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di _Karis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non così. Non può. Non è giusto e non lo farà. ***
Capitolo 2: *** Le parole che fanno male ***
Capitolo 3: *** Profumo di latte caldo e miele ***
Capitolo 4: *** Anime gemelle ***



Capitolo 1
*** Non così. Non può. Non è giusto e non lo farà. ***


Oh. Sono un po’ preoccupata e un po’ emozionata. I sentimenti che provo nei confronti delle omegaverse sono contrastanti e difficili da esprimere coerentemente, ma ho sempre avuto questa piccola curiosità rispetto alla possibilità di poterne scrivere una. Ho letto diverse fanfiction e manga che ne trattavano, quindi per quanto riguarda le dinamiche di AOB sono un po’ un miscuglio di queste mie letture. In fondo non credo ci siano regole precise a riguardo, se non alcuni elementi che alla fine sono comuni a tutte le storie.
Ho fatto diverse prove con personaggi diversi basate su idee diverse e nessuna mi sembrava funzionare. Poi è arrivata questa e non so, mi sembrava il momento, diciamo.
Ci sono alcuni avvertimenti e vi prego, se sono cose che non vi piacciono o che vi creano disagio, non procedete. Comunque, li ripeto: omegaverse, mpreg, tematiche delicate varie, OOC probabilissimo e fino ad un certo punto dubious consent. Si capirà più avanti, ma l’avvertimento è meglio metterlo.
Ok, quindi sono un sacco agitata ora. Spero che possa incuriosirvi almeno un pochino e, come di routine, vi auguro quella che spero possa essere una buona lettura!


 


 

I. Non così. Non può. Non è giusto e non lo farà.


 

Le possibilità che succedesse erano talmente basse che Akaashi le ha semplicemente sottovalutate. Da parte sua è stato stupido ed incosciente ed egoistico. Fissa il test con sguardo assente e si rende conto che forse potrebbe essere la fine, ma- Ma in realtà non c'è mai stato un inizio, no? Bokuto aveva perso il controllo e lui ne ha approfittato. Non può non pensare di non aver tratto vantaggio dalla situazione. Ha usato Bokuto e sa che è sbagliato, ma forse - forse - lo rifarebbe di nuovo. Non riesce ad essere sicuro che, trovandosi ancora in quella situazione, non agirebbe nello stesso identico modo. Akaashi è un egoista e il suo cuore a pezzi non giustifica le sue azioni. Probabilmente quelle due linee sul test, apparentemente innocue, sono il prezzo che deve pagare per il suo comportamento.

C'è questa convinzione comune che gli alpha siano intoccabili ed in parte è vero, solo che non lo è del tutto. Anche a loro viene richiesto di rispettare certi comportamenti, di apprezzare determinate cose, di accettare certe imposizioni, di apparire in particolari modi. C'è chi riesce a spuntare tutte le caselline per essere l'alpha perfetto e non avere problemi, chi se la cava indicandone solo alcune e chi arranca per soddisfare poche delle tante aspettative loro rivolte. Akaashi pensa che alla fine i più fortunati siano i beta, anzi ne è certo. Gli alpha da un lato con la necessità di apparire, di saper essere esattamente così, e gli omega dall'altro con il peso di dover servire. Nascere omega sembra la punizione peggiore - le discriminazioni, i soprusi, l'odio ingiustificato -, ma Akaashi crede che anche essere alpha possa essere difficile. Non nello stesso modo, certo, ma comunque una cosa non esclude l'altra. Akaashi lo dice - anzi no, lo pensa, perché dirlo a voce alta non sarebbe conveniente. C'è un'etichetta, il bisogno di mantenere una certa immagine alla quale Akaashi non può dare contro - perché ha visto Bokuto faticare per rispondere a tutte quelle aspettative che gli venivano rivolte. Dai genitori, dagli insegnanti, dagli amici, dagli altri.

Quel suo disperato tentativo di spuntare le caselline e quella sua incapacità di farlo completamente hanno fatto capire ad Akaashi che alla fine dei giochi gli alpha non sono fortunati quanto vorrebbero farti credere. 

Bokuto è fisicamente accettabile, sia in termini di forza che di estetica, per essere un alpha, ma non sufficientemente intelligente o posato. Bokuto risponde in maniera soddisfacente a pochissime delle tante richieste che gli vengono rivolte e questo gli pesa, sicuramente, ma nessuno sembra accorgersene per davvero.

Bokuto è energia allo stato puro. Un'esplosione quasi. Bokuto risplende di allegria e affetto e forse è per questo che Akaashi non ha potuto che innamorarsi di lui. Ci ha provato all’inizio, a convincersi che fosse solo ammirazione. Poi, davanti all’evidenza che Bokuto gli faceva provare qualcosa, qualcosa che gli rendeva molli le gambe e gli faceva battere forte il cuore, ha tentato di fare passare quei sentimenti come semplice attrazione fisica. Poteva essere, alla fine, perché poteva spiegarla con gli sguardi rivolti alle spalle ampie o ai muscoli tesi di braccia e gambe; ma le attenzioni che Bokuto gli rivolgeva, e che gli richiedeva, lo riempivano di una aspettativa e di un'emozione troppo grandi e intensi per trattarsi solo di semplice ammirazione o di una banale sbandata. I sentimenti di Akaashi erano molto più in là di quello che avrebbe voluto e ora non sa bene come gestire il dolore che gli portano. Può sembrare freddo o disinteressato, ma la verità è che Akaashi semplicemente tiene tutto dentro e ha sempre avuto questa folle paura che prima o poi non sarebbe stato più in grado di farlo. Ha temuto che succedesse nel momento peggiore, rovinando ogni cosa. Ed alla fine è esattamente quello che è successo. Ha distrutto tutto.

Akaashi ride, piano, tremando, perché cos'ha da rovinare? Akaashi non ha nulla e ora non ha nemmeno le attenzioni di Bokuto. Era geloso e voleva i suoi occhi su di sé, ancora una volta, un’altra volta soltanto, e ha sbagliato, lo sa, ma nonostante tutto, non riesce a convincersi che lo sia stato del tutto, un errore, e si odia, perché è chiaro che lo è stato. Se non lo fosse stato, perché scappare? Avrebbe dovuto fermare Bokuto, avrebbe dovuto parlarci, discutere, chiedergli perdono. Avrebbe dovuto fare tante cose, ma alla fine non ne ha fatta nessuna e finché ci pensa mille domande gli si formano in testa e di risposte non ne ottiene nemmeno una. Starà bene? Cosa penserà di lui? Cosa penserà di se stesso?

E Akaashi odia Kuroo, nonostante tutto, perché sarebbe dovuto stare più attento, avrebbe dovuto comportarsi più cautamente ed invece è stato tanto imprudente e sicuro di sé quanto Akaashi è stato egoista. Ha fatto male i conti o forse non ci ha prestato troppa attenzione, Akaashi non lo sa e non gli interessa. Kuroo non gli è mai piaciuto con quel suo sorriso strafottente e la sua capacità di capire e saper apprezzare Bokuto. Akaashi avrebbe voluto essere l'unico e il primo, ma non lo è. Non è nessuno dei due. Akaashi non è il solo e soprattutto è il secondo, è venuto dopo, maledizione. Kuroo è sempre un passo davanti a lui e sicuramente Bokuto prova ammirazione per Akaashi, ma non sarà mai tanto quanta quella che rivolge a Kuroo. 

Bokuto l'aveva invitato ad uscire e Akaashi forse ha alzato un po’ troppo le aspettative rispetto a quella uscita, dandogli un significato diverso da quello che poteva avergli attribuito Bokuto. D’altronde Akaashi è solo il preferito tra i suoi kouhai, nulla di più, niente di meno. Ed è stato il desiderio che fosse qualcos’altro, inconsciamente alimentato nell’attesa di quell’uscita, che ha fatto sì che il suo cuore sprofondasse, quando insieme a Bokuto si sono presentati anche Kuroo e Kenma. Si è arrabbiato con se stesso per averci creduto, con Bokuto per averlo fatto sperare e con Kuroo per essere sempre presente, ricordandogli che no, non ha possibilità con lui. Ha fatto male, ma è rimasto in silenzio. Ha sorriso e ha salutato come se non fosse successo nulla.

Bokuto ha monopolizzato la conversazione e Kuroo gli ha tenuto testa. Akaashi ha risposto cortesemente alle domande che gli venivano poste e Kenma ha dato l’impressione di non voler essere lì. Ogni risata di Bokuto, ogni carezza apparentemente casuale rivolta a Kuroo sono state una coltellata improvvisa che creava una nuova ferita nei sentimenti di Akaashi. Bokuto non si rende conto e Akaashi non vuole che lo faccia, ma in quel momento desiderava soltanto che Bokuto lo guardasse e vedesse veramente nello stesso modo in cui sembrava vedere Kuroo. Poi è successo, all’improvviso, e nessuno se lo aspettava, nemmeno Kuroo. Un lamento ha lasciato le sue labbra, flebile, incerto, e si è piegato leggermente in avanti. Subito i suoi occhi si sono riempiti di dolore e non riusciva più a respirare al centro delle attenzioni di troppi sguardi indiscreti.

Kenma è stato il primo a reagire. Ha chiamato l’amico con voce spaventata, ma una mano forte l’ha preso per un polso e l’ha spinto via. Akaashi guardava, incapace di muoversi, mentre Bokuto prendeva tra le braccia Kuroo e lo stringeva. Guardava lo sguardo feroce e i ringhi rivolti agli altri alpha presenti, quasi a sfidarli ad avvicinarsi. Guardava senza vedere veramente, notando piccoli dettagli: il respiro affannato di Kuroo, le richieste disperate di Kenma e il sangue sui dorsi delle mani di Bokuto. Vedeva il sangue e capiva che doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non riusciva a muoversi. È rimasto immobile fino a quando i proprietari non sono intervenuti e in qualche modo riusciti ad allontanare i loro clienti, mentre Kenma, la voce e le mani tremanti, cercava di calmare Bokuto. E gli diceva che andava tutto bene, che a Kuroo non volevano fare del male, davvero, e ti prego, ti prego, ti prego. Akaashi poteva sentire le lacrime nel tono insicuro, singhiozzante, di Kenma, perché Bokuto avrebbe potuto farlo suo, con quelle labbra e i denti troppo vicini al retro del collo di Kuroo. Avrebbe potuto, ma non l'ha fatto.

Sono riusciti a separarli in qualche modo e a far ingoiare una pillola per inibire i feromoni di Kuroo. E quando Kenma, atterrito, gli ha chiesto in un flebile sussurro, solo appena udibile, di portare via Bokuto, con sguardo ferito e il labbro inferiore tremante, Akaashi ha capito. Ha capito che Kenma era come lui, innamorato di qualcuno che non avrebbe potuto avere, e che, come lui, stava trasportando il suo risentimento sulla persona più vicina a Kuroo, la persona che più facilmente avrebbe potuto portarglielo via. Kenma non può avere Kuroo proprio come Akaashi non può avere Bokuto, perché Kuroo è un omega e Kenma non è un alpha. Sarebbe troppo difficile gestirlo. Kuroo ha bisogno di qualcuno che gli consenta di non essere più schiavo dei suoi calori e questo Kenma non può offrirglielo. Ma Bokuto sì. E fa male, certo, ma è la verità.

Akaashi non ha risposto subito e Kenma ha ripetuto la richiesta, mentre nella sua voce si insinuava l’accenno di un’accusa - avresti potuto fare qualcosa, ma non hai fatto niente -, allora Akaashi ha accettato. Distante, freddo, ma l’ha fatto. Non ha chiesto dove avrebbero dormito Kuroo e Kenma, perché non gli interessava. Non gli interessava niente e continua a non interessargli. Voleva solo andarsene da lì e portare via Bokuto, perché un conto è dover venire a patti con la possibilità di poter perdere Bokuto, un altro è perderlo effettivamente. Ed è stupido che Akaashi continui a coltivare quella flebile speranza di poter essere il compagno di Bokuto. Perché questa fiducia non muore? Perchè, perchè, perchè?, lo ripete di continuo in una litania fastidiosa che non fa che peggiorare. È solo un’illusione, un miraggio, perché le persone si aspettano che Bokuto prenda come suo compagno un omega ed esattamente quello che alla fine Bokuto farà, perché Bokuto le vuole spuntare quelle maledette caselle.

Ma questa speranza non muore, maledizione. Non muore. Non importa quanti colpi prenda, non importano le delusioni e la consapevolezza, lei rimane, tenace. Traballante, forse, ma sempre maledettamente presente.

Ha portato Bokuto a casa sua senza nemmeno pensarci. Ha chiamato i suoi genitori solo per sicurezza, ma nessuno ha risposto. Non che si aspettasse diversamente. I suoi non ci sono mai. C’erano poco quando aveva bisogno di loro e adesso che è all’ultimo anno di liceo hanno semplicemente deciso che Akaashi si sarebbe potuto prendere cura di se stesso in modo definitivo. Il ragazzo vorrebbe dire loro che non è cambiato poi tanto. La loro attenzione e il loro affetto non lo sfiorano nemmeno. Quasi invisibili, se non addirittura inesistenti.

Bokuto era ancora provato e fuori controllo a causa del calore di Kuroo. Si è scostato velocemente da Akaashi non appena sono entrati in casa. Non si reggeva bene in piedi per cui ha finito per sbattere contro muri e mobili fino a quando non si è lasciato cadere a terra, la schiena contro una parete qualsiasi. Si è preso la testa tra le mani e ha iniziato a dire qualcosa, tanto velocemente da rendere le parole indistinguibili tra loro. Ha intimato ad Akaashi di stare lontano da lui. Vattene, vattene, ha ringhiato dondolandosi avanti e indietro. Potrei farti male, vattene, vattene, ha ripetuto con tono aggressivamente disperato. Non riusciva a calmarsi e Akaashi avrebbe dovuto solo medicargli le ferite alle mani e lasciarlo solo, ma non l’ha fatto. Non l’ha fatto, cazzo, e invece ha approfittato della situazione, della sua incapacità di controllarsi, di lui. Gli ha preso il volto tra i palmi e l’ha baciato. Bokuto non ha fatto resistenza. Ha risposto subito e le sue mani stavano correndo sul corpo di Akaashi, brusche. E ad Akaashi non importava se, prendendolo, Bokuto pensava a Kuroo, non gli importava davvero.

Non gli interessava niente.

L’ha baciato e l’ha toccato e ha lasciato che Bokuto lo toccasse a sua volta. Movimenti freddi e mani brusche. Bokuto l’ha morso più volte e ha fatto male, perché il suo corpo non è quello di un omega in calore e non è fatto per questo tipo di sesso. È stato aggressivo e Akaashi li ha visti gli occhi di Bokuto, presenti a differenza del suo corpo. Li ha visti velarsi di lacrime, ma ha fatto finta di non notarli. 

Non ha preso precauzioni. È stato stupido ed egoista e ha fatto qualcosa di veramente brutto.

Bokuto si è svegliato per primo la mattina successiva e ha raccolto le sue cose, ma è stato sgraziato e rumoroso e ha svegliato Akaashi, ma quest'ultimo è immobile, incapace di dire qualcosa, di fermarlo. Non era pronto per il confronto e non lo era Bokuto data la volontà di andarsene quanto prima. Ha fatto finta di dormire e ha lasciato il tempo a Bokuto per scappare.

Potrebbe aver pianto dopo. Sotto la doccia. E poi ancora sotto le coperte. Avrebbe voluto parlarne con qualcuno, ma la verità è che la vergogna e la ripugnanza che prova per se stesso lo ha bloccato tutte le volte che il pensiero di chiamare qualcuno l’ha anche solo sfiorato. Cosa avrebbero pensato di lui? Come lo avrebbero condannato? Akaashi non vuole. Le parole che immagina possano essergli rivolte non sarebbe in grado di gestirle, se venissero pronunciate a voce alta.

Vorrebbe parlare con Bokuto. Sapere come sta, chiedergli scusa e sperare nel suo perdono, ma gli mancano le forze al solo pensiero. Sta tanto male che potrebbe vomitare. Bokuto lo ignora, ma se-

Ma se decidesse di recidere tutti i legami?

Akaashi piange e pensa di aver mandato a puttane tutto quanto, perché Bokuto non l’ha più contattato e adesso ci sono queste due fottute linee che non sa come gestire. Le probabilità che Bokuto potesse ingravidarlo erano praticamente nulle. Dovrebbero esserle, perché Akaashi è un beta e, davvero, anche con Bokuto in calore pronto a mettere incinta un omega non sarebbe dovuto succedere. Il fatto è che è successo e Akaashi non ha la forza e il coraggio per gestire questa situazione.

Deve abortire. È l'unico pensiero coerente che gli riempie la testa, ma allo stesso tempo non vuole farlo. Questo bambino in un qualche modo unisce lui e Bokuto e sembra allo stesso tempo un dono e una punizione. Ci sono molti motivi per liberarsene: è ancora troppo giovane, non ha appoggi reali e non vuole rovinare la vita a Bokuto. Lo sa che se ne venisse a conoscenza, Bokuto lo aiuterebbe. Akaashi si è approfittato di lui e Bokuto comunque cercherebbe nel suo modo goffo e rumoroso di sostenerlo. Non è come se gli alpha non lasciassero in giro figli mai riconosciuti, che non appartengono ai loro compagni. Gli alpha prendono in giro, aggrediscono e si stancano. Può succedere che lascino dietro di sé amori respinti, feriti, in attesa. Solo che, appunto, non lo fanno sapere. Lo tengono ben nascosto, chiudono la bocca alle persone con minacce o denaro perché c'è un'immagine da rispettare. Alle volte semplicemente non lo vengono mai a sapere.

Bokuto non è quel tipo di persona, lo sa, ma Akaashi non vuole fargli più male di quanto non gli abbia fatto. Costringerlo ad accettarlo con questa gravidanza. Non vuole che il bambino diventi l'unico motivo della loro vicinanza, non vuole che Bokuto finisca con l'odiare anche lui.

Akaashi è all'ultimo anno di liceo. Ci sono gli esami e ci sarebbero anche gli allenamenti di pallavolo. Questa gravidanza gli renderebbe ancora più faticosi i primi e lo costringerebbe a rinunciare ai secondi. È ancora troppo giovane e non può chiedere a Bokuto di prendersi cura di loro quando non è nemmeno capace di occuparsi di se stesso.

E poi c'è Kuroo. Kuroo che non sembra essere l'omega ideale con quella corporatura massiccia e quell’atteggiamento sicuro, di sfida, ma che di fatto lo è per Bokuto. Qualcuno in grado di prendersi cura di entrambi, una persona sveglia e capace. Ad Akaashi Kuroo non piace, ma non per questo non è in grado di riconoscere che sarebbe la persona adatta a Bokuto, perché lo capisce e lo apprezza nonostante il fatto che non sia in grado di rispondere a tutte le aspettative, perché non gli chiede niente e non gli rimprovera le mancanze, perché riesce a fargli capire gli errori senza farlo sentire stupido.

Akaashi si stringe le gambe al petto e piange per tante cose. Per quello che ha fatto a Bokuto e perché questo bambino non lo desidera, ma lo vuole allo stesso tempo. Se solo fosse successo diversamente, se solo Bokuto l’avesse stretto con l’intento di farlo, con l’intento di stringere lui, gliene avrebbe parlato. Avrebbero deciso insieme, ognuno si sarebbe preso la colpa dell’accaduto. Riesce ad immaginarlo, Bokuto che dice di non avere paura, che si prenderà cura di lui qualunque sarà la decisione finale. Ma così non può. Non può dirglielo quando la colpa è solo di Akaashi, che ha tratto vantaggio dalla situazione, approfittando di un Bokuto incapace di mantenersi calmo dopo essersi spinto al limite per non aggredire Kuroo. Semplicemente non può e si odia così tanto che fa quasi male, perché è una persona orribile e non sa con chi parlare.

Non può farlo con i suoi. Non ci sono, maledizione, non ci sono mai e, anche se ci riuscisse, non vuole ascoltare i loro rimproveri. Non vuole ascoltare le loro parole di accusa, mentre gli ripetono delle occasioni che sta sprecando perché è uno stupido incosciente. Non hanno il diritto di rinfacciargli le cose che gli hanno dato con tanto sacrificio, Akaashi non vuole darglielo perché non le ha chieste. L’unica cosa che a cui ha sempre agognato, l’attenzione, non l’ha mai ricevuta e ora potrebbe ottenerla, forse, ma non è quella che desidera.

Nessuno lo deve sapere. Gli sguardi, le dicerie e il rischio che Bokuto lo venga a sapere sono troppo difficili da accettare per Akaashi. Non sarebbe capace di sostenere nessuna di queste possibilità e l’unica soluzione, che sia quello che vuole veramente o meno, è liberarsi quanto prima di questo bambino.




 

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Capitolo 2
*** Le parole che fanno male ***


Si cambia punto di vista, ma le pippe che i personaggi si fanno sono sempre le stesse. Volevo ci fossero dei parallelismi di fondo con alcune differenze importanti e spero di esserci riuscita nel modo giusto. Niente, concludo dicendo che spero che anche questo secondo capitolo possa piacervi e che, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate! I commenti fanno sempre molto piacere. E alla fine il mio buona lettura di rito!




II. Le parole che fanno male


 
Succede che Kuroo lo baci. La maggior parte delle volte Kenma riesce a scansarsi, ma ci sono momenti in cui si lascia cogliere di sorpresa e non riesce a respingerlo. Pochissime volte Kenma non ci prova nemmeno a ritrarsi e lascia che Kuroo lo baci come se non ci fosse un mare a tenerli separati. Non succede mai in pubblico perché Kenma gli ha chiesto di non farlo. Kenma può essere suo amico, un amico speciale con cui ogni tanto ti lasci andare, ma è importante che Kuroo non si illuda che possa esserci qualcosa di più di quello che ora hanno. E Kuroo spera sempre, per cui è Kenma che ogni volta deve riportarlo con i piedi per terra. Non vorrebbe. Vorrebbe davvero essere la persona giusta per lui, ma per quanto possa farli soffrire entrambi non lo è.

Kuroo vuole essere libero e Kenma non è sicuro di poterglielo garantire, per quanto impegno possa metterci. Farebbe di tutto per la felicità di Kuroo e questo significa fare un passo indietro, permettendogli di trovare qualcuno che gli apra la via dell’indipendenza. La società fa schifo ed è vero, le cose stanno cambiando, ma non abbastanza in fretta. Affermare che gli omega sono liberi di essere chi vogliono e altrettanto liberi di fare quello che vogliono non significa automaticamente che possano essere e fare qualunque cosa senza limitazioni. Le parole sono importanti e Kenma ne riconosce i buoni intenti, ma, se le apparenza sono facili da dissimulare, si fatica a cambiare le mentalità e le convinzioni che per secoli hanno dato forma alle relazioni e alle pratiche alla base della loro società. Cambiare è difficile e faticoso, richiede un impegno tanto grande da non essere accettato da tutti. Certe asserzioni sembrano pura blasfemia perché scuotono le tradizionali divisioni. I beta non ne vengono scossi, perché il loro ruolo rimane immutato, ma gli alpha vedono minacciato il loro potere e non sempre sono in grado di rinunciarvi. Ad alcuni il fine ultimo, l’uguaglianza e la lotta alla discriminazione, non appare abbastanza valido da cedere parte del proprio prestigio e della propria posizione.

Kenma non può permettere che Kuroo rinunci a quello cui ha sempre agognato solo perché crede nel cambiamento e nella possibilità che le persone lo accettino abbastanza velocemente da consentirgli di essere felice indipendentemente dalla presenza o meno di un alpha al suo fianco.

Il fatto che non riescano a vedersi spesso è allo stesso tempo uno strazio e un aiuto. Quando Kuroo è impegnato con l’università e non riesce ad incontrarsi con Kenma, quest’ultimo passa diversi stadi: il primo è il più difficile perché Kuroo gli manca tanto da fare male fisicamente. Kuroo è sempre stato il suo pass verso l’esterno e gli altri e trovarsi improvvisamente senza di lui lo lascia disorientato. È come se Kuroo fosse la sua guida: Kenma vive in una specie di bolla autoimposta e, quando Kuroo torna, inizia a forarsi fino a rompersi. Però poi Kuroo se ne va, portandosi via i punti di riferimento di Kenma ed ogni volta il ragazzo si trova a ricostuirli lentamente e con fatica, addentrandosi piano nella rigida monotonia della sua quotidianità. Non è che non interagisca o si chiuda completamente in se stesso, ma con Kuroo al suo fianco tutto appare più semplice: Kuroo rompe il ghiaccio, aiuta gli altri a capirlo, lo sostiene e gli dà sicurezza. Kuroo è sempre stato una figura fondamentale per Kenma e in un modo o nell’altro continuerà ad esserlo, solo non nel modo in cui vorrebbero entrambi. E dopo quello che è successo con Bokuto sembra mille volte più difficile.

Ci sono stati dei casi in cui a Kuroo sono state rivolte attenzioni indesiderate, ma il ragazzo ha sempre saputo gestirle. La sua stazza gli ha permesso di difendersi anche fisicamente senza essere veramente preparato a farlo, e finché difendeva se stesso, si preoccupava di prendersi cura anche di Kenma. La figura di Kenma attira gli sguardi, dopotutto è grazioso e silenzioso, appare fragile e desiderabile. Molti ad un primo sguardo l’hanno scambiato per un omega e hanno pensato di avvicinarsi a lui per il semplice motivo che appariva come l’omega perfetto. Fortunatamente Kenma non ha mai dovuto preoccuparsi di ricevere richieste sgradite o attenzioni indesiderate perché Kuroo le ha stroncate tutte sul nascere, e a Kenma andava bene così, perché non era interessato a nessun’altro se non a Kuroo. Anche quando è successo che qualcuno si prendesse  qualche libertà di troppo, allungando le mani più del dovuto, è stato Kuroo ad intervenire. Ha fatto a botte e si è preso pugni e calci tanti quanti ne ha dati per essere sicuro che nessuno osasse più fare qualcosa a Kenma senza che lui lo volesse.

Che nascessero delle voci era inevitabile, perché che un omega proteggesse qualcuno non era normale, anche di fronte all'imponente figura di Kuroo. Kuroo di per sé non era considerato normale, c'era necessariamente qualcosa di sbagliato in lui. Gli omega hanno comunemente un aspetto diverso: minuti, gentili e accomodanti, ed è così che tutti pensano che debbano essere. Gli omega normali non sono alti, rissosi e massicci quanto Kuroo. Proteggendo Kenma, Kuroo ha perso attrattiva agli occhi di molti e quello che lo avvicinavano erano più interessati a dimostrare qualcosa – di essere in grado di controllarlo, domarlo – che a Kuroo come persona. E contemporaneamente ha reso senza volerlo Kenma oggetto di scherno e riso degli altri beta. Non che gli sia mai importato troppo comunque, perché Kenma è sempre stato bravo a ignorare le maldicenze e a mettere da parte quello che gli altri pensano di lui. Più difficile è fare lo stesso per la reputazione di Kuroo.

Bokuto alla fine sarebbe la soluzione migliore per tutta una serie di motivi: non tarperebbe le ali a Kuroo, non lo costringerebbe a fare quello che non vuole o a rinunciare ai suoi sogni, non lo trasformerebbe in una specie di trofeo. Bokuto potrebbe finire per amarlo davvero nel modo più sincero possibile. Se Kuroo avesse un compagno per la vita, Kenma forse riuscirebbe a spegnere tutte le sue speranze di poter stare insieme a lui e allo stesso tempo l'incapricciamento di Kuroo per lui morirebbe più o meno velocemente, perché non riuscirebbe più ad avere con lui quel tipo di relazione in quanto Bokuto per lui diventerebbe l'unico. E a Kenma andrebbe bene, davvero, ne soffrirebbe, ma Kuroo potrebbe essere felice sul serio e questo sembra la ricompensa più grande a cui potrebbe aspirare. Bokuto poi non li separerebbe. Non si accorgerebbe di quei sentimenti fragili che li tengono uniti, non lo allontanerebbe mai da un amico prezioso qual è Kenma. Sono innamorati, lui e Kuroo, non lo può negare ed è proprio perché prova questo sentimento nei suoi confronti non può permettere che Kuroo si accontenti di lui quando può avere molto di più.

Forse è perché ha queste idee in testa, che gli ronzano e lo infastidiscono senza interruzioni, che ha iniziato a credere che il calore di Kuroo quella sera con Bokuto non fosse del tutto casuale. Kuroo è sempre stato attento, quasi maniacale, nel prendere con regolarità e cura i suoi inibitori per fare in modo di avere sempre tutto sotto controllo. I calori di Kuroo sono regolari da anni ormai e quell’incidente stona rispetto all’attenzione che Kuroo ha sempre riservato ai suoi cicli riproduttivi. Kenma si sente stupido a pensarci, perché non è possibile che Kuroo l’abbia fatto con predeterminazione. Kuroo non parla del suo calore se non con sua madre e ogni tanto con alcuni amici omega, ma con gli altri, quelli che non possono capirlo appieno, come Kenma, non ne ha mai fatto parola, quasi non esistesse. Lo odia, Kenma lo sa, come sa che è un impedimento e un ostacolo, ma è già successo che alcuni l’abbiano trasformato in una specie di arma e non riesce a liberarsi dell’idea che potrebbe averlo fatto anche Kuroo. Ed è stupido perché Kuroo non sembra davvero interessato a Bokuto in quel senso e non sembra avere occhi che per Kenma, però le persone sono deboli, soprattutto quelle ferite e gelose, e Kenma non riesce a rendersi diverso da tutti gli altri.

Quando Kuroo sbadiglia rumorosamente e stende le braccia per stiracchiarsi la schiena indolenzita, Kenma alza lo sguardo su di lui, studiandone silenziosamente il profilo. Si sofferma sull’accenno di occhiaie dovute ad uno studio eccessivo, per passare al naso dritto e poi alle linee nette della mascella. Guarda la sua postura e le gambe lunghe e pensa che chiunque potrà averlo al proprio fianco per il resto della sua vita sarà fortunato, perché Kuroo è molto di più di un viso attraente o un compagno fedele. Kuroo è ostinato e determinato, quel tipo di persona che studia e lavora molto più del necessario per dimostrare agli altri, ma soprattutto a se stesso, che può farcela. Kuroo non si lascia abbattere e sostiene le persone che ama come un faro nella notte che guida i naviganti alla salvezza. Kuroo è talmente tante cose che a Kenma non basterebbe tutta la sua vita per elencarle.

Kuroo si alza dalla sedia e sistema i suoi libri in ordine sulla scrivania di Kenma. Durante i momenti di studio più intensi Kuroo, non volendo rinunciare alla possibilità di passare del tempo con Kenma, si porta dietro il materiale che deve affrontare e dedica parte della giornata allo studio e l’altra a Kenma. Ad entrambi basta stare insieme, non sentono la necessità di tante parole o di fare cose insieme. Kenma ha accettato senza alcuna obiezione questa proposta per il semplice fatto che sa quanto sia importante per Kuroo e perché non è in grado di rinunciare facilmente a quel tempo speso insieme, per quanto potrebbe essere utile a far capire a Kuroo che potrebbe benissimo farcela senza Kenma. Può fare tanti bei discorsi e ragionamenti su quanto Kuroo debba trovarsi un alpha e dimenticarsi di lui, ma alla fine il piano teorico risulta sempre più facile da affrontare rispetto a quello pratico.

Quando Kuroo si butta sgraziatamente sul letto con le braccia bene aperte in un invito all’altro ragazzo, Kenma si sistema obbedientemente vicino a lui. Subito viene stretto e Kuroo inizia a baciarlo lentamente, prima baci a stampo sulla fronte, sul mento e poi sugli angoli delle labbra, quasi in una richiesta. Posso?, sembra domandare e Kenma concede, spostandosi appena in modo tale che le loro bocche si scontrino e si aprano e le lingue si intreccino e giochino.

Si baciano a lungo fino a quando i muscoli non si indolenziscono per la posizione e allora Kuroo si scosta, sorridendo all’immagine di Kenma: i capelli disordinati per tutte le volte che ci ha passato le mani, gli occhi acquosi, le labbra rosse e gonfie e le gote accaldate, imporporate. Allora gli bacia la fronte e poi si lascia cadere con la schiena contro il materasso, lo sguardo puntato verso il soffitto e la testa di Kenma poggiata sul suo petto.

 « Aspetto con ansia il momento in cui sarai maggiorenne per chiederti di passare il mio calore con te » afferma distrattamente Kuroo senza distogliere lo sguardo dalla parete davanti a sé. Kenma è sorpreso dall’affermazione, anche se non lo dà a vedere. Prima di tutto perché è la prima volta che Kuroo parla esplicitamente del suo calore con lui e poi per l’implicazione che l’affermazione porta con sé: Kuroo gli sta dicendo chiaramente che lo vuole come compagno. “Passarlo insieme” suona bene nella testa di Kenma. Sa che lo intende in modo diverso rispetto a come è stato il giorno del fatto di Bokuto, quando i proprietari hanno sistemato Kuroo e Kenma in una delle stanze degli ospiti di casa loro. Sono stati fortunati ad incontrare persone tanto gentili.

Kuroo gemeva e gli chiedeva di abbracciarlo e stringerlo sempre più forte. Kenma l’ha fatto. L’ha stretto ed è rimasto con lui fino a quando non si è addormentato e poi anche la mattina successiva, quando l’inibitore iniziava a dare un effetto maggiore. Non hanno fatto niente di più che tenersi abbracciati stretti l’uno all’altro, ma Kenma non può non pensare che non sia stato più intimo e importante rispetto a tante altre cose che sarebbero potute succedere.

Kenma sbuffa e: « Sei così antico » lo prende in giro alludendo alla necessità di raggiungere la maggiore età per andare a letto con qualcuno, come se in realtà non accadesse continuamente il contrario. Non gli dice che è una possibilità inimmaginabile, che non possono, perché Kuroo si è aperto e non vuole ferirlo, non ora che sono in questo stato di affettuoso torpore. Per quanto possa desiderarlo, Kenma non ha intenzione di passare con Kuroo il suo calore né ora né poi al compimento dei suoi diciott’anni, ma lo tiene per sé perché non vuole rovinare il momento.

Kuroo lo colpisce affettuosamente in testa, piano, senza volergli fare davvero male e Kenma si lamenta più per scena che per un dolore reale. Discutono di sesso ed è buffo per Kenma osservare le reazioni di Kuroo: il candore virginale del ragazzo di fronte alla possibilità di mettere le mani sul corpo di Kenma ora. Se lo stuzzica nel modo giusto, le guance e le orecchie di Kuroo prendono fuoco, cozzando terribilmente con il suo solito atteggiamento spavaldo. A Kenma scappa una risata e di fronte al suo sorriso Kuroo non riesce a trattenersi dal baciarlo di nuovo.

E, davvero, Kenma non vuole rovinare il momento, ma la curiosità e quelle stupide idee che continuano a ronzargli in testa lo spingono a fare il passo sbagliato. Kenma generalmente riflette tanto da perdere il momento, studia e osserva, raccogliendo informazioni e formulando ipotesi prima di fare qualunque cosa, ma di fronte a Kuroo le cose cambiano e diventa impulsivo e stupidamente geloso. Così parla di Bokuto e di quello che è successo e insinua che il calore di Kuroo sarebbe potuto non essere così improvviso e casuale come vuole far credere a tutti, e capisce subito di aver detto qualcosa di estremamente stupido, ma non si ferma. Non ci riesce e l’accusa diventa diretta anche se non viene pronunciata esplicitamente, perché Kuroo è sveglio e coglie il non detto senza alcuna difficoltà.

Si alza, di scatto, e nel movimento Kenma finisce a terra. Kuroo è furente e lo è a ragione, Kenma non lo può negare e il peso del suo sguardo è tanto forte che quasi non riesce a sollevarsi per fronteggiarlo.

 « Stai scherzando » ringhia con voce bassa e dura. Non è una domanda, ma un’affermazione come se avesse bisogno di convincersene lui stesso. Kenma deglutisce a fatica e si morde l’interno della bocca, mortificato ed incapace di dare una qualsiasi risposta.  « Non posso credere che tu l’abbia detto sul serio » rincara, furioso, gesticolando come un pazzo. Kuroo stringe le labbra e i pugni, scuotendo la testa, mentre la delusione affianca la rabbia che sta provando.

 « Io avrei programmato il mio fottuto calore per costringere Bokuto a diventare il mio compagno, giusto? » grida senza preoccuparsi della possibilità che in casa ci possano essere i genitori di Kenma. Kuroo si indica mentre parla e sposta velocemente gli occhi da una parte all’altra della stanza, evitando di tenerli fissi per troppo tempo su Kenma, come a volergli nascondere qualcosa  « Lo sai cosa vuol dire, quello che stai dicendo? Lo sai quanto cazzo fa male? » urla con la voce rotta dalla rabbia.

Kenma si alza in fretta e cerca di calmarlo. « Mi dispiace » dice e lo ripete all’infinito, provando ad avvicinarsi a Kuroo. Il ragazzo ogni volta lo scosta aggressivamente senza mostrare interesse rispetto al male che potrebbe fargli perché Kenma in una sola affermazione è riuscito a ferirlo tanto profondamente che quasi gli viene da piangere.

 « Sarebbe una violenza nei confronti di Bokuto, lo sai? Lui è mio amico, è importante per me, come potrei usarlo in questo modo? Io non provo quel tipo di amore per lui e lui non lo prova per me. Cazzo, Kenma, pensavo di avertelo fatto capire che per me ci sei solo tu e voglio che ci sia solo tu. Ma forse non te ne frega un cazzo e pensi di me quello che pensano tutti gli altri, che io sia pronto a fare di tutto per quello che voglio soltanto perché sono un fottuto omega » rimarca, il tono che diventa sempre più alto. Kuroo rimane in silenzio per alcuni secondi, lo sguardo fisso davanti a sé mentre guarda oltre. Oltre Kenma e oltre alla parete dietro di lui, mentre rivede quello che significa essere come lui  « Credevo che avessi più stima di me, Kenma » dice, piano.

Kenma non sa cosa fare. Boccheggia disperatamente alla ricerca di qualcosa da dire, ma le parole sono bloccate in gola, perché cosa potrebbe dire per porre rimedio alle sue stesse affermazioni?

 « Io- » comincia a dire, ma Kuroo lo blocca prima che possa formulare una frase di senso compiuto.

 « La mia squadra aveva una partita importante » spiega e Kenma spalanca gli occhi perché bastano quelle parole per capire. Al liceo avevano un allenatore a cui importava il talento, non il genere secondario, e che era interessato al benessere dei propri studenti. La Nekoma è stata una squadra che ha cullato Kuroo nella speranza che tutte potessero essere così, una squadre che lo ha rispettato e ha rispettao gli altri omega, che ha tenuto conto delle loro esigenze ed era preparata ad affrontare partite senza alcuni dei suoi giocatori migliori. Una squadra che non ha mai fatto sentire Kuroo in difetto.

Ma il liceo non è l’università e lì Kuroo si è trovato di fronte ad una realtà diversa. Si è guadagnato il posto in squadra, ma ha dovuto e tutt’ora deve faticare il quadruplo rispetto a tutti gli altri. Ogni piccolo errore è una scusa dietro cui nascondere il desiderio dei suoi compagni di buttarlo fuori, perché è ridicolo che un omega prenda parte alle partite ufficiali quando su di lui non si può fare davvero affidamento. Yaku è stato costretto a lasciare la pallavolo, Kuroo non vuole concedere loro questa soddisfazione.

Non si è mai lamentato di tutta la fatica che deve affrontare, ma dalle sue parole Kenma ha potuto comprendere il peso di quelle esperienze. Kuroo resiste perché ama la pallavolo e vuole dimostrare che può arrivare molto più in alto di tutti i suoi compagni messi insieme.

« Ho fatto un casino con gli inibitori e ne ho presi più di quanti avrei dovuto per essere sicuro di giocare » continua, senza guardare Kenma, come spiegazione di quel suo calore improvviso e inaspettato  « È successa una cosa tra Bokuto ed Akaashi, qualcosa di brutto ed è colpa mia e non so se riuscirò mai a perdonarmi » Kenma lo guarda, confuso e ferito. Non si è preoccupato di Bokuto, perché sapeva che c’era Akaashi a prendersi cura di lui. Che potesse succedere qualcosa tra di loro non gli ha sfiorato la mente nemmeno per un secondo, ma ora può immaginare quello che è accaduto e al solo pensiero gli si mozza il respiro  « E per te l’ho voluto » lo accusa Kuroo, il tono tagliente di chi vuole ferire perché è stato ferito, prima di uscire dalla stanza di Kenma, sbattendosi la porta alle spalle.

Kenma rimane immobile, incapace di seguirlo. Forse è quello, il momento in cui Kuroo riuscirà a lasciarlo indietro. Le gambe gli tremano e il cuore sprofonda, mentre cerca il telefono con mani tremanti. Il suo corpo si muove di propria iniziativa e il suo comportamento sembra quello di una persona incapace di decidersi, perché Kenma finge di avere fatto una scelta, ma la realtà non è questa. Dice di essere in grado di lasciare Kuroo e sa che è la cosa giusta da fare, ma non ci riesce.

Fa troppo male e gli mancano le forze, ma cerca il telefono muovendosi come un automa per la stanza. Quando lo trova, scorre la rubrica più per prendere tempo che per reale necessità, perché il suo numero lo sa a memoria. Fissa il nome per alcuni secondi prima di trovare il coraggio necessario per premere il tasto di chiamata.

Nessuno risponde e Kenma riprova e riprova e riprova, ma il risultato è sempre lo stesso, perché le nessuna delle sue chiamate riceve risposta.




 

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Capitolo 3
*** Profumo di latte caldo e miele ***


Siamo solo al terzo capitolo e io già non vedo l'ora di arrivare al fluff. Salvatemi che c'è n'è di strada da fare, mi sa.




III. Profumo di latte caldo e miele

 


Da quando Shirofuku si è diplomata e le ha lasciato il compito di prendersi cura dei ragazzi del club di pallavolo, Suzumeda si è fatta più tenace e interessa a loro di quanto già non fosse. Akaashi inizialmente non lo ha ritenuto un problema, ma ora... beh, non è sicuro di pensarla allo stesso modo, perché Suzumeda, quando è venuta a sapere che Akaashi aveva lasciato il club di pallavolo, ha voluto capire anche il motivo per cui l’avesse fatto. Questa cosa della promessa a Shirofuku l’ha presa più seriamente del previsto, così lo ha inseguito - letteralmente, Akaashi non vuole esagerare, non è da lui, ma ovunque andasse Suzumeda era lì pronta a fare domande, sicura di essere in grado di ottenere risposte e di proporre soluzioni quantomeno adeguate. Ha braccato Akaashi fino a quando non è crollato. Ed anche in questo caso letteralmente, perché lo stress accumulato per la questione del bambino, per com’era nata la questione stessa e per il fatto di non trovare il coraggio di parlare a Bokuto era tanto grande da portarlo ad un punto di rottura. Non doveva essere necessariamente Suzumeda, ma lei era lì e lo pressava con insistenza e lui non è stato più in grado di mantenere la facciata.

Le ha detto che aspetta un bambino, ma non ha fatto accenno a chi potesse essere il padre e Suzumeda non l’ha chiesto. Le ha raccontato di come aveva provato ad abortire senza riuscirci. Ha rimandato e rimandato, ma alla fine alla clinica è riuscito a prendere un appuntamento. Da solo, in sala d’attesa, ha compilato i moduli con mano tremante e, quando è arrivato il suo turno, semplicemente si è accorto di non poterlo fare. Se questa fosse la sua unica possibilità di dare alla luce un bambino? Se qualcosa fosse andato storto e lui avrebbe dovuto dire definitivamente addio anche alla più piccola speranza di mettere al mondo un figlio? I maschi beta difficilmente riescono a rimanere incinti, ci vogliono tentativi su tentativi, e la sua gravidanza di fronte a questa consapevolezza sembra quasi un piccolo miracolo. Gli alpha sono quelli che pensano troppo presto alla famiglia, gli omega cercano un modo per ritardarne la creazione e i beta semplicemente non ci pensano, ma Akaashi ora, con questa creatura che cresce dentro di lui, proprio non ci riesce.

Ed è il figlio di Bokuto. Akaashi ci pensa e il sorriso del ragazzo gli torna alla mente, portandolo a riflettere a come il bambino potrebbe assomigliargli. Lo vede, piccolo e impacciato, mentre tenta i primi passi verso di lui, cade e si rialza. I capelli di Bokuto e i suoi grandi occhi luminosi fissi a terra per la concentrazione di mettere un piede davanti all’altro. Lo vede raggiungerlo e sorridergli e Akaashi semplicemente non può lasciarlo andare.

L’immagine l’ha colpito tanto forte da fargli mancare l’aria per alcuni secondi, mentre si rendeva conto di non potervi rinunciare. Si è alzato e ha riconsegnato i moduli all’infermiera che lo aveva chiamato poco prima, chiedendo scusa e dicendo di non poterlo fare in una litania confusa e tremante. L’infermiera l’ha guardato dolcemente, gli ha sorriso e gli ha detto che c’era ancora tempo. E Akaashi conosceva il significato di quelle parole: hai ancora tempo per cambiare idea. L'infermiera gli stava dicendo indirettamente, senza usare parole chiare, che era meglio si sottoponesse all’intervento e Akaashi ha pensato che non era giusto che glielo dicesse, che non era il suo posto per fare simili affermazioni. Ha annuito nella consapevolezza che non sarebbe tornato.

Quello che avrebbero potuto dire i suoi genitori e a scuola ancora lo spaventava, ma il timore di questa evenienza gli è apparso meno terribile dell’idea di rinunciare al suo bambino. Ci avrebbe pensato poi, a come affrontarlo.

Suzumeda l’ha ascoltato in silenzio senza riuscire a nascondere completamente la sua delusione. Non l’ha rimproverato e non l’ha ripreso quando Akaashi le ha inveito contro per averlo pedinato. Ha ascoltato e ha permesso al ragazzo di sfogarsi, perché in qualche modo si rendeva conto che era quello di cui aveva più bisogno in quel momento e Akaashi non le sarà mai abbastanza grato per questo. Con i suoi amici non ne avrebbe mai potuto parlare tanto apertamente come invece è stato in grado di fare con lei. Non è sicuro di essere capace du spiegarlo, forse più avanti o forse lascerà semplicemente che se ne accorgano. Spera solo che riusciranno a capirlo e che non la prenderanno come un’offesa personale.

Non sa se sarà capace di gestire la gravidanza e la situazione al meglio, ma vorrebbe che i suoi amici non gli rendano il tutto più difficile.

Alla fine Suzumeda ha deciso di aiutarlo. Akaashi le è grato, soprattutto perché si vede che è contraria e delusa dalle mancate precauzioni e dispiaciuta perché Akaashi è giovane. Lui lo può capire da alcune frasi che indirettamente lo lasciano intendere. Non lo fa per cattiveria, nella maggior parte dei casi è sovrappensiero e quelle volte che se ne accorge si scusa immediatamente. Suzumeda avrebbe potuto lasciarlo solo, ma alla fine ha deciso di non farlo. Forse è per questo che la perdona per aver tirato in mezzo anche Onaga.

« Onaga-kun, » lo chiama, ma subito il ragazzo, intuendo le sue intenzioni, fa un gesto di rifiuto con la mano. Akaashi potrebbe dire che Onaga dovrebbe quanto meno ascoltarlo, e soprattutto che non dovrebbe avere questo atteggiamento poco rispettoso nei suoi confronti, ma non lo fa per il semplice fatto che continua a ripeterglielo da giorni ormai e che Onaga inizi a stancarsi è perfettamente comprensibile.

« Che pensino quello che vogliono » afferma tranquillo, consapevole dell’avvertimento che Akaashi vuole rivolgergli. Quest’ultimo lo guarda storto, perché, beh, è un atteggiamento da stupidi. Sicuro va bene ed anche voler essere di sostegno, ma marchiarsi di qualcosa che non è stato fatto e diventare bersaglio di frecciatine e dicerie è per lui inconcepibile. Quando diventerà evidente che Akaashi sta aspettando un bambino, le persone faranno un collegamento lineare, niente ragionamenti complessi: Onaga improvvisamente ha iniziato a passare molto tempo con Akaashi – anche con Suzumeda in realtà, me lei nelle parole degli altri sparirà sistematicamente –, Onaga è un alpha, Akaashi è in attesa, ergo Onaga è necessariamente il padre del bambino. Semplice, lineare, logico, quasi perfetto, se solo non fosse che è la cosa più lontana dalla verità che qualcuno potrebbe dire. Non che le dicerie si basino sulla realtà dei fatti.

Onaga vede l’espressione contrariata di Akaashi e: « C’è ancora tempo, Akaashi-san, non fasciamoci la testa prima del previsto. Non fa bene a nessuno » cerca di rassicurarlo, mentre Suzumeda annuisce con vigore. Akaashi vorrebbe far capire loro che questo atteggiamento, quello del “c’è tempo”, non ha mai aiutato nessuno: bisogna riflettere e pianificare per essere sicuri che le cose possano andare non dice bene, ma quantomeno meno peggio del previsto. Lo possono fare, ma devono parlarne. Non gli interessa tanto la sua immagine, perché non avrebbe senso fingere di poter salvare un’apparenza ormai irrimediabilmente perduta, ma Onaga e Suzumeda non vuole che ci finiscano in mezzo per il semplice fatto di aver deciso di aiutarlo.

« Basta brutti pensieri » asserisce allegramente Suzumeda, tirandogli un colpetto sulla fronte e riportandolo alla realtà « Se continui così, il bambino nascerà già con un’espressione arcigna di cui non riuscirà mai a liberarsi » continua e le scappa una risata leggera mentre pronuncia quelle parole.

Akaashi sorride all’affermazione per il semplice fatto che gli sembra impossibili che il figlio di Bokuto possa non essere solare quanto lui. Prova ad immaginarlo, Bokuto con un’espressione seria in volto, e l’immagine dovrebbe farlo ridere, ma il pensiero dell’altro ragazzo riporta alla mente solo brutti ricordi e sensi di colpa che Akaashi riesce ad accantonare solo per brevi periodi di tempo. Ancora non gli parla. Nessuno dei due ha cercato l’altro. Akaashi non sa se troverà mai il coraggio per farlo, perché nella sua testa Bokuto è quello dei primi passi, spensierato e pieno di forza.

Entrambi si accorgono del cambio di espressione del ragazzo, ma è Onaga a mettere a parole le loro preoccupazioni: « Siamo qui per te » dice gentilmente, cercando i suoi occhi. Non gli fa una domanda diretta e di questo Akaashi gliene è grato, perché quell’affermazione gli permette di non rispondere subito. Significa che sono pronti ad ascoltarlo, ma solo quando lui si sentirà pronto a parlare. Akaashi è fortunato ad avere intorno a sé le attenzioni di persone tanto premurose e non se le merita. Se sapessero quello che ha fatto a Bokuto, non avrebbero lo stesso atteggiamento. Cosa penserebbero di lui? Lo allontanerebbero? Non lo sa e non è sicuro di quello che potrebbero fare; forse potrebbero stupirlo – in fondo l’hanno fatto fino ad adesso –, però non è pronto a dire ad alta voce a qualcun altro quello che è accaduto. Nella sua testa è già abbastanza orribile. Lo farà, forse, più avanti, solo non ora.

Akaashi tenta un sorriso e li ringrazia entrambi per quello che stanno facendo per lui, che è molto più di quello che potrebbe sembrare. Suzumeda già si vede ad accompagnarlo ai controlli nonostante i mille impegni che già ha e Onaga è disposto a prendere sulle spalle l’immagine di padre che non è. Entrambi vogliono aiutarlo e non importa quello che pensano di una gravidanza in questo momento della sua vita, vogliono farlo lo stesso e sono pronti ad accettarne le conseguenze. E Akaashi non trova il coraggio di ripagarli con la verità, l’unica cosa che potrebbe offrire loro: la consapevolezza di sapere per cosa e chi stanno facendo tutto questo.

« Akaaashi-san, ti stai isolando di nuovo! » lo riprende ancora una volta Suzumeda e nel farlo si avvicina al ragazzo tanto basta per percepire un odore diverso rispetto a quello cui è stata abituata. Arriccia il naso, contrariata e « Lo si può già sentire » dice più a se stessa che agli altri, in quella che potrebbe apparire come una riflessione. È soltanto un’affermazione, ma alle orecchie di Akaashi suona quasi come una sentenza. Si trattiene dall’annusarsi da solo, ma il suo bisogno di conferme lo spinge a porre comunque una domanda specifica.

« Si sente molto? » chiede con un tono che lascia trasparire più insicurezza di quanto vorrebbe. Si morde il labbro inferiore in attesa, mentre anche Onaga annusa l’aria distrattamente.

« Non troppo per ora. Percepisci qualcosa, ma non ricolleghi almeno che tu non sappia quello che stai cercando. Devi fare attenzione, altrimenti si confonde con tutto il resto » asserisce, rassicurante « È leggero e calmante, se ti concentri. Sa di latte caldo e miele » prende un profondo respiro, quasi a volersi riempire i polmoni di quel profumo rilassante.

« Pochi giorni » mormora Akaashi in un sussurro, consapevole che il tempo che rimane prima che alcuni inizino ad accorgersene è più breve del previsto. Prende un respiro per calmarsi. Deve tranquillizzarsi, perché tutta questa ansia non farà bene né a lui né alla vita che sta prendendo forma dentro di lui. Può sopportarlo, è forte, lo sa, solo che questa non era la situazione in cui si era immaginato a dimostrare la sua capacità di sopportazione e di andare avanti nonostante tutto. È spaventato, ma almeno non è solo. Vorrebbe soltanto che fosse andata diversamente. Vorrebbe avere agito diversamente, vorrebbe avere avuto il coraggio necessario per affrontare tutto quello che è successo in un modo diverso, in un modo migliore. Ma, sopra di tutto, vorrebbe Bokuto al suo fianco.


 

***


 

La consapevolezza che il suo odore sta ineluttabilmente modificandosi insieme al suo corpo l’ha portato di fronte alla necessità di parlarne con i suoi genitori. Non può nasconderglielo in eterno. Data la scarsa presenza dei suoi genitori in casa così come le loro carenti attenzioni nei confronti del figlio, potrebbe probabilmente farlo fino a quando la pancia non renda la sua gravidanza evidente in maniera lampante, ma forse questa decisione potrebbe rivelarsi controproducente. Forse parlarne prima potrà rendere la situazione meno pesante, più facile da affrontare.

È tornato a casa e ha chiamato i suoi genitori nella speranza che per una volta fossero lì per lui, ma nessuno ha risposto e Akaashi ha avuto paura di perdere il coraggio per parlare con loro del bambino, così ha chiamato sua madre al cellulare. Ha scelto lei perché credeva che sarebbe stata in grado di aiutarlo a gestire la situazione, ad aprirgli la strada verso la comprensione di suo padre. Non si aspettava di certo che accettasse la sua gravidanza subito né tanto meno che non gli rivolgesse qualche parola di delusione, ma nella sua testa sua madre avrebbe capito l’angoscia del figlio e dopo averlo sgridato l’avrebbe anche rassicurato, dicendogli che lei era lì e che insieme avrebbero sistemato le cose. Nella testa di Akaashi sua madre avrebbe avuto un atteggiamento simile a quello di Suzumeda, ma la realtà è che l’immaginazione di Akaashi offre un’immagine dei suoi genitori totalmente diversa da quella reale, un’immagine più dolce e affettuosa, un’immagine accogliente. Akaashi semplicemente ha sopravvalutato la capacità di sua madre di comprendere.

Sua madre ha risposto al cellulare, dicendogli che doveva fare in fretta perché era impegnata. Akaashi ha provato più volte a dire che si trattava di qualcosa di importante in mille formulazioni diverse, ma tutte le volte sua madre l’ha interrotto in un modo o nell’altro o non l’ha ascoltato, troppo presa dall’impegno del momento. Lo scambio è continuato per pochi secondi, mentre il risentimento di Akaashi veniva fomentato sempre più rapidamente fino a quando non è esploso e l’ha detto senza fronzoli né addolcimenti, Aspetto un bambino, per poi buttare giù il telefono. E quello sua madre deve averlo sentito, deve avere attirato la sua attenzione, perché poi ha continuato a chiamarlo al cellulare fino a quando non si è accorta che non avrebbe ottenuto risposta. Akaashi con i suoi genitori è questo: deluso, infantile, risentito.

« Chi è? » domanda suo padre, categorico. La sua voce è dura e tagliente tanto quanto lo sono i suoi occhi, gelidi, fissi sul figlio.

Sono nella cucina di casa. I suoi genitori da una parte del tavolo e Akaashi seduto di fronte a loro, caparbio nel suo atteggiamento di sfida.

« Non è importante » e la risposta deve far infuriare suo padre, perché sbatte un pugno sul tavolo improvvisamente, digrignando i denti in un chiaro segno di rabbia. A quel punto interviene la madre di Akaashi. Poggia il palmo sul dorso della mano del marito, che non la guarda, ma lentamente riprende una posizione composta sulla sedia. Si schiarisce la voce e probabilmente si prepara a riporre la domanda in modo diverso, sperando in una risposta differente, ma la moglie lo precede.

« Keiji, » lo chiama affettuosamente e il tono dolce, conciliante sembra quasi una trappola, ma Akaashi sposta comunque lo sguardo su di lei. Ha un sorriso leggero in volto « sei stato costretto? » chiede senza alcuna emozione. E fa male per il semplice fatto che l’idea che qualcuno possa avere forzato suo figlio non la turbi minimamente. Quello è esattamente il momento in cui Akaashi capisce che sua madre è una persona totalmente diversa da quella che nella sua immaginazione aveva preso forma. Da piccolo la guardava e vedeva una donna forte e indipendente, che lo prendeva per mano infondendogli il coraggio necessario per fare quelle cose che più lo spaventavano.

Quando era piccolo, sua madre era ancora vicino a lui, piena di quel sincero orgoglio di aver messo al mondo una piccola creatura tanto simile a lei. Il suo sguardo era pieno dell’amore per Akaashi e Akaashi si è beato in quel magico torpore creato dall’affetto e dal calore che sua madre gli rivolgeva, soprattutto perché suo padre a casa non c’era mai. Di fronte alla sua assenza, la presenza della madre appariva al piccolo Akaashi fondamentale tanto quanto quella di  un’ancora che permette di non andare alla deriva.

Le attenzioni della signora Akaashi sono state tutte rivolte al figlio fino al giorno in cui si è presentato come un beta e non come quello in cui lei sperava.

La madre di Akaashi è un alpha e così suo padre, ma la loro genealogia non è così pura come la signora cerca di far credere davanti a tutti. Quando Akaashi è nato semplicemente hanno dato per scontato che, come i genitori, anche lui sarebbe stato un alpha. Non hanno tenuto in minimo conto la possibilità che non lo fosse, nemmeno per un secondo, così, quando i referti hanno mostrato che Akaashi non era un alpha, ma un beta, la donna ne è rimasta profondamente delusa. L’immagine che stava dando della sua famiglia, come di purosangue, era stata irrimediabilmente distrutta con la nascita di Akaashi. E da quel momento le attenzioni della madre si sono diradate e sono comparse sempre più baby-sitter a occuparsi di lui e da quel momento Akaashi non solo aveva un fantasma come padre, ma non poteva nemmeno più guardare a sua madre come punto di riferimento. L’ha idealizzata a lungo, cercando sempre di evitare di pensare al motivo per cui le cose erano cambiate. Ha finto che non ci fosse stato un prima e che la sua infanzia fosse stata sempre ugualmente grigia, vuota dei genitori.

Fino ad adesso almeno, quando sua madre con le sue parole si dimostra esattamente per quello che è: una donna perfettamente inquadrata nei ruoli previsti per alpha, beta e omega, nelle aspettative e nelle discriminazioni tipiche della loro società. Se fosse stato un alpha, la reazione di sua madre sarebbe stata totalmente diversa, ma dato che è un beta Akaashi non merita la considerazione che desidera.

Akaashi ha chiamato sua madre per prima nella speranza di ritrovarvi quella degli inizi, quella che lo avrebbe stretto e protetto ed invece, ora, capisce che non sarebbe più potuto essere così.

Akaashi boccheggia, perché la domanda l’ha colpito duramente come se sua madre gli avesse tirato un pugno in gola, togliendogli il fiato e impedendogli di rispondere. Sposta lo sguardo su suo padre, perché non riesce a sostenere l’espressione tranquilla di sua madre, e vi vede turbamento e quello che potrebbe apparire come disappunto. Ha ritratto la mano lentamente per sfuggire alla presa della moglie, che non appare toccata dal gesto.

« Keiji, » riprova suo padre. La sua voce è insicura e trema appena, per cui deglutisce prima di porre la domanda « Ti hanno- », ma non riesce a concluderla. La prospettiva è troppo dolorosa e orribile perché suo padre riesca ad affrontarla appieno. Akaashi glielo legge negli occhi, nella voce e nel modo in cui si torce nervosamente le dita senza tregua. Capisce che suo padre non ha preso in considerazione quella possibilità fino a quando sua madre non l’ha accennata e subito tutta la rabbia e la delusione che provava si sono trasformati in paura e rimpianto.

« No, » dice a fatica Akaashi, schiacciato dalla situazione e dall’atmosfera che è venuta a crearsi « No » ripete ancora, con più sicurezza per poterla trasmettere a suo padre e lo vede sgonfiarsi delle sue preoccupazioni d’improvviso. I muscoli tesi si rilassano e lui chiude le palpebre per alcuni secondi, mormorando piano qualcosa che Akaashi non riesce a comprendere appieno, ma che appare come un ringraziamento verso il cielo.

Suo padre sospira e, quando si rivolge di nuovo a lui, la sua espressione e la sua voce non sono cariche né dell’iniziale rabbia né della successiva paura. Sembra preoccupato, ma allo stesso tempo sollevato.

« Keiji, vai in camera tua » dice con la voce che gli trema ancora, quasi impercettibilmente, « Lasciaci discutere della situazione da soli per un po’ » spiega, passandosi una mano tra i capelli « Poi ne riparleremo insieme » conclude, posando lo sguardo sul figlio e Akaashi lo trova quasi gentile.

Akaashi annuisce, mentre si alza dal tavolo. Non si ferma per ascoltare dietro la porta della cucina per paura di quello che si potrebbero dire i suoi genitori. Procede fino alla sua camera senza mai fermarsi e lì inizia quasi inconsciamente a buttare felpe, vecchi peluche e coperte sul suo letto per poi nascondersi sotto quel mucchio di calore. E non se lo aspettava, ma si sente quasi meglio.





 

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Capitolo 4
*** Anime gemelle ***




IV. Anime gemelle

 


Akaashi non sa quanto tempo passi da quando suo padre ha detto che ne avrebbero discusso poi. Li ha sentiti litigare, composti come sempre, ma ad una voce troppo alta perché lui riuscisse ad ignorarli. Ci ha provato: si è spostato, si è coperto le orecchie, ha nascosto la testa sotto il cuscino, ma niente sembrava essere capace di schermarlo da quel vociferare di sottofondo, di cui non comprendeva le parole ma percepiva le accuse e la rabbia. Alla fine si è infilato le cuffie e ha alzato il volume in modo tale da non sentire più le loro voci. Ha scelto qualcosa di ritmato, canzoni che lasciavano trasparire rabbia e risentimento, e ad un certo punto, in qualche modo, deve essersi addormentato, forse per la stanchezza, non lo sa.

Quando apre gli occhi, però, le cuffie non sono più alle sue orecchie e qualcuno gli ha sistemato una coperta sul corpo. Seduto sul letto vicino a lui c’è suo padre con un traballante sorriso in volto, un sorriso che Akaashi non ricorda di aver mai visto prima, ma al quale potrebbe abituarsi facilmente perché, per quanto incerto appaia, è in qualche modo rassicurante, sembra quasi dire “Sono qui per te”. Akaashi avrebbe davvero solo bisogno che i suoi genitori lo dicessero seriamente, ad alta voce, conferendogli realtà e validità.

« Ciao, » lo saluta piano suo padre non appena si accorge che il figlio si è svegliato. Akaashi si solleva piano per poter guardare suo padre in viso alla stessa altezza e risponde al saluto con incertezza. La gentilezza nell’espressione di suo padre, comunque, non scompare nemmeno per un secondo.

« La mamma? » domanda Akaashi, ancora intontito a causa del sonno, mentre si stropiccia gli occhi per mettere veramente a fuoco la sua stanza e la figura di suo padre vicino a lui.

L’uomo non risponde subito. Sospira piano e si gratta il retro del collo a disagio. Prende tempo, guardando i poster attaccati alle pareti del figlio, prima di dire: « Ha solo bisogno di riflettere su quello che sta succedendo ». A quel punto il suo sguardo si sofferma sul volto di Akaashi, sul quale vede passare diverse emozioni, alcune contrastanti tra loro. Sollievo per il non dover affrontare subito il suo giudizio, senso di colpa per il timore di essere la causa del loro allontanamento, ma sopra di tutto risentimento per non essere qui al suo fianco in un momento in cui avrebbe bisogno del suo sostegno.

Akaashi annuisce, incapace di dare voce a tutti quei sentimenti che sta provando. Si morde il labbro inferiore, quasi a trattenersi dal fare qualcosa di cui potrebbe pentirsi, come piangere o gridare.

« Mi dispiace » dice in un sussurro. Sente qualcosa di pesante spingere all’altezza del petto, qualcosa che gli toglie il respiro e le forze, impedendogli di reagire. Una scusa per tante cose: per non essere stato attento, per aver spinto sua madre ad andare via, per non essere all’altezza delle loro aspettative.

Suo padre scuote la testa con vigore e: « No, Keiji » afferma, serio, « Sono deluso, non posso negarlo, sono deluso perché avresti dovuto prestare più attenzione, ma io…  » si interrompe e scuote leggermente il capo. Akaashi rimane in attesa e spera per un secondo che il padre stia per dire quelle parole che potrebbero cambiare tutto, che gli permetterebbero di sentirsi al sicuro e capace di affrontare questa situazione nel modo migliore. Le parole di una famiglia che c’è per lui, ma viene deluso. «  non avrei dovuto reagire in quel modo » conclude infatti l’uomo.

Rimangono in silenzio. Akaashi tiene lo sguardo basso, mentre suo padre non lo allontana dal suo viso e, mentre guarda l’aspettativa negli occhi del figlio trasformarsi velocemente in delusione, ripensa alla discussione avuta con la moglie. Come ha potuto non accorgersene? Come ha potuto non rendersi conto della distanza che ha posto nei confronti di Keiji e del modo in cui l’hanno allontanato, lasciato indietro? Come ha potuto non accorgersi dei pregiudizi della donna che ama?

Ogni parola che ha lasciato le labbra di lei è stata una pugnalata per lui: quelle affermazioni sul loro bambino così dure e distaccate sono state difficili da affrontare. Cerca solo attenzioni, ha detto lei. Forse è stato quello il momento in cui ha capito veramente che avrebbe dovuto scegliere e che lei non gli sarebbe stata accanto, che ha dato per scontato troppe cose per troppo tempo e che le cose sarebbero cambiate da quel momento, in un modo o nell’altro.

« Quello che ha detto tua madre... » inizia il signor Akaashi, ma si interrompe alcuni secondi come se dovesse riordinare le idee « mi ha fatto capire alcune cose » dice infine, deluso da se stesso, perché in fondo ha capito che l’affetto di suo figlio non gli è dovuto come ha sempre dato per scontato, che avrebbe potuto essere più presente e quindi vicino e che in futuro dovrà guadagnarsi la sua fiducia. Le parole di sua moglie l’hanno messo davanti alla dura verità di non essere stato un bravo genitore, glielo hanno resa chiara come prima non era mai stata.

Akaashi rimane in silenzio in attesa di spiegazioni. Gli tremano appena le mani per il timore di quello che suo padre potrebbe dire, per cui le tiene nascoste alla sua vista.

« Non posso dirti cosa devi fare » continua suo padre, gentile, « Posso solo darti la mia opinione, ma qualunque cosa tu decida alla fine, ti prometto che affronteremo questa cosa insieme, come una famiglia » finisce consapevole dell’importanza e del peso di quello che sta dicendo, perché significa cambiare completamente le routine e i modi di fare cui sono sempre stati abituati.

Vuol dire sforzarsi per essere quel tipo di padre che immaginava sarebbe stato, ma che alla fine non è riuscito ad essere. C’è ancora tempo, però, e con fatica e impegno è sicuro di poter rimediare ai propri errori. Ѐ stato assente quando Keiji aveva bisogno di lui, e si è infuriato quando avrebbe avuto bisogno di supporto e conforto, in un momento in cui era sicuramente spaventato. Vuole cambiare. Vuole essere migliore.

Il cuore di Akaashi sprofonda nel momento esatto in cui sente quelle parole, le stesse che attendeva da tanto tempo, e, senza essere in grado di trattenerle, le lacrime iniziano a scorrergli sulle guance. Si sporge per abbracciare suo padre e subito incontra le sue braccia pronte ad accoglierlo. Il signor Akaashi ha solo un momento di sorpresa, ma subito reagisce alla richiesta del figlio e lo stringe, accarezzandogli i capelli.  Akaashi piange e chiede scusa, mentre suo padre gli sussurra dolci rassicurazioni.

Ci vuole del tempo prima che riesca a calmarsi, ma ancora non riesce ad allontanarsi dal calore che gli dà suo padre. Si sente al sicuro e ha paura che spostandosi allo stesso modo andrà via anche la sensazione di sicurezza. Suo padre comunque non gli impone di scansarsi e lui ne approfitta, anche quando lui gli chiede del padre del bambino.

« Non voglio- » inzia Akaashi in un lamento.

« Non ti sto chiedendo di dirmi chi sia » lo interrompe. Non ora almeno, pensa, domandandosi come siano andate le cose, ma consapevole di non poterlo fare. Keiji ha bisogno di un po’ di tempo e lui è pronto a concederglielo « Ma se lo sa ».

Akaashi scuote la testa in un cenno di diniego, un movimento appena accennato, che, se non fosse ancora tanto vicino al padre, probabilmente lui non sarebbe stato in grado di coglierlo.

« Non puoi nasconderglielo, Keiji, qualunque sia la vostra attuale relazione » asserisce l’uomo con tono conciliante, cercando lo sguardo del figlio senza riuscire mai a raggiungerlo.

« Non voglio farlo » risponde Akaashi, colpevole. Tiene gli occhi bassi e si morde il labbro, insicuro, mentre tenta di tenere lontane le immagini che ogni giorno lo tormentano e le conseguenze che portano con sé.

« Keiji » prova a riprenderlo suo padre, ma subito lo interrompe, il tono lamentoso di chi non riesce ancora a parlare di qualcosa.

« Papà, non ora » lo ferma perentoriamente « Per favore » aggiunge dopo alcuni istanti di silenzio, alzando gli occhi per incontrare quelli del padre in una silenziosa richiesta di accettazione. A quel punto l’uomo annuisce, non completamente convinto, ma incapace di continuare su quella strada.

« Dovremmo prendere un appuntamento dal medico » cambia discorso, pensieroso, poi colto da un dubbio chiede: « Sei già andato da qualcuno? ».

Akaashi fa cenno di no con la testa e piano dice di essersi recato presso una clinica abortista. L’implicazione è chiara: se ci è andato e il bambino è ancora qui, se addirittura il figlio ha deciso di parlarne con i genitori, la scelta non può essere che tenerlo, però, solo per una sicurezza aggiuntiva, vuole porre quella domanda.

« Sei sicuro? ».

E Akaashi non ha bisogno di pensarci nemmeno per un secondo, perché di fatto l’ha già fatto e una decisione è già stata presa, così dice di sì senza esitazioni, con tono fermo per la prima volta da quando hanno iniziato quella discussione, con un tono che non ammette repliche.

« Va bene » dice suo padre, quasi sovrappensiero « Va bene » ripete, benché non appaia convinto tanto quanto vorrebbe lasciare credere. Akaashi comunque non intende portare alla luce questa sua insicurezza e anzi lo ascolta con attenzione finché suo padre parla degli appuntamenti che dovranno fissare e delle cose che dovranno cambiare. Sorride inconsapevolmente, perché la voce di suo padre e quello che gli sta dicendo lo confortano tanto da farlo sentire veramente al sicuro per la prima volta da quando è venuto fuori questo casino.

« Grazie » afferma Akaashi all’improvviso e subito suo padre scuote la testa.

« No, non… io... » si interrompe a disagio e cerca le parole giuste. Si prende alcuni secondi per riordinare le idee, perché è chiaramente in difficoltà. Alla fine rinuncia, come se quella sua reazione potesse essere essa stessa una spiegazione « La faremo funzionare, Keiji, vedrai, ce la faremo » dice invece con un sorriso gentile ed è tutto quello di cui Akaashi aveva bisogno.




 

***




 

« Mi dispiace per tua madre » afferma distrattamente Onaga prima di ricevere una gomitata sugli stinchi da Suzumeda, che lo fulmina con lo sguardo. Akaashi scuote il capo come a dire che non importa. Onaga è fatto così: schietto e un po’ troppo impulsivo rispetto a certi commenti, ma Akaashi lo conosce per cui non prende a male le sue parole.

Sono in un kissaten poco distante da scuola. Si tratta di un posto abbastanza piccolo, ma comunque confortevole ed in ogni caso Akaashi l’ha scelto più per la sua comodità che per eventuali buone recensioni. Alla fine però anche le proposte da consumare non sono troppo male e comunque né Suzumeda né Onaga sembrano contrariati dal posto. Akaashi ce li ha portati per ringraziarli, offrendo loro qualcosa da bere e mangiare e ne ha approfittato per raccontare loro in maniera distratta quello che è successo con i suoi genitori, perché in qualche modo sente di doverglielo.

Li ha guardati mangiare con piacere le loro ordinazioni con un misto di senso di nausea e disagio. Li ha lasciati conversare senza prestare reale attenzione alla loro parole proprio a fronte di quegli odori forti e dolci che gli hanno riempito la testa impedendogli di pensare coerentemente, troppo concentrato sul suo stomaco in subbuglio.

« Hai ragione, solo che- ».

Onaga si interrompe bruscamente e il cucchiaio gli scivola di mano, producendo un fastidioso colpo metallico non appena impatta contro il tavolo. Akaashi torna alla realtà e si rende conto che qualcuno ha appena iniziato il proprio calore. Sente voci indistinte e vede una leggera movimentazione intorno ad una ragazza, ma nessuno sembra eccessivamente preoccupato o agitato, non quanto lui almeno.

Punta gli occhi su Onaga e quello che si trova davanti non è quello che si aspetta, perché il ragazzo sembra essere in perfetto controllo del suo corpo e delle sue azioni. È rigido e teso, ma comunque in controllo. Suzumeda lo tiene d’occhio, ma non appare realmente preoccupata da quello che potrebbe accadere.

Nessuno degli alpha presenti si è mosso verso la ragazza e Akaashi non riesce a darsene una spiegazione. Questa è la seconda volta che assiste al calore di qualcuno e la distanza tra la sua prima esperienza e questa è tanto grande da confonderlo e agitarlo.

Quando la ragazza viene accompagnata fuori dal locale da alcune compagne, Onaga si permette di trarre un profondo respiro, mentre i muscoli del suo corpo si rilassano lentamente.

« Non hai perso il controllo » afferma Akaashi senza rendersene davvero conto. Onaga gli rivolge subito un’occhiata contrariata.

« Non ti era mai successo di trovarti in una situazione del genere? » si intromette Suzumeda, guardandolo con curiosità. Akaashi vorrebbe dire che sì, gli è successo, ma la discrepanza tra le sue due esperienze lo spinge a negare.

« Non siamo bestie, sappiamo controllarci » grugnisce Onaga, offeso « È più un fastidio, un prurito molto insistente, che un impulso incontrollabile, anche se non è quello che si dice comunemente. Mantenere questa convinzione errata permette anche di sostenere una certa visione della società, no? Chi continua ad affermare che non è qualcosa che può essere domato dà soltanto un’immagine sbagliata e grottesca di quello che siamo » conclude in quello che sembra un rimprovero piccato nei confronti di Akaashi.

« Beh, » si inserisce di nuovo Suzumeda, riportando l’attenzione su di lei « C’è soltanto un caso in cui questa situazione, quella dell’impossibilità di controllarsi, si presenta ».

Onaga sbuffa.

« È irrilevante » dice « È praticamente impossibile trovare quella persona ». E Akaashi inizia a sentirsi male solo per il modo in cui Onaga ha pronunciato quell'aggettivo, perché non è stupido e comincia a capire a cosa si è trovato di fronte quel giorno, con Kuroo e Bokuto.

« Quando? » chiede fingendo un interesse distaccato. Fatica a mantenere un tono di voce neutrale, quando dentro si sente come se qualcuno lo stesse pungolano ripetutamente con mille spilli, ma alla fine riesce a mantenere la facciata.

Non vorrebbe sentire quello che viene dopo. Vorrebbe tornare indietro e cancellare le parole, perché pronunciarle a voce alta dà loro consistenza e realtà. E fa male, ancora più di prima.

Onaga ruota gli occhi al cielo, finché Suzumeda risponde alla domanda di Akaashi.

« Quando si tratta della tua anima gemella ».



 

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