New Orleans

di Loop
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part two - Chapter I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Part one - Chapter I ***
Capitolo 4: *** Part one - Chapter II ***
Capitolo 5: *** Part One - Chapter 3 ***



Capitolo 1
*** Part two - Chapter I ***


New Orleans Note dell'autrice:
Bene bene. Chi non muore si rivede. E grazie a dio non è morto ancora nessuno da queste parti.
Dunque. Ci siamo un po' tutti resi conto di recente che ho una irrimediabile e un po' inquietante fissa per New Orleans e dintorni, e così, al posto di scimunirmi su altre possibili ambientazioni, ho adottato la filosofia let it be e tanti cari saluti. E ho deciso di cominciare un'altra storia ambientata da quelle parti. Diciamo che medito a una raccolta di storie, ma come sappiamo che i miei progetti megalomani approdano come il Titanic sempre sani e salvi, ignoreremo quest'ultima affermazione e cercheremo solo di sperare che questa duri.
Quando una storia mi piace lo sento: con House Of The Rising Sun, che ho postato, cancellato, e che a breve riposterò come storia parallela a questa, è stato amore. Con quest'altra che vi apprestate a leggere altrettanto.
Solo, non vi aspettate ordine e chiarezza. Francamente, non credo di esserne capace. Ed ecco, le storie si distingueranno in parti: questa ad esempio è la seconda perchè la prima è un'altra storia - quella a cui mi riferivo sopra - che posterò forse il prossimo capitolo forse i prossimi tre forse mai ma spero di no.
Spero vi piaccia, ragazzi.
Buona lettura.










New Orleans - part two


Chapter 1




"Era ora che ci venissi a trovare. Sai quanto tempo è che non ti vedevo?"
La sabbia fresca accarezza i piedi; il mare, quasi bianco, bacia l'alba sulla linea dell'orizzonte.
"No, effettivamente no. Ha importanza?"
"Potrei offendermi per questo."
Santiago ride piano, a bassa voce, e scuote un poco la testa. E Isabel lo guarda, e il sole le schiarisce gli occhi neri.
"Come vanno le cose qui?"
"Come al solito. New Orleans è quasi la stessa da trecento anni."
"I ragazzi?"
"Tutti contenti che è arrivato zio Santi. Il piccolo vuole che gli insegni a suonare quel coso che ti porti dietro. E ha intenzione di corromperti con dei biscotti."
"Quel coso sarebbe il violoncello?"
"Si. Il coso. La chitarra strana."
Stavolta Santiago ride davvero, e la voce arriva fonda, densa, e si sparge nell'aria.
"Almeno sono biscotti fatti in casa?"
"Certo che no. Non ho intenzione di mettermi a fare biscotti per te, razza di disgraziato."
"Mio dio quanto ti sei inacidita. Cos'è, la menopausa?"
Isabèl sospira e guarda il cielo, e lo vede sciogliersi, impallidire. Abbassa gli occhi, e guarda la sabbia bianca dove cammina.
"Quanto hai intenzione di rimanere?"
"Non lo so. Mi caccerai?"
"Come minimo."
"E' bella New Orleans. E' davvero bella. Sai, mi piacerebbe rimanerci."
"E perchè non rimani?"
La voce s'incrina, si fa buia; Isabèl alza la testa e lo guarda coi suoi occhi neri che il sole non schiarisce più.
Ma Santiago non sa cosa rispondere. Non davvero. Ci sono mille cose che lo portano per il mondo. E nessuna è la vera ragione. Potrebbe essere che ce l'ha nel sangue, che è una questione di inclinazione. Anni fa ne era certo. Eppure l'odore di mare appanna la mente, e non c'è più chiarezza, non ci sono più motivazioni valide.
Santiago viaggia perchè non ha una casa. Non tutti sono capaci di costruirsela. Santiago la cerca perchè non è capace di costruirne una da solo.
E' arrivato ieri notte da Damasco, ha portato con se le sue foto e il violoncello, e qualche brandello di maglia ridotta da far impressione. Ha chiamato sua sorella e le ha detto ' Ti vengo a trovare domani ' e ha dormito fino all'alba.
Isabèl lo sapeva che sarebbe arrivato presto perché certe cose non cambiano mai, e i biscotti li aveva già preparati prima che glielo chiedesse suo figlio.
Anche Gabriel è spaventosamente mattiniero, e li aveva impastati con lei; e anche lui adora i biscotti al cioccolato, e metà impasto l'ha mangiato prima che Isabèl l'infornasse.
E qualche volta, nei suoi occhi, c'è quella luce dolceamara, quell'arancione ardente che aveva da bambino suo fratello. Ed è confortante, a volte, ritrovare in quel viso i suoi tratti. E a volte fa paura.
"Quanti anni ha Gabriel?"
"Cinque"
"E vuole che gli insegni a suonare il violoncello? Stai scherzando? Sa almeno dirlo, 'violoncello'?"
"Si cretino. Suona già la chitarra e i suoi insegnanti sono tutti molto impressionati. Te l'ho detto che ha cominciato a parlare a nove mesi?"
"Non ci credo."
"E non crederci."
"E gli altri ragazzi?"
"Jaime è la solita testa calda. Come tuo padre."
"E come te."
"..e Federico si è innamorato dei libri. E' impressionante la velocità con cui li legge. Quasi quanto il caos che c'è in camera sua."
"Povero ragazzo.." Santiago ride, al ricordo della sua di stanza, e una sorta di solidarietà lo scalda.
"E Remedios beh, continua a fare sogni strani. Sai, credo che abbia ereditato le doti della mamma, te lo ricordi?"
"Mi ricordo le saliere che camminavano sul tavolo. Le tue saliere come stanno di recente?"
"Ogni tanto tremano. Dici che devo preoccuparmi?"
"No. La mamma diceva che non c'era da aver paura."
"La mamma sapeva gestirle, certe cose."
"Imparerà anche lei. E' bella proprio come la mamma, Remedios. Ha anche i suoi occhi."
"Già, gli occhi gialli come quelli dei gatti."
La casa di Isabèl è vicina al mare. Da lontano sembra quasi uscita da un fotoromanzo. E' cobalto, come il cielo di Valparaiso d'autunno, ed è piccola, accogliente, dolce. C'è Gabriel nel lettino che finge di dormire. C'è Remedios che tra un po' lo accoglierà nel suo. Ci sono Jaime e Federico che dormono davvero, e che di Santiago non ricordano che il nome. E c'è Carlos, fra le lenzuola, che ha sentito Isabèl alzarsi alle cinque e andare a preparare biscotti e ha sorriso perchè Santiago non lo vede da una vita. E gli è mancato.
"Che ore sono?"
"Sono le sette e mezza. I ragazzi dormono ancora, e chi li sveglia. Gabriel però dovrebbe già essere in piedi. E anche Remedios, probabilmente. Andiamo."
Sotto al pergolato un gelsomino si arrampica per le colonnine. Sonja, la gatta, guarda Santiago da sotto le palpebre semiaperte, tranquilla ma attenta ai movimenti dell'estraneo.
Gabiel lo trovano sulla soglia della cucina, con un bicchiere di latte in mano e due biscotti nell'altra.
"Zio Santi!"
"Eccolo quà. Quante volte te l'ho detto che non mi va che prendi i bicchieri da solo?"
"Me lo ha preso Fede."
"E dov'è Fede?"
"Si sta vestendo. Papà ci porta a fare il bagno. Zio Santi, tu vieni con noi, vero?"
"Che dici, mamma, posso?"
Isabèl lo guarda con dolcezza e sospira. E pensa a quando erano bambini e Santiago aveva i capelli più chiari e le mani piene di cicatrici.
E intanto c'è Jaime sulle scale che si è fermato: ha addosso ancora la maglietta bianca con cui ha dormito ed è impastato di sonno. E guarda Santiago senza riconoscerlo, chiedendosi chi diavolo sia quel tipo in casa sua alle sette di mattina.
"Dio, ragazzo, come sei cresciuto."
E capisce. La sua voce. La sua voce e i suoi occhi. E i capelli lunghi raccolti in una coda.
"Zio."
Ed è assurdo scoprire che quell'uomo è li, davanti a lui, dopo tutti questi anni. Che è vivo tanto per cominciare, che non si è fatto sbranare dai leoni o roba del genere. Chissà se suona ancora. Chissà se ha portato anche qualche foto.
Chissà se stavolta resterà abbastanza da potergli lasciare il tempo di fissare il suo viso nella mente.
"Sei la fotocopia di Carlos." E sorride Santiago, perchè il suo primo nipote l'ha visto nascere e l'ha visto camminare, parlare, l'ha visto fragile e indifeso e ha visto come la sua pelle s'induriva e i capelli si scurivano, le gambe farsi solide e la voce perdere limpidezza.
L'ha lasciato bambino e l'ha ritrovato quasi uomo, quel ragazzo.
"Quanti anni hai?"
"Quindici. Tra due mesi."
"Te ne avrei dati almeno diciassette. Sono contento che tu non sia così vecchio. Vuol dire che non mi sono perso poi così tanto tempo."
"Ne hai perso parecchio."
"Ce n'è tanto ancora."
Jaime vorrebbe sorridergli. E vorrebbe essere ancora così piccolo da potergli saltare in braccio per farsi portare sulle spalle. Per un momento, un istante, desidera ritornare un bambino. Poi passa. Passa quando muove il primo passo per ricominciare  a scendere i gradini.
E arriva Carlos, finalmente, e Federico, mezzo addormentato, e sorridono, Federico lo riconosce subito, e Carlos scende di corsa le scale per abbracciarlo.
"Dove diavolo sei stato, maledetto zingaro?"
"Sono stato in Medio Oriente., Siria, Palestina, Turchia. Un po' anche in Iran. Ti sarebbero piaciuti quei posti."
"Hai portato qualche scatto?"
"Certo, ma la metà devo ancora stamparle. Mi servirebbe una camera oscura. Avete uno scantinato per caso?"
"Certo. Dovremo darci una pulita però."
"Non vi preoccupate. Me la sbrigo io."
Jaime continua a guardarlo, incredulo. Un po' per il sonno, un po' per la sorpresa. E gli guarda il viso, per scoprire i segni del tempo: sono pochi, sottili, ma ci sono. Un velo appena di striature sottili, incisioni di penna d'oca.
Santiago sente il suo sguardo, e lo lascia fare. E scopre un certo divertimento nel lasciarsi studiare da suo nipote, a lasciargli scoprire come può cambiarti la vita.
Ha lo stesso viso di Carlos; ha i suoi occhi di caramello, i suoi lineamenti  felini, la sua pelle scura. Diventerà alto, si vede già. Ha le spalle robuste, il fisico resistente. Esattamente come suo padre alla sua età.
Federico invece è una bella mescolanza di Carlos e Isabèl. Ha la forza e la dolcezza di entrambi. E una bellezza strana, particolare, che ne suo padre ne sua madre possiedono, una cosa che è solo sua e lo distingue dai suoi fratelli.
Ha gli occhi verdi, stranamente. Chissà da chi li avrà presi.
Remedios scende per ultima, con la sua aria da sonnambula. E quando lo saluta - con naturalezza, baciandolo sulla guancia - da l'impressione di essersi aspettata di trovarlo lì.
"Vieni con noi al mare?"
Gabriel gli tira la camicia, con ancora il bicchiere di latte in mano
"Beh.."
Santiago cerca con gli occhi Carlos. Lui sorride.
"Mi presteresti un costume?"
"Certo."
Il mare cammina lento, calmo.
Lascia sulla sabbia impronte scure che sembrano morsi.
Gabriel si avvicina al bagnasciuga, e le onde fredde gli accarezzano le caviglie.
"Aspetta, è ancora fredda l'acqua.."
"No, non è fredda!"
Lancia un gridolino quando l'acqua gli sfiora i polpacci, ma non si tira indietro.
"Ha fegato il tuo ragazzo."
"Come suo padre."
"Come sua madre, vorrai dire. Mi ricorda Jaime alla sua età. Quanto sono mancato?"
Carlos si volta a guardarlo: anche sul volto di Santi ci sono nuove rughe, anche i suoi occhi si sono fatti di un nero più pesante.
"Non così tanti. Il problema è che rimani sempre troppo poco. A Jaime sei mancato tanto."
"Ce l'ha con me?"
"Un poco, credo. E' una testa calda."
"Chissà da chi avrà preso."
Quando la sente per la prima volta dopo così tanti anni, la risata di Carlos è sempre la stessa; è dolce, sensuale, e sa di ruhm e porto. Esce dal torace, dal cuore e dallo stomaco, e ti fa venir voglia di accarezzarlo. Non è cambiato da quando Isabél lo aveva portato a casa per la prima volta. Non è cambiata la sua bellezza creola e la sua forza, la sua grazia da torero, il suo fascino. E non è cambiato il morso allo stomaco che quella risata gli causa.
Una piccola vertigine, un leggero vuoto d'aria.
E qualche volta ha pensato che si, gli sarebbe piaciuto averlo conosciuto prima di Isabèl. Solo per provarlo, niente di più.
Perchè Carlos era per sua sorella e nessun'altra, per mille piccoli dettagli che sembra siano stati modellati apposta per incastrarsi e completarsi. Del resto, Isabèl l'aveva preteso con tutta la testardaggine del suo sangue e si era impuntata mille volte, prima che arrivasse, per aspettarlo ancora, ancora e ancora.
Sapeva della sua esistenza come lui era certo della sua.
Carlos sognava di Isabèl da quando viveva ancora all'Avana e studiava lettere moderne, e l'aveva amata per tutto il viaggio di profugo che lo aveva portato a fare l'imbianchino a New Orleans. E lei lo aveva aspettato da quando a New Orleans aveva sentito l'odore della sua pelle nell'aria.
In quel periodo viveva ancora con Santiago.
E scriveva poesie: la prosa, venne dopo. Un po' perchè la giovinezza è il periodo della poesia, un po' perchè i figli acuizzano il tuo lato pratico. Anche se lei pensa comunque di star perdendo ogni parvenza di pratico, nei suoi lavori.
E se li ricorda, Santiago, gli occhi con cui Carlos guardava Isabèl, e quanto forte gli battesse il cuore, tanto forte che poteva quasi sentirlo.
Ed era bello, era bello e dolce sapere che Isabèl poteva avere finalmente qualcosa di suo. Amore, stabilità. Tante cose che lui non le poteva dare.
"Come mai sei tornato?"
Questa domanda doveva fargliela Isabèl. Era quasi sicuro che gliel'avrebbe fatta lei. Che gliela facesse lui era un tiro basso, perchè è disarmante la sincerità con cui ti pone le domande.
Normalmente, le persone pongono domande con l'intenzione di sapere tutt'altro: Carlos è l'eccezione.
Crede davvero nell'onestà, e questo è sconcertante.
"Perchè è tanto che non tornavo, mi mancava questo posto."
"Tutto qui?"
"Che vuol dire tutto qui?"
"Andiamo. Non è mai così facile con voi due. Quando Isabèl non passa le ore a pensare ad una risposta, sta mentendo."
Davvero. E' sempre sconcertante, trovarsi così nudi davanti a lui.
"Io. Beh. Ecco. Hm, non credo ti potrebbe interessare. Sono le mie solite paranoie."
"Cioè?"
"Non lo so. Ero a Persepolis qualche tempo fa. Mi sono svegliato, e ho sentito l'odore di casa. L'odore di Isabèl e dei ragazzi, della vecchia casa.. di New Orleans. E ho preso il primo aereo."
Carlos lo guarda senza parlare. Aspetta, semplicemente, che Santiago raccapezzi le idee. Ci si sta quasi abituando, a quell'incapacità di arrivare al dunque: ancora una decina d'anni, e riuscirà a sopportare un intero discorso.
"Non so cosa sia di preciso: se sia nostalgia, paura. Incertezza. Forse è che sto diventando vecchio."
"Chi sta diventando vecchio?"
Federico è arrivato dal mare: è questa l'idea che suggeriscono i capelli bagnati e le ciglia umide.
Ha addosso l'odore dell'oceano, e li guarda entrambi con i suoi occhi alieni, verde cupo.
Carlos gli sorride, perchè ha imparato a conoscere gli occhi di suo figlio e sa che non c'è minaccia dietro quegli occhi. Gli posa una mano sulla spalla, e gli sorride. E in quel gesto c'è una familiarità che Santiago ha smarrito nei suoi viaggi, e che è strano ritrovare così facilmente.
In quel gesto c'è un mistero che la gente si porta dentro da quando nasce fino a quando muore.
C'è l'odore di casa.





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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


CAP2
Chapter 2


Gabriel ha paura del buio.
Anche Isabèl ha paura del buio, e ha passato gli ultimi quindici anni della sua vita a litigare per avere una lucina accesa tutta la notte.
E Carlos se n'è sempre sentito offeso. Perchè non riesce a non chiedersi perchè lei - dormendo al suo fianco - abbia ancora paura.
Neanche Jaime e Federico sopportano luci di notte: Gabriel dorme con Remedios.
Lui nel suo lettino e lei accanto a lui, in un letto più grande.
Remedios ha quasi dieci anni, eppure a volte sembra ne abbia molti di più; per quel modo che ha di parlare, di guardare il mondo, e per l'infinita dolcezza che c'è nei suoi occhi gialli.
A volte Isabèl si chiede cosa accadrà durante l'adolescenza, e se resterà cosi; a volte capita che dica le stesse frasi che diceva sua madre; altre che la guardi, che la tocchi in un modo che le riporta alla mente la luce della sua camera in un paese lontano.
"La luna es un pozo chico. Las flores no valen nada."
"Cosa?"
Santiago guarda Gabriel; sono seduti sulla sabbia, e il bambino guarda l'orizzonte.
"E' una poesia. Me l'ha insegnata Meme."
"Ah si? Mi sembra d'averla già sentita. Come continua?"
"E' sdolcinata. A me piace solo questo pezzo."
Santiago sorride, e accarezza la testa del bambino; le dita s'impigliano nei suoi ricci scuri, folti ed elastici come quelli di Carlos.
"Ti piaccono le poesie?"
"Alcune."
"Isabèl mi ha detto che ti piace la musica."
Non riesce a chiamarla la mamma. Sa che sarebbe più facile per Gabriel: indubbiamente, riferirsi a lei come Isabè deve suonargli strano. Però Santiago non riesce ancora a focalizzare l'idea della sua Isabèl come mamma.
Abitudine, probabilmente.
"Si. Suono la chitarra sai?"
"Si, me lo ha detto. E mi ha detto che ti piacerebbe imparare a suonare il violoncello."
"Se hai tempo, si."
Gabriel si alza e corre verso l'acqua, a raggiungere i suoi fratelli. E vederli così, insieme, è strano: Carlos sembra soltanto il fratello maggiore.
Da lontano sembra ancora così incredibilmente giovane che non riusciresti ad immaginare che quelli sono davvero suoi figli. Gabriel magari, ma non Jaime. O Federico.
Ed è in quel momento, mentre guarda Carlos e i ragazzi e pensa che sta invecchiando, che arriva.
Arriva col vento, o questa è l'impressione che ricorderà Santiago.
Arriva col vento correndo, come una macchia indistinta sullo sfondo.
Ha le gambe lunghe, pallide. Corre con metodo, senza eccedere. Un po' come una donna, a dirla tutta.
Non ha i capelli lunghi e contemporaneamente non li ha corti, e sono ordinati in un taglio antiquato, ma particolarmente equilibrato.
Ha il viso teso per lo sforzo senza avere un'aria buffa. Forse avrà trent'anni. Ed è davvero troppo bianco per essere di New Orleans.
"Aspetta. Tu sei riuscito a notare tutto questo mentre lui correva?"
"Si, e non guardarmi  con quella faccia. E' stato strano. Ti ricorda nessuno che conosci?"
"No, ma se ho capito di chi parli, passa quasi tutti i giorni alla stessa ora."
"Oh. Bene. Però, Isabèl, potresti smetterla di guardarmi come se avessi preso una botta in testa?"
"Santi. Hai passato l'ultima mezz'ora a descrivermi un tipo che hai visto in spiaggia. Per qualche secondo. Un tipo."
"E' così strano?"
"Beh no. Da ragazzino facevi di peggio."
"E' un modo velato per dire che non ci sto con la testa?"
"No tesoro."
"Grazie."
"Io non uso modi velati per dire le cose."
"Ecco."
"..."
"Questa sera c'è un concerto. Vieni con me?"
"E i ragazzi li lascio allo spirito santo?"
"Sono grandicelli."
"Si, i loro dati anagrafici sembrano dire così."
"Dai, Jaime mi sembra che abbia la testa sulle spalle."
"Oh, la testa comincia a scivolargli in zone più periferiche.. Comunque abbi pazienza, Carlos tornerà tardi stasera."
"Che brava donnina di casa."
"Vai comunque?"
"Certo. Mi manca questa città."
"Stai attento. Perchè tu sicuramente sei mancato ai borseggiatori."

E' bella la notte a New Orleans.
Bella come può esserlo una fotografia buia in bianco e nero.
Puoi quasi sentirne il respiro, di notte.
E ricordarsi del perché continuerà ad amarla per sempre, quella città, è fin troppo facile quando il sottofondo è quello del suo canto di sirena.
Una voce blues, una vecchia canzone riveduta da Janis Joplin, una chitarra acustica.
Un'incantesimo eterno, una malia che filtra nelle ossa.
Ci sono due donne vestite di rosso che camminano sulla strada. Parlano ad alta voce, ridono, cantano canzoni in francese. Hanno entrambe l'aspetto delle mulatte, scure di pelle e di occhi, e i capelli stretti in piccolissimi ricci.
Santiago le guarda per un momento. Loro si voltano e lo salutano con naturalezza.
Lui ricambia i sorrisi dolci che le due donne gli regalano. Chiede se vogliono posare. Una butta la testa all'indietro e ride, mostrando i denti bianchissimi.
Non odorano d'alcol, non odorano nemmeno di tabacco. E ogni volta che scuotono i capelli si alza un profumo dolce e fresco di gelsomini e ambra grigia.
Sono belle le due donne, bellissime. Belle come fuoco, come musica, come due corde di una chitarra. Sorridono, posano, scherzano con dolcezza. Parlano della musica, dei locali, delle feste. C'è solo la notte intorno a loro, perchè preoccuparsi del resto?
Una ha una bella voce, roca e profonda, e mentre posano canta vecchie canzoni tristi.
L'altra ha la pelle che sembra oro fuso, che si scioglie amorevolmente sotto le luci dei lampioni, mentre guarda l'obbiettivo della macchina fotografica.
"Passa la notte da solo?"
"Credo proprio di si."
"Non sta bene."
"Ah, no?"
"No. Venga con noi."
Le mulatte lo prendono per mano, e lo conducono nel ventre della città.
Quella con la voce dolce si chiama Hortensia.
Quella con la pelle d'oro è Justine.
Ed il bar dove lo portano è buio, fumoso, asfissiante.
Ha l'odore dei locali bui in asia dove si fumava oppio e non c'erano donne.
Si bevono alcolici pesanti di colore scuro, tutti ispanici e francesi.
E la stanza dove lo portano dopo è umida, silenziosa, accogliente. Temperata solo da un ventilatore di legno.
E le labbra di Justine sono dolci e calde, e si sciolgono come la sua pelle d'oro.
E quando Hortensia geme, la sua voce è la stessa di quando canta, onesta, pura.
E più spinge verso i loro corpi più il letto affonda, più il viluppo di lenzuola consumate dai lavaggi si fa denso, liquido, fino a diventare colloso.
Ridono ancora, Justine e Hortensia, ridono con dolcezza quando lui passa le dita sulla pelle, e respira affannato sui fianchi dell'una per spegnere la testa fra le cosce dell'altra, in un tumulto che porta solo all'oblio e alla catarsi.
Una donna può penetrari con la stessa forza e la stessa fisicità con cui puoi farlo tu.
Solo che lei affonderà le dita nei tuoi nervi e ci conficcherà le unghie fino a quando non ti sentirà urlare.
E mentre stringe i denti, è contento di aver lasciato la finestra aperta: le luci delle insegne non lasciano la stanza nel buio.
Anche Santiago ha paura del buio. E sa che non riuscirà ad addormentarsi prima di Hortensia e Justine.
E per questo guarda fuori dalla finestra.
E l'ultima cosa che vede prima di addormentarsi sono lunghe gambe pallide e degli occhi chiari.









Note dell'autrice
Bene bene bene.
Miei cari diciannove lettori.
Che ne pensate, dunque, di questa storia? Mi farebbe *tanto* piacere sapere la vostra opinione, sapete ? *_*
Ad ogni modo, care amiche e compagne peroratrici della causa pro gay, che avete aperto questa pagina solo perchè avete trovato la piccola clausola sotto che diceva "slash", non spaventatevi: una storia a tema omosessuale *c'è*.
Solo che mi dovete dare tempo.
Ed ecco, Santiago, per dirla in parole povere, un corpo caldo per la notte non lo rifiuta mai. Non si fa particolari problemi sul sesso del corpo in questione. E, per dirla tutta, non è che sia gay. Ma neanche etero, eh ò_ò. Non ha ancora deciso, e non deciderà semplicemente mai. Le persone sono persone, e bisogna innamorarsi di loro a prescindere da quello che hanno fra le gambe.
Questa, ovviamente, è la mia visione molto hippie e liberale, quindi vi prego di pensarla come meglio credete.
A questo punto, un ringraziamento caloroso alla mia cara Mitsu che non mi tradisce mai ed è stata la prima (e l'unica ç_ç) a mettere questa storia tra i preferiti.
Ti ringrazio di cuore, mia cara T_T
Hasta luego chicos, alla prossima!







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Capitolo 3
*** Part one - Chapter I ***


No2 Ondeggiano le foglie verdi, come se ballassero alla musica del sax infondo alla strada.
Il loro colore è accecante, sullo sfondo di un cielo elettrico, bianchissimo.
La pioggia cade in lame trasparenti e gonfia l'aria di odori: delle foglie marce, delle bouganvillee, dei gelsomini, delle camelie.
Il ticchettio – lento, ritmico, cadenzato – della macchina da scrivere culla i sogni ad occhi aperti di Thiago che, rannicchiato sulla veranda, sfoglia con le dita l'erba che cresce fra le assi del pavimento.
Daniel, dall'interno della vecchia casa, prende fra le mani il foglio che ha appena coperto di parole, lo scorre brevemente con lo sguardo.
E lo strappa.
Thiago sente il suono della carta che si lacera, che rimbalza sul muro e che cade nel cestino, con la meccanica precisione di un gesto ripetuto mille volte.
Tiene gli occhi chiusi – i suoni, al buio, sono più densi, più reali – e ascolta il ticchettio che riprende, inesorabile.
Ascolta lo stillicidio di parole che non riescono a tradursi in pensieri.
Di immagini troppo limpide che non riescono a prendere vita, sulla carta.
Si sente Daniel sospirare masticando imprecazioni, alzarsi ed accendere lo stereo malconcio che non riesce a prendere nessuna stazione.
Mettere su una cassetta, vecchia quasi quanto la carta da parati che ha di fronte.
La canzone, una di quelle canzoni acustiche che si usavano prima degli anni settanta, riempire lentamente gli spazi vuoti.
E Thiago tiene gli occhi chiusi, per assaporare le parole una ad una, cullandosi piano al ritmo familiare, dolce, rassicurante.
Daniel pure chiude gli occhi richiamando alla mente i pensieri, le idee che cominciano a prenderlo per il culo perché lui non riesce ad afferrarli, e loro gli fanno la linguaccia mentre lui corre a perdifiato.
Il grande romanzo della sua vita è ordinatamente ridotto a sottili striscioline di carta ammonticchiate sul tavolino del salotto, che attendono di essere riciclate dalla mano pietosa di Thiago.
Comincia a piovere più forte, ma è luglio e la pioggia è dolce, delicata, scende dal cielo per appoggiarsi piano sulle spalle quasi come una carezza, per poi scivolare giù fino al terreno fangoso, coagulandosi in grosse pozzanghere che riflettono il cielo.
Thiago si sporge dalla veranda, guardando dritto in faccia quel cielo bianchissimo
La pioggia inumidisce la pelle, la rinfresca: le gocce corrono agli angoli della sua bocca, raccogliendosi all'interno del labbro inferiore quando lo socchiude per berle.
Daniel lo guarda dalla zanzariera.
Può sentire il rumore di ogni goccia che si infrange sulla sua pelle, della gola che deglutisce l'acqua, del respiro che si fa spezzato.
Trema un poco.
Thiago ha grandi occhi verdi, e ciglia incredibilmente lunghe.
Ha il collo liscio come quello di una donna, e la pelle dorata.
Ha i fianchi stretti e i muscoli lunghi, flessuosi.
Si muove come se danzasse, - respira con la bocca - ha la mania di toccare tutto.
La casa, gli oggetti, se stesso.
 Daniel.
                                                                                    C'è un libro in spagnolo abbandonato poco distante da lui, sulla veranda.
La copertina logorata è color vino, l'illustrazione un quadro impressionista.
Thiago ha le mani morbide, le dita lunghe, le unghie cortissime.
Afferra con distrazione il libro, riaprendo gli occhi, cercando la pagina che aveva indelicatamente segnato, numero centotredici, correndo lungo le righe per riprendere il filo della storia.
Sa che Daniel lo sta guardando, e inarca la schiena per sentire i suoi occhi corrergli sulle vertebre, come se quello sguardo avesse sapore, premendo la lingua contro il palato per immaginare un gusto che non conosce
Può quasi contare i battiti del cuore di Daniel.
Giocare con la sua mente lo ha sempre divertito.
Lo sente appoggiare una mano al pomello della zanzariera, farlo scattare.
Poi, richiuderla bruscamente e voltarsi.
Daniel torna a sedersi davanti alla macchina da scrivere che lo guarda minacciosa.
Preferisce buttarcisi in pasto, a quella macchina infernale, piuttosto che tornare di là.







Note dell'autrice
Macchebello, addirittura DUE recensioni!
Beh, posso dire che mi sento realizzata.
E che piacere ritrovare una vecchia amica, e perdonami se ho lasciato marcire fioretti, Mitsu, ma sai, certe cose beh, a volte è meglio lasciarle. Posso parlarti francamente? Non ho voglia di continuarla: nel periodo in cui la scrivevo, contemporaneamente stavo scrivendo anche un'altra storia, una storia a cui tenevo tantissimo. Ma che evidentemente non piaceva, perchè aveva così poche letture che c'era da piangere. Al contrario, fioretti no. E mi ero stizzita. Anzi. Mi ero incazzata come una iena all'idea che fioretti fosse così richiesta e l'altra no. Perchè per l'altra avevo buttato sudore, mi ero impegnata, avevo scritto e riscritto capitoli per giorni. E non lo potevo accettare. E così m'è passata ogni fantasia per qanto riguarda fioretti. Se ti fa piacere però, posso dirti come sarebbe andata a finire.
Ad ogni modo, sono felice che questa storia ti piaccia. Tanto. In primis, prchè per quel poco che so, ti ritengo una persona intelligente e sensibile, e quindi mi lusinga che tu trovi bella questa raccolta.  Per quanto riguarda la sublimazione di cui mi parlavi, non credo che possa diventare un problema: la storia è tutta così. Non c'è una vera trama o un ordine cronologico, è da leggere come se fossero storie staccate. Come una specie di esrcizio letterario. Spero che nonostante ciò, tu l'apprezzi comunque. E ah, per quanto riguarda i personaggi delle due storie: non sono gli stessi : ) non si sono ancora incontrati, a dir la verità..
Grazie comunque di aver recensito, e spero tu non mi porti rancore ^^" Un bacio, ciao!
Poi.
Cara Selene, mi ha fatto immensamente piacere la tua recensione. Però vedi, non è che recensire debba diventare un obbligo morale. Io la vedo così: se senti il bisogno di fare quattro chiacchiere con l'autore, vale la pena lasciare una recensione bella sostanziosa. Mi basta sapere che la storia è andata tra le seguite e sperare che l'apprezzerai, nient'altro. Per quanto riguarda l'idea della sessualità, beh, anche io sono felice di non essere l'unica a pensarla a questo modo ^^ Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, un bacio, ciao!

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Capitolo 4
*** Part one - Chapter II ***


cap4 Una presenza estranea in pianta stabile nella propria casa, è sempre un avvenimento violento.
Thiago è approdato nella stanza degli ospiti perché Roland lo aveva chiesto a Dan.
Roland e Thiago erano fratelli,
Dan e Roh, amanti, saltuariamente.
Ha sempre sospettato, Daniel, che in realtà le loro struggenti scopate negli umidi week end di New Orleans non fossero altro che un infantile bisogno di sentirsi al sicuro, e il fatto che gli abbia scaricato suo fratello, sedimentava quella calcarea certezza.
Roh è in assoluto la più grande testa di cazzo che Dan abbia mai conosciuto, e forse per questo si fa ancora prendere per culo da lui.
Cercandolo fra le pieghe delle lenzuola, la notte, quando lui non c'è.
Consumandosi - bruciando lentamente.
Una domenica mattina, gli aveva scaricato Thiago davanti al portone di casa.
“Vado in Europa per un po'. Non posso portare Thiago con me. Pensi che potrebbe stare un po' qui?”
“No.”
“E' un ragazzo con la testa sulle spalle. Non darà alcun fastidio.”
Thiago se ne stava immobile, con gli occhi fissi sulle scarpe, immaginando di essere altrove.
Dan ci aveva buttato un'occhiata.
Roland aveva già sbattuto la portiera e lasciato a terra il borsone di Thiago.
Thiago aveva guardato Dan.
Dan si era voltato, e aveva fatto strada.
E forse, è per giustificare la sua presenza in quella casa, che Thiago ha iniziato ad insinuarsi nelle sue fantasie, con la sua schiena arcuata e le sue labbra tese.
Le vecchie pareti della casa hanno già assimilato il suo odore; gli oggetti sembrano adattarsi alla forma del suo corpo.
Qualche volta, quando Thiago è fuori, Dan sbircia il suo letto, perennemente disfatto, immaginando il viluppo chiaro delle lenzuola mischiarsi alla sua pelle bruna.
Il contrasto e l'armonia.
E gli incubi notturni.

*

Quando era all'ultimo anno delle superiori, Daniel si era reso conto che le sue aspirazioni lo avrebbero fatto morire di fame.
Si guardava intorno – guardava gli altri ragazzi, gente seria, con la testa sulle spalle – e osservava se stesso, con la sgradevole sensazione di essere un'insignificante appendice in un organismo che non aveva bisogno di lui.
E forse era per questo che si era iscritto a Letteratura, all'università.
Seduto alla sua scrivania, guarda i vecchi tomi, i titoli di libri letti cent'anni fa.
Sembra quasi che lo guardino disgustato.
In realtà, Daniel non è del tutto un fallito.
Di solito riesce sempre a pubblicare e a vendere la sua roba.
Quando scrive.
Cioè quasi mai.
Per questo si è abituato a vivere ristrettamente in una catapecchia cascante con le persiane cobalto.
A comperare vestiti solo quando non ha più niente, e a vivere al sud, dove si necessita di poca stoffa all'anno per superare l'inverno.
Ma continua a spendere cifre allucinanti in libri.
“Perché non li prendi nella biblioteca in città?”
Thiago è rannicchiato sulla poltrona bucata, e lo guarda con i suoi grandi occhi verdi.
Si allunga per versarsi un po' di limonata dalla caraffa sul tavolino.
“Perché non sarebbero miei.”
Una goccia scivola dal bordo del bicchiere, bagnandogli le dita.
Una goccia soltanto, piccola, minuscola.
“Ma risparmieresti parecchio.”
Danile pensa che sia una cosa terribilmente estetica, il modo in cui quella goccia scivola lungo il bicchiere.
“Hai la stessa fantasia limitata di tuo fratello.”
Scivolando, accarezza la superficie opaca del bicchiere con una urgenza che gli ricorda le dita di Thiago.
“Che vuol dire?”
E di Roland.
Daniel si alza e va verso la cucina a mettere sul fuoco dell'acqua.
Thiago lo guarda storto.
“Se Ro' avesse avuto una fantasia limitata, non credi che avrebbe scelto qualcuno di più adatto a cui scaricarmi?”
Daniel si volta, e lo guarda vagamente divertito.
“Il fatto che ti abbia mollato proprio a me, dimostra quanta poca fantasia abbia.”
“E' un modo velato per dire che non c'ha riflettuto poi così tanto?”
“Non era assolutamente velato.”
Ora, non è che Daniel sia stronzo.
E' solo che è irritato.
Il tempo fa schifo, e lui è fortemente metereopatico.
E poi, Thiago non aiuta.




Note dell'autrice.
E il premio fedeltà quest'anno va alla simpaticissima Mitsu! Riceverà direttamente a casa con i complimenti dell'autrice niente popo' di meno che Taddeo ed Etienne succintamente coperti dai pepli di scena! Purtroppo non siamo riusciti a recuperare anche Dionisio, in quanto Fedra si è energicamente opposta all'idea.. Ma di questo parleremo più ampiamente in altra sede. Perchè vedi, so cosa vuol dire passare brutti periodi, e ti confesso che mi sento un vermetto per averti laciato così, senza giustificazioni valide. Così ho deciso che mi metterò d'impegno e finirò Fioretti, dedicandoti gli ultimi capitoli che non so esattamente quanti saranno. Promesso. E poi, guarda, a parte madre Teresa di Calcutta, non esistono persone senza difetti. A volte i difetti sono la parte più interessante di una persona, e i miei me li tengo belli stretti. Grazie per i tuoi bellissimi e lunghissimi commenti, che mi fanno sempre trovare fiducia in me stessa ^^ spero davvero che questa storia ti possia piacere. Baci, al prossimo capitolo!
Dio lo sa se ti capisco, cara Selene: le dolcissime sorelle minori sono una benedizione, soprattutto quando tu vuoi leggere e loro rompono le scatole.. Beh, che dire? Mi ha fatto immensamente piacere sapere che ti aveva preso così tanto questo pezzo. Mi auguro che questa seconda parte sia all'altezza della prima, e che continuerai a recensire. Aspetto i tuoi commenti ^^ baci!

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Capitolo 5
*** Part One - Chapter 3 ***


cap3

Part One - Chapter 3




“New Orleans è una sirena tentatrice, un posto da favola, un'illusione”

Daniel parla a bassa voce, davanti al camino acceso, e fuori la pioggia viene giù che Dio la manda.
I suoi occhi si schiariscono un poco, e diventano color miele scuro, zucchero fuso; indubbiamente, fra i suoi avi perfettamente inglesi, dev'esserci stato anche qualche latino.
Quando parla, Daniel dischiude appena le labbra, in movimenti lenti, brevi, quasi erotici.
Le labbra di Daniel non sembrano mai chiuse: semplicemente, sono appoggiate, l'una sull'altra, come se si baciassero da sole.
Una linea dolce, curva, morbida.
Due piccole onde al centro, e le linee verticali della carne.
E poi la barba pallida, di un castano slavato, ad accarezzarne i contorni.
“Allora perché ci vivi?”
La teiera fischia dal cucinino, e Daniel si alza per spegnere il fuoco.
“Per le bouganvillee.”
“Hm.”
Thiago lo guarda con la testa piegata da un lato, e i capelli ricci gli accarezzano il collo.
Suo fratello non riesce quasi mai ad essere così tranquillizzante; Roland è adrenalina, sangue al cervello, tachicardia, sudore freddo.
E' una melodia flamenca suonata su chitarra classica, e vibra in basso nell'inguine e nel fondo dell'anima.
Roland è l'espressione più alta del dualismo: è amore e odio, piacere e dolore, sesso e astinenza, bianco e nero, bene e male.
Una vertiginosa altalena che a volte nausea, che altre esalta, e che sempre, quando scendi, ti lascia stordito, e incapace di orientarti.
E' un senso di completezza che dura una manciata secondi, che riempie fino allo stremo, allargandoti l'anima e la cassa toracica fino a farle scoppiare entrambe.
Non sa quanto Thiago ne sappia, su suo fratello: di sicuro Daniel sui suoi, di fratelli, ne ha sempre saputo molto poco; ma a nessuno dispiaceva, soprattutto dal momento in cui aveva iniziato a scarabocchiare poesie sul margine dei libri, e loro giocavano a football e preparavano esami di economia e commercio all'università.
Nessuno di loro parlava della sua assenza, nessuno pareva rendersene conto, chiusi in un inquietante limbo di quotidianità.
Thiago cammina per la stanza, avanti e indietro, con lo sguardo verso le macchie di umidità sul soffitto.
Ha le gambe lunghe, come tutti gli adolescenti, e la stoffa della maglietta di cotone si piega sulle spalle scivolando come una cascata, enfatizzando la curva delle scapole come se dalla schiena spuntassero le basi recise di ali.
Canta a bassa voce una canzone, e tiene sotto il braccio il suo libro rosso.
Averlo attorno, per Daniel è atroce: Thiago è un doppio filo che lo riconduce a Roland, la curva buia dei suoi pensieri.
Ed è una cosa che lo urta terribilmente, non poter considerare quel ragazzo per quello che è, ma soltanto per il doppio speculare di suo fratello.
Thiago pure, ne è perfettamente cosciente, e fa di tutto per sembrare diverso, per accentuare le differenze fra di loro.
E Dan continua a guardare i suoi occhi verdi, il colore identico in ogni sfumatura a quello di Ro', pensando questa è l'ultima volta, poi basta, poi mi farò una doccia e mi dimenticherò di tutti e due.

*

E' l'alba, di metà ottobre, e Daniel ha appena avuto l'illuminazione.
Batte talmente forte sulla macchina da scrivere che finirà col consumarsi le dita.
Thiago si è svegliato con i timpani bucati, e un vago istinto omicida nei confronti di Dan.
Si appoggia allo stipite della porta, e lo guarda scrivere.
E se chiude gli occhi, può sentire l'anima di Daniel anima spandersi, vibrare come un'onda sonora per tutta la stanza, per tutta la casa.
A volte, gli capita di sentire un bisogno pressante, una specie di spasmo, la necessità di qualcosa che non riesce ad identificare, e lo sente in modo talmente forte e violento, che se non durasse appena qualche secondo di sicuro lo ucciderebbe.
E' una morsa che gli afferra lo stomaco, come se l'anima volesse uscirgli fuori da lì.
L'ha sentito quel bisogno, qualche volta, in casa di Dan, ma bastava anche soltanto la sua presenza, per appagarlo.
E sembra quasi che anche le piante in giardino, si nutrano di quella energia.
Thiago vorrebbe avvicinarsi.
Vorrebbe sfiorargli con la punta delle dita il collo.
Poi, toccargli le spalle con entrambe le mani.
Percorrere la linea morbida del collo.
Vorrebbe appoggiare le labbra dove la pelle è più delicata, e scaldarla col fiato.
E poi voltargli la testa, e affondare la lingua nella sua bocca.
Per dargli, così, un buon motivo per sbatterlo fuori di casa, o in alternativa sul pavimento.
Ma le gambe non si muovono, e lui ringrazia il cielo per questo, mentre si volta per mettere un po' d'acqua sul fuoco.
Gli porta il thè dieci minuti più tardi, appoggiandoglielo accanto alla macchina.
Daniel sposta lo sguardo sulla mano di Thiago, ed è come se il tempo si fermasse: non si accorge che Thiago misura i movimenti, non si rende conto che il polso si è fatto pesante, lento.
Non si accorge dell'odore pastoso del sudore freddo di Thiago, e nemmeno del desiderio elettrico che il suo corpo emana.
E' fermo, ad ammirare la precisione con cui quella mano è stata scolpita, l'eleganza, con cui è stato mischiato maschile e femminile, ionico e rinascimentale, armonia e forza.
Poi Thiago si volta, ed esce dalla stanza.
Lasciando un vuoto nell'aria, scavando nella realtà un buco nero, che inghiotte le parole, l'ispirazione, la poesia.
Daniel guarda le pagine appena scritte e pensa che ormai non sono altro che immondizia.
Thiago ne ha divorato la luce.
Le accartoccia con rabbia, e le butta nel cestino una ad una, con un gesto tragicamente familiare.
Poi entra in cucina, ed è talmente violento il bisogno di afferrare i fianchi di Thiago, che quasi lo piega a metà, serrandogli convulsamente i denti.
Thiago si volta, e lo guarda negli occhi: gli viene in mente una cosa.
Di quando lui e Ro' erano bambini e tutti si fermavano a guardarlo, per i suoi occhi bellissimi, e le vecchiette lo accarezzavano con dolcezza, ripetendo quasi simultaneamente: “Ma che occhi bellissimi” e nessuno si rendeva veramente conto che lui e Roh avevano gli occhi dello stesso colore.
Identico.
Nemmeno se fossero stati gemelli, avrebbero potuto avere occhi così uguali.
Solo che Roh li aveva più tristi, più malinconici, e forse più adulti.
Gli occhi di Roh tendono verso il basso, e le sopracciglia marcate li incorniciano di un fascino virile che lui non possiederà mai.
I suoi, di occhi, sono grandi e allungati verso l'alto, e sono da bambino, o da donna, e sembrano sempre umidi, quasi piangesse di continuo.
In quel momento è sicuro come non lo è mai stato di niente in vita sua, che Daniel abbia colto quell'uguaglianza e quella differenza.
E forse per questo non può essere la stessa cosa, forse perché i loro occhi sono troppo simili e Daniel ha paura di confonderli.
Sa di essersi già perso, nei loro occhi, mischiati come due acidi corrosivi nella sua anima, e non vuole smarrire del tutto la ragione.
Per quanto il bisogno di farlo possa essere pressante.
Eppure non si muove, quando Thiago si avvicina.
Sente la laguna dei suoi occhi espandersi, rendere umidi gli angoli della stanza, penetrargli le ossa; i battiti aumentano, le ginocchia cedono un poco.
Thiago allunga un braccio, e tende le dita: gli sfiora un lobo, con una lentezza estenuante.
Daniel gli afferra il polso, e per un attimo cede alla tentazione di attirarlo a sé; la pressione dura un secondo o forse meno, ma basta a Thiago per lasciarsi andare contro Daniel, contro le spalle che tremano leggermente, contro le labbra socchiuse e il fiato corto, che brucia subito sulla sua bocca come lava, che spazza idee e logicità, ingoiando in una voragine di fuoco il resto della vita intorno a loro.
Roland è l'ultimo pensiero prima di spegnere il cervello e il cuore nella bocca di Thiago.







Note dell'autrice
Cara Mitsu, spero che il tuo premio sia ormai arrivato e che tu te lo stia spupazzando ben, bene.  E no, non ho nessuna tendenza sadica per cui mi piace mollare lì sul più bello chi legge; il problema è questo: qui i personaggi sono del tutto fuori controllo. Hanno personalità a se stanti e pretendono di gestire i proprio spazi a modo loro. Perchè guarda, fosse stato per me, questa storia racconterebbe dei prerapativi del matrimonio di Roland e Daniel, e della loro appagante e straordinariamente felice vita coniugale. Purtroppo però, non posso.. Ma guarda, una cosa posso dirtela: ho in serbo parecchi altri capitoli di questa storia già scritti, quindi puoi rilassarti e goderti lo spettacolo alla giornata, senza l'attesa del domani ^^
Guarda, sono contenta che Daniel ti piaccia. Non è il mio preferito, ma sicuramente è quello a cui tengo di più. Ha idee strane su praticamente tutto, quindi spero vi troverete ^^" nei suoi scleri quotidiani. E guarda: le tue recensioni mi sono sempre state di grande incoraggiamento. Quindi grazie di prenderti sempre la briga di lasciarmi due (abbondanti ^^) paroline sulle mie storie.
Un bacio!

Beh, cara Selene,
"E giusto per farti morerie di invidia: a Settembre mi trasferisco quasi sul confine tra Florida ed Alabama, a tre o quattro ore da New Orleans^^"
Apprezzo molto il gesto carino da parte tua ò_ò.
Comunque, il fatto che tu stia indagando su di me mi rende proprio contenta. Insomma, t'ho incuriosito, alè! Però calarti nella mia testa non ti conviene, sono piuttosto squilibrata come persona. Dan poi.. beh, Dan è Dan. E' il parto più originale e puro della mia mente. Io lo amo. Sono molto legata a lui come personaggio e come esperienza di scrittura, e penso che probabilmente lo riprenderò spesso nelle storie future. Si, è bohemièn. Non segue regole, mode, non è assetato di fama. Quello che vuole è trovare il senso nel fondo delle parole, assassinandole anche. E' particolare la sua idea al riguardo, più avanti nella storia si spiegherà lui stesso.
L'idea poi dei capitoli minuscoli piace anche a me. Vedi, Flaubert che forse è uno degli scrittori che più mi ha influenzato - a livello ideologico più che formale - sosteneva che il compito di uno scrittore non è aggiungere parole, ma toglierle. E io non potrei essere più d'accordo. Penso, francamente, che nella maggior parte dei casi il linguaggio sia limitazione di quello che veramente siamo. E tu ti chiederai, allora perchè diamine scrivi? Per uccidere le parole. Pungalarle e sperare che col sangue fluisca anche la loro vita. La loro vera essenza. Oggi la maggior parte delle parole che usiamo ha perso valore. Forse, in realtà, non l'ha mai avuto a causa della brutta tendenza della mia specie ad abusarne, ma comunque sono quasi suoni vuoti.  E c'è gente che scrive libri di migliaia di pagine, descrizioni su descrizioni, quando quello che uno vuole sapere non è che l'essenziale. La letteratura è l'arte di cogliere l'anima degli uomini per farne storie, a mio avviso.
E se tutto questo ti sembra assolutamente privo di fondamento, beh non posso biasimarti ^^
Allora alla prossima, cara, e goditi New Orleans tu che puoi!

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