Un Alfa. Un Omega. di mikimac (/viewuser.php?uid=775246)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Futuro incerto ***
Capitolo 2: *** Il contratto ***
Capitolo 1 *** Futuro incerto ***
Futuro incerto
Le
fotografie relative al ballo avevano scatenato in John sia rabbia, per
il comportamento di Wilkins, sia ricordi divertenti e rimpianti.
Malgrado Paul non avesse mai rimproverato al figlio di avere rovinato
il ballo né gli avesse mai rinfacciato di non avervi
partecipato, anzi avesse compreso e approvato il suo comportamento,
John non poteva non pensare che il papà fosse dispiaciuto per
non avere mantenuto la promessa fatta alla madre.
Una leggera folata di vento
scostò la tenda bianca, facendole accarezzare il volto stanco di
John, che alzò lo sguardo e lo fissò sul marito, sempre
intento a lavorare sulle arnie. Sherlock era capace di trascorrere ore
a prendersi cura delle sue api. Era una cosa che lo rilassava e che gli
permetteva di allontanare la mente dal pensiero dell’imminente
morte del marito. John provò una fitta al cuore. Avrebbe dato
qualsiasi cosa per evitare a Sherlock il dolore per la sua dipartita,
ma era già stato tutto scritto nel libro del destino. Sapevano
quanto tempo fosse rimasto a John da vivere dal giorno della nascita di
Rosie. Nessuno poteva fare qualcosa per cambiare il futuro
dell’Omega. John non aveva rimpianti. Aveva vissuto una vita
piena e appagante. Non avrebbe cambiato nulla. Non tutti potevano
affermarlo con altrettanta sicurezza.
Il medico
sospirò e riprese a guardare
le fotografie dell’album. Lasciò passare quelle relative
alla fine della loro adolescenza, con i compagni delle superiori e i
primi passi nella vita indipendente. Dell’università e
dell’esercito. Si soffermò, invece, su un’immagine
che ritraeva John e Sherlock. Era la loro prima fotografia insieme ed
era la testimonianza del loro primo incontro ufficiale. Sia Sherlock
sia John erano seduti a una scrivania e stavano firmando
l’accordo matrimoniale.
Futuro incerto
Era dall’alba che una
pioggerella fastidiosa bagnava Londra, rendendola grigia e triste. Da
quando era stato congedato dall’esercito ed era tornato a vivere
nella capitale inglese, sembrava che il sole si fosse rifiutato di
scaldare la città adagiata sulle sponde del Tamigi. John Watson
era stato ferito a una spalla, quando la sua squadra era caduta in una
imboscata durante una missione di soccorso. Il medico Omega aveva
rischiato di morire, ma gli era andata bene. Meglio che a David
Harrods, morto per un colpo sparato da un cecchino, che lo aveva
raggiunto in piena fronte. Meglio che a Oscar Ballard, che era stato
colpito alla spina dorsale e che ora giaceva immobile su un letto
d’ospedale. Meglio che a Peter Orwell, che aveva perso una mano.
John non poteva lamentarsi. Era vivo. Nemmeno troppo danneggiato. I
suoi colleghi medici avevano stabilito che fosse in grado di procreare,
quindi poteva ancora trovare un Alfa che si accontentasse di sposare un
Omega claudicante e con una mano tremante, pur di avere una
discendenza. John sarebbe stato costretto a trasformarsi in quel tipo
di Omega debole e dipendente dal suo Alfa, che tanto aveva disprezzato
da ragazzo.
Sì.
John Watson era ancora vivo e poteva
lasciare ai posteri una propria discendenza. Non poteva lamentarsi,
perché altri non erano stati così fortunati. Però
John non si sentiva fortunato. John avrebbe preferito essere morto.
Il palazzo si trovava in una delle
zone più eleganti di Londra. Era antico, ma molto curato. Il
rinomato studio legale ne occupava il terzo e ultimo piano. Gli uffici
erano arredati in modo elegante e austero, ma i locali erano luminosi,
rendendo l’atmosfera meno opprimente. Una grande vetrata
permetteva di ammirare il Palazzo di Westmister, da cui
l’edificio non era molto distante. John e Richard erano seduti
nella sala d’attesa. Padre e figlio non si parlavano, ognuno dei
due immerso nei propri pensieri.
Richard Watson era diventato vedovo
molto giovane e si era risposato, come facevano molti Alfa, da sempre.
Aveva formato una nuova famiglia, con una Omega, da cui aveva avuto due
figli, due gemelli. John era entrato nell’esercito il giorno dopo
il secondo matrimonio del padre. Il giovane Omega sapeva che Richard
non poteva rimanere vincolato alla memoria del marito morto per il
resto della sua vita. Paul stesso non lo avrebbe mai voluto. John
aveva, però, compreso che la nuova compagna del padre si sentiva
in competizione con il fantasma del primo marito e che la sua presenza
non era particolarmente gradita. Geraldine Keller era una donna di
trentacinque anni, quando lei e Richard si erano sposati. Era
considerata una Omega vecchia, ma era già stata sposata, senza
avere generato figli. Dopo cinque anni di inutili tentativi, il primo
marito aveva preteso l’annullamento del matrimonio, accusando
l’Omega di essere sterile. Malgrado le analisi cliniche avessero
dimostrato che il marito si sbagliava, l’Alfa era riuscito a
ottenere ciò che voleva, sposando un’altra Omega dopo
pochi giorni dalla fine del primo matrimonio. Quando a Richard era
stata proposta l’unione con Geraldine, aveva accettato di
sposarla per rispettare la legge sulla procreazione. Non gli importava
avere altri figli. Gli sembrava giusto aiutare una Omega che era stata
denigrata e ripudiata da chi avrebbe dovuto prendersi cura di lei.
Geraldine e Richard erano legati da un sentimento di stima e rispetto
reciproci, ma nulla di paragonabile all’amore che l’Alfa
aveva provato per Paul.
Non volendo essere un perenne
memento del primo coniuge o della incapacità della donna di
avere figli, John aveva deciso di vivere la propria vita in modo
indipendente dalla nuova famiglia del padre. Era entrato
nell’esercito e partito per l’estero. Dopo alcuni mesi, il
secondo matrimonio di Richard era stato allietato dalla nascita dei
gemelli, Cole e Clara, entrambi Alfa. John aveva conosciuto i suoi
fratellastri e intratteneva cordiali rapporti con il padre e la sua
seconda famiglia, ma non li frequentava troppo, anche dopo il rientro
in patria. L’Omega aveva deciso di vivere in un alloggio gestito
dall’esercito, che ospitava i militari congedati, in attesa che
trovassero un compagno.
John era stato dimesso
dall’ospedale da circa un mese e stava facendo ancora terapia,
sia fisica sia psicologica, quando aveva ricevuto una lettera dal
prestigioso studio legale Shatner, Steward, Brooks & Soci in cui
era ufficialmente formulata una proposta di matrimonio. L’Omega
ne era rimasto molto sorpreso, perché non aveva ancora
presentato domanda per essere inserito nel programma di ricerca per un
compagno. Forse John avrebbe cestinato l’invito, ma in indirizzo
c’era anche il padre, che fu felicissimo di sapere che il figlio
aveva trovato qualcuno interessato a lui, malgrado non fosse il
più integro degli Omega.
Richard aveva insistito per essere
presente. Era pur sempre il padre di John e non avrebbe mai lasciato
solo il figlio ad affrontare un Alfa di cui non sapeva nulla. Voleva
essere sicuro che chiunque egli fosse, si prendesse buona cura del suo
primogenito e che fosse degno di lui.
John era stato costretto ad
accettare di sposare un Alfa perché era tutto ciò che
poteva fare, come Omega. L’unico modo che aveva per essere ancora
utile al suo paese, era mettere al mondo i figli di un perfetto
sconosciuto. John si era chiesto chi e come potesse essere il suo
futuro marito. Se si era rivolto a uno studio legale, doveva essere
stato costretto al matrimonio quanto lui. La legge prevedeva che,
arrivati ai ventisette anni senza avere trovato un compagno e/o avere
generato almeno un erede, Alfa e Omega fossero costretti a contrarre
matrimonio. La specie doveva essere salvaguardata, a qualsiasi costo.
Esistevano agenzie e studi legali che si occupavano di accoppiare
questi Alfa e Omega solitari. Poteva capitare che questi matrimoni si
risolvessero in unioni felici. Era meno raro di quanto si pensasse.
Geraldine e Richard ne erano una prova. Bisognava essere fortunati,
certo. John, però, negli ultimi tempi, non si sentiva molto
fortunato. Inoltre, un Alfa suo coetaneo che non avesse trovato un
Omega da giovane, doveva sicuramente avere qualche difetto. Di aspetto?
Di carattere? Di passato burrascoso? Non certo di soldi, stando allo
studio legale, che avrebbe curato il loro contratto matrimoniale.
Una voce tranquilla e melodiosa
distrasse John dai propri pensieri. Lo sguardo dell’Omega cadde
su due uomini, in piedi davanti alla scrivania della segretaria addetta
all’accoglienza dei clienti. Erano sicuramente due Alfa.
L’aspetto fisico e il linguaggio del corpo non potevano certo
essere fraintesi. Non in quei due uomini. Alti quasi uguali, potevano
avere una decina di anni di differenza. Il più vecchio dei due
aveva i capelli scuri, con riflessi rossicci e indossava un abito
grigio a tre pezzi di fattura sartoriale. Sembrava che si fosse vestito
pochi secondi prima di entrare nello studio legale, perché
l’abito non aveva una piega. La mano destra stringeva un ombrello
nero, in modo svogliato. Il più giovane era alto e molto magro.
Era avvolto in un lungo cappotto nero, con il bavero alzato, sopra a
pantaloni e giacca anche loro neri e una camicia bianca con i primi due
bottoni aperti. Aveva una massa di capelli ricci e neri indisciplinati.
Guardava il cellulare in modo irritato, quasi gli avesse fatto un
qualche affronto, e ignorava caparbiamente il resto del mondo, come se
lui non fosse stato lì.
“Mycroft e Sherlock Holmes.
Abbiamo un appuntamento con l’avvocato Steward,” aveva
detto il più vecchio.
La segretaria era un’Alfa di
mezza età, con capelli corti e neri, che stavano mostrando i
primi fili grigi, ed era vestita elegantemente, con un tailleur blu
scuro. Controllò lo schermo del computer e destinò
all’uomo un sorriso cordiale: “Certo, signor Holmes, si
accomodi pure,” rispose, indicando con la mano quale corridoio
dovessero prendere per andare all’ufficio desiderato. I due
uomini si avviarono verso la loro destinazione. L’ingresso
tornò a essere vuoto e silenzioso. Trascorsero pochi minuti e il
telefono della segretaria squillò: “Sì, avvocato
Steward? … Sì, sono già arrivati. … Li
faccio accomodare,” riferì, riattaccando. Si alzò
con un movimento aggraziato e si diresse verso i Watson. Sempre con un
sorriso cordiale sulle labbra, si rivolse direttamente a John:
“Dottor Watson? Si può accomodare. L’avvocato
Steward la sta aspettando. Il suo ufficio è il secondo a destra,
nel corridoio a destra.”
John si alzò, appoggiando il
peso sul bastone che usava per camminare, ricambiando il sorriso:
“Grazie.” Padre e figlio si avviarono verso l’ufficio
in cui li attendeva il futuro di John.
Angolo dell’autrice
Pronti al primo incontro fra Sherlock e John? Spero di sì, perché vi attende domenica prossima, sempre qui.
So che i capitoli possono sembrare
un po’ brevi, ma io non amo i capitoli troppo lunghi. Portate
pazienza, ma data la mia veneranda età, leggere a lungo su un
supporto elettronico mi crea sempre qualche problema.
Grazie a chi stia leggendo la serie
e i singoli racconti. Grazie a chi stia segnando in qualche categoria i
racconti di questa serie un po' anomala.
Grazie a emerenziano per il commento all'ultimo capitolo di "Primo contatto".
Se qualcuno volesse lasciare un commento, sarebbe sempre benvenuto.
Alla prossima settimana.
Ciao!
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Capitolo 2 *** Il contratto ***
Il contratto
La porta
davanti cui si trovarono Richard e John Watson era di legno chiaro, con
delicati intarsi, appena visibili. Con il cuore in gola, il giovane
Omega bussò leggermente. Una voce sicura rispose:
“Avanti.” John aprì la porta ed entrò,
seguito dal padre. Lo studio era grande e luminoso. Due vetrate,
proprio di fronte a John, permettevano alla luce naturale di entrare e
illuminare una stanza arredata con pochi mobili di legno chiaro. Oltre
a una scrivania, con intorno alcune sedie, c’erano un paio di
mobili bassi disposti ai lati dell’ingresso. Sulle pareti, alcune
riproduzioni di quadri di autori impressionisti contribuivano a rendere
accogliente l’ufficio. All’interno c’erano tre Alfa:
i due uomini appena arrivati, che si erano presentati come Mycroft e
Sherlock Holmes, e un uomo sulla sessantina, con i capelli brizzolati.
Quest’ultimo era basso e in sovrappeso. Si alzò dalla
scrivania e andò verso padre e figlio, porgendo la mano e con un
sorriso sincero sulle labbra: “Benvenuto, dottor Watson, sono
l’avvocato Brian Steward. È sempre un piacere conoscere un
giovane Omega e contribuire a formare una nuova famiglia.”
John strinse la mano e si sentì perforato dallo sguardo del
più giovane degli Holmes. Anche gli altri due Alfa si erano
alzati e si erano spostati dalle sedie per salutare i nuovi arrivati.
Prima che chiunque potesse aggiungere qualcosa, Sherlock sbottò
sorpreso: “Io la conosco! Lei era il ragazzo che si è
presentato al Ballo della Casa delle Anime Gemelle di Wilkins con la
divisa da rugby e coperto di fango!”
John osservò meglio il giovane Alfa e non poté non notare
i suoi occhi, di un azzurro chiarissimo: “Non credo che qualcuno
si sia presentato a un ballo con la divisa da rugby molto spesso,
quindi penso che lei fosse presente la sera in cui avrei dovuto
parteciparvi io. Non posso che dichiararmi colpevole,”
ridacchiò, senza distogliere lo sguardo e per nulla imbarazzato.
“Afghanistan o Iraq?” Domandò Sherlock, con una smorfia irriverente sulle labbra.
John aggrottò la fronte, leggermente confuso: “Come?”
Il contratto
“La sua abbronzatura. Non è quella di uno che è
appena rientrato da una vacanza. Si vede chiaramente che non stava
prendendo il sole in costume da bagno, ma che indossava qualcosa, che
la copriva fino a un certo punto. Il modo in cui tiene la schiena,
rigidamente dritta, è tipico di un militare. Quindi deve essere
riuscito a realizzare il suo sogno. Ricordo benissimo che quella sera
ha detto di volere diventare medico ed entrare nell’esercito. Ha
raggiunto entrambi i suoi obbiettivi. Le sue mani e le sue dita hanno
alcuni calli, che si formano solo con l’uso abituale di un
bisturi. Come ufficiale medico ha svolto più di una missione
all’estero. Gli unici posti in cui attualmente abbiamo delle
truppe di stanza in località che permettono quel tipo di
abbronzatura sono l’Afghanistan e l’Iraq. Quindi, dove
è stato?”
John fissava Sherlock a bocca aperta. L’Alfa aveva esalato tutta
la sua spiegazione in un solo fiato, con voce bassa e lineare, parlando
velocissimo: “Fantastico. Come ha fatto a indovinare
tutto?” mormorò l’Omega.
“Non ho indovinato nulla. Lo ho dedotto.
Bisogna solo osservare attentamente quello che si ha davanti.
Può farlo chiunque abbia un paio d’occhi e un cervello
moderatamente funzionante,” sbottò Sherlock, piccato.
“Davvero meraviglioso. È stato molto bravo,”
ribatté John, ignorando volutamente l’atteggiamento
arrogante di Sherlock. Per l’Omega era affascinante sentire e
vedere quell’uomo bellissimo, mentre congiungeva i puntini che
componevano la sua vita.
Sherlock sussultò, impercettibilmente sorpreso: “Davvero?”
“Afghanistan,” sorrise John.
“La zoppia è chiaramente psicosomatica. Dove è
stato ferito, veramente?” Sherlock riprese il proprio studio di
John, visibilmente soddisfatto della piega che stava prendendo il loro
colloquio.
“Alla spalla sinistra. Mi è rimasto un tremore che mi
impedisce di operare. Nessuno si fida di un medico chirurgo che non
abbia una mano ferma. – rispose John, inclinando la testa,
divertito – Come ha capito che la zoppia è
psicosomatica?”
“Appoggia il peso per lunghi periodi sulla gamba destra, cosa che
non dovrebbe fare, se lei fosse veramente menomato a quell’arto.
Evidentemente, si dimentica di essere zoppo, quando il cervello rimuove
la causa psicologica del tuo disturbo.”
“Così sembro un po’ pazzo, ma non pericoloso,” sogghignò John.
“La mente agisce in modi imperscrutabili. Spesso mentiamo
più a noi stessi che agli altri, così il cervello
è costretto a ricordarci che non possiamo sempre
nasconderci,” sentenziò Sherlock.
John strinse gli occhi, ma le labbra erano piegate in un leggero
sorriso: “Sta dicendo che sono un vigliacco e mi nascondo dietro
a una menomazione, pur di non affrontare la verità?”
“Non penso che lei sia un vigliacco. Credo che si trovi in una
situazione che non riesce ad accettare, ma da cui non sa come uscire,
quindi trasferisce questa menomazione su una parte del corpo. È
stato congedato con onore dall’esercito, ma, una volta tornato in
patria, non hanno trovato nulla di meglio da farle fare che sposare un
Alfa qualunque, invece di sfruttare le sue indubbie
qualità,” c’era una specie di rabbia soppressa,
nella voce di Sherlock, che John non riusciva a comprendere:
“L’Alfa qualunque sarebbe lei. Come ho detto prima, un
chirurgo che non abbia una mano ferma, è un medico inutile. Un
matrimonio è la mia unica e ultima occasione per servire il mio
paese. Io non ho una fila di Alfa che attendano di ingravidarmi.
Entrambi abbiamo la facoltà di rifiutare questo contratto, se
non siamo convinti della persona che ci viene proposta. Nessuno ci
obbliga a fare qualcosa che non vogliamo,” ribatté, sulla
difensiva.
“Non comprenderò mai la nostra società e le sue
stupide regole. Solo perché è stato ferito ed è un
Omega, quei geni dei nostri militari ritengono che lei non abbia
più alcuna utilità e che non possa più servire
come ufficiale medico, la scaricano con una pacca sulla spalla e una
medaglia puntata al petto e la rispediscono alla vita civile, forse con
un grazie. E qui, è costretto a sottostare alle regole ancora
più stupide della nostra cosiddetta società civile, che
la vuole obbligatoriamente sposato e ingravidato,” ringhiò
Sherlock.
“Non siamo venuti qui per discutere degli usi e costumi della
nostra società, fratello caro. – sospirò in tono di
rassegnata sopportazione Mycroft Holmes – Tu e il dottor Watson
dovete decidere se firmare il contratto di matrimonio e metterlo in
essere al suo primo Calore. Pensate di procedere?”
Sherlock si voltò verso il fratello, ancora più furioso: “Che cosa dovrei fare, secondo te, fratello caro? Guardare i suoi denti per vedere se sia un cavallo di razza adatto a partorire i nostri eredi?”
“Sherlock ha ragione. Questa non è una decisione da
prendere così, su due piedi. Dovremmo lasciare ai ragazzi un
po’ di tempo per parlare e stabilire se potrebbero riuscire a
convivere,” intervenne Steward, diplomaticamente.
L’avvocato conosceva gli Holmes da vari anni. Philip Holmes era
uno dei suoi più cari amici, oltre che padrino del suo
primogenito. Steward aveva gestito anche il contratto che aveva legato
Gregory Lestrade a Mycroft Holmes. Sapeva benissimo quanto potessero
essere particolari i figli di Philip. Aveva sentito raccontare di Alfa
furiosi, dopo essere stati analizzati e svergognati dal più
giovane degli Holmes. Questo Omega non sembrava offendersi per le
deduzioni di Sherlock. Anzi. Ne sembrava affascinato. Poteva essere la
scelta giusta. Notò la titubanza di Richard Watson, nel lasciare
il figlio solo con un Alfa sconosciuto: “Potremmo andare
nell’ufficio accanto. Mentre i ragazzi fanno conoscenza, noi
avremo il tempo di leggere il contratto, in modo da vedere se ci siano
eventuali cambiamenti da apportare, prima della possibile firma,”
propose, in tono rassicurante.
“Credo che sia un’ottima idea,” John sorrise al padre.
“Chiama, se hai bisogno. Arriverò immediatamente,” ribatté Richard.
“Non ho intenzione di saltare addosso a suo figlio e violentarlo!
– sbottò Sherlock, in tono offeso – E, comunque,
sono sicuro che John riuscirebbe a mettermi al mio posto prima ancora
che lei avesse il tempo di alzarsi dalla sedia.”
“Di questo può esserne maledettamente certo,”
ridacchiò John, guardando il padre affinché non
rispondesse al giovane Holmes. Non era il caso che si mettessero a
discutere. Richard fissò i due giovani, stringendo le labbra.
Non aveva dubbi sul fatto che John potesse difendersi da solo. Era la
sua anima Alfa, che lo spingeva a voler difendere il figlio Omega, pur
sapendo che non ne avesse bisogno. Aveva la spiacevole sensazione di
non svolgere bene la propria funzione di padre, se non restava a
sorvegliare quell’Alfa arrogante e saccente, mentre John
affrontava i primi approcci con il suo futuro consorte. Infine, Richard
decise di non mortificare il figlio, ostinandosi a rimanere, come se
lui non fosse in grado di difendersi: “Lasceremo la porta aperta.
Se il signor Holmes dovesse comportarsi male, cerca di picchiarlo senza
lasciargli troppi segni. D’accordo, John?” Sorrise, anche
se non era convinto di fare la scelta giusta.
“D’accordo, padre,” ricambiò il giovane Omega.
I tre Alfa uscirono dalla stanza, lasciando soli John e Sherlock.
Il silenzio invase l’ufficio, appena disturbato dai rumori della
città, attutiti dagli spessi vetri delle finestre. John e
Sherlock si studiavano reciprocamente, ma non in modo ostile. Si
osservavano, cercando di indovinare i pensieri l’uno
dell’altro dall’atteggiamento tenuto dal corpo di ognuno
dei due.
“Io sono un pessimo coinquilino. – esordì Sherlock
– Suono il violino in orari ritenuti disdicevoli dal comune senso
civile, dico sempre schiettamente ciò che penso e sono capace di
non parlare per ore o giorni, quando sono impegnato in un caso.”
“Impegnato in un caso? Che lavoro fa?”
“Sono l’unico Consulente Investigativo esistente al mondo.
Il lavoro lo ho inventato io stesso,” rispose l’Alfa, con
gli occhi brillanti per l’orgoglio.
“Che cosa fa un consulente investigativo?” Domandò John, curioso.
“Aiuto Scotland Yard a risolvere casi complicati, per i loro
cervelli limitati, e posso essere assunto anche da privati cittadini
per svolgere indagini di ogni tipo. Non mi occupo di tradimenti
coniugali, quelli sono tediosi. Preferisco investigare su omicidi o
rapine, perché sono reati commessi dai criminali più
intelligenti e interessanti, ma capita che si presentino alla mia porta
privati con problemi intriganti. Mi servono per tenere in allenamento
il cervello. Per non annoiarmi. Io mi annoio molto facilmente. Ho poca
pazienza,” terminò Sherlock, scrollando le spalle,
noncurante.
“Io litigo con le casse automatiche e soffro di incubi. Di notte
posso svegliarmi urlando. Mi arrabbio molto facilmente e, quando sono
furioso, posso reagire anche in modo violento,” sospirò
John.
Sherlock aggrottò la fronte, interdetto: “Come?”
“E non so cucinare. Né amo troppo pulire la casa,” continuò l’Omega.
“Non capisco…”
“Ci stiamo confidando i reciproci difetti, no? Lo trovo un
approccio sensato. Dobbiamo valutare se sposarci o meno. Mi sembra
giusto conoscere i difetti l’uno dell’altro. È
l’unico modo per prendere una decisione quantomeno ponderata.
Visto che ci stiamo confessando, aggiungo che non voglio fare il
casalingo. Non ho intenzione di chiudermi in casa ad allevare i
suoi… nostri figli. Io voglio lavorare, non voglio dipendere da
lei in tutto e per tutto. voglio prendere uno stipendio ed essere
libero di gestire i miei guadagni,” affermò John, in tono
deciso, appoggiandosi al bastone con entrambe le mani e guardando
Sherlock dritto negli occhi, sfidandolo a dirgli che non avrebbe
accettato questa condizione imprescindibile per il loro contratto
matrimoniale.
Le labbra dell’Alfa si stirarono in un lieve sorriso compiaciuto:
“Mio fratello ha tanti difetti, ma non posso dire che non mi
conosca bene. Quando mi ha detto che dovevo sposarmi e che aveva
trovato l’Omega, con cui mi sarei unito, avevo paura che mi
volesse costringere a legarmi a qualcuno bisognoso di attenzioni e
cure. Invece, ha scelto lei. Indipendente, deciso e combattivo. Non mi
sorprenderei se scoprissimo che Mycroft la abbia tenuto d’occhio
dalla sera del ballo alla Casa delle Anime Gemelle. Mi aveva colpito
già allora. Quella sera ha avuto un grande coraggio a
presentarsi al ballo conciato in quel modo e sbandierare quali fossero
i suoi sogni reali, sbugiardando quello stupido di Wilkins e tenendogli
testa.”
“Non avevo molta scelta. Stavo lottando per il mio futuro. Non
potevo permettere che ci fossero dei fraintendimenti,” John
scrollò le spalle.
“Infatti, è questo che voglio dire! Lei ha lottato per il
suo futuro. Ci sono Omega che si sarebbero piegati alla volontà
dell’Alfa, rinunciando ai propri sogni. Io non voglio un compagno
di cui preoccuparmi o da accudire. Voglio qualcuno che non abbia
veramente bisogno di me. Credo fermamente che i sentimenti siano una
debolezza e che offuschino l’intelligenza, quindi non sono
interessato a trovare il grande amore. Non posso giurarle che la nostra
unione si trasformerà in un eterno amore. Però posso
prometterle di rispettarla, di trattarla come un mio pari e di non
tarparle le ali. Vuole lavorare? Io non ho nulla in contrario. Anzi!
Lei è un medico. Un ex militare. Potrebbe persino essermi utile
per il mio lavoro, se le può interessare. Di questo,
però, parleremo quando saremo sposati. Se lei vuole, possiamo
unire le nostre cosiddette solitudini e adeguarci alle stupide leggi
del nostro paese. Io credo che potremmo riuscire a costruirci una
convivenza accettabile per entrambi. Che cosa ne pensa?” Concluse
Sherlock, infervorato.
John lo osservava, valutando attentamente quello che stava sentendo.
Non poteva dire che non fosse affascinato da quello strano Alfa. Era un
bell’uomo. Era ricco. Gli stava promettendo ciò cui lui
anelava. Indipendenza. Rispetto. Accettazione.
“Se io dovessi accogliere la sua proposta, pretenderò di
mettere tutto nero su bianco. Lei è disposto a firmare un
contratto matrimoniale che preveda una tale indipendenza da parte mia?
Che mi permetta di lavorare e di amministrare personalmente ciò
che guadagnerò con il mio lavoro? Se, una volta sposati, lei non
rispetterà questa clausola, io mi rivolgerò a un avvocato
e me ne andrò così velocemente che nemmeno il suo potente
e invadente fratello potrà fermarmi,” rispose John, in
tono deciso.
Sherlock allungò una mano: “Più che disposto,” disse in tono sicuro.
John abbassò lo sguardo dagli occhi di Sherlock alla mano che
gli veniva porta. La osservò come se la mano potesse brucialo.
Come se fosse il suo peggior nemico o la rappresentazione del suo
peggior incubo. Stringerla significava accettare il contratto. Non
sarebbe stato solo Sherlock ad esserne vincolato, ma anche lui.
Adempiere alle clausole comprendeva fare sesso con Sherlock e mettere
al mondo i suoi figli. Poteva pretendere o sperare in qualcuno migliore
dell’uomo che aveva davanti? John conosceva la risposta. Prese la
mano di Sherlock e la strinse, tornando a guardarlo negli occhi:
“Accetto.”
L’Alfa sorrise soddisfatto: “Io mi chiamo Sherlock Holmes. È un onore e un piacere conoscerti.”
“Io mi chiamo John Watson. L’onore e il piacere sono tutti miei.”
Quello fu l’inizio della loro storia. Il momento in cui due
solitudini si erano riconosciute e avevano deciso di unire le forze per
affrontare il futuro. Nessuno dei due era preparato a ciò che
sarebbe accaduto né lo avrebbe mai previsto.
Angolo dell’autrice
In primo luogo, mi sono dimenticata il declamair
all’inizio dello scorso capitolo. Che cosa volete farci?
L’età avanza e con essa aumentano le dimenticanze. Quindi
lo faccio ora.
I personaggi non mi appartengono, questo racconto non ha scopo di lucro e spero tanto che non ne ricordi altri.
Ora posso ringraziare chi sia arrivato qui a leggere, chi stia seguendo
la serie e segnando in una qualche categoria questo e gli altri
racconti.
Grazie a tutti e a domenica prossima per un altro racconto.
Ciao!
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