Shut Up & Dance

di Relie Diadamat
(/viewuser.php?uid=108801)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One Step Closer ***
Capitolo 2: *** Showing me the moves to follow ***



Capitolo 1
*** One Step Closer ***


SHUT UP & DANCE
 
I. One Step Closer
 
«Light! Guarda, guarda!»
Sospirò per l’ennesima volta mentalmente, spostando lo sguardo sulla figura iperattiva di sua sorella mentre indicava elettrizzata qualsiasi cosa le saltasse all’occhio. Stavolta l’indice era puntato verso la lavagnetta della tavola calda alla loro destra. «C’è il fish&chips! Light, hai visto?»
Sì, sì. Incredibile. Sensazionale.
Il ragazzo sollevò un angolo della bocca in un sorriso di circostanza, fingendo un tono fin troppo amichevole. «Dobbiamo provarlo».
Sua sorella saltellò allegra, emettendo versi acuti di felicità prima che Soichiro Yagami potesse rimproverarla. «Sayu , comportati in maniera civile.»
«Ma siamo in vacanza!» si difese, come se il fatto di essere in una città straniera per divertimento fosse una giustificazione valida per squittire come un topo posseduto.
«Non discutere, si volteranno tutti a guardarci».
Light potè sbuffare in tutta tranquillità, certo che né i suoi genitori né Sayu potessero sentirlo. A differenza di sua sorella, non era poi così entusiasta di trovarsi a Londra. Non gli cambiava assolutamente nulla spostarsi dal Giappone: continuava a pestare un marciapiede con la suola delle stesse scarpe che indossava nel Kanto, le persone prendevano gli stessi mezzi per spostarsi da un posto all’altro e pesce impanato con  patatine fritte erano reperibili ovunque, ormai.
Voltò annoiato lo sguardo verso la folla, tra tutte quelle teste che si rincorrevano e tutte quelle chiacchiere. L’unica cosa positiva di tutta quella storia era che Misa non era lì con lui.
Light non sapeva ancora spiegarsi del perché stessero insieme; Misa era una ragazza bella quanto fastidiosa, appiccicosa oltre i limiti di sopportazione umana e incredibilmente egocentrica, ma era soprattutto una fidanzata invidiabile. Chiunque l’avrebbe voluta.
Il perfetto Light doveva stare con l’inaccessibile Misa. Faceva parte del quadro, di quell’immensa messinscena senza fine.
“Falla soffrire e te la vedrai con me”, lo aveva minacciato Rem, una tipa strana e inquietante che Misa Amane si trascinava dietro come un cagnolino. Gli aveva stretto il polso e guardato dritto negli occhi, con una  profondità tale che Light ebbe quasi paura che potesse vedere ogni suo pensiero.
Rem era una seccatura, così come quella stupida storiella con Misa Amane. Così come quella stupidissima vacanza nella capitale inglese.
 
 

 
 
La famiglia Yagami si fermò in una caffetteria in cui Light – doveva ammetterlo - sarebbe entrato anche di sua spontnea volontà; le pareti rosse conferivano un calore intimo al posto, così come i divanetti di pelle scura e i tavolini in legno.
Sayu, seduta al suo fianco, ordinò una fetta di red velvet che gustò con tutta la lentezza di questo mondo. Dall’altro lato del tavolo sua madre gustava un tè nero alle rose, mentre suo padre aveva optato per un normalissimo caffè. Light lo imitò.
La fede di Soichiro brillava alla luce delle lampade calde del locale, catturando per una ragione ignota l’attenzione dell’adolescente. La fissò senza farsi notare, nascondendosi dietro la tazza fumante che si portava alla bocca tra un sorso e l’altro.
Suo padre aveva dedicato una vita intera al lavoro, restando fedele al suo senso di giustizia. Aveva amato una sola donna senza mai tradirla e aveva sempre tentato di essere un padre giusto per i suoi figli.
Sentì il liquido amaro scendergli nella gola senza apprezzarne il sapore, le bustine di zucchero abbandonate sul tavolo accanto al portacenere di vetro.
«Ehi.»
Light si sentì toccare la spalla con due colpetti, un accento britannico ben marcato nella pronuncia della frase. Volse il capo trovando un ciuffo di capelli rossi e due occhi verdi nascosti da un paio di occhiali da sole spuntare dal divanetto di pelle. Chi diamine indossa degli occhiali da sole in un locale come quello?
«Ti servono quelle?» Il tipo gli indicò le bustine di zucchero. «Sarebbe veramente umiliante chiederne altre due.»
Perché mai?
Light non fece commenti. «Certo, prendile pure.» Gliele passò con fare altruista, le labbra allungate per educazione. Quello ricambiò la cortesia per una frazione di secondo, poi ritornò alla conversazione messa in pausa per rivolgergli la parola. «Vedi di fartele bastare, perché non ho nessuna intenzione di chiedere altro zucchero agli estranei», lo sentì dire.
«Dici così solo perché qui non puoi fumare», constatò infastidita una seconda voce.
«Sentite, facciamo una scommessa…»
 

«Light?»
La mano di Sayu gli sfiorò leggermente il braccio, riportando la sua attenzione al tavolo giusto. Lo guardava con la testa leggermente piegata, una macchia di crema al burro che spiccava sul mento. «Mi stai ascoltando?»
«Ero sovrappensiero, scusami. Cosa dicevi?»
Sayu sospirò, come solo una ragazzina di quattordici anni potrebbe sospirare al fratello maggiore, ripetendosi per la seconda volta. «Ho detto che Misa deve tenerci davvero tanto a quel ballo. Ma come farai? Non ti ho mai visto danzare in tutta la mia vita.»
Il ballo. Dannazione. Quello stupidissimo ballo.
Misa si era incaponita nel trascinarlo alla serata di beneficenza che si sarebbe tenuta alla Yoshida Productions, giusto un giorno dopo il suo rientro in Giappone. All’inizio si era opposto, inventandosi una scusa su due piedi, ma tutti i suoi buoni propositi furono ostacolati da Rem.
Gli aveva ordinato di andarci, di stare accanto a Misa. “Potrebbe essere in pericolo, Light”.
Che se la sbrigasse da sola, avrebbe tanto voluto dirle. Perché non ti presenti tu, visto che Misa ti sta tanto a cuore?
 

Rem, però, aveva pronunciato un nome. Un nome che aveva cambiato tutte le carte in tavola.
 

«Prenderò lezioni», spiegò a Sayu, la quale sbarrò gli occhi come se le avesse appena detto che avrebbe fermato un proiettile con la forza del pensiero.
«Cosa?? Ma il ballo è tra sette giorni!»
«Me ne serviranno solo tre».
Sayu sbattè le palpebre sconcertata. «Sei davvero convinto di poter imparare a ballare in soli tre giorni?»
Sul volto di Light comparve un ghigno supponente, accendendo i suoi occhi scuri di una luce indecifrabile che riuscì a mettere a disagio la quattordicenne. «Vuoi scommettere?»
 
Quello, per Light Yagami, fu il primo vero sorriso della giornata.
 
 
 
**



 
L’aria era cambiata.
Light l’avvertì penetrare nelle ossa non appena mise piede fuori dal locale. Provò l’impulso di stringersi nella giacca, ma restò con le mani lungo i fianchi aspettando pazientemente che i suoi genitori lo raggiungessero.
Il cielo si era colorato di un grigio cenere e il vento odorava di pioggia. L’albergo in cui alloggiavano era poco distante, ma Light sperò vivamente di non beccarsi un acquazzone in testa.
 
Il cellulare vibrò nella tasca della giacca ma lo ignorò. Era Misa, sicuramente.
Misa con le sue solite domande noiose.
 
Era uscito con la scusa di dover rispondere alla chiamata della sua fidanzata e nessuno si era opposto o gli aveva fatto domande. Era pronto a prendere il cellulare tra le mani al minimo rumore alle sue spalle per avvalorare il suo alibi, ma qualcosa andò storto.
La porta si aprì e dei passi avanzarono verso la sua direzione. Light riconobbe il tipo dai capelli rossi con un’occhiata fugace; a dispetto del tempaccio in avvicinamento, indossava ancora gli occhiali da sole. Era insieme ad altri ragazzi, che ad un primo impatto gli parvero della sua stessa età escludendo il ragazzino albino a mani conserte.
Erano abbastastanza lontani e non si scomodarono a posare gli occhi su di lui nemmeno per un istante.
 
«Grazie per lo zucchero».
Light trasalì impercettibilmente. Torse involontariamente il corpo verso destra, incontrando la figura di un ragazzo magro quanto un chiodo. Il viso era coperto da un cespuglio corvino e la pelle era pallida quanto quella di un cadavere.
Non lo aveva sentito avvicinarsi e questo bastò a mandarlo in allarme. Prese un lungo respiro interiore, dicendosi di calmarsi e comportarsi in modo naturale. È solo un ragazzo.
«Ah, quindi erano per te le bustine extra?» Simulò un tono amichevole, come se avesse appena incontrato un compagno di vecchia data. «Figurati».
L’altro non si era ancora scomodato a guardarlo in faccia. Se ne stava col volto basso e la schiena leggermente ricurva, come se l’asfalto gli stesse sussurrando i segreti dell’universo. Era strano, questo era certo.
«Ti chiami Light, vero?» Domandò monocorde, come se stesse leggendo un copione senza emozione.
Per un attimo sbarrò gli occhi incredulo. Come può… poi ripensò alla caffetteria e al fatto che molto probabilmente aveva sentito il suo nome ascoltando le loro conversazioni. Esattamente come Light aveva origliato le loro.
«Sì», confermò. «E tu sei…?»
Lo sconosciuto sollevò il viso verso l’alto, in direzione delle nuvole, finché una goccia non cadde sul suo naso. «Sembra proprio che ci toccherà bagnarci».
Light non seppe proprio cosa dire. Rimase a guardarlo come un ebete mentre la pioggia iniziò a picchiare sulla sua faccia. Fu solo allora che gli dedicò uno sguardo, incrociando quegli occhi neri con i suoi. «Ci vediamo presto».
«Sì, presto» si ritrovò ad articolare senza un motivo, il cellulare ancora nella tasca della giacca e il picchiettio della pioggia che gli ricadeva sui vestiti e sui capelli.
 
«Light, andiamo!»
Suo padre lo chiamò risvegliandolo dal trance nel quale era caduto, indicando col mento l’unico ombrello sotto il quale si sarebbero riparate sua madre e Sayu. Light annuì, avanzando il passo verso di loro, ma non potè trattenersi dal guardare indietro per scoprire se quel ragazzo-cadavere fosse già scomparso.


 
Prima vera storia in questo fandom, yeee.
L'età di alcuni personaggi verrà cambiata per ragioni di trama.
Prompt usato: lezioni di ballo.
Ho voluto aggiungere un pizzico di mistero alla storia, anche se avrà un lato prettamente Comedy.
Grazie per aver letto fin qui e lasciatemi pure un parere se vi va!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Showing me the moves to follow ***


II. SHOWING ME THE MOVES TO FOLLOW
 



Il flash azzurrognolo del cellulare lo avvisò del nuovo messaggio in arrivo, accompagnato dal suono di una monetina caduta in acqua. Lo afferrò con due dita, tenendolo all’altezza degli occhi.
 



1 Messaggio da M.
Ho fatto come mi avevi detto.
 



Digitò una risposta veloce e s’infilò il cellulare nelle tasche, concentrandosi sullo schermo del computer. Gli occhi neri erano spalancati, pronti a leggere un commento dopo l’altro. Era incredibile come le persone postassero ogni singola sfaccettatura della loro vita su internet.
La voce acuta e registrata di Misa Amane risuonava nella stanza, elencando tra un gridolino e l’altro tutti i requisiti necessari  dell’abito perfetto per una serata di gala.
 
 
 
Misa Amane.
Figlia unica di un socio della Yoshida Production. Benestante. Diciassette anni.
Fisico da fotomodella, molto popolare sul web tra i ragazzi giapponesi. Ma…
 
 
Stropicciò le labbra con disappunto nel sentire la ragazza abolire i dolci dai pasti, definendoli i peggior nemici dei fianchi, addentando quasi per ripicca una tartina al cioccolato e masticando indispettito. Cosa gli toccava sentire!
Scandagliò minuziosamente tutte le risposte e tutti i nomi che comparivano come per magia sotto al videomessaggio di Amane. Nel giro dell’ultimo quarto d’ora aveva controllato accuratamente il suo profilo, accorgendosi di ben due dettagli interessanti.
Si lasciò andare a un ghigno storto di compiacimento, facendo scivolare la freccetta del mouse verso il basso. Mancava un nome molto importante, tra tutti quei cuori e quei messaggi pieni di adulazione. Un nome che Misa Amane ripeteva in continuazione.
 


«Sei davvero convinto che sia lui?»



Una tazza di tè venne posata ancora fumante sotto al suo naso, sul pavimento. Sfiorò il manico con la mano affusolata, mentre una foto di due ragazzi  si materializzava sullo schermo.
Amane gli era aggrappata al braccio con un sorriso enorme stampato sul volto. Lui - il fidanzato migliore del mondo, il ragazzo perfetto - era rigido come una statua. Aveva la stessa espressione di chi entra in chiesa con l'intenzione di pregare per cinque minuti, trovandondosi sfortunatamente nel bel mezzo di una veglia funebre.
Se ne stava lì, a farsi stritolare il braccio nella sua bella camicia bianca e con i capelli in ordine. Gli occhi nocciola erano puntati verso l'obiettivo. 
 
Light Yagami.
 
Il figlio maggiore del sovrintendente Soichiro Yagami. 
 
Fece scivolare il pollice per tutta la lunghezza del labbro inferiore, concentrandosi sulla figura del giapponese come uno scienziato avrebbe osservato la sua cavia da laboratorio.
 
 «Ne sono convinto» disse, senza premurarsi d'incontrare lo sguardo del suo interlocutore. «Direi circa al 3%».
 
 





 
**





The Wammy’s Moves.
Light contemplò l’insegna di quella discutibilissima sala da ballo, incerto se entrare o fare retromarcia e cercare altrove. Se non avesse saputo della sua esistenza, era sicuro che non l’avrebbe mai notata.
La piccola scuola di ballo era situata al primo piano di un palazzo anonimo in perfetto stile inglese, con le pareti in mattone. Il portone recentemente riverniciato di verde gli ricordò l’appartamento di Sherlock Holmes nell’ultimo film visto sul divano, con una Sayu intenta a spennellarsi le unghia delle mani con uno smalto blu notte.
Sayu. Era tutta colpa sua se adesso era lì, pronto a poggiare la mano sul pomello. Quella stessa mattina, sorseggiando deliziata il suo cappuccino caldo, lo aveva richiamato con un tono di voce che Light conosceva fin troppo bene – lo stesso tono di voce che aveva utilizzato nello scoprire gli scatti di Misa per uno studio fotografico. Gli aveva mostrato un messaggio di spam ricevuto sulla sua mail la sera prima, che guarda caso promuoveva una modesta scuola di ballo poco distante dall’albergo.
“Che fortuna, vero Light?”, aveva trillato sua sorella, ricordandogli la scommessa fatta il giorno precedente. Non poteva rifiutare, visti i costi economici delle lezioni e la possibilità di usufruire di un mese gratuito. Ma no, non l’avrebbe mai chiamata “fortuna”. Più che altro, una strana coincidenza.
Tre giorni.
Gli sarebbero stati sufficienti tre giorni per imparare a muoversi in maniera impeccabile in un lento, lasciando Misa Amane a bocca aperta, pronto a guardarsi intorno nella sala durante la serata di beneficenza in cerca di un volto.
Rem era stata inflessibile.
Alla serata di beneficenza  sarebbe stato presente anche Lo Shinigami. 
Era bastato quel nome per fargli venire la pelle d'oca e sentire l'adrenalina pulsare forte nelle vene. 
 



«Perché dovrei crederti?»
«Perché so chi è. Conosco il suo volto e il suo vero nome».
«Se fosse vero ciò che dici, perché non ti rivolgi alla polizia?»
«Perché non ho nessun interesse nel morire».
«Perché lo stai dicendo a me, allora?»
«Tutto ciò di cui m'importa è sapere Misa al sicuro. Tu, Light, puoi anche finire all'altro mondo per quanto mi riguarda».
 
 



Non la sopportava. Rem era una ragazza inquietante, con le punte dei capelli dipinte di viola e un ciuffo ribelle che le cadeva costantemente sull’occhio sinistro coprendolo del tutto. Era sgraziata nei modi e non possedeva la minima traccia di femminilità. Con quel corpo ossuto e il viso scarno, Rem gironzolava attorno a Misa Amane come uno scheletro fedele.
Uno scheletro al guinzaglio.
Cosa ci vedesse Misa, in lei, Light non lo aveva mai capito.


Che stesse mentendo?


Rem sembrava uscita dalle pagine di un romanzo di Poe. Non aveva amici e non le piaceva trascorrere del tempo in compagnia di altri esseri umani, ma quando si trattava di Misa non mentiva mai. Che quella ragazzina conoscesse davvero l’identità di un probabile serial killer?
Sorrise, più di quanto avrebbe dovuto.
Se Rem diceva la verità, Light avrebbe imparato volentieri quegli stupidissimi passi di danza. Avrebbe stretto Misa tra le braccia e finto di avere occhi solo per lei, forse avrebbe persino improvvisato un bacio – giusto per completare l’opera – e avrebbe scannerizzato tutti i volti della stanza. Lo avrebbe stanato, in un modo o nell’altro.
Non gli importava un granché del destino di Misa Amane; l’unica cosa che gli stava  a cuore era incontrare quel tizio, guardarlo bene in faccia in modo da fargli ricordare il suo volto e incastrarlo. Sì, lo avrebbe fatto.
Lo Shinigami avrebbe vuotato il sacco. Gli avrebbe detto tutto, dal come era riuscito a rapire tutte quelle ragazze fino a spiegargli nel dettaglio come se n’era sbarazzato.



Pregustò il sapore della vittoria nel palato, lasciandosi scappare una risata trattenuta tra i denti stretti. Tra lui e Lo Shinigami c’era solo un ballo e quella stupidissima sala. Soltanto tre giorni. Tre giorni e sarebbe stato perfetto – come sempre.
Spinse la porta, determinato e fiducioso. Un solo obiettivo nella mente.
Tutti i suoi buoni propositi, però, sembrarono svanire nel nulla quando registrò l’immagine che si parava dinanzi ai suoi occhi.
 




 
**





Non fu l'ampia sala dal parquet lucido e le pareti piene di specchi a sconcertarlo, né tanto meno il sosia di Emmett Brown che batteva le mani a tempo, incitando e correggendo la coppia che si stava allenando in pista, volteggiando in un ballo che Light registrò come paso doble. 
No. 
Ciò che gli fece storcere il naso dal fastidio fu rivedere una chioma rossa ormai familiare e un paio di occhialini tenuti tra i capelli. Gli occhi verdi erano puntati sullo schermo della console che aveva tra le mani, incurante del battibecco in corso tra i due ragazzi seduti accanto a lui. 
Ma quanto è piccola Londra?, pensò stizzito, controllando l’orologio da polso più per smania che per esigenza. 
La presenza di quei tre non era un suo problema. L’unica cosa che gl’interessava era imparare a ballare uno stupidissimo lento e tornarsene in Giappone. Allungò il piede, pronto a dirigersi verso l’uomo che aveva inquadrato come insegnante di ballo, ma qualcosa cozzò contro la sua spalla costringengolo a barcollare all’indietro. 


«Ma cos-» Una cascata di capelli neri sbatté contro la faccia di Yagami, come una frustrata, pizzicandogli il naso. Non ebbe neanche il tempo di articolare una frase che sentì un tonfo seguito da un lamento.
Emmett Brown spiò allarmato la scena dalle lenti tonde dei suoi occhiali, avvicinandosi sui suoi mocassini col petto gonfio. «Cosa succede?!»
Persino il ragazzo dalla chioma rossa sollevò il capo verso "la scena del crimine", dove adesso una donna si teneva la caviglia stringendo i denti.



Light andò nel panico. Non aveva fatto assolutamente niente, ma sapeva che la colpa sarebbe ricaduta su di lui e non poteva proprio permetterselo. Rimase impietrito per una manciata di secondi, mentre il partner della ragazza si affrettava a soccorrerla, sentendosi trafiggere dallo sguardo severo dell'insegnante di ballo.
«Sono desolato» si scusò col miglior inglese di cui era capace, abbassandosi all'altezza della donna per porgerle la mano. «Sono stato un vero sciocco, avrei dovuto tenermi ai bordi della pista. La prego di perdonarmi».
La donna gli scoccò un'occhiata veloce, squadrandolo dalla testa ai piedi. Non c'era più alcuna traccia di sofferenza sul suo volto, come se nulla fosse successo. «Non preoccuparti», gli disse rialzandosi sulle sue gambe. «Non è nulla, ma ti consiglio di stare più attento».
«Sicura di stare bene, Naomi?» 
Emmett Brown se ne stava con le mani lungo i fianchi a osservare la scena. La luce fredda delle lampade si rifletteva sulla sua fronte spaziosa, rendendo ancora più evidente il color cenere dei suoi capelli.
«Sì, tutto bene. Ho solo perso l'equilibrio.» Ci vuole ben altro per mettermi fuori uso, sembrava dire. Ma la sua caparbietà non servì a tirare fuori dai guai Light, che adesso era al centro dell'attenzione.
«Ti sei perso, ragazzo?» Emmett Brown parlava con lui, le braccia incrociate al petto. «O sei qui per attentare alla vita dei miei allievi migliori?»
Nonostante il tono bonario, Light restò sulla difensiva. Sta' calmo e sii gentile. «Ecco… sarei interessato a seguire le sue lezioni».
«Sei qui per la prova gratuita o preferisci iniziare col primo trimestre?» 



Per piacere.



«In realtà, sono qui solo per imparare a ballare un lento», finse imbarazzo, scrollando le spalle immedesimandosi nella parte del ragazzo timido. «Vorrei fare una sorpresa alla mia fidanzata, sa. Il problema è che tra meno di una settimana dovrò tornare in Giappone. Ma posso pagare l’intero mese, se necessario».
L’uomo si passò una mano sul volto rugoso e Light pensò che non fosse adatto a una sala da ballo. Il naso aquilino e la giacca di tweed lo facevano sembrare un professore di Storia smarrito in quelle quattro mura.  «Cosa non si fa per una bella ragazza, eh?» Gli dedicò un sorriso di compassione, quasi una pacca sulla spalla mentale. «Potrai usufruire della prova gratuita, non è un problema… ma devo confessarti che sono a corto di dame».


Ma non mi dire.



Fece per aprire la bocca, pronto a proporre una soluzione, quando una terza voce si inserì nella conversazione. «Posso essere d’aiuto».
Light volse la coda dell’occhio alla sua destra. Fu soltanto grazie al suo autocontrollo di ferro che non sobbalzò alla vista della figura ricurva comparsa al suo fianco. Un cespuglio di capelli corvini, spettinati e ribelli, nascondeva un volto pallido e distaccato. Gli occhi erano accompagnati da occhiaie vistose. Il ragazzo cadavere.


Un’altra stranissima coincidenza. 
Ma da quando l’universo era diventato così pigro?


Emmett Brown increspò le labbra con tenerezza. «Sai di non essere una dama degna di questo nome, vero?»
«Naturalmente.» Il ragazzo cadavere portò le mani nelle tasche dei suoi jeans scoloriti, distogliendo lo sguardo dal suo interlocutore, emulando la stessa sceneggiata di Light. «Ma si dà il caso che sia qui per lo stesso motivo. Imparo molto in fretta, e tu potresti prendere due fagioli con una fava».
Bene. Dal modo in cui il ragazzo cadavere si rivolgeva al sosia di Emmett Brown, i due sembravano essere in confidenza. Da quanto tempo si conoscevano? E da quanto era rimasto a godersi la scena prima di entrare in azione?
«Come potresti mai essermi d'aiuto se hai bisogno di lezioni tu stesso?» sputò fuori Light, incrociando le braccia. La sua voce risultò più acida di quanto avesse voluto, e si maledisse mordendosi la lingua. 
«Vi aiuterò io», lo rassicurò l’anziano con un vago gesto della mano. «Faremo finta che si tratti di una lezione di coppia».


Ma fa sul serio?


Light sbarrò gli occhi, incredulo. 
«Qualche problema?» Gli enormi occhi scuri del ragazzo cadavere si incollarono ai suoi. Sembrava volerlo stuzzicare, metterlo alla prova. Ma perché?
Chi diavolo è questo ragazzo?
«Figurati.» Ritrovò la sua spavalderia, pronto ad affrontare anche quell’ennesima seccatura. «Una dama vale l’altra per me».
Lo sentì sospirare. «Avrei preferito qualcuno più preparato, ma suppongo che tu abbia ragione.»
Che faccia da schiaffi.
Un prurito incontrollabile s'impadronì delle mani di Light, ma il ragazzo si impose di rilassarsi, di non cedere a quella stupida tentazione. Prese fiato mentalmente, ricordando di essere ancora sotto lo sguardo vigile di Emmett Brown. «Suppongo che dovrai accontentarti...»
«Ti prego, chiamami Ryuzaki».


Ryuzaki? 
Era Giapponese anche lui? 


Il sopracciglio ramato di Light schizzò verso l'alto, dubbioso. «Mi presenterei volentieri, ma il mio nome è qualcosa che già sai» lo provocò, attendendo impaziente una sua reazione.
«Già» Ryuzaki frugò nelle tasche, estraendo un cellulare. Lo mostrò a Light, tenendolo tra due dita come un maniaco del pulito avrebbe fatto con un calzino sporco. «A proposito, prima deve esserti caduto questo».


Era il suo cellulare. 
Ma quando lo aveva perso?


Light ripensò al piccolo incidente con Naomi e una strana sensazione si impossessò della sua mente. «Non me ne ero accorto».
Ryuzaki lasciò cadere l'oggetto sul palmo aperto di Yagami. «Dovresti fare più attenzione, Light».
Richiuse la mano attorno al cellulare, sentendo l'impulso di controllare lo schermo e sbloccare la schermata. C'era davvero la possibilità che avesse indovinato la sua password e aver frugato tra le sue cose?
E a quale scopo?


«Lo farò.» Le iridi nocciola si inchiodarono sul volto di Ryuzaki, sostenendo quei due pozzi neri indecifrabili, con l'intento di fargli capire con chi aveva a che fare. «Grazie per il consiglio».
Il rumore secco di due mani battute tra loro riportò entrambi alla realtà. Il sosia di Emmett Brown era stato lì per il tutto il tempo, a osservare la scena senza smuoversi di un centimetro. «Bene. Visto che indossate vestiti e scarpe abbastanza adatti, possiamo anche iniziare».



Cosa diamine stava succedendo?






**




Le mani di Ryuzaki erano gelide. Light se ne accorse quando Roger - era quello il vero nome del sosia di Emmett Brown - li aveva istruiti riguardo la giusta postura da assumere. 
Schiena dritta, corpi vicini. Light avrebbe potuto sfiorare il naso di Ryuzaki con una lieve mossa del capo.
Non sapeva dove mettere i piedi. Le loro scarpe da ginnastica beccavano goffamente le une contro le altre, lo spazio vitale invaso dal partner di ballo. Sarebbe stato così spiacevole anche con Misa? 
«Così non va bene.» Roger scosse il capo come un artista contrariato, aggiustandosi meglio la montatura sul ponte del naso. «Tieni la schiena dritta, Ryuzaki!» Lo rimproverò per la sedicesima volta.
«Lo sto facendo», si difese quello, col suo solito tono noncurante. 


Roger sospirò. 


Erano in quella condizione da mezz'ora. Trenta minuti impiegati solo per imparare una stupida posizione. Trenta maledettissimi minuti.
L'insegnante fu costretto ad avvicinarsi e prendere Ryuzaki per le spalle. Gli distese la schiena come un soldatino e lo sospinse verso Yagami. 
La mano destra di Light era poggiata sulla scapola sinistra di Ryuzaki, la sua sinistra era stretta intorno a quella fredda e affusolata del ragazzo. Le dita di Ryuzaki erano avvolte attorno al braccio nella giunzione della spalla del giapponese. 
«Sguardi a sinistra!» li bacchettò nuovamente l'insegnante, scatenando un risolino tra le panchine. 
Light scoccò uno sguardo assassino nella direzione del biondino con quel caschetto orribile. Approfittò dell'afflizione di Roger, che intanto si passava sconsolato una mano sul volto già stanco, per bisbigliare a Ryuzaki: «Comincio a credere che tu e i tuoi amici mi stiate seguendo».
«Sei carino Light, ma il mondo non gira intorno a te», gli sussurrò di rimando, il fiato che cadeva sulla pelle scoperta del diciassette mettendolo a disagio. «Sono qui perché ho perso una scommessa».
«Contro chi l'avresti persa?» domandò per nulla convinto. «Ray Ban, Willy Wonka o il Bianconiglio?»
Ryuzaki si lasciò scappare un breve sorrisino. «Non indovineresti mai».
«Bianconiglio?»
«Gachoon».


C'era qualcosa in Ryuzaki… Qualcosa che Light non riusciva a cogliere, qualcosa che gli sfuggiva e che lo attraeva al tempo stesso.
Ryuzaki era un mistero avvolto in una facciata ingannevole. Light non era uno stolto, sapeva leggere tra le righe e cogliere le provocazioni. 
Ryuzaki stava giocando con lui, utilizzando la sua pronuncia perfetta e quell'atteggiamento indifferente. 
Avrebbe fatto bene a non sfidarlo, o si sarebbe scottato. 


«Adesso… il cavaliere procederà di un passo mentre la dama retrocede, che Dio ce la mandi buona» li guidò Roger, tra un sospiro e l'altro, togliendosi le lenti per massaggiare gli occhi. 
Le indicazioni  erano molto chiare. Light avrebbe avanzato e Ryuzaki avrebbe dovuto seguirlo, ma quest'ultimo si spinse in avanti pestando il piede dell'altro. «Scusa».
«Lo hai fatto apposta!» gli ringhiò, serrando con prepotenza la presa intorno alla sua mano. 
«Ti assicuro che la danza non è proprio il mio campo, Light.» Ricambiò la stretta vigorosa, riprendendo posizione. «Non siamo tutti perfetti come te, d'altronde».



E questo cosa significa?
Che razza di provocazione era mai?



Light si sentì sotto accusa, senza capirne il motivo. Chi diamine era questo ragazzo e cosa voleva da lui?
«Mi piace fare le cose per bene, tutto qui.» Sputò fuori inacidito. «Che male c'è?»
«Chi ha detto che è un male?» ebbe il tempo di sussurrargli, prima che Roger li rimproverasse. «La tua fidanzata è molto fortunata ad avere un ragazzo come te».
Le sue parole si persero nell'aria, coperte dagli ordini scanditi dal disperato insegnante di ballo della Wammy's Moves. Parole che sembrarono voler intendere altro. Parole pronunciate in un impeccabile  giapponese.





 
 ***




 
Uscirono dalla palestra fradici di sudore, le maglie aderenti al petto. L'aria fresca del tardo pomeriggio si adagiava sulla fronte dei ragazzi come una carezza sinistra.
Per la prima volta in tutta la sua vita, Light avvertì l'urgenza di ripararsi da quei brividi immaginari. La mano corse alla tracolla che portava sulla spalla,  serrandosi contro la stoffa.
Quella prima lezione di ballo so era rivelata estenuante se tenuta insieme a quel tipo strambo. Ryuzaki sembrava mettercela tutta per stuzzicarlo, strappargli dalla bocca informazioni di cui nemmeno lui era a conoscenza.
Ryuzaki era strano, a tratti ridicolo con quel suo modo di camminare e le occhiaie ben visibili sulla pelle pallida del viso, ma era senza ombra di dubbio un ragazzo sveglio. Fin troppo.


Era dalla prima volta che si erano visti che Light aveva quella sensazione addosso, il presentimento che nulla fosse mai accaduto per caso tra loro. Si erano incontrati nella stessa caffetteria e Ryuzaki aveva deliberatamente aspettato che fosse solo per avvicinarsi a lui.
Il giorno dopo Sayu aveva trovato nella casella di posta elettronica un messaggio di spam che sponsorizzava un corso di danza tenuto nelle vicinanze dell’hotel. E una volta lì… Light aveva incontrato quel gruppo malassortito di ragazzini e Ryuzaki.


Alzò lo sguardo sulla sua schiena, osservandola con un’intensità tale che per un momento ebbe paura che l’altro se ne sarebbe accorto.
«Mi dirai mai chi sei veramente, Ryuzaki?»
Il ragazzo arrestò il passo, le mani nascoste nelle tasche dei jeans larghi e si voltò verso di lui con uno sguardo indecifrabile. Non disse neanche una parola, gli occhi attenti e fissi sul suo volto, aspettando la sua prossima mossa.  
«Parli fluentemente il giapponese.»
«Ti ringrazio».
«No, non intendevo questo.» Light si contenne dal roteare gli occhi a quello stupido tentativo di sviare il discorso. «Ho come l'impressione che tu non sia sincero con me. È chiaro che vuoi qualcosa».
Ryuzaki lo guardò in silenzio senza battere ciglio. Alcune volte, sembrava un pupazzo inanimato con lo sguardo perennemente puntato su di lui. Uno sguardo eterno, fisso.
«Dici che voglio qualcosa, Light?» Sembrò ragionarci su. «Sì, credo che tu abbia ragione. Me ne accorgo solo adesso.»
Light strinse le labbra. Cosa vuoi, allora? 



Cosa cerchi? 
Chi diamine sei?



«Ora che me lo fai notare, Light, devo dire che mi piacerebbe cenare con te».
Se fosse stato un personaggio di un manga, gli occhi di Light sarebbero diventati due cerchi bianchi e la sua fronte si sarebbe riempita di linee blu.


Ma cos'è, uno scherzo?!


«Cenare con te...» Gli fece eco Light, schioccando la lingua contro il palato secco. «Non so niente di te, neppure il tuo vero nome. Per quanto ne so, potresti essere un serial killer».
Ryuzaki si portò l'indice contro la guancia, grattandosi distrattamente la pelle cadaverica. «Già, temo che tu abbia ragione, Light.» Guardava verso i lampioni, in un punto indefinito della strada. D'un' tratto si voltò e cominciò a incamminarsi lungo la strada.
I suoi amici erano andati via da tempo, circa dalla quarta volta che si erano pestati i piedi a vicenda, beccandosi l'ennesimo rimprovero da parte del povero Roger.
Era solo, tutto solo, e se ne stava andando lasciandolo a bocca asciutta.
 


«Ryuzaki» lo chiamò con fin troppa urgenza, rincorrendolo a grandi falcate. «Aspetta. Posso farti compagnia fino a casa».
Non sapeva chi fosse quel tipo daicapelli perennemente scarmigliati e l’espressione apatica, ma c’era una parte di lui che voleva conoscerlo. Per quanto lo infastidisse, quel giochetto psicologico che sembrava adoperare con lui, lo stuzzicava. Voleva dimostrargli di essere l’altezza, di sapergli tenere testa.
Non sarebbero bastati dei passi di danza e delle domandine inopportune a farlo capitolare. Oh no, caro Ryuzaki, pensò. Serve molto più.
Le scarpe consumate s’inchiodarono all’asfalto, come se non aspettassero altro. Le mani nascoste nelle tasche dei jeans e lo sguardo rivolto dinanzi a sé. Ryuzaki non si scomodò nemmeno a lanciargli una piccola occhiata. «Ma come, Light», lo incalzò canzonatorio. «Rischieresti davvero di restare solo con un possibile serial killer?»
Non se l’aspettava.
Light fu colto alla sprovvista da quella provocazione sfacciata. Avrebbe potuto sbuffare una risata, dirgli che stava scherzando e che era fin troppo permaloso. Avrebbe potuto rispondergli  a tono, dicendogli che gli piace correre rischi inutili.
E invece rimase impalato come un perfetto imbecille, guardandolo andare via.
Lo aveva fregato.




Dannato lui e quella stupidissima cena!
 
 








 
Ok, scrivere questo capitolo è stato un vero parto.
Ovviamente appartiene alla serie "Era Meglio Nella Mia Testa".
Non so nulla di ballo, quindi tutte le informazioni sono stata bellamente scopiazzate da internet.
Non ho potuto fare a meno di notare delle piccole somiglianze tra Emmett Brown e Roger, sorry. 
Gachoon dovrebbe essere una terminologia slang giapponese che indica sorpresa. (Almeno questo dice internet).
Sul serio, non so cosa pensare di questo capitolo, spero quanto meno che sia decente.

Grazie a chiunque sia arrivato fin qui. Grazie per aver letto e grazie per aver aggiunto la storia nelle seguite. 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3853096