AABBCC Magicphone prende anche Qui di RedCrimson (/viewuser.php?uid=56443)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Cellulari sono Arnesi del Demonio ***
Capitolo 2: *** Magic Nik ***
Capitolo 3: *** Benvenuti a MagicWorld ***
Capitolo 1 *** I Cellulari sono Arnesi del Demonio ***
cap 1
AA
BB
CC
Magicphone prende
anche Qui
CAPITOLO I:
I Cellulari sono Arnesi del Demonio
Addio.
È la fine.
Di già.
E dire che ho appena cominciato...
«Ma che fai!»
Un promettente futuro stroncato così, che tristezza. Per uno
stupido errore che neppure ho commesso io.
«Muoviti!!»
Oppure no, non deve per forza finire così! Potrei lottare! O
scappare! Sì, decisamente meglio... correre via senza
guardarmi indietro. Sfrecciare lungo il corridoio, tutto dritto, poi
giù per le scale e continuare a correre a perdifiato... fino
a sputare un polmone. E accasciarmi a terra. E morire agonizzante a
seguito di un infarto.
Tutto sommato, stare fermi qui non sembra una così brutta
idea. Certo, c’è il rischio che mi strappi le
budella, ma vuoi mettere la fatica risparmiata? Sarebbe una morte
decisamente più dignitosa. Più sangue, meno
sudore.
«Dai, vieni!!»
Purtroppo, questa alternativa non
mi è possibile. Mi tocca correre e seguirlo, visto che non
sembra aver alcuna intenzione di mollarmi il braccio. Se non rallenta
finirò per inciampare e atterrare di faccia (con la fortuna
che ho e la mia innata coordinazione è alquanto probabile).
Ma
se rallenta la bestia ci prenderà e non ci
resterà
altro che sperare di perdere conoscenza il prima possibile.
«Ma vuoi correre?!?! Non ti posso trascinare anche
giù per le scale!»
Io sto correndo,idiota! Glielo
vorrei urlare, ma dubito sia in grado di emettere qualcosa di diverso
da dei rantoli in questo momento.
In qualche modo riesco a scendere i
gradini senza ruzzolare ed ecco la salvezza: una robusta porta di
legno. Aperta, ovviamente. Se fosse stata chiusa tanto vale gettarsi a
terra e tentare la tecnica dell’opossum (che non avrebbe
comunque funzionato, anche se ci credesse morti si concederebbe di
certo il
piacere di devastare i nostri corpi).
Ci fondiamo dentro la stanza serrando subito la porta. Lui gira la
chiave dentro la toppa mentre io
mi lascio cadere mettendomi a sedere. L’infarto sembra
scongiurato ma ho il respiro di una vecchia che ha passato gli ultimi
cinquant’anni a fumare un pacchetto di sigarette al giorno.
Quanto mi fa schifo correre. Non ho più il fisico per queste
cose, non ce l’ho mai avuto.
Su su, dai, inspira,
espira. Ecco così, prendi l’aria dal naso e falla
uscire dalla bocca.
Inspira, espira, inspira...
«Ehi,Giò, non mi sembra un buon momento per
addormentarsi!»
«Sto cercando di respirare e calmarmi!»
Il tentativo è ovviamente
fallito. Complice il fatto che riesco a sentire distintamente dei passi
rimbombare lungo le scale. Ormai ci ha quasi raggiunti, e non sono
sicura che basterà un pezzo di legno, per quanto solido, a
farla desistere dal dilaniarci.
«Senti, mi dispiace...»
blatera lui appoggiato contro la porta «Ecco, vedi, io non
immaginavo… Cioè, ero curioso, non pensavo
che…»
«Zitto.»
I suoi occhioni celesti si fanno
ancora più mortificati. Se non ci pensa il mostro
là fuori, giuro che ci penso io a cavarglieli.
«Ok, in parte è sicuramente colpa mia,
però anche tu hai
fatto un bel casino!»
«Ho detto zitto!»
Forse glieli strappo
adesso, un’ultima soddisfazione prima di morire.
Lo vedo scattare come una molla
lasciandosi sfuggire un urletto, ma dubito sia stato il mio sguardo
minaccioso a spaventarlo. Più verosimilmente devono essere
stati i colpi che stanno scuotendo la porta.
Ecco, come immaginavo, non basta di
certo una porta chiusa a placare la sua sete di sangue. Sa che siamo
qui dentro, riesce a fiutare la nostra paura, e non si
fermerà finché non avrà banchettato
con le nostre carni.
Mi rimetto in piedi e mi guardo
attorno: zero vie di fuga. Oddio, anche se ce ne fossero, dubito che
riuscirei a scappare da una finestra, le mie abilità
atletiche sono più simili a quelle dell’orso Yoghi
che a
quelle di Lara Croft.
Sento di nuovo la sua mano sul mio braccio, questa volta non lo fa per
strattonarmi,
è un gesto di conforto.
«Che facciamo?»
Non ne ho idea. Magari se iniziassimo a invocare pietà,
casomai autoflagellandoci, si
accontenterebbe di qualche osso rotto...
I cardini scricchiolano, il legno vibra ma fortunatamente la porta non
cede. Per
il momento.
Ma come cavolo ho fatto a ficcarmi in questa situazione?
«Ehm,ragazzi, ottima mossa quella di chiudersi dentro a una
stanza senza finestre e
con una sola porta. Complimenti!»
Ecco come ho fatto, dando ascolto a questo maledetto aggeggio!
«Ti prego,
dimmi che hai un suggerimento!»
«Dici che c’è un frigo ben fornito qui
dentro?»
«Ne dubito» interviene l’altro
retrocedendo di un altro
passo dalla porta.
«Allora vi conviene scegliere quale braccio volete
sacrificare, forse un
po’ di carne fresca potrebbe calmarla.»
Molto utile. Stupido
sarcastico strumento infernale.
«Ma non è mica una tigre affamata!»
Forse sarebbe stato meglio.
Ma come diavolo è successo...
Avevo una vita così tranquilla. Ordinaria.
Forse un po’ monotona ma di certo non c’era il
rischio di venire rincorsi
all’improvviso da esseri idrofobi.
Tutta colpa di quell’affare.
Avevo capito fin da subito che mi avrebbe portato solo dei problemi,
già dalla prima volta che l’ho visto.
Giovedì, solo
tre giorni fa. Quando quel coso è suonato nel momento meno
opportuno…
Giovedì
11
febbraio 2016, ore 10:11
Cimitero Comunale di Solignano, Parma
«Fratelli e sorelle, siamo oggi qui riuniti
per…»
Tono lento e solenne per parole
altrettanto solenni, che però vennero interrotte da un suono
che di solenne aveva ben poco: una fastidiosa suoneria di un cellulare.
Melodia monofonica, con note un po’ troppo acute, alquanto
irritante. Senza poi
considerare il contesto.
L’anziano prete interruppe
l’orazione e scrutò il piccolo gruppo di persone
sedute di fronte a lui con uno sguardo carico di disapprovazione poi,
schiarendosi la gola con un colpo di tosse, riprese a parlare con
più enfasi.
«Siamo qui riuniti per dare
l’ultimo saluto alla cara Marcella Corvetti che ci ha
lasciati lunedì all’età di ottantasette
anni…»
Il cellulare ignoto, però,
continuava imperterrito a diffondere il suo irrispettoso motivetto e un
lieve chiacchiericcio si sparse lungo tutta la fila di sedie.
«Fratelli cari,»
richiamò i fedeli il prete con tono vagamente seccato
«in rispetto della memoria della qui defunta signora
Corvetti, chiederei a
tutti di spegnere i propri telefonini e di rimanere in
silenzio.»
Che razza di persona non mette in
silenzioso il cellulare durante un funerale? Povera signora Corvetti,
costretta a riceve l’ultimo saluto con in sottofondo la
musichina
“Nokia Tune”.
Era una vecchietta così
arzilla e solare. Fuori come un balcone, senza dubbio, ma estremamente
gentile. Mi sarebbe mancato fare la spesa per lei ed aiutarla a
cucinare. Mi sarebbero mancati anche i cinquanta euro che mi dava ogni
fine settimana per farle le faccende di casa. Ah, chissà se
avrei mai avuto un’altra vicina buona come lei! Era come la
nonna che non avevo mai conosciuto… Accidenti, ma
perché non si decidevano a spegnere quel cellulare?? La fu
Nonna Marcella meritava un
po’ più di rispetto!
«Giò, non mi dire che
è il tuo cellulare che suona!»
bisbigliò mamma, guardandomi con occhi fiammeggianti
«Spegnilo subito!»
Era impazzita? Non
avrei mai messo una suoneria così retrò!
«No, non è mio!»
«La musica viene dalla tua borsa!»
Era vero, quel suono fastidioso sembrava proprio avere origine
all’interno della
mia borsa nera.
Come fosse possibile non ne avevo idea.
Fui tentata di lanciare la borsa il
più lontano possibile da me, ma questo avrebbe solo
peggiorato la situazione, così mi alzai dalla sedia e mi
allontanai il
più velocemente possibile sotto lo sguardo indignato di
tutti i presenti. Che vergogna. Avevo voglia di farmi spazio nella bara
della
signora Marcella e farmi sotterrare anch’io.
Dopo aver camminato per circa una
ventina di metri verso la zona più isolata del cimitero, la
musichetta si fermò. Aprii la borsa ed estrassi con cautela
l’oggetto incriminato: un cellulare obsoleto dalla strana
marca. Dall’aspetto sembrava far parte della vecchia serie
dei Nokia
e anche la suoneria sembrava confermare tale ipotesi, eppure, sopra il
piccolo schermo, vi era inciso in stampatello non il nome della
multinazionale finlandese bensì “MAKIA”.
Non era la prima volta che vedevo
quel pezzo di antiquariato. Lo avevo trovato la settimana scorsa mentre
pulivo l’appartamento della signora Corvetti. Visto che era
scarico le avevo chiesto se lo dovessi mettere in carica ma lei mi
aveva risposto di lasciare stare, intanto non lo aveva mai usato e non
sapeva che farsene.
“Solo voi giovani sapete usare quella specie di arnese del
demonio!”
mi aveva detto dalla sua poltrona, intenta a leggere una rivista che
teneva a un palmo dal naso. E anche così dubitavo riuscisse
a distinguere qualche lettera.
“Prendilo pure
tu, figliola. Sarà più
utile a te che a questa vecchia decrepita!”
Ecco svelato il mistero del
perché avessi quello strano cellulare: lo avevo preso e
messo in carica (anche se non ricordavo di averlo infilato in borsa),
era stato
uno dei tanti regali che la generosa vecchietta mi aveva fatto.
Probabilmente non uno dei migliori, avrei apprezzato molto di
più una delle sue crostate fatte in casa che quel reperto...
Oppure dei biscotti, i suoi biscotti con zenzero e cannella erano
fantastici, per non parlare di quelli con mandorle e cioccolato! La
vita non sarebbe stata più la stessa senza quei biscotti...
Certo, la mia linea ne avrebbe giovato, ma ritrovarmi al pomeriggio a
sorseggiare una tazza di tè senza quei deliziosi
manicaretti... mi avrebbe lasciato un sapore amaro e ipocalorico in
bocca. Il sapore
della tristezza.
Naturalmente mi sarebbe mancata
anche la compagnia della vecchietta. Ogni volta che le preparavo del
tè, prima di prendere la tazza tra le mani, mi dava un
piccolo pizzicotto sulla guancia e mi faceva dei complimenti.
Anche la sera in cui è morta l’aveva
fatto.
“Adoro le tue guancione con le lentiggini! Ti voglio tanto
bene, bambina
mia!”
mi aveva detto poco prima che uscissi dal suo appartamento. Ecco,
quelle erano state proprio le sue ultime parole. Era molto carina come
frase, chissà se me l’aveva detta
perché sapeva che sarebbe morta nel giro di qualche ora,
forse se lo sentiva.
L’aveva trovata mamma la mattina dopo. Era salita per
portarle la posta e, visto che la porta
dell’appartamento non era chiusa a chiave, era entrata. Mi
aveva raccontato che la signora Corvetti era seduta in soggiorno, sulla
sua
poltrona, con un piccolo specchietto in grembo e la testa rovesciata
sullo schienale. Le era sembrato tutto normale finché non
l’aveva vista per bene in faccia, cosa che per poco non fece
morire di paura la povera mamma. I corti capelli, solitamente lisci e
candidi, erano stati arricciati e tinti metà blu e
metà
arancioni mentre il viso era ricoperto di un compatto strato di cerone
bianco, con il naso tinto di rosso così come la bocca, su
cui
era stato tracciato un sorriso che arrivava quasi fino alle orecchie.
Il dottore disse che doveva essere morta soffocata dalle sue stesse
risate.
Eh, nonna Marcella era buona e gentile ma probabilmente non ci stava
più tanto con la testa.
All’improvviso il telefono riprese a squillare, facendomi
quasi perdere la presa per lo spavento.
Sullo schermo non appariva alcun numero, vi era soltanto il simbolo di
una cornetta che oscillava.
Premetti il tasto di chiamata.
«Pronto?»
«Oh, finalmente!» esclamò
una nitida voce maschile
«Ce ne hai messo di tempo per rispondere,
ragazzina!»
Dal timbro della voce non sembrava essere troppo giovane, poteva
trattarsi di un uomo tra i trenta e i
sessant’anni. Non mi veniva in mente nessuno a cui potesse
appartenere.
«Mi scusi, con chi sto parlando?».
«Mi chiamo Machiavelli.»
Machiavelli? Come lo scrittore? Probabilmente se avessi conosciuto
qualcuno con quel cognome
me lo sarei ricordato.
«Mi spiace, signor Machiavelli, ma credo lei abbia sbagliato
numero…»
«No, no, guarda che Machiavelli è il mio nome! Non
il
cognome!»
«Ah.»
Sicuramente
se avessi conosciuto qualcuno con quel nome me lo sarei ricordato.
E io che mi lamentavo del mio…
«Allora, è già schiattata la
vecchia?»
«Come, prego?»
«Ma sì, la vecchietta rimbambita!»
continuò a parlare l’uomo lasciandomi sempre
più allibita
«Se
ero nella tua borsa deve aver per forza tirato le cuoia!»
«Ma chi è lei??!»
Ora capivo perché nonna
Marcella diceva che il cellulare era un arnese del demonio. Doveva
essere colpa di quel pazzo che aveva il suo numero.
«Ti ho già detto come mi chiamo!
Cos’è, sei
un po’ ottusa anche tu, Giò?»
«Come sa il mio nome??»
Mi sforzai di mantenere il sangue
freddo. Un pazzo sconosciuto mi aveva appena chiamata per nome ma ci
doveva essere un’altra spiegazione logica oltre
all’ipotesi
di uno stalker psicopatico che mi spiava da mesi e che forse mi stava
osservando anche in quel preciso istante… Forse si trattava
solo di un amico burlone della signora Corvetti ed era stata proprio
lei a
parlargli di me…
«Beh, è
semplice. È da più di un anno che entri ed esci
dall’appartamento della vecchia, è normale che
conosca il…»
Attaccai. La conversazione si stava
facendo troppo inquietante per i miei gusti. Forse era il caso di
liberarsi di quel telefono…
«Ehi! Hai cercato di zittirmi??»
Frenando l’impulso di urlare
e lanciare il cellulare, spinsi ancora il tasto per chiudere la
chiamata. Ero più che sicura di averlo già fatto
un secondo prima ma forse non avevo pigiato bene, poi quel cellulare
sembrava piuttosto vecchio…
«Guarda che è inutile che cerchi di chiudere la
chiamata, io parlo
lo stesso!»
No, non era possibile… Provai a cambiare tasto, spostando il
pollice
sopra quello di accensione/spegnimento.
«Inutile provare a spegnermi, solo io posso decidere quando
stare
zitto!»
Ci provai lo stesso ma
non funzionò. Mi venne in mente che, fin da quando lo avevo
trovato nella borsa, quel cellulare doveva essere
spento… e allora come diavolo aveva fatto a squillare
durante il funerale??
Forse quel giovedì mattina
avrei fatto meglio a sbarazzarmi di quell’aggeggio buttandolo
in una fossa che non era stata ancora riempita ma, invece, me lo portai
all’orecchio.
«Chi sei?»
«Te lo
ripeto un’altra volta ma tu vedi di aprire bene le orecchie e
accendere i neuroni!» disse la voce maschile in
tono seccato
«Piacere,
mi chiamo Machiavelli. Machia per gli amici.»
«Machia…?»
Quel nome mi diceva qualcosa…
«Beh, è
un po’ presto per definirci “amici” ma,
visto che ho iniziato io a chiamarti Giò, ti posso concedere
di chiamarmi
Machia.»
La soluzione di quell’enigma era così semplice da
non accorgermi
di averla proprio sotto il naso: “MAKIA”…
«Senti,
questo telefono è tuo, vero? C’è il tuo
nome sopra.»
«Ma tu
hai dei pesci rossi che nuotano dentro al cranio o cosa??!»
mi urlò l’uomo nell’orecchio
«Il
telefono non è mio!
IO SONO IL TELEFONO!!»
Sì, avrei
decisamente dovuto sbarazzarmene.
Note
dell’autrice:
Buondì
a tutti! Vi lascio giusto giusto un piccolo appunto su questa storiella
(che non dovrebbe superare i nove/dieci capitoli rigorosamente non
troppo lunghi, promesso). Qualche anno fa bazzicavo sul forum di EFP e
avevo adocchiato qualche contest. Mi iscrissi a tre o quattro e con
altri mi sono limitata ad osservarli curiosa e a buttare giù
idee. Ovviamente non ne portai a termine nemmeno uno (dai no, uno
sì, giusto una cosa che non supera le 500 parole).
Però
le idee (e pure qualche cosa di scritto!) sono rimaste, così
ho
deciso di andarle a rispolverare, rattopparle e infiocchettarle per
bene. Ecco la prima, nata dal contest del 2016 o 2017 sul tema
“maghette” (o almeno mi pare che di quello si
trattasse). A
presto (si spera entro la prossima settimana), RedCrimson.
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Capitolo 2 *** Magic Nik ***
cap2
CAPITOLO
II:
Magic Nik
«E tu saresti un cellulare parlante??»
«Sì, qualcosa di
simile. In realtà la questione è un po’
più complessa.»
«Ma per favore! Senti, basta con questo scherzo, chiudi
la telefonata e lasciami in pace!»
«Certo che sei
cocciuta, eh? Sei quasi peggio della vecchia!»
Ormai era da cinque minuti che urlavo contro quel
cellulare che affermava di avere vita propria. Per fortuna che quella
mattina
non c’era molta gente al cimitero o mi avrebbero preso per
matta… E forse matta
lo ero veramente visto che iniziavo a credere alle assurdità
che Machia mi
diceva. Vivo o meno, quel cellulare aveva sicuramente qualcosa di
strano. Non
solo non potevo spegnerlo, ma, quando lo aprii per provare a togliergli
la
batteria, scoprii che non ve n’era alcuna. Al suo interno
c’era solamente
quella che sembrava essere una SIM senza numero e con sopra disegnato
un cuore.
Assolutamente irremovibile (sì, nonostante il disegnino e le
proteste del mio
interlocutore, tentai subito di rimuoverla ma senza successo).
Disperata, decisi di arrendermi (per il momento) e
sentire quello che aveva da dire.
«Va bene, Machia,
facciamo finta che io ti creda. Che diavolo ci faceva un cellulare
magico nel
salotto della signora Corvetti?»
«
Eh, me lo sono
chiesto anch’io per molti anni…»
fece il
cellulare esalando quello che
aveva tutta l’aria di essere un sospiro
«È
stato il mio padrone a consegnarmi alla vecchia.»
«Il tuo padrone…?».
«Sì, l’uomo che
possiede il mio spirito. Quello a cui è intesta la cosa che
tu hai chiamato
“SIM”.»
In pratica stava parlando dell’uomo che pagava messaggi,
chiamate e forse i giga di internet (ma dubitavo fortemente che quel
coso che
sembrava uscito alla fine dagli anni ‘90 avesse la
connessioni dati).
«E chi sarebbe?».
«Un mago.»
Logico. C’era da immaginarselo. A chi poteva appartenere
un cellulare parlante se non a un mago?
«E perché questo mago ti avrebbe consegnato alla
signora
Corvetti?»
«Perché quel vecchio
pazzo voleva che l’altra pazzoide potesse essere sempre in
contatto con lui.»
«Ma è un suo parente?»
«Oh no, no di certo.»
Ah! Uno spasimante!
«È suo marito??»
Il cellulare scoppiò in una fragorosa risata.
«Seee, certo! Al
vecchio pazzo sarebbe piaciuto!»
Ok, probabilmente Machia non era un cellulare dallo
spiccato spirito romantico e io fantasticavo troppo.
«Comunque,»
riprese a parlare una volta terminato l’attacco di
ilarità «
non è che potresti riportarmi
dal mio padrone?»
Seguire le indicazioni date da un cellulare vivo per incontrare
il suo
padrone mago?
Mi avrebbe portata sicuramente in
un Centro di Salute Mentale… e quella era
l’ipotesi migliore. Non era ancora da
escludere l’altra del serial killer psicopatico che lasciava
in giro strani
telefoni e poi chiamava le sue vittime inventandosi strane storie con
lo scopo
di incontrarle in un qualche edificio isolato, stuprarle e ammazzarle.
Certo,
c’era anche l’ipotesi più ottimistica,
fantasiosa e assai meno probabile di
conoscere un vero mago.
Chissà se
sarebbe stato un tipo più alla Harry Potter oppure alla
Gandalf o Merlino… Da
come parlava di lui Machia, era più probabile che
assomigliasse a quest’ultimo.
Versione disneyana, non quella della BBC.
«Allora, mi riporti o
no da lui?» tornò a
brontolare il telefono
«
Adesso che la vecchiaccia è morta, il mio compito
qui è
finito!»
Vecchiaccia... che cosa
poco carina da dire al suo funerale... A proposito! Il funerale! Da
quanto
tempo mi ero assentata??
«Senti, adesso devo ritornare dagli altri ad ascoltare la
fine dell’orazione. Tu sta zitto per un’ora o due e
poi torneremo a parlare del
tuo mago, ok?»
Lo sentii sbuffare poi mugugnò un
“d’accordo” e si
spense.
In generale non ho mai avuto un gran bel rapporto con la
tecnologia, sapevo cavarmela discretamente con i computer ma con i
cellulari
era un altro paio di maniche. Dalla prima media ne ho avuti diversi,
con alcuni
c’è stato un certo feeling mentre con altri ho
avuto una relazione un po’ più
burrascosa ma mai avrei immaginato che sarei arrivata al punto di fare
delle vere
discussioni verbali, con tanto di compromessi,
con uno di loro.
La situazione si stava facendo sempre più assurda.
Ma non potevo trovare un ipod o un ereader parlante? Mi
sarebbero stati sicuramente più simpatici.
Giovedì
11 febbraio 2016, ore 17:24
Pieveottoville, Parma
Dopo aver convinto la mia adorata sorella maggiore a
farsi un’ora di macchina per arrivare a un paesino disperso
in mezzo alla
campagna, arrivai nel luogo dove avrei conosciuto il mago: la Casa di
Riposo Villa
Principe.
Le probabilità di trovarsi davanti a un serial killer si
erano ridotte notevolmente, in compenso si erano drasticamente alzate
quelle di
incontrare un vecchio rimbambito.
«Ma che ci vai a fare in una casa di riposo? Ti vuoi
mettere avanti?» mi chiese Sara mentre scendevo dalla
macchina.
«Ho promesso a un’amica che l’avrei
accompagnata a
trovare suo nonno» inventai di sana pianta.
«Tu hai degli amici??!»
Non sapevo se sentirmi offesa da quella domanda e dalla
sua espressione stupefatta.
«Certo, Sara, anch’io ho degli amici»
risposi in tono
piatto con un sorriso falsissimo in faccia.
«Bah! Io non ti vedo mai uscire dalla tua stanza! Credevo
che la tua unica amica fosse la vicina!»
“Cara sorella,
ma perché non ti fai un
po’ i cazzi tuoi?
Io non ti rompo le scatole contando i tuoi ragazzi...”
fortunatamente lo pensai e basta, se no sarei dovuta tornare a casa a
piedi.
«Come vedi le tue preoccupazioni sono infondate, adesso
sono fuori
dalla mia stanza e sto per incontrare
un’amica.»
«Sì, proprio il giorno del funerale della vicina.
Meno
male, così non resti sola.»
Appena avrò diciott’anni prenderò la
patente.
«Te adesso che fai?» cambiai argomento prima che
iniziasse ad uscirmi fumo dalle orecchie «Io dovrei essere
pronta per tornare a
casa tra un’ora, massimo due.»
«Qui vicino abita un mio amico, l’ho già
sentito, andiamo
a bere qualcosa da qualche parte.»
Come no. A bere la saliva l’uno dell’altra.
«Allora ti mando un messaggio quando ci sono.»
«Ok, ma non fare troppo tardi che tu domani hai scuola e
io lezione.»
Tardi...? Ottimo, mi sarebbe toccato aspettare
un’eternità.
«Veramente io pensavo di tornare a casa per cena.»
«Ah!» la vidi aggrottare la fronte con aria
pensierosa,
probabilmente si stava facendo un paio di conti «Va bene, va
bene, allora per
massimo le sette e mezza sono qui.»
Dopo un saluto veloce con la mano, rimise in moto la
macchina. Speravo vivamente che questo suo amico non le interessasse
più di
tanto, non avevo idea di quanto ci avrei messo a parlare con il mago,
ma
dubitavo di avere molti argomenti di conversazione con un anziano in
una casa
di riposo.
«Oh, era ora che se ne andasse!»
sbottò
Machia dalla tasca
dei jeans «
Prima quella musica orrenda in macchina e adesso
questa stupida conversazione, su dai, andiamo!»
Era davvero un cellulare insofferente.
Entrata nell’edificio, mi diressi subito alla reception.
«Buonasera, come ti posso
aiutare, cara?» mi chiese cordiale la donna in piedi dietro
al bancone.
«Salve, sono venuta a
trovare uno degli anziani che tenete qui.»
La donna mi guardò perplessa. Ok, forse non mi ero
espressa proprio benissimo.
«Come si chiama?»
«Giò Rossini.»
«Ok, fammi un attimo controllare
se abbiamo qualche ospite che si chiama Rossini...»
«Ah no, Rossini è il mio
cognome.»
Quanto
odio dover parlare con gente alla reception. Perché mi
doveva dare del “tu”??
Vado al liceo, ho sedici anni, ho diritto al “lei”!
«Allora mi potresti dire il
nome del signore che stai cercando?»
«Ehm...»
Accidenti. Non lo sapevo. Effettivamente quella era una
cosa abbastanza essenziale da chiedere al cellulare parlante.
Lo presi in mano e vidi che sullo schermo erano apparse
delle lettere.
«Nik» lessi.
«Nik? Sta per Nicola?»
«Sì» confermai senza averne idea.
«Bene, di cognome come fa?»
Riabbassai lo sguardo sul cellulare.
«Boh.»
Ma che diavolo scriveva quel coso??!
«Come “boh”? Non sai il suo
cognome?»
«Mi scusi un attimo.»
Mi allontanai dal bancone e mi portai il cellulare
all’orecchio.
«Che vuol dire “boh”??!»
«Ecco, attualmente mi sfugge il suo cognome. È da
un po’ che non lo sento.»
«Allora, razza di rudere tecnologico, adesso tu mi devi dire
come si chiama
il tuo padrone, nome
e cognome,
se no come cavolo faccio a
trovarlo!»
Non potevo di certo andare
da ogni anziano di quel posto chiedendo: “Mi scusi
è suo questo cellulare? Non
è che per caso lei è un mago?”. Non
potevo e non lo volevo fare. Per quel
giorno avevo esaurito le figure di merda.
«Scusa, bambina...?» fece una signora che mi si era
avvicinata.
Portava un paio di occhiali dalle lenti tonde e montatura
dorata, i capelli erano corti e grigi con qualche ciuffo più
bianco. Doveva
avere qualche anno in meno della signora Corvetti, forse addirittura
dieci, ma era
probabile che fosse una delle ospiti di quel posto.
«Mi è sembrato di sentire che stai cercando un
certo Nik.»
«Sì.»
Anziana o no, la signora ci sentiva ancora bene.
«Non è che per caso cerchi il mago?»
...cosa?
«Ehm... sì.»
«Allora
seguimi, cara.» disse sorridendomi cordiale
«Si sta esibendo proprio adesso in quella stanza
laggiù.»
La signora mi accompagnò davanti a una porta su cui era
stato attaccato un cartello con sopra disegnato (in maniera abbastanza
oscena)
un cilindro, una bacchetta e due colombe. Tale accozzaglia di oggetti e
volatili faceva da sfondo alla scritta “Magic Nik”.
La mia mente non riuscì a fare a meno (purtroppo) di
immaginarsi un uomo sull’ottantina abbondante ma pompato come
il peggior
tamarro visto in palestra, a petto nudo con una cravatta che mette bene
in
mostra i pettorali incartapecoriti. Un canuto Babbo Natale
“infisicato” con un
cilindro in testa. Eew.
«È molto bravo, sai?»
richiamò la mia attenzione l’anziana «Fa
certi trucchi con quella
bacchetta!»
La prego, signora...
Il cellulare iniziò a vibrarmi nella tasca. Machia era
impaziente.
Entrai nella stanza e mi sedetti nella prima sedia libera
che vidi. C’era un discreto pubblico: più di
dodici sedie occupate, senza
contare poi le carrozzine. Naturalmente l’età
media si aggirava sui settanta-ottanta.
«Signore e i signori!» parlò un uomo
dall’altro capo della stanza «Siete pronti per una
nuova
magia?»
Eccolo là. Magic Nik. Un ometto dai folti capelli grigi,
vestito di tutto punto con frac, guanti e cilindro. Fortunatamente non
assomigliava affatto all’immagine mentale che mi ero fatta.
Anzi, era quasi l’opposto:
bassettino e un po’ gracile.
L’ometto mostrò al pubblico un mazzo da gioco che
teneva
in mano, lo aprì e, invece di tirare fuori delle carte, ne
estrasse la già
decantata bacchetta. Nella sala stavano già battendo le
mani.
La fece roteare velocemente tra le dita, passandola dalla
mano sinistra a quella destra e viceversa. Poi,
all’improvviso la bacchetta
sparì sostituita da un fazzoletto rosso comparso da
chissà dove (probabilmente
dalla manica, posto dove anche doveva essere finita la bacchetta) e
iniziò ad
agitarlo, facendo ricomparire e sparire la bacchetta per circa un
minuto.
L’applauso diventava sempre più scrosciante.
Nik si fermò, accennò a un rapido inchino e, con
un gesto
della mano sinistra, invitò il pubblico al silenzio. Una
volta tornata la
calma, il mago prese il cilindro con la mano sinistra.
«Allora, signore e signori, cosa facciamo uscire questa volta
dal cilindro?»
«Un coniglio!»
«Un fagiano!»
«Una bella tettona!»
Le richieste erano molteplici (e alcune di dubbio gusto).
«Lei, signore!» esclamò infine il mago
indicando un uomo in seconda
fila «Ci conosciamo?»
«Ma certo, Nik, ci conosciamo da anni!» rispose
quello visibilmente confuso.
«Sì, lo so, Gianni... Ma ti ricordi cosa ripeto
sempre prima di iniziare lo
spettacolo? Come dovete rispondere voi del pubblico quando faccio
questa
domanda...?»
«Ah!» la bocca del signor Gianni si
spalancò e gli
occhi parvero avere un lampo di intuizione «No, no, Nik, io
non la conosco, mai visti prima!» il
tono era falsissimo.
«Benissimo... quindi è impossibile che io e lei ci
siamo messi d’accordo
prima dello spettacolo, giusto?»
«Giustissimo, impossibile! E questo è
vero!»
«Ottimo. Allora, signore, cosa vuole che faccia uscire dal
cilindro?»
L’uomo alzò lo sguardo e si portò una
mano al mento,
pensieroso, mentre tutt’intorno arrivavano suggerimenti. In
mezzo a quel
vociare, riuscivo a captare distintamente il consiglio “una
bella figliola” di
un qualche anziano furbacchione.
«Va bene, ho deciso!» sbottò dopo quasi
un minuto «Voglio Marilyn Monroe!»
Silenzio in sala.
«Perfetto!» replicò il mago senza
battere ciglio.
Stranamente, ero davvero curiosa di vedere cosa si
sarebbe inventato.
Nik iniziò ad agitare la bacchetta sopra il cappello,
tracciando in aria una spirale discendente.
«Il reclamo è stato detto, ora esci da
cilindretto! Né rossa né mora
gradisce, ma la bionda il signore preferisce! Guardate bene questa
magia,
stasera la bella Marilyn vi terrà compagnia!»
E dopo quel farneticare insensato, il mago sollevò
lentamente la bacchetta. Sulla punta vi era appeso qualcosa... un dvd.
«Ecco a voi Marilyn Monroe nel suo famoso film “Gli
uomini preferiscono le
bionde”! Siete liberi di guardarlo dopo cena!»
Il pubblico era in visibilio.
Nik passò il dvd a una signora nella prima fila poi
tornò
a ricevere i meritati applausi facendo un inchino.
«E anche per questa sera lo spettacolo è
concluso...»
«No, no, un altro!»
«Un’altra magia!»
«Bis!!»
Oh, questo Nik piaceva molto.
«E va bene, va bene.» concesse loro il mago
portando le mani avanti per
quietarli «Ma solo una! Che ne
dite di un po’ di mentalismo?»
Si levò un coro di “sì”.
«Ottimo, allora mi serve un volontario.»
Il suo indice si mosse più volte da sinistra a destra,
scorrendo sui
possibili candidati, finché non si fermò nella
mia direzione.
«Lei, la signorina in un’ultima fila. Si
avvicini.»
«Io?»
Era ovvio che si riferisse a me, aveva detto
“signorina”...
«Sì, sì, venga qui.»
Titubante mi alzai dalla sedia e camminai verso il mago.
Odiavo quel genere di cose, mi sentivo osservata da troppa gente.
«Allora, proporrei un giochetto con le carte...»
iniziò a
dire estraendo un mazzo dalla giacca «Una cosa semplice
semplice...»
«Nik, Nik, le domande! Non le hai fatto le
domande!» urlò
qualcuno dal pubblico. Forse il signor Gianni.
«Giusto, giusto... Mi scusi, signorina, come si
chiama?»
«Giò.»
«Piacere, Giò. Lei mi conosce?»
«No.»
«Ci siamo mai visti prima?»
«No.»
«Perfetto, procediamo!»
L’ometto mescolò le carte con una certa
abilità (di sicuro
non soffriva di artrite) poi me le passò.
«Ora guardate bene questa busta!»
Tirò fuori dalla giacca (chissà se
c’era altra roba lì
dentro) una busta gialla, la sollevò in alto e la
rigirò in aria davanti alla
platea.
«Qui dentro è contenuta una carta misteriosa che
riveleremo a breve... ma,
nel frattempo, la tenga lei signora Rita.»
Detto ciò, la consegnò a una vecchietta in prima
fila che
se la strinse in grembo come se si trattasse di un tesoro. Dal suo
sguardo sembrava
pronta a
difenderla a costo della vita.
«Ora, Giò, dividi a metà il mazzo e
consegnami i due
mazzetti.»
Feci quello che mi aveva chiesto, cercando di beccare la
metà precisa, e glieli ripassai.
«Adesso scegli uno dei due mazzi.»
Indicai quello a sinistra. Lui me lo ridiede in mano e si
mise in tasca il mazzetto destro.
«Ottimo, rifai la stessa cosa.»
Ripetemmo il procedimento finché non mi ritrovai in mano
solo due carte (in qualche passaggio non dovevo aver diviso benissimo).
«Bene, Giò. Adesso guarda le due carte e scegline
una, l’altra ridammela
pure.»
Me le portai davanti agli occhi, stando attenta a che nessun altro le
vedesse. Erano due regine, quella di quadri e quella di cuori.
Col cavolo che avrei scelto quella di cuori.
Mi tenni quella di quadri e riconsegnai l’altra al mago che
se la mise in
tasca insieme alle altre.
«Ora è giunto il momento di scoprire insieme la
carta misteriosa! Signora
Rita, potrebbe aprire la busta e mostrare la carta a tutti?»
La signora Rita non se lo fece ripetere due volte. Un
istante dopo sventolava in aria la regina di cuori.
Ah! Fregato!
«E adesso vediamo un po’, cosa mai avrà
scelto Giò! Un asso, un due o un
tre, oppure un dieci o un re? Chissà se saranno picche o
fiori, o forse proprio
la regina di cuori!»
Ma che era quella cantilena? Non ci badai molto e girai
tutta soddisfatta la mia carta.
Era la regina di cuori.
Il pubblico impazzì.
Io rimasi lì imbambolata con in mano una carta che in
mano non ci doveva essere.
Come diavolo era possibile?
C’ero stata attenta! Io quella carta l’avevo vista
bene!
E non era la regina di cuori!
«E anche l’ultima magia è stata
fatta!» riprese
parola Nik «Bene, signore e signori, io vi saluto. Il vostro
Magic Nik ritorna la
prossima settimana!»
Piano piano (perché i legamenti delle ginocchia non erano
più quelli di un tempo) le persone abbandonarono la stanza,
lasciandomi da sola
con il mago.
«Piaciuto lo spettacolo?» mi chiese con un ampio
sorriso che metteva in mostra la
dentiera perfetta «Posso esserti di aiuto,
signorina?»
«Sì, ecco, io...»
«Nik, Nik! Come hai potuto abbandonarmi per più di
quindici anni??!»
«Oh, Machia, sei proprio tu! Allora, ci avevo visto
bene!»
Beh, almeno mi ero risparmiata domande imbarazzanti del
tipo “conosce questo cellulare?”
«Perché non sei mai tornato
a riprendermi??»
«Suvvia, non parliamone qui. Andiamo nella mia stanza che tra
poco
dovrebbero entrare per sistemare le sedie.»
Dopo aver girato un po’
all’interno della villa, mi fece accomodare in quella che
doveva essere la sua
camera.
«Allora, signorina, prima di tutto le
presentazioni.» disse
porgendomi la mano «Mi chiamo Niccolò.»
«Piacere.» risposi stringendogliela
«Non mi dica che di cognome fa Machiavelli.»
«No, no, quello è il nome che ho dato al mio
famiglio...»
«Il qui presente! E
gradirebbe essere tolto dalla tasca! È stretta!»
«Il mio cognome è Cosini, Niccolò
Cosini. E invece “Giò” per cosa
sta?»
«Giusto, qual è il tuo nome
per intero?»
Oh no...
«È Giò. Solo Giò.»
«Oh, andiamo, sarà
sicuramente l’abbreviazione di qualcosa!»
«Posso provare a indovinare?» chiese
l’ometto appoggiando il frac su una sedia.
«Guardi, lasci stare...»
«Facciamo che se indovino inizi a darmi del "tu". Io dico che
“Giò” sta
per...»
«Ma dai, sarà qualcosa con
“Giorgia”, magari
“Giorgina”!»
Il mago non gli diede ascolto, chiuse gli
occhi e si portò le dita alle tempie.
«Gioacchina!»
«Pff! Stavolta l’hai sparata
grossa!»
No.
Impossibile.
«Come lo sa?» gli chiesi in tono funebre.
«Oh per Giove, è vero!»
«Be’, sono un mago, ho una dote per queste cose. In
più, qualche giorno fa,
ho ricevuto un messaggio dove mi informavano che il mio vecchio
famiglio era
passato di proprietà a una certa Gioacchina
Rossini.»
«Gioacchina...accidenti, mi
dispiace.»
Disse Machiavelli...
«Beh, non è mica così male,
invece!» fece Nik mettendosi a sedere
sul letto e sistemandosi i polsini della camicia «Gioacchina
Rossini!» esclamò
meditabondo.
«La prego, non lo dica più per intero.
“Giò” basta e avanza.»
«Mai pensato di fare il conservatorio?»
«No.»
Ma perché mamma si era impuntata nel voler dare il nome
dei nonni morti
ai figli? Sara se nasceva femmina e Gioacchino se maschio. Peccato che
abbia
avuto due bambine... E sua sorella è stata la prima.
Maledetta fortunata.
«Comunque, dimmi un po’, Giò,»
riprese a parlare sorridendomi
affabile «devi essere qui per
tua madre, vero? Le assomigli così tanto!»
«Non credo lei possa conoscere mia madre...»
«Ah no? Marcella non è tua mamma?» lo
sguardo dell’ometto si fece
più indagatore «Mmm, quanti anni hai?»
«Sedici.»
«Allora potresti...?!»
Qualsiasi cosa volesse dire, le possibili implicazioni mi
facevano rabbrividire.
«Ripeto che la signora Marcella non è mia madre. E
conosco bene anche mio
padre.»
«Ah, bene bene, allora devi essere sua nipote.»
«La signora era una mia vicina.»
«Eppure le assomigli tanto!»
«Sinceramente spero di no.»
La signora Corvetti non
era proprio una bella donna. Ok che i suoi anni d’oro erano
belli che passati,
ma mi era difficile da credere che la si potesse anche solo vagamente
considerare attraente da giovane. Forse c’era stato un tempo
in cui era un po’
meno larga che alta.
«Eh, aveva i tuoi stessi capelli rossi e il tuo
nasino a patata!»
«Ma lei è sicuro di ricordarsi la signora
Marcella?»
Perché non sembrava proprio. La vecchietta aveva capelli
corti e bianchi che tanti anni prima erano stati neri, mentre il naso
era
sempre stato adunco.
«Forse la sua immagine si è sfumata un
po’ nella mia mente...»
disse sospirando «Sai, l’ho conosciuta
vent’anni fa, era favolosa...»
Facendo un paio di conti, lei doveva avere sessantasette
anni. Favolosa e già diversamente giovane. E probabilmente
la sua forma si
stava già avvicinando a quella di un barile.
«...ci innamorammo perdutamente. La portai a Parigi, le gite
in barca sulla
Senna... Eh, dopo solo quattro anni la dovetti lasciare, diceva che il
suo
cuore non voleva catene e non si voleva impegnare.»
La signora Corvetti? A quasi settant’anni non voleva
impegnarsi? Forse era più probabile che non volesse questo
tipo attorno.
«Però le lasciai Machia. Lo avevo appena
trasferito in un cellulare di
nuovissima generazione.»
«Infame.»
«Ehi, a quei tempi anche tu eri d’accordo. Che fine
ha fatto quel bel
telefono fisso che ti piaceva tanto?»
«Monique! Ah, Monique...
aveva la più bella cornetta che avessi mai visto. Un
così bel filo arricciato,
il disco con i numerini dentro...»
«Che ne è stato?»
Dal cellulare iniziarono ad uscire suoni molto simili a
lamenti disperati e singhiozzi.
«Una notte... Lei-lei smise
di funzionare bene... Soffriva, si sentiva un fischio continuo nella
sua
cornetta... E così...co-così... due uomini la
portarono via! Al suo posto
misero un... un coso
nero cordless senz’anima! Oh Monique,
non
incontrerò più nessuna come te!»
«Su su, vedrai che ne troverai un’altra!
Hai visto i nuovi modelli
di cellulare che girano? Visto questi iphone?»
«Non voglio avere niente a
che farci con quelle lì!»
sentenziò
categorico
«Piuttosto, perché tu in quindici anni
non ti sei mai fatto vedere?!»
«Beh, ho provato a chiamare ma eri sempre spento. Poi non
ricordavo né
l’indirizzo né il cognome di Marcella. Era un
po’ difficile rintracciarla.»
«Potevi usare qualche magia!»
«E tu perché non hai mai chiamato?»
«Perché la maledetta strega non mi ha mai messo
in carica!»
«Suvvia, “strega”! Mi pare fosse una
maga.»
«A me
basta anche poca, pochissima energia, ma lei niente! Neanche una
caricatina in
quindici-sedici anni! Ho dovuto mettermi in una sorta di
standby!»
«Ahem!» provai a
schiarirmi la gola. Sembravano essersi totalmente dimenticati della mia
presenza.
«Oh, scusa, Giò!» disse Nik tornando a
guardare me e non il cellulare che
tenevo in mano «Stavamo parlando della cara Marcella... A
proposito, come sta?»
«È morta lunedì.»
«Oh.»
Forse avrei dovuto
usare più tatto.
«Che cosa l’è capitato? Un
incidente?» chiese incupendosi «O forse qualche
brutto malanno se l’è portata via prima del
tempo?»
«Sembra sia morta soffocata dalle sue risate dopo
essersi vista allo specchio truccata da clown.»
«Ha senso.»
Ah sì?
«È sempre stata una mattacchiona,
la mia dolce Marcella.» disse accennando a
un sorriso «L’è sempre piaciuto far
ridere la gente, per una volta avrà voluto far
ridere se stessa.»
«E l’è stato fatale.»
«Forse n’è valsa la pena... Ti
è sembrata felice
quando l’hai vista, Giò?»
«Non me l’hanno fatta vedere.»
E nemmeno l’avrei
voluta vedere. Il cadavere di una signora anziana con la faccia
pitturata da
clown? Sarebbero stati incubi assicurati per anni.
«Va beh, così va la vita.»
decretò per poi sospirare «Il fatto che sia morta,
spiega in parte anche perché Machia sia passato a te e io
non me lo possa
riprendere.»
«Cosa?!?!»
«Già, dal messaggio che ho ricevuto sembra che
Marcella ti abbia ceduto alla nostra Giò.»
«Poteva farlo?!»
«Beh, io ti avevo regalato, per MagicWorld è come
se d’allora tu fossi appartenuto a lei, quindi sì.
E adesso sei il famiglio di Giò.»
«Ma lei non è né una maga né
una strega, non può avere un famiglio!»
«Infatti. È per questo che
credo che lei abbia passato alla ragazza anche il suo contratto
magico.»
«Scusate, la ragazza vorrebbe capire di che state
parlando.»
Che contratto? Anche la vecchia signora Corvetti era una maga?
Nik mi rivolse un
sorriso smagliante (e anche leggermente inquietante).
«Congratulazioni, Giò, probabilmente sei
diventata una maga.»
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Capitolo 3 *** Benvenuti a MagicWorld ***
cap 3
CAPITOLO
III:
Benvenuti
a MagicWorld
«...devo andare via di casa e frequentare una scuola con
quadri parlanti e scale che si spostano?»
«No, no, niente di tutto questo!»
«Devo imparare a fare trucchetti con le carte?»
Io il cilindro non me lo sarei mai messo...
«Non serve, ma se sei interessata te ne posso insegnare
qualcuno.»
«No, grazie.»
Quindi che diavolo voleva dire che ero diventata una maga?
«Guarda, mia cara,» riprese a parlare Nik dopo
qualche colpo di tosse «in realtà la faccenda
è molto semplice. Basta che vai all’ufficio
“contratti” di MagicWorld e lì ti
spiegheranno tutto.»
Ah beh, semplice. Semplicissimo.
«Che cos’è MagicWorld?»
«La società che si occupa della gestione della
magia da circa cinquant’anni.»
«Una società? Niente ministeri segreti e roba
così?»
«Un tempo c’era la “Corte della
Magia” ma con gli anni si è osservato che gli
uomini di affari sono molto più efficienti di nobili e
politici.»
«Ah.»
«Non è saggio mischiare magia e
politica...»
Per quel che ne so di politica, non è saggio mischiarla con
niente.
«...per non parlare della religione! Fortunatamente ormai
nessuno segue più la “Mistica Chiesa della
Magia” con le sue dieci o venti divinità e tutti
quei sottoculti strani...»
«Va bene, va bene,» lo interruppi prima che
iniziasse a dilungarsi con la teologia «ma dove lo trovo
questo ufficio contratti?»
«Ce n’è uno in ogni “Centro
MagicWorld”.»
Molto utile.
«E dove lo trovo un “Centro MagicWorld”?
Non mi pare proprio siano pubblicizzati!»
«Ah già, è normale che tu non li
conosca visto che sono nascosti. Per caso nel tuo paese
c’è un negozio che vende elettrodomestici e altri
arnesi elettronici?»
«Sì, certo.» risposi confusa
«Anche più di uno.»
«Sì, però quello che intendo ha un nome
particolare, qual era pure...» prese a grattarsi la testa
pensieroso «Mi pare avesse una scritta bianca su uno sfondo
rosso, o il contrario...»
«...Media World?»
«Esatto! Dovrebbe essere proprio quello!»
Che diamine c’entrava il Madia World con MagicWorld? A parte
finire entrambi in “world”,
non riuscivo a trovare
un collegamento valido tra un negozio di elettronica e una
società “magica”. Però, forse
non era stato un caso (di sfiga) se invece di un animaletto parlante
(maledette maghette dei cartoni animati) mi sono ritrovata con un
cellulare
parlante (e obsoleto). In effetti, visto quello che riusciva
a fare adesso la tecnologia, ci poteva essere dietro qualcosa di
magico...
«Allora, domani mattina va subito al Media World del tuo
paese. Fai un giro nei vari reparti, da qualche parte ci deve essere
una porta o una botola. Occhi aperti perché di solito
è ben nascosta, Machia ti aiuterà a
trovarla.»
«Ehm ehm» si schiarì la voce, sentendosi
interpellato. Che cosa assurda. «Questo, poi, lo decido io.
Magari se la bamboccia me lo chiede in modo gentile.»
Ma perché quel vecchio aggeggio doveva avere dei modi
così irritanti?
«Di solito un mago usa “per favore” per
dare ordini
al proprio famiglio?» domandai in tono mellifluo.
Il cellulare emise un suono stizzito.
«Punto uno: non si sa ancora se tu sia una maga e fino a che
non ne avrò l’assoluta
certezza io non mi
considererò il tuo famiglio!»
«Machiavelli, comportati bene.» lo
ammonì Nik con un’occhiataccia «Sii
più galante con la signorina.»
Machia borbottò qualcosa ma non aggiunse altro. Bene, se
avesse continuato a fare il bravo telefono, forse quella sera lo avrei
messo in carica. Forse.
«Bene, sono quasi le sette.» disse il mago
osservando l’orologio appeso al muro «Posso
chiacchierare ancora per...mmm...una quarantina di minuti, poi devo
andare a cenare con gli altri ospiti.»
«Se vuole posso andare, non voglio disturbarla.»
Intanto avevo capito che per avere informazioni utili sarei dovuta
andare da MagicWorld... Lo stesso posto dove di solito compravo gli
auricolari, ma dai. Magari lì mi cambiavano pure il
cellulare.
«Ma che disturbo!» fece lui invitandomi con la mano
a sedermi sulla sedia «Se tu non hai fretta, mi piacerebbe
sapere qualcosa in più sulla futura padrona del mio Machia.
E, per favore, dammi del “tu”. Dopotutto, sono
riuscito a indovinare il tuo nome.»
Indovinare... lo aveva letto su un messaggio.
Va be’, mi sedetti. Dopotutto non è che avessi
molto altro da fare, nella migliore dell’ipotesi avrei dovuto
aspettare mia sorella per un’altra mezz’ora.
«Ok, va bene. Che cosa vuoi sapere?»
«Dunque, hai detto che hai sedici anni. Vai a
scuola?»
«Sì, faccio il liceo classico, sono in
terza.»
«Uh, il classico! E dopo cosa ti piacerebbe fare?»
Eccola là, la solita domanda odiosa che mi fanno da quando
ho finito le medie. “Che cosa vorresti fare dopo?”
Ma che cavolo ne so! Non sono nemmeno così tanto sicura di
cosa voglio fare adesso,
figurati tra due o tre anni.
«Ci sto pensando.»
Tradotto: boh.
«Università?»
E certo, percorso scontato. Dove lo vado a trovare un lavoro con il
diploma del liceo classico?
«Forse.»
Mah.
«Non ti piacerebbe fare l’insegnante?»
Piuttosto mi unisco a una banda itinerante e imparo a ballare la polka.
«Non credo faccia per me.»
«E, invece, come vanno gli affari di cuore? Ce
l’hai un fidanzatino?»
Cosa...??
«Un fidanzatino?»
«Ma sì, un ragazzo. Hai già trovato
qualcuno di speciale?»
Eh?!?!
«Guardi, non credo siano affari suoi...» iniziai ad
alzarmi.
«Eddai, Giò, sono solo un vecchietto curioso! Puoi
confidarti, prometto che io e Machia non diremo niente a
nessuno!»
Ok, forse avevo frainteso... Era solo un anziano invadente.
«Ma figurati se c’è qualcuno che se la
piglia...»
Ehi!
«Machiavelli! Ma che maniere sono!»
«Dai, è oggettivamente bruttina. Poi hai visto
quanto è sciatta?»
Simpatico. E per una settimana quel coso si è giocato il
caricabatterie.
«Veramente al momento non sono interessata ai
ragazzi» risposi gettando il cellulare dentro la borsa,
incurante delle sue proteste.
«Oh, capisco.» constatò Nik aggrottando
la fronte «Ti piacciono le ragazze?»
Che anziano moderno.
«No, no, neanche quelle. Al momento non sono proprio
interessata a trovare qualcuno di speciale.»
«Ma come?!?!» esclamò sconvolto
«Una ragazza della tua età che non cerca
l’amore!»
Eew. Ma che piega aveva preso quella conversazione?
«Come puoi rinunciare adesso all’amore?!»
«Non ho detto che ci ho rinunciato, solo che adesso sto bene
senz-»
«Un giovane cuore che non brama palpitare d’amore
non è altro che un organo mutilato!»
Avevo scioccato una principessa Disney.
«Tutti hanno bisogno di qualcuno d’amare e da cui
essere amati! Tu
più di tutti!»
«Io?»
«Sì, tu! Adesso che il tuo spirito è
ancora spensierato e non appesantito dall’esperienza! Non
devi perdere la gioia pura e ingenua che l’amore sa
trasmettere in questi anni!»
Wow. Non capivo se il suo scopo fosse spronarmi o deprimermi.
«Il formicolio allo stomaco, la testa improvvisamente
leggera, il sorriso ebete sulla faccia...»
Sembravano gli effetti collaterali di un medicinale.
«Davvero, signor mago, sto bene così. Sono una
ragazza bruttina e cicciottella che non interessa ai ragazzi e a me non
interessano loro. Ho altro a cui pensar-»
«Sciocchezze!» sbottò battendo le mani
sulle gambe secche «Tu troverai l’amore!»
Venerdì
12 febbraio 2016, ore 14:20
Solignano, Parma
«Ma dov’è questa porta?»
«Hai guardato nel reparto computer?»
«Ci siamo già stati, niente di niente. Ma non
possiamo chiedere a un commesso?»
«Nah, quelli non sanno niente. Prova dagli elettrodomestici,
apri qualche sportello.»
Ottimo. Avrei passato il pomeriggio, dopo sei ore di scuola, a
ispezionare frigoriferi e a mettere la testa dentro a forni. E mi
toccava pure tenere in mano, così, in bella vista, quel
rudere tecnologico di Machia.
Maledetti film! Una poi si fa delle aspettative sulla magia, i
maghi...e invece io mi ritrovavo con una specie di Nokia 3310 e un
prestigiatore romantico un po’ ammattito!
«Ciao! Ti posso aiutare?»
Era apparsa una commessa selvatica, polo rossa e sorriso smagliante.
«Ehm... veramente stavo solo dando
un’occhiata.»
«Oh...» aggrottò la fronte e il suo
sguardo si abbassò sul telefono che reggevo. Non la potevo
di certo biasimare. «Se stai cercando il reparto telefonia
è lì sulla destra.»
Il cellulare iniziò a vibrare furiosamente.
«Mi scusi, mi stanno chiamando.»
Mi allontanai velocemente dall’efficiente commessa, portando
il telefono all’orecchio con un finto
“pronto”.
«Ma come si permette??! Io sono un signor cellulare! Non ho
nulla da invidiare a quei cosi senza tasti, grandi come un libro e
spessi come un fazzoletto!»
«Piantala di urlare! Mi sfondi un timpano!»
«Portami in quel reparto che li spacco tutti!»
No. Assolutamente no.
«Aspetta!»
Mi bloccai.
«Che c’è?»
«Ho avvertito qualcosa di strano. Cosa
c’è alla tua destra?»
Mi girai in quella direzione. Due file di scaffali delimitavano una
corsia totalmente deserta. Stranamente quella zona sembrava
più buia e silenziosa rispetto al resto del negozio... Un
luogo dimenticato che emanava desolazione.
Curiosa, quasi affascinata, presi un oggetto dallo scaffale alla mia
sinistra. Vi soffiai sopra per rimuovere lo strato di polvere che lo
ricopriva.
“ABBA Gold:
Greatest Hits”
«È il reparto con i CD.»
«Mmm... potrebbe aver senso... Cerca qualche disco con la
parola “magic” o simile.»
Sospirando mi misi al lavoro, rassegnata a impolverarmi le dita.
«Può andare “A Kind of
Magic”?»
«Dei Queen? Nah, troppo famosi, cerca ancora.»
«E “Magic” dei The Jets?»
«Dei chi?»
«Boh, sono quattro tizi e tre tizie con vestiti molto anni
’80. Uno ha una pancera sopra la camicia...»
«Perfetto! Aprì la custodia!»
Tenendo il cellulare tra l’orecchio e la spalla, feci
ciò che mi aveva detto...solo che dentro non vi trovai alcun
CD. Confusa, mi rigirai la custodia tra le mani.
«Ehi, qui c’è un bottone
rosso!»
«Bingo!»
«Ma che vuol dire?»
«Premilo.»
«Ma non può essere collegato a un
passaggio!»
«Tu premilo.»
«Ma se qualcuno comprasse il CD?»
«Vedi forse molta gente smaniosa di comprare dei dischi? E,
soprattutto, di questi The Jets?»
«No, ma non si sa mai...»
«Gioacchina premi quel pulsante.»
Lo premetti e non mi sentii più il pavimento sotto i piedi.
Fortunatamente, la sensazione di cadere durò meno di un
secondo, non ebbi neppure il tempo di urlare per il terrore. Mi
ritrovai scioccata e con il cuore in gola, ma comodamente seduta su una
soffice poltrona.
«Oh, eccoci qua!»
Con tutti i modi che potevano trovare... una scala nascosta, un
ascensore seminvisibile... Perché optare per un sistema a
rischio di infarto?? Volevano decimare i potenziali neomaghi??
Mi sfilai il telefono da sotto l’orecchio, tenendolo con la
mano destra mentre nelle dita della sinistra continuavo a stringere
“Magic”.
«Salve, posso aiutarla?»
Prima ancora che potessi guardarmi attorno, apparve una ragazza in
tailleur, schiena ben dritta e capelli tirati indietro in uno chignon.
Doveva essere abbastanza giovane, tra i venti e i venticinque anni,
come la commessa del piano di sopra, però questa non esibiva
alcun sorriso cordiale. Il suo sguardo era totalmente inespressivo.
«Se è una fan dei The Jets, la prego di seguirmi.
La conduco subito alla cassa.»
«Dobbiamo andare all’ufficio contratti.»
«Capisco.» non sembrava minimamente sorpresa nel
sentire un cellulare parlare «Allora vi porto da un nostro
dipendente al momento disponibile. La prego, mi segua.»
Nonostante il suo gentile invito, quella partì spedita,
senza nemmeno voltarsi per vedere se la seguissi effettivamente,
così mi affrettai a mettermi in piedi e allungare il passo.
Attraversammo un lungo corridoio, formato da un pavimento di piastrelle
grigie e due pareti bianche con numerose porte dell’identico
colore. Non si vedeva anima viva, non si percepiva alcuna voce, ma
dietro a quelle porte chiuse ci doveva essere qualcuno. Infatti, oltre
al tacchettio che accompagnava la marcia della mia guida, sentivo
distintamente il rumore di dita che lavoravano frenetiche su tastiere
da computer.
«Arrivati» la ragazza si fermò davanti a
una porta identica a tutte le altre, non c’era nemmeno un
cartellino che indicasse la funzione della stanza o il nome di chi la
occupava.
L’aprì senza perdere tempo a bussare.
«Nuovo cliente» annunciò in tono piatto.
«Avanti» rispose una voce femminile con lo stesso
entusiasmo della collega.
Entrai titubante e, non appena misi entrambi i piedi nella stanza,
quella che era stata la mia ospitale guida mi chiuse la porta alle
spalle, abbandonandomi senza una parola di commiato.
«Prego, si sieda.»
La ragazza che mi attendeva dietro a una scrivania era
un’esatta copia dell’altra: abito formale, capelli
legati e sguardo privo di ogni gioia di vivere. A differenziarle
c’era giusto un paio di occhiali dalle lenti strette e
quadrate.
Mi accomodai sulla sedia di fronte a lei e appoggiai Machia sulla
scrivania. Quella, dopo una rapida occhiata, tornò a
concentrarsi sul suo computer portatile, iniziando a muovere
velocemente le dita.
«Cognome?»
«Rossini.»
«Nome?»
«Giò.»
«Gioacchina.»
«Bene, Gioacchina Rossini... Mi faccia controllare...
sì, qui risulta che la recente defunta maga, Marcella
Corvetti, le ha lasciato in eredità il suo contratto prima
di morire. Abbiamo ricevuto il modulo due settimane fa, firmato sia
dalla signora Corvetti che da lei.»
«Da me?!»
«Sì, c’è la sua
firma.»
«Ma non è possibile!»
«Aspetti che le stampo una copia del documento.»
Qualche colpetto sulla tastiera e la stampante alla sua destra si mise
in azione.
«Ecco a lei.»
Presi il foglio che mi porgeva e lo analizzai con attenzione.
Impossibile.
«Non è quella la sua firma?»
«Sì, è la mia.»
E non sembrava neppure falsificata.
Allora mi tornò in mente ciò che era successo
circa un mese prima...
“Giò,
tesoro, hanno suonato al campanello.
Potresti scendere giù tu? Dovrebbe essere il corriere con un
pacco.”
Infatti, proprio del corriere si trattava. Il corriere più
strano che avessi mai visto: una signora sulla settantina, con un
berretto stile marinaio in testa, una tuta da lavoro blu e degli spessi
occhiali dalle lenti scure. Sì, degli occhiali da sole. A
gennaio.
Tra le mani reggeva il fantomatico pacco, dalle dimensioni di una
scatola da scarpe.
“Mi serve una
firmetta” mi disse dopo avermelo
consegnato, allungandomi un foglio tutto ripiegato dove si leggeva solo
la parola Firma
seguita da dei puntini.
E io ho firmato.
Ed ecco cosa avevo firmato.
Era una maledetta trappola.
«Quindi adesso sono una maga...?»
«Adesso lei ha un contratto magico qui da noi, glielo abbiamo
creato non appena abbiamo ricevuto la richiesta. Però, le
devo prima fare qualche altra domanda per poterla dichiarare una
“maga”.»
«Prego.»
«Allora, partiamo completando i dati... Luogo e data di
nascita ce li abbiamo già.... residenza?»
«Via Fondovalle 34, Solignano.»
«E-mail?»
«Jo_Rossini@gmail.com»
«Bene, passiamo alle caratteristiche fisiche...»
«Il numero di telefono non serve?»
«No, useremo quello che a breve le verrà dato
dalla compagnia Magicphone. Dunque... Occhi castani, capelli rossi,
segni particolari lentiggini... porta occhiali o lenti a
contatto?»
«No.»
«Mi può dire quanto è
alta?»
«Un metro e settantatré.»
«Le sue misure?»
«Prego...?»
«Misure del corpo: petto, vita e fianchi.»
«Non vedo a cosa le possa essere utile.»
«Questo è irrilevante. È un dato
richiesto.»
«Però io non le so.»
«Allora per adesso lascio la casella in bianco. Appena le sa
ce lo faccia sapere. Passiamo al resto... stato?»
Confuso...?
«In che senso?»
«Stato civile.»
«Ah! Single.»
«Nubile... professione?»
«Studentessa.»
«Bene, passiamo ai dettagli del contratto... Lei vuole
diventare una maga o una strega?»
Ah, si poteva scegliere?
«Cioè, devo decidere se essere buona o
cattiva?»
«Niente di tutto questo, a noi di MagicWorld non interessano
i suoi conflitti morali.»
«Allora che differenza c’è tra maga e
strega?»
«Essenzialmente le differenze sono due: la prima consiste nel
costume che le recapiteremo ogni anno a casa il 31 ottobre. Un piccolo
omaggio da parte di MagicWarld e Magicphone per festeggiare Halloween.
La seconda sta nella formulazione degli incantesimi: maghi e maghe
devono usare la rima baciata mentre streghe e stregoni quella
alternata.»
«Sta scherzando?»
Ma la risposta gliela potevo già leggere nel suo sguardo
spento come un camino in agosto.
«Affatto.»
«Ma posso scegliere di diventare una strega anche se la
signora Corvetti era una maga?»
«Sì, non ci sono problemi.»
Dunque, visti i miei capelli rossi, diventare una strega poteva essere
una scelta sensata... “Maga” faceva più
cartomante o Maga Magò... Però, c’era
il discorso non indifferente delle rime. La rima alternata forse era
più carina, ma anche più complicata rispetto a
quella baciata...
«Vada per maga.»
Massì, livello difficoltà: poesie delle
elementari.
«Perfetto, quindi “maga”, magie
“AABBCC”. Bene, passiamo agli incantesimi. Dato che
lei è appena diventata una nostra cliente, per il primo anno
avrà diritto solo alla nostra tariffa base, ovvero
potrà usare un unico tipo di incantesimo per un massimo di
mille volte all’anno. Allo scadere dell’anno,
quindi il 12 febbraio 2017, ore 15:01, potrà tornare qui a
cambiare il suo piano tariffario.»
«Cioè, per un anno ho diritto a un solo
incantesimo?»
Che fregatura...
«Un solo tipo di incantesimo. Ad esempio, con il tipo di
incantesimo “Suitcase”, anche detto
“Hockety Pockety”, può far entrare
qualsiasi cosa in un'altra, indipendentemente dalle dimensioni. Molto
richiesto con l’avvicinarsi delle vacanze. Ogni volta che lo
si usa, occorre cambiare la formula in base alla situazione, ma
l’incantesimo resta sempre quello.»
«Capisco... tra che incantesimi posso scegliere?»
«Lei non può scegliere.»
«Perché?»
«Visto che l’è stato ceduto il contratto
della signora Corvetti, è obbligata ad usare uno degli
incantesimi lì presenti. Nell’ultimo anno di vita,
la signora Corvetti ne aveva lasciato attivo solo uno.»
«Che sarebbe...?»
«L’incantesimo “Iocundo”, anche
soprannominato “Pollon”.»
«Pollon?»
«Come la protagonista del cartone animato
“Pollon”.»
«Perché è soprannominato
“Pollon”?»
«Perché agisce in modo simile. Serve ad
influenzare l’emozioni di chi la circonda e il suo scopo
è, appunto, dare l’allegria.»
«Dare l’allegria...»
«Sì, rendere felici gli altri, spargendo allegria
e inglobando tristezza.»
«E io questo incantesimo non lo posso proprio cambiare,
vero?»
«Solo dopo il 12 febbraio 2017.»
Ma la signora Corvetti non poteva scegliere qualcosa di più
utile? Quasi quasi era meglio l’Hockety Pockety...
«Scaduto questo primo anno, le potremo offrire molte altre
opzioni tariffarie e potrà accedere alla nostra vasta gamma
di incantesimi. Inoltre, potrà anche usufruire del nostro negozio di
gadget magici.»
Mi sporsi in avanti sulla scrivania.
«Vendete anche gadget magici?»
«Sì, oggetti di ogni tipo. Penne col correttore
automatico, occhiali con zoom variabile, bastoni incantati per fare
selfies perfetti e, ovviamente, per gli amanti del vintage, abbiamo
anche bacchette e scope volanti. Poi ci sono le varie collezioni
“maghette e streghette della tv”.»
«Cioè?»
«Vendiamo lo scettro lunare di Sailor Moon
funzionante.»
«Avete anche qualcosa di più recenti?»
«L’arco di Madoka.»
Oh mio dio.
«Avete anche i costumi?»
«Certamente.»
«Animali parlanti?»
«No, quelli non li possiamo più vendere. Abbiamo
chiuso il settore anni fa a causa di un gruppo di streghe animaliste.
Però può sempre rivolgersi a un altro mago o
strega per fare un incantesimo all’animale che vuol far
parlare.»
«E poi diventerebbe un mio famiglio?»
«Non diciamo fesserie. Ci vogliono anni di esperienza e un
esame per avere l’attestato di famiglio.»
Cioè, per diventare maghi bastava fare un contratto e per
diventare gli “schiavetti” dei maghi bisognava fare
un esame? Qualcosa mi sfuggiva...
«Esatto, il procedimento è più
complesso. E visto che si sta parlando di famigli, potrebbe passarmi il
suo?»
Spinsi il cellulare verso la ragazza che si rimise a pigiare sui tasti.
«Bene... Famiglio inorganico, forma cellulare, modello...
mmm, che modello sarebbe?»
«MAKIA ’00. Non è in commercio,
è stato creato apposta per me.»
Sì, prendendo un Nokia e cambiandogli solo il logo...
«Se vuole la possiamo trasferire in un modello più
recente e funzionale. Al piano di sopra la possono aiutare a scegliere
quel-»
«No.»
«Perfetto. Nome?»
«Machiavelli.»
«Forme precedenti?»
«Cane, taccuino e biro stilografica.»
«Numero precedente?»
«3343 274 9881»
«Lo cancelli e memorizzi il suo nuovo numero con Magicphone:
3353 649 8219»
«Fatto.»
«Bene, qui abbiamo quasi finito.»
sentenziò spingendo indietro gli occhiali sul naso e
riportando gli occhi vitrei su di me «Non resta che parlare
del suo debito.»
Eh?
«Quale debito?»
«Il debito che ha con MagicWorld.»
«Ma quale debito? Io fino a ieri non sapevo nemmeno cosa
fosse MagicWorld!»
«La signora Corvetti era indebitata con noi, quindi, cedendo
il contratto, il suo debito è passato a lei.»
«Cosa??!»
«Lei attualmente ha un debito di quattro milioni, centodieci
mila e cinquanta euro.»
«QUANTO??»
«Questo è l’ultimo aggiornamento ad
oggi.»
«Ma è una cifra enorme!»
«La magia costa, signorina. Per essere precisi, a lei costa
esattamente dieci mila e cinquanta euro all’anno, visto che
ha attiva solo la tariffa base con un unico incantesimo della fascia
economica.»
«E come pensate che io vi riesca a pagare??»
«Allo stesso modo delle altre persone: lavorando e/o rubando.
Inoltre, lei può anche ricorrere all’uso della
magia.»
«Posso usare un incantesimo che serve a rendere felice la
gente! Lei crede che le persone sarebbero felici regalandomi dei
soldi??»
«Non credo.»
«Nemmeno io!»
«Non si preoccupi comunque, ha tutto il tempo che vuole per
ripagarci.»
«Ma non credo che mi basterà una vita intera se
ogni anno devo spendere altri dieci mila euro!»
«Diecimila e cinquanta. Nel caso non le bastasse,
vorrà dire che dopo lavorerà per noi,
finché non avrà estinto il suo debito.»
«Dopo??»
«Dopo la sua morte. Finito il funerale il suo corpo
verrà riportato in vita per lavorare negli uffici
MagicWorld.»
«Zombificate le persone??»
«Si rimette in sesto il corpo privato di
personalità e gli si affida un compito. Tutti qui dentro
abbiamo subito quel processo.»
«Tu sei morta?!»
«Sì, parecchi anni fa.»
«Ma come?!»
«Incidente stradale. Avevo appena comprato il medaglione
magico a forma di portacipria dell’Incantevole
Creamy.»
«Com’è possibile che riportino in vita
la gente??»
«Con la magia, naturalmente. Non ti lasciano morire
finché non hai ripagato tutto il tuo debito. Alla fine degli
anni Ottanta, i cartoni animati hanno aiutato molto a riempire
MagicWorld di forza lavoro giovane.»
«Ma è terribile!»
«Molti, per evitare di lavorare, fanno come la signora
Corvetti: cedono il proprio contratto prima di morire, così
che tocchi a qualcun altro occuparsi di pagare.»
Maledetta vecchiaccia!!!
Mi accasciai sulla scrivania, tenendomi la testa tra le mani. Altro che
dolce nonnina! Quella strega mia aveva fregata per bene! Prima
tè e biscottini e adesso boom! Un debito di
oltre quattro milioni!
«Posso cedere il mio contratto??»
«Sì, certo. Ma non quest’anno, deve
sempre aspettare il prossimo 12 febbraio.»
Aaaaah!!!
«Se vuole un consiglio, cerchi di evitare situazioni
pericolose in questo periodo.»
«Senz’altro» bofonchiai contro la
scrivania.
«Inoltre, potrebbe esserle utile sapere che oltre ai soldi
esiste un’altra forma di pagamento.»
«E quale??»
«Può attivare il sistema a punti e saldare il
debito con quelli. Per ogni incantesimo che userà per
aiutare qualcuno, le può venire assegnato un punteggio da 1
a 100.»
Tirai su la testa. Questo era interessante.
«E come funziona?»
«Le faccio un esempio: lei ha appena usato
l’incantesimo Pollon per rendere felice una persona. A
MagicWorld arriverà la notifica dell’incantesimo
lanciato e, nel giro di un giorno, manderà un questionario
alla persona che ha reso felice, con domande velate ma mirate per
capire il suo grado di soddisfazione verso il suo
incantesimo.»
«Oh, tipo una recensione.»
«Circa. Un punto equivale esattamente a un euro, attivare il
sistema a punti non richiede costi aggiuntivi e lo può
disattivare quando vuole, sempre gratuitamente. Dunque, vuole che
glielo attivi?»
«Certo!»
Forse avevo qualche speranza di ripagare quel debito senza finire
zombificata...
«Di solito il problema di questo sistema sta nel fatto che
spesso la gente non ha voglia di rispondere ai questionari, cestina le
e-mail e scaccia i nostri agenti in incognito...»
Maledetti!!!
«Va be’, ci proverò lo stesso.»
«Allora lo attivo. Ecco fatto. Direi che abbiamo
finito.»
«Posso andare?»
«Prima le devo fare qualche raccomandazione: tra massimo
un’ora invieremo le istruzioni sull’incantesimo
Pollon al suo famiglio, le legga attentamente prima di
usarlo.»
«Sarà fatto.»
«Le rammento che le formule per gli incantesimi devono essere
in rima baciata, se no non funzioneranno. Non importa quanto siano
lunghe (anche se noi raccomandiamo sei versi), l’importante
è la rima.»
«Solo baciata, mai alternata.»
«Molto bene. Infine, noi di MagicWorld invitiamo sempre i
nostri nuovi clienti ad essere creativi e a divertirsi.»
Detto con quel tono piatto e quello sguardo smorto (be’...del
resto era davvero morta), non era per niente credibile...
«Mi faccia una firma qui e può andare. Le
invieremo poi un’e-mail con in allegato una copia del
contratto. E si ricordi di inviarci le sue misure, entro il 31 ottobre
se vuole ricevere il suo costume.»
E chi se lo perde il costume... Probabilmente era una delle poche cose
gratuite, bisognava approfittarne.
Analizzai scrupolosamente il documento che mi aveva avvicinato,
controllando bene che non prevedesse altri addebiti di milioni di euro,
e lo firmai.
«Congratulazioni, ora lei è una maga: il suo unico
limite è la sua immaginazione.»
«E il mio conto in banca...»
«Esatto. Conto di cui ci dovrà dare accesso appena
ne avrà uno.»
Il mondo della magia non mi era mai sembrato così poco
magico.
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