L'alfabeto di Cupido

di FatSalad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A ***
Capitolo 2: *** M ***
Capitolo 3: *** O ***
Capitolo 4: *** R ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** I ***
Capitolo 7: *** N ***
Capitolo 8: *** C ***
Capitolo 9: *** I ***
Capitolo 10: *** T ***



Capitolo 1
*** A ***


Our meeting is just a small thing in this big world, but just the fact that we met is a miracle.
GreeeeN, “Kiseki” (Miracle)


Nel quartiere nuovo della città, dalla finestra del bagno di un monolocale, si udivano le note di un motivetto fischiettate distrattamente da un inquilino. Il ragazzo non fece in tempo a uscire dalla doccia che sentì il cellulare squillare. Si cinse velocemente i fianchi con un asciugamano e si precipitò verso la causa di quel suono insistente. Doveva decidersi a cambiare suoneria o quello strombazzare gli avrebbe fatto esplodere il cervello, prima o poi.
Appena vide il nome sul display emise un sospiro: era mamma. Considerando il suo proverbiale tempismo perfetto previde che dovesse discutere con lui di questioni altamente irrisorie, come il colore di una camicia che stava per comprargli (e che lui avrebbe puntualmente stipato nell'armadio e non avrebbe mai indossato), o pessimi consigli di vita provenienti direttamente da un oroscopo da quattro soldi.
Si fece forza e mentre con una mano tirava indietro i capelli lunghi perché non gocciolassero sul dispositivo, con l'altra rispose.
«Ciao mamma, stavo...»
«Bruno, ho conosciuto una ragazza davvero carina, oggi.»
Trillò lei, senza dargli ascolto.
Bruno gemette, spazientito: quella era un'altra delle fissazioni della signora Dossi insieme alla critica del suo vestiario e all'oroscopo. Sapeva già che tipo di ragazza sua madre considerasse “carina” e temeva il peggio.
«Ma', non dirmi che...»
«Le ho fatto vedere la tua foto e...»
«Mamma! La vuoi smettere di far vedere la mia foto a giro per svendermi come se fossi alla fiera delle mucche maremmane?!»
«Senti,- rispose la donna abbassando la voce e Bruno scommise che con la mano a coppa si stava coprendo le labbra per non farsi sentire da chi aveva accanto - se aspetto te, imbranato come sei, non combinerai mai niente! Dammi retta, esci con Martina, è carina, gentile e studia alla Bocconi, mi hai capito? Alla Bocconi! Fammi questo favore, ti assicuro che è simpatica! Se poi non ti piace amen!»
Bruno sospirò, arreso. Tanto sapeva che se si fosse rifiutato ci avrebbe pensato sua madre a combinargli qualche appuntamento contro la sua volontà. Non sarebbe stata la prima volta.
«Passamela.» disse e gli sembrò che mamma Stefania avesse trattenuto un urletto isterico.
«P-pronto?»
«Ciao, Martina, giusto? - Cercò di non essere acido, ma già la situazione non gli piaceva e quella vocina titubante non migliorava la situazione - Senti, mi dispiace per mia madre...»
«No, no, figurati...» lo interruppe Martina con una risatina nervosa.
Non gli stava piacendo proprio per niente.
«Sì, beh, allora, senti: io dico a mia madre che ci vediamo sabato pomeriggio da Gustavo, così se te lo chiede puoi confermare, poi se non ti presenti se ne farà una ragione. Siamo d'accordo?»
«Ehm, sì, d'accordo.»
Concordarono i dettagli, poi Bruno troncò in fretta la conversazione e a scanso di equivoci spense il cellulare prima di tornare in bagno per asciugarsi i capelli e vestirsi.

Con il volto in fiamme Martina porse il cellulare a Stefania Dossi, la simpatica signora che aveva conosciuto poco prima sull'autobus.
«Allora? Che ti ha detto Bruno?» chiese la donna, curiosa.
«Ci vediamo questo sabato da Gustavo.»
«Cosa?! Ti ha invitato in un bar?! - Urlò quella strabuzzando gli occhi - Poteva almeno offrirti la cena... scusami, non so proprio dove ho sbagliato con lui! - Esclamò facendo ridacchiare la ragazza.- E poi perché non ti ha invitato stasera stessa?!» chiese retorica, delusa dal figlio.
«Beh, stasera forse era un po' affrettato... magari aveva altri programmi...» ipotizzò la studentessa, titubante.
«Ma no, figurati, che programmi vuoi che abbia di giovedì sera? È solo che è un ragazzone timido, te l'ho già detto...»
Martina sorrise e annuì mentre la signora Dossi le raccontava qualcosa del figlio con cui aveva appena combinato un'uscita e non era sicura di capire se stesse cercando di tessere le sue lodi o di prenderlo amabilmente per i fondelli.

Bruno, ignaro di tutto, si agganciò i bottoni dei pantaloni e sospirò esasperato. Aveva come la terribile impressione che Martina si sarebbe presentata all'appuntamento.
Di pessimo umore tornò di fronte allo specchio e si legò i capelli ancora umidi in una crocchia.
Sentì la voce della madre che gli ripeteva nella mente “Come fai a trovare una fidanzata se sei sempre così trasandato?” ed effettivamente pensò che almeno la barba avrebbe potuto farsela, ma come per protesta ci mise meno impegno del solito anche a sistemare i capelli. Non conosceva altri modi pacifici per ribellarsi all'invadente genitrice ed era da quando aveva imparato a vestirsi da solo che si rifiutava di seguire i consigli di buongusto della madre.
A lui piacevano i pantaloni morbidi e le magliette comode, che c'era di male? Tanto, con una perfezionista del genere, sarebbe stato criticato per qualunque scelta, nonostante gli sforzi.
D'altra parte Bruno era un pacifista, non voleva piantare grane, non amava i litigi e l'unica volta che aveva sfidato i genitori più apertamente era stato a diciott'anni, quando si era fatto il piercing al sopracciglio senza chiedere il parere di nessuno. Quando era tornato a casa sua madre aveva pianto e suo padre non gli aveva parlato per tutto il giorno. Sinceramente gli era un po' dispiaciuto, ma soprattutto aveva notato che continuare a vestirsi a casaccio era un attacco ugualmente efficacie e meno doloroso.
Inforcò gli occhiali e si esaminò di nuovo allo specchio. L'occhio gli cadde sul profumo che aveva comprato qualche mese prima, pensò “Magari...”, ma subito scacciò il pensiero.
«È solo un aperitivo con gli amici.» si disse a bassa voce ed uscì svelto dal bagno.
Afferrò il giubbotto di jeans logoro e le chiavi della macchina e si diresse verso il luogo prefissato, sperando di non essere troppo in ritardo.

«Bruno!»
Appena uscì di macchina vide Valentina che sventolava un braccio nella sua direzione, sorrideva e lo invitava ad unirsi al gruppo di amici.
«Scusate il ritardo» borbottò quando li raggiunse.
«Figurati, Roberta non è ancora arrivata. - Lo rassicurò Valentina mentre gli stampava due bacetti sulle guance. - Certo che questa barba potresti raderla qualche volta, ci hai mai pensato?»
Bruno roteò gli occhi.
«Non ti ci mettere pure tu... Niccolò, ma anche con te fa la mammina in questo modo?»
Niccolò rise e afferrò Valentina per i fianchi.
«Non prorpio...» rispose il ragazzo con un tono che nascondeva mille significati e le baciò il collo.
«Allora, mi spiegate perché siamo qui?» chiese Bruno agli altri, distogliendo lo sguardo dalla coppietta per lasciare ai due un minimo di privacy, dal momento che non l'avevano cercata da soli.
«Mi sembra di aver capito che c'è un'amica di Vale e Roberta...» disse Giorgio alzando le spalle.
«Sì, questo l'ho capito, ma perché siamo venuti in una biblioteca di giovedì sera?»
«Perché dentro c'è un bar che prepara un aperitivo a soli tre euro mentre degli attori leggono dei versi di poesie.» spiegò la voce acuta di Roberta, che li stava raggiungendo con piccoli passi svelti.
«Ciao Robi.» disse Bruno in coro con Giorgio e Fabio.
«Ciao ragazzi!» fece lei alzando una mano.
«Che hai fatto alle mani? - Chiese Bruno corrugando la fronte - Sono un nuovo tipo di arma illecita?» fece poi, indicando con il mento le mani dalle unghie lunghissime laccate di un colore biancarsto stranamente sinistro.
«Volendo sì. - Disse lei con un'alzatina di spalle - Sono di marmo.»
L'espressione tranquilla dell'amica lo inquietò più di quegli orribili artigli, perciò Bruno decise di lasciar perdere la questione.
«Allora, ci siamo tutti?» chiese Roberta come se nulla fosse.
Gli altri annuirono e anche i piccioncini si staccarono un attimo per rispondere all'appello.
«Andiamo, Susi ci starà aspettando.» dichiarò Valentina e guidò la marcia dentro l'insolito luogo di divertimento.

Dove diavolo erano finite le sue amiche?!
«Mi avevano promesso che sarebbero arrivate per le 19:00!» sibilò Susanna osservando l'orologio che aveva al polso e considerando la mezz'ora di ritardo che stavano accumulando le ragazze.
“Mi hanno scartavetrato le palle con questa storia, e poi...?” pensò irritata.
Quando aveva dato alle amiche il volantino della serata e aveva chiesto loro il favore di farle compagnia le sembrava che avessero accettato di buon grado. Le avevano assicurato la loro presenza, anche perché, come dicevano sempre, non riuscivano mai a vedersi, per un moivo o per un altro. Avevano scelto come doveva vestirsi e le avevano ordinato come avrebbe dovuto tenere i capelli e adesso che lei si sentiva tanto a disagio in mezzo a quegli sconosciuti, loro la abbandonavano spietatamente? Che crudeli! Dopo tutto quello che le avevano detto.
Menomale che non aveva dato loro ascolto per quanto riguardava la scelta degli abiti, altrimenti a quel punto si sarebbe chiusa nel bagno aspettando il loro arrivo.
«Dobbiamo trovarti un ragazzo con cui fare coppia per la serata, ma non ti preoccupare, ci pensiamo io e Roberta.»
Aveva affermato Valentina subito dopo aver accettato l'invito per quel giovedì. Lì per lì Susanna era rimasta anche un po' sconcertata. Non era che anche le sue amiche cominciavano a temere che sarebbe rimasta zitella, pardon, single a vita solo perché aveva superato i vent'anni ed era ancora sola, vero? Sperava che non fossero sfiduciate quanto sua nonna.
«Perché mai? Non avete fiducia in me?» aveva provato a chiedere, sgranando gli occhi.
«Perché, insomma, non si vedono tanti manzi in biblioteca!»
«Come no? Vai nella sezione di scienze naturali e c'è pieno. Qualcuno è anche nella sezione dei bambini e quelli solitamente parlano, anche.»
«Ah. Ah. Diciamo gnocchi, allora?» aveva insistito Roberta agitando una mano e guardando per aria.
«Dovremmo avere una vecchia edizione dell'Artusi, per quelli.»
«Bei ragazzi?»
«Ehi, per chi mi avete preso? Di harmony ce n'è a bizzeffe!»
L'avevano punta nell'orgoglio, non aveva potuto demordere!
«Persone di sesso maschile, bella presenza e tangibili, insomma!»
«...»
“Merda... - aveva pensato allora - sono stata sconfitta dalla presenza tangibile”.
Dopo quel teatrino le amiche le avevano assicurato che quella sera sarebbero arrivate con qualche amico promettendole che tra tutti ne avrebbe trovato uno che poteva fare al caso suo. Non si erano nemmeno risparmiate un'accurata descrizione della peculiare “merce”.
Susanna portò una mano alla tempia come per sistemare una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Stava cercando di non scoppiare a ridere al pensiero dei discorsi delle amiche, o forse tentava di non scoppiare a piangere, perché in realtà si sentiva uno schifo in quel momento. Non era sociopatica, ma si sentiva strana in quel ruolo da bibliotecaria-fuori-servizio, le mancava la scrivania dietro cui rifugiarsi per darsi un contegno ed aveva il ciclo, oltre tutto!
Quando abbassò la mano e gettò uno sguardo all'ingresso, invece, le sue labbra si stirarono in un sorriso grato. Rilassò le spalle. Non si era nemmeno accorta di essere tanto tesa, se non adesso che aveva incrociato il volto sorridente di Roberta.
Dietro di lei vide Valentina che entrava mano nella mano con Niccolò, come di rito, e una manciata di ragazzi intorno. Si ritrovò ad esaminarli velocemente e cercò di non ridere: grazie alle descrizioni delle amiche li riconobbe prima ancora di essersi presentata.
Poteva udire chiaramente la voce di Vale, come se le stesse parlando in quello stesso momento.
«Dunque, c'è Giorgio, - le aveva detto - non è esattamente aggraziato...»
«Diciamo che quando si muove pare un tricheco con la sbornia...» aveva corretto Roberta.
«...però ha due occhi azzurrissimi! Dovresti vederli!»
«Quasi violetti!»
«Enormi!»
«Magnetici!»
Lo vide anche se li separava ancora qualche metro, in effetti. Un ragazzo con due palle azzurre al posto degli occhi e molti meno rotoli di lardo rispetto a quelli che si era immaginata con la definizione “tricheco”. Ok, forse camminava in modo un po' strano, ma per il resto il paragone non reggeva affatto.
“Non ha nemmeno due zanne sporgenti...” considerò tra sé. Poi spostò lo sguardo su un piccoletto dai capelli scuri.
“Fabio”, indovinò.
«Lui è bello!» aveva assicurato Valentina.
«Sì, bel visetto, occhi verdi, sempre sorridente...»
«...e molto spiritoso.»
«Gli piace scherzare, si veste benissimo ed è curioso come un furetto.»
«L'unica cosa...»
Il tono di Valentina a questo punto era passato dall'entusiasmo alla scusa.
«...è che è un po' basso.» aveva concluso Roberta.
«Uno hobbit in confronto a te.»
«Ma pensa al lato positivo: mai più tacchi dolorosi se ti metti con lui!»
«E poi conosci la regola della L, no?»
Non aveva mai incontrato i loro amici e loro le avevano già fatto battutine a sfondo sessuale e avevano parlato di mettersi con uno dei sopracitati: un buon modo per non essere assolutamente in imbarazzo al momento delle presentazioni.
Il furetto in giacca e cravatta era basso esattamente come l'aveva immaginato, stavolta Vale e Robi non avevano esagerato.
«Poi c'è Bruno...» diceva la voce di Roberta nella sua testa, mentre scorgeva un terzo ragazzo in avvicinamento.
«Bruno è... normale»
“Strano!” ricordava di aver pensato in quel momento.
«Abbastanza alto, né grasso né magro...»
«Capelli castani, occhi marroni, occhiali...»
«Piuttosto tranquillo.»
Lo riconobbe per esclusione.
Che fosse un tipo sciatto fu la prima cosa che notò di lui, stupendosi del fatto che le amiche avessero dimenticato di aggiungere l'aggettivo al ritratto. Galeotta fu la barba poco curata ed i suoi normali capelli castani che erano lunghi e legati in una crocchia disordinata. Poi c'era il suo abbigliamento. Come descriverlo? Da come portava i vestiti sembrava che se li fosse gettati addosso solo perché costretto dalla decenza. Erano capi anonimi e non si potevano definire nemmeno “fuori moda”, perché Susanna dubitava che fossero mai stati di moda quei pantaloni troppo larghi che cadevano male e quella camicia indossata sopra una semplice maglietta nera.
Un ragazzo del genere sarebbe passato del tutto inosservato nel flusso della sua vita, se Susanna non avesse scoperto quella sera stessa, un piccolo, trascurabile e fondamentale dettaglio della sua vita.



Il mio angolino:
La protagonista di una OS che ha un posto particolare nel mio cuore ha finalmente un nome! Ce l'ha da tempo, in realtà, ma solo adesso ho deciso di pubblicare questa storia che languiva nel pc. Spero vi faccia sorridere.
A presto!
FatSalad

 

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Capitolo 2
*** M ***


Chi comanda al racconto non è la voce: è l'orecchio.
I. Calvino, “Le città invisibili”


«Susi! Mi spieghi perché ti sei vestita in questo modo?» sibilò Roberta subito dopo le dovute presentazioni, prendendo l'amica sotto braccio e conducendola in un angolo.
«Oh, vuoi dire perché non ho messo quella gonnellina bianca che mi hai prestato?»
«Sì, e quel top a fiori che ci stava tanto bene!»
La guardava con un'espressione tra il furioso e lo sconsolato, Susanna si sentì quasi in colpa a vederla e avrebbe voluto dirle la verità. Fece mentalmente una prova.
“Scusa, è che quella sottana era troppo stretta, mi sembrava di avere il culo incastrato in un barattolo di nutella e avevo paura di esplodere anche solo a respirare”.
No, così non andava. Ritentò:
“Scusa, ma quella mise era così fuori dai miei schemi che non mi faceva sentire a mio agio”.
Temeva di ferire i sentimenti dell'amica e prima di accorgersene le rifilò una mezza balla.
«Guarda, Robi, mi dispiace, mi piaceva tantissimo quella minigonna, ma ho avuto problemi con l'organizzazione della serata, ho fatto tardissimo e non ho avuto il tempo di depilarmi. Quando mi sono provata l'abbinamento il mio gatto ha creduto di vedere uno gnù e si è rintanato sotto il mobile. Da questo ho capito che farmi le treccine con i peli delle gambe non aveva funzionato come diversivo...»
«Oddio, Susi, ma non c'avevi pensato prima?» chiese l'amica, per niente turbata dalla suggestiva immagine che le aveva propinato.
«Ehm, sinceramente no, mi dispiace.»
Mise su una faccia così depressa che Roberta dovette crederle per forza, perché anzi, cercò di consolarla in ogni modo dicendole che comunque non stava male.
«Vieni adesso: sediamoci insieme agli altri.»
Susanna ricordò all'amica che non poteva trattenersi troppo con loro, perché doveva svolgere il compito di “padrona di casa”, ma Roberta non udì una parola delle sue proteste, o forse finse soltanto, così Susanna si ritrovò in mezzo al cerchio degli amici delle amiche.
Fabio fece qualche battuta idiota che la fece ridere e notò con un certo piacere che quando la guardava di sbieco i suoi occhi avevano un guizzo. Forse, dopotutto, la scelta dell'outfit non era stata proprio un disastro.


Bruno non credeva al colpo di fulmine. Non gli era mai capitato di vedere una ragazza e pensare “è la donna della mia vita” e nemmeno qualcosa di simile. Al massimo gli era capitato di vedere una tipa e pensare che fosse bella, attraente, sexy o aggettivi simili, ma non credeva che un apprezzamento del genere si potesse considerare al pari di un amore a prima vista. A prima vista qualcosa può piacere o non piacere, questo era tutto. E quello che vedeva in quel momento non gli dispiaceva.
«Piacere, Susanna.»
Per esempio, già il nome, invece, non gli era piaciuto: gli ricordava un cartone animato.
Il suo sorriso gentile al contrario gli piacque e così pure i suoi pantaloni che si allargavano in fondo. Sua madre avrebbe saputo definirli meglio, a lui sembrarono solo pantaloni di un'altra decade che stavano benissimo con quella camicietta accollata. Sembrava uscita da una foto d'epoca.
La guardava mentre rideva alle battute sceme di Fabio, coprendosi la bocca con il dorso della mano come se non volesse mostrare gli incisivi.
Poi, ad un certo punto, la ragazza di scusò e si allontanò da loro. Il dovere chiamava.
C'era una musica soffusa che induceva dei rari ballerini a muovere qualche passo incerto. Tutti erano impegnati a bere e mangiare, qualcuno chiacchierava a voce troppo alta, si poteva dire che stesse urlando e per essere in una biblioteca, pensò Bruno con un mezzo sorriso, la cosa era piuttosto fuori luogo. Certo, i locali con gli scaffali erano chiusi e non vi si poteva accedere, una porta a vetri li separava da quella “zona bar” in cui si stava svolgendo l'aperitivo. Decisamente una biblioteca era un luogo insolito per fare bisboccia.
Bruno non si sentiva particolarmente a proprio agio, consapevole del fatto che la stragrande maggioranza dei presenti non era lì “per caso”, trascinata da amici in un luogo sconosciuto. Quasi tutti i giovani che vedeva attorno a sé indossavano camicie ben stirate e scarpe del cavolo, insieme ad un portamento da intellettualoidi ed una smorfia di supponenza. Non ci teneva a scambiare una parola con quegli snob che consideravano quelli come lui (i non laureati, i somari, i poco studiosi) la feccia umana.
Bruno rimase poggiato al bancone a mangiare qualcosa e bere una birra, studiando i tavoli di plastica e immaginandone un versione di legno. Deformazione professionale, la chiamavano. Meglio quei pensieri innocui che non il farsi venire la bile in bocca per le occhiate diffidenti dei sapientoni che gli passavano accanto.
Distrattamente vide Susanna al suo fianco, stava parlando con il barista.
«Che te ne pare?» chiese il biondino sorridendo e Bruno non riuscì ad impedirsi di ascoltare.
«Direi che non è andata male, tu che dici?» rispose la ragazza con un largo sorriso soddisfatto.
«Io dico che non poteva andare meglio! Oltretutto è giovedì, mica un sabato sera!»
Stava asciugando dei bicchieri con movimenti meccanici ed era raggiante. Bruno immaginò che quella serata fosse solo un esperimento per la biblioteca.
«Hai visto Cecilia?» chiese il barista.
«Era laggiù con delle amiche, prima.»
Susanna si voltò e indicò un gruppetto di ragazze ad un tavolino.
«Credi che qualcuno avrà voglia di un caffè nei prossimi cinque minuti?»
Susanna lo guardò con uno sguardo d'intesa e poi rispose.
«Credo che per cinque minuti potrei arrangiarmi a fare un paio di caffè.»
Il biondo mollò lo strofinaccio ed uscì da dietro il banco con un gran sorriso.
«Grazie! Stai benissimo stasera!» le disse con un occhiolino mentre correva da Cecilia.
«Grazie...» mormorò Susanna abbassando lo sguardo, ma il tipo si era già allontanato e non udì una sola sillaba. «Grazie, ma sì, continua pure a svolgere mansioni che non ti competono, è ottimo per la tua carriera!» borbottò poi tra sé, irritata.
«Interessante» pensò Bruno, sorseggiando la birra.
Sembrava proprio che la giovane bibliotecaria avesse un debole per il biondino dei caffè, un cretino che usava il suo sorriso perfetto per ammaliare ed elargiva complimenti solo per avere un favore in cambio.
Bruno fu tentato di avvicinarsi e chiedere un caffè, giusto per metterla in difficoltà, ma aveva ancora la birra in mano e la sua richiesta non sarebbe stata credibile.
Susanna sospirò. Fu un gesto sommesso, piccolo piccolo, ma a Bruno si strinse qualcosa all'altezza della bocca dello stomaco. Forse la compativa. Forse preferiva vedere quella ragazza dalla faccia simpatica mentre rideva con la mano davanti, piuttosto che abbattuta e sospirante.
«Dove sono i poeti?»
Non sapeva dove avesse trovato la faccia tosta di rivolgerle la parola, eppure si ritrovò a domandare la prima cosa che gli venne in mente. Susanna ci mise un attimo a capire che l'interrogativo era rivolto a lei. Doveva essere perché mentre glielo domandava non l'aveva guardata negli occhi, ma aveva tenuto lo sguardo dritto davanti a sé, nel vuoto o forse nel pieno della sala, nell'intrico di corpi e di persone che si muovevano come un unico corpo pigro e rumoroso.
«Poeti?» gli fece eco la ragazza, sbattendo le palpebre un paio di volte, quando ebbe capito da dove giungeva la domanda.
«Roberta aveva detto che ci sarebbe stato un aperitivo con...»
«Oh, intendi gli attori» disse Susanna «Beh, li avete mancati di poco, hanno finito di leggere poesie intorno alle sette e un quarto o giù di lì. Sono quel ricciolino a quel tavolo e la ragazza coi capelli rossi davanti a lui, se ti interessa.»
«No, era così per chiedere,» disse Bruno scrollando le spalle «è la prima volta che vengo qui.»
Come si era immaginato, o meglio, come aveva sperato inconsciamente mentre le rivolgeva quella domanda innocua, gli occhi della ragazza si illuminano. Susanna cominciò a parlare senza quasi riprendere fiato illustrando le mirabolanti caratteristiche della struttura che ospitava l'aperitivo quella sera e la più grande e innovativa biblioteca della città per il resto del tempo.
«Lavori qui?» chiese Bruno quando Susanna parve aver esaurito gli elogi per l'edificio, pur conoscendo già la risposta.
«Esatto, faccio la bibliotecaria, niente battutine, per favore: so già come sono le bibliotecarie nell'immaginario comune. E tu?»
«Io no.»
«No cosa?»
«Non lavoro qui.»


Per un attimo Susanna rimase interdetta, si chiedeva se quel tipo oltre a poche parole avesse anche poco sale in zucca, poi però vide il guizzo dei suoi occhi e capì che stava facendo del sarcasmo.
«Meno male, mi stavo appunto chiedendo se non mi fosse sfuggita una nuova assunzione. Magari non ti avevo mai visto in giro perché lavi i cessi di mercoledì mattina! - disse teatrale, stando al gioco - Insomma, che fai nella vita? Studi? Lavori?»
«Non ho mai studiato tanto. Lavoro. Faccio il falegname e non fare battutine, perché potrei ricordarti che il più grande rivoluzianario del mondo era un falegname.»
Susanna strizzò gli occhi pensando a rivoluzionari famosi, ma non c'era nessuno di cui ricordasse un dettaglio del genere.
«Beh, se ti riferisci a Pinocchio il falegname era il padre, non lui.»
Vide il ragazzo di fronte a lei girare la testa di lato per non mostrare la sua espressione divertita.
«Veramente pensavo a quell'altro personaggio, quel tale che ha inventato una religione... mi sembra si chiamasse qualcosa tipo Gesù...»
Susanna scoppiò a ridere.
«È una cosa che mi ripeteva sempre mio padre per “nobilitare” il suo lavoro, anche se non è mai stato particolarmente devoto.» spiegò Bruno e si sentì strano.
Aveva già rivelato di sé più cose di quanto solitamente rivelava ad un primo incontro.
Non era un tipo molto espansivo, lo riconosceva, e ne dava ancora tutta la colpa alla pubertà. Alle superiori era un ammasso di carne indecisa attaccata da un'acne feroce. Ed era stato così per anni, finchè i suoi ormoni non si erano stabilizzati e quando aveva superato la soglia dei venti poteva guardarsi allo specchio e dire di piacersi. I ringraziamenti andavano alla tanto desiderata barba, che ormai cresceva in maniera regolare e alle ore passate in palestra, non tante da diventare un'ossessione, ma abbastanza per mantenersi piuttosto in forma.
Ai vestiti non aveva mai dato troppo peso e il modo in cui li portava lo diceva chiaramente e ai tempi della scuola era considerato una pecora nera anche solo per un particolare del genere.
Poi era impacciato come un adolescente che sta ancora crescendo dentro le proprie ossa, aveva delle mani enormi, era la seconda cosa che Susanna aveva notato di lui quando si erano stretti la mano e lui l'aveva ritirata subito.
«Eccomieccomieccomi!» disse una voce allegra.
Susanna si voltò e sorrise al barista, informandolo del fatto che (purtroppo o per fortuna) nessuno aveva richiesto niente al bar, durante la sua assenza.
«Ma certo, ormai chi voleva bere qualcosa l'ha già fatto.» disse il biondo scrollando le spalle.
Susanna cercò di non fare caso al suo tono annoiato, che mal si addiceva ad una persona cui era appena stato fatto un favore.
Salutò distrattamente, decisa ad allontanarsi dal bar, ma quando, istintivamente, si voltò per tornare a parlare con Bruno, lui non c'era più. Lo cercò con gli occhi tra i presenti e non lo trovò, vide invece Roberta che agitava una mano per chiamarla. Susanna sorrise e le andò incontro.
Le sue amiche volevano salutarla per congedarsi. Susanna scambiò bacini con quasi tutta la comitiva, tranne Niccolò, che sembrava gradire il contatto fisico solo della sua Valentina e Bruno che aveva scoperto un po' in disparte e che si limitò a farle un cenno di saluta a distanza. Poi le sue amiche usarono un pretesto per far uscire gli uomini e Susanna cominciò a sudare freddo. Sapeva cosa sarebbe successo a quel punto: le avrebbero fatto il terzo grado per capire cosa pensava dei loro amici.
Purtroppo non si era sbagliata (difficilemente Valentina avrebbe assunto uno sguardo del genere per parlare di qualcosa che non fosse l'universo maschile).
La tartassarono di domande più o meno esplicite e Susanna dovette difendersi come potè, cioè cercando di rimanere più sul vago possibile.
«Mi sono ricordata adesso di una cosa! - esclamò Valentina battendosi una mano sulla coscia – Bruno ti ha detto di suo nonno?»
Susanna fece mente locale, ma da quelle due parole messe in croce che era riuscita a strappargli non le pareva che avesse mai sfiorato l'argomento nonno.
«No.»
«Non ci credo, non te l'ha detto?»
«Cosa avrebbe dovuto dirmi esattamente?» chiese cominciando a incuriosirsi.
«Che suo nonno è uno scrittore!»
Susanna ripensando a quel momento si sarebbe sempre vergognata di aver pensato “Oh, beh, sai che notiziona.”. D'altro canto immaginava che l'amica le stesse dando l'informazione solo perché riteneva che la parentela con uno scrittore, fosse anche da quattro soldi, avrebbe reso un ragazzo più affascinante agli occhi di una bibliotecaria. Aveva anche altri interessi oltre ai libri, lei!
«Davvero?» riuscì a chiedere simulando sorpresa.
«Sì, uno scrittore di qui... Come si chiama...? Robi! Ti ricordi come sia chiama il nonno di Bruno?»
«Chi, lo scrittore?»
«Ma sì, certo, lo scrittore!»
Quella alzò gli occhi, intenta a ricordare.
«Uhm... mi pare... Giampiero, no, Gian...»
«Era Gian-qualcosa? Sicura? Non era Pier-qualcosa? Mi dispiace, Susanna, ora proprio non mi viene in mente come si chiami, ma puoi sempre chiedere a Bruno!»
«Sì, certo!» Come no!
«Allora ci sentiamo, Susi! Riposati, mi raccomando, che si vede che sei stanca.»
«Sì, devo proprio andare a dormire, adesso, ma ci risen-...»
«Giandomenico! Ecco come si chiama! - Esclamò Roberta, sicura di sé – Giandomenico Dossi.»
«Come?»
Susanna aveva sgranato gli occhi e stavolta non aveva avuto bisogno di fingere.
«Ecco perché non mi veniva... con un nome così! Ma chi è che si chiam-...»
«Giandomenico Dossi?! - La interruppe Susanna – Hai detto che si chiama Giandomenico Dossi?»
«Sì, sì, sono sicura, perché? È così famoso?»
Chiese Roberta, ma non ricevette alcuna risposta. Susanna si era fiondata verso l'uscita della biblioteca senza aggiungere una sola sillaba.




Il mio angolino:
Non vi lascio nemmeno il tempo di respirare che già ho pubblicato un altro capitolo... ma si può dire che i primi due capitoli servano per presentare i personaggi e... quanto è imbarazzante Bruno da 1 a 10?!
Ho visto che tra le persone che hanno messo la storia tra le seguite ci sono anche alcuni lettori silenziosi che mi hanno sempre seguito in ogni nuova storia. Che posso dire? Un commosso grazie a tutti voi <3.
A presto,
FatSalad

 

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Capitolo 3
*** O ***


Se cerchi un tesoro devi cercarlo nei posti meno visibili, non cercarlo nelle parole della gente, troveresti solo vento. Cercalo in fondo all'anima di chi sa parlare con i silenzi.
A. Merini



«Bruno...?» chiese una voce timida e squillante alla sua destra.
Il ragazzo si voltò. Aveva in mente una sola cosa: “Ha deciso seriamente di presentarsi!”, ma quando i suoi occhi incontrarono quelli della ragazza non riuscì a formulare un granchè. Gli uscì fuori solo un “mh”, come una specie di grugnito o colpo di tosse appena accennato.
«Ciao!» esclamò Martina presentandosi subito dopo un risolino nervoso.
Bruno la accompagnò dentro al bar e le offrì qualsiasi cosa volesse prendere e Martina scelse uno di quei beberoni ricavati dalla centrifuga di una mezza dozzina di frutti diversi. Mentre aspettava il suo volgarmente detto succo di frutta, la ragazza lo informò sulle incredibili proprietà di ogni ingrediente che aveva scelto.
«Sapevi che l'ananas contiene la bromelina? È un enzima in grado di scomporre le proteine e quindi, in poche parole, aiuta a digerire. Il pomodoro invece è un elisir di giovinezza, ma questo lo saprai... no? Perché è ricchissimo di licopene, un potente antiossidante. Il pompelmo, beh... il pompelmo fa di tutto ed è anche povero di zuccheri! Peccato non avessero il tamerindo, a casa lo uso sempre.»
«Il caffè, invece, cosa fa?»
«Oh, beh, non bevo caffè, oltre alla caffeina contiene più di un centinaio di tossine. Danneggia gli organi digestivi, aumenta la tachicardia, può far venire le palpitazioni, fa aumentare anche le angosce e il nervosismo e...»
«Ecco la centrifuga. Di chi era il caffè?» la interruppe il barista avvicinandole un bicchiere colmo di un liquido verdastro e guardandosi intorno alla ricerca del bevitore di quel veleno nero.
Bruno fece un cenno con la mano e prese la tazzina di espresso.
Martina stette un attimo in silenzio, poi si schiarì la gola.
«In ogni caso, se non hai problemi allo stomaco, alla vescica o al cuore, il tuo organismo può tollerare uno o due caffè al giorno.»
Bruno rimase a pensare alla tolleranza del proprio corpo mentre sorseggiava il caffè, poi chiese, più per un certo senso del dovere che per curiosità:
«Cosa studi?»
Martina, che era rimasta a bere in modo un po' impacciato il suo bicchiere di salute liquida, si animò di colpo.
«Voglio diventare magistrato, è una strada lunga e niente affatto semplice, ma...»
Parlava, parlava, parlava...
Parlava di cose che Bruno non riusciva a capire, ma non sembrava che si rendesse conto dello smarrimento del suo interlocutore. Parlava e spiegava, raccontava episodi che, forse, ad un altro aspirante magistrato sarebbero risultati divertenti, ma che a Bruno dicevano solo la sua ignoranza. Parlava e Bruno guardava il fondo della propria tazzina, gettava occhiate al bicchiere di Martina di tanto in tanto e con angoscia non lo vedeva svuotarsi nemmeno un po'.
«Scusa» la interruppe ad un certo punto «possiamo spostarci ad un tavolino? Comincia la partita.»
Martina rimase interdetta, ma dopo un “oh”, annuì e, preso il bicchiere in mano, seguì Bruno ad un tavolino.
Finì di bere quasi in silenzio mentre Bruno aveva gli occhi puntati sullo schermo e si malediva mentalmente. Perché avrebbe potuto benissimo fare a meno del calcio, soprattutto durante un appuntamento, ma non aveva resistito all'idea di avere una via di fuga. Era un cretino, lo sapeva, ma voleva comportarsi da maleducato per scelta. Perché, (porca puttana!), sua madre aveva detto la verità: Martina era davvero una bella ragazza, con il fisico alto e slanciato di chi fa sempre merenda con bevande salutari e jogging la mattina, con gli occhiali da gatta e le labbra carnose. Era una ragazza bella e intelligente, decisamente troppo intelligente per lui ed ogni sua parola o gesto non faceva che rimarcare l'evidente distanza che c'era tra di loro.
Sapeva perché era piaciuta alla mamma: una ragazza con un così roseo futuro davanti e una carriera brillante (con stipendi sicuri) assicurata non poteva che essere la candidata migliore come compagna di suo figlio. Lui, che aveva un lavoro altalenante, con continui alti e bassi nelle commissioni e di conseguenza nella busta paga a fine mese. Sapeva bene quanto questo la angosciasse, d'altronde lei stessa aveva sposato un falegname e proprio per questo aveva toccato con mano cosa significasse vivere nell'incertezza (sebbene ai suoi tempi il lavoro del padre fosse più sicuro di adesso), e Bruno sapeva altrettanto bene quanto la famiglia di lei avesse disapprovato quell'unione così al di sotto delle sue possibilità.
«Io... devo andare.» disse Bruno dopo essersi schiarito la gola.
La partita era finita e Bruno era sempre più convinto che lui e Martina non avessero niente da dirsi.
«Oh, beh... allora, ehm... grazie per oggi.» disse la ragazza con la sua vocetta zuccherina.
Bruno borbottò qualcosa in risposta che poteva sembrare un “grazie a te”, poi se ne andò prima che Martina potesse avvicinarsi per dargli due bacetti di saluto. Si sentiva già abbastanza a disagio, grazie, e non si capacitava del fatto che, pur essendosi comportato da cafone e averla ignorata per 92 minuti di partita, lei non avesse protestato, né avesse fatto una scenata e anzi avesse il sorriso mentre lo salutava. Forse doveva essere più esplicito e dirle che tra loro non poteva funzionare?
«Vabè, tanto non ci vedremo mai più.» si disse tra sé.
Era scappato prima che potesse saltar fuori l'argomento “prossima volta”.
Diede uno sguardo fugace all'orologio. Avrebbe dovuto alzarsi prima, ma andarsene prima della fine della partita dopo aver insistito tanto per vederla gli pareva una fin troppo evidente presa in giro.
Camminò per le vie del centro per dieci minuti buoni e, per la seconda volta in una settimana (ma in realtà in tutta la sua vita), si ritrovò di fronte alla biblioteca comunale. Di giorno l'edificio gli parve diverso, più moderno, più arioso, meno misterioso.
Entrò guardandosi attorno e oltrepassò il bar in cui era stato giovedì sera. Il barista biondo era intento a impilare tazzine e piattini puliti, ai tavolini di fronte a lui solo un uomo che sfruttava la presa elettrica per il suo pc e una ragazza con una pizzetta mezza morsicata in una mano e il cellulare nell'altra.
Per un attimo Bruno si sentì perso, in quel luogo così silenzioso e sconosciuto, ma fortunatamente adocchiò subito delle indicazioni che lo indirizzarono verso la sala giusta. Quel luogo lo metteva a disagio, con i suoi scaffali di metallo e le sedie di plastica, con le pareti bianche asettiche e le luci a led gli parve freddo e inospitale e sentì la mancanza del legno, delle sue sfumature calde e del suo profumo familiare.
Poi salì una rampa di scale e in mezzo a tutto quel bianco vide una nota di colore che gli scaldò subito qualcosa dentro.


«Ciao.»
Susanna, coperta da un maglione di lana a strisce marroni e senape, alzò gli occhi dal computer e accolse Bruno con un sorriso smagliante.
«Ciao! Non ti aspettavo più.» ammise.
Bruno balbettò delle scuse grattandosi nervosamente il collo.
«Sono... stato trattenuto, mi dispiace.» disse.
«Oh, non fa niente, siamo ancora aperti... per altri otto minuti, precisamente.»
Bruno si sentì mortificato, sapeva di aver fatto tardi, sperava solo che la ragazza non si fosse trattenuta a causa sua, ma questo non lo disse e si limitò a rinnovare le sue scuse.
«Beh... insomma, cosa volevi darmi?» si affrettò a dire, cercando di riprendere un contegno.
Susanna si stupì del fatto che un ragazzone grande e grosso come lui si imbarazzasse per un'inezia del genere. Alla fine era arrivato, perché era così a disagio e si guardava intonro come se si aspettasse un agguato?
«I mostri rimangono sempre dentro ai libri fantasy, non escono mai, te l'assicuro.» disse, provando a rassicurarlo.
«Mh?»
«Sembra che ti aspetti che un drago salti fuori da dietro uno scaffale da un momento all'altro.» spiegò.
Lo vide sbuffare, ma forse era una risata trattenuta.
«Non mi sento molto a mio agio in questo posto, è un po'... bianco.» ammise allora il ragazzo.
Susanna ebbe un'idea e controllò l'orologio.
«Hai... cinque minuti o sei di fretta?»
Bruno scrollò le spalle e la guardò con aria interrogativa.
«Se mi aspetti ti faccio vedere lo spazio meno bianco della biblioteca. È la mia parte preferita, un po' nascosta, ma è come un tesoro: senza la caccia per trovarlo che soddisfazione c'è? Hai solo cinque... anzi no, quattro minuti?»
«Sì, certo.» disse Bruno, incuriosito.
«Intanto... ecco gli scritti che volevo darti.» disse la ragazza aprendo un cassetto della scrivania e traendone un pacco di fogli ordinatamente spillati a gruppi di 20 o più.
Bruno li prese, sbirciando distrattamente il primo foglio. Stava cercando qualcosa di intelligente da dire per fare un commento qualsiasi, ma per fortuna fu lei a parlare per prima.
«E... ci siamo! Spengo tutto e ci sono.»
Bruno controllò l'orologio.
«Sono passati sì e no due minuti.»
«Uff... che fiscale! Tanto a quest'ora non c'è più nessuno. Vieni, ti porto nella stanza delle meraviglie!»
Susi si alzò dalla scrivania e gli passò accanto. Il suo maglione sembrava morbidissimo e il suo profumo, non molto persistente, sapeva di pulito e chissà che altro. Bruno ebbe lo strano impulso di abbracciarla e strusciare il viso sul suo maglione, si schiarì la gola, intontito, e si avviò dietro di lei.
La ragazza lo condusse verso una porta verde pastello, che spiccava in mezzo alle pareti bianche, con una mano sulla maniglia lo aspettò e quando fu sufficientemente vicino aprì la porta con un:
«Ta-dan! La biblioteca dei bambini!»
Bruno si guardò intorno, osservò gli scaffali che lì si alternavano colorati, i due tappeti di diverse dimensioni, forme e colori che coprivano un angolo della stanza, accanto ai quali c'era uno scaffale basso, infine, un tavolino tondo con seggioline minuscole stava al centro della stanza. Bruno sorrise: quello almeno era di confortevole legno.
«Allora? Che ne dici? Non sembra una caverna del tesoro?»
«Manca il forziere per il tesoro, ma non è male.»
«No, il forziere ce l'abbiamo!» disse Susi e si precipitò verso un angolo della stanza, da cui trasse una scatola di cartone con un lucchetto dipinto a tempera che ricordava vagamente un forziere pirata.
«Beh, non è il massimo...» si scusò osservando l'oggetto che aveva tra le mani.
«Comunque avevi ragione: è sicuramente la stanza più bella tra quelle che ho visto. Soprattutto se... ti piace il genere, diciamo. Io da bambino preferivo i mattoncini colorati ai libri.» ammise Bruno.
Susanna rise.
«I libri si possono usare anche come mattoncini, sai? Anzi, un sacco di bambini lo fanno, soprattuto con questi.» disse la ragazza indicando una serie di librini cartonati dalla forma quasi cubica.
Bruno osservò il suo volto pieno di entusiasmo e si intenerì per la felicità che poteva scaturire da una cosa tanto semplice come una scatola dipinta e dei libri senza parole per piccolissimi.
Susanna dovette sentirsi osservata perché a quel punto sollevò gli occhi e trovò Bruno intento a guardarla con un mezzo sorriso e il sopracciglio col piercing alzato. Diede un colpetto di tosse, si sistemò il maglione e poi disse:
«Adesso conosci la mappa per il tesoro, mi raccomando: puoi rivelarla solo a persone di fiducia!»
Concluse in un sussurro come se stesse condividendo un segreto.
«Se ti piace tanto perché non sei a quella scrivania?» chiese Bruno mentre Susanna chiudeva la porta e si avviava accanto a lui verso l'uscita.
«Appena posso vengo qua, infatti, perché al momento non c'è una persona fissa alla sezione ragazzi.»
Susanna spiegò che in biblioteca si trovavano a corto di personale, e, a parer suo, i fondi stanziati dal comune erano mal gestiti, ma per fortuna la direttrice era una vecchia incartapecorita che stava giungendo alla pensione e lei puntava (disperatamente) a quella posizione.
«Perché lo dici in questo modo? Non hai buone probabilità di diventare la nuova direttrice e trasformare tutta la struttura in una caverna del tesoro?»
Susanna sorrise, grata.
«Certamente sono la più qualificata qua dentro, ma sai com'è, sono anche la più giovane e gli anziani potrebbero risentirsi se avessi il posto. Anche perché con tutto il tempo che loro hanno passato a svolgere male il loro lavoro sono riusciti a pubblicare diversi studi, mentre la lista delle mie pubblicazioni è ferma a zero.»
Raccontò tutto a mezza voce, in tono da complotto, ma alla fine aveva un sorriso sincero e concluse con un'alzatina di spalle. Nel mentre che raggiungeva l'uscita si preoccupava di spengere le luci e rimettere a posto qualche sedia lasciata un po' storta.
La ragazza controllò l'orario e disse:
«Beh, adesso devo chiudere, grazie ancora per essere passato.»
«Figurati!» rispose Bruno scrollando le spalle.
Salutò la ragazza e si diresse verso l'uscita, soppesando il pacco di fogli che gli aveva dato.
Pensò a quello stesso giovedì, in qello stesso luogo, quando Susanna l'aveva rincorso nel parcheggio della biblioteca ripetendo “Scusa! Scusa!” e lui si era voltato con la fronte corrugata quando aveva riconosciuto la voce della ragazza. Lei l'aveva raggiunto di corsa e si era fermata di fronte a lui.
«Tu... sei nipote di Giandomenico Dossi?» aveva chiesto con il respiro grosso e un ciuffo di capelli finito all'angolo della bocca.
«Sì.» aveva risposto lui fissando quel ciuffo di capelli.
«Ommioddio. Non posso crederci!»
Con una mano la ragazza aveva allontanato i capelli dalle labbra, riportandoli dietro l'orecchio e il suo viso aveva assunto un'espressione estatica.
«Il Dossi è il mio scrittore vivente preferito in assoluto! Non sto scherzando! È il mio idolo, così poliedrico, così poetico... ho letto la sua opera completa. Ti prego, posso chiederti un favore?»
Bruno non riuscì a negare di fronte a tanto entusiasmo e si limitò ad annuire.
«Io, ecco... io ho scritto delle cose. Non è che potresti fargliele leggere? Se non è troppo disturbo, s'intende. Non voglio che mi faccia un commento o altro, solo... se solo li leggesse sarei contenta. Potresti farlo?»
Bruno ci aveva pensato su per quello che parve un minuto, un minuto intero di silenzio. Non era una buona idea, ma lei era così sorridente, così frizzante, parlava così tanto e così bene...
«D'accordo.» aveva borbottato alla fine.
Non era così debole di fronte al fascino femminile, non lo era mai stato, se lo giurava nella mente e si convinceva che stava solo facendo un favore ad un'amica di un'amica. Tutto qua. Così si erano messi d'accordo e lei l'aveva salutato sventolando la mano con un gran sorriso sul volto.
Bruno sospirò e sorrise, di se stesso soprattutto. Era arrivato al bar della biblioteca, al bancone non c'era più nessuno, e non c'erano più nemmeno le due persone solitarie che Bruno aveva notato quando era arrivato. Su un tavolino, però, un oggetto nero colse la sua attenzione: era il caricabatterie dell'uomo che aveva usato il pc.
Pensando che quello, distratto, fosse uscito da poco dalla biblioteca, Bruno lo raccolse e corse fuori, si guardò intorno quando arrivò al parcheggio, ma lo trovò deserto, con solo un paio di auto posteggiate. Allora tornò indietro e sulla soglia si imbattè in Susanna, che stava chiudendo a chiave la porta.
«Ehi» cominciò «scusa, qualcuno ha dimenticato questo sul tavolino del bar.» disse tutto d'un fiato mostrando l'oggetto ad una Susanna dall'aria stupita.
«Oh. Uffa... ho già chiuso tutto. Dammi qua, lo porterò domattina nel cassetto degli oggetti smarriti.» disse infilando il caricabatteria in borsa.
«Un altro forziere del tesoro?»
«Assolutamente sì! Non hai idea di cosa la gente abbia dimenticato in biblioteca. Abbiamo un evidenziatore, un berretto di lana, un pacchetto di salviette rinfrescanti e anche un cane. Di plastica, ma molto fedele all'originale.»
Erano arrivati ormai al parcheggio e Bruno si fermò.
«Allora... ci vediamo, ciao.» disse.
«Sì, a presto!»
Dopo pochi passi si accorsero che stavano andando nella stessa direzione.
«Non sei in macchina?» chiese Bruno, in imbarazzo.
«No, sto qua vicino. Tu?»
«Nemmeno io, l'ho lasciata più in là.» disse senza spiegare dove e perché.
«Oh... bene.»
Proseguirono per un po' in silenzio, poi Susanna scoppiò a ridere.
«Scusa, è stata una situazione un po' imbarazzante, non è vero?»
Bruno si limitò a ridere.
«Tu non ami parlare, vero?»
«Preferisco ascoltare.» ammise, vergognandosi un po'.
«E questo, devo dire, è un pregio bellissmo quanto raro. Bene! Questa è casa mia, così adesso hai la mappa del tesoro e quello della torre della bella principessa.» scherzò.
«Il muto manterrà segreti entrambi, non dubitare.»
Susanna rise e i due si salutarono per l'ennesima volta.
«A presto.» disse Bruno e dentro di sé lo sperava davvero.


 

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Capitolo 4
*** R ***


Non sapremo mai quanto bene può fare un semplice sorriso.
Madre Teresa di Calcutta


“Aperitivo domani sera? Ci sono anche i ragazzi (quelli veri, non scritti su carta).”
A questo punto Susanna vide la serie di faccine ammiccanti che l'amica aveva mandato dopo quel messaggio. Controllò che non ci fosse nessun lettore in vista e digitò:
“Dalle descrizioni tue e di Robi più che ragazzi veri sembravano uno zoo: Giorgio il tricheco, Fabio furetto e l'orso Bruno”
Aggiunse una faccina per far capire che scherzava, d'altra parte non erano parole sue e i ragazzi veri amici di Valentina e Roberta le avevano fatto una buona impressione, tutto sommato.
“Chiudo alle 19:00...” scrisse poi.
Vale rispose subito con in successione una faccina che piangeva disperata e un:
“Ci puoi raggungere dopo, allora!”
Susanna sospirò. Da un lato le faceva piacere che l'amica insistesse, voleva dire che ci teneva alla sua presenza, ma dall'altra già sapeva che il giorno dopo, all'uscita da lavoro sarebbe stata troppo stanca e forse anche scontrosa per godersi davvero una serata fuori.
Rimandò la questione ad una decisione più meditata, più che altro perché costretta da un utente ad abbandonare il cellulare da una parte e rivolgere la propria attenzione verso il nuovo arrivato.
Più tardi, come spesso succedeva, fu presa da altri problemi e dimenticò completamente di rispondere.
Fu una giornata intensa e Susanna era presa dal suo lavoro, batteva sulla tastiera, ma udì subito che si stava avvicinando un nuovo utente. Come suo solito alzò lo sguardo per accogliere con un muto sorriso la persona e rimase sorpresa.
«Bruno... ciao!»
Non era passata neanche una settimana da quando gli aveva consegnato i propri scritti, non si aspettava di rivederlo così presto.


Dopo essersi lambiccato il cervello per giorni, cercando una scusa per rivederla, Bruno si era convinto che non gli serviva un ulteriore motivo per andare da Susanna, bastava il fatto che lei gli avesse dato degli scritti e lui aveva l'intenzione di restituirli.
«Ecco, volevo restituirti questi.» disse poggiando il pacco di fogli sulla scrivania.
«Grazie, non importava, ne avevo fatto una copia apposita.»
Il ragazzo inclinò la testa.
«Allora... posso tenerli?»
Susanna sbattè le palpebre, un paio di volte, stupita da quella richiesta.
«Certo, se ti fa piacere, puoi tenerli.»
Dopo qualche minuto Bruno chiese, titubante:
«Scusa la domanda... ma l'altro giorno hai detto che non hai pubblicazioni nel tuo curriculum, giusto? Perché non hai pubblicato questi?»
«Beh, i racconti non rientrano nelle pubblicazioni di settore, mentre per quanto riguarda gli scritti a carattare sociologico... non so, sono solo mie idee. Le idee di miss Nessuno scritte con pochissimi riferimenti e in modo poco logico. Non li ho mai proposti per la pubblicazione perché non sono nemmeno degni di essere chiamati saggi.»
Bruno si grattò la mascella, pettinando la barba.
«Non so, ma secondo me sono buoni. Potresti tornarci su... se ci tieni, ovviamente.»
«Li hai letti?» chiese Susi, incuriosita.
«Beh, sì.»
«E ti sono piaciuti?»
«Sì, molto.»
Lo disse guardandola dritto negli occhi e per qualche motivo quello sguardo la fece sentire strana, tanto che abbassò la testa.
Bruno intanto rimaneva dov'era, di fronte a lei, con gli occhi vagava sugli scaffali con una certa curiosità e con una sorta di timore, come un esploratore o un pioniere, finché non ebbe il coraggio di chedere a voce bassa:
«Ehm... posso... posso chiederti aiuto?»
«Certo, sono qui per questo, dimmi.» rispose subito Susi, grata che l'attenzione si fosse spostata dai suoi proto-saggi verso un campo in cui si sentiva più sucura.
«Beh... credo che di solito la gente venga qui e ti chieda un libro, giusto?»
«Sì, di solito è così, se vogliono prosciutti li indirizzo alla macelleria al numero 20.» disse con tono eccessivamente serio.
«Forse è lì che dovrei andare.» mormorò tra sé il ragazzo.
«Come? Scusa, di solito devo dire l'opposto, ma... puoi alzare un po' la voce? Non ho capito.»
«No, niente. Ecco, io... non leggo praticamente da quando ho smesso di andare a scuola e sinceramente sono un bel po' di anni, ormai e quindi... non so che libro voglio. Non so neanche dove cercare...»
Susanna aveva capito la questione e sorrise gentile.
«Capisco e ti assicuro che non sei l'unico che viene da me e fa richieste del genere. Posso aiutarti se mi dici cosa vorresti leggere, anche se non hai in mente titoli. Per esempio, vuoi leggere qualcosa per studiare o informarti su un determinato argomento oppure vuoi leggere per passatempo?»
«Per passatempo, immagino.» disse Bruno scrollando le spalle.
«Benissimo, allora, vuoi leggere qualcosa di divertente? O qualcosa che abbia un po' di azione, un thriller... cosa ti interesserebbe?»
Questa domanda sembrò metterlo in crisi. La sua fronte si era corrucciata e stava guardando un punto impreciso sopra le lenti degli occhiali, cercando di fare chiarezza nei propri pensieri.
«Non so...»
Che gran bel parto.
«Esistono... come dire... esistono storie d'amore per uomini?»
“Oh, che tenerezza!” pensò Susanna vedendo il suo evidente imbarazzo e partì a parlare a macchinetta: quello era il suo campo di battaglia.
«Certamente! La maggior parte dei libri in effetti parla d'amore, in un modo o nell'altro e se ci pensi bene i migliori libri d'amore li hanno scritti gli uomini, mica le donne! Mi costa un po' dirlo, ma è così, pensa a Dante, Shakespeare, Manzoni... tutti uomini! - Lo rassicurò citando scrittori che non poteva non conoscere, nonostante le scarse letture, poi, colta da un dubbio, si bloccò. - Ma, aspetta, quando dici “per uomini” cosa intendi? Per caso intendevi letture “scritte esclusivamente per un pubblico maschile maggiorenne”?»
Bruno sbattè le palpebre, perplesso.
«Cioè, esistono... tipo... libri porno?»
«Quindi non era questo che intendevi.»
«Oddio, esistono sul serio? - La scoperta fece scoppiare a ridere Bruno, sommessamente - No, in realtà volevo... qualcosa come i racconti che mi hai dato per mio nonno, ecco.»
Oh.
«Hai letto anche i racconti?» chiese Susi.
Bruno si limitò ad annuire e di colpo Susanna si ricordò di un particolare.
«Già, ma... a tuo nonno sono piaciuti?»
Bruno ci pensò su.
«Non si è espresso, ma posso assicurarti lo stesso di sì.»
Un impulso primordiale spinse la ragazza ad allontanare la sedia, balzare sulla scrivania, gridare in modo stridulo da vera fangirl adolescente, e saltellare direttamente sulla tasiera. Per fortuna tutto rimase esclusivamente nella sua mente, tranne un gridolino che mascherò con un'esclamazione compiaciuta.
«Bene, dicevamo... non sono in cerca di complimenti, ma giusto per capire dove cercare: cosa ti è piaciuto dei miei racconti?»
«Erano brevi, quindi non mi annoiavano e riuscivo a leggerli tutti in una volta, perché, insomma, non ho molto tempo libero e non so se riuscirei a lasciare una cosa a mezzo e ricordarmi dove sono rimasto...»
«Benissimo, questo restringe il campo per la lettura che stai cercando.»
«Magari... non è che hai qualcos'altro di tuo da prestarmi?»
Susanna stava digitando qualcosa sul computer, sfruttando il motore di ricerca, nel sentire quelle parole alzò un angolo della bocca, ma rimase concentrata sullo schermo.
«Mi spiace, non ho scritto altro di senso compiuto.»
Si alzò per andare a cercare qualcosa tra gli scaffali, tornò alla scrivania pochi minuti dopo con una pila di libri e cominciò ad esporli brevemente.
«Allora, ti ho portato qualche romanzo breve o brevissimo, se troppe pagine ti spaventano, poi alcune raccolte di racconti, per lo stesso motivo, e alcuni romanzi di narrativa contemporanea scritti da uomini che parlano d'amore. Ora, non sapendo ancora cosa ti può piacere ho preso un po' di titoli e autori vari e ho evitato i grandi classiconi per non scoraggiarti. La letteratura contemporanea spesso è più facile: periodi brevi, parole del gergo parlato e così via, se ti avvicini da poco alla lettura non ti farei partire da un Tolstoj, per intenderci.»
Bruno si limitava a guardare tutte quelle copertine colorate cha aveva davanti e chiedersi se stesse facendo una fesseria.
«Poi ti ho portato anche un romanzo, sempre molto breve, che anche se non dichiaratamente è di quell'altro genere che non sapevi che esistesse.»
Brunò la guardò da sopra gli occhiali e sollevò un sopracciglio, facendo brillare il piercing. Dalla copertina così sobria e anonima non somigliava affatto a certi film o giornaletti.
«Sì, insomma, è la storia di una prostituta, quindi, in parole povere, si tromba per tre quarti del racconto!»
Bruno rise.
«Non sono sciuro di volerlo leggere...»
«Come vuoi... in realtà è un bel libro, te l'assicuro! - disse dopo un'alzata di spalle - In ogni caso ti consiglio di giudicare i libri dalle copertine e prendere quelli che ti ispirano più fiducia, che ne dici?»
«Il proverbio non dice il contrario?» protestò il ragazzo, tornando a pensare che vedendo la copertina anonima di poco prima non avrebbe mai pensato di avere sotto gli occhi un libro porno.
«Il proverbio è nato prima del mercato dei libri!»
Bruno valutò con incertezza le varie proposte, toccò le copertine con una certa rigidezza, come se non sapesse da che parte guardare, poi decise di fidarsi e scelse quelli con le copertine più sgargianti senza nemmeno leggerne i titoli.
«M-mh, ottima scelta! - Disse Susanna impilando i tre libri prescelti. - Hai la tessera della biblioteca?»
«Ehm... no»
Bruno si sentì stupido. Non sapeva neanche che ci fosse bisogno di una tessera per prendere i libri in prestito, ma come aveva fatto a non immaginarlo?
«Nessun problema, la facciamo adesso, devi solo darmi qualche dato e in due minuti abbiamo finito, d'accordo?»
La voce di Susanna era così calma e rassicurante. Era diversa dalle altre volte in cui le aveva parlato, era professionale, ma non fredda, ma soprattutto non lo stava trattando come un cretino anche se le aveva appena confessato di non aver tenuto in mano un libro da secoli. Stranamente, anche se era laureata, e perciò innegabilmente al di sopra di lui nella scala sociale, e viveva circondata dai libri, non lo faceva sentire a disagio per la sua ignoranza.
Gli diede tutte le informazioni utili sulla biblioteca (quanti volumi poteva prendere, quanto poteva tenerli, quando era chiusa, dove poteva mangiare...) e Bruno si limitò ad annuire, chiedendosi come facesse a parlare mentre digitava altro sulla tastiera.
Adesso aveva tutto ciò che gli occorreva: tessera con valenza indeterminata e libri sufficienti per un mese, ma sapeva che era stato fin troppo ottimista e calcolò che forse ne avrebbe finito soltanto uno in quel mese. Di colpo quella consapevolezza lo buttò giù di morale: quando avrebbe rivisto quella bibliotecaria chiacchierona e adorabile se non aveva motivo di tornare a restituire i libri prima di un mese?
«Se vuoi... - cominciò, titubante – voglio dire, non so se ti fa piacere, ma... posso portarti qualche scritto inedito del nonno, se vuoi.»
Susi sgranò gli occhi.
«E me lo dici così?!»
Bruno non sapeva come interpretare quelle parole.
«Mi chiedi se ho voglia di leggere qualcosa che il mio scrittore preferito non ha mai pubblicato come se mi stessi offrendo una chewing gum?!»
«Vuol dire che... ti andrebbe?» chiese Bruno, ancora dubbioso.
«Vuol dire: assolutamente sì!»
Adorabile. L'aveva pensato davvero, sì, di nuovo. Era un gran casino, sì.
Bruno si perse per un attimo ad osservare gli occhi scintillanti di Susanna, che sembravano quelli di una bambina a cui è appena stato regalato un viaggio a Disneyland. Si sentì più impacciato che mai e disse la prima cosa che gli venne in mente.
«Devo pagare qualcosa per la tessera?»
«Per la...? Oh, no, assolutamente, la biblioteca è un luogo pubblico e tutti i servizi sono gratuiti.» disse la ragazza riassumendo il tono professionale per sciorinare una frase imparata a memoria e ripetuta chissà quante vole.
«Allora a presto...» cominciò il ragazzo, poi gli tornò in mente un particolare «Anzi, a domani. Ha detto Vale che ci sei anche tu, giusto?»
Susanna rimase interdetta per un attimo, primo perché aveva dimenticato completamente l'invito per l'aperitivo, secondo perché non aveva mai confermato la propria presenza, ma cercò di non darlo a vedere.
«Oh, già... beh...»
Bruno la scrutava col sopracciglio alzato, aveva notato che qualcosa non tornava.
«Il fatto è... che chiudo alle 19 e non ho la macchina, quindi credo che non riuscirò a venire, alla fine.»
«Oh. Allora... cioè... se vuoi posso passare a prenderti. Il castello della principessa ormai so dov'è.» chiese, titubante concludendo con un mezzo sorriso.
Non ti disturbare, non importa, lascia perdere. Mi gireranno i coglioni come sempre a fine turno serale del venerdì e mi faranno male i piedi, non avrò voglia di rifarmi il trucco e sembrerò un panda con le emorroidi...”
«Se non è un disturbo...»
Di scuse ne aveva formulate mille, ma rimasero tutte nella sua mente, accanto alla Susi che ancora ballava sulla scrivania per l'euforia e la ragazza si ritrovò a sorridere incerta.
«Nessun disturbo, passerei comunque di lì.»
Susanna lo salutò e lo seguì con lo sguardo mentre se ne andava, poi tornò alla realtà che aveva accantonato in un angolo senza nemmeno rendersene conto. Si scoprì con la mano alzata a mezz'aria a fare ciao-ciao e con gli angoli della bocca sollevati in un sorriso ebete.
“Ma che mi prende?!” pensò tra sé, ricomponendosi.
Dopo una breve lotta interiore trovò il coraggio di ammettere che era rimasta colpita da quel ragazzo. Non tanto per la gentilezza, quanto per il sorriso con cui aveva coronato quel “nessun disturbo”. Un sorriso così sincero, così genuino e puro, che il viso solitamente serio e barbuto di Bruno si era trasformato in un volto da bambino.
Susi ridacchiò.
“Una serata allo zoo: con il tricheco, il furetto e... l'orsacchiotto di peluches!”



Il mio angolino:
So cosa state pensando: “Oh, un altro capitolo in cui non succede niente!”
Lo so, sta procedendo tutto lentamente, ma non vuol dire che non si stia muovendo niente...

 
A presto,
FatSalad
 

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Capitolo 5
*** V ***


I se sono il marchio dei falliti. Nella vita si diventa grandi con i “nonostante”.
M. Gramellini, “L'ultima riga delle favole”


«Dunque vuoi farmi credere che non ti sei mai infortunato in questo luogo pieno di pericoli?» chiese Susanna osservando rapita gli strumenti di lavoro di Bruno, tenendo le braccia dietro la schiena, come se avesse paura di tagliarsi solamente ad osservare seghetti e lime.
«Ti ripeto che basta adottare delle norme di sicurezza, ma se proprio ci tieni a saperlo...» rispose il falegname lasciando in sospeso la frase per catturare la sua attenzione.
«Sì?» chiese Susanna voltandosi nella sua direzione.
«Beh, un paio di volte mi sono fatto un dito nero.»
«Si dà il caso che una volta anche io mi sia fatta un dito nero a lavoro, quando me lo sono chiuso nella porta del bagno.»
«Allora fai un lavoro pericoloso anche tu!» esclamò Bruno sgranando gli occhi.
«L'ho sempre detto!» disse Susanna prima di scoppiare a ridere.
Gli diede un colpetto sul braccio, e mormorò uno «Scemo!».
Era un po' di tempo che Susanna usciva con il gruppo di Valentina e Roberta, era entrata piano piano, quasi in punta di piedi per non turbare degli equilibri non scritti. D'altronde lei non aveva più un gruppo di amici da anni, aveva progressivamente perso quello delle scuole medie, quello delle scuole superiori e il gruppo di studio dell'università ed era in un certo senso rassicurante sapere che in un modo o nell'altro ogni sabato sera poteva trovare qualcuno con cui passare la serata.
Con Bruno si trovava particolarmente bene, in primo luogo perché poteva parlare a diritto per ore, raccontare, sforgarsi e lui l'avrebbe ascoltata finché non avesse finito. Significava una certa resistenza. Poi le aveva fatto leggere un paio di romanzi incompiuti di suo nonno, nonché autore da lei amatissimo, Giandomenico Dossi e, inosmma, non era certo una cosa che capitava tutti i giorni!
Quel pomeriggio era passata a trovarlo in negozio. Voleva scoprire come si svolgesse il lavoro di un falegname nel XXI secolo, perché, doveva ammettere, non ne sapeva niente. Le era sembrata un'idea carina in una giornata come tante altre, non poteva certo immaginare che quello sarebbe diventato un giorno indelebile nella sua memoria, per più di un motivo.
Bruno le aveva mostrato subito il laboratorio, dietro la zona espositiva e Susanna era stata colpita dall'odore di legno che aleggiava in quel luogo. Era confortevole quasi quanto l'odore dei libri nella sua biblioteca.
Iniziare a lavorare aveva cambiato non poche cose nella sua vita, ma solo adesso Susanna si rendeva conto che aveva dedicato troppo tempo e troppe energie alla biblioteca, al sogno di diventare direttrice, mentre avrebbe dovuto conservare altri interessi.
«Quando sarai direttrice ti farò un forziere del tesoro vero per la stanza dei bambini.» disse Bruno in quel momento.
Ecco, proprio l'argomento che non aveva intenzione di toccare.
«Ti ho già detto che non ho possibilità di fare carriera almeno per i prossimi vent'anni. Se hai intenzione di conservarmi il forziere fino ad allora... fai pure.»
«Mmm... magari a quel punto i pirati non andranno più di moda tra i bambini.»
«Ti immagini?! Che desolazione...»
Le note leggere della campana ad aria giunsero fino a loro, annunciando l'arrivo di un cliente in negozio.
«Chi è a quest'ora?» borbottò Bruno guardando l'orologio e andò in negozio.
Susanna lo sentì dire un “buonasera” senza particolari inflessioni e dopo essersi guardata intorno incuriosita per un altro istante, raggiunse Bruno.
Il suono della campana indicò che il cliente se ne stava già andando. Susanna vide di sfuggita due schiene: un padre e un figlio, immaginò.
«Che volevano?» chiese senza neanche pensare all'inopportunità della domanda.
«Un preventivo per un restauro.»
«Quindi oltre a farli li sai anche restaurare, i mobili?»
Bruno scrollò le spalle.
«In realtà è solo grazie ai restauri che il negozio rimane aperto, per-...»
Un grido interruppe il discorso. I due ragazzi si guardarono negli occhi, atterriti.
«Sembra quell'uomo.» disse Bruno e, pur senza fretta, si avviò verso la porta con passo deciso.
Susanna lo seguì da vicino ed entrambi sentirono distintamente la voce di un uomo che gridava aiuto. Poi lo videro: il signore che era appena uscito dalla falegnameria era disteso a terra in modo scomposto, a metà tra il marciapiede e la strada. Il figlio era inginocchiato al suo fianco e col terrore negli occhi urlava, guardando una macchia di sangue scuro allargarsi progressivamente sull'asfalto.


Ripensando a quel momento, Bruno non avrebbe saputo spiegare con precisione le dinamiche dei fatti, ma ricordava perfettamente che un attimo prima stava guardando il sangue che usciva da una gamba dell'uomo, l'attimo dopo era accanto a Susanna, entrambri chini sul ferito.
«Bruno, chiama il 118.» aveva detto lei, prendendo in mano la situazione, mentre il figlio continuava a dare spiegazioni sconnesse.
«Il piede... è scivolato... non so... c'era un vetro... o forse lo spigolo... non so... io... il sangue lo impressiona...»
Susanna lo fermò, dicendo:
«Mi aiuti: vada in negozio e cerchi un asciugamano.»
L'uomo, in evidente stato di confusione, annuì e obbedì.
«A che serve l'asciugamano?» chiese sottovoce Bruno.
«A togliermi di torno quel poveretto. Ora, per piacere, chiama il 118, se non vuoi mettere le mani in tutto questo sangue.»
Disse l'ultima frase con espressione un po' disgustata, Bruno aveva paura che la ragazza facesse più danno che altro.
«Sicura che...?» cominciò, ma lei sbottò.
«Sono una donna di 25 anni! Ho già visto molto più sangue di quello che vedrai in tutta la tua vita! E ho il mio certificato di pronto soccorso, non ti preoccupare. Ora fammi un favore: fa' quello che ti dico!»
Bruno a quel punto si decise che Susanna sapeva quel che faceva, mentre urlava nelle orecchie del ferito, aspettando una risposta e seguì le istruzioni.
In pochi minuti il figlio del cliente uscì dalla falegnameria brandendo uno straccio non esattamente pulito.
«Ho trovato questo!» disse, con gli occhi fuori dalle orbite.
«Bravo, adesso... fammi il piacere di bagnarlo con un po' d'acqua, grazie.» disse Susanna senza nemmeno alzare gli occhi da quello che stava facendo.
«Acqua, certo, acqua...» si ripetè quello rientrando in falegnameria.
«Che sta facendo? Che sta facendo?» ripeteva il ferito che aveva ripreso conoscenza e cercava in qualche modo di allontanare Susanna dalla propria coscia.
«Se non la smette di agitarsi Bruno le darà una botta in testa!»
Dopo aver dato uno sguardo al fisico massiccio e l'espressione corrucciata di Bruno, l'uomo si decise a darsi una calmata e per fortuna l'ambulanza arrivò di lì a poco.
Giusto quando il figlio del ferito uscì con il panno bagnato.
«Grazie.» disse Susanna, prendendo lo straccio e pulendosi sommariamente le mani dal sangue.
L'uomo e suo figlio salirono in ambulanza e tutto si concluse con la rapidità con cui era iniziato.
Bruno osservava ancora la strada quando sentì Susanna appoggiarsi a lui.
«Oddio... credo... di avere un calo di adrenalina...» disse la ragazza.
Bruno la prese per le spalle.
«Tutto bene?» chiese.
Lei annuì e poi... scoppiò a piangere, tremando visibilmente.
Oh no...” pensò Bruno, impacciato.
«Va tutto bene, Susi...»


«Susi, va tutto bene.» le aveva ripetuto mentre chiudeva il negozio in fretta e la invitava ad entrare in casa sua, due portoni più in là.
«Va tutto bene,Susi, sei stata bravissima.» le diceva accarezzandole la schiena, aspettando che la crisi isterica passasse.
«Non volevo che mi tornasse utile quel certificato di pronto soccorso... mai! Sono... sporca...» singhiozzò lei guardandosi le mani e il maglione insanguinati.
La ragazza tremava per le emozioni e per il freddo che aveva preso rimanendo all'aria aperta in quel clima freddo senza un cappotto.
«Vuoi farti un bagno?»
Susanna annuì e Bruno capì che non sarebbe riuscita a raggiungere il bagno da sola. L'accompagnò alla porta, sorreggendola.
«Va tutto bene, tutto bene...» mormorava per rassicurare se stesso oltre che la ragazza, mentre la adagiava nella vasca. «Riesci ad alzare le braccia? Ci riesci? Aiutami, così ti togliamo questi vestiti insanguinati, va bene? Ci riesci?» ripetè in tono paterno.
Bruno non capì se aveva annuito o se batteva vistosamente i denti e basta. In ogni caso riuscì a toglierle i vestiti con qualche impaccio, la lasciò con la biancheria addosso e aprì la doccetta della vasca.
«Ora ti fai un bel bagno, prenditi tutto il tempo che vuoi. Io intanto metto in lavatrice i tuoi vestiti e accosto la porta, va bene? Se hai bisogno di qualcosa chiamami, d'accordo?»
Aveva parlato senza mai guardarla, perché aveva paura che, ora che si sentiva più tranquillo, e lei aveva smesso di singhiozzare e piangeva sommessamente, avrebbe potuto accorgersi che Susanna era mezza nuda nella sua vasca da bagno. Si voltò solo quando la vide compiere qualche gesto legnoso e borbottare qualcosa.
«Come hai detto?» le chiese.
«Aiutami...» gli disse a bassa voce indicandosi la schiena.
Bruno deglutì.
«Certo» mormorò e le slacciò il reggiseno con cautela, cercando di toccarla il meno possibile.
«Stai meglio?» Chiese evitando di guardare nella sua direzione o in quella del reggiseno che teneva in mano. Si fece bastare un mugolio ed uscì dalla stanza ripetendo che la porta era socchiusa e lui era lì vicino per ogni evenienza.
Sospirò per riprendere il controllo. Preparò la lavatrice e solo quando stava per chiudere l'oblò si rese conto che anche i suoi vestiti erano sporchi di sangue in più punti.
L'adrenalina gli aveva fatto dimenticare di se stesso, ma cominciava a sentirsi piuttosto scosso anche lui o forse solo stanco. Si spogliò in fretta e cacciò tutto nella lavatrice. Aveva bisogno di cambiarsi e mangiare qualcosa di caldo.
Quando si fu vestito sentì un debole richiamo e si accostò alla porta del bagno.
«Susi?»
«Bruno, potresti prestarmi dei vestiti?» chiese Susanna e quando la vide seduta fuori dalla vasca avvolta in un asciugamano si sentì un cretino.
«Certo! Scusa, non ci pensavo...»
“Ero troppo impegnato a non pensare al tuo corpo nudo” decise di tenerlo per sé.
Le passò dei vestiti che aveva racimolato più in fretta possibile cercando di evitare quelli troppo grandi e sfatti.
«Vuoi...» si schiarì la gola e riprovò «Vuoi che ti aiuti ad asciugarti i capelli?» chiese poi rimanendo poggiato allo stipite esterno della porta.
Sentì un debole “grazie” e aspettò che la ragazza lo invitasse ad entrare.
«Hai una spazzola?» chiese Susanna e il ragazzo recuperò un pettine, sperando che potesse bastare.
Vide che era stanca, si stringeva le mani addosso, come se sentisse sulla pelle il dolore che aveva visto con gli occhi e socchiudeva le palpebre quando le asciugava i capelli, carezzandoli delicatamente.
«Come ti senti?» le chiese preoccupato quando fu sicuro che i capelli fossero ben asciutti.
«Mh.»
Non lo aiutò, ma Bruno credette di capire che Susi non stesse ancora bene.
«Vuoi stenderti sul divano mentre ti preparo qualcosa di caldo? Vuoi un tè?»
«No, Bruno, non importa, non ti disturbare...» protestò con un filo di voce.
«Scherzi?! Quale disturbo?! Mi dispiace per quello che è successo, prendi almeno un caffè o un tè, io sento che ne ho bisogno. Ti porto una coperta... anzi, vieni a stenderti sul letto, ho cambiato le lenzuola stamani, giuro.»
«No, davvero non...»
«Dai, guarda che occhi lucidi che hai! Vieni a distenderti, per favore, riposati un po'.»
Susanna in effetti si sentiva come convalescente, non cercò più di protestare e si fece condurre nella camera del ragazzo. Lui la accompagnò fino al letto a una piazza e mezzo e quando le scostò le coperte per farla stendere avrebbe voluto quasi dirgli che aveva freddo, che preferiva sentire il suo corpo vicino piuttosto che le lenzuola pulite. Ma era un pensiero incoerente, come se avesse la febbre.
«Aspettami qui, mi faccio una doccia veloce e ti preparo un tè, d'accordo?»
Susanna mugolò qualcosa, si stava già addormentando.


Susanna aprì gli occhi e si rese conto di non essere a casa propria. Sbattè le palpebre e cercò di capire se si trattasse di uno strano sogno o se si trovava davvero nella camera di qualcun'altro. Poi ricordò: la falegnameria, il sangue, il bagno di Bruno, i suoi vestiti troppo larghi addosso.
Cercò di alzarsi a sedere e il letto cigolò, richiamando il proprietario, che bussò delicatamente alla porta.
«Susi?» sussurrò «Sei sveglia?»
«Mmm... mi sento come se avessi un troll che mi prende a badilate nella testa, ma sono sveglia.» borbottò.
«Posso entrare?»
Susanna sbuffò. Questo ragazzo chiedeva il permesso per entrare nella propria camera!
Lo fece entrare e accese l'abat-jour per distinguere qualcosa. Bruno si sedette sul letto, scrutò il volto della ragazza dalle guance arrossate e chiese:
«Ti senti meglio?»
Susi scrollò le spalle, poi un pensiero la fece sorridere.
«A quanto pare il marciapiede è più pericoloso della tua bottega. Quanto ho dormito?»
«Un'oretta, temo che il tuo tè si sia freddato, ma se vuoi metto subito altra acqua a scaldare.»
Susanna lo guardò negli occhi, si perse per un attimo a contare le lunghe ciglia attraverso le lenti degli occhiali e si rese conto che non l'aveva mai sentito parlare così tanto da quando lo conosceva. Quel pensiero la fece sorridere.
«Ti sembra di avere la febbre?» mormorò Bruno allungando una mano per sfiorarle la fronte, ma si bloccò e la ritirò subito. Susanna avrebbe voluto essere più veloce per afferrargliela tra le sue e portare le dita del ragazzo sulla sua pelle, invece perse l'occasione. Poi vide Bruno che si abbassava su di lei e sentì le sue labbra sulla fronte.
«Mmm... non so se hai la febbre o sono tutte le coperte che ti ho messo addosso...» mormorò restando vicinissimo al suo viso, con un mezzo sorriso.
La sua voce era così bassa che Susanna sentì un brivido che la fece vibrare tutta come una corda di violino fino a farle rizzare i capelli. Cercò il suo sguardo che si era perso chissà dove ed entrambi sentirono che c'era qualcosa in quel momento, che nessuno dei due riusciva a spiegarsi, era come un sottile filo di tensione, una promessa o un mistero. Susanna voleva tentare ad assecondare quella sensazione, non pensò alle conseguenze, né ai significati di quel che stava facendo, si sollevò senza preavviso e unì la labbra a quelle di Bruno.


Il mio angolino:
Dopo 4 capitoli in cui si girano intorno, si studiano e... non succede niente, un capitolo che cambia completamente ritmo.
E adesso?!

 

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Capitolo 6
*** I ***


Baciare qualcuno per la prima volta è sempre una specie di miracolo,
un viaggio inebriante lungo le rapide di uno strano fiume.
P. Cameron


Era sabato e Bruno avrebbe voluto dormire tutto il giorno, se fosse stato possibile, anche perché non era riuscito a chiudere occhio quella notte. A fatica si alzò quando era già ora di pranzo, giusto perché sentiva un certo languorino. Si preparò un toast caldo e mangiò in silenzio.
Era ancora impresentabile quando nel pomeriggio sentì suonare il citofono.
«Chi è?» biascicò al citofono.
«Sono mamma, tesoro! Con una sorpresa!» la sua voce squillante lo disturbò.
Grugnì, perché non amava le sorprese.
«Bruno? Mi apri?»
Controvoglia schiacciò il tasto dell'apriporta e fece lo sforzo di legarsi i capelli prima che sua madre lo vedesse e avesse un motivo in più per lamentarsi della sua sciatteria. Era ancora in bagno quando la sentì entrare in casa con una profusione di passetti impazienti e risate. Ci mancava solo che si mettesse a parlare da sola. Altra risatina ipacciata.
Oh, no.
Non poteva essere vero.
Uscì dal bagno spaventato da ciò che poteva trovare o incontrare.
«Bruno! Guarda chi ti ho portato!» disse la signora Stefania tutta sorridente e ammiccante.
«Ciao, Bruno...»
«Ciao, ehm... Martina.»
Ecco perché odiava le sorprese.


«Come... va?» chiese Bruno giusto per riempire il silenzio, non appena sua madre li ebbe lasciati da soli, dileguandosi con un laconico “Vado a sistemare”.
Dove? Cosa? Cosa vuoi sistemare in casa mia?!” Bruno lo tenne per sé. Non era proprio dell'umore giusto per mettersi a litigare e fare una scenata di fronte a Martina.
«Bene, mi ha invitato tua madre...» disse la ragazza, come per giustificare quella vera e propria invasione dei suoi spazi, della sua calma mattutina in un giorno festivo, della sua stramaledetta privacy!
«Già.» disse Bruno, in tono asciutto.
E cosa si aspettava sua madre poi? Che avrebbe invitato la ragazza a rimanere per cena? Ma soprattutto cosa si aspettava Martina? Davvero aveva creduto di essere un'ospite gradita dopo che l'aveva trattata con maleducazione e non l'aveva più contattata? Davvero le due donne pensavano che tra loro due potesse nascere qualcosa così? Comandando a bacchetta i sentimenti? Possibile che una ragazza intelligente come lei non avesse colto l'antifona da quel loro primo incontro, avvenuto ormai diverse settimane prima?
«COSA. SONO. QUESTI?»
Le urla della madre lo fecero sobbalzare e quando Bruno si volse nella direzione della madre la vide avanzare verso di lui brandendo un reggiseno bordeaux come fosse allo stesso tempo un'arma e una disgustosa carcassa di topo.
Ah, già. Oh, bene.” pensò Bruno senza scomporsi.
«Mamma, per favore...»
«Come mai ci sono vestiti da donna ad asciugare nel tuo stendino?! Voglio una spiegazione!» il suo volto era livido, le sue labbra serrate, il cipiglio degno di Medusa e Bruno dovette ammettere che per un attimo, uno solo, la madre riuscì a farlo sentire piccolo piccolo e in colpa. Poi si ricordò che non aveva niente di cui vergognarsi.
«Cosa dovrei spiegarti?» chiese, mettendo le mani in tasca e stringendo i pugni, per riuscire a mantenere un tono calmo e civile, e non sfociare nella strafottenza, mentre avrebbe voluto urlarle che non aveva alcun diritto di intromettersi in quel modo nella sua vita e frugare nel suo bucato!
«Hai preso in giro me e la povera Martina per tutto questo tempo? Non ti vergogni?» disse con voce stridula.
Da una parte voleva dire la verità, che quei vestiti erano solo di un'amica che aveva avuto un'emergenza e che non aveva mai preso in giro nessuno, ma dall'altra parte era tentato di lasciar correre l'equivoco per liberarsi una volta per tutte di Martina e di sua madre.
Guardò di sottecchi la ragazza e le vide sul volto due occhi sgranati e intimiditi.
Poveretta, non si meritava quell'umiliazione. Perché sua madre li aveva messi in quella situazione?
«Mamma, io e Martina ci siamo visti e abbiamo concordato sul fatto che non abbiamo nulla da dirci. Quindi, per favore, smettila di fare questa scenata e di metterci in imbarazzo.» disse, con la voce più conciliante che riuscì a tirare fuori.
Sua madre parve almeno un po' colpita dalle sue parole e si rivolse a Martina:
«È così? È come dice Bruno?»
Martina aprì la bocca e la richiuse e Bruno sentì che doveva intervenire di nuovo per salvarla dall'imbarazzo.
«Mamma, ti prego, non vedi che la metti in difficoltà? Martina, è stato bello rivederti, ora, se non ti dispiace dovrei scambiare due parole con mia madre.»
Martina si morse il labbro, ma non disse niente, e dopo aver annuito colse l'occasione per fuggire da quella stanzetta carica di tensione, si dimenticò anche di salutare e sparì senza una parola.
«E chi sarebbe questa ragazza!?» gridò Stefania esasperata scuotendo il reggiseno di Susanna come se si trattasse della persona in questione. «Perché non mi hai detto nulla?»
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Bruno aveva cercato di rimanere tranquillo ed educato, ma sua madre era riuscita ad essere così inopportuna che non ce la fece più.
«Mamma! Cristo! Non sono affari tuoi! E come ti viene in mente di presentarti a casa mia con un'ospite senza dirmi niente?! Potevo essere a letto o nudo per casa! Ho 28 anni e posso fare quello che mi pare in casa mia! Non devo rendere conto a te di quello che faccio o non faccio e delle persone che invito! Smettila di voler decidere tutto per me, smettila!»
Bruno non parlava tanto, ma quando voleva sapeva tirare fuori la voce. Un vocione da baritono che unito all'espressione rabbiosa sul viso arrossato dalla veemenza ricordava spaventosamente gli orchi delle favole.
Stefania si lasciò cadere sul divano, sconvolta e lì rimase per minuti interi.
Dopo quella che parve un'eternità in cui la donna guardò nel vuoto e cercò di assorbire tutte le informazioni e le emozioni provate nell'arco di pochi minuti, disse quasi sottovoce:
«Chi è questa ragazza? Perché non mi hai detto niente? Non è una cosa seria? È rimasta a dormire da te o è solo... solo una cosa...?»
Bruno sospirò. La madre non demordeva, lui non avrebbe mai vinto quella battaglia senza uscirne stremato. Si buttò a sedere accanto alla donna e poggiato il capo sullo schienale disse guardando il soffitto:
«Non ti ho detto nulla perché non c'è niente da dire. Un'amica ha avuto un'emergenza, tutto qua. Non è successo niente.»
«Non vuoi dirmi neanche il suo nome? Roberta non è: in questo reggiseno ci entrerebbe due volte...»
«No, mamma, non ti dico il suo nome e ti ripeto che non è successo niente.»
Dopo un po' di insistenza Stefania parve convincersi della sincerità del figlio e soprattutto che lui non aveva bisogno del suo aiuto per incontrare ragazze, o almeno Bruno così sperò.
Solo quando la donna se ne fu andata una frase gli rimbalzò in testa prepotentemente: “non è successo niente”. Si massaggiò gli occhi: forse era l'unica mezza bugia che aveva detto alla madre.


Si erano baciati.
Non era una gran cosa, ma non era nemmeno “niente”, almeno non per lui. Bruno non poteva nascondere il fatto che qualche volta aveva fantasticato su un'eventualità del genere, ma certo non si era mai immaginato di baciarla (essere baciato) mentre lei era in stato semi-comatoso sul suo letto.
Forse era stato meglio così. Per quanto ci avesse pensato temeva di poter rovinare tutto se si fosse mai presentata l'occasione propizia per baciarsi. Si sentiva un po' ridicolo, ma che poteva farci? Susanna gli piaceva e voleva che il loro primo bacio (se mai ci fosse stato), fosse pefetto. Sì, era anche perché era introverso e con poca esperienza alle spalle, ma quel bacio sperato lo rendeva più nervoso di quanto non fosse stato per il suo primo bacio.
Quella volta era stato facile.
Era stato con una ragazzina più giovane di lui di qualche anno che per qualche assurdo motivo pendeva così vistosamente dalle sue labbra che solo un cieco avrebbe potuto non accorgersi del suo evidente interesse nei suoi confronti. Non era una bellezza, ma non gli dispiaceva, con quei capelli a maschiaccio, il sorrisetto malizioso e quegli occhi truccati troppo, fissi su di lui. Rideva sincera ad ogni sua battuta e lo sfiorava distrattamente ogni volta che ne aveva la possibilità, mentre lui la scrutava stupefatto di trovarla simpatica. Ad un certo punto si era deciso. L'aveva invitata a ballare e solo quando se l'era ritrovata vicina, sulla pista da ballo, si era ricordato di non saper ballare. Aveva rivolto qualche preghiera al cielo sperando di fare la cosa giusta e aveva portato una mano alla vita della ragazza. Lei si era lasciata toccare sorridendo, cogliendo l'occasione per avvicinarsi di più a lui e Bruno si era reso conto che ballare non era affatto difficile, bastava restare vicino alla dama e fingere di spostare i piedi, ondeggiando un po' in qua e là. Era ancora più semplice se lei si aggrappava al suo collo con nonchalance e si teneva stretta a lui, impedendo qualsiasi movimento più ampio, che avrebbe rotto quel piacevole contatto.
Era stato facile baciarla, quando le sue mani erano già intrecciate dietro al proprio collo, i loro corpi già così vicini e il suo sguardo palesemente incoraggiante.
Si era sentito uno schifo, il giorno dopo, quando si era guardato allo specchio e aveva capito che la ragazza non gli sarebbe mai interessata in quel senso. Era simpatica, era divertente, ma non avrebbero mai spartito altro oltre a quella sottospecie di ballo e quel bacio. Era stata una di quelle storielle estive, se una cosa del genere poteva definirsi “storiella”, e Bruno era sicuro che la ragazza non avrebbe pianto per lui, quando non l'avrebbe più rivisto. Tutt'al più avrebbe raccontanto alle sue amiche di una serata con un ragazzo più grande quando sarebbe rientrata a scuola.
Sembrava passato un secolo da quel ricordo.
Quel pomeriggio con Susi era stato tutto diverso. Aveva evitato l'iperventilazione fondamentalmente perché la ragazza l'aveva colto di sorpresa, senza dargli il tempo di rendersi conto di cosa stesse succedendo e perché si era imposto di rimanere il soccorritore e non diventare il soccorso.
Susi aveva premuto le labbra sulle sue ed era rimasto un bacio superficiale, un assaggiarsi di labbra breve, pieno di tenerezza. La ragazza si era allontanata poco dopo, tornando ad adagiarsi sul cuscino e con gli occhi socchiusi aveva bisbigliato:
«Grazie.»


Così l'incanto era finito.
Bruno aveva capito che quel bacio era solo un ringraziamento e aveva lasciato la stanza consapevole di non desiderare le stesse cose della ragazza.
Ah, già. Lei aveva quella cotta assurda per il barista della biblioteca, biondo, bello, con un sorriso perfetto e la parlantina di chi è abituato a stare al pubblico. Che stupido ad aver pensato per un attimo di avere un posto speciale nel suo cuore.
Così, come per il suo primo bacio, si era svegliato la mattina dopo sentendosi uno schifo, con l'aggravante di sentire l'impronta di Susanna sul materasso e la consapevolezza di essersi innamorato di lei già da tempo.
La cosa peggiore era che quella sera stessa rischiava di rivederla, dato che ormai usciva regolarmente con il suo gruppo di amici e non sapeva se avrebbe retto la sua vicinanza senza lasciare andare la fantasia a briglie sciolte, verso un'illusione bellissima e pericolosa. Era tentato di mandare un messaggio ai ragazzi e disertare la serata con una scusa qualsiasi inventata su due piedi. Chi sarebbe venuto a controllare che mentiva se diceva che aveva beccato una malattia contagiosissima, per esempio? O se diceva che era stato sequestrato da sua madre? Conoscevano la signora Stefania ed era convinto che nessuno morisse dalla voglia di avvicinarla spontaneamente.
Si decise e raggiunse il cellulare per dare la notizia agli amici, ma trovò invece un messaggio minatorio di Valentina che informava tutti che quella sera non erano ammesse assenze. Il motivo? Non era meglio specificato, ma pareva che dovesse dare una notizia importante e dava appuntamento a casa sua e di Niccolò, nella quale i due convivevano da circa un anno, anziché ai soliti locali che costituivano i loro luoghi di ritrovo.
«Magari è lei che non si sente ancora bene e non si presenta...» rimuginò Bruno, evitando accuratamente di pronunciare ad alta voce il suo nome, come fosse una parola taboo.
Vana speranza.
Bruno trovò qualsiasi scusa pur di ritardare all'appuntamento, ma quando infine suonò il campanello di casa dei suoi amici erano già tutti lì, compresa lei.
Era teso e i suoi battiti acceleravano solo a sentire la sua voce, mentre Susanna sembrava tranquilla e totalemente a suo agio, ripresasi completamente dal trauma del giorno prima. Il fatto che l'avesse lasciata andare a giro senza reggiseno, che nella confusione del momento aveva buttato in lavatrice insieme al resto dei suoi vestiti, pareva non averla turbata affatto.
Bruno non riuscì a pensare ad altro se non alla sua presenza, così tangibile nella stanza, si costrinse a non guardare mai nella sua direzione, ma la percepiva alla sua sinistra, sul divano di fronte a quello su cui era seduto lui. Era così concentrato ad evitare il suo sguardo, che quando un coro di “Oh!” e “Ah!” riempì la stanza non si accorse subito di ciò che era stato detto. Si riscosse dai suoi pensieri e, sperando che nessuno si fosse accorto della sua temporanea assenza, si guardò intorno in cerca di indizi su quanto era appena successo a sua insaputa.
«E quando?» chiese Susanna con un sorriso mozzafiato rivolto a Valentina.
Accidenti! L'aveva guardata, adesso non sarebbe più riuscito a togliersi il suo volto dalla mente...
«Abbiamo fissato la data tra tre mesi, prima che si veda troppo il pancione.»
«Come?» chiese Bruno, imbambolato.
«Lo sappiamo, è difficile organizzare un matrimonio in così poco tempo, ma d'altra parte meglio ora che dopo, quando nascerà il bambino avremo altro a cui pensare...»
«Come?!» ripetè Bruno.
Tutti risero, ritenendola una battuta molto divertente, e solo a quel punto il ragazzo riuscì a distogliere per un attimo l'attenzione da se stesso, ricordandosi che c'era un mondo fuori, che ruotava nonostante lui si fosse fermato per contemplare una ragazza.


Il mio angolino:
Per quanto io programmi e faccia schemi prima di scrivere una storia è inutile: qualcosa si modifica sempre in corso d'opera. Così ho cambiato il rating... ma vabbè, poco male.
Piuttosto... avete capito quale citazione compongono le lettere che fungono da titolo dei capitoli?
A presto,
FatSalad

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Capitolo 7
*** N ***


Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare.
Ma ubriacatevi.
C. Baudelaire, “Ubriacatevi”



Susanna controllò l'ora sul cellulare, e calcolò che da lì a tre minuti circa Bruno avrebbe suonato al suo campanello.
«Sono in perfetto orario!» osservò, compiaciuta.
Era il grande giorno, non il suo, certo, ma comunque un grande giorno: le nozze di Valentina e Niccolò sarebbero state celebrate tra poco meno di un'ora, in una chiesetta fuori città in mezzo ad un paesaggio molto idilliaco.
Gli amici della coppia avevano ipotizzato di andare tutti insieme alla pieve, poi, però, Fabio aveva detto che sarebbe arrivato dalla casa al mare, dove andava, a detta sua, a studiare prima degli esami, Giorgio aveva detto che sarebbe dovuto andare con la propria macchina, perché quel giorno era reperibile e Roberta sarebbe arrivata direttamente con la sposa, in qualità di migliore amica e testimone.
«Allora ti passo a prendere verso le tre.» aveva detto Bruno a Susanna, con il tono di chi ha già deciso e la ragazza aveva potuto solo ringraziare.
Come pronosticato Bruno suonò il campanello quando mancavano cinque minuti alle tre, al citofono lei gli disse “Un attimo” e dopo una spruzzata di profumo e un'occhiata veloce allo specchio scese le scale di corsa. Agli ultimi due gradini si chiese perché avesse tutta quella smania e cercò di percorrere con calma gli ultimi metri.
Si ritrovò davanti Bruno, nella sua classica posa con le mani in tasca e lo sguardo perso in qualche altro mondo, ma non aveva le solite maglie antiestetiche e Susanna rimase piacevolmente colpita.
Si era rasato la barba, indossava una camicia bianca di lino e un paio di pantaloni scuri e, (miracolo!), entrambi erano della sua taglia.
Non era il massimo dell'eleganza, ma per essere Bruno era un'eccezione inaspettata e, (come dire...?), stava piuttosto bene.
«Bruno!» lo chiamò con gli occhi sgranati «Stai benissimo!»
Gli corse incontro e si fermò ad un passo da lui, senza lasciargli i consueti bacini sulle guance per salutarlo. Aveva quasi paura a farlo, anche se non capiva bene perché.
«Ti sei fatto la barba!» Esclamò.
Bruno si imbarazzò per tutti quei complimenti, abbassò il capo e borbottò qualcosa sorridendo.
«Sì, ehm... beh, grazie! Ma queste non le ho tolte.» disse indicando le basette lunghe.
«Stai benissimo!» ripetè Susanna come un disco incantato, per palesare la propria approvazione riguardo le basette.
«Grazie e... anche tu... stai molto bene» fece una pausa «Sei bellissima.»
Susanna ringraziò e rimase a gongolare per qualche istante, finché Bruno non le fece strada verso l'auto. Un “bellissima” valeva decisamente di più di uno “stai benissimo”.
Altri complimenti le vennero fatti non appena arrivarono alla chiesetta e presero posto su una panca, ma a lei riecheggiava nella mente solo quel “bellissima” ed era stranamente consapevole della presenza di Bruno accanto a lei, della sua statura, del suo profumo appena percepibile. Solo l'ingresso della sposa la distolse dai suoi pensieri, perché Valentina, col suo fisico alto e slanciato, nonostante l'accenno di pancia della gravidanza, sembrava uscita da una rivista di abiti da sposa da quanto era bella, tanto che immediatamente gli occhi le si riempirono di lacrime.
«È letteralmente appena iniziata...» le disse Bruno abbassandosi verso di lei quando la sentì tirare su col naso.
Susanna ridacchiò tra le lacrime e aprì la borsetta in cerca di un fazzolettino.
Bruno le offrì il suo fazzoletto e lei ringraziò.
«Chi usa ancora i fazzoletti di stoffa nel XXI secolo?!» borbottò mentre tamponava le lacrime cercando di stare attenta a non rovinare il trucco..
«Posso riprendermelo se non ti piace.» bisbigliò Bruno allungando il palmo verso di lei.
«Potrei averne ancora bisogno.» ammise la ragazza.
Toccò la mano di Bruno per declinare l'offerta, e lui la allontanò subito come se gli avesse dato la scossa.
“Peccato” pensò la ragazza prima di tornare a concentrare l'attenzione sugli sposi, ma tenne per sé quel pensiero.


A Bruno non piacevano le feste, si sentiva sempre troppo ingombrante e sgraziato per stare in mezzo a tante persone. Con tutta la sua buona volontà non riuscì a sentirsi a suo agio nemmeno alla festa che seguì la cerimonia dei suoi due amici.
Col tempo aveva studiato una tattica infallibile per sopravvivere ad ogni festa, di qualsiasi tipo essa fosse e la strategia consisteva nello stare sempre in disparte, agli angoli della sala con un bicchiere sempre pieno in mano. Così, se qualcuno lo inviatava a lasciare la sua postazione confortevole e sicura, lui poteva sollevare il bicchiere in una sorta di scusa, come a dire “Finisco questo e arrivo” e in un modo o nell'altro trovava sempre il modo di non finire il bicchiere.
Quel giorno però fu più difficile del solito usare la collaudata strategia.
Susanna era sempre in piedi, in mezzo a tanta gente, ballava, rideva e aveva perfino cantato una canzone per gli sposi al microfono. Bruno non riusciva a staccargli gli occhi di dosso e lei... lei pareva che lo facesse apposta a tornare al tavolo e sedersi accanto a lui tutta sorrisi, occhi e labbra e abbandonarlo dopo ogni nuova portata per tornare a ballare e ridere e divertirsi senza di lui. Gli sembrava che con gli occhi gli dicesse “Guardami” mentre si alzava dal posto e andava verso la pista da ballo. E lui la guardava, diviso tra il piacere di quella visione e il desiderio di raggiungerla per ballare con lei. Poi si ricordava che era una frana a ballare, che era esattamente come i tronchi di legno che lavorava in falegnameria: rigido, pesante, impacciato. Allora beveva un altro sorso e si riempiva nuovamente il bicchiere.
Quando però vide Fabio ballare troppo vicino alla ragazza, nel suo completo blu da testimone, estremamente elegante con quel papillon... si sentì in qualche modo tradito.
“Sono uno stupido cavernicolo!” pensò tra sé e sé “Lasciala ballare con chi le pare e piace!”
Si convinse che non doveva considerare Susanna una sua proprietà e si costrinse a ragionare con il cervello, invece che con... altro.
Mandò giù tutto quello che c'era nel calice e si alzò in piedi. Un giramento di testa lo costrinse a sorreggersi al tavolo per un istante. Scosse la testa. Quanto aveva bevuto? Chissà, aveva perso il conto, anche perché i camerieri si prodigavano affinché non mancassero mai bottiglie di vino ai tavoli e lui, beh... era sempre stato al tavolo. Decise che era il caso di andare in bagno. Si prese tutto il tempo per sciacquarsi la faccia e guardarsi allo specchio, fece un gran respiro e poi si decise.
Uscì a passo deciso dalla toilette e si diresse senza esitazione in mezzo all gente che ballava. Poteva quasi fingere che non ci fosse nessun'altro se concentrava l'attenzione sulla nuca di Susanna. Prese la ragazza per una mano e la fece voltare verso di sé.
La vista del suo volto così vicino e così bello lo lasciò stordito per un attimo, poi si ricordò perché era lì.
«Balla con me.» disse e sperò che non fosse uscito come una supplica o un lamento.
E adesso? Non aveva pensato a cosa avrebbe fatto a quel punto.
Vide l'espressione di Susanna mutare, le labbra schiuse in una “oh” di stupore si distesero in un sorriso e come se sapesse perfettamente cosa fare, come se avesse letto un copione che per Bruno si era interrotto bruscamente alla battuta precedente, prese in mano la situazione, si avvicinò ulteriormente al suo corpo e a lui sembrò che, prima di iniziare a ballare, avesse mormorato un “Era l'ora”. Ma forse era tutto il brunello che aveva bevuto a fargli immaginare le cose.




Bruno si svegliò tutto insieme, spalancando gli occhi, con la sgradevole impressione di aver dimenticato di fare qualcosa. La luce del giorno filtrava troppo abbondante dalle finestre e il ragazzo si rese conto che non aveva abbassato l'avvolgibile il giorno prima.
“Dio! Che ciucca terribile mi sono preso!” pensò.
Con gli occhi mezzi abbottonati si girò dalla parte opposta e cacciò un urlo, svegliando Susanna.
«Oh!» esclamò la ragazza dopo aver sussultato spaventata. «Buongiorno.»
«Buo-buongiorno.» biascicò Bruno.
Poi si rigettò sul cuscino coprendosi gli occhi con un braccio.
«Che è successo ieri sera? Ho guidato io fin qua?» chiese.
«Ovviamente no, non volevo mettere in pericolo nessuna vita, soprattutto non dopo una festa di matrimonio, quindi ho guidato io. Da qui non sapevo come tornare a casa, per il prossimo autobus avrei dovuto aspettare qualche ora da sola al buio, e per pagarmi un taxi avrei dovuto vendere qualche organo, quindi mi sono autoinvitata. Grazie dell'ospitalità, tra parentesi»
«Quindi... non è successo niente mentre ero ubriaco?» chiese con tono neutrale, ma tese le orecchie come un segugio in attesa della risposta.
«Se vuoi sapere se ci siamo rotolati allegramente tra le coperte la risposta è no: come vedi siamo ancora perfettamente vestiti»
Bruno abbassò lo sguardo per controllare le parole della ragazza ed emise una specie di sospiro di sollievo nel vedere la camicia di lino tutta spiegazzata ma ancora al suo posto e i pantaloni che lo impacciavano, ma sorridendo disse:
«Peccato.»
Gli sembrò di sentirlo, prima ancora di vederlo, il sopracciglio di Susanna che si alzava quando diceva maliziosa:
«Ah, peccato, eh...»
Si voltò solo per avere la conferma e trovò l'espressione esatta che aveva immaginato.
«No, non è che... non intendevo...» tentò di giustificarsi. Il commento gli era scappato.
«A-ah...» fece lei senza smuovere di una virgola il sopracciglio o il mezzo sorriso.
«Era solo... Susi, ma io ho un cuscino solo!»
«Già»
«E allora come hai dormito?»
«Ho poggiato il capo sul tuo petto virile, tesoro...» scherzò «Ovviamente mi sono arrangiata con il cuscino del divano, che adesso non so dov'è finito, però.» spiegò girandosi attorno per cercarlo.
Nonostante fosse miope Bruno ebbe un'ampia visione del reggiseno della ragazza che sbucava dal vestitino sgualcito e decise che era più prudente tornare a schermarsi gli occhi con un braccio.
«Susi, ti va un caffè?»
«Sì!» esclamò interrompendo immediatamente la ricerca del cuscino smarrito.
«Allora vai a farlo. Anche per me, grazie.»
«Brutto...!»
Ecco dov'era finito il cuscino! Lo recuperò da terra e lo lanciò in faccia al ragazzo prima di scendere dal letto e dirigersi in cucina.
Si affaccendò preparando la moka, frugando in quella cucina come fosse la sua e improvvisamente, mentre sentiva che Bruno stava facendo la doccia, fu colta da una strana sensazione di benessere.
Il problema era che quella mattina non si sentiva se stessa. Rimanere così senza preavviso a dormire in casa di un amico, nel letto con un amico, e prenderla come se niente fosse, le stava facendo vivere quelle ore come se stesse guardando le azioni di un'altra persona che non era lei.
Se fosse stata in sé non sarebbe andata in bagno subito dopo aver spento il caffè, senza neanche avvisare. Non avrebbe aperto la porta senza accertarsi che Bruno si fosse lavato e vestito.
Allo stesso modo, quando vide Bruno in boxer davanti a lei, che stava indossando una canottiera, si comportò come se stesse studiando il fenomeno dalla postazione di uno spettatore.
Lui la guardò sgranando gli occhi non appena ebbe la canottiera addosso, aspettandosi che Susi se ne sarebbe andata. Invece quella rimase lì impalata.
«Non si bussa?» chiese allora, un po' turbato.
«Non si chiude la porta a chiave?» ribattè lei, ma non si spostò e non chiuse la porta neanche allora. Perché... perché le piaceva guardare Bruno, ecco!
Come mai privava il mondo della visione delle sue spalle e dei suoi pettorali indossando maglie sformate? Troppo in fretta Bruno aveva indossato la canottiera, ma tutto ciò che riuscì a scorgere del corpo del ragazzo non la lasciò indifferente. Aveva dovuto deglutire un sacco di saliva prima di parlare. Ok, i capelli lunghi erano una sua fissazione, ma guardandolo in quel momento Susi giurò che anche le basette e le canottiere nere fossero entrare nella classifica.
«Dato che sono a casa mia e vivo da solo: no, di solito non chiudo a chiave.» spiegò Bruno.
Susanna era sulla soglia con uno sguardo inebetito, continuava a squadrare il suo corpo senza pudore e non si accorse del suo cambiamento di voce.
Bruno si avvicinò a lei con passi lenti e si fermò a pochi centimetri dal suo corpo. Susi trattenne il respiro e il desiderio di posare l'orecchio nel centro di quella canottierina nera che aveva di fronte. Poteva stargli di fronte per due minuti senza saltargli addosso, no?
«Susi, siamo amici?» chiese Bruno in un tono troppo basso.
«A-ah» rispose lei, ogni fibra del suo essere tremendamente consapevole, come mai prima di allora, di cosa significasse desiderare un uomo.
«E mi vuoi bene?»
Stavolta annuì piano, temendo che, se avesse aperto bocca, una risatina isterica le sarebbe uscita come risposta. Dove aveva imparato ad usare un tono tanto basso e roco? Sperò, sperò con tutta se stessa che il ragazzo non si fosse avvicinato tanto solo per riuscire a vederla bene senza occhiali e che la frase che stava per dirle Bruno fosse quella che avrebbe voluto dirgli anche lei.
«Allora non vediamoci per un po', per favore.»
E invece no.
Era tutto l'opposto di ciò che sperava.


Il mio angolino:
Capitolo più breve del solito, ma direi... di svolta? E giuro che non ho dimenticato un pezzo, torneremo presto su quello che è successo negli scorsi capitoli.
Grazie a tutti coloro che stanno seguendo questa storia: siete sempre più numerosi!

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Capitolo 8
*** C ***


Siamo gente strana, troviamo normali le guerre e ci impaurisce una dichiarazione d'amore.
M. Presta, “Accendimi”



«Ma non si baciano?»
«Eh?» chiese Susanna, colta alla sprovvista.
«Di solito il principe bacia la principessa quando la salva...» disse una bambina con le trecce e un vestitino a fiori.
Altri bambini ridacchiarono.
«No, in questa storia il principe non bacia la principessa perché... perché... ditemelo voi perché! Come mai secondo voi?»
Susanna si guardò intorno, sperando che in quelle domande non si scorgessero la sua angoscia e la sua frustrazione. Alcuni bambini abbassarono la testa, altri guardarono verso il soffitto.
«Perché... si baceranno al marimonio!»
«Perché si vergogna!»
«Perché non ha chiesto il permesso di baciare la principessa!»
«Perché non la vuole sposare!»
Susanna si pentì di aver chiesto il parere di alcuni innocenti bambini, ignari della situazione di cui soffriva. Doveva smettere di prendere ogni storia che leggeva troppo sul personale!
«Già... chissà... chissà perché questo principe non si decide a baciare la principessa anche se sono fatti l'uno per l'altra... ma vediamo come prosegue la storia...» disse Susanna e riprese a leggere l'albo illustrato per concludere la lettura. Poi lasciò i bambini liberi di guardarsi intorno, sfogliare libri e mettere sottosopra la biblioteca dei ragazzi, mentre andava a prendere posto alla scrivania, pronta a fare prestiti e parlare con i genitori interessati alle prossime iniziative.
Chissà cosa frullava in testa a questi uomini, che salvano le donzelle in difficoltà, le trattano come principesse, si mettono sempre al loro servizio e poi... di colpo...
Susanna sospirò. Era passato diverso tempo, eppure ci pensava ancora. I bambini ormai indossavano abiti estivi, dato che il caldo era arrivato in anticipo quell'anno e lei aveva bandito da quella stanza il forziere pirata di cartone, perché anche quella scemenza le faceva tornare in mente Bruno.
Non era stata completamente sincera con lui: questo pensiero la assillava dalla mattina di due mesi prima, quando, svegliandosi dopo il matrimonio di Valentina e Niccolò, lui le aveva chiesto se era successo qualcosa tra loro.
Come aveva potuto dire di no con tanta leggerezza?!
Va bene, di tacito accordo avevano deciso di non parlare mai di quel bacetto che lei gli aveva dato d'impulso quando si era fermata a casa sua per la prima volta, dopo quell'incidente che l'aveva sconvolta proprio di fronte alla falegnameria, ma perché non aveva confessato ciò che era successo nel giorno del matrimonio?
Se gli avesse detto la verità l'esito di quella giornata sarebbe stato diverso? Era questo il quesito che la tormentava da allora. Ma soprattutto, perché aveva accettato la proposta assurda di troncare i rapporti senza battere ciglio? Senza spiegargli che non poteva smettere di cercarlo perché...
Vabbè, era inutile lambiccarsi il cervello, conosceva la risposta: non l'aveva fatto perché sarebbe stato troppo imbarazzante, era come spogliarsi in mezzo al centro commerciale. Così aveva rispettato gli accordi quando lui le aveva chiesto di non vedersi per un po' e non era più andata a trovarlo in negozio, né lo aveva cercato al telefono, però Bruno le mancava moltissimo e cominciava a chiedersi quanto dovesse durare quel “un po' di tempo” di lontananza. Ci pensava e poi si rimproverava per aver progettato di andare a trovare il ragazzo, presentarsi alla sua porta come niente fosse. Ma non si era umiliata abbastanza? Se lui non la vedeva come una ragazza ma solo come un'amica, perché continuare a insistere?
Eppure...
Eppure la sera del matrimonio non era stata lei a cercare un bacio. Era stato lui, un po' brillo, d'accordo, ma era stato lui a cercarla e a chiederle un bacio. Dopo che aveva ballato con lui, finalmente, proprio quando pensava di aver perso le speranze, aveva notato il suo sguardo, il suo sorriso che le pareva poco amichevole e troppo sensuale e si era sentita imbarazzata ed eccitata allo stesso tempo.
«Non guardarmi così.» gli aveva detto.
«Sennò ti salto addosso.» non gli aveva detto.
«Così come?» avevava detto lui senza distogliere lo sguardo.
E lei di nuovo non aveva avuto il coraggio di farsi avanti, anzi, si era voltata per sfuggire a quegli occhi, per calmarsi, ma progettava di avvicinarsi di più a lui fino a che non sarebbero servite più parole. Ci sarebbe riuscita forse, se quello stupido rituale tribale noto come “lancio del bouquet” non avesse interrotto i suoi piani, costringendola ad abbarcarsi insieme ad altre ragazze urlanti per fingere di voler afferrarre quegli stupidi fiori!
Dopo, mentre lei guidava, mentre lo trascinava in ascensore, mentre lo aiutava a togliersi le scarpe per farlo mettere a letto... era lui che aveva continuato a chiederle un bacio a volte tra le risa a volte tra le lacrime. È vero, lei inizialmente glielo aveva negato, ma solo perché aveva paura che, nelle condizioni in cui si trovava, non l'avrebbe ricordato il giorno dopo. Poi però aveva gettato al diavolo i buoni propositi e all'ennesimo «Mi dai un bacio?» si era chinata su di lui. Aveva sorriso, ricordando come quel letto fosse stato teatro anche del loro primo bacio e gli aveva dato un bacetto veloce sulle labbra.
Ricordava il brivido che aveva sentito quando aveva percepito le mani grandi di Bruno sul collo, a raccoglierle i capelli dietro la nuca e poi aveva perso il conto dei baci che gli aveva dato. Sempre brevi, sempre più o meno superficiali, non voleva che fosse così, voleva baciarlo davvero quando sarebbe stato sobrio e più presente a se stesso, quando sarebbe stato in grado di capire quanto le piacesse, ma non aveva saputo trattenersi. E lui aveva sorriso. E lei si era sciolta.
L'aveva lasciato per usare il bagno e per andare a recupare un cuscino dal divano e quando poi era tornata in camera lui dormiva e russava leggermente, gli occhiali ancora sul naso. Ecco, se tutto ciò che avevano vissuto non fosse bastato, quel momento, così banale, così insulso, ma proprio per questo così potente, le aveva dato la certezza di essere innamorata di lui.
«...vero?»
Susanna si riscosse e guardò la donna che aveva di fronte.
«Come, scusi?»
«Dicevo... presto ci sarà un nuovo direttore della biblioteca, vero?» ripetè la signora cordiale, mentre posava sulla scrivania i libri che voleva prendere in prestito per il figlio: un nanerottolo di sì e no cinque anni che faceva versini al fratellino sul passeggino.
«Oh, sì, il comune ha bandito il concorso poche settimane fa.» rispose Susanna, con un sorriso.
«E... c'è la possibilità che diventi lei la nuova direttrice?» chiese ancora la donna.
«Mah... non saprei. Ho fatto giusto in tempo a pubblicare un articolo su una rivista online che dovrebbe alzarmi il punteggio, ma sa... ci sono tanti altri bibliotecari con più esperienza di me.» disse Susanna mentre procedeva a passare i libri in prestito, con una scrollatina di spalle.
Era stato Bruno a spronarla a rimrendere in mano le sue ricerche per pubblicare qualche articolo. Possibile che il ragazzo fosse così tangibilmente presente anche nel suo lavoro?
«Beh, in bocca al lupo, allora. In ogni caso se non diventa direttrice noi siamo contenti lo stesso: gli eventi che organizza lei per i bambini non sarebbero gli stessi altrimenti!»
Susanna guardò quella donna negli occhi e le due risero. Per un attimo si sentì grata e dimenticò tutto il resto.


Il suono della campana a vento richiamò Bruno dal laboratorio, dove stava verniciando alcune imposte di legno.
«Arrivo subito!» disse, mentre posava il pennello e si toglieva i guanti per andare in negozio.
«Buongiorno!» disse un distinto vecchietto, sorridendo.
«Oh, buongiorno. Ho finito giusto ieri di restaurare la sua libreria.» disse Bruno e fece strada per mostrare al cliente il mobile.
L'uomo emise un “oh” non appena riconobbe la proprio libreria che era tornata come nuova e si avvicinò per toccarla e studiarla meglio.
«Il piano inferiore era completamente marcio e ho dovuto sostituirlo, ma per il resto era in buone condizioni.» spiegò Bruno, con una certa soddisfazione.
L'uomo annuì, soddisfatto del risultato.
«Devo dire la verità» disse poi, con gli occhi sempre fissi sul mobile «quando mi fece quel preventivo pensai che avrei fatto meglio a rivolgermi a qualcun'altro, anche perché mi sembrava un po' troppo giovane per essere un buon falgname...»
Bruno ridacchiò.
«Allora le avrei detto che poteva occuparsene mio padre!» disse.
«Oh, ma non ce n'è stato bisogno: per il modo in cui mi avete soccorso lei e la sua ragazza, fidarmi di lei mi pareva il minimo.»
Bruno sorrise solo con le labbra e non lo corresse. Rispose a monosillabi ad ogni altra domanda, anche quando l'uomo lo ebbe pagato, anche quando lo aiutò a caricare in macchina il mobile che era tornato al suo antico splendore.
Quell'uomo aveva chiamato Susanna “la sua ragazza”... magari fosse stato vero!
Bruno sospirò non appena fu tornato al suo laboratorio. Erano quasi due mesi che non la vedeva. Un mese e ventidue giorni, ma chi teneva il conto?
Evitarla dopo il matrimonio era stato facile, sembrava quasi che il collante di quel gruppo fossero sempre stati, inconsapevolmente, Niccolò e Valentina e ora che la coppia era impeganata con la vita da neosposi e la gravidanza procedeva non era più scontato ritrovarsi ogni sabato sera. Bruno si era sentito improvvisamente un adulto, come se quel matrimonio avesse sancito per sempre la fine della loro giovinezza, ora c'erano solo cose serie a cui pensare.
Sì, c'erano tante cose serie con cui avrebbe potuto tenere occupata la mente, come le bollette da pagare, la spesa da fare, le fiere dell'artigianato in giro per l'Italia, quel libro che prima o poi avrebbe dovuto riportare in biblioteca, perché il prestito era scaduto da tempo... ma perché tutto gli faceva tornare in mente Susanna?
Si sentiva uno stupido per averle chiesto di non farsi vedere per un po', come se il non vederla fosse stato sufficiente per dimenticarla. Ormai lei era ovunque nella sua vita, anche quell'importante restauro era stato in fin dei conti procurato da lei e dal suo sangue freddo nell'affrontare una situazione di emergenza come quella dell'anziano cliente.
D'altra parte, più ci pensava e più si chiedeva: “che altro avrei potuto fare?”.
Starle accanto e fingere di non provare niente per lei, senza allungare le mani per sentirla addosso, senza potersi avvicinare abbastanza da respirarle sulla pelle, era diventato una tortura.
Era chiaro, allo stesso tempo, che lei non provasse gli stessi sentimenti per lui. Ne aveva avuto la conferma quella mattina, dopo il matrimonio di Vale e Niccolò, mentre si faceva la doccia e d'improvviso, come un flash, aveva ricordato quanto era successo la sera prima. D'altra parte, anche se aveva bevuto molto, ci sarebbe voluto molto di più per mettere seriamente ko un ragazzo con un fisico come il suo, e così gli era tornata in mente ogni cosa.
L'aveva praticamente supplicata di dargli un bacio finché lei non aveva ceduto alle sue insistenze e ridendo gli aveva dato dei bacini. Sentì le guance andare in fiamme al solo ricordo. Quanto era caduto in basso? Quanto doveva esserle sembrato patetico e disperato?!
«Penoso!» mormorò tra sé.
Infilò una mano sotto gli occhiali e si stropicciò gli occhi.
Un paio di volte era stato sul punto di dimenticare i buoni propositi e correre in biblioteca, la prima quando aveva finito di leggere il libro che aveva preso in prestito e lei era l'unica persona che gli veninva in mente per condividere quanto gli fosse piaciuto. Aveva pensato di presentarsi al bancone e dire: “Sono pronto per leggre un libro più lungo, perché questo era troppo bello ed è finito troppo in fretta” e aveva sognato che lei gli avrebbe sorriso e avrebbe passato il resto del turno con lui a sommergerlo di libri e parole. Ma come avrebbe reagito veramente se l'avresse rivisto? Avrebbe chiesto spiegazioni per quella lontananza che lui aveva imposto?
La seconda volta che era stato sul punto di andare da Susanna era stato quando aveva scoperto che era uscito il bando che avrebbe stabilito il nuovo direttore della biblioteca. Poi però aveva deciso di lasciar perdere. Magari si sarebbe congratulato con lei solo in caso di esito positivo del concorso... con un messaggio... forse.
Il telefono squillò e Bruno sussultò, rendendosi conto di due cose. Primo, che ultimamente si perdeva dei suoi pensieri troppo spesso, e che questi, inutile dirlo, erano sempre occupati dalla stessa persona. Secondo, che ogni maledetta volta che il cellulare suonava aveva in fondo al cuore l'irrazionale speranza di trovare il nome di Susanna sul display.
Assurdo. Infatti, constatò con uno sbuffo, era solo mamma.
Perché non aveva ancora capito che quando lavorava non doveva chiamarlo?! Voleva per caso presentargli un'altra “ragazza tanto carina” che aveva accuratamente selezionato e scelto per lui come faceva per le camicie?
Si accinse a dirglielo subito in faccia e rispose:
«Ma'...»
La signora Stefania però non lo lasciò parlare e dal suo tono strozzato Bruno capì subito che non si trattava di uno stupido appuntamento al buio.
«Bruno... il nonno... il nonno è morto.»






Il mio angolino:
Spero che non vi dispiaccia un altro capitolo un pochino più breve e che possiate apprezzare comunque l'aggiornamento, dato che finalmente si scopre la versione dei fatti da parte di entrambi i protagonisti. È giustificato Bruno?
A presto,
FatSalad

 

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Capitolo 9
*** I ***


Qual è la menzogna più grande del mondo?
È questa: che a un certo momento della nostra esistenza, perdiamo il controllo della nostra vita, che comincia così ad essere regolata dal destino. È questa la menzogna più grande del mondo.
P. Coelho, “L'alchimista”



Un poeta tutto rughe piegato in due da quanto era gobbo finì di leggere dei versi che avrebbero dovuto essere un “omaggio al grande scrittore Giandomenico Dossi”, ma Bruno ne comprese a stento le parole. Ci fu comunque un applauso e il ragazzo guardò l'uomo scendere i due scalini accompagnato da una signora che doveva essere o una vecchia figlia o una giovane moglie. Poi sentì lo sguardo del prete addosso.
Ah, già.
Aveva detto di voler leggere due parole sul nonno al termine del funerale. Dopo aver ascoltato tre anziani intellettuali che avevano parlato di correnti, influenze, e del cartaceo monumento eretto per i posteri, però, quasi si vergognava a salire sul pulpito e prendere la parola. Che gli era saltato in mente, poi? Parlare di fronte a tutta quella gente... proprio lui che aveva difficoltà anche a scambiare due parole con un'unica persona davanti! In ogni caso doveva tener fede all'impegno preso, si alzò dalla panca e andò al microfono, di fronte ai presenti. Uno sguardo alla sala gremita gli diede il capogiro e riabbassò subito il viso sui fogli che aveva preparato.
Si schiarì la gola e cominciò a leggere.
«Da piccolo non ero molto legato a mio nonno.»
Dovette fermarsi subito per schiarirsi di nuovo la gola, per paura che non si sentisse bene la sua voce. Poi riprese:
«Lui era uno scrittore famoso, uno studioso, mentre io non andavo molto bene a scuola. Il nonno ha cercato spesso di avvicinarmi alla lettura, di farmi scoprire il piacere dello studio... ma io ero molto più interessato ai lavori pratici, a lavorare il legno come mio padre e i libri mi sembravano una cosa noiosa e troppo faticosa. Quando poi il nonno si è ammalato ho scoperto che gli volevo molto più bene di quanto immaginassi e mi tormentava il pensiero di non aver fatto molto per lui in passato e di non poter più fare nulla adesso che non era più cosciente. Nell'ultimo anno andavo a trovarlo in ospedale almeno due volte a settimana, e adesso capisco che stavo cercando il modo di dirgli che gli volevo bene.»
La voce gli si incrinò e dovette fare una pausa prima di ricominciare a leggere.
«Poi, qualche mese fa, una persona mi ha dato delle cose per farle leggere al nonno e io, che non avevo il coraggio di spiegare che mio nonno non era più in grado né di leggere né di parlare né altro, presi tutto. Così, dopo quasi 10 anni che non leggevo, ho iniziato a portarmi dietro racconti, saggi e romanzi ogni volta che andavo a trovare il nonno. Gli leggevo tutto, all'inizio con un po' di difficoltà, e piano piano sentivo che mi appassionavo, che volevo leggere fino in fondo. La cosa è andata avanti fino alla settimana scorsa, io finalmente ho capito cosa intendeva mio nonno quando mi diceva che i libri sono “il nutrimento dell'anima”, ho capito la grande lezione che voleva darmi e lui, quando è stato sicuro che avessi imparato la lezione, era abbastanza in pace da lasciarmi per sempre. O almeno è quello che penso io, perché... quando leggevo per lui mi sentivo davvero in pace e non mi sono mai sentito più legato a lui come in quei momenti.»
Bruno alzò lo sguardo. Vide distinti signori soffiarsi il naso e sua madre con il volto bagnato di lacrime.
«Grazie.» mormorò senza sapere bene a chi rivolgersi.
Il suo ritorno al posto fu accompagnato da uno scroscio di applausi che lo lasciarono interdetto e che durò per un altro minuto buono. Sentì una mano stringergli la spalla, ma non si voltò per scoprire di chi fosse.
“Sì”, disse tra sé, mentre il prete riprendeva la funzione, “adesso riposa in pace, nonno”.


Quando furono al cimitero e la tomba di Giandomenico fu completamente ricoperta di terra, una serie interminabile di scrittori più o meno vecchi e famosi si avvicendarono per salutare i parenti più stretti, vale a dire la figlia Stefania e il nipote Bruno, quel ragazzone che aveva parlato del nonno.
Anche i più chiacchieroni, di fronte a lui trovarono poco da dire, forse erano messi in soggezione dal suo fisico, o più probabilmente dalla consapevolezza che loro avevano omaggiato il letterato, lui l'uomo.
Un'altra lunga serie di saluti lacrimosi e stavolta più commentati fu rappresentata da una sfilza di parenti, molti dei quali Bruno ricordava appena. Loro ebbero quasi tutti una parola per Bruno, lo ringraziarono del discorso che aveva fatto e gli fecero vari e vaghi auguri per l'avvenire.
Il ragazzo strinse mani e baciò guance cadenti e incipriate, poi d'un tratto un movimento attirò il suo sguardo.
«Mi dispiace Bruno.»
Finalmente una voce amica!
Bruno sorrise e abbracciò Giorgio.
«Grazie per essere venuto.»
«Figurati... ti porto i saluti anche di Fabio, Niccolò e Valentina.»
«Grazie.» ripetè Bruno.
«Bruno, condoglianze.» disse Roberta che aveva seguito Giorgio.
Bruno l'abbracciò, e mentre la ringraziava notò che aveva gli occhi arrossati.
«Ehi...» la chiamò, con un mezzo sorriso.
Lei capì a cosa si riferiva e scoppiò di nuovo a piangere.
«Scusa, lo so... è che...»
Giorgio la prese sotto braccio.
«Beh, tra poco devo rientrare a lavoro, ci sentiamo presto, ok?»
Bruno annuì e li salutò un'altra volta.
Li guardò allontanarsi sul ghiaino e sorrise, grato. Il rumore dei sassolini però gli annunciò che qualcun altro si era avvicinato a lui e, probabilmente, voleva fargli le condoglianze.
Si voltò e rimase senza fiato per la sorpresa.


«Susi...» mormorò.
Lei strinse le labbra, aveva gli occhi lucidi, ma si era imposta di non piangere. Mosse qualche passo cauto, fino a ritrovarsi di fronte a lui.
«Mi sei mancata.»
Susanna udì le parole di Bruno, benchè fossero poco più di un bisbiglio e voleva rispondere. Si era preparata tutto un discorso prima di farsi avanti, tagliando, limando, ripensando, coreggendo. Avrebbe voluto dirgli che le dispisceva per suo nonno, che non poteva capire la sua perdita, che voleva stargli vicino in qualche modo... e che le era mancato. Ma il fatto che Bruno l'avesse preceduta la confuse, d'altra parte era da tanto che non si vedevano e non sapeva come lui avrebbe reagito, dopo che le aveva chiesto di non farsi vedere. Sapeva benissimo come aveva reagito lei nello scorgerlo da lontano: il suo cuore aveva iniziato una corsa imbizzarrita senza precedenti.
Dato che tutte le parole che aveva preparato le parevano adesso inadeguate, per una volta Susi decise non parlare affatto, si sporse verso di lui e gli lasciò un bacio sulla guancia. Quando si allontanò i loro sguardi si intrecciarono per un lunghissimo istante.
«Non conoscevo le condizioni di tuo nonno. Hai fatto una cosa davvero... bellissima.» sussurrò la ragazza, incoraggiata dall'atteggiamento di Bruno.
«Merito tuo.»
Già. Aveva avuto il presentimento di essere proprio lei la persona a cui aveva accennato durante il discorso su Giandomenico, quella che lo aveva riavvicinato alla lettura e dunque al nonno, ma sentirselo dire in modo così semplice e diretto... era un'altra cosa.
Susanna si chiese come mai a lui ci volessero sempre così poche parole per dire tutto, come mai le poche parole del ragazzo risuonassero tanto a lungo nella sua testa, come mai alcune pesassero come macigni.
Non vediamoci per un po'.
Si chiese come mai di fronte a quelle poche parole si trovasse tanto in difficoltà in quel momento. Voleva solo rimanere davanti a lui, sprofondare nei suoi occhi caldi... si avvicinò e lo abbracciò.
Forse lui non stava aspettando altro, perché le sue braccia corsero subito a cingerle la vita, la strinsero contro il suo petto e il suo viso si sotterrò tra i suoi capelli, incastrandosi tra spalla e collo e la respirò come chi torna da un lungo viaggio e ritrova l'odore di casa. Solo a quel punto, con un brivido, Susanna fu certa di essergli mancata davvero. Poi, mentre si tenevano stretti in quella morsa dolce e disperata, Susi udì un rantolo e, sconcertata, si accorse che Bruno, che per tutta la durata del funerale era rimasto serio ma impassibile, d'un tratto era scoppiato a piangere. Capì che per una volta non era il momento di parlare, ma solo di cullarlo ancora tra le braccia fino a quando lui avrebbe voluto e con una mano gli accarezzò il collo e la nuca, senza lasciarlo, pensando solamente “Stai tranquillo, ci sono qui io”.




«Dunque, che cos'è questo regalo?» chiese Susanna, impaziente.
Era passato qualche giorno dal funerale di Giandomenico Dossi e i ragazzi avevano fissato una cena a casa di Niccolò e Valentina, sia perché non si vedevano da tempo, sia perché non tutti era riusciti ad essere presenti al funerale e volevano in qualche modo dimostrare di esserci ancora, di non essere spariti.
«Ora lo vedi.» rispose Bruno, parcheggiando la macchina di fronte a casa.
Era passato a prendere Susanna in biblioteca e le aveva detto che aveva un regalo per lei e che gliel'avrebbe dato prima di arrivare alla cena. Susanna era curiosa di natura e non aveva smesso di fare domande su quel dono da quando era entrata in auto.
«Beh, scendi, non verrà lui da te!» la spronò Bruno con un mezzo sorriso.
Susi scese dall'auto e lo seguì mentre apriva il portone.
«L'ho lasciato in casa.» spiegò.
«Bruno, dimmi la verità: è un cucciolo?»
Bruno scosse la testa, ridendo, mentre la invitava ad entrare in ascensore.
«Mi spiace ma è un oggetto inanimato.»
«Un oggetto, eh? Questo è buon indizio... quindi non è nemmeno un viaggio in Australia.»
«Sono un povero artigiano, non un multimiliardario!» scherzò Bruno, indicandole la porta quando l'ascensore si fu fermato al piano.
«Dai, dimmi che cos'è!» piagnucolò Susi.
Bruno sospirò, esasperato, mentre apriva la porta di casa.
«Ok, ho capito che la prossima volta che vorrò farti una sorpresa non te lo dirò, altrimenti diventi insostenibile!»
Susanna si morse l'interno della guancia e si costrinse a non fare più domande, anche perché ormai erano entrati.
Bruno accese la luce e le indicò il tavolo: sopra c'era un baule di legno.
«Beh, spero che ti piaccia.»
Susanna si avvicinò e scorse dei dettagli: due manici ai lati, una serratura di decorazione. E capì: era un forziere del tesoro!
«Aprilo!» soffiò Bruno da sopra la sua spalla, mentre lei stava accarezzando il legno del coperchio.
Susanna seguì il suggerimento e dentro al forziere trovò una bandietra con il tipico teschio dei pirati stampato sopra.
«Bruno...» mormorò Susanna, sorpresa.
«Ho visto che sono usciti i risultati del concorso.» disse Bruno «Anche se non sei la nuova direttrice della biblioteca... te l'avevo promesso. La bandiera però l'ho comprata.»
La sua voce si era fatta un po' incerta sul finale. Non gli sembrava che Susi fosse particolarmente entusiasta, eppure aveva speso tante attenzioni per poterle fare quel regalo... improvvisamente si sentì molto in imbarazzo.
«Beh... ehm... se non ti piace...»
Susanna sentì l'esitazione nella sua voce e si accorse di non aver ancora detto niente, si voltò verso di lui e lo trovò vicinissimo e con l'espressione tormentata che si massaggiava dietro la testa.
Era così emozionata che non provò neanche a trattenersi e si sollevò, reggendosi a lui, per baciarlo. Solo un barlume di lucidità la bloccò quando era ancora in tempo e le sue labbra cambiarono destinazione, posandosi sul suo collo.
Ah... come era calda la sua pelle!
Le labbra di Susanna rimasero ferme un secondo di troppo e la ragazza capì che quel contatto non era stato affatto meno sensuale di un bacio sulle labbra quando udì Bruno mormorare:
«Che... fai?»
Già, che stava facendo? Era impazzita?! La sua pelle era così calda, il suo collo così virile, coperto da un'ombra di barba, che per un attimo aveva quasi pensato di assaggiarlo con la lingua. Sì, doveva proprio essere impazzita! Proprio adesso che la situazione tra di loro era tornata ad una sorta di normalità...!
Si allontanò da lui di colpo e boccheggiò.
«Bruno... io...»
Lo guardò fisso negli occhi e seppe che non poteva più tacere, perché non c'era stato ancora alcun chiarimento tra di loro e quella sospensione, quell'incertezza la stava portando all'esasperazione. Che cos'erano loro? Due amici che ogni tanto si scambiavano qualche bacetto? Che cos'era lei per lui? Se Bruno era timido e non ci sapeva fare con le parole, allora toccava a lei prendere in mano la situazione e sfondare quel muro di silenzio, a costo di prenderlo a testate e farsi del male!
«Ascolta, lo so che posso essere un po' impulsiva a volte e certo non mi sono comportata sempre al meglio con te, ma... ma tu mi piaci veramente tanto.»
Iniziò a parlare veloce e gesticolare nervosamente, come se dovesse convincere un acquirente indeciso e più o meno era così che si sentiva, anche se la merce era rappresentata da se stessa.
«Vedi? Ti ho dato ascolto, ti sono stata lontana per un po', ma questo non ha cambiato niente, perché appena ti rivedo provo le stesse cose di prima, e vorrei... abbracciarti e baciarti fino a perdere il fiato e se tu... se tu mi dessi una possibilità io credo che potremo stare bene insieme. Magari non subito, ma se provassimo che so? Ad uscire insieme...? Potremmo diventare una bella coppia tu ed io, lo so, perché io sto così bene con te e penso che anche tu stia bene quando sei con me, anche se forse al momento non mi ved-...»
Interrompendola bruscamente, Bruno si sporse verso di lei e le diede un bacio. Un bacio rapido, non invadente, giusto per farla smettere di parlare, labbra morbide su labbra morbide. Quando si allontanò da lei si guardarono negli occhi per un secondo di fremente silenzio, poi Susi, con le labbra ancora socchiuse e gli occhi spalancati, relegò in un angolo della mente le promesse, le parole, l'orgoglio, gettò le braccia attorno al collo del ragazzo e chiese un bacio più profondo.






Il mio angolino:
In questo capitolo, se non ho contato male, il termine “parole” compare 12 volte, il verbo “dire” 10 volte, “parlare” 8, “discorso” 3.
Non volevo essere ridondante, volevo solo fare riferimento al titolo della storia e ricordare come tutti i problemi tra Bruno e Susanna nascono da fraintendimenti, perché i due non hanno parlato abbastanza per chiarirsi o perché hanno parlato troppo e inutilmente. Insomma, a comunicare si impara piano piano...
A presto per l'ultimo capitolo!
FatSalad

 

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Capitolo 10
*** T ***


Omnia vincit amor.
Publio Virgilio Marone.


Bruno aveva accolto l'irruenza di Susi con sorpresa, sentiva le sue dita sul collo, tra i capelli, sul petto, curiose e impazienti e pensò che anche le sue mani avrebbero voluto imitare i gesti della ragazza e toccare tutto di quel corpo così invitante che aveva tra le braccia. Strinse i suoi fianchi, mentre le loro lingue si rincorrevano e si cercavano senza stancarsi, quando la sentì gemere si intrufolò sotto la sua maglietta, vagò in punta di dita sulla sua pelle, strappandole altri gemiti e si chiese come aveva potuto pensare di non piacerle.
Susanna d'altro canto aveva spento definitivamente il cervello, ed era puro istinto. Voleva solo continaure a baciare Bruno, toccarlo, stringersi e strofinarsi su di lui... avrebbe fatto le fusa come un gatto se ne fosse stata capace, perché quel contatto a lungo agognato era finalmente divenuto realtà.
Bruno tornò ad accarezzarla sopra la maglia per stringersi sul suo seno e Susi dovette staccarsi dalle labbra del ragazzo per ansimare tutta la sua soddisfazione. Aveva sempre avuto un complesso per il seno, che le sembrava troppo grosso, da ragazzina aveva anche sperato di fare un'operazione per ridurlo, desistendo solo per il costo eccessivo della chirurgia. Adesso, invece, ringraziò di avere la sua taglia abbondante, perché stava benissimo tra le mani enormi di Bruno, che stringeva e massaggiava procurandole cascate di brividi.
Susi tornò a succhiare le labbra del ragazzo, ancor più affamata del suo sapore e del suo tocco, ma le sue mani non si fecero più audaci come aveva sperato e non capiva se fosse la sua timidezza che tornava a comandarlo o se semplicemente aspettasse un suo pieno consenso. Decisa a smuovere la situazione, si allontanò un attimo dalle sue labbra e si sfilò la maglia tenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi che vide farsi più liquidi.
Subito Bruno fu su di lei, riprese a baciarla voracemente da dove si erano interrotti, i polpastrelli ruvidi sulla sua schiena nuda lasciavano impronte calde, provocavano brividi incontenibili, poi scesero sul suo sedere per avvicinarla di più a sé e farla ansimare. La prese in braccio senza sforzo facendosi circondare i fianchi con le gambe e la poggiò sul tavolo. Giusto il tempo di togliersi a sua volta la maglietta con il suo aiuto, poi tornò a stringerla per sentirla contro il petto, i baci scesero sul suo collo e le sue mani si fecero più bramose.
Susi credette di aver perso le proprie facoltà intellettive. Mentre Bruno le riempiva di baci la bocca e poi il collo, facendola tendere e tremare, la pelle candida contro la barba ispida, mentre lui le massaggiava i fianchi ed esplorava i punti più sensibili della sua pelle, le sembrava di saper dire solo una cosa:
«Sì, ti prego!»
A volte lo sussurrava, altre le sembrava di gridarlo, ma non sapeva dire altro mentre si contorceva nell'attesa. Ma lui sembrava non avere fretta, come suo solito e alternava dolcezza e passione, passava la punta della lingua dalla spalla al lobo e poi le mordeva la gola, deciso a prendersi tutto il tempo che voleva per venerare la sua pelle.
«Bruno!»
Chiamò ad un tratto, impaziente, quasi disperata e il ragazzo, che era tutto concentrato a mordere e soffiare, baciare e succhiare quel punto tanto sensibile del suo collo, si sollevò un poco, quasi stordito.
Susi ricordava alla perfezione le linee del suo torace, che aveva visto di sfuggita una volta, le seguì in punta di dita e giocò con la peluria che gli ricopriva il petto. Si sentiva così donna, in quel momento, così seducente e voleva essere baciata di più, di più, di più...
Bruno allora richiamò tutto l'autocontrollo che riuscì a trovare dentro di sé e si allontanò dal suo corpo caldo.


Susi gemette di frustrazione, sollevò le palpebre e lo guardò, interrogativa. Bruno ansimava, mentre osservava i suoi capelli scompigliati, le sue labbra gonfie e umide, le sue curve morbide, così esposte. Forse era rimasto incantato troppo a lungo sulle sue curve, su quel reggiseno bordeax che ricordava fin troppo bene, perché Susi cominciò a sentirsi a disagio, credette forse che lui fosse pentito e non poteva essere, era ridicolo.
«Che... che c'è?» balbettò.
Bruno si massaggiò gli occhi con una mano.
«Sei... così bella...» mormorò, rapito.
Aveva cercato parole più adatte, ma non ne conosceva nessuna che potesse esprimere quello che provava.
Susi abbassò lo sguardo, completamente sopraffatta da quella frase appena sussurrata.
«Ma ci stanno aspettando...» disse mostrandole il cellulare. Sullo schermo lesse il nome di Fabio, che stava chiamando, cosa di cui non si era minimamente accorta.
Bruno si voltò di lato e dopo essersi schiarito la gola rispose.
Susanna non staccò gli occhi da lui mentre lo sentiva parlare di vini e assicurare che tra dieci minuti sarebbero arrivati entrambi, le sembrava impossibile che si fossero baciati con tanto fervore fino a pochi attimi prima, come nemmeno nei suoi sogni più segreti aveva potuto immaginare.
Quando il ragazzo chiuse la conversazione e si voltò nella sua direzione, lei era ancora lì, seduta sul tavolo accanto al forziere pirata che le aveva regalato, mezza nuda e con le gambe divaricate.
Susanna si accorse del suo sguardo e si sentì un po' imbarazzata.
«I-io… come dire… non sono quel tipo di ragazza!» si affrettò a dire, coprendosi il corpo alla meno peggio con le braccia. «Voglio dire… non… non giudicarmi per come ti sono saltata addosso, io ti giuro che… io non lo faccio, di solito. Non l’ho mai fatto, intendo. Gettarmi nuda addosso al primo che capita, intendo. Cioè…»
«Quindi sono il primo che capita?» chiese Bruno sollevando un sopracciglio.
«NO! Ovviamente no... appunto...»
Bruno venne in suo soccorso porgendole i vestiti che avevano scaraventato sul tavolo, interrompendo il suo sproloquio.
«Meglio se ti rivesti, altrimenti non riesco a concentrarmi su quello che dici.» le confessò in un sussurro che la fece scaldare ancora di più.
«Io… vado un attimo in bagno.» decise Susi, scappando con la maglietta premuta contro il petto.
Ci mise qualche minuto per rivestirsi, calmarsi e metabolizzare quanto era successo.
Dunque, lei gli aveva confessato di provare qualcosa per lui e Bruno... Bruno non l'aveva fatta finire di parlare e non aveva neanche detto una parolina di scuse per come si era comportato mesi prima, facendole credere di non essere interessato a lei!
«Accidenti!»
Adesso era arrabbiata!


«Fammi capire una cosa: io ti piaccio?» sbraitò Susanna uscendo dal bagno con uno sbattere di porte.
Bruno sbatté le palpebre, perplesso da quell'improvvisa furia, posò sul tavolo la bottiglia di vino che aveva recuperato nel frattempo e si voltò verso di lei.
«Da sempre.» disse semplicemente.
A quelle parole Susi si sentì sciogliere e si gettò di slancio verso di lui, gli circondò il collo con le braccia e lo baciò senza alcuna inibizione. Non la aiutò a fermarsi il fatto che Bruno la spingesse ad aderire perfettamente al suo corpo, né che avesse portato una mano a massaggiarle la nuca in un modo che la mandava fuori di testa.
«Aspetta! – gridò, cercando di non ansimare, interrompendo bruscamente il bacio – Aspetta... io... io esigo delle spiegazioni! Perché allora mi hai detto di non farmi più vedere?!»
Non seppe dove riuscì a trovare la volontà di staccarsi da lui, ma si impose di non farsi distrarre ancora da quelle labbra tentatrici. Le doveva delle spiegazioni, per tutte le biblioteche del mondo!
«Non è esattamente quello che ho detto.» cominciò Bruno, ma l’occhiataccia che gli riservò Susi lo indusse a parlare più chiaramente «Io… ero sicuro di non piacerti in quel senso e starti accanto come amico era diventata una tortura per me, ti ho chiesto un po’ di tempo perché non sarei riuscito più a trattenermi.» spiegò, scrollando le spalle.
«Mi stai dicendo – fece Susi incredula – che non avevi capito che mi piacevi?»
Bruno scrollò di nuovo le spalle.
«Come avrei dovuto capirlo?»
«Ti venivo a cercare non appena avevo un attimo libero, ti stavo sempre appiccicata, inventavo le scuse più assurde per vederti, ti... ti ho baciato più di una volta… non ero abbastanza ovvia?»
«Beh… io non ho mai pensato che potessero essere scuse…» si giustificò Bruno, massaggiandosi il collo.
«Sei uno stupido ingenuo!» lo rimproverò Susi.
Gli mollò uno schiaffo sul petto e lui non cercò neanche di scostarsi, poi gliene diede un altro e lì Bruno le trattenne la mano, carezzandola con la propria.
«Stupido… vuol dire che abbiamo perso tutto questo tempo senza vederci quando avremmo potuto…» mormorò, lo sguardo basso.
«Avremmo potuto…?» chiese Bruno, divertito.
«Stare insieme!» gridò Susanna guardandolo dritto negli occhi.
Bruno le carezzò le guance per distendere la sua espressione corrucciata. Le diede un bacio sulla fronte, poi sulla punta del naso e infine sulle labbra.
«Scusa.» mormorò, ad un alito da lei.
«Ti… ti scuso se mi dici ancora che ti piaccio.» inventò lei, decisa a stuzzicarlo un po’, anche se le sembrava impossibile rimanere arrabbiata dopo quel gesto.
«Mi piaci. – disse subito lui, mortalmente serio – Mi sono innamorato la prima volta che ti ho vista, anche se non l’ho capito subito.»
«Bruno…» sussurrò lei.
Aveva progettato di rimanere seria e rigida, finché lui non le avesse offerto dettagliate spiegazioni e lunghe richieste di perdono, ma era impreparata a quella confessione. Le loro labbra si cercarono di nuovo, i loro corpi si tesero l’uno verso l’altro e le mani di Bruno finirono ancora una volta nei capelli di Susi, sconvolgendone la piega come quel bacio la stava sconvolgendo dentro.
Fu lui a staccarsi per primo.
«Forse… è meglio se usciamo.» propose a mezza voce.
Susi annuì, senza aver registrato ciò che aveva detto il ragazzo. Quando Bruno vide la sua espressione, le palpebre abbassate e la bocca schiusa e umida, si chiese come avrebbero fatto a sopravvivere per una lunga serata come quella senza toccarsi, cercarsi e baciarsi ancora. Lei era... era perfetta ed era...
Mia.” pensò Bruno.
Colpito dalla potenza di quel pensiero si abbassò per morderle piano il labbro inferiore, procurandole una nuova manciata di brividi.
«Ah… - gemette lei – Non vale… il tuo profumo mi… mi annebbia la ragione!»
Bruno scoppiò a ridere.
«Che ridi?!»
«Rido perché erano mesi che avevo questo profumo, ma ho cominciato a metterlo solo dopo averti conosciuto...»
Susi allontanò le sue mani enormi dal proprio corpo.
«Usciamo!» decretò, avviandosi verso la porta e trascinandolo per un braccio dietro di sé.
Aveva bisogno di aria fresca, se Bruno avesse detto una parola in più nel suo stomaco le farfalle avrebbero preso il diritto di cittadinanza.
«Aspetta…» disse lui bloccandola, ad un passo dalla porta.
Susi si voltò per chiedergli spiegazioni, lui si limitò a pettinarle i capelli con le dita, con calma e delicata precisione.
Mentre lo guardava assorto in quei gesti Susi ci ripensò: non importava che dicesse altro, sentiva già abbastanza cose muoversi nel suo stomaco, che fossero farfalle, pavoni o paradisee non lo sapeva più.




«Ehm...»
«Buongiorno, posso esserle utile?»
«Certo... Susanna?» disse una donna più vicina ai 60 che ai 50, dopo aver letto il cartellino che aveva applicato sul maglione.
«Sì, mi dica.»
Il sorriso della donna divenne compiaciuto in modo quasi sinistro, ma subito dopo Susanna si convinse di aver solo immaginato lo strano lampo che le aveva attraversato lo sguardo.
«Vorrei fare una donazione alla biblioteca.»
«Oh, ma certo! La informo che la politica della biblioteca per quanto riguarda le donazioni...» si lanciò Susanna ripetendo un discorso che ormai sapeva a memoria.
«Ho letto le condizioni sul sito, sì.» la interruppe la donna.
La sua espressione le parve per un attimo estremamente familiare. Forse la signora era utente fissa della biblioteca? Eppure era sicura di non conoscere il suo nome.
«Ah, perfetto!»
«A dir la verità, però, si tratterebbe di una donazione un po' particolare.»
“Eccoci...” pensò Susanna, ricordando le ultime donazioni “particolari” che erano state rifiutate cortesemente negli ultimi anni: un'enciclopedia completa in lingua russa e una collezione invidiabile di dvd a luci rosse.
«Dunque, vorrei donare l'intera biblioteca di mio padre, come avrebbe voluto lui stesso...»
«Mi spiace, signora, ma devo chiederle di quanti volumi stiamo parlando, perché per problemi di spazio dobbiamo porre dei limiti.»
«Si tratterebbe di circa 5000 volumi, escluse le riviste.»
«Oh! Accidenti! Una bella biblioteca!» esclamò Susanna, colpita «Purtroppo è decisamente troppo cospiscua per...»
«Come parli bene, Susanna! Mi piaci proprio!» la interruppe la signora.
Susanna ammutolì, perplessa da quell'improvviso cambio di tono.
«Saresti piaciuta anche a mio padre, ne sono sicura.»
«Ehm... grazie?» Susanna ridacchiò, sconcertata.
«So bene che sono tanti volumi, ma mi chiedevo se la biblioteca comunale avrebbe fatto un'eccezione per accogliere la biblioteca di un autore che ha molto amato la sua città. Mio padre era lo scrittore Giandomenico Dossi.» concluse la donna con un sorriso smagliante.
Susanna sgranò gli occhi. Ecco dove l'aveva già vista: al funerale del Dossi!
«Oh!» riuscì solo a dire, paralizzata.
«Sono Stefania Dossi, piacere.»
«Pia-piacere, signora! Molto piacere! Ero... sono una grande ammiratrice di suo padre, davvero! Io... ero presente al funerale, sì, insomma, io... sono anche... amica di Bruno...»
«Ma certo, ti ho riconosciuta, cara.» disse Stefania, melliflua «Un'amica che ha un reggiseno di pizzo bordeaux, se non sbaglio...»
Susanna sentì il volto andare in fiamme.
Stava insieme a Bruno da meno di una settimana e sua madre... come poteva sapere il colore della sua biancheria intima?! Non era mai stata così in imbarazzo in vita sua! Boccheggiò, senza trovare niente da ribattere.
«Mi dispiace molto che tu non sia la nuova direttrice, ma sono sicura che farai carriera.» continuò Stefania come se nulla fosse «Intanto potresti occuparti della biblioteca di mio padre: sono certa che ne ricaverai degli studi interessanti, che ne dici?»
«S-sì, sì! Volentieri, molto volentieri!»
«Benissimo! So già che andremo molto d'accordo, tu ed io. Parleremo ancora della donazione, intanto puoi venire a vedere i libri a casa, ti aspetto domenica a pranzo, cara!» disse la signora salutando con un cenno della mano.
Susanna lasciò in fretta la sua postazione e si chiuse in bagno, le dita digitarono frenetiche sul cellulare e contò nervosamente gli squilli prima di sentire una voce calda e un po' sorpresa dall'altra parte della cornetta.
«Pronto, Susi?»
«Bruno, tua madre è venuta in biblioteca, sa chi sono, che ho un reggiseno bordeaux e mi ha invitato a pranzo per questa domenica.» sparò tutto d'un fiato, tesissima.
«Oddio, non ci posso credere... Accidenti a me e a quando ho messo quel reggiseno in lavatrice insieme a tutto il resto!»
«Dobbiamo pensare a un piano!»
«Sì, hai ragione, non abbiamo ancora ufficializzato niente, possiamo dire che hai preso l'influenza dai bambini durante...»
«Che dolce piacerà a tua madre?»
Bruno rimase in silenzio per un attimo, perplesso.
«...cosa?»
«Tiramisù o crostata?»
«Susi... hai intenzione di venire?»
«E di fare bella figura, certo!»
Era chiaro che quella ragazza non conosceva sua madre, non sapeva cosa significava andare a pranzo da lei. Sospirando, il ragazzo si accinse a darle un quadro della situazione.
«Susi... non sai quel che dici. Stiamo parlando di una donna che è riuscita a rintracciarti partendo da un reggiseno nello stendino di casa mia... deve averti vista al funerale del nonno, ora che ci penso. Insomma, mia madre è spaventosa! Ti avverto che, se ti presenterai, in meno di un giorno tutta la città saprà che stiamo insieme.»
«E quindi?»
«Quindi...»
Già, quindi cosa? L'idea che tutti sapesserro che quella ragazza meravigliosa era sua, fuori dal mercato, occupata, anzi occupatissima lo faceva sentire... felice e orgoglioso.
«Quindi, per te va bene?» chiese, titubante.
«No, dico io, vorresti andare in giro spacciandoti per single ancora per molto?»
«No, certo che no, lo sai che faccio sul serio.» assicurò Bruno, risoluto e imbarazzato insieme.
«Sarà bene, perché ti amo.»
Lo disse quasi senza pensarci e rimase col fiato sospeso a ripensare all'enormità di ciò che aveva appena detto, una mano sulle labbra, a chiedersi com'è che le era sfuggita una frase del genere.
«... ti amo anche io.» mormorò Bruno con la sua miglior voce, quella dolce e bassa che riservava solo a lei.
Era vero che a volte parlava troppo e che lui di contro parlava troppo poco. Era probabile, anzi, era certo, che avrebbe sofferto ancora per la mancanza di comunicazione tra di loro, o semplicemente perché non riuscivano a capirsi. Però ci riprovavano sempre da capo, cercando di incontrarsi a metà strada, non era forse questa la grammatica dell'amore?
Susanna uscì dal bagno più rilassata, felice, col sorriso sulle labbra. Non vedeva l'ora di rivederlo.
«E allora dimmi: tiramisù o crostata?»


Il mio angolino:
Anche questa storia è giunta a conclusione! So che è più semplice rispetto alle altre long che ho scritto, niente misteri o colpi di scena in questa, ma... ogni tanto ci vuole anche un po' di linearità... o no?
Spero di avervi fatto sorridere e vi avverto: ho qualcos'altro di semi-pronto sul pc, perché quando arriva l'ispirazione... arriva tutta insieme e mi ritrovo a scrivere 2 o 3 storie tutte in una volta! (Ditemi che succede anche a voi XD
) Quindi continuate a seguirmi!
Alla prossima,
FatSalad

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