Legacy: Fragments di titania76 (/viewuser.php?uid=106066)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 1 *** Premessa ***
Premessa
Questa raccolta di drabble e flashfic
è un insieme di frammenti, alcuni tratti dalla long Legacy
(trovate qui la versione fanfiction
pubblicata su EFP; invece, se volete la sua versione originale
la potete trovare su wattpad), altri invece ispirati.
Visto che all'epoca della pubblicazione dei primi quindici
capitoli-prompt di questa raccolta, la long non era ancora terminata,
durante la lettura potreste trovare qualche incongruenza. Non abbiate
paura. È colpa del tempo che è intercorso fra le
due pubblicazioni.
La raccolta, per i suoi primi quindici capitoli,
partecipa alla Challenge "Sette
giorni e tanti prompt!" indetta dal
forum Torre di Carta.
I capitoli seguenti invece, quelli nuovi, partecipano alla Challenge "Le
Mani" indetta dal gruppo facebook Il Giardino di EFP.
Non è detto che in futuro possano essere aggiunti altri capitoli scritti per altre iniziative, o semplicemente nati dall'ispirazione.
Buona lettura!
P.S.
Originariamente questa raccolta era stata pubblicata nella sezione
"originali", ora invece è tornata - come avrebbe dovuto
esserlo fin dall'inizio - nella sezione fandom di Saint Seiya. Quindi,
non è stata cancellata e poi ripubblicata, ma solo spostata.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Prompt “35 canzoni (nella loro interezza)”: nr. 3
Bohemian Rhapsody (Queen)
Flashfic (426 parole)
Erano
lì, a terra, in mezzo a quel vicolo poco illuminato: umido e
maleodorante di immondizia. Nell'aria persisteva l'odore acre della
polvere da sparo, che lei conosceva bene. Fino a poco prima, fra i
rumori delle ventole d'aerazione e l'abbaiare dei randagi, risuonavano
le risate sfottenti di quell'uomo e le sue parole sprezzanti che la
sfidavano a premere il grilletto, sicuro non ne sarebbe stata capace.
Ora invece, tutto taceva, tranne i sibili delle ventole.
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso. Di certo, troppo.
China su di lui, con i vestiti sporchi e strappati, Caroline teneva
stretto a sé Saga, ancora privo di sensi. Si dondolava
avanti e indietro, con lentezza, in trance, cullandolo come una madre
amorevole, come a proteggerlo, nonostante ormai tutto fosse finito. Le
lacrime scendevano silenziose sul suo volto tirato e insudiciato di
schizzi di sangue. Qualche metro più in là,
riverso in una pozzanghera del suo stesso sangue, giaceva Johnson
Deline, il suo peggiore incubo: freddato con tre colpi.
Ora, quell'incubo era finito. Davvero.
Era stata lei stessa a scrivere la parola fine a quella parte della sua
vita tanto dolorosa, ma quale prezzo le era costato? Aveva spezzato la
vita di un uomo, ma anche la sua era finita in pezzi.
Un refolo di vento portò alle sue narici l'odore della
morte, investendola come un'accusa. Cosa avrebbe fatto da quel momento
in avanti, cosa avrebbe potuto dire a sua madre, a suo fratello e
all'uomo che amava? Forse, col cuore spezzato, anche sua madre
l'avrebbe biasimata per aver sprecato il suo futuro?
Saga respirava piano, abbandonato nel suo abbraccio. Lui era vivo. Solo
questo contava per lei. «Ho appena ucciso un uomo, amore
mio», gli aveva sussurrato. «Anch'io sono
morta.»
Con la mano tremante gli aveva accarezzato il viso, pulendogli la
guancia da uno sbaffo di fango: forse si erano sporcato quando era
crollato a terra dopo essere stato colpito alle spalle.
«Cosa ho fatto...» singhiozzò. Lo aveva
coinvolto ancora una volta nei suoi guai e quasi ne rimaneva ucciso.
Si era raddrizzata e si era passata il dorso della mano sugli occhi. Il
suo sguardo si era istintivamente posato sulla pistola accanto a lei.
Era stata la prima volta che l'aveva usata contro una persona. Non
sentiva rimorso per quello che aveva fatto, né aveva esitato
un solo istante. Lei ora era libera. Si chinò di nuovo su
Saga e gli diede un bacio sulla fronte.
In lontananza finalmente si sentivano le sirene della polizia e quelle
dell'ambulanza. Non le importava delle conseguenze per sé,
ma sperava facessero presto.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Prompt della categoria “35 prompt vari”: nr. 22
Specchio
Flashfic (243 parole)
Quando Kanon aveva saputo dell'incidente del fratello, si trovava
sdraiato comodo a prendere il sole, sulla terrazza che dava
direttamente sulla spiaggia nella casa, che aveva affittato negli
Hamptons. Subito aveva sentito l'impulso di tornare alla villa di
Mystic Lake, per accertarsi delle sue condizioni. Del resto, era il suo
gemello e, benché l'ultima volta che avevano parlato i toni
si erano accesi più del dovuto – e ancora adesso
non riusciva a digerire il fatto che l'altro gli avesse tenuto nascosto
una cosa tanto importante come il matrimonio – il suo istinto
da mamma chioccia aveva prevalso su tutto il resto, persino sulla
moretta formosa che era sdraiata accanto a lui, completamente nuda. E
al diavolo il suo orgoglio ferito!
Poteva andare a colpo sicuro, poiché quando Saga aveva un
problema si rinchiudeva nella sua camera e se ne stava seduto a terra,
debole e dimesso come un cucciolo abbandonato e lo sguardo fisso fuori
dalla finestra. Si sarebbe specchiato nei suoi soliti occhi tristi e si
sarebbe visto superiore. Invece, quando aveva spalancato la porta per
fare la sua entrata trionfale, l'altro si era girato verso di lui
guardandolo con occhi che brillavano di tutt'altra luce e un leggero
sorriso irriverente sulle labbra. Quel sorriso Kanon lo conosceva fin
troppo bene: era il suo marchio di fabbrica. Era stato in quel preciso
momento che il gemello aveva avuto l'impressione, dopo tanto, troppo
tempo, di ritrovarsi di nuovo davanti al proprio riflesso.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Prompt della categoria
“40 citazioni”: nr. 26 “Alcuni
dicono che il tempo sana tutte le ferite. Io non sono d'accordo. Le
ferite rimangono. Col tempo, la mente, per proteggere se stessa, le
cicatrizza e il dolore diminuisce, ma non se ne vanno mai.”
(Rose Kennedy)
Flashfic (489 parole)
Shion Hayes aveva creduto di agire per il meglio. Con la
complicità di qualcuno di insospettabile, aveva costruito
attorno ai propri figli una sorta di rete di protezione. Era convinto
che così facendo sarebbero stati al sicuro. E anche ora,
benché ormai adulti e – suo malgrado –
indipendenti, continuava a preoccuparsene.
Dopo quanto successo quel giorno, aveva guardato con maggiore
apprensione il figlio Saga. Essere trattato in quel modo, ammanettato e
buttato a terra, umiliato in casa propria e di fronte alla propria
famiglia, aveva sicuramente lasciato qualche strascico e, conoscendolo,
sapeva come il giovane reagisse male, più di chiunque altro,
a quel tipo di traumi. Aveva tentato di parlargli, subito dopo
l'accaduto, poiché in un certo modo l'episodio era collegato
al loro passato, a quel segreto che solo Saga aveva scoperto, ma si era
chiuso in se stesso. Aveva provato di nuovo il giorno dopo e quello
dopo ancora. Finché non l'aveva trovato in biblioteca, col
bicchiere in mano e la bottiglia di whisky quasi vuota lì
vicino. Un poco se ne stupì: Saga non era il tipo a cui
piaceva bere, ma lo poteva capire.
Si avvicinò al mobile bar, prese un bicchiere e del
ghiaccio. Poi, si accomodò sulla poltrona di fronte al
grande camino di marmo rosso. Si riempì il bicchiere di
whisky e si bagnò le labbra, assaporando lentamente quel
forte liquido ambrato. Con la coda dell'occhio aveva continuato ad
osservare Saga:il suo sguardo era perso nel vuoto.
«Una volta...» disse, rimpendo il silenzio,
«una nostra illustre concittadina, la matriarca della
famiglia più famosa del mondo, pronunciò queste
parole: “Alcuni
dicono che il tempo sana tutte le ferite. Io non sono d'accordo. Le
ferite rimangono. Col tempo, la mente, per proteggere se stessa, le
cicatrizza e il dolore diminuisce, ma non se ne vanno mai.”.»
Fece una pausa, per osservare la reazione del figlio, che invece
continuava ad ascoltare in silenzio.
«Era una donna che aveva perso molto nella sua vita, ma non
si è mai arresa», aggiunse in un sospiro.
«Non voglio paragonare le due situazioni. Il dolore che stai
provando in questo momento non credo di poterlo neanche immaginare: sei
venuto a sapere in modo traumatico che stavate aspettando un figlio, ma
non ti è stato dato il tempo di rendetene conto che
già ti era stato strappato via. E ora...»
«Credi che in qualche modo Anthony abbia provato lo
stesso?» chiese con voce atona Saga.
«Ne sono certo», rispose Shion, senza esitare.
«Sono certo che quando si è separato da voi, lui
si sia sentito morire.»
«Lei non me lo aveva neanche detto...»
sussurrò Saga, parlando di Caroline, bevendo tutto d'un
sorso il whisky. «Ha lasciato che facessi progetti, che
parlassi dei miei sogni...»
«Per una donna è diverso. È
più straziante. Soffre dentro, senza darlo a vedere. Quando
perde un figlio, la cicatrice rimane indelebile nel suo cuore, ma sa
essere forte, per amore, per continuare ad andare avanti.»
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Prompt
della categoria “20 dolci golosi”: nr. 20
“Cheesecake”
Drabble (107 parole)
Così
come Saga, anche Kanon aveva un suo dolce preferito fin da quando era
bambino. Quante volte aveva fatto a gara a chi ne trangugiava di
più! Quanti mal di pancia si era fatto venire, solo per
dimostrare al gemello che lui era il migliore!
Anche
da adulto, il solo sentirne il profumo da lontano lo mandava in estasi;
quando ne pronunciava il nome gli veniva l'acquolina in bocca. A volte,
immaginarne sulla lingua la cremosità lo faceva eccitare.
Era semplice, morbido, goloso, aromatico e pluri-imitato.
Lo
si poteva trovare dappertutto, ma niente al mondo era più
buono di lui: l'unico e originale Cheesecake di New York!
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Prompt della categoria “20 dolci golosi”: nr. 16
“Macarons”
Drabble (109 parole)
Il cameriere li aveva portati al suo tavolo su un'alzatina a
più ripiani, elegante e molto elaborata. Da lontano
assomigliava a una gabbietta per canarini. Era un tripudio di colori.
La bambina che sedeva al tavolo vicino assieme alla madre e alla nonna,
l'aveva indicata col dito, gridando, tutta emozionata, che sembrava un
arcobaleno.
Caroline li guardò a lungo. Offrivano certamente un bel
colpo d'occhio, soprattutto per come erano disposti, a formare una
scala di colori e gradazioni. Erano delicati e anche belli da vedere,
ma non li trovava affatto invitanti.
«Non mi piacciono le meringhe», disse un po' a
disagio al cameriere, già pentita dell'ordinazione.
«Sono Macarons, signorina.»
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Prompt della categoria
“20 dolci golosi”: nr. 15
“M&M's”
Drabble (107 parole)
Una cosa si poteva dire di lui, senza correre il rischio di sbagliare:
il su DNA era fatto di cioccolato!
Da bambino, Aiolos era una di quelle rare bestie che senza qualcosa di
dolce in bocca – preferibilmente cioccolato o caramello
– diventava insopportabile.
Kanon, per prenderlo in giro, diceva che era per compensare la sua
bastardaggine e di questo, spesse volte, se ne approfittava.
Da adulto, Aiolos aveva imparato a rendere la sua dipendenza
più riservata. Ecco perché non usciva mai senza
avere in tasca una confezione di M&M's.
Che fossero lenticchie, o arachidi ricoperte, per lui non faceva
differenza. L'importante era che poteva sgranocchiarle all'occorrenza!
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
Prompt della categoria “20 dolci golosi”: nr. 8
“Croissant”
Flashfic (297 parole)
In quella bella giornata di sole di fine maggio, la residenza di Boston
della famiglia Hayes era insolitamente tranquilla. Quei demonietti dei
gemelli erano andati allo Zoo accompagnati dal padre. Nanny non si era
domandata come mai l'uomo avesse voluto così fortemente
passare proprio quel giorno con loro, ma ne era felice,
poiché quello era uno dei rari momenti in cui si cimentava
nel ruolo di padre e lei, finalmente, aveva tutta la casa per
sé.
Era uscita dalla dispensa a mani piene con gli ingredienti necessari e,
come una fenomenale catena di montaggio, aveva iniziato a cucinare
dolci in gran quantità.
A fine giornata, il lungo tavolo nella sala da pranzo ottocentesca era
imbandito come per le grandi occasioni: con i piatti di fine porcellana
bordati in oro, i bicchieri di cristallo, da vino, da acqua e da latte
– poiché c'erano pur sempre dei bambini
–, uno in fila all'altro, e diversi vassoi d'argento ricolmi
di croissant ancora caldi.
Ne aveva sfornati di classici, con farina integrale, al cacao e al
cocco. Poi, quelli con le gocce di cioccolato e quelli bicolori. Ce
n'erano nella tipica forma a mezzaluna, squadrati e con le punte
diritte. Ripieni di crema o panna, con marmellate varie, con pezzetti
di noci e mela aromatizzata alla cannella, che dal sapore ricordavano
vagamente lo Strudel. Decorati con codine di zucchero e lamelle di
mandorle; spolverati di zucchero a velo, cacao in polvere e glassa
arancione all'arancia.
Li aveva sistemati in piccole piramidi, ognuna composta da tutti i
tipi, per non far mancare nulla a nessuno.
Fece qualche passo indietro per osservarne l'insieme, sorridendo
soddisfatta, ma non fece in tempo a raddrizzare uno dei tovaglioli che
dalla porta apparve Shion Hayes, sfinito, con in braccio Saga e Kanon
addormentati come due angioletti.
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
Prompt della categoria
“40 citazioni”: nr. 31 “Quando sentiamo il
bisogno di un abbraccio, dobbiamo correre il rischio di
chiederlo.” (Emily Dickinson)
Flashfic (200 parole)
Nanny era una donna abbastanza navigata da capire al primo sguardo come
stavano le cose. Nonostante l'avesse conosciuta solo il giorno prima
– e non proprio al meglio delle sue condizioni –,
giudicava Caroline una brava ragazza e sinceramente innamorata del suo
Saga. Quel sentimento lo aveva visto nei suoi giovani occhi castani,
nei sorrisi fuggevoli che lei e Saga si erano scambiati poco prima, nel
saluto dolce e imbarazzato che si erano dedicati; ma dietro c'era
dell'altro, che solo un'altra donna poteva vedere e comprendere.
Ripose il lavoro a maglia nella cesta, dicendo che era arrivata l'ora
di rientrare, e si alzò dalla sedia a dondolo, aiutata con
prontezza dalla giovane.
«Mia cara», le disse, accarezzandole la guancia
pallida. «Non tenerti tutto dentro. Non aver paura di
parlare, di confidarti.»
Nel dirle ciò, l'abbracciò come avrebbe fatto una
nonna, poiché comprendeva che era quello di cui la giovane
aveva bisogno. In quel momento la sentì tremare un poco e
trattenere un singulto di pianto. Allora, le sussurrò
all'orecchio: «Ricorda, quando
sentiamo il bisogno di un abbraccio, dobbiamo correre il rischio di
chiederlo.»
Poi, slacciò l'abbraccio e, prendendo il fazzoletto dalla
tasca del cardigan, le asciugò il viso dalle lacrime.
note:
Missing moment tratto dal capitolo XXVI
di Legacy.
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
Prompt della categoria “35 prompt vari”: nr. 25
“Il vero me”
Drabble (103 parole)
«Non ero sicuro di trovarti qui», esordì
Shion Hayes.
«Mi sembrava giusto», ribatté Saga, dopo
un attimo di silenzio. Aveva lo sguardo basso, fisso su quel nome
inciso nella pietra, che non gli faceva provare niente. Inconsciamente
si stava tormentando la fede al dito.
Shion si chinò e depose i fiori sulla lapide. Poi, con la
mano scostò alcune foglie secche e rivolse qualche pensiero
ad Anthony.
«Un giorno, forse, vorrai sapere di più su di lui.
E scoprire quanto di lui c'è in te.»
Saga non ribatté, non era certo di voler sapere. Il suo vero
se stesso l'aveva trovato con Caroline.
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 ***
Prompt della categoria “35 prompt vari”: nr. 7
“Quaderno”
Drabble (103 parole)
«Quando ti sei innamorato di me?»
Era una domanda un po' imbarazzante e... banale, ma che prima o poi
tutte le coppie si facevano, le ragazze specialmente.
Saga le sorrise. Sapeva già cosa risponderle, ma per il
momento non voleva svelarsi. «E tu?»
domandò a sua volta.
Caroline ricambiò il suo sguardo, nonostante stesse
arrossendo. «Quando mi hai detto quel no»,
rispose, stringendo a sé il quaderno di suo padre. Aveva
creduto di averlo perso per sempre, quella sera; invece l'aveva
lì, fra le mani, come nuovo. «E... da quel
momento, ogni giorno sempre di più», aggiunse, con
una certa commozione nella voce.
note:
missing moment ispirato al capitolo X
di Legacy nella sua versione fanfiction.
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
Prompt della categoria “21 situazioni”: nr. 19
“Un semplice bacio sulla guancia.”
Drabble (110 parole)
«Se non mi sbaglio, è tradizione baciare la
sposa», disse Kanon, avvicinandosi a Caroline, sfoggiando il
suo sorriso più ammaliatore. Aveva pronunciato quelle parole
con un tono molto galante, da perfetto gentiluomo. Dentro di
sé si stava rodendo in fegato, ma non voleva darlo a vedere.
A tu per tu con la giovane sposa, gli passò per la mente il
pensiero che non gliene fregava niente né di lei,
né del gemello, che se ne stava lì, a fianco
della sua “dolce metà”, con la fiducia
che gli si leggeva in viso.
Improvvisamente si sentì una persona vendicativa; alla fine
però, si era trattato di un semplice bacio sulla guancia.
note:
questa drabble riprende i fatti narrati all'inizio del capitolo
XXVI di Legacy.
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 ***
Prompt della categoria “21 situazioni”: nr. 18
“Accarezzare un gatto.”
Drabble (109 parole)
C'era stato un tempo in cui Caroline aveva pensato le sarebbe rimasto
solo quello: la compagnia della gattina che Saga le aveva regalato poco
prima che iniziassero a fare sul serio. Quel giorno lui era stato
così dolce, così gentile e... cavalleresco. Lo
aveva trovato davvero tenero.
Sorrise a quel ricordo, mentre accarezzava il manto di Kitty. Nero,
corto, lucente come la seta. Non le importava se ogni tanto gli
rimanesse qualche pelo attaccato alla mano. Era disposta a soprassedere
a quell'inconveniente, perché ogni volta che la sentiva fare
le fusa, poco dopo sentiva anche quelle di Saga e a lei veniva naturale
regalare una carezza anche a lui.
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Capitolo 14 *** Capitolo 13 ***
Prompt della categoria “21 situazioni”: nr. 10
“Sul letto, cercando di trattenere i gemiti”
Flashfic (400 parole)
A Kanon Hayes piaceva quando una donna gemeva il suo nome fra le sue
braccia. Era un qualcosa che sapeva fare bene e che lo gratificava.
Esaltava il suo ego, già smisurato. A volte, si divertiva
con qualche giochetto erotico: nulla di volgare, o di quella roba che andava di
moda adesso. A volte gli bastava “farsi sentire”,
affinché i gemiti risuonassero liberi e liberatori. E lui
sorrideva soddisfatto.
Però, da quando il gemello si era sposato, Kanon aveva
iniziato a vivere il sesso in modo differente. Era meno appagante. E
quei gemiti, che un tempo erano musica per le sue orecchie, talvolta
arrivavano a infastidirlo.
Più volte si era domandato come sarebbe stata la monogamia
– che era ben lontana dalla sua natura –, a come ci
si sarebbe potuti sentire liberi nell'essere legati stabilmente a
qualcuno.
Che ossimoro!
Lui era già libero. Libero di cambiare donna ogni notte;
libero di averne più di una alla volta, libero di
conquistare qualsiasi donna e... libero di essere conteso.
Libero di vivere, al contrario di quell'educanda di Saga che si era
sempre fatto tante remore a chiudere una relazione prima di iniziarne
un'altra.
Kanon ne aveva assaggiate di tutti i tipi, nella sua vita da scapolo
d'oro. Ma c'era una donna sulla quale non avrebbe mai dovuto
permettersi di soffermare i propri pensieri. Soprattutto, non sul
letto, non quando era già in compagnia e con i soliti gemiti
che facevano da colonna sonora al sesso. All'improvviso le sue labbra
provarono la stessa sensazione di quando aveva baciato Caroline, una
sensazione di pulito e candore. Eppure, fino a poco prima, avevano
assaporato labbra voluttuose. Il ricordo dell'odore dell'erba tagliata
di fresco e dei fiori che quel giorno addobbavano la terrazza del
County Club gli era tornato così vivido che lo aveva
avvertito veramente, nonostante nella stanza stesse bruciando
dell'incenso al sandalo.
E poi, inspiegabilmente, in gola sentì il fastidio della
terra rossa che il fratello gli aveva fatto mangiare dopo l'ennesima
sconfitta a tennis.
Chiuse gli occhi, mentre la donna sopra di lui si muoveva eccitata. Non
riusciva a cancellare quel pensiero; anzi, di secondo in secondo
diventava più invadente e lui si era ritrovato ad andare
oltre, ad osare addirittura di immaginare un'altra donna su di
sé.
Il sogno proibito.
«Maledizione!» grugnì a denti stretti,
spalancando gli occhi. Stava per venire; e si dovette mordere
il labbro per trattenere i gemiti.
note:
Questa è un po' cattivella, me ne rendo conto. Chi conosce
la
storia di Legacy potrà essere portato a pensare che abbia
rovinato il personaggio di Kanon, ma nella realtà
non è così. I personaggi, così come le
persone,
hanno sempre due facce. E i pensieri, veicoli dei desideri
più
nascosti, spesso mostrano ciò che non dovrebbe essere.
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Capitolo 15 *** Capitolo 14 ***
Prompt della categoria “21 situazioni”: nr. 16
“Sfiorare il suo volto con mani tremanti, le labbra
dischiuse.”
Flashfic (225 parole)
Il vederlo lì, inginocchiato di fronte a lei, con tutta
quella gente attorno a loro che faceva da cornice, l'aveva lasciata
senza parole. Il suo cuore traboccava di emozione e gli occhi, dietro
le lenti scure degli occhiali da sole, si stavano inumidendo di lacrime.
«Vuoi continuare ad essere la signora Hayes?» le
domandò Saga. «Vuoi essere ancora mia
moglie?» aggiunse, stringendole le mani. In una delle sue
teneva la fede che avrebbe poi infilato al suo dito.
«Mi vuoi ancora, nonostante tutto?» rispose lei,
trattenendo a stento le lacrime.
Il giovane si rimise in piedi e fece quello che avrebbe dovuto fare da
tempo, ovvero dal giorno in cui l'aveva portata davanti al giudice di
pace e, senza farle sospettare nulla, se non quando ormai era tutto
pronto, si erano sposati. Le mise al dito quel semplice cerchietto
d'oro.
«Doveva essere appariscente e prezioso. Ma tu non hai bisogno
di cose appariscenti per sapere quanto ti amo.»
«No, non ne ho bisogno», sussurrò
Caroline, con un sorriso timido sulle labbra.
Con le mani tremanti d'emozione lei gli sfiorò il bel viso,
mentre lui le toglieva gli occhiali da sole, per guardarsi riflesso nei
suoi occhi castani.
Caroline si avvicinò a lui, tanto che i loro respiri si
fondevano e, con le labbra un poco dischiuse, gli soffiò
“lo voglio” sulla bocca, prima di baciarlo.
note:
La breve flashfic fa parte del capitolo XXVIII di
legacy
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Capitolo 16 *** Capitolo 15 ***
Prompt della categoria “21 situazioni”: nr. 17
“Scarabocchiare mentre si parla al telefono.”
Drabble (100 parole)
Certe telefonate erano imbarazzanti per natura. Altre invece noiose.
Altre ancora provocavano nervosismo o rabbia. Per una persona umorale
come Caroline, quando si trattava di dover parlare con la madre,
capitava spesso di sperimentarle tutte, quelle sensazioni, in un'unica
telefonata.
Anche adesso, ormai adulta, il rapporto con lei creava a Caroline
qualche problema. Per sua fortuna, sapeva che la madre non seguiva la
tecnologia e non sapeva usare le video chiamate di skype, altrimenti
l'avrebbe vista scarabocchiare distrattamente, mentre lei le raccontava
– in ogni minimo dettaglio – cosa lei e Mickey
avevano visto e fatto nella loro estate italiana.
note:
La drabble fa riferimento al capitolo
XXVI di Legacy.
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Capitolo 17 *** Capitolo 16 ***
Prompt 4 –
Carezza –
tratto dalla Challenge
“Le
Mani” indetta dal gruppo facebook “Il
Giardino di EFP”
Drabble (106 parole)
Una
carezza.
Un
gesto delicato, leggero, quasi un sacrilegio, quando si trasforma in un
solletico involontario, ma così divertente.
A
Caroline piaceva percorrere i contorni del viso dell'uomo che amava,
soprattutto quando era immerso nel sonno. Con la punta delle dita
sfiorava uno zigomo dalla curva dolce, la guancia liscia, la mascella
virile, fino al mento dalla punta non troppo marcata. E poi, la fronte
spaziosa e l'arco che facevano le sopracciglia, così ben
definite e curate.
Una
carezza, appena accennata, lungo tutta la linea di quel suo naso dritto
e perfetto.
Non
si stancava di ammirarlo.
Poteva
mai essere più innamorata di così di lui?
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Capitolo 18 *** Capitolo 17 ***
Prompt 6 – Zampa e mano
–
tratto dalla Challenge
“Le
Mani” indetta dal gruppo facebook “Il
Giardino di EFP”
Drabble (109 parole)
Saga
allungò l'indice e le sfiorò la punta smussata
dell'unghietta che sbucava fuori dai peli: un'ombra chiara, quasi
opalescente, in mezzo a quel nero ormai sbiadito.
Kitty
riposava sul cuscino, gli occhietti chiusi come se fossero strizzati e
la punta della lingua appena un pizzico fuori. Ogni tanto, un leggero
colpo di tosse scuoteva il suo corpo smagrito, facendolo tremare come
se avesse freddo.
Allora,
Saga le toccò la zampina, prima i cuscinetti davanti
– e vide che lei allargava le dita – poi, quello
centrale.
Kitty
mosse la zampina e, con le sue unghiette, catturò il suo
dito in una stretta di mano, che sapeva di ultimo saluto.
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Capitolo 19 *** Capitolo 18 ***
Lo
so, sono passate diverse settimane dall'ultima volta che ho pubblicato;
il tempo della challenge ormai è esaurito e dei prompt che
già avevo iniziato a sviluppare, sono riuscita a postarne
ben pochi. La vita reale purtroppo se ne frega dei programmi che uno si
fa e, come un dittatore, pretende per sé tempo e attenzione.
Ora pare che le cose si stiano mettendo per il meglio, ma
chissà quanto durerà. Comunque, adesso sono qua e
spero di potermi presentare a voi con maggiore continuità.
Intanto, per ricominciare piano piano, ecco a voi una drabble.
Buona lettura!
Prompt 6 – Dito sul
grilletto –
tratto dalla Challenge
“Le
Mani” indetta dal gruppo facebook “Il
Giardino di EFP”
Drabble (110 parole)
Le
calibro .22 ammiccavano sotto il vetro del bancone, ognuna nella
propria scatola e racchiusa nell'abbraccio della gomma piuma. L'uomo
tirò fuori una semiautomatica e una a tamburo, posandole
entrambe su un panno spesso in un gesto premuroso. Si vedeva che amava
il suo lavoro, era come il commesso di una gioielleria che mostra il
pezzo più prezioso a un cliente importante.
Caroline indugiò un attimo. Si era ripromessa di lasciarsi
alle spalle quell'aspetto della sua vita, ma non poteva dimenticare che
ora era sola.
Prese in mano la semiautomatica e appoggiò l'indice sul
grilletto. Come un'estensione naturale della sua mano.
Lo sentiva bene. Troppo.
Era sicura di sé. Pericolosamente.
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Capitolo 20 *** Capitolo 19 ***
Prompt 11 – Dita sulle
labbra –
tratto dalla Challenge
“Le
Mani” indetta dal gruppo facebook “Il
Giardino di EFP”
Drabble
(110 parole)
La
domanda di rito era stata formulata con una solennità quasi
comica, pensò Caroline. In piedi, di fronte a Saga, lo
guardava negli occhi, ricambiata. Sorrideva lieve all'espressione
seria, quasi corrucciata, dell'altro. Lo vide stringere un attimo le
labbra, fare un respiro profondo e aprire la bocca per dichiarare il
suo intento.
Non
gli diede il tempo di pronunciare quella semplice sillaba che avrebbe
coronato il suo sogno ancora una volta, gli posò un dito
sulle labbra a sigillarle. «Sei sicuro di volerlo, o lo fai
solo per dovere?»
«Non
so più sorridere», le rispose, catturandole il
dito, «ma, non sono mai stato più sicuro in vita
mia. Lo voglio.»
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Capitolo 21 *** Capitolo 20 ***
Prompt 21 – Un
bacio sotto la neve –
tratto dalla Challenge
di san Valentino “Bacio”
indetta dal gruppo facebook “Il Giardino di EFP”
Flashfic (parole: 500)
Il Thanksgiving Day
era passato da pochi giorni e già si respirava un'atmosfera
tipicamente natalizia; complice le abbondanti nevicate di quegli ultimi
giorni.
Caroline era in piedi, di fianco all'auto, parcheggiata sul vialetto
ghiaioso. La mano aggrappata alla portiera aperta e il figlioletto che
scalpitava per esplorare l'immenso giardino con le sue meraviglie.
Fissava quella dimora già addobbata. Prima di quel momento,
vi era stata solo una volta, in primavera, per appena un giorno. Aveva
ricordi contrastanti di quel giorno, ma decise di sforzarsi di tenere
solo quelli belli.
Amava la neve e, nonostante il Natale le rammentasse la morte violenta
del padre, aveva imparato ad amare di nuovo quel periodo dell'anno, con
le sue mille luci colorate, gli addobbi sfarzosi ed eccentrici e i
profumi di spezie e agrumi.
«Mamma», lo supplicò il piccolo,
tirandole la manica del cappotto. Lei annuì, accordandogli
il permesso e lo lasciò andare.
Sorrise nel vederlo sparire fra le coltri bianche e le sagome luminose
di renne, gnomi e sfere colorate. Chiuse gli occhi concentrandosi sulle
sensazioni positive, sui ricordi condivisi con sua madre, sulle
tradizioni ereditate dai suoi nonni materni, che di certo un giorno
avrebbe trasmesso a suo figlio, e a quelli che avrebbe avuto in futuro.
Un refolo di vento gelido sul viso la riscosse dai propri pensieri. I
fiocchi di neve si attaccavano al cappello di lana e ai due giri della
vecchia e ampia sciarpa fatta a mano che sua madre le aveva regalato ai
tempi delle superiori. Piccoli e umidi, scintillavano come strass alla
luce dei lampioni del vialetto.
Quanti anni erano passati da quando era stata in quella casa?
«Quasi sette», sospirò.
Nella sua mente si affacciò il dubbio di aver fatto bene ad
accettare l'invito – solo per il weekend – di
soggiornare in quella grande casa, ma subito venne fugato nel momento
in cui la sua mano fu stretta da quella inguantata di Saga.
Non si era accorta quando le si era avvicinato, ma fu
straordinariamente rigenerante.
«Non siamo obbligati. Possiamo tornare indietro. Possiamo
partire e andare da qualche altra parte», le disse, fissando
la facciata della villa con uno sguardo intenso, quasi corrucciato.
Caroline lo guardò: chi aveva più timore di
tornare in quella casa?
Gli fece una carezza sulla guancia infreddolita. «La tua
famiglia ha il diritto di conoscere tuo figlio. E tu, hai il diritto di
esserne fiero.»
A quelle parole, il viso di Saga si rasserenò.
Si guardarono negli occhi, ritrovando il medesimo affiatamento degli
inizi del loro amore. Un sentimento naturale e al tempo stesso intenso
e travolgente, che sfuggiva al buon senso. Caroline si alzò
in punta di piedi e posò le labbra sulle sue in un bacio
forse un po' troppo pudico, ma che sapeva sciogliere il ghiaccio che
permeava il cuore dell'uomo e ricordargli com'era stato in passato. E
questo bastava a entrambi.
«Anch'io sono arrivato in questa casa in una notte di
neve.»
«Allora è un segno di buon auspicio»,
sorrise lei, certa del suo amore.
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Capitolo 22 *** Capitolo 21 ***
Questa
storia si svolge due o forse tre anni dopo ciò che viene
raccontanto nella
flashfic del capitolo precedente. Non ha un prompt specifico
perché avevo iniziato a scriverla ispirata dal momento un
paio
di anni fa e poi non più portata a termine. Quest'anno ce
l'ho
fatta! O quasi...
In realtà, nei miei programmi doveva essere pubblicata per
Natale, ma una brutta influenza (un po' come la protagonista) mi ha
tolto le forze e la lucidità per rispettare la scadenza che
mi
ero data. Speravo passasse presto, ma continua ad andare e venire,
tanto che
non sono riuscita a terminarla neppure per l'ultimo dell'anno. Quindi,
vede la luce direttamente nel 2024.
Naturalmente, essendo ambientata nel 2020, nel mondo reale eravamo in
pieno Covid19. In questa mia storia ho preferito non tenerne conto,
perché non mi sembrava il caso di rivangare quel brutto
periodo in una storia di fantasia.
Anche se con qualche giorno di ritardo, ne approfitto per augurare a
tutti voi lettori un felice anno nuovo!
***
Natale
2020
Quello sarebbe stato di certo un Natale da dimenticare per i tifosi dei
Celtics a causa della pessima partita a cui stavano assistendo: era una
batosta come non se n'era mai visto prima e non sarebbe bastato un
miracolo per raddrizzare il risultato. Cancellata la strepitosa
striscia positiva, i giocatori sembravano essersi ridotti a dilettanti
davanti a una squadra di liceali. All'ennesimo canestro da tre punti
nel pub si alzò un ruggito di dolore dalle gole di alcuni
dei
pochi avventori che quella sera erano appollaiati agli sgabelli al
bancone. Perlopiù erano vecchietti dalla marcata origine
irlandese, con la coppola in lana, maglioni a collo alto, sopracciglia
cespugliose sul viso cadente e una stout
alla spina stretta in mano.
«Jamie, cambia questo schifo!» imprecò
un tipo con
voce roca, che sedeva solitario a un tavolino in disparte.
Ingollò in un unico sorso quasi tutta la guinness nel suo
boccale personalizzato e, dopo un sospiro soddisfatto, passò
il
dito rugoso ad asciugare i baffi dalla schiuma.
Jamie prese il telecomando da sotto il bancone e cambiò su
un
canale che trasmetteva delle vecchie partite di calcio degli Europei
del 2012. Scoppio un'altra ondata di proteste e questa volta volarono
anche delle noccioline in direzione del televisore, colpevole di far
vedere proprio il momento del gol subito dall'Irlanda. Da dietro il
bancone, il giovane alzò gli occhi esasperato, maledicendo
il
padrone del pub per avergli dato il turno quella sera.
«Lascia perdere, amico, e dammene un altro», disse
una voce in fondo al bancone, alzando il bicchiere vuoto.
Era curvò sul bancone, con una mano reggeva il mento e con
l'altra faceva scrolling sullo schermo dell'ipad, intento a leggere le
ultime news sul mondo della finanza. Di tanto in tanto sbadigliava,
segno che forse era arrivato il momento di tornarsene a casa, ma lui
certi segnali li ignorava.
Dall'aspetto sembrava ancora piuttosto giovane, nonostante si
avvicinasse ormai ai quarant'anni. Molti dei suoi
coetanei erano stempiati e già con i capelli ingrigiti, la
schiena curva da impiegato statale, la pancetta da bevitore e rughe
marcate attorno agli occhi, dietro delle montature spesse e dozzinali;
ma lui era diverso. Forse dipendeva dai suoi folti capelli biondi che
nascondevano bene i primi fili d'argento sulle tempie, o forse, il
jogging e la palestra tre volte a settimana avevano su di lui un
effetto miracoloso, nonostante i ritmi stressanti della sua vita. O
forse ancora, era il risultato di una dieta sana ed equilibrata.
L'unico vizio che aveva mantenuto era quello del bere. C'erano volte,
sempre più spesso a dire il vero, che dopo il lavoro entrava
in
un pub – o nel bar di un albergo, se andava fuori
città
– e ci rimaneva fino alla chiusura. Negli anni aveva imparato
a
reggere sempre meglio l'alcol e alla sbronza allegra che lo aveva
caratterizzato da giovane si era sostituito un maturo autocontrollo.
Avvicinò il bicchiere alle labbra e ne prese un sorso: il
ghiaccio tintinnò quando appoggiò di nuovo il
drink al
bancone.
«A quanti siamo arrivati?» attaccò
bottone Jamie,
con una confidenza rodata da anni d'esperienza dall'aver a che fare con
clienti di ogni tipo. Sapeva quindi a chi rivolgere la parola e da chi
rimanere alla larga per non ritrovarsi impantanato in un mare di
lacrime e rimpianti.
Kanon sorrise, raddrizzandosi. Si allentò un poco la
cravatta e
prese a digitare sulla mini tastiera del touchscreen. «Non ti
preoccupare, lo reggo piuttosto bene. E comnque, mi sono già
procurato un passaggio. Vedi?» disse, mostrandogli il
messaggio
ancora visibile.
Jamie sorrise a sua volta, prese la bottiglia di single malt e glielo
fece doppio. Subito alla prima occhiata aveva capito che quell'uomo era
un tipo aperto e cordiale se ci si attaccava bottone, ma che non si
offendeva se lo lasciavano in pace a farsi gli affari suoi. Poteva
anche darsi che lo preferisse.
Kanon si chinò a frugare nello zainetto che teneva a terra
accanto al suo sgabello, come quando andava a scuola, ed estrasse un
laptop nero brillante. Lo aprì e iniziò a
digitare,
incurante dell'occhiata curiosa del barista.
«Si lavora anche la sera della Vigilia, eh? Cosa sei, un
giornalista, uno scrittore, o un blogger?» disse Jamie,
appoggiandosi al bancone e mangiucchiando un'oliva.
«Magari! Nah, niente del genere. Sono un semplice impiegato:
schiavizzato, sottovalutato e sottopagato», rispose Kanon,
senza
staccare lo sguardo dallo schermo; le dita picchiettavano veloci e
sicure sulla tastiera extra fine.
Jamie storse le labbra in un'espressione dubbiosa e si mise a lucidare
il bancone con un canovaccio: non aveva creduto a una sola parola di
quello che gli aveva detto. Lo guardò di sottecchi e
scrollò piano la testa: di norma non credeva a nulla di
quello
che veniva da qualcuno che vestiva abiti da cinquemila dollari e che si
beveva da solo quasi duecento dollari di whisky. E non sembrava essere
intenzionato a smettere.
Quando alla televisione iniziò l'ultima edizione del
notiziario,
il pub aveva già ripreso da un pezzo la sua classica
atmosfera
da bisca clandestina, con volute di fumo grigiastro – in
barba
alla legge – e il solito trambusto di bicchieri e carte.
Da quando si era messo a lavorare, Kanon non aveva staccato gli occhi
dallo schermo, ma più passava il tempo lì dentro,
più la curiosità e la tenzione gli rendevano
difficile
continuare ciò che stava facendo. Sorrise sotto i baffi nel
sentire un vecchio imprecare mentre sbatteva sul tavolo le carte e gli
altri ridere e rincarare la dose. Pensò che attaccato da
qualche
parte a una delle pareti doveva esserci la targa del Circolo Sociale Irlandesi
d'America.
Pescò una manciata di pistacchi dalla ciotolina che aveva
sequestrato e poi bevve un sorso di whisky. Storse la bocca nel
rendersi conto che il bicchiere era di nuovo vuoto, alzò lo
sguardo per attirare l'attenzione del barman, ma questi gli dava le
spalle. Allora, si distrasse a guardare il tavolo del poker e
gli parve di ritrovarsi catapultato nel film La Stangata.
Adorava quel film. Si morse il labbro, rimuginando se chiudere il
laptop e chiedere a quei “bravi” vecchietti se
poteva
unirsi a loro per una partita, oppure lasciar perdere. La vocina dentro
di lui, quella più insistente, gli diceva che dovevano
essere
tutti dei bari che non vedevano l'ora di spennare un pollo. E
lì, l'unico pollo
presente era lui.
All'una meno dieci le sedie erano già state tutte sistemate
sui
tavoli: la chiusura era prossima e dentro era rimasto solo Kanon,
sempre al suo posto, mai un momento di pausa per andare in bagno.
Jamie rientrò dalla cucina con lo scopettone in mano e
quando lo
vide, ancora abbarbicato sullo sgabello, ma senza giacca e con la
cravatta ben lenta come se si fosse messo a suo agio, alzò
gli
occhi al cielo. Se per tutta la serata lo aveva guardato con interesse,
ora sperava solo che si decidesse a sloggiare in fretta,
così da
finire di pulire e chiudere: anche per lui era la notte della Vigilia e
non vedeva l'ora di tornarsene a casa.
«Ah, ecco dove ti eri cacciato! Dammene un altro»,
disse Kanon, agitando il bicchiere in aria.
«Mi dispiace, ma sto chiudendo. Se vuoi continuare a bere,
devi trovarti un altro posto.»
Non era certo la risposta che sperava di avere, ma Kanon dovette
ammettere che ormai si era fatto piuttosto tardi. A generare
però il suo malcontento non era tanto essersi visto negare
l'ultimo bicchiere, quando che il suo passaggio ancora non era
arrivato. Con il broncio sulle labbra, prese il portafoglio dalla tasca
interna della giacca che aveva steso sullo sgabello vicino e
tirò fuori la carta platino, che allungò a Jamie
per
pagare il conto.
Il giovane la guardò come si guarda una reliquia sacra o un
tesoro di immenso valore. Quasi gli tremavano le mani mentre la
strisciava nel lettore. Non gli era mai capitato di vederne una,
neanche credeva che esistessero carte di credito come quelle.
Quando la restituì, la porta del locale si aprì
con un breve scampanellio.
«Stiamo chiudendo», disse subito Jamie, sperando
che il nuovo arrivato non fosse un altro a cui piaceva accamparsi.
«Ehi, dai amico, dagli una birra», disse Kanon,
rompendo la quiete del pub.
«Lascia perdere», intervenne subito Aiolos. Si
sfilò
i guanti di montone e si appoggiò con il gomito al bancone,
l'espressione corrucciata di chi non aveva alcuna voglia di stare
lì. «Hai cambiato ufficio?»
Kanon sorrise alla battuta, ma non replicò come suo solito;
gli
bastò lo sguardo scocciato dell'altro per capire che non era
il
caso. «Ne ho approfittato per portarmi avanti,
così quello
scorbutico del gran capo non avrà nulla da ridire.»
«Quello
avrà lo
stesso qualcosa da ridire», ribeccò Aiolos,
sedendosi
sullo sgabello. Al solo pensare a lui, l'espressione sul suo viso era
mutata con una rapidità impressionante. Ora sì
che aveva
bisogno di qualcosa di molto forte da bere. Dopo tanti anni ancora gli
bruciava; soprattutto perché da quando era riapparso nella
vita
di Caroline, aveva la sensazione di essere un abusivo in quella specie
di famiglia che avevano formato lui e la donna e suo figlio.
A Jamie quasi caddero le braccia. I suoi timori si stavano rivelando
esatti e se non faceva subito qualcosa, non li avrebbe più
schiodati da lì. Allora, mise un bicchierino di vodka
davanti al
nuovo arrivato. «Offre la casa, ma poi sloggiate
entrambi.»
*****
Caroline si mosse inquieta sotto il piumone. Se lo sentiva pesante
addosso. Per quanto il dottore le avesse detto di stare al caldo, per
lei era troppo. Da un mese ormai dormiva in quella casa e ancora non ci
si era abituata. Rimpiangeva il suo loft, la sua coperta elettrica, il
riscaldamento automatizzato sempre a 68 gradi fahrenheit* e il comfort
tecnologico che aveva fatto mettere per rendere la sua abitazione quasi
del tutto autonoma. La casa sul lago invece, per quanto avesse le
pareti spesse, era fredda, soprattutto di notte.
Tossì, rannicchiandosi sul fianco. Era sudata e il pigiama
le si
era appiccicato addosso. Aprì gli occhi e fissò
il
bicchiere d'acqua sul comodino. Lì accanto c'era la scatola
dei
kleenex e poco più indistro la bottiglietta dello sciroppo.
Aveva un disperato bisogno di un sorso di sciroppo per dare sollievo
alla gola, ma il solo pensiero di mettere fuori la testa dal piumone e
di allungare il braccio per prendere la bottiglietta la faceva
rabbrividire.
Come aveva potuto ammalarsi proprio qualche giorno prima di Natale?
Tossì ancora, tanto, in modo violento, così forte
che le
sembrò di sputare fuori i polmoni. Si rigirò
sull'altro
fianco e provò a respirare. Il fiato che le uscì
dalla
bocca screpolata in un rantolo era bollente.
Affondò la testa in quella nuvola di piume che era il
cuscino.
Stava male, eppure voleva alzarsi da quel letto. Aveva freddo, eppure
sotto quella trappola si sentiva soffocare. Aveva sonno, eppure non
riusciva a dormire.
«Ma come ho fatto a ridurmi così?»
mormorò
con una voce che arrivava dall'oltretomba. Tossì. Le girava
la
testa. «Non ne posso più.»
E pensare che quando erano arrivati a villa, per festeggiare il
Thanksgiving Day
con il capofamiglia Hayes, stavano tutti bene! Poi,
alla fine della serata, Shion aveva accusato i primi sintomi
dell'influenza, che il mattino dopo erano virati in febbre alta e una
gran tosse.
Era stata proprio lei a insistere con Saga per rimanere lì
tutti
e tre almeno fino alla domenica sera, per prendersi cura dell'uomo. Per
Anthony non sarebbe stato un problema saltare qualche giorno di scuola,
tanto più che nella sua classe c'erano stati un paio di casi
di
varicella; ma forse avrebbe dovuto immaginare che già covava
qualcosa. E infatti, quella domenica mattina Anthony si era svegliato
con il viso e le braccia piene di pustole. E poi erano arrivati la
febbre e i sudori.
Così, quella che doveva essere una permanenza di qualche
giorno
per seguire la salute nonno Shion, era diventata la degenza anche di
Anthony e poi aveva seguito la sua lunga convalescenza, che era
terminata con l'inizio dell'influenza per lei. A quel punto era stato
necessario chiamare dei rinforzi. E così, sua madre, suo
fratello Micheal che era tornato solo un paio di giorni prima
dall'Italia e la sua sorellina Sofia – un piccolo miracolo
vivente, arrivata in modo inaspettato quando Teresa aveva
già
quarantotto anni – l'avevano raggiunta a villa Hayes con una
settimana di anticipo.
Di certo, a raccontarlo in giro c'era da farne una barzelletta. Un po'
meno divertente era stato vivere quello strazio per un lungo mese.
La maniglia della porta si abbassò con un lieve cigolio e
una
lama di luce tenue che arrivava dal corridoio tagliò
l'oscurità della camera. La testa biondo scuro tinta di
fresco
della donna fece capolino nella stanza. Rimase lì qualche
secondo, prima di entrare. Era passato tanto, tanto tempo dall'ultima
volta che si era presa cura in quel modo della sua bambina.
Teresa entrò facendo attenzione a dove metteva i piedi e si
sedette sul bordo del letto. Osservava Caroline muoversi sotto il
piumone, girarsi verso di lei e aprire gli occhi. «Come ti
senti?»
Caroline tossì ancora. «Mi sembra un po'
esagerata, per una semplice influenza.»
«A meno che tu non voglia dare il via a un'epidemia nella
famiglia, resisti ancora qualche giorno», rispose la donna
con
voce dolce, accarezzandole la fronte sudata.
«Non volevo rovinarti il Natale... e pensare che è
il primo che passiamo tutti insieme.»
«Non ci pensare. Non è colpa tua se ti sei
ammalata... per ultima», concluse Teresa trattenendo una
risatina.
Per diversi giorni, quella casa si era trasformata in una specie di
lazzaretto, anche se ora la situazione era migliorata parecchio. Ma la
donna non era certo entrata nella camera da letto della figlia per
farla sentire in colpa. La sentì sbuffare e poi tossire in
modo
insistente, fino a trattenere un conato di vomito. Quella non le
sembrava una semplice tosse, ma qualcosa di più serio. Per
fortuna di Caroline, almeno di febbre non ne aveva avuta in quei
giorni. Si allungò verso il comodino, prese lo sciroppo e
gliene
diede un cucchiaio colmo.
«Ora prova a dormire», le disse, salutandola con un
bacio sulla fronte.
Si fermò nel corridoio e si concesse un lungo sospiro. In
quel
momento di pausa, e di silenzio, iniziava a comprendere un po' meglio
quella famiglia e la freddezza quella enorme casa. Voltò la
testa alla sua destra, lì c'era la camera di Shion Hayes, la
porta contro la quale era appoggiata era stata di Saga – che
ora
condivideva con Caroline – a sinistra c'era quella che era di
Kanon. Più avanti c'era un'altra camera, mentre proprio
difronte
c'era quella che in passato era stata di Aiolos e che ora era occupata
dal piccolo Anthony. A lei e alla sua famiglia era stata offerta una
suite al country club, ma Teresa aveva preferito rimanere nella
proprietà per stare vicino alla figlia e allora Shura le
aveva
ceduto la dependance, che aveva tre camere da letto e assicurava una
maggiore privacy.
Scrollò la testa nel ripensare a come si era comportato
quell'uomo. Shura mostrava sempre un certo disagio davanti a lei e si
prodigava più del dovuto arrivando quasi a mettersi in
ridicolo.
Le prime volte ne era stata lusingata da quel modo di fare, ma con il
passare dei giorni era diventato fastidioso, perché
così
facendo metteva a disagio anche lei. Era ben conscia di cosa lo
spingeva a comportarsi così, ma non poteva alleviare la sua
pena: per quanto lui non avesse avuto un ruolo diretto nella morte del
padre di Caroline, aveva avuto dei legami con i responsabili e non
aveva mai detto niente. Per questo non lo avrebbe mai perdonato, per
quanto comunque riusciva a tollerarne la presenza.
Aprì la porta della camera di Anthony e vi si
affacciò:
il bambino dormiva pacifico, con il respiro lieve. Gli
accarezzò
la guancia e poi la fronte fresca; ormai da quasi dieci giorni non
aveva più alcun sintomo e ora era libero di tornare a
giocare e
a scatenarsi, giusto in tempo per Natale.
Scese le scale di servizio ed entrò in cucina. Come ogni
sera,
nonostante le proteste della domestica, aveva dato una mano a lasciarla
in perfetto ordine, ma quella sera in particolare si sentiva un poco
inquieta e quando accadeva, non poteva fare a meno di tenersi occupata
pulendo. Allora, prese dal sottolavello il pacchetto di salviette
igienizzanti e una dopo l'altra le usò sul piano di lavoro,
sullo sportello del microonde, su quello del forno, sulle ante del
grande frigorifero, sui pensili alti e sui mobiletti bassi.
Pulì
a uno a uno i barattoli delle spezie e poi passò alle due
biscottiere, che proprio quella mattina aveva riempito di omini di pan
di zenzero e di stelle di frolla al limone, i preferiti di Caroline.
Ci impiegò una buona mezz'ora a calmare l'inquietudine, ma
era
cosciente che ciò non bastava, perché era un
stato che
veniva da lontano e si ripeteva a ogni Natale, a volte era
più
forte, a volte più lieve. Appallottolò la
salvietta
sporca e la gettò nella pattumiera. Poi, ne prese una nuova
dal
pacchetto.
«Signora Miller, cosa sta facendo?»
Teresa sussultò nel sentire una voce alle sue spalle rompere
la
tranquillità della casa. «Saga! Mi hai fatto
prendere un
colpo», disse portandosi una mano al cuore e prendendo un bel
respiro.
Saga diede una lunga occhiata alla cucina, lustra e pulita e che
emanava un lieve aroma di citronella. «È molto
tardi per
fare le pulizie e poi, lei è un'ospite.»
«Credevo di far parte della famiglia, ma vedo che tuttora non
riesci a chiamarmi mamma e mi dai sempre del
“lei”»,
rispose la donna con un sospiro.
L'uomo avrebbe voluto risponderle che per quanto lei insistesse e per
quanto lui ne sarebbe stato onorato, non aveva il diritto di
considerarla una madre; non quando il rapporto con Caroline era ancora
da formalizzare, sebbene i documenti del divorzio che le diede diversi
anni prima non erano mai stati completati e registrati. Ma forse il
vero problema era lui e come si sentiva da quando si era affacciata
quella nuova personalità, più dura e cinica.
Teresa intuì il disagio del genero e cambiò
argomento.
«Come mai ancora in piedi? Sono quasi le due di
notte»
disse, spostandosi verso il bollitore elettrico. Lo riempì e
abbassò l'interruttore per scaldare l'acqua. «Ti
va
qualcosa di caldo?» Prese due tazze e due bustine di tisana
al
cacao e le appoggiò sul piano dell'isola. In
verità non
era stupita di vederlo ancora vestito di tutto punto; del resto, dopo
cena si era barricato nello studio e non ne era più uscito,
almeno fino a ora.
Si soffermò a guardare Saga e dopo tanto tempo
tornò a
pensare a Gregory e alle serate passate a parlare del caso dei gemelli
scomparsi. Ora, davanti a lei c'era proprio uno di quei bambini. Quanti
anni erano passati... una vita intera.
Lo stava ancora fissando quando lui se ne accorse. «Qualcosa
non va?»
«Scusami, non volevo essere indiscreta. È solo
che...» Teresa scrollò la testa e gli sorrise.
«Non
è nulla.» Non era certo il momento più
opportuno
per rivangare certe cose e caricare un innocente di colpe non sue.
Il suono familiare delle fusa di Kitty anticipò il suo salto
atletico sul piano dell'isola. La gatta, che ormai andava verso gli
undici anni, si accostò al braccio di Saga e
iniziò a
strusciarglisi addosso. Poi, si sdraiò sul fianco e con la
testa
andò a cercare la mano dell'uomo.
Teresa vide qualcosa di inaspettato: invece di scansare la gatta, Saga
le sorrise e si lasciò leccare il dorso della mano. Per un
istante credette addirittura che le stesse parlando.
«Si fa festa senza invitarmi?» intervenì
Caroline,
tirando su col naso. Il viso era arrossato e sudato, ma per tutto il
tragitto dalla camera da letto alla cucina non aveva tossito neanche
una volta. Era un buon segno.
«Tesoro, non avresti dovuto alzarti, così
prenderai
freddo», disse Teresa, precipitandosi da lei. Per quanto
ormai
adulta, Caroline rimaneva la sua bambina e non poteva esimersi dal
preoccuparsi per lei.
«Sto bene, mamma, sto bene. Non trattarmi come una
moribonda», disse lei, tra un colpo di tosse e l'altro. Una
volta
calmata, si portò di nuovo una mano alla bocca per
nascondere un
lieve attacco di nausea.
Saga si alzò e l'aiutò a sedersi al suo posto.
«Come va?» le chiese in un sussurro. Caroline
annuì,
ma si accasciò contro il suo petto, ancora con la mano alla
bocca. «Vuoi una tisana allo zenzero, o preferisci il
tè
verde?»
«Il tè, per favore.»
«Ci penso io», intevenì Teresa.
Quando tutti infine avevano davanti a sé una tazza fumante,
l'atmosfera si era fatta più distesa, ma qualcosa ancora
aleggiava tra loro, come un segreto che voleva essere svelato. Teresa
osservò sua figlia mentre stuzzicava Kitty, sembrava stare
molto
meglio rispetto a quando l'aveva vista di sopra eppure, il pallore
dietro alla gote arrossate e la necessità di calmare i
problemi
di stomaco non la facevano stare tranquilla.
«C'è qualcosa che dovrei sapere?»
Saga sussurrò qualcosa a Caroline e lei annuì.
Poi, si
rivolse alla donna: «Volevamo aspettare ancora un po', prima
di
dirlo a tutti.»
«Quello che vuole dire», intervenne Caroline,
pensando che
fosse suo compito dirlo «è che dopo le ultime
delusioni,
non vogliamo illuderci, ma...»
Teresa rimase a bocca aperta. Ci mise alcuni secondi a capire come
dovevano essere le cose e perché non se ne fosse accorta
subito:
i sintomi influenzali avevano mascherato le classiche nausee della
gravidanza. Comprendeva la riluttanza di lei a parlarne troppo presto e
a illudersi, perché aveva visto quanto avesse sofferto in
seguito agli aborti spontanei. Adesso che tutto era chiaro, non erano
necessarie altre parole. Fece il giro dell'isola della cucina e con le
lacrime agli occhi abbracciò la figlia.
«Di quanto sei?»
«Di quasi sette settimane», rispose Caroline, con
ancora un
poco di riluttanza, ma la vicinanza di Saga, la mano di lui che
stringeva la sua, le davano la forza per credere che questa volta
sarebbe andato tutto bene.
*****
Quando Caroline aprì gli occhi la stanza era già
invasa
da un chiarore lattiginoso. Rabbrividì, rituffando la testa
sotto il piumone. Si girò, cercando il corpo di Saga, ma il
suo
lato era vuoto e il cuscino al tatto era fresco, segno che doveva
essersi alzato da diverso tempo.
Sbuffò. Sperava di poltrire un poco con lui, dopo quanto era
successo la notte prima e la lunga chiacchierata che poi avevano fatto
una volta tornati in camera.
Si fece forza e scostò il piumone. Avvertì
un'improvvisa
ondata di freddo e rabbrividì di nuovo. Quella sferzata
contribuì a svegliarla del tutto. Si stiracchiò
per bene
e si infilò i calzettoni di lana con motivi natalizi che le
aveva regalato Micheal il Natale passato. Si coprì con la
vestaglia di lana grossa lavorata a maglia e si avvicinò
alla
finestra. Fuori era tutto bianco. La neve caduta in quei giorni aveva
superato i cinquanta centimetri nel parco della villa. Con il bordo
della manica pulì una porzione di vetro dalla condensa e
poté ammirare meglio il paesaggio imbiancato e il riverbero
che
lo rendeva persino fiabesco.
Aprì un poco la finestra per respirarne l'aria frizzante e
in
quel momento sentì delle voci provenire dal parco. Riconobbe
le
voci squillanti di Anthony e di Sofia, lui che cercava di riacchiappare
Kitty immersa nella neve e l'altra che inseguiva il suo bastardino che
a sua volta voleva giocare col gatto, e poi c'era quella pacata e
profonda di Shion che raccomandava loro di non farsi male.
Sorrise e respirò a pieni polmoni l'aria pungente di quel
tardo
mattino. Lo fece una, due volte e si sentì libera e
rinfrancata
come non accadeva da giorni. Solo dopo si rese conto che riusciva a
respirare bene, il raffreddore e la tosse che l'avevano tormentata fino
a poche ore prima, sembravano svaniti per magia.
«Un miracolo di Natale», sospirò.
«Il vero miracolo è vedere mio padre divertirsi
assieme ai bambini.»
Caroline sussultò e si voltò verso la porta,
colta di
sorpresa dalla voce di Saga. Lo vide appoggiare il vassoio della
colazione sul letto, ma ciò che la sorprese di
più era
che ancora indossava ancora la vestaglia. Ed erano quasi le undici!
«Ma è bello constatare che stai molto
meglio»,
aggiunse, accarezzandole la guancia e poi stringendola in un caldo
abbraccio.
Assieme si affacciarono alla finestra per guardare lo strambo
spettacolo dei due bambini che affondavano nella neve alta provando a
prendere i due animali, mentre Shion partecipava al gioco indicando con
il bastone la direzione dove stavano correndo i piccoli fuggitivi.
«Quando si diventa nonni ci si trasforma, non
trovi?» disse
Caroline, alzando lo sguardo su di lui. Vide però che Saga
sembrava triste tutto d'un colpo. «Cosa c'è che
non
va?»
«Stavo pensando a Nanny. Tutta questa neve, il baccano dei
bambini, tanta gente per casa... ne sarebbe stata
entusiasta.»
Sospirò e per un momento rimase in silenzio. Da quando era
venuta a mancare Nanny, la casa era diventata meno accogliente e lui,
che ormai ci veniva di rado, ci stava ancora meno volentieri.
«Questo è il primo Natale senza di lei.»
Caroline sospirò. Non aveva avuto modo di conoscere bene la
donna, ma sapeva che aveva svolto un ruolo molto importante per tutti
loro e per questo non voleva guastare l'umore di Saga dicendo qualche
ovvietà tipo “lei è sempre con
voi”, oppure
“voi tutti, mantenendo la tradizione, avete raccolto la sua
eredità e il suo spirito”. Allora,
preferì rimanere
in silenzio e godersi quel prezioso momento intimo nell'abbraccio
dell'uomo che amava.
«Oh! Oh! Oh! Buon Natale! Oh! Oh! Oh!»
La voce camuffata di Kanon risuonò nell'atrio vestito a
festa
della villa. Attese qualche secondo, carico di pacchetti e buste di
carta, ma non sentì rumori, né voci che animavano
la casa.
«Nessuno viene ad accogliere Babbo Natale?»
Aspettò
ancora, ma non successe nulla. «Ehi! Ma non c'è
nessuno in
casa?»
Dalla porta d'ingresso che aveva lasciato aperta arrivarono il rumore
della portiera sbattuta da Aiolos e gli schiamazzi dei bambini. Kanon
sorrise. Appoggiò il suo carico di regali ai piedi del
grande
albero addobbato e tornò fuori. Si incamminò
lungo il
sentiero che costeggiava la casa, che era stato risparmiato dai cumuli
di neve e si fermò nel porticato. Rimase a guardare i
bambini
che si tiravano le palle di neve, mentre Kitty saltava sul parapetto
tra i vasetti di erica e di ciclamini e, con incredibile equilibrio
iniziava a grattarsi un orecchio, mentre un buffo cagnolino
scodinzolava in adorazione sotto di lei.
Kanon non era mai andato d'accordo con gli animali, soprattutto i
gatti, e il sentimento era reciproco; infatti, non appena Kitty si
accorse di lui, gli soffiò e corse dentro casa attraverso la
portafinestra lasciata un poco aperta.
«Zio Kanon! Sei arrivato!» urlò Anthony,
distraendosi e beccandosi una palla di neve dietro la schiena da Sofia.
«Ehi, campione! Avevi forse dubbi!» rispose Kanon.
Lo vide
correre verso di lui e lanciaglisi addosso. «Ma quanto sei
diventato grande in pochi mesi», disse, rimettendolo
giù.
«Anthony! Giochiamo ancora un po'!» lo
richiamò Sofia, mettendo il broncio.
«Chi è la tua amichetta?»
Anthony rise imbarazzato. «Non è un'amichetta.
È
Sofia!» Si girò e fece cenno alla bambina di
avvicinarsi.
Poi, la presentò come si conveniva. «Lei
è Sofia
Burton, mia zia!» disse, con un sorriso a tutta bocca nel
vedere
lo sguardo stralunato dell'uomo.
«Oh, ma dai! Non prendermi per il naso!»
protestò Kanon.
«Ma è vero!» confermò la
bambina. «La mia mamma è anche la nonna di
Anthony!»
Dietro le spalle di Kanon arrivò uno sbuffo inconfondibile.
«Zio Aiolos!» gridarono a una sola voce i due
bambini;
trotterellarono verso il nuovo arrivato che li accompagnò
dentro
casa, brontolando per come si erano conciati.
Kanon si sentì scaraventato in un universo parallelo.
«Mi sembri un po' spaesato», disse Shion,
arrivandogli alle
spalle. Spazzò via la neve dalle spalle del cappotto e si
pulì le suole degli scarponi sullo zerbino di gomma. Si
tolse i
guanti in montone e gli diede una pacca sulla spalla, incoraggiandolo a
entrare in casa dalla portafinestra della cucina.
«Cos'è questa storia della “zia
Sofia”?»
«Splendida bambina, non trovi? È la figlia di
Teresa.
È nata un paio di mesi prima di Anthony»,
spiegò
Shion.
«Burton... Burton», mormorò Kanon. Quel
nome gli
sembrava di averlo già sentito, ma non ricordava in quale
occasione.
«Il padre è il Capitano Burton, poliziotto in
pensione», svelò l'arcano Shion.
«Ma chi, il patrigno di Caroline?» Di fronte a
quella
verità, l'espressione di Kanon si fece ancora più
incredula. Incrociò le braccia al petto e
aggrottò la
fronte, in profonda riflessione. Poi, dopo qualche momento,
scrollò la testa, segno che nonostante tutto non riusciva a
crederci.
«Non sapevo avesse un'altra figlia. Beh, in realtà
non
conosco neanche Micheal, a parte una stretta mano... mmh, quando
è stato?» rifletté a voce alta.
«Evidentemente non c'è mai stata l'occasione
giusta. So
che il ragazzo sta frequentando l'università in Italia ed
è tornato da poco per le vacanze di Natale. È
simpatico e
con Aiolos va molto d'accordo. Comunque, oggi siamo tutti riuniti e
avrai modo di conoscerli come si deve.» Shion gli mise una
mano
sulla spalla e insieme entrarono in casa.
La cucina era invasa dai profumi più deliziosi: arrosto con
patate, lasagne al ragù e lasagne ai carciofi,
patè al
tonno, al salmone e al prosciutto, arance e mandarini nel portafrutta
mandavano in estasi e poi, a riposare in disparte sotto lo sguardo
vigile di tre paia d'occhi, c'era una ciambella red velvet glassata al
cioccolato bianco e decorata con fiori e foglie di marzapane e perline
d'oro di zucchero. Il lieve sospirare che arrivava dai piccoli
guardiani e da Aiolos era uno spasso.
«Bambini, Aiolos, per favore, potete iniziare ad
apparecchiare la
tavola?» disse Teresa, entrando in cucina dalla sala da
pranzo
con in mano il centrotavola di fiori che aveva appena tolto dal tavolo.
Per il pranzo di Natale lo avrebbe sostituito con una composizione di
agrumi, frutta secca e spezie.
«Sì, Aiolos, vai a preparare la tavola»,
ripeté Kanon in un sogghigno, poiché quello era
sempre
stato il compito che Nanny affidava sempre loro fin da quando erano
ragazzi. E di solito voleva dire: smammate dalla cucina, bambini.
«Kanon! Mi era parso di sentire la tua voce, quasi non ci
speravo più di vederti», lo salutò
Teresa.
«Mamma Miller, potevo forse mancare al tuo pranzo di
Natale?» disse lui, accettando l'abbraccio della donna e il
bacio
sulla guancia. Gli piacevano da impazzire quei modi espansivi,
soprattutto se venivano da belle donne.
«Non ti preoccupare, ho un compito anche per te!
Vieni» Lo
fece sedere su uno degli sgabelli dell'isola e gli mise davanti un
tagliere con dei gambi di broccoli e un pelapatate in mano.
«Bravo, Kanon, pela i broccoli», mormorò
Aiolos,
riempiendosi poi la bocca con un pezzeto di focaccia all'aglio e
rosmarino per nascondere un sorrisetto maligno.
Mancava ancora un'ora al grande pranzo di Natale e tutto era
già
pronto e organizzato alla perfezione. Non si sentiva la mancanza della
cuoca che veniva tre volte a settimane e della domestica fissa che per
quei giorni erano state congedate e lasciate libere di passare le feste
con le proprie famiglie, con una generosa gratifica. Teresa,
benché non conoscesse le abitudini della casa, era riuscita
a
portare i suoi ritmi e le sue tradizioni senza stravolgere troppo gli
occupanti della casa.
La donna era intenta a risciacquare i flute per lo spumante che aveva
portato, quando con la coda dell'occhio notò una strana
tensione
arrivare da Kanon. Lì per lì non gli diede peso,
ma
l'insistenza dei modi furtivi dell'uomo iniziarono a distrarla, con il
rischio di combinare qualche guaio.
«C'è qualcosa che non va?»
Lo vide affrettarsi a deviare lo sguardo. Sembrava in imbarazzo, come
se morisse dalla voglia di chiederle qualcosa ma non ne avesse il
coraggio. Poi, lo vide sporgersi e guardare i bambini che si
divertivano a fare il giro del grande tavolo ovale mettendo a turno le
posate, il tovagliolo, il sottopiatto rosso fatto a mano all'uncinetto,
il segnaposto di agrifoglio e cristalli; e infine, dietro, con
movimenti accurati, passava Aiolos a sistemare i piatti bordati d'oro e
i bicchieri.
Lo vide scrollare la testa e tornare a guardarla, ma subito abbassare
gli occhi sui gambi di broccolo. Adesso sì che iniziava a
preoccuparsi. Fece il giro dell'isola e posò la mano sulla
sua
che stringeva il pelapatate. «Ti senti bene? Puoi confidarti
con
me, se vuoi.»
Kanon alzò la testa e arrossì.
«Cos'hai combinato questa volta?»
La voce di Saga spezzò quello stato di disagio che per Kanon
era
una tortura. «Ehi, fratellino, ti credevo in
ufficio!»
«Hai smaltito la sbornia di ieri sera o sei ancora
ubriaco?» ribatté Saga, scoccandogli un'occhiata
gelida.
Entrò in cucina e appoggiò il vassoio della
colazione
vicino al lavello.
Teresa notò come Kanon ci fosse rimasto male alle parole e
all'atteggiamento del fratello, voleva provare a mediare quello che
sembrava un rapporto difficile tra i due, ma l'uomo
l'anticipò.
Si alzò pulendosi le mani in un canovaccio e
seguì
l'altro fuori dalla cucina.
Mentre si allontanava lo sentì dire che aveva portato un
regalo
speciale e la voce di Saga ribattere qualcosa per tagliare il discorso.
Si intristì: ai suoi occhi, era come se Kanon stesse
rincorrendo
il gemello per avere un poco della sua attenzione, ma Saga gliela
negava; o se gliela concedeva, lo trattava con sufficienza.
Scrollò la testa e pulì i gambi dei broccoli per
la
vellutata per la cena: dopo i bagordi del pranzo, di certo sarebbe
stato necessario qualcosa di più leggero.
La cucina era tornata tranquilla, forse troppo. Anche in sala da pranzo
c'era troppa calma. I bambini dovevano aver finito di sistemare la
tavola, ma Teresa si aspettava che sarebbero tornati a girare intorno
ai piatti di portata pieni di stuzzichini e antipasti. Con la
preoccupazione che agiva come un tarlo nella sua mente, si
affacciò nella sala da pranzo, ma era deserta, allora
provò ad affacciarsi alla scala di servizio e
sospirò di
sollievo nel sentire i due birbanti correre su e giù per il
corridoio del piano superiore. Il loro scalpiccio era rinfrancante.
Diede una bella occhiata alla cucina per vedere se avesse dimenticato
qualcosa. Poi, guardò l'orologio e calcolò che
era il
momento di accendere il secondo forno e mettere a scaldare le teglie
delle lasagne.
*****
«Perché non ti rilassi un po'? Da quanto non ti
prendi
qualche giorno di vacanza?» disse Kanon, chiudendosi la
doppia
porta della biblioteca alle spalle. Difronte a lui, Saga se ne stava
appoggiato alla scrivania antica che un tempo usava Shion quando
lavorava a casa, in mano teneva l'iPad e con l'altra mano sfogliava i
report che lui aveva scritto la sera prima nel pub.
«Da chi te li sei fatti scrivere?»
«Perché, sono buoni?» ribatté
con il suo
solito modo sfrontato. Vedendo che il fratello non raccoglieva la
provocazione, decise per una risposta più seria e sincera.
«Ho imparato studiando quelli che mi scrivevi tu in
passato.»
Lo osservava leggere, l'espressione concentrata sul volto. Ormai da
tempo rimpiangeva il fratello debole e un po' frignone che era stato in
passato, ma che sapeva ridere e si accontentava delle piccole cose;
quello stesso fratello che lui si sentiva in dovere di aver cura.
Ora, cos'era diventato?
La copia sputata del padre, che pensava solo al lavoro.
Sperava ci fosse ancora speranza per lui, perché Shion,
nonostante avesse dei figli, non aveva mai avuto tempo per loro; ma
Saga aveva accanto a sé una donna che lo amava e un figlio
intelligente ed educato che non doveva crescere con un padre che
pensava sempre e solo al lavoro.
A grandi passi raggiunse il fratello e gli strappò dalle
mani
l'iPad. «Accidenti, è Natale! Non ce la fai
proprio a
lasciar perdere il lavoro almeno per oggi?»
Al contrario di quel che si aspettava, Saga sospirò. Era una
piccola vittoria che lo faceva ben sperare, ma poi, la reazione dimessa
del fratello gli fece scattare un campanello d'allarme: proprio come
quando erano più giovani.
«C'è qualcosa che ti preoccupa, vero? Sai che con
me puoi parlare di tutto.»
«Credevo di avere tutto sotto controllo», disse
Saga,
abbassando lo sguardo sul tappeto antico. «Lo sai come sono
fatto, non mi piacciono i cambiamenti troppo radicali.»
«Hai intenzione di cambiare lavoro?» rise Kanon,
per spezzare l'atmosfera tetra che si era creata.
Saga mise una mano nella tasca del cardigan di lana pesate ed estrasse
una scatolina quadrata di velluto blu. «La mia situazione con
Caroline si è complicata. Tu sai che viviamo separati, no?
Però, al tempo stesso stiamo assieme. Lei ha detto che non
vuole far vivere Anthony nell'attico e io non posso vivere nel suo loft
vicino al porto.» Fece una pausa, massaggiandosi la fronte
con la punta delle dita.
«Cosa stai cercando di dire?» lo
anticipò il fratello.
Saga strinse la scatolina nella mano, non era certo di voler
condividere con lui ciò che voleva fare, o forse era solo il
timore che Kanon lo avrebbe messo in imbarazzo davanti a tutti. Ma non
dimenticava tutti gli anni che suo fratello aveva passato a
preoccuparsi per lui, che lo aveva tenuto al sicuro dal mondo esterno,
che lo aveva sostenuto e difeso davanti a suo padre...
«Saga, non avrai mica intenzione di lasciarla...»
«Non fare l'idiota!» sbottò Saga. Prese
un bel respiro e riprese a parlare con tono pacato e un poco
impersonale. «Nei primi anni di vita di Anthony io non sono
stato presente. Lei non mi aveva detto nulla. Ti confesso che non
sapevo come comportarmi.»
«Credo sia normale, eravate estranei l'uno
all'altro», concordò Kanon, che si era fatto molto
attento al discorso.
«Con il tempo le cose sono migliorate, ma vivere separati ha
reso tutto più difficile. E ora si sta ripresentando la
stessa situazione.»
«Che vuoi dire?»
«Caroline aspetta un bambino.»
Sulle labbra di Kanon si formò un sorrisone e a stento
riuscì a contenere la gioia per quella notizia. Lo
abbracciò di slancio e in quel gesto vi infuse tutto
l'affetto che non aveva potuto dimostrargli in quegli ultimi anni,
perché Saga lo aveva tenuto a distanza.
Saga lo lasciò fare, perché a lui era mancata la
vicinanza con il fratello. Quando Kanon lo liberò da quella
morsa, gli mostrò la scatolina e lasciò che
traesse le sue conclusioni.
«Hai sempre avuto dei gusti decisamente più
semplici rispetto a me, ma indubbiamente di gran classe»,
disse, restituendogliela. «Quindi, questa volta farai le cose
come da tradizione?»
Un cortese bussare risparmiò a Saga l'imbarazzo di una
risposta. La porta si aprì e fece capolino la testa
Caroline. «Il pranzo è pronto, stiamo aspettando
solo voi due.»
note:
68° fahrenheit corrisponde ai nostri 20°C.
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