrò lui, la bocca sul collo della ragazza, “se non farò l’amore con te entro un’ora morirò. E dico sul serio,” concluse lasciando una scia di baci fino alla clavicola. Poi alzò la testa  e sgranò gli occhi in un’espressione esageratamente tragica. “Vuoi avermi sulla coscienza?”
Liatris rise, felice di ritrovare il Kili ragazzo nonostante tutte le difficoltà che stava affrontando, ed un’ondata di tenerezza le mozzò il fiato. Lo abbracciò stretto e lo baciò con forza, mettendo nel bacio tutta la sua passione ed il suo desiderio per quel magnifico e dolcissimo compagno.
Quando si separarono per riprendere fiato, Kili sussurrò, la voce arrochita.
“Ehi! Risposta eloquente!”
Liatris si sentì arrossire, e gli appoggiò la fronte sulla spalla.
“Mi sei mancato così tanto…” mormorò, mandandogli brividi per tutto il corpo.
“Anche tu.”  Le mani di Kili scesero lungo il dorso della ragazza. “Sei troppo vestita…” alitò.

In breve la camicia da notte di Liatris volò sul pavimento, seguita a ruota dai pochi indumenti intimi rimasti, e furono l’uno nelle braccia dell’altra, senza ostacoli a dividerli.
Il cuore di Kili batteva talmente forte da fargli male. Aveva sognato così a lungo di sentire il corpo liscio e morbido della sua amata contro il suo!
“Dèi, ti desidero tanto…”

Forse fu il fatto che Kili non fosse al meglio della forma, ad escludere gesti atletici o eccessivo trasporto; o forse fu che il confronto precedente aveva lasciato entrambi così  vicini da renderli emotivamente vulnerabili, in modo che qualsiasi atto appena fuori misura sarebbe stato percepito come traumatico; quale che fosse il motivo, quella notte fecero l’amore in modo  languido ed assorto, quasi ipnotico.
Per tutto il tempo si scambiarono baci leggeri come tocchi di farfalle, tra ansiti e sussurri spezzati,  l’uno bevendo il respiro dell’altra, come se volessero scambiarsi il soffio eterno della vita. Le dita si incontrarono, si intrecciarono, e si mossero accarezzandosi a vicenda in lenti, piccoli movimenti circolari; senza averlo minimamente programmato, come rispondendo ad un ritmo comune a loro, scaturito dalle loro ossa, i loro corpi si accarezzarono a vicenda in una danza fatta di tocchi tanto delicati e quanto  eccitanti, dove i loro punti più sensibili venivano risvegliati e coinvolti nella creazione di un mare di fremiti.

E venne il momento in cui non fu più possibile continuare. Kili sentiva che non avrebbe sopportato un altro bacio, un’altra carezza, la sete di lei era troppo, troppo grande; alla luce fioca della lanterna e dei bracieri, il viso di Liatris, le labbra socchiuse gonfie per i baci e gli occhi scuriti dal desiderio, lo chiamava a gran voce, così come la pelle calda sulla sua.
Con delicatezza, come tutto quella notte, sciolse le dita da quelle di lei, e lentamente passò le mani sulle braccia tornite, le spalle delicate, giù per tutto il corpo della  sua amata, godendo dei brividi che suscitavano al loro passaggio, fino a fermarsi sui fianchi. Le gambe di Liatris si aprirono per lui, un richiamo irresistibile.
Kili affondò nel calore vellutato del corpo della sua compagna, che lo accolse in un intimo abbraccio, strappando ad entrambi un singhiozzo che non aveva nulla a che fare con il dolore.
Si mossero  piano,  teneri  e sensuali allo stesso tempo. Ogni spinta era una carezza lenta e profonda,  che scatenava una massa di brividi.  I brividi divennero stilettate  di piacere  da mozzare il fiato, poi ondate sempre più intense che si sprigionavano dal punto di contatto e si propagavano in tutte le membra, a ritmo con il battito sempre più accelerato dei loro cuori. Le parole spezzate svanirono inghiottite dagli ansiti e dai loro nomi ripetuti all’infinito come un mantra.

La mente di Kili veleggiava in un paradiso estatico, consapevole solo di lei; e quando sentì che era il momento, raccolse dal suo cuore ogni briciola di tenerezza e di passione e guidò la sua compagna a cavalcare l’onda più alta, abbandonandosi poi con lei, corpo ed anima,  al vortice che li travolse entrambi cancellando ogni altra sensazione.
Rimasero a lungo abbracciati, inconsapevoli di tutto, mentre i fremiti che li percorrevano si facevano sempre meno intensi ed il loro respiro più regolare; senza un solo pensiero, piacevolmente stanchi, si limitavano a sentirsi l’un l’altro ed a godere del semplice ‘essere lì’, insieme, mentre tornavano poco a poco alla realtà.   
Pensieri scomposti vagavano languidamente nella mente del principe Nano; e chissà come, ricordò il momento in cui aveva posato gli occhi sulla sua amata per la prima volta.

La botte era fredda, bagnata e puzzava atrocemente di alcool; in più, le sue evoluzioni continuavano a sbattere il suo occupante da una parte all’altra, e Kili sapeva che stava collezionando una serie impressionante di lividi, nonostante l’imbottitura di paglia. Una botta particolarmente violenta gli strappò un grugnito, e  mugugnò una maledizione quando una manciata della suddetta imbottitura gli finì in bocca; in più, si accorse che l’acqua iniziava a filtrare, e Mahal se era fredda! All’inizio la faccenda era sembrata divertente, ma ora il giovane Nano cominciava a desiderare che la cavalcata finisse… e proprio in quel momento una lunga strisciata gli disse che la botte doveva essersi arenata. E lui era esattamente a testa in giù.
Si mosse con cautela, alleviando prima la pressione sul collo, poi districando braccia e gambe dalla loro scomoda posizione, brontolando ad ogni urto contro i fianchi della botte; ad un certo punto si trovò a faccia in giù in venti centimetri d’acqua, e pensò seriamente che stava per affogare come un topo. Cercò di far leva sul coperchio della botte per girarsi, ma all’improvviso qualcosa cedette, e Kili rotolò fuori insieme a tutta l’acqua, per atterrare in una pozza di fango puzzolente.
Aspirò a pieni polmoni l’aria fredda ma pulita della sera, un bel passo avanti rispetto all’atmosfera alcolica e viziata della botte, e fu sufficiente per fargli tornare il buon umore: era finita, grazie a Mahal!
“Ehi, Bilbo! Viaggio divertente, ma un po’ freddo… e la mia botte imbarcava acqua!”
Gli rispose solo il silenzio… eppure c’era qualcuno lì, a pochi passi da lui. Si alzò sulle ginocchia, spazzò i capelli dalla faccia,sputò un ultimo filo di paglia e guardò davanti a sé.
La calda luce di una lanterna pioveva dall’alto e gli permise di vedere un paio di stivali.
Aspetta: stivali?
Subito dopo, realizzò che sopra gli stivali c’era una … gonna. Lunga e  verde, per la precisione. Alzò gli occhi.

Kili sorrise tra sé e sé, e una mano delicata si alzò ad accarezzargli la guancia.
“Perché stai sorridendo?”  lo sguardo dolcissimo di quegli incredibili occhi color pervinca gli provocò la solita capriola al cuore.
Kili non aveva mai creduto nelle favole sulle anime gemelle. Erano solo … favole! Ma in quel momento, con la sua Lia tra le braccia, non ne era più così sicuro. I loro cuori pulsavano allo stesso ritmo, e Kili sentiva la sua anima vibrare come quella di lei; Liatris era parte di lui in modo così intimo e profondo che non iniziava nemmeno a capirlo, figuriamoci riuscire a spiegarlo. Ma amava le sfide, così provò.   


“Pensavo alla prima volta che ti ho incontrata. Non ho mai creduto ai colpi di fulmine, e di belle ragazze, credimi, ne ho viste tante, ma in quel momento… è stato come se nel mio cuore  qualcosa fosse andato al suo posto, qualcosa dentro di me ha gridato un enorme “Sììì”, e sono rimasto lì a guardarti come un vero imbecille, senza sapere cosa dire… ”
Liatris rise sommessamente, stringendosi a lui ancora di più.
“Io non parlavo perché ero sicurissima di aver perso la voce…  e so di avere avuto un’aria idiota, ma non potevo davvero farci nulla.” Nascose il viso nel collo del fidanzato, e sussurrò:
“E’ stato come ritrovarsi. Sapevo che non ci eravamo mai incontrati, eppure, in qualche modo, eri…tu. E dopo… e anche adesso…” alzò il viso ed i loro occhi si incontrarono.
“… stare qui con te, così,” gli sorrise, “mi sento così… giusta. A… a casa.”
Lui si chinò a baciarla ancora, sopraffatto dall’emozione.
“Si,” le rispose, “a casa.”
Stretti l’uno all’altra, scivolarono in un sonno che anche per Kili fu, per una volta, senza sogni.

“Hai detto per caso ‘Vietato entrare salvo i soli casi di incendio, attacco di draghi o eserciti di Orchi superiori  alle mille unità’?” Balin di solito capiva perfettamente quello che Bifur diceva, complice la sua conoscenza dell’antico khuzdul, ma questa volta…
Bifur annuì più volte; poi, inaspettatamente, strizzò un occhio e fece un sogghigno. Balin rimase interdetto. Scosse il capo come per eliminare le ragnatele che apparentemente gli impedivano di cogliere il significato, ma non funzionò. Fissò di rimando l’altro con aria interrogativa.
Il sogghigno di Bifur si fece più largo e luminoso, e strizzò di nuovo l’occhio.
“Ma…”  e poi, d’improvviso, capì. Sono proprio diventato vecchio.
“Stai dicendo che sono … piacevolmente occupati?”
Bifur annuì di nuovo.
“Da quanto?”
Bifur mostrò dieci dita.
Balin lo guardò con aria dubbiosa.
“Dieci ore… Ammetto di essere vecchio, ma anche dai miei ricordi di gioventù direi che dovrebbero avere… uh… finito, che ne dici? Anche perché Kili non dovrebbe… mmh … essere proprio in … eh… in forma, per quanto…? E Liatris è… oh Mahal…”
Balin si rese conto che stava farfugliando e tacque, mentre Bifur rideva sempre di più.
“Maledizione, ho bisogno di parlare con Kili! Che ne dici se provo ad entrare? Giuro che non li disturberò, se non è il caso…”
Bifur alzò le mani in segno di resa e si spostò, e Balin, lentamente, scostò il telo d’entrata e rimase in ascolto.

La tenda era in penombra, e non si sentiva alcun rumore. Il vecchio Nano avanzò lentamente, notando che il letto di Liatris era vuoto.
Oh Mahal giuro che sparisco all’istante se…
Ma dal letto di Kili, chiaramente occupato, non arrivavano suoni significativi di una qualche attività,  così Balin, incoraggiato, avanzò.
E si fermò, intenerito come non succedeva da anni.
Kili e Liatris dormivano tranquillamente. Le braccia di Kili circondavano protettive la sua compagna, mentre lei gli appoggiava il capo sul petto. I capelli biondi e bruni si mescolavano in un groviglio pittoresco.
In silenzio, Balin prese il lembo di una pelliccia che si era abbassata un poco, e la rimboccò sopra la spalla nuda di Kili.  
Fece un passo indietro, per uscire senza far rumore, quando un ricordo lo colpì come un pugno allo stomaco. Quell’arruffio di capelli biondi e bruni…  quante volte aveva rimboccato le coperte ad un paio di piccoli Nani placidamente addormentati, braccia e gambe aggrovigliate in un tenerissimo cumulo!
Senza che potesse fermarla, una lacrima scese sulla guancia rugosa e si perse nella barba candida. Oh, Fili.

Angolo autrice.
Lo so, il capitolo è corto, ma poi cambia l’argomento (*il matrimonio*!) così ho preferito non fare confusione. Poi ho letto alcuni spoiler agghiaccianti… cioè più  agghiaccianti… sul film in uscita, e sono ancora sottosopra. Oh, Mahal! Qualcuno ne sa qualcosa?

Angolo del *grazie*
A Titu* le tue recensioni sono  da *****!  Jodie_always e filikiliThogeter, per la fedeltà
A LilyOok, bentornata! Mi sei mancata
Come al solito… a chi legge in silenzio, siete un amore
Infine… delle scuse.
Non so ovviamente chi sia, ma qualcuno ha cancellato questa storia dalle preferite. Cara amica, devo averti annoiato fino alle lacrime! Mi dispiace davvero. *si cosparge il capo di cenere*
Alla prossima
Bacio
Idril

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Capitolo 37
*** La mia anima giace racchiusa nel palmo della tua mano * ***


37 La mia anima giace racchiusa nel palmo della tua mano
Prima di tutto: credevate di esservi liberati di me, vero? Invece NO. Rieccomi. Sono stata presa da mille cose, e, da ultimo,è piombato BotFA. L’avete visto? Spettacolo!
Pensavo di coprirmi di onta e piangere per tutto il film, invece no. Solo un po’ di magone, ci sta, vero? Forse perché era tutto così commovente ma non patetico…
Così mi sono detta: evvai, ce l’hai fatta! Ed invece lo scoppio era ritardato. Più tardi mi  è tornato in mente un particolare, e non sono più riuscita a togliermelo  dalla testa. Uno solo. Quella lacrima. E’ bastato. Quindi mi rituffo nel nostro  mondo, dove muore solo chi vogliamo noi.

37 “La mia anima giace racchiusa nel palmo della tua mano” *

Kili era nervoso. Di più. Era teso. Si guardò le mani e si rese conto che tremavano. Una risatina alle sue spalle lo distrasse.
“E’ normale che lo sposo sia nervoso, sai?”
Bilbo saltellava su e giù frugandosi nelle tasche nell’elegantissima giacca verde scuro e del gilet di raso color oro con bottoni di brillanti.
“E che lo sia anche il suo secondo?”
“Io non sono nervoso,” i movimenti di Bilbo si erano fatti frenetici. Gli occhi si spalancavano sempre di più, mentre uno sguardo terrorizzato faceva capolino dalle iridi verdi; improvvisamente si immobilizzò e chiuse gli occhi, togliendosi lentamente una scatolina dalla tasca interna della giacca.  L’hobbit tirò un profondo sospiro di sollievo.
“Stavo cominciando a pensare …”
“Bilbo, non avrai perso gli anelli, vero?”
“NO! Non avrei mai potuto… eccoli qui, forgiati da un solo filo d’oro secondo la vostra tradizione, che trovo estremamente romantica, se vuoi il mio parere, ed anche un po’ inaspettata.” Kili ridacchiò. **
“Dopo  tutti questi mesi in mezzo ai Nani, vuoi dire che ancora non ci  hai capiti?”
“Ho capito che l’idea del Nano avido ed  interessato solo alle miniere, all’oro ed alle gemme non  corrisponde esattamente alla realtà. In fondo siete dei sentimentaloni.” Questa volta Kili rise apertamente.
“Beh, non esageriamo! Ce lo vedi Dwalin a sviolinare romanticherie?” Bilbo pensò che l’idea era assurda quanto un pony con le ali; però il principe Nano continuò.
“Il fatto è che siamo molto gelosi dei nostri  sentimenti, e non ci piace mettere in piazza quello che  proviamo, quindi la gente che non ci conosce pensa che siamo freddi ed avidi. Invece, siamo capaci di amare immensamente, ma anche di odiare allo stesso modo. Un Nano non fa le cose a metà. E’ solo nelle nostre tradizioni che tutto questo appare; abbiamo cerimonie molto sentite, molto toccanti, e … molto segrete.”
“E ti pareva,” bofonchiò Bilbo.

Dori ruppe il filo con cui aveva fissato l’ultimo bottone d’oro al polso di Kili.
“Ecco qui, finito. Sei bellissimo, ragazzo mio.”
Il Nano contemplò la sua opera, ed effettivamente il principe era veramente elegante, nella sua giubba di sontuoso velluto blu  reale trapuntato di minuscole perline d’oro, completato dalla cintura d’oro con lucenti smalti pure blu.
“Un bel passo avanti rispetto a quello che indossavi nella botte…” ridacchiò Bilbo, “Liatris sarà esterrefatta.”
Il sorriso di Kili balenò per un momento, subito cancellato da una smorfia di apprensione.
“Spero di arrivare in fondo senza fare brutte figure!”
“E cosa potrebbe accadere?”
“Potrei inciampare…”

Dori nel frattempo lo aveva fatto sedere e con abilità aveva intrecciato tra le ciocche scure le quattro trecce cerimoniali della famiglia reale; poi ne aveva iniziata una quinta, lasciandola a metà e fissandola con un filo.
“Finito. Al resto penserà la tua sposa,” concluse Dori. Kili si alzò ed abbracciò l’amico.
“Grazie… per tutto.” Sussurrò. “Non avrei combinato niente senza il vostro sostegno e la vostra amicizia.” L’altro Nano ricambiò l’abbraccio con un suono simile  in modo sospetto ad un singhiozzo.
“Siamo noi che dobbiamo ringraziarti per quello che hai fatto… nonostante tutto ciò che è successo. Siamo molto orgogliosi di te.”  
Dori uscì
“Comunque,” proseguì Bilbo togliendosi da una  tasca un fascio di foglietti più o meno sgualciti, “so che c’erano altre cose… Tutti hanno la tendenza a rifilarmi fogli con quello che dovrei ricordare, ed io ho troppe tasche… questo non ti riguarda,”  proseguì l’Hobbit, riponendo un appunto in un taschino del gilet.  Così facendo si rese conto che il taschino era già occupato da un altro foglio, che sfilò ed aprì.
“Ecco! Oìn mi dice di chiederti se hai imparato le parole di rito.  Mi era sembrata una domanda stupida: cosa c’è di difficile nel dire “Sì” “Lo voglio” “La sposo, accidenti a me” ? Poi mi sono detto che deve essere qualche altra stranezza… segreta.”
Kili lo guardò con uno sguardo stranamente quieto.
“Sì, sono parole note solo a noi… anche perché non so da quanto tempo nessuno che non sia un Nano assiste ad un nostro matrimonio. Vedrai, sono parole molto belle. Risalgono ai Tempi Remoti e la tradizione dice che sono quelle che si scambiarono Mahal e Yavanna quando si unirono al cospetto dei Valar e dello stesso Eru. Si dice anche che la tua anima risuona se le rivolgi al tuo Unico Amore.”
Bilbo lo guardava con occhi spalancati.
“Ed è vero?”
Kili sogghignò e tutta la poesia sparì in uno sguardo malizioso.
“E chi lo sa?”

“Si può?”
La voce nota interruppe l’intermezzo scherzoso,e Kili trattenne il respiro.
Nonostante quell’impulsivo abbraccio nella notte di Dale, i rapporti con Thorin erano ancora difficili per Kili. E’ come con una ferita ancora aperta: se non ci badi, è un dolore sordo di sottofondo, che a volte riesci anche a non avvertire del tutto; ma altre volte è come se un istinto perverso ti costringesse a toccarla, ancora e ancora, ed allora fa un male d’inferno.
“Entra, Thorin.” a ancora
Il Nano si appoggiava ad un bastone di ebano, e portava ancora il braccio al collo; ma nonostante ciò, riusciva ad apparire maestoso, nella giubba grigio scuro completata da un manto di pelle d’orso. I capelli ormai più argentei che neri  erano acconciati in trecce ordinate e decorate da fermagli e perline.
Si fermò davanti a Kili, in piedi, ed il giovane Nano si rese conto che poteva guardarlo negli occhi senza dover sollevare lo sguardo.  Per un attimo rimasero in silenzio, soppesandosi a vicenda. Kili si sentiva straodinariamente calmo, e fu Thorin a parlare per primo.
Lo sguardo degli occhi azzurri era sereno, ma Kili vi lesse una punta di trepidazione.
“Pensavo di darti un paio di oggetti, se vorrai accettarli.” Così dicendo si frugò nella tasca della giubba e ne trasse una scatolina dorata. “Come saprai, è stata ricostruita la scalinata che portava agli appartamenti reali ed ai quartieri degli ospiti importanti, e sono state fatte alcune interessanti scoperte. Il Drago non è mai arrivato fin lì.”
Appoggiò il bastone ad una seggiola, ed aprì la scatola.
“Questi vengono dagli appartamenti dei tuoi nonni,” disse. “Liatris ti ha detto che le ho mandato una parure di fermagli e perline da treccia, vero?”
Kili annuì. Aveva avuto timore ad interpretare quel gesto, ma Liatris gli aveva detto che era troppo diffidente.
“Erano il regalo di nozze di tuo nonno a tua nonna. Thrain scelse gli zaffiri ad uno ad uno,” continuò Thorin.  Kili si irrigidì.
Cosa sta cercando di dirmi?  Si chiese. E subito dopo imprecò tra sé. Da quando vedo intrighi e secondi fini dietro ogni cosa? Si vergognò di se stesso, ed allo stesso tempo provò rabbia per la situazione che lo aveva così influenzato. Non potè fare a meno di rispondere:
“Devono essere splendidi. Un gioiello da Regina.”
Il suo sguardo doveva aver rivelato il suoi pensieri, perché Thorin si irrigidì lievemente a sua volta, ed un lampo di disappunto balenò negli occhi azzurri; ma subito dopo l’espressione si rilassò, e comparve l’ombra di un sorriso.
“Sono davvero bellissimi, e per i miei genitori avevano un grande significato, ma solo per loro. Mia madre non fu mai Regina,”  concluse l’ex Re, “da una principessa per una principessa: un dono di benvenuto, niente di più.”
Il sorriso di Kili fu sincero, questa volta.
“Ti ringrazio…” cominciò, ma Thorin non aveva finito.
“So che avrai già un fermaglio nuziale, ma forse ti piacerebbe avere questo, che completa la serie,” disse, traendo dalla scatolina un gioiello d’oro con uno splendido zaffiro circondato dalle rune della Casa di Durin e dal corvo imperiale. Kili vide subito anche le rune del suo nome.
Il pensiero lo commosse: allungò la mano e prese delicatamente il fermaglio tra le dita. Gli ci volle qualche momento per dominarsi ed alzare lo sguardo sullo zio.
“Significa molto per me. Grazie.”

Nell’aria aleggiava uno strano imbarazzo. I due Nani si guardavano circospetti, quasi intimiditi, spiando l’uno le reazioni dell’altro, e Bilbo  fremeva. Si era allontanato un poco, e pensava anche di uscire dalla tenda; ma Kili e Thorin non badavano minimamente a lui. L’Hobbit avrebbe voluto afferrarli e scuoterli, ma sapeva che dovevano avere i loro tempi.

Dopo qualche momento, Thorin continuò:
“Ho visto che porti le Trecce del Principe,” disse. Kili fece un sorriso storto.
“Mi era sembrato opportuno, ed ora mi  ci sono abituato. Non sono così fastidiose…”
“Però ho visto anche che hai solo i fermagli della Casa di Durin. Questo,” disse, traendo un altro gioiello dalla scatolina, “ti spetta di diritto.”
Sul palmo della mano di Thorin brillava un fermaglio con l’emblema di Durin ed il corvo imperiale; l’uccello portava tra le zampe una piccola corona. Fu facile per Kili riconoscere il sigillo del principe ereditario.
“Sì,” disse piano, “è esattamente quello che mi spetta.” Alzò gli occhi e li fissò in quelli di Thorin, castano nell’azzurro.
“Vuoi sistemarlo tu al  posto giusto?”

Kili si accorse che le mani di Thorin tremavano leggermente mentre chiudeva il fermaglio intorno alla treccia scura sulla tempia destra; ed anche la voce del Nano più anziano tremò leggermente.
“Per quanto ti possa importare, sono molto fiero di te.”  

“Come ti senti?” chiese Bilbo, a bassa voce, qualche istante dopo che Thorin fu uscito dalla tenda.
Kili scosse il capo.
“Non… non lo so,” confessò. Poi fece un sorrisetto un po’ sconvolto. “Non ci voleva. Ero già abbastanza agitato…”
Il sorriso di Bilbo era tanto largo da arrivare alle orecchie.
“Pensa che tra qualche ora sarai tranquillo con la tua bellissima sposa…” ammiccò con aria sorniona, e riuscì a strappare un sorriso al giovane principe.
“Ah, Bilbo! Sai proprio dire sempre la cosa giusta!” poi tese la mano all’Hobbit. “Grazie per essere qui.”

Il sorriso di Bilbo si smorzò.
“E’ un grande onore per me essere qui,” disse prendendo la mano tesa del Nano. “So chi avrebbe dovuto essere al tuo fianco oggi, e mi dispiace immensamente.”
Kili guardò le mani unite.
“Mi manca in ogni momento, ma adesso mi manca di più. Però,” continuò, ed il sorriso ricomparve, “lui non c’è, e non avrei voluto nessuno al suo posto tranne te. Tu sei sempre stato vicino a me ed a Liatris, ed è giusto così.”
Nello stesso momento, i due si separarono e guardarono altrove: erano pericolosamente vicini a coprirsi di onta piangendo come bambini.

“Giorni celesti! Ma quell’Elfo della malora non si muove ad arrivare?
Kili ridacchiò.
“L’hai presa sul personale, eh, Bilbo? Sapevo che era una richiesta impossibile, ma tu non demordi!”
“Allora,” fece l’Hobbit, con esagerata pazienza, “ho incontrato il Nano più singolare della Terra di Mezzo. Uno che non regala gioielli alla sua sposa! Permetti che provi ad aiutarlo?”
“Bilbo,” rispose Kili, “ce ne stiamo seduti su un cumulo immenso di oro, pietre preziose e gioielli di ogni genere. Liatris potrà scegliere tutti quelli che vuole, quando si deciderà; che significato vuoi che abbiano?”

E fu in quell’istante che si udì lo scalpitio di un cavallo al galoppo. Kili prese  il mantello preparato per lui, di un colore blu profondo ornato con una splendida pelliccia di lupo, e lo guardò con aria critica.
“Sei sicuro che non sia eccessivo, Bilbo?”
“Ragazzo mio, fa un freddo dannato: io non ci starei a pensare troppo. E poi tu sei  il Lupo Nero, giusto? Un po’ di scena per impressionare la folla non guasta,” concluse strizzando l’occhio. Kili rise.
“Hai passato troppo tempo con un certo mago con il pallino delle trovate scenografiche di dubbio gusto. Sai anche cosa possiamo aspettarci, oggi? Giusto per non apparire troppo sorpreso…”
“Uhm!” fece Bilbo, meditabondo. “Di certo ci saranno fuochi artificiali… in ogni senso.”

Uscirono dalla tenda giusto in tempo per  accogliere un Elfo che arrivava al galoppo su un cavallo coperto di schiuma. Il cavaliere, che Kili riconobbe come uno dei consiglieri del principe Legolas, frenò di colpo proprio davanti a loro e volò giù dalla sella per inchinarsi davanti a Kili con un unico movimento.
“Sono arrivato in tempo, mio Signore?” disse, porgendogli una delicata scatola bianca.

Kili l’aprì, e sorrise. Sì, sono questi.
Piccoli fiori d’oro, a forma di stella, erano disposti in un mazzo, insieme a sottili e delicate foglie di un verde tenero, stranamente primaverile; un tessuto lieve come una ragnatela, di un bianco candido, li racchiudeva.  Kili ricordava di averli visti, qua e là nei prati e giardini di Gran Burrone, e ancora mentre attraversava il Reame Boscoso scortato dalla Guardia Elfica; in piccole aiuole, arrampicati sul tronco di alcuni alberi, sui margini del sentiero. Elanor, questo era il loro nome; l’aveva saputo da Inglor, che aveva anche detto che tali fiori crescevano solo nei Reami Elfici. Si diceva fossero stati creati dalla Dama del Bosco per ornare Lothlòrien,  dove si trovavano immensi prati dorati.
Sprigionavano un profumo sottile e profondamente evocativo.
“Scusa se ci è voluto del tempo,” spiegò l’Elfo, “ma il nostro Re non riusceva a credere che gli avessi chiesto dei… fiori!” Kili ridacchiò.
“Bene. E’ sempre utile sorprendere i propri vicini, anche se sono alleati!”
“Evidentemente è stato piacevolmente sorpreso, e mi ha ordinato di riferirti questo: sono fiori elfici, quindi dureranno a lungo anche recisi; ma quando inizieranno ad appassire, la tua sposa potrà avvolgerli in un telo e raccoglierne i semi, per piantarli in un luogo adatto, soleggiato ma riparato dal vento. Se a primavera lo farà, per l’autunno potrà avere le stelle nel suo giardino, e sarebbero gli unici a crescere fuori dai Reami degli Eldar.”
Kili rimase senza fiato.
“E’ un dono meraviglioso, riferisci al tuo Re che lo ringrazio dal più profondo del cuore.”

“Bene, Kili, è ora.”

Poco dopo, sulla piazza principale di Dale decorata con ghirlande  d’agrifoglio dalle lucenti bacche rosse, sullo sfondo candido della neve, Kili andò incontro alla slitta che conduceva la sua sposa.
Bofur, con un sorriso sornione e gli occhi lucidi, fermò i pony, ed aiutò Liatris a scendere.
Il cuore di Kili saltò un battito. L’universo sparì e vide solo lei. Gli zaffiri mandavano bagliori dalle chiome intrecciate, ed il sorriso lieve sulle labbra della sposa denunciava tutta la sua emozione.
Il principe Nano si fece avanti, porgendo gli elanor. Lo sguardo di Liatris si illuminò, mentre li prendeva e ne aspirava il profumo.
“Oh, Kili! Mi hai regalato le stelle!”
Lui si sentiva la gola chiusa dall’emozione; le tese la mano, guardandola negli occhi, e sussurrò:
“E’ l’universo che vorrei donarti…” e a quel punto sentì che tutto era come doveva essere.

Le sue mani non tremarono quando terminò la treccia nuziale nei capelli di  Liatris, chiudendola con il fermaglio che Thorin gli aveva dato; e la guardò con il cuore negli occhi mentre le dita agili di lei  gli intrecciavano i capelli scuri.
Non abbandonarono mai il contatto visivo; quando Kili alzò la mano perché lei vi appoggiasse la sua; quando Oìn infilò gli anelli e spezzò il filo d’oro che li  univa; quando  infine intrecciarono le  loro dita, le  voce di Kili  era giovane ma sicura quando recitò le parole di rito:
“Ti ho cercata nelle ere del mondo
Sei venuta a me oltre il tempo  e lo spazio
La mia anima giace racchiusa nel palmo della tua mano.” *
Gli occhi di Liatris erano lucidi, ma la sua voce non tremò, mentre rispondeva.
“Tra le note della Musica *** ho sentito il tuo richiamo
I nostri spiriti danzano sulla stessa melodia
La tua anima è al sicuro nelle mie mani e nel mio  cuore.” *

Kili, perso nella contemplazione della sua amata, pensò che la leggenda era vera.
Bilbo, accanto a lui, si soffiò rumorosamente il naso. Non c’è niente di meglio di un matrimonio per commuovere un Hobbit.

Angolo autrice
Ci sono un po’ di asterischi, giusto? Iniziamo dall’ultimo.
*** Musica: è la Musica degli Ainur, il Canto della Creazione del Mondo, come narrato nell’Ainulindale.
** Gli anelli: mia pura invenzione è che gli anelli nuziali Nanici devono essere forgiati da un unico filo d’oro che non deve mai essere spezzato finchè non lo fa il celebrante nella cerimonia. Per chi fosse interessato, vedi L’Erede di Durin, un matrimonio che s’ha da fare, cap. 10  Una cascata di rose.
La mia anima giace racchiusa nel palmo della tua mano – la tua anima è al sicuro nelle mie mani e nel mio cuore : è una delle più belle dichiarazioni d’amore rituali che abbia mai letto, quindi, ovviamente, non è mia. E’ della bravissima Ann Marsdon, e la trovate nella Saga della Spada delle Rune. Se non l’avete letta fatelo: merita. Le altre frasi, invece, sono mie, e quindi non sono all’altezza.
*GRAZIEEEE* (in ordine rigorosamente alfabetico) a didi_95, Emouel, 4thApril, jodie_always, leila91, titu, Yavannah. Loro sanno perché.
Come sempre, ad ognuno di voi.  Passate delle fantastiche festività ed, ovviamente, non perdetevi BotFA. Potrebbero essere utili fazzoletti.
Bacio
Idril

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Capitolo 38
*** Tramonto sulla Terra di Mezzo ***


38 Tramonto sulla Terra di Mezzo
Questo è un capitolo di passaggio. Con il precedente si è chiusa una fase della vicenda, ed ora se ne apre un’altra, che porterà verso la (più o meno lunga: c’è un bel po’ da raccontare, ancora) volata finale. Qui si vede come sono disposte le pedine sulla scacchiera, e cogliamo tutti i personaggi nello stesso momento: tranne uno, che però apparirà nel prossimo capitolo per motivi che diventeranno evidenti. Quindi perdonatemi se non succede molto: sto preparando le mosse. Buona lettura!


38 Tramonto sulla Terra di Mezzo

Gli ultimi raggi del sole illuminavano il terreno ondulato davanti alla tenda, e Dìs attendeva impaziente l’arrivo dei suoi capitani per il consueto incontro serale.
La Nana era preoccupata.
Non possiamo più aspettare.  La sua carovana aveva dovuto attraversare il Grande Fiume, qualche giorno prima; sebbene facesse ancora molto freddo, e la neve ricoprisse la campagna, tuttavia la primavera era vicina: la situazione poteva mutare nel giro di una notte, e se la temperatura si fosse alzata bruscamente, una grande quantità di acqua avrebbe reso l’Anduin difficoltoso da superare, senza preparazione ed equipaggiamento adeguati.  Così aveva portato il grosso della sua compagnia oltre il Fiume, ed aveva proceduto lentamente, nell’attesa che le pattuglie che aveva mandato indietro, in esplorazione, li raggiungessero.
Per l’ennesima volta maledì le circostanze che l’avevano messa in un vicolo cieco. Ogni scelta sembrava presentare inconvenienti, ed infine si era resa conto che doveva affidarsi al suo più realistico  buon senso, sperando che la fortuna l’assistesse. Non vi era modo di capire quale soluzione sarebbe stata la più produttiva.
Se avesse seguito l’impulso del suo cuore, avrebbe perlustrato le Montagne Nebbiose palmo a palmo, rivoltando ogni sasso e frugando in ogni tana di coniglio; ma d’altra parte l’impresa poteva richiedere o molto tempo – e non sapeva quanto ne aveva a disposizione -  o molti più uomini di quanti ne avesse. Inoltre, due fattori fondamentali sconsigliavano di rimanere: il Fiume, che rischiava di intrappolarli, ed i viveri che cominciavano a scarseggiare. Ne avevano a sufficienza per raggiungere Erebor, ma non per gironzolare per le Montagne, che in quella stagione non offrivano risorse per sostentare tutti gli uomini che aveva con sé. Così aveva deciso, mordendosi le dita per la rabbia, di continuare lentamente; ma anche questa situazione non poteva durare.
Guardò ad ovest, dove il sole tramontava  dietro ai picchi nevosi, finchè le lacrime le offuscarono la vista.
Ancora un giorno, decise, poi andrò avanti. I miei messaggeri dovrebbero essere quasi arrivati alla Montagna, e forse troverò una spedizione già organizzata e pronta per tornare. E poteva sempre sperare in qualche risultato dalle pattuglie che aveva lasciato indietro: Nani esperti, esploratori duri ed avvezzi a resistere nelle condizioni peggiori. Se ci fosse stato qualcosa da trovare, l’avrebbero trovato.  Se.
Il pensiero di Erebor ne portò con sé uno dolcissimo: avrebbe potuto rivedere il suo cucciolo… sarà meglio che smetta di pensare a lui in questi termini, tra poco sarà padre.
E in ogni caso si offenderebbe a morte se lo sapesse.
Beh, che importanza aveva? Per lei, sarebbe sempre stato il suo piccolo Kili.

Gli ultimi raggi del sole illuminavano i versanti ovest delle propaggini orientali della Montagna e gli edifici più alti di Dale, mentre l’ombra della fortezza in rovina di Collecorvo si allungava sulla pianura ghiacciata davanti ai Cancelli di Erebor. La via innevata su cui correva la slitta era in ombra da tempo, e soffiava un vento gelido.
Kili sistemò le pellicce coprendo la testa bionda appoggiata alla sua spalla, e Liatris lo ringraziò con uno dei suoi dolci sorrisi, per tornare poi a rannicchiarsi contro di lui. Kili chiuse un attimo gli occhi, godendosi il calore della vicinanza.
L’ingresso di Erebor incombeva ormai su di loro. I resti della Porta frantumata dal Drago e del muro, costruito dai Nani della Compagnia prima della battaglia, erano stati rimossi, ma i Cancelli non erano ancora stati ricostruiti, e l’ingresso spiccava come la bocca  di una caverna; ma all’interno brillava una luce calda. Anche sugli spalti  alcune Guardie stavano accendendo i grandi bracieri per illuminare la notte che si avvicinava.
Kili non era più tornato ad Erebor dal momento in cui ne era uscito al fianco di Thorin per combattere. Per molto tempo non aveva avuto la forza fisica per farlo, poi era mancato il tempo, ed ora osservava i cambiamenti intervenuti da quel momento.  
All’esterno non erano evidenti lavori di restauro, salvo la sola ripulitura dalle macerie: la priorità era rendere abitabile l’interno, e lì si era concentrata l’attenzione. Ma era cambiata l’atmosfera, ed era un cambiamento radicale: era sparita l’aria di abbandono e di desolazione, perché era la Montagna era  viva.
La gente di Durin è tornata a casa.
Erano gli ultimi ad entrare ad Erebor, dopo la cerimonia; mentre tutti gli altri si erano avviati,  gli sposi si erano attardati a salutare Bard, i suoi figli e tutti gli amici di Liatris che avevano vissuto a Laketown ed ora si erano trasferiti a Dale, ed infine Nevis e Liborin.
La Nana non si sentiva ancora pronta a tornare alla Montagna.
“Per tanti anni ho cercato di fingere di non essere mai stata lì,” aveva detto, “adesso è difficile affrontare il passato. Ci vorrà un po’,  ma stai tranquilla: verrò presto a trovarti.”

Così quando giunsero alle porte il sole era quasi tramontato, e grandi fuochi ardevano sulle mura. La slitta entrò sotto l’arco tra le grida di benvenuto delle Guardie di turno, e si fermò nel vestibolo.
Kili  aiutò la sua sposa a scendere, e Bofur condusse la slitta ai piani inferiori.  Il principe Nano  alzò lo sguardo e si rese conto che quello era il punto esatto in cui aveva scambiato le ultime parole con suo fratello.

Mentre Dwalin manovrava la leva per scalzare il muro, Fili si pose a fianco di Thorin, due passi indietro; Kili lo imitò, dall’altro lato. Il cuore del giovane Nano batteva all’impazzata, e istintivamente  cercò lo sguardo di suo fratello, come aveva fatto per tutta la vita; e gli occhi azzurri di Fili erano lì, ad attenderlo. Il solito sorrisetto malizioso sollevò l’angolo della bocca, facendo oscillare le trecce dei baffi biondi.
“Vedrò di lasciartene qualcuno, fratellino,” sibilò.
“Dovrai essere molto veloce, Fee. Sai che corro più in fretta di te.”

La mano di Liatris si alzò ad accarezzargli la guancia, spazzando via  la lacrima che si era formata all’angolo dell’occhio senza che lui se ne accorgesse. Dèi, quanto mi manca.
“Andrà tutto bene,” sussurrò la ragazza.  Kili si chinò e la circondò con le braccia.
“Sì.”
Poi si separarono e, mano nella mano,  entrarono ad Erebor, mentre gli ultimi raggi del sole sparivano dietro l’altura di Collecorvo.
 
Sul versante orientale delle  Montagne Nebbiose era già sceso il crepuscolo, e solo alcuni angoli riflettevano ancora i raggi dell’ultimo sole. Faceva un freddo dannato, anche perché erano accovacciati sotto un cespuglio, in mezzo alla neve.
Gwennis stringeva convulsamente le briglie del pony, che fortunatamente non dava segno di volersi muovere. Il loro compagno di viaggio sembrava adattarsi straordinariamente alla necessità di nascondersi, e riusciva benissimo a restare immobile anche per lunghi periodi, completando la mimetizzazione ideata una sera dal Nano.

“Mmmh…” meditò mentre caricava il loro bagaglio sul pony organizzando la soma, “se lasciamo sopra le coperte di colore più neutro possiamo essere meno evidenti… e se ci aggiungiamo qualche ramo di sempreverde, è anche meglio!” concluse con un sorrisetto.
Così si divertirono ad addobbare Billy con una selva di rami, e Gwennis non potè fare a meno di ricordare quando decorava la casa per la Festa del Solstizio, da bambina.
“… ero molto piccola allora, e ricordo che mamma raccoglieva i rami di vischio, e dipingeva le foglie con una vernice dorata. Poi preparavamo le candele da accendere, e c’era odore di torta di mele, e di biscotti, e…” gli occhi di Gwennis brillavano, ed il Nano si accorse di essersi fermato a guardarla. L’espressione solitamente contenuta e misurata era sparita, sostituita da una  luce che non aveva mai visto, e che la faceva apparire molto più giovane di quanto lui avesse pensato: poco più di una ragazza, in realtà.
Le parole della giovane Nana suscitavano ricordi anche in lui, vaghi particolari, più che altro immagini, unite solo da una sensazione di calore e di  famiglia, e viste da una prospettiva strana, che doveva essere quella di qualcuno di bassa statura. Alzando gli occhi, vedeva adulti attorno a lui, che significavano sicurezza ed affetto; e sempre, sempre, il ragazzino con le treccine arruffate e un sorriso sdentato.
“Stai pensando a casa tua,vero?” la voce di Gwennis lo riscosse dai suoi sogni ad occhi aperti. Il suo sguardo era ancora un po’ perso ed un sorriso aleggiava sulle labbra rosse. Il Nano annuì, non fidandosi a parlare: aveva paura che gli mancasse la voce.
“Sono sicura che tu ci tornerai, un giorno.”  Non potè evitare di percepire una nota amara nella voce di Gwennis, e guardandola vide che la luce era sparita dai suoi occhi.
“E tu no..?”
Lei scosse il capo. “Non c’è più nulla, ormai, a cui tornare.” Rimase un attimo in silenzio, e il Nano avrebbe voluto chiedere, sapere, conoscere quel suo passato che ogni tanto faceva capolino: perché quello era il primo ricordo felice che sentiva, e gli faceva male sapere che dovevano esserci dolore e rabbia nella sua storia, e gli pareva che lei non lo meritasse. Il tempo trascorso insieme  gli aveva dato modo di capire che Gwennis era assai più complessa di quanto apparisse, e sempre più spesso le domande bruciavano sulle labbra del Nano; ed ora aveva visto, meravigliato, un aspetto di lei che era sempre rimasto nascosto. Oziosamente, si chiese come sarebbe apparsa con un’espressione di vera gioia.
Ma  non poteva. Il passato poteva essere un argomento troppo pericoloso, e lei avrebbe fatto domande, ed allora lui cosa avrebbe risposto? Curiosamente, non voleva rivelare qualcosa che potesse sminuirlo ai suoi occhi.

Gwennis sentì un tocco sulla sua mano e si voltò lentamente, attenta a non far rumore. Sono diventata brava anch’io a fare la fuorilegge.
“Si sono allontanati,” sussurrò il Nano, “possiamo proseguire.”
Avevano pensato di poter procedere speditamente, tornando verso est, ma si erano sbagliati. Ben presto avevano dovuto abbandonare la strada perché si erano quasi imbattuti in un gruppo di Orchi che, sbandati durante lo scontro con i Nani, erano riusciti a radunarsi solo in  un secondo momento e seguivano il grosso della carovana a distanza di parecchie miglia. Erano rimasti nascosti per un po’, ma si erano accordi che i boschi erano comunque frequentati. Orchi, era l’unica spiegazione, quasi tutti diretti ad ovest, ma anche vaganti; a quanto pare la Battaglia aveva costretto molti a fuggire in tutte le direzioni e solo ora, dopo  molte settimane,  i superstiti stavano raggiungendo i loro covi.
Il Nano aveva deciso che non potevano correre il minimo rischio; quindi procedevano lungo il crinale, molto più in alto della strada, e si nascondevano ad ogni minimo segno di vita, senza rischiare nemmeno di avvicinarsi.
Viceversa, questo percorso, pur se lento, aveva permesso un colpo di fortuna: avevano identificato il luogo in cui i Goblin si erano accampati, prima di avvicinarsi alla carovana degli Orchi e sottrarre un certo prigioniero approfittando del fatto che questi ultimi erano impegnati con i Nani.  Soprattutto, era evidente che i Goblin erano rimasti accampati per alcuni giorni, durante la nevicata, proprio in quel punto, e se ne erano allontanati solo dopo che questa era cessata; e dal momento che in seguito avevano avuto solo  giornate asciutte, le tracce lasciate nella neve fresca erano rimaste ben visibili.
Il Nano aveva concluso che non era una grossa banda, una ventina  di Goblin, al massimo: il numero giusto per una missione furtiva. Non aveva dubbi su chi l’avesse organizzata: nessuno dei capi Goblin era abbastanza furbo o subdolo per tentare di tradire i loro ex alleati,  tranne uno.  Uno che non aveva gradito  la divisione dei prigionieri, ed aveva deciso di provvedere per conto suo; uno  che non era caduto nella trappola di Thorbag.
E questo implicava che i Goblin che tenevano Lirien non erano sciocchi soldati; dovevano essere i migliori. Liberare l’Elfo non sarebbe stato facile.
I due Nani uscirono da sotto il cespuglio, scuotendosi la neve dagli abiti, e, recuperato il pony, seguirono la pista aperta dai Goblin, che li portava inesorabilmente nel labirinto di picchi delle Montagne Nebbiose.

La campagna era silenziosa. Il drappello era in marcia da ore, muovendosi lentamente, con estrema prudenza, perché sapevano che la Bestia sorvegliava quelle terre.
Tradach era consapevole di aver trasgredito agli ordini; ma si era presentata un’occasione, e restare a marcire sulla via Nord, dove non si vedeva nessun segno di vita gli era sembrato pericoloso… era sicuro che almeno un paio dei suoi uomini fossero spie  al servizio diretto di Sobek, pronti a riportargli qualsiasi incidente  si fosse verificato. Se il Padrone avesse pensato che lui, Tradach, trascurasse occasioni per compiere il proprio dovere, se la sarebbe vista brutta.
Come se la sarebbe vista brutta se la missione che stava intraprendendo fosse fallita.
Sospirò. La vita di un sottocomandante a Goblin Town era dura, dovevi guardarti sia dai superiori che dai sottoposti, pronti a lasciarti in mezzo al guado se fosse loro tornato conveniente; e Sobek era un padrone particolarmente pericoloso. Tutti sapevano che gli ufficiali  che lo scontentavano sparivano misteriosamente dalla circolazione. Non c’era spazio per il fallimento.
Le ombre degli alberi si stendevano ormai lunghe verso est, ed il piccolo gruppo che, dopo aver attraversato il Fiume, aveva mandato a Nord, doveva ormai essere vicino alla casa del Mutapelle; l’idiota pomposo che ne aveva il comando era troppo stupido per accorgersene, e troppo presuntuoso per accettare avvertimenti dai suoi sottoposti. Un’esca perfetta per tenere la Bestia occupata.
Così aveva portato i suoi in un cammino diretto verso est, tenendo d’occhio i punti di riferimento per non deviare ed uscire allo scoperto. Nascosto in un boschetto, con i suoi alle spalle ed esploratori in ogni direzione, studiò il terreno cercando di valutare la distanza dalla linea degli alberi che si scorgeva al termine della campagna: Mirkwood.
Era ora. Fece segno ai suoi uomini, dietro di lui, e il drappello svoltò verso sud.


Angolo autrice
La Festa del Solstizio : non so assolutamente nulla delle festività dei Nani, salvo che probabilmente celebrano la Festa di Mezza Estate come tutti nella Terra di Mezzo; però, storicamente, in tutte le culture esiste una Festa della Luce, o comunque una festa che celebra il momento in cui le giornate tornano ad allungarsi. Mi risulta che questa sia anche la vera origine del Natale... quindi mi sembra verosimile una Festa del Solstizio, anche se sappiamo che i Nani usano il calendario lunare. Una cosa non esclude l'altra.
A proposito di BotFA! Qualcuno  mi ha chiesto spiegazioni sul particolare – l’unico – che ancora oggi riesce a farmi commuovere quando ci penso. Era una lacrima, quella che sfugge a Kili mentre muore.  Probabilmente gli occhi incredibili di Aidan Turner, con annesse lunghe ciglia, hanno fatto la loro parte ( dovrebbero essere illegali, turbano l’ordine pubblico!), ma non più di tanto. Ho trovato il particolare terribilmente suggestivo, segno del rimpianto per tutto quello che avrebbe potuto essere e non sarà mai, e quindi più commovente di mille parole.
Per il resto, aspetto la EE. Sono sicura che lì ci saranno lacrime a fiumi.

Angolo del *GRAZIE*
Oggi sono proprio tanti, come tanti soni i lettori, anche nuovi, visto come è schizzato il contatore delle visite: l’ultimo capitolo ha superato i 200 in pochissimi giorni!
Emouel, Yavannah, jodie_always, Laucace: siete una forza.
LoveShimmy, darknesraven, nce, Vodia, tykisgirl e … dulcis in fundo, CrisBo e Syb81. Vi amo tutte.
Un ciao speciale a Illidan e  Revengeance, oltre a didi_95 e darknesraven, che hanno favorito la mia vecchia serie L’Erede di Durin: se state leggendo anche questo lavoro, grazie
.
bacio
Idril 
 

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Capitolo 39
*** E se deve finire nel fuoco ***


39 E se tutto deve finire nel fuoco
39  E se deve finire nel fuoco

Le ombre si allungavano verso est. Dal suo punto di osservazione favorito, sulla quercia, Neala ammirava il riflesso degli ultimi raggi del sole sulla neve; verso ovest, invece, il sole che calava oltre le Montagne Nebbiose riempiva di ombre le pendici scoscese ed innevate, su cui spiccavano, neri, i boschi.  Ccome sempre la contemplazione della natura aveva il potere di rasserenare la ragazza:  al momento quindi  era solo irritata anziché furente come quando si era arrampicata, con gesti bruschi e privi di grazia, sui rami, mugolando poi indispettita quando la quercia si era vendicata del suo comportamento irriguardoso rovesciandole nel collo un carico di neve gelata.
All’inizio era talmente fuori di sé da non riuscire ad articolare nessun pensiero, ma ora la sua rabbia era assolutamente ben diretta.
Potrei vomitare! Come può essere così mielosa, e sdolcinata, e smorfiosa, e… e…sbuffò alla ricerca di aggettivi adatti a definire il comportamento di Sybella.  Con tutto quello zucchero gli verrà il mal di denti, se continua ad ascoltarla mentre riversa su di lui tutte quelle moine!  E sarebbe un vero peccato, rilevò una parte della mente di Neala, rovinare quei denti bianchissimi e quella risata così… così … quando era arrabbiata le mancavano sempre le parole. Così… calda, ecco!
Le manca solo di strusciarsi contro le sue gambe facendo le fusa!
Neala era anche irritata con se stessa. Non riusciva a competere con Sybella nelle carinerie, prima di tutto perché le trovava odiose, poi perché si sarebbe sentitia un’assoluta idiota, ed infine perché sapeva che avrebbe solo fatto una figuraccia; d’altra parte la sorella, in quel modo, riusciva a catalizzare tutta l’attenzione dell’ospite, e Neala bolliva, e bolliva, e finiva per allontanarsi per non esplodere facendo la figura della pazza e mandando la mamma su tutte le furie.
Cambiò posizione perché un nodo del tronco le si era conficcato nella schiena.
La cosa peggiore era che le manovre di Sybella sembravano avere successo. Lui la guardava, eccome, e rideva per lei e gli occhi gli si illuminavano, e… e…
E perché mamma non dice niente per quel comportamento da smorfiosa?
Eh, sì: perché anche mamma sembrava approvare quell’atteggiamento, o meglio sembrava non disapprovare.
Ed io cosa devo fare?!  Approfittava sempre delle occasioni che si presentavano per parlare con lui, o mostrargli qualche animale interessante, o giocare a scacchi… l’unica cosa che Sybella non sapeva fare, e Neala gongolava di gioia maligna ogni volta che riusciva a far comparire la scacchiera e la sorella metteva, invariabilmente, il broncio. La maledetta riusciva anche a produrre un broncio assolutamente delizioso.
E poi qualcosa attirò la sua attenzione: verso sud, tra la Foresta ed il Fiume, ma più vicino al loro villaggio che a Campo Gaggiolo, si levò una densa nube di fumo nero.
Sta bruciando qualcosa.

Tad e i suoi vicini si stavano radunando nella piazza principale del villaggio. A sud il fumo si levava sempre più intenso, e dopo l’allarme dato da Neala è risultato presto evidente che doveva essere in corso una razzia di qualche genere, o in ogni caso un grosso guaio. Non poteva essere un piccolo incendio fortuito, perché sarebbe già stato domato da tempo.
Anche il Nano era lì. Ormai camminava, anche se con l’aiuto di un bastone: il guaritore aveva insistito perché non caricasse ancora il peso sulla gamba fratturata, ma lui spesso barava. La sua espressione mostrava  a chiare lettere la sua frustrazione per non poter essere d’aiuto, ed anche una certa preoccupazione.  Un attimo prima che Tad montasse in sella lo prese da parte.
“C’è qualcosa che non va, lo sai, vero?” Tad lo guardò intento.
“Pensi ad un trappola?”
Il Nano annuì.
“Se sono Orchi o Goblin, devono aver attraversato il Fiume a nord: l’altro guado è troppo lontano. Perché aggirare questo villaggio, perché non attaccare qui?”
L’Uomo annuì; capiva il problema, ma doveva comunque andare ad aiutare la gente a sud.  Posò una mano sulla spalla del Nano.
“Cercherò di mandare indietro qualche uomo appena possibile. Chiudetevi  nelle case e state all’erta.” Quindi guardò dritto negli occhi il Nano. “Lascio a casa il mio figlio minore; lui sa dove tengo le armi.”
“Fidati di me.”

La notte era calata sul villaggio degli Uomini in riva al grande Anduin. Nessuno si aggirava per le stradine; le porte erano sbarrate e la gente teneva a portata di mano le armi: l’atmosfera era tesa.
Neala sedeva a tavola in silenzio, mentre sua madre posava al centro la pentola che mandava un delizioso profumo di stufato.
“Avanti ragazzi,” esclamò con una voce che voleva essere allegra, “cosa sono questi musi lunghi? Mangiate! Quando la pancia è piena, si vede tutto in modo diverso!”
La donna guardava con occhio critico le due figlie, il suo Giovane Tad, e l’ospite, e pregò in cuor suo che il problema al villaggio vicino fosse cosa da poco, e che gli uomini  tornassero presto. Sospirò. Non vedeva l’ora che quell’inverno disgraziato e sfortunato finisse; il clima era stato orribile, un sacco di pioggia quando avrebbero dovuto avere la neve, e un gelo terribile quando avrebbe dovuto già esserci profumo di primavera, con tutti i danni che questo avrebbe prodotto sul raccolto; Orchi che scorrazzavano dappertutto facendo danni e sporcando con i loro disgustosi rifiuti; e sempre, sempre, quel clima di allarme, stare sempre in guardia, ed i suoi uomini fuori, e quella paura che un giorno qualcuno potesse non tornare…
Non potè evitare di guardare di straforo il loro ospite. Lui se l’è certo passata peggio di noi,  pensò. Non aveva raccontato molto, ma il  suo stato nel momento in cui l’avevano raccolto diceva più di mille racconti. Sospirò. Sembrava così assurdo: quando lo sentiva ridere, quando vedeva quel viso così aperto e sincero,  quando ascoltava la musica o giocava a scacchi con Neala, era solo un ragazzo come tanti, ed era facile dimenticare cosa lui stesso aveva ammesso di essere:  un combattente, nato ed addestrato per la guerra, e per sopravvivere anche nelle condizioni peggiori. Un avversario potenzialmente letale. da qualche tempo era piena di dubbi su quel Nano, visto l'effetto che faceva sulle sue figlie; ma quella notte la sua presenza dava sicurezza.

La sera diventò notte, ma nessuno parlava di andare a letto. Il villaggio era silenzioso, le porte sbarrate; qua e là, le torce accese davanti alle porte illuminavano debolmente la notte. Qualche veterano si aggirava tra le case, scrutando le ombre.
Erano tutti irrequieti, e Neala si gingillò con l’idea balzana di cacciare un urlo improvviso.. giusto per vedere cosa sarebbe successo.  Ma cosa diavolo ti viene in mente? Come minimo a mamma verrebbe un infarto, Sybella strillerebbe come una gallina, Tad … beh, forse riuscirebbe a tagliarsi con la daga di papà, e lui…   guardò il “lui”. In piedi, davanti alla finestra, scrutava la notte attraverso la fessura tra le imposte. Era senza bastone, in quel momento, e la sua figura eretta e sicura era una presenza confortante.  Lui di certo non perderebbe la calma.
Ma avrebbe visto la disapprovazione in quegli occhi color del cielo, ed una smorfia sulla bocca appena ombreggiata dai baffi. Neala sapeva che avrebbe voluto solo sotterrarsi nel buco più profondo a sua disposizione.
“Quando finirà questa notte?” sussurrò.
Ed in quel  momento vide le spalle del Nano irrigidirsi.

C’era qualcosa, dietro quel cespuglio, dalla parte del fiume. Ne era sicuro. Qualcuno, non qualcosa. Seguì attentamente il movimento con lo sguardo, finchè non ebbe più dubbi.
Sapeva che sarebbe successo.
“Tad,” chiamò, con voce tranquilla, “prendi tutte le armi che hai. C’è un arco?”
“Che succede?” Neala non aveva saputo trattenersi, e si sorprese di quanto stridula risuonasse la sua voce.
“C’è qualcuno che si nasconde, là fuori.”
Tad non fiatò, e, aperto uno stipo, prese alcuni archi e spade. Il Nano li guardò: erano archi da caccia, non da guerra, ma erano meglio che niente. Anche le spade non erano gran che: niente a che vedere con l’acciaio nanico.
“Ragazze, venite con me, dobbiamo sprangare le finestre delle camere.”  La voce della donna risuonò controllata;  Sybella non lo fu altrettanto, e cominciò a singhiozzare.
“Smettila, Syb,” sbottò Neala, “ non è il momento per le sceneggiate.”
Il Nano ignorò entrambe, e si rivolse alla loro madre.
“Hai un posto più riparato di questa stanza? Andateci, e chiudetevi dentro.”  Forse servirà a qualcosa.

E poi, improvvisamente, non ci fu più tempo.

Maledizione a questa gamba!  L’infisso della finestra stava per cedere. Vide il Giovane Tad, dall’altra parte della stanza, mentre scoccava una freccia dietro l’altra dalla fessura delle imposte; lui aveva dovuto smettere ben presto, perché dopo pochi tiri il braccio non gli aveva più consentito  di tendere l’arco, che comunque non era mai stata la sua arma.
Avevano barricato la porta trascinandovi contro dei mobili, ma i Goblin fuori se ne erano ben presto accorti ed avevano lasciato perdere, attaccando invece le due  finestre. I grugniti ed i ruggiti che provenivano dall’esterno gli dicevano che gli aggressori dovevano essere un numero notevole… o forse il loro obiettivo era solo quella casa. O sono io?
Il pensiero lo aveva sfiorato più di una volta, ma non riusciva a darsi una motivazione convincente. Era fuggito, è vero, ma perché tutta quella fatica e quello spiegamento di forze solo per riprendere me ?
Sono sopravvissuto ad  una terribile battaglia, ad  una prigionia, ad una caduta rovinosa, al Fiume, per fare la fine del topo in un villaggio degli Uomini?
Impugnò più saldamente spada e daga, a cercò di caricare il peso sulla gamba sana. Non si sarebbe arreso, non dopo tutto quello che aveva passato! Più che mai, voleva tornare a casa. Proprio adesso che le cose sembravano andare bene, tutte le difficoltà  erano superate, doveva essere il momento per riposare! E dopo che qui, in capo al mondo, nell’ultimo posto che avrebbe immaginato, aveva trovato qualcosa che aveva cercato per tutta la vita…
In quel preciso istante l’infisso volò in pezzi con uno schianto di legno e vetri infranti, ed un Goblin si  precipitò attraverso l’apertura.
In un battito di ciglia la sua testa rotolò sul pavimento con un suono disgustoso, come un melone marcio. Sangue nero ovunque, e fu di nuovo sul campo di battaglia davanti ad Erebor.

Il suo corpo si muoveva senza bisogno  di alcun comando. Fendere, infilzare, decapitare tutte le creature che osavano oltrepassare l’apertura, divenne un esercizio meccanico; i cadaveri ostruivano il passaggio, rendendo difficoltoso l’ingresso a quelli dietro. La fine dei loro compagni rese quelli fuori più prudenti, e lui osò rifiatare un attimo… ed un secondo  schianto gli disse che anche l’altra finestra era stata presa. Il Giovane Tad volò in mezzo alla stanza, scaraventato via da un colpo di mazza, e due Goblin erano dentro.
La difesa era finita.

In quel  momento, la porta che dava sull’interno della casa si spalancò.
“Venite, presto!”  i due non se lo fecero ripetere due  volte; varcarono la soglia, e la porta fu sbattuta dietro di loro. La donna non perse tempo.
“Presto, accatastate questi mobili  contro l’uscio!”
“Ma le altre finestre?” chiese il Nano. La donna scosse il capo.
“Le abbiamo sprangate con sbarre di ferro fissate nelle pareti, e qui le mura qui sono in pietra. Non riusciranno a passare. Venite!”

I Goblin sciamarono nella stanza devastata, e si schiantarono invano contro la porta massiccia. Le pareti non erano attaccabili, e si erano già resi conto che le finestre del retro presentavano, dietro le imposte in legno, delle fitte spranghe metalliche che non si lasciavano scalzare.  Anche la porta rivelò ben presto un’anima metallica: una griglia spessa tre dita che terminava nelle mura, contro cui le asce rimbalzavano senza scalfirla nemmeno.
Lo slancio dei Goblin si affievolì ben presto, smorzandosi nell’indecisione. E poi qualcuno ebbe un’idea.

Ben presto mobili e suppellettili furono accatastati contro la porta e le finestre esterne, e le fiamme si levarono da più punti.
“Se non vogliono soffocare, dovranno uscire,” sogghignò il capobanda,  mentre i Goblin in attesa brandivano le armi, “ ed appena escono, li stendiamo tutti!”
Dopo qualche minuto  il fuoco aveva ormai avvolto gli infissi ed aveva attaccato le pareti di legno della parte anteriore della casa.
“Ehm, capo…”  la voce del Goblin rivelava un po’ di tensione, “sarà sicuro rimanere qui?”
Il grosso ufficiale si guardò intorno e si rese conto che il suo subordinato non aveva torto. La  situazione stava sfuggendo loro di mano! E proprio in quel momento una sezione del soffitto decise di cadere, mentre le fiamme avvolgevano ogni cosa ed il fumo si faceva soffocante.
“Fuori di qui!”
Fu una corsa precipitosa, mentre il resto del tetto crollava fragorosamente ed il ruggito delle fiamme si alzava coprendo anche le grida dei Goblin.

Si fermarono a cinquanta metri di distanza, ed anche lì si avvertiva distintamente il calore che si sprigionava dall’incendio. Tutta la casa era avvolta da fiamme altissime; nella parte posteriore, le travi del tetto ardevano, e lingue di fuoco uscivano da ogni apertura. L’aria era piena di un denso  fumo nero, ed aleggiava anche un odore penetrante di carne arrostita.
“Capo…” azzardò il piccolo Goblin, senza fiato e con gli occhi sbarrati, mentre stringeve convulsamente il manico della sua ascia, “non credo che riusciremo a prenderlo, il Nano, vero?”
Mentre fissava malinconicamente il rogo davanti a lui, l’ufficiale guardò i pochi uomini che gli erano rimasti. Si grattò il mento con un artiglio; alzò lo sguardo e vide che la luna era ancora alta nel cielo.
“Ho sempre pensato che Moria fosse un bel posto per viverci, che ne dite? Niente incendi, niente fuoco laggiù…”

Sorgeva un’alba gelida, e la prima luce rischiarava il cumulo di macerie ancora fumanti che era stata la casa di Tad. Tutto quanto era legno o combustibile era stato consumato dal fuoco; i resti anneriti delle mura di pietra, o almeno quelle parti che la travi non avevano trascinato con sè cadendo, si levavano verso il cielo come denti storti.
Gli uomini avevano soccorso gli abitanti del villaggio vicino, vittime di predoni che li avevano privati di buona parte del bestiame e incendiato  alcune case, dileguandosi poi nella notte; ma mentre spegnevano gli incendi, si erano ben presto resi conto che qualcosa di grave era avvenuto proprio a casa loro. Con la massima velocità consentita dalla notte, erano tornati sui loro passi, per scoprire il disastro.  
Il calore era ancora talmente intenso che non era possibile avvicinarsi alle macerie.  Tad  e gli altri uomini, in un silenzio assordante, attesero.


Angolo autrice
Ecco il nostro tramonto al Villaggio della Gente del Fiume!
Dovevo movimentare un po’ la vicenda, no? Cosa ne dite?  
*GRAZIE!* a Vodia, Ardesiia, hally evans e la fedelissima jodie_always!
Uno specialissimo “BENVENUTA” ad Inuiascia.
E grazie a tutte voi, che avete permesso a questa storia di superare il traguardo delle 200 recensioni! Sono commossa.
Alla prossima
Idril

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Capitolo 40
*** Ad un passo dalle stelle ***


40 Ad un passo dalle stelle
40 A un passo dalle stelle

Liatris era molto emozionata mentre, mano nella mano con Kili, varcavano la soglia di Erebor.
La Montagna Solitaria era sempre stata parte della sua vita; quando apriva la finestra, ogni mattina, la vedeva lì, bellissima, scintillante di neve, misteriosa. Era facile, per una bimba piccola con una fervida fantasia, immaginare qualsiasi cosa riguardo a quella Montagna, immaginare di andarla a guardare da vicino, per scoprire i suoi segreti; ma aveva imparato presto, con l’intuito dei bambini, che era un argomento da evitare con la mamma.
Era al mercato con suo padre, a Laketown, quando per la prima volta aveva sentito parlare del Drago.

Una donna stava rimproverando un bambino in pieno capriccio.
“Smettila, o chiamerò il Drago, che ti porti via!”  
La piccola Liatris era rimasta senza fiato. Un drago? E cos’era mai un drago? A giudicare dalla frase che aveva sentito, doveva essere qualcosa di spaventoso. Guardò con soggezione la donna: quanto doveva essere potente, se una creatura terribile obbediva ai suoi richiami?
Ma suo padre la stava chiamando, avevano ancora molte cose da comprare, ed a Liatris piaceva fare spese con papà, perché le permetteva di guardare tutte le bancarelle, e sapeva che alla fine le avrebbe comprato qualche giocattolo, o qualche dolce, come voleva lei; la sua attenzione deviò sulle infinite meraviglie che si trovavano esposte, e la questione del Drago rimase in sospeso.
Fu solo qualche giorno dopo che il nodo, come si dice, venne al pettine.

Liatris era in pieno capriccio. Era uno di quei giorni in cui un uno spiritello, dentro di lei, la rendeva litigiosa ed ostinata, che ci fossero motivi per impuntarsi oppure no.  All’ennesimo rimprovero di sua madre, lo spiritello le fece passare un limite invisibile.
“Cosa farai se non smetto? Chiamerai il Drago?”

Il rumore dello schiaffo risuonava ancora, e le due Nane rimasero a fissarsi. Per Liatris la sorpresa era stata tanto grande da non sentire nemmeno il dolore, sulle prime; poi il bruciore alla guancia risvegliò il suo orgoglio. Senza una parola, girò sui tacchi e corse fuori dalla casa, e si rifugiò nella legnaia.
La piccola era talmente offesa che per un po’ la rabbia le impedì di piangere; ma qualche minuto dopo, quando suo padre la trovò, era in lacrime, mentre grossi singhiozzi le ostruivano la gola.
Liborin l’aveva presa tra le braccia, e, a bassa voce, le aveva raccontato del Drago, e di quello che era accaduto a Dale, Esgaroth ed Erebor tanti anni prima. La piccola era rimasta esterrefatta nel sentire che la Montagna misteriosa era addirittura la dimora del Drago!
“Ma tu non devi avere paura,” concluse Liborin, “il Drago non si sente da tanti anni, e probabilmente sarà morto, o andato via quando nessuno guardava.”
“E perché nessuno va a vedere?” chiese ingenuamente la piccola. Il padre sospirò.
“Perché la Montagna è comunque un posto pericoloso, pieno di burroni, e trabocchetti; la strada non esiste più, e tutta la zona è stata bruciata e devastata dal Drago. La Porta Principale è chiusa, e nessuno sa aprire le porte dei Nani; e comunque le rovine sono sempre pericolose, potrebbero crollarti addosso in un istante.  E poi,” ridacchiò, “tu andresti a ficcare il naso nella tana di un orso senza sapere con certezza che il proprietario è assente?”
“Ma perché mamma si è arrabbiata?” Liborin sospirò.
“Perché lei ricorda com’era, prima che il Drago distruggesse tutto, piccola mia; e ricorda com’era dopo. Quella donna di Laketown è una sciocca. Il Drago ha portato una terribile rovina, molte persone sono morte, e non bisogna scherzarci su.”

Ed ora la Montagna sarà la mia casa. Liatris alzò lo sguardo e rimase senza parole.
Niente, niente, l’aveva preparata alla maestosità del grande salone d’ingresso; scale aeree, livelli e balconate si stendevano tutt’intorno, a perdita d’occhio; e nonostante i danni estesi ed evidenti, lo spettacolo era tale da mozzare il fiato. Non era un palazzo sotterraneo; era una vera  e propria città.
Kili, che le teneva la mano, la guardò di sottecchi, sorridendo; ma non vi fu tempo per scambiare nemmeno una sillaba, perché dalla sala si alzò un oceanico applauso.
Erebor salutava i figli di Durin.

Dal grande salone del pianterreno si levavano ancora musica e risate: i Nani avevano intenzione di festeggiare per tutta la notte, ma Kili e Liatris salivano la nuova scalinata che portava agli appartamenti reali, preceduti da Bilbo e da Ori, quest’ultimo visibilmente eccitato.
Kili guardò il piccolo Nano: Ori non finiva mai di sorprenderlo.
Le esperienze passate ne avevano fatto un combattente e gli avevano dato sicurezza, oltre ad affrancarlo dalla tutela un po’ oppressiva dei fratelli, ma per certe cose era rimasto irrimediabilmente ingenuo. Ancora arrossiva quando Liatris gli rivolgeva la parola! Eppure, in quegli ultimi tempi si era rivelato anche un collaboratore prezioso.
Intelligente, prudente ma anche capace di cogliere le implicazioni e le conseguenze, era un perfetto contraltare di Kili; le idee innovative e talvolta rivoluzionarie del principe,  che provocavano spesso nei Nani più anziani una levata di scudi, erano valutate con occhio analitico e spietato da Ori. Dove Balin spalancava gli occhi davanti alla proposta del giovane Reggente, a proposito di nuovi programmi di lavori,  Ori scribacchiava qualche appunto su foglietti volanti, faceva due calcoli e diceva che sì, si può fare, in questo modo, e porterà questi vantaggi;  e Kili aveva imparato che se Ori scuoteva la testa e diceva no, non funzionerà,  allora era meglio lasciar perdere.
Era andata così anche a proposito della loro sistemazione.

Il tavolo della mensa era coperto di grandi fogli, e la confusione era al massimo. Dori illustrava le caratteristiche di ciascun appartamento, ma prima che potesse finire, Bofur scuoteva il capo ed elencava i lavori necessari per rendelo abitabile; immediatamente sorgeva una discussione sull’opportunità di scegliere proprio quello, finchè Ori interveniva tirando fuori da sotto la pila un altro disegno, e così via. Kili guardava dall’uno all’altro, cercando di seguire la conversazione, mentre Liatris era talmente allibita dal numero e dalle caratteristiche delle sistemazioni che i Nani stavano proponendo che non sapeva davvero cosa dire.  I due giovani si guardarono e Kili lesse sul viso di Liatris lo stesso smarrimento che doveva apparire sul suo, così decise di porre fine alla questione.
“Ma scusate…” cominciò. Nessuno gli diede retta. La discussione era diventata piuttosto accesa e Dori e Bofur sembravano ad un passo dal venire alle mani, mentre Ori cercava di fare da paciere senza riuscirci.
Kili sospirò esasperato. Spedì un sorriso malizioso alla fidanzata, poi estrasse la spada e la sbattè di piatto sul tavolo.
I tre Nani ammutolirono di colpo, e Kili fece un mezzo inchino ironico.
“Sono felice che vi stiate divertendo, ma io avrei da fare e preferirei risolvere la questione. Non sarebbe più semplice se scegliessimo semplicemente l’appartamento meno danneggiato? Se poi non facesse per noi potremmo sempre cambiare dopo.”
Per una volta concordi, Bofur e Dori scossero il capo all’unisono. Possibile che riescano ad essere d’accordo solo per crearmi problemi? Pensò Kili.
“Significherebbe fare un lavoro doppio,” obiettò Bofur.
“E poi si sta male in un appartamento non adatto!” completò Dori.
Kili stava per ribattere che qualunque soluzione sarebbe stata un enorme passo avanti rispetto alla sistemazione attuale, visto che stavano vivendo in una tenda in pieno inverno, quando Ori intervenne.
“Kili, tu e Liatris potreste dirci qualche requisito o particolare che ritenete importante; così in ogni caso avreste una sistemazione confortevole, e noi sceglieremmo tenendo conto dei lavori necessari. Più tardi si vedrà, anche perché comunque tutta l’ala  reale andrà sistemata, prima o poi.”
I due contendenti rimasero in silenzio, davanti all’evidente ragionevolezza della soluzione. Kili guardò Liatris, che si strinse nelle spalle.
“Non voglio l’appartamento del Re, neanche provvisoriamente. Quello è per Fili,” Disse subito il giovane Reggente.  I Nani annuirono.
“Ci dev’essere una stanza per il bambino adiacente alla nostra camera,” aggiunse Liatris. Ori prese un appunto e Kili sorrise alla fidanzata. Poi la studiò un attimo ed il sorriso divenne malizioso ed intimo.
“Voglio un letto,” disse, “grande. Molto, molto grande.” Le guance di Liatris arrossirono lievemente, e la ragazza  gli spedì uno sguardo di rimprovero. Piuttosto finto. Da Bofur venne una risatina soffocata, un sospiro da Dori… e nulla da Ori.
Lo scrivano era rosso fino alle orecchie come un pomodoro maturo e disegnava ghirigori con la penna su uno dei suoi foglietti.  Tanto per cambiare.
Per toglierlo dall’imbarazzo Liatris continuò, un po’ timidamente.
“Se è possibile… mi piacerebbe un bagno con una di quelle grandi vasche  con acqua calda…”
“Splendida idea!” approvò Kili. “Acqua calda e vasca grande… almeno per due persone…”
Risatina da Dori, sghignazzata da Bofur. Ori era incandescente.
Ancora una volta, Liatris intervenne in suo soccorso.
“Non mi viene in mente niente altro, Kili, almeno per ora. E a te?”
Il giovane Nano tacque per un attimo. Quella notte aveva sognato ancora suo padre. La figura di Jeli era sempre più vivida nei suoi ricordi, e Kili sentiva una connessione sempre più stretta con lui.
“Sì,” sussurrò. “Non deve essere troppo lontano dall’uscita, o da una balconata. Ogni tanto, ho bisogno di vedere le stelle.”

Dopo l’ennesima svolta a spirale, comparve un ingresso monumentale, decorato con le rune della Casa di Durin tempestate di zaffiri. Liatris si fermò, intimidita.
“E’ … è da questa parte?” sussurrò. Kili stava per annuire, un po’ scosso anche lui dalla magnificenza della struttura, quando, sorprendentemente, un sorridente Ori rispose:
“No! Manca ancora una rampa,” e seguì Bilbo, che, con gli occhi brillanti di malizia, stava imboccando l’ennesima scala ricurva, sulla sinistra. Gli sposi si guardarono, si strinsero nelle spalle, e continuarono.
La scala era stata ripulita di recente; il corrimano di pietra verde era elegantemente scolpito con motivi di edera e fiorellini rampicanti, un minuzioso lavoro di smalti. La parete recava dipinti con paesaggi boschivi.
Kili guardava sorpreso la decorazione, ma Liatris era chiaramente ammirata. Quando arrivarono all’ingresso di una galleria, dove pilastri ed architrave erano scolpiti con motivi di foglie, smaltate in colori diversi e talmente vividi da  farle sembrare vere, la ragazza trattenne il respiro.
“Ma… ma è bellissimo!” anche Kili era stupito.
“Dove siamo, Ori?”
“ Sono gli appartamenti destinati in origine agli ospiti importanti di altre razze. Siamo quasi arrivati, venite!”
Varcato l’ingresso, la galleria si divideva in due larghi corridoi pianeggianti, e lo scrivano seguì l’hobbit, che si era fermato davantiad un’alta doppia porta, anche questa incorniciata da rami e fiori. La decorazione continuava anche lungo tutto il corridoio.
Kili spinse le porte, in legno intarsiato con venature d’oro, ed entrò.

La prima cosa che Liatris vide fu il suo mazzo di elanor,  in un delicato vaso d’oro posato al centro di un tavolo.   Due poltrone fronteggiavano l’ampio camino in cui ardeva un bel fuoco; tappeti di colori tenui coprivano il tappeto in marmo venato di verde. Alcune porte intagliate suggerivano altre stanze; ma gli sposi rimasero senza fiato davanti alle due grandi vetrate colorate, sul fondo della stanza. La luna si limitava a far indovinare  i colori, che solo la luce del sole avrebbe rivelato in tutto il loro splendore… e poi Kili si accorse che le vetrate erano in realtà porte. Senza parlare, attraversò la stanza e le aprì.  E si fermò.
Tese la mano alla sua sposa, e senza una parola le fece oltrepassare la soglia.

Una terrazza circolare, fiancheggiata da pareti piastrellate di mosaici e delimitata da una balaustra di pietra intagliata, si affacciava sulla pianura davanti alla Montagna, offendo una vista mozzafiato. Sulla sinistra, più lontana, Dale, con le finestre illuminate tra le rovine e i cantieri; a destra, Collecorvo. Da quell’altezza, la cascata ghiacciata rifletteva la fredda luce lunare. Le Porte di Erebor erano ben al di sotto di loro.
“Ma dove siamo…?” sussurrò Liatris, a corto di parole davanti a quello spettacolo. Kili alzò gli occhi verso il cielo notturno.
“Ad un passo dalle stelle,” rispose.
Ed in quel momento il cielo esplose di luci colorate.

“Ah, proprio come me li ricordavo!” sospirò Bilbo, ridendo. “Quando ero un piccolo hobbit, e Gandalf compariva sempre alle grandi feste di mio nonno il Vecchio Tuc! Ah, che fuochi!”
I Nani accanto  a lui erano ammutoliti, così come tutti gli altri; in  parte erano  affacciati alla balconata sopra le porte, molti erano usciti dalla Montagna ed ammiravano lo spettacolo con il naso all’insù, tra molti “Ooooh” e “Aaaah” di meraviglia.  Cascate d’argento o fiori colorati  riempivano il cielo e si riflettevano sulla neve; leoni  dorati rampanti e lupi blu con occhi color ghiaccio si fronteggiavano, cambiando dimensioni e posizione.  Colonne di fumo colorato si levavano dagli anfratti della montagna, librandosi in ampie volute; ed alla fine, una singola luce di un blu incandescente salì lentamente sopra Collecorvo, ed apparentemente si spense.
Non si sentiva volare una mosca. Tutte le grida si erano smorzate in un silenzio colmo di aspettativa;  poi un’esplosione scosse la vallata, e mille luci blu ed argento andarono a comporre il simbolo della Casa di Durin, incudine, stelle e corona. Quasi contemporaneamente uno stormo di corvi imperiali si levò come ad un silenzioso comando, le ali inargentate dalla luna,  e percorsero la pianura fino a scomparire dietro lo Sperone Meridionale.
 

Angolo autrice.
Scusate. Sono profondamente insoddisfatta di questo capitolo, ma non riesco a venirne a capo, quindi lo licenzio così com’è. *brontola di pessimo umore*
Angolo del *GRAZIE*
Ad Ardesiia, Yavannah, jodie-always, Emouel, Laucace, Inuiascia…  ma soprattutto a
****LILYOOK**** che mi ha spiazzato con una valanga di recensioni! OMG, grazie, cara, ma che pazienza! Confermo, sei mooolto intuitiva… e ti lascio a rileggere tutti i tuoi scritti per scoprire a quale domanda ho risposto “sì e sì”. 

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Capitolo 41
*** Presagi ***


41 Presagi
41 Presagi

Kili era sprofondato nella comodissima poltrona davanti al camino, mentre attendeva la sua sposa. Si era liberato prontamente dell’abito formale, ed indossava solo pantaloni leggeri ed una semplice camicia elfica; aveva scoperto che i tessuti degli Eldar non irritavano le cicatrici.
La temperatura della stanza era gradevole; le acque delle sorgenti calde, convogliate sapientemente sotto mura e pavimenti fin dalla  prima colonizzazione della Montagna Solitaria, mantenevano un piacevole tepore in ogni stagione, oltre ad alimentare le grandi terme ed i bagni  privati; e la maestria dei Nani da molti secoli aveva imparato a sfruttare allo stesso scopo anche il calore prodotto dalle grandi fucine che ardevano nelle viscere della Montagna.
Il profumo degli elanor  pervadeva la stanza.
Il suo sguardo corse al cielo notturno, perfettamente visibile dalla vetrata. Aveva chiesto espressamente una sistemazione vicina ad una balconata o ad un’uscita perchè spesso sentiva il desiderio di aria libera; soprattutto non voleva perdere la vista delle stelle, che da sempre associava al ricordo di suo padre. Jeli era comparso sovente nei suoi sogni, negli ultimi tempi.
Non aveva più avuto strane visioni di Fili;  ed anche se lo sognava ancora, non era più così angosciante. E Jeli era  sempre sereno, sorridente e rassicurante. Come se lo incoraggiasse, e Kili  traeva forza da questo sostegno. Ma negli ultimi giorni…
Negli ultimi sogni Jeli non era solo.

Il Nano bruno e sorridente giocava con un bimbo dai riccioli d’oro, di pochi anni: lo gettava in aria e lo riprendeva, tra le risate del piccolo. Kili ricordava di aver giocato così con il padre. Pensò che il bimbo fosse Fili, e si  svegliò di colpo, ansante, sconvolto,  convinto per un attimo che … se Fili era con il loro padre… allora… forse Jeli voleva dirgli che… che Fili…  
Scosse il capo per snebbiarsi la mente. Cosa andava pensando? Era solo uno stupido sogno! Non doveva farsi suggestionare così. Respirò profondamente una volta, due, e riecco quella certezza intima: Fili stava bene. Non poteva tornare, non ancora; ma quando fosse venuto il momento giusto…
Si riadagiò lentamente, un po’ impressionato.  Cosa mi sta succedendo?

La notte successiva, il sogno tornò. Questa volta Jeli era seduto e vezzeggiava il bimbo appollaiato sulle sue ginocchia, intento a rigirare qualcosa nelle manine grassocce. Qualcosa che luccicava quietamente.
Una corona di oro e smalto, formata da ali nere. Il bimbo rise;  per la prima volta alzò il visetto e Kili lo vide dritto in faccia.
Il giovane Reggente di Erebor si svegliò, turbato. Conosceva quella Corona. L’aveva vista sulla fronte di un Thorin in preda alla follia.
Sarebbe stato normale sognare Fili che giocava con la Corona che gli spettava di diritto; ma Kili sapeva, con una certezza che non poteva spiegare, che il bimbo biondo non era Fili. Oh, gli somigliava, per quanto un bimbo riesca a somigliare ad un adulto, e Kili non poteva ricordare l’aspetto di suo fratello a quell’età; ma gli occhi non erano quelli azzurri di Fili.
Erano grandi e grigi.

Devo parlare con Oìn.  Kili non aveva mai creduto troppo ai presagi  o ‘roba simile’, ma questa volta era turbato. Ed in realtà, se gli incubi e le visioni su Fili potevano essere giustificati dalla febbre, dalla debolezza fisica o dalla tensione emotiva, ora Kili si sentiva bene. Certo, non era al massimo della forma; ma si era abituato all’idea della reggenza e la responsabilità non gli sembrava più così schiacciante, e l’aver risolto la spinosa questione dell’attentato alla sua vita, calmando i Nani infuriati, gli aveva dato fiducia nelle proprie possibilità.  Per quanto riguardava Thorin, le cose sarebbero andate meglio.
Liatris lo rendeva più felice di quanto avrebbe mai creduto possibile essere.
Per quanto gli potesse far piacere l’aver recuperato i ricordi di suo padre, non vi era motivo alcuno per questi strani sogni. Che siano davvero presagi di qualche genere?
Ridacchiò tra sé. Sta a vedere che sono diventato un veggente! Fili mi prenderebbe in giro fino alla morte.
E poi sentì la porta aprirsi dietro le sue spalle.

La luce della luna trasformava i suoi capelli in una cascata d’argento. Erano sciolti, vide Kili, tranne per la treccia nuziale, e gli zaffiri del fermaglio mandavano bagliori. Lei portava una camicia da notte fluente, coperta da una vestaglia, entrambe di un tessuto trasparente e traslucido che lasciava indovinare molto delle morbide curve sottostanti; catenelle d’argento trattenevano la camicia sulle spalle nude e le larghe maniche della vestaglia, che sfioravano terra. La delicatezza del tessuto rivaleggiava con quella della pelle, e Kili si sentì mozzare il fiato.
“Oh, Mahal…” alitò, con la voce arrochita.
Un passo, e fu davanti a lei. Liatris lo guardò con i grandi occhi azzurri pieni d’amore, e Kili fu perduto.
Le prese le mani nelle sue, e senza smettere di guardarla negli occhi, le avvicinò alle labbra.

Il cuore di Liatris batteva forte, quando Kili le girò attorno, attirandola fino a farle appoggiare la schiena contro il suo petto. Con una mano  le scostò delicatamente i capelli, mentre con l’altra la teneva stretta a sé, e un attimo dopo la bocca di lui fu sul suo collo.
Assaporò la pelle vellutata, inalando il profumo di fiori che emanava da lei. Il tempo perse qualsiasi senso.  I baci scescero dal collo alla spalla, fino ad incontrare la stoffa della vestaglia, ed anche quella scivolò lentamente a terra.

La giovane Nana sentiva un il calore salire dentro di lei, un fuoco percorrere il suo corpo e le ginocchia cedere, e si appoggiò contro la spalla di Kili, consentendogli un miglior accesso alla sua gola. Le mani abituate a stringere le armi erano delicatissime sulla sua pelle, un’infinita carezza lenta ed eccitante. Liatris era rapita nella magia tessuta dal suo amante, infiammata dal suo lento contatto, ma allo stesso tempo  aveva sete di toccarlo, di sentire i muscoli guizzare sotto la pelle, di ascoltarlo trattenere il respiro quando le dita di lei  sfioravano un punto particolarmente sensibile; ma invano. Il suo braccio la teneva stretta, e le mani di Liatris si alzarono, cercandolo, affondarono nella chioma bruna, mentre mugolii lasciavano le sue labbra, di piacere e di frustrazione in egual  misura.
Ad un tratto le mani di Kili furono sulle sue spalle, le catenelle che trattenevano la camicia da notte scivolarono lungo le braccia; la stoffa si accumulò delicatamente intorno ai suoi piedi, e due braccia forti la circondarono.  

“Kili… ti voglio.” Il sussurro penetrò nella nebbia che avvolgeva la mente del principe Nano, provocandogli una stretta allo stomaco. “Voglio vederti… e toccarti…”
La voce morbida e  roca gli provocava mille brividi, non poteva resistere al richiamo. Così alitò:
“Sì…” allentò la stretta e lasciò che lei si girasse. Il suo sguardo la percorse lentamente, fino ad incontrare gli occhi azzurri spalancati e fissi su di lui; ed in pochi secondi, senza rendersene nemmeno conto, si liberò di quanto ancora indossava.
Rimasero l’uno davanti all’altra, a contemplarsi alla luce della luna e del fuoco, una strana mescolanza di colori morbidi e di ombre guizzanti; poi lei fece un passo, e tutto il resto sparì.
Kili sollevò la sua sposa, che gli cingeva il collo con le braccia, la bocca sulla bocca; varcò la soglia della camera adiacente ed in pochi passi fu a fianco dell’immenso letto a misura d’elfo, che aveva fatto arrossire violentemente Ori quando avevano mostrato loro le stanze dell’appartamento.
Il principe si chinò per deporre Liatris sul piumino di seta, ma quando cercò di sollevarsi si accorse che le braccia che lo tenevano non avevano nessuna intenzione di lasciarlo andare; con un sorrisetto, si distese sopra di lei.

Non dormirono molto, quella notte. Se la loro prima volta, a Laketown, era stata magica per  l’esaltazione della scoperta l’uno dell’altra, dei loro sentimenti e del modo che ognuno aveva di esprimerli, ed era stata dolcissima ed eccitante nonostante le piccole esitazioni, i prevedibili  imbarazzi  e le conseguenti risatine; se allora erano due ragazzi che scoprivano di essere una coppia, la loro notte di nozze fu una canzone d’amore.
La consapevolezza di appartenersi, il pensiero che questa sarebbe stata la loro vita, da allora in poi, era ad un tempo eccitante e profondamente commovente, e portò un sapore del tutto nuovo al loro piacere.
“La prima cosa che vedrò domani mattina sarà il tuo sorriso,” sussurrava Kili, “ e tutte le mattine della mia vita…”
“Ogni notte sentirò il tuo calore ed il tuo respiro accanto a me, ti vedrò dormire…”
“Sentiti libera di svegliarmi ogni volta che vuoi,” fece lui con uno sguardo malizioso e pieno di sottintesi.
“Ma sei così dolce mentre dormi…”
“Mmmmh, ma da sveglio sono più interessante… e divertente…” il sorriso divenne più largo e lo sguardo negli occhi scuri infinitamente più caldo, mentre con un movimento improvviso la rigirava sotto di sé bloccandole le mani sopra la testa.
“Ooooh, che promesse intriganti…” sorrise  Liatris, socchiudendo gli occhi con uno sguardo invitante.
“Quando prometto, mantengo, mia signora… e te lo dimostrerò!”
“Non si sa mai cosa può succedere…”
“Anche se tornasse il Drago, lo lasceremo a farsi i suoi comodi. Tanto qui non ci arriva,” concluse, e le chiuse la bocca con un lungo bacio; quando si separarono in cerca d’aria, ricomparve il sorriso smagliante del giovane Nano.
“Niente Elfi a disturbare!” esclamò, e Liatris ridacchiò.
“Non si sa mai. Baciami, prima che succeda qualcosa.”

La luna era tramontata e le lampade di cristallo molato, alimentate da un olio profumato, illuminavano la stanza con una morbida luce soffusa. I due sposi, piacevolmente stanchi, giacevano abbracciati tra le lenzuola.
Liatris accarezzava dolcemente il petto di Kili, giocando con i morbidi peli scuri; le sue dita sfiorarono una delle cicatrici, ed il giovane Nano rabbrividì leggermente. Liatris si fermò ed alzò la testa.
“Ti fa male?”
“No, è solo… strano.” Prese la mano di Liatris con la sua e se la premette sul petto. “Così va meglio.”
“Ormai sono guarite.”
Kili fece un sorrisetto storto.
“Mi dispiace, non sono belle da vedere,” mormorò; ma Liatris lo guardò con occhi seri.
“Io amo queste cicatrici, perché sono parte di te… e le odio, perché ti hanno quasi portato via da me.”
Kili la abbracciò più stretta.
“E’ passata, ormai, e non ho rimpianti. Era l’unica cosa giusta da fare, e so che anche Fili la pensa così. Per lo zio che ci ha fatto da padre, non per il Nano che ci ha portato sull’orlo del disastro; ed ora ne sono felice.” Si spostò un poco, per poterla guardare in viso.
“Mi sono riconciliato con Thorin, Lia.” Lei trattenne il respiro.
“Quando?”
“Poco prima della cerimonia, Thorin è venuto da me…”

“Per quanto ti possa importare, sono molto fiero di te,”disse Thorin, “ stai riscattando tutti gli errori della tua famiglia, compresi i miei.”
La voce dell’ex Re di Erebor era bassa e rauca, e più volte gli venne meno.
“Mahal sa che hai rischiato la vita per me, e di certo non meritavo un tale sacrificio; e sa anche che ho gettato sulle tue spalle un fardello che non avrebbe dovuto mai essere tuo. La colpa è solo mia, ed il rimorso durerà fino alla fine dei miei giorni; vederti felice però rende il peso più sopportabile.”
“E’ stata una mia scelta; anzi, lo sono state entrambe. Nessuno mi ha costretto.”
“Ma il tuo onore non ti ha lasciato scelta.”
“Ti sbagli,” rispose Kili, “non è stato per onore.”

“In quel momento ho ricordato quello che mi dicesti una volta: lo segui per amore. Ho capito che era vero.” Liatris intrecciò le dita con quelle di Kili, gli sollevò la mano e ne baciò il dorso, tenendola poi contro la sua guancia. Il giovane principe  continuò, a voce bassa.
“Ho passato la vita cercando l’approvazione e la stima di Thorin; era il mio modello, e quello che ha fatto ha mandato in frantumi la mia illusione.”
“Kili, crescere significa anche vedere i nostri modelli per quelli che sono… creature che possono sbagliare.”
“E’ vero… ed in quel momento ho capito che quell’amore di cui parlavi c’era ancora, da qualche parte, ed era per quello che ho fatto quel che ho fatto.  E che forse, forse, si poteva ricominciare a costruire qualcosa. Lui non sarà più il mio re; ma forse può ancora essere  solo Thorin, mio zio.”
Gli occhi di Liatris erano lucidi. Aveva visto quel nodo, quel punto dolente, nel cuore di Kili, ed era bello pensare che forse lui poteva cominciare a guarire.
Si chinò a baciarlo sulla bocca; dopo alcuni istanti, delicatamente, a fior di labbra, baciò le cicatrici che segnavano il corpo del suo amato.
“Anche queste sono ferite d’amore, e mi fa piacere che tu ne sia reso conto. Ed è per questo, perché hai un cuore più grande di te, che ti amo tanto.”

 Liatris emerse dal sonno lentamente, e cercò di capire cosa l’avesse svegliata. Sorrise tra sé quando sentì un braccio forte stringerle i fianchi ed il calore del corpo di Kili contro il suo. Aprì gli occhi nella luce livida dell’alba e con stupore no vide alcuna parte del suo amato emergere dal caldo piumino che li ricopriva; così, incuriosita, alzò il lenzuolo.
Kili sussurrava a fior di labbra piccole frasi sull’onda di una dolce melodia, con la guancia appoggiata all’addome ancora piatto della sua sposa. Ogni tanto si interrompeva per lasciare un bacio leggero.
Un’ondata di intensa tenerezza travolse la giovane principessa, che accarezzò dolcemente i capelli bruni ed arruffati sparsi sul suo corpo.
Kili alzò lentamente la testa e la guardò: e Liatris vide che aveva gli occhi lucidi.
“Ho sognato di essere un bimbo in braccio a mio padre, e mi sono svegliato pensando che… che tra pochi mesi il piccolo sarà con noi, che potremo guardarlo negli occhi… mi sono chiesto a chi somiglierà… sarà parte di me e di te, ma anche qualcosa di completamente nuovo, diverso…” sussurrò. Poi tirò un profondo respiro.
“Mi sembrava… non so, che mi chiamasse… e così volevo fargli sentire che sono qui, che lo terrò sempre al sicuro, che ci sarò sempre per lui… che non sarà mai solo.”
Liatris era talmente commossa da non riuscire a proferire una sola sillaba: tese le braccia e Kili si strinse a lei, nascondendole il viso nel collo, e la giovane Nana sentì qualcosa di caldo e umido scivolare sulla sua pelle, ma non ci fece caso. Strinse a sé la testa bruna, vi appoggiò la guancia.
“Vi amo tanto, tutti e due,” sussurrò Kili, la voce soffocata.
“Anche noi ti amiamo, tesoro.”

 
ANGOLO AUTRICE
Aaaagh! Non mandatemi il conto del dentista, per favore! Ogni tanto mi faccio prendere la mano. C’è così poca dolcezza a questo mondo che sento il bisogno di mettercene una dose, anche perché più in là non ci sarà molto spazio per questo.
*ANGOLO DEL GRAZIE*
Ardesiia, Emouel, Inuiascia e LilyOok: grazie per avermi detto che il precedente capitolo, tutto sommato, non faceva poi così schifo. Vi ringrazio e lo lascio com’è, prima di combinare qualche pasticcio peggiore.
Un grazie particolare ad Eriz: sono commossa.   

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Capitolo 42
*** Dove tutto cambia in un istante ***


42 Dove le cose cambiano in un istante
42 Dove tutto cambia in un istante

“C’è qualcosa che non va.”
“Cosa intendi dire?” chiese Gwennis, tirando su con il naso. Il Nano la guardò, e un sorrisetto gli salì alle labbra. Lei era uno spettacolo.
Raggomitolata in una coperta da cui spuntava solo il viso, lo osservava con i grandi occhi in quel momento quasi neri. I capelli rossi arruffati erano più ricci e più indomabili che mai, a causa dell’umidità, e sparavano in tutte le direzioni, dandole un’aria buffa; le guance rosse come la punta del naso completavano il quadro. Lui la trovò tenerissima.
Faceva freddo. Pioveva a dirotto e l’umidità pervadeva ogni cosa e penetrava nelle ossa. In mancanza di meglio, i due Nani si erano rifugiati sotto una profonda sporgenza della roccia, giusto sufficiente a riparare loro ed il pony dalla pioggia e dal vento, ma non di più;  non c’era modo di asciugarsi dall’acqua raccolta prima di trovare una copertura; l’odore del pony bagnato era di quanto più sgradevole potessero immaginare, specie in uno spazio ristretto, e del resto anche loro stessi non dovevano profumare meglio, quindi erano fortemente tentati di isolarsi ognuno nel proprio spazio vitale… invano.
Era stato impossibile trovare legna asciutta, quindi  niente fuoco; erano affamati ma non abbastanza per mangiare scoiattolo crudo, quindi l’unica cosa rimasta da fare era raggomitolarsi nelle coperte per cercare di tenersi minimamente al caldo, rosicchiando gli ultimi resti di biscotti rinsecchiti conservati gelosamente fino ad ora, e sperando che la pioggia finisse presto.
In aggiunta alla situazione sgradevole, il Nano aveva iniziato a preoccuparsi sul serio.
“Sono quasi sicuro di essere già passato da qui,” disse, cercando di rinfrancare la voce e di smettere di battere i denti. “Sono giorni che vaghiamo tra queste montagne, senza alcuna logica. Cosa stanno facendo questi dannati Goblin? Una scampagnata in compagnia? ”
Le parole non dette aleggiarono tra loro.  

Gwennis lo fissò con aria attonita.
“Stai cercando di dirmi che abbiamo seguito  la gente sbagliata …?”
Il Nano scosse il capo.
“Di certo è il gruppo che ha incrociato gli Orchi approfittando dello scontro con la tua carovana.” Rispose. “Le tracce sono sempre state evidenti. Sono sicuro che Lirien sia stato catturato da qualcuno, altrimenti sarebbe tornato a cercarmi. Se non sono stati gli Orchi a riprenderselo, e siamo sicuri che non è così, chi altri c’era in circolazione?”
Il Nano non aveva mai dubitato che Lirien sarebbe tornato  a cercarlo se avesse potuto; l’Elfo lo aveva di proposito gettato fuori strada attirando gli inseguitori su di sé; e il guaritore orco aveva confermato la sua convinzione. Ma in quel momento si rese conto che forse c’erano altre possibilità e si maledì con tutto se stesso.
Come sua abitudine, cercò di analizzare la situazione.  Dopo tutto il pensiero logico è la tua specialità, no? O dovrebbe essere. Razza di idiota.
“E’ possibile che Lirien sia finito tra i Nani? Cosa sarebbe successo se l’avessero trovato loro?”
Gwennis riflettè un attimo.
“La gente della mia Signora Dìs non ama gli Elfi…”
“Sai che novità,” interruppe il Nano.
“… ma i messaggi giunti da Erebor hanno detto che nella grande battaglia i Durin hanno combattuto a fianco della gente del Bosco, ed inoltre Lady Dìs è prudente e di mentalità aperta. Chiederebbe spiegazioni all’Elfo, e di sicuro non lascerebbe un Nano  che ha combattuto per suo fratello in difficoltà. Avrebbe mandato indietro Lirien con una scorta.”
“Ma nessuno è venuto  a cercare te,” obiettò.
Il pensiero aveva spesso angustiato Gwennis. Aveva pensato che Dìs si fosse affezionata a lei, e si era aspettata che qualcuno venisse a cercarla; e ci era rimasta male quando il tempo era passato e nessuno era comparso. Però poi si era accorta di cosa poteva essere accaduto.
“Sai,” gli disse, “ se qualcuno è venuto mentre eravamo nel rifugio durante la nevicata, di sicuro non poteva trovarci. E se invece hanno trovato il pony che montavo, possono aver cercato nel posto sbagliato, o aver pensato che fossi finita nel fiume, o in qualche posto irraggiungibile…”
Il Nano sbottò in una sfilza di colorite imprecazioni. Gwennis aveva ragione. Si era ricordato che all’inizio si erano nascosti ad ogni segno di vita, senza controllare chi fosse. Era davvero possibile che Lirien non fosse con i Goblin.
E bravo! Ti sei lasciato trasportare senza pensare a tutte le possibilità. Complimenti, davvero.
E adesso?
C’era una cosa sola  da fare, e andava fatta al più  presto. Anzi, subito. Il Nano uscì dalle coperte, alla ricerca delle sue armi.
“Cosa stai pensando di fare?” chiese Gwennis, un po’ allarmata.
“Devo andare a dare un’occhiata al campo dei Goblin. Non mi sono mai avvicinato abbastanza a causa delle sentinelle, ma con questa pioggia non saranno così attente. Ed in ogni caso non ho scelta. Non possiamo seguire questa spazzatura all’infinito senza alcun costrutto.”
In breve aveva raccolto tutte le armi che aveva, nascondendosene alcune addosso in posti piuttosto difficili da identificare. Non si sa mai. Mentre cercava la sua orrenda ma utile cerata, incontrò un paio di occhi attoniti ed un po’ allarmati.
Oh, Mahal.
Si accovacciò accanto alla Nana ancora avvolta nelle coperte.
“Ehi! Tornerò tra poco. Me la sono cavata con gli Orchi, questi sono solo Goblin…” si rendeva conto che il suo debole tentativo di scherzare era del tutto fuori luogo, e la guardò serio.
“Non ho intenzione di correre rischi inutili, ma sai anche tu che l’unica alternativa è abbandonare la ricerca e questo … non posso farlo. Non posso, finchè esiste una possibilità che Lirien sia nei guai ma in qualche modo ancora raggiungibile.” Allungò la mano e le scompigliò i riccioli già arruffati, e per un attimo fu assalito da una sensazione di deja-vu.
Ho gia fatto questo per qualcuno.
“Aspettami per mezza giornata. Se non dovessi tornare, prendi il pony e dirigiti ad est, e verso il basso.  Se potrò, ti troverò. E se senti rumori strani, resta nascosta… e prepara la padella!”
Il Nano fu felice di vedere un piccolo sorriso salire alle labbra della rossa. Mahal com’era difficile lasciarla lì.
Pochi istanti dopo era scomparso.
    
“E’ necessario trovare una soluzione per quel maledetto oro. Non può restare lì dov’è.”
Kili si guardò attorno. La solita riunione mattutina, in cui veniva programmata l’attività della giornata e venivano affrontati e possibilmente risolti i vari problemi, era iniziata da poco.
Liatris e Bombur avevano fatto una breve relazione sui rifornimenti in arrivo e su quanto ordinato; Bofur aveva aggiornato sullo stato dei lavori di ripulitura; Dori aveva elencato i mobili e gli arredi di cui vi era maggiore necessità; ingegneri e costruttori avevano aggiornato sullo stato di agibibilità dei vari livelli,  e così via. Erano presenti anche Glòin, Balin e Dwalin, mentre Ori registrava le decisioni.  Gandalf e Bilbo non c’erano, impegnati nel fare i bagagli per il viaggio verso la Contea, mentre spiccavano per la loro assenza  Thorin e Dàin. E di punto in bianco Kili aveva buttato sul tavolo la questione, causando un improvviso silenzio.
“Occupa un sacco di spazio che potrebbe essere meglio impiegato. E non voglio quell’incubo proprio dietro la sala del trono.”
Guardò i suoi collaboratori, in attesa che qualcuno dicesse la sua. Il primo a prendere la parola fu Dwalin, che sospirò pesantemente.
“Presto creerà un problema di sicurezza. La sala è troppo esposta, ha troppe entrate e non posso sorvegliarle tutte. Per ora, i lavori si concentrano dalla parte opposta della Montagna, ed è possibile assegnare compiti da svolgere in questa zona solo a Nani selezionati tra quelli dei Colli Ferrosi, dei Monti Grigi e delle Montagne del Nord,  e scegliendo solo quelli che hanno già deciso di restare e quindi non hanno interesse a farsi buttare fuori; ma presto ci sarà troppa gente e non possiamo controllare tutti.”
“Ho già separato la parte di Dàin,” intervenne  Glòin, “ ammassandola nelle stanze vicine all’uscita e sotto la sorveglianza dei suoi.  Ho compensato i guerrieri che hanno aiutato nella prima ripulitura e sono ripartiti per le loro case. Ho pagato i rifornimenti agli Elfi e pago velocemente tutti quelli che consegnano qualcosa, ma ho solo scalfito la superficie. Quell’oro è troppo.” Poi ridacchiò. “Non posso credere di averlo detto.”
In quel momento Gandalf e Bilbo fecero la loro comparsa.

“Beh, qui qualcuno ha diritto ad un quattordicesimo di quella roba, no?”
Kili guardò Bilbo con uno sguardo sornione, e l’hobbit lo fissò con aria attonita.
“Chi, io? Che cosa?”
“Un quattordicesimo di tutto quell’oro è tuo, Bilbo: te lo porterai via?”
L’hobbit ridacchiò mentre si sedeva a fianco di Gandalf.
“In una cosa quel maledetto Drago aveva ragione: quando hai scritto quel contratto, Balin, qualcuno ha pensato a come avrei potuto portarmi via il mio compenso?”
Il vecchio Nano ridacchiò a sua volta.
“In effetti no. Si vede che non avevamo molta fiducia nelle tue possibilità di cavartela …” tutti risero, compreso Bilbo.
“Questo è certo,” continuò l’hobbit. “Io di sicuro non ci ho pensato, ma a mia discolpa posso dire che non immaginavo certo che il tesoro fosse così immenso. E comunque no, grazie tante, non mi prenderò nessun quattordicesimo: vuol dire che me lo amministrerà Balin e tornerò a trovarvi spesso.”
Kili sospirò.
“Quindi non mi aiuterai a risolvere questo dannato problema. Almeno però prenderai quello che un paio di pony possono portare: non sopporto l’idea che, dopo tutto quello che hai passato, non ne ricavi nemmeno qualcosa. E questo vale anche per te, Gandalf: la Casa di Durin è in debito.”
“Accetterò  qualcosa, Kili, non si sa mai che mi serva per il futuro. In ogni caso ho avuto tutto quello che volevo da questa avventura: il Drago è morto, Erebor è e resterà un caposaldo contro l’Oscurità a venire…”
Un rombo improvviso salì nella mente di Kili, sovrastando la voce del mago, e la sua vista si annebbiò.  

Ombra e tenebre, squarciate da solchi di fuoco che si infrangevano contro la Montagna, una marea nera si agitava  davanti alle Porte chiuse… e tamburi, tamburi nella notte, e urla e sangue…

“Kili! Kili, mi senti? Rispondi!”
Il giovane principe riemerse alla coscienza, sconvolto. Il suo cuore batteva al ritmo dei tamburi. Un lungo brivido gelido gli salì lungo la spina dorsale,  mentre si guardava intorno attonito. Si scosse come un cane che esce dall’acqua;  si rese conto della mano sulla sua spalla  e si voltò  per incontrare lo sguardo ansioso di Liatris.
“Kili…?” sussurrò lei.
“Sto bene, amore,” rispose Kili a bassa voce,  coprendole  la mano con la sua. “Mi sono solo distratto un momento.” Si accorse di avere la bocca asciutta e faticava a parlare. “C’è un po’ d’acqua?”
La preoccupazione era evidente negli occhi di Liatris mentre gli porgeva un bicchiere. Lo stava guardando, prima, ed aveva visto il suo sguardo farsi  improvvisamente vitreo e remoto; e quasi subito aveva iniziato a tremare, il viso sconvolto.  Cosa sta succedendo?

“Stai bene, ragazzo?” La voce  interrogativa era quella di Balin. Kili annuì, non fidandosi di parlare.  Finì di bere.
“Tutto a posto, un colpo di tosse finito male. Continuiamo pure.”
L’intera scena doveva essere durata non più di dieci secondi,  e quasi nessuno si era accorto di quello che era effettivamente successo, oltre a Liatris. Kili rabbrividì.
Devo davvero parlare con Oìn, e subito. Devo scoprire cosa mi sta accadendo, altrimenti finirò per impazzire.
Ricompose l’espressione, tirò un profondo sospiro e si guardò intorno, notando con intimo sollievo che nessuno lo stava guardando come se gli fosse cresciuta un’altra testa sulle spalle; ma quando  arrivò a Gandalf, gli occhi del mago ridotti a due fessure e le labbra strette gli dissero che almeno uno non si era fatto ingannare.
“Giovane Kili, credo che dovremo fare due chiacchiere in privato, più tardi.”
Oh, per la barba di Durin.
Kili stava rapidamente vagliando tutti i possibili atteggiamenti da assumere.
Di cosa stai parlando, Gandalf? Va tutto bene.
Sono ancora un po’ stanco, mi stavo addormentando e ho fatto uno strano sogno.
Sai, ogni tanto ho delle visioni: sarà grave? Sto impazzendo o in realtà sono un indovino?

La porta si aprì improvvisamente e gli occhi di tutti si spostarono sui nuovi venuti.
Dàin e Thorin entrarono nella sala e fu subito evidente che era successo qualcosa di grave: Dàin teneva un foglio srotolato in mano, ed era più serio di come l’avessero visto da molto tempo, lui, che aveva scherzato anche di fronte a più di un esercito. E Thorin…
Thorin si appoggiava pesantemente al bastone, anche se negli ultimi tempi spesso lo aveva abbandonato. Non aveva perso la sua dignità, ma era pallidissimo ed i suoi occhi erano vuoti come dopo Azanulbizar.  Dàin guardò il cugino,  con una domanda nello sguardo, ma Thorin scosse il capo e gli fece un cenno con la mano. Procedi.
Kili si ritrovò aggrappato ai braccioli, gli occhi spalancati ed il respiro affannoso. Sapeva, sapeva cosa stava succedendo e …no, no, non è vero…
Dàin prese fiato.
“Sappiamo cosa è accaduto al principe Fili.  Mi dispiace… è … è morto.”

Il Nano si ripulì il viso dalla pioggia e guardò meglio.
Poi ancora.
Lasciò il  nascondiglio dietro un folto rampicante e si spostò silenzioso tra gli alberi, facendo attenzione a non scivolare  sul terreno fradicio e ringraziando la violenza della pioggia che, se da una parte lo ostacolava, almeno copriva con il  suo scroscio  ogni altro rumore. Aggirò il piccolo accampamento dei Goblin, scrutando le forme dormienti ad una ad una.
Ad una ad una. Poi ancora, da capo.
Alla fine dovette arrendersi all’evidenza. Si lasciò cadere sul fogliamo fradicio e marcio, sentendosi improvvisamente privo di forze.
Era stato tutto inutile. Nessuno del piccolo gruppo poteva essere Lirien. L’Elfo non era lì.
Un richiamo gutturale lo raggelò. Proveniva da un punto pochi metri dietro di lui.
Oh, Mahal. E’ finita.

Angolo Autrice
Mi diverte quando la fantasia deve fare i conti con la realtà. Libro e film si dilungano sull’immensità del tesoro, ma a nessuno viene in mente che bisogna pur farci qualcosa? Metterlo da qualche parte? Si lascia alla portata di qualunque idiota che vuole prendersi un souvenir? L’unico dotato di buon senso è proprio Smaug. Nel film l’argomento non viene fuori, ma nel libro i Nani durante la ricerca parlano spesso di come si sarebbero diviso il tesoro in quattordici parti, e cosa ognuno avrebbe fatto con la sua … senza minimamente preoccuparsi di come e dove portarselo. Con una carovana di migliaia di muli?
Va bene la fantasia, ma, gente, un po’ di sano buon senso non guasta; ed è così che è stato  inventato il sistema bancario.

Angolo del grazie
Brevissimo perché sono di fretta.
Inuiascia, Emouel, jodie_always
eva_black : benvenuta! Mi fa piacere aver attirato la tua attenzione
Eriz : mi è piaciuto moltissimo il tuo messaggio personale. Ti risponderò a parte ma un ringraziamento pubblico ci sta.
tutti i lettori silenti, che amo dal profondo del cuore.
Alla prossima
Bacio
Idril

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Capitolo 43
*** La sorte di Fili ***


43 La sorte di Fili
Buongiorno! Mi scuso per il tremendo ritardo, ma questo capitolo mi ha davvero messo in difficoltà. L’ho modificato e rimodificato, e l’ho addirittura riscritto un paio di volte. Alla fine spero di aver raggiunto il risultato. Per non influenzare il vostro giudizio, esporrò i miei dilemmi alla fine. Buona lettura!

43 La sorte di Fili

Ho uno strappo nel polsino.  In seguito, ogni volta che avrebbe ripensato a quel momento, il più vivido ricordo di Kili fu di aver notato di avere uno strappo nel polsino della camicia.
Chissà come me lo sono procurato.
Il silenzio raggelato, le  seguenti esclamazioni di sorpresa dei Nani intorno a lui, i gemiti costernati, tutto il brusìo gli sfuggì completamente, come se fosse dietro una lastra di vetro talmente spessa da ottundere ogni rumore.  
Freddo, silenzio. Vuoto.
Niente. Non sentiva niente.

Un tocco fermo, caldo e familiare, una mano sulla sua spalla, dita sottili intrecciate alle sue. Il guscio ghiacciato che lo circondava si sciolse un po’ quando Liatris, in piedi al suo fianco, gli appoggiò la guancia sui capelli, e tornò a percepire, in lontananza, le voci accanto a lui.
“Come… come lo sai, cugino?” sempre presente a se stesso, Balin.
Dàin si schiarì la voce.
“Sapete che mio figlio Nàin si è ripreso poco tempo fa, vero? La cosa più difficile” sospirò, “è stata dirgli di suo fratello.” Il fiero Signore dei Colli Ferrosi abbassò gli occhi un attimo, mentre la voce gli moriva in gola.
“Sapete come succede, quando perdi qualcuno all’improvviso. Ti tornano in mente particolari come le ultime parole scambiate, i sorrisi, le battute, magari i litigi…”

“Vedrò di lasciartene qualcuno, fratellino.”
“Dovrai essere molto veloce, Fee. Sai che corro più in fretta di te.”

“… Nàin ricordava l’ultima volta con suo fratello. Avevano riso fino alle lacrime perché gli amici di Gràin, quelli che lui chiamava la sua Guardia Personale… un Branco di Mocciosi, come li chiamava invece  Nàin… avevano ingaggiato un tatuatore e si stavano facendo fare tutti lo stesso tatuaggio, con l’immagine della Montagna Solitaria.”
Dàin sorrise, un piccolo mezzo sorriso malinconico.
“Ma tutti sapevano che Gràin odiava gli aghi, per cui si stava preparando al suo turno ingurgitando quanto più sidro possibile! E quando Gràin superava il suo livello alcolico, diventava irresistibile, sarebbe riuscito a far ridere anche quel damerino biondo e lisciato di un Elfetto.”

Il giovane Nano seduto nel letto, con una vistosa fasciatura intorno alla testa, rideva e piangeva allo stesso tempo, mentre parlava di suo fratello.
“Quello sciocco! Non so come siano riusciti a convencerlo. Mentre parlavamo, i suoi Mocciosi arrivavano, uno dopo l’altro, con il braccio dolorante, ed il sidro scorreva a fiumi. Alla fine Freòr, che era l’ultimo, si è avvicinato e gli ha tirato una pacca sulla spalla tanto potente da mandarlo a gambe levate, poi gli ha detto ‘Ehi capitano, tocca a te!’ e Gràin è diventato bianco come un cencio e sembrava sul punto di vomitare. Ha detto qualcosa come ‘Oh Mahal ma devo proprio?’ ed allora i ragazzi lo hanno sollevato di peso e se lo sono portati fin dentro la tenda del tatuatore, mentre lui un po’ protestava e  un po’ ridacchiava… ed è stata l’ultima volta che l’ho visto.” Dàin, con gli occhi lucidi, sedette sul letto del figlio e lo attirò in un abbraccio da orso. Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine dei corpi martoriati di Gràin, di Freòr e dei loro amici, dilaniati dai Warg e quasi irriconoscibili. Avrebbe proibito a chiunque di parlarne a Nàin, non per un lungo tempo… ricordò di aver visto il nuovo tatuaggio sul braccio sinistro di Freòr, e forse anche su qualche altro corpo.
Il respiro gli si fermò in gola.
Non ricordava di aver visto nulla sul corpo di Gràin.

“Non ho detto niente a nessuno, tanto meno a Nàin,” continuò Dàin. “E non ero sicuro di cosa ci fosse o no sul corpo che avevamo identificato come Gràin, per i suoi capelli biondi e perché era proprio al centro del gruppo. Avevo pensato che i suoi Mocciosi l’avessero difeso fino all’ultimo… però ho  mandato un messaggio a casa, ed ora ho ricevuto la risposta.”
Nel silenzio di tomba che aveva accolto le sue parole, Dàin aprì il documento che aveva in mano.
“Il mio sacerdote ha controllato, tenendo la cosa più riservata possibile così che nessuno sapesse. Come ho detto,” si schiarì la voce un’altra volta, “non c’è rimasto… molto. Ma sul braccio sinistro, per certo, non c’è alcun tatuaggio. Non è mio figlio. Può essere solo il vostro ragazzo.”

Balin chinò il capo, e così fecero gli altri Nani. Tranne Kili.

Kili aveva ascoltato il racconto di Dàin con la mente vuota. Non riusciva a pensare a niente. L’idea che suo fratello fosse morto gli era così estranea che il concetto non riusciva a raggiungerlo; era qualcosa che non gli apparteneva.  Però.  
Il suo cervello si mise faticosamente in moto, per esaminare la questione da tutte le angolazioni, per vedere,  per capire…
Una ridda di pensieri si incrociarono nella sua mente.
Usa la ragione, Kili! Come può essere vivo?
Ma io sono sicuro! Lo so!
Una voce beffarda, dal fondo della sua mente. Ah, davvero? E come lo sai?
Un sussurro, una frase fastidiosa, sentita chissà dove, chissà da chi… una vena di follia scorre profonda nella stirpe di Durin.
Il bisnonno, il nonno, lo zio… tutti  prima o poi cadono nella follia!
Ma Thorin ne è uscito!
Ah, sì? Ma se tu stesso non ne sei sicuro! E sei sicuro di essere sano di mente, tu? Ostinarsi contro ogni ragionevolezza non è follia?

All’improvviso l’idea “Fili-morto” lo investì come una valanga. In un battito di cuore fu di nuovo su quel campo di battaglia, qualche istante prima del buio, e sì, così mi sono sentito… esattamente come adesso.

L’asta che affondava nel petto, il  suo petto, il colpo, tanto violento da fargli perdere l’equilibrio, lo stupore nella sua mente,  Mahal cosa sta succedendo,  ed i suoi occhi che cercano quelli di Fili, perché lui ha sempre tutte le risposte, ed eccolo, Fili, che viene verso di lui, ma oh il dolore lancinante, accecante, e la sua visione si offusca, adesso tutto diventerà nero, come allora, il buio, e basta dolore, e…

Ma questa volta non è così. Due braccia lo circondano, lo tengono, una voce sussurra dolci parole; e poi una mano sulla spalla, grande e calda, così familiare e così confortante. Thorin.
Il buio arretra, e le voci intorno a lui tornano ad avere un senso.

“… oggetti personali?.. No..”
Dàin scosse il capo, e Kili si rese conto che stava rispondendo ad una domanda, forse di Bilbo. “Niente che si potesse identificare con certezza come appartenente  o non appartenente a mio figlio.” il Nano si morse un baffo. “Era tutto molto… confuso; dopo la battaglia il campo era… una macelleria. Nessuno ebbe modo o tempo di esaminare i luoghi o raccogliere oggetti; inoltre i ragazzi spesso si scambiavano tra loro armi e oggetti personali, ma non è rimasto nessuno di loro a cui… chiedere.”

Fili è morto. Mio fratello è morto.
Eppure… morto significa freddo dove c’era calore, vuoto dove c’era una presenza. Papà è morto. Come allora… Quel posto caldo dentro di lui  che all’improvviso non c’era più. Solo il freddo, il vuoto… e la paura, un dolore quasi fisico, come se una  parte della sua anima fosse stata strappata via. Ma Fili non è questo.

E, quasi come una risposta immediata a quei sentimenti, davanti ai suoi occhi spalancati esplode l’immagine di Fili, come se suo fratello fosse a pochi passi da lui, tanto vicino che Kili pensa che se allungherà la mano potrà toccarlo.  
Fili è lì. Serio, concentrato. Molto vivo.

No.

Kili tira un profondo respiro e raddrizza le spalle che, senza che se ne accorgesse, si erano incurvate in avanti. Alza la testa e guarda a destra, incrociando lo sguardo preoccupato di Liatris; gli occhi di lei sono  lucidi e Kili si sente invadere dalla tenerezza.
Con delicatezza, si scioglie dall’abbraccio e con la punta delle dita spazza via una lacrima che sta scivolando sulla guancia delicata.
“Non piangere,” sussurra, “ non c’è motivo.” Le dita cercano e trovano quelle di Liatris, si intrecciano in un tocco confidente.
Kili guarda a sinistra, ed alzando gli occhi  incontra quelli di Thorin.
Scalda il cuore, averlo lì, così vicino; è devastato dal suo proprio dolore, ma il suo primo pensiero è stato per Kili: come una volta, come tanti anni fa, quando lo zio era la sicurezza.
L’altra mano copre quella del Nano più anziano, ed i suoi occhi mandano un messaggio inequivocabile.
Fidati di me.

Il Reggente di Erebor, stirpe di Durin, si guardò intorno, guardò i Nani seduti intorno al tavolo, scossi, sconvolti, Ori in lacrime; ma Kili era pronto, ormai.

 “Non è Fili. Non se sia tuo figlio, mio signore, o qualcun altro; ma non è Fili.”

Un silenzio attonito accolse queste parole. La mano sulla sua spalla strinse la presa, ma Thorin non parlò; fu Balin, occhi tristi come non mai, a mormorare:
“Kili… capisci che non può essere, vero…per quanto possiamo desiderarlo, Fili non tornerà.”

Kili si alzò in piedi, facendo scorrere lo sguardo sui presenti. Quasi tutti sembravano condividere il parere di Balin, tranne due.
Bilbo aveva l’espressione più perplessa che gli avesse mai visto; sembrava avere un milione di domande senza riuscire a trovare il coraggio di esprimerle, e Kili capì che si stava chiedendo se avesse il diritto di intervenire. Fidati del tuo istinto, Bilbo; se c’è qualcuno che può arrivare alla verità, quello sei tu.
E Gandalf.
Il mago stava scrutando lui, Kili, con un’espressione concentrata ed impenetrabile.

“So che la pensate così,” la voce di Kili era piana ed uniforme, “ma vi sbagliate.”
Ed all’improvviso la sala fu troppo bassa, troppo angusta, troppo soffocante; il giovane principe sentì che doveva uscire di lì.
“Zio,” mormorò brevemente a Thorin, “parleremo più tardi.” Sempre tenendo strette le dita della moglie, in pochi secondi uscì dalla sala.
“Thorin!” la voce di Gandalf risuonò imperiosa. “Non te ne andare! Devo parlare con te. E..” si guardò intorno rapidamente, “… con Balin, e Ori. E, sì, Bilbo, resta anche tu. Chi è il vostro miglior esperto di tradizione, Oìn? Trovatelo!”
Con un turbinare di vesti grigie, il mago fu sulla soglia della porta; si voltò brevemente:
“Torno subito!”
E sparì.

Pochi passi con le sue lunghe gambe bastarono al mago per raggiungere il principe nano e la sua sposa.
“Kili! Ascoltami!”
L’interpellato si fermò e si voltò, un’espressione decisa sul viso.
“Gandalf, se stai cercando di convincermi che…”
“Cos’hai visto?”  
Kili pensò che in quel momento Gandalf mostrava il suo vero essere come era accaduto poche volte; e lui stesso era oltre qualsiasi ragionamento e calcolo. In quel momento fu tutto istinto, e con una beffarda espressione di sfida, ribattè:
“Quando?”
Gli occhi azzurri socchiusi lo squadrarono con espressione impenetrabile.
“Adesso. Due minuti fa.”
“Ho visto Fili. E’ vivo, e…” ma fu interrotto un’altra volta.
“Com’era?”
La domanda lasciò Kili perplesso.
“In che senso? Era Fili.” Gandalf scosse il capo, impaziente.
“Come appariva? Com’era vestito? Da viaggio, da battaglia…”

Il giovane Nano ammutolì. Ecco il particolare che aleggiava nella sua mente senza che lo potesse definire. Qualcosa di… sbagliato.
“Era diverso. I capelli, i baffi… niente solite trecce. Ed era vestito in uno strano modo.”
Improvvisamente Kili si sentì la bocca asciutta ed il cuor e in gola.
“Era già successo? L’hai già visto, Fili?”
Alla domanda secca ed imperiosa, il Nano annuì.
“Hai visto altro?”
Altro cenno affermativo.
“Sensazioni, ansia immotivata… sogni?”
Gli occhi spalancati di Kili fornirono al  mago tutte le risposte che desiderava. Kili riuscì ad articolare solo qualche parola, con un filo di voce:
“Sì… cosa significa, Gandalf?”
“Significa che ho davvero bisogno di parlare con te, giovane amico mio.”
 

Angolo Autrice
Allora! La difficoltà è stata descrivere lo stato d’animo di Kili.
Nella mia testa, Kili è impulsivo, appassionato, sensibile; coraggioso fino alla sconsideratezza, un po’ ingenuo, e non abituato alle responsabilità. Come molti giovani, si sente invincibile.  Un discolo; ma è anche intelligente e molto intuitivo. Questo all’inizio del viaggio.
Il percorso lo rende molto più prudente e riflessivo; impara ( a caro prezzo) a pensare e valutare prima di agire. Quindi a questo punto è in difficoltà, perché il suo cuore gli dice che Fili è vivo, ed una volta non avrebbe avuto remore ad agire in base al suo cuore; ma adesso è stato costretto ad imparare a fare i conti con la realtà, e la realtà si scontra con i suoi sentimenti.
A voi l’ardua sentenza: sono riuscita a far capire quello che volevo? Vipregovipregoviprego fatemi sapere! Sto iniziando una fase complicata e ho bisogno di incoraggiamento
Un abbraccio grandissimo
Idril
*** E
HI!!! GRAZIE A TUTTI !!! Questa storia ha superato le 4000 visite!!!***

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Capitolo 44
*** Jeli ***


44 Jeli
44  Jeli

Thorin si lasciò cadere sullo scranno lasciato libero da Kili; appoggiò i gomiti sulla tavola e affondò il viso nelle mani. Riconobbe immediatamente la mano che si era posata sulla sua spalla, e sussurrò, con voce atona:
“Credevo di essere pronto, Balin… sapevo che non c’erano speranze. Eppure, in fondo, un piccolo barlume era rimasto, ed ora… è proprio finita.” Trasse un profondo sospiro e con uno sforzo, raddrizzò le spalle e guardò i suoi amici ugualmente affranti. Lentamente, appoggiandosi al bastone, si alzò, indossando la sua dignità come un mantello. O un'armatura, piuttosto.
“Almeno, potremo portarlo a casa. Riposerà tra i suoi antenati, come ha meritato per il suo sacrificio. Non è una consolazione, ma non possiamo fare altro.”
Dàin si avvicinò, e, senza parlare, abbracciò il cugino. Nelle ultime settimane si erano molto avvicinati.

Il Signore dei Colli Ferrosi guardò l’ex re con gli occhi lucidi: Dàin non si vergognava delle sue lacrime.
“Ti chiedo un favore. Non.. non dirò niente a Nàin, per ora. Non è in condizioni di sopportare false speranze, e so che si illuderebbe troppo; voglio che accetti la perdita… perché io non ho dubbio alcuno che Gràin sia morto, sebbene non si trovi nella sua tomba. Puoi aspettare un poco… almeno finchè saremo a casa? Tuo nipote riposa presso di noi onorato come un principe di Durin ed un eroe di guerra; dammi un po’ di tempo per Nàin.”
Thorin annuì.
“Non c’è alcuna fretta. Dìs è in arrivo, ed ogni decisione tocca a lei. Per ora terremo questa notizia per noi della Compagnia.” Poi sospirò. “Oh, Mahal. Non sono ansioso di informare mia sorella; e Kili… Kili è troppo scosso, adesso. Ha bisogno di tempo; confido che Liatris lo possa aiutare.”
Dàin annuì.
“Vorrei poter dire lo stesso per mio figlio.”

“Thorin, cerca di tenere duro.” Balin richiamò l’attenzione del cugino dopo che Dàin ebbe lasciato la stanza.
“Balin, ho paura per Kili.” Il vecchio Nano aggrottò le sopracciglia.
“Perché? E’ stato un brutto colpo, ammetto, ma il ragazzo è forte. Se la caverà, ci vorrà solo un po’ di tempo…” ma Thorin scosse la testa.
“L’hai visto? Era così convinto. Nessun dubbio, non prende nemmeno in considerazione l’idea di essersi sbagliato riguardo a Fili. E’… ossessionato.” L’ultima parola fu sussurrata a voce talmente bassa da poter essere udita a malapena, ma bastò per Bilbo.
“So a cosa stai pensando. Lévatelo dalla testa!”
Thorin alzò il viso e l’Hobbit ammutolì, colpito dall’espressione sconvolta. Il Nano sembrava invecchiato di cento anni in un momento.
“Bilbo, è il nostro sangue… è … è maledetto, e… Mahal!”
“Sciocchezze!”
“Tu non sai come ti senti… non hai dubbi, mai, mai!... sei così sicuro… e non ti accorgi che la tua mente si perde, che  quell’unico pensiero finisce per ingoiare tutto il resto, e faresti qualunque cosa, e niente è più importante se non la tua ossessione… Mahal, non sopporterei di vedere Kili spendere la vita alla vana ricerca di suo fratello!”
“Ti garantisco che non lo farà, Thorin. Di sicuro non gli importa granchè del Regno, ma ha sua moglie, presto suo figlio: non li abbandonerà per una ricerca, per quanto la possa ritenere  importante. Fidati di lui.”
“Smettila di pensare al passato!” intervenne bruscamente Dwalin, “E’ un brutto vizio che non hai  mai perso. Sempre a rimuginare! Hai sbagliato, sei rinsavito, è finita. Punto.”
Balin fece un piccolo sorriso malinconico.
“Fidati di mio fratello per andare all’essenziale!” poi proseguì. “Thorin, ti sbagli. Io lo so. Ho visto i segni, ricordi? Ho visto quando iniziavi a perdere la tua mente, e ti ho avvisato. Non ravviso niente del genere in Kili, nemmeno lontanamente. Quel ragazzo è più equilibrato e forte di tutti noi, te lo garantisco… anche se ogni tanto riesce a farmi fermare il cuore con qualche novità. Non ho più i nervi saldi a sufficienza per stargli dietro.”
“Balin ha ragione,” concluse Bilbo. “Se Kili non riesce a credere che suo fratello sia morto, non è certo segno di qualche genere di follia.”
“Ben detto, Bilbo Baggins! E se la mia impressione è giusta, c’è in lui molto più di quanto tutti noi abbiamo mai pensato!” la voce tonante dello stregone fece voltare tutti i presenti, mentre il Mago Grigio entrava a passo deciso nella stanza, seguito da Ori, Oìn e gli altri Compagni.

“Cosa intendi dire, Gandalf?”
“Non credo che tu sappia, Bilbo, quello che ci disse Inglor  poco dopo la battaglia, quando Kili era ancora in fin di vita; eravamo così preoccupati per lui che la cosa passò nel dimenticatoio.”
Thorin annuì.
“Ricordo. Disse che in lui c’era qualcosa che non riusciva a definire, che era diverso dagli altri Nani, e che il suo destino gli sfuggiva. O qualcosa del genere, non che io ci abbia mai capito niente. Né mi importava: mi bastava che fosse vivo. E sinceramente in questo momento non mi importa molto delle stravaganze dei folletti del bosco!”

Gandalf guardò Thorin con uno sguardo intenerito e molto, molto vecchio.
“So che sei addolorato, Thorin; e credimi quando ti dico che farei qualunque cosa per ridarti Fili. Perché era davvero qualcosa di speciale, non solo la stoffa di un grande Re.”
Le lacrime scivolavano nelle barbe.
“ Non posso farlo; però posso tranquillizzarti per quanto riguarda Kili, almeno credo… ho dei sospetti,  ancora non so. Però…”
I Nani e Bilbo guardarono Gandalf ad occhi sgranati, aspettando spiegazioni.

“Inglor, probabilmente non lo sapete, è uno degli Elfi più vecchi della Terra di Mezzo; non ne sono certo, ma credo che abbia vissuto in Valinor prima del Ritorno.” Esclamazioni stupefatte si levarono dai presenti.
“Ma stiamo parlando di Ere fa! Migliaia e migliaia di anni! Prima della nascita del  Sole!”  esclamò Ori, incredulo. Oìn scosse il capo.
“Perché no? Gli Elfi sono immortali! Potrebbe essere.”
“Oìn ha ragione. Per certo la Signora di Lòrien, Dama Galadriel, è nata nelle Terre Immortali, ed è forse la più antica rimasta della stirpe dei Noldor, esclusi quelli che rimasero in Aman. Oltre a ciò, Inglor ha la Vista, cosa che gli è molto utile nel lavoro di guaritore.”
Ancora una volta, Oìn annuì.
“Molte tradizioni ne parlano. Quanto ci sia di vero, però…”
“Di sicuro Inglor ha Visto qualcosa. Di recente ho avuto poco da fare, quindi ci ho pensato su, e mi sono venute alcune idee; ed oggi è successa una cosa strana, che mi ha fatto capire di essere, forse sulla strada giusta. Thorin, “chiese il mago, cambiando improvvisamente tono, “so che Kili è figlio di tua sorella, ma chi era il padre dei ragazzi?”

Per qualche secondo calò un silenzio attonito. La domanda sembrava strana e fuori luogo.
“Jeli? Era un vecchio amico, quasi un fratello. Fui io a farlo conoscere a Dìs.”
“Ma non era un Longbeard, vero?”
“No.” Thorin rimase un attimo pensieroso, e guardò Dwalin. “In effetti non ho mai saputo di che tribù fosse, anche se ho sempre pensato a lui come un Firebeard, perché veniva da Gabilgathol.”
Gandalf si raddrizzò, attento.
“Ah, veniva da Gabilgathol?”
“Ci disse che aveva tagliato i ponti con la sua famiglia, e non facemmo altre domande. E’ vero che non aveva i capelli rossi, ma non tutti i Firebeards li hanno.” Guardò Oìn, che annuì.
“Mia madre era una Firebeard,  ma non era rossa, anche se Glòin ha preso da nostro nonno. Non sapevo che Jeli fosse di Gabilgathol, avevamo parenti là. Magari lo conoscevano.”
“Allora non sembrava così importante. Lo incontrammo a Brea, ricordi, Dwalin? Al Puledro Impennato.  Era un cacciatore, un esploratore ed occasionalmente una guida per le carovane. Una specie di Ramingo.”
“Stavamo scortando un gruppo dei nostri verso Ered Luin,” ricordò Dwalin, “ed eravamo a corto di uomini. Gli Orchi e gruppi di banditi ci avevano infastidito per tutte le Terre Selvagge, e cercavamo guardie per l’ultimo tratto di strada. L’oste ci indicò Jeli.”
“Era un bel Nano, e Kili me lo ricorda molto;  sebbene abbia i lineamenti di Dìs, gli occhi sono quelli di Jeli, così come la struttura fisica, più agile, alto e snello della media dei Nani. Lo stesso atteggiamento spavaldo e scanzonato, di chi non prende il mondo troppo sul serio, e non ha bisogno di altro che della sua libertà; e il sorriso. Kili sorride esattamente come suo padre, ed è altrettanto affascinante.”
“Un combattente letale,” grugnì Dwalin, “sia con l’arco che con quei suoi lunghi coltelli. Niente ascia, ed amava poco anche la spada: diceva che nei boschi non c’è spazio per roteare niente senza inciampare in qualche ramo o radice e finire nei guai. In compenso lanciava pugnali e stiletti senza mai fallire il colpo, ed anche strani aggeggi a forma di stella: mortali.”
“Ci fu molto utile, in quella circostanza; e quando arrivammo ad Ered Luin lo invitai a fermarsi con noi,” spiegò Thorin. “Rimase per l’inverno, e in primavera andò con alcuni dei nostri a scortare le carovane; non era il tipo che si fermasse a lungo in un solo posto. Ma alla fine lo fece.”
“Per Dìs,”  rievocò Balin con un sorriso malinconico.

“Ovviamente, quando mia sorella iniziò ad interessarsi di lui…”
“O meglio quando tu te ne accorgesti,” ridacchiò Dwalin, “cioè quando la cosa andava avanti da un paio d’anni…”
Thorin lo guardò storto.
“Non sono così  distratto!”
“Certo che no. Se lo dici tu…”
Thorin sbuffò.
“Sia come sia, Balin ed io pensammo fosse necessaria qualche informazione sulla sua famiglia. Dìs ovviamente non l’ha mai saputo…”
“Ti avrebbe strappato la barba, pelo per pelo o tutta insieme… a tua scelta,” ridacchiò Dwalin.
“Quindi non gliel’ho detto; ma per quanto stimassi Jeli, dovevo essere preparato a qualsiasi problema potesse sorgere in futuro. Così chiesi a qualcuno di informarsi, con discrezione,  della famiglia a Gabilgathol.”
“Venne fuori,” continuò Balin, “che Jeli proveniva da una buona famiglia; suo padre era un ricco mercante ed una persona stimata in città. Lui stesso era noto come ‘il ragazzo andato in cerca di avventura’, ma tutti lo ricordavano con simpatia. Tanto ci bastò, e non chiedemmo oltre. Non c’è altro, che io sappia.”
“Aspetta!”  Dwalin si raddrizzò sulla sedia. “Non erano venuti quei due Nani…”
Thorin e Balin si guardarono con espressione interrogativa.
“Ma sì!” continuò Dwalin. “Cercavano la famiglia di Jeli e qualcuno li mandò da te…” già mentre parlava, l’ex re annuì.
“Sì, hai ragione. Fu forse un anno dopo la morte di Jeli. Dissero di aver saputo che aveva lasciato dei figli e avevano chiesto di vederli. In realtà mi fecero una buona impressione, e chiamai mia sorella…”

Dìs invitò i due Nani ad accomodarsi e servì il tè.  Thorin pensò che sua sorella non era mai parsa tanto regale… quasi altezzosa. La sua espressione era impenetrabile e il fratello decise di non intervenire.
“Allora, cosa volete dalla famiglia di Jeli?” chiese infine la Nana, con voce fredda.
“Mia signora, sappiamo che Jeli ha avuto due figli. Chiediamo che vengano nella città del loro padre per conoscere la loro famiglia, come è giusto…”
“Decido io cosa è giusto per i miei figli, signori miei.”
“Ovviamente saresti la benvenuta se volessi unirti a loro, mia signora…”
Gli occhi di Dìs divennero due fessure; Thorin capì immediatamente che i due Nani avevano perso la partita con quell’unica frase, e strinse i denti in attesa della burrasca che stava per scatenarsi sui due ignari; ma Dìs riuscì a sorprenderlo.
“Non siete i primi a venire. E so cosa volete, o meglio cosa vuole chi vi manda. Avete già avuto la vostra risposta da Jeli, quattro anni fa, e trovo estremamente meschino che ci si riprovi adesso che lui non c’è più. La mia risposta è la stessa che mio marito diede ai vostri predecessori: ‘Se mio fratello vuole conoscere i suoi nipoti, come parente e consanguineo, la mia porta è aperta per lui; ma nessuno esaminerà i miei figli, per nessun motivo.’ Men che meno permetterò a nessuno di toccare i miei bambini, è chiaro?”

“L’espressione di quei Nani a questa risposta non mi piacque affatto. Così dissi che i ragazzi erano principi di Durin, eredi al trono di Erebor, e che chiunque avesse osato qualcosa contro di loro avrebbe dovuto vedersela con tutti i Longbeards. Tanto bastò; i due si congedarono, e non li vedemmo mai più.”
“Non hai chiesto spiegazioni a tua sorella?” chiese Gandalf, che aveva seguito il racconto con molto interesse. Thorin lo guardò di traverso.
“Si vede che non conosci Dìs. Se avesse voluto farmi sapere qualcosa, me l’avrebbe detto.”

“Tutto questo dove ci ha portato?” chiese infine Balin. Gandalf ribattè:
“Vi chiedo questo, e pensateci: è possibile che Jeli appartenesse alla Settima Tribù?”

Un silenzio attonito accolse queste parole, seguito poco dopo da una serie di esclamazioni.
“La Settima Tribù? I Broadbeams?”
“Ma non esistono!”
“Si sono estinti nella alla fine della Prima Era!”
“E’ roba dei Tempi Remoti!”
“E’ una leggenda!”

“Ehm… scusate,” azzardò Bilbo appena il chiasso si smorzò un poco. “Chi sono i Brod… Brom…?”
“Sono una leggenda!” intervenne Glòin.
Gandalf, indifferente a tutte le proteste, continuò a guardare Oìn, come aveva fatto negli ultimi minuti. Unico tra tutti, il Nano sordo non aveva fiatato.
“Sono  una leggenda, Oìn? O c’è qualcosa di più?”



Angolo autrice
Bene. Si parla delle tribù dei Nani! Secondo la tradizione, e  secondo il web, sarebbero sette: in inglese, i nomi sono : Longbeards ( la gente di Durin), Firebeards, Broadbeams, Stiffbeards, Ironfists, Blacklocks, Stonefeet.  Le traduzioni italiane sono per lo più orrende,  (Lungobarbi, Barbafiamma, Vastifasci – o Grandiraggi o Ampiacinta, o addirittura Largotronco (!) – Bardedure – o Barbagelata , Pugnidiferro, Riccineri – ho visto perfino un improbabile Nerachiave – e Piedipietra) quindi ho deciso di lasciare le forme originali. Secondo la tradizione, dopo il Risveglio i Nani si stabilirono nelle loro rispettive zone: i Firebeards a Gabilgathol, i Breadbeams a Tumun-zahar ( Nogrod, la città del famoso Fabbro Telchar, che, tra le altre cose, avrebbe forgiato la spada Narsil… quella di Elendil, per intenderci), i Longbeards a Kazad-dum, le altre quattro tribù nei Monti Rossi ad est, una catena che corre da nord a sud come le Montagne Nebbiose. E’ chiaro che Thorin & Co. sono Longbeards, vero?
Gabilgathol e Tumun-zahar furono distrutte nella Caduta del Beleriand alla fine della Prima Era ( e leggetevi Il Silmarillion,  se ancora non l’avete fatto!). E qui finisce il mio rispetto della tradizione. Tutto il resto me lo sono inventato! Compresa la Tribù Perduta -  eheheeh.
Spero di avervi incuriosito un po’, giusto per compensare l’attesa.
ANGOLO DEL ** GRAZIE***
Inuiascia, LilyOok, Emouel, jodie_always : la vostra fedeltà mi commuove!
Floffy_95 : Benvenuta!
Didi95: la tua recensione è bellissima. Grazie di cuore.

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Capitolo 45
*** Un atto di fede ***


45 Un atto di fede
45 Un atto di fede

Kili si fermò davanti alla grande porta-finestra del soggiorno. Si costrinse a respirare regolarmente, lentamente, rilassando i muscoli; sciolse i pugni che aveva stretto tanto che le unghie avevano lasciato segni sui palmi.
Stava piovendo. Una tipica pioggia primaverile, uggiosa e grigia. La Montagna gocciolava da ogni sasso e la pianura era cosparsa di pozze di acqua fangosa, ma qua e là un verde tenero annunciava l’arrivo della primavera. Sarebbe bastato qualche giorno di sole perché la nuova vita esplodesse per tutta quella che una volta era stata la Desolazione di Smaug. Era come se la presenza del drago avesse intossicato la terra, che ora, libera da quel dominio, aspettava solo di rinascere.
Come la Montagna. La vita ferveva laddove solo pochi mesi prima regnava solo il silenzio, il gelo e la rovina. Ad Erebor manca solo il suo Re.

Le braccia di Liatris gli cinsero la vita e Kili sentì la sua giovane sposa stringersi a lui, appoggiandogli il capo sulla schiena. Accarezzò le mani che si muovevano delicatamente sul suo petto, le prese e se le portò alle labbra.
“Per Durin, non può essere che basti la tua presenza a rasserenarmi,” sussurrò, baciando le dita calde strette tra le sue.
Una risatina sommessa  gli mandò un brivido lungo la schiena.
“Era  esattamente quella la mia intenzione,” la voce bassa e roca alimentò il brivido; ma Kili aveva una domanda che necessitava di una risposta. E subito. Si sciolse dall’abbraccio e condusse la sua amata verso il divano.
“Devi chiederti una cosa.”
“Dimmi.”
“Liatris, tu… a proposito di Fili, tu mi credi? Credi che io abbia ragione, che tornerà? O è solo una mia follia?”

Eccola. Liatris si aspettava questa domanda da mesi, forse fin dal suo primo colloquio con Thorin, quando il Re le aveva detto che Fili doveva essere considerato perduto. Ci aveva pensato spesso;  e, stranamente, aveva più volte cambiato idea su quale dovesse essere la risposta.  Voleva essere assolutamente onesta con Kili; e d’altra parte voleva che il suo pensiero fosse chiaro… e non era facile. Così esitò un momento.
“Non devi dirmi che mi credi perché mi ami!”  sbottò Kili.
“Allora dovevi fare una domanda diversa!” ribattè Liatris. “Io ti amo, quindi certo che ti credo! Ma non è questo che vuoi sapere, in realtà, quindi lasciami trovare il modo di spiegarti cosa penso.”
Liatris intrecciò le dita con quelle di Kili.
“La mia mente mi dice che tuo fratello non può essere vivo. Questa è l’unica risposta a cui porta la logica: è passato tanto tempo. Qualunque cosa sia successo, se è in gamba come tutti pensano,  avrebbe trovato il modo di tornare, o almeno di mandare notizie di sé. Se è come dice Dàin, che è sepolto nei Colli Ferrosi? Non ne ho idea, ma la mancanza di un tatuaggio non mi sembra una prova risolutiva. Potrebbe essere chiunque.”
“Quindi  pensi che io mi stia illudendo..?” sussurrò piano Kili, ed il dolore era talmente evidente sul suo viso che Liatris si sentì spezzare il cuore. Gli gettò le braccia al collo per un attimo e lo tenne stretto; poi gli sussurrò all’orecchio:
“Non ho detto questo.”  Lo lasciò, riprese le mani di lui tra le sue e lo guardò; la sua espressione smarrita le fece venire una voglia irresistibile di baciarlo e di coccolarlo, ma si dominò: era importante.
“Questo è quello che mi dice la ragione. Però negli ultimi tempi, per ben due volte mi hai chiesto di fare qualcosa di assolutamente irrazionale, o meglio assolutamente privo di motivazioni logiche, ed io ti ho dato ascolto solo perché ti amo e mi fido di te.”
Kili aggrottò le  sopracciglia, un’espressione interrogativa stampata in viso. Liatris sorrise.
“Non ti preoccupare! Entrambe le volte sono state ottime idee. Anzi, se non ti avessi ascoltato non so cosa sarebbe accaduto.”  Un lampo di comprensione attraversò gli occhi castani
“Stai parlando della sera dell’attacco…”
“Esattamente.”
Kili ripensò a quel giorno, alla sensazione di allarme che aveva provato. Era sicuro, sicuro, che sarebbe successo qualcosa… ed era successo. Ma perché?
“Mi hai svegliata, mi hai buttata fuori dalla tenda in piena notte. Senza fornirmi una spiegazione, né allora né mai. Ed io ti ho ascoltato solo perché me l’hai chiesto tu: chiamalo un atto di fede, se vuoi. Che con ogni probabilità ha salvato la vita ad entrambi.”
Kili si ritrovò la bocca asciutta. Liatris aveva ragione.
“Sapresti spiegarmi, adesso, perché mi hai chiesto di andare da Dwalin? Non era ancora accaduto  niente, lo so: ho sentito le prime urla quando ero già fuori.”
Kili scosse il capo. Aveva avuto tanti pensieri, dopo, era stato talmente occupato che il particolare gli era sfuggito di mente, ma ora tutto gli sembrava chiaro.
“No, non lo so. Era così e basta.” Rabbrividì. “Per Durin, mi sto spaventando da solo!”
“E non era la prima volta.”
Questa volta il viso di Kili era un punto interrogativo, e Liatris ridacchiò.
“Bene, potrei offendermi. Hai dimenticato quella notte nel boschetto di noccioli? Prima della battaglia?”
“Certo che no!” esclamò Kili con un sorriso  malizioso. “Sei riuscita a non farmi sentire il freddo in una notte di dicembre…”  poi improvvisamente divenne serio, ed il sorriso svanì in un’espressione stupita.  Aveva ricordato perché  quella notte aveva seguito Bilbo fuori dalla Montagna, perché aveva fatto di tutto per vedere Liatris.

Kili gettò indietro il cappuccio, mostrando il volto,  e la sua espressione tormentata colpì l’hobbit come una mazzata.  Il nano continuò:
“Quando abbiamo saputo che il drago aveva attaccato Laketown, mi sono sentito morire. Ho pensato alle mille cose brutte che avrebbero potuto accaderle… ma in fondo al cuore sentivo che lei stava bene, che se le fosse accaduto qualcosa… beh, l’avrei saputo. Ma adesso, ho un peso che mi opprime l’anima, sento che devo… devo vederla, subito, questa notte.” Chinò il capo, smarrito, affranto. “Non mi piace la nostra situazione. Ho delle brutte sensazioni, come… sai, come quando sta per scoppiare un temporale, l’aria è ferma,  non si muove una foglia, e tutto sembra trattenere il respiro in attesa del disastro. Non sono questi eserciti davanti a noi, no; è qualcosa di diverso, di ben più  terribile.”

“Ti chiesi di tornare a casa tua, perché  sapevo che non saresti stata al sicuro all’accampamento. Ci sei andata, suppongo?”
“Sì. Ed è stata un’ottima idea. Quella zona dell’accampamento è stata attaccata da una legione di Orchi, e ci sono stati moltissimi morti. L’ho saputo qualche giorno fa, del tutto per caso, da Sigrid.”
Kili ammutolì. Adesso era davvero  spaventato. Fissò Liatris ad occhi spalancati, e sussurrò:
“Cosa… cosa diavolo sta succedendo nella mia mente…? Sto forse impazzendo, sto… sono un Durin, dopo tutto, ed abbiamo la tendenza ad andare fuori di testa!”
“Non dire una cosa del genere, non pensarlo neanche!”
La reazione di Liatris fu immediata e decisa.
“Scommetto che Gandalf sa di cosa si tratta. Ti ha fatto domande incredibilmente precise, giusto?”
“Sarà qualche diavoleria elfica, che ne dici… magari qualche intruglio che mi hanno fatto bere mentre mi curavano per le ferite…?”  Kili sembrava decisamente preoccupato, e Liatris non potè fare a meno di ridacchiare.
“Beh, potrebbe, ma in ogni caso mi sembra piuttosto utile, non credi?” ma in quel momento la mente di Kili aveva compiuto l’ultimo passo logico.
“Allora è vero… se è così, allora Fili è vivo!”
Liatris scosse il capo.
“Beh, mettiamola in questo modo: finchè non avremo la prova certa della sua sorte, io  continuerò a pensare che probabilmente è morto, ma mi comporterò come se tu avessi ragione.”

Lui la guardò con finta ammirazione.

“Un capolavoro di diplomazia, amore mio. Sono impressionato.” Ridacchiarono entrambi.
“No, sul serio: non ha senso combattere contro le convinzioni altrui e contro la logica. Però comportati come se lui fosse vivo, quindi non smettere di cercarlo. Con buon senso, però! E parla con Gandalf.”
Kili annuì. Si sentiva decisamente meno stordito, ora che le cose sembravano avere un senso, anche se strano; ed avere una strada da percorrere era in qualche modo rassicurante.
“Non ho certo intenzione di saltare su un pony e percorrere in lungo e in largo la Terra di Mezzo urlando il nome di Fili,” affermò il giovane principe, “almeno finchè non avremo qualche indizio. Ed è esattamente questo che sta già facendo il nostro amico subdolo con la pettinatura a stella;  raccogliendo informazioni e pettegolezzi da tutti quelli che arrivano alla Montagna. E prima o poi qualcosa salterà fuori.”
Raddrizzò le spalle e trasse un respiro profondo.
“E adesso… andiamo avanti.”

Quando Kili entrò nella Sala che aveva lasciato poco prima, colse immediatamente una atmosfera strana, come di… attesa. E si accorse che era presente l’intera Compagnia, e nessun altro.
Molto appropriato.
“Amici miei, mi scuso per essermene andato.” Un mormorio di protesta salutò queste parole. Ori, sempre emotivo, si alzò ed andò ad abbracciarlo, e Kili capì che tratteneva a fatica le lacrime.  Oh no, Ori, non fare così, altrimenti piangeremo tutti, e …  ricambiò l’abbraccio con una stretta rassicurante, anche se dovette deglutire più volte per riuscire a controllarsi. Quindi si staccò delicatamente dal giovane scriba e si rivolse agli altri.
“So esattamente cosa vuole Fili: che faccia il mio dovere nei confronti del Regno e della gente di Durin, al suo posto, e scapparmene via non è stato appropriato. Possiamo continuare la nostra riunione.”
Thorin si alzò a sua volta ed andò a fronteggiarlo; gli occhi dell’anziano ex Re erano più azzurri che mai, e con uno sforzo alzò una mano per appoggiarla sulla spalla del nipote.
Fu Kili, stavolta, ad abbracciarlo, e la stretta dello zio, il suo odore familiare, un misto di tabacco  e cuoio, lo rincuorò più di quanto avesse pensato.
Quando si sciolsero, dopo un momento, Kili ignorò gli occhi lucidi dei Compagni, pur avendoli visti benissimo; più difficile fu ignorare Bilbo che si soffiava rumorosamente il naso.  
Gandalf provvide  a rompere l’atmosfera emotiva prima che tutti si sciogliessero in lacrime.
“Ah, Kili, ragazzo, vieni qui a sederti vicino a me; stiamo proprio parlando di te,  o meglio di tuo padre.”
Sorpreso dalla piega inaspettata della conversazione, Kili spalancò gli occhi.
“Cosa c’entra mio padre?”
Glòin grugnì, imitato da Dwalin.
“Gandalf, qui, si stava inventando che tuo padre fosse un Broadbeam!”
Il giovane principe rimase senza fiato.
“Ma di cosa diavolo state parlando? Non era un Longbeard?”  così dicendo si voltò a guardare Thorin, che si era di nuovo seduto.
Lo zio scosse il capo.
“No, non lo era. Tua madre non vi ha mai detto niente di lui?”
Kili scosse il capo, attonito. Istintivamente allungò la mano a cercare quella di Liatris, che stava fissando tutti senza capire cosa stesse succedendo. I due giovani sedettero su una panca accanto a Gandalf, guardandosi intorno stupiti.
“Fili ed io avremmo avuto molte domande, ma ci siamo accorti che mamma soffriva quando si parlava di lui, così abbiamo smesso.”
“Cosa ricordi di lui, Kili?” chiese Gandalf.
Il giovane Nano scosse il capo di nuovo.
“Ero molto piccolo quando morì, e ricordo poco. Papà che mi gettava in alto e mi riprendeva, o che mi  insegnava a riconoscere le stelle… ma cos’è questa storia?”
Che strano, pensò Kili, non ho sentito nominare papà per anni. Non ci ho mai pensato molto, in realtà, ed ora capisco che ci sono molte più cose di lui che non so di quanto pensassi. E proprio ora che lo sogno  quasi tutte le notti!  O non era poi così strano? Il pensiero aleggiò nella sua mente.

“Ma insomma!” si lamentò Bilbo. “non ci capisco niente. I sette eserciti, le sette tribù, i sette padri dei Nani… e adesso mi sembra di capire che le tribù sono sei? Com’è possibile?”
Balin, sempre paziente, rispose a Bilbo.
“Ragazzo, è un po’ complicato per chi non è un Nano. Sono tradizioni molto antiche, e …”
“Molto segrete, grazie tante!” esplose l’Hobbit. “Giorni celesti, ma vi piacciono così tanto i misteri?”
Gandalf intervenne con una risatina.
“Calma, Bilbo, vedrai che chiariremo tutto. Qui però c’è qualcuno che non ha ancora detto una parola, ed è proprio il migliore esperto di tradizione che abbiamo. Vero, Oìn? Non credere che non me ne sia accorto.”
Il vecchio Nano si portò la tromba acustica all’orecchio.
“Sai, non sento molto bene, quindi in questa confusione… cosa vorresti da me?”
Kili pensò, non per la prima volta, che la sordità di Oìn sembrava stranamente selettiva.
“Bilbo non ci capisce più nulla, tra le sette tribù, i sette padri ed i sette eserciti. Vuoi spiegarglielo tu?”
Oìn ridacchiò.
“Beh, Bilbo, il numero sette è considerato magico per noi. Comunque, lascia da parte per ora i sette eserciti, che non c’entrano: cosa sai dei Sette Padri dei Nani?”
“Che erano… sette?”


Angolo autrice
Ciao!
Non mi sembrava plausibile che Liatris non avesse un’opinione riguardo alle stranezze di Kili, né che lui non le chiedesse mai cosa ne pensasse; quindi, ecco qui. Anche perché così collego un po’ di puntini per chi si fosse perso in questa storia che sta diventando lunga come la Bibbia.
GRAZIE***
A Daenerys 21 e Halinor_Mira_Black94 : benvenute! Davvero vi siete letti tutti i millemila capitoli di seguito? *Molta ammirazione*
Didi95 e Inuiascia : fedelissime, grazie.

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Capitolo 46
*** La leggenda del Settimo Nano ***


46 La leggenda del settimo nano
46 La Leggenda del Settimo Nano

“Nei tempi Remoti, quando i Valar ancora si aggiravano su Arda affacendandosi per renderla sempre più bella e riparare ai guasti causati dal dispetti di Melkor, Aule,  il Valar, che noi chiamiamo Mahal, lavorava nella sua fucina per creare opere sempre più raffinate per abbelllire Arda. E fu lì, nell’oscurità della Terra di Mezzo, che i Nani furono creati ; infatti, tanto era il desiderio che egli nutriva per l’avvento dei Figli, onde avere allievi cui insegnare la propria sapienza  e le proprie arti, da essere poco propenso ad attendere il compimento dei disegni di Eru. E fece i Nani, così come sono ora, perché il potere di Melkor si stendeva su Arda; e desiderava pertanto che fossero forti ed inflessibili. Ma per timore che gli altri Valar biasimassero la sua opera, lavorò in segreto; e produsse per primi i Sette Padri dei Nani in un’aula sotto le montagne della Terra di Mezzo.”

La voce di Oìn era quasi ipnotica, e tutti i presenti, anche se conoscevano la storia, ascoltavano rapiti. Kili allungò un braccio ed attirò a sé la sua sposa, finchè Liatris non si raggomitolò contro il suo fianco appoggiandogli il capo sulla spalla.

“Ora, Eru sapeva quel che si stava compiendo, e, nel momento in cui l’opera di Mahal fu terminata, ed egli ne era compiaciuto e già prendeva ad insegnare ai Nani il linguaggio che aveva elaborato per loro, Eru gli parlò, e Mahal ne sentì la voce e si azzittì.
‘Perchè hai fatto questo? Perché hai tentato ciò che sai supera il tuo potere e la tua autorità? Chè tu hai avuto da me quale dono solo il tuo essere e niente altro; sicchè le creature della tua mano e della tua mente possono vivere solo grazie a tale essere, muovendosi quando tu pensi di muoverle e rimanendo inerti quando il tuo pensiero è altrove. E’ questo che vuoi?’”
“Ma Mahal rispose: ‘Non volevo un tale dominio. Desideravo cose diverse da me, da amare e ammaestrare, così che anch’esse potessero percepire la bellezza dell’Universo da te creato. Mi è parso infatti che in Arda ci sia spazio sufficiente per molte creature, che in essa possano gioire, eppure Arda è ancora del tutto vuota. E nella mia impazienza sono caduto preda della follia.  Ma il desiderio per la  creazione di cose è  dote che tu mi hai donato nel crearmi. E cosa dovrò fare io, ora, perchè tu non sia irato con me? Come un figlio a suo padre, ti offro queste cose, l’opera delle mani che tu stesso hai creato. O preferisci che io distrugga l’opera della mia presunzione?’”
Il silenzio nella stanza era assoluto. L’incantesimo della voce di Oìn aveva avvinto tutti i  presenti.

“E così dicendo prese un grande martello per ridurre a pezzi i Nani; e piangeva. Ma Eru ebbe compassione per Mahal, e i Nani si rattrappirono alla vista del martello, e chiesero mercè. E la voce di Eru disse: ‘Ho accettato la tua offerta fin dal primo momento. Non vedi che queste cose hanno ora una  vita propria e parlano con voci proprie? Altrimenti non si sarebbero rannicchiate al tuo gesto ed al suono della tua volontà.’  Allora Mahal gettò il martello e rese grazie ad Eru; ma l’Uno non aveva finito.”

“Disse Eru: ‘Come ho conferito essere ai pensieri degli Ainur all’inizio del Mondo, così ora ho accolto il tuo desiderio e gli ho assegnato un posto in esso; ma non tollererò che costoro compaiano prima dei Primogeniti da me progettati, o che la tua impazienza sia ricompensata.  Queste creature ora dormiranno nelle tenebre sotto il sasso, e non ne usciranno finchè i Primogeniti non siano apparsi sulla Terra; e fino ad allora tu ed essi attenderete, per lunga che possa sembrare l’attesa. Ma quando il tempo sarà venuto, io le risveglierò ed essi saranno come tuoi figli.’  Così Mahal prese i Sette Padri dei Nani e li pose a giacere in luoghi remotissimi; e fece ritorno a Valinor e attese.”   

“E fu così che, dopo il Risveglio degli Elfi, anche i Padri dei Nani si destarono dal loro sonno e si aggirarono per Arda, fondando le loro città ancestrali. Durin si destò sotto il Monte Gundabad, - sì, Bilbo, quel  Monte Gundabad, e questo è un altro motivo che i Nani hanno per nutrire odio verso gli Orchi, che hanno occupato i nostri luoghi più sacri! Durin camminò   nelle Montagne Nebbiose fino a Kheled-Zaram; ivi  ammirò la Corona delle Sette Stelle,  e fondò il grande Regno di Khazad-Dum. Degli altri, due si destarono sotto il Monte Dolmed , e fondarono Gabilgathol a nord e Tumun-Zahar, la Città Santa, a sud e da loro discesero rispettivamente i Firebeards ed i Broadbeams; i rimanenti si destarono nel lontano Est, sotto i Monti Rossi, e vi fondarono le loro città. E sebbene Durin, il nostro antenato, primo Padre, fu sempre venerato come il primogenito, il più grande ed il più saggio, ciononostante fu al più giovane, l’ultimo ad essere creato, il Settimo Nano, che fu affidato il compito di custodire  le Sacre Memorie, cioè i Segreti delle Arti che Mahal il Creatore insegnò al suo popolo. E fu così che il Settimo Nano, il cui vero nome è un segreto ormai perduto, fondò la Città Santa, e vi costruì il Grande Tempio di Mahal e la Biblioteca dei Segreti, ed i suoi discendenti li custodirono e ne aumentarono lo splendore. Con l’andare del tempo, la Biblioteca divenne un grande centro di sapere; vi insegnavano sia i sacerdoti Broadbeam che esperti di ogni genere; e lì coloro che venivano selezionati studiavano le Arti, cioè i segreti che permettono di plasmare la materia, pietra e metalli; l’arte di costruire, di scavare miniere, di trovare le ricchezze della Terra ed estrarle senza danneggiarla, siano esse pietre preziose ma anche materie prime, ma soprattutto la fusione dei metalli.  Ferro, acciaio, oro, argento, rame: come estrarli e lavorarli fino a farne opere d’arte. E l’arte più sacra di tutte, la lavorazione del mithril,  detto anche argentovero.  A Tumun-Zahar fu fabbricato il Grande Gioiello, la Nauglamìr; l’Elmo-di-Drago del Dòr-Lomin, ed Angrist il coltello di Beren;  ed ivi Telchar forgiò Narsil, la spada i cui frammenti vedemmo a Gran Burrone.”

Bilbo sospirò, affascinato dal racconto; mentre Ori scriveva furiosamente sul suo taccuino, o forse disegnava.
“La Biblioteca divenne anche la più grande raccolta di scritti di qualsiasi origine; ed i sacerdoti insegnavano ad allievi particolarmente dotati anche i segreti del pensiero astratto, la storia ed il sapere di tutte le regioni di Arda, la diplomazia e la politica, e spesso i sovrani di altri regni chiedevano l’assistenza ed i consigli dei Saggi del Tempio, quando si trovavano in gravi difficoltà, perché si diceva che la loro sapienza fosse immensa.”
“Ma alla fine della prima Era, come sapete, i Valar scesero in guerra contro Melkor per l’ultima volta, in quella che fu chiamata la Guerra d’Ira, e la Terra di Mezzo ne fu devastata; tutte le regioni più ad Ovest si inabissarono nel Grande Mare, compresi i Monti Azzurri, di cui ora rimane solo una piccola parte; e Tumun-Zahar e Gabilgathol perirono. Più tardi, i Firebeards ricostruirono la loro città, molto più a nord; e lì, nella nuova Gabilgathol,  tutte  le tribù contribuirono alla costruzione del nuovo Tempio, e quel poco che fu salvato dal disastro fu riunito nella Grande Biblioteca. Ma la Città Santa non fu mai ricostruita, ed i Broadbeams semplicemente scomparvero come tribù; i sopravvissuti, se ve ne furono, si confusero con le altre genti e persero la loro identità; e la Grande Biblioteca di Gabilgathol con la sua Scuola è solo una pallida ombra di quella che fu.”

“Questa storia è affascinante,” osservò Bilbo, “ma non ho capito una cosa.”
Gandalf ridacchiò.
“Scommetto che so quale. Il nostro Oìn sta convenientemente omettendo esattamente quello che sa che io voglio che racconti.”
Oìn rispose piuttosto piccato.
“La storia la sto raccontando io! Posso farlo a modo mio? E comunque, vediamo se hai ragione! Bilbo?”
L’hobbit sospirò.
“Perché fu scelto il Settimo Nano? Non sarebbe stato più logico che il depositario dei Segreti fosse il vostro Durin, il più anziano, il più venerato?”

“D’accordo, Gandalf!” sbottò Oìn. “Ho timore di sapere dove stai andando a parare, ma se vuoi seguire questa strada… bene.”
Si rivolse a Bilbo, ma anche i Nani più giovani erano molto attenti.
“Il Settimo Nano era… speciale. Ti avviso che questa è semplicemente una leggenda, antica e poco nota, comunque.”

“Come sapete, la sposa di Mahal è Yavanna, la Dama Verde, Signora dei boschi e delle foreste.  Quando attraverso la Contea, Bilbo, penso che di sicuro la Signora benedice la vostra terra. E sebbene spesso, ai tempi della costruzione di Arda, lavorassero separati, tuttavia si  amavano teneramente, ancora oggi è così e sempre sarà; però non sempre si sono trovati d’accordo. Ed una volta, mentre Mahal lavorava alla creazione dei Nani, e prima che Eru intervenisse, Yavanna si accorse  che suo marito le stava nascondendo qualcosa. Escluso che si trattasse di una tresca con un'altra delle Valier (e chi mai? Quella piagnucolosa di Nienna?) decise che doveva saperne di più, quindi aspettò che Aule uscisse dal laboratorio, come al solito, per la passeggiata pomeridiana da una montagna all'altra. Si aggirò per la fucina e scoprì quasi subito il mistero: Aule stava costruendo qualcosa, o meglio qualcuno... o meglio ancora sette qualcuno. Sembravano compiuti, tutti tranne l'ultimo, e Yavanna non resistette alla tentazione di allungare una mano e cn il dito sfiorò la fronte della creatura. "

“Il tocco di Yavanna non rimase senza traccia, e subito essa  si rese conto che l’opera di Mahal era stata in qualche modo modificata. Seccata che sarebbe stata scoperta dal marito a ficcare il naso come una servetta pettegola,  cercò di cancellare l’impronta, ma invano. Rimase a contemplare la creatura,  decidendo cosa dire a Mahal … sono passata di qui per caso, ti stavo cercando… quando lui inaspettatamente entrò, e capì immediatamente cosa fosse successo.”

“ ‘Mia amata sposa, vedo che non hai resistito a non ficcare il tuo bellissimo nasino nelle faccende che non ti competono,’ disse; ma sorrideva. Yavanna arrossì per l’imbarazzo, sollevò il suddetto nasino con aria  saccente e rispose: ‘E tu, marito mio, non dovresti  tenermi segrete le tue opere! Ma vedo chiaramente il motivo delle tue azioni, anche se sono veramente molto addolorata ed avvilita  che tu non ti sia fidato abbastanza di me! Cosa ho  mai fatto per meritare tale trattamento?’

“Ma brava!” squittì Bilbo. “Ha rivoltato la frittata!”
“Certo!” ridacchiò Oìn. “Perché così fanno tutte le mogli del mondo, non lo sai?”
Kili si chinò a baciare Liatris, e sussurrò:
“Tu non rivolti le frittate, vero..?”
La giovane Nana lo fissò da sotto le ciglia semiabbassate.
“Sono lusingata che tu lo creda…” e questo lasciò il marito leggermente perplesso.

“Comunque,” continuò Oìn, “dopo che Mahal si fu debitamente scusato, e Yavanna, nella sua magnanimità, lo ebbe perdonato, entrambi osservarono il Settimo Nano, senza riuscire a stabilire che conseguenze avesse avuto il tocco di Yavanna. Alla fine Mahal sospirò: ‘Bene, lo vedremo quando prenderanno vita. Per ora mi sembra solo un po’ più sottile degli altri, sarà meglio che lo faccia un po’ più resistente.’ Ma Yavanna lo fermò. ‘Non è necessario che siano tutti uguali! Non è bella la differenza tra la quercia ed il frassino?’ ancora una volta la moglie la spuntò, e quindi si dice che i Broadbeams siano stati  più alti e magri degli altri Nani, proprio come i frassini a confronto con le querce.”

Istantaneamente tutti si voltarono verso Kili, che si guardò attorno smarrito.
“Ehi! Cosa state pensando? Anche Thorin è alto, e ho ancora tempo per diventare più robusto! E poi,” aggiunse, “pensavo che i Broadbeams avessero larghe cinture, cioè una pancia alla Bombur, quindi io proprio…”
Oìn ridacchiò.
“E’ un’opinione comune, ma è sbagliata. Il nome si riferisce alle cinture con gli attrezzi che, secondo la leggenda,  i grandi artigiani portavano intorno ai fianchi.”
“E poi?” Ori richiamò l’attenzione di Oìn.

“Quando il suo lavoro fu finito, Mahal iniziò a parlare con i Sette Padri, e ad insegnare loro il linguaggio che aveva elaborato; e capì subito che il Settimo Nano  comunicava molto più facilmente degli altri, ma non ebbe tempo per studiare la cosa. Fu solo dopo il Risveglio che si rese conto di quanto il suo ultimo figlio fosse diverso: e capì che, mentre gli altri respiravano il soffio della terra da cui venivano, ed erano affini alla roccia, ai metalli ed a tutti i doni del sottosuolo di Arda, e ne sentivano l’essenza, come tutti i Nani, l’Ultimo Padre sentiva anche il soffio della vita che ardeva sopra la terra, e parlava il linguaggio delle creature animate, così come Yavanna. E  percepiva quindi la completezza di Arda; e fu per questo che a lui furono affidate le Sacre Memorie, perché Arda è una, e nel lavorarla non bisogna privilegiarne un aspetto  anziché un altro, animato o inanimato, ma tutta va preservata e rispettata.”
“Ed il Settimo Nano ed i suoi discendenti adempirono all’incarico dei Valar loro creatori; e si dice che il loro Dono abbia avuto molti aspetti diversi,  dalla preveggenza alla percezione dei pericoli, o alla capacità di scoprire le menzogne, di presentire i cambiamenti climatici, i disastri naturali, o le grandi disgrazie, o semplicemente di comunicare con le creature viventi.”

“Non gli servì molto,” grugnì Dwalin, “visto che la loro città fu distrutta e loro stessi scomparsi!”
“E chi lo sa?” ribattè Oìn, in tono enigmatico.

“E quindi ora le tribù sono solo sei?” chiese Bilbo.
Oìn guardò l’hobbit, con aria pensosa.
“Nessuno più parla dei Broadbeams da millenni, e nessuno si è mai dichiarato tale. Però…”
Gandalf incoraggiò il Nano.
“Avanti, Oìn. Sono sicuro che ne sai di più. Hai studiato presso la Grande Biblioteca, vero?”
Esclamazioni di sorpresa vennero da quasi tutti i Nani, ad esclusione forse dei soli Balin e Thorin. Anche Glòin guardò il fratello con aria attonita.
“Che cosa?” fece. “Quando?”
Il Nano convenientemente sordo fece un sorrisetto storto.
“Dicono: non ti fidare di un mago, perché hai sempre uno scopo, anche se non evidente. Il tuo scopo ultimo forse non lo vedo, Gandalf, ma mi è chiaro dove conduce il tuo pensiero.”
“Dimmi che ho torto, e forse ci crederò.” Ribattè il mago.

Oìn si raddrizzò.
“Sì, è vero. Ho studiato l’arte della guarigione presso la Grande Biblioteca. Mi sorprende che tu non ricordi gli anni che ho trascorso a Gabilgathol presso i parenti di nostra madre, Glòin, dopo la caduta di Erebor e prima che ci arrivaste anche voi, tu ed i nostri genitori.”
“Non hai mai parlato della Grande Biblioteca,” precisò Glòin “pensavo che fossi stato apprendista di un guaritore.”
“I Maestri della Biblioteca sono i migliori, Glòin. Ho imparato molto, lì, ed ho imparato anche un’altra cosa.”



Bene! Piaciuta la leggenda?
Come immaginerete, la storia della crezione dei Nani è nel “Silmarillion”; qualla del settimo nano è MIA. Non ho la presunzione di paragonare, ma spero comunque che abbiate gradito.
Broadbeam: è stato variamente tradotto come Ampiacinta, Vastifasci o Larghiraggi. Ecco il perchè dell'affermazione di Kili.
Un bacione a tutti i lettori silenti, sempre più di quanto mi aspetti.

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Capitolo 47
*** Uno sguardo ad ovest ed uno ad est ***


47 Uno sguardo ad ovest ed uno ad est
47  Uno sguardo ad ovest ed uno ad est

Ovest…
La pioggia scrosciava di nuovo sulle Montagne Nebbiose. Il Nano la sentiva gocciolare sopra la sua cerata, e giù lungo il collo mentre, agghiacciato, pietrificato, era incapace di muovere un muscolo.
Ecco come si sente il coniglio davanti al lupo, pensò.
Si aspettava da un momento all’altro una mano pesante sulla spalla, una presa brutale, ed una risata chioccia, ed istintivamente chiuse gli occhi.
Che reazione infantile. Come se lui non possa vederti se tu non vedi lui…

Il grido roco echieggiò a pochi metri.
Ecco, è finita.
Si preparò mentalmente, prese un profondo respiro per calmare il battito impazzito del cuore, e…
Niente. Passi pesanti, schianto di rametti, un  altro grugnito rabbioso, ma sembravano allontanarsi.
Aspetta, cosa?

Il Nano aprì un occhio, poi un altro. Nessun segno di vita.
Si mosse con precauzione, per non far rumore, ma voci concitate dietro di lui attirarono la sua attenzione. Si voltò e vide che nel campo dei Goblin c’era movimento.
Due brutte creature si stavano affrontando al centro dell’accampamento, mentre gli altri, svegliati dall’alterco, in vari stadi di risveglio, sembravano in attesa di capire cosa stesse succedendo.
Il Goblin più grosso, probabilmente il capobanda, era visibilmente seccato per essere stato svegliato dall’esploratore; quest’ultimo gesticolava brandendo qualcosa in una zampa. Ad un certo punto indicò direttamente nella direzione del Nano e quest’ultimo si sentì gelare il sangue nelle vene.
L’istinto di scappare era fortissimo, e per un istante i suoi muscoli furono pronti allo scatto; poi la logica prese il sopravvento. Se avessero voluto lui, non aveva scampo: non ce l’avrebbe fatta a fuggire. Ma non era detto: perché il Goblin non l’aveva afferrato subito?  Così si appiattì il più possibile contro il terreno; se non l’avevano visto prima, come sembrava, non era detto che non lo vedessero adesso.
La precauzione fu del tutto inutile, perché nessuno guardava minimamente dalla sua parte. Il capo grugniva, mentre l’esploratore continuava a gesticolare, e forse fu quel movimento ad attirare l’attenzione del Nano su quello che il Goblin stringeva nella zampa.
Era un brandello di tessuto, forse la parte finale di una tunica, lercio e strappato, ma inconfondibilmente verde. E in quel momento l’esploratore gracchiò una parola che il Nano riconobbe, perché i suoi catturatori la gridavano spesso, una parola che lo fece sobbalzare. Shugi-golg.
Feccia Elfica.
E in quel momento tutto precipitò.

Il  piccolo Goblin  era stato svegliato bruscamente, e si era precipitato ad uscire dal suo rozzo giaciglio: sapeva che il Capo non tollerava i tiratardi. Però fu presto evidente che non vi era motivo di allarme, era solo quello  sciocco presuntuoso di Gurtag  che stava blaterando di aver visto quel dannato prigioniero cui davano invano la caccia da giorni. Come faceva a non capire che il Capo non aveva intenzione di alzarsi e seguirlo?
La discussione stava diventando noiosa, presto il Capo avrebbe preso provvedimenti. Così, giusto per passare il tempo e sembrare occupato, si mise a scrutare gli alberi intorno all’accampamento… e fu allora che lo vide.

Un piccolo Goblin gesticolava proprio nella sua direzione, saltellando e urlando. In un secondo l’alterco cessò, ed improvvisamente il Nano si sentì addosso una pletora di occhi, prima stupiti, poi furibondi.
L’avevano visto, e si precipitavano ad afferrare le armi; l’esploratore, per primo, trasse una specie di scimitarra e prese a correre verso di lui.  Senza porre tempo in mezzo, il Nano si dileguò, gettandosi nella boscaglia alle sue spalle.

I rumori dietro di lui si facevano sempre più vicini, ed il terreno certo non lo aiutava. I grugniti e gli sbuffi dei Goblin gli dicevano chiaramente che non avrebbero mollato.
Devo trovare un modo per seminarli.
I suoi occhi percorrevano freneticamente il terreno, alla ricerca di un riparo; e nel frattempo stava ben attento a trascinarli in una direzione diversa da quella in cui si trovava Gwennis. La cosa, peraltro, stava diventando complicata perché spesso si trovava la strada sbarrata da detriti, tronchi o altri ostacoli.
Alla sua sinistra comparve un ghiaione ed il Nano vi si buttò, sperando di far perdere le proprie tracce, ma un passo fu sufficiente: i sassi sotto i suoi stivali si spostarono, dapprima solo un poco, ed il Nano riuscì a mantenere l’equilibrio  agitando le braccia; ma il movimento si estese, e con suo orrore l’intera massa iniziò a  franare verso valle, trascinandolo con sé.
Spostando tutto il peso verso  monte, riuscì ad evitare di rotolare a capofitto, ma nulla potè fare per fermarsi. Si limitò a coprirsi la testa con le braccia ed a sperare in un atterraggio non troppo duro.
Se non altro non mi troveranno troppo facilmente.

Fu a metà del pendio che riuscì a strapparsi dalla presa dei sassi, complice la diminuita pendenza. Con un sforzo, si gettò di lato, e con immensa fatica strisciò fuori dalla massa in movimento, che ormai scorreva tra lui ed i suoi inseguitori. Ora, se fosse riuscito a nascondersi dietro qualcosa, in modo da non poter essere visto…
Un po'  più in basso, un avallamento poco profondo, protetto da una massa di cespugli sempreverdi, gli sembrò offrire quello che cercava; così, lentamente, strisciò fino a ripararsi dietro di essi.
Si abbandonò a terra, facendo la conta dei lividi e delle escoriazioni, e cercando di riprendersi dallo spavento; ma non era destino.
Si spostò verso il centro dell’avallamento, che, così cosparso di foglie secche e muschio sembrava singolarmente comodo, ma ancora una volta il terreno sotto di lui si mosse; qualcosa lo colpì alla nuca e  tutto sprofondò nel buio.

… ed est
I Nani ascoltavano con estrema attenzione. Tutti, più o meno, conoscevano  la leggenda del Settimo Nano, ma forse non l’avevano mai sentita raccontare in modo così suggestivo, e  la loro passione per le storie e la tradizione li aveva ridotti al silenzio. Ori era quasi tramortito dall’emozione e alternava momenti in cui scriveva furiosamente ad altri in cui si incantava a fissare il vecchio indovino ad occhi spalancati, come se non l’avesse mai visto.
Anche Bilbo si stava godendo immensamente la narrazione; Gandalf invece …
Sembra un cane da caccia che ha fiutato la preda,  pensò Kili. Il giovane principe era piuttosto frastornato, ed in realtà non sapeva cosa pensare. Gli sembrava di capire in che direzione puntasse il mago, ma le implicazioni erano talmente assurde da mozzargli il fiato.
Davvero stanno cercando di dimostrare che sono un Broadbeam perduto o qualcosa del genere? Ma andiamo! Già la faccenda delle doti speciali è assolutamente irreale, ma persare che io sia una specie di mago…!
Però c’era quella vocina dentro di lui, che gli rammentava quelle visioni, e quelle sensazioni di pericolo, e Fili… e se è davvero così, allora Fili…
Smettila! Kili mise a tacere la voce.  Non era mai stato così confuso, e cercare di fare ordine nei pensieri era uno sforzo  immane.  Però Fili…  in fondo il giovane Nano pensava che fosse troppo facile, una spiegazione troppo bella per tutto quello che  aveva visto e sentito, perché portava dritto a  ‘Fili è vivo e sta bene’ anche se non ha più le trecce sui baffi… oh Mahal quanto deve essere arrabbiato! Con tutto il tempo che  ci ha messo a farli crescere esattamente come li voleva!

“Cosa intendi dire, Oìn?” la domanda era di Thorin. Il Durin più anziano stava scavando nella memoria  per ricordare tutto quello che poteva su Jeli, anche particolari che allora non erano sembrati importanti. Jeli, un Broadbeam! La cosa sembrava assurda, certo…ma non più di ritenere che Kili, di tutti, avesse particolari doti nascoste. O meglio: Kili aveva moltissime doti, che aveva sempre badato bene a tenere più o meno nascoste, e che stavano emergendo appieno solo ultimamente; ma strani poteri mistici…?  Ridicolo.
“Entrare alla Scuola della Grande Biblioteca non è affatto facile, Thorin. Anzi, non è facile nemmeno farsi prendere in considerazione per la valutazione! I criteri non sono affatto chiari, e non sarei stato ammesso nemmeno al colloquio iniziale se non avessi detto che ero stato allievo di Desal, e che era stato lui a parlarmi della Scuola, ancora prima del Drago.”
I Nani più giovani si guardarono smarriti, ma Balin spalancò gli occhi.
“Desal figlio di Kemal? Il medico personale di Thròr?”
“Proprio lui. A quanto pare era molto conosciuto e stimato alla Grande Biblioteca.”
Anche Thorin era sbalordito.
“Ricordo Desal. Pensavo che fosse uno Stiffbeard che aveva seguito Thròr ad Erebor, come Nevur.” Così dicendo si voltò verso Liatris.
“Noi siamo Stiffbeards, l’ho sempre saputo…”
“Eh certo,” ridacchiò Ori, “con quei capelli biondi…”
“…ma solo poco tempo fa mamma mi ha raccontato che Nevur era venuto ad Erebor con Thròr, ed era diventato il suo Capitano della Guardia.”
“… perché corteggiava la più bella delle dame della Regina!” sospirò Balin. “Sì, mi ricordo. Le somigli molto, Liatris.”

Era da un po’ che Bilbo voltava la testa dall’uno all’altro, sempre più confuso.
“Scusate, mi sto perdendo di nuovo e mi gira la testa. Di cosa state parlando? Chi sono gli Stiffbeards?” Gandalf ridacchiò.
“La storia nanica è complicata, specie quella della Gente di Durin.”
“Dopo la caduta di Moria,” spiegò Balin con un sorriso. Amava avere allievi interessati! “il popolo di Durin venne alla Montagna Solitaria, circa… vediamo … mille anni fa. Ma nei secoli successivi, a poco a poco la lasciarono, finchè non si trasferirono tutti nelle Montagne del Nord, specialmente nei Monti Neri.”
“Perché?”
“Per il mithril,” rispose Thorin. “Ad Erebor c’è di tutto… tranne il mithril, ed i Nani di Moria lo desideravano in modo particolare. Così provarono a cercare più a nord.”
“E lo trovarono?”
“Poco. Ma nelle Montagne del Nord c’era già un insediamento di  Stiffbeards, una delle Tribù originarie dell’Est, ed i contatti tra le due colonie erano molto intensi; quando c’è un nemico comune terribile come il gelo, o ti unisci o soccombi,” spiegò Balin.
“Peccato che a Nord c’erano anche i draghi,” continuò seccamente Thorin. “ Quando il padre di Thròr fu ucciso da un drago del freddo davanti alle  porte della sua città, insieme ad uno dei suoi figli, mio nonno tornò alla Montagna Solitaria, con molti dei nostri, mentre suo fratello Gròr se ne andò ai Colli Ferrosi. Era il nonno di Dàin.”
“Cosa c’entra con Desal?” Bilbo si era perso un’altra volta, e Oìn rise.
“Niente! Vi fu un certo numero di Stiffbeards che seguirono Thròr, per amicizia, o legami familiari. Ma non Desal. Non so da dove venisse, ma non era uno Stiffbeard, o almeno non aveva alcun parente nei Monti Neri, mentre di certo aveva avuto amici e colleghi alla Grande Biblioteca. Fu solo grazie al suo nome che vi entrai.”
“Quindi per entrare ci vuole la raccomandazione, o la segnalazione, di qualcuno conosciuto dalla scuola stessa, presumibilmente qualcuno che vi abbia studiato,” intervenne, per la prima volta, Nori. Oìn annuì.
 “O insegnato, e penso che questo fosse il caso di Desal. Ma non è tutto.”

“Gli allievi, continuò, “di solito sono adulti che hanno già compiuto ampi studi altrove, e cercano una sapienza superiore. Ma non tutti. Vi sono alcuni allievi che entrano alla Scuola da bambini, o da adolescenti. Hanno lezioni separate e non si sa bene cosa studino, o nemmeno chi siano. Dopo un po’ noi allievi normali ci accorgemmo che erano tutti figli, o parenti, dei sacerdoti del Tempio, o degli insegnanti, e pensammo al solito caso di nepotismo. Sai, quando i dirigenti favoriscono i loro parenti a danno di tutti gli altri; ed invece no, o meglio non proprio…. Perché molti di quei ragazzi avevano fratelli, o cugini, o parenti, che non studiavano alla Scuola, e non vi avevano mai studiato, oppure solo da adulti, come noi.”
I volti di quasi tutti i Nani esprimevano perplessità. Fu Glòin a dar voce al pensiero  comune.
“E questo dove ci porta?” sbuffò il banchiere. “Come ci riguarda?”
“Mi sembra piuttosto evidente dove porta questa storia,” intervenne Nori con un lampo  furbo  nello sguardo, rivolto specialmente verso Gandalf, “è sotto il vostro naso. Il mago sta ipotizzando, e Oìn sta confermando, che in realtà i Broadbeams esistono eccome, solo che non si presentano come tali.”
Fidati di Nori per mettere insieme i particolari; ecco perché è un’ottima spia,  pensò Kili; ma, per quanto incredibile, il senso del discorso era davvero evidente. E il ragionamento non fa una piega.
“Insegnanti o sacerdoti sono, se non tutti una buona parte, di origine Broadbeam. Probabilmente se dovessimo verificare, ci renderemmo conto che appartengono tutti, o quasi, alle stesse famiglie; e in quelle stesse famiglie, i bambini che presentano qualche tipo di talento vengono ammessi alla Scuola per essere addestrati.”
“Addestrati? Ma perché?” intervenne ancora Glòin, che non capiva proprio.
Nori sbuffò.
“Pensa a cosa sappiamo dei poteri, o doni, o talenti, o come diavolo volete chiamarli. Cosa dice la tradizione? Oìn l’ha appena spiegato. Sogni, premonizioni, visioni, sentire lo spirito della terra… non mi sembra una cosa facile da gestire.” Così dicendo si voltò verso Kili. “O sbaglio?”
Il giovane principe ammutolì. Rispondere significava confermare l’ipotesi, che gli appariva ancora come un’assurdità, che si apriva davanti ai suoi occhi; e non sapeva se era pronto per farlo.
“No, non lo è.”


ANGOLO AUTRICE
Ero davvero in dubbio. Non riuscivo a decidere quale delle due storyline far progredire…  così ho preso la decisione più salomonica: tutte e due. Un assaggio di ovest, giusto per lasciarvi in sospeso ancora un po’; ed anche per lasciare unita la vicenda nel capitolo successivo, senza sospenderla in un punto privo di senso;  ed un altro passo di est, perchè tanti capitoli consecutivi di narrazione, storia nanica e discussioni mi sembravano troppi, ma un po’ per volta sono intriganti. A questo proposito: se divago troppo fatemelo sapere. Sto legando tutti i fili sospesi – e ce ne sono tanti – ma non voglio annoiare nessuno.
Non ha senso che mi scusi per il ritardo: tanto so che non posso emendarmi. Perdonatemi e basta.

Angolo del *GRAZIE*
A didi95, Emouel, Laucace, Ardesiia, Inuiascia: non riesco a rispondere ma i vostri messaggi sono davvero bellissimi e colgono sempre il punto. Grazie per tutta l’attenzione.
Newt Seven, Halinor_Mira_Black94 , leila91 : spero di non deludervi!
Alla prossima (spero in tempi decenti)
Bacio
Idril

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Capitolo 48
*** Ali di farfalle ***


49 Ori
48   Ali di farfalle

Kili si voltò di scatto. Era stata Liatris a parlare, ed il suo viso era serio.
“Prima guardiamo in faccia la realtà, meglio è. Sappiamo tutti e due che questa faccenda ti turba, e non solo per Fili.” Poi si guardò intorno ed arrossì quando si rese conto che tutti gli occhi erano puntati su di lei. “Scusa, Nori. Ti prego, continua.”
Silenzio. Si guardarono intorno e videro le espressioni attonite di tutti i Nani presenti. Nori aprì la bocca e la richiuse.
“Ma io… io stavo scherzando!”
“Tu… tu hai visioni…?” la voce di Thorin suonava priva di consistenza.
Ori sembrava pietrificato, con la mano che teneva la penna alzata, immobile.
Per un secondo eterno tutti si guardarono senza sapere cosa dire, e Kili percepì  stupore, e poi addirittura reverenza. Fu agghiacciante. I suoi amici che lo guardavano come se fosse un mago di immensa potenza! O uno strano oggetto  sconosciuto... Si ritrovò improvvisamente con la bocca completamente asciutta.
Oh per tutti i Valar.
Fu Oìn a venirgli in soccorso, con una risatina.
“Avanti, amici, piantatela. E’ sempre Kili, quello che vi ha fatto infuriare con tutti gli scherzi più idioti dell’universo. Quello che ha perso i pony!”
Kili sbattè le palpebre, e vide che il momento era passato. Colse al volo l’imbeccata dal vecchio Nano.
“Allora, vorrei chiarire una volta per tutte questa calunnia! Io – e Fili – non abbiamo perso i pony! E’ stato solo che…”
La sua voce fu sommersa da fischi e proteste, e nel bel messo del tumulto Kili scambiò con Oìn uno sguardo di intesa. Ne parliamo più tardi.
“Allora! Voglio sapere cosa succede adesso!” La vocetta di Bilbo sedò lo schiamazzo. “Vai avanti, Nori!”
Il Nano dalla pettinatura a stella annuì. Era noto per reagire in fretta alle sorprese.
“Jeli doveva  appartenere ad una di queste famiglie, forse aveva il  talento, forse no, ma ad un certo punto sappiamo che deve aver litigato con il padre, o qualcun altro, che forse voleva che lui vivesse in modo diverso da quello che lui stesso si era scelto… sto andando ad indovinare. E si allontana. In qualche modo, anni dopo, a Gabilgathol vengono a sapere che ha avuto dei figli; il matrimonio di Dìs non è mai stato un segreto, né lo era il nome di suo marito, e gli affari dei Durin sono sempre stati sotto gli occhi di tutti.  Così mandano qualcuno … cosa aveva detto Dìs?... per esaminare i ragazzi. E sappiamo cosa avrebbero trovato, vero?”
“Jeli amava la sua libertà più di qualsiasi ricchezza o potere,” intervenne Thorin a bassa voce. Era chiaramente molto scosso per quello che sembrava essersi svolto sotto il suo naso senza che ne avesse il minimo sentore. “Non avrebbe permesso a qualcun altro di decidere della sua vita… e di sicuro avrebbe fatto di tutto perché i suoi figli fossero liberi allo stesso modo. A maggior ragione se fosse stato al corrente di questo talento…  e se magari ne avesse visto i segni nei ragazzi.”  Fece un sorrisetto triste. “Non che la loro ascendenza materna lasciasse loro molte possibilità per una vita tranquilla e normale, in ogni caso; però allora corone e governi sembravano molto lontani, ed io ero giovane. Era prematuro pensare che Fili e Kili sarebbero stati così vicini al trono di Erebor.” Si raddrizzò. “Sì, può essere. E’ di certo qualcosa che avrebbe fatto.”

Il silenzio perplesso seguì queste parole, finchè Dwalin, pratico come al solito, si espresse.
“Ebbene, tutto questo dove ci porta?”
Che Fili potrebbe essere vivo.  Il pensiero aleggiava nella mente di tutti, ma nessuno osava dar voce ad esso, e nemmeno Gandalf lo fece, se non indirettamente.
“Ci porta al fatto che non dovremmo avere fretta di dare le cose per scontate. La richiesta di  silenzio  di Dàin è quanto mai opportuna, perché Dìs potrebbe avere qualcosa da dire su tutta questa storia; ed io e Bilbo stiamo per metterci in viaggio, e terremo occhi e orecchie aperte. Non si sa mai, anche un particolare all’apparenza insignificante potrebbe essere un indizio.”
Nori annuì.
“C’è un sacco di gente in movimento. Ad orecchie pronte potrebbe giungere qualche voce interessante… anzi, a questo proposito……”
Kili si guardava intorno, incredulo. Si fidavano di lui! All’improvviso non fu più così sicuro di se stesso, e si sentì assalire da mille dubbi.
Dàin è così sicuro… potrei sbagliarmi… e illuderli tutti…
Ori non aveva aperto bocca da tempo. Lo fissava con i grandi occhi spalancati, ed, improvvisamente, si alzò e venne a mettersi di fronte a lui, guardandolo dall’alto.
“Sei…sei certo che sia vivo…?” sussurrò con un filo di voce.
Kili si alzò lentamente per fronteggiarlo. Nello sguardo di Ori lesse il dolore, ed un  barlume di speranza,  e una muta richiesta : dimmi che non mi sto illudendo.
Fu come un pugno nello stomaco. Kili era stato tanto preso nel suo immenso dolore, per Fili, per Thorin, e talmente sommerso dal peso delle responsabilità che aveva completamente ignorato i sentimenti dei suoi amici. Anche per loro la scomparsa di Fili era stata un colpo terribile; per Balin e Dwalin, che lo avevano cresciuto ed educato, per  tutti gli altri, che avevano conosciuto e amato Fili, se non da prima del viaggio, quanto meno negli ultimi mesi, ma soprattutto per Ori. Ori, che aveva considerato Fili  più di un compagno di giochi,  quasi come un altro fratello maggiore, protettivo ma meno asfissiante di Dori, e di certo più affidabile di Nori; Ori, a cui Fili aveva prestato attenzione come suo solito, con quell’altruismo che era uno dei suoi tratti distintivi; Fili, che metteva sempre i bisogni degli altri avanti ai suoi.
Il dolore di Ori doveva essere stato profondo quanto il suo, e meno compreso; ed adesso gli stava chiedendo se poteva ricominciare a sperare.
Come posso avere il coraggio di farlo? E se mi sbagliassi?

Ancora una volta fu Oìn  a venirgli in soccorso, dopo aver notato lo sgomento di Kili.
“Svuota la mente, Kili,”  mormorò a mezza voce, in tono tranquillo. “Spingi via tutti i ragionamenti, i pensieri, i pro e contro… tutto. Immagina una stanza vuota, o un prato immenso di erba tagliata, quello che vuoi… ma senza nulla dentro. E lascia che la risposta venga da sé, senza cercarla.”
Kili chiuse gli occhi, ed immaginò il cielo notturno, le stelle sempre uguali, che aveva imparato a riconoscere tra le braccia di suo padre. Le contemplò, ignorando tutti i tumulti della sua mente, lasciando che ogni pensiero cosciente svanisse via, e restando consapevole solo del battito del suo cuore e della luce immutabile delle stelle.

E Fili era lì. Nessuna visione, no,  questa volta, ma la sensazione nettissima della sua presenza, ed un’ondata di sentimenti familiari che da sempre  Kili associava al fratello: sicurezza, calore, un pizzico di malizia, affettuoso divertimento, e sempre, sempre, profondo ed incondizionato amore per il suo fratellino.  E non ci fu più alcun dubbio.
 “Sì,” sussurrò fissando Ori negli occhi, “sì. Non so dov’è, non so quando ritornerà, ma so che è vivo.”
E le braccia di Ori furono improvvisamente intorno alle sue spalle, mantre il piccolo scrivano si lasciava andare ad un pianto liberatorio, buttando fuori tutto il dolore e l’angoscia che aveva nascosto per quei lunghi mesi; e Kili potè solo ricambiare l’abbraccio, mordendosi le labbra per non imitarlo e giurando a se stesso che mai più, mai più avrebbe ignorato chi gli stava accanto. E’ quello che farebbe Fili; lui non si sarebbe dimenticato di Ori. Scusami, fratello: farò meglio, d’ora  in poi.

Kili si sentiva stanchissimo, come se avesse trasportato massi per tutto il giorno; ma era ancora troppo pieno di domande per riposare.
Si era spogliato rapidamente e si era infilato nel loro comodo letto elfico, e, mentre aspettava che  Liatris si preparasse per la notte, guardava la pioggia primaverile che cadeva oltre le vetrate. L’aveva sempre trovata ipnotica, ed in quel momento lo aiutava a calmare la confusione nella sua mente.
E’ dura da digerire.  Da una parte provava il desiderio di strappare tutte quelle sensazioni, visioni, emozioni, fuori dalla sua anima; di tornare ad essere il Nano spensierato di un anno fa, le cui uniche preoccupazioni erano di farsi onore e di dimostrare il suo valore allo zio.
Allora era tutto più semplice.
Però… però la realtà non si poteva ignorare. Non poteva fingere che non ci fosse in lui qualcosa di diverso; e se questo doveva portare come conseguenza la salvezza di Fili, allora non solo non  poteva ignorarlo, ma anzi, doveva cercare di capire e sfruttare la situzione il più possibile.
E questo significava fare domande e avere risposte; il problema era scoprire chi mai  le avesse, quelle risposte.

Un passo leggero lo scosse dai suoi pensieri; Liatris era uscita dalla stanza da bagno – quella con l’enorme vasca che aveva trasformato le orecchie di Ori in brace – e veniva verso di lui con un sorriso sulle labbra.
Come al solito i pensieri di Kili si sbiadirono nella sua mente; la vista di Liatris provocava sempre reazioni incontrollabili sulla sua respirazione e ad altre zone… beh, più meridionali.
Specialmente quando era così.
Stare a stretto contatto con le guaritrici elfiche aveva aperto un mondo a Liatris in fatto di moda e di tessuti, e con Kili avevano spesso ridacchato sui commenti arcigni che avrebbero fatto i Nani più tradizionalisti se avessero saputo come entrambi fossero giunti ad apprezzare le seriche stoffe elfiche.  Kili si era subito reso conto di quanto fossero delicate sulle cicatrici, e non vedeva motivo per rinunciarvi; e Liatris pensava solo che fossero belle da guardare e piacevoli da indossare. Quando poi aveva scoperto che le camicie da notte semitrasparenti rendevano Kili particolarmente  ‘affettuoso’ aveva perso qualsiasi remora, ed aveva inviato alle sue amiche ordini regolari per suo uso personale. Non che ci fosse bisogno di rendere suo marito più affettuoso, pensava Liatris, ma perché rinunciare ad un vantaggio?
Così Kili contemplava le morbide curve di sua moglie avvolte nelle diafane stoffe elfiche.

Ma Liatris sapeva leggere oltre il sorriso infatuato che era comparso sulle labbra del principe dei Nani. Intuiva senza difficoltà i dilemmi del marito, ma decise di prenderla alla larga.
Si avvicinò al letto ed il suo profumo avvolse Kili, il cui cuore accelerò i battiti.
“Stai bene?”
Kili allungò le braccia,  con un sguardo invitante.
“Baciami e starò benissimo:”
Con una risatina roca, Liatris scivolò sotto le coperte e si accoccolò tra le braccia forti che la attendevano
“Mmmmh…” mugolò Kili strofinando il naso nel collo della sua sposa. “Perché quando ci sei tu sembra sempre tutto più semplice?”
“Hai bisogno di una pausa. Stai pensando tanto intensamente che sento la tua mente girare!”
Kili ridacchiò.
“Ammetterai che tra Gandalf e Oìn mi hanno dato un bel po’ di roba da considerare. E più ci penso più mi vengono domande, anche se non credo che loro abbiano le risposte. Non ne sappiamo abbastanza di questo … dono o come diavolo lo vuoi chiamare.”
“Beh, Oìn qualcosa ti ha detto,” ribattè Liatris.
“Mi ha spiegato come alla Scuola gli hanno insegnato la divinazione e l’interpretazione dei presagi. Gliel’hanno proposto dopo due anni di studi di medicina, e lui pensava di dover studiare tomi voluminosi ed astrusi, e invece…”

“Mi hanno detto: ragazzo, se hai il dono, devi lasciare che parli. Se pensi troppo,” proseguì Oìn, “come pretendi di sentire la voce della tua anima? E mi hanno insegnato a fare il Vuoto.”
“Il Vuoto…?”
“Ricordi cosa ti ho detto  prima? Svuota la mente. Io ci ho messo un bel po’ a capire. Come si fa a non pensare a nulla, mi dicevo. Ed invece si può fare, e quando ci sono riuscito, beh… i segni sono lì, sempre.  Solo che in quel modo era come se mi chiamassero, o mi venissero incontro. Gli stessi particolari, suoni, immagini, movimenti, erano sempre stati davanti ai miei occhi, ma quando sono riuscito a fare il Vuoto hanno avuto un loro senso perfettamente chiaro. Capisci quello che voglio dirti? Non so nulla del tuo dono,  in particolare, ma se, come credo, non è altro che un talento, una capacità di sentire qualcosa, allora dovrebbe funzionare.”

Ed aveva funzionato; non solo, Kili aveva avuto pochissima difficoltà a capire come liberare la mente.
E’ quello che ogni arciere fa prima di lasciare la corda dell’arco.

“Sì,” rispose Kili, “almeno so di non essere pazzo, ed è già qualcosa. Non so come controllare le visioni, ma ho capito che non devo combattere contro di esse; e come fare perché sensazioni scomposte acquistino un senso.”
La strinse tra le braccia e seminò piccoli baci sulla testa bionda  e sul viso.
Con un sospiro soddisfatto, Liatris si rannicchiò e lasciò vagare le dita sulla pelle del suo amore.  Rimasero in silenzio per alcuni momenti, godendo della reciproca presenza. Infine lui sospirò.
“Bene. Ho un sacco di cose a cui pensare, ma non adesso.” Le sue dita si insinuarono sotto il mento della giovane Nana e le fecero alzare il viso. “Adesso voglio solo occuparmi della mia bella moglie, e del nostro piccolino,” sussurrò chinandosi per baciarla con molta meno tenerezza di quella fino ad ora utlizzata.
“Si, mi sembra un’ottima idea…” rispose Liatris quando si separarono per respirare. La sua voce era bassa e roca e Kili rabbrividì, mentre il suo respiro accelerava visibilmente.
Si chinò a baciarla di nuovo mentre sentive le braccia di lei scivolare a circondargli il collo, mentre le dita sottili affondavano nella chioma scura.

Giacevano l’uno nelle braccia dell’altra, piacevolmente stanchi. Kili stava accarezzando delicatamente il corpo di Liatris , rilevandone i cambiamenti; le curve si erano arrotondate, i seni erano splendidamente pieni, e le dita di lui  non avrebbero mai smesso di accarezzarli; e sotto l’ombelico, c’era qualcosa.  Si sentiva qualcosa di diverso, da prima, e la mano di Kili scese ad accarezzarlo.
“Ehi, piccolino,” sussurrò. “Sono papà. Mi riconosci?”

Liatris si crogiolava nelle dolcissime sensazioni che le provocavano le carezze del  marito. Trovava che lui fosse irresistibilmente tenero quando parlava con il loro piccolo.  La loro vita era stata tano frenetica ed occupata, fino a quel momento, che non avevano avuto che pochi momenti per sperimentare la consapevolezza che la loro vita sarebbe radicalmente cambiata, che qualcuno vi sarebbe entraro con la forza di un uragano; e le curiosità e le domande naturali , come sarà, a chi assomiglierà, sarà maschio o femmina, avevano avuto poco spazio. Né la gravidanza aveva cambiato in qualche modo la vita di Liatris… ben altre cose l’avevano fatto.
Quindi fu un po’ sconvolgente  quando, proprio in quel momento, come in risposta alla voce di Kili,  Liatris  avvertì qualcosa. Come il tocco di un’ala di farfalla, dentro di lei.
Non potè trattenere un’esclamazione di sorpresa, mentre Kili si fermava allarmato.
“Cosa c’è? Ti ho fatto male?”
Lei scosse il capo, momentaneamente senza parole. Per alcuni istanti rimase concentrata, in ascolto.
“Lia?” la voce di Kili suonava preoccupata.
“Fallo ancora,” sussurrò lei.
“Co.. cosa?” la preoccupazione lasciò il posto allo smarrimento.
“Parlagli…” Kili la guardò un po’ stranito, ma non obiettò. Scivolò più in basso, appoggiò il capo contro il fianco di lei e le accarezzò l’addome.
Un’inspiegabile ondata di commozione gli riempì gli occhi di lacrime.

“Piccolo,” sussurrò. “ti aspettiamo. Non vediamo l’ora di incontrarti, di tenerti tra le braccia. Sarai sempre il nostro piccolo tesoro…”
Successe ancora. Ancora quelle ali di farfalla, dentro di lei. Anche gli occhi di Liatris si inumidirono.
“Kili…” sussurrò. “ si è mosso. Quando parli, lui… lui si muove.”
Il giovane Nano alzò la testa e due occhi castani lucidi e pieni d’amore incontrarono quelli della sua sposa.
Nessuno dei due riuscì a parlare. Le parole suonavano spaventosamente inadeguate.  


MA CIAAAAO!
Ecco  qui un nuovo capitolo, e sto ancora saltellando da una parte all’altra. Se vi dovesse venire il capogiro, ditemelo: provvederò a contrassegnare i capitoli con storyline 1 e 2… e magari 3!C’è ancora qualche filo in sospeso da qualche parte, no?
Bene, riecco Kili, alle prese con i suoi guai.  Spero che non suoni esageratamente fuori luogo, come quei fantasy, gialli  o avventure in cui l’autore ( o il regista) finisce per infilare gli alieni. Ma per favore. E’ mancanza di fantasia.
*GRAZIE*
A BeaTrice02! Amo i lettori silenti che non sono più tali!
Emouel e didi_95, fedelissime
E, appunto, i lettori silenti… vi abbraccio tutti lo stesso.
Idril

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Capitolo 49
*** Ricerca frenetica ***


48 Ricerca frenetica
49  Ricerca frenetica

Il Nano si muoveva rapidamente nella foresta intrisa di pioggia, cercando allo stesso tempo di prestare attenzione agli eventuali segni di presenza dei Goblin. Sapeva che dovevano essere sparsi per i boschi alla sua ricerca, e che non avrebbero desistito facilmente ora che l’avevano visto; se anche non avessero riconosciuto il prigioniero che era loro sfuggito, non avrebbero certo lasciato andare  indisturbata una spia.
E Gwennis era sola. E se era vero che lui aveva cercato di trascinarli ovunque tranne che verso il luogo dove l’aveva lasciata, non vi era alcuna garanzia che i Goblin non la trovassero, specialmente se gli avesse obbedito e si fosse mossa. La mezza giornata era passata da un po’.
Come ho potuto lasciarla sola? Il Nano imprecava tra sé: improvvisamente il suo comportamento gli sembrava sconsiderato oltre misura, e per la prima volta stava mettendo in discussione tutte le sue decisioni. Come aveva potuto pensare di trascinare in un’avventura così pazzesca una Nana assolutamene impreparata, appena in grado di sopportare un viaggio in carovana? Perché non l’aveva accompagnata per un tratto sulla Via, sulle tracce della sua gente? Avrebbe potuto metterla sulla buona strada e tornare tranquillamene indietro, ed avrebbe ritrovato le tracce dei Goblin senza difficoltà alcuna. E’ vero che in quel momento non lo sapeva, e pensava di dover seguire gli Orchi verso Gundabad; ma in ogni caso …
Gwennis l’aveva seguito adattandosi sorprendentemente bene a situazioni di cui non aveva la minima esperienza. Non si era mai lamentata, ed aveva preso con garbato umorismo anche le situazioni più difficili; il Nano si era reso conto che era arrivato a rispettarla, ed anche a stimarla molto.
E adesso lei era in pericolo, e non lo sapeva nemmeno. I Goblin vagavano per la foresta alla ricerca di lui, ma se avessero trovato lei…   Maledizione! Come ho potuto pensare che sarebbe stata al sicuro? Avrei dovuto nasconderla, almeno.  Il rimorso lo rodeva, e la paura gli attanagliava lo stomaco. Se le è successo qualcosa, non me lo perdonerò mai.
Scivolò su un cumulo di foglie bagnate e imprecò. Doveva fare attenzione: se si fosse rotto una gamba sarebbe stata la fine per entrambi.
Con maggiore cautela, riprese la marcia.

Ma questa pioggia non smette mai?
Gwennis rabbrividì sotto la sua mantella. Aveva radunato tutte le sue cose e le aveva fissate alla soma del pony.  Sapeva che avrebbe dovuto muoversi, ma non riusciva a decidesi. E se lui avesse avuto bisogno di aiuto? La mezza giornata era appena finita. Come poteva andarsene e lasciarlo lì?
E poi: la faceva facile, lui! Vai ad est e verso il basso. Già, con tutta quella pioggia e quella nebbia non era più nemmeno tanto sicura di dove fosse, l’est!
Ma lui ha detto di andare, che mi avrebbe trovato. Devo fidarmi di lui. Raddrizzò le spalle e si fece coraggio: doveva farcela.
“E poi mi aiuterai, vero Billy?”  Il pony le diede un colpetto con il muso. Intelligente, quell’animale.
Ancora qualche minuto, e mi muoverò.

Il  Nano sbucò da una forra e si fermò, scrutando tutt’intorno. Dev’essere da queste parti.
Quello era il torrentello che aveva attraversato, e la pozza in cui era quasi caduto. Alzò lo sguardo e gli parve di riconoscere il retro della roccia  a ridosso della quale  si erano accampati.  Si avvicinò con cicospezione, rammentandosi della  padella che lo aveva quasi steso, e sussurrò a mezza voce:
“Ehi! Gwennis! Sei lì?”
Gli rispose solo il silenzio. Se n’è andata. Ma dove?
Aggirò il roccione, con l’intenzione di trovare le tracce della Nana, e si trovò davanti il ghigno di un Goblin.
“Preso, ratto dannato.”

Gwennis avanzava con circospezione, lungo la lieve pendenza, trascinandosi dietro  il pony per le redini. Il bosco si stava infittendo, e davanti a lei si profilava la sagoma di una formazione rocciosa, che avrebbe dovuto aggirare.
“Verso il basso e verso est, vero? Come se fosse facile,” brontolò Gwennis. “Che ne dici, Billy? Verso il basso sarà a destra o a sinistra?”
Dopo pochi metri  fu evidente che non avrebbe potuto continuare in linea retta, se non scalando la roccia, il che era fuori questione.  La Nana si femò e scrutò da entrambe le parti, cercando di decidere quale percorso l’avrebbe portata meno fuori strada.
A  destra il terreno sembrava salire, ed il bosco si infittiva. A sinistra… beh, non che fosse particolarmente invitante, ma se non altro il cammino sembrava più agevole.
“ Va bene, Billy;” sospirò, “dicono di fare attenzione a scegliere la via più facile, ma penso che andrò a sinistra. Mi sembra più sensato, che ne pensi?”
Il pony espresse la sua approvazione con un leggero colpo di muso sulla nuca della Nana.

Il Nano era diventato frenetico. Un singolo colpo di spada era stato sufficiente per liberarsi del Goblin, la cui testa era rotolata lungo il pendio, ma ora era sicuro che i Goblin avessero trovato Gwennis.
Era qui, quel maledetto! Mi aspettava, deve averla trovata, chissà dov’è ora, se l’hanno portata con loro, oppure…
Stava andando in iperventilazione. Smettila.
Si fermò e si sforzò di controllare il battito furioso del cuore e di respirare normalmente. Rilassò i muscoli delle braccia ed allentò la presa sulle spade, che stava artigliando furiosamente.
Pensa. Cosa devi fare?
Cercare le tracce. Gwennis aveva un pony, carico per giunta, ed il terreno era intriso di pioggia; le tracce sarebbero state abbastanza facili da trovare, anche perché la Nana non sapeva fare nulla per nasconderle. La vocina fastidiosa che si ostinava ad essere pessimista gli disse che sarebbero state facili da vedere anche per i Goblin, ma si sforzò di ignorarla.
Una cosa per volta.  Non facciamo ipotesi senza prove.
Così,  avanzò fino al punto dove si erano accampati, e trovò facilmente i segni della loro sosta; ma sopra i segni della sosta risultavano anche evidenti le impronte del Goblin che gli aveva teso l’agguato. E Gwennis?
Non ho visto tracce, finora, quindi non è venuta in questa direzione; del resto, est è dalla parte opposta.  Proprio da dove provenivano le impronte del Goblin.
Le seguì, attento a non calpestarle ed a non mancare eventuali tracce sottostanti, ma non era facile; i Nani non avevano il passo leggero, ma di certo i Goblin lasciavano orme ben più evidenti, con il loro peso e la tendenza a strascicare i piedi.  Questo in particolare oltre ai piedi strisciava a terra anche le armi, così, quando le tracce del pony comparvero, per poco non le mancò.
Provenivano dalla sua stessa direzione, ed erano evidentemente state sepolte dal passaggio dei Goblin, che in quel punto le aveva incrociate  e si era avviato nella direzione da cui il Nano proveniva.
Le tracce del pony erano state lasciate prima del passaggio dei Goblin, e sembravano allontanarsi verso est, senza essere seguite da nessuno. Il Nano si permise un piccolo pensiero ottimista: forse Gwennis se ne era andata prima dell’arrivo dei nemici, che non l’avevano notata. Procedette sui passi di lei con il cuore più leggero ed accelerò il passo.
Devo trovarla alla svelta e poi non la perderò più di vista.
 
Il cuore di Gwennis batteva a grandi colpi. La Nana aveva percepito un movimento poco lontano, alla sua destra, qualcuno che non faceva nulla per essere cauto. Risuonò un richiamo, nella lingua aspra e gutturale dei Goblin, e Gwennis si accucciò ancora meglio dietro il cespuglio che la nascondeva alla vista, stringendosi al pony accanto a lei. L’animale sembrava aver capito perfettamente la situazione e restava immobile come una statua.
Mahal proteggimi! Fallo guardare da un’altra parte, tipregotipregotiprego…
Come se la sua preghiera fosse stata ascoltata,  si levò un altro richiamo, sempre alla sua destra, ma più debole, quindi più lontano. Nei grugniti risuonava un’urgenza che provocò un’immediata risposta dal Goblin più vicino; e subito dopo, udì i rumori provocati da qualcuno che si allontavana da lei, scagliandosi attraverso la boscaglia senza far nulla per essere silenzioso.
Gwennis tirò un tale sospiro di sollievo che le cedettero le ginocchia e si accasciò sul terreno. Nonostante facesse freddo, era in un bagno di sudore. Respirò profondamente per calmarsi, e decise di tornare sui suoi passi, almeno momentaneamente.
“Hai visto, Billy? Cosa dicevo riguardo alla strada più  facile? D’ora in avanti non…”
La frase le rimase in gola, perché alzando gli occhi aveva notato qualcosa di fondamentale.
Il pony era sparito.
Si stupì da sola per l’imprecazione colorita che le era sfuggita.

Il Nano avanzava con cautela nella boscaglia, ringraziandoo Mahal e tutti gli dèi che i Goblin non fossero specialisti nelle imboscate. I loro richiami risuonavano per tutto il bosco, consentendogli di correggere la sua direzione o di nascondersi se fosse il caso, ma fino ad ora era riuscito a non perdere di vista le tracce del pony. Ogni tanto si confondevano, o sparivano in caso di fondo sassoso, ma per riapparire sempre poco più avanti. I Goblin erano davvero degli idioti  a non notarle, o forse Gwennis  era particolarmente fortunata.
Qui deve essere tornata sui suoi passi,  pensò in un punto in cui le tracce si facevano particolarmente confuse; ma poi ecco, è andata in quella direzione.
Procedeva piano, a ridosso di una roccia, attento a non far rumore, quando all’improvviso un colpo violento tra le scapole lo sbattè di faccia contro la parete rocciosa. Era stato preso completamente di sorpresa, tanto che gli cadde perfino la spada corta che stringeva nella mano sinistra.
L’istinto fu quello di girarsi e cercare di raggiungere una delle molte lame che portava addosso, ma non ebbe nemmeno il tempo di tirare il fiato. Un corpo caldo, pesante e che mandava un odore tremendo gli si abbattè sulla schiena, schiacciandolo contro la roccia come una mosca spiaccicata  e bloccandogli qualsiasi movimento.
Scosso  e spaventato, oltre che nauseato dall’odore, tentò freneticamente di liberarsi, cercando di far leva con le braccia contro la roccia, ma come unico risultato una testa enorme e pelosa, corredata da un alito mefitico,  gli  si insinuò  tra il collo e la spalla, inondandogli la guancia di peli bagnati. Un violento conato di vomito lo colse,  il disgusto anche più forte della paura. Ma cosa diavolo…?
Stava tentando disperatamente  di controllare lo stomaco – non aveva nemmeno lo spazio per vomitare, maledizione! – e allo stesso tempo di mettere insieme una specie di piano per liberarsi, quando si bloccò.
Il suo catturatore lo stava annusando.

“Stupido animale! Solo un idiota di un pony poteva convincersi di essere un cane da fiuto! E d’altra parte cosa potevo aspettarmi dalla tua padrona se non che avesse l’unico pony-segugio della Terra di Mezzo? E spostati dannazione, hai un alito pestilenziale! Mai pensato di far qualcosa?”
Con uno sforzo sovrumano, reso ancora più complicato dalla risata che, nonostante  tutto,  gli gorgogliava in gola, puntò le braccia contro la roccia e respinse il pony che continuava allegramente a fiutarlo.
“ E smettila! Non sono una balla di avena!”
Scivolò  dalla stretta e con un sospiro di sollievo si rassettò gli abiti.

“Allora, dov’è finita la tua…”
Non potè finire. Un altro corpo si abbattè contro il suo, e si trovò la faccia avvolta da un’altra massa di peli… o meglio capelli, mentre due braccia nervose si avvinghiavano attorno al suo collo.

Lei non aveva un buon profumo. Nella migliore delle  ipotesi sapeva di cane bagnato,  e i riccioli umidicci gli riempivano la bocca; il cappotto che aderiva al suo era fradicio, e freddo, e nella sua frenesia gli era salita sui piedi con gli stivali pesanti…  ma tutto questo non era importante. L’ondata di sollievo che lo colse cancellò tutto, e di loro volontà le sue braccia salirono a ricambiare la stretta.
Grazie Mahal, grazie, grazie.
Lei stava tremando, scossa da singhiozzi incontrollati, e mormorava nel suo collo parole spezzate.
“Ero c-così sp-spaventata! Tu… tu non t-tornavi, e c’erano quegli urli… e avevo p-paura che t-ti fosse successo  qualcosa… e n-non sapevo c-cosa fare per aiutarti…”
Il Nano era più scosso di quanto si sarebbe aspettato. Affondò una mano nei riccioli arruffati in un tocco confortante, mentre gli venne naturale tentare di calmare tutta quell’angoscia stringendola più vicina a sé.
“Ssh, ssh, basta adesso,” sussurrò  accostando la guancia a quella fredda della sua compagna. “Va tutto bene, sono qui, è tutto finito… non aver paura…”

E mentre la teneva stretta, si rese conto di quanto quel contatto lo riscaldava; corpo e anima. Solo in quel momento capì quanto fosse grande il gelo che aveva sentito nel cuore per tutti quei mesi, la spaventosa solitudine di chi non ha un ricordo felice, di una persona cara, di un momento sereno. La questione della sua amnesia era stata accantonata, perché la semplice sopravvivenza, per non parlare della sua missione, avevano assorbito tutte le sue energie e tutta la sua attenzione, ma era lì.
Spesso aveva pensato con dolore che, se fosse stato in punto di morte, non avrebbe nemmeno potuto rivolgere un ultimo pensiero alle persone più care; ma in quel momento si rese conto che non era più così.
Quel vuoto doloroso rimaneva, certo; ma il suo cuore assetato di affetto, se non di semplice contatto umano, aveva trovato qualcuno che a poco a poco, senza parere, vi si era insinuato.
Gwennis si era guadagnata prima il suo rispetto, poi la sua stima; ma solo allora si rese conto di quanto si fosse affezionato a quella Nana allo stesso tempo tenera ed esasperante, ingenua e saggia,  confusionaria e pratica, che riusciva sempre a sorprenderlo.
Gwennis si era un poco calmata, ed i singhiozzi disperati si erano trasformati in piccoli sussulti, anche se con le dita stava ancora artigliando le maniche della giubba del Nano. E lui continuava a tenerla, immemore di ogni cosa, solo godendo quel calore che gli era nato dentro e che scacciava settimane e mesi di gelo dal suo cuore dolorante, come un muscolo fermo per troppo tempo che riprendeva a funzionare con difficoltà.
Solo un momento dopo, però, divenne fin troppo consapevole di tenerla tra le braccia.
Oh Mahal.



ANGOLO  AUTRICE
Pensavate di  essevi liberati di me, vero?  Pensavate che avessi gettato la spugna, vero???
E invece no. Rendo chiaro urbi et orbi che Idril  non molla mai. Ci mette il suo tempo, ma giura sulla sua libreria che questa storia la finisce… anche perché ha un sacco di capitoli già scritti e deve solo collegarli, eh-eh. (notare: usa la terza persona… come Cesare)
Allora: se mi sembra che ci sia un salto logico... ebbene sì. C'è. La spiegazione nel prossimo capitolo, questo stava già diventando troppo lungo.

Angolo del Grazie:
*a tutte le recensiste a cui non ho risposto ( vergogna) ma che amo con tutto il cuore ( in particolare a didi_95)
*ai lettori silenziosi ma fedeli
Benvenute a I_am_in_love_with_Horan  e  Llem: un abbraccio
Alla prossima
Bacio
Idril

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Capitolo 50
*** Un posticino tranquillo ***


50 Un posticino tranquillo
50 Un posticino tranquillo

Gwennis era calore. Calore nel cuore, sì, ma anche …
Il Nano si rese conto con orrore che il suo corpo  stava reagendo  a quel contatto, e gli inviava straordinarie sensazioni di benessere,  oh sì, tienila stretta, ancora più vicina…

Chiuse gli occhi, del tutto incapace di controllare le sue emozioni; il respiro corto, il cuore che accelerava i battiti  ed il sangue che correva più veloce nelle sue vene, e quel calore…
Devo staccarmi da lei, e subito, o se ne accorgerà…
Ma le sue braccia non obbedivano, anzi.

Il ruggito che risuonò spaventosamente vicino fece sussultare violentemente entrambi, ed i due si appiattirono a terra con una reazione istintiva.

Il Nano rimase qualche secondo fermo, controllando il respiro, ad occhi chiusi finchè non riuscì a ritrovare  il controllo. L’effetto era stato devastante.
E’ decisamente troppo, troppo tempo che non stai con una Nana, amico,  lo sbeffeggiò la voce cinica della sua mente razionale. La prossima volta ti troverai senza testa.
Il Nano respinse il pensiero offensivo, raccolse tutta la sua dignità e prese Gwennis per la manica, tirandola leggermente. Quando lei si voltò, indicò con la testa la direzione dalla quale era venuto.
Per di là.
Lei annuì, allungò il braccio senza far rumore ed afferrò le redini del pony arrotolandosele sulla mano.
“Vai avanti,” sussurrò. “Noi ti seguiamo.”

Fu una gioco a nascondino per un tempo che non riuscirono mai a determinare, ma che probabilmente non superò la mezz’ora.
Quando  ormai la luce stava decisamente calando, il Nano condusse Gwennis fino ad un torrente, che d’estate doveva essere poco più di un rigagnolo, ma ora scorreva impetuoso saltando di masso in masso e sollevando schizzi gelati, fino ad una brusca deviazione che nascondeva il corso superiore.
Strisciarono su una stretta cengia rocciosa, appena sopra il corso d’acqua, e con pazienza anche il valoroso pony  riuscì a svoltare l’angolo. Sudata nonostante il freddo, Gwennis esalò un sospiro di sollievo, notando il sentiero davanti ai suoi piedi  allargarsi in una roccia piatta, ed alzò lo sguardo oltre la sagoma del Nano che la precedeva. E rimase senza fiato.

Il sentiero finiva in  un’ampia spaccatura della roccia da cui il torrente defluiva. Davanti a loro, un’erta parete rocciosa, liscia ed apparentemente invalicabile, delimitava uno spazio circolare; proprio di fronte, svariati metri sopra la sua testa, il torrente si slanciava in un’alta ed impetuosa cascata fino alla pozza che si trovava ai piedi della parete con un salto spumeggiante.  Era uno spettacolo maestoso ed affascinante, ma erano in trappola. Non vi era traccia di alcun pasaggio.

“Ci… ci nascondiamo qui?” chiese Gwennis.
Il Nano ridacchiò.
“Noto la tua mancanza di entusiasmo, e sono molto deluso. Pensavo che ti sarebbe piaciuto un simile spettacolo.” La guardava malizioso, con il  suo solito sorrisetto  ironico.
Gwennis non voleva apparire maleducata, o deluderlo. Le era mancato così tanto, era stata così preoccupata, e l’ultima cosa che voleva era litigare con lui, ma..
“Sì, certo è bellissimo, ma, Mastro Nano… non c’è un posto un poco più riparato?”
“Si,” rispose lui strizzando un occhio, “c’è.”

L’aria era piena di minuscoli schizzi, lo spostamento d’aria causato dall’acqua in movimento toglieva quasi il respiro, ed il rumore si faceva sempre più forte, mentre i due con il pony al seguito  aggiravano la pozza camminando con precauzione sui sassi bagnati, fino a raggiungere il lato destro della cascata. A quel punto il Nano si voltò.
“Alzati il cappuccio, copriti la testa più che puoi,” disse, rialzando a sua volta la cerata orchesca sopra la testa; “ e dammi la mano.”

Gwennis afferrò saldamente il Nano con la destra, e si avvolse meglio sulla  sinistra le redini del pony, avvicinandolo a sé. I suoi occhi spalancati erano un enorme punto interrogativo.
Procedettero lentamente ancora qualche passo. La parete rocciosa sembrava ripiegarsi su se stessa, per tornare a proseguire nella direzione originaria, scomparendo sotto il flusso della cascata; il Nano si insinuò nella piegatura, ampia a sufficienza anche per il pony, ed agli occhi meravigliati di Gwennis apparve un varco, sul fondo.
Le pareti erano molto vicine, e l’umidità penetrava fin nelle ossa; ma dopo qualche metro, il cunicolo finì.
“Oooh!” sussurrò Gwennis, a bocca aperta.

Si trovavano in un’ampia caverna. La luce morente del giorno penetrava da almeno tre punti: il più vicino, alla loro sinistra, era un’apertura proprio dietro la cascata, larga almeno quattro metri ed alta due. Dall’esterno non era minimamente visibile, perché l’acqua la ricopriva, come una tenda davanti ad una porta; la luce scintillava e si rifletteva sulle gocce, creando strani effetti visivi all’interno della caverna.
E, dappertutto, cristalli  la rimandavano, scindendola in raggi di mille colori e sfumature, perfettamente distinguibili anche con la luminosità ormai bassa del giorno morente.
Gwennis  era senza fiato.
Lo spettacolo era fantastico, ancor più perché inaspettato. Alzò gli occhi,  alla ricerca delle altre fonti di illuminazione, e rimase una volta di più a bocca aperta.
Molti metri sopra di loro, sulla volta, un inghiottitoio lasciava passare un robusto flusso di acqua, che scendeva saltellando sui gradini rocciosi fino a terminare, scivolando su un’ampia lastra di pietra, in un piccolo laghetto, che a sua volta tracimava rilasciando l’acqua alle spalle della cascata, a confondersi con essa.
Il Nano aveva seguito il suo sguardo.
“C’è un fiume, lassù.  Buona parte dell’acqua scorre in superficie, e forma la cascata; il resto finisce qua sotto. E’ bello, vero?”
“Come hai fatto a trovare questo posto? Da fuori  non si vede nulla!”
Lui ridacchiò.
“Non sono entrato da lì.”

La prima sensazione fu di non avere un punto del corpo che non facesse male, come se fosse appena emerso da una rissa particolarmente accanita. Attorno a lui, non avvertiva alcun movimento né alcun rumore, tranne lo scorrere dell’acqua. Un torrente.
L’atmosfera era… strana. Piano piano, fece l’inventario: un sacco di lividi e di escoriazioni, probabilmente, ma niente di più serio. Niente fratture.
Si mosse con cautela ed aprì gli occhi. E tutto fu chiaro.
L’atmosfera era strana perché si trovava in una grotta. Giaceva su un cumulo di detriti e residui di terra, foglie e rami secchi, il che spiegava la sua  mancanza di serie ferite; sopra di lui, nel soffitto della grotta, la luce entrava da una buca mascherata dai rampicanti.
Ecco. Sotto i rami c’era il vuoto, e sono caduto di sotto. Lentamente, si alzò, mormorando maledizioni ogni volta che scopriva una nuova contusione, ed esaminò la situazione.
Era stato fortunato, la caduta non era stata superiore ai tre metri; per un momento si preoccupò che i Goblin potessero vedere l’apertura, ma presto venne rassicurato dalla mancanza assoluta di movimento all’esterno.
Risolta quella preoccupazione, il Nano passò ad affrontare il problema successivo: come uscire da quel posto.
Studiò l’apertura sopra di lui: niente da fare, da quella parte. Troppo lontana dalle pareti della grotta, che si perdevano in lontananza, e niente da utilizzare come scala.
Studiò la grotta stessa. Una ventina di metri più in là, l’acqua entrava da un inghiottitoio: impossibile risalire da lì verso la superficie. Anche se le rocce potevano forse essere scalate, sarebbe annegato come un topo prima di arrivare in cima. Quindi guardò verso il lato opposto.
Oh, Mahal! L’acqua scompariva in una voragine! Ora che i suoi occhi si erano abituati all’oscurità, vide che si trovava su una larga piattaforma rocciosa, che finiva nel vuoto una decina di metri più in là.
Era in trappola.

“… ero esattamente lassù,” spiegò il Nano a Gwennis, puntando il dito sulla sporgenza svariate decine di metri sopra le loro teste, “e già pensavo che non sarei più uscito. Invece…”

Non disposto a dichiararsi sconfitto, non ancora, il Nano si avvicinò al bordo della piattaforma. Si distese e si sporse leggermente, per vedere cosa ci fosse al di là.
Il cuore gli sprofondò. Sotto di lui la parete addirittura spariva, curvando verso l’interno. Il fondo si vedeva a malapena. Senza una corda, che non aveva, non vi era alcuna speranza di scendere da lì; ed anche se fosse riuscito a scendere, cosa avrebbe ottenuto?
Scivolò a ritroso allontanandosi dal bordo; si alzò e si diresse pigramente verso il torrente, pensando che, quanto meno, sarebbe morto di fame e non di sete. Molto consolante, pensò. Arrivato al bordo del ruscello, si chinò, raccolse l’acqua nelle mani a coppa e bevve a sazietà. Era fresca e pulita, ed insolitamente corroborante.
Sentendosi un po’ rinvigorito, lasciò spaziare lo sguardo oltre il corso d’acqua, sull’altra riva, dove la grotta terminava in una parete.

“… è stato allora che ho visto: il torrente scorre su una specie di scala naturale, vedi? Così sono sceso di là per dare un’occhiata. Stavo già pensando di buttarmi dalla cascata, per vedere dove sarei finito, quando ho visto l’uscita.”
Prese la mano di Gwennis, ancora incantata ad ammirare le cristallizzazioni con tutti i loro colori, e la condusse a destra, in una zona avvolta nelle ombre.
“Guarda qui. Questo non è naturale.”
Questo’ sembrava una vasta nicchia, alta e larga un paio di  metri, dai bordi stranamente regolari; il Nano fece alcuni passi all’interno e trovò la via sbarrata da una serie di massi.
“E’ un passaggio… o meglio lo era. Ad un certo punto è crollata la volta, ma deve essere accaduto decenni fa, se non secoli. Questa parete non è recente… e ti dirò di più. Secondo me questa  è opera dei Nani. Quando mai gli Orchi o i Goblin fanno lavori da muratore o scalpellino?”
“Nani!” Gwennis spalancò gli occhi. “Ma quanto è antico questo posto?”
“La domanda giusta è ‘dove portava questo passaggio?’ Non credo che lo sapremo mai. Ci vorrebbero molto tempo e molte braccia per eliminare questa frana; ma in ogni caso possiamo sfruttare questo posto, giusto? Riposare al sicuro…”
“Oh sì…” la voce di Gwennis si era fatta sognante. “Legna per un fuoco, acqua… Mahal ha ascoltato le mie preghiere!”
Un sorriso luminoso sfolgorò sul viso sporco.
“Posso fare un bagno! Meglio ancora… tu puoi fare un bagno!”
Il Nano la guardò un po’ sconcertato. Avrebbe dovuto sentirsi offeso?


ANGOLO AUTRICE
Ho sempre pensato che i libri che parlano di viaggi fantastici e di ricerca siano sempre poco esaustivi riguardo questioni come l’igiene personale. In tutto il viaggio verso Erebor, i Nani sembrano essersi fatto un unico bagno… nelle fontane di Gran Burrone. Ma mi chiedo: quanto dovevano puzzare?

Al bando le divagazioni. Se date un’occhiata, scoprirete che ho modificato l’ordine dei capitoli, perché mi sembravano un po’ confusi. Così la storia è molto più lineare, e non saltella da una parte e dall’altra. La prossima volta riparliamo di Kili e dei suoi problemi.

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Capitolo 51
*** Elkar il Rosso ***


51 Elkar il Rosso
51 Elkar il Rosso

La prima luce dell’alba penetrava nella stanza attraverso una fessura nelle pesanti tende di velluto. Kili si crogiolava nel caldo bozzolo del piumino che divideva con sua moglie, e da qualche momento il suo sguardo indugiava sulla forma addormentata la suo fianco.
I capelli biondissimi formavano un alone luminoso intorno al capo e sulle guance indugiava un delizioso colore roseo; le labbra si incurvavano leggermente ai lati, come se la loro proprietaria si stesse godendo un bel sogno.
Kili non si sarebbe mai stancato di guardarla. A volte si ritrovava ancora incredulo, come se vivesse in uno strano e dolcissimo sogno da cui si sarebbe dovuto risvegliare; e poi pensava, con umorismo un po’ forzato, che, se fosse davvero stato un sogno, non avrebbe avuto a che fare con una montagna di grattacapi sotto forma di una pletora di Nani rissosi ed irascibili, una Montagna da ripulire e rimettere in sesto, per non parlare di un mucchio di maledetto oro di cui non sapeva bene cosa fare.  E di un fratello maggiore vagabondo, sparito chissà dove senza degnarsi di dare notizie di sé.
Però in momenti come quello poteva allontanare tutto dalla mente e lasciare spazio alla tenerezza.  Uno dei suoi ricordi più vividi era quello di Liatris addormentata tra le sue braccia nella camera sopra la Locanda di Laketown… più o  meno una vita fa. Erano cambiati entrambi; erano stati costretti ad assumersi responsabilità in quel momento impensabili; ma il giovane principe Nano poteva a buon diritto ritenersi orgoglioso di se stesso, per come aveva gestito una situazione al limite dell’impossibile; ma sapeva pure che non ci sarebbe riuscito senza la sua saggia, energica ed equilibrata Liatris.
Kili era sempre stato ritenuto volubile in amore; e lui stesso aveva iniziato a pensare di essere incapace di vero attaccamento. Tanto facilmente le Nane attiravano il suo interesse, tanto velocemente tutto finiva in una bolla di sapone; uno sguardo ed una richiesta, anche innocente, diventava una macina da mulino legata intorno al suo collo; e spesso l’interesse  si trasformava in una irrefrenabile desiderio di svanire in uno sbuffo di fumo.
Ci voleva quella giusta, per farmi passare la voglia di scappare!  Pensò Kili. Con Liatris non si era mai sentito costretto; non dipendeva da lui. Gli lasciava il  suo spazio perché lei stessa aveva bisogno del suo; non vivevano l’uno in funzione dell’altra, e come risultato  il loro legame era più saldo e più profondo che mai.
Il giovane Nano stava prendendo seriamente in considerazione l’idea di svegliare la moglie coprendola di baci, quando un lieve mormorio nella sala di soggiorno attirò la sua attenzione.
Ma chi diavolo…
Le voci si alzarono in uno scambio che iniziava a somigliare ad un alterco, e divennero distinguibili. Kili sospirò.

Quando si erano trasferiti alla Montagna, Liatris si era accorta quasi subito che i suoi impegni pubblici con la ricostruzione non le avrebbero consentito di occuparsi della gestione domestica della  loro piccola famiglia. E quando Kili si ritrovò con un’unica camicia pulita che avesse anche tutti i bottoni al posto giusto, la Nana prese in mano la situazione e si trovò una governante.
Halla era una vedova di mezz’età, giunta dalle Montagne Grigie, lontana parente di Nàr. Trovò  i servitori e gli artigiani necessari e li terrorizzò in misura adeguata per ottenere che tutto filasse liscio, dalle pulizie, al guardaroba, ai rifornimenti. Tentò di tiranneggiare anche i due giovani Nani il cui benessere era affidato alle sue cure, e mentre Kili si era venuto a trovare francamente in difficoltà, Liatris aveva avuto con lei un breve ma intenso confronto in cui erano stati  chiariti i rispettivi ruoli. Di conseguenza, Halla aveva preso a difendere l’intimità dei suoi protetti con la ferocia di una leonessa, entrando ben presto in rotta di collisione con gli altri Nani che , in qualche modo, avessero a che fare con loro.
La situazione era diventata particolarmente grave con Dwalin.

Il principe Nano si alzò senza far rumore, per non svegliare Liatris, e cercò velocemente qualcosa da indossare prima che la situazione nel soggiorno degenerasse. Alle voci si erano sostituiti rumori che somigliavano in modo allarmante a dei… ringhi.
Kili conosceva bene, per esserne stato spesso il bersaglio, l’intensità dei ringhi del suo Maestro d’Armi ora Comandante della Guardia; ma che la dignitosa Halla emettesse suoni simili a quelli di una tigre a difesa dei suoi cuccioli lo lasciava un po’ spiazzato. Meglio uscire prima che Dwalin si trovi quattro graffi paralleli su ciascuna guancia.
Recuperata infine una camicia ed un paio di semplici pantaloni, uscì nell’arena.

Dwalin ed Halla si stavano affrontando naso a naso. Il fatto che lei fosse una testa buona più bassa di lui non sembrava scalfire la sua posizione: in effetti, la postura ricordava molto Thorin al suo peggio.
“Non ti permetterò di disturbarli, signor Comandante della Guardia! E’ l’alba, e…” il sarcasmo grondava dalla parola signor.  Come ad esprimere l’opinione di Halla sul fatto che, indubbiamente,  Dwalin era tutt’altro che un signor.
“Non devo rendere conto ad una governante di quello che faccio! E’ urgente, e…” la parola governante era a sua volta carica di qualcosa che andava dall’ironia al disprezzo. Il modo migliore per mandare fuori dai gangheri la Nana, così fiera della sua posizione.
“Aspetta, brutto…”

“Signori, basta così.” Intervenne Kili.
“Ecco! L’hai svegliato!”
“E’ quello che volevo!”
“Ho detto basta,” ribadì il principe.
“Ma lei…”
“Ma lui…”

Kili sospirò di nuovo.
“Se non la smettete sveglierete anche Liatris,” osservò. E questo pose fine alla discussione.
“Allora, cosa succede?”
Dwalin aveva l’aria un po’ preoccupata.
“E’ arrivato un gruppo di messaggeri, Kili. Da tua madre.”
Il principe spalancò gli occhi, allarmato.
“E’ successo qualcosa?” chiese, infilandosi gli stivali e cercando con lo sguardo la giacca, che Halla recuperò prontamente e gli porse.
“Dicono che Dìs sta procedendo, dovrebbe essere al massimo ad una settimana di viaggio, ma hanno messaggi urgenti.  Aspettano con Balin nello studio privato.”

Uscendo dal suo appartamento, Kili ordinò ad una delle guardie di chiamare Thorin.
“Ah, sì: cercami anche Nori, d’accordo?”
Dwalin sollevò un sopracciglio con aria interrogativa.
“Ho la sensazione che ci servirà.”

Quando Kili entrò nello studio, i tre Nani posarono immediatamente un ginocchio a terra.
“Mio Signore…” iniziò quello che doveva essere il capo del drappello. Tutti e tre portavano i segni di una dura cavalcata.
“Ah, Dannir! Lieto di vederti,” lo interruppe Kili. “Alzati. Non c’è bisogno di cerimonie a quest’ora del mattino. Come sta mia madre?”
Dannir si alzò un po’ a fatica. Era evidentemente provato, ma si guardava anche intorno con aria meravigliata.
“Quando l’abbiamo lasciata, appena superato il grande Fiume, bene, mio Signore. Non dovrebbe tardare ancora molto, aveva intenzione di fermarsi solo qualche giorno, ma la colonna è comunque numerosa, ed i carri con i rifornimenti più lenti di noi.” Così dicendo, gli porse una lettera ripiegata e sigillata; era evidentemente un po’ perplesso davanti a questo nuovo Kili così  serio e regale, ed inevitabilmente ricordò quella volta in cui l’aveva rincorso con un bastone dopo averlo sorpreso a servirsi di ciliegie nel suo frutteto.  
Kili  ruppe il rigillo con dita nervose. Dìs aveva appena passato l’Anduin quando gli aveva inviato la sua risposta per mezzo di Groac; cos’era successo subito dopo per indurla a mandare messaggeri così di gran fretta? Per un attimo si maledì per non aver proseguito nello scambio epistolare, via corvo, ma gli era sembrato scortese approfittare di Groac senza averne una  reale  necessità.
In quel momento la porta dello studio si aprì per lasciar entrare Thorin, seguito subito dopo  da Nori. I tre Nani si inchinarono in segno di rispetto, ma Thorin agitò la mano invitandoli a lasciar perdere, e guardò Kili con  aria interrogativa.
“Da tua madre?” il giovane Nano annuì con espressione seria e si rivolse di nuovo a Dannir.
“Perché mia madre si è fermata dopo il Fiume?” chiese, mentre svolgeva la lettera dal suo involucro protettivo.
“Aveva intenzione di aspettare il ritorno delle pattuglie di esploratori che aveva mandato indietro lungo l’Antica Via.”
Kili alzò le sopracciglia
“Perché esploratori?”
“Dopo aver quasi superato le Montagne Nebbiose, ci siamo imbattuti in una colonna di Orchi diretti a Gundabad, evidentemente reduci dalla battaglia. Li abbiamo dispersi senza difficoltà, ma nella confusione si è smarrita una giovane Nana a cui Lady Dìs tiene molto. E’ venuta da Gabilgathol per stare con lei  la scorsa estate, il suo nome è Gwennis.”
Kili scambiò uno sguardo sorpreso con  i presenti.
“Mai sentita,” rispose Thorin. Balin e Dwalin confermarono con un cenno del capo, mentre Nori rimase impassibile.
Gabilgathol,  pensò Kili. Salta fuori un po’ troppo spesso, ultimamente. Chissà se…

‘Carissimo,’  scriveva Dìs, ‘poco dopo la partenza del tuo amico, ho ricevuto la visita di uno strano personaggio che sostiene di conoscervi. Il suo nome è Beorn.’
“Beorn!” esclamò Kili alzando gli occhi verso i tre messaggeri. “Beorn il Mutaforma?”
I tre si guardarono perplessi.
“Beh, non so se muta, ma anche così è abbastanza impressionante,” rispose Dannir.
“Sì, lo è,” ridacchiò Kili.
“Non avete visto l’altra forma,” bofonchiò Dwalin, lasciando i tre esterrefatti. Cosa mai doveva essere per impressionare  Dwalin?
L’assenso convinto degli altri presenti non aiutò affatto.

‘Mi ha portato notizie interessanti, sopratturro perché potrebbero riguardare tuo fratello, anche se non oso affidarmi ad una vera speranza.’
Kili trasalì visibilmente, mettendo in allarme tutti i presenti.
“Kili! Cosa succ…”
Il principe di Erebor alzò la mano zittendo le domande, e proseguì leggendo ad alta voce.
La Gente del Fiume, che a quanto pare riconosce Beorn quale Signore, ha raccolto un Nano più morto che vivo sulle rive dell’Anduin. Doveva essere caduto in acqua almeno tre miglia a sud del Guado, perché in caso contrario non avrebbe superato le rapide. Beorn è andato a parlargli.  Si chiama Elkar, è un Comandante dell’esercito dei Colli Ferrosi, ed ha combattuto davanti ad Erebor.”
“E come diavolo ha fatto ad arrivare al Fiume?” sbottò Dwalin. Kili lo incenerì con un’occhiataccia e proseguì nella lettura.
Gli Orchi ed i Goblin hanno preso…”  la voce di Kili si incrinò. Gli sembrava che le lettere ballassero davanti ai suoi occhi, ed all’improvviso si sentì la gola asciutta. Non si rese conto di aver trattenuto il respiro finchè Thorin non gli mise una mano sul braccio, chiedendo con un filo di voce:
“Kili… hanno preso …cosa?”
Il giovane Nano alzò sullo zio uno sguardo incredulo.
“… prigionieri, zio. Hanno preso prigionieri.”
Le esclamazioni soffocate dei presenti caddero nel silenzio che si era stabilito. Kili fermò il coro di domande alzando ancora una volta la mano.
Non è chiaro a che scopo l’abbiano fatto, ma Elkar è certo che non si tratti di un caso. Ha avuto modo di sentire che, quando le cose si stavano mettendo male per gli Orchi, sia circolato l’ordine di prendere vivi nemici che portassero armi ed accessori particolarmente belli, il che fa pensare che cercassero prigionieri di alto  rango.  Per certo avevano con loro tre Elfi ed un altro Nano, oltre ad Elkar.”  

“Un altro Nano!”  alitò Kili. Le possibilità sembravano enormi, a quel punto. Si rese conto che stava tremando, e guardò i Nani più anziani solo per accorgersi che anche loro erano come pietrificati. Nessuno osava respirare.
Dannir era  con me quando ho incontrato Beorn, e ti  darà tutti i particolari sulla storia di Elkar; che, attenzione, è riuscito a fuggire quando si trovavano ancora sulla sponda est dell’Anduin. I miei esploratori hanno ordine seguire gli Orchi anche fino a Gundabad se lo ritengono opportuno,   di cercare tracce di qualunque Nano, ed anche di eventuali prigionieri, e se c’è qualcosa da scoprire lo faranno.  Se avranno notizie te le comunicherò, sempre che ti venga in mente di mandarmi il tuo amico pennuto. Chiudo perché Dannir ed i suoi sono pronti a partire e non voglio perdere nemmeno un altro minuto. Ti spiegherà perché, nonostante sia la cosa che più vorrei al mondo, non posso tornare a rivoltare tutte le Montagne Nebbiose fino all’ultimo sassolino. Spero che stiate tutti bene, che il  mio nipotino cresca e che   mio figlio si comporti da Durin, altrimenti faremo i conti quando arrivo. Tanto devo già fare due chiacchiere con tuo zio, ho tempo anche per te.”
“Oh Mahal,” sussurrò Thorin, suscitando sorrisetti malcelati dai figli di Fundin. “Non vedo l’ora.”
“Forse me la cavo, stavolta,” bofonchiò Kili, “ma mi assicurerò che Groac sia molto chiaro quando le parlerà…”
Ripiegò la lettera e si rivolse a Dannir.
“Avanti, amico, raccontaci la storia di questo Elkar”.

“Ecco qui, non c’è  altro. Elkar è ancora presso la Gente del Fiume che lo ha salvato, e resterà lì finchè non sarà del tutto guarito. Ha lasciato a Beorn alcune lettere da consegnare a Dàin ed ai suoi parenti nei Colli Ferrosi.”
Nori parlò per la prima volta, a mezza voce.
“Interessante, questo Nano. Cosa faceva nei Colli Ferrosi? Non è da tutti scappare da un’orda di Orchi con un trucco così ingegnoso.”
Dannir scosse il capo.
“Non saprei, di lui so solo che lo conoscono come Il Rosso, perché pare che abbia i capelli rosso fuoco.  Beorn lo considerava attendibile, ma si può chiedere a Dàin.  Pare che fosse davvero malconcio quando lo hanno ripescato.” Fece una pausa. “Ci ho pensato su parecchio mentre venivamo qui. Non credo che gli Orchi che abbiamo incontrato avessero prigionieri. Si sono scompaginati subito, e se ci fossero stati Nani ed Elfi li avremmo visti, e comunque un prigioniero Nano si sarebbe fatto riconoscere. Non ci siamo nascosti. Ah, prima che tu lo chieda, non c’erano né carri né trasporti particolari dove avrebbero potuto essere fuori vista, magari legati e non in condizioni di attirare la nostra attenzione.”
“Però Beorn ha detto che appena dopo il guado la colonna si è divisa,” osservò Dwalin. Dannir annuì.
“Probabilmente i Goblin sono andati a sud, e gli Orchi a nord, verso Gundabad.”
“Goblin Town. E’ a Goblin Town.” Sussurrò piano Thorin.
Il ricordo dell’esperienza sotterranea fece correre un brivido su tutti i Nani  che l’avevano vissuta. Chi sarebbe sopravvissuto là sotto?

Kili era rimasto pensieroso durante il racconto di Dannir.
“Ma non si sa niente di questi prigionieri?”
“Elkar non ne sa quasi niente. I primi giorni era quasi sempre fuori conoscenza, e quando si è ripreso è rimasto nel carro, e ne usciva solo furtivamente, di notte. Con lui c’era un Elfo, che non parlava molto. Un guerriero, secondo lui, anche se correva voce che fosse un nipote di Thranduil.”
“E il Nano? Non l’ha mai visto?”
“Non da vicino. Sa solo che è giovane, e biondo.”
Tutti trattennero il respiro.
“Fili!” alitò il Nano più giovane.
“… o Gràin,” intervenne Balin. “Mi dispiace,” continuò dopo un’occhiataccia di Dwalin, “ma dobbiamo tener conto di questa possibilità. So quello che pensi, Kili,  so anche cosa pensano Gandalf ed Oìn, ma non basta. Non possiamo ignorare i fatti  nudi e crudi, e questi ci dicono che quel Nano potrebbe essere benissimo Gràin.”




ANGOLINO AUTRICE.
D’accordo, mi arrendo. Con tutta la buona volontà, sembra che non riesca ad aggiornare in tempi decenti. Quindi, per le poche lettrici che non abbiano ancora gettato la spugna, perdonatemi: farò del mio meglio.

ANGOLO DEL **GRAZIE**
Ho parecchi ringraziamenti arretrati.
Emouel, Laucace, Gil-estel94; e _Kiara_ a cui va un caloroso Tre volte benvenuta!
Sono andata a riguardarmi qualche pagina di recensioni ai primi capitoli, ed ho notato come i nomi siano cambiati! D’altra parte, è passato un periodo indecentemente lungo, quindi è normale cheabbiano cambiato lidi. Per fortuna ci deve essere qualche altro interessato, altrimenti non vedrei un numero incredibile di contatti! Vi amo tutti, anche se non vi fate sentire e mi lasciate nel dubbio che abbandoniate la pagina dopo le prime due righe…
Infine, un grazie particolarmente sentito a ventiquattronovembre; aspetto di leggerti.
Baci a tutti
Idril

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Capitolo 52
*** Organizziamo una spedizione ***


52 Organizziamo una spedizione
52 Organizziamo una spedizione

Kili congedò i messaggeri, incaricando la guardia fuori dalla porta di accompagnarli alle cucine ed affidarli alle cure di Bombur.

“Ma scusate,” intervenne Nori, “non può essere Gràin. Il tizio… Elkar … è un Nano dei Colli Ferrosi: se il prigioniero fosse stato il suo principe lo avrebbe riconosciuto, no?”
“Non è detto,” rispose Balin. “I Colli Ferrosi sono un grande insediamento, non certo la nostra dimora in Ered Luin. Le dimensioni si avvicinano di più a quelle di Gabilgathol… anche se non è  grande come Erebor ; e Gràin era – o è – un giovane principe che non aveva ancora un ruolo pubblico. Non è neanche l’erede… quindi non è detto che tutti i Nani lo riconoscano a prima vista, magari da lontano ed in condizioni difficili. No,” concluse, “non è detto. Potrebbe  essere lui.”
“Chiunque sia,” concluse Kili, “non possiamo lasciarlo al suo destino. Ha combattuto per noi, e se si trova nei guai, è stato per la sua lealtà. Non ho intenzione di ignorarlo!”

Thorin annuì.
“Sono d’accordo, ma… entrare a Goblin Town?”
Il silenzio calò sui tutti i Nani presenti.
“Beh… due ingressi li conosciamo,” azzardò Kili. “Siamo entrati dal versante ovest e siamo usciti dal versante est.”
“Non intendo gettarmi in una trappola e finire nella rete!” ringhiò Dwalin, torvo. “Mi è bastata una volta, ed in ogni caso non vogliamo prendere d’assalto la città, vero?”
“Certo che no,” rispose Kili, aggrottando le sopracciglia, “pensavo più ad un’entrata e uscita rapida e furtiva. Quindi quell’ingresso è escluso.” Poi alzò lo sguardo verso Nori.
“Sei tu quello specializzato in furtività… visto che al momento abbiamo perso il nostro scassinatore…” spalancò gli occhi un attimo.
“Che c’è?  Stavi pensando di mandare Bilbo in qualche altro guaio assurdo… se l’è cavata con i troll, per non parlare di Smaug…magari potrebbe dare lezioni di cucina ai Goblin…” Balin ammiccò, ed i presenti non riuscirono a trattenere un sorrisetto.
“Ancora quella storia,” brontolò Kili, “non riuscirò mai a liberarmene. Anche se, a voler ben guardare, non sono stato io a mandarlo da Smaug.. giusto?  No, in effetti non stavo pensando a quello, ma cosa ne dici, Nori? Sarebbe possibile una sortita rapida…?”
Il Nano fulvo si accarezzò la barba con fare pensoso.
“Si potrebbe fare,” sospirò alla fine. “Anche se i problemi sono parecchi. Goblin Town non è una piccola caverna; non possiamo aggirarci per troppo tempo alla ricerca di una cella che potrebbe essere ovunque. Ogni secondo di permanenza aumenta il pericolo; così dovremmo almeno avere un’idea della zona in cui il prigioniero si trova. Ma prima di tutto, dobbiamo entrare.”
Kili aprì un grande armadio dove erano conservati numerosi rotoli, e ne prese alcuni. Spazzò via tutto quello che si trovava sulla scrivania e vi piazzò sopra i documenti, srotolandoli un po’ ad uno ad uno.
“Queste mappe sono antiche,” disse, “ sono qui da prima del drago. Forse qualcosa è cambiato, ma l’idea generale dovrebbero darcela. Ecco, questa va bene,” aggiunse, aprendone una che occupò quasi tutta la scrivania e fermandola agli angoli con qualche oggetto a caso in modo che non si richiudesse. Tutti i presenti si chinarono sulla mappa.
“La parte centrale delle Montagne Nebbiose,” disse Balin.
“Siamo partiti da Gran Burrone,” osservò Kili, “ma qui non c’è.”
“E’ evidente,” brontolò  Thorin. “E’ la Valle Nascosta! Pensi davvero che compaia su tutte le mappe, specie quelle non elfiche? Però possiamo dedurre la sua posizione approssimativa.”
L’ex Re posò il dito su una linea che attraversava la mappa da est ad ovest, praticamente diritta.
“La Grande Via Est. Gran Burrone è più o meno qui. In verità,” Thorin guardò Balin, che annuì, “non era nostra intenzione scendere così a sud. L’inseguimento degli Orchi ci ha portato piuttosto fuori strada.”
“Anche se forse qualche membro della Compagnia aveva altri piani,” bofonchiò Kili, pensando a Gandalf. Il Mago aveva puntato su Gran Burrone fin dall’inizio, ed aveva avuto le sue ragioni.
“Alla fine le Aquile ci hanno lasciato qui,” Nori puntò l’indice su un punto molto più a nord, vicino al Grande Fiume Anduin. “E qui è la casa di Beorn… più o meno.”
“Quindi, se lasciamo perdere il punto in cui siamo entrati a Goblin Town… che potrebbe essere in questa zona” e Kili coprì con la mano una sezione del versante ovest delle Montagne Nebbiose, “dobbiamo cercare il punto in cui siamo usciti.”
“I segni dell’incendio  dovrebbero essere ancora visibili,” disse Dwalin a bassa voce. Per un momento tacquero, sopraffatti dal ricordo dei momenti drammatici della ricomparsa di Azog.

“Giusto,” riprese Kili dopo un attimo. Il passato è passato, per quanto difficile. Conta il presente.
“Anche in questo caso,” osservò Nori, “non possiamo aggirarci per mesi tra quelle montagne alla ricerca di una particolare zona. A parte la perdita di tempo, essere scoperti da qualche pattuglia di Goblin sarebbe disastroso. Per quanto si possa essere esteso l’incendio, al massimo si tratterà di un paio di chilometri quadrati, non di più. E le Montagne non offrono una visuale molto ampia…”
Kili annuì, lo sguardo sempre fisso sulla mappa.
“Una perlustrazione accurata, da parte di qualche pattuglia scelta… gli esploratori di Dìs, qualcuno dei Colli Ferrosi…” propose Dwalin, ma Thorin scosse il capo ancora prima che l’amico avesse finito di parlare.
“Troppo tempo,” brontolò. “Se Fili è là dentro, non voglio lasciarcelo un attimo più del necessario.”
“Nemmeno io,” proseguì Kili, “ ma non abbiamo scelta, anche se… forse c’è una soluzione più rapida. Come hai detto, Nori? Che le Montagne non offrono una visuale molto ampia? Dipende dai punti di vista,” e così dicendo il giovane Reggente alzò il viso a mostrare un sogghigno malizioso.
Gli altri Nani lo guardarono perplessi.
“Amici,” il sorriso di Kili si fece ancora più largo. “C’è qualcuno che ha una visuale molto più ampia della nostra. Come ce ne siamo andati da quell’incendio?”

Thorin lo guardò incredulo.
“Kili, non penserai di …”
Il nipote scosse il capo.
“No,” rispose, "per quanto mi piacerebbe farmi un altro volo…”
Un coro di brontolii e gemiti accolse l’affermazione.
“Per Mahal, no! Ho aperto gli occhi un istante e mi è bastato!”  esclamò Dwalin.
“Credevo di morire! Anche se è stato eccitante, preferirei non…”  proseguì Nori.
“Sono stato sul punto di vomitare tutto il tempo…” confessò Balin.
Thorin li guardò uno dopo l’altro, perplesso.
“Non ho mai pensato a quello che mi ero perso,” concluse.
“E’ stato fantastico, zio, se non fosse perché eravamo così preocupati per te. Comunque,” continuò, “so che non posso chiedere un passaggio alle Aquile, ma ci sono altri con lo stesso punto di vista, no?”
Nori sogghignò, con aria complice, mentre gli altri si guardavano perplessi. “Giusto.” rispose il Nano fulvo.

“Bene,” disse infine Kili lasciando che la mappa si arrotolasse. “C’è altro?”
“Dàin,” rispose semplicemente Thorin, “Dobbiamo avvisarlo.”
“Se lo conosco, non si muoverà,” interloquì Balin. “Non lascerà i Colli Ferrosi in questo momento; Vodren è ancora lì che tesse le sue trame, e Nàin non sta ancora abbastanza bene per tenergli testa da solo. Dàin non rischierà il Regno per un figlio, per quanto lo ami; però potrebbe voler mandare qualcuno.”
“Se fosse qualcuno con una squadra di arieti da guerra sarebbe un bel vantaggio. Sono molto più veloci dei pony,” osservò Dwalin.
“Gli scriverò io,” si offrì Thorin, “e sono certo che tutti gli arieti rimasti ad Erebor saranno a nostra disposizione.”
“Troppo tempo,” Kili scosse il capo. “C’è un altro modo per avvisare Dàin. Come hai fatto la prima volta.”
“Intendi i corvi? Non so se è possibile…” L’ex Re guardò Balin con aria dubbiosa. Il vecchio consigliere rispose con uno sguardo altrettano dubbioso.
“I corvi sono tornati alla Montagna, li abbiamo visti dirigersi sia alla Corvaia sul versante est sia a Collecorvo. Ma i livelli per la Corvaia sono pesantemente danneggiati, e le scale distrutte. Non c’è modo di arrivarci, se non dall’esterno… con corde e chiodi.”
Kili scosse il capo.
“Troppo pericoloso. E Collecorvo?”
“Lo stesso. Troppi danni nella battaglia. Dovremmo essere tanto fortunati da intercettare un corvo di passaggio; non solo, dovrebbe essere immediatamente disponibile uno di noi che può parlargli.”
Kili rimase un attimo in silenzio.
“Scrivi, zio. Daremo il messaggio e le lettere di Elkar al comandante del contingente lasciato da Dàin; con un ariete da guerra avrà il tutto  in breve tempo.” Nel frattempo farò un tentativo a modo mio.  

“Hai intenzione di partire subito?” chiese Balin, con cautela. Nessuno aveva mai messo in dubbio, nemmeno per un momento, che Kili avrebbe guidato la spedizione, ma per il vecchio consigliere c’erano altre questioni da considerare. Come per Dàin.
Fu compiaciuto, una volta di più, dal suo antico allievo.
“Mi piacerebbe, ma non è possibile. A parte alcune questioni in sospeso, so benissimo che non posso muovermi almeno finchè non arriva mamma. La situazione qui ad Erebor è ancora fluida e gli equilibri di forze sono delicati: troppi uomini, troppi Nani di cui sappiamo troppo poco, troppo oro. Con il contingente di guerrieri da Ered Luin, il nostro controllo della situazione diventa molto più saldo; senza contare che conferire la reggenza a Lady Dìs è una garanzia, vero?” e così dicendo ridacchiò, alla vista dei cenni di assenso degli altri Nani presenti.
“Tua madre è una forza della natura,” bofonchiò Thorin. “A volte penso che i Nani sbaglino di grosso nell’escludere le femmine dalla successione al trono… ma del resto Dìs si prende quello che ritiene le spetti.”
“Benissimo. Se è tutto,” concluse Kili, “ vado a far colazione con mia moglie.”

Kili uscì dallo studio insieme a Dwalin, che si sarebbe occupato di scegliere i Nani per la spedizione. La guardia alla porta lo fermò con un inchino.
“Mio signore, mi dispiace molto, ma non siamo riusciti a trovare il signor Nori. Nessuno sa…” si interruppe vedendo il suddetto Nano uscire a sua volta alle spalle di Kili. La guardia lo guardò interdetto, e così anche Dwalin.
“Se nessuno ti ha avvisato, come hai fatto a sapere che Kili aveva chiesto di te?” chiese il guerriero con uno sguardo torvo.
Nori gli rispose con un sorrisetto malizioso, sicuro che avrebbe irritato Dwalin oltre misura. La diatriba tra i due durava da decenni.
“Ho i miei sistemi,” rispose il Nano fulvo.
“A proposito,” interruppe Kili, che non desiderava una polemica tra i suoi due collaboratori, entrambi preziosi, “novità su Vodren e le sue trame?”
“Curioso che tu me lo chieda proprio adesso,” rispose Nori. “Potrei avere qualche risposta questa sera.”

Thorin guardò la porta che si era appena chiusa dietro le spalle di Kili e sospirò.
“Sai, Balin,” iniziò con aria meditabonda, “non so dirti quanto sia fiero di quel ragazzo. Ha preso in mano la situazione con una naturalezza, come se fosse nato per comandare…”
“Lo è. E’ un Durin; il comando è nel suo sangue,” rispose il consigliere, “Mahal manda sempre alla nostra gente quello che ci serve.”
Thorin si girò verso il vecchio Nano.
“Lo credi davvero, vecchio amico? Mi piacerebbe pensare che tutte le mie pazzie hanno comunque prodotto un risultato positivo. Comunque, un po’ mi manca il vecchio Kili…”
“Ah, sì… una volta, alla notizia che forse Fili è ancora vivo, avrebbe rimbalzato per tutta la stanza e si sarebbe prodotto in un salto mortale senza mani…”

Kili salì di corsa le scale che portavano al suo appartamento. Non vedeva l’ora di raccontare a Liatris la novità. E’ lui. E’ vivo! Lo porterò a casa!  
Lasciò andare tutto il controllo che aveva esercitato e si abbandonò al sollievo. Gli sembrava che un macigno enorme fosse stato sollevato dalle sue spalle; la cortina grigia che per mesi aveva gravato su di lui sembrava squarciarsi per lasciare entrare il sole, proprio come il primo sole  di primavera stava iniziando a scaldare la Montagna Solitaria.
Passò le doppie porte decorate e si ritrovò nel corridoio deserto davanti alle sue stanze.
Si guardò attorno: nessuno. Un sogghigno malizioso stirò le labbra del giovane Principe Reggente.
Lanciò un urlo di gioia e si lanciò in un salto mortale… appoggiandosi su una mano.
Meglio  non rischiare.

Liatris sentì l’urlo e riconobbe la voce del marito. Si alzò di scatto dal tavolo della prima colazione proprio in tempo per accogliere Kili che entrò nella stanza come un turbine.
Si lanciò verso di lei, le mise le mani sui fianchi e la sollevò in aria, facendola girare in un accenno di danza.
“Kili!” la giovane Nana si aggrappò alle spalle del marito, sorpresa e anche un po’ scioccata. Poi lo guardò in viso. Un sorriso radioso illuminava i suoi lineamenti, ed i bellissimi occhi scuri splendevano di gioia.
“L’abbiamo trovato, Lia… abbiamo trovato Fili.”

Seduta sulle ginocchia di Kili, Liatris ascoltava il racconto di quanto era accaduto la mattina, strabiliata.
“Dopo tutto questo tempo, finalmente… finalmente abbiamo notizie!” stava dicendo Kili, con gli occhi splendenti. “Sì, lo so, non ci sono certezze, potrebbe essere chiunque, e bla-bla-bla…”
“Ma tu sei sicuro che sia lui,” concluse Liatris. “Ed in ogni caso, è molto di più di quanto avevamo prima.”
“Una strada, un indizio sicuro, un obiettivo che si può seguire,” concordò Kili.
“Quando partirai?” la voce di Liatris assunse un tono neutro, ma Kili, nella sua eccitazione, non se ne accorse.
“Non so di preciso. Aspetteremo di sicuro che arrivi mia madre; poi ci sarà comunque la Cerimonia dell’Annuncio, e in ogni caso ho qualche idea da provare. Un paio di settimane, penso.”
Liatris abbracciò il marito ed appoggiò la guancia contro la sua.  Kili a sua volta le coprì di baci il collo e la mascella, ed infilò il naso tra i suoi capelli, annusando e facendole il solletico con il respiro. Liatris non potè fare a meno di ridacchiare, ed a sua volta gli infilò le dita nel colletto facendolo ritirare come una tartaruga.
“Ehi!” protestò Kili. “E’ la guerra che vuoi?”
“No.” Sussurrò lei con la bocca sulla sua. “Devo andare tra poco, quindi mi accontenterò di un bacio. Il resto stasera.”

Qualche minuto dopo , mentre Liatris finiva di prepararsi, Kili uscì sulla balconata. Come al solito, lo spettacolo era da mozzare il fiato; il sole illuminava la vallata che, per la prima volta dopo tanti anni, si stava ricoprendo di un tenero verde primaverile. La terra si risvegliava, e, libera dall’alito del drago, la vita si riappropriava della Desolazione di Smaug.
Kili respirò l’aria ancora fredda e si spostò al margine della terrazza, dove batteva il sole, e chiuse gli occhi.
Che razza di Nano sono, che amo il sole e l’aria libera… forse era il fatto di non essere mai veramente vissuto sotto terra, ma si era sempre sentito a suo agio tra i boschi e nei prati. O forse c’è davvero una parte di me che … come diceva Oìn?...sente il soffio della vita che arde sulla Terra..?
Cercò di svuotare la mente, come gli  aveva detto Oìn; e si concentrò sul suo scopo. Groac! Ho bisogno di voi!

Liatris gettò uno sguardo al suo principe sul balcone. Teneva il viso sollevato e la brezza gli scompigliava i lunghi capelli scuri.
Era davvero felice che ci fossero notizie di Fili; finalmente il suo amato sembrava liberato di un’oppressione mortale. Però.
Però lui sarebbe partito. Mahal, possibile che senta già la sua mancanza? Quando non se ne è ancora andato?
Separarsi dal marito la faceva star male. Era come se una morsa gli stringesse il cuore al solo pensiero di vederlo allontanarsi, di non veder il suo sorriso al risveglio, di non potersi stringere a lui sotto le coperte. Sapeva che avrebbe odiato ogni minuto lontana da lui. Sapeva che sarebbe stata tranquilla sono quando l’avesse visto tornare, vivo ed in un solo pezzo.
Un paio di settimane. Ho un paio di settimane per abituarmi all’idea.
In quel  momento un frullo d’ali giunse dall’esterno. Prima un corvo, poi altri svolazzavano intorno al giovane principe bruno; lui alzò un braccio, e Groac si posò sul suo polso.
Senza fiato, Liatris guardava il marito che parlava con i corvi, che sembravano affascinati da lui. Come la prima volta, percepì il legame tra loro.
Allora è proprio vero.  

ANGOLO AUTRICE!
Benebenebene. Sono ancora viva!
Mi scuso con tutti quelli a cui non ho risposto, ringrazio di cuore tutti i lettori, sempre silenziosi e sempre più numerosi – non ci posso credere, passate le 5000 visite, per non parlare dei capitoli singoli -  e tutti quelli che mi mandano un cenno di gradimento.
Vi amo tutti … e vado a lavorare al prossimo capitolo, visto che ho un po’ di tempo per me.
Bacio a tutti
Idril

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Capitolo 53
*** Ritornare a casa ***


53 Ritornare a casa
53 Ritornare a casa

Alla fine non aveva resistito. La sera precedente gli esploratori mandati avanti da Morur, il capo carovana, avevano riferito che la strada davanti a loro era completamente libera, come era accaduto da quando avevano attraversato il Grande Fiume; e Morur aveva calcolato che sarebbero arrivati ad Erebor a metà del giorno dopo il successivo. Ogni carovana viaggia alla velocità del più lento dei carri.
Ma era troppo per lei. Come una gravidanza, aveva pensato. Sono più lunghi gli ultimi giorni di tutti i mesi precedenti. Così quella mattina Dìs, principessa di Erebor, si era alzata prima dell’alba, aveva preso con sé tre guerrieri di scorta e pochissimo bagaglio,  decisa ad arrivare alla Montagna Solitaria prima di sera. Mi mancano troppo.  Sapere che sono così vicini...
E ci sarebbe riuscita.
Il pomeriggio era inoltrato, ma ormai stava contemplando la pianura davanti alle Grandi Porte, da una sporgenza ad ovest, poco lontano da Collecorvo. Non poteva sapere che la Compagnia di Thorin, mesi prima, aveva osservato  le Porte da quello stesso punto, durante la loro salita dal Lago.
Non ricordava granché dei dintorni di Erebor. Era molto giovane quando era venuto il drago, e la terra era cambiata, trasformata in quella che era stata chiamata la Desolazione di Smaug. Niente alberi, solo radi cespugli ostinati, pietre e null’altro.  Niente quindi rammentava  alla principessa  i boschetti ed i piccoli laghi che aveva visto durante le gite in campagna o i picnic sull’erba della sua adolescenza.
Ma anche la natura si era accorta della sparizione di Smaug; e nelle pietraie si faceva largo l’erba novella, e Dìs aveva cavalcato tra distese di bucaneve, le delicate campanule agitate leggermente dalla brezza, mentre negli angoli più umidi spiccavano le macchie gialle e viola delle primule; anche i crochi lilla e bianchi aggiungevano le loro corolle alla generale rinascita della terra.
Un nuovo inizio; per la terra e per tutti noi.
La Montagna Solitaria, ancora abbondantemente incappucciata di neve incombeva davanti a lei. Fin da quando avevano superato l’Anduin, gli scorci di cielo sereno sempre più frequenti le avevano rivelato la sagoma tanto nota; ed aveva risvegliato sentimenti contrastanti nel suo cuore. Erebor, Dìs l’aveva amata e odiata allo stesso tempo.
Mentre per il fratello maggiore riprendersi Erebor era stato un chiodo fisso, una priorità ineludibile… un’ossessione, lei l’aveva chiamata tra se e sé… per la principessa no.  Aveva pianto  la sua casa e continuava a piangerne la perdita, ma era convinta che tornare non avrebbe guarito il suo cuore. Certo, sarebbe stata contenta se la Montagna Solitaria fosse stata liberata dal suo sgradevole inquilino; ma niente, niente, sarebbe cambiato per lei. La sua famiglia, troppi dei suoi amici, la sua vita di allora, tutto era perduto per sempre e non sarebbe tornato, anche se la Casa di Durin avesse ripreso Erebor.
Consapevole di questo, Dìs era andata avanti: Jeli le aveva mostrato un futuro radioso,  ed anche dopo, i suoi figli e la vita serena in Ered Luin a lei sarebbero bastati.
Per questo, non aveva mai assecondato Thorin quando parlava di riconquistare Erebor;  ed aveva cominciato ad avvertire sentimenti ostili verso la Montagna, perché temeva che le sarebbe costata l’unico rimasto della sua famiglia. Quando poi i suoi figli avevano cominciato a parlare di seguire lo zio nell’impresa, allora l’aveva proprio odiata, la dannata cosa!
Ma Dìs era una Nana realista, e conosceva suo fratello e i suoi figli. Teste di roccia, pensava, come tutti i Durin. Sapeva che tentare di dissuaderli sarebbe stata una battaglia persa fin dall’inizio: Thorin era oltre ogni tentativo  di persuasione da decenni; Fili, accidenti a lui, non si sarebbe tirato indietro nemmeno per tutto l'oro del mondo, così compreso nel suo ruolo e così pronto ad assumersi la responsabilità di tutta la gente di Durin, anche a costo di qualsiasi sacrificio personale; e quanto a Kili…
Kili somigliava molto a Jeli. Dìs sapeva bene che a Kili non importava granchè  della Montagna Solitaria: non sarebbe vissuto per molto tempo in una caverna, per quanto meravigliosa, ricca e raffinata.  E ancora meno gli importava di qualsiasi tesoro: gli sarebbero bastati i sui boschi, la caccia e la vita libera. Ma non avrebbe mai lasciato che suo fratello partisse senza di lui;  era troppo impegnato a dimostrare il suo valore allo zio per rinunciare all’occasione, ed inoltre il suo stesso spirito di avventura l’avrebbe spinto fuori dalla porta.
Così li aveva guardati partire con la morte nel cuore e tutti i peggiori presentimenti del mondo; e aveva aspettato, aspettato e temuto ogni notizia. E quelle ricevute non erano buone; la caduta di Smaug non compensava minimamente, per lei, la sorte di Fili e le sofferenze dei suoi cari; e solo il biglietto di Kili le aveva portato un po’ di sollievo e le uniche  notizie davvero  felici.
Adesso stava per tornare a casa; ma per lei l’importante era solo ritrovare i suoi cari.

L’ultimo ricordo che Dìs aveva di Dale era un’immagine di fuoco e fiamme, ed un’immensa colonna di fumo nero. Ora l’unico fumo era costituito dai molti fili che parlavano di camini e focolari riattivati; ed il fuoco era solo quello delle torce che venivano accese sulla mura e nelle strade all’approssimarsi della notte. L’intera città era un unico, immenso cantiere, e si avvertiva fin da lontano il rumore inconfondibile di una popolazione al lavoro. Il suono della vita che tornava.

Al tramonto, la pianura davanti ad Erebor brulicava di movimento. La grande strada era stata ripavimentata a nuovo, ed era percorsa da un flusso ininterrotto di carri e persone, in entrambe le direzioni.  Verso   Dale, ma anche verso il  Lago. Nani ed Uomini, ma, sorprendentemente, anche diversi Elfi, con carri vuoti e pieni.
Alla vista, i guerrieri che accompagnavano Dìs emisero qualche sbuffo sorpreso e contrariato.
“Che ci fanno qui i dannati orecchie-a-punta?” bofonchiò Kador.
“Portano cibo, pare,” ribattè Dìs. “Però hai ragione. Sono sicura che sarebbe stato meglio morire di fame piuttosto che commerciare con gli spiritelli dei boschi.”
Il Nano ammutolì.

Le Grandi Porte non esistevano più. E nemmeno il Ponte: erano in corso i lavori di ricostruzione, e nel frattempo il traffico transitava su un ponte provvisorio. Più oltre, una pattuglia di guardie sorvegliava l’andirivieni,  mentri alcuni funzionari nani con fasci di carte indirizzavano i carri delle merci alle loro destinazioni.  La gente andava e veniva liberamente, e nessuno fermò il gruppetto; fu Dìs ad avvicinare uno dei funzionari.
“Scusami, Mastro Nano, siamo appena arrivati e…”
“Ah, sì. Benvenuta ad Erebor, magistra. Oltre quell’arco ci sono le stalle dove potete ricoverare i vostri animali.  Per quanto riguarda l’assegnazione degli alloggi, potete rivolgervi all’ufficio alle mie spalle, mentre là in fondo c’è la Sede delle Gilde. Se cercate qualcuno in particolare, chiedete pure alle Guardie. Infine,” sorrise, “vista l’ora, giù alle cucine potete trovare qualcosa da mangiare. Buon soggiorno!”
E si voltò per parlare con un conducente che chiedeva dove depositare la merce del suo carro.

La principessa mosse i primi passi nella Montagna dopo un’intera vita. E si fermò.

Niente l’aveva preparata alla devastazione. Quel giorno terribile si trovava all’esterno, e non aveva mai visto gli effetti del Drago; e nessun racconto si avvicinava alla realtà.
E sono già mesi che ci lavorano!  Pensò. Cosa doveva essere, quando sono entrati per la prima volta?
Non face alcuna fatica ad immaginare come dovevano essersi sentiti coloro che ricordavano. Thorin, Balin, Dwalin; ma anche gli altri che avevano vissuto ad Erebor ai tempi dello splendore.
“Per le palle pelose di Mahal!” alitò il Nano a fianco a lei, gli occhi spalancati; e trasalì: “Scusa, mia Signora, ma…”   
“… ma è molto peggio di quanto tu potessi immaginare. Lo so.”
“Vi sbagliate. E’ molto meglio,” sussurrò Kador, a bassa voce. “C’è vita, molta. Lavoro. Entusiasmo. Io ricordo il silenzio, quando il Drago, dopo aver devastato tutto sulla sua strada, si insediò nella sala del Tesoro.  Fumo, fuoco, urla di dolore e lacrime erano stati terribili; ma alla fine, il silenzio era stato peggiore.”
Le guance del Nano erano rigate di lacrime.
“Sono stato uno degli ultimi ad uscire. Ero un ragazzo, allora; lavoravo nelle caserme della Guardia come apprendista, e il Comandante Nevur ci disse di nasconderci nelle stanze delle armi. Non vi voglio là fuori,  aveva detto. Quando sarà tutto finito, uscite in silenzio e scappate il più lontano possibile da questo luogo maledetto.”

Dìs si riscosse.
“D’accordo. Voglio vedere la mia famiglia, possibilmente senza troppo clamore.” Sollevò il cappuccio per tenere in ombra il viso. “Vediamo se mi ricordo da che parte sono gli appartamenti reali.”

Percorsero scale e corridoi, senza che nessuno li fermasse; la gente andava e veniva ma nessuno degnava il gruppetto di più che uno sguardo fugace.  Finchè una voce nota alle loro spalle li fece fermare.
“Amica mia, se il tuo scopo era quello di non attirare l’attenzione, avresti dovuto scegliere compagni più discreti. Passano inosservati quanto un troll di caverna.”
I tre guerrieri, piccati, si girarono con le mani sulle armi, finchè non identificarono colui che aveva parlato. Dìs gli andò incontro con un sorriso.
“Non ho mai pensato di poter sfuggire al Comandante della Guardia. Mi hai notato fin dall’ingresso?”
“In verità, no,” rispose Dwalin, “solo dalle scuderie.” Tese la mano alla principessa, ma Dìs lo afferrò per le orecchie, lo fece chinare e lo baciò sulla guancia. Mettendolo orribilmente in imbarazzo.
Dìs ridacchiò. Era un vecchio scherzo tra loro, e non se ne stancava mai. Ma subito divenne seria.
“Dove sono, Dwalin?” non c’era alcun bisogno che specificasse chi.
“Thorin mi aspetta poco più avanti; dobbiamo esaminare l’armeria, prima di cena.”
“E Kili?”
“Ha chiuso poco tempo fa un incontro con il Re di Dale; sarà nelle sue stanze.”
“Come stanno, Dwalin?” la domanda era molto più complessa di quanto apparisse, ed il grande guerriero lo sapeva bene. Sospirò.
“Sono molto cambiati… entrambi. A me sembra per il bene, ma probabilmente è questione di punti di vista; di sicuro è stata dura. Per loro e per noi.”
C’era molto di non detto, e Dìs lo capì chiaramente.
“Dovrai giudicare tu stessa.” Lei annuì, e si avviarono verso l’interno della Montagna.
I corridoi e le scale si facevano sempre più tranquilli; l’ala reale era vicina, e Dìs si rese conto che vi erano stati pochi cambiamenti rispetto a quanto ricordava.
“Il Drago non è arrivato qui?”
“Ci ha provato,” rispose Dwalin, “ma i corridoi erano troppo stretti. Ha distrutto le scale ed ha tentato di sfondare qualche parete, ma perché prendersi il disturbo? L’oro era tutto a sua disposizione. Così abbiamo solo dovuto ricostruire gli accessi e le scalinate, e dare una bella ripulita.” A bassa voce, continuò:
“Non c’era solo polvere, sai.”
A Dìs non erano necessarie spiegazioni. Distrutto l’accesso,  non era difficile immaginare la sorte di chi era rimasto intrappolato. Scacciò il pensiero.
Svoltarono un angolo, e si ritrovarono davanti all’imponente accesso agli Appartamenti Reali; ed un Nano si stava facendo loro incontro, ma si fermò all’improvviso non appena riconobbe la compagna  di Dwalin.
Era Thorin.

Dìs aveva trascorso gran parte dei momenti di riposo, durante il lungo viaggio, rimuginando su quello che avrebbe detto a suo fratello. I messaggi a voce mandati da Balin tramite corvo, dopo la battaglia, non avevano raccontato molto, solo i nudi fatti essenziali; ma l’amico pennuto di Kili era un gran chiacchierone ed amava molto il suono della sua voce. Così Dìs si era fatta un’idea abbastanza precisa dell’accaduto, e di conseguenza aveva avuto un paio di monumentali crisi  di rabbia, di quelle che inducevano i suoi familiari a giudicarla pericolosa.
Meglio non mettersi sulla strada di mamma quando è di quell’umore,  affermavano concordi Fili e Kili; e cercavano di rendersi il più invisibili possibile.
Per un po’ era stata fermamente decisa a spellare vivo il fratello maggiore… con un coltellino poco affilato.  In seguito aveva riacquistato un po’ di equanimità, soprattutto perché si era messa tranquilla sul conto di Kili. Il suo minore era in buona salute, e per giunta stava dando un’ottima prova di se stesso… a parte certe piccole sbavature di poco conto come un figlio in arrivo senza corretti preliminari, Kili se la stava cavando benissimo. Mi auguro per lui di trovare una situazione personale regolarmente sistemata,  si diceva.
Quindi, aveva deciso di dare a Thorin il beneficio del dubbio e la possibilità di spiegare se stesso… almeno per cinque minuti prima di passare alla fase spellatura.
Ma adesso che era lì, davanti a lei, la principessa era senza parole.

Il cambiamento fisico era eclatante. Thorin aveva molto più grigio  nei capelli di quanto ricordasse; aveva perso peso e si vedeva chiaramente che i suoi giorni da guerriero erano finiti.  La pena strinse il cuore della sorella minore.
Oh, fratello! Cosa hai fatto a te stesso?
Ma vi era di più. Dopo il primo attimo di sorpresa, gli occhi azzurri uguali ai suoi espressero un sentimento che  Dìs non aveva visto da molto, molto tempo. Spariti la rabbia, l’orgoglio ferito, il fuoco della vendetta e della rivalsa; sparito il muro di ferrea determinazione che aveva guidato Thorin per tutti gli anni dell’esilio.
Finalmente, dopo tutto quel tempo, suo fratello era in pace con se stesso. Oh, c’era molto da trovare, e da raccontare, in quelle pieghe agli angoli della bocca, e nella barba ancora tagliata corta; dolore, rimpianto, un giudizio severo su se stesso, forse; ma in quel momento Dìs ritrovò il Thorin della loro giovinezza, prima che la sciagura lo cambiasse al punto da divenire un’altra persona.
E, certo, ci sarebbe stato molto da dire e da spiegare… ma in quel preciso istante l’unica cosa che voleva fare era abbracciare suo fratello.
E lo fece.
E se entrambi  si trovarono le guance bagnate di lacrime, beh… non era necessario che nessuno lo sapesse. A parte Dwalin, che montava la guardia sulla riservatezza del loro incontro, mentre di nascosto fingeva che gli fosse entrata della polvere in un occhio.

ANGOLO AUTRICE
Bene, vi presento Dìs. Un personaggio che mi è sempre piaciuto molto e che è stato ampiamente bistrattato dal Maestro.  Me la sono sempre immaginata come una Nana molto forte, una vera figlia di Durin; l’ho vista rappresentata in molti modi, a volte negativi, a volte positivi, ma per me è la versione saggia di Thorin. Saggia nel modo in cui lo sono le donne, con la loro capacità di vedere l’essenziale, e con delle priorità nettamente diverse da quelle degli uomini ( perché, non è così in ogni tempo ed in ogni luogo, forse?); comunque, un personaggio  molto “moderno” o forse senza tempo.

ANGOLO DEL *GRAZIE!*
Mi sono accorta di avere molti ringraziamenti arretrati.
Legolasandtauriel, Yavannah, Emouel, Inuiascia,  _Kiara_ ,Tauriel02 : è bellissimo risentire voci note, ma che emozione quando un lettore silente emerge!
M0nica, Djokolic, ultimo_sorriso:  il vostro sostegno è dolce come l’ambrosia.
Ed ammiro sempre molto chiha il coraggio di iniziare a leggere una storia al 50° capitolo…
Alla prossima ( non so quando)
Bacio
Idril 

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Capitolo 54
*** Un momento di pausa ***


54 Un momento di pausa 54 Un momento di pausa

Il giovane ed impegnatissimo principe Reggente e la sua altrettanto impegnata sposa si erano ritrovati nelle loro stanze e concordemente avevano deciso che il Regno sotto la Montagna e tutti i suoi abitanti potevano andarsene cordialmente alle ortiche per un po’. Con l’espressione del bambino che ha sottratto la torta preferita alla custodia della mamma ed è ormai sicuro di farla franca, Kili aveva chiuso a chiave la porta delle loro stanze, si era gettato la moglie ridacchiante su una spalla con gesto atletico,  l’aveva scaricata senza tante cerimonie sul loro letto Elf-size ed aveva proceduto a spogliarla, peraltro senza incontrare alcuna opposizione.

Inginocchiato sopra di lei, si riempiva gli occhi della sua sposa; la pelle d’alabastro, le forme arrotondate  di una Nana al culmine della sua bellezza; i lunghi capelli sciolti da cui la luce delle candele traeva bagliori d’oro...
ma Kili ricordava altrettanto bene come la luna li trasformasse in una cascata d’argento, in una notte d’autunno nel boschetto dei noccioli…  
Una mano piccola ma decisa lo strappò dal suo incanto, afferrandogli il davanti della camicia ed attirandolo bruscamente verso il basso. Il profumo di fiori gli riempì le narici, mentre una voce roca gli sussurrava all’orecchio:
“Allora, amico, fai qualcosa o resti a guardare..?”
Kili si vide riflesso in due iridi di un incredibile color ametista, ombreggiati da lunghe ciglia che davano loro uno sguardo perversamente sensuale. Una specie di insondabile mistero sembrava nascondersi in quelle profondità, tanto che un brivido gli salì su per la spina dorsale...  Sospirò. Cosa può mai fare un uomo? Non ha alcuno scampo.   Non gli rimase altra scelta che baciarla.

Il tempo e lo spazio persero significato per il principe Nano, mentre baciava la sua amata come se non ci fosse un domani; ma a lei non bastava. Le mani lasciarono il suo collo per scorrere con impazienza il corpo ancora vestito del marito alla ricerca di un varco; infine, con un piccolo mugolìo di soddisfazione, gli si infilarono sotto la camicia, mozzandogli il fiato.
Le spalle, la spina dorsale, i fianchi, per poi risalire sul petto: nessun centimetro raggiungibile fu trascurato, finchè Kili si accorse che le manine intraprendenti stavano cercando in tutti i modi di sollevargli la camicia. Nella nebbia dorata che gli avvolgeva la mente, gli parve una buona idea, ed interruppe il bacio giusto il tempo di afferrare l’orlo dell’indumento e trascinarselo sopra la testa…

Improvvisamente si sentì circondare il torace da due braccia inaspettatamente forti, e con un grido di sorpresa si ritrovò ribaltato sulla schiena, con le braccia e la testa ancora intrappolate nella camicia.
“Ehi! Ma cosa…” farfugliò; ma qualsiasi protesta avesse in mente, già soffocata dalla stoffa, svanì rapidamente sotto una pioggia di carezze e di baci che lasciavano scie roventi al loro passaggio, così come qualsiasi altro pensiero coerente.
Kili era completamente perso. Il profumo della pelle della Nana sopra di lui lo inebriava, la seta dei suoi capelli gli si avvolgeva intorno  e la sensazione era come se mille dita delicate lo accarezzassero,  mentre delle dita vere e solide percorrevano la sua pelle nuda alla ricerca dei punti più sensibili per fargli perdere il lume della ragione.
E poi quelle dita scivolarono sotto la cintura dei pantaloni.

Improvvisamente fu come se la stoffa che ancora lo copriva gli bruciasse addosso. Con un ruggito, raccolta la poca capacità di concentrazione che gli rimaneva, si sollevò quel tanto che bastava per liberarsi dalla camicia; combattendo poi contro quelle manine traditrici che insistevano per frugare ed accarezzare proprio dove ottenevano il maggior effetto sul suo autocontrollo, riuscì con dita tremanti a sciogliere i lacci dei pantaloni.
Non seppe mai come era riuscito a sbarazzarsene, ma ora era libero. Era il momento della sua… vendetta.

Liatris amava suo marito.  Amava tutto di lui; il coraggio e l’intelligenza con cui affrontava e gestiva il Consiglio,  fingendo  di  ignorare Balin  che impallidiva , Thorin  che spalancava gli occhi e Dwalin che ridacchiava.  Amava tutti i  suoi sorrisi : quello  largo e coinvolgente  che iluminava la stanza e costringeva  tutti ad amarlo; quello  sarcastico e falsamente innocente che esibiva quando spingeva qualcuno  a fare  come voleva  lui; e quello tenero  e segreto  che riservava  solo a lei.
Amava il suo grande cuore, la sua passione, la sua sensibilità; l’entusiasmo che metteva nelle cose; amava anche quella vena di mistero in lui, quando la sensibilità  diventava empatia o mostrava  il suo singolare legame con i corvi. Lo amava anche quando gli occhi scuri si perdevano lontano, dietro ad una qualche  visione, e lei si rendeva conto  una volta di più  che Kili  non sarebbe mai appartenuto a nessuno  e che nessuno avrebbe  mai  potuto  porgli dei limiti.
Amava toccarlo, e baciarlo; ed era affascinata dall’effetto che i suoi tocchi ed i suoi baci provocavano  in lui. Aveva imparato  presto  a riconoscere i suoi punti più  sensibili; ed ormai sapeva cosa lo faceva sospirare, cosa gli mozzava  il respiro e come ottenere  da lui quel piccolo sibilo che  prometteva sviluppo molto interessanti. ..  E trovava affascinante ed eccitante portarlo fino al punto in cui i suoi occhi scuri divenivano  lucidi, e poi vitrei,  e lui completamente perso nell’incantesimo del piacere. Era una sensazione esaltante, ed estremamente erotica.

Il problema  era che, da parte sua, anche Kili aveva presto scoperto  i punti deboli della sua giovane moglie, e trovava decisamente piacevole cercare di farle  perdere ogni controllo… sempre che non si fosse perso prima lui nelle spire della magia che le mani delicate di lei gli tessevano  intorno.
Spesso quindi la faccenda diventava una giocosa  e stuzzicante  lotta per la supremazia.

Kili afferrò le mani di Liatris nelle sue; rapidamente la rovesciò sul letto, le sollevò entrambi i polsi sopra la testa e con la mano libera  aperta la attirò verso di sé, facendo aderire il corpo morbido di lei al suo. Un sorriso malizioso gli comparve sulle labbra.
“Allora, cosa stavamo dicendo…”
La frase si interruppe quando fu lei, questa volta, a baciarlo.
Giusto per dimostrare che non aveva intenzione di arrendersi.
E poi, come per accordo, entrambi iniziarono a muoversi lentamente,  ognuno accarezzando il corpo dell’altro con il proprio. Le mani di Liatris, chissà come, erano libere, e … tutto scomparve in una nebbia dorata.

I due giovani Nani giacevano aggrovigliati l’uno nell’altro, godendosi una piacevole spossatezza. Racchiusi nel loro bozzolo caldo e confortevole, il mondo sembrava distante ed inoffensivo … finchè qualcuno bussò  con decisione alla porta.
Ci volle più di qualche  momento  perché  entrambi tornassero  alla realtà; ed allora si guardarono allarmati. La porta era chiusa, segnale evidente di desiderio  di privacy; ma chi bussava  aveva superato non solo due coppie di guardie armate, ma anche il loro personale Huan , Halla. E Halla non lasciava passare  nessuno senza un’ottima ragione.
Cosa sta succedendo?  

“Perché qui?” chiese Dìs mentre Dwalin e Thorin la conducevano agli appartamenti di Kili. Si era aspettata un appartamento nell’Ala Reale, ma i due Nani avevano imboccato un’altra  rampa di scale.  
“Beh… Kili voleva poter vedere le stelle,” rispose Thorin, e Dìs scosse il capo con un sorrisetto.  C’era da aspettarselo,  il mio sognatore. 
Solo in quegli ultimi minuti Dìs si era resa conto che Kili non sarebbe stato solo. Era sposato,  per amor di Mahal!  E per quanto lei stessa avesse ‘suggerito’  la soluzione, non poteva evitare un po’ di sconcerto e di apprensione.  Già  l’idea era strana: le parole Kili e matrimonio  nella stessa frase sembravano un’assurda  combinazione. E lei, la ragazza… Dìs si era aspettata di essere quanto meno parte nel processo di scelta delle sue nuore,  come si conviene,  anche se non avrebbe mai costretto i suoi figli a decisioni indesiderate. Anzi, si era già  fatto qualche piccolo progetto, su una certa ragazza. .. sospirò. Come faccio a dirlo a Dehala? 

Oltrepassando l’ultima coppia di guardie entrarono nel corridoio davanti alle grandi porte scolpite con foglie e rami. Dìs vide una Nana di mezza età  venire incontro ed alzò  un sopracciglio perplessa. Una governante, pensò. La Nana lanciò  uno sguardo al terzetto davanti a lei e si produsse in una perfetta riverenza.

“Halla, al tuo servizio, principessa,” fu il saluto. Dìs sorrise.  
“È  passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ho ricevuto una tale accoglienza, “ rispose. “Mio figlio è  nelle sue stanze?”
“Sì, mia signora; è  in compagnia della principessa sua moglie.” Così  dicendo Halla indicò   le grandi porte e si fece da parte.
Dwalin brontolò sottovoce, e Dìs si girò  sorpresa verso i due Nani in sua compagnia, per trovare un Thorin sogghignante mentre il guerriero tatuato scambiava occhiate incendiarie  con la governante. La principessa alzò  un sopracciglio con espressione interrogativa.
“Dwalin non apprezza Halla,” commentò  Thorin, “ ed il sentimento è  reciproco.”
“A me sembra perfetta,” commentò  Dìs. “Cosa c’è che  non  va?”
“È  prepotente,” grugnì  Dwalin.
“È  maleducato e supponente,” sibilò contemporaneamente Halla.
Dìs li osservò  entrambi,  poi annui.
“Ah. Ecco.” Poi scrollò le spalle e bussò  alla porta con decisione.

Kili afferrò  velocemente un paio di pantaloni ed una camicia, non senza masticare qualche  colorita imprecazione  sui fastidi della regalità.
Se questa non è  una vera e propria emergenza qualcuno finirà a  spalare merda di drago dai sotterranei!
Assunse la collaudata espressione da Thorin  e senza cerimonie apri  la porta pronto ad inveire  contro il  malcapitato che…
“Mamma!”

Dìs ebbe solo una frazione  di  secondo  per guardare suo  figlio  prima di sentirsi sollevare da terra e stritolare  in un abbraccio travolgente. Non si accorse nemmeno delle lacrime che le rigavano le guance.

Kili aspirò il profumo familiare di sua madre, quello che avrebbe riconosciuto  tra mille. Nascose il viso nelle trecce scure e per un attimo tornò  indietro nel tempo, quando andava a cercare rifugio e consolazione dalla mamma, sicuro che lei avrebbe sistemato tutto, anche il disastro peggiore,  che tutto si sarebbe risolto.  Si rese conto in quel momento  quanto gli fosse mancata; e che aveva atteso il suo arrivo come un evento risolutore, dopo il quale tutto sarebbe stato più facile. Sarebbe stato troppo bello.
Per un attimo si godette la sensazione, lasciò che il passato tornasse a vivere; un passato in cui tutto era facile. Non durò  a lungo.  
C’era troppo davanti a lui per perdere tempo nei rimpianti. Aspirò  ancora una volta il profumo inconfondibile di sua  madre e disse addio per sempre all’adolescenza.

ANGOLO AUTRICE
Sono stata colpita da un gravissimo caso di blocco dello scrittore. Niente mi piaceva, non riuscivo a collegare i rami della storia, ho scritto e cancellato un po’… e poi sono andata in pausa.
Non oso dire ad alta voce che il problema è risolto. Davvero non lo so. Questo capitolo è solo di passaggio, per riscaldare le dita; il prossimo sarà molto Dìs-centrico ( mi sembra che se lo meriti), e poi l’azione dovrebbe decollare fino alla sua  stupefacente (forse) conclusione. Ma questo è un progetto, non faccio promesse.
Se ancora qualcuno ha interesse per questa storia, ringrazio fin da ora con tutto il cuore. Nel frattempo esprimo tutta la mia ammirazione per Sylvie91 che si è letta e recensita millemila capitoli! Un grazie collettivo a tutti, e se qualcuno c’è ancora, batta un colpo!
Alla prossima ( spero molto presto)
Bacio
Idril

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Capitolo 55
*** Pensieri di una principessa ***


Pensieri di una principessa
55. Pensieri di una principessa

Dìs chiuse la porta delle sue stanze. Dori le aveva preparato l’appartamento  che una volta era stato dei suoi genitori, e lei aveva apprezzato  la scelta, anche perché  molti dei più  bei ricordi di sua madre erano legati proprio a quelle stanze.
Il fuoco era stato attizzato e la principessa si sedette comodamente sulla poltrona foderata di damasco blu. Aveva detto a tutti che se ne sarebbe andata a dormire ma in realtà  aveva bisogno di mettere in ordine nelle sue idee. Le ultime 24 ore erano state… difficili e c’era molto su cui riflettere.
Il pensiero di Fili non la lasciava mai; la sorte del suo primogenito era un assillo costante. Ma in quel momento si impose di metterlo da parte, per quanto possibile: sapeva che pensare a Fili l’avrebbe  fatta oscillare tra la disperazione più  nera e una speranza che avrebbe potuto rivelarsi fallace. Invece aveva bisogno di lucidità.
Durante  tutto il viaggio,  il secondo pensiero era  stato  per Kili. Da quando aveva ricevuto il suo biglietto era un po’ più  tranquilla riguardo alla sua salute – non del tutto, dal momento che conosceva bene  l’irritante tendenza dei nani maschi a minimizzare le proprie ferite, anche le piu  terribili; ma Dìs aveva nutrito un altro profondo timore… dopo tutto l’aveva già  visto accadere, e non aveva potuto far nulla. Aveva già  visto un giovane principe tornare da una tremenda battaglia  che l’ aveva privato di suo fratello e degli affetti più  cari, gettandogli  addosso una pesante responsabilità…

Il villaggio era in subbuglio. Le vedette  avevano avvistato l’esercito di ritorno, ma le avvisaglie non erano buone. I Nani in arrivo erano troppi perché  si trattasse di messaggeri mandati ad invitare la Gente di Durin a tornare alla loro dimora ancestrale: l’ impresa non doveva essere riuscita.
Ma allo stesso tempo non poteva essere l’esercito di ritorno: troppo pochi rispetto alle folte schiere che erano partite per le Montagne Nebbiose.
Dìs aveva un pessimo presentimento.
E quando finalmente  arrivarono, fu subito chiaro che si trattava di un esercito pesantemente  decimato e vittorioso solo a parole. In testa a tutti, solo Thorin, con Balin e Dwalin alle sue spalle: e quando occhi azzurri incontrarono occhi azzurri, Dìs vide solo morte.

Dopo Azanulbizar Thorin aveva indossato con dignità  e competenza il mantello del comando : ma il fratello che aveva conosciuto era sparito dietro un muro di odio, di rabbia e di desiderio di rivalsa. Era stata la battaglia,  e non Smaug,  a trasformarlo nel nano severo ed intransigente, duro anche verso se stesso, che tutti conoscevano ed al quale solo i piccoli Fili e Kili avevano strappato, anni dopo, qualche stentato sorriso.
E la grande paura segreta di Dìs era che a Kili accadesse la stessa cosa; la principessa  sapeva che sarebbe stato peggio che morto, e non l’avrebbe sopportato.
Da ultimo,  ma non meno importante, era stata in pensiero anche per il matrimonio affrettato. L’aveva suggerito lei stessa,  ma solo per tutelare il bambino  in arrivo: sapeva che le cose sarebbero state difficilissime per un Durin illegittimo. Nonostante quello che le aveva scritto Kili, però,  non riusciva  ad essere tranquilla  sul conto della Nana sconosciuta diventata parte della famiglia. Fin da quando i ragazzi erano molto piccoli, aveva ricevuto proposte di matrimoni combinati per loro da parte di molti  nobili;  anche  in esilio  il sangue della Casa di Durin era molto ambito. Aveva respinto ogni domanda senza nemmeno  pensarci; non avrebbe mai costretto uno dei suoi ragazzi in un matrimonio senza amore, dopo aver conosciuto la dolcezza di un vero sentimento... Ed era sicura che, in caso contrario,  Jeli avrebbe lasciato le Sale di Attesa per venire a tormentarla. E più  tardi, i suoi ragazzi erano costantemente  inseguiti da torme  di giovani ochette con meno cervello che anni. Come sarebbe stata questa famosa Liatris?

Ebbene, tutti i suoi timori erano svaniti la sera prima. Aveva cenato nelle stanze di Kili, con lui, Thorin e Liatris. La ragazza l’aveva impressionata favorevolmente: elegante ma sobria, beneducata  - dopo tutto sua madre era cresciuta a Corte, quindi non era una grossa sorpresa; era  chiaramente provvista di una dote che nella parte maschile della Casa di Durin sembrava penosamente rara: un sano buonsenso. Forse avrò qualcuno che mi aiuterà a tenere gli idioti fuori dai guai, aveva pensato Dìs.  Ma soprattutto, Liatris aveva dimostrato sensibilità e tatto quando, poco dopo cena, si era ritirata con un sorriso lasciandola sola con Kili.
L’aveva trovato cambiato, più  adulto; si vedeva che ne aveva passate tante. Dai suoi occhi era sparita l’innocenza … ma non l’entusiasmo  e la gioia  di vivere, quelli no. Le responsabilità e le difficoltà  non l’avevano  schiacciato, e non era difficile capire che gran parte del merito andava a Liatris. Kili aveva avuto  a fianco qualcuno  con cui dividere il peso, qualcuno che   gli aveva dato amore, fiducia e sicurezza… e forza. Qualcuno che gli aveva impedito di sentirsi da solo contro il mondo, come era successo a Thorin, diventato il personaggio tormentato e scontroso che il mondo conosceva.
Ma visto che i problemi non finiscono mai… la sua mente tornò  all’incontro di quella mattina nello studio privato di Kili.

Dìs fissò Oìn per un attimo.
“Ripeti, per favore.”
Oìn sospirò.
“Noi pensiamo che i Broadbeams  non siano estinti, e che Jeli fosse uno di loro.”
La principessa voltò  lo sguardo incredulo su Thorin.
“Sei d’accordo con questa assurdità?  Tu conoscevi bene Jeli!”
Thorin sospirò.
“Dìs… Jeli ti ha mai detto a che tribù appartenesse ? Ti ha mai parlato della sua famiglia?”
Dìs sospirò.
“Sai che non ne parlava mai. Ma del resto ne saprai più tu di me, visto che hai fatto prendere informazioni su di lui.”
Thorin trasalì.
“Come fai a saperlo?”
La sorella sogghignò.
“Non lo sapevo fino a un secondo fa. Ma ti conosco, fratello.”
Dwalin, appoggiato alla parete, si fece sentire per la prima volta. Con una risata.
“Thorin, possibile che ci caschi ancora come quando eravamo bambini?”

La battuta alleggerì l’atmosfera, e tutti ridacchiarono all’espressione costernata dell’ex Re; ma Dìs tornò subito all’argomento, osservando i presenti con attenzione.

 “Kili, Balin… Mahal,  ci credete davvero.” Trattenne il respiro un attimo. Poi proseguì.  “ Ma anche se fosse, perché  è così importante?”
I Nani si guardarono. Fu Oìn, ancora una volta,  a prendere la parola.
“Perché  pensiamo che  Kili abbia il Dono.” E passò  a spiegare ad una Dis senza parole tutto quello che era successo.
“Fatemi capire bene,” commentò  Dis, dopo una pausa di silenzio attonito. “Kili, mio figlio, avrebbe premonizioni di pericolo e sogni in cui compare suo fratello, in una versione inedita, peraltro, e questo rende certo che Fili sia vivo. È  corretto?”
Kili annuì.  
“Credimi, sono ancora stupefatto anche dopo aver avuto un po’ di tempo per abituarmi all’idea.  All’inizio pensavo di essere impazzito.”
Dìs bofonchiò qualcosa che suonava in modo sospetto come ‘non sono sicura che non sia così’.
Oìn  ci tenne a precisare che l’affermazione che Fili fosse vivo non era dimostrata.
Dìs li fissò  con tanto d’occhi.
“E  il resto sì? “
“Abbastanza da ritenersi probabile,” sospirò Balin.
Dìs fulminò  il figlio con un’occhiata.
“Nel vostro ragionamento c’è  una falla larga come un carro,” affermò  la principessa. “Conoscete  tutti Kili. Mi state dicendo che tutte quelle volte in cui i suoi meravigliosi progetti gli sono sfuggiti di mano, oppure abbiamo dovuto toglierlo da guai di ogni genere, ogni singola volta, lui avrebbe saputo come sarebbe andata? E avrebbe deliberatamente  ignorato le conseguenze?” La voce di Dìs salì  di un’ottava ad ogni frase.
Kili spalancò  gli occhi.
“No! Ti giuro mamma, io non…”
L’orrore sul viso del giovane principe per un attimo aveva cancellato la sua nuova maturità. I Nani presenti ridacchiarono  ma Dìs assunse un’espressione trionfante.
“Visto?  Spiegatemi questo!”
“In realtà  ci avevamo già  pensato,” rispose Oìn in tono tranquillo, “a proposito dei pony. Come mai non si è  reso conto di un pericolo piuttosto. .. evidente?”
Il grugnito offeso da parte di Kili lo fece sorridere.
“Però  vedi, avere un talento non significa necessariamente saperlo usare. È  necessario  un certo addestramento, in genere, di cui secondo me Kili ha bisogno per controllare  quello che gli succede; inoltre l’emotività, la tensione e le circostanze possono avere rilevanza. Anche le condizioni fisiche. È  possibile che un misto di questi fattori abbia risvegliato un talento che, vedi, è  un modo di essere che gli è  proprio, ma che potrebbe non essere usato mai. Se non avessi studiato al Tempio non sarei diventato mai un indovino, anche con il talento; allo stesso modo nessuno avrebbe  saputo che Thorin ha talento per la musica se non avesse mai visto un’arpa.”
“Uhm,” sospirò Dìs.  
“D’altra parte, Kili ha sempre avuto un talento eccezionale come cacciatore ed esploratore. Entrambi i tuoi figli sono stati addestrati da Dwalin e sono ottimi allievi, ma abbiamo visto tutti che Kili è  il migliore. Come fai?”
L’interpellato  spalancò  gli occhi.
“Beh, cosa c’è  di strano? Li sento, no? Le prede… ed i nemici.”
Calò  il silenzio. Ma non è  strano! O si?  
Dìs intervenne prima che Kili potesse formulare commenti.
“Capisco quello che vuoi dire. Ma questo non cambia il fatto che le domande sono comunque tante. Me ne viene un’altra a cui forse non avete pensato.  E Fili? Anche lui è  figlio di Jeli. Anche lui ha sogni, premonizioni. …”
Ancora una volta ci fu il silenzio. Se un Dono astruso  poteva essere plausibile per l’impulsivo ed emotivo Kili, Fili era un altro paio di maniche. Fili, il razionale, responsabile,  logico Fili non era proprio il tipo da intuizioni ed atti di fede.
“Non è  detto che tutti quelli della stessa famiglia abbiano il Dono,” aveva iniziato Oin. “Al tempio ….” Ma non poté  finire, perché Kili si alzò dalla sua poltrona e prese le mani della madre tra le sue. Il suo sguardo era caldo, come sempre, ma anche terribilmente serio e determinato.
“Mamma,” iniziò, “lo so. Abbiamo molte domande e poche risposte, e non sappiamo nemmeno se qualcuno le possegga. Ori sta risistemando la biblioteca, ed i suoi aiutanti hanno già ordine di accantonare tutti i volumi che riguardino la Prima Era, la Guerra d’Ira e le leggende in generale, ma è un lavoro improbo. Ci vorranno mesi, ed in ogni caso Erebor è un insediamento troppo recente; io penso che, prima o poi, dovrò andare a Gran Burrone, o addirittura alla Grande Biblioteca di Gabilgathol… ma non adesso. Adesso penso solo che, se questo Dono mi darà una possibilità di trovare Fili, la prenderò e ringrazierò chiunque me l’abbia concessa.”
Dìs sospirò.
“Come posso contraddirti? Solo, ho bisogno di un po’ di tempo per ragionarci su. Adesso, che ne dite di raccontarmi come vanno le cose in questo regno che si presuma io debba reggere al tuo posto? In quanti guai mi trovo?”

Dìs aveva passato il pomeriggio in giro per la Montagna, prima con Kili e poi da sola,  a rendersi conto dello stato delle attività; aveva ritrovato persone che non vedeva da decenni, e respirò l’atmosfera di novità e di speranza che vi regnava. Quando ormai le speranze della Gente di Durin erano ridotte al lumicino, all’improvviso sembrava che un nuovo grande futuro  fosse  a portata di mano.
Aveva cenato con la Compagnia di Thorin, ed i Nani avevano fatto a gara per raccontarle le avventure del viaggio. Lo spirito era allegro, ed anche i momenti più difficili si erano ormai stemperati in un ricordo che non faceva più paura, e che era bello riportare alla memoria. I Troll, il volo sulle aquile, anche la folle corsa nei barili sul fiume… fino alla caduta del Drago. L’ultima grande avventura narrata era stato il tentativo fallito di intrappolare Smaug nell’oro.

“Aspetta, è per questo che la Galleria dei Re è ancora chiusa?” chiese Dìs spalancando gli occhi.
“Già,” brontolò Kili. “Non abbiamo ancora trovato il modo di raschiare via l’oro. Tra l’altro, sai che è terribilmente scivoloso? C’è da rompersi una gamba come niente.”

Subito dopo il discorso si esaurì. Anche Bofur, che rideva sempre di tutto e tutti, fumava in silenzio.  Inaspettatamente, fu Nori a spiegare.
“Quello che è venuto dopo… è troppo difficile da raccontare.”
“Non ci si può fare una buona storia,” proseguì Oìn.
“E nemmeno una canzone,” concluse Bofur.
“E’ solo troppo presto,” intervenne Balin. “Un giorno, non farà più troppo male, e anche la Battaglia delle Cinque Armate diventerà leggenda.”

Dìs attizzò il fuoco nel camino. La faccenda del Dono di Kili era rimasta per tutta la giornata nel fondo della sua mente, e per buone ragioni. La principessa aveva molti difetti, ma non quello di mentire a se stessa: la sua reazione negativa alla questione era stata troppo netta, e le ci era voluto un po’ per capirne il motivo.
Il fatto era che non voleva credere che Jeli, il suo amato Jeli, le avesse nascosto una cosa simile. Non aveva mentito, ma l’omissione era troppo simile ad una menzogna. Però… però a poco a poco erano emersi tanti ricordi, tanti particolari a cui non aveva mai prestato attenzione e che ora sembravano improvvisamente assumere un significato.
La famiglia di Jeli, già.  Un argomento difficile per lui; aveva rotto i ponti con loro e Dìs non aveva mai conosciuto nessuno, a parte  due brevissimi incontri con Dehala in tutti quegli anni. Sapeva che, molto tempo fa,  era successo qualcosa che faceva ancora soffrire suo marito anche dopo il loro matrimonio. Dìs ricordava come, una sera,  agli inizi della loro relazione, Jeli le avesse detto che nel suo passato c’erano cose che nessuno sapeva, ma che, se lei l’avesse voluto, ne avrebbero parlato.
Ma anche  Dìs aveva un passato difficile, di cui preferiva parlare il meno possibile, quindi gli aveva risposto di tenersi pure i suoi segreti, perché a lei interessava solo il futuro ed il passato ormai non era più importante.  
E poi c’erano stati quei due Nani…

Era una mattina d’autunno, e Jeli stava riparando la staccionata davanti a casa. Darla aveva accompagnato Fili a lezione da Balin, ed il piccolo Kili, quattro anni, dormiva ancora. La giornata precedente era stata faticosa, perché Jeli aveva finalmente ceduto alle richieste del piccolo, affascinato dal suo arco, e ne aveva costruito uno minuscolo per lui; così padre e figlio avevano trascorso buona parte della mattinata a tentare di “uccidere” un fantoccio di paglia.  Kili ovviamente aveva continuato anche nel pomeriggio, con il suo solito entusiasmo; anche perché doveva assolutamente mostrare i suoi progressi a Fili. Così il biondo aveva passato ore ad ammirare il fratello che, occhi castani splendenti e trecce arruffate, massacrava il bersaglio. Alla fine il piccolo era ovviamente crollato.
Dìs stava  preparando l’impasto per le frittelle che i suoi uomini, piccoli e grandi, amavano tanto, quando Darla rientrò con un’aria strana.
“Il signore sta parlando con due Nani, ma non sembra contento. Mi ha chiesto di dirti che rientrerà subito in casa.”
Dìs smise di impastare. Il messaggio era chiaro : stai alla larga, ci sono guai.
“Che tipo di Nani? Pericolosi?”
“In realtà no, non sembrano neanche troppo armati. Però sono… strani.”
La principessa non era mai stato il tipo da rifuggere i guai. Ordinò a Darla di stare con Kili e non farlo uscire per nessun motivo; poi sgattaiolò fuori dalla porta della cucina e girò attorno alla stalla, finchè non fu abbastanza vicino al trio per sentire senza essere vista.  
Le fu subito chiaro che Jeli era arrabbiato, e già questo era un evento. Al contrario di lei, che aveva il carattere esplosivo dei Durin, suo marito non perdeva mai la calma; era saggio, equilibrato e riposante e questo era di sicuro uno dei motivi per cui l’aveva sposato. In tutti gli anni da quando l’aveva incontrato, questa era solo la seconda volta che lo vedeva perdere le staffe; e quando accadeva, Jeli non urlava. Sibilava, e la sua furia gelida era peggio delle sfuriate di Thorin.
“Se mio fratello vuole conoscere i suoi nipoti, come parente e consanguineo, la mia porta è aperta per lui; ma nessuno esaminerà i miei figli, per nessun motivo!”

Quel giorno Jeli rimase fuori; tornò solo  a tarda sera, con due  belle lepri. Non disse una parola di quanto accaduto, e Dìs, che conosceva suo marito, non fece alcuna pressione. A notte fonda, nel loro letto, la prese tra le braccia e fece l’amore con lei come se dovesse essere l’ultima volta.
Solo dopo, sempre tenendola stretta, parlò, in un sussurro sommesso.
“Tesoro… se dovesse venire qualcuno quando io non sono in casa… non permettere che vedano i bambini.”
Dìs controllò l’ondata di panico.
“Jeli, posso dire a Thorin di mandarci delle guardie. Non permetterò a nessuno di far loro del male!”
“Cosa?” Jeli si scostò un attimo per guardarla in viso. “No! I bambini non sono affatto in pericolo, almeno non come stai pensando tu. Anzi…” fece una risatina che risuonò piuttosto amara. “Mio fratello ed i suoi darebbero la vita per evitare che accada qualcosa ai nostri bambini! Non è questo che tempo, cara.”
Sospirò.
“Vedi, mio fratello è convinto di avere il diritto di dirigere la vita di tutti in nome di un interesse superiore; ed è bravissimo a convincere la gente. Fili è sveglio, ed è grande abbastanza per diffidare, ma Kili… Kili è troppo piccolo e troppo fiducioso.”

Jeli era morto dopo sei mesi. L’anno successivo i due Nani si serano ripresentati, e lei li aveva messi alla porta senza cerimonie, ed in seguito tutto era finito nel dimenticatoio. Fino ad oggi.


ANGOLO AUTRICE
Eccoci qui con un nuovo capitolo! E vedo con piacere immenso che nonostante la lunga assenza qualcuno è ancora interessato alla storia! E quindi…
*Grazie!* di vero cuore a Yavannah e Inuiascia, e…
Dulcis in fundo, Lola1991 che ha compiuto l’impresa! Tutti i capitoli in un colpo solo! Amica mia, sono davvero davvero ammirata.
Alla prossima
Bacio
Idril

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Capitolo 56
*** Fratello e sorella ***


56 Fratello e sorella
56 Fratello  e sorella

Un lieve bussare alla porta strappò la principessa dai suoi pensieri. Dìs sorrise tra sè: avrebbe riconosciuto quella bussata tra mille.

“Buonasera, sorella. Mi aspettavo una tua visita, anche se devo dire che non sono ansioso di sentire quello che hai da dire, ma non ti ho vista, quindi… fuori il dente, fuori il dolore, come si dice.”
“Che ne dici di qualcosa da bere, per iniziare?”
Thorin annuì, e si avviò verso il camino, osservando nel frattempo l’appartamento.
“Soddisfatta della sistemazione?”
Dìs annuì.
“Molto. Devo ancora capire come è possibile che quasi tutte le cose di mamma siano ancora qui, in perfetto stato.”
“Un miracolo di Dori. Non era stato toccato nulla dal drago, solo dal tempo, e lui ci sa fare. Avrai notato che mancano gli zaffiri di mamma…”
“Ho visto dove sono finiti. Approvo.”
 
Quando i fratelli si furono  sistemati su due comode poltrone accanto al camino, Dìs lasciò  passare qualche momento mentre assaporava il vino fruttato.
“Ottimo. Era tanto tempo che non ne assaggiavo, la pace con gli Elfi ha i suoi vantaggi…”
Thorin  annuì.  Alla fine Dis parlò  sottovoce.
“Thorin, ho passato molte sere del viaggio a comporre un discorso che riassumesse il mio parere su quello che è  accaduto, ma  alla fine… beh, è  inutile . Ti stai già  biasimando  da solo molto più  e molto meglio di come avrei potuto fare io. Anzi… non è  tempo di metterci una pietra sopra? Bilbo  ti ha perdonato, mi hai detto; ed anche Kili, credimi. Gli ho parlato.”

“Sei felice, vero?”
Da un po’ Dìs stava ascoltando suo figlio mentre parlava della sua sposa e del suo bimbo in arrivo. Gli occhi splendenti dicevano alla madre tutto quello che c’era da sapere.
Era davvero cresciuto, il suo cucciolo; ed anche se sotto sotto il cuore le faceva un po’ male, Dìs era contenta, perché era cresciuto bene. Aveva visto giusto: quel fuoco che c’era dentro di lui non era spento; le difficoltà avevano bruciato via tutto il superfluo, ed era rimasto l’oro puro. E poi… beh, tra poco avrebbe avuto un altro cucciolo da coccolare. E poteva sempre sperare che fosse una cucciola!
“Della mia vita? Sì, E quando Fili sarà tornato a casa, tutto sarà perfetto. Intendiamoci: governare in fondo mi piace, ma è un gioco che alla lunga non fa per me. Troppo lavoro!” ridacchiò. “Saprò rendermi utile, certo; mio fratello potrà sempre contare su di me, ma…
“… ma hai bisogno di aria.” Concluse Dìs.  Come tuo padre.
Il silenzio tra loro era confortevole. Tranne che… c’era ancora un argomento.
“Cos’è successo, Kili? Veramente?”

Il giovane principe versò un altro poco di vino. Ne aveva bisogno, dopo aver raccontato alla madre tutto quello che era successo con Thorin prima della battaglia.
“E adesso?”
Dopo aver formulato la domanda Dìs tacque, perché sapeva che Kili aveva bisogno dei suoi tempi per elaborare quello che voleva dire; ad alla fine lui fu pronto.
Sospirò, e si alzo, muovendo qualche passo fino alle vetrate.
“Sarebbe facile dire che l’ho perdonato, ma è più complicato di così. Di sicuro non provo più rancore per lui. La stagione dell risentimento è finita da un pezzo.  La delusione… quella non passerà tanto in fretta, ma ho imparato a conviverci: ed in fondo nessuno è perfetto, l’errore è stato mio che ho creduto che lui lo fosse. Ho passato quasi tutta la mia vita ad ammirarlo ed a cercare di dimostrarmi degno della sua stima, invece è stato lui a dimostrarmi che la mia era mal riposta… no, non è vero nemmeno questo. Era solo eccessiva.”
“E’ un errore comune dei giovani, Kili; e tuo zio ha i suoi difetti, ma resta comunque un grande Nano.”
“Lo so! Per queso dico che l’errore è mio, e quindi mi passerà. Quello che fatico ancora ad accettare è che lui ci è venuto meno nel momento più difficile: a me, a Fili, alla compagnia, alla nostra gente. Specie a Fili. Quello che ha detto a Fili…”
“Non credo che lo pensasse davvero.”
“Non lo so, mamma. Forse.”
“Non credi che sia pentito di quello che ha fatto?”
“Ne sono sicuro! Vedo anche come si è messo a disposizione di tutti, facendo quello che sa fare meglio, e non solo:  prestando la sua esperienza politica, le sue conoscenze…  credo che ci voglia solo del tempo perché mi passi. Aver rinunciato al Trono è stato un gesto importante… ed anche quello che sta facendo adesso lo è.”
Sospirò di nuovo e si passò la mano nei capelli, un vecchio gesto che esprimeva  difficltà a far chiarezza nei suoi sentimenti. Ed imprecò tra i denti quando le dita si impigliarono nelle trecce.
“Liatris aveva davvero ragione. Devo lasciar passare del tempo. Col tempo so che rimarrà solo l’affetto che ho per lui, perché quello non sparisce.”

“Tuo figlio è  incapace  di portare rancore…”
“Mio figlio ti vuole bene, Thorin. Non sei più  il suo modello perché  ormai non ne ha più  bisogno; non sei più  il suo re; ma sei suo zio. E tanto basta. Anche  se perché  tutto sia proprio finito deve vedere che fai ammenda con Fili.”
“Anch’io  desidero spiegarmi con Fili sopra ogni altra cosa; ma sul resto, sorella, ti sbagli.”
Dis sollevò  un sopracciglio.
“Su cosa?”
“Tanto per iniziare, sul biasimo. Ho fatto  degli errori, e non lo dimenticherò. Però…A lungo mi sono crogiolato nel rimorso e nei sensi di colpa, con il risultato che sono diventato più che inutile: un peso. Ma è sbagliato. Non posso tornare  indietro e non posso porre rimedio a quello che è stato; e certo non sarà facile, ma   ho capito che un eterno rimorso non ha senso, se non è accompagnato dall’espiazione. Molto più  utile fare quello che posso per aiutare, non credi?”
“Chi sei tu e cosa ne hai fatto di mio fratello? Sai, quello scontroso che si faceva carico di tutte le colpe del mondo…? Quello che ha rinunciato ad un trono perché  pensava di non meritarlo?”
Thorin  fece una risatina e si  versò  un altro goccio di vino.
“È  questo che pensi?”
“Lo pensano tutti.”
Thorin  si alzò  con il bicchiere in mano; si avvicinò  al camino e rimase  a  contemplare  le fiamme per qualche momento.
“Sai cosa è  successo, vero? L’ossessione  per il tesoro… come il nonno?”
Dìs annuì.
“Ho sentito parlare anche dell’Arkengemma. “
“Ah, sì. La verità ? Se anche è stata la pietra a influenzarmi non me ne sono mai accorto. Per me, era tutta farina del mio sacco. Kili ne percepiva la presenza e ne era disgustato. Dàin ha detto di averne sentito il richiamo, ma io…” Scosse il capo.
“Sia come sia, non ha importanza,”  proseguì  dopo qualche momento Dis. “Te ne sei liberato, no?”
“È  questo il punto. Non sono stato io a rinsavire; sono stati  i tuoi figli a liberarmi dalla follia.”
Dìs sollevò  le sopracciglia. Questa era nuova.
“Spiegati. Cosa c’entrano Fili e Kili?”
“Sai che sono venuti a parlarmi, quel giorno? Quando la battaglia  era già  in corso? “
Dìs annui.
“Kili mi ha detto che non li hai nemmeno ascoltati.”
“Non è  vero.”
Thorin  tornò  a sedersi e guardò  la sorella dritto negli occhi.
“Ho sentito ogni parola. E l’effetto è  stato immediato e devastante …. Specie Fili.”
Proseguì dopo un attimo di silenzio.
“Fili mi ha umiliato. Mi ha mostrato come si comporta un re; ed una lezione del genere da un Nano con la metà  dei miei anni, uno a cui ho insegnato ad allacciarsi  gli stivali, è  stato… mi sono vergognato come un ladro. E a quel punto è  stato tutto chiaro. In un momento  ho visto tutti i  miei errori… ed il primo sentimento che ho provato è  stato orrore. Puro e semplice. Avrei potuto gettarmi sulla mia spada… se non  fosse stato per Kili.”
Dìs ascoltava la voce del fratello maggiore, e rapidamente  rivedeva le convinzioni  che si era formata ascoltando i racconti degli altri.
“Kili,” proseguì  Thorin, “ha fatto appello al mio cuore; e mi ha fatto  capire che non potevo semplicemente  scappare, che qualcuno aveva delle aspettative che non potevo deludere. E così  ho agito.” tacque per un momento, meditando.
“Ho avuto tempo per riflettere, dopo la battaglia; e alla fine ho capito che non potevo tenere il trono. Non era una questione di colpa o di merito; solo, è  risultato evidente che sia Fili che Kili avrebbero governato molto meglio di me. Soprattutto Fili, che aveva già  fatto quello che io una volta non avevo avuto il coraggio  di fare; ma anche Kili… l’unico Durin che ha osato  distruggere  l’Arkengemma.”
“Spiegati meglio. Cosa ha fatto Fili che tu non …”
“Azanulbizar. Tutti noi, io, nostro padre, Balin, Fundin … tutti sapevamo che tentare di riprendere Khazad-dum era una follia. Ma nessuno osò  affrontare il nonno; mentre Fili non ha temuto di affrontare me. E ha funzionato!”
Dis iniziava a capire.
“Ma perché  tu? E gli altri? “
Thorin  scosse il capo.
“Se l’avesse fatto nostro padre, i Longbeards si sarebbero spaccati. Sarebbe stata la fine per tutta la gente di Durin. Il nonno non avrebbe ascoltato gli altri. No, toccava a me perché  ero l' unico che poteva farlo. E lo sapevo, ma non ho osato.”
“Avresti  rischiato l’esilio,  o peggio.”
“Proprio  come Fili. Ma avrei potuto riuscirci,  come ha fatto lui.”
“Non lo sapremo mai.”
“No. Ma io so che Fili sarà  un grande Re … molto meglio di me.”

Nessuno aggiunse nulla, ma le parole non dette rimasero ad aleggiare nell’aria.
Se tornerà mai a casa.

“Adesso faccio qualcosa che mi piace, mi dà immensa soddisfazione e sono più utile così che come Re,” proseguì Thorin. Dìs lo giardò con aria  interrogativa.
“Le Grandi Fucine sono il mio regno, ora. Dopo tutto sono sempre un Maestro Fabbro, ed ora ho cinque fabbri e dodici apprendisti che lavorano sotto i miei comandi. Non potrò più battere il martello sull’incudine, ma posso sempre insegnare: nessuno meglio di me sa dosare i metalli per formare le leghe, o forgiare il miglior acciaio della Terra di Mezzo; non è necessaria la forza per lavorare di cesello e di bulino per le parti di precisione;  e con la ricostruzione ci sono enormi necessità di attrezzi e componenti. Sono onorato per la mia arte, e ringrazio Mahal per questo.”


ANGOLO AUTRICE
No comment.
Solo un sentito ringraziemento alle due / tre che ancora leggono, ed uno particolare a Stella del Vespro 5. Un bacio grande
Idril

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Capitolo 57
*** La Compagnia di Thorin Scudodiquercia ***


57 La compagnia di Thorin Scudodiquercia

57 La Compagnia di Thorin Scudodiquercia

Bofur  ammirava il lungo tavolo carico di piatti colmi di cibo, dolce e salato, e la credenza su cui spiccavano  bricchi di caffè , latte,  cioccolata, e poi vari tipi di tè… e birra. Tanta, tanta birra.
Altri Nani entravano alla spicciolata nella sala da pranzo dell’Ala Reale: Oìn, Ori, Balin…  Kili e Liatris fecero la loro apparizione, sorridendo l’uno all’altra. Bofur sorrise a sua volta; i due ragazzi erano una gioia per gli occhi.
“Buongiorno, signor Reggente! Che strano Consiglio è  mai questo? Non  che mi lamenti, intendiamoci: certe grane meglio affrontarle a stomaco pieno e con un bel boccale di birra a portata di mano!”
“È  strano perché  non è  un Consiglio, amico! Questa è una riunione della Compagnia di Thorin Scudodiquercia , che inizia sempre le sue imprese…”
“… con  una festa inaspettata!” concluse Dori dalle sue spalle.
Kili rise al ricordo di quella sera in cui tredici Nani ed un mago avevano invaso lo smial  di un Hobbit, gli avevano svuotato la dispensa, prosciugato la cantina e lo avevano trascinato in una pazza  avventura contro un drago.
“Bene amici , servitevi . Abbiamo un po’ di tempo e comunque manca ancora qualcuno.”
Tutti fecero onore ai piatti ed alle bevande, ed il buffet presentava vaste lacune quando gli ultimi ritardatari, Nori e Dwalin, si presentarono.
I due salutarono  calorosamente i presenti, ma solo qualcuno notò  l’occhiata  interrogativa di Kili a Nori, ed il cenno affermativo che vi rispose.

Quando infine tutti furono sazi, i servitori ripulirono il tavolo, lasciando comunque  sul buffet stuzzichini,  una scorta di birra e vari tipi di tè.
Lo sguardo di Kili percorse il lungo tavolo  attorno al quale sedevano i suoi amici , e fu inevitabile il confronto con quella tavolata di un anno prima. C’era qualcuno in più, Dìs e la sua amata Liatris, per le quali ringraziava Mahal  con tutto il cuore; ma c’era lui stesso a capotavola , e non Thorin, cosa  che non avrebbe mai immaginato in un milione di anni; e Fili mancava.
Sospirò.  Siamo qui per questo, e sarà  la volta buona.
Kili si schiari la gola, ed il silenzio fu immediato.
“Amici, vi  ho fatto venire oggi perché  mi fido di voi con la mia vita. C’è  qualcosa da fare, un’altra impresa, e nessuno ci riuscirà  se non la famosa Compagnia di Thorin Scudodiquercia. Ma prima, dobbiamo garantire che la Montagna sia sicura durante la nostra assenza; e  Nori ha qualcosa da dire a tutti noi.”

Il Nano fulvo, scambiato uno sguardo con Dwalin,  andò  dritto al punto.
“È  stato Vodren ad ordinare l’attacco a Kili. Possiamo provarlo.”
Un mormorio indignato percorse la tavola.
“Perché  siamo ancora qui?” ruggi  Gloin, con il suo solito temperamento. Balin intervenne agitando una mano.
“È  un uomo di Dain, per giunta suo parente. Meglio che se ne occupi lui.”
“Dain si sta già  muovendo, ma aspetta notizie da noi,” disse Kili. “Nori, meglio raccontare tutto dall’inizio. “
Nori gli scocco  un’occhiata indagatrice ma non commentò. Sfoglio alcune carte che aveva portato con sé e si schiari  la voce. Dwalin alzò  gli occhi al cielo con un brontolìo e per tutta risposta Nori gli inviò  un sorriso luminoso.

“Il primo indizio me l’ha fornito il tuo amico locandiere ,  Liatris.”
“Dixon?... Beh in fondo non sono sorpresa. C’è  in lui molto più  di quanto appaia,” commentò  la giovane Nana.
Nori annui.
“Proprio così. Per chi non lo sa, qualche giorno  dopo la battaglia,  Dixon si è  ripreso dallo spavento e si è  ricordato di andare a controllare i suoi magazzini alla foce del fiume, e con sua sorpresa ha scoperto che gli Orchi non li avevano trovati.  Inoltre, un paio di giorni dopo sono arrivati da Est i suoi figli, che erano andati alle Colline oltre il Fiume Celduin a far  rifornimento di vino del Dorwinion. Così  Dixon , con spirito collaborativo, ha svenduto le provviste a Gloin ed ha recuperato la perdita vendendo il vino più  pregiato a Thranduil ad un prezzo scandaloso; con il denaro ha comprato la tenda più  grande che avevano gli Elfi e si è  messo a vendere la birra ed il vino meno pregiato.  Quando abbiamo cominciato a pagare la mano d’opera  e le forniture, ed il denaro a circolare,  ha fatto affari d’oro! Credo che abbia una squadra di lavoratori a ristrutturare la più  grande costruzione vicino alle porte di Dale per farne una splendida locanda.”
“Conosciamo Dixon, vero amici? La sua birra è  la migliore che abbia bevuto da anni,” commentò Bofur.
“Ma anche se non sembra, non gli sfugge nulla di quello che succede nel suo locale,”disse Liatris.  “È  questo che intendi?”
“Esattamente. “

“So di chi parli, Mastro  Nano; e non mi sorprende. Sono stati loro ad attaccare il vostro Principe, vero? “
“Sei molto perspicace,  amico. Li hai notati, quindi?”
“Oh, sì. .. Non erano chi dicevano di essere, questo è  certo; capisco che un uomo voglia tenersi in propri affari per sé… ma allora perché  dare informazioni non richieste? Vedi, sono venuti qui diverse sere. Dicevano di lavorare a Dale, ma nessuno degli altri sembrava averli mai incontrati prima. Hanno raccontato a chiunque che venivano dall’Eriador,  ma sono sicuro che fosse una menzogna. Da come parlavano, giurerei che fossero  dell’est. Sai quelle colline lungo il fiume Celduin,   a sud dei Colli Ferrosi? Ecco. Ora, nessuno ha mai chiesto niente a quegli uomini; e allora perché  una menzogna gratuita? E lo stesso vale per il loro amico Nano. Quale Nano? Non uno dei soliti, ti dico. Se ne sono stati alcune sere  a confabulare on un angolo, e lui diceva di essere di Ered Luin. Beh,  quella era proprio una idiozia!  Tu vieni da Ered Luin, Mastro Nano… vero? Lui era dei Colli Ferrosi come tanti   altri, anche se cercava di trascinare le vocali come fate voi dell’ovest. Davvero, erano sospetti ed avevo pensato di dirlo al signor Bofur, sai quel nano con il cappello che è  amico del vostro  Principe … o a quello con la pettinatura a stella, anche se non mi sembra così  affidabile, ma in quei giorni non si sono visti. Che aspetto aveva il Nano? Beh, piuttosto normale, capelli scuri, alto piu o meno come te, non troppo pulito…. Però  gli mancava la parte superiore dell’orecchio sinistro, anche se cercava di coprire il danno con i capelli.”
“Ti ringrazio molto, amico mio, e ti sarò  grato se in futuro potessimo fare quattro chiacchiere  ogni tanto sulla bella gente che passa  da te. Erebor è  molto generosa con chi aiuta i suoi.”
“Non ce  n’è  alcun bisogno, siamo vicini e dovremmo collaborare, no? Mi basta che parli bene  della mia birra, e che mi saluti la mia piccola Liatris ed il suo Principe!”

“Così  ho fatto cercare il Nano con mezzo orecchio qui a Erebor,  anche se ero già  sicuro che fosse tornato a casa. Quindi ho mandato un mio  agente ai Colli Ferrosi, con l’incarico di cercare il mio contatto sul posto e scovare il nostro obiettivo.”
“Contatto sul posto? TU hai delle spie nei Colli Ferrosi? !” Dori sembrava scandalizzato. “Sono nostri alleati! Parenti!”
Nori lo fissò  come se fosse impazzito.
“Certo che ne ho! Ed ho scelto il meglio che avevo! Tu avresti lasciato andare Vodren  senza mettergli nessuno alle costole?”
Kili agitò una mano.
“Tranquillo, Dori. Gli avevo ordinato io di tenerlo d’occhio. E quindi?”
“Quindi  ci hanno messo bene poco a trovare Mezzo-Orecchio e a farlo parlare. È  solo una mezza tacca, un furfantello con una certa furbizia e nulla più;  ha ammesso di aver organizzato  il tentativo di ucciderti, su incarico del suo capo. Toglierti di mezzo era l’obiettivo  principale;  meglio ancora se fosse riuscito a far ricadere la colpa su Uomini o Elfi. Gli uomini li ha trovati lui,  erano comuni banditi da strada.”
“Il mandante?”
“Lui riteneva che fosse Vodren,  perché  il suo capo aveva già  svolto incarichi per lui in passato,  ma in effetti non ne era sicuro e di certo non ne aveva conoscenza diretta.”
“Non basta,” brontolò Balin.
“Lo so. Quindi,  visto che aveva un bel po’ da raccontare su altre malefatte compiute a casa sua, i miei lo hanno mollato come un pacco regalo alla Prima Spia dei Colli Ferrosi e sono andati in cerca del suo capo.”
Sfogliò alcune pagine e proseguì.
“Trovarlo non è  stato difficile; è  un mercenario che accetta  di eseguire  crimini su commissione, e tanto per cambiare, è  orbo. Pare abbia perso un occhio in un incarico andato male.”
“Mezzo-Orecchio, Orbo… ma ce  n’è  uno intero?”
Nori ridacchiò .
“Meglio così,  non si può  sbagliare…. E infatti i miei l’hanno preso ma qualcosa è  andato storto, la loro copertura è  saltata  e non hanno potuto interrogarlo sul posto  come pensavano. Così  l’hanno fatto uscire dai Colli Ferrosi nascosto in un carro di letame.”
Dwalin emise un verso di disgusto.
“Mahal, che schifo! Si sono liberati del carico appena fuori vista dalle porte, ma anche così  per interrogarlo  abbiamo dovuto farlo lavare. … e le due guardie sfortunate mi guardano con aria talmente offesa che dovrò  dar loro qualche serata libera.”

“Beh, ha parlato?”
“Certo che si,” dichiarò  Nori con aria di sufficienza. “È  bastata una chiacchierata con il Maestro delle Spie perché  capisse cosa gli conveniva fare.”
Dwalin brontolo qualcosa che assomigliava a ‘togliere tutto il divertimento’. Dis lo guardò  di sottecchi .
“Mi sembra di capire che non ci sia stato il solito spettacolo di  denti rotti e sangue da togliere dal pavimento...?”
Altro grugnito  da parte del Comandante della Guardia.
“Un piacevole cambiamento. Dovremo discutere con maggiori particolari dei tuoi metodi, Mastro Nori.”
Nori si schermì.
“Mia Signora, fuori di qui io sono solo Lord Nori, uno degli Eroi di Erebor la cui unica attività è divertirsi. Ma il Maestro delle Spie di sicuro chiederà un colloquio con te, come Reggente in assenza del Principe Kili.”

Dori diede di gomito al fratello  minore seduto accanto a lui, intento a prendere appunti.
“Ma  è Nori il Maestro delle Spie o no?”
Ori annuì  senza alzare lo sguardo dal suo taccuino.
“Allora perché parla in terza persona?”
Questa volta il Nano più giovane guardò il fratello con occhi vacui.
“Beh, perché è un segreto.”
“Se è un segreto come fai a saperlo?” ribattè Dori in tono petulante. Stavolta la risposta di Ori conteneva una punta di sussiego.
“Io lo so perché il Segretario legge i rapporti segreti del Maestro delle Spie al Reggente,” spiegò.
Dori lo fissò con aria basita.

 Il loro scambio sommesso fu interrotto da un leggero colpo di tosse. Alzarono gli occhi e si accorsero che tutti i presenti li stavano guardando con occhi più o meno severi.
“Il Maestro delle Gilde e il Segretario hanno finito?” chiese Dìs, con una scintilla di divertimento negli occhi. I due annuirono intimiditi.
“Non sapevo ci fosse tutta questa gente qui dentro. Una vera folla!” mormorò Dori.

 “Bene. Puoi continuare, Lord Nori.”

 Nori ringraziò  con un cenno compito. Kili scambiò uno sguardo consapevole con Thorin, che rispose con un sorriso. Mamma è già sulla breccia. In modalità Reggente.
“Un-Occhio non ha avuto difficoltà a rispondere. In effetti ha organizzato lui l’attentato, su incarico di Vodren…”
“Sì!” lo interruppe Gloìn, che si era già alzato a metà ed annaspava alla ricerca della sua ascia. Fu prontamente fermato con uno strattone dal fratello seduto accanto a lui.
“Zitto!” lo rimbrottò Oìn. “Voglio sentire!” così dicendo accomodò meglio il cornetto acustico all’orecchio.

“Le istruzioni di Vodren prevedevano, in primo luogo, che Kili fosse definitivamente tolto di mezzo; se fosse riuscito a far ricadere la colpa su Elfi o Uomini, avrebbe avuto un premio maggiorato. In effetti, l’attentato che conosciamo è stato uno solo di diversi tentativi, giunti a vari livelli di organizzazione.”
Alcuni dei presenti spalancarono  gli occhi, altri mormorarono furiosamente. Dwalin era livido.
“Due tentativi sono arrivati quasi a segno, e sono stati sventati un po’ per fortuna, un po’ perché Vodren non ci conosce.”
“Chi intendi con ‘noi’?” chiese Balin.
“Noi della Compagnia di Thorin. Se ci avesse conosciuti meglio, non avrebbe commesso alcuni errori che per lui sono stati fatali. Il primo tentativo è stato posto in essere quando ancora eravamo al campo, con un barilotto di vino avvelenato.”
Bombur balzò in  piedi.
“Lo sapevo che qualcosa non andava! Ma quando ho rifiutato il vino, quei due sono spariti più veloci della luce!”
Il Nano rotondo fumava di rabbia.
“Mi piacerebbe scambiare due parole con questo tizio! Alla fine dovrà farsi chiamare Niente-Occhi!” sedette sbuffando.
“Come hai fatto a capire che qualcosa non andava?” chiese Kili, incuriosito. I suoi amici non finivano mai di sorprenderlo.
“Bene. Sai che allora, dopo che Dàin ci aveva messo in guardia, tutte le nostre provviste venivano dalle cucine della Principessa dalle orecchie a punta… scusate, mia Signora … del Re Thranduil.  Un giorno si presentano questi due Nani, mai visti, che mi consegnano un barile di vino dicendo che era un omaggio del Re del Bosco. Solo che… beh, tutti sanno che la Princip… cioè il Re.. non si separa volentieri dal suo vino, visto poi che l’aveva appena pagato una cifra spropositata a Dixon. Perché avrebbe dovuto regalarlo proprio a noi? E poi ho guardato bene la botte. Anche se presentava una specie di timbro in elfico, non era come quelle in uso nel Regno del Bosco, che poi sono ancora quelle che Dixon usa per il suo vino.”
“Sì,” ridacchiò Bofur, “noi le conosciamo bene,vero?”
“E poi ho aperto lo zaffo e ha dato un’annusata. Beh, era una vera schifezza. E noi sappiamo che Thran beve solo vino del Dorwinion, vero?”
“Thran?” Ori quasi si strozzò. “L’hai chiamato Thran?”
“Uff, quello insomma. Ho pensato che qualcuno ci stesse facendo uno scherzo di cattivo gusto e non ci ho visto più. Ho detto in poche parole quello che pensavo di loro e sono spariti.” Poi si bloccò, realizzando appieno quello che Nori aveva detto. Annaspò, deglutì, e farfugliò:
“Allora… allora… quel vino era…?”
Nori annuì con aria comprensiva.
“Oh, Mahal.”
La spia si rivolse agli altri con un sorrisetto.
“E’ questo che intendevo. Se avessero conosciuto Bombur… riprenditi, amico, non è successo niente… non avrebbero tentato un trucchetto simile.”

“Una volta qui, hanno tentato più volte di entrare nell’Ala Reale, ed una volta ci sono anche riusciti… solo per scoprire che gli appartamenti di Kili sono altrove, un attimo prima di vedere Dwalin che usciva dal suo studio e darsi alla fuga; quando sono riusciti a individuare le stanze di Kili, si sono avventurati su per le scale, ma prima che le guardie li potessero vedere e cacciare, sono stati intercettati da Halla.”
Liatris sussultò.
“Oh, per tutti i Valar! Povera Halla! Non mi ha detto nulla…”
Un sorrisetto maligno fiorì sul viso di Nori.
“Perché per lei non è successo nulla. Ha pensato che fossero due inservienti  che tentavano di scansare il lavoro e li ha costretti  a lustrare stivali per tutto il pomeriggio, ordinando anche alle guardie di sorvegliarli a vista.”

Una risata collettiva spezzò l’atmosfera tesa.
“Beh, Dwalin,” disse Thorin guardando di sottecchi l’amico, “devi ammettere che Halla ha i suoi pregi..”
Il grande guerriero lo fulminò con un’occhiataccia.
“Sarà… ma è innaturale!”
“Cosa è innaturale, amico mio?” intervenne Dìs con aria serafica. Al tono, Kili si raddrizzò, ma Dwalin non vi fece caso e continuò con foga.
“Che sia autoritaria…”
“… intendi decisa e intraprendente…?” nella voce della principessa comparve un filo d’acciaio. Balin assunse un’espressione allarmata, e tentò di attirare l’attenzione del fratello. Invano.
“Sì! Una donna dovrebbe essere più…”
“Timida, remissiva e …” Thorin si coprì il viso con le mani.
“Ecco! Proprio!” concluse Dwalin con aria trionfante.
“… inutile?” ora la voce di Dìs era puro veleno, e finalmente il Comandante della Guardia si rese conto del paio di occhi  azzurro ghiaccio che lo fissavano con espressione implacabile. Perfino Liatris, accanto a lei, lo stava guardando storto, mentre i Nani  presentavano espressioni che andavano dallo sconcerto all’orrore per finire nella pura compassione.
“Solo lieta di conoscere la tua opinione sulle donne, Comandante Dwalin.”  Tutti riconobbero, in seguito, che qel commento avrebbe potuto congelare anche il fuoco del drago.

 
Il Nano sembrava sul punto di darsi alla fuga, ma fu salvato dal pronto  intervento di Nori, mosso a compassione.
“Comunque,” continuò come se non fosse mai stato interrotto, “l’ultimo tentativo è stato compiuto qui, due settimane fa.” La notizia ebbe l’effetto di una doccia gelata  e suscitò una serie di esclamazioni incredule…e distolse l’attenzione dal povero Dwalin.
“Stavolta sei stato tu, Bofur, a salvare la situazione.”
Il volto simpatico del Nano era un punto interrogativo.
“Sì, proprio tu; e ancora una volta la disinformazione ci ha tolto dai guai. Quanti sanno che hai il più forte ‘senso della pietra’  che si sia visto da molti anni?”
“La miniera.” Kili ci era arrivato per primo. “Quella che avremmo dovuto esaminare, ma all’ultimo momento non hai voluto che ci andassimo ed hai chiuso l’accesso a tutti.” Nori stava già annuendo.
“La volta era stata manomessa, e l’intera struttura era instabile. Sarebbe crollata al minimo urto.”
 

“Abbiamo imparato molto,” continuò Nori. “In conclusione, dobbiamo stare molto più attenti. Ho già iniziato ad organizzarmi, ma ci vorrà del tempo, quindi invito tutti quanti ad essere molto più prudenti, e soprattutto a stare uniti.”
“Ma li abbiamo presi, no?” intervenne Ori. “Ormai anche Vodren ha le ore contate.”
“Potrebbe non bastare. Vedete, Un-Occhio ci ha detto che dopo l’ultimo fallimento, è stato licenziato… e sostituito. Vodren ha già affidato l’incarico a qualcun altro, e putroppo non abbiamo idea di chi possa essere.”

 

ANGOLO AUTRICE

Non ho resistito a legare uno dei tanti fili rimasti in sospeso, ed a creare una nuova complicazione. Mi piace farmi male da sola.

ANGOLO DEL * GRAZIE *

Come al solito, a tutti i lettori silenti. Sono stata lontana per un po’, e quando ho aperto la pagina di questa ff sono rimasta allibita. Più di 6000 visualizzazioni! Siete ancora tanti, lì dietro, e posso solo amarvi per la pazienza.

Ringraziamenti particolarissimi ed un abbraccio grande a Inuiascia e Lola 1991, che non mancano di farsi sentire; ad Aliosha, michela30, Selene98, _Heautontimorumenos (reminescenze liceali, eheheh), e, dulcis in fundo, Laurelindorean, Rotolatorecubico, e Thorin78, che hanno spedito questa storia tra le più popolari. Grazie infinite.

Alla prossima

Bacio

Idril

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Capitolo 58
*** Notizie da Mirkwood ***


58 Notizie da Mirkwood
58  Notizie da Mirkwood

“E’ vero che, una volta eliminato Vodren, il suo incaricato abbandonerà il campo: nessuno lavora sapendo che non verrà pagato. Ma ci vorrà un po’ perché si possa arrestarlo, e ancora di più perché venga riportato qui. Si può dare ampio risalto alla notizia del complotto di Vodren, in modo da creare nel sicario qualche dubbio che lo incoraggi quanto meno ad aspettare… rischi contro benefici, sapete… ma in ogni caso passerà del tempo in cui il pericolo sarà – è – reale,” concluse Nori.  
“Kili partirà presto,” intervenne Dìs, “e dovrebbe essere più facile tenerlo al sicuro, visto che faremo in modo che porti con sé solo uomini fidatissimi…”
“… ma non c’è solo lui.”

Kili era rimasto silenzioso perché la sua mente era stata invasa da una miriade di considerazioni. La prima, raggelante : Liatris e mio figlio sono dei bersagli.
Di seguito: non vado da nessuna parte.
Ma Fili ha bisogno di me. E’ il momento, e devo trovarlo. Non posso rimandare.
E quindi?

“Non è stato fatto nessun annuncio ufficiale sul bambino…” tentò Kili. “Se…”
“Non pensarci neanche!” Dìs fu categorica. “Lo faremo prima che tu parta. Evitarlo non servirebbe a niente. Troppi ormai lo sanno! Farebbe sorgere inutili dubbi sulla legittimità del bambino, perché la genta sa contare… e alla lunga potrebbe creare un sacco di problemi che sono sicura che non vuoi che tuo figlio abbia. Ma soprattutto non servirebbe a niente, perché ci crederebbero solo le persone sbagliate.”
Ha ragione, per Durin. La mente di Kili cercava freneticamente una soluzione, quando una mano leggera si posò sul suo braccio.
“Smettila, Kili,” disse Liatris, con decisione. “Non sono più in pericolo di quanto non lo sia stata fino ad ora. Non è cambiato niente ed io non ho paura.”
“Io sì, però.” Si guardò intorno. “Dwalin, Nori :voi due state a casa.”
Una serie di NO!  accolse l’affermazione.
“Perché, sentiamo!” ribattè Kili con aria di sfida.
“Anche tu sei in pericolo! Anzi, sei il primo bersaglio!” Liatris, c’era da aspettarselo.
“Chi ti toglierà dai guai?”
“Mamma! Questo è offensivo, non sono un bambino!”
La risposta di Dìs fu un brontolìo che suonava come sei un genio a metterti nei guai, e qualcosa con pony.
Una volta o l’altra dovrò mettere fine a questa faccenda dei pony… a qualsiasi costo.
“Io vengo e basta. Non mi lascerai indietro e se lo farai ti seguirò.” Affermò Dwalin. Per lui, non c’era spazio per alcuna discussione.
Kili capiva bene la posizione del Comandante della Guardia. Sapeva che Dwalin portava con sé un ingiustificato senso di colpa  per quanto accaduto ai Durin, dalle ferite di Thorin e Kili alla sparizione di Fili; nella sua mente, aveva fallito. Aveva passato la vita a proteggerli ed al momento del bisogno, sul campo di battaglia, si era trovato troppo lontano per essere d’aiuto, e non importa che Thorin gli avesse affidato un incarico preciso. Dwalin sentiva che avrebbe dovuto essere lì e non c’era, e non poteva mancare quella che lui vedeva come l’occasione per riparare i suoi errori riportando Fili a casa. Ma anche così…
“Ha ragione.”

Nori era stato categorico e Kili lo fissò aspettando una spiegazione. Sapeva che il Maestro delle  Spie ne avrebbe avuta una valida.
“Dwalin deve venire con te… e non per soddisfare i suoi sensi di colpa,” sottolineò guardando di sottecchi il grande guerriero,” ma perché è vero che hai bisogno di qualcuno che ti guardi le spalle. Non abbiamo solo i traditori interni da cui guardarci, stai andando comunque in una spedizione che qualche pericolo lo presenta, e devi essere protetto. Inoltre, Dwalin ha qui un ottimo sostituto. Nèir può fare egregiamente le sue veci con la Guardia; e noi – intendo noi presenti - penseremo alla protezione della famiglia reale. Perché non è solo Liatris  ad essere in pericolo.”
“Nori ha ragione,” intervenne Balin. “Stai pensando a tua moglie e a tuo figlio, e lo capisco, ma non sono loro i soli bersagli… forse nemmeno i principali.”

“Un bambino,” proseguì Balin, “è un’arma a doppio taglio. Può essere più utile da vivo che da morto, perché dipende da chi lo controlla. Guardate cosa pensava di fare Vodren con Fàin.”
“Ehi!” la voce di Liatris era arrabbiata. “Nessuno userà mio figlio come pedina!”
Kili ridacchiò. “Non renderesti le cose facili a nessuno, non ho dubbi.”

“Ancora una volta,” intervenne Nori, “non ci conoscono. È  facile sottovalutarti, Liatris; chi guarda da lontano vede solo una dolce giovane Nana dall’aspetto innocuo, forse poco più di una bambina lei stessa, anche un po’ sopraffatta dal suo nuovo ruolo di principessa, non abituata alla politica…”
“Ti garantisco che gestire una taverna piena di Nani maleducati e di Uomini insolenti è un’ottima scuola!” lo interruppe Liatris.
“… ma loro non lo sanno. E questo è un vantaggio perché ti mette meno in pericolo. Invece…”
Il suo sguardo ruotò intorno al tavolo. Balin proseguì il ragionamento.
“Invece ci sono altri che potrebbero intralciare i piani di Vodren e dei suoi.”

Kili annuì.
 “Vero. Se Vodren mira a creare un vuoto di potere ad Erebor, per approfittarne, dovrebbe togliere di mezzo anche mamma…”
“… che sarebbe una reggente formidabile, e che tutti i Longbeards sosterrebbero a spada tratta…” continuò Nori; “ed anche Thorin.”
L’ex re intervenne con aria dubbiosa.
“Ho abdicato, e la legge non consente che mi rimangi quella decisione; e ormai non sono più credibile come Re.”
“Ti sbagli,” replicò Dwalin. Nori concordò.
“In caso di emergenza, in una situazione in cui qualcuno abbia fatto sparire gli altri della Casa di Durin, i Longbeards farebbero quadrato intorno a te, legale o no; e, credici, da quando sei Maestro delle Forge la gente ti stima molto. C’è attorno  a te un alone che definirei… mistico;  e dopotutto, sei sempre quello che ci ha riportato a casa.”
Thorin tacque, considerando l’affermazione con espressione incredula.
“In conclusione, tutti voi andate protetti. Se c’è qualcuno che ha mire su questa Montagna, voi siete direttamente sulla sua strada, e non sembra abbia scrupoli… per quanto possa difettare  in competenza.”

“D’accordo,” sospirò Balin. “Cosa intendi fare?”
“Per prima cosa,” enumerò Nori, “ho già concordato con Dwalin su un migliore sistema di sorveglianza. E voi dovreste evitare di andarvene a spasso da soli. Thorin, da domani avrai un nuovo apprendista: non so se ha talento per la forgiatura, ma di sicuro è svelto con i coltelli ed ha gli occhi attenti. Quando a Dìs, sono sicuro che la Reggente abbia bisogno di una  nuova segretaria.”
“Hai una persona adatta?” chiese Dìs, sorpresa.
“Penso di sì… una Nana desterà meno sospetti e sembrerà assai più innocua, anche se la Nana che ho in mente è innocua quanto te.”
“Penso che andremo d’accordo,” Dìs accolse il complimento implicito con un sorriso.
“E quanto  a Liatris…”
Bifur si alzò dal suo posto ed andò a posizionarsi alle spalle della giovane principessa.
“Bif dice che ci pensa lui,” intervenne Bofur con un sogghigno.

“Io invece,” continuò il Maestro delle Spie, “per quanto mi piacerebbe, non posso venire con te. Non ho ancora un buon sostituto, e le cose qui sono ad un punto delicato.”
Kili fece un gesto di disappunto.
“Capisco che devi restare, ma sentiremo la tua mancanza. Avremo bisogno di furtività, ne sono sicuro.”
“Lo so. Manderò qualcuno di cui mi fido, e che ha bisogno di sparire per un po’. Era il mio uomo nei Colli Ferrosi, e la sua copertura è saltata nella cattura di Un-Occhio. Se lo vedono qui le persone sbagliate, potrebbe essere in pericolo.”

“Scusate,” intervenne il nuovo, pratico, Ori. “Se togliamo di mezzo Vodren potremmo risolvere tutti i problemi: tagliare la testa e così via. Dobbiamo decidere cosa fare con Un-Occhio… e con il suo capo.”
“Semplice!” ruggì Glòin. “Un-Occhio lo buttiamo nella miniera più profonda che abbiamo, e Vodren… andiamo là, lo impacchettiamo e  facciamo lo stesso.”
“NO!” esclamò Balin scandalizzato. “E’ parente di Dàin, non possiamo fare questo al nostro miglior alleato! E poi una buona parte dei misfatti è stata perpetrata nei Colli Ferrosi, e questo non possiamo ignorarlo!”
“Ma è qui che ha complottato contro la Corona!” ribattè Dìs. “A Erebor! Contro la Corona di Erebor!”
Il brontolio rabbioso di sottofondo dimostrò  che la maggior parte dei presenti concordava con la Principessa.
“E’ vero che quei due hanno  commesso molte malefatte anche nei Colli Ferrosi e senza relazione con Erebor,” osservò Nori, “di sicuro Dàin e la sua Prima Spia saranno interessati a quanto ha da dire Un-Occhio. Io lo sarei.”
“Non possiamo lasciare Dàin fuori da questa storia,” concluse Thorin. “ Penso che possiamo contare sulla sua lealtà.”
Kili era rimasto in silenzio, lasciando che i Nani esprimessero il loro parere, ma a questo punto intervenne.
“Mi dispiace, zio, ma ho imparato a non fidarmi di nessuno.”  
Un silenzio improvviso calò dopo questa battuta.
“Non intendo dire, con questo, che penso che Dàin c’entri qualcosa, sia chiaro; ma mamma ha ragione. Quei due avranno anche commesso molti misfatti, ma di sicuro il più grave è il tradimento contro la Corona. Il Re Sotto la Montagna è il Re Supremo dei Longbeards, ovunque si trovino; anche i Colli Ferrosi, come gli altri insediamenti, devono la loro fedeltà al Re Sotto la Montagna. Quindi verranno processati qui, pubblicamente, una settimana dopo il Giorno di Mezza Estate, davanti al nuovo Re Sotto la Montagna, e qui riceveranno la punizione che verrà stabilita.”
“Tuttavia, è vero che non possiamo lasciare Dàin fuori da questa storia. Nori ha ragione, avranno domande per il nostro prigioniero. Ori, prepara un ordine di arresto per Vodren, che firmerò prima di partire. Glòin andrà nei Colli Ferrosi con un drappello di Guardie Reali…”
“Sì!!!”
“… si presenterà a Dàin e lo avviserà ufficialmente dell’arresto. Dàin non potrà far altro che prendere atto e lasciare che Vodren venga catturato e portato qui.”
Balin sospirò, approvando.
“Mi sembra perfetto, anche se forse lo avviserei prima…”
Inaspettatamente, Kili sfoderò un sorriso luminoso.
“Ho già avuto una comunicazione dai Colli Ferrosi. Dàin ringrazia per il prigioniero che avete lasciato, Nori, che si sta rendendo molto utile; molte persone, compreso Vodren, sono già sotto la sorveglianza dei suoi uomini, ed è in attesa di nostre notizie. Gli farò sapere che abbiamo Un-Occhio e direi che possiamo aspettarci qualcuno in arrivo al più presto… di cui ti occuperai tu, Nori.”
Il Nano fulvo annuì.
“Verrà la Prima Spia.  Dàin non si fiderà di nessun altro.”
“Ah, Dwalin: Dàin ci invia un elenco dei suoi uomini più fedeli, e naturalmente dice che ci possiamo prendere tutti gli arieti che ci servono.”
“Benissimo!” esclamò soddisfatto il Comandante della Guardia.

Mentre parlava, la mente di Kili  seguiva altri percorsi di pensiero.  C’era qualcosa in tutta la storia che non suonava giusto. Qualcosa di sbagliato, di fuori contesto … non riusciva ad afferrare cosa,  ma c’era, ne era sicuro. No,  non una delle sue sensazioni. .. qualcosa di non logico.
Oh beh. Prima o poi capirò. Poi si rese conto che gli stavano chiedendo qualcosa.

“Dàin? Gli ho scritto un messaggio, no?” rispose, prima di rendersi conto che non era una cosa così  ovvia. Sospirò  rendendosi conto che quelli erano i suoi amici,  non una accozzaglia di nobili intriganti o di estranei infidi.
“I corvi non portano messaggi scritti,” stava dicendo Balin . Le sue sopracciglia si confondevano  con i capelli.
“Invece sì, “ ribatte  Dìs.
“Come lo sai?” rispose  Thorin, “non hai mai avuto a che fare con loro! “
Prima che Dìs potesse rimbeccare  il fratello, Kili  intervenne.
“È  stato Groac  ad offrirsi di portare una lettera.” Tutti i Nani ammutolirono, salvo Ori.
“Davvero? Non le hanno mai portate? E adesso sì ?”
Fu Balin  a rispondergli. “No, non l’hanno mai fatto, neanche per Thròr… solo messaggi verbali.  Adesso invece sembra di si. Quindi hai mandato Groac da Dàin?E lui ti ha risposto?”
Kili per un momento si sentì  come quando il suo vecchio maestro lo interrogava  dopo qualche impresa particolarmente degna di nota. Poi si riprese. Per amor di Mahal,  sono il reggente!
“Sì,  mi ha risposto, però  non ho mandato Groac, ma un altro corvo. Groac non   è ancora tornato,” rispose fissando Balin. Ori  scriveva furiosamente .
Thorin formulo la domanda che era  nella mente di tutti.
“Come hai fatto a parlare con due corvi? Da me ne era venuto uno, di sua iniziativa. Avevamo escluso i corvi perché  sembravano irraggiungibili .”
Sorprendentemente, Kili ridacchiò.
“Se vi dicessi che li ho incontrati sul mio balcone?” Liatris gli rifilò  una gomitata ed uno sguardo di rimprovero. Il marito rispose con un sorriso luminoso.
“Va bene, va bene. … non si può  neanche scherzare un po’.” Fissò  Thorin e Balin con uno sguardo di inconfondibile sfida. “ Li ho chiamati. E loro sono venuti.”
Silenzio assoluto. Ad un  tratto, una risatina  venne da Oìn.
.”E come hai fatto, ragazzo?”
“Non lo so bene, “ confessò, con disarmante sincerità. “ Quando ho bisogno dei corvi, in qualche modo loro lo sanno… e vengono.” Continuò  quindi con aria meditativa. “Groac dice che sentono il mio richiamo.”

Ed io sento loro.
“Per esempio ... Bofur,  sei il più vicino, ti dispiace aprire la porta?”
Il Nano interpellato guardò  Kili come se fosse impazzito, ma si alzò  ed andò  ad aprire.
“E adesso?”
Fece appena in tempo a terminare la frase, quando con un frullo  d’ali un uccello nero e piuttosto arruffato  svolazzò attraverso la porta ed atterrò direttamente davanti a Kili, non senza lasciare notevoli graffi sul tavolo lucido.
“Ehi!” brontolò Dìs. “Un po’  di rispetto  per il mobilio!”
Il corvo chinò  cerimoniosamente il capo.
“Chiedo perdono, Figlia di Durin. Posso darti il mio benvenuto a casa?”
Dalle parti di Ori venne un singhiozzo strozzato.
“Sst !”lo zittì  il fratello maggiore, sottovoce.  “Porta messaggi! Non sei un Durin  quindi non puoi capirlo,  ma certo dopo ne parleremo.”
“Ma, Dori…”
“Non ti preoccupare, Ori,” intervenne Balin, anche lui in un sussurro. “Ti riferirò io cosa dice, così puoi continuare la tua cronaca.”
“Ma, Balin…”
“Ssst!”

Groac si inchinò verso Thorin.
“Salute a te, Signore delle Forge, ed a te, amico Spirito Luminoso.”
“Bentornato, Groac. Confido che il viaggio non sia stato troppo faticoso ed abbia avuto buon esito. Sei già passato a visitare il tuo nido?”
“Ci tengo alla pace nel nido, Spirito Luminoso, quindi sono passato. Lo sai che la mia compagna tende ad innervosirsi se non mi presento subito quando torno alla Montagna.”
“Tutto a posto, quindi?”
“Meglio di quanto mi aspettassi, in effetti, e per questo devo ringraziare la tua compagna.”
“Liatris?” Kili gettò un’occhiata alla moglie.
“Sì? Cosa?” chiese lei sorpresa.
“Groac dice che ti deve dei ringraziamenti.”
“Davvero? Perché?”

“La tua compagna ha dato alla mia una matassa di filo dorato. Ora il nostro nido è il più bello di tutti e Reven ha acquistato molto prestigio presso le anziane, e molta invidia dalle femmine più giovani. Questo la rende orgogliosa e tranquilla, e la mia vita è molto più semplice…”

Kili spiegò alla curiosissima Liatris quanto Groac andava dicendo, mentre gli altri Durin sogghignavano. Ori fissava il corvo a bocca aperta, finchè Dori non gli allungò una gomitata.

“Bene, Groac, dì pure alla tua Reven di passare quando vuole  da Liatris, e troverà qualcosa per lei. Ora, possiamo passare ad argomenti più seri?”
“La pace nel nido è un argomento serissimo, Spirito Luminoso.”
Kili sospirò. Trattare con i corvi non era sempre facile, specie con uno a cui piaceva un sacco il suono della sua voce.
“Va bene! Allora, cosa succede nel Regno del Bosco?”
Un mormorio si diffuse tra i presenti.
“Il Regno del Bosco è in subbuglio come un formicaio calpestato da un orso. Gli Elfi si corrono qua e là, affilano le armi e preparano equipaggiamenti, e sembrano tutti presi da una strana frenesia, compresi gli addetti alle pulizie.”
“E il Re, che fa?”
“Il Re è l’orso, Spirito Luminoso.” Risatine in sottofondo. “Si aggira per il palazzo come una nube temporalesca, e i suoi servi fuggono al suo passaggio. Si reca ogni tanto nella sala del Trono e ne esce furibondo poco dopo, urlando contro l’incapacità dei suoi camerieri. Quando l’ho visto aveva anche i capelli arruffati.”
Kili si raddrizzò.
“Allora è grave,” sussurrò Balin.
“Cosa sta succedendo, Groac? Hai un messaggio per me?”
“Sì, Spirito Luminoso,” così dicendo mostrò un sottile cilindro legato alla zampa. “Da parte del principe biondo. Lui sembra pettinato, anche se ha l’aria un po’ sconvolta.”
“Mi scuso se rispondo al posto di mio padre, ma al momento lui non è in sé. La scorsa settimana si è presentata nel bosco un drappello di  cinque Goblin, che sventolavano uno straccio grigiastro. Il mio Capitano stava ordinando di abbatterli tutti, quando mi sono reso conto che forse poteva essere interpretato come una bandiera bianca. Dal momento che riattaccare teste staccate non è facile, ho preferito chiedere prima di procedere, e mi hanno confermato di  avere un messaggio per il Re. Così li ho portati nella sala del Trono, e loro hanno riferito quanto dovevano. Hanno sostenuto di avere due prigionieri Elfi, uno dei quali sarebbe mio cugino Lirien, e di essere disposti a liberarli contro il pagamento di un riscatto costituito da svariati carri di viveri ed uno di lingotti d’oro.”  
 Esclamazioni eccitate si levarono dai presenti.
“Niente nani?”
Kili scosse il capo. “Non ne parla.”
“Mio padre ha avuto una reazione inaspettata. Prima che potessimo fermarlo, quattro teste rotolavano sul pavimento. Gli ho urlato che sarebbe stato meglio tenerne vivo uno, se non altro per conoscere tutte le condizioni della richiesta, per esempio dove e quando, e per portare la nostra risposta. Mio padre ha ammesso che avevo qualche ragione ed ha rinfoderato la spada. Il Goblin superstite, con gli occhi fuori dalle orbite, ha risposto alle mie domande, indi è stato depositato sulla Strada degli Elfi con la risposta del Re del Bosco: “Gli Elfi pagano sempre i loro debiti.” Da allora mio padre è di umore più che burrascoso, soprattutto quando ha scoperto che il sangue dei Goblin lascia sul  marmo del pavimento della sala del Trono macchie che, al momento sembrano indelebili, nonostante i tentativi dei nostri migliori inservienti. Ha ordinato di mobilitare l’esercito e non parla con nessuno. Ad oggi non so ancora cosa abbia intenzione di fare.”
“So cosa farei io,” ringhiò Thorin.
“Ha veramente un diavolo per capello. Non l’ho visto così da almeno quattrocento anni… quando gli hanno venduto una partita avariata di vino del Dorwinion.”
 
 “Segue l’indicazione del luogo fissato per lo scambio – una radura 30  miglia a nord dell’Antica Via Silvana, e 10 a ovest dell’Anduin...” disse Kili mentre gli altri si riprendevano dalla risata liberatoria. Tutti tranne Ori: lo scriba  sembrava concentratissimo, aveva abbandonato la penna e stava rapidamente disegnando con i carboncini.
“E’ la strada  che abbiamo usato noi?” chiese Bofur. Balin scosse il capo.
“No, è molto più a sud. E’ il prolungamento della Grande Via Est dopo le Montagne Nebbiose; attraversa Bosco Atro a Sud nei pressi di Dol Guldur ed arriva fino al Fiume Celduin.”
“Quando?” chiese Dìs.
“Alla prossima luna piena… tra tre settimane.” Kili sogghignò.
“Abbiamo un posto e un momento,” disse, “se ci facciamo trovare lì, possiamo facilmente scoprire l’ingresso delle Caverne dei Goblin, e magari approfittare del trambusto per entrare…”
Un mormorìo eccitato percorse la tavolata di Nani. Finalmente una vera occasione!
“Non abbiamo tempo da perdere,” considerò Dwalin. “Dice altro?”
Kili girò il foglietto. “Sì…”
“Mithrandir ed il vostro amico signor Baggins hanno lasciato le nostre Sale circa una settimana fa ed hanno preso la Strada degli Elfi. So che avevano intenzione di fermarsi qualche tempo presso la fattoria di Beorn il Mutaforma, ed ho mandato un messaggero sulle loro tracce per informarli di cosa sta succedendo.”
“Bravo ragazzo,” approvò Balin.
Kili sorrise, un sorriso luminoso come non mai.
“Abbiamo lo scassinatore!”


ANGOLO AUTRICE
Forse la riunione è durata troppo a lungo, ma non sono riuscita ad escludere nulla. Prometto che con ilprossimo capitolo si cambia scenario!

*GRAZIE*
Poche parole perché vado di fretta: Inuiascia, Lola 1991, Cinthia 988, hola1994, Carmaux95:

Grazie di cuore.
Un abbraccio fortissimo a tutti i lettori silenti.
Alla prossima
idril

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Capitolo 59
*** A casa di Beorn ***


59 A casa di Beorn
59 A casa di Beorn

Kili contemplò l’amena vallata che si apriva sotto il suo sguardo. Il sole del primo pomeriggio illuminava le Montagne Nebbiose in lontananza, incappucciate di neve; e la primavera era in pieno rigoglio nei prati e nei boschi che circondavano la Casa di Beorn. Un filo di fumo  si alzava da dietro uno schermo di altissime querce, segnalando che la valle era abitata, e poteva scorgere  le sagome dei pony che pascolavano.
“Bene, questa volta ci hai indicato la strada giusta, Groac.”
“Anche l’altra lo era, Spirito Luminoso… ed era anche più corta,” puntualizzò il corvo, posato come sempre sulla sua spalla. Kili ringraziava ogni giorno l’ispirazione di indossare giubba e cappotto di pelle, altrimenti avrebbe già portato cicatrici delle forti unghie dell’uccello. Il cappotto naturalmente non ne beneficiava. Meglio lui che io.
“Per chi ha le ali, forse!” ribattè Kìli. “Ci stavi spedendo  dritti in una palude!”    
“Non è colpa mia. Mi hai chiesto tu la strada più corta.”
Kìli sospirò. Per le Sale di Mahal, forse.
Accanto a lui, Ori sogghignò.
“E’ difficile, eh?”
“Non hai idea…”

Kìli era felice di essere di nuovo in viaggio. Liatris gli mancava moltissimo, naturalmente, ed avrebbe dato qualunque cosa per averla al suo fianco; ma dopo mesi rinchiuso nella Montagna ed impegnato in una infinita serie di attività per cui nutriva solo un moderato interesse, era bello respirare di nuovo l’aria libera e dormire sotto le stelle. Aveva smesso da moltissimi anni  di domandarsi se fosse normale questo suo desiderio, visto che praticamente tutti i Nani, compresi i suoi familiari, per natura anelavano alla vita sotterranea, perchè la pietra era il loro vero elemento; accadeva ai tempi dell’adolescenza, quando detestava sentirsi – e vedersi – diverso dai suoi coetanei. Il tempo, e il sostegno incondizionato della madre, di Thorin e soprattutto di Fili, avevano risolto tutto; l’addestramento di Dwalin gli aveva dato fiducia in se stesso ed i suoi talenti riconosciuti gli avevano permesso di superare quel disagio… e un paio di lezioni fornite a qualche idiota che non aveva meglio da fare che prenderlo in giro per la sua struttura fisica o per la mancanza di barba avevano  definitivamente posto fine ai commenti. Kìli ricordava sempre con molto compiacimento quando aveva inchiodato un bulletto ad un albero con quattro frecce nelle maniche, dopo che questi aveva sostenuto che Kili non doveva essere un vero Nano, perché non aveva barba ed usava l’arco.
 “Io sono come sono,” aveva commentato alla fine; “non mi sembra che tu sia nella… posizione per avanzare critiche. Buona giornata.”

Alla fine, io sono davvero diverso dagli altri; ma se questo mi aiuterà a trovare Fili, ben venga.
Da quando erano partiti, provava una grande calma; aveva la netta sensazione di fare la cosa giusta e aveva deciso che, ancora una volta, si sarebbe fidato del suo istinto. Fili stava bene, e tra breve sarebbero tutti tornati a casa, ampiamente in tempo per il giorno di Mezza Estate.

La prima sorpresa del viaggio era stata scoprire che Ori poteva comprendere il linguaggio dei corvi.

“Impossibile!” sbottò Dwalin. “Solo i Durin parlano con i corvi imperiali!”
“Lo so benissimo,” ribattè Ori, “ anche Balin e Dori me l’hanno detto, e comunque lo sanno tutti. Per questo ero così sconvolto durante quel Consiglio. Ma io li capisco… o meglio, capisco questo corvo. Gli altri non li ho mai sentiti.”
“Perché non l’hai detto subito?” chiese Kìli.
“Ci ho provato, ma nessuno mi lasciava parlare!”
Il principe prese mentalmente nota di prestare più attenzione ad Ori. Si era già rivelato molto utile, con la sua viva intelligenza ed immenso tatto; ma era ancora un po’ timido e spesso in presenza degli altri, più anziani di lui nonché più grossi, rumorosi e burberi, tendeva a ritrarsi.
“Possibile che ci sia qualche Durin tra i tuoi antenati?” chiese Oìn.
Ori si strinse nelle spalle.
“Mamma diceva di essere lontanamente imparentata, ma non aveva assolutamente idea del come; ripeteva solo una affermazione di sua nonna. Del resto, quanto lontano devi essere dalla linea principale per non essere più un Durin? Non siamo tutti forse discendenti del Senzamorte?”
“E i tuoi fratelli?” chiese Oìn. “Quello che vale per te dovrebbe valere anche per loro, visto che siete tutti figli di Lori.”
“Sono sicuro che Dori non li capisce,” aggiunse Ori.
“E Nori?”
Lo scriba si strinse nelle spalle.
“Con Nori non si sa mai. E’ il tipo di cosa che terrebbe per sé.”
All’enigma non era stata trovata soluzione alcuna. Groac sapeva solo quello che sapevano tutti, e cioè che Thrain I, quando era giunto alla Montagna Solitaria,  aveva stipulato un’alleanza con i corvi, garantendo loro protezione e rispetto da parte del suo popolo. In compenso, i corvi si erano impegnati a fornire sorveglianza e assistenza ai Nani. Da allora, la famiglia reale comprendeva il linguaggio dei corvi che si erano resi utili in più di un’ occasione.

La seconda novità era che Kìli si era guadagnato un attendente. Nori aveva insistito perché il suo uomo avesse quell’incarico, che gli avrebbe consensito di rimanere sempre nelle vicinanze di Kìli senza che la cosa sembrasse strana.
Briskar era un Nano all’apparenza giovane, smilzo, dall’aspetto abbastanza anonimo, che si muoveva con passo talmente silenzioso che nessuno lo sentiva avvicinarsi. L’unico suo tratto distintivo era una barba piuttosto corta ma fitta e nerissima, che gli nascondeva buona parte del viso. Teneva quasi sempre gli occhi bassi,  e disse a Kìli che lo faceva per nasconderne il colore, un verde molto intenso. “Troppo riconoscibile per una spia” aveva spiegato, “quindi mi sono abituato così anche se mi sforzerò di non farlo quando saremo soli.”
Dwalin, ovviamente, pur fidandosi del giudizio di Nori, prima della partenza aveva sottoposto la spia ad una accurata valutazione come combattente; esame che aveva passato  a pieni voti dopo aver dato a Dwalin  una dimostrazione della sua abilità con i coltelli.
“E’ decente con una spada,” aveva detto a Kìli, “ma non eccezionale. Proprio come lo sarebbe un attendente, non un guerriero. Ma con quei coltelli… potrebbe stare alla pari con tuo fratello, sia come numero che come abilità nel lancio.”
In ogni caso, Kìli trovò molto conveniente avere qualcuno che gli facesse trovare, in qualsiasi momento, qualsiasi cosa che gli servisse; e non doversi occupare di persona del proprio equipaggiamento era sicuramente un vantaggio. Inoltre Briskar sembrava sapersi rendere utile a tutti: raccoglieva le erbe per Oìn,  affilava le penne per Ori, ed in genere si occupava di quei lavoretti che  vanno fatti ma che nessuno ama fare.
E passava assolutamente inosservato. Era lì, ma Kìli si rese conto ben presto che nessuno badava a lui più di quanto non badasse al mobilio. Era la spia perfetta.

In vista della casa, Kìli si fermò e si girò verso i suoi.
“D’accordo, uomini!” gridò. “Quella è la nostra prima destinazione. Il padrone di  casa è un tipo particolare, ed anche piuttosto  pericoloso; c’è qualcuno tra voi che viene da Ered Luin, quindi può spiegare agli altri chi sia Beorn il Mutaforma. Quello che dovete sempre ricordare è che ci sono regole ferree:  in questo territorio niente caccia, e niente fuochi incontrollati.  Dovreste avere provviste a sufficienza per un paio di giorni, anche se è probabile che Beorn vi mandi qualcosa di quello che produce. Accettate e ringraziate e siate gentile con gli animali che incontrate: non sono come gli altri, come vi accorgerete presto. Grazie e buona giornata  sono frasi che gradiscono molto.”
I Nani ascoltavano ammutoliti.
“Avranno capito?” mormorò Kìli.
“No,” rispose Dwalin, “ma sono guerrieri. Ordina e ubbidiranno.”
Kìli annuì e concluse:
“Gentilezza e cortesia sono ordini. Se darete problemi lascerò che sia Beorn ad occuparsi di voi: quindi, state attenti o avrete a che fare con un orso alto quattro metri.”

Quando furono più vicini fu facile distinguere, davanti all’ingresso del cortile, due sagome di misura molto diversa, il cui contrasto appariva decisamente singolare, tanto che ci fu più di un sorrisetto tra la colonna dei guerrieri. Il padrone di casa non era in vista.
Kili scese dalla sua cavalcatura ed in un secondo si trovò le braccia piene di un hobbit eccitato.
“Non speravo di rivederti così presto, amico mio,” esclamò Bilbo. “ Come sta la tua bellissima moglie?”
Kili sorrise.
“E’ sempre più bella, signor Boggins. Ti manda i tuoi saluti” rispose con un sogghigno malizioso. Il signor Boggins  era un vecchio scherzo tra di loro, ma questa volta non ebbe la soddisfazione di vedere una piccola smorfia sul viso di Bilbo.
Quello che vide fu un bagliore sospetto negli occhi limpidi dell’Hobbit.
“Lo troveremo, “ sussurrò Bilbo. “Questa è la volta buona, ne sono sicuro.”
La commozione era contagiosa e per un attimo Kili si ritrovò con un nodo in gola; gli ci volle qualche respiro profondo per riacquistare il suo equilibrio e riuscire a rispondere con un sorriso luminoso.
“Sì, anch’io.”

Kìli fece un passo verso il Mago e  si inchinò leggermente, in segno di rispetto. Sapeva di dover molto a Gandalf.
“Ti ringrazio per qualsiasi aiuto tu ci possa ancora dare, Gandalf il Grigio. Potresti averne le tasche piene dei Nani… e della loro testardaggine,” un altro sorriso, malizioso stavolta, fece la sua comparsa sul volto del Principe.
“Tutto quello che potrò fare, lo farò, giovane Kìli. Tuo fratello non è importante solo per te.”
Kìli sollevò un sopracciglio, sorpreso.
“Cosa intendi dire?”
Lo sguardo azzurro di Gandalf si perse lontano, e per un momento apparve incredibimente antico,  ed alieno. L’aspetto di vecchio vagabondo spesso induceva a sottovalutare il mago, ma Kìli aveva sempre ben presente quel momento, a casa Baggins, quando aveva mostrato per un attimo la sua vera essenza, e non avrebbe mai dimenticato la sensazione di immenso potere che emanava da lui. Molte voci erano corse, che, prima della Battaglia davanti alle porte di Erebor, un’altra si era svolta altrove, davanti alla Fortezza maledetta; uno scontro di poteri inimmaginabili, uno scontro tra dèi. Galdalf si era solo limitato a dirgli che, per il momento, l’Ombra era stata scacciata, ma che non si poteva abbassare la guardia; e in alcuni dei suoi strani sogni, o visioni, Kìli aveva colto la presenza del Male.
“E’ solo una intuizione…” sussurrò Gandalf, senza guardare il Nano davanti a lui. “Ci sono persone il cui destino è legato a quello della Terra, persone che sono come chiavi di volta, che possono spingere gli eventi su una via, o su un’altra… e Fìli è uno di questi.” Lo sguardo azzurro penetrante si fissò su Kìli, con un bagliore di autorità. “Ed anche tu! Quindi stai attento a quello che fai!”
Prima che il Nano potesse replicare, il sul volto di Gandalf si aprì un ampio sorriso.
“E poi siete due ragazzi irresistibili! Mi sono molto affezionato a voi, e non ho intenzione di rinunciare a nessuno dei due. Quindi, Altezza Reale,”  il mago si tolse il cappello e si sprofondò in un inchino, “sono a tua disposizione, per tutto quello in cui posso essere utile!”

In quel momento Beorn uscì dalla casa, suscitando qualche mormorio allarmato dalla truppa,  e Kìli gli andò incontro e si inchinò.
“Sono felice di rivederti così presto, Mastro Beorn, e di  poterti  ringraziarti di persona per tutto quello  che hai fatto per me e per i miei, visto che l’ultima volta non ero in condizioni di farlo. La Casa di Durin è il debito, e i Nani non dimenticano mai il bene ricevuto.”
“Non ti dirò ‘nessun debito’ perché ormai conosco abbastanza i Nani per sapere che sarebbe inutile; e sono stato felice di scoprire molte più qualità di quanto vi si accrediti, quindi accetterò con grande piacere l’amicizia della Casa di Durin. Quanto a te, sono contento di vederti in buona salute, giovane Lupo, e capisco che sei molto cambiato dall’ultima volta in cui sei stato qui. Il fardello che porti è pesante, ma le tue spalle sono forti e la tua schiena è dritta.”
“Ti ringrazio per le tue parole, Mastro Beorn; ma perché mi hai chiamato così?”
“Giovane Lupo? Ti dirò: quando sei venuto qui lo scorso anno, ho visto su di te e su tuo fratello il  segno del Corvo, perché è nel vostro sangue; ed il Corvo ancora aleggia su di te, così come questo amico che vedo appollaiato sulla sella della tua cavalcatura. Signore dei Corvi, ti chiameranno, e sarà vero, perché i Corvi ti saranno per sempre amici.  Ma ora è il Lupo che ti domina, e solo per le tue azioni.”  

Più tardi, quella sera, dopo una cena deliziosa sebbene senza carne, si riunirono attorno all’alta tavola di Beorn con le pipe accese.I guerrieri erano accampati all’aperto, e le capre erano state lasciate libere di pascolare nei campi coperti di erba verde e tenera.
“La prima difficoltà,” stava dicendo Kìli, “è entrare.”
Allungò una mano e, senza che avesse chiesto nulla, Briskar gli consegnò la mappa delle Montagne Nebbiose centrali; la spiegò sul tavolo e guardò Gandalf.
“L’ultima volta siamo entrati da Ovest…”
Dwalin mugugnò. Kìli lo ignorò. Il mago a sua volta annuì.
“Ero poco dietro di voi, e vi ho visto cadere nella trappola. Vi è un passaggio, poco lontano, ma per noi, adesso, è fuori discussione: troppo lontano.”
“Il tunnel da cui siamo usciti. Si può trovare,” continuò Kìli, “ma sai dove porta? O lo hai scoperto per caso?”
“Se ti ricordi, giovane Kìli, siamo precipitati per diversi livelli; ho trovato l’uscita solo per caso, seguendo uno spiffero d’aria.”
“Quindi rischiamo di entrare e non sapere  assolutamente dove andare, oltre a trovarci molto lontano dal centro della città,” osservò il giovane Nano. Gli altri continuavano a fumare, osservando la mappa.
“Ma ci sarà un ingresso principale!” intervenne Bilbo. “E dovrebbe essere grande e ben evidente. Devono essere usciti gli eserciti che ci hanno attaccato ad Erebor; e se i Goblin hanno chiesto agli Elfi carri  di oro e merci, devono essere in grado di farli entrare. Sappiamo dove i Goblin si troveranno tra una settimana; basta seguirli al ritorno e troveremo l’ingresso.”
“Vero. Ma dubito che possiamo presentarci alla porta principale e bussare; ed in ogni caso, una volta dentro, dove si va?” Dwalin andava sempre al sodo ed esponeva il dilemma che era nella mente di tutti i presenti.
Fu Beorn a prendere la parola.
“Le città di Orchi e Goblin sono fatte tutte nello stesso modo. Il clan dominante, quello del Re, occupa la zona centrale, quella più sicura, difendibile, calda e confortevole, situata di solito alcuni livelli sopra quello dell’entrata principale.”
“Clan? Sono divisi in clan?” La curiosità di Ori non escludeva i nemici.
Beorn annuì. “I Goblin non sono una comunità omogenea;  nello stesso insediamento vivono parecchi clan, in conflitto più o meno continuo tra loro; inoltre ogni clan può anche essere diverso per, come dire, specializzazione. Alcune tribù sono composte solo di guerrieri; altre sono più variegate. Esiste un Consiglio dei Capiclan, la cui composizione è piuttosto variabile… dipende da quanti si sono massacrati tra loro nell’ultimo mese.”
“Sono solo leggermente più diretti dei Nani,” brontolò Kìli. “Odio  i Consigli.”
“Ogni clan occupa una zona specifica della città, ed è organizzato piuttosto autonomamente.  Tra la zona centrale e le porte si trovano le tribù guerriere che sostengono il clan dominante; le altre tribù alleate a quella dominante occupano le zone circostanti, ai vari livelli ma comunque sopra del livello dell’entrata.”
“Cosa c’è sotto?” chiese Ori, affascinato.
“Le tribù che sono uscite sconfitte dall’ultima contesa tra clan, quelle che hanno sostenuto il Re sbagliato. Sono  escluse dal processo decisionale e vengono loro assegnati i compiti più fastidiosi, come il pattugliamento ed i servizi. Ancora più sotto ci sono gli schiavi.”
Cadde un attimo di silenzio che ognuno rispettò: avevano ben capito come mai Beorn fosse così informato sulla  struttura sociale degli Orchi e dei Goblin.
“E le tribù guerriere che hanno combattuto contro il Re?” chiese ancora Ori.
“Quelle, giovane Nano, sono le scorte di cibo per l’inverno.”

“Detto questo, dove potrebbe essere Fili?”
“Nella zona centrale,” sostenne Dwalin. “Gli ostaggi te li tieni vicini. Potrebbero servirti in fretta e quindi non puoi aspettare due giorni per averli.”
“Quindi va esplorata la zona centrale,” concluse Bilbo. “D’accordo. Ci vado io.”

*ANGOLO AUTRICE*
No, in effetti non sono morta. L’erba cattiva, come si dice, eheheh…?

  *ANGOLO DEL GRAZIE*
Grazie a chi è arrivato fin qui: significa che legge ancora questa cosa. Incommensurabile ammirazione.
A Yavannah, Cinthia988, Gleencester: basia mille.
Alla prossima
Idril

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Capitolo 60
*** Cambi di prospettiva ***


60 Cambi di prospettiva
60  Cambi di prospettiva
Gwennis guardò il Nano davanti a lei, in dubbio se sentirsi disgustata o offesa.
No. Quello che provo è invidia, ormai è ufficiale.
Diede con il pettine l'ennesimo strattone alla ciocca  che teneva tra le mani, che non voleva saperne di sbrogliarsi. Si ricordò di come la prendessero  in giro i suoi fratelli maggiori, che le dicevano spesso che  quando faceva brutto tempo i suoi capelli sembravano mezzo miglio di lenza di cattiva qualità, per come si attorcigliavano.
Ed in effetti era forse più di un'ora che, seduta davanti al fuoco con i suoi ultimi abiti puliti, mentre gli altri erano stesi ad asciugare,  si sforzava di domare i suoi  ricci ribelli, con moderato successo.  Per la maggior parte erano già imbrigliati nella sua consueta pettinatura a trecce, tranne queste ultime ciocche riottose. Al contrario, quel dannato Nano...
L'oggetto delle sue maledizioni sedeva, beatamente  ignaro, dall'altra parte del fuoco, avvolto in una coperta mentre i suoi  unici abiti erano stessi ad asciugare, e si limitava a passare il pettine preso a prestito tra le onde dorate, che si arricciavano naturalmente in morbidi riccioli, e si schiarivano sempre di più mentre si asciugavano.
Se lasciassi asciugare i miei capelli  in quel modo mi ritroverei con un cespuglio di rovi sulla testa!  pensò Gwennis sempre più indignata, non senza notare come il fuoco strappasse bagliori dorati alla chioma del suo compagno di viaggio.
Il Nano sembrava immerso in profonde meditazioni, e Gwennis ormai lo conosceva abbastanza bene per capire che stava pensando molto intensamente. La sua mente  lavorava mettendo insieme le informazioni,  e lei non doveva far altro che attendere, perchè quando fosse stato pronto lui le avrebbe esposto le sue conclusioni con inattaccabile logica.
Non per la prima volta, la Nana si trovò a sorprendersi della situazione in cui si trovava.  Il pensiero dei suoi fratelli la portò a chiedersi come avrebbero reagito se avessero saputo ... di certo non avrebbero riconosciuto la loro saggia e rispettabile sorellina, e avrebbero pensato, senza mezzi termini, che doveva essere impazzita; o meglio, l’avrebbero derisa senza pietà, rinfacciandole  ogni volta in cui li aveva rimproverati per le loro buffonate.  Da settimane viaggiava con un Nano  di cui non conosceva nemmeno il nome, senza alcun altro, in circostanze quanto meno discutibili per la sua rispettabilità; non che lui si fosse mai comportato meno che onorevolmente, beninteso, tuttavia  a Gabilgathol la sua reputazione sarebbe finita in briciole, se avessero saputo.
Beh, per quello che mi è servito  un comportamento perfettamente rispettabile... tanto pensano tutto il male possibile anche adesso, quindi non farebbe poi questa gran differenza.
Perchè la cosa più sorprendente, in effetti, era che Gwennis in quella situazione ci si trovava benissimo. Certo, le dispiaceva molto che la sua signora si preoccupasse, e le sarebbe piaciuto  poterle far sapere che stava bene;  ma a parte questo, e nonostante le difficoltà, la stanchezza ed anche qualche imbarazzo, Gwennis aveva scoperto di essere contenta.  Era contenta di assaporare la libertà. Il suo compagno di viaggio era intelligente,  dotato di un senso dell'umorismo che  le sembrava irresistibile, e di ottime maniere; era  un piacevole conversatore, anche se non aveva mai spiaccicato nemmeno una parola suo suo passato.
Del resto, nemmeno Gwennis era così desiderosa di rivangare quanto le era accaduto negli ultimi anni; era sempre stata la classica “brava ragazza”, rispettabile ed obbediente, e cosa ci aveva ricavato?
A pensarci bene, però, se la sua vita non fosse stata un tale disastro, forse la  sua madre adottiva non avrebbe mai pensato di mandarla da Dìs… e questo sì  che sarebbe stata una vera perdita; perché andare nel piccolo insediamento degli esuli di Erebor le aveva aperto un nuovo mondo.
Gabilgathol era una città antica, che viveva in pace da millenni; cosmopolita ed intellettualmente vivace, piena di studiosi di ogni razza, e luogo di incontro di culture ed idee; ma anche dominata dalla tradizione,  che mai nulla aveva intaccato. Ed una delle tradizioni principali dei Nani era il grande valore che davano alle loro donne: poche, venerate… e protette.  E se le Nane delle classi lavoratrici erano molto considerate e godevano di indipendenza, quando si trattava delle Nane della buona società, specie se giovani, la protezione diventava un rigido protocollo di regole di comportamento che finiva per togliere loro ogni libertà. E se uscivi dalle regole per qualsiasi motivo, beh, allora eri socialmente finita.
Gwennis era incappata proprio in quella disavventura, anche se non riusciva a trovare  in se stessa un briciolo di responsabilità nell’accaduto, se non quella di essere stata troppo accondiscendente.
E la cosa più interessante, peraltro, era che, solo dopo un po’ di tempo trascorso con la principessa Dìs si era resa conto di tutto quanto; e questo perché nelle Sale di Thorin di respirava un’aria ben diversa.
I Longbeard avevano affrontato disgrazie e disavventure di ogni genere; e per forza di cose anche i loro valori erano profondamente diversi rispetto a Gabilgathol. Dopo averla osservata per qualche giorno, una bella mattina Lady Dìs l’aveva portata con sé mentre teneva corte, ascoltando le richieste del suo popolo e giudicando le controversie; le aveva indicato un banco laterale su cui si trovava carta e il necessario per scrivere, e le aveva ordinato di prendere nota.
Gwennis era allibita.

“Ma…”
“Immagino che tu sappia scrivere, no?” disse la principessa, imperturbabile. “Mi hai detto che hai seguito delle lezioni presso la Scuola della  Grande Biblioteca: non hai mai preso appunti?”
“Si,” Gwennis era talmente sorpresa che  faticava a  trovare le parole, “ma è un compito importante, per uno scriba anziano!”
“Beh, cara, al momento scribi non ne abbiamo, né anziani né giovani – mio fratello si è preso i migliori – quindi dobbiamo arrangiarci.” Poi la liquidò con un gesto noncurante. “Te la caverai benissimo.”

Quella era stato il primo di una serie di compiti sempre più impegnativi che le erano stati assegnati. Dopo pochi mesi, ascoltava i rapporti e redigeva relazioni, discuteva i contratti con le gilde ed i fornitori ed in genere assisiteva Lady Dìs in tutti i suoi compiti di Reggente.
E le piaceva molto. Ed anche le lezioni con il Maestro d’Armi erano state interessanti, sebbene all’inizio l’avessero gettata nel più totale sconcerto. A Gabilgathol nessuno avrebbe mai pensato di insegnarle a maneggiare un coltello! Ma la principessa aveva detto che pur essendo ormai troppo tardi per far di lei una guerriera, almeno doveva imparare a difendersi.
Forse è per questo, pensò Gwennis chiudendo l’ultima treccia, che non mi sembra poi così strana la situazione in cui mi trovo. Il futuro? Ci penserò quando sarà il  momento.

Accantonati pensieri e ragionamenti, Gwennis ripotò la  sua attenzione al Nano davanti a lei e subito si rese conto che stava facendo qualcosa di assolutamente inconsueto: le sue dita stavano agilmente formando una spessa treccia bionda a partire dalla tempia sinistra, mentre per tutto quel tempo Gwennis  aveva sempre visto il suo compagno di viaggio con i capelli raccolti in una semplice coda sulla nuca trattenuta da un laccio di cuoio; al massimo gli aveva visto alcune treccine sottili per tenere lontani dal viso i capelli più corti. Giunte al termine della lunghezza della ciocca, le dita rimasero ferme, mentre il Nano non aveva mutato in nulla la sua espressione assorta.
Senza una parola, Gwennis gli tese uno dei fili con cui aveva chiuso le sue proprie trecce.

Il Nano stava pensando molto intensamente e per un lungo momento non notò la mano tesa della sua compagna di viaggio, e quando lo fece, rimase a fissarla un po’ stranito.
“Ma cosa..”
Sbattè le palpebre e tornò al presente. Riconobbe il laccio che gli veniva teso  e solo in quel momento si rese conto di quanto, in modo assolutamente automatico, le sue dita avevano formato. Trattenne il respiro mentre la sua mente lavorava freneticamente.
Le mie dita ricordano quello che io ho dimenticato! Trecce, portavo trecce abitualmente… ma perché?
Sapeva, come un dato di fatto, che quelle trecce significavano qualcosa.

“Mamma, mamma! Guarda! Ho fatto le mie trecce!” …
“Bravissimo piccolo mio! Papà sarà così orgoglioso di te…”

Un ricordo lampeggiò nella mente del Nano, sensazione più che visione, due braccia calde, affetto, sicurezza…

“Mastro Nano? Stai bene?”
Il ritorno alla realtà fu brusco come una secchiata di acqua gelida in pieno viso.  Si riscosse con molta fatica.
“Sì, sì… stavo pensando…”
“Ti serve un laccio per la treccia?”
Il Nano guardò la treccia nelle sue mani e il filo nella mano di Gwennis. Annuì; lo prese e fissò meccanicamente la treccia, poi prese fiato ed espose le conclusioni a cui era giunto. Non voleva che la Nana facesse domande di cui temeva le risposte.
“Sono quasi sicuro che Lirien non sia prigioniero dei Goblin.”

Ci fu un attimo di gelo, mentre le sopracciglia di Gwennis scattavano verso l’alto.
“No scusa… sono settimane che ci aggiriamo in questa foresta dimenticata da Mahal, e adesso mi dici che l’elfo che stiamo cercando non è qui?!”  le ultime parole contenevano un accenno di attacco isterico.
Il Nano scosse il capo.
“Non ho detto che non è qui,” precisò, “anzi, sono sicuro  che sia qui… o almeno lo era fino a ieri e non ho motivo di pensare che le cose siano cambiate nelle ultime ore. Solo… che credo che non sia più prigioniero dei Goblin.” E passò a spiegare.
“Secondo me, deve essere fuggito da parecchio, magari già nei primi giorni  dopo la cattura; ma non è mai riuscito ad infrangere  il loro accerchiamento. Potrei ritenere che il capo di questo drappello di Goblin sia più furbo della media, ed abbia pensato che tentare di acchiappare un elfo in una foresta non fosse una grande idea. Così, anziché stringere il cerchio lo ha allargato. Ha distribuito i suoi in pattuglie che hanno il solo scopo di impedire a  Lirien di andare a est o a nord, spingendolo  da qualche parte in cui presumibilmente sia possibile intrappolarlo. E’ per questo che ci sembra che i Goblin vaghino a casaccio nella foresta: quelli che incontriamo non sono sempre gli stessi. E se prima ci stavamo spostando costantemente verso sud, da un paio di settimane vaghiamo più o meno nella stessa zona.”
“Quindi stiamo arrivando al dunque,” osservò Gwennis. Il Nano annuì.
“Dobbiamo essere vicini alla trappola.  Ho  poco tempo per portare Lirien fuori di qui.”
“E come conti di fare?”
Il Nano sogghignò, alzando gli occhi verso la parte alta della caverna.
“Facendolo sparire sotto i loro occhi,” rispose,  “ma prima devo trovarlo.”

Accidenti a lui ed a tutti i maledetti orecchie-a-punta! Dove sei finito, in nome di Mahal?
Il Nano si accucciò sotto il cespuglio di felci. Con la nuova prospettiva in mente, in poche ore aveva rintracciato le pattuglie di Goblin che circondavano la zona; era stato facile, perché non facevano nulla per  nascondersi, anzi.
Ha senso. Loro sono i battitori, quindi devono farsi sentire. Non era stato nemmeno difficile non farsi catturare da loro, perché in effetti non stavano cercando nessuno. Si dirigevano in una direzione precisa,  anche se il Nano non capiva in base a cosa l’avessero scelta. Avranno ordini di agire così,  immaginò.
Si era anche reso conto che i Goblin erano in realtà molti più di quanto pensasse, perché di fatto non li aveva mai visti  tutti insieme. O forse hanno ricevuto rinforzi? Quindi la situazione sul campo a questo punto era molto chiara.. tranne un particolare. Dov’era il dannato Elfo?
Il Nano aveva notato che gli Elfi sono notevolmente più leggeri sui piedi delle altre razze, e si muovono molto agilmente nella natura; ma da qui a non lasciare la minima traccia…
Sono io che non riesco a vederle?  No, era sicuro del proprio talento come esploratore, così come di guerriero. Non gli erano sfuggite tracce… non ce n’erano proprio.
Si guardò intorno. Si trovava in un avallamento, e la visuale era scarsa. Avrei bisogno di un punto di vista migliore.
Alzò gli occhi verso il cielo che si intravedeva tra i rami degli alberi.

Un piccolo piede scomparve nel folto del fogliame, svariati metri sopra la sua testa.
“Scendi di lì! Mamma si arrabbierà.”
Un paio d’occhi scintillanti di malizia brillava nell’ombra tra le foglie.
“Sei un fifone. Smettila e vieni su con me, noioso!”
“I Nani non si arrampicano sugli alberi!”
“E chi l’ha detto?”

Ancora! Era successo ancora… flash che  duravano pochi secondi ma lo lasciavano senza fiato. Stava cercando di riprendersi, quando…
Sorrise.  I Nani forse  non si arrampicano sugli alberi, ma gli Elfi sì.

 Dopo un’altra mezz’ora, il Nano si era reso conto che trovare un elfo che si nascondeva su un albero  in una foresta era un’impresa ridicola; non aveva la minima possibilità. La soluzione era che fosse Lirien a vedere lui; ma farsi vedere da Lirien ed allo stesso tempo nascondersi dalle pattuglie di Goblin non era certo semplice.  
Superò una cresta montuosa e si fermò di colpo. Aveva trovato la trappola, ma anche molto altro.

Si trovava ai margini del ghiaione che aveva attraversato prima, finendo poi per trovare la grotta, ma alcune decine di metri più a monte. Da quel punto di vista era evidente che non si trattava di una pietraia, ma di una vera e propria frana, relativamente recente. Oltre la frana appariva con chiarezza un dislivello di cui il gradino che formava la cascata costituiva l’inizio e che proseguiva a perdita d’occhio diventando un vero e proprio burrone della profondità di decine di metri. Il pianoro di cui il burrone costituiva il margine esterno consisteva in una distesa spoglia, cosparsa di resti anneriti, quanto rimaneva di un furioso incendio che doveva aver devastato la foresta non più di qualche mese prima, vista l’assenza di ricrescite. Si estendeva almeno per almeno un paio di chilometri.
Se riescono a spingere Lirien oltre questa frana non avrà scampo. Sarebbe completamente allo scoperto.
A questo punto il piano era uno solo: trovare Lirien, raggiungere la frana, ma più in basso, attraversarla e scomparire nella grotta, il tutto senza finire allo scoperto e senza farsi sorprendere dai Goblin.
Semplice, no?

Costeggiò la frana, scendendo verso valle, e si rese conto che si poteva vedere il margine superiore della cascata; osservando bene era possibile distinguere anche i bordi superiori della conca, ma  solo sapendo esattamente cosa cercare. Spostò lo sguardo verso sinistra e raggelò.
Due Goblin si aggiravano nella boscaglia, ed erano diretti proprio verso l’imbocco della spaccatura dove si riversava la cascata… dritti verso il rifugio dove aveva lasciato Gwennis.

 
Angolo Autrice
Bene bene bene…un altro piccolo passo verso la conclusione! Ci avviciniamo ormai ai capitoli già scritti quindi potrei – potrei – aggiornare con meno ritardo. Ma non faccio promesse che potrei non mantenere! Di certo, come ho sempre detto, questa storia arriverà alla fine. Parola di scout.

Angolo del *GRAZIE*
Jodie_always, Inuiascia, Laurenlindorean, Cinthia988 : la vostra voce è musica.
Ginevras: OMG qualcuno legge ancora L’Erede di Durin e lo trova interessante! Sono sopraffatta dall’emozione.
A tutte le lettrici un abbraccio forte
Alla prossima
Bacio
Idril

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Capitolo 61
*** Tappa intermedia ***


61 Tappa intermedia
61 Tappa intermedia

“No!”
Bilbo guardò male il mago che era intervenuto.
“No cosa?”
“Non ci puoi andare!”
“Perché?”
“Perché ti vedranno e ti uccideranno!” *
Bilbo infilò le mani in tasca e fece un sorrisetto.
“Non lo faranno.”
“Non faranno cosa?”
“Non mi vedranno. Gandalf, sono andato a spasso per ogni dove nel Regno degli Elfi, e nessuno mi ha mai visto. Sostieni che i Goblin siano più furbi degli Elfi?”
Il livello di irritazione dei due contendenti si stava alzando. Il Mago torreggiava sull’hobbit, ma questi non sembrava minimamente turbato dall’aura di potere che Gandalf stava emanando, sempre più percepibile più si infuriava.

Kìli non intervenne. Bilbo stava proponendo di fare esattamente quello che il Principe nano avrebbe voluto che facesse, quindi non poteva sostenere Gandalf; ma allo stesso tempo aveva ben chiaro quanto avessero chiesto i Nani a Bilbo: andare a rubare dal tesoro di un drago, tanto per iniziare; ma anche inviare un hobbit del tutto ignaro ad affrontare tre Troll non era stata faccenda da poco, e Kìli era sempre un po’ a disagio quando ci pensava. Quindi non  osava nemmeno sostenere la posizione di Bilbo.
Il quale, tra l’altro, stava assumendo un atteggiamento sempre  più indisponente, con quel sorrisetto saccente  che aveva sviluppato da qualche parte durante il viaggio, e che non era per niente Baggins; e l’aria intorno a Gandalf si stava facendo come più … densa.
Il Mago si raddrizzò in tutta la sua statura.
“Non te lo permetterò!”
Per tutta risposta Bilbo arricciò il naso, come se avesse percepito un cattivo odore, e lo guardò in cagnesco.
“Non ti sto chiedendo il permesso!”
La scena era sicuramente interessante, con l’hobbit del tutto impermeabile alla furia di un Mago, che tra l’altro era letteralmente il doppio di lui. Gandalf prese fiato; Dwalin si raddrizzò, le mani sulle sue asce, tutti i sensi all’erta, Ori si immobilizzò come un coniglio che avesse percepito il predatore  e Kìli si preparò all’inevitabile esplosione.
“Non mi sembra il momento giusto per questa discussione.”
L’intervento, con voce assolutamente tranquilla, di Beorn, ruppe il crescendo di tensione. I Nani si rilassarono ed anche i due contendenti smisero si confrontarsi, girandosi verso il Mutaforma con aria interrogativa.
“Non abbiamo idea di cosa troveremo: ma solo dove si dovrebbe svolgere un incontro. Non sappiamo cosa faranno i Goblin, e meno ancora sappiamo cosa farà Thranduil. E’ del tutto inutile litigare per qualcosa che potrebbe non verificarsi mai.”
Il buon senso contenuto nelle parole di Beorn riportò pace tra gli animi, anche se Bilbo e il Mago non mancarono di inviarsi ancora qualche occhiata di fuoco.
“Bene,” concluse Dwalin, “ andremo sul posto..”
“… preferibilmente senza dare troppo nell’occhio…” intervenne Ori.
“… e valuteremo il da farsi.”
Kìli annuì.
“Però prima faremo tappa presso il villaggio sul Fiume di cui ci hai parlato, Beorn: voglio parlare con Elkar.”

Il villaggio sul Fiume era tutto quello che ci si potrebbe aspettare: tranquille casette con orticelli coltivati amorevolmente, un’atmosfera campagnola che, se non fosse per le Montagne Nebbiose sullo sfondo, al posto di dolci e verdi colline, avrebbe potuto ricordare vagamente la Contea; ma senza quella totale innocenza che derivava dall’assoluta convinzione di essere al sicuro e che niente potrebbe venire a turbare la pace. A guardare bene, le case erano, almeno in parte, in solida muratura, con porte massicce, imposte robuste alle finestre, talvolta rinforzate con sbarre di ferro.
Particolari che incontravano l’approvazione di Dwalin, che nella Contea aveva commentato sull’incoscienza degli Hobbit.

“ Incredibile! Chiunque potrebbe attaccarli e farli a pezzi in due minuti! Come possono essere così sconsiderati? Sono  anche pieni  di bambini… un sacco di bambini!” Il grande guerriero era quasi scandalizzato.
Balin sospirò.
“Non dovresti biasimarli, fratello… dovresti invidiarli.”

“Le Montagne Nebbiose sono molto vicine,” spiegò Beorn, “ e da generazioni sono piene di Goblin che spesso si spingono a fare razzie anche oltre l’Anduin. Io sto all’erta, ma non posso essere dappertutto. Questa gente sa difendersi.”
Comparvero i primi abitanti: donne che venivano sulla soglia di casa per guardare i nuovi venuti, un uomo che cessò di tagliare la legna, il vasaio che si affacciò sulla porta della sua bottega, e bambini che sbirciavano da dietro la siepe e, dopo aver guardato, fuggivano via tra commenti e risatine.
“Ma… che gente è questa?” Ori era perplesso.
“Dovrebbero essere Uomini… ma sono così bassi! E troppo sottili per essere Nani!”
Bilbo era altrettando incuriosito.
“Hai visto? Alcuni hanno le orecchie a punta… ma non possono essere Elfi!”
“Se non fosse per le barbe e gli stivali, direi che sono Hobbit un po’ cresciuti,” commentò Ori.
Bilbo aggottò le sopracciglia e prese fiato per un diniego indignato, ma si fermò. Tacque per un momento, si guardò di nuovo intorno non attenzione, poi sussurrò:
“Sturoi… questi sono Sturoi!”**
La via principale voltava a sinistra, e, appena girato l’angolo, il gruppo si trovò di fronte ad uno spettacolo che dichiarava a gran voce che la tranquillità era solo un’apparenza.

“Incendiata fino alle fondamenta,” commentò Kìli contemplando il cumulo di macerie annerite dal fuoco. “Spero non ci fosse dentro nessuno… impossibile sopravvivere ad un rogo del genere.”
Beorn ridacchiò.
“In questa gente c’è molto più di quanto appaia, e così nelle loro case. C’è stato un attacco di Goblin, qualche settimana fa, e questa è opera loro. Ma vedi: la parte posteriore della casa, come di quasi tutte, è in pietra, e le finestre sono fortificate. Gli abitanti si sono ritirati là dentro.”
“Ma sarebbero stati in trappola!” obiettò Dwalin.
“Ogni casa ha una cantina per le provviste; ma in più dalla cantina parte un tunnel che porta  fuori paese, o comunque in qualche annesso distante dalla casa. Le persone lì dentro non hanno fatto altro che  aprire la botola, scendere in cantina ed uscire nella grotta che fa da ghiacciaia, circa duecento metri più in là, lontano e fuori vista dagli aggressori. Se fosse stato pericoloso uscire, avrebbero potuto resistere nel sotterraneo per diversi giorni, visto che  è un deposito di provviste…”
“Molto ingegnoso,” approvò Kìli.
“Saresti sorpreso  di sapere che questa casa ospitava il vostro Elkar? E che è stata l’unica casa attaccata quella notte?”
Kili lo fissò, e rapidamente molte informazioni si combinarono nella sua mente in un quadro logico.
“No, non proprio.”

“Stanno arrivando!”
Il comitato d’accoglienza era radunato davanti alla grande Sala Comune, una costruzione bassa e spaziosa che gli  abitanti del villaggio usavano per i raduni: le Assemblee, i Giudizi – rarissimi – ma soprattutto per le Feste: del Raccolto, di Mezza Estate, del Solstizio d’Inverno, Calendimaggio, matrimoni e celebrazioni, in genere tutte le occasioni per banchettare e fare festa. L’arrivo di una delegazione di Nani di Erebor, accompagnati dal loro Signore Beorn, era senza dubbio un’occasione speciale e gli abitanti del Villaggio sul Fiume non si erano lasciati scappare l’occasione per fare un po’ di baldoria extra dopo il lungo inverno.
E tutte le Autorità erano presenti  con i loro abiti della festa: avanti a tutti Tad, il Sindaco; e poi il Capo dei Guardaboschi e Vigili del Fuoco, il Capo della Gilda degli Artigiani, con le loro famiglie, abitanti più o meno importanti e semplici curiosi.
Il ragazzino frenò bruscamente la sua corsa davanti al Sindaco e alla sua famiglia, sollevando una nuvola di polvere tra le proteste delle ragazze.
“Ehi! Guarda cosa fai, moccioso!”
“Il mio vestito!”
“Stanno arrivando!” ripetè il moccioso, ignorando del tutto i commenti. “Sono tanti… “
“Quanti?” interruppe il Capo dei Guardaboschi. Il ragazzino si guardò le mani, perplesso.
“Tantissimi! Più di… più di dieci! Sono Nani coperti di ferro…”
“Vuole dire che portano l’armatura,” commentò il fabbro che  di ferro se ne intendeva. “ Saranno anche armati pesantemente, se sono guerrieri..”
“… e montano delle bruttissime capre!” la notizia scatenò un brusio di commenti.
“Come, capre?”
“Povere bestie come fanno a portarli? Saranno pesantissimi!”
“Immagina la mia Stellina con un Nano corazzato sulla groppa!”
“Perderanno il latte di sicuro!”
“Che barbari questi Nani..”
“Avrai visto male…”
Elkar per la prima volta intervenne con un sorriso.
“Non sono esattamente capre. Sono arieti da battaglia, allevati apposta per la guerra e molto robusti. Io comandavo uno squadrone di Capre, una volta.”
“Ooooh!”
“Sono cattivi?”
“Mordono?”
“Anche, ma soprattutto hanno corna robustissime e vanno praticamente dappertutto…”
“Ma c’è anche un Uomo altissimo! Con un cappello grigio a punta e una lunga barba!” strillò il ragazzino che non voleva perdere l’occasione di stare al centro dell’attenzione.
“Sarà Tharkun.. voi lo chiamate Gandalf il Grigio, mi pare. Ricordo di averlo visto prima della battaglia ad Erebor, ed è un Mago!” commentò Elkar tra gli ‘oooh’ e ‘aaah’ dei presenti. “E chi altro hai visto, sentiamo?”
“Un Nano enorme! Con una gran barba, la testa completamente calva, coperta di disegni neri,  e due grandissime asce sulla schiena, e tante armi  che non si possono contare, e guanti di ferro con le punte, eh…”
“Quello dev’essere Lord Dwalin, è un Nano famoso della Casa di Durin. Maestro d’Armi, Comandante della Guardia di Re Thorin, dicono che è il più forte guerriero  nano della Terra di Mezzo. E poi?”
“Poi c’è un  altro Nano con bellissimi vestiti, una grande spada e  una cintura d’oro e un uccello enorme e tutto nero appollaiato sulla spalla!”
“Un corvo imperiale,” spiegò Elkar, “il Nano deve essere un  principe di Durin, perché solo quella famiglia può comunicare con i Corvi. E’ giovane o vecchio? Ha capelli grigi?” il ragazzino scosse la testa.
“Allora può essere solo il Principe Kìli. Il vostro Signore Beorn mi ha detto che adesso è lui il Reggente di Erebor per suo fratello il Re…”
Era troppo e la folla ammutolì.
Un principe nel villaggio! Le ragazze controllarono rapidamente i loro vestiti e l’acconciatura.

Nel silenzio fu ancora il ragazzino a parlare.
“Ma non avete sentito la cosa più strana di tutte! C’è anche un ometto piccolissimo, con  dei piedi grandissimi e pelosissimi, tanto che non porta nemmeno scarpe! Ci pensate, che roba strana?” un coro di risatine percorse il gruppo dei monelli.
Il Sindaco li guardò severamente.
“Quello, piccoli ignoranti, è un parente.”

La  festa procedeva benissimo, il che significa che il livello alcolico era al punto giusto : balli e risate e ancora nessuno che dava spettacolo di sé o attaccava briga. I Nani partecipavano con entusiasmo ai balli ed alle bevute, anche perché Dwalin aveva stabilito turni di guardia brevi per consentire a tutti di godersi la magnifica cena.
Bilbo aveva appena terminato di raccontare ad un gruppo di ragazzini con il fiato sospeso la loro avventura con i Troll,  ed era tornato al tavolo d’onore insieme ai Nani ed ai loro ospiti, quando vide Gandalf rientrare.
“Tutto pronto per i fuochi d’artificio?”
“Pronto. La gente del Fiume ricorderà questa nottata per anni,” ridacchiò.
“Anche i Goblin,” brontolò Dwalin. “Sarà come annunciare il nostro arrivo.”
“I Goblin sono molto superstiziosi,” ribattè Gandalf; “e non credo abbiano mai visto fuochi pirotecnici. In compenso avviseremo gli Elfi che siamo qui.”
“Lupi e leoni, Gandalf?” ridacchiò Kili, mentre il Sindaco Tad guardava perplesso ora l’uno ora l’altro dei suoi ospiti. Gandalf strizzò l’occhio.
“Draghi!”
Una ragazza portò un vassoio colmo di boccali di birra e la conversazione si interruppe.
“Ah! Buona birra ed atmosfera campagnola. Manca solo un barilotto di Foglia di Pianilungone ed una botte di Vecchi Vigneti, e potremmo essere nella Contea. Mi sento quasi a casa.” Commentò Bilbo.
“Ti senti a casa perché lo sei.”

Tutti si voltarono al suono della voce sconosciuta. Dietro di loro era comparso un vecchio con una barba bianca da far invidia a Balin, e con occhi saggi e antichi. Tad si alzò immediatamente.
“Saggio! Vieni, accomodati… non ci aspettavamo che lasciassi la tua meditazione per una Festa.”
Il vecchio ringraziò con un cenno del capo e si rivolse a Bilbo, che a sua volta lo fissava meravigliato.
“Allora è vero…” sussurrò, “siete Sturoi!”
“Non proprio,” il vecchio scosse il capo, “diciamo che abbiamo antenati comuni. La tua gente non ricorda le sue origini?”
Gandal intervenne.
“Gli Hobbit non hanno ricordi antecedenti al loro insediamento nella Contea, circa 1400 anni fa,” spiegò. “Solo vaghe leggende di un lungo peregrinare.”
Bilbo era affascinato e sbalordito allo stesso tempo, mentre Ori era addirittura ammutolito.
“E’ da qui, che veniamo, allora?” sussurrò.

La comparsa del vecchio Saggio aveva fatto scendere un silenzio reverenziale sulla festa. La gente si avvicinava ed i bambini si facevano largo per sedersi ai suoi piedi: evidentemente il Saggio significava storie, e tutti erano in attesa.
La voce del Saggio cambiò mentre iniziava il suo racconto.
“Dopo la caduta del Signore Oscuro, dopo la terribile battaglia a sud, la nostra Gente prosperò. Da tempo immemorabile abitavamo le rive del Grande Fiume, ma quando l’Ombra si ritirò occupammo tutte la terre fino alle propaggini di Boscoverde il Grande. Eravamo gente di bosco e di collina, e la Benedizione della Signora Verde*** era su di noi. Fu un’era di bellezza ed armonia, e tutto era in pace.
Ma come sempre accade, non durò.
All’inizio fu come una nota stonata, una piccola macchia, una disarmonia nella natura; veniva da est, da Boscoverde il Grande, ed era solo un alito di vento che spesso non si riusciva a cogliere. Ma con il passare del tempo l’Ombra si allargò, divenne  come un veleno sottile che lentamente strisciò fino a penetrare l’aria, l’acqua e la terra. Il potere della Dama Verde si ritirava di fronte ad essa, e la terra ne fu intossicata. Boscoverde il Grande divenne Bosco Atro, e la nostra Gente lasciò boschetti e colline ad est, ritirandosi verso il Fiume.
Disperati, sentendo venire meno il potere della Dama, ci rivolgemmo al Padre delle Acque, chiedendo la sua protezione; ed il Padre delle Acque acconsentì a proteggerci, l’Ombra si fermò e non avanzò oltre.
Ma ormai la nostra armonia era spezzata, le nostre terre si erano ridotte e la vita era diventata difficile. Inoltre, molti di noi non si sentivano a loro agio sotto la protezione del Padre delle Acque, e bramavano un luogo dove sentire di nuovo il potere della Dama Verde; così molte famiglie si levarono, presero le loro cose e ci lasciarono, alla ricerca di una terra che potesse accoglierli. Non tornarono mai più.”

“La trovarono,” continuò Bilbo, nel suo miglior voce da narratore, “trovarono una terra dove la voce della Signora Verde si sente nella brezza tra i rami dei boschetti, nel ronzio delle api, nello scorrere dei ruscelli. Il potere della Signora si percepisce solo ad affondare le mani nella terra, una terra ricca e amata. Alcuni di loro, però, erano divisi perché sentivano anche il richiamo del Padre delle Acque; così si stabilirono di là dall’Acqua, ed amarono le barche e le paludi. Oggi i discendenti degli Sturoi vivono nella Terra di Buck, navigano sul Fiume Brandivino e conservano i segreti della Vecchia Foresta;  non  ne parlano, ma non sarei sorpreso se la loro devozione andasse al Padre delle Acque più che alla Dama Verde… ma noi Hobbit siamo gente pratica: se puoi averne due, perché rinunciare ad uno?”

La colonna procedeva sotto il sole del mattino. Qualcuno sembrava   un po’ sofferente, dopo aver ecceduto la sera prima con la birra della Gente del Fiume, ma tutto sommato il viaggio era piacevole.
“Dov’ è il  tuo amico pennuto?” Chiese Ori a Kìli.
“L’ho mandato in perlustrazione; non si sa mai cosa potrebbe vedere e francamente mi fa male la spalla. E’ pesante, l’amico!” rispose Kili. L’uscita da Goblin Town da loro usata per fuggire continuava a ritornare nei suoi pensieri, così aveva incaricato Groac di trovarla. Ho la sensazione che ci potrebbe servire.
“Non sono convinto della tua decisione di portare Elkar con noi,” brontolò Dwalin, non per la prima volta. “Non lo conosciamo… e perché poi?”

Elkar si inginocchiò ai piedi  di  Kìli.
“Ti chiedo perdono, mio Signore…”
“E perché?”
“Beorn mi ha detto chi potrebbe essere l’altro Nano prigioniero. Io sono fuggito senza nemmeno tentare di aiutarlo! Ho tradito il mio Re!”
Kili rimase un attimo in silenzio.
“Sai per certo chi fosse? Potrebbe essere il figlio di Dàin, Gràin. Tu lo conosci?”
Elkar fissò il principe, perplesso.
“Non sapevo che potesse non essere il Re. Capisco cosa mi stai chiedendo, ma non conosco il principe Grain e non ho nemmeno visto in faccia bene il prigioniero. L’unica cosa che posso dirti è che aveva lunghi capelli biondi.”
“Dimmi una cosa, Elkar, e pensaci bene. Avresti potuto aiutarlo a fuggire?” chiese Kìli in tono molto severo. L’altro Nano rimase in silenzio per lunghi momenti, poi scosse lentamente la testa.
“No, mio Signore… era sorvegliato a vista, quasi sempre legato. Io ho colto un’occasione, che ho avuto perché pensavano che non fossi in grado di andare da nessuna parte.”
“Allora alzati, Elkar: non vedo colpa nelle tue azioni.”
“Lascia che venga con te, mio Signore!”

“Perché me l’ha chiesto.”
Un frullo d’ali interruppe la conversazione e Groac si abbattè con tutto il suo peso sul pomo della sella di Kìli. Per fortuna non è la mia spalla, avrei potuto rimetterci la clavicola.
“Hai visto qualcosa, Groac?”
“Ti ringrazio per avermi chiesto come sto, Spirito Luminoso. Dopo tutto sono ore che volo in lungo e in largo.”
Kìli sospirò.
“E va bene, Groac, grande e prezioso amico. Quando ti sarai riposato potrai riferirmi il risultato delle tue esplorazioni.”
“Ho trovato la terra bruciata che mi hai descritta. Non è lontana da qui, solo qualche minuto di volo verso il sole che tramonta. Ho visto anche la grande scarpata; e ci sono almeno due fenditure nella roccia da cui un umano può passare.”
“Bravo, Groac! Adesso sappiamo qualcosa che potrebbe essere utile. Altro?”
“Verso il mezzodì c’è una radura piena di quelle sgradevoli e puzzolenti creature, ma sono lontane: per voi almeno una giornata di cammino.”
“Manderò degli esploratori,” intervenne Dwalin, “ così vedremo cosa stanno facendo.”
“Ancora una cosa, Spirito Luminoso: ci sono alcuni Elfi appena più avanti: direi che le vostre sentinelle avanzate li incontreranno…”
Il suono inconfondibile di un corno elfico si levò dalla boscaglia.
“… adesso.”


ANGOLO DELLE ANNOTAZIONI
*E’ una citazione. Sono sicura che la riconoscete.
** “Prima di valicare le Montagne, gli Hobbit erano già divisi in tre razze: i Pelopiedi, gli Sturoi e i Paloidi” (J.R.R. Tolkien, “Il Signore degli Anelli” )  Per saperne di più, https://lotr.fandom.com/it/wiki/Sturoi
*** Ce n’è davvero bisogno? La Dama Verde, o Signora Verde, è Yavanna; il Padre delle Acque, Ulmo. Non ricordo se Tolkien lo abbia detto esplicitamente, ma secondo tutti i commentatori gli Hobbit sono devoti a Yavanna Kementari, la Regina della Terra.

 

 


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Capitolo 62
*** Alba ***


62 Alba 62 Alba


Il Nano si addossò alla parete, stringendo in pugno la spada ed il coltello. Si rese conto di essere in preda ad un’agitazione frenetica e si costrinse a calmarsi.

Tranquillo. Respira! 
Non aveva un ricordo chiaro di come avesse percorso la discesa, superando la frana a monte e scendendo lungo il suo fianco opposto, rischiando mille volte di mettere un piede in fallo, finchè aveva raggiunto il torrente che sbucava dalla pozza nascosta. Solo la sua conoscenza innata della pietra lo aveva portato a valle incolume, ed ancora il suo istinto di  guerriero gli stava urlando che doveva fermarsi. Se lì dentro ci sono i Goblin potresti cadere in una trappola, e così non salverai nemmeno Gwennis.

Da quando aveva visto i mostricciattoli dirigersi verso la caverna nascosta, il suo unico pensiero era stato che doveva arrivare in tempo. Aveva immediatamente scartato l’idea di percorrere la via progettata per la sua fuga con Lirien, e cioè scendere dall’alto attraverso l’apertura nascosta: in quel caso l’idea era quella di nascondersi alla vista, stare al coperto ed attendere che il campo fosse libero per fuggire dall’ingresso dietro la cascata, quindi anche se la caduta li avesse storditi, o leggermente feriti, come era accaduto a  lui stesso la prima volta, non sarebbe stato un problema.
Precipitare stordito o ferito in mezzo a due Goblin armati, se si fossero trovati nella caverna, non era decisamente una buona idea; quindi restava solo l’ingresso principale.

Avanzò lentamente, ma tendere l’orecchio in cerca di qualche segno di presenza era del tutto inutile:  il rumore dell’acqua che precipitava dalla cascata copriva qualsiasi cosa. Fece ancora qualche passo e gettò una rapida occhiata verso l’anfratto in cui si trovava la pozza.
Nessun segno di vita.
Il sentiero era libero, quindi avanzò a passo più rapido, ma quando fu circa a metà strada dalla cascata si fermò di colpo.
Sotto di lui giaceva il corpo di un Goblin. La sporgenza lo aveva nascosto, ma ora il Nano poteva vederlo bene: chiaramente morto, gli occhi spalancati in un’espressione di assoluto stupore, era immerso nell’acqua fino alla vita, solo la parte inferiore del corpo si trovava sulla riva rocciosa. Nessun segno visibile di ferite.
Cosa diavolo è successo qui? Avanzò sul sentiero con cautela ancora maggiore, finchè, a pochi passi dall’imboccatura nascosta, proprio davanti a lui, vide alcune gocce rosse.
Sangue. Sangue rosso.

Quelle poche gocce mandarono in frantumi la sua compostezza: fece di corsa gli ultimi passi, entrò nella caverna e si guardò intorno, sbattendo le palpebre per eliminare velocemente la temporanea cecità dovuta al passaggio dal pieno sole alla penombra.
Nessun movimento. Poco alla sua destra, però, in una zona d’ombra, scorse una massa scura ed immobile, ed il sangue gli si gelò nelle vene. Ci mise qualche istante per rendersi conto che non poteva trattarsi di un solo corpo.
“Gwennis...?” chiamò, a bassa voce.
Silenzio. Si avvicinò cautamente e potè finalmente avere un’idea chiara di quello che si trovava  davanti a lui.

Sopra il mucchio c’era il corpo di un Goblin, a faccia in giù, chiaramente morto anche questo, ma per una causa molto evidente. L’impugnatura di un coltello dall’aspetto familiare gli sporgeva dalla parte bassa della schiena.
 

“Il m-m-mio m-maestro diceva c-che lì n-n…non ci s-sono o-o-osta.. ostacoli…”

Gwennis aveva colpito ancora. Ma lei, dov’era?

Strattonò il cadavere del Goblin e lo gettò da parte; sotto, il corpo del fedele Billy giaceva in un lago di sangue. Con il cuore in gola spinse da parte anche quello, ma sotto non vi era nulla.
“Gwennis!” urlò. Ormai non aveva senso cercare di essere furtivi. “Dove sei?”
“M.. Mastro N.. nano, sei tu…?”

La voce flebile sembrava venire da qualche parte sotto la volta della caverna. Il Nano lasciò andare un respiro che non sapeva di aver trattenuto e di colpo tutta l’adrenalina lasciò il suo corpo. Si accasciò a sedere, privo di forze.
“Dove sei, Gwennis? E’ tutto finito.”
“Quassù..”
Su? Su dove?
Alzò gli occhi e, a svariati metri sopra di lui, dalla sporgenza dove era caduto la prima volta, faceva capolino una testa rossa e arruffata.
“Gwennis! Mahal, cosa ci fai lì sopra?”
“… scappata.”
“Fammi capire. Hai ucciso tu il Goblin, vero?”
La voce si fece indignata.
“Certo! Ha massacrato il povero Billy!”
“Quindi tu l’hai ucciso e poi  sei scappata là sopra?”
“Certo! Lo sai che mi fanno paura!”
Il Nano si alzò brontolando a mezza voce.
“Certo. Quando sono morti sono pericolosissimi, quindi prima lo uccidi e poi scappi. Logico.”
Alzò il viso verso la sporgenza.
“D’accordo, Gwennis. Adesso è tutto finito, ci sono io, puoi scendere.” 
“Neanche per sogno, finchè quella roba  è lì! E anche…” la voce di spezzò, “anche il povero Billy. Ti prego, ti prego, non posso vederlo così, portalo via, ti prego…!”
La Nana era chiaramente isterica.
“D’accordo, d’accordo!” la rassicurò il Nano. “Farò sparire tutto. Anche quello là fuori, non mi sembra il caso di lasciarlo dov’è, sembra un invito a venire a curiosare. A proposito, com’è morto, quello?”
“Billy lo ha spinto giù dalla riva, deve aver battuto la testa, o qualcosa del genere, poi l’altro mostro ha ferito Billy, ed io… Beh, lo sai.”
“Tutto chiaro, hai avuto una giornata impegnativa. Vado a far pulizia.”
“Ehm, Mastro Nano…”
“Sì?”
“Mi… mi recupereresti il coltello?”

Sbarazzarsi dei cadaveri fu molto più facile a dirsi che a farsi. Il Nano studiò con aria critica il mucchio davanti a lui: non aveva senso sporcarsi di schifezze orchesche i suoi unici abiti appena puliti, quindi recuperò  il recipiente  di cuoio che usavano per attingere acqua e sbattè una  secchiata d’acqua del laghetto sopra il tutto.
Afferrò il Goblin per i piedi e lo trascinò fino all’imboccatura della  forra, dove il letto si restringeva ed il torrente scorreva più impetuoso, e ve lo gettò. Con soddisfazione vide che veniva prontamente afferrato dalla corrente e trascinato via.
Si occupò quindi dell’altro mostricciattolo. Con un lungo ramo secco trascinato dal torrente, lo spinse lontano dalla riva e  lo osservò galleggiare pigramente sull’acqua della pozza.
Maledetto, causi problemi anche da morto! Mi sa che dovrò entrare in acqua e spingerlo via.
La prospettiva di bagnarsi almeno fino alla vita era tutt’altro che allettante; con un sospiro, il Nano si sedette per togliersi gli stivali, quando improvvisamente il cadavere fece una giravolta e imboccò con decisione la direzione della corrente.
“Grazie Mahal per i piccoli doni!” esclamò sollevato.
Infine si occupò di  Billy, e non fu facile.
La bestia mandava un odore terribile.  Ma  i cadaveri dovrebbero iniziare a puzzare dopo un po’, giusto? In più, Gwennis decise di fare la sua parte.
“Trattalo bene, Mastro Nano; quello non è un Goblin puzzolente!”
“Sì, sì…” sbuffò mentre sudava trascinando quel peso. Sulla puzza avrei qualcosa da dire.
Lentamente, a fatica, passo dopo passo, Billy prese la stessa strada del primo Goblin. Il Nano lo osservò intraprendere il suo ultimo viaggio verso il mare, con un pensiero grato a tutte le volte in cui il fedele pony li aveva aiutati.
Addio all’unico pony da fiuto della Terra di Mezzo!

Con qualche altra secchiata  d’acqua  tutte le tracce dell’accaduto vennero cancellate dalla grotta e dai sentieri esterni, ed infine il Nano tornò da Gwennis.
“Allora, è tutto finito. Non c’è più niente da vedere, puoi scendere.”
“Billy?”
“Billy è diretto al mare, e sta navigando verso le Terre Immortali. Speriamo che i Valar lo accolgano!”  se non hanno un naso troppo fino.
“Hai detto una preghiera?”
Mahal dammi la forza.
“Sì,” rispose con voce che faticava a restare seria, “l’ho raccomandato alla misericordia di Yavanna, spero che mi ascolti visto che sono un figlio di suo marito. Ora scendi.”
“Non  posso,” fu la risposta, data con una vocina tremante, “non so come fare.”

Il Nano rimase interdetto.
“Ma da dove sei salita?”
“Da lì, aggrappandomi alla parete, ma adesso non riesco a guardare in basso, mi vengono le vertigini, e non so dove mettere i piedi…”
Come ha fatto? Contemplò incredulo la parete verticale, dotata qua e là di alcune sporgenze e cavità. Doveva essere alta almeno venti metri. Diede voce alla domanda.
“Come diavolo hai fatto a salire fin lassù? Cosa sei, un gatto?”
“Non c’è bisogno di offendere, Mastro Nano,” la voce era risentita. “Non tutti sono grandi guerrieri coraggiosi come te, che possono criticare chi ha paura…”
“No, no, ferma! Non era affatto una critica!” ribattè l’altro. “Sono veramente molto ammirato. Non avevo idea che fossi così brava nelle arrampicate.”
La voce divenne sospettosa.
“Mi stai prendendo in giro?”
Il Nano scosse il capo. Cos’ è di buffo, inaspettato ed incredibile questa Nana?
“Niente affatto. Comunque se guardi alla tua destra, oltre il torrente, vedrai che l’acqua scorre su  una specie di scalinata. E’ più lunga della via che hai usato tu, ed è anche molto scivolosa, quindi stai attenta, ma arriverai alla riva del laghetto.”

Ci vollero  un sacco di tempo, di gridolini terrorizzati, di incoraggiamento e di maledizioni pronunciate a mezza bocca.
 
“Ti prego di non usare quel linguaggio oltraggioso, Mastro Nano! E’ vero che siamo in una foresta infestata di Goblin, ma noi Nani dovremmo mantenere uno standard minimo di educazione!” lo rimbrottò Gwennis in bilico su un sasso.
“Guarda dove metti i piedi invece di preoccuparti della mia educazione!”
“Come ti ho detto… ooooh!” La Nana ondeggiò pericolosamente, a braccia aperte, sull’orlo di un dislivello.
“Attenta!”

Come Mahal volle,  Gwennis arrivò sulla riva del laghetto, e finalmente potè darle una buona occhiata.
Era scarmigliata, gli abiti strappati dalla arrampicata precipitosa, bagnata, i capelli rossi folleggianti intorno alla testa;  le mani escoriate, sul viso le tracce delle lacrime ed un baffo di sangue su un guancia. Era adorabile.
Ed in quel momento, tutti i sentimenti che aveva respinto, ignorato e represso per mesi, seppelliti sotto l’ironia e le critiche, gli piombarono addosso; tutta la tenerezza, l’ammirazione, l’esasperazione, lo stupore per le sue uscite che lo coglievano quasi sempre di sorpresa… tutti quei sentimenti che era venuto a provare per lei, ed a cui rifiutava ancora di dare un nome, furono finalmente davanti ai suoi occhi e non potè più far finta che non esistessero.  E quando occhi azzurri incontrarono occhi grigi, ognuno di loro lesse in quelli dell’altro la medesima scoperta.
Per alcuni istanti rimasero a guardarsi storditi, come se ci avessero dato una mazzata sulla testa,  ebbe modo di pensare il Nano molto, molto, tempo dopo.

Fece un passo avanti e fu nello spazio personale di lei. Si accorse che le mani di Gwennis tremavano, finchè si mossero lentamente per salire ad accarezzare la barba bionda, ed a sua volta sfiorò con un dito la guancia di lei per asciugare una lacrima vagante. Non seppe mai che dei due avesse fatto l’ultimo passo, solo che, ad un tratto, si trovarono l’uno nelle braccia dell’altro, la mente completamente persa, le mani che vagavano su ogni spazio disponibile. La sua bocca trovò il collo di Gwennis, ne assaporò il gusto e ….

“NO!”
Il grido improvviso lo scosse, e contemporaneamente Gwennis lo respinse, allontanandosi di qualche passo. L’effetto fu quello di una secchiata di acqua gelata in piena faccia.
“Oh Mahal, scusami Gwennis, non so che mi sia preso…” farfugliò, rendendosi improvvisamente conto della scorrettezza del suo comportamento, mentre recuperava rapidamente la ragione.
Idiota, idiota, idiota!  Si sarebbe volentieri preso a calci da solo. Lo sapevi, lo sapevi che c’era qualcosa che non andava!
Mi sono comportato come un animale.
“Perdonami, ti prego, io non…”
“Scusami, non è che non voglio, ma io non vado bene, io.. sono sbagliata..”
La voce di Gwennis, che a sua volta farfugliava con il pianto nella voce, lo colse completamente di sorpresa. Si stava stringendo le braccia intorno al corpo, come per difendersi.
Che cosa?
“… ti deluderei, e ti arrabbieresti, e non voglio…”
“Gwennis…cosa stai…”
Le parole dell’uno e dell’altra si affastellavano, entrambi presi dalla necessità di esprimere i loro sentimenti… con il risultato che nessuno  dei due ascoltava l’altro, finchè il Nano raccolse la sua lucidità e interruppe la sua controparte.
“Gwennis!”
Il tono secco lasciò per un momento interdetta la Nana, e lui colse l’occasione per guardarla bene. Ed ebbe la conferma ai suoi sospetti, perché invece dell’indignazione che si aspettava, che il suo comportamento così contrario all’educazione ed alle abitudini dei Nani avrebbe dovuto suscitare, negli occhi di Gwennis vide solo un immenso dolore.
Pensò che gli avrebbe spezzato il cuore. Cosa deve aver mai passato?
Fece un passo avanti, le mani protese con i palmi rivolti verso l’alto per rendere il suo atteggiamento  meno aggressivo possibile.
“Gwennis…” mormorò con voce sommessa, “dammi le mani, vuoi?”
Lei lo guardò con aria dubbiosa, mentre una lacrima randagia scivolava sulla sua guancia.
“Si…?”
Il Nano prese delicatamente tra le sue le dita tremanti che vi  si erano appoggiate.
“Guardami. Su, coraggio… guardami… così. Brava.”
Rimasero qualche istante a guardarsi, mentre il respiro affannoso di Gwennis si regolarizzava.
“Va meglio?” chiese lui. La Nana annuì.
“Bene. Ora, prima di tutto scusami per il mio comportamento inqualificabile. Poi, spiegami, cosa stavi dicendo?”
L’aria dubbiosa, se possibile, si accentuò. Gwennis lo fissò, poi fu come se avesse preso una decisione, e sospirò.
“Io sono una Nana sbagliata, sono diversa, non so compiacere un Nano, e so che se noi… se tu…ecco,  resterai deluso, e ti arrabbierai, e sarà tutto finito , e non voglio perché sto così bene con te, questi mesi sono stati così piacevoli, anche se siamo sempre nei guai, e io…” il tono si alzava, e le parole si affastellavano, e la Nana era sempre più agitata.
“Gwennis!”
Lei ammutolì.
“Sai che stai dicendo un sacco di sciocchezze?”
“Ma lui diceva sempre…”
Il Nano cominciava a capire.
“Non so chi sia ‘lui’ e non mi interessa. Ora ascoltami bene: tu non sei sbagliata, sei una Nana bellissima che è stata trattata troppo male, ed io, l’idiota che sono, stavo facendo lo stesso. Come prima cosa, ti prometto che non succederà mai più. Mai più farò qualcosa senza che tu mi abbia dato il permesso. Detto questo, anch’io sono stato benissimo con te, e, a dirla tutta, non riesco ad immaginare di non averti al mio fianco; e ti garantisco che non mi deluderai, e meno che mai mi arrabbierò con te. E’ chiaro?”


ANGOLO AUTRICE
L’argomento che vado affrontando è difficile, e sono stata molto in dubbio. Non ho la presunzione di capire certe dinamiche, e tanto meno di riuscire a descriverle in modo compiuto. Del resto questa è una ff, non un trattato: prendete le cose per quello che sono.
Alla prossima
Bacio
Idril



 

 


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Capitolo 63
*** Scoperte ***


63 Scoperte
*** NOTA AUTRICE ALLA FINE ***

63   Scoperte

 
“Non prendermi in giro!” gli occhi grigi mandavano lampi; ma il Nano non si fermò.
“Nessuna presa in giro.”
Si portò le mani di Gwennis alla bocca,e  posò un bacio delicato sui palmi, prima l’uno poi l’altro;  ed abbassò la voce.
“Hai detto che vuoi stare con me?” sussurrò. “Se sei sicura… vuoi che ti mostri quanto ti sbagli?”
Gli occhi di Gwennis furono improvvisamente lucidi di lacrime. Lo guardò per un istante infinito, poi annuì.

Il Nano ravviò il focherello ormai quasi spento  acceso tanto tempo prima da Gwennis, fino a farlo ardere allegramente; quindi   srotolò la coperta che usava per dormire, le prese delicatamente le mani e la fece sedere, sedendosi a sua volta accanto a lei. Il fuoco incendiava i riccioli che sfuggivano alla treccia scomposta, creando un alone luminoso intorno alla testa della giovane Nana; le ciglia ombreggiavano i grandi occhi spalancati e colmi di apprensione, ma anche di aspettativa.
Il Nano si chinò verso la sua compagna e baciò delicatamente le labbra morbide, una volta, due, finchè la bocca di lei gli si aprì; le sfiorò con la lingua l’interno delle labbra, e quando lei rispose il bacio divenne più profondo, così intimo… chiuse gli occhi  ed assaporò il salato delle lacrime. Quando si staccarono, per mancanza d’aria, entrambi avevano il respiro corto ed il volto in fiamme.  Mahal benedetto, mi sta facendo impazzire.
Il Nano si distese su un fianco, sorreggendosi sul gomito, e l’attirò più vicina; con la mano libera iniziò a sciogliere i lacci che tenevano chiusa la sua  propria camicia, sotto lo sguardo affascinato di Gwennis. Quando ebbe finito, sussurrò, sempre guardandola negli occhi:
“Vuoi toccarmi?”
“C-come… io non… non ho mai…” farfugliò, confusa; ma lui le sorrise ancora, un sorriso malizioso come Gwennis non l’aveva mai visto.
“Beh… hai detto che non sai dare piacere a un Nano? La prima cosa da fare è conoscerlo, non ti sembra?”  lui fu felice di sentire una risatina.
“Ottima logica, Mastro Nano…” rispose lei.

Il Nano si era ripromesso di essere tenero, rassicurante, maturo; di condurre la sua compagna per mano senza spaventarla. Come sapeva di essere un guerriero addestrato, così sapeva, oscuramente, di essere un buon amante, esperto quanto bastava. Devo essere controllato e dolce, trasmettere tranquillità ma anche sicurezza, perché si fidi di me.
Le dita di Gwennis cominciarono a muoversi sulla sua pelle, esitanti, delicate… a volte gli lanciava occhiate perplesse, come se chiedesse: va bene così?
Poi qualcosa cambiò. Divennero maliziose, birichine e molto più indiscrete, ed il Nano si trovò improvvisamente con il fiato corto. Lei riusciva ad indugiare esattamente sui punti che lo facevano rabbrividire di piacere. Preso da tutte queste sensazioni, si dimenticò di continuare ad accarezzarle i capelli…

Dèi com’è bella… oh, sì così… devo essere delicato, non spaventarla… ah! Lì, proprio lì! … Mahal che mani calde ha… tranquillo e rassicurante…
I pensieri del Nano vagavano, dispersi e disordinati come foglie portate dal vento. Ogni buona intenzione, ogni progetto, ogni coerenza erano svanite in un mare di piacere intossicante. Si accorse a malapena di essere sdraiato sulla schiena,  con lei che lo sovrastava, baciandolo languidamente, e continuava a muovere quelle dita magiche. Sotto le sue, invece, i capelli di lei sembravano seta, e non riusciva a staccarne le mani. Con uno sforzo aprì gli occhi e la vide: le guance accese, le labbra socchiuse, gli occhi brillanti.  Si sta divertendo un mondo…
Mahal non posso continuare così… sono troppo, troppo eccitato… se non si ferma, io…
Ma vuoi davvero che si fermi?
Le mani scesero sempre di più, scivolando sotto la cintura… poi si avvicinarono pericolosamente ai lacci dei pantaloni… una voce dentro il Nano gli urlava di fare qualcosa, qualsiasi cosa,  ma il suo corpo non rispondeva, crogiolandosi nelle sensazioni. Con il cuore che batteva all’impazzata, chiuse gli occhi. Se solo mi tocca…
I lacci erano ormai sciolti. E, sì: bastarono davvero poche leggere carezze.

Se prima i pensieri del Nano erano stati disordinati e dispersi come foglie al vento, ora erano aggrovigliati come una matassa di lana tra le zampe di un gatto, mentre cercava di riprendere fiato e di fare ordine nella sua mente. Non che fosse una cosa facile.
Si vergognava come un ladro, ed era furioso con se stesso. Bella dimostrazione di maturità. Adulto e responsabile, dolce e rassicurante, proprio: mi sono comportato come uno stupido adolescente alla prima cotta! Dèi, chissà cosa pensa di me.
Un’altra parte di lui sogghignava. Fortuna che non sapeva stare con un uomo! Non perderla di vista,  idiota!
Un’altra parte ancora stava facendo spudoratamente  le fusa.
Il suo cuore era pieno di tenerezza, e gli suggeriva di baciarla, abbracciarla e fare l’amore con lei. Poteva decisamente essere una buona idea;  ma in questo momento, cosa le dico?

Aprì un occhio. Lei aveva ravvivato il fuoco, e per fortuna, perché il Nano rabbrividì sentendo il sudore raffreddarsi sulla sua pelle nuda.  Gwennis trasse qualcosa dalla sua sacca, prese la borraccia e si inginocchiò accanto a lui; inumidì il panno con l’acqua e cominciò delicatamente a ripulirgli la pelle.
Inorridito, il Nano si alzò sui gomiti.
“No!.. cosa stai… non devi….” Farfugliò, gli occhi sbarrati.
Gwennis lo guardò tranquillamente. Gli appoggiò una mano sul petto e lo respinse giù.
“Ssh! Lasciami lavorare.”

A questo punto la mente del Nano era una tabula rasa.  Assolutamente vuota. Lei era riuscita a spiazzarlo completamente; si rese conto di avere la bocca spalancata per lo stupore e si affrettò a chiuderla. La solita vocina della sua parte cinica si era fatta sentire. Ti sei già reso abbastanza ridicolo. Ci manca solo che si volti e ti veda con l’espressione intelligente di un pesce lesso.
Finito il suo lavoro, la Nana  srotolò una pelliccia; lo coprì, vi si infilò sotto al suo fianco e gli appoggiò il capo sulla spalla; infine sussurrò:
“Grazie.”

Era veramente troppo per lui. Ed improvvisamente smise di pensare. Quelle poche sillabe lo avevano colpito fino in fondo al cuore; stringendola a sé, sotto la pelliccia, disse piano:
“Perché mi dici grazie, Gwen? Io dovrei ringraziarti: mi hai dato momenti piacevolissimi …almeno da che mi ricordi,” aggiunse con una buona dose di autoironia.
“Vedi… tu ti sei abbandonato  a me. Hai lasciato che fossi io a darti quello che volevo, come volevo. Per la prima volta non mi sono sentita usata…  anzi. Ti ho sentito così… così mio.”
Il cuore di lui si aprì di colpo; ne uscì un’immensa tenerezza, e le diede voce prima di rendersene conto. La ribaltò sulla schiena, le accarezzò la  guancia e guardandola negli occhi sussurrò:
“Io sono tuo, Gwen… ora e per sempre, finchè mi vorrai.”
Lei alzò un braccio a circondargli il collo e lo attirò a sé.
“Allora baciami.”

E da quel momento il Nano mise il cervello in vacanza: per la prima volta smise di cercare di capire, analizzare, programmare, e fu solo cuore, corpo ed istinto. Usò tutti i suoi sensi per cogliere i messaggi che  la sua amante gli inviava. La spogliò senza fretta, baciandola ed accarezzandola ad ogni passo, fermandosi e indugiando quando la sentiva dubitare, o irrigidirsi, andando avanti quando la sentiva pronta, quando i i sussurri , i sospiri, i fremiti di lei gli dicevano che desiderava di più.  La amò con gli occhi e con le parole, con i baci e con tutto se stesso, tenero ed attento, appassionato tanto da accenderla ma non da spaventarla; la attirò con sé in un incantesimo d’amore e di piacere. E quando gli sembrò che fosse pronta per lui, quando sentì di non poterla desiderare di più, di non poter più aspettare, ancora… si sollevò su un gomito e la contemplò, nuda come lui, bellissima e magica alla luce del focolare, e sussurrò:
“Amore mio… mi vuoi?”
Lei sorrise, gli occhi lucenti e spalancati, ed allungò le braccia.
“Ti voglio,” sussurrò a sua volta con una voce bassa e roca che gli spedì l’ennesimo brivido su per la spina dorsale.  Lui si distese sulla schiena.
“Allora vieni… tocca a te decidere. Quando vuoi, quello che vuoi, finchè vuoi.”
Gwennis lo fissò, sorpresa ancora una volta, e la luce sul suo viso  fu tale da fargli male al cuore. La attirò su di sé e si sollevò per baciarla.

Fu lei a guidarlo dentro di sé; fu ancora lei a stabilire il ritmo godendosi ogni momento. Il Nano si limitò ad abbandonarsi alla magia. Si riempì gli occhi della sua bellezza, della meraviglia e della pura gioia che lesse nel suo sguardo; la accarezzò e seguì i suoi movimenti, attento a non forzarla mai. Emozionato ed eccitato, lesse sul viso e sul corpo di lei i segni della marea del piacere che avanzava; raccolse dalle sue labbra ogni ansito, e lesse nei suoi occhi l’abbandono quando raggiunse il culmine. Un attimo, ed il corpo di lei che si chiudeva catturandolo in sé gli fece esplodere mille stelle davanti agli occhi.
Per un momento, l’universo del Nano si era inclinato.

Il Nano emerse lentamente alla coscienza… o quasi. Il suo orizzonte rimase limitato al bozzolo in cui era racchiuso, e colse solo le sensazioni immediate. Dèi, come stava bene.
Il pavimento della grotta sotto la sua schiena era sabbioso, senza sassi fastidiosi; le pellicce e le coperte che lo avvolgevano erano morbide sulla sua pelle. E contro il suo fianco, caldo e liscio, un dolce peso sulla sua spalla, respiro leggero e oh Mahal questa è beatitudine…  la strinse meglio contro di sé e scivolò di nuovo nel sonno.

La volta successiva, si svegliò all’erta. I suoi sensi gli stavano comunicando che qualcosa non andava, qualcosa di insolito, e  gli bastò qualche istante per rendersi conto che la fonte del disturbo stava proprio tra le sue braccia.
Lei stava piangendo. Gli intoppi nel respiro, i piccoli brividi, le aspirazioni silenziose ma non abbastanza… non c’erano dubbi. Il cuore del Nano finì istantaneamente a livello dello stomaco.
Oh, per tutti i Valar. Cosa ho fatto?  Un turbine di pensieri attraversò la sua mente,  tu idiota, hai avuto troppa fretta, le hai fatto pressione, lo sapevi che non era pronta…  Fu un particolare che fece risalire un po’ il livello del suo cuore.
Gwennis stava piangendo, sì, ma nelle sue braccia. Non lo stava respingendo, anzi, stava attorcigliando le dita nei capelli biondi ed arruffati  accanto alla sua guancia, aggrappandovisi come se la sua vita dipendesse da questo, ed il Nano pensò che era una bella sensazione. La tentazione di girare il viso e baciare quelle dita era forte, ma si costrinse a stare fermo.
Meno piacevoli erano le unghie dell’altra mano nel suo bicipite, ma le ignorò.
Per un momento pensò di fingere di continuare a dormire, ma non gli sembrava … adeguato. Così sussurrò:
“Gwen..? E’ colpa mia? Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
AL suono della sua voce, Gwen si era irrigidita, trattenendo il respiro; ma alle sue domande si rizzò di scatto su un gomito, facendo scivolare la pelliccia che li copriva.
Lo guardò con espressione stupefatta.
“Mahal, no! Come puoi pensare una cosa simile? Mi hai dato la notte più bella della mia vita!”
Il cuore del Nano volò; rimase a guardarla, consapevole di avere stampato sul viso un sorriso infatuato.
La vocina cinica si fece sentire di nuovo.
 Sei un pozzo di espressioni intelligenti.
La ignorò completamente, anche perché sul viso di lei era comparso un analogo sorrisetto. Se avesse potuto, il Nano avrebbe fatto le fusa come un gatto  coccolato, mentre la vocina sghignazzava.

“Però credo che tu abbia diritto ad una spiegazione.”
“Nessun diritto, Gwen, ma se vuoi parlare sono un bravo ascoltatore.”
Lei lo fissò un attimo, quindi fece un sorrisetto.
“Mahal, sei proprio unico,” gli rispose; si accoccolò di nuovo contro il suo fianco e gli appoggiò la testa alla spalla. Rimase in silenzio per un po’, mentre lui aspettava pazientemente: l’ultima cosa che intendeva provare era farle fretta.  Finalmente ne saprò un po’ di più di questa Nana.

“Non so bene come cominciare… sono così confusa, da una parte mi sento meglio di come mi accadeva da anni… dall’altra sono arrabbiata, e non capisco… perché? Perché dirmi tutte quelle cose, se non erano vere? Cosa gli avevo mai fatto?...”
Le lacrime tornavano, e il Nano la strinse solo un po’ di più, accarezzandole i capelli. Non parlò, perché non ce n’era bisogno.
Alla fine Gwennis sospirò.
“Meglio partire dall’inizio.”

“Il mio fu un matrimonio combinato, come quasi tutti quelli delle ragazze di buona famiglia di Gabilgathol. I motivi per cui i miei gentori lo scesero sarebbero troppo lunghi da spiegare, e non c’entrano; comunque, lui era il  mercante più ricco della città; vedovo, con due figli grandi, sembrava molto gentile.”
“Ma le cose si sono rivelate diverse.” Avevo immaginato qualcosa del genere.
Gwennis annuì; fece una pausa, scegliendo le parole.
“La prima notte di nozze, lui… mi fece male. Molto… e così tutte le volte dopo. Lui non era come te, prendeva quel che voleva e basta. “
Il Nano digrignò i denti.
“Che imbecille. Non saprà mai cosa si è perso.”
A queste parole la sentì ridacchiare.
“Mahal, non sai cosa significhi per me sentirtelo dire.” Quindi riprese: “Protestai, non mi sembrava che le cose dovessero andare così. Non avevo alcuna esperienza, ma le donne chiacchierano, e.. beh, poi c’era stata la Festa della Sposa, quindi…”
Un attimo di silenzio.
“Lui si infuriò. Mi disse che era suo diritto, che alle altre Nane piaceva, che ero solo una ragazzina viziata e una moglie ribelle… e così via… e che le mogli ribelli andavano punite dall’inizio...”
Un’altra pausa. Il Nano tratteneva a stento l’indignazione.
“E lo fece.”
“Mahal, ti ha… ti  ha …”
“Mi ha picchiata… e mi ha presa con la forza. Quella volta e molte dopo.”
L’indignazione stava diventando rabbia cieca..
“Non hai parlato con nessuno?”
“E con chi? Mi vergognavo tanto.. e poi mi venivano un sacco di dubbi:  e se avesse avuto ragione lui? E: mi avrebbero creduto? Lui aveva una reputazione magnifica, sempre cortese e generoso con la  buona società di Gabilgathol, anche se ormai sapevo come conduceva i suoi affari. Era come se ci fossero due persone in lui. … se avessi detto ai miei fratelli che mi  picchiava avrebbero scatenato un putiferio, e lui li avrebbe distrutti, come accadeva a tutti quelli che attraversavano la sua strada.”
“Nessuno si è mai accorto di niente? Dovevi pure aver qualche segno, qualche livido..”
“Stava molto attento a non toccarmi in punti visibili. Diceva che si sarebbe vergognato per me perché tutti avrebbero saputo che ero una pessima moglie e che era costretto a ‘disciplinarmi’.”
Dopo un attimo di pausa continuò. Nel frattempo il Nano faceva di tutto per controllare il dolore e la rabbia.
“Allora decisi che se fossi stata assolutamente docile forse le cose sarebbero andate meglio… ma mi sbagliavo. Fu peggio! Mi diceva cose orribili, che gli sembrava di .. beh.. stare con un cadavere. Che qualsiasi lavandaia era capace di … oddio, come posso ripetere quelle cose!..  di compiacere un Nano,  e io no. Che con tutto il mio studio non valevo niente e non servivo a niente. Che l’unico uso delle donne è scaldare il letto ed io non ero capace nemmeno di quello… che avrei fatto passare qualsiasi voglia a chiunque… infatti allora spesso non riusciva a … oddio … e si arrabbiava anche di più…”
Gwennis stava singhiozzando apertamente, e il Nano la teneva stretta. Pensava che gli si sarebbe spezzato il cuore.
“Forza, buttalo fuori… tutto… piangere fa bene, cara. Mahal, ti sei tenuta dentro questa roba per quanto? Due anni, tre?”
“N-non so, sembra un’eternità…”
“E’ finito, adesso. Lo sai che è finito,vero?
La Nana annuiva.
“Avrei voluto un figlio… oh, non importava che fosse suo, almeno avrei avuto qualcuno per me, anche perché sapevo che non lo avrebbe considerato affatto finchè non fosse cresciuto abbastanza. Aveva fatto lo stesso con i suoi due figli… ti avevo detto che aveva due figli, che lavoravano per lui in altre città? E poi, beh, se fossi stata incinta forse per un po’ mi avrebbe lasciato in pace… ma non successe mai.”
Sospiro.
“Quello fu un altro motivo di litigio. Disse che qualsiasi scrofa valeva più di me, perché non ero  nemmeno in grado di dargli un figlio; e venne fuori che mi aveva sposato solo per avere un altro erede, in modo da estromettere i suoi figli…”
“Come è finita?”
“E’ finita che un giorno lo riportarono a casa. Aveva avuto un colpo mentre era nel suo ufficio; rimase in coma un paio di giorni e morì senza riprendere conoscenza.”

Restarono a lungo in silenzio, stretti sotto le coperte.
“Sai?” disse il Nano alla fine, “mi dispiace che tuo marito sia morto.”
Lei rizzò il capo, interrogandolo con lo sguardo.
“Perché penso che mi sarei compiaciuto di spellarlo vivo con un coltello poco affilato…  ma in ogni caso spero che, ovunque sia, veda cosa si è perso, il bastardo.”
La mano del Nano risalì la schiena di Gwennis, e la voce si fece bassa e roca.
“Perché vedi, se ti compiacerai di dare un’occhiata a sud, vedrai che questo  Nano è molto compiaciuto semplicemente standoti vicino… e se ti compiacesse, potrei forse dimostrarti meglio quanto il bastardo si sbagliava…”
“Direi che mi compiace.”

ANGOLO AUTRICE ( è importante non glissate pls)

Questa volta ho qualcosa di importante da dire.
Nello stesso capitolo ho fatto alcune scelte di cui non sono molto sicura.
Uno. Sono consapevole  di aver interpretato il primo incontro tra loro in modo decisamente inusuale, non credo di aver mai letto niente del genere. Un po’ più terra-terra dei soliti fuochi d’artificio. Però mi sembrava adeguato.
Due. Mi sento molto presuntuosa nell’aver affrontato un argomento delicato, quello delle donne maltrattate, che conosco molto poco perché non sono né una psicologa né una sociologa,  e grazie al cielo  non ho avuto esperienze dirette. E allora, perché diavolo ne hai parlato? Domanda legittima.
In questa fic compaiono  due personaggi femminili principali, e due storie d’amore ( Neala è una storyline minore, sebbene anche lei avrà il suo esito): volevo che fossero profondamente diverse, sia le Nane sia le storie, ognuna adatta al partner che ho voluto assegnare.
Liatris è una ragazza al primo amore, con un passato tranquillo, sereno, e vive la sua storia un po’ come una favola ( che ovviamente poi scende sulla terra come accade in questi casi). E’ perfetta per il mio Kìli, giovane e impulsivo, con il  suo percorso di maturazione ma fondamentalmente puro ( non so se riesco a spiegarmi). E’ una storia d’amore di stelle e arcobaleni, la cui unica difficoltà è riuscire a reggere l’impatto con la realtà: entrambi però sono maturati abbastanza da riuscirci.
Questi due sono diversi. Lui è fondamentalmente un cinico ( la vocetta che ogni tanto compare è la sua coscienza): ha profonde convinzioni in materia di dovere e di onore,  al punto da mettere questi davanti a tutto il resto compreso se stesso, ma ha anche ben poche illusioni sulla realtà. Il suo punto è di mantenersi all’altezza dei  suoi personali, elevatissimi standard. A un personaggio simile non potevo abbinare una Biancaneve. Gwennis ha un passato difficile, ferite profonde mai rimarginate e comunque una personalità complessa.
A questo punto farò una cosa che in 63 capitoli e sei anni non ho mai fatto: chiedo per favore un feedback. La storia potrebbe avere esiti diversi, e mi piacerebbe sentire il parere dei pochi lettori ancora attivi ( lo so, è colpa mia, avrei dovuto essere più costante nell’aggiornare).

ANGOLO DEL  *GRAZIE*
Stepaniee, Laurelindorean, Jodie_always , per aver lasciato  un segno del passaggio.
EmmaWayne, Little Giant, dayafterday: per l’attenzione.
E tutte quelle che mi onorano di contarmi  ( ancora) tra gli autori preferiti.
Un abbraccio forte.
Idril

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Capitolo 64
*** 64 In cui qualcuno potrebbe fare due più due... ***


65 In cui qualcuno potrebbe fare due più due...
65 In cui qualcuno potrebbe fare due più due…

Gwennis si stiracchiò, godendosi il contatto delle pellicce con la pelle nuda, ed il calore del bozzolo in cui si trovava. Si rese conto di essere un po’ indolenzita… piacevolmente indolenzita.
Aveva già capito  di essere sola sotto le coperte. Aprì un occhio, soffiando via i riccioli arruffati che le ricadevano sulla fronte, e si guardò intorno.
La luce filtrava dall’apertura della cascata, confermando che era ormai giorno fatto. Vide che mancavano gli stivali e gli abiti del suo Nano, ma giubba e cappa erano lì; il fuoco era stato ravvivato e scoppiettava allegramente, ma non vi era più legna: facile immaginare dove lui fosse andato.
Rotolò tra le coperte fino al posto che  il Nano aveva occupato, e che conservava ancora il suo calore. Affondò il viso nelle pellicce ed aspirò il profumo che era intensamente suo, un misto di cuoio, di acciaio e di giovane maschio.

E odore di sesso.
Incredibile. Una volta non vedevo l’ora di poter spalancare le finestre e di cambiare le lenzuola, per eliminare ogni minimo sentore di quell’odore che odiavo, e che mi ricordava solo dolore ed umiliazione. Adesso, invece…
Tornò con il pensiero  quanto accaduto la note precedente, ed un brivido di eccitazione le percorse la spina dorsale. Alla luce del giorno tutto sembrava così diverso… si sentì avvampare al ricordo di quello che era successo, di quello che lui le aveva fatto, che lei stessa  aveva fatto e consentito di fare!
Ebbene, era una Nana adulta. Non doveva rendere conto  a nessuno di quanto faceva o di chi accoglieva nel suo letto.
Aveva ancora davanti agli occhi la vista di lui,  vestito solo di quel suo sorriso malizioso, in tutta la sua gloria di muscoli scolpiti e riccioli biondi che ricadevano sulle spalle. La luce del fuoco traeva bagliori dalla peluria sparsa sul petto e sull’addome, facendolo apparire completamente d’oro.
Si sentiva  le orecchie in fiamme.

Per un po’ si crogiolò nella sensazione di benessere che provava, mentre i suoi pensieri tornavano alla notte precedente, alla dolcezza ed alla passione del suo compagno di letto, comprendendo finalmente tutte quelle allusioni e le risatine delle altre Nane durante le Feste della Sposa, o quando le donne indulgevano a pettegolezzi. Si sentiva bene.

Dopo un po’, vedendo che lui non tornava, iniziò a pensare che qualcosa fosse andato storto. Si assicurò di nuovo che  i suoi effetti personali e la sua attrezzatura fosse ancora lì; ed infatti…
Non può essersene andato senza le sue armi. Ci dorme, anche!  Ridacchiò pensando a qualche momento di imbarazzo, la sera prima, mentre emergevano coltelli da ogni indumento che si toglieva di dosso… o che  lei  gli toglieva di dosso.
Il colore dorato della luce lasciava capire chiaramente che era piuttosto tardi. Gwennis, ormai nervosa, si vestì  rapidamente; con cautela impegnò il passaggio, rimanendo nascosta mentre adocchiava la zona davanti alla cascata.

E lui era lì. Un sollievo immenso la invase; stava bene, e non si era perso. Però…
Il Nano sedeva sulla riva della pozza, le gambe ciondoloni quasi fino a toccare l’acqua; si reggeva le testa con le mani appoggiate alle ginocchia, e nel complesso era l’immagine dello sconforto.
Cosa gli è successo?
In quel momento il Nano alzò leggermente la testa ed appoggiò le mani sulle ginocchia. Anche da quella distanza si vedeva che le dita stringevano convulsamente.
Gwennis ristette, come raggelata. Le si mozzò il respiro, mentre un brivido gelido gli scorreva su per la spina dorsale, facendola tremare. Tutti  i suoi campanelli d’allarme suonarono contemporaneamente, perché, se la posizione delle spalle parlava di sconforto, quelle mani dicevano un’altra  cosa, dicevano rabbia, e un maschio arrabbiato significa sempre guai, perché se la prenderà con te, solo perché sei lì, anche se non hai fatto proprio nulla…
Si accorse che stava andando in iperventilazione, il cuore che batteva a mille e la paura, quella paura stava per sopraffarla, e…
Cosa sto facendo?!
Gwennis fece un respiro profondo e cercò di calmarsi. Quello là davanti non è “lui”, è il mio Nano,  quello con cui ho viaggiato per settimane e che non è mai stato altro che gentile con me, anche quando facevo delle sciocchezze indescrivibili, anche quando mi comportavo da perfetta idiota, e invece di risentirsi lui alzava gli occhi al cielo e faceva la sua battutina, con quel sorrisetto ironico e malizioso così adorabile…
Devo fidarmi di lui.
Così squadrò le spalle e si incamminò lungo il sentiero.

Cosa mi è successo? Pensava nel frattempo il Nano. Come ho potuto comportarmi così? Cosa stavo pensando? Dov’è finito il mio onore?
Quella mattina si era svegliato nella più assoluta beatitudine, come non credeva fosse possibile. Poi aveva socchiuso gli occhi, e la luce del sole che filtrava dalla cascata gli aveva detto che il sole era sorto da un pezzo.
E la realtà gli era piombata  addosso con la violenza di un carro pieno di mattoni lanciato a gran velocità giù da un pendio; e vedere Gwennis addormentata al suo  fianco, con i riccioli rossi folleggianti ed un sorriso sulle labbra, come non le aveva mai visto, era stato il colpo di grazia.
Incapace di rimanere fermo un solo istante, si alzò e si vestì, riattizzò il fuoco ed uscì in cerca di una boccata d’aria per schiarirsi le idee.
Era assolutamente disgustato di se stesso, e si sarebbe preso a calci da solo; e presto il disgusto divenne rabbia.  Mentre era intento ad autoflagellarsi, il suo istinto di guerriero gli disse che qualcuno si stava avvicinando; ma ci vollero solo pochi istanti per capire, pur senza guardarsi intorno, che non era un nemico.

Gwennis sedette sulla riva della pozza accanto al Nano, le mani sulle ginocchia.
“Ciao.”
In Nano alzò  appena la testa e la sbirciò di sottecchi, distogliendo però subito  lo sguardo.
“Non dovresti rivolgermi la parola.” Il tono era sommesso, sotto il livello della disperazione, ma la voce era venata di rabbia repressa.  Gwennis  lo guardò a sua volta, con cautela.
“Ah, sì?” rispose. “E perché?”
Le parole successive furono soffocate tra le mani.
“Perché non me lo merito.” E continuò in tono monocorde:
“Sono un bastardo. Non ho alcun onore. Non sono meglio di tuo marito. Mi sono approfittato di te per il mio piacere.  Ho creato aspettative che non posso soddisfare, perché per noi non vi è alcun futuro  e lo sapevo. Ma ho ignorato tutto per seguire i miei soli desideri. Sono un animale..”
Gwennis lo lasciò continuare su quel tono per alcuni minuti, perché sembrava aver bisogno di buttar fuori tutta la miseria in cui si trovava immerso per sua sola iniziativa, poi perse la pazienza, e lo interruppe nel bel mezzo dell’ennesimo “sono uno stronzo”.
“Ehi, Mastro Nano, lo sai che stai dicendo un mucchio di sciocchezze?” Il tono era di quelli sbrigativi, ed ebbe l’effetto di un secchio di acqua gelata in piena faccia: il Nano alzò la testa e spalancò gli occhi.
“Ma…”
“Niente ma.” La voce di Gwennis si alzò di un’ottava. “Non credo di aver mai sentito un tale cumulo di idiozie  dopo quel venditore di argenteria che sosteneva che il metallo era naturalmente verde.”
La vena di rabbia era ormai evidente, ed il Nano ebbe il buon senso di non replicare.
“Vediamo, da che parte comincio? Primo, non paragonarti mai più a mio marito. Tra voi c’è la stessa differenza che esiste tra un brillante ed un mucchio di letame.”
Il Nano deglutì ed aprì la bocca per obiettare, ma lei lo fulminò con un’occhiata.
“Secondo, non ho idea di quali  aspettative vai blaterando. Non ho nemmeno avuto il tempo di pensare che vi possa essere, un futuro, quindi tranquillo: non hai deluso  niente. Terzo: non ti sei approfittato di nessuno! Non sono una bambina. Ho fatto quello che volevo ed ho dato quello che volevo, e sapevo  perfettamente cosa stavo facendo, quindi smettila di insultare la mia intelligenza. A questo proposito, ti dirò che ho avuto molto più di quanto io abbia dato, e passo a spiegare perché al  momento mi sembri piuttosto ottuso.”
Gwennis riprese fiato. Era davvero arrabbiata, ed il Nano  parve rendersene conto, perché si limitò a guardarla ed a subire la ramanzina in silenzio. La Nana riprese a bassa voce:
“Prima dimmi una cosa sola: quello che è successo tra noi, ieri notte, è stato importante, per te? O è stata solo una bella esperienza divertente?”
“Mahal, Gwennis!” la voce del Nano era altrettanto sommessa. “Certo chè è stato importante! Tu  sei importante! E’ proprio per  questo che …”
Lei alzò una mano per interromperlo.
“Va bene.” Trasse un sospiro profondo e continuò. “ Tu non ti rendi conto di cosa abbia significato per me quello che è accaduto la notte scorsa. Ho passato gli ultimi anni a credermi una nullità. Anche dopo che lui se n’è andato, sono rimasta come chiusa dentro una boccia di vetro, da cui vedi tutto ma sei distaccata. Non ho mai permesso che  nessuno si avvicinasse a me, perché non volevo   sentirmi dire che ero una delusione, non volevo sperare che ci fosse qualcosa per me per poi scoprire che, per causa mia, niente poteva funzionare.”
“Ma la notte scorsa ho scoperto che non era così. Che potevo anch’io permettermi di avvicinare qualcuno, che avrei potuto essere all’altezza e non deludere nessuno… che qualcuno può essere interessato a me e per le giuste ragioni, che  anch’io ho qualcosa da dare e da sperare. Stamattina mi sono svegliata come una Nana nuova, quindi anche se per te fosse stata solo una bella notte,  anche se non ci sarà più niente per noi… non posso far finta che non mi dispiaccia, ma in ogni caso io sarò comunque in debito  con te. Sono riuscita a spiegarmi?”
Il Nano aveva ascoltato in silenzio, commosso. Quando lei tacque, le prese le mani tra le sue e la guardò negli occhi, addolorato.
“Sei meravigliosa,” sussurrò “ed è per questo che mi dispiace tanto che non ci possa essere un futuro per noi… perché sei la cosa più bella che mi sia mai capitata in tutta la mia vita.”
 “L’ho detto prima e lo confermo: per me è già tantissimo quello che mi hai dato la scorsa notte, Mastro Nano. Però … però visto quello che mi stai dicendo, qualcosa direi che me la devi: una spiegazione. Perché dici che non puoi darmi un futuro?”
“Non posso darti un futuro perché non ho un passato.”

Gwennis fissava sbalordita il Nano biondo, che era rimasto in silenzio dopo aver vuotato, finalmente, il sacco.
“Di tutte le cose che avevo pensato, questa… questa proprio no.”
Il Nano annuì, con aria sconsolata.
“Non mi hai mai detto il tuo nome,  quindi mi sono scervellata per indovinarne il motivo… ma non ricordi proprio niente, facce, nomi, luoghi? Sai fare un sacco di cose! “
“Non so nemmeno io come funziona. So combattere, seguire le tracce, andare a caccia… ma non ricordo un solo nome. Facce sì, molte; nei sogni, o quando ho avuto la febbre, o anche in altri momenti, mi tornano in mente piccoli episodi, come barlumi di una storia; vedo persone che so che sono importanti per me..” al Nano tremò la voce  “.. ricordo colline  e boschi, ma che sia dannato se so dare un nome a qualcuno di loro!”
Gwennis stava pensando.
“Ma se tornassi tra i Nani, qualcuno magari ti riconoscerebbe… mi hai detto che hai combattuto nella grande battaglia, quella te la ricordi?”
Il Nano riflettè.
“Qualcosa… ricordo  di combattere…

Non erano solo i suoi occhi: tutti i suoi sensi erano assediati da quella miriade di sensazioni violente.  Certo, quello che vedeva era sconvolgente, ed in qualche modo del tutto irreale: il sangue scorreva a fiumi, gocciolava dalle lame, si raccoglieva in pozze sotto i corpi, scorreva in rivoli, tanto che la terra non riusciva ad assorbirlo. Ad ogni colpo della sua spada, sangue nero ed altre cose, che preferiva non osservare da vicino, schizzavano, e si mescolavano al fango. Tutti quelli che vedeva, amici e nemici, gli sembravano coperti di sangue, di fluidi non identificati, e dell’onnipresente fanghiglia fatta di  terra, pioggia e nevischio; si ritrovò ad osservare come il sangue schizzasse a volte  in spruzzi, altre volte in gocce, o addirittura come una nebbiolina rossastra, o nera. Notò il rumore che faceva quando raggiungeva una corazza, o un’altra parte di armatura. Ecco, i rumori: le urla dei feriti, i gemiti dei morenti,  i ruggiti, i grugniti di fatica e di rabbia… il tonfo sordo della freccia che affondava nella carne, o il sibilo della lama che calava… il clangore delle armi che si scontravano con forza, degli scudi infranti… una cacofonia che assediava le sue orecchie e gli penetrava nel cervello. Era passato il momento dei canti di guerra, ora c’era solo spazio per la lotta, fino all’ultimo.
E gli odori. Il sudore. Il sangue, che gli lasciava in bocca il sapore del metallo.  Quell’insieme di tanti effluvi che non si poteva definire altro che odore di morte.
Il suo corpo combatteva, senza fermarsi, un affondo, una parata, rotola e rialzati, muovi i piedi, dietro di te! Attenzione! L’adrenalina correva dentro di lui, e gli impediva di sentire la stanchezza, il dolore e la sete terribile: niente poteva fermarlo. La sua mente… era come se non riuscisse a credere alle sensazioni che riceveva. Come se tutto  questo non stesse accadendo a lui, ma vi assistesse, in qualche modo, che non riusciva a comprendere. Tutto era alieno. Tranne un particolare.
I nemici cadevano di fronte a lui, ma il suo sguardo guizzava sui suoi compagni,  persone che gli erano care, e il suo cuore sussultava ogni volta che li vedeva parare un colpo: terrore e sollievo, attento! Scampato pericolo!
Da quanto tempo combatteva? E quanto ancora?
E poi accadde.
In mezzo a tutto quel frastuono, sentì distintamente il tonfo del metallo che affonda nella carne. Un grido soffocato, un lamento, una voce nota. Girò appena il capo e lo vide.
Un secondo lungo quanto l’eternità. La spada  che scivolava dalle dita improvvisamente prive di forza. Sangue, sangue ovunque. Gli occhi improvvisamente enormi, spalancati sotto la visiera dell’elmo… vide in quegli occhi che conosceva meglio dei suoi lo stupore, poi il dolore, atroce, devastante…
Ed infine la luce che svaniva, come la vita che fluiva via dal corpo snello che si afflosciava al suolo…

“Va tutto bene, mastro Nano?”
Lui si riscosse.
”Sì… ho ricordato un brutto momento, ma forse era solo un incubo indotto dalla febbre. Però Lirien mi ha detto che siamo stati tutti presi prigionieri verso la fine della battaglia, quindi sì, c’ero.”
“La mia Signora mi aveva detto che l’unico esercito di Nani che ha combattuto era quello dei Colli Ferrosi, perché gli altri sono  arrivati dopo, quindi basterà andare nei Colli Ferrosi e chiedere a Lord Dàin: di sicuro riconoscerà uno dei suoi soldati, e se non lo farà lui… avrai avuto dei commilitoni, no?”
Il Nano taceva. Poi disse piano:
“Forse. Ma questo non cambia il fatto che non so nulla di me. Potrei essere un assassino condannato, o un farabutto… o la feccia della società, un Nano di infimo livello, senza arte né parte… del tutto indegno di te!”
Gwennis sbuffò.
“Ma quante sciocchezze. Ti ho osservato, sai, più di quanto tu non pensi; e le mie conclusioni sono molto diverse.” Ed espose al Nano tutte le considerazioni che aveva fatto sul  suo abbigliamento, sul  suo atteggiamento e soprattutto sul suo linguaggio.

Il Nano fissò divertito la sua compagna.
“E tutto questo solo ascoltando come parlo?”
“Puoi anche scherzarci, ma è la verità. Dimmi che sbaglio.”
Il Nano ricordò anche quello che aveva detto, tanto tempo prima, Thorbag.
“Il capo tribù degli orchi di Gundabad mi disse  qualcosa.  Sono quasi convinto che  alla fine lui abbia davvero scoperto chi sono…  disse, più o meno…Un guerriero addestrato.  Troppo giovane per essere un veterano che ha imparato in mille battaglie; sei  un Nano di nobile stirpe che ha avuto maestri d’armi fin da bambino.”
“Direi che si accorda bene con quello che pensavo io, no?”

“In ogni caso”, concluse Gwennis, “non mi sembra ci siano problemi insuperabili. Andremo da Lord Dàin. Se salta fuori, come io penso, che hai una famiglia ed un posto decente nella società dei Colli Ferrrosi, bene; altrimenti verrai ad Erebor con me. Parleremo con la mia Signora e vedrai che ti troveremo qualcosa da fare;  come minimo, la Guardia avrà bisogno di guerrieri addestrati come te. E per quanto riguarda noi, mi sembra un po’ presto per parlarne, ma vedremo.”
Il Nano era ancora titubante.
“Possibile che sia così facile?”
La ragazza lo fissò.
“Mi sembra che sia tu che vuoi fare il difficile. Usa la logica.”
Gwennis si alzò e si incamminò verso la caverna, ma visto che lui non la seguiva, si fermò.
“Allora? Se non ti muovi a trovare quel maledetto Elfo, non potremo mai andarcene da questa foresta dimenticata da Mahal, e non andremo né ai Colli Ferrosi né da nessuna parte.”
“Aspetta!”
Il Nano si alzò e la rincorse.
“E… se fossi sposato?”
“Allora, Mastro Nano, dovrai prendere qualche decisione.”
Con quelle parole gli voltò le spalle ed entrò nella grotta.
Il Nano ristette, ancora un po’ frastornato.
Battuto dalla logica. Non ci posso credere.



Angolo dell’Autrice
Yeee! Meglio tardi che mai, no?

Angolo del Grazie
Laurerindorean, Inuiascia, Vajra, Gli_estel94, GothicGaia… spero di non aver dimenticato nessuno…
Tutti i lettori … ci siete ancora, là fuori?
Ed infine, dulcis in fundo, la mia vecchia amica Yavannah, sempre acuta e sensibile come poche. Grazie.
Bacio
Idril

   






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Capitolo 65
*** ... ma ci riesce solo troppo tardi ***


.... ma ci riesce solo troppo tardi

65… ma ci riesce solo troppo tardi

 

Il Nano snocciolò una sfilza di imprecazioni  molto colorite. Sono mesi che lo seguo in questa dannata foresta, ed ora che ho capito tutto e sono pronto a portarlo via, lui rovina tutto, maledetto orecchie-a-punta!

 Dopo il colloquio con Gwennis il  Nano era uscito per mettere in atto il suo piano, non senza averle fatto una serie infinita di raccomandazioni, finchè lei non l’aveva spinto via sbuffando:
“Mastro Nano,  se vai avanti così passeremo qui la Festa di Mezza Estate!”
Aveva risalito la frana, più velocemente di quanto pensasse perché la sua discesa del giorno prima, per quanto precipitosa, gli aveva permesso di notare alcuni passaggi  interessanti e facilmente percorribili; e si era cercato un punto di osservazione.
Aveva anche potuto verificare che sì, in effetti i Nani possono arrampicarsi sugli alberi, se ne hanno bisogno, e senza nemmento troppa fatica ed  aveva notato, con  soddisfazione, che la vegetazione primaverile gli consentiva di occultarsi ma non era tanto folta da non permettergli di vedere lontano.

E aveva visto.

 

Una pattuglia di Goblin trionfanti trascinava con sé un prigioniero lacero ed arruffato; dovevano avergli anche fatto pagare cara la fatica e la beffa di tutto quel tempo, perché il viso del prigioniero recava alcuni vistosi lividi. Nel complesso, Lirien appariva abbastanza miserabile.
Accidenti, e adesso?
Il Nano seguì con lo sguardo il gruppo che si avvicinava al suo nascondiglio. I Goblin erano ancora più di quelli che pensava, forse una trentina. Far fuggire l’Elfo era escluso.

Le malefiche creature non erano più all’erta, quindi non videro il  Nano mimetizzato  nel folto della chioma della quercia, nemmeno quando passarono proprio sotto il suo nascondiglio. Procedevano rapidamente verso la frana, proprio  come aveva immaginato.
Non ho altra scelta. Devo seguirli, e tentare il tutto per tutto quando si fermeranno.
Scivolò lentamente lungo il  lato del tronco opposto rispetto a quello rivolto verso i Goblin; non sembravano intenzionati a voltarsi, ma meglio non correre rischi.

 

Gwennis stava esaminando il mucchio delle  loro proprietà; si era infatti resa conto che, senza Billy, non avrebbero mai potuto portarsi dietro tutta quella roba. La maggior parte di essa doveva essere abbandonata.
D’altra parte, i piani del Nano erano piuttosto precisi:  adesso o mai più. Quindi, con l’Elfo o senza l’Elfo, entro pochi giorni avrebbero fatto rotta verso la civiltà,  sotto forma dei villaggi che, lo ricordava dalle mappe studiate a scuola, punteggiavano tutta la Valle del Grande Fiume. Ricordava pure che si trovavano quasi tutti sulla riva opposta rispetto  a quella dove si trovavano loro, ma questo era un problema  che al momento non voleva considerare,  anche perché non sapeva  esattamente a che altezza del Fiume si trovassero.
Al momento si occupava di dividere i loro averi in tre gruppi, che aveva chiamato rispettivamente “Da tenere” , “Non posso tenerli” e “Ci provo”.

Teiera?...  “Ci provo”. Sarebbe stata dura fare a meno di qualsiasi tisana, anche se fatta con le erbe più svariate, dal finocchio selvatico alla melissa alla valeriana, essendo da tempo finito il tè.
Abiti di ricambio?... qualcosa sì, qualcosa no.

 

Mentre lavorava, con la mente Gwennis tornava al problema del suo Nano che aveva perso  la memoria, e più ci pensava più si convinceva che non sarebbe stato difficile risalire alla sua  identità. Liquidato il dubbio “sono un assassino condannato”, palesemente assurdo, Gwennis era sicura che la battaglia avrebbe costituito la chiave per risolvere l’enigma.
Di sicuro i militari avranno elenchi… li fanno sempre! Elenchi dei combattenti divisi per plotoni.. o quel che diavolo erano  nei Colli Ferrosi… elenchi dei caduti, dei presenti, dei feriti.. e dei dispersi. Sono sicura che esiste un elenco  di quelli presenti sul campo di battaglia che non risultano né tra i sopravvissuti né tra i caduti.
Non poteva essere un elenco troppo lungo, visto che i Nani venuti con Dàin dai Colli Ferrosi non erano moltissimi, di sicuro non più di  un migliaio. E da quell’elenco bastava depennare coloro che non erano né giovani, né nobili, né biondi. Era quasi sicura che il suo Nano dovesse essere un ufficiale; e i capelli biondi sarebbero stati un elemento importante. Negli Ered Luin sarebbe stato decisivo, visto che i biondi lì erano rarissimi; ad est forse un po’ meno, vista la prossimità con gli Stiffbeards, ma in ogni caso era convinta che in quell’elenco non potevano essere più di due o tre.
Giovane, nobile, biondo… non ce ne sono tanti comunque!

Superata la frana, i Goblin si dirigevano verso  il fiume che dava origine alla cascata; per alcuni minuti, il loro pedinatore stette fermo, raggelato, trattenendo il respiro. I mostricciattoli procedevano in ordine sparso, senza alcun ordine, come una comitiva in vacanza, ed in qualsiasi momento uno di loro poteva scendere giusto un po’ troppo a valle, finire tra i cespugli che coprivano la fessura dove era caduto lui stesso e trovarsi  dritti nella grotta dove doveva trovarsi Gwennis.  
Poi il momento passò. Nessuno scese troppo a valle, si radunarono e guadarono il fiume, diretti verso la zona scoperta.

 

Il Nano si rese conto che doveva pensare in fretta. Fino ad ora aveva proceduto in relativa sicurezza, da un albero all’altro, nascondendosi dietro tronchi,  fogliame e cespugli, e la totale rilassatezza dei Goblin aveva fatto il resto: nessuno si era accorto di lui. Ma tra poco le cose sarebbero cambiate.
Cosa fare?

Abbandonare dopo tutto questo tempo?
Tutto in lui si ribellava. Sono stato così vicino, così vicino…
Impulsivamente decise che avrebbe provato ad andare avanti.

 

I Goblin avevano ormai oltepassato l’ultima fila degli alberi e si erano addentrati nella zona morta. Il Nano si fermò dietro l’ultimo albero, e lasciò che procedessero; tanto sarebbero rimasti visibili per centinaia di metri.
Raccolse alcuni rami carbinizzati e si annerì faccia e mani; si rialzò il cappuccio  della grezza cerata nera e si avventurò nella zona bruciata. Si teneva basso, gli occhi fissi sul gruppo lontano ma ancora ben visibile, cercando di passare da un’ombra di un troncone ad un ammasso di arbusti anneriti, felice che il  sole al tramonto allungasse l’ombra delle montagne su tutto il pianoro, rendendolo confondibile con i residui carbonizzati.
Nessuno dei Goblin si voltò mai, nemmeno allora.  

 

Fu solo dopo un’ora di cammino che i Goblin si radunarono e si fermarono.  Il nano continuò a procedere, con cautela, per vedere esattamente cosa stava succedendo; e fu allora che si accorse che il gruppo si stava assottigliando.

Cosa? Stanno sparendo!

Ma dove?

Si arrischiò ad uscire allo scoperto, e corse tenedosi basso mentre i Goblin diminuivano di secondo in secondo.

La terra li ha inghiottiti?

Quando l’ultimo Goblin sparì alla vista, il Nano corse apertamente, più veloce che poteva, tenendo gli occhi fissi sul punto dove l’aveva visto l’ultima volta; e solo quando fu più vicino, vide che nella parete rocciosa si apriva una stretta spaccatura.
Si avvicinò con cautela,  spada e coltello tra le mani; si sporse oltre l’ingresso.
L’apertura portava ad un  sentiero, stretto anche quello, che si inoltrava nella profondità della montagna.
Nessuno in vista. Ascoltò con attenzione esentì l’eco di passi di numerose persone.

Era il  momento di decidere.

 

Esitò un attimo. Poi raddrizzò le spalle; si aggirò per qualche minuti raccogliendo piccoli pezzi di rami carbonizzati e se ne riempì le tasche.
Quando fu soddisfatto, spada in una mano e carboncino nell’altra, si inoltrò nell’oscurità.
In quel momento il sole tramontava dietro  le Montagne.

 

Lo choc fu talmente forte che Gwennis si trovò seduta per terra completamente senza fiato.

Perché improvvisamente le era apparso chiaro chi poteva essere un  Nano  piuttosto giovane, biondo, certamente con educazione superiore ed  addestramento da ufficiale, che era inspiegabilmente sparito dal campo di battaglia: uno  che tutti stavano cercando da mesi.

 

 

ANGOLO AUTRICE

Capitolo corto, lo so: dopo tanto tempo una delusione. Ma devo cambiare argomento!

 Nonostante il gran tempo trascorso, vedo ancora accessi alla mia storia. Posso solo ringraziare di cuore.

Alla prossima

Baci

Idril


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Capitolo 66
*** Consiglio di guerra ***


66 Consiglio di guerra

66 Consiglio di guerra

 

“Allora, Legolas Verdefoglia, cosa ha in mente tuo padre?”

Il mago esordì, senza preamboli.
Legolas guardò ai due Elfi seduti al suo fianco, un biondo massiccio con armatura dorata ed una rossa con lunghe trecce, vestita di verde foresta.
“Cancellare i Goblin dalla faccia della Terra di Mezzo.”
Dai presenti vennero, contemporaneamente, molte coppie di sopracciglia alzate, respiri trattenuti all’improvviso e qualche fischio.
Solo Beorn rimase impassibile.

Kìli aveva preteso che l’incontro si svolgesse nell’accampamento dei Nani, posizionato con molta attenzione in una piccola radura nascosta, tra il punto d’incontro fissato dai Goblin ed il Fiume. Riteneva essenziale che i Goblin non venissero a conoscenza della presenza dei Nani nella zona, perché temeva che, in quel caso, avrebbero potuto far del male a…al prigioniero. Non osava dire nemmeno con se stesso che fosse davvero Fili.
Gandalf aveva concordato; così una pattuglia di Guardie Forestali elfiche sorvegliava la zona, e Dwalin aveva imposta guardia doppia, con ordine di abbattere tutto quello che si muoveva.
Legolas era arrivato quella mattina, accompagnato dai Comandanti dei due contingenti che aveva portato con sé, e che aveva presentato come Arien, Comandante delle Guardie Reali, e Tauriel, Capitano delle Guardie della Foresta. Presenti all’incontro Dwalin, Ori, e Kador, comandante del contingente di Nani di Ered Luin; Bliskar si aggirava in silenzio servendo birra, tè  e stuzzichini.

 "Proposito lodevole,” ammise Kìli; a riprova della sua maturazione politica, non aveva fischiato, “ma permettimi, principe Legolas, piuttosto irrealistico.”
I tre Elfi si strinsero contemporaneamente nelle spalle.
“Lo so,” rispose Legolas, “e lo sa anche lui, ma è arrabbiato.”
“Thranduil deve smetterla di fare i capricci,” brontolò Gandalf.  “E’ ora di crescere.”
“Ha già fatto molti passi avanti. La battaglia davanti ad Erebor gli ha fatto vedere cose che si è ostinato ad ignorare per secoli, e  ne sta prendendo atto.”
“Che non esiste solo lui e la sua Foresta?”
“Esattamente. Da una parte è stato difficile per lui affrontare tutte le perdite che abbiamo subito nella battaglia…”
“Se porti in giro un esercito,” brontolò Dwalin, “devi mettere in conto che qualcuno  ci lasci la pelle, anche se sono pelli preziose di Elfi immortali.”
Kìli gli posò una mano sul braccio.
“L’esercito aveva solo scopo dimostrativo… andiamo, un esercito per tredici Nani e un Hobbit, per riprendersi una cassa di sassi luminosi? Non prevedeva di dover combattere, e di certo non contro gli eserciti di Azog.”
Legolas annuì.
“Gli Elfi non dimenticano, e mio padre aveva ben presente la sua ultima battaglia davanti a Gundabad, contro Orchi e Draghi del Freddo. Gli era costata un prezzo elevatissimo, sia nel senso di ferite fisiche, sia, e soprattutto, di perdite affettive; e per questo ha chiuso il suo regno e il suo cuore, allo scopo di difendere l’uno e l’altro. Lo scorso inverno ha capito che non serve a mettersi al riparo; se non avesse avuto quell’esercito in campo, se non avesse combattuto  e vinto, si sarebbe trovato chiuso in un regno assediato, circondato da Orchi  a Nord, a Est ed a Sud… con i ragni ad Ovest. Quando Azog avesse voluto, gli sarebbe bastato stringere il cerchio e ci avrebbe schiacciati.”
“Sarebbe  stato assai peggio di così,” bofonchiò Gandalf. “Ci sono forze più malvagie e potenti in campo, anche se per ora abbiamo ottenuto una tregua.”
Kìli fissò il mago; gli erano tornate in mente alcune visioni di tempo prima.

Una marea nera che si infrange sulle mura di Erebor e sul Grande Cancello sbarrato… fuochi e tamburi, tamburi nell’oscurità…

 “Cosa c’è in ballo, Gandalf? Dobbiamo saperlo!”
“Sì, hai ragione, giovane Kìli. Ma non adesso. Ora l’obiettivo è riportare a casa tuo fratello, perché, come ti ho già detto, sento nel mio cuore che è necessario per il destino della Terra di Mezzo. Quindi, Legolas, spiegaci cosa avete effettivamente intenzione di fare.”
“Ottenere la liberazione degli ostaggi e dare ai Goblin una lezione che non dimenticheranno facilmente.”
“Mi piace!” esclamò Dwalin.
“Ha il pregio della semplicità,” soggiunse Ori; ma Kìli scosse il capo.
“Non avrete intenzione di entrare a Goblin Town, vero?”
“In effetti no; proveremo ad attirarli fuori.”
“Bene,” Kìli approvò; “non dimentichiamoci che gli ostaggi sono quattro e non due, anche se ancora non sappiamo perché non abbiano fatto richieste per tutti.”
“Il piano può essere migliorato,” osservò Ori. “Per esempio, potremmo…”

Dwalin, Kador ed i comandanti Elfi erano appartati  per studiare strategie.
“Dunque, se capisco bene,” osservò Bilbo, “ dopo lo scambio degli ostaggi con i carri del riscatto, gli Elfi intenderebbero attaccare e dare una lezione ai Goblin. Giusto? Ma senza entrare.”
“Esatto.”
“Nelle vicinanze delle porte  dovrebbe crearsi una notevole confusione... quindi la situazione ideale per portare fuori un prigioniero fuggiasco.”
“Bisogna trovarlo, prima, però.”
“Quindi è necessario che io entri prima  di allora, e abbia il tempo di cercare. Devo andare subito, stasera.”
Gli astanti fissarono il piccolo  hobbit che parlava con tanta noncuranza di entrare in una caverna zeppa di Goblin assetati di sangue e circolarvi come niente fosse.
“Bilbo, sei sicuro di quello che fai?” Gandalf era ancora fortemente contrario.L’Hobbit ridacchiò.
“Chiedi al qui presente principe Elfo cosa ne pensa.”
Legolas lo guardò di traverso.
“Ci stiamo ancora chiedendo come, per Elbereth, tu sia riuscito a scorazzare per giorni nei nostri sotterranei, rubare il  nostro cibo, bere il nostro vino, liberare i nostri prigionieri e portarli fuori senza che nessuno di noi se ne accorgesse minimamente. Mio padre ha messo in punizione tutte le guardie! Qualcuno era poco vigile, d’accordo, ma tutti? Come hai fatto?”
Bilbo si dondolò sui talloni e arricciò il naso.
“Magia Hobbit.”

 Magia hobbit.  Kìli era abbastanza sicuro della natura di tale magia. Dentro Erebor, prima della battaglia, mentre tutti erano impegnati a cercare l’Arkengemma, gli era accaduto di imbattersi in Bilbo, che gli era comparso improvvisamente davanti, da dietro un  angolo. Lo hobbit aveva frettolosamente riposto nella tasca del panciotto un piccolo oggetto, ma Kìli aveva fatto in tempo a notare che era dorato e rotondo. Come un anello.
Aveva accusato l’hobbit  di essere troppo furtivo, e di avergli procurato un mezzo infarto comparendogli davanti così all’improvviso,  e Bilbo aveva ridacchiato vantando le sue capacità di ladro, ma anche lui era scosso.
Kìli era tutt’altro che stupido, e sapeva sommare due più due, specialmente perché aveva carte che non molti avevano. Aveva ricevuto l’educazione di un principe di Durin; il suo maestro,  Balin, era appassionato di storia; e se la leggenda dei fabbri elfici dell’Eregion era nota a molti, tra  i Longbeard di Moria l’amicizia tra Narvi e Celebrimbor era ben documentata.
La Casa di Durin sapeva che solo l’avvertimento di Narvi, che aveva sempre nutrito avversione per Mairon,  aveva consentito a Celebrimbor di salvare alcuni Anelli dal suo tocco, sebbene non se stesso. E il  nonno di Kìli aveva posseduto uno del Grandi Anelli.
Sapeva quindi che erano esistiti molti Anelli magici, e non solo i Maggiori; ed aveva immaginato che Bilbo, nipote del Conte della Contea, potesse possederne uno.

Ma se lui preferisce non parlarne, non sono affari miei.
“Va bene,Bilbo,” sospirò, “fai pure a modo tuo.”

 Lo hobbit sparì per preparare quanto gli sarebbe servito, e proprio in quel momento i comandanti si strinsero la mano in segno di accordo e si avvicinarono ai due principi.
Per fortuna,  pensò Kìli, altrimenti cosa avrei detto a questo manico di scopa con le orecchie  a punta? Non sembra proprio il tipo con cui  condividere una birra.
Elfi e Nani esibivano la stessa espressione perplessa e cautamente ottimista.
“Beh?” li apostrofò il principe bruno.
“Avete una strategia?” proseguì il biondo.
Il grande Elfo biondo annuì un po’ esitante.
“Sì… in effetti è stato più facile del previsto.”
“Hanno qualche buona idea,” ammise Dwalin,  che sembrava aver visto il mondo capovolgersi.
“Sanno il fatto loro,” aggiunse la rossa, sbirciando di traverso, con aria dubbiosa, il massiccio e corazzato Kador, che a sua volta grugnì un accordo.
Dietro di loro, Ori procedeva trattenendo a fatica le risate e sforzandosi in ogni modo di apparire serio e dignitoso come si addiceva ad uno Scriba Reale.
“Tra qualche minuto avrete una copia ciascuno del piano elaborato,” informò Ori con il suo atteggiamento più professionale.
“Va bene,” annuì Kìli; “così Mastro Baggins  avrà tempo per fare i suoi bagagli e venire con voi.”

 Per evitare un imbarazzante silenzio, Kìli sfoderò il suo sorriso più affascinante e si rivolse a Tauriel.
"Bene, Capitano, ci incontriamo di nuovo!”
La rossa si inchinò.
“In circostanze migliori delle  precedenti, fortunatamente.”
“Davvero,” sogghignò il principe Nano; “di sicuro faccio una migliore figura quando non sono coperto da tela di ragno gigante.”
Tauriel non riuscì a fare a meno di ridacchiare, mentre una scintilla maliziosa le compariva negli occhi verdi.
“Spero che la nostra fuga non abbia causato troppi problemi alla Guardia,” insinuò Kìli con un sorriso ancora più smagliante, e sentì Legolas irrigidirsi al suo fianco. La rossa inviò una brevissima occhiata al suo principe.
“In effetti,” ammise, “qualche problema lo abbiamo avuto, ma adesso le cose vanno molto meglio.”
“Sei riuscita a vedere un po’ di mondo; come ti sembra?” chiede il principe Nano, e la rossa si illuminò.
“Oh, è meraviglioso! E finito qui andrò a Lothlorien! Immagini? Vedrò il Bosco d’Oro!”

 Bilbo arrivò trafelato in quella, trascinandosi dietro un piccolo zaino.
“Sono pronto! Andiamo?”
Kìli gli fece cenno di attendere un attimo.

Groac!
“Voglio che porti qualcuno con te, BIlbo”,  disse, e sollevò il  braccio destro in tempo perché il grande   corvo imperiale vi si posasse con la solita grazia. Kìli sentì gli Elfi al suo fianco trattenere il respiro ed indugiò con lo sguardo sul corvo che si lisciava orgogliosamente le penne, consapevole di offrire uno spettacolo suggestivo.
Questa scena è  sempre di grande effetto, ma presto avrò bisogno di parabracci nuovi. Quel mago da strapazzo e la sua mania per le sceneggiate mi ha contagiato.
“Mi piacerebbe che entrasse con te a Goblin Town, ma non credo che sarai d’accordo…”
L’Hobbit scosse la testa.
“Non voglio dover badare a lui, per evitare che i Goblin se lo mangino.”
Il corvo arruffò le penne e gracchiò indignato.
“Ehi! Non sono appena uscito dal nido!”
Kìli cercò di rabbonire il grande uccello.
“Su, Groac, non voleva offenderti,”  gli rispose, guadagnandosi in cambio un’occhiataccia di ossidiana ed uno sbuffo risentito.
 “Vuol dire che Groac verrà spesso in ricognizione e se avrai bisogno di lui potrà vederti. Tu non lo capisci, ma lui capisce te, quindi puoi affidargli qualsiasi messaggio. D’accordo?”

 Kìli restò a guardare gli Elfi, il Mago e l’Hobbit allontanarsi verso il campo elfico. Beorn sarebbe rimasto, per il momento; tanto le distanze per lui avevano poca importanza, sarebbe arrivato dove era necessario entro poco tempo.
Il sole stava scomparendo dietro le Montagne Nebbiose; mancavano solo due giorni all’appuntamento, e le pedine si stavano disponendo sulla scacchiera. Si rese conto, in quel momento di solitudine, della sensazione di pericolo imcombente che provava. Un po’ come prima della battaglia, quando nessuno ancora sapeva che le cose sarebbero andate così terribilmente storte. Allora aveva convinto Liatris a lasciare il campo; adesso l’istinto non gli suggeriva nulla. Solo quella persistente sensazione di allarme… e continuava a tornargli in mente la piccola porta laterale attraverso la quale avevano fortunosamente lasciato Goblin Town, la scorsa estate.
Si strinse nel mantello, perché di sera l’aria era ancora frizzante, specialmente così vicino alle Montagne. Oh, beh. Scopriremo abbastanza in fretta cosa bolle in pentola.
 

Quella notte dormì male. Sognò più volte la  battaglia, ed eserciti di orchi ed altre maligne creature…  rivide per l’ennesima volta l’onda nera che si infrangeva sui Cancelli sbarrati; si svegliò più volte in un bagno di sudore, con il cuore che batteva all’impazzata, senza ricordare cosa aveva visto ma consapevole che fosse qualcosa di terribile. Alla fine, incapace di resistere ancora, mentre le prime luci dell’alba spuntavano sull’accampamento, si alzò.
Fece il giro dei falò, dovr i primi nani svegli scaldavano l’acqua per il tè, o consumavano le razioni da viaggio; chiacchirò amabilmente con loro, scherzò, ed in generale sfoderò tutto il suo fascino per divertirli e galvanizzarli.
Con il trascorrere delle ore,  la sensazione di pericolo si fece sempre più accentuata e  Kìli iniziò a preoccuparsi davvero, soprattutto perché non riusciva a individuare di cosa si trattasse. Così decise di fare qualche esperimento.

Queste premonizioni non mi serviranno mai a niente se non riuscirò a capire cosa significano!
Si concentrò quindi, per prima cosa, su Liatris. La immaginò seduta al tavolo della colazione con sua madre, mentre discutevano sulle rispettive preferenze in fatto di tisane e di tè. La vide mentre si accarezzava distrattamente la pancia ormai ben visibile.
E subito  si sentì avvolgere da un’ondata di calore, affetto, serenità che cancellò all’istante ogni preoccupazione.  Si chiese da dove potessero provenire quelle sensazioni,, ma in ogni caso era escluso che  il pericolo, di qualunque cosa si  trattasse, riguardasse i suoi cari rimasti ad Erebor.

Bene, è un sollievo.

Allora si tratta di Fili.

 

 

ANGOLO AUTRICE

Non ci credete, vero? Già un altro capitolo!

 

ANGOLO DEL *GRAZIE*

Mi sono accorta di essere molto in ritardo con i  ringraziamenti!

Grazie ad Inuiascia, che si rcorda sempre di me, anche dopo anni.

Grazie infinite a Fib23, Nameless04, Perla_16; soprattutto ad Elfa e OneDirectioner_1, che fanno rimanere questa storia nelle classifiche! Vi amo tutte.

Alla prossima

Bacio

Idril

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