Nothing will drag you down - Turiste per caso

di lisi_beth99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 


-Oddio! – stava ridendo Alex davanti ad un bicchiere di prosecco – E così ti sei lanciato in una piscina per arrestare un sospettato?! – si coprì la bocca mentre continuava a ridere. Jay annuiva con un sorrisetto sulle labbra – Era l’unica cosa che mi fosse venuta in mente di fare… - provò a giustificarsi iniziando a ridere a sua volta. – Chi è il pazzo che mette una piscina in un night club? – domandò lei cercando di ritrovare la calma. Il detective la guardò leggermente stranito, ma sempre col suo sorriso affascinante – Non frequenti molto i night vero? -. Sulle guance di Alex si fece vedere un velo di rossore – Non li amo molto… preferisco i posti più tranquilli, tipo questo. – rispose indicando l’ambiente in cui si trovavano.

Da alcune settimane Alex e Jay avevano preso ad uscire. Spesso si vedevano per bere qualcosa al Molly’s, dove ormai anche la giovane era diventata di casa. Qualche sera prima aveva avuto l’occasione di ringraziare i vigili del fuoco della caserma 51, coloro che avevano provato a salvare Monique durante l’incendio nel loro appartamento. Aveva anche avuto modo di fare due chiacchere con Sylvie Brett, il paramedico che aveva portato lei e Max al pronto soccorso.

Non c’era stato nulla fra lei ed il detective, anche se non poteva negare che ci fosse attrazione fra di loro. Jay ci andava molto cauto, temeva che potesse essere ancora troppo presto per Alex; per questo aveva deciso di invitarla sempre e solo per un drink.

-Sarà meglio che vada. – disse ad un tratto Alex, guardando l’orologio al polso – Domani devo lavorare. – spiegò mentre scendeva dallo sgabello e faceva un cenno ad Otis per pagare. – Lascia, faccio io! – la fermò Halstead ma lei gli bloccò la mano prima che estraesse il portafoglio – Hai già pagato tu le ultime volte. Questo giro pago io. – disse perentoria.

Uscirono dal Molly’s dopo aver salutato una sfilza di persone che orami la conoscevano come fosse parte della grande famiglia di Chicago. La cosa la faceva sentire strana: da una parte si sentiva protetta, come se ci fosse una nuova famiglia dalla sua parte; dall’altra non riusciva a capire se quella sensazione le piacesse. Ormai si era abituata a contare solo su se stessa.

-*-

Jay spese il motore sotto casa di Alex. Si soffermò sui suoi occhi che, nonostante la penombra dell’auto, rispendevano di luce propria. Dopo gli avvenimenti con Danny, le ci erano voluti più di dieci giorni per superare lo shock del rapimento. In quell’istante però sembrava che si fosse lasciata tutto alle spalle, che ogni suo pensiero si fosse eclissato per lasciarle godere di quella serata.

Lei si slacciò la cintura di sicurezza e mise una mano sulla maniglia della portiera ma nessuna delle sue terminazioni nervose sembrava intenzionata ad aprirla.

Poi Jay fece un movimento quasi impercettibile verso di lei e così fece lei. Si avvicinarono sempre maggiormente l’uno all’altra fino a quando le loro labbra si incontrarono. Fu un bacio che li trasportò su un pianeta lontano migliaia di anni luce dalla terra. La mano del detective prese ad accarezzare la guancia della ragazza che si fece ancora più vicina. Con il gomitò andò a premere sul clacson facendo sobbalzare entrambi. Come un fulmine Alex tornò sul suo sedile, si passò una mano sulla faccia incredula. Non aveva il coraggio di guardare nuovamente Jay. – Buonanotte. – disse frettolosamente mentre apriva la portiera e schizzava fuori dal SUV.

Halstead rimase imbambolato a fissare la giovane quasi correre per raggiungere il portone del condominio. Espirò rumorosamente, percepiva ancora il sapore di Alex sulle sue labbra. Rimise in moto la vettura e si diresse verso casa sua.

-*-

Faceva ticchettare le unghie sul bracciolo di legno della sedia nello studio del dottor Charles. – Come mai sei così agitata oggi Alex? – domandò lo psichiatra. Lei smise di muovere convulsamente le dita, come una bambina colta con le mani nel vaso di marmellata– Nulla! – si affrettò a dire – Non c’è nulla! – l’uomo si spostò gli occhiali sul naso – Ma non è ciò che ti ho chiesto… - un sorrisetto imbarazzato comparve sul viso di lei – Scusi… -

Daniel le lanciò uno sguardo quasi di tenerezza – Come stai? Sono passate sei settimane da quel fatto, hai ancora gli incubi? -. Alex si mosse nervosamente sulla sedia. Da quando era tornata a casa dopo essere quasi morta faceva una grande fatica a dormire: incubi e ricordi si susseguivano e si sovrapponevano quasi ogni notte. – Questa notte è andata meglio. – cominciò con un respiro profondo – Stranamente non ho visto mio padre, né Doherty… e tantomeno Colin. Però sentivo lo sparo ripetersi all’infinito. Ogni volta credevo di morire, poi riaprivo gli occhi e vedevo… - ma si bloccò. Lo psichiatra la incitò a continuare – Cosa? Cosa vedevi, o chi? –

Passarono alcuni istanti di silenzio – Vedevo il detective Halstead. Lo vedevo disteso a terra davanti a me. Morto. – si rendeva conto che fosse una cosa alquanto strana. Solitamente, se vedeva qualcuno ucciso, era sua madre o suo fratello, raramente suo padre. Ma mai, mai Jay. Daniel rimase leggermente sorpreso da quel dettaglio – Vi siete avvicinati in questi ultimi tempi tu e Jay, non è così? – lei rispose col capo – Perché credi che il tuo inconscio ti abbia fatto vedere proprio lui? – continuò il dottore nel tentativo di farla scavare più a fondo nel suo subconscio.
Alex rimase muta. Avrebbe dovuto dirgli del bacio? Era una cosa che avrebbe potuto aiutare? Forse era meglio tenerselo per sé, d’altronde anche il dottor Charles conosceva Halstead…

-Non devi dirmelo. L’importante è che tu ti renda conto del perché. – Aveva capito che fra i due era successo qualcosa di particolare, qualcosa che Alex non era pronta ad esprimere a parole. La cosa andava più che bene, Jay poteva aiutarla ad uscire da quel periodo difficile.

-*-

-Gisèle! – una ragazza dai capelli corti e neri scuoteva l’amica per le spalle – Gisèle! – riprovò. L’altra giovane, capelli lunghi e biondi, sembrava completamente assente. Alla terza volta che sentiva il suo nome pronunciato con accento francese, alzò lo sguardo sull’amica – Qu’est-ce que s’est passé?1 – domandò cercando di riorganizzare le poche immagini frammentate della serata passata in un night club di Chicago.

Un passante capì che qualcosa non andava, così chiamò un’ambulanza e provò a capire dalle due turiste cosa fosse successo. Quella seduta sull’asfalto non smetteva di fissare un punto senza proferire parola, l’altra non capiva la lingua e continuava a ripetere parole che per l’uomo non volevano dire nulla.

I paramedici visitarono la giovane, capendo che si trattava molto probabilmente di violenza sessuale. Diedero l’informazione alla centrale che avvisò la squadra dell’Intelligence.

-*-

Il mattino seguente, Voight mandò Hailey e Jay in ospedale per provare a capire dall’amica cosa fosse successo. Quando arrivarono in pronto soccorso incrociarono Natalie – Ciao ragazzi! – li salutò prendendo una cartellina in mano – Immagino siate qui per la mia paziente: la turista francese vittima di stupro. – Upton annuì col capo – Ci puoi dire qualcosa? – la dottoressa gli fece cenno di seguirla – Abbiamo fatto il kit stupro e l’abbiamo già mandato in laboratorio per analizzarlo. Dalle ragazze non abbiamo ancora saputo nulla, stiamo attendendo l’arrivo di un traduttore. Ma sembrerebbe che non ci sia nessuno disponibile in questo momento… - sbuffò frustrata.

Entrarono nella stanza dove la vittima sembrava dormire. L’amica vegliava su di lei con le lacrime agli occhi. – Fleur Dubois? – chiese Upton a bassa voce. La giovane si voltò riconoscendo il suo nome. Guardò i due con gli occhi rossi – C’est toute ma faute!2 – disse in francese, scoppiando a piangere. Hailey, nonostante non avesse capito le sue parole, si avvicinò per consolarla.

-Dovrebbe venire con noi. Abbiamo delle domande. – provò Jay. Qualcosa doveva aver capitò perché prese la borsetta e il giubbino in pelle e seguì i due detective fuori dalla stanza.

-*-

Antonio stava appendendo la foto di Gisèle Leroux, la vittima di quella notte, sulla lavagna bianca – E con questa siamo a quattro ragazze stuprate in meno di due settimane. Tutte turiste, tutte drogate con la scopolamina. Aspettiamo il tossicologico dell’ultima vittima per conferma, ma penso che sia la stessa anche questa volta. – il resto della squadra stava dando un’occhiata ai fascicoli delle altre vittime: una ucraina, una spagnola, la terza italiana e l’ultima scandinava. Tutte erano in vacanza a Chicago con un’amica. Sembrava impossibile non notare uno schema. Ancora non avevano chiara la dinamica, però era certo che la droga venisse somministrata nel drink delle giovani. Tutte erano state al Vertigo: un night club conosciuto in tutta la città come il posto migliore per divertirsi e sballarsi.

Voight sbatté la cornetta con fare arrabbiato, tutti i presenti si girarono verso il suo ufficio ed attesero che uscisse per capire cosa fosse successo. – A quanto pare, Chicago non dispone di traduttori francesi! Quei pochi che ci sono, sono impegnati in un qualche convegno delle Nazioni Unite… - alzò le mani in segno di rassegnazione – Come facciamo con quella ragazza? – chiese Atwater indicando la sala interrogatori in cui era stata portata Fleur Dubois.

Il sergente fissò le foto delle vittime sulla lavagna mentre il suo cervello stava già ragionando per trovare un piano alternativo. Poi schioccò le dita e si voltò per tornare nel suo ufficio. – Capo? – provò a domandare Dawson seguendolo e chiudendosi la porta alle spalle – Hai un’idea? -. L’altro digitò qualcosa sulla tastiera, lesse sul monitor l’informazione che cercava ed alzò la cornetta componendo un numero.

Dall’altro capo rispose una voce femminile – Alex? Sono il sergente Voight. Conosci il francese? – domandò guardando Antonio che iniziava a capire. – Ottimo! Passa in centrale appena puoi. – ordinò prima di riattaccare senza attendere una risposta.

Il suo collaboratore lo fissava con sguardo misto tra il divertito ed il perplesso – E così chiediamo aiuto ad una civile? – Hank alzò nuovamente la cornetta, non degnando Antonio di una risposta – Sì Trudy, sono Hank. Quando arriva Alexandra Morel, falla passare. –

L’uomo mise una mano sulla spalla del suo detective – Ascolta Antonio. Abbiamo quattro vittime di stupro, le uniche persone che potrebbero essere testimoni erano troppo ubriache per capire cosa stesse succedendo attorno a loro. La ragazza che sta nella stanza accanto potrebbe essere la svolta che stavamo aspettando. E poi la Morel si è rivelata una tipa sveglia. E conosce il francese. – detto ciò, riaprì la porta e tornò dal resto della squadra.

-*-

Ricevere una chiamata dal sergente Voight non poteva essere una grande cosa. Nonostante avesse avuto l’occasione di vederlo fuori dal suo regno, le era sembrato sempre minaccioso e imponente. Quell’uomo le faceva una strana sensazione.

Per quale assurdo motivol’avesse cercata per chiederle se sapesse il francese restava un mistero; almeno fino a quando sarebbe arrivata al distretto e avrebbe potuto parlargli a quattr’occhi.

Camminò rapidamente per le vie di Chicago fino ad arrivare alla sua meta. Ancora quel marciapiede, nonostante fossero passati due mesi, le faceva lo stesso effetto del giorno dopo la morte di suo fratello. Si bloccò per un secondo a fissare il punto in cui Max era stato colpito e le aveva detto quelle parole che ancora le risuonavano nella mente: “Ti saluto la mamma…”.

Si riscosse da quel pensiero e salì i pochi scalini per entrare nell’edificio. Come sempre, c’era il sergente Platt al bancone dell’entrata. Si avvicinò e la salutò cordialmente – Alexandra! Hank ti sta aspettando. – la donna le fece cenno di salire all’ufficio dell’Intelligence ma poi si ricordò di una cosa e la richiamò – Il dipartimento attende una tua risposta in merito alla targa commemorativa per tuo fratello Max. so che è una questione delicata ma le famiglie delle altre vittime sono d’accordo, manca solo il tuo consenso. –

Alex posò una mano sulla superficie liscia del bancone – L’ho già detto: non voglio nulla del genere per Max. La famiglia Morel ha una concezione diversa della morte. E poi non credo che abbia senso una targa commemorativa se non c’è nessuno che lo commemori. – si allontanò senza aspettare una replica ed attese che il sergente Platt premesse il pulsante per aprirle il cancello che portava all’ufficio dell’Intelligence.

 
1 Cos’è successo?
2 è tutta colpa mia!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


Si sentì, come al solito, parecchio osservata. Puntò lo sguardo su Voight che le camminava incontro – Alexandra, grazie per essere venuta. – le strinse la mano e le fece segno di seguirlo oltre la sala svago. – Perché ha chiesto di me, sergente? – chiese ancora con la mente alla conversazione, se così si poteva chiamare, con Platt di poco prima.

-C’è una potenziale testimone di un caso di stupro. Il problema è la lingua: è francese. E non ci sono traduttori disponibili. – si fermarono davanti ad una porta in metallo leggero – Magari sa qualcosa o ha visto qualcosa che può esserci utile. – terminò di spiegare. Alex lo guardò ancora un po’ perplessa – Non mi sta dicendo qualcosa. – incrociò le braccia davanti al petto. Se volevano il suo aiuto, lei voleva sapere di cosa si trattasse. Non avrebbe potuto porre le domande giuste altrimenti.

-La ragazza in questa stanza è l’amica della vittima. Ci sono già state altre vittime con lo stesso modus operandi ma le amiche in quei casi erano troppo fatte o ubriache per capire. Questa sembrerebbe l’unica in grado di fornirci informazioni di un certo tipo. Cerca di farti dire tutto quello che ha visto e quello che hanno fatto quella notte. – Voight aprì la porta mostrando una stanza completamente spoglia; solo un tavolo, due sedie e una panca. Su una parete c’era uno specchio unidirezionale, su quella opposta una scritta: vietato fumare. Alex si domandò a quale sospettato potesse venire in mente di fumare, poi però decise di lasciar perdere.

Nella stanza c’era una ragazza che indossava ancora gli abiti della notte precedente: un tubino di strass che lasciava poco alla fantasia; il capo era chino sul tavolo e bisbigliava parole incomprensibili. Accanto allo specchio, appoggiato alla parete, c’era Jay. Quando la vide entrare sbarrò gli occhi incredulo – Alex? – domandò lanciando uno sguardo indagatore al suo capo.

Hank gli fece cenno di uscire – Lasciamole parlare da sole. – disse solo. Fece un cenno alla castana che rispose con lo stesso sguardo d’intesa e chiuse la porta alle spalle di Halstead. I due uomini andarono nello stanzino dall’altra parte dello specchio unidirezionale per vedere cosa succedeva nella stanza degli interrogatori. – Non sapevo avessi chiamato Alex. – disse il detective senza staccare gli occhi dalla giovane nell’altra stanza. – Non ero tenuto a dirtelo. – rispose atono il sergente. Poi si voltò per guardare il suo sottoposto – Pensaci bene prima di fare qualunque cosa con quella ragazza. Ci siamo capiti? – Jay rimase con gli occhi puntati in quelli di Voight – Quello che faccio nella mia vita privata non ti deve riguardare. – rispose con lo stesso tono del suo capo.

Solo in rare occasioni si era posto contro gli ordini di Voight, quasi sempre non era successo nulla ma altre volte si era rivelata, alla fine, la scelta sbagliata. Quella volta sarebbe stata assolutamente giusta.

-Dico solo che ne ha passate tante, come te. Non vorrei che uno dei miei migliori detective si perdesse. – non aggiunse altro e tornò a guardare ciò che succedeva nell’altra stanza.

-*-

Alex si sedette accanto alla giovane che aveva alzato stancamente la testa – Salut, je suis Alex. Comment tu t’appelles?1 – chiese provando a sembrare il più delicata possibile. L’altra si soffiò il naso con un fazzolettino di carta – Fleur. – disse solo, così Alex continuò – Qu’est-ce que s’est passè cette nuit?2

Fleur cominciò a giocherellare nervosamente con le mani – C’est toute ma faute!3 – esclamò con le lacrime che ricominciavano a sgorgare dagli occhi – Pourqoui? Pourquoi c’est ta faute?4 –provò ancora Alex. – C’etait moi qui voulait aller dans ce club!5 – proruppe la francese guardando la sua interlocutrice come se si sentisse un mostro – Nous sommes allé dans le “Vertigo”, après Gisèle voulait prendre quelque chose a boir. Il y avait beaucoup de gens… Elle n’arrivait plus mais je croyais que c’était puor la queue…6 – si soffiò nuovamente il naso e si asciugò l’ennesima lacrima che le scivolava lungo la guancia. Alex le accarezzò un braccio – Et après?7 – capiva di fare troppe domande ma, da come le era stata illustrata la situazione da Voight, probabilmente chiunque avesse violentato Gisèle, l’avrebbe fatto ancora.

-Après plus ou moins 40 minutes je me suis préoccupé et je suis allé la chercher.8 – riprese Fleur, dopo una breve pausa di silenzio – Je l’ai cherché à la toilette, près du bar, dehors… mais elle était introuvable!9 – Alex si massaggiò il collo per capire cosa potesse essere successo in quel buco di quasi un’ora. Fleur diceva che fosse passata una quarantina di minuti prima che si preoccupasse, però lei era abbastanza certa che fosse maggiore il tempo trascorso. Una cosa sapeva dei nught club: il tempo scorreva in modo strano, nessuno guardava mai l’orologio e ore sembravano minuti.

-*-

Si richiuse la porta della sala interrogatori alle spalle dopo chissà quanto tempo. Espirò stancamente mentre si avviava verso il fulcro dell’Intelligence; avrebbe dovuto fare un resoconto di tutto quello che si erano dette le due ragazze in quelle che, scoprì guardando il cellulare, erano state quasi due ore.

Ad un certo punto era entrata Kim con due bottigliette di acqua e un tramezzino per Fleur, aveva chiesto rapidamente come stesse andando e si smaterializzò in pochi attimi.

Quando apparve vicino alla scrivania di Jay, la squadra si voltò a guardarla – Allora? Che ti ha detto? – domandò Ruzek, impaziente di capirci qualcosa su quel caso che sembrava irrisolvibile. Halstead si alzò e le lasciò la sedia libera. Il gesto le provocò una reazione strana: una parte di lei si sentiva grata per il gesto, l’altra parte però non sapeva come decifrarlo. Per evitare ogni tipo di commento, decise di ignorare il muto invito del detective e si avvicinò alla lavagna su cui erano segnate le informazioni che avevano raccolto fino a quel momento.

Voight la fissava con le braccia conserte al petto – Spero sia stata utile. – disse solo. Alex alzò le spalle – Questo non lo so. Per quello che mi riguarda: sì. Però non sono io la detective qui. – notò che quel commento aveva suscitato una leggera ilarità nei presenti, in tutti tranne che al capo. Hank rimase immobile, come se nulla fosse, così la giovane capì che era meglio riportare le informazioni raccolte e volatilizzarsi.

-Fleur ha perso Gisèle di vista per più di un’ora. La vittima – ed indicò la foto di Gisèle Leroux appesa alla lavagna – si è allontanata per prendersi un drink. Dopo un tempo imprecisato, l’amica ha cominciato a preoccuparsi ed è andata a cercarla, senza successo. Poi, mentre si trovava fuori dal club, ha sentito qualcuno lamentarsi nel vicolo accanto al “Vertigo”, è andata a vedere e ha trovato la vittima semisdraiata sull’asfalto. -. I presenti rimasero a fissarla per alcuni istanti nel silenzio più totale.

Il cellulare cominciò a vibrare e suonare nella tasca della borsa di Alex. Si affrettò ad estrarlo e vide che era la sveglia che aveva puntato per ricordarsi di andare a lavoro. Zittì quella melodia quasi assordante e ripose l’apparecchio nel punto in cui stava praticamente sempre – Bene. Io vi lascio, ho un lavoro retribuito che mi aspetta. – forse le era uscita un po’ troppo male, però le ore che aveva “sprecato” per parlare con quella francese di certo non le avrebbero fruttato nemmeno un centesimo. E lei, in quel momento, aveva un disperato bisogno di soldi.

Si incamminò verso le scale poi si bloccò sul primo scalino – Se vi servisse ancora il mio francese, chiamatemi. – e riprese affrettatamente a percorrere la scalinata. Quelle due povere ragazze non avevano fatto nulla, non era giusto preoccuparsi solo per i suoi problemi… Pensò mentre correva verso la fermata della metropolitana più vicina.

-*-

Nell’ufficio era rimasto il silenzio per un altro paio di minuti dopo l’uscita di scena di Alex. Adam soffocò una risata con un colpo di tosse – Non si può certo dire che non sia un tipo! – esclamò girandosi poi verso Halstead – Ma fa sempre così? – gli chiese con ancora il sorriso sulla faccia. L’altro gli rifilò un’occhiataccia – Fingerò che tu non abbia aperto bocca, okay? – e tornò a guardare Voight – Come procediamo adesso? –

Il sergente stava fissando la bacheca con le foto delle vittime –Burgess e Hatwater – indicò i suoi sottoposti – Andate al Vertigo e fate un po’ di domande in giro. Cercate di avere più informazioni possibili dai dipendenti del night. Qualcuno dovrà pur aver visto qualcosa! – i due agenti fecero un cenno affermativo col capo e si affrettarono verso l’uscita sul retro.

Adam schioccò le dita richiamando i rimanenti all’attenzione – Mi è venuto in mente che il Vertigo ha una pagina Facebook su cui chiunque sia stato in quel locala può postare foto e video della serata. È una sorta di pubblicità… - rapidamente aprì la pagina di cui parlava e scorse le immagini postate. – Vai alla sera del primo stupro. – gli consigliò Hailey guardando a sua volta sul monitor del collega.

Quando arrivò alle foto di quella serata quasi gli venne male. – Ma sono un’infinità! – si lagnò lanciando un’occhiata ad Antonio. Voight gli mise una mano sulla spalla, per nulla delicatamente – Sarà tuo compito visionarle tutte. Upton, dagli una mano. –. La donna tornò alla sua scrivania per eseguire l’ordine del capo mentre Ruzek sbuffava.




1 Ciao, io sono Alex. Tu come ti chiami?
2 Cos’è successo questa notte?
3 è tutta colpa mia!
4 Perché? Perché è colpa tua?
5 Ero io che volevo andare in quel club!
6 Siamo andate al “Vertigo”, dopo Gisèle voleva prendere qualcosa da bere. C’era tanta gente… Non arrivava più ma credevo che fosse per la fila…
7 E poi?
8 Dopo più o meno 40 minuti mi sono preoccupata e sono andata a cercarla.
9 L’ho cercata al bagno, vicino al bar, fuori… ma era introvabile!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


-Allora… chi è quel tipo con quella bella voce, che ha risposto al tuo telefono? Ho aspettato di tornare dalle vacanze per chiedertelo, non mi sembrava carino farti l’interrogatorio per telefono… Ma ora sono tornata e voglio sapere tutto! – Madison, l’unica amica di Alex la fissava con due occhi indagatori.

Quella sera avevano deciso di bersi un bicchiere di vino, o anche due, nella tranquillità dell’appartamento di Alex. Mady era appena tornata da un viaggio di un mese in Toscana. Il suo compagno, che di lavoro faceva il sommelier, aveva dovuto andare in Italia per dei convegni e degli assaggi di nuovi vini, o chissà cosa. Fatto stava che Madison aveva viaggiato come una gran dama, tutto spesato dall’azienda vinicola per cui lavorava Zac, il suo compagno. A volte Alex la invidiava un po’: vino gratis, viaggi di lusso e un uomo con cui aveva una relazione splendida da ormai cinque anni e con cui conviveva da tre e mezzo. Anche lei avrebbe voluto qualcosa del genere.
-Non lasciarmi sulle spine! – la ragazza diede una pacca alla spalla di Alex che quasi fece rovesciare il bicchiere che teneva in mano. – Si chiama Jay. – disse prima di bere un altro sorso di un ottimo Brunello di Montalcino, souvenir che le avevano portato dalla Toscana.

-E? – provò ad incitarla. Alex alzò le spalle – E non lo so… Che vuoi sapere?! – Mady si accorse come le difese dall’amica si stessero già alzando, ma non voleva dargliela vinta – Voglio sapere come mai ha risposto lui al tuo telefono, ad esempio. Poi vorrei sapere com’è fatto, è carino? È gentile? Siete già usciti? – la castana la fermò – Va bene, va bene! Con calma! Partirò dall’inizio, okay? – l’amica applaudì teatralmente, con un sorriso a trentadue denti.

-L’ho conosciuto subito dopo l’incendio. È un detective ed era venuto a farmi delle domande. – Mady la interruppe – Un detective?! Mi piace! – l’altra la guardò con rassegnazione. Per quanto stesse con un sommelier, la ragazza aveva sempre avuto un debole per le divise… - Siamo usciti un paio di volte… niente di che. Solo per un drink… - Madison versò altro vino nei loro bicchieri – E come ti senti a stare con lui? – le chiese con fare da psicoterapeuta. – Solo perché hai studiato psicologia, non puoi analizzarmi! – si schermò Alex. L’altra alzò le spalle divertita – Oh andiamo. Lo sappiamo entrambe che, se non fosse per le mie domande da terapeuta, tu non scuciresti manco un piccolo dettaglio. – e le rifilò la sua solita faccia da sorella maggiore e protettiva. L’altra si chiuse nelle spalle – Sai che non sono un granché in queste cose… - provò a giustificarsi, senza un grande successo.

-Comunque – riprese dopo un altro sorso – Con lui sto bene, credo. È simpatico e gentile e mi… - ma si bloccò. Madison non sapeva nulla del rapimento. Non sapeva nemmeno che Danny O’Brian fosse vivo. Quando si erano conosciute, sul luogo di lavoro (un banco informativo alla stazione degli autobus), Alex aveva raccontato che il padre era morto quando lei era ancora piccola e non aveva mai detto nulla di tutta la questione “Mafia irlandese”. – Mi è stato vicino. – concluse alla fine.

Mady la guardò senza capire – E perché, da come lo dici, sembra un male? – l’altra finì il secondo bicchiere di vino – Ho paura che sia solo compatimento. Ecco! Mi ha vista in un momento difficile, con mia madre e Max che se n’erano appena andati, temo che quello che prova, se prova qualcosa per me, sia solo dovuto ad un senso di aiuto nei confronti di una ragazza in difficoltà. –. Madison le circondò le spalle con un braccio – Ale ascolta! Se non ci provi con questo bel detective, se non cerchi di approfondire la cosa, non saprai mai cosa prova realmente. Devo ricordarti di Vince? – domandò sarcasticamente.

Vince era stato il primo amore di Alex. A vent’anni l’aveva conosciuto tramite un’altra collega del banco informativo. Aveva subito provato qualcosa per lui ma si era sempre trattenuta dal fare qualunque cosa con la paura di essere respinta. Alla fine, aveva fatto lui la prima mossa e l’aveva invitata fuori per un aperitivo. La storia era durata quasi un anno, poi lei aveva capito che fra loro non c’era praticamente nulla che li accomunasse, avevano idee diverse su quasi tutto. Lui credeva che la loro, sarebbe stata una relazione che si sarebbe evoluta in qualcosa di duraturo e stabile, dopo qualche mese aveva già cominciato ad accennare al matrimonio. Sul momento Alex era rimasta quasi lusingata da quell’idea poi però, col passare del tempo si era resa conto che non avrebbe mai voluto passare il resto della sua vita con lui. E così, con un grande atto di coraggio, l’aveva lasciato senza dargli possibilità di replica.

-Ma non c’è stato qualche gesto che potrebbe aiutarti a capire qualcosa di più sui suoi sentimenti? – provò ancora Madison mentre versava quello che poteva essere il quarto bicchiere. Fu in quel momento che Alex decise di lanciare la bomba – Ci siamo baciati. – all’altra quasi cadde la bottiglia di mano – E quando pensavi di darmi questo inutilissimo dettaglio?! -

Per la mezz’ora successiva, Mady provò a scucire ulteriori informazioni all’amica riuscendo però ad ottenere poco o niente. Provò in tutti i modi, persino con la minaccia di non passarle più parte delle bottiglie che Zac portava a casa quasi ogni mese.

-Ma perché perdi la tua serata qui, a casa tua, sul divano, con me? – quasi la sgridò strappandole il bicchiere dalla mano – Perché sei mia amica, no? Perché speravo che mi avresti raccontato della Toscana, non pensavo mi avresti fatto un interrogatorio degno dell’Intelligence! – incrociò le braccia al petto infastidita. Madison scattò in piedi – Oh tesoro! Io posso raccontarti della Toscana, dell’Italia e di tutto quel vino un’altra volta. Tu rischi di perderti quel bel detective se non vai da lui subito! -

Schizzò come una furia nella stanza di Alex e rovistò nel suo armadio – Oddio tesoro! Che orrore il tuo guardaroba… - ne uscì con una felpa nera, decisamente non della taglia giusta, in mano – Va bene che dovevi comprare il minimo indispensabile e le cose che possono essere più utili… ma questa? Spero tu l’abbia comprata per un dollaro al massimo. – Alex quasi corse a strappare quell’indumento dalle mani dell’amica – Non è mia! -. A Mady comparve un luccichio inquietante negli occhi – Me l’ha solo prestata. – provò a giustificarsi avendo già capito cosa frullava nella testa dell’altra. – Sì certo! – rispose sarcastica – Allora questo è giusto il caso di restituirgliela, non credi? – quel sorriso raccapricciante era ancora sulla sua faccia. – Forse dovrei… Ma forse prima dovrei lavarla. No? –

Madison afferrò l’amica per una spalla e la costrinse a sedersi sul letto – Sei un caso perso Ale! Ora tu ti infili qualcosa di meglio della tuta che hai indosso ora e vai dal tuo bel detective! – l’altra si rialzò rassegnata e si mise a cercare qualcosa nell’armadio – Va bene, ma non chiamarlo più “il mio bel detective”. Ci siamo capite? – commentò mentre trovava un paio di Jeans e una canottiera rosa pastello.

-*-

Dopo una ventina di minuti e un altro paio di bicchieri di vino, Alex si sentiva meno cretina all’idea di presentarsi a casa di Jay. Madison la spinse fuori dall’appartamento afferrando la sua borsa, quella di Alex e le chiavi del monolocale. L’altra si bloccò dopo un passo – No, è una cavolata! Torno dentro… - provò a sorpassare l’amica che la immobilizzò – Ora tu ti decidi ad andare da lui! Sono stufa di vederti single. Tutta quella tensione sessuale non ti fa bene cara mia! – e dicendo quello indicava vagamente il corpo dell’altra.

Alex scosse il capo rassegnata – Ma sarai tu a portarmici in auto! – Mady imprecò mentre scendeva le scale – Perché non ti decidi a comprare un’auto?! – l’altra le diede un colpo con la borsa – Non commentare! Io non ho un compagno ricco, men che meno un lavoro redditizio! Quindi, taci! –. L’intero giroscale risuonò della risata divertita di Madison.

Quando furono in auto, Alex sentì che il nervosismo si faceva sempre più presente e le stringeva lo stomaco. Per quale motivo si era fatta convincere da quella pazza scatenata, senza freni, della sua amica?! Forse perché, in fondo, sperava che quel bacio avesse significato per il detective lo stesso che per lei.

Madison accostò a pochi passi dall’edificio in cui c’era l’appartamento di Halstead. Le due si guardarono per qualche secondo, Alex non dava cenno di voler smontare. – Allora? Perché non ti muovi? Vai dai! – la incitò nuovamente. L’altra lanciò un’occhiata al portone – Ma probabilmente non è neppure in casa… in fondo sono appena passate le undici. Probabilmente è con qualche suo collega al pub… - stava temporeggiando così Mady si sporse per aprire la portiera dalla parte di Alex – Se non vai, non lo saprai mai. E poi, se non scendi subito giuro che ti faccio scendere a calci! – le diede una leggera spinta sulla spalla e questa finalmente si mosse fuori dalla vettura.

Arrivò sul pianerottolo dell’appartamento di Jay, quello in cui era stata subito dopo la morte di Max… Però in quel momento le sembrava che tutto fosse lontano anni luce, come se non fosse mai successo, o che non fosse successo a lei.

Bussò prima piano, poi più convinta. Attese qualche minuto ma nessuno andò ad aprire, né percepì dei rumori provenire dall’interno. – Uhm! Come immaginavo! – disse fra sé e sé mentre si voltava e tornava sui suoi passi.

-Alex? – Jay stava salendo in quel momento le scale e si ritrovò la ragazza davanti a sé. A lei quasi venne un infarto. – Ciao. – disse cercando di nascondere la sua sorpresa – Che ci fai qui? – chiese lui, avvicinandosi di qualche passo.

La giovane si toccò una ciocca di capelli – Cercavo te… - ammise quasi in un sussurro. Poi si ricordò di avere la felpa del detective addosso e si affrettò a levarsela – Ti cercavo per ridarti questa! – disse rapidamente cacciandogli l’indumento fra le mani.

Rimasero a fissarsi per alcuni secondi, poi Jay si riprese dallo stato di trance – Vieni dentro? Ti offro qualcosa da bere. – le fece cenno di avvicinarsi alla porta del suo appartamento – Grazie, ma ho già bevuto abbastanza per questa sera. – nonostante le sue parole, stava seguendo l’uomo oltre la porta d’ingresso. Appoggiò la borsa sul divano a pochi passi dall’entrata e si voltò verso Halstead.

- È carino qui. – provò a trovare un argomento di conversazione visto che l’aria si era fatta strana. Jay le si avvicinò annuendo con la testa – Sì, sì è carino… - disse ad un centimetro dalla ragazza. Si guardarono negli occhi per alcuni secondi. Alex non riuscì più a sopportare quell’attesa e si alzò sulle punte per raggiungere le labbra del detective.

Da quel bacio scaturì un’infinità di emozioni che li portò ad esplorare l’uno il corpo dell’altra. Fu una notte splendida. Una notte in cui entrambi, almeno per un po’, dimenticarono il caos delle loro vite e le brutture che dominavano il mondo.

-*-

Hailey smontò dall’auto assieme a Ruzek. Si trovavano assieme, in un pub poco lontano dalla scena del crimine, al momento della chiamata da parte del loro sergente. La detective sollevò il nastro giallo che delimitava la scena e si avvicinò a Burgess che stava segnando qualche appunto sul suo taccuino – Cos’abbiamo? – temendo però di sapere già la risposta.

Kim si abbassò verso il telo che copriva un corpo, lo spostò quel tanto da permettere la visuale alla collega. Il corpo era di una giovane donna, sui venticinque, capelli castani. – L’ha trovata l’amica. – cominciò a spiegare Burgess – Si chiamava Hanna Thaler, era in vacanza a Chicago con l’amica, entrambe tedesche. Volevano divertirsi e sono andate al Vertigo. – Upton scosse il capo – Un’altra vittima… - l’altra si rimise in piedi dopo aver ricoperto il corpo – Già, però questa volta ci è scappato il morto… Dobbiamo riuscire a capire cosa succede in questo club! – esclamò prima di andare a ragguagliare il sergente, appena arrivato sulla scena.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


Si trovava nuovamente in quella maledetta distilleria fatiscente. Colin la guardava con disprezzo e sul viso aveva dipinto un ghigno malefico. Puntava la pistola oltre le spalle della giovane. – Alex… - la voce di Jay, implorante perché lei facesse qualcosa per impedire al cugino di ucciderlo, le spezzò il cuore. Si voltò per guardare il detective negli occhi proprio nel momento in cui Colin faceva fuoco. Il proiettile si conficcò nel petto di Jay che, privo di vita, cadeva al suolo provocando un suono sordo.

-*-

Si svegliò di scatto spalancando gli occhi e realizzando che era stato tutto un incubo, il solito incubo. Tastò la metà del letto in cui avrebbe dovuto esserci l’uomo con cui aveva passato la notte ma la trovò vuota. Lottando contro la voglia di rimanere fra le lenzuola belle calde, si mise a sedere e cercò di recuperare gli slip e il reggiseno. Infilò la t-shirt che aveva levato a Jay la sera prima e si indirizzò verso il cucinino.

L’aria di tutto l’appartamento era impregnata di caffè. Quel profumo le riportò alla mente tutte le mattine in cui si era svegliata nel suo vecchio appartamento. Sua madre che andava a svegliarla, vista la sua incapacità di sentire le sveglie, il caffè che veniva versato nelle tazze, la perenne agitazione che portava Max quando si alzava, sempre carico di energie, quella bellissima sensazione di famiglia e calore…

-Buongiorno! – la salutò Jay con un sorriso. La giovane si riprese dai suoi pensieri e ricambiò lo sguardo gioioso – Buongiorno! -. Per puro caso lanciò uno sguardo verso il divano che riempiva quasi interamente la zona dell’appartamento adibita a soggiorno. Notò che era sbucata una giacca in pelle che, ne era certa, la sera prima non c’era. Poi osservò più attentamente l’uomo e si accorse che aveva lo sguardo fin troppo sveglio. – Sei uscito? – domandò gentilmente ma senza tanti giri di parole. Lui le versò una tazza di caffè – Mi hanno chiamato per lavoro questa notte. Ho cercato di non svegliarti… - il tono era quello delle scuse così Alex si affrettò a chiarire la questione – Io non ho sentito nulla! Ho solo notato la giacca sul divano… - le guance le si arrossarono per l’imbarazzo – Tendenzialmente, quando dormo potrebbe scoppiare una bomba accanto a me e non me ne accorgerei… - alzò le spalle mentre Halstead le si avvicinava con una risata che scappava al suo controllo.

In due passi le fu ad un soffio. Si prese qualche attimo per osservare il viso di lei, quel leggero imbarazzo che la rendeva così tenera, quasi infantile, completamente diversa da come l’aveva vista quella notte. Si soffermò poi sugli occhi nocciola: sembravano nascondere così tanto… però riuscivano a risplendere di una luce gioiosa, nonostante tutto quello a cui era stata sottoposta nella sua vita.

Alex si sentiva quasi sotto esame a quello sguardo così profondo del detective. – Che c’è? – domandò con un sussurro. Lui le portò una ciocca di capelli dietro un orecchio – Nulla. Vorrei solo riuscire a capirti di più… - le accarezzò una guancia – Col tempo, forse… - rispose lei sinceramente – Non mi apro tanto facilmente… -. Jay si abbassò quel tanto per lasciale un leggero bacio sulle labbra – Lo so. Arriverà il momento. – disse solo prima di tornare a versare il caffè in una seconda tazza.

-*-

-Il tossicologico lo conferma: anche Hanna Thaler è stata drogata con la scopolamina. Questa volta però hanno sbagliato le dosi ed è stata morta di overdose. – spiegò Antonio mentre aggiungeva la foto dell’ultima vittima alla bacheca, accanto a quella di Gisèle. Kim stava riesaminando i fascicoli delle varie vittime, continuando a non trovare un senso a quel caso. Perché venivano scelte proprio quelle ragazze? Chi le drogava? Dove le portavano per violentarle? Come facevano a riportarle fuori dal Vertigo in meno di un’ora?

Voight salì gli scalini seguito dal sergente Platt – Ora la questione è sotto tutti i riflettori. Il sindaco vuole a tutti i costi qualcuno in manette entro domani! La vostra chiacchierata col personale? – chiese rivolto a Kevin e Burgess. I due scossero la testa sconsolati – O nessuno ha realmente visto nulla o qualcuno sta coprendo i responsabili. – spiegò Atwater – Abbiamo parlato con tutti ma nulla… - finì la sua collega. Hank si voltò verso Ruzek e Upton – E voi? Che mi dite delle foto? È saltato fuori qualcosa? – i due apparivano rassegnati quanto gli altri due – Nulla di nulla. C’è solo una foto in cui si intravede qualcuno che potrebbe essere Diana Lopez, la seconda vittima, trascinata da un uomo. Però lui non si vede per niente… - disse Hailey – Quindi non abbiamo ancora nulla?! Dopo quasi due settimane? – il sergente era fuori di sé – Tornate in quel club! Fate domande! Adesso si parla di omicidio, qualcuno avrà paura e parlerà! – sbraitò prima di chiudersi nel suo ufficio con Trudy.

La squadra si organizzò per seguire le indicazioni del capo. Tutti, tranne Antonio e Kim, sarebbero andati al Vertigo per fare altre domande. Voight aveva ragione: qualcuno doveva sapere qualcosa. La cosa difficile era far parlare quel qualcuno.

-*-

Quel giorno Alex si sentiva diversa, più leggera. La notte passata con Jay le aveva fatto cancellare gli avvenimenti degli ultimi mesi. Certo, il risveglio non era stato un granché, però per un po’ si era sentita come tutte le altre.

Finito il lavoro si diresse verso il Med per la sua seduta col Dottor Charles. Per tutta la strada si domandò se l’uomo si sarebbe reso conto che qualcosa era cambiato, arrivando fuori dall’ospedale con le mani sudate e le palpitazioni. Era talmente presa dai suoi pensieri che andò ad urtare una figura asciutta che stava camminando nel senso opposto.

-Scusi. – si affrettò a dire la giovane mentre si voltava per vedere chi avesse appena colpito. – Fleur? – domandò stupita. La francese si asciugò gli occhi – Alex… - disse prima di scoppiare a piangere. Alex non se la sentì di lasciarla lì in quel modo, così le si fece più vicina e la strinse in un abbraccio.

Dopo un tempo indefinito, le due si staccarono – Ça va mieux?1 – chiese Alex cercando nella borsa un altro fazzoletto per la francese. L’altra annuì piano col capo – J’ai honte de ce que c’est passé!2 – esclamò rabbiosa – Je l’aurais dù savoir…3 – si soffiò il naso per l’ennesima volta. Alex le continuò a passare una mano sulla schiena, provando a confortarla – Tu ne pouvais pas.4
Fleur tornò nel suo mutismo per un altro paio di minuti, poi alzò lo sguardo su Alex – Il y aurait une chose… Tu peux parler avec Gisèle?5 – domandò con un tono di speranza. L’altra la fissò indagatoria ma decise di acconsentire a vedere la vittima.

Arrivarono nella stanza in cui era ricoverata Gisèle Leroux. Fleur fece una rapida presentazione e incitò l’amica a raccontare all’estranea ciò che ricordava di quella notte. – Il y avait un homme… Je ne me rappelle beaucoup mais… Il avait une longue barbe. Et aussi un tatouage sur le bras, je croix le droit… je ne suis pas sûre.6 – Gisèle tremava ancora a ripensare a quel poco che ricordava di quella notte.

Alex rimase a fisare prima una, poi l’altra francese. Era rimasta quasi sconcertata da tutto quello: perché una perfetta sconosciuta parlava con lei e non con la polizia?

-Pourquoi tu n’as pas dit à la police cettes informations?7 – domandò perplessa. L’altra si torturò le mani – Je voudrais seulement oublier. Je ne me rappelle beaucoup mais je voudrais oublier même la plus petite chose!8 – la voce le si incrinò ma si trattenne dal piangere. Alex la guardò immaginando cosa potesse provare in quel momento – Il faut le dire à la police. Ça peut être d’aide…9 - spiegò rimanendo seria. Le due francesi si scambiarono uno sguardo e, dopo un muto consiglio, la vittima acconsentì con la testa.

Alex rimase a riflettere su come procedere. Uscì dalla stanza per poter pensare senza le due ragazze a fissarla e si imbatté nella dottoressa Manning. – Alex! Come stai? – domandò la donna con un sorriso solare sul viso. L’altra ricambiò il sorriso pensando bene di cogliere la palla al balzo – Bene grazie. È Lei ad avere in cura Gisèle Leroux, vero? – la dottoressa fece un cenno affermativo – Stavo giusto aspettando l’interprete per poter parlare con quella povera ragazza. – spiegò sollevando leggermente una cartellina che, quasi sicuramente, era di Gisèle. – Posso farlo io! – esclamò Alex – Mia madre era francese, mi ha insegnato la lingua. – continuò dato lo sguardo indagatore della dottoressa.

Tornarono nella stanza assieme. Natalie aveva una buona notizia per la sua paziente: poteva essere dimessa nel giro di poche ore. Alla notizia, Alex spiegò rapidamente la questione alla dottoressa che, certa che la cosa avrebbe potuto aiutare psicologicamente la vittima, procedette con le carte affinché Gisèle fosse dimessa in poco più di una mezzora.

-*-

Entrarono nel ventunesimo distretto a metà pomeriggio. Alex si avvicinò subito al bancone di fronte all’entrata, le due francesi pochi passi dietro di lei. Come le vide, il sergente Platt si alzò dalla sedia su cui si era seduta poco prima – Come mai qui? – domandò alla ragazza più vicina al bancone – Ci sono nuove informazioni che potrebbero essere utili al caso. Dovremmo parlare con Voight! -. La donna guardò indagatrice tutte e tre, concentrandosi maggiormente su Alex – Andate… - concesse alla fine.

Camminarono a passo veloce fino in cima alle scale. Sicuramente la Platt aveva già avvisato l’Intelligence. Difatti, come arrivarono nell’ufficio, si trovarono con gli occhi di tutti puntati addosso. Le due turiste rimasero immobili, imbarazzate. Alex invece fece quei pochi passi per arrivare di fronte al capo. – Gisèle ha informazioni utili. – disse solo. Voight allargò le braccia – Sentiamo. – poi guardò Ruzek – Porta e ragazze nella sala interrogatori. – tornò a guardare Alex – Tu no. Voglio fare due chiacchere con te. – fece cenno alla ragazza di seguirlo nel suo ufficio.

-*-

-E così la vittima ti ha detto che l’uomo che l’ha aggredita ha la barba e un tatuaggio sul braccio. – fece un riassunto il sergente. Alex affermò col capo – Probabilmente sul destro, sì. – Hank continuò a guardare poco convinto la giovane – Lo so cosa sta pensando: perché non ha detto nulla prima? Me lo sono chiesta pure io. La sua risposta è stata che vuole dimenticare. Posso immaginare quello che prova ma non riesco a capire la sua decisione! – sfogò quel pensiero che le ronzava nella mente fin da quando aveva sentito quella scusa in ospedale.

L’uomo incrociò le dita sulla scrivania continuando a fissare la ragazza – Perché non dice nulla? – domandò lei ad un passo dall’irritazione. – Non saprei Alexandra. Non è la prima volta che sei seduta su quella sedia ad atteggiarti come una detective che sa più di tutta la mia squadra messa assieme… Dimmi tu come dovrei comportarmi. – disse seriamente il sergente. Alex rimase immobile per alcuni attimi – Io… ho solo una buona capacità di ragionare. Da quello che ho visto sulla vostra bacheca, chiunque scelga le ragazze le cerca di un certo tipo: tutte straniere, probabilmente perché così è più difficile per loro raccontare l’accaduto qualora si ricordassero qualcosa; tutte vanno da sole ad ordinare un drink, sicuramente chi le sceglie pensa siano sole… - poi si rese conto che Voight aveva una specie di sorriso di scherno – Scusi. – si affrettò a dire rendendosi conto di aver cominciato ad ipotizzare, nemmeno facesse parte del corpo di polizia – Ha ragione, tendo a dedure molto… -

Hank rimase fisso su di una Alex parecchio imbarazzata, mentre metteva assieme un piano per fermare quella serie di aggressioni. – Ho un’idea. – disse calmo dopo alcuni secondi. Si alzò senza dire nulla e tornò dal resto della squadra.

Jay era apparso alla sua scrivania e sbarrò gli occhi quando vide chi si era chiuso nell’ufficio col capo. Si trattenne dal dire qualunque cosa solo perché Voight richiamò immediatamente l’attenzione di tutti i presenti. – Mandiamo qualcuno sotto copertura. – cominciò a spiegare – Vado io! – esclamò slanciata Burgess. Il capo scosse il capo – No, tu e Upton vi siete già fatte vedere al night. Non possiamo rischiare di mandare l’operazione a puttane. Deve andare qualcuno che non ci sia mai stato, che sappia fingere di essere una turista e che non si faccia drogare. –

Alex, che per un primo momento si era domandata perché fosse ancora lì, capì che Voight si era già creato tutto un film nella sua testa. A costo di sentirsi dire che era pazza fece un passo verso il sergente – Io? Potrei riuscirci. – di colpo tutta la sua sicurezza era svanita. Gli occhi dei presenti puntati addosso non le facilitavano di certo la cosa. Jay lasciò cadere la penna con cui stava giocherellando – Stai scherzando, spero! – esclamò.

La giovane si voltò nella sua direzione – Perché? Non sono mai stata al Vertigo, so parlare il francese come fossi nata in Francia e di certo non bevo un drink sapendo che dentro c’è della droga! – il detective, ignorando il luogo in cui si trovavano, si alzò dalla sua sedia e fece un cenno ad Alex – Mi concedi un attimo? – domandò senza attendere una risposta. Suo malgrado, lei lo seguì nella sala ristoro.

-Sai che è una follia vero? Non sappiamo chi sia il responsabile! Non possiamo essere certi che non ti succeda qualcosa! Alex, lascia stare… Ti prego. – provò a supplicarla lui ma lei era ferma sulla sua decisione – L’hai appena detto tu: non sapete chi ci sia dietro. Se non si fa nulla, è quasi certo che questa notte un’altra ragazza verrà aggredita! Ho la possibilità di impedirlo… Ti chiedo di fidarti di me, Jay. Ti prometto che terrò alta la guardia, non è certo mia intenzione lasciarmi aggredire da un porco! – i due rimasero a fissarsi negli occhi per quella che gli sembrò un’eternità. – Va bene. Ma al primo cenno di pericolo esci da quel posto. – concesse il detective. Sul viso di Alex spuntò un sorriso – Ottimo! Ma sappi che non mi serve il tuo permesso! – si voltò per tornare dagli altri.


 
1 Va meglio?
2 Mi vergogno di quello che è successo!
3 Avrei dovuto saperlo…
4 Non potevi.
5 Ci sarebbe una cosa… Puoi parlare con Gisèle?
6 C’era un uomo… Non mi ricordo molto ma… Aveva una lunga barba. E aveva anche un tatuaggio sul braccio, credo il destro… non ne sono sicura.
7 Perché non hai detto alla polizia queste informazioni?
8 Vorrei solamente dimenticare. Non mi ricordo molto ma vorrei cancellare anche la più piccola cosa!
9 Dobbiamo dirlo alla polizia. Potrebbe essere d’aiuto…

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Alex si era seduta sulla scrivania di Jay, il più vicino possibile alla lavagna su cui avevano affisso le informazioni raccolte fino a quel momento. Con una rapida occhiata, si focalizzò su alcuni punti – Che effetti ha la scopolamina? – chiese a nessuno in particolare. Se doveva fingere di aver assunto quella droga, avrebbe dovuto sapere come comportarsi. Antonio estrasse un foglio da una cartellina e glielo porse – La scopolamina è una delle droghe più usate nei casi di stupro. – cominciò a spiegare Dawson – è incolore e inodore, la somministrano nel drink ed è la più amata per la sua capacità di rendere la vittima particolarmente accondiscendente e obbediente. Altro effetto molto apprezzato dai criminali è l'amnesia che ne segue. – la ragazza, mentre il detective spiegava, si era data una veloce letta al foglio che teneva in mano: le informazioni erano pressappoco le stesse. – Quindi seguirò chiunque sia l’aggressore, senza opporre resistenza. Giusto? – Alex prese un pezzo di carta dalla scrivania ed una penna. Si mise a scrivere qualche appunto rapido, giusto perché scrivere l’aiutava sempre a memorizzare le cose.

-Com’erano vestite le vittime? – domandò dopo un paio di secondi, giusto il tempo di finire l’appunto. – Come? – Adam guardò accigliato la giovane. Questa si focalizzò sull’agente – Non saranno mica state le uniche turiste in quel locale; dev’esserci qualcosa che spinge l’uomo a scegliere proprio loro. No? –. Forse era proprio vero: crescere con i gialli l’avevano resa una sorta di Nancy Drew mancata…

Fu Kim ad intromettersi – Abbiamo già cercato dei collegamenti fra le varie vittime ma non è risultato nulla se non che sono straniere, hanno ordinato qualcosa da bere allontanandosi dall’amica o dal paio di amiche con cui erano andate al Vertigo e qui finiscono le similitudini – spiegò con un sospiro di esasperazione. – Ma dev’esserci una sorta di tecnica per sceglierle… - Alex passò in rassegna le informazioni sulla lavagna mentre ad Hailey veniva un’illuminazione. Si mise a frugare fra le carte sulla sua scrivania fino a trovare quello che cercava – Queste – cominciò porgendo alla castana ciò che teneva in mano – Sono le foto scattate nelle sere in cui sono state aggredite le ragazze. Io e Adam abbiamo trovato quelle in cui sono più o meno visibili le vittime. -.

Le tre donne si misero ad osservare più attentamente le foto mentre il resto della squadra attendeva. In tutte le foto si vedevano ragazze di varie età indossare abiti succinti, appariscenti o comunque adatti ad un club con quella fama. Le vittime invece indossavano abiti più semplici, più sobri. Quando Alex si rese conto della cosa, non facilmente visto che tutte e sei le vittime erano state immortalate di sfuggita, saltò giù dalla scrivania ed estrasse il cellulare dalla tasca nella borsa. – Ho capito! – esclamò solo mentre scorreva la rubrica per cercare il numero che le interessava.

Madison rispose al secondo squillo – Ciao tesoro! – squillò la sua voce all’altro capo – Ho bisogno del tuo guardaroba fornito! – tagliò corto l’altra – Ci vediamo al caffè sulla Woodlaw, quello che fa quella crostata alle ciliege che adori, fra venti minuti. Porta pantaloni in ecopelle neri e quel corsetto che hai comprato ed è lì nel tuo armadio da quel giorno, mai messo. – chiuse la chiamata e tornò dal resto dei presenti.

-Sono tutte troppo vestite. – constatò Burgess posando le foto. Di fatti tutte indossavano pantaloni o gonne lunghe fino almeno al ginocchio, cosa assai strana per un night club, però poteva concordare con quello che le aveva detto Fleur: Gisèle non voleva andare al Vertigo, non voleva far festa. Probabilmente la cosa valeva anche per le altre.

-Dovrai avere qualcuno con te. – Jay sembrò uscire dal suo isolamento momentaneo, aveva deciso di rimandare a quando quella storia sarebbe finita per discutere seriamente con Alex, nel frattempo avrebbe fatto qualunque cosa per impedirle di farsi ammazzare. – Nessuna di loro era lì da sola, tutte avevano almeno un’amica. – Voight fissò il suo subalterno – Ma sono andate al bar da sole. Non abbiamo tempo per trovare un’agente che abbia le caratteristiche richieste. È già tardi, altrimenti non manderei lei – e dicendo ciò indicò vagamente Alex – se avessi altra scelta. – la diretta interessata non sembrava preoccupata – Andrà bene. – disse mentre prendeva la borsa e si dirigeva al bar dell’appuntamento con Mady.

-*-

-La parola di sicurezza è: tramezzino. Tu dillo e noi sapremo che è il momento di intervenire. – le stava spiegando Atwater mentre Upton finiva di sistemare la collana contente una microcamera al collo di Alex. –Tramezzino?! – ripeté senza cogliere il senso. Hailey sorrise rincuorante – è la parola che meno ti verrebbe da dire in un night club. Così non rischi di dirla involontariamente. – disse continuando ad armeggiare con la microcamera. – Ah certo. – rispose ironicamente l’altra.

La giovane aveva recuperato gli abiti da Madison ed era subito tornata al distretto per cambiarsi. Il corsetto che aveva voluto era sui toni del rosso con una sorta di coda di seta che scendeva svolazzante sul retro, perfetta per coprire il fondoschiena. Mady le aveva portato anche un paio di stivaletti con un leggero tacco per completare il look. Stranamente non aveva insistito per sapere a cosa le servissero i suoi vestiti ma Alex era abbastanza convinta che, appena si fosse presentata l’occasione, l’avrebbe tartassata di domande.

-A posto. – disse calma Hailey – Controlliamo che la microcamera sia collegata e abbiamo finito. – aprì il portatile e vide la sua immagine sul monitor – Ottimo! – lasciò la stanza lanciando un’occhiata al suo partner. Jay si avvicinò alla ragazza – Sei sicura di volerlo fare? Sei ancora in tempo per tirarti indietro. – provò a convincerla. Lei però si alzò determinata – Non mi tiro mai indietro, Jay! Non l’ho fatto quando si trattava di mandare in prigione mio padre e non lo farò ora che ci sono le vite di diverse donne in ballo. – guardò con fermezza il detective – Ma qui rischi la tua vita, Alex! – alzò la voce in preda ad un attacco di collera – E credi che sfidare la Mafia irlandese non fosse peggio? L’ho fatto comunque! Anche sapendo i rischi… e lo farò tutte le volte che mi sarà richiesto. – concluse lasciando la stanza.

-*-

Arrivata al Vertigo si diresse subito nella sala principale. Il volume della musica faceva rimbombare le note nella sua cassa toracica. Si muoveva rapidamente tra la folla per cercare un posto al bordo pista dove stare in pace. Avrebbe atteso qualche minuto poi si sarebbe indirizzata al bar. La squadra poteva vedere e sentire quello che succedeva all’interno del club ma Alex non aveva la stessa possibilità. Cominciava a sentire l’agitazione montarle nel petto, le mani sudarle e lo stomaco chiudersi. Continuava a ripetersi la parola chiave nella mente, cercando di trovare una frase in cui inserirla per non rendere evidente che era un segnale per la polizia.

Dopo un po’ decise di cominciare il teatrino. Si avvicinò con una faccia da funerale al bancone del bar. Tutte le vittime erano andate lì per ordinarsi qualcosa dato che non avevano la minima voglia di stare in quel night. Alex avrebbe dovuto recitare allo stesso modo.

Quando finalmente il barista si voltò dalla sua parte lei gli sorrise appena – Un rum et cola, s’il te plait!1 – ordinò in francese. Staccò gli occhi dall’uomo, sulla trentina, capelli neri e piccoli occhi ravvicinati, per passare la folla con un rapido sguardo: fra tutta quella gente c’era sicuramente l’uomo che aveva drogato e violentato sei donne. Quella consapevolezza iniziava ad adombrarle ogni altro pensiero. Fece un paio di sorsi di Rum e Cola prima di allontanarsi dal bancone e tronare nella folla.

Il primo passo era stato fatto, ora le restava stare all’erta senza dare nell’occhio ed attendere che qualcuno venisse a prenderla dopo averle versato la droga nel drink. Per quel motivo non avrebbe più toccato il bicchiere, anche se così facendo avrebbe rischiato di attirare l’attenzione. Decise così di spostarsi nella sala adiacente alla pista principale, aveva notato entrando che sui lati c’erano delle fioriere, un luogo perfetto dove rovesciare parte del contenuto del suo bicchiere.

-*-

Jay tamburellava in modo nervoso le dita sul cruscotto dell’auto. La squadra era appostata fuori dal Vertigo, a pochi metri dall’entrata principale. Per quell’azione il sergente Voight aveva preteso che Halstead restasse in auto con lui, non voleva rischiare che uno dei suoi uomini migliori mandasse all’aria l’operazione per una donna.

-Sta’ calmo! – gli ordinò indicando con gli occhi le dita che smisero di muoversi. Rimasero in silenzio per alcuni secondi poi Jay esternò la sua preoccupazione – Non ne ha passate già tante? – cominciò tenendo lo sguardo sullo schermo che mandava le immagini della collana di Alex – Suo padre, l’incendio, la morte di sua madre e di suo fratello… Andiamo capo! Era proprio necessario coinvolgerla in questa faccenda? –

Voight sorrise al suo sottoposto – Ma è stata lei a proporsi, non io. E non sono stato nemmeno io a costringerla. Sai Jay? Forsa la stai vedendo in un modo un po’ sbagliato. Quella ragazza è più forte di quanto ci si possa aspettare. Non ne ho fatto parola, ma Alvin mi aveva parlato di lei; non conoscevo il suo nome, però sapevo che aveva colpito il nostro amico. Una volta mi raccontò di questa ragazzina che era arrivata al distretto con una precisa richiesta. Nessuno era stato in grado di farle cambiare idea: lei voleva a tutti i costi denunciare suo padre e fare in modo che non uscisse di galera. – rise al ricordo di quella conversazione col suo più caro amico davanti ad una birra – Se la osservi bene, noterai quel fuoco anche oggi. -. Lasciò Halstead a riflettere sulle sue parole e si richiuse nel suo mutismo.
-*-

Qualcosa non andava. Non aveva perso di vista il suo bicchiere nemmeno per un attimo, sempre guardandolo solo con la coda dell’occhio, ma nessuno le si era avvicinato, neanche per un istante.

Nonostante ciò, cominciava a sentirsi la testa più pesante, la vista si era fatta leggermente annebbiata e i rumori erano ovattati. – Ragazzi – disse sperando che qualcuno dell’Intelligence la stesse ascoltando – Credo mi abbiano già drogata. – poi collegò due pensieri nella sua testa ed ebbe la risposta – Il barista. È lui il complice. – in quel momento si avvicinò un uomo sulla trentina. Le sorrise mentre lei fingeva di essere totalmente smarrita, cercando di ricordare tutti i sintomi causati dalla scopolamina.

Quando sentì quelle parole, Jay fece per scattare fuori dalla vettura ma il sergente fu rapido a bloccarlo – Aspettiamo il segnale. – disse mentre prendeva la radio e controllava la situazione sul monitor – State pronti. Appena Alex dà il segnale, interveniamo! – ordinò al resto della squadra appostato lì nei dintorni.

Intanto, nel club, Alex veniva condotta tra la folla dall’uomo che continuava a ripeterle parole quasi di conforto. – Sta’ tranquilla. Vedrai che andrà tutto bene. Non ricorderai nulla domani, come non fosse successo. –. Se solo avesse potuto, lei gli avrebbe rifilato un calcio lì dove non batte il sole e avrebbe goduto nel vederlo sbattere in cella. Ma quello ancora non bastava. Le avevano spiegato che ci voleva una confessione o che la portassero nel luogo in cui avveniva la violenza e, sinceramente, non le andava la seconda idea.

La condusse, poco gentilmente, lungo un corridoio desolato del Vertigo poi, d’un tratto, si bloccò e la costrinse a voltarsi facendole aderire la schiena al muro. Con una mano le accarezzò una guancia – Però, quasi quasi, ti terrei tutta per me. Sei davvero carina… Sarebbe un peccato se ti lasciassi a quei quattro vecchiardi. – e mentre lo diceva, si faceva sempre più vicino alle labbra di Alex.

Lei si trovò bloccata, con le spalle al muro e un senso di nausea che si faceva sempre più strada nel suo stomaco. – Tramezzino! – esclamò senza riflettere. Voleva uscire da quella situazione! E voleva farlo alla svelta!
 


1 Un rum e cola, per piacere!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6



Come sentì la parola di sicurezza, Jay scattò fuori dall’auto percependo solo in lontananza Voight dare l’ordine di intervenire alla squadra. Corse verso l’entrata principale cercando di ripercorrere la strada che quel maniaco aveva fatto fare poco prima ad Alex.
Intanto in quel corridoio, l’uomo era rimasto per un attimo a fissare la giovane senza capire. Poi una luce si accese nella sua mente e la strattonò per le spalle sbraitando – Brutta puttana! – fece per darle uno schiaffo ma Alex fu rapida. Afferrò il primo oggetto che le era a portata di mano, un flûte lasciato da qualcuno su un mobiletto porta tovaglioli, e lo spaccò in testa all’aggressore. Questo indietreggiò più per la sorpresa che per il dolore. Guardò con odio la ragazza; avrebbe voluto colpirla più volte fino ad ucciderla ma si vide costretto a scappare quando sentì – Fermo! Polizia! – urlato da un uomo sulla trentina, di colore, che correva nella loro direzione.

Atwater aveva preso la porta sul retro ed era arrivato prima degli altri. L’aggressore cominciò a scappare nella direzione opposta, verso la pista esterna del locale, lasciando Alex ancora attaccata al muro. Kevin smise di inseguire l’uomo per controllare come stesse la giovane – Stai bene? – le domandò notando lo sguardo terrorizzato di lei. Alex si riprese immediatamente dallo shock – Sì! Vai! – lo incitò indicando il punto in cui era sparito il loro sospettato. L’agente non se lo fece ripetere due volte. Il tutto si svolse in pochi attimi.

Con la testa che le girava, la vista un po’ annebbiata e il passo malfermo, Alex andò dietro ad Atwater, trovando un supporto nel muro. Arrancò fino all’esterno del night dove l’aria le diede un grande sollievo. Arrivò giusto nel momento in cui due tizi si azzuffavano nella piscina. Ancora non riusciva a capire perché ci mettessero le piscine nei locali notturni…

Inizialmente si guardò attorno, cercando di capire dove fosse finita la squadra. Poi, avvicinandosi maggiormente al bordo della vasca, si rese conto che Kevin fissava i due in acqua. Notò anche Hailey e Kim che guardavano la scena divertite – Ti serve una mano? – domandò la bionda. Intanto i due avevano smesso di lottare. Allora Alex, avvicinandosi ulteriormente, capì: uno dei due era l’uomo che aveva provato ad aggredirla pochi minuti prima e l’altro… - Non ci credo! – le sfuggì con un sorriso sulle labbra. Jay si voltò a guardarla. Quando la vide e notò che non era ferita, un pesò si tolse dal suo petto. – La tua è proprio una mania! – rise lei avvicinandosi al detective che ancora stava in ammollo. Lui alzò le spalle – Che ci posso fare?! -.

Passò il sospettato a Kevin ed Adam che lo issarono di peso fuori dall’acqua. Halstead fece leva sulle braccia per uscire dalla piscina, i vestiti fradici e grondanti. Ruzek gli diede una pacca sulla spalla – Tutto bene amico? – domando anche lui cercando di contenere una risata – Sì, sì. – gli rispose l’altro. Poi si voltò verso Alex – Tu come stai? – lei tornò seria – Penso che fra un po’ vomiterò. Ma sto bene. – fece un altro sorriso per rendere le sue parole meno pesanti. La verità però era che quel giramento di testa prolungato le stava dando parecchio fastidio allo stomaco.

Jay si tolse la felpa mizza e la strizzò mentre si incamminavano verso l’uscita del night – Ti porto al Med. – Alex, che si stava riprendendo abbastanza velocemente, scosse la testa – Non serve! Davvero... – quella piccola quantità di droga che aveva ingerito stava lasciando il suo organismo; la vista era tornata quasi completamente lucida e il mondo aveva smesso di girare.

Voight, appoggiato alla sua auto fuori dal Vertigo, osservava i suoi uomini trascinare il sospettato nel SUV di Ruzek con aria compiaciuta. Poi si fissò sulla giovane che aveva permesso quell’arresto. Quando furono abbastanza vicini il sergente riservò un sorriso ad Alex, cosa talmente rara da far stupire tutto il resto della squadra. – Jay portala al Med. Falle fare un controllo. – La giovane provò a replicare ma l’uomo fu irremovibile – La droga può anche aver finito il suo effetto ma è meglio che ti diano un’occhiata a quel livido sulla spalla. – disse indicando il corpo di Alex. Questa si rassegnò e seguì, di mala voglia, Halstead verso la sua macchina.

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Furono rapidi a portare i sospettati in centrale. Li tennero divisi per tutto il tragitto e li misero in stanze separate per l’interrogatorio.
Mentre tornavano al distretto Burgess aveva fatto una rapida ricerca sull’uomo che aveva provato ad aggredire Alex: Benjamin Stone, 38 anni, nessun precedente, lavorava come buttafuori al Vertigo, poi licenziato; non era sposato, né aveva figli; viveva a qualche isolato dal locale, non abbastanza da pensare che portasse nel suo appartamento le vittime.

Quando Voight entrò nella prima stanza degli interrogatori, si trovò a fissare il viso pallido e terrorizzato di un giovane uomo, pressappoco di 25 anni. Si torturava le mani e fissava il sergente con sguardo quasi vitreo. Hank si sedette proprio di fronte – Allora Joshua, dimmi: perché droghi i drink alle turiste? – il giovane si protrasse immediatamente verso Voight – Mi dispiace! – cominciò a lagnarsi – Mi dispiace… Una sera è venuto Ben e mi ha pagato perché versassi un po’ di roba nel drink di una ragazza. – il sergente incrociò le braccia al petto – Quale ragazza? – l’altro continuò – Una a caso. L’aveva sentita parlare in qualche lingua dell’est Europa, non so altro. È venuto da me con una boccettina di liquido trasparente e una mazzetta da 1000 dollari. Mi ha detto di versarlo nel bicchiere della ragazza e si è allontanato. Erano un mucchio di soldi, amico! Non ho potuto resistere! –

Voight si alzò quasi schifato – E non hai pensato a cosa potesse esserci lì dentro? Nemmeno al motivo per cui volesse fare una cosa del genere? – Joshua scosse il capo – Erano un mucchio di soldi e al Vertigo se ne vedono di tutti i colori… -

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Nell’altra sala interrogatori, Antonio stava torchiando Benjamin Stone per bene.

-Drogare le ragazze è un reato, lo sai questo Benjamin? E stuprarle è ancora peggio. Ti farai molti anni in galera! Talmente tanti da non vedere più la luce del sole… Però c’è un modo per non doverci marcire: dicci tutto e noi parleremo col procuratore, gli diremo che hai collaborato. Potresti avere uno sconto di qualche anno. Magari uscirai in tempo per vedere un’ultima volta la luce del sole… – Dawson aveva deciso di provare subito a spaventarlo. Purtroppo però il sospettato non sembrava temere molto le minacce. – Fottetevi! – rispose Stone con uno sguardo disgustato.

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-Perché non sono mai collaborativi? – si lamentò Kevin col resto della squadra. Si erano ritrovati nel loro ufficio per cercare di capire come procedere. – Il ragazzo, Joshua, ha ammesso che il suo amicone Ben droga le ragazze per portarle in un appartamentino a pochi passi dal Vertigo. Una volta l’ha portato per ripagarlo del “servizio” che gli offre. Quel ragazzino sa abbastanza per far sbattere dentro l’altro a vita! – esclamò Voight – Stone organizza serate svago per facoltosi uomini di Chicago che pagano per spassarsela con una ragazza praticamente incosciente! – continuò disgustato. Kim scosse il capo sconsolata – La gente ha raggiunto dei livelli proprio bassi… -

- Conosciamo l’indirizzo, no? Andiamoci subito! Se abbiamo fortuna beccheremo ancora quei pervertiti! – esclamò Adam prendendo la giacca dalla sedia. Il sergente fece un cenno affermativo – Avviso Jay che ci muoviamo. –

Quando raggiunsero l’indirizzo indicato dal giovane barista fecero irruzione in un piccolo appartamento spoglio di mobili. Riuscirono, senza grandi sforzi, ad arrestare alcune figure di rilievo a Chicago, troppo fatti o ubriachi per scappare. Tra di loro c’era un sostituto procuratore e un ex sindaco della città. Purtroppo però, non avendoli colti in flagrante, non potevano accusarli di stupro e aggressione a giovani inermi. Solo con la testimonianza dei sospettati in centrale avrebbero potuto sperare di ottenere giustizia per tutte quelle ragazze, ma il compito sarebbe spettato al procuratore.

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Quella notte era stata infinita. Erano passate le quattro quando Will scostò la tendina della stanzetta al pronto soccorso, dove Alex era rimasta in attesa per un tempo infinito. – Scusa l’attesa. Ci sono state un paio di urgenze… - provò a giustificarsi il dottore. Lei era talmente esausta che nemmeno aprì bocca. – Dalle analisi del sangue sei pulita. La droga ha lasciato il tuo organismo completamente. Non ci sono lesioni tranne l’ematoma sulla spalla, ma nulla di grave. Per me puoi andare a casa. –.

La giovane scese dal lettino – Lo sapevo già di mio, senza dover perdere tempo! – lanciò uno sguardo particolarmente infastidito a Jay che era rimasto in disparte. Lui alzò le spalle – Era per sicurezza! – Alex recuperò la borsetta in cui aveva riposto la telecamera/ciondolo e seguì Jay.

Uscirono dall’ospedale poco dopo. – Ti riporto a casa? – domandò il detective avvicinandosi all’auto. In tutto quel tempo di attesa, i suoi abiti si erano totalmente asciugati. – Io ho fame. – rispose lei mentre apriva la portiera del SUV – Non ho mangiato ieri sera… - allo sguardo indagatore dell’uomo, Alex si sentì una scema – Ero agitata per l’operazione. Avevo lo stomaco chiuso. –

Halstead mise in moto il veicolo – Conosco una caffetteria che fa degli ottimi cornetti! – esclamò mentre allacciava la cintura – Si dice croissant. – lo corresse lei allacciandosi a sua volta la cintura. – Fanno anche da asporto? – domandò Alex senza rivolgere lo sguardo all’altro. Jay scoppiò a ridere senza darle una risposta.

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Qualche minuto dopo le cinque di mattina si ritrovarono sul divano di Jay a mangiare croissants e bere cappuccini dai bicchieri d’asporto. La tensione della notte era lasciata alle spalle; i due chiacchieravano di cose superflue ed inutili mentre si godevano la colazione meritata.

Per quanto Alex fosse stanca morta, non voleva che quel tempo finisse. Con lui, tutto era più tranquillo, più fattibile. Sentiva che poteva fidarsi e calare il muro che aveva creato col tempo.

Stava pensando a come il detective fosse apparso nella sua vita così, inaspettatamente, quando si sentì attirare dalle braccia accoglienti di lui. In breve tempo si ritrovò stesa sul divano, Jay sopra di lei che esplorava ogni porzione di pelle con le labbra, lasciando piccoli baci delicati.

Mentre la passione accendeva un fuoco in entrambi, Alex si trovò a pensare che forse la felicità sarebbe tornata a splendere nella sua vita.


Angolo della scrittrice


Ciao a tutti,
come sempre mi piacerebbe ricevere delle recensioni, così da sapere che ne pensate.
Anche questa storia è terminata ma fra un po' inizierò a pubblicare il seguito "L'attentato" che ho già quasi terminato di srivere.

Buona serata
Lisi

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