Il Frutto del Sacrificio

di _Kalika_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il Frutto del Sacrificio – Cap 1
 
 
 
 
 
Una piazza circondata da colonne colorate si ergeva tutto intorno a lui. Sul fondo, un arco a volta formato da pietre colorate, con grandi mura ai lati. Anch’esse erano vistosamente decorate: affreschi ritraenti scene di un banchetto festoso, due persone sedute su una grande poltrona che si tenevano per mano, il tutto circondato da uccellini colorati e cornucopie piene di succosi frutti. L’arco portava all’ingresso di una grande casa.
Nico camminò nervoso lungo il pavimento lastricato della piazza, facendo vagare lo sguardo dal cielo azzurro fino alle colonne. Nonostante l’atmosfera gioiosa, c’era qualcosa che non andava in quel posto.
Qualcuno sussurrò alle sue spalle, ed il figlio di Ade si voltò per trovarsi di fronte all’aria. Un leggero venticello dall’aroma dolciastro gli passò sul collo.
Il ragazzo tornò con il busto rivolto all’arco di pietra. Aumentò il passo, dirigendosi verso di quello che ancora distanziava di una cinquantina di metri, quando un’ombra dalle fattezze umane gli bloccò la strada, arrestandosi di fronte a lui. Nico indietreggiò appena, percependo l’essere come una minaccia.
Sguainò il Ferro dello Stige lentamente, mentre fissava ancora la figura e cercava di individuarne i lineamenti. Impresa vana: sembrava che il suo volto, così come la forma del suo corpo, variasse in continuazione, risucchiato dall’alone nero.
«Chi sei?» Urlò.
L’ombra non rispose.
Sembrò ondeggiare avanti e dietro, in un movimento ipnotico e confuso che fece venire a Nico la nausea. La sua visione si distorse, e l’arco di pietra davanti a lui si trasformò in un solido muro di mattoni incrostati di muffa.
Passò ancora qualche istante, in cui il figlio di Ade tentò di rendere più nitido ciò che vedeva sfocatamente davanti a lui, poi dal muro emersero dei filamenti di ferro che si intrecciarono a formare due pesanti catene. Contemporaneamente si formò dal nulla una figura indistinta, più fumo che materiale solido, dalle chiare fattezze umane. Emanava un bagliore rassicurante, ma non appena prese più consistenza le catene di ferro si strinsero ai suoi polsi, mentre un collare di avviluppava sul suo collo.
L’essere crollò a terra, perdendo parte del dolce tepore che emanava.
«Non si salverà, a meno che tu non lo voglia» L’ombra parlò, ma furono più le frasi a formarsi direttamente nella testa di Nico. Era una voce cupa ma al contempo affascinante, che fece tentennare il figlio di Ade.
«Chi è?» Non riusciva neanche a capire se la figura incatenata fosse un uomo od una donna, tanto era mutevole la sua forma, ma Nico era del tutto intenzionato a liberarla.
«Non puoi salvarlo ora» Come se gli avesse letto nel pensiero, l’ombra ignorò la domanda. «Ma se, quando sarà il momento, vorrai farlo, nessuno te lo impedirà.»
«Cosa intendi dire?» Nico strinse il Ferro dello Stige nervoso, alternando lo sguardo tra la figura che si dimenava debole e l’ombra.
«Ti sarà richiesto soltanto un sacrificio. Devi scegliere tu se sei disposto ad accettare»
«Di cosa stai parlando?» Chiese ancora, irritato. L’ombra non rispose. Si mosse appena, poi scomparve con un risucchio nel terreno.
Il figlio di Ade non perse tempo. Provò a correre verso il muro, ma si rese conto che le gambe non gli obbedivano. Cadde in ginocchio con un sussulto, mentre la pietra sotto di lui si apriva in una voragine, inghiottendolo.
Non abbassò lo sguardo. Sapeva cosa c’era sotto di lui.
Lanciò un ultimo sguardo alla figura luminosa, poi si concentrò e la sua essenza volò via, fluttuando libera nell’etere dei sogni.
 
Aprì gli occhi trasalendo. Avrebbe voluto riflettere sul sogno appena fatto, ma non ne ebbe l’occasione. Non appena fu completamente cosciente, capì subito che qualcosa non andava; probabilmente fu per la matassa di capelli biondi che si ritrovò a pochi centimetri dal volto, o forse per la mano abbronzata e coperta di lentiggini che gli stringeva spasmodicamente la maglietta all’altezza del petto.
Cosa ci faceva Will ancora lì, nella casa di Ade insieme a lui? Non che fosse un problema, ma a giudicare dai rumori fuori dalla cabina era già mattina, forse ora di colazione, ed il figlio di Apollo era sempre stato molto attento a tornare nella sua casa prima dell’alba per non farsi beccare dalle arpie o dai fratelli.
Il moro fece per scostare rapido la mano di Will dal suo petto, ma si pietrificò quando la sentì innaturalmente bollente al tatto. Va bene che i figli di Apollo emanavano sempre un certo tepore, ma quella temperatura era decisamente troppo alta per un qualsiasi mortale o semidio. Nico si mise allarmato in ginocchio sul letto, inquadrando finalmente il corpo di Will e soffocando un’imprecazione: il biondo tremava e sussultava in un bagno di sudore, con gli occhi chiusi in un’espressione sofferente ed il volto arrossato in modo allarmante.
«Ehi, Will!» Nico gli posò una mano sulla fronte, ritirandola subito dopo per il contatto con la pelle bollente del compagno.
Com’era possibile? Un figlio di Apollo, per di più uno dei migliori guaritori, malato?
Non ebbe il tempo di rifletterci, perché qualcosa – poi riconosciuto come la mano di Will – gli agguantò il polso facendolo trasalire. Sotto lo sguardo attento di Nico, portò la mano del figlio di Ade all’altezza del collo lentigginoso, posandola sopra come una pezza gelata e facendola poi passare per il viso e la fronte. L’espressione dolorante si distese, mentre il respiro affannato si calmava un poco.
«Nico..» Il biondo alzò lo sguardo stralunato su di lui, affaticandosi a cercare le parole in quello stato di semi-coscienza: «I miei fratelli.. chiamali…»
Richiuse di nuovo gli occhi con un sospiro, lasciando la mano del moro. Lui si riprese e si vestì in tutta fretta, correndo poi alla casa di Apollo come una bufera.
 
Aprì Helen, una semidea dell’età di Will, con ancora indosso i pantaloncini del pigiama ed i capelli biondi ingrovigliati tra loro. «Nico, ti serve qualcosa? Gli altri sono appena andati a fare colazione, tra un po’ inizio il turno in infermeria.»
Il figlio di Ade riferì in fretta quanto visto poco prima, tentennando appena quando vide gli occhi della ragazza farsi carichi di preoccupazione. Helen uscì dalla casa ancora prima che potesse finire il racconto, prendendo Nico per mano ed intimandolo a portarlo da Will.
Vista l’espressione della bionda, il ragazzo non esitò a portarla nella sua cabina, ma raggelò quando, aperta la porta, vide il letto vuoto con le lenzuola sparse sopra disordinatamente.
«Dove…» Un rumore raccapricciante proveniente dal bagno della casa troncò la domanda sul nascere. Nico ed Helen si precipitarono nel punto d’origine del suono, e trovarono Will piegato sul gabinetto, scosso da continui ed interminabili conati di vomito, il volto di una terrificante sfumatura verdognola e le lacrime che scorrevano libere sul viso contratto.
«Oh, Will!» Helen si inginocchiò al suo fianco chiamandolo con voce rotta, sostenendogli la testa ed accarezzandogli la schiena con fare protettivo.
Nico rimase indietro, pietrificato sulla porta. Fece saettare lo sguardo per la stanza, fino a che non si soffermò su Will e si maledì di averlo lasciato solo anche per pochi minuti.  Tremò quando la sua vista percepì un particolare per niente rassicurante. «Sta.. sta vomitando sangue.»
Helen annuì febbrilmente, senza smettere di sussurrare parole rassicuranti al biondo. Dopo un po’ i conati parvero fermarsi per qualche minuto, ma Will non era abbastanza cosciente da accorgersi della presenza della sorella al suo fianco. Lei tuttavia gli pulì la bocca con uno straccio, poi tirò fuori dalla tasca un medicinale mortale, una pastiglia, che fece ingoiare al ragazzo con un’espressione appena corrucciata.
Passarono pochi istanti in cui Nico si permise di tirare un sospiro di sollievo, ma poi il biondo si affacciò di nuovo al gabinetto e continuò a rigettare, il corpo scosso in continuazione da tremiti.
Fu allora che Nico se ne rese conto. «Perché non lo curi con la magia o l’ambrosia?»
«Cosa?»
«Perché non gli fai passare la malattia, o quello che è? Non vi basta una canzoncina in greco, a voi figli di Apollo?»
La semidea alzò allora lo sguardo lucido su di lui, scuotendo piano la testa. «No, non basta, con questo..»
Nico strinse i pugni, cercando di ignorare la rabbia che gli provocavano quelle risposte enigmatiche. «“Questo”? Che cos’è “questo”?»
Helen parve intimorita dall’espressione del figlio di Ade. Aprì tremante la bocca per rispondere, ma prima che potesse pronunciare parola fu interrotta da Will. Si rialzò in piedi barcollando con sguardo vacuo, seguito a ruota dalla sorella che sorresse il suo peso, e si diresse verso il lavandino per sciacquarsi il viso. Nico si dimenticò all’istante della rabbia, si avvicinò ai due e tirò fuori da un armadietto lo spazzolino di Will, passandolo alla semidea perché lo aiutasse a lavarsi un poco, poi uscì per prendere da un cassetto una maglietta di ricambio, anch’essa appartenente al biondo. Fu sorpreso di scoprire quante cose di proprietà del ragazzo – del suo ragazzo – fossero presenti nella sua cabina, e del fatto che lui le tenesse lì come la cosa più naturale del mondo. Quando tornò in bagno con il cambio in mano, Helen stava tentando amorevolmente di togliere la maglietta imbrattata di sangue al fratello, e la ragazza sorrise appena quando Nico gli passò il panno.
 
Will crollò letteralmente sul letto del figlio di Ade, mentre questi gli rimboccava le coperte. Helen gli diede una pezza bagnata che passò sul collo del ragazzo, poi sull’intero viso e infine sulla fronte accaldata. Gli accarezzò piano la testa, scostandogli i capelli dal volto intriso di sudore.
Cos’hai…?” Nico poggiò la testa sul letto accanto al biondo, come incantato dal movimento ipnotico delle dita sui suoi capelli.
«Dovremmo portarlo in infermeria» La voce di Helen lo riscosse dal torpore. «Lì abbiamo alcuni degli strumenti che ci servono.» Continuò poi.
Si era legata i capelli in un frettoloso chignon, che gli dava un’aria molto più professionale. Nico si chiese quale fosse il motivo di tanta serietà, anche se non era sicuro di volerlo sapere.
Si alzò in piedi, nonostante anche così fosse più basso della semidea, e borbottò lievemente imbarazzato: «Va bene. Ma se Chirone verrà a sapere che… ecco, che si trovava nella mia cabina..»
Helen sorrise appena. «Per quanto mi riguarda, ho trovato Will febbricitante in infermeria, da solo, e allora ti ho chiamato. Ti va bene?»
«Direi di sì. Grazie.» Si guardò intorno circospetto, scrutando attraverso la finestra il campo di basket visibile dalla cabina. «Ma gli altri…?»
La figlia di Apollo sollevò una mano, e delle nubi bianche coprirono il corpo di Will e si avvilupparono lungo le gambe dei ragazzi. Foschia.
«Nessuno ci noterà. E noi della casa di Apollo non lasceremo passare una parola.» Gli fece l’occhiolino, ritrovando il sorriso. «D’altronde, sono mesi che copriamo le vostre scappatelle.»
Nico sentì il volto andare a fuoco e si voltò di spalle, mentre Helen ridacchiava e si avvicinava al fratello.
 
Non fu facile trasportare Will in infermeria, e quando lo adagiarono su uno dei lettini non sembrava neanche aver ripreso un po’ di colore. Se ne stava lì, un po’ delirante, con il volto a tratti arrossato e a tratti pallido, senza dare segni di coscienza a Nico che lo osservava mezzo stordito.
«Che cosa gli è successo?»
Helen gli comparve al fianco allacciandosi il grembiule da infermiera. Ignorò la domanda, trasse da una tasca un termometro e lo mise in bocca al fratello. Poi si chinò sul comodino accanto al letto, scribacchiò pensierosa alcune parole su un foglietto di carta e per finire posò sul banco un paio di flaconi contenenti medicinali mortali. Descrisse brevemente a Nico cosa somministrare al biondo nel caso si fosse svegliato, e se ne andò dicendogli di cambiare gli abiti di Will con una delle tuniche da pazienti.
Non appena la porta si richiuse dietro di lei il figlio di Ade obbedì borbottando, sfilando non senza difficoltà la maglietta da poco cambiata del ragazzo e ripiegandola – o tentando di farlo – sul comodino. Diede una rapida occhiata al termometro che saliva velocemente, poi si avvicinò per sbottonargli i pantaloni distrattamente.
«Whoa, Nico, capisco tutto, davvero, ma siamo in infermeria. Trattieniti.» La voce divertita e appena affannata fece alzare di scatto la testa al figlio di Ade, che incontrò gli occhi azzurro cielo di Will e arrossì violentemente. Due volte nel giro di neanche un’ora. Quei figli di Apollo erano davvero pericolosi.
«Idiota!» Nico allontanò imbarazzato le mani dalla patta del compagno, sedendosi di peso su una sedia accanto al letto. «Come stai?»
«Tutto acciaccato» Rispose corrucciato il biondo mentre finiva di cambiarsi d’abito. Raccolse dal grembo il termometro che gli era caduto di bocca, e aggrottò la fronte quando controllò la temperatura. «Cosa mi è successo?»
Nico rammentò quanto successo poco prima e rabbrividì, pensando all’espressione assente del figlio di Apollo. «Sei stato male. Molto male. Hai la febbre?» Si sporse appena cercando di vedere il risultato del termometro, ma si ritirò non appena si ricordò dei medicinali sul comodino. «Helen ha detto che devi prendere queste cose.»
Will lanciò un’occhiata ai flaconi ed annuì lievemente tirando su col naso, mentre il moro si alzava per prendere un bicchiere d’acqua con cui fargli ingoiare le pastiglie. «Avranno effetto sì e no tra un’ora, ma intanto mi verrà un po’ di sonnolenza.» Borbottò fra sé e sé, osservando poi il figlio di Ade avvicinarsi ed aiutarlo a stare dritto mentre gli accostava il bicchiere alle labbra. «Che bravo che sei, Nico, potrei nominarti mio assistente…» rise appena, ma notando l’espressione preoccupata del ragazzo si rifece serio. «Ehi, che c’è? Non ti facevo così sentimentale, Raggio di Sole.»
«Finiscila. Mi hai fatto preoccupare, prima. Non mi hai neanche detto se hai la febbre o no.»
Will finì di inghiottire l’ultima medicina e sorrise appena. Si sporse verso il figlio di Ade e lo baciò leggero sulle labbra, per poi mormorare: «Dimmelo tu.»
«In che senso?»
«Nel senso che voglio che me lo dici tu. Non mi fido del termometro.» Mentre parlava si stese di nuovo, senza staccare il contatto visivo con il ragazzo.
Un medico che non si fida del termometro… questa è bella. Tuttavia Nico obbedì e fece per posare la sua mano sulla fronte del biondo.
«No, non così» si ritirò lui.
«No?»
«Devi posare le labbra sulla fronte.»
«Stai scherzando?» Il moro incrociò le braccia incredulo, mentre l’altro si concesse un sorriso.
«Forse. Ma adesso consideralo vero. Le labbra percepiscono meglio la temperatura reale.» Questa volta non sfuggì al figlio di Ade come l’altro riprese fiato, affannosamente, mentre un brivido lo scuoteva da capo a piedi.
Alla fine il moro acconsentì borbottando a seguire le istruzioni, posando le labbra sulla fronte lentigginosa, che dopo qualche secondo si spostò appena. «Sei freddo, Raggio di Sole.»
Nico si accigliò. «No, sei tu troppo caldo!»
«Uhm..» Non ribatté, ma si sistemò meglio sul letto e fece segno a Nico di fare lo stesso. Il ragazzo esitò appena, ma poi si distese accanto a lui e coprì entrambi con la coperta, mentre il biondo posava la testa sul suo petto tutt’altro che muscoloso. Il figlio di Ade rispose in automatico all’impulso portando le mani fra i riccioli dorati e sul collo arrossato, accarezzandogli piano il capo.
«Non è che poi mi contagi?» Borbottò ad un tratto. Non che gliene importasse. Si sarebbe preso mille volte la peste pur di stare con lui, anche se non l’avrebbe ammesso ad anima viva. E nemmeno ad una morta, non ci si può mai fidare dei fantasmi.
«No» Rispose subito Will con un filo di voce, mortalmente serio.
«No?» ripetè Nico. «Quindi sai che genere di malattia hai?»
Probabilmente il figlio di Apollo avrebbe risposto, ma una scarica di tosse gli bloccò le parole in gola. Si raddrizzò all’istante, con una mano sullo stomaco e l’altra sulla bocca, seguito a ruota da Nico al quale si appoggiò con tutto il suo peso.
Il figlio di Ade si voltò subito verso il comodino dove prese un fazzoletto quando, inorridito, vide Will allontanare la mano dalla bocca e trovarla imbrattata di sangue.
«Oh dei, Will…» Accarezzò lentamente la schiena del ragazzo semi-cosciente quando finì di tossire, aiutandolo a tamponarsi le labbra dipinte di rosso e poi a ridistendersi sul letto. Questa volta Nico scese dal materasso, lasciando più spazio al compagno, poi si avvicinò e lo baciò appena sotto gli occhi, intrappolando fra le labbra alcune delle lacrime che erano sfuggite al biondo per lo sforzo muscolare del volto.
Posò una pezza bagnata sulla fronte del ragazzo, poi si sedette di nuovo contemplando il petto di Will alzarsi e abbassarsi affannosamente. Che fine aveva fatto Helen, adesso che il fratello aveva il bisogno di un medico?
La risposta non tardò ad arrivare. Dopo soli pochi minuti la porta dell’infermeria si aprì. Entrò la semidea con due brioches in mano e Chirone sulla sedia a rotelle al seguito.
Lanciò un’occhiata al fratello, a Nico, ai medicinali aperti sul comodino e poi nuovamente a Nico, prima di dichiarare: «Non appena Will si riprenderà un poco, ci vediamo nella sala assemblee. Dobbiamo parlare.»
 
 
 
 
 
 
*** Angolo dell’Autrice ***
Ave, fan di Percy Jackson! Questa è la prima storia che scrivo sul fandom di PJ, nonché la prima “long” (intendo farla di circa 6-7 capitoli) della mia vita.
Okay, non è esattamente la prima, ma se non altro è la prima che pubblico e che ho intenzione di concludere. Questo perché avevo provato, qualche annetto fa, a scrivere qualcosa di molto lungo sulla Marvel, ma visto che non mi ero creata una trama vera e propria su cui lavorare non sono mai riuscita a finirla.
Adesso invece, dopo aver passato circa un anno a base unicamente di One Shot, torno con una trama già definita e più decisione.
Non so con quale frequenza aggiornerò, probabilmente il prossimo capitolo potrebbe comparire anche dopo Natale, perché devo prima finire un paio di Challenge su One Piece per potermi dedicare a questa storia con l’impegno che vorrei.
Ma passiamo alle cose importanti: vi prego di non uccidermi. Non è colpa mia, non l’ho voluto io maltrattare Will. Si tratta della mia ispirazione. È molto pericolosa, sappiatelo, perché se seguirete la storia la rivedrete.
Detto questo, spero di ottenere qualche recensione: essendo come ho già detto la prima long, spero di non combinare pasticci... o nel caso che qualcuno me lo faccia notare!
Al prossimo capitolo,
_Kalika_

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il Frutto del Sacrificio – Cap 2
 
 
 
All’inizio Nico pensò che si trattasse di una riunione privata. Poi, mentre sbocconcellava la brioche che gli aveva preso Helen, vide i capi delle altre case entrare uno dopo l’altro in sala assemblea e guardare stupiti prima lui, poi Will semisdraiato su una barella trasportabile accanto, con indosso la tunica dell’infermeria e la carnagione pallida. All’appello mancavano Percy ed Annabeth – dato che erano a marzo, loro ed altri ragazzi vivevano nei loro appartamenti con i genitori mortali -, ma per il resto sembrava un’assemblea come tutte le altre.
Parteciparono anche Helen e Kayla Knowles, quest’ultima nominata in fretta e furia Capo provvisorio della casa di Apollo al posto di Will. A Nico tale cambio suonò tanto come una condanna a morte, ma preferì starsene ben zitto.
Non appena furono tutti presenti, Chirone iniziò a parlare, riferendo gli ultimi avvenimenti – o perlomeno, la versione che conosceva. Finito il racconto si rivolse ad Helen, che finora aveva ascoltato rabbuiata senza mai interrompere.
«Helen, mi sembra di capire che voi ragazzi della casa di Apollo sappiate di cosa si tratti questo malore.» Le lanciò un’occhiata come se fosse parte di un copione. Probabilmente avevano già parlato in privato, pensò Nico.
La semidea si fece più avanti, annuendo gravemente: «È così, almeno per chi di noi è qui da molto ed ha potuto studiare alcune delle leggende di nostro padre. Non mi è stato difficile capire. Non si tratta di una semplice malattia. È una sorta di…» Fece saettare lo sguardo sui presenti, soffermandosi su Nico e poi su Will, che la ascoltava attento pur sapendo, come si intuiva dallo sguardo, cosa volesse dire. Per qualche istante si sentì solo il rumore della mascella di Grover che masticava nervosamente una lattina. «..di maledizione, che colpisce guaritori figli di Apollo. Non è eccessivamente rara, ma è molto pericolosa.»
Un mormorio si diffuse nella sala. Si sentirono un paio di imprecazioni, Clarisse lanciò un croccantino a Seymour con un po’ troppa foga, mentre Nico sbiancò e voltò la testa di scatto verso il suo ragazzo, che tuttavia non stava guardando verso di lui.
«Non è possibile curarla con i medicinali divini o la magia, questa è la regola. E beh, temo che di qui a poco non sarà possibile farlo neanche con le tecniche mortali.» Proseguì cauta Helen.
Lou Ellen, capo della casa di Ecate, si schiarì la voce titubante: «Non è possibile per opera di qualche magia o perché la malattia è troppo potente?»
La figlia di Apollo la guardò in silenzio, rimuginando sulla domanda. «Vorrei risponderti che è solo a causa di una magia» dichiarò infine «ma in tutta la mia vita, rispetto alle altre poche manifestazioni che ho visto, questa è di gran lunga più violenta. È solo questo il motivo per cui la maggior parte del campo non ne è al corrente, poiché non sembrava mai più di una semplice influenza. Ma questa volta temo che, anche a causa della natura divina del malanno, dei medicinali mortali non siano in grado di estirpare la malattia.»
Molti degli sguardi dei presenti si fissarono su Will, che pareva essersi estraniato in un’altra dimensione.
«Ma perché gli dei vogliono fare una cosa del genere?» Chiese una voce timida da una parte imprecisata della sala. Alcuni dei semidei, compreso Nico, fecero una breve ed amara risata.
Helen sospirò impercettibilmente, ma anche questa volta aveva la risposta pronta. «Perché è una sorta di punizione. Avere il potere di guarire le persone… richiede una sorta di contro-azione divina. Da quel che penso, potrebbe essere stato deciso direttamente dalle Parche.»
Nella stanza piombò il silenzio, fatta eccezione per le dita di Leo che tamburellavano nervosamente sul bordo della sua sedia. Clarisse, prima seduta con i piedi appoggiati al tavolo da ping pong, si rimise composta riflettendo su quelle parole. Piper si strinse angosciata a Jason, senza staccare lo sguardo da Nico.
Non era giusto. Niente di tutto quello che la figlia di Apollo aveva detto era giusto. Ma d’altronde, la giustizia era un argomento estraneo agli dei.
«C’è un modo per levare la maledizione?» Connor Stoll guardò speranzoso insieme al gemello Helen, che esitò. I fratelli Stoll erano sempre stati molto legati a Will, ed il loro tono non fece altro che aumentare l’aspettativa nella stanza.
«In teoria, bisogna lasciare che il malore passi da solo. In genere non dura più di due settimane, ma la febbre e tutti, tutti gli altri sintomi non smettono di peggiorare sino all’ultimo giorno, in cui scompaiono all’improvviso. Se davvero oggi è il primo giorno della malattia, e non ho dubbi che lo sia…» guardò Will con voce rotta, e lui d’istinto strinse appena la mano di Nico posata sul lettino accanto a lui. «Io… ecco, io non credo che.. possa sopravvivere…» abbassò subito lo sguardo, con gli occhi lucidi che minacciavano di lacrimare.
«Stai dicendo che non c’è altro modo se non fargli passare le pene del Tartaro – e so di cosa sto parlando -, senza neanche avere la certezza che alla fine sopravvivrà?!» Nico si alzò di scatto, schiumante di rabbia.
Helen, come molti dei presenti, sussultarono intimoriti. La semidea borbottò incerta: «Io.. i-io non…»
Chirone la interruppe autorevolmente. «Nico, per favore siediti.»
«Forse c’è un modo.» La voce di Kayla, rimasta in silenzio fino a quel momento, animò un poco i presenti. «Anch’io ho avuto modo di leggere varie leggende a riguardo, diverso tempo fa. In una versione ci fu un dio che, contrario alla maledizione, creò un frutto in grado di guarire all’istante la malattia.»
«Chi era il dio?» Chiese subito Nico.
Il centauro lo interruppe di nuovo. «La leggenda non è completa. Per ottenere il frutto, era necessario un…»
«Non mi interessa! Chi era il dio?» Insistette il figlio di Ade quasi ringhiando. Chirone lo guardò in silenzio alcuni secondi prima di rispondere: «Il suo nome è Cupido.»
Nico si irrigidì sulla sedia. Da come gli altri lo guardavano, capì di essere impallidito. Lanciò una rapida occhiata a Jason, che sembrava il ritratto della preoccupazione. Si guardarono in silenzio, poi ognuno distolse lo sguardo con un velo d’inquietudine negli occhi.
Nico non aveva esattamente un buon ricordo di Cupido. Quando, l’anno scorso, lui e Jason l’avevano incontrato, per poco non ne era rimasto ammazzato, e comunque non era stato più il ragazzo di un tempo. A ben pensarci forse la svolta non era stata del tutto negativa, ma se c’era una cosa di cui era sicuro, era che odiava quel dio con tutto sé stesso.
L’idea di essere in debito con lui gli fece venire il voltastomaco, ma d’altronde non avevano scelta.
«Va bene. Posso guidare io la missione, se l’oracolo è d’accordo» Decise «Come compagni scelgo…»
«Non ci sarà nessuna missione, ragazzo.»
Nico guardò Chirone come se fosse un alieno appena sceso sulla Terra. «Come?»
«Conosco anch’io la leggenda. Cupido creò il frutto, ma gli Dei Maggiori non ne furono contenti. Zeus stesso, con l’aiuto delle Parche, distrusse l’operato del dio dell’amore e vietò a chiunque, dio o mortale, di interferire con le punizioni di questo genere.» Un tuono risuonò in lontananza.
«Quindi…» Il figlio di Ade trattenne a stento la rabbia che gli ribolliva nelle vene, sentendosi gli occhi di tutti puntati addosso. «..mi stai dicendo che non c’è una cura? Che non c’è niente da cercare?»
«Ti sto dicendo che, se anche il finale della leggenda sbagliasse sul conto della distruzione del frutto, cercandolo si andrebbe contro il volere degli dei maggiori, anche di tuo padre. Tu soprattutto dovresti comprendere il valore delle punizioni divine. Quello che voglio dire, comunque, è che come custode e istruttore del campo non posso appoggiare una missione del genere. Pertanto non ci sarà nessuna impresa.» Concluse con tono irrevocabile. Irrevocabile per qualsiasi persone normale, s’intende.
«Sta scherzando?» Nico scattò in piedi furente, facendo sussultare buona parte del consiglio. La sua mano destra si arpionò con rabbia nervosa al bordo del lettino di Will. «Anche andare nelle Antiche Terre era contro il volere degli dei! Anche la collaborazione tra Greci e Romani! Eppure..» «Ne andava della salvezza del mondo intero, ragazzo. Con tutto il rispetto, non credo che la situazione sia dello stesso spessore.»
Per qualche istante nella sala regnò il silenzio. Nico sentì un ronzio salirgli nelle orecchie fino alla testa. Di lì a poco, con tutta la rabbia accumulata, sarebbero iniziati a spuntare scheletri dal terreno.
Il figlio di Ade strinse i pugni e si preparò a ribattere. La questione non era dello stesso spessore? Certo che no, Will era molto più importante della salvezza di stupidi mortali. Le guance andarono a fuoco, non seppe dire se per la rabbia o per il pensiero appena fatto.
Passarono probabilmente pochissimi istanti, ma per lui sembrarono un’eternità. Poi delle dita sottili gli strinsero debolmente il polso. Si voltò stranito, mentre la presa di quelle dita lentigginose si rafforzava un poco e Will gli sussurrava: «Calmati, Nico, per favore.» Il pollice abbronzato gli accarezzò debolmente il dorso della mano. «Ne.. ne parliamo dopo insieme, ok?»
Il figlio di Ade sollevò lo sguardo, che si era fissato sulle loro mani intrecciate. Incontrò gli occhi azzurri del ragazzo, non più allegri come era abituato. Erano lucidi e lo fissavano intensamente. Ma soprattutto, emanavano paura a dismisura. Forse non tutti se ne sarebbero accorti, ma Nico era bravo a leggere le emozioni altrui.
Will era terrorizzato, e questo bastò a fargli scemare la rabbia.
«Ok» rispose mesto, risedendosi al suo posto. «Ok.»
Nessuno commentò. Non era da lui fare scenate del genere, ma del resto chi lo conosceva bene sapeva della sua relazione con Will, mentre chi non lo conosceva... beh, non lo conosceva e basta. Probabilmente lo trovava semplicemente inquietante.
«Ribadisco che non ci sarà nessuna missione» Riprese Chirone scuro in volto, per poi voltarsi verso Kayla ed Helen. «Voi figli di Apollo terrete d’occhio Will, e se serviranno medicinali dei mortali farò in modo di farveli avere. Se aveste bisogno di interventi chirurgici, o attrezzatura adeguata…» Si grattò pensieroso la barba curata, come se stesse riflettendo solo in quel momento dell’ipotesi. «Probabilmente possiamo fare in modo che Solace venga portato in un ospedale di New York e affidato alle cure dei medici mortali. Dovrete essere voi a discuterne e decidere se è il caso.»
Con quelle parole la riunione sembrò concludersi, e i capi delle diverse case iniziarono ad alzarsi dalle sedie per raggiungere l’uscita della sala. Fu allora che andò tutto per il verso sbagliato.
Ancora prima che una sola persona potesse lasciare la casa grande, Will si chiuse a riccio iniziando a tossire ripetutamente, con spasmi sempre più violenti che fecero voltare verso di lui tutti i presenti. Se non fosse stato già semidisteso probabilmente sarebbe caduto a terra, poiché le braccia gli si adagiarono autonomamente sul ventre scosso dai sussulti e sembrò incapace di controllarle. Subito le due figlie di Apollo nella stanza gli andarono accanto, affiancando Nico che ancora una volta era pietrificato vicino al biondo, e lo fecero stendere sul lettino cercando di tranquillizzarlo. Impresa vana, perché non appena la lunga crisi di tosse terminò, Will iniziò ad agitarsi scompostamente sul lettino, boccheggiando con aria terrorizzata.
«Non.. respiro» Quelle due parole ebbero il potere di far sbiancare Nico e di accendere un chiacchiericcio allarmato nella sala. Will fece vagare lo sguardo dalle sorelle a Nico, mentre le semidee facevano allontanare tutti gli altri per lasciargli spazio. «Non entra… l’aria non..»
«Calmati, Will.» Kayla gli posò piano una mano sul diaframma, tentando di aiutarlo ad effettuare il giusto movimento.
Il biondo parve non ascoltarla, perché continuò a sussultare, i battiti che aumentavano vertiginosamente. Nico tremò di fronte a tanta paura, la paura che leggeva negli occhi del ragazzo e che percepiva nel suo animo. «Sta avendo un attacco di panico.»
Kayla annuì, osservando di striscio Helen che si dava da fare per far uscire tutti gli altri semidei dalla Casa Grande e chiamare alcuni dei fratelli. «Will, ora ascoltami.» Gli si avvicinò, portando la mano libera accanto al viso lentigginoso in una tenue carezza. «Ascolta quello che ti dico. Calmati, respira lentamente.»
«I-io.. io non…»
«Calmati.» Lo ignorò lei con tono dolce. «Lascia entrare l’aria. Gonfia prima la pancia… così…»
La situazione sembrò attenuarsi un poco. I battiti del figlio di Apollo erano ancora accelerati e gli occhi pieni di terrore, ma per un istante il petto sembrò muoversi in un movimento uniforme che gli permise di prendere aria. Boccheggiò ancora, mentre Kayla aiutava i movimenti diaframmatici con la mano senza lasciarlo un istante.
Dopo pochi secondi Helen tornò di corsa, gridando alla sorella di essere pronti. Pronti a cosa, per Nico un mistero. Fatto sta che seguì gli ordini di Kayla senza battere ciglio: la aiutò a trasportare la barella fuori dalla Casa Grande, dove trovò un manipolo di figli di Apollo che presero il controllo della situazione.
Per diversi minuti fu tutta una successione di eventi sfocati: ordini, imprecazioni, respirazioni artificiali e somministrazione di sostanza sconosciute. Nico si rese solo conto di aver camminato affianco al lettino di Will fino all’infermeria, dove gli chiusero la porta in faccia.
 
Ci mise un po’ a rendesi conto di trovarsi, dopo chissà quanto tempo, ancora irrigidito con il volto verso la porta, gli occhi sbarrati ed i pensieri assenti. Probabilmente si riprese solo grazie alle urla di Jason, Piper e Leo alle sue spalle.
Si voltò giusto in tempo per trovarsi davanti gli sguardi preoccupati dei ragazzi.
«Nico! Stai bene?»
Il figlio di Ade ignorò la domanda. «Avete novità?»
«Noi?» Piper fece una faccia confusa. Probabilmente stava per aggiungere altro, ma Leo la precedette: «Amico, non siamo noi quelli che sono rimasti un’ora di fronte all’infermeria senza dare segni di vita. Credevamo che le novità ce l’avessi tu.»
«Un’ora?»
I nuovi arrivati si scambiarono un’occhiata basita, ma mai quanto quella di Nico. Lanciò uno sguardo al cielo. «È ora di pranzo?»
Jason sorrise appena. «Sì, per questo ti siamo venuti a chiamare.»
Il moro sembrò accorgersi solo ora della presenza del figlio di Zeus. Doveva avere proprio un’aria stralunata, perché il sorriso del ragazzo si spense. Jason si voltò verso gli altri due: «Scusate, io e Nico dobbiamo parlare. Vi raggiungiamo fra un attimo, voi andate pure a mangiare.»
Leo, paradossalmente, parve comprendere al volo. «Contaci, bello! Andiamo, Pip, sennò ci perdiamo gli hamburger. So che oggi hanno cucinato quel bel cinghiale..!»
«Ma io sono vegetariana…»
 
Jason attese che Leo e Piper si allontanassero un po’, poi si voltò preoccupato verso Nico, che sembrava ancora assente. Gli posò una mano fra le scapole, spingendolo ad allontanarsi appena verso il boschetto.
Nico fu sorpreso di sentire le gambe così irrigidite. Si passò una mano fra i capelli e poi sugli occhi, lasciandosi guidare dal biondo.
«Come stai, Nico?»
Paradossalmente, una delle persone con cui il figlio di Ade aveva legato di più durante l’anno era proprio Jason. Era naturale che si preoccupasse per lui, dopo la scoperta su Cupido.
«Non lo so.» Rispose atono seppur sincero. Andò dritto al punto. «Non posso credere che Chirone non voglia appoggiare una missione per quel frutto. E non posso credere che Cupido sia la persona che potrebbe salvare Will.»
«Hai paura?»
«Sì.» Ammise lui stringendosi nelle spalle. «Non per me.»
Jason annuì in silenzio. Per un istante, si rese conto di quanto quel ragazzo si stesse aprendo a lui. Le loro braccia si sfiorarono, ma Nico non si ritrasse. Il figlio di Zeus ricordò quando, il giorno del loro incontro con Cupido, aveva osato toccarlo per inseguire in volo la loro traccia, e di come il moro si fosse lamentato.
«Cosa intendi fare?»
Nico esitò. «Non.. non ci ho pensato. Non ho pensato a nulla, a dir la verità. Vorrei prima parlarne con Will..»
Jason si mosse nervoso, adocchiando con lo sguardo le tavolate della mensa. «Comunque volevo dirti che la decisione di Chirone… beh, lo capisco, è il custode del campo e tutto… ma in ogni caso sappi che appoggerò qualsiasi decisione tu prenda.» Accennò un sorriso.
Il figlio di Ade si mordicchiò la guancia pensieroso. Poi annuì ed iniziò ad avviarsi verso la mensa. «Grazie.» Sussurrò solo quando si avvicinò a Jason abbastanza da farsi sentire. Lui sorrise, poi trotterellò dietro il figlio di Ade fino a raggiungerlo in silenzio.
 
Il resto della giornata passò confusamente in fretta. Nico ignorò le poche occhiate che ricevette – la scenata di quella mattina non aveva giovato alla sua reputazione –, e si limitò ad allenarsi nella scherma ed evitare Chirone, che tuttavia non sembrava aver l’aria di voler parlare dell’assemblea.
Verso le sette di sera cercò di entrare nell’infermeria. Nella sala d’attesa non c’era nessuno, così si prese la libertà di vagare per l’edificio.
Di per sé non sembrava un luogo molto grande, ma i figli di Atena lo avevano strutturato in modo che utilizzasse al meglio anche il più piccolo pezzo di muro, ed entrando ci si rendeva conto di quanto fosse spazioso. La sala d’ingresso aveva alcune seggiole per chi aspettava ed un bancone che avrebbe dovuto fungere da reception, se non fosse stato sempre pieno di armi o medicinali. Chi entrava vedeva quindi numerose serie di sedie ed armadietti disposte lungo il muro della stanza, il tavolo zeppo di utensili vari sulla parte sinistra e sulla parete in fondo, accanto alla porta che conduceva in un corridoio, un lungo tabellone di sughero con gli appunti più strani sopra. Erano presenti orari di turnazione ed avvisi importanti mischiati insieme a semplici disegni, frasi d’incoraggiamento o preghiere, il tutto condito da pezzi di spartiti, spille e decorazioni colorate tipiche dei figli di Apollo.
Attraversando la porta all’interno, il luogo si diramava in due corridoi dal verso opposto piuttosto larghi, adatti a far passare agevolmente barelle attorniate da medici. Anche qui le pareti erano coperte da tabelloni e poster colorati, anche se si respirava un’aria meno familiare.
Nella parte sinistra del corridoio, separato da due grandi porte con una parte di vetro in alto, c’era la zona per gli interventi e le visite; Nico sapeva che all’interno c’era un’ulteriore suddivisione tra le stanze per le visite più semplici – cose come un piede rotto o giù di lì – e un’altra parte per gli interventi che richiedevano maggiore attenzione. Aveva visto poche volte i figli di Apollo precipitarsi dentro trasportando una barella imbrattata di sangue con un corpo moribondo sopra, e anche se non ci aveva mai messo piede dentro di persona, aveva capito che quella parte dell’infermeria racchiudeva un lato oscuro della vita dei figli di Apollo. Sapere che probabilmente Will era stato portato lì con la stessa veemenza a cui aveva assistito da lontano non lo tranquillizzò per niente.
Nella parte destra del corridoio, invece, Nico lo sapeva bene, c’erano le stanze per il riposo dei pazienti. Ce n’erano una mezza dozzina di molto grandi, con tanti letti poco distanziati e molte sedie; chi doveva passare soltanto qualche ora nell’infermeria stava lì, in una sorta di spazio comune. Ai tempi della guerra, le sale erano state in grado di accogliere tutti i feriti non gravi alla fine della battaglia.
Oltre a queste erano presenti anche una decina di camere private, con sofisticati apparecchi per la rilevazione dei battiti e altre cose che il figlio di Ade non conosceva. Aveva passato in una di quelle i tre fatidici giorni in infermeria con Will, nonostante fosse così sicuro di non aver bisogno di tutta l’attenzione che il figlio di Apollo gli aveva dato. Sorrise impercettibilmente al ricordo.
Poi la sua espressione si rabbuiò quando realizzò che forse Will era proprio in una di quelle sale private. Si guardò attorno: non c’era molta confusione, diversi figli di Apollo andavano e venivano indaffarati come al solito, e nessuno sembrò fare caso a lui.
Avanzò con passo indifferente lungo la parte destra del corridoio, superando con fare disinvolto le sale comuni. Quando arrivò alla zona delle salette private, iniziò a far vagare l’occhio sulle porte di queste. Non ci mise molto ad individuare l’unica chiusa. Si avvicinò alla finestra che la sala dava sul corridoio, scostando appena le tapparelle.
Il suo cuore perse un battito.
Nella stanza c’era effettivamente Will, intubato e collegato a diverse flebo. Un piccolo capannello di figli di Apollo gli stava accanto. Uno di loro, che non avrà avuto più di tredici anni, gli passò una pezza sulla fronte borbottando con cipiglio preoccupato. Una ragazza più grande gli rispose con qualcosa che non arrivò oltre il vetro della finestra, chinandosi per passare un batuffolo di cotone sull’avambraccio di Will e poi iniettandogli un liquido attraverso una siringa. La mano del biondo si artigliò alle lenzuola in un movimento confuso.
Nico non avrebbe saputo dire se fosse cosciente o meno. Sapeva solo che non avrebbe mai voluto staccare gli occhi da lui, come se farlo potesse provocare un istantaneo peggioramento delle sue condizioni. Fu però costretto a voltarsi quando una voce lievemente sorpresa alle sue spalle lo fece sussultare.
«Nico?»
Si girò talmente in fretta che per poco non si scontrarono. Dopo qualche istante mise a fuoco il volto tirato di Helen, e deglutì senza parole. «I-io…»
«Dobbiamo parlare.» La ragazza si diresse con passo sicuro verso una delle altre stanze private e, quando il figlio di Ade la seguì dentro, si chiuse la porta alle spalle.
Sospirò, socchiudendo gli occhi e poggiando le spalle contro la porta. «Avrei dovuto aiutarti, questa mattina.»
Nico a stento riuscì a capire di cosa parlasse. «Che.. che cosa?»
«All’assemblea. Qui in infermeria siamo tutti molto preoccupati per nostro fratello, Nico. Non si era mai verificata una cosa del genere da quando la nostra generazione di figli di Apollo è qui al campo, capisci?»
Il figlio di Ade tremò: «Will è peggiorato?»
Helen si concesse un sorriso: «No, grazie alle cure tempestive siamo riusciti a ripristinare buona parte dei suoi parametri vitali. È rimasto incosciente per quasi tutto il giorno, salvo pochi minuti in cui si è ripreso.»
Nico sentì un ronzio nella testa. Fu in quei radi secondi che prese la sua decisione. Ne parlò ad Helen senza esitazione, e lei si limitò ad annuire gravemente.
«Capisco» disse infine «posso dirlo a Will, quando si risveglierà?»
Il moro esitò, ma poi guardò negli occhi la ragazza e rispose deciso: «Decidi tu se credi che sia il caso. Preferirei di no, ma non voglio che si preoccupi inutilmente, ok?»
La semidea si limitò ad annuire mestamente, aprendo poi la porta e facendolo uscire proprio quando il suono di una conchiglia riecheggiava per la cena.
 
Il pasto fu rapido anche per i suoi standard. L’unica cosa su cui si soffermò fu il momento in cui buttò un pezzo del suo hamburger nel falò. Chiuse gli occhi, evocando suo padre. “Ti prego, non portartelo via prima del tempo. Non anche lui.”
Dopo aver mangiucchiato qualcosa, si allontanò furtivo dal falò attorno al quale i semidei avevano già iniziato a cantare. Entrò nella sua cabina, in cui non metteva piede da quella mattina, e si sedette sul letto con sguardo perso.
“…in ogni caso, sappi che appoggerò qualsiasi decisione tu prenda”
Ricordò gli occhi lucidi di Helen durante l’assemblea. Erano passate solo poche ore, eppure sembrava trascorsa un’eternità. “Io… ecco, io non credo che.. possa sopravvivere…”
Aveva preso la sua decisione, e l’avrebbe mantenuta. Prese uno zaino di tela scura e vi mise dentro un cambio, nettare, ambrosia, dei soldi e del cibo.
Si assicurò il ferro dello Stige alla cintura, poi trasse un lungo respiro ed uscì dalla cabina.
Arrivò in pochi minuti al pino di Talia. Si voltò indietro, osservando le luci del falò e delle torce illuminare il manto scuro che dominava la valle. Lanciò un’occhiata verso l’edificio dell’infermeria, non stupendosi di notare le luci accese. Non era riuscito a parlare con Will. Il pensiero gli provocò una stretta allo stomaco.
Chiuse gli occhi un istante. Poi si girò di nuovo ed attraversò il confine del campo.
 
 
 
 
 
 
***Angolo dell’Autrice***
Salve!
Come avrete capito, questo è stato più che altro un capitolo di passaggio. È servito a spiegare parte della situazione, impostare la storia, cose così… dal prossimo capitolo inizieranno le peripezie vere e proprie.
A proposito del continuo, conto di aggiornare dopo le vacanze Natalizie. Non assicuro niente, potrei aggiornare prima come molto dopo, ma più o meno cercherò di attenermi ai tempi. E sì, ho una certa passione per le conclusioni piene di suspense (più avanti ce ne saranno di peggiori, fidatevi ^^)
Non ho nient’altro da dire: spero vi sia piaciuto. Ovviamente vi invito a farmi sapere cosa ne pensate con una recensione.
Prima di salutarvi, volevo ringraziare Panna_Malfoy che ha recensito lo scorso capitolo!
A presto,
_Kalika_

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Il Frutto del Sacrificio – Cap 3
 
 


Una luce scintillò fra gli alberi. Nico si arrestò, portando una mano all’elsa del ferro dello Stige.
Neanche un’ora di cammino, diretto alla fermata dei taxi, e già si trovava qualcuno – o qualcosa – ad intralciargli la strada.
Tuttavia non aveva l’aria di sembrare un mostro.
La sua aura era diversa, in qualche modo più potente, anche se umana, ma che denotava una qualche discendenza o influenza divina.
 In quel momento c’era solo un dio che Nico non avrebbe voluto incontrare, e c’era solo un dio che, paradossalmente, stava cercando.
«Cupido?» ringhiò all’aria.
Dei passi risuonarono alle sue spalle, quando si voltò c’era solo la foresta. Sentì una risata maschile da una parte imprecisata intorno a lui. «Mi avevano detto che eri sveglio, Nico. Non sono Cupido»
La voce non era quella del dio, anche se il tono ci si avvicinava.
«Allora chi sei?» Il figlio di Ade non aveva alcuna intenzione di abbassare la guardia. Chiunque si nascondesse tra le fronde aveva senza dubbio un’energia e una forza fuori dal comune, qualcosa di assolutamente inusuale e pericoloso.
«Puoi chiamarmi Ed.» La voce roca lo sorprese alle spalle. Nico si voltò di scatto e senza esitazione menò un affondo con il ferro dello Stige, che venne fulmineamente parato con un pugnale in bronzo celeste ed una forza inaudita.
Il figlio di Ade alzò lo sguardo per incontrare il volto del suo nemico: era un ragazzo probabilmente di appena qualche anno più di lui, con uno sguardo sveglio e feroce ed una terribile cicatrice che gli tagliava il naso. Dal punto di vista della corporatura, era molto più prestante e muscoloso di Nico, tanto che lo superava d’altezza di una decina buona di centimetri.
Ed saltò indietro di diversi metri, dando al moro il tempo di riprendersi dalla sorpresa. «Ti ha mandato Cupido?»
Il ragazzo si sistemò il berretto scuro sui capelli corti e rossicci che prima il figlio di Ade non aveva notato. Si prese un istante per osservarlo, per quanto il buio glielo permettesse, approfittando di quella che sembrava una tregua. Non sapeva ancora con precisione le sue intenzioni.
Il ragazzo indossava un paio di jeans blu scuro e una cintura legata ai fianchi con diversi coltellacci in bronzo celeste appesi; il busto era coperto da una comoda giacca a vento chiusa, anch’essa di una tinta scura che Nico non riuscì a identificare. Chiunque l’avrebbe scambiato per un normalissimo adolescente, ma lo sguardo affilato che già prima aveva notato e la sua inaspettata energia non ingannarono il figlio di Ade.
«Sì, lavoro per Cupido, piccolo figlio di Ade» ammise Ed «voleva… diciamo… metterti alla prova.»
Senza aspettare altro, Ed si lanciò verso il ragazzo e tentò qualche affondo con due pugnali, tutti prontamente parati dalla lama del moro.
La differenza d’altezza e di muscolatura lasciava il figlio di Ade con l’amaro in bocca, ma non si diede per vinto. Diamine, aveva sconfitto innumerevoli volte creature ben più grandi di quel ragazzo, anche se forse pochi di essi erano stati così rapidi o svegli.
Approfittando di una distrazione dell’avversario gli scivolò tra le gambe e con una rotazione gli ferì la schiena. Ed grugnì e si voltò furente, colpendolo inaspettatamente in viso con il manico del pugnale. Il semidio arretrò stordito e andò a sbattere contro il tronco di un albero. Si aspettava un ulteriore attacco, ma aprendo gli occhi vide che Ed era fermo, evidentemente provato dalla ferita che era riuscito ad infliggergli.
Ancora una volta, tentò di dialogare. Sputò un grumo di sangue che gli si era formato in bocca e borbottò: «Sei un semidio?»
Ed fece un verso di scherno. «Perché dovrei risponderti?»
Il moro scrollò le spalle, staccandosi piano dal tronco dell’albero: «Perché a quanto pare qualcuno ti ha dato molte informazioni su di me. Perché non dovrei averne io su di te?» Riuscì a malapena a concludere la frase. Ed tentò ancora di ferirlo con il pugnale all’altezza del volto. Nico si ritirò in tempo stringendo la mascella per la rabbia, e fu costretto a scostarsi di nuovo per evitare un affondo allo stomaco.  Poi si slanciò in avanti, menando un fendente con il ferro dello Stige, ma ancora il nemico riuscì a deviare l’attacco con il solo aiuto dei pugnali. Schivò un affondo del figlio di Ade rotolando sul terreno, e non appena si rialzò roteò su sé stesso spedendo Nico a terra con un calcio nello stomaco.
Il figlio di Ade boccheggiò, riverso tra le foglie, stringendo con stizza i fili d’erba sul terreno. Quell’attacco di una forza spaventosa gli aveva probabilmente rotto un paio di costole, e ad ogni respiro sentiva la gabbia toracica pulsare. Cos’aveva, le scarpe rinforzate in titanio? Si concentrò appena, ed il terreno iniziò a tremare. Da una faglia, alle spalle di Ed, emersero due scheletri armati. Non riuscì ad evocarne di più, perché non appena attivò i suoi poteri i pallini neri che danzavano davanti ai suoi occhi si fecero più insistenti.
La sua mente faticava a ragionare. Come poteva Ed essere così forte? Ma soprattutto, da dove proveniva davvero? Aveva bisogno di più informazioni.
Tentò di alzarsi in piedi. Non appena fu solo in ginocchio, la nausea lo assalì e lo costrinse a piegarsi di lato per vomitare.
Passò probabilmente poco tempo. Alzò lo sguardo, certo di aver intrappolato il nemico grazie ai suoi alleati, ma non appena vide la scena che gli si parò davanti sentì la gola seccarsi. Ed, per quando fosse evidentemente stanco, teneva testa senza problemi ai due scheletri che tentavano di bloccarlo.
Facendo rapidamente leva con due dei suoi pugnali, staccò la testa ad uno dei due e fece cadere a terra l’altro con un calcio.
Nico si alzò appoggiandosi al tronco, trattenendosi dal sibilare selvaggiamente. Recuperò il ferro dello Stige da terra e rizzò le spalle nel momento in cui Ed faceva fuori entrambi gli scheletri. Aveva il fiatone tanto quanto il figlio di Ade.
Invece di attaccare, il nemico ghignò appena. «Non sei al mio livello, ma riconosco che hai diversi assi nella manica. Per rispondere alla tua domanda: sì, sono un semidio. Non sono affari tuoi sapere chi è il mio genitore divino.»
«E adesso cosa hai intenzione di fare?»
Ancora una volta, Ed sorrise. «So che Cupido ha un qualche piano per te, ragazzino. Io sono solo una sorta di piccola prova. C’entra anche il tuo…» fece un’espressione disgustata, sputando per terra, e Nico non ebbe dubbi su cosa stesse per dire. «..il tuo fidanzato. Will, giusto?»
Il figlio di Ade strinse le dita sul ferro dello Stige. Sibilò: «Spero per te che non oserai toccarlo.»
Ed si osservò le dita nascoste da guanti del tutto simili a quelli di Nico, che lasciavano le nocche scoperte. «No, puoi star certo che io non ho intenzione di combattere con lui.» Rialzò lo sguardo sul moro, sorridendo ferocemente. «Per lui abbiamo altri progetti, sai? Non credi sia proprio un momento propizio?»
Nico digrignò i denti, i sensi ottenebrati dal dolore e dalla rabbia. Fu un miracolo se si accorse che Ed stava nuovamente avanzando verso di lui, preparando un fendente.
Scartò a sinistra e tentò di ferirlo al fianco, ma come al solito il nemico schivò in tempo. Nico si abbassò per evitare un nuovo attacco, e nel rialzarsi portò la sua lama verso l’alto, riuscendo a ferire Ed alla coscia.
Il ragazzo ringhiò arretrando, ma l’attacco non lo lasciò fermo per molto. Ripartì con forza rinnovata verso il moro, che ormai già faticava a tenere in mano la sua arma.
Nico riuscì a parare il primo affondo, ma il secondo pugnale penetrò nella spalla destra con facilità. Il dolore gli arrivò al cervello e riuscì a malapena ad urlare di dolore, mentre un altro imprevisto attacco gli apriva un taglio sulla coscia sinistra e poi sul fianco. Ormai totalmente stordito, si accorse a malapena di una ginocchiata che lo obbligò a piegarsi in due a terra, tossendo confusamente e sputando sangue.
“Stupido.” Riusciva solo a pensare. “Pensavo di poter salvare Will? Quello con cui mi sono appena scontrato è soltanto un emissario di Cupido. Come posso competere con il dio in carne ed ossa?” Strinse gli occhi con rabbia. “Quando l’ho incontrato in Croazia, scherzava? Possibile che stesse usando solo una minima parte delle sue capacità?”
Non capì quanto tempo passò. Abbastanza affinché le vertigini smettessero di costringerlo a terra. Tuttavia, sapeva di non essere in condizioni di combattere. Tutto il suo corpo bruciava ad ogni movimento. Anche solo respirare gli provocava dolore assurdo. Era stato stracciato semplicemente da un uomo, un ragazzo, che aveva affermato di essere soltanto la punta dell’iceberg di ciò che Cupido aveva in mente per lui. Si sentì male al pensiero, ma se non altro questo gli fece capire che probabilmente Ed non poteva ucciderlo in quel momento. Magari se n’era andato.
Era un pensiero da vigliacco, ma almeno gli diede la forza di alzare lo sguardo. Come era avvenuto pochi minuti prima, gli si gelò il sangue nelle vene non appena focalizzò cosa – anzi, chi – aveva davanti.
La voce dell’individuo, gelida eppure attraente come se la ricordava, stava discutendo con Ed. «Va bene, hai fatto un buon lavoro con Nico. L’importante è che non me lo ammazzi, eh? Te l’ho detto, deve ancora svolgere la sua intera impresa.»
Ed annuì, togliendosi il berretto in segno di saluto e rivelando la massa di capelli biondo-rossicci, e ad un cenno dell’altro scomparve come in una nuvola.
Nico si alzò lentamente in ginocchio. Gli tremavano gli arti e sentiva il calore del sangue impregnargli i vestiti. Ansimò sgraziatamente, cercando di spannare la vista mentre un’ombra – era piuttosto sicuro che fosse una persona, e non soltanto una macchia indistinta – si avvicinava a lui.
«Cupido» riuscì solo a gracchiare prima di piegarsi in due per sputare del sangue che gli si era bloccato in gola, producendo un rumore raschioso.
Non vide che la figura gli si era avvicinata, annuendo con sguardo lievemente disgustato. «Sì, Nico, sono proprio io. Sei cambiato dall’ultima volta che ci siamo visti?»
«Non grazie a te.» Fu una risposta che gli venne naturale, ma un istante dopo si morse la lingua. Accidenti, sì che era cambiato a causa di quel tizio. Non avrebbe saputo dire se in bene o male, ma a mente fredda era più volte arrivato alla conclusione che quella spiacevole scossa ricevuta in Croazia gli aveva finalmente liberato la mente.
Una lieve risata riecheggiò nel bosco. «Non grazie a me? Va bene, va bene, Nico…»
«Hai il frutto?» Chiese diretto il figlio di Ade, alzando finalmente lo sguardo più lucido.
Cupido, dapprima inginocchiato davanti a lui, si rialzò in piedi con espressione delusa. «Il frutto? Ma come… credevo che l’avessi capito, re degli Spettri! La mia è solo una visione!»
«Questo non significa che tu non sia reale» rispose il ragazzo che, con sguardo impassibile, si era lentamente rimesso in piedi reggendosi ad un tronco e stringendo il ferro dello Stige.  Il dio rise: «Suvvia, non essere sciocco. Il frutto non ce l’ho qui con me. Non è ancora arrivato il momento.»
Nico parve confuso: «Il.. momento?» Si trattenne dal dire anche: “Quello di prima era il momento già programmato in cui venivo pestato a sangue?” Forse fu più che altro per la mancanza di fiato.
Cupido iniziò a camminare avanti e indietro con disinvoltura stando attento a non sporcare i pantaloni bianchi immacolati che indossava. «Anche se non ufficiale, la tua è sempre un’impresa eroica. Non puoi risolvere subito i tuoi problemi! È la regola!» Sorrise chiaramente divertito.
Il figlio di Ade si innervosì. Era tutto un gioco, per lui? Uno spettacolino da mettere in scena? Ancora prima che se ne rendesse conto, menò un fendente col ferro dello Stige. Non capì con quale energia riuscì a farlo. La lama parve attraversare Cupido senza fargli un graffio. Il dio invece reagì fulmineo e lo prese al collo con una mano, sbattendolo violentemente contro il tronco dell’albero. Nico sentì il suo stesso corpo urlare di dolore. Boccheggiò, gli occhi carichi d’odio, il ferro dello Stige lasciato a terra.
«Ma adesso non divaghiamo» riprese improvvisamente serio il nemico, agitando la mano libera come per allontanare una mosca. «Voglio solo parlare.»
«Parlare di… cosa?» Biascicò il ragazzo nervosamente cercando di riprendere aria e di mantenere lucidità «..E se è davvero… una missione, non dovrebbe esserci… una profezia al riguardo?»
Un lampo divertito baluginò negli occhi del dio. «Parleremo di ciò che ti aspetta, ovviamente. Compresa, se la vuoi davvero sapere, la profezia.»
Schioccò le dita, ed un turbine avvolse Nico.
 
 Quando si risvegliò, la testa gli pulsava terribilmente. Non si sentiva per niente riposato. Cercò di alzarsi, ma non appena si mise seduto un profondo senso di vertigine lo assalì, costringendolo a piegarsi su sé stesso con un gemito. Fu un miracolo se non vomitò.
Sentì il rumore di una frenata, e allora raddrizzò lentamente la testa. Si rese conto di trovarsi su una panchina al posto di attesa per i taxi. A giudicare dal cielo, doveva essere mattina.
Trattenne a stento un’imprecazione. Sapeva bene che ogni minuto era prezioso in una missione del genere, e all’idea di aver perso chissà quante ore si sentì male.
Tuttavia, fu piacevolmente sorpreso di accorgersi che aveva ancora con sé lo zaino con tutti i viveri dentro. Si mise seduto composto mugugnando. Nessuna magia aveva agito su di lui guarendogli le ferite. Sentiva ancora tutti gli arti dolergli e le ferite sulle gambe e sul fianco pulsare, per non parlare delle costole che probabilmente Ed gli aveva rotto con quel maledetto calcio e della spalla destra. Se non altro, il sangue delle ferite si era coagulato ed aveva smesso di sanguinare.
Un verso indispettito alla sua sinistra lo riscosse. Una vecchietta lo guardò critica, poi si avviò verso il taxi borbottando qualcosa contro l’alcool, le risse ed “i giovani d’oggi”.
Nico la ignorò bellamente, stringendosi meglio nel giacchetto da aviatore che si era ricomprato dopo l’impresa con l’Athena Parthenos. Lo squarcio all’altezza della spalla, unito alla considerevole quantità di sangue che impregnava il tessuto, probabilmente lo avrebbero costretto a prenderne un altro. Sbuffò. Non faceva realmente freddo, ma erano pur sempre i primi di marzo, e raramente ne usciva senza. Scartò un paio di quadretti di ambrosia, che lo fecero sentire immediatamente meglio: una volta che fu in grado di stare in piedi, si diresse alla stazione di servizio della fermata.
Riuscì a farsi una rapida doccia, liberandosi della terra e del sangue incrostato, e a bendarsi i tagli più gravi. Sperò che il disinfettante trovato nella stazione facesse il suo dovere e lo aiutasse a non contrarre infezioni. A malincuore, decise di non indossare il cambio che si era portato. Aveva il terribile presentimento che gli sarebbero serviti vestiti nuovi più avanti, e non sapeva dove trovarne altri. Dopo aver riacquistato un aspetto decente e aver constatato che le costole si erano quasi rimesse del tutto a nuovo, tornò sulla panchina in attesa di un taxi.
Si sforzò di ignorare ciò che gli aveva detto Cupido poco tempo prima, mentre scartava un panino che iniziò a mangiare: se quel dio dell’amore pensava di poter prendere in giro qualcuno, beh, aveva trovato la persona sbagliata.
Lanciò un’occhiata al tabellone che mostrava gli orari degli arrivi dei veicoli: il prossimo taxi sarebbe arrivato nel giro di una decina di minuti. L’attesa non si prolungò. Nico ebbe appena tempo di finire il toast, poi arrivò la macchina che si fermò a poca distanza dalla sua panchina.
Montò sull’auto distrattamente, e quella riprese a correre senza chiedere la destinazione. Forse fu per il fatto che era totalmente assorto nei suoi pensieri, ma Nico se ne accorse solo dopo una buona manciata di chilometri. Lo fece presente all’autista con tono allarmato, ma quello sorrise tranquillo senza rallentare: «Allora mi dica, signor Di Angelo, dove desidera andare?»
Il figlio di Ade trasalì. Sembrò assurdo che non ci avesse pensato prima. Lui non sapeva dove andare. Non sapeva dove trovare Cupido, considerando che la prima ed ultima volta che l’aveva incontrato di persona era stato in Croazia. E la visione, o qualsiasi cosa fosse stata, di quella notte non l’aveva certo aiutato. Finora, per quel poco di strada che aveva percorso, si era mosso seguendo l’istinto. Risvegliarsi alla fermata dei taxi gli era parso semplicemente naturale.
Ed il fatto che l’autista l’avesse chiamato per cognome nonostante lui non gliel’avesse detto non fu altro che la goccia che fece traboccare il vaso.
«Chi sei?» Ringhiò, sporgendosi verso di lui.
Una risata sibilante lo colse di sorpresa. «Il piccolo non sa dove andare, eh?» Non proveniva dal guidatore.
«Finiscila, George, e sii più gentile» rimbeccò una voce più acuta e femminile. Nico spostò lo sguardo sul sedile del passeggero e sussultò. Vi era poggiato sopra una sorta di scettro con due serpenti attorcigliati – serpenti vivi, che avevano iniziato a litigare fra loro.
Il semidio si riebbe in fretta dalla sorpresa, e non appena collegò le cose girò la testa di scatto verso l’autista, facendosi finire dei capelli negli occhi per il gesto improvviso: «Ermes?»
«In persona» rispose lui portandosi gli occhiali da sole sulla fronte. Aveva l’aspetto di un uomo sulla trentina, con i lineamenti elfici che il semidio aveva notato in molti suoi figli ed uno scintillio scaltro negli occhi.
«Perché sei qui?» Gli chiese Nico senza un minimo di gentilezza, portandosi un ciuffo ribelle dei capelli corvini indietro. Non aveva una particolare antipatia per il dio, ma per il momento ne aveva abbastanza di apparizioni divine.
Il dio rispose con un cipiglio più serio del solito: «Sono il dio dei messaggi e dei viaggiatori. Tu adesso sei un viaggiatore. Quindi sono in dovere di proteggerti.» Tutto chiaro. Tutto lineare.
«E come hai intenzione di proteggermi?» replicò il figlio di Ade tuffandosi svogliatamente sui sedili posteriori. Mossa di cui si pentì non appena sentì le costole esibirsi in un raccapricciante cric che gli bloccò il fiato in gola. Forse avrebbe dovuto trattenersi con i gesti avventati per qualche oretta.
Ermes parve non notarlo, ma rispose prontamente: «Con questo.»
Gli porse un piccolo involucro di stoffa senza staccare gli occhi dalla strada. Nico lo prese fra le mani e ne scartò una parte.
Era un quadratino di una sostanza della consistenza del marzapane, color oro, che sembrava emanare un bagliore rassicurante. «Che cos’è?»
«Una medicina.»
Il semidio alzò lo sguardo sgranando gli occhi, ma Ermes lo anticipò: «No, non è il frutto.»
Nico si accigliò. «Allora cosa me ne faccio? Non sono io quello malato.»
Il dio non commentò. Il figlio di Ade si ripassò il quadratino fra le mani. Va bene, non stava proprio una favola. Ma niente che non si potesse curare con della semplice ambrosia. Già in quei pochi minuti, la ferita sulla coscia gli si era richiusa quasi completamente, così come la spalla aveva smesso di pulsare, nonostante fosse ancora aperta.
Ermes iniziò a spiegare senza che nessuno gliel’avesse chiesto. «È in grado di guarire qualsiasi malanno, è praticamente immune anche a maledizioni e affini» si voltò leggermente verso di lui, gli occhiali da sole nuovamente sul naso. «…quindi sì, è compresa anche quella del tuo fidanzato.»
Nico si gustò come il dio aveva pronunciato quell’ultima parola: il tono disgustato di Ed non gli aveva fatto bene, e adesso sentire la voce di una divinità che denotava quanto naturale fosse la cosa gli alleggerì il cuore. Si affrettò però a riprendere il filo del discorso di Ermes.
«Però ha un effetto temporaneo: non è possibile stimare con certezza la sua durata, ma nel migliore dei casi dura due, forse tre giorni.»
Nico ascoltò in silenzio. Aveva il terribile presentimento che prima o poi quelle informazioni gli sarebbero servite.
«Come ultima cosa, ho un messaggio da riferirti: la tua impresa è appena iniziata.» Il figlio di Ade corrugò la fronte confuso. «Quindi avrai dei compagni ad assisterti.»
Nico si rigirò assorto la medicina fra le dita per diverso tempo. Avrebbe avuto dei compagni. Non sapeva se la cosa lo rallegrasse o meno.
Sentì un’improvvisa stanchezza diffondersi in tutto il corpo. Borbottò: «Puoi portarmi dove devo andare?»
Gli rispose una voce sconosciuta ed un poco scorbutica: «Se neanche mi hai detto la via!»
Il moro alzò lo sguardo confuso. Sul sedile del guidatore adesso c’era un uomo di mezza età, con i capelli brizzolati tagliati corti, un paio di spessi occhiali ed un sigaro in bocca. Anche George e Martha erano spariti. Per un attimo Nico rimase intontito a guardarsi attorno cercando di riflettere, poi esitando prese una decisione. «Mi porti verso New York.»
«New York è grande. Dove, di New York?»
«New York» borbottò ancora il ragazzo, mettendo la medicina in tasca e posando il capo pesante sul poggiatesta in una posizione che non gli facesse dolere la spalla. Davvero non aveva idea di dove andare. Decise di lasciar fare al fato, e magari all’aiuto concreto di un certo dio dei viaggiatori. «Dove vuole lei.»
L’autista fece un verso di scherno. «Puoi pagare, ragazzino?»
Nico tirò fuori dallo zaino una singolare carta di credito. Per anni l’aveva conservata, e quando Annabeth gliene aveva spiegato le potenzialità scoperte nella sua esperienza all’hotel Lotus aveva benedetto la sua scelta di non disfarsene.
L’autista strisciò la carta sul lettore e sbiancò alla vista dell’importo infinito mostrato dal display. Nico non ebbe l’opportunità di ridacchiare. La sonnolenza che avvertiva da qualche minuto lo prese d’assalto in maniera più concreta. Sentì la gabbia toracica pulsare. Non seppe se attribuire la colpa alle due apparizioni divine della giornata o al processo di guarigione mentre, riappropriandosi della carta di credito, minacciava l’autista in modo non tanto velato: «Come posso darle tutti quei soldi, posso farla cadere in rovina. Adesso…» trattenne a stento uno sbadiglio «…adesso devo dormire. Si assicuri che non mi venga rubato niente.» Lanciò un’occhiata penetrante all’autista che rispose con una finta smorfia indifferente.
Poi rilassò i muscoli, tenendosi lo zaino in grembo. Mentre crollava in quello che temeva sarebbe stato uno dei suoi ultimi sonni tranquilli della missione, fece appena in tempo a domandarsi perché non avesse chiamato Jules-Albert, il suo autista zombie personale, invece di servirsi dei metodi mortali.
Perché altrimenti sarebbe stato tutto molto meno divertente, gli rispose una voce non sua nella testa. Non ebbe il tempo di preoccuparsene, perché nel giro di pochi attimi la stanchezza prese il sopravvento.
 
Si risvegliò a causa di una brusca frenata. Si sentiva piuttosto riposato, nonostante la ferita alla spalla non si fosse ancora rimarginata. Inquadrò subito un edificio fuori dal finestrino. «Dove sono? Che cos’è?» Riuscì a biascicare mentre controllava di avere tutto ciò che si era portato dietro.
«Un’osteria nella periferia di New York» rispose l’autista osservando il figlio di Ade stropicciarsi gli occhi e guardarsi attorno già guardingo «è ora di pranzo, e non mi sembra che tu abbia mangiato di recente.»
Nico trattenne una risata. E dire che si era fatto un panino proprio qualche ora prima.
«E poi c’è un altro cliente che mi ha chiamato, quindi ti conviene uscire da qui, ragazzino» fece l’uomo con tono scorbutico. Il figlio di Ade aprì lo sportello sbuffando, poi si diresse tranquillo verso la porta dell’osteria.
Comprò un hamburger che iniziò a sbocconcellare mentre si dirigeva ad un tavolo all’aperto, ma dopo averne mangiato neanche metà lo stomaco già chiuso lo costrinse ad incartare il pasto e metterlo nello zaino. Nonostante Will insistesse in continuazione per fargli seguire un ritmo di nutrizione regolare, il suo metabolismo era ancora perfettamente in grado di non soffrire la fame per ore con un solo spuntino. Una capacità, che qualcun altro avrebbe definito una maledizione, dono del periodo passato nella giara, tenuto in ostaggio dai giganti Oto ed Efialte. Nonostante fossero passati molti mesi da allora il suo fisico non si era ancora ripreso completamente, e dubitava che l’avrebbe mai fatto. Così come la sua mente.
Si stropicciò gli occhi, bloccando il filo dei suoi pensieri.
Adesso che si sentiva in forma, e che la maggior parte dei danni causati da Ed erano stati guariti dall’ambrosia, doveva muoversi. Doveva sicuramente esserci un motivo se si era fermato lì. Si alzò in piedi e scrutò l’edificio da cui era appena uscito. Era una sorta di grossa capanna interamente fatta di travi di legno. Nico aveva osservato di sfuggita l’interno, ed anche quello suggeriva un aspetto antico e al contempo accogliente, come un castello medievale.
I cortili esterni erano tempestati di tavoli da pic-nic con sedie di legno. Nico, in virtù del suo carattere, si era messo in uno dei tavoli più oscurati e nascosti dello spiazzo. Ai pensieri di poco prima, l’erba attorno a lui si era appassita.
Si spostò dall’ombra, portandosi sotto la luce del sole. Ci volle solo un istante affinché notasse un cancello arrugginito dalla parte opposta dell’entrata. Dietro, quello che sembrava un boschetto. Il luogo ideale.
Entrò senza esitazione, facendo in modo che il vociare dei clienti dell’osteria si attenuasse in pochi minuti di camminata. Quando raggiunse un piccolo spiazzo illuminato dal sole, si inginocchiò assorto, con un lieve sorriso sulle labbra.
Posò per terra un prisma di cristallo, e nel giro di pochi istanti un arcobaleno si formò davanti ai suoi occhi. Lanciò una dracma d’oro nel fascio colorato.
«Oh Iride, dea dell’arcobaleno, mostrami Reyna al Campo Giove.»
 
 
 
 
 
***Angolo dell’Autrice***
Ehilà! Sono tornata.
Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che mi è dispiaciuto torturare Nico all’inizio. (no, non è vero, è stato divertente)
Finalmente la storia ha iniziato un po’ a muoversi! Spero che siate curiosi di leggere il continuo, che ho già iniziato a scrivere.
Avevo soltanto un avviso da fare riguardo la lunghezza della storia. Avevo detto che sarebbe durata circa 6-7 capitoli. Ebbene, visto che ho avuto una nuova folgorante idea da aggiungere alla trama, si allungherà di un po’. Raggiungerà approssimativamente i 10, forse 12 capitoli, il tutto ovviamente salvo imprevisti.
Concludo ringraziando tantissimo Panna_Malfoy e kirira che hanno recensito lo scorso capitolo! Ovviamente vi invito a farmi sapere cosa pensate di ciò che avete letto con una recensione!
Al prossimo capitolo,
_Kalika_

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Il Frutto del Sacrificio – Cap 4
 
 
 
«Oh Iride, dea dell’arcobaleno, mostrami Reyna al Campo Giove.»
L’immagine nell’arcobaleno tremolò. In attesa, Nico si preparò a rivedere la sua amica, sistemandosi in un gesto che poi valutò stupido i capelli. Dopo ciò che gli era successo sentiva di avere bisogno di un consiglio, e Reyna era una delle poche persone di cui si fidasse al punto da raccontargli di essere scappato dal campo. Erano diversi mesi che non aveva sue notizie all’infuori di qualche lettera, e sperò che non fosse troppo occupata dai suoi incarichi al Campo Giove.
Per un istante, il figlio di Ade riuscì a scorgere l’accampamento romano. Tralasciando nuovi edifici costruiti dopo la guerra contro Gea per accogliere i messaggeri del Campo Mezzosangue, la cui struttura Nico non aveva avuto occasione di vedere dal vivo, era tutto esattamente come se lo ricordava. Pur con una nitidezza incredibilmente sfocata, vide Reyna e Frank seduti sui troni dei pretori, impegnati in una leggera conversazione.
La ragazza sorrideva, almeno fino a che non pose attenzione al punto in cui si trovava Nico. Parve accigliarsi, come se vedesse un elemento di disturbo, ma soprattutto senza dimostrare di vedere il figlio di Ade. Mentre l’immagine diventava sempre più sfocata, lei si alzò dal trono e si avvicinò come per schiacciare un insetto fastidioso.
Nico provò a chiamarla, ma si rese conto che sarebbe stato tutto inutile quando la panoramica del messaggio Iride cambiò come se avesse preso il volo: rese una vista dell’intero Campo Giove, abbandonando la sala dei pretori, poi si librò verso il cielo oscurandosi. Dopo pochi istanti la visione si stabilizzò in un punto totalmente diverso da quello richiesto.
Nico riconobbe una strada di New York vicino alla parte occidentale di Central Park. Il messaggio-iride entrò in una bottega della via dall’aria trascurata, trovando un interno illuminato solo da qualche torcia del tutto simili a quelle usate al Campo Mezzosangue. Due individui stavano parlando fra loro.
Un signore piuttosto anziano, con i capelli quasi assenti ed il volto coperto dalle rughe, era un poco ricurvo e seduto su una poltrona. Si appoggiava con le braccia magre su un’austera scrivania, ed era senza dubbio il proprietario del luogo. Parlava piano, con voce roca, e sorrideva impercettibilmente.
L’esatto contrario dell’altra persona, che non ebbe bisogno di presentazioni. Ed.
Al posto della giacca a vento indossava una pesante felpa verde con il cappuccio tirato sul viso. Anche i pantaloni erano differenti da quelli che Nico gli aveva visto indosso la notte prima. Il figlio di Ade sperò che fosse a causa delle ferite che era riuscito ad infliggergli, mentre si guardava un poco rammaricato i suoi abiti stracciati.
«Mi serve il passaggio, vecchio» stava ringhiando Ed «so che sai come si arriva da Cupido.» Provò ad avanzare verso l’altro uomo, ma il volto si stirò in un’espressione di dolore, mentre zoppicando poggiava i palmi delle mani sulla scrivania per sorreggersi. «Ho finito l’ambrosia, vuoi capirlo o no?»
L’anziano signore inclinò la testa, stringendo gli occhi come per cercare di vederlo meglio. «Sì, sì, va bene. Ma prima il pagamento.» Allungò la mano per richiedere dei soldi, ma Ed sbattè ancora le mani sul tavolo, adirato, senza tuttavia impressionare l’altro.
«Non ho niente! Né dracme, né armi o qualcosa di valore, niente di niente! Fammi passare!» Ordinò con furore.
Il vecchio si alzò con calma. Raggirò la scrivania lentamente, appoggiandosi ad un bastone, e quando fu abbastanza vicino parlò: «Niente pagamento, niente passaggio. Sono le regole.»
Ed ringhiò dalla frustrazione.
Da quel momento in poi, si fece tutto sfocato. Nico riuscì solo a vedere il ragazzo che aggrediva l’altro e lo faceva cadere a terra. Sentì un fischio nelle orecchie, e parve che la visione si allontanasse.
«No! Aspetta, aspetta!» Urlò all’arcobaleno, stando attento a non passare la mano sulla superficie. Gli sarebbero state utili altre informazioni.
Tutto inutile. Qualcosa attraversò il fascio di luce come una furia, travolgendo anche Nico in un misto di urla e… nitriti?
Sentì indistintamente qualcuno urlare il suo nome. Era certo che non provenisse più dal messaggio iride, ormai irrimediabilmente finito. Tossì, togliendosi dal viso la terra contro cui era stato trascinato, e solo dopo qualche istante si rese conto che qualcuno gli aveva preso il viso tra le mani. «Chi.. cosa?» Alzò le braccia per proteggersi dall’eventuale minaccia, ma trasalì quando una fitta alla spalla gli fece vedere tutto nero. Rimase immobile boccheggiando.
«Nico, fermati. Non voglio farti del male. Devi far riposare la spalla.» Il figlio di Ade obbedì, rapito dal tono dolce, anche se confuso com’era non riconobbe la voce, mentre delle dita esperte scostavano la maglietta dalle spalle e sistemavano la bendatura.
Nel giro di pochi minuti le vertigini scomparvero. Si tirò su, e non credette ai suoi occhi.
«Grazie, Blackjack. Non penso che tu sia in grado di trasportare tre persone, quindi d’ora in avanti ce la caveremo da soli. Puoi tornare al campo.»
«Helen?! Perché l’hai fatto?» Nico avanzò esterrefatto verso di lei. La semidea si voltò verso di lui, ben consapevole che non si riferisse al fatto di aver appena salutato il pegaso. Se prima aveva un sorriso sul volto, adesso si era spento.
«Mi dispiace, Nico. Non avevo pensato di arrivare a tanto. Si è svegliato questa mattina, e gli ho detto che eri partito.» Si avvicinò al tronco di un albero lì accanto, al quale era appoggiata una figura febbricitante. «Non ha voluto sentire ragioni, ed ha insistito per cercarti.»
Nico si accovacciò davanti a Will Solace, che lo osservava con espressione lievemente stralunata ed un sorriso sulle labbra. «Lo sai quanto sono insistente.» Borbottò ansimando.
Il figlio di Ade incupì il suo cipiglio arrabbiato. Aspettò un secondo, in cui nessun altro intervenne, poi alzò una mano e mollò un ceffone al biondo, facendo sussultare Helen. «Sì, lo so. E adesso so anche quanto sei stupido.» Appoggiò poi con delicatezza la stessa mano sulla fronte del ragazzo, che adesso aveva lo sguardo a terra. Tremava ed era bollente.
Senza cambiare posizione sulle gambe, sospirò e si passò stancamente le mani sulla faccia, fino a che non realizzò. La voce di Helen lo risvegliò. «Mi… mi dispiace» balbettò incerta, aspettandosi un’altra reazione furiosa del figlio di Ade.
Quello invece si limitò a rialzarsi scuotendo la testa. «No, no, mi avevano avvisato.»
«Cosa?»
«Mi avevano detto che avrei avuto dei compagni.» Spiegò in parole spicciole. Non aveva senso arrabbiarsi con lei, ma non avrebbe perdonato in due secondi l’avventatezza di Will. «Siete voi due. E dobbiamo far in modo di ottimizzare al massimo i tempi.» Il suo cervello lavorava senza interruzioni, collegando lentamente i tasselli. Privo di esitazioni prese dalla tasca della giacca la cura di Ermes e ne spiegò le capacità ad Helen.
«Non so quanto tempo ci servirà per concludere l’impresa, ma sarebbe inutile non usare la cura per paura di sprecarla. Se adesso Will si sentirà bene, riusciremo a muoverci senza problemi.» Concluse il suo ragionamento.
La figlia di Apollo annuì decisa, e insieme a Nico si riavvicinò a Will. «Mangia questo.» Gli ordinò il moro con tono un po’ duro.
«Che cos’è?»
«Una medicina, Will.» Gli rispose Helen con tono accondiscendente, tentando un sorriso mentre incrociava gli occhi lucidi del ragazzo. Lui non protestò e la masticò in un paio di morsi, mugugnando al sentire il gusto sorprendentemente buono. Aprì la bocca per commentare, ma nel giro di pochi istanti le pupille rotearono all’indietro e si accasciò inerme fra i due semidei.
Lo fecero sdraiare, e Nico posò ancora la mano sulla sua fronte – dubitava che quella storia delle labbra fosse vera – mentre Helen gli ascoltava il battito.
Passarono meno di trenta secondi, ed il figlio di Ade sentì la pelle lentigginosa farsi meno calda. «Sta calando la febbre.»
La semidea annuì. «Anche i battiti stanno tornando normali. Si riprenderà fra poco.» Detto questo, chiuse gli occhi con un sorriso e si appoggiò all’albero.
«Come avete fatto a trovarmi? Chirone vi ha dato una mano?»
Helen rise. «Chirone non ha cambiato idea sull’impresa. Siamo partiti questa mattina, prima della colazione. Beh… insomma, non appena il testone ha saputo la notizia.»
«E ti abbiamo trovato grazie all’odore di morte.» Aggiunse una voce maschile molto più lucida di quanto l’avessero ascoltata pochi minuti prima. Will si mise seduto con un sorriso acceso. Si stiracchiò disinvolto e sbadigliò.
«Come stai?»
«Bene. Molto bene.» Si guardò intorno, come se vedesse quegli alberi per la prima volta. Incrociò lo sguardo di Nico.
Il figlio di Ade era combattuto. Da una parte, era terribilmente arrabbiato con il biondo. Come gli era venuto in mente di uscire dalla protezione del campo e andare a cercarlo nelle condizioni in cui si trovava? Se non avesse avuto la cura, avrebbe rischiato la morte al primo aggravarsi della malattia. Dall’altra parte, Nico ormai aveva capito che era stata una mossa scelta dagli dei, dalle Parche o da chi per loro. Forse la cura gli sarebbe potuta servire più avanti. Forse no. In ogni caso, gli avevano dato occasione di sopravvivere. Ed era tremendamente sollevato dal vedere Will finalmente in forma, con un colorito acceso e non più in preda a febbre o dolori vari. Anche se si trattava di una situazione temporanea, il suo cuore si era alleggerito.
Nico non sapeva se mantenere il broncio, per far capire al ragazzo i pericoli a cui si era sottoposto, o abbracciarlo con tutte le sue forze e assaporare quel momento.
Fu Will a decidere per lui.
Non appena furono tutti e tre in piedi, si avvicinò a lui e lo strinse a sé, sospirando e sentendolo infossare il viso nel suo petto. Il figlio di Apollo gli accarezzò i capelli corvini mentre lui gli circondava la schiena con le braccia. Sentirlo vivo ed in salute fra le sue braccia restituì a Nico un sacco di energia. Sorrise impercettibilmente, mentre Will gli allontanava la testa dal petto e gli lasciava un casto bacio sulle labbra. «Sono ancora uno stupido, Raggio di Sole?»
Il figlio di Ade sbuffò, riappoggiando il capo sulla maglietta arancione del biondo. «Sì, moltissimo. Anche se non è stata tutta colpa tua.»
«Ah, no?»
«No. Probabilmente gli dei avevano già deciso che avresti fatto la stupida azione che hai fatto.»
«Mh. Quindi ti sei sbagliato a darmi uno schiaffo, prima.»
«No, non sto dicend…»
«E ti devi far perdonare.»
«Non…»
«Facciamo così: se farai un’azione più stupida della mia, allora potrò restituirti il torto.»
Nico alzò un sopracciglio. Poi sorrise, staccandosi dal ragazzo. «Va bene. Ma dubito che succederà mai.»
Raccolse da terra il prisma e si avviò insieme ai due figli di Apollo verso l’uscita del giardino. «Prima hai detto che mi avete trovato grazie all’odore di morte» riprese poi pensieroso «che cosa intendevi?»
«Intendo dire proprio quello che hai sentito. Qualche tempo fa, Percy mi aveva raccontato che i pegasi si erano rifiutati di portarti in groppa perché sentivano l’odore di morte. Ho pensato che avremmo potuto usarlo per rintracciarti, e Blackjack non ci ha delusi.»
«Mh, bella idea. Ma resti sempre stupido.»
 
«Adesso dove andiamo?»
Nico raccontò ai due ragazzi della visione che avevano interrotto con il loro arrivo. «Ho riconosciuto la strada, ci possiamo arrivare con un viaggio-ombra senza problemi.» Ebbe l’ardire di incrociare lo sguardo di Will, che si limitò ad una negazione del capo dal tono irrevocabile.
«Niente viaggi ombra. Andremo in taxi.» Decise inghiottendo un grosso boccone della piadina che teneva in mano. Si erano fermati all’osteria per pranzare, ed il figlio di Ade era riuscito ad evitare il cibo raccontando minuziosamente ciò che gli era capitato fino a quel momento. «E poi devi mangiare.»
Prima che la discussione si trasformasse in un litigio sulle loro abitudini alimentari, Helen prese posizione poggiando le braccia sul tavolo. «Per una volta, Will ha ragione. I viaggi-ombra ti stancano troppo.»
«Ma così facendo perderemo tempo! Non sappiamo quanto tempo durerà la cura, ed in più Ed potrebbe attaccarci in qualsiasi momento.»
«Se riuscissimo ad arrivare al posto e fosse una trappola, o ci fosse un qualsiasi pericolo, saremmo in difficoltà. Fra noi tre, sei il migliore per quanto riguarda il combattimento. Senza offesa, considerando quello che ti ha fatto Ed…» adocchiò la maglia sbrindellata e la spalla destra del corvino, che Will aveva guarito completamente grazie ad un incantesimo «avremo bisogno di tutte le nostre forze per sconfiggerlo.»
 Nico la fissò. Non aveva tutti i torti. Detestava l’idea di perdere tempo, ma a quanto pare non aveva scelta. Alla fine, acconsentì.
Will sorrise. Aveva ancora il segno delle cinque dita di Nico sulla guancia.
 
Il viaggio durò poco più di un’ora. Tre semidei adolescenti dovevano emanare un odore piuttosto potente per i mostri, e a prova di questo diversi nemici spuntarono durante il tragitto. La maggior parte di questi erano evitati e dopo poco rinunciavano di fronte alle manovre spericolate del tassista – “Ma cos’hanno i gabbiani oggi? Sembra che abbiano tutti voglia di buttarsi sulla mia macchina!” –, mentre i pochi più ambiziosi che tentarono di inseguirli vennero prontamente depistati da un paio di scheletri di Nico o ridotti in cenere dalle frecce dei figli di Apollo.
Nico notò che Will sembrava prediligere il tiro con l’arco, mentre la sorella risultava meno avvezza; si chiese se Helen avesse altri talenti da poter usare in battaglia.
Il taxi si fermò proprio di fronte alla bottega vista nella visione. I tre ragazzi scesero dal veicolo e, dopo uno scambio di occhiate, entrarono titubanti.
 
Un campanellino sulla porta avvisò la loro entrata. Una volta che la porta si richiuse dietro di loro, tutti i suoni della città parvero scomparire.
I semidei si guardarono attorno, e Nico si scoprì a rabbrividire di fronte all’aria tetra che emanava il luogo. Spinta dalla curiosità, Helen si avvicinò di qualche passo ad uno degli scaffali, osservando ammirata la mercanzia. Si trattava perlopiù di manufatti di metallo, tra i quali delicate statuine impreziosite da gemme che decoravano gli occhi dei personaggi e i dettagli dei loro abiti.
Appoggiò la mano al vetro della teca, come incantata dalla leggiadria delle figure, poi scorse con gli occhi un comodino in legno accanto allo scaffale. Vi si accostò, notando su di esso un cofanetto di legno intarsiato. Lo aprì, e ne uscirono fuori due piccole statuine di bronzo l’una accanto all’altra. Si udì un lieve cigolare, poi si diffuse nell’aria una dolcissima melodia, accompagnata dal danzare delle figure nel carillon.
Nico sussultò, sorpreso dall’improvviso rumore. Will fece altrettanto, ma dopo pochi istanti aggrottò la fronte, gli occhi pieni di genuino stupore. Si portò al fianco della sorella. «Io… conosco questa canzone»
«Anche io» sussurrò Helen con stupore nella voce. Avvicinò il volto al carillon, sorridendo malinconica. «La… la cantava mia madre per non farmi piangere, quando ero in fasce» Will annuì, riscontrandosi nel racconto, gli occhi lucidi di ricordi. «Gliel’aveva insegnata mio padre. Funzionava sempre.» aggiunse con voce provata.
Nico si avvicinò perplesso, trovando dal canto suo la melodia totalmente sconosciuta. Non parlò, né osò interrompere quel momento, ma accennò un sorriso intenerito quando riconobbe le statuine che stavano osservando: una donna dai lineamenti indefiniti che cullava amorevolmente un neonato fra le braccia, e accanto a lei il dio Apollo che, con eleganza e dolcezza innaturali, carezzava il bambino. Danzavano armoniosamente, donando un’incredibile e tenera atmosfera alla bottega.
La melodia finì dolcemente, ed il cofanetto si richiuse da solo. Di nuovo avvolti nel silenzio, Will si spostò di qualche passo, continuando l’esplorazione, mentre la sorella rimase a contemplare il carillon commossa. Il ragazzo si diresse incerto verso uno scaffale coperto da un telo, che sollevò e lasciò cadere a terra. La sua bocca si aprì dalla sorpresa.
«Ragazzi…»
La bacheca era piena di vasi ed anfore di diversi materiali, dall’argilla fino al bronzo. Tutti finemente decorati da motivi floreali, intagli elaborati e colori perfettamente accostati tra loro, ognuno di essi rappresentava una scena od un mito greco o romano. Ma non solo i miti. I semidei si avvicinarono, e gli occhi di tutti si spostarono presto su un’unica fila. Will ne prese uno in mano, rigirandoselo stupefatto. «Non ero presente, ma… riconosco quando è successo» Delineò con le dita le figure: un ragazzo steso a terra, con un pugnale in mano, dipinto nel momento in cui si portava l’arma in un punto imprecisato sotto l’ascella; accanto a lui, un ragazzo ed una ragazza più piccoli. La femmina era in lacrime, mentre l’espressione del maschio era atterrita, come se in quell’istante gli si fosse chiarito un quadro troppo complicato da vedere.
Will fece roteare l’anfora, mostrando l’immagine di un ragazzo sul dorso di un pegaso nero che si lanciava in battaglia contro un esercito capitanato dal Minotauro su un ponte di New York. Posò il vaso sulla mensola con un movimento convulso.
Abbassò lo sguardo sui vasi di altre file, evidentemente più vecchi. Ne osservò assente i dipinti e le scanalature, fino a che non vide delle incisioni sui bordi di alcuni di essi. Nico si inginocchiò accanto a lui, notando la stessa cosa. «Questo è latino… ehm, non sono ancora in grado di leggerlo» borbottò il figlio di Ade passando in rassegna con lo sguardo alcuni dei vasi più antichi. «Oh, aspetta, questo è greco…»
Si avvicinò per tradurlo, ma gli bastò uno sguardo per sbiancare. «Oh, dei…»
«Che cos’è? E come hai fatto a leggerlo così in fretta? È una scrittura fittissima!»
Nico guardò i due figli di Apollo con aria incredula. «Non ho avuto bisogno di leggerlo tutto. Direi che lo conosco già.» Lanciò una rapida occhiata al vaso, poi declamò le prime parole. «Sette mezzosangue alla chiamata risponderanno. Fuoco o tempesta il mondo cader faranno…»
Non continuò, e nel silenzio si diffuse un’aria ansiosa ed inquietante.
«Beh… i Romani avevano la profezia già da molto tempo.» Rifletté Will.
«Ma l’incisione è in greco.» Replicò Helen con aria pensierosa. D’istinto, tutti e tre si allontanarono dallo scaffale. «Chi diamine è questo tizio? Nico, sei sicuro che possiamo fidarci di lui?»
«No, ma è la nostra unica possibilità per trovare Eros. Sempre ammesso che il vecchio sia ancora vivo. Ve l’ho detto, Ed sembrava intenzionato ad andarci pesante, quando si è spenta la visione. E non so nemmeno dove…»
«State cercando qualcuno, ragazzi?»
Una voce roca ed estremamente calma li sorprese. Soffocando un urletto Helen d’istinto arretrò, mentre i due ragazzi si girarono verso l’origine del rumore.
Alla sedia dietro la scrivania in fondo alla bottega, in parte oscurato ed in parte illuminato dalle candele, stava un anziano uomo. Le mani nodose e rovinate stringevano una stilografica con leggiadria, come se la stesse analizzando, mentre gli occhi offuscati ma al contempo vispi osservavano i semidei senza traccia di paura o di sorpresa.
«Sta… sta bene?» Nico si avvicinò barcollando, gli occhi sgranati come se vedesse un fantasma. Si girò appena verso i compagni, cercando di riprendere la calma. «È l’uomo della visione.» Confermò. Non capiva cosa gli prendesse. Era come se si trovasse di fronte ad una potentissima entità ostile, anche se a guardarlo il vecchio gli suggeriva tutt’altro.
«Io sto bene, giovanotto.» Rispose quello alla domanda di prima inclinando appena la testa come per scrutare meglio il figlio di Ade. «Tu invece non mi sembri in gran forma. Ti serve un secchio per vomitare?»
Nico non rispose, chiedendosi quando le sue mani avevano iniziato a tremare. In effetti incominciava a sentire un po’ di nausea. Si sentiva come stordito, e a malapena capiva il perché.
Quanto tempo era passato dalla visione? Nel peggiore dei casi, non più di due o tre ore. Ciò che aveva visto era sicuramente successivo al suo scontro con Ed. Come faceva quel vecchio ad essere già in forma? C’era qualcosa che non quadrava, ma al momento non riusciva a capire cosa. Percepiva solo una sensazione di pericolo imminente.
Era stato lui a portare Will ed Helen in quella bottega. Se fosse stata una trappola?
Una mano gli si posò sulla spalla per riscuoterlo, poi scese accarezzandogli la schiena e si fermò sul suo fianco destro. Nico voltò la testa, accorgendosi solo in quel momento di avere ancora gli occhi spalancati. Sbattè più volte le palpebre, trovandosi a fissare il volto di Will a pochi centimetri dal suo che lo scrutava preoccupato. «Va tutto bene? Il signore ha ragione, sei pallido.»
Il figlio di Ade deglutì, sentendo le ginocchia cedere. Ma ormai erano in ballo, tanto valeva ballare. Will lesse il suo sguardo ed annuì. Si rivolse al vecchio: «Sappiamo che puoi farci raggiungere Cupido. Abbiamo un’impresa da compiere, e dobbiamo trovarlo.»
L’uomo inclinò lentamente la testa dall’altro lato, fingendo di rifletterci. «Sì» Decise infine «Forse posso farvi accedere al passaggio. Ma prima il pagamento.» Posò la penna che teneva fra le dita sul tavolo, poi, in un gesto uguale a quello che Nico aveva visto nella visione, allungò una mano sul bancone.
Il figlio di Ade fece per tirare fuori dallo zaino la carta di credito dell’Hotel Lotus, ma il vecchio lo fermò sbattendo con forza i pugni sul tavolo, facendo tintinnare la stilografica. «No, no, NO! Non voglio niente del genere! Non tollero i trucchetti!» Nico sbiancò, come se un’ondata di energia nemica l’avesse travolto. Per qualche istante, tutto parve girare intorno a lui. Boccheggiò senza rendersene conto. Sentì la presa di Will farsi più forte, mentre la sorella lo aiutava a farlo scivolare su una sedia davanti la scrivania. «Ehi, ehi, che ti succede? Nico?» La voce di Will che gli sussurrava nelle orecchie lo riscosse un poco. Non riusciva a capire perché la presenza di quell’uomo riuscisse a destabilizzarlo in tal modo, né perché Will ed Helen ne sembrassero immuni.
«Cosa gli hai fatto, vecchio?» Il figlio di Apollo ringhiò verso l’uomo seduto alla scrivania. Lui alzò le mani, la rabbia di poco prima svanita. «Io non gli sto facendo proprio niente, ragazzo, hai la mia parola. I figli di Ade… sono molto sensibili a certe cose. Nico Di Angelo è molto potente e molto, molto sensibile dal punto di vista energetico.» scrollò le spalle «..questo negozio è tanto vecchio. Potrebbe avere con sé qualche incantesimo od energia che nuocciono al ragazzo.»
Nico non ebbe la forza di dissentire, anche se sapeva che la colpa non era del negozio. La debolezza che provava derivava direttamente da quel misterioso signore. «Cosa… vuoi come pagamento?» Chiese a fatica.
Il vecchio sorrise. «Avete dracme d’oro?»
I semidei si frugarono nelle tasche. Tirarono fuori una decina di dracme o poco più, decisamente insufficienti a soddisfare la richiesta dell’uomo, che li guardò borbottando. Schioccò la lingua in segno di disappunto. «No, no, non va bene.»
I ragazzi si ripresero le monete cupamente, ma l’anziano ridacchiò inclinando la testa. «Tranquilli! C’è un altro modo per pagarmi!»
«Ovvero?» Riuscì a borbottare Nico.
«Dovete fare per me una… come si dice.. sì, una specie di commissione.» Rispose l’altro inclinando nuovamente la testa e congiungendo fra loro le dita delle mani su cui appoggiò il mento.
I semidei si scambiarono un’occhiata dubbiosa. Probabilmente non si sarebbe trattato di andare al supermercato più vicino per comprare la pasta per dentiere. Ma, come al solito, non avevano altra scelta.
«Va bene, accettiamo.» Rispose Helen per tutti. «Di cosa si tratta?»
Il vecchio sorrise, mostrando i pochi denti che gli rimanevano in bocca. «Mia bella fanciulla, dovrete portarmi una profezia.»
«Una… cosa?»
«È scritta su una piccola lastra di bronzo celeste, ovviamente.» spiegò assumendo un’espressione esperta guardandosi intorno. «Come… come questa!» Tirò fuori da un cassetto della scrivania una piccola lastra incisa in greco antico, che mostrò ai semidei.  «Quella che voglio è tra le più recenti, e sicuramente la riconoscerete. Di solito quando si trova la giusta lastra, questa emette…» agitò coinvolto le dita in aria, cercando di spiegarsi meglio. «…uno scintillio, sì.»
Will si avvicinò ai vasi che aveva scoperto poco prima. «Ci farà un vaso? E poi, dove la prendiamo questa profezia?»
Il vecchio si alzò in piedi, rivelandosi ben più alto di quanto i figli di Apollo si fossero aspettati. «Basta domande, basta domande» ripeté come un mantra «Ora andate, andate.»
Prima che qualcun altro potesse chiedere dettagli schioccò le dita, e i tre semidei si ritrovarono a cadere nel vuoto.
 
 
 
 
 
 
***Angolo dell’Autrice***
Ho deciso di aggiornare oggi perché temo che fra poco non avrò più molto tempo a disposizione. Avevo questo capitolo già pronto quasi due dopo soli due giorni dall’aggiornamenti del terzo, ma ho voluto pazientare un po’ per rivederlo e correggerlo.
Ebbene sì, la storia si sta movimentando molto e la squadra di eroi si è già formata! Spero non siate delusi dalla mia scelta di inserire subito di nuovo Will ed Helen, ma non potevo aspettare oltre. Ho voluto inserire un paio di brevi scene Solangelo, nel prossimo capitolo ce ne sarà qualcun'altra, e anche se magari non ha un ruolo importante all’interno della trama spero che lo apprezziate.
Spero che la descrizione dell’“indirizzo”, se così si può chiamare, della bottega del vecchio sia stata un minimo soddisfacente, perché le mia conoscenze riguardo le strade di New York sono praticamente pari a zero e quindi ho dovuto improvvisare mantenendomi sul vago.
Non credo di avere altro da dire. Sto già lavorando al quinto capitolo che immagino si rivelerà insieme al sesto più complicato del previsto, e unito al fatto che sono finite le vacanze di Natale, non so quando aggiornerò di nuovo.
In ogni caso, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Ovviamente se volete farmelo sapere tramite una recensione, o magari se volete avvisarmi di qualche errore che ho commesso, mi renderete soltanto più felice e soddisfatta. Concludo ringraziando Panna_Malfoy che ha recensito immancabilmente anche lo scorso capitolo.
A presto!
_Kalika_

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Il Frutto del Sacrificio – Cap 5
 
 

Fu come se gli avessero tappato le orecchie e poi gliele avessero liberate all’improvviso. Nico si ritrovò disteso su un terreno caldo e sabbioso, con gli organi interni sottosopra, un fischio nelle orecchie ed una gran voglia di vomitare.
I suoi compagni non sembravano messi tanto meglio di lui. I due si misero seduti mugugnando, mentre il figlio di Ade rimase disteso a pancia in su, spolverandosi la sabbia dai vestiti e cercando di schermarsi il viso dal sole accecante. «Dove siamo?»
«In un deserto, credo. Non vedo edifici o piante, solo sabbia.» Rispose la voce incerta di Helen.
Nico tirò a sedere di scatto per guardarsi attorno, e ci mise un istante di troppo a capire che non era stata una buona idea. Mentre la vista gli si riempiva di pallini neri crollò su un fianco, sentendo subito dopo la consistenza granulosa della sabbia inondargli la bocca. Qualcuno lo rimise eretto e gli fece sputare la sabbia, e nel giro di pochi istanti il dolce sapore del nettare gli inondò la bocca. Quando sbattè le palpebre, la vista tornò normale. Borbottò un ringraziamento a Will che stava rimettendo la bottiglia di nettare fra le provviste.
«Nico, cosa ti è…» «Aspetta» interruppe Helen con la mano «Prima dobbiamo decidere cosa fare.»
Si alzarono in piedi. Will indicò una direzione con fare ovvio. «Di là.»
«Cosa? Perché?»
Il biondo si girò verso la sorella: «Tu non lo vedi?»
«Vedere cosa?»
«Una… una sorta di scia. E laggiù in fondo c’è un luccichio.»
Il figlio di Ade gli si affiancò, stringendo gli occhi per cercare di vedere, inutilmente, ciò che l’altro gli stava descrivendo. «Cioè… vedi la strada da seguire e la profezia è da qualche parte nella sabbia?»
Will si accigliò, inclinando la testa. «No, non… non credo che sia nella sabbia.» Si levò il piumino e la felpa che indossava, mettendoli nello zaino e venendo presto imitato dagli altri due semidei. «Penso piuttosto che sia in qualche edificio, forse una rocca o simile. Non è che lo vedo il bagliore, io lo sento… uhm.. è difficile da spiegare.»
Helen si arrotolò i pantaloni fino alle ginocchia, poi si legò i capelli con aria pensierosa. «E se fosse una trappola del vecchio? Ci ha spediti lui qua.»
Nico sospirò. «Abbiamo altra scelta? Meglio cadere in una trappola e combattere che morire di stenti in un deserto. E poi, se gli interessa davvero ottenere quella profezia, potrebbe starci aiutando.»
Helen storse il naso, non del tutto convinta, ma si mise a seguire Will che si era appena incamminato. Il fratello invece fischiò vagamente divertito, avvicinandosi al figlio di Ade: «Da quando tutto questo ottimismo, Raggio di Sole?»
Nico si limitò a sbuffare. Dopo quello che aveva deciso con Eros, l’ottimismo era l’unica chance di non uscire di senno.
 
Camminarono per tutto il resto del giorno. Nico approfittò del tempo per descrivere ai figli di Apollo i suoi dubbi riguardo l’anziano che li aveva portati in quel deserto. Parlò della sensazione che aveva provato quando il vecchio si era arrabbiato e al fatto che quanto aveva detto era vero: i figli di Ade erano realmente più sensibili dal punto di vista energetico. «La magia che percepivo però non proveniva dal negozio, ma da lui stesso, ed era al contempo incredibilmente potente ed eccellentemente occultata. Con tutte le probabilità questo mio malore è dovuto proprio a ciò.» Concluse.
Non incontrarono anima viva. Poco prima di sera raggiunsero una sorta di torre. Nonostante l’aspetto decadente e pieno di sabbia, la struttura sembrava stabile. Cosa più importante, Will avvisò che la traccia che seguivano finiva dentro l’edificio. Precisamente, calpestando le ultime scie, si spegneva all’inizio di un corridoio che si concludeva in due porte.
«La lastra sarà dentro una di queste stanze.» Suppose Nico «Will, non riesci a vedere in quale delle due?»
Il biondo scosse la testa. «Prima vedevo il bagliore, ma adesso si è spento. Non percepisco niente.»
«Io invece sì» Rispose il figlio di Ade. «da entrambe le porte ci sono delle fonti di grande energia.» Si allontanò di qualche passo. «Probabilmente sarà pericoloso. Non siamo nelle condizioni adatte.»
 
Decisero che sarebbero entrati la mattina dopo, divisi in due gruppi per ottimizzare il tempo perso con il riposo: Nico nella stanza a sinistra, Helen e Will in quella a destra.
Accesero alcune torce che disposero nelle zone più importanti della torre: non erano molte, visto che oltre ad un sabbioso ingresso l’edificio era composto solo da un altro paio di corridoi che si intrecciavano e probabilmente cingevano le due stanze che avrebbero visitato il mattino dopo.
I ragazzi si accamparono in un angolo dell’ingresso attorno ad un falò. Will si offrì di fare la guardia, volendo approfittare del tempo in cui si trovava ancora in salute.
I figli di Apollo tirarono fuori dai loro zaini delle coperte. «Siamo in un deserto, probabilmente l’escursione termica sarà molto forte.» spiegò Helen. Non immaginava quanto avrebbe avuto ragione.
Mentre il sole tramontava e la temperatura scendeva, Nico si addormentò dolcemente.
 
«Jason, sinceramente il suo comportamento non mi stupisce più di tanto. Se si è davvero innamorato di questo ragazzo, sappiamo bene entrambi che farebbe qualsiasi cosa per non farlo andare negli inferi. È in gamba.» Reyna parlava con la voce immersa nei ricordi del suo viaggio con l’Athena Parthenos, mentre al di là del messaggio-iride il figlio di Giove la ascoltava.
«Lo so Reyna, lo so, ma qui siamo tutti in pensiero. Gli avevo detto che avrei appoggiato la sua decisione qualunque fosse stata, ed è così, ma pensavo che mi avrebbe avvisato se fosse scappato! Per di più con Will ed una sua sorella…»
«Hai provato a mandargli un messaggio-iride?»
«Certo, ma è come se le comunicazioni con lui fossero bloccate. Immagino sia lo stesso per te.»
Reyna si limitò ad annuire sospirando. «Tuttavia, se il suo è davvero uno scontro con Cupido, dubito che vorrà che lo cerchiamo. Deve essere un confronto diretto, e deve uscirne vincitore. Non so se Chirone lo capirebbe.»
Jason annuì mordicchiandosi la cicatrice sul labbro, mentre Reyna continuava: «Se fosse in pericolo, troverebbe un modo per dircelo. Non ho dubbi.»
«Questo lo so anch’io, ma resto preoccupato. In ogni caso, cercherò di evitare che dei semidei vengano mandati inutilmente nel mondo mortale. Chirone sta programmando delle squadre di ricerca, ma per ora forse riesco a rallentare la decisione finale.»
I due romani si salutarono, e Nico si svegliò dal suo sogno.
 
La prima cosa che notò fu che aveva cambiato posizione in cui dormiva. Inoltre, la coperta che prima aveva usato per non stare a contatto con la sabbia adesso gli copriva il corpo. Delle braccia non sue gli cingevano i fianchi, e la sua schiena messa quasi in posizione eretta premeva contro una superficie morbida.
Espirò, e dalla sua bocca uscì una nuvoletta di vapore. Si rese conto solo in quel momento di quanto facesse freddo. Tremava, le sue dita erano violacee e la sabbia su cui era seduto era gelata. Ci mise qualche altro secondo ad accorgersi che Will era dietro di lui. Anzi, più precisamente, il figlio di Ade era seduto fra le gambe del biondo, che stringeva la coperta attorno a loro cercando di scaldarsi.
Se la temperatura gliel’avesse permesso, probabilmente sarebbe avvampato. Invece alzò la testa per guardare il volto livido del figlio di Apollo, che sorrise leggermente: «S-Scusa se ti ho svegliato con i m-miei movimenti. R-Rischiavamo entrambe l-l’ipotermia.»
«N-Non pensavo fa-facesse c-così freddo» rispose Nico rabbrividendo e rannicchiandosi contro il petto del biondo, che posava comodamente la schiena contro una delle pareti della stanza. «He-Helen?»
«S-Sta facendo l-la guardia a-all’esterno, c-c-con l-le altre c-coperte.» Will accennò con il mento al portone aperto che dava sull’esterno, dal quale si intravedeva il bagliore di un fuoco acceso. «Lei sop-porta meglio d-di me l-le temperature, qui-quindi qualche ora fa s-si è offerta d-di fare il c-cambio qualche ora f-fa.» Spiegò ancora il ragazzo stringendosi contro il corpo esile di Nico.
«Ho i-il naso e le m-mani fredde» si lamentò il figlio di Ade. Will gli prese sbuffando il volto tra le mani, studiandolo con occhio critico. Poi fece la stessa cosa con le dita delle mani del corvino, che stavano assumendo un colorito bluastro. Coprì queste ultime con i propri palmi e mormorò a mezza voce un incantesimo. Nico vide subito la pelle iniziare a tornare di un colore normale e la sensazione di gelo affievolirsi. «F-freddo è dire poco» commentò scaldandogli ancora le mani sfregandole tra le sue «Qua-qualche altra ora così, e avrei d-dovuto amputartele.»
Nico non rispose, sospirando esausto dai brividi ed infossando il viso nel maglione del figlio di Apollo per scaldarsi il naso.
«Stai bene?»
Il figlio di Ade mugugnò. «Ho freddo.»
«M-Ma non mi d-dire.»
«S-Sei tu che m-mi hai fatto una d-domanda stupida.» Tremò, e Will gli accarezzò piano la schiena da sotto la coperta, scaldandolo appena con il suo tipico calore da figlio di Apollo.
Nico ormai prossimo ad addormentarsi allungò il collo e baciò il ragazzo. Avevano entrambi le labbra screpolate e sanguinante a causa del freddo, ma questo non impedì a Will di far passare delicatamente la sua lingua fra i denti del moro, intrecciandola con l’altra in un gesto che infuse a tutti e due un po’ di calore. Poi il figlio di Ade riappoggiò la sua testa sulla spalla del biondo. «P-Posso addormentarmi o r-rischio il c-congelamento?»
L’altro rispose un po’ teso. «Dormi p-pure, c-così non dovremmo avere p-problemi.»
«Dormi a-anche tu, p-però. Ordini… ordini del r-ragazzo del dot-dottore.»
Will ridacchiò appena, stringendosi il ragazzo a sé e mugugnando una risposta, e Nico si riaddormentò in un sonno questa volta senza sogni.
 
Quando si risvegliò, la temperatura era già salita ed erano tutti e tre piuttosto riposati. Il freddo, alla fine, non aveva impedito neanche a Will di dormire.
Come d’accordo, si divisero. Arrivati davanti alle porte, Nico riferì: «Percepisco ancora una forte energia. Sarà molto pericoloso, state attenti.»
«Potremmo essere in pericolo di vita?» Chiese Helen. Nico la squadrò insieme al fratello. Se escludeva le battaglie contro i Titani e Gea, erano entrambi alla loro prima missione fuori dal Campo Mezzosangue. Certo, erano addestrati a combattere, si allenavano da anni, ma restava la loro prima esperienza vera e propria. Non erano come Nico: lui sapeva che nelle imprese si rischiava la vita in ogni istante, che non bisognava mai abbassare la guardia, ma soprattutto sapeva come mantenere il sangue freddo pur con quella consapevolezza. Cercò di evitare lo sguardo di Will, inutilmente. «Non ne ho la certezza, ma… sì, temo di sì.»
Il figlio di Apollo si avvicinò, facendo per prendergli le mani ma poi ritraendosi. Nico sentì lo stomaco contrarsi in uno spasmo alla vista del suo sguardo, non avrebbe saputo dire se per pena o per paura di fronte alla sua inesperienza. «Sei sicuro di voler andare da solo?»
«Io… sì. Voi due sarete più al sicuro insieme.» Rispose. Poi, sotto gli occhi di Helen, si alzò sulle punte e baciò Will, che ricambiò accarezzandogli piano il viso. «Non farti ammazzare, Raggio di Sole. Mi devi raccontare cosa c’è dietro la tua porta.»
Si separarono con quelle parole.
 
Nico aprì la porta della sua stanza. Fece appena un passo, e questa si richiuse con un boato, facendolo trasalire. Ma non per il rumore. Sul lato interno la porta era coperta di frecce, molte delle quali probabilmente vecchie di decenni o addirittura secoli, con il legno della stecca ammuffita e mangiata dalle termiti.
Non c’era nessuno scheletro attaccato alla porta, quindi Nico pensò che si trattasse di una trappola mal funzionane.
Facendo vagare lo sguardo per la stanza, che si rivelò di dimensioni superiori a quelle che si era aspettato, notò alcune fiaccole accese. Ne prese una ed illuminò anche intorno a lui. L’aria era calda ma non soffocante, ed il terreno era coperto di sabbia.
Sui muri, a differenti livelli di altezza dal terreno, c’erano come dei trespoli per uccelli.  Erano grandi, molto più del normale, e Nico li osservò chiedendosene la funzione.
Attraversò piano la sala. Temeva che ci fossero delle trappole nella stanza, il che avrebbe spiegato la notevole quantità di frecce che puntellavano non solo la porta d’ingresso ma anche buona parte dei muri. Alcune di esse erano addirittura conficcate nella sabbia.
Si era aspettato un tavolo, dell’arredamento o quanto meno una schiera di nemici contro cui combattere; invece era da solo e la sala era spoglia, eccezion fatta per quegli strani spuntoni. Nico era sul punto di mettersi a scavare nella sabbia alla ricerca di una minuscola lastra di bronzo celeste, quando qualcosa scintillò in fondo alla sala.
Si avvicinò tenendo in mano la fiaccola, ed illuminò una porta in bronzo celeste. Si distingueva rispetto alle pareti, che erano in pietra. Quest’ultima era decorata da greche e figure geometriche per l’intero perimetro della stanza, tranne che alla sinistra della porta: lì c’era un grande bassorilievo raffigurante una figura umana vagamente simile ad un’arpia a cui Nico non prestò attenzione.
Si avvicinò guardino alla porta. Ne sfiorò le incisioni con la mano non occupata dalla fiaccola, i muscoli pronti a scattare nel caso si fosse attivata una trappola. Non parve succedere nulla, ed il figlio di Ade posò l’intero palmo sulla superficie alla ricerca di una maniglia che risaltasse sulla complicata intarsiatura.
Riuscì a trovarla rapidamente; sotto di essa c’era un chiavistello la cui chiave era mancante. Nico provò comunque ad abbassare la maniglia e spingere la porta, e con sua grande sorpresa la sentì muoversi un poco.
Il tempo avrà bloccato i cardini, realizzò. Si accostò alla porta ed iniziò a spingere con la spalla. Sentendo cedere lentamente il blocco di bronzo, iniziò ad imprimerci sempre maggiore forza.
Gli sarebbe stato utile avere Hazel lì con lui. Con appena un gesto della mano, avrebbe spostato la porta e rivelato cosa si celava dietro di essa.
L’unico motivo per cui era reticente a fare un viaggio nell’ombra, infatti, era che non aveva la minima idea di cosa si trovasse in quel luogo. Quelle stanze erano talmente traboccanti di energia che ne era stordito e non riusciva minimamente a percepire che genere di ostilità potesse trovarsi dall’altra parte. Sarebbe potuto apparire nel bel mezzo di un covo di dracene, magari, e per di più indebolito dal viaggio ombra. Oppure si sarebbe trovato in una sala piena di punte acuminate pronte a farlo fuori, o ancora in un baratro che lo avrebbe riportato dritto dritto fra gli orrori del Tartaro?
Forse fu proprio quel senso d’inquietudine che lo costringeva a non abbassare mai la guardia che gli salvò la vita. Sentì uno scricchiolio alle sue spalle. All’inizio pensò di esserselo immaginato, ma poi lo risentì ed il sangue gli ribollì nelle orecchie non appena capì di essere in pericolo.
Scartò di lato, addossandosi alla parete. Non riuscì a girarsi però, e dopo pochi istanti un dolore lancinante gli esplose sulla spalla sinistra. Sentì come dei lunghi aculei lacerargli la pelle sopra la scapola e poi affondare più giù, muovendosi confusamente accompagnati da un ansito poco umano.
Nico gridò, stordito dal dolore, ed iniziò a scalciare indietro. La fiaccola cadde a terra, e davanti a lui tutto divenne buio. Dopo qualche secondo riuscì ad acquistare un minimo di lucidità e sguainò il Ferro dello Stige con il braccio destro. Menò colpi alla ceca dietro di lui finché non gli sembrò di colpire qualcosa.
Udì un verso indispettito accanto al suo orecchio, poi con uno strano gorgoglio gli aculei si ritrassero lentamente.
Il dolore allucinante non si attenuò di molto, ma il figlio di Ade ebbe la prontezza necessaria per addossarsi alla parete con la schiena e brandire il Ferro dello Stige in avanti. Ora che le fiaccole ai muri glielo permettevano, riuscì a vedere il nemico, e sussultò di sorpresa quando si accorse che davanti a lui c’era la statua, adesso viva, che prima aveva visto sul bassorilievo accanto alla porta. Con uno scatto d’occhi ed un impeto di incredulità, constatò che sul muro non c’era più nessuna figura.
Riportò lo sguardo sul nemico. Sembrava un’arpia, piuttosto giovane, tutto però in lei aveva l’aria di essere troppo allungato. Dalle scapole le partivano due ali membranose, grandi ma all’apparenza non troppo resistenti, di un color rosso cupo; aveva la carnagione pallida esattamente come quella di Ella, ma differentemente da lei possedeva anche un paio di braccia affusolate, che certamente servivano ad usare l’arco che teneva sulle spalle.
Aprì la bocca come in uno sbadiglio, e Nico capì che gli aculei che gli avevano trapassato la spalla altri non erano che i denti affilati di quell’essere, ora sporchi del suo sangue. L’arpia zampettò sul posto, ed il semidio notò solo allora le sue gambe muscolose, simili a quelle di un uccello, con delle striature più scure che sembravano accentuarne la lunghezza. Al posto dei piedi aveva gli artigli di un rapace.
«Complimenti» iniziò l’essere, osservando divertita il volto contratto dal dolore di Nico «Di solito chi viene qua è talmente preso dall’aprire la porta che non si accorge di me e muore al primo colpo.» Aveva una voce melodiosa, anche se parlava con uno strano accento sconnesso. «Io sono Lisayne. Spesso non riesco neanche a presentarmi, perché dopo aver ucciso la vittima il padrone mi fa ritornare statua. È così noioso!» Fissò dritto negli occhi il figlio di Ade, che ricambiò e vide due iridi di colore diverso: una nera come il Tartaro, la sinistra, l’altra verde talmente chiaro da essere innaturale. Il viso era contornato da lisci capelli biondi acconciati in un caschetto da cui dipartivano diverse ciocche di colore viola. Un paio di corna arricciate le spuntavano dalla testa.
«E, a proposito, quella porta è incantata. Per aprirla ti serve la chiave!»
Nico acquisì le informazioni, guardando intanto l’abbigliamento di Lisayne. Se fosse stata umana, avrebbe fatto invidia a certe figlie di Afrodite sempre alla moda e superficiali: indossava solo uno scollato top nero con la scritta “HARPY”, aveva un tatuaggio raffigurante un cuore in fiamme sul fianco e un paio di grossi orecchini dorati a forma di anello, insieme ad innumerevoli piercing, che le decoravano le orecchie a punta. Il lungo collo era decorato da una sorta di collarino di pizzo nero.
Sembrava proprio una di quelle ochette vanitose che Nico aveva avuto modo di osservare nel breve tempo passato nel mondo mortale dopo l’Hotel Lotus, e qualcosa gli diceva anche che non fosse particolarmente sveglia di cervello. Senz’altro era tutto fuorché taciturna, ed il figlio di Ade aveva intenzione di farla parlare il più possibile.
«Cosa c’è dietro quella porta, Lisayne?»
«Ah!» Gracchiò quella, saltellando sulle zampe. «C’è la tua seconda prova!»
«Seconda prova? In che senso?»
«Vuoi prendere il tuo pezzo di profezia, giusto?» Domandò lei sbattendo lentamente le ciglia allungate da una grossa quantità di mascara. «Prima c’è la prova fisica, quindi io… poi c’è la prova psichica! Stessa cosa nell’altra stanza. Sai, il mio padrone ci tiene a queste cose.»
«Il… il tuo padrone?» Un terribile presentimento si installò nella mente di Nico, ma aveva troppe cose in testa. In un istante, il suo pensiero volò altrove. «Aspetta… anche nell’altra stanza c’è una… cosa sei, una sorta di arpia?» Si girò bruscamente verso Lisayne, e la spalla gli inflisse una stilettata di dolore che gli mozzò il fiato. Lentamente, evitando ogni genere di movimento improvviso, si infilò una mano in tasca.
«Non so se c’è un mio simile anche di là.» Rispondeva intanto l’altra borbottando. «Forse ci son… che stai facendo?!» Si bloccò infuriata puntando la mano di Nico ancora nella sua tasca. Stava cercando di prendere dell’ambrosia, ma si bloccò alla vista del volto trasfigurato dalla rabbia di Lisayne. «Certi trucchi non valgono!»
Gli si avventò contro come una furia. Nico sentì solo delle mani con delle unghie aguzze che lo prendevano con forza inaudita alle spalle, poi si ritrovò spalmato per terra con l’arpia a cavalcioni su di lui che gracchiava: «No, no! Imbroglione!»
Gli strappò di mano l’ambrosia, tutta quella che aveva, e la trangugiò in un sol boccone. Per un attimo Nico sperò che l’eccessiva medicina potesse bruciarla viva, ma nulla accadde.
«Cosa… sei?» Biascicò con occhi sgranati mentre un’altra stilettata di dolore gli ottenebrava i pensieri.
Lisayne ridacchiò maliziosa. «Non importa…» Gli posò un dito sulle labbra. Poi scese dolcemente verso il basso, fino a che la sua mano non coprì la gola del figlio di Ade.
Iniziò a stringere. Nel giro di poco tempo, i sensi di Nico si offuscarono. Tutto diventò nero.
«…perché non uscirai vivo da questa sala…»
 

“Non farti ammazzare, Raggio di Sole.” La frase gli rimbombò in testa mentre, sorpreso, osservava l’interno della sala.
«I figli di Atena impazzirebbero» Mormorò, e non si riferiva alle ragnatele che coprivano il corrimano a cui si teneva.
Quella in cui erano entrati era chiaramente la torre dell’edificio. Le immense pareti della rocca, tanto alte da non vederne la fine, erano tappezzate di pergamene, libri e tavolette di tutte le epoche.
Era tutto illuminato a giorno, nonostante non ci fosse quasi nessuna finestra, grazie ad un ingegnoso sistema di specchi e pareti bianche interposte fra i libri. Tuttavia una parte restava buia, come vittima di un incantesimo.
Mentre infatti lungo le pareti si arrampicava una scalinata a chiocciola larga appena un paio di metri che saliva verso il cielo, al centro del perimetro c’era un vero e proprio baratro, buio e dall’aspetto minaccioso.
Will istintivamente si allontanò. Poi alzò la testa, ed il suo sguardo fu colpito da un bagliore.
«Saliamo» decise girandosi verso la sorella ed alzando un dito verso un punto imprecisato della scala. «Sento di nuovo la profezia.»
 «Allora andiamo a chiamare Nico, prima che si allontani!» Helen si fiondò sulla porta, ma la trovò chiusa. Per quanto tirasse o spingesse, non si smuoveva di un millimetro.
Will le si avvicinò piano, cercando di attingere alla sua riserva di sangue freddo. «Potrebbe essere un incantesimo.» Minimizzò «Comunque c’è qualcosa di strano nel luccichio che vedo. Come se fosse solo una parte.»
La semidea si spostò finalmente dalla porta, volgendo lo sguardo prima verso l’alto, non vedendo niente, poi verso il fratello: «Dici che l’altra metà della profezia si trova nella stanza di Nico?»
Will si strinse nelle spalle. «Non lo so. Però penso che prima saliamo, meglio è.»
Proseguirono diligentemente. Non c’era traccia di anima viva, ma comunque Will impugnò l’arco, e ogni tanto si voltava a controllare.
Era difficile resistere al fascino di quell’immensa libreria. In quanto figli di Apollo, sia Helen che il fratello erano attratti dalla letteratura, dalle poesie, dalla scrittura in generale, e la tentazione di fermarsi a sfogliare qualche libro era forte. Ogni tanto si ritrovarono davanti agli occhi delle profezie greche e latine incise su lastre di bronzo, e quando ne riconoscevano alcune l’ansia aumentava.
Sembrava che non ci fosse un preciso metodo di categorizzazione, visto che in un breve tratto di parete Helen aveva scorto un rotolo di pergamena greca, un racconto horror ed un manuale di cucina.
A mano a mano che salivano, il baratro sembrava sempre più scuro, mentre verso l’alto sembrava che ci fosse il cielo di una tiepida giornata primaverile.
Ogni tanto dalle pareti spuntavano delle porte che portavano ad altre sale, anch’esse piene di volumi scritti, ma nella loro avanzata i figli di Apollo non entrarono in nessuna di esse.
Dopo interminabili minuti di cammino, Will si fermò di colpo, facendo arrestare la sorella dietro di lui. Mentre lei stava per domandare che problema ci fosse, si piegò in due ed iniziò a tossire convulsamente. Helen immediatamente gli si mise accanto, mentre come si aspettava il biondo boccheggiava inginocchiato a terra, del sangue che gli colava dalle labbra e dal naso.
La semidea lo fece sedere con la schiena poggiata alla parete, recuperando l’arco caduto per terra e tenendo intanto una mano sulla fronte di Will. «Hai la febbre? Perché non me l’hai detto?»
«N-no…» rispose ansimando quando terminò la crisi. «Ora sto bene, sorellina.» Non stava mentendo. Nonostante avesse la fronte imperlata di sudore ed il fiatone, era certo di non avere neanche una linea di febbre. Era lucido, con la gola in fiamme ma perfettamente cosciente.
Helen gli passò una borraccia, e non appena bevve il fratello riconobbe l’aroma intenso di una tisana allo zenzero. Come si aspettava la gola iniziò a bruciargli, ma se non altro questa volta era a causa di un effetto benefico. Accostò le labbra alla bottiglia per un altro sorso, sentendo la dolcezza del miele lenirgli un po’ il bruciore, poi chiuse gli occhi ed appoggiò la testa alla libreria con un sorriso appena accennato. «Mi stupisco che non sia una bevanda magica. Questa roba fa miracoli.»
Helen lo ignorò. «Sta finendo l’effetto della cura?»
Will bofonchiò una risposta poco chiara, stringendo le labbra come faceva sempre quando non voleva parlare. Fece per rialzarsi in piedi, ma la sorella lo bloccò ponendogli una mano sul petto. «Aspetta. Almeno riposati un attimo. Non ha senso riprendere a camminare se hai ancora il fiatone.»
Will si riappoggiò al muro, cercando di seguire il consiglio della sorella e posando la testa sulla sua spalla.
Rimasero in silenzio, fermi, diversi minuti. Fu allora che lo sentirono.
Si trattò dapprima di una melodia soffusa, che entrò nei loro timpani quasi senza che se ne accorgessero; era dolcissima, familiare, e li attirò come fa una luce con le falene.
Helen si alzò, seguita da Will, e lentamente si diresse verso la fonte del suono. Sentiva come un’energia chiamarla, e qualcosa dentro che le diceva di seguirla. Si fece condurre lungo le scale, salendo verso l’alto.
A mano a mano che si avvicinava, riusciva a distinguere delle parole nella canzone: erano vibranti, difficili da intercettare, ma al contempo le sibilavano nella mente.
Arrivarono ad una porta. Come in trance, Helen la aprì ed entrò.
La musica offuscò ogni altro rumore esterno, e una voce sussurrò nelle orecchie di entrambi i figli di Apollo: «…Qual è la vostra più grande ambizione?»
 
 
 
 
 
***Angolo dell’Autrice***
Scusate tantissimo per il ritardo. Come avevo accennato nella nota dello scorso capitolo, tra problemi di tempo (non potete capire quanto sia stressante organizzare i corsi per l’autogestione della scuola…) e mancanza di ispirazione, questo capitolo è arrivato per miracolo.
E temo che anche il sesto, e forse il settimo capitolo, potrebbero avere lo stesso destino.
MA c’è un ma, perché mentre faticavo per ciò che avete appena letto (che, tra l’altro, è venuto pure un po’ più lungo del solito, spero ne siate felici), mi sono organizzata per fare una sorta di regalino ai lettori: aggiungete come in una pozione la mia voglia di disegnare, il personaggio di Lisayne, un’amica che al contrario mio disegna benissimo e un pizzico di fortuna… ebbene, questa mia amica può fare un disegno di Lisayne!
Non so quando sarà pronto perché lei ha molto lavoro da fare oltre a questo mio capriccio, ma so che non mi deluderà! Quindi, spero il prima possibile, potrete vedere una bellissima illustrazione di Lisayne.
E riguardo questo personaggio, devo ringraziare anche un’altra mia amica, Chiara, che invece di ripassare per l’interrogazione di arte mi ha aiutato a trovare il nome per la lunatica arpia. ❤
Sempre parlando di Lisayne, per chi se n’è accorto, volevo precisare che è parzialmente ispirata al personaggio di Monet di One Piece.
 
E visto che sono po' vanitosa, vi lascio la foto del disegno che ho tentato di fare io di Lisayne, o almeno ci provo perché non sono molto brava con i codici html. Spero di non spaventarvi. Gli schizzi a penna, che valgono più del resto del disegno, sono un minuscolo accenno di ciò che la mia amica farà, e non chiedetemi cosa sia quello scarabocchio alla sinistra di Lisayne perché non ne ho la più pallida idea..

Prima di finire, per festeggiare la (circa, credo, presumibilmente) prima metà della storia che ho raggiunto pubblicando questo capitolo, volevo esporvi un mio progetti che ho già spiegato in un post su Instagram, nel caso qualcuno mi seguisse da lì: voglio creare una serie di storie incentrate su Nico, di cui farà parte anche Il Frutto del Sacrificio, che parleranno un po' di tutto ciò che vorremmo sul bel figlio di Ade e che Zio Rick non ci ha ancora concesso: un po' di angst per Bianca, tanto tanto fangirlamento con tonnellate di Solangelo, i tre giorni in infermeria e, ispirazione permettendo, anche qualcosa riguardo l'Albania! Spero vorrete appoggiare la mia idea.
Penso di aver finito per oggi, spero che il ritardo nell’aggiornamento sia stato equamente ricompensato! Alla prossima,
 
_Kalika_

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Cap 6
«Sei pronta, tesoro?» Una donna dall’aria solare con un dolce sorriso dipinto sul volto fece capolino nello spogliatoio. Helen era seduta accanto alla finestra, vestita di un tenero abitino sui toni del verde che le accentuava i capelli biondi. I suoi occhi brillarono di energia mentre osservava un paio di farfalle posate sul davanzale baciate dal sole.
Saltò giù dallo sgabello, annuendo e prendendo la mano della donna: «Sì! Andiamo, mamma.»
Arrivarono insieme fin dietro le quinte. C’erano altri bambini, quasi tutti accompagnati dai genitori. Helen si stropicciò la gonna del vestito. Era felicissima, ma anche un po’ nervosa. «Ci sono tantissime persone! Io non voglio perdere, ma è impossibile!»
La madre rise di cuore, abbassandosi per raggiungere l’altezza della figlia. La sua bambina, così piccola eppure già mostrava alcuni tratti di suo padre. «Non importa!» Rispose con un sorriso. «Tu ami cantare, ed è quello che farai. Se perderai, allora torneremo a casa cantando, e se lo vorrai ci alleneremo ancora di più! Finché sarò con te non ci arrenderemo, giusto?»
Helen annuì con vigore e sorrise ancora di più. Chiamarono il suo nome, e la bimba salì sul palco.
 
Passarono gli anni.
In quella sua prima gara Helen era arrivata seconda. La sua dote da figlia di Apollo le aveva concesso di superare senza difficoltà anche i più bravi, ma la sua poca esperienza non aveva permesso di arrivare prima. La semidea aveva sempre considerato quel podio una posizione ideale: si era resa conto della sua bravura, ed al contempo aveva avuto voglia di migliorare sempre di più.
Con il tempo che passò, il ricordo di quel giorno crebbe nel suo cuore diventando sempre più caro.
Si dedicò al canto con dedizione. Voleva diventare una vera artista, diceva a tutti, ed il sogno di bambina si trasformò in un obiettivo che sentiva di poter raggiungere.
Cantò per anni, Helen, fino a che, quando aveva 12 anni, la polizia entrò nella sua casa e la affidò ai servizi sociali. La madre era morta in un incidente stradale, e con lei Helen aveva perso tutto.
Fu un periodo molto confuso.
Passò appena qualche mese in una sorta di orfanotrofio. Era una ragazza forte: riuscì a superare la morte della madre senza troppi problemi. In quel periodo incontrò diversi ragazzi e, anche se non fece particolari amicizie, ebbe modo di confrontare storie, passati, dolori: non era sola, in quel piccolo mondo di bambini senza genitori, e grazie anche alla sua innata allegria era convinta di poter andare avanti senza alcun trauma.
Poi iniziarono ad arrivare i mostri. Di nuovo, fu costretta a cambiare abitazione: e mentre un essere metà uomo e metà capra le spiegava a grandi linee chi fosse suo padre, si trovò catapultata in un altro mondo, il Campo Mezzosangue, che non avrebbe più lasciato.
Anche in quel posto, aveva avuto modo di rendersi conto, non c’era troppo spazio per l’amore dei genitori. Passarono alcune settimane, si trovava bene, fino a che una consapevolezza la fece colpì come una doccia gelata.
«Molti figli di Apollo gestiscono il coro al falò, dopo cena. Tu sai cantare?»
Helen fissò Austin quasi stranita. Da quanto tempo non cantava? Uno o due anni, ormai. Dalla morte della madre.
«I-io… no, non so cantare.»
Il fratello inclinò appena la testa: «Strano. Di solito i figli di Apollo amano cantare. Mi pare di ricordare che non suoni neanche degli strumenti, giusto?»
La semidea non rispose, rimase anzi in silenzio fino a che l’altro non se ne andò scrollando le spalle.
 
Ecco che cosa mancava. Ecco qual era la cicatrice che si portava dietro, che era rimasta nascosta perfino a lei sino a quel momento.
“Finché sarò con te non ci arrenderemo, giusto? Continueremo a cantare.”
Helen sentì la gola seccarsi mentre camminava svelta verso il bosco. Tanti semidei avevano dei traumi legati al passato, lì. Ma mai avrebbe immaginato una cosa del genere.
In quei pochi anni il ricordo di quella sera, che viveva in lei a sugellare il suo impegno, si era lentamente sbiadito fino a scomparire. E adesso che tornava, con la voce materna che le rimbombava nelle orecchie, era traboccante di amarezza. Non riusciva a cantare, non da quando aveva perso la sua guida. Solo a provarci gli occhi le si riempivano di lacrime e la gola si chiudeva, e aveva smesso subito di tentare.
Ma come aveva potuto lasciar perdere così?
Si addossò ad un albero, il cuore adesso pieno di determinazione e amore per la musica. Alzò la testa guardando negli occhi una driade che, sorpresa dalla sua irruzione nel bosco, la stava osservando. «Voglio continuare a cantare.» Decise parlando più a sé stessa che alla ninfa. «Prima o poi supererò la nostalgia, no? Mi eserciterò, e farò in modo che il canto diventi parte della mia quotidianità. Posso superarlo!»
 
La sua determinazione le aveva permesso di mantenere il proposito. Quasi tutti i giorni andava ad esercitarsi: cantava fino a che riusciva, e con il tempo era in grado di scacciare la malinconia sempre più a lungo. Con il passare dei mesi la casa di Apollo era venuta a conoscenza del suo obiettivo: erano in grado di aiutarla come solo dei veri amanti della musica sanno fare.
Helen continuava ad esercitarsi quando poteva; molto lentamente, il ricordo di quella sera di tanti anni prima stava tornando dolce come lo era stato all’inizio, anche se non mancavano delle crisi.
Solo di recente era riuscita ad unirsi al coro dopo cena, ma di cantare da sola a lungo… ancora non se ne parlava.
 
O almeno, era quello che credeva.
 
«Qual è la vostra più grande ambizione?»
I pensieri di Helen volarono come un turbine nella sua mente. La riportarono alla sua infanzia, all’amore della madre. Alla sua più grande passione, e la risposta alla domanda le parve ovvia.
Il cuore accelerò i suoi battiti, che si fecero sentire fino alle orecchie. Helen traboccava di energia. Lo sentiva, era in grado di fare qualsiasi cosa. Poteva cantare.
Allora canta” Le sibilò una voce soave nelle orecchie. C’era musica tutto intorno a lei. Bastava soltanto lasciarsi trasportare.
Helen chiuse gli occhi e divise le labbra. Prese fiato, poi si unì al concerto.
All’iniziò non riuscì a sentire la sua voce. Poi lentamente questa si fece spazio nella sinfonia, incastrandosi perfettamente come l’ultimo ingranaggio e riempendole il cuore di pace. A malapena si accorse di aver mosso dei passi in avanti.
Voleva sentire ancora più forte quella canzone che non aveva mai ascoltato prima ma che tuttavia sapeva di conoscere, e per farlo doveva seguire la melodia. Una scia di luce, che Helen a malapena riconobbe come la coda di un piccolo essere luminescente, le volò accanto.
Ti piace cantare, non è vero?”
Quelli che sembravano piccoli uccellini fatti di luce si avvicinarono con ritmo incostante, scattando in avanti e poi virando lentamente come se avessero paura di ferire la semidea. Lei sorrise senza smettere di intonare la canzone che si faceva più chiara a mano a mano che camminava. “Seguici”
Si fece guidare senza esitazione da quelle creaturine. Fece solo pochi metri, un passo dietro l’altro con lentezza estenuante, ed intanto i folletti di luce le si avvicinarono ancora di più volteggiandole attorno.
Alcuni di essi le coprirono il corpo, avviluppandosi sulla sua pelle, fino a che non si trasformarono in tessuto vero e proprio. Helen sentì una nuova, dolce scarica di energia percuoterla e si ritrovò a cantare con più voce, volteggiando su sé stessa. I vestiti che aveva indossato durante il viaggio erano scomparsi, lasciando il posto ad un abito con una gonna svolazzante sui toni del verde che le calzava a pennello. Non ci mise molto a rendersi conto di star indossando un vestito del tutto uguale a quello che aveva nella competizione di tanti anni prima.
Stranamente, non provò nostalgia. Si sentiva anzi al settimo cielo, e piroettò ancora mentre una voce melliflua le sussurrava nelle orecchie: “Ti piace? Seguici, ed avrai anche di meglio”
Si lasciò condurre in un corridoio che stava nella stanza, un corridoio che se non fosse stato per le luci delle creaturine probabilmente sarebbe stato completamente buio. “Vieni con noi. Abbandona i tuoi doveri, e sarai felice…”
Helen continuò a cantare, ipnotizzata dalle voci melodiose di quegli esseri. Guardò in fondo al corridoio e le parve di scorgere una luce tenue e familiare.
La sinfonia attorno a lei parve accelerare appena il ritmo. La semidea portò automaticamente una mano contro la coscia, tamburellando la cadenza della canzone. Non si era mai sentita così bene. Fece una sorta di piroetta, sorridendo nel sentire il tessuto leggero della gonna frusciare, e volse lo sguardo indietro.
Will era come bloccato, con lo sguardo perso nel vuoto. Le stesse luci che la guidavano gli giravano attorno, circondandogli ora le mani ora il busto ed i capelli d’oro.
Qualcosa parve spezzarsi nella canzone. Helen balbettò incerta, osservando confusa la figura di Will come se essa turbasse la sua quiete. “Abbandonalo” Le suggerì un sibilo persuasivo.
Abbiamo ciò che vuoi… dimenticati di lui… del campo… di tutto…”
La musica tornò forte e sicura nelle orecchie di Helen. Come in risposta, lei riprese a cantare. Poi una voce conosciuta la chiamò da dietro e la fece girare una volta per tutte.
«Tesoro, vieni qui…»
La ragazza sembrò perdere ogni traccia di controllo sulla sua mente e docile, seguendo la luce, si diresse verso la voce. Tutto era possibile, adesso…
 
Sappiamo ciò che desideri…”
Will non riusciva a concentrarsi. Che fosse a causa delle voci che gli sibilavano nelle orecchie o di un picco della malattia non lo sapeva, ma gli girava la testa e sentiva le mani tremare in modo innaturale.
Abbassò lo sguardo, spannando la vista, e vide come dei folletti che gli volavano attorno. “Desideri diventare un bravo medico, non è così?”
Will si lasciò cullare dal tono melodioso. Annuì senza rendersene conto. A malapena sentiva la dolce e vibrante melodia che aleggiava nell’aria, nonostante rimbombasse nelle sue orecchie senza sosta.
“Un dottore, sì…” Un altro esserino volò davanti al suo viso, quasi sembrò che lo carezzasse.
“Vuoi curare tutti”
Sentiva dei sospiri tutto intorno a lui. “Puoi curare anche te stesso, sì?”
La voce era così melodiosa… rispose balbettando una risposta affermativa, la mente inebriata da tutti quei sussurri dolcissimi. Eppure, sentiva che in tutto ciò c’era qualcosa di sbagliato. Che cosa stava dimenticando di fare? Perché si sentiva così? Che cosa… una creaturina gli volò davanti agli occhi, offuscandogli la vista per qualche secondo con la sua luce. Quando risollevò le palpebre, tutti i suoi pensieri negativi scemarono. Davanti a lui si trovava un’immensa libreria: riusciva a distinguere nitidamente alcuni dei più famosi volumi sulla medicina. “Vuoi studiare medicina, laurearti…”
Will avanzò verso la libreria, allungando appena le mani. Era lontana, come alla fine di un lungo tunnel, eppure la vedeva chiaramente e la percepiva altrettanto vicina.
Noi possiamo darti ciò che vuoi… però in cambio devi lasciare tutto il resto…”
Il figlio di Apollo continuò ad avanzare in silenzio. Sì, gli sembrava una proposta ragionevole…
 
Nico boccheggiò stordito. Avrebbe voluto provare ad allentare la presa di Lisayne sul suo collo stordendola, ma stava perdendo la sensibilità delle mani e delle gambe. Il Ferro dello Stige era scivolato a terra, chissà quanto lontano da lui.
Un brivido di freddo insensato salì lungo la sua colonna vertebrale. Per un istante la sensazione lo riportò di qualche ora indietro, congelato, cullato dolcemente dalle braccia di Will… ci sarebbe rimasto per sempre, ma si rese conto che non era una sensazione reale.
Era solo una visione, e Will… era per lui che stava affrontando tutto quello. Era per lui che doveva combattere, per salvarlo e farsi stringere ancora da lui.
E non avrebbe permesso ad un’arpia spuntata da un muro di far finire così la sua missione.
Riaprì gli occhi che non si era accorto di aver chiuso, sentì i battiti accelerare. Una rabbia accecante gli salì fino al petto, poi nella testa, e lui semplicemente la lasciò uscire. Vide la figura sfocata dell’arpia troneggiante sopra di lui.
Allora il suo corpo di coprì di energia nera, violente onde di oscurità investirono Lisayne, che dalla sorpresa allontanò la mano dalla sua gola. Il figlio di Ade prese fiato e gridò con tutte le sue forze, facendo tremare la terra. Lisayne era stata spazzata a diversi metri da lui ed aveva la pelle coperta di ustioni.
Nico si mise in ginocchio. Raggiunse gattonando il Ferro dello Stige e lo usò per tirarsi in piedi.
Si sentiva traboccante di energia, ma aveva la fronte imperlata di sudore e la testa che vorticava. Mai prima d‘allora aveva mai desiderato un sorso di nettare, dell’acqua di luna o quantomeno della semplice acqua. Avanzò a fatica verso Lisayne, che pallida come un cencio alzò lo sguardo verso di lui.
Sembrava terrorizzata, ma nei suoi occhi c’era uno scintillio malvagio che non accennava a regredire. Il moro sollevò la spada. Avrebbe spedito al Tartaro quella follia.
Chiuse un attimo gli occhi per concentrarsi, poi vibrò il colpo con tutta la forza che gli rimaneva.
La spada si scontrò con il terreno di sabbia. Un attimo dopo, il rumore di una freccia incoccata risuonò alla destra di Nico.
Il ragazzo ispirò appena e senza riflettere eseguì un tondo, tagliando di netto la freccia diretta verso di lui già in aria.
Un attimo dopo, Lisayne era già scomparsa. Lo spostamento d’aria che Nico percepì sul suo viso gli fece capire che l’arpia aveva spiccato il volo.
Pochi secondi, ed una freccia sibilò a pochi centimetri da lui. Nico evocò alcuni scheletri dal terreno – ce n’erano più di quanti se ne aspettasse -, che gli si strinsero attorno mentre riprendeva fiato, adesso di nuovo in ginocchio. In breve tempo una mezza dozzina crollarono a terra, colpiti dai dardi, e si rifusero con la sabbia.
Doveva cambiare tattica. Lisayne era incredibilmente abile nel combattimento, allora qual era la sua debolezza?
Rifletté su quel poco di tempo che aveva passato fronteggiando l’arpia, sui dettagli che aveva colto osservandola, e la risposta brillò nella sua testa come una lampadina.
«Come mai hai tanta fretta di eliminarmi?» Avanzò nella penombra, scortato solo da un paio di scheletri, e per qualche secondo le frecce smisero di cadere attorno a lui.
Il rumore di un paio di grosse ali sbattute fece alzare la testa al figlio di Ade, ma non riuscì a vedere niente. In compenso, però, la voce stridula si fece risentire.
«Devo obbedire agli ordini. Sopprimere gli invasori rapidamente e poi tornare sul muro.»
Nico si schiarì la gola, cercando di sembrare accondiscendente. Non era proprio il suo stile. «Ma prima hai detto che è noioso rimanere bassorilievo per tanto tempo. Non preferiresti-»
«Che cosa stai insinuando?!» Il grido fu seguito da una freccia che, scoccata alla velocità della luce, colpì Nico alla gamba. Lui cadde a terra con un verso sordo, percependo la vista offuscarsi, ma continuò a parlare ostentando un tono tranquillo. «Sto pensando che… forse ti piacerebbe uscire, allontanarti un po’ dai tuoi doveri e divertirti.»
«Non mi serve!» Nico sentì distintamente il rumore delle zampe rapaci che si posavano e scalciavano la sabbia. «Ogni tanto viene qualcuno a portarmi vestiti ed accessori. Sono al passo con i tempi.»
Il figlio di Ade sollevò appena un sopracciglio, nello sforzo di restare concentrato. Non gli sembrava di aver visto male, allora. Lisayne sembrava ossessionata dal suo dovere di guardiana, ma a differenza di molti nemici incontrati, sembrava dotata di personalità… doveva far leva su questo.
«Ma… non sarebbe più bello uscire e comprare da sola ciò che vuoi? Magari… magari fare amicizia?» Azzardò, sentendo il ridicolo di quell’affermazione.
Lisayne si avvicinò zampettando. Nei suoi occhi brillava ingenua, anche se dubbiosa, curiosità. «Amici? Dici… anche.. trovare un fidanzato?»
Nico indugiò, osservandola. Aveva catturato la sua attenzione, non doveva lasciarsela sfuggire. «Perché no? Sai trasformarti in umana?»
L’arpia annuì come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Sì, sono una sorta di mutaforma. Questo ibrido mi è utile per la lotta.»
Nico azzardò un sorriso. «Allora non vedo perché non dovresti. Sei carina… almeno credo»
Lei inclinò la testa. «Anche tu sei carino»
«Ah… grazie, ma… ahm…» sbuffò una risata «decisamente non sono il tuo tipo»
Lisayne parve un attimo perplessa. Sbattè ripetutamente le palpebre, e Nico ebbe giusto il tempo di alzarsi in piedi per rendersi conto che non stava esattamente pensando a quanto gli aveva appena detto. «Io… io non posso uscire! Non voglio!»
Il figlio di Ade raggelò quando sentì quelle parole. L’incantesimo si era sciolto. L’arpia eliminò il penultimo scheletro con l’arco prima di incoccare una freccia nella direzione di Nico. Un lampo di indecisione le passò negli occhi.
Il moro deglutì restando immobile. Non aveva abbastanza energie per allontanarsi nel caso Lisayne avesse deciso di colpirlo, e nonostante avesse il Ferro dello Stige in mano sapeva di essere troppo lento. «Sei davvero sicura di voler rimanere qui per l’eternità?» Chiese con calma.
«Questo è il luogo in cui ho sempre vissuto!» Gracchiò facendosi forza per rispondere «Ho sempre obbedito al padrone!»
«Non sei mai uscita… devi vedere il mondo! Puoi venire con me, con noi.»
Lisayne lentamente abbassò l’arco, e Nico fece un passetto in avanti. «Se tu mi aiuti, io aiuterò te. Lasciami andare e dimmi chi è il tuo padrone.»
«I-Io… voglio vedere il mondo esterno.»
Il figlio di Ade accennò un sorriso. Si avvicinò ancora. Ormai si distanziavano di neanche una decina di centimetri. «Dammi le chiavi… per favore.»
L’arpia annuì tremante. Nico sospirò senza smettere di guardarla negli occhi. Era convinto di aver spezzato il controllo che il suo padrone, chiunque fosse, esercitava su di lei. La guardò negli occhi lucidi fino a che, con un guizzo, essi tornarono spietati come prima.
Mentre un grido di diniego squarciava l’aria e gli artigli della ragazza gli arpionavano il fianco, Nico ruotò fulmineo il braccio e con un unico, deciso colpo, trafisse il ventre di Lisayne e la fece diventare un mucchietto di polvere. Ne pescò una grossa chiave decorata, poi cadde in ginocchio.
Era convinto… era convinto di aver vinto. Credeva di aver appena acquistato un alleato. Si portò le mani al viso mentre riprendeva fiato, disteso scompostamente per terra con le orecchie in allerta. Chissà… magari un giretto nel Tartaro l’avrebbe aiutata a cambiare visione.
Dopo appena un paio di minuti, decise che non valeva la pensa riposare. Se Lisayne aveva detto il vero, allora nell’altra stanza lo aspettava una prova psichica. Si alzò e inserì la chiave nella toppa con le mani tremanti.
Non appena si aprì di uno spiraglio, la porta rivelò una stanza buia, con il pavimento talmente nero da sembrare un baratro. Nico avanzò di qualche passo. Non fece in tempo a registrare altri dettagli perché cadde di nuovo in ginocchio, la vista appannata.
Il dolore alla spalla e alla gamba si fece più intenso che mai, e neanche si accorse di aver poggiato la testa per terra. Chiuse gli occhi, e sprofondò in un sogno lucido.
 
Era disteso a terra. Il pavimento di pietra incrostata di muschio e muffa sembrava tremare. Lentamente si alzò in piedi, ma ogni movimento era una fitta di dolore insostenibile.
Una dolce gelida eppure affascinante gli rimbombò nelle orecchie: «Non ti arrendi mai, eh Nico?»
Il ragazzo non rispose. Probabilmente non aveva le forze per farlo.
«Continui a combattere nonostante tutto..» commentò la voce con velata ilarità. «Eppure ci sono nemici che non sai sconfiggere, vero?»
Sentì uno spostamento d’aria dietro di lui. Si voltò, e la figura imponente di Cupido affiancato da Ed gli riempì la vista.
«Non importa se ho perso in passato» ringhiò con un filo di voce «la prossima volta vincerò.»
«La prossima volta sia già cosa succederà.»
Ma Nico si decise a non ascoltarlo. Si voltò a destra e a sinistra, stringendo gli occhi per il dolore. Era quella la prova psichica? Sconfiggere due nemici che non era riuscito a battere nella vita reale?
Il figlio di Ade chiuse gli occhi. Era pur sempre un sogno, no? Ormai era in grado di cambiare sogni abbastanza facilmente. Visualizzò sé stesso allontanarsi da quella dimensione, ma il processo fallì.
Era come legato a quel sogno da qualcosa; si guardò intorno, perché sentiva che di qualunque entità si trattasse aveva un’eccezionale energia, e dopo pochi secondi individuò un luccichio.
La metà strofa della profezia si trovava chiaramente nel sogno, appena dietro le spalle di Cupido e Ed.
 
 
 
 
 
***Angolo dell’Autrice***
Innanzitutto, MI DISPIACE.
Sono semplicemente desolata di avervi fatto aspettare così tanto a lungo; non immaginavo un simile blocco d’ispirazione, tra l’altro affiancato da allenamenti ed impegni vari, e mi sono trovata dopo un mese dall’ultimo aggiornamento ad aver scritto sì e no dieci righe.
Come se non bastasse, il capitolo è più corto del solito, ma spero che almeno per questo sarete comprensivi: ho approfittato di quest’ultima settimana in cui ero ammalata per terminare il capitolo, ed è stato già faticoso arrivare fino a qui. Se avessi prolungato ancora di più, avrei finito per pubblicarlo a giugno.
In quanto a novità, ne ho un paio: innanzitutto, immagino abbiate notato il cambio di font. Spero vi piaccia perché ho passato buona parte di ieri sera a cercare di capire come si cambia. La mia preoccupazione era principalmente riguardo al fatto che, dato che i capitoli sono piuttosto lunghi, mi sembra faticoso leggerli con un carattere piccolo come quello che c’era fino a ieri (o forse sono soltanto io con la mia miopia spaventosa, non so), e ho voluto provare questo cambiamento. Fatemi sapere se vi è piaciuto o se avete altri consigli!
Inoltre, come potrete facilmente intuire, temo che anche per i prossimi capitoli (e non parlo solo dei prossimi due o tre) il periodo di aggiornamento sarà più lungo delle 2 settimane circa che avevo cercato di rispettare fino alla volta scorsa; ovviamente cercherò di fare del mio meglio, e le vacanze di Pasqua saranno dalla mia parte, ma intanto volevo avvisarvi: insomma, potreste aspettare a lungo, anche se mi auguro mai più come avete fatto per questo capitolo, ma sappiate che non ho intenzione di abbandonare la storia, e mi dispiace se qualcuno ha creduto che fosse andata così.
Mi scuso ancora, in particolare con Giorgia che mi vede ogni giorno a scuola e che si sarà chiesta cosa diavolo stessi facendo invece di scrivere (a mia discolpa, cara, mi hanno distratto gli icosaedri), e con tutti voi che leggete, che mettete tra le seguite, ricordate, o semplicemente leggete questa storia.
Alla prossima, sperando davvero sia fra poco,
_Kalika_
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Il Frutto del Sacrificio – Cap 7
 
 

«Non puoi scappare da questa visione, Nico. Io ne sono il padrone, e neanche i tuoi forti poteri possono niente di fronte alle mie magie.»
Nico ansimò senza rispondere. Si sentiva schiacciato da una forza impossibile da sostenere, e dopo un paio di secondi era di nuovo caduto a terra. Cosa doveva fare, alzarsi in piedi e tentare di combattere, già sapendo di non avere alcuna possibilità di vincere contro un Dio? Oppure rimanere a terra a farsi insultare senza neanche reagire? Niente di tutto ciò.
Si sedette a terra composto, riprendendo fiato. «Non ho alcuna intenzione di lasciarti vincere." Rispose con tono fermo.
Cupido sorrise: «Ti ho già detto che questa è la mia visione. Posso fare quello che voglio di te e di questo spazio. Se volessi, potrei semplicemente ucciderti seduta stante. Certamente questo non ti ucciderebbe anche nella realtà, ma falliresti la tua missione e rimarresti per sempre intrappolato nella stanza.»
«Ma questa… non dovrebbe essere frutto del tuo potere. È la prova della… della…» Nico sgranò gli occhi mentre le parole gli venivano meno.
Eros rise, facendo qualche passo: «è la prova che ti è stata assegnata per concludere questa piccola missione. Io sono la prova.»
«Perchè stai facendo tutta questa pagliacciata? Abbiamo un accordo!»
«No, no. Ciò di cui abbiamo parlato non avverrà certamente ora... anche se tu tirassi le cuoia adesso, non manterrei niente. Mi sembrava di essere stato chiaro, ci sono dei criteri precisi da rispettare.»
Il figlio di Ade non rispose. Era piuttosto sicuro che il Cupido di quella visione non volesse uno scontro fisico. Infatti bastò aspettare qualche secondo prima che il Dio alzasse le braccia parlando con voce forte. «Come ho già detto, in questa dimensione non ho alcuna possibilità di ucciderti. Quindi voglio provare qualcosa di nuovo, che ne pensi?»
Un fischio assordante riempì all'improvviso le orecchie del semidio. Nico aprì la bocca in un grido soffocato da un colpo di tosse che macchiò di sangue il pavimento sotto di lui. Si portò le mani alle orecchie e strinse forte gli occhi, e proprio quando pensava di non poterlo sopportare ulteriormente il fischio si spense.
Alzò la testa e, quando la vista gli si snebbiò, desiderò non aver mai aperto gli occhi.
Davanti a lui si trovava il muro di una stanza sconosciuta semi immersa nell'oscurità. Appesi alla parete tramite delle catene, stavano Will ed Helen. I loro vestiti erano ridotti a brandelli, i loro corpi coperti di sangue.
La ragazza singhiozzava piano a testa china, mentre Will era immobile, gli occhi socchiusi ed il viso privo di colore.
Nico si mise in ginocchio respirando forte. Non riusciva a staccare lo sguardo da quell'orribile spettacolo, ma al contempo non riusciva a reagire. Tossì un paio di volte, poi sussurrò al vuoto con voce gracchiante: «Che... che cos'è?»
Non ricevette alcuna risposta se non il ticchettìo di qualche goccia d'acqua che cadeva chissà dove, ma non aveva bisogno di qualcuno che gli parlasse. Le risposte possibili erano due: quella era la visione di cosa stava succedendo in quel momento, oppure di cosa sarebbe successo se non avesse seguito il piano di Eros. Si trovò a sperare che fosse la seconda.
Poi un ronzio metallico riportò la sua attenzione a ciò che aveva davanti agli occhi. Quattro oggetti metallici, simili a dei grossi anelli, volavano verso Helen e Will. Quando la semidea li vide avvicinarsi, la sua espressione si tramutò in puro terrore. «NO!» Gridò con tutta la voce che gli rimaneva, cercando inutilmente di liberarsi. Agitò le gambe nel tentativo di raccoglierle verso il suo petto, ma queste risposero a malapena. Will non reagì.
Gli anelli metallici raggiunsero le gambe dei semidei e si chiusero come fasce sui loro polpacci. Helen continuò ad urlare e cercare di ribellarsi, fino a che le sue grida diventarono un urlo straziante dovuto al dolore.
Con le orecchie piene di quel grido angosciato, Nico vide che gli anelli si stavano stringendo sempre di più attorno alle gambe dei ragazzi. Dei sonori crac riecheggiarono nella stanza, e l'urlo di Helen si trasformò nuovamente in un singhiozzo. Gli anelli liberarono i polpacci. Nico pensò che la tortura fosse finita. Invece quegli oggetti infernali risalirono le gambe fino ad arrivare poco sopra il ginocchio. Iniziarono a ripetere il procedimento. Iniziarono a ripetersi le urla di Helen.
A quel punto il figlio di Ade si alzò in piedi tremante. Sentiva di non poter fare niente, ma comunque provò: nel momento in cui allungò la mano verso una delle catene, queste si sottrassero al suo tocco e, come un ologramma, lasciarono passare la mano di Nico senza alcun effetto.
Il semidio si allontanò di qualche passo, salvo poi cadere nuovamente a terra. Alzò lo sguardo verso Will: il lieve, a dir poco impercettibile movimento del suo petto gli faceva capire che respirava ancora, ma fino a quanto avrebbe resistito? Finora non aveva reagito in alcun modo.
Gli anelli si allontanarono dalle gambe martoriate dei suoi compagni. Stupidamente, Nico si trovò di nuovo a sperare che fosse tutto finito.
Due anelli volarono mettendosi parallelamente ai ventri scoperti dei semidei. Da un lato uscirono come dei grossi aghi, in modo che formassero un cerchio composto da lame appuntite. Con un movimento fulmineo, gli anelli inserirono gli aculei nella pancia dei ragazzi. Nico trasalì.
Gli anelli si ritrassero di poco. Poi di nuovo conficcarono gli aghi. Un'altra volta. Un'altra. Un'altra, fino a che Nico non riuscì più a sostenere la vista e abbassò la testa reprimendo un conato di vomito.
Sentiva l'odore del sangue dei suoi compagni direttamente nelle narici, pungente, e nelle orecchie rimbombava il rumore delle gocce di sangue che ormai cadevano incessantemente sul terreno.
Alzò di nuovo lo sguardo verso Will. Sentì il rumore degli anelli che ruotavano furiosamente, non ebbe bisogno di guardare per sapere che a girare erano le lame nei loro ventri.
Nico avvertì un lieve movimento dal corpo di Will. Aveva alzato la testa per tossire. I suoi occhi avevano perso ogni genere di vitalità. Il figlio di Ade abbassò lo sguardo sulle sue labbra. Per un minuscolo, ingenuo istante, pensò che avessero ritrovato colorito. Poi si accorse che era soltanto il sangue che Will aveva appena sputato con un debolissimo colpo di tosse.
Dopo un tempo che gli sembrò non passare mai, il ronzio degli anelli si arrestò, e il figlio di Ade si accorse che questi erano scomparsi.
Nella stanza aleggiava un silenzio carico di tensione. Nico sentiva di stare per impazzire. Aveva nuovamente la vista annebbiata, ma non sapeva più se fosse per la stanchezza o per le lacrime. La sua testa pulsava come se stesse per esplodere da un momento all'altro. Troppo, era troppo anche per lui.
Poi un clang lo riportò alla realtà. "Non di nuovo, per favore", riuscì solo a pensare prima che si accorgesse che quel rumore era dovuto alle catene che rilasciavano i polsi di Will.
Helen rimase al suo posto, mentre il corpo di Will sbatteva appena contro la parete e rotolava davanti a Nico. Lui allungò la mano. Riuscì a toccarlo. E non appena lo fece, seppe con certezza che quel corpo era un cadavere.
Passò lo sguardo su tutto il corpo martoriato, ne osservò le gambe piegate in maniera innaturale, il ventre ridotto a brandelli di sangue e carne e poi il viso bianco marmoreo coperto da un sottile strato di polvere.
Un brivido percorse tutto l'esile corpo del figlio di Ade. Voleva andarsene da lì. Non gli importava se quello che vedeva era soltanto una visione immaginaria oppure no, non voleva più averne niente a che fare.
«Cosa devo fare?» Gridò al vuoto. «Quale sarebbe la prova?» Sentì la voce incrinarsi, ma continuò a parlare. «Ho visto tutto quello che è successo, cosa vuoi di più?»
Come un fulmine a ciel sereno, si ricordò della profezia. Percepiva la sua presenza, dato che era l'unica cosa che lo teneva ancorato alla visione.
Chiuse gli occhi concentrandosi per riuscire ad individuare dove si trovasse. Quando ci riuscì, non potè far altro che reprimere un altro conato.
"Non puoi chiedermi questo..."
Si coprì il viso con le mani, traendo grandi respiri per calmarsi. Era solo una visione, o almeno per quel momento doveva convincersi che lo fosse. Poteva farcela.
Poggiò la mano destra tremante sul ventre distrutto e ancora tiepido di Will. La vista gli si appannò, e adesso sapeva con certezza di star piangendo. Il cuore accelerò i suoi battiti. Chiuse gli occhi, respirò e affondò le dita in mezzo agli organi devastati del ragazzo. L'oscurità intorno a lui sembrò farsi più profonda mentre cercava la strofa tra le viscere di Will.
Non aveva mai fatto una cosa del genere, nè aveva mai desiderato farlo. Il calore degli organi, viscidi e totalmente fuori posto, lo rivoltava. Sapere che il cadavere che stava toccando in quella maniera era di Will lo stava facendo uscire di senno.
Dopo un po', decise di inserire anche la mano sinistra per aiutarsi nella ricerca. Fu felice quando i singhiozzi coprirono il rumore delle viscere rivoltate.
Alla fine sentì la consistenza di un pezzo di bronzo. Lo tirò fuori con tutta la velocità di cui era dotato e senza guardarlo lo pulì sulla maglietta. L'odore del sangue che gli impregnava le braccia fino ai gomiti era nauseabondo. Fu come se le orecchie tornassero a funzionare.
D'impulso allungò la mano per tenere quella di Will, che non gli restituì la stretta. Il ticchettio dell'acqua e del sangue non si era azzerato, e adesso riempiva il silenzio della stanza.
Nico chiuse gli occhi cercando di azzerare i tremiti del suo corpo. Una voce gli parlò: "Hai passato anche questa prova... ma non temere, ci incontreremo di persona fra non molto!"
Il figlio di Ade fu assalito dai capogiri. Chiuse gli occhi, e quando li riaprì si trovava nella stanza da cui era iniziata la prova psichica.
Il suo corpo urlava di dolore. La sua mente era distrutta.
L'unica cosa che riuscì a fare dopo essersi messo in piedi fu appoggiarsi alla parete e vomitare tutto quello che gli restava in corpo. La gamba colpita dalla freccia gli lanciò una fitta e crollò nuovamente in ginocchio. L'unica cosa che voleva fare era raggiungere Will ed Helen per assicurarsi che stessero bene. Ma sapeva che non aveva la forza per muovere un solo passo, quindi si accasciò a terra per riposare. Prima, però, si rigirò tra le mani la strofa: erano soltanto due versi incisi sulla lastra di bronzo celeste.

"finchè fermerà il di lei bambino.
Vittoriosa, degli altri sceglierà il destino"


Nico tremò. Non aveva bisogno di altre preoccupazioni. Ma si mise la lastra in tasca, chiuse gli occhi e decise di riposare.


"Noi possiamo darti ciò che vuoi... però in cambio devi lasciare tutto il resto..." Will si sentiva leggero come non mai.
Davanti a lui c'era quell'enorme libreria che aspettava soltanto qualcuno che arrivasse e ne leggesse i libri, e il figlio di Apollo sapeva di essere la persona giusta per farlo. Scie di luci continuavano a passargli gentilmente davanti agli occhi, e una dolcissima sinfonia gli inondava le orecchie. Poteva quasi sentire la voce melodiosa di Helen unita al coro... era come inebriato, in quel momento non aveva bisogno di niente tranne che raggiungere quella libreria ancora lontana...
"Seguici, vieni da questa parte... lascia alle spalle tutto ciò che avevi..." Ancora una volta, Will annuì convinto. Le creaturine luminescenti gli circondarono piano le mani, lui le guardò rallentando la camminata. Lentamente le sue mani si rivestirono con un paio di guanti da chirurgo. "Ti piacciono?"
Will sorrise estasiato. Stava per rispondere, quando un colpo di tosse lo distolse dai suoi pensieri. Si piegò appena su sè stesso, la musica si affievolì nelle sue orecchie. Quando riaprì gli occhi un poco annebbiati, la libreria sparì per qualche istante. Vide solo un lungo corridoio la cui fine era avvolta nel buio.
Poi la melodia tornò imponente e nel giro di un battito di ciglia tutto tornò perfetto. Ma la mente di Will era assalita dal dubbio.
"Vuoi diventare medico, non è vero?" Le voci ripresero insistenti, forse troppo graffianti, facendolo sussultare. "Affidati a noi..."
Will rimase immobile, incerto su cosa rispondere. Sì, voleva davvero studiare, laurearsi, fare carriera. Ma allora perchè non si fidava?
"Abbandona ciò che stai facendo..." Abbassò le mani.
"Abbandona i tuoi dubbi..." Continuò ad avanzare.
"Abbandona i tuoi amici..." Le sue ambizioni, si disse, erano più importanti..
"Abbandona quel figlio di Ade..."
«No.»
Mancava ormai meno di un metro a raggiungere la libreria. Era lì, davanti ai suoi occhi. Ma Will si era fermato.
"Sì, abbandonalo!" La voce stridula e sgradevole come le unghie su una lavagna.
«No. Nico... sta facendo tanto per me. Non posso abbandonarlo.» La musica si affievolì.
"Nico non è importante!" E la luce stava già sommergendo i suoi vestiti, e quasi poteva sentire un camice da medico coprire il suo corpo.
«Per me sì» Aveva un groppo in gola. Mosse ancora un altro passo in avanti.
La musica era così bella che voleva...
Allora capì.
Fulmineo si toccò il fianco: la maglietta arancione non era stata ancora sostituita dal camice. Si strappò due pezzi di stoffa e li mise nelle orecchie. La musica scomparve all'istante, così come la visione.
Non si trovava affatto davanti ad una libreria. Aveva percorso un corridoio che aveva portato lui ed Helen davanti un baratro. Qualche passo ancora e avrebbe finito per buttarcisi dentro.
Si guardò intorno e il suo cuore perse un colpo.
«HELEN!»
Fu questione di un attimo. Con lo sguardo perso nel vuoto, la bocca aperta in un canto che Will non poteva sentire ed un nuovo vestito svolazzante, sua sorella puntava dritta verso l'abisso senza avere la minima idea di contro cosa stesse andando incontro. Will corse verso di lei e la afferrò per le braccia.
Le tappò le orecchie con la stoffa. Dolcemente la allontanò dal baratro. Vide la sua espressione confusa. Con gli occhi lucidi si girò verso il burrone e si irrigidì nelle braccia di Will. Quando si voltò di nuovo verso di lui, le uscì un singhiozzo e si trovò e soffocare il pianto sulla spalla del fratello.
Lanciò un altro sguardo al baratro e cadde in ginocchio. Will la accompagnò a terra e le carezzò la testa con fare protettivo, sentendo l'adrenalina scemare dal suo corpo. «Va tutto bene. Il peggio è passato.»
All'improvviso, Will iniziò a tossire. Aveva cercato di ignorarlo fino a quel momento, ma in quei pochi minuti i sintomi che provava si erano aggravati.
«Will, hai la febbre. L'effetto della medicina sta svanendo.»
Il biondo si alzò in piedi, allontanandosi dalle labbra che Helen aveva posato sulla sua fronte per sentire la temperatura. «Suppongo di sì, ma per ora sto bene. Solo... è solo un po' di febbre.»
La sorella lo seguì a ruota rialzandosi e guardandosi intorno: «Dove ci troviamo secondo te?»
Will scosse la testa: «Non lo so, ho perso l'orientamento. Credo che sia una qualche stanza collegata al baratro che abbiamo sempre costeggiato. Non ci sono finestre, quindi potrebbe essere sottoterra... ma non mi stupirei se la torre fosse incantata, un po' come il Labirinto.»
Helen annuì. «Vedi dov'è la profezia?»
«La traccia è ricomparsa da poco. Di là... dovrebbe esserci un corridoio.»
Avanzarono rapidamente. Il baratro era circolare, e i fratelli lo aggirarono fino ad arrivare ad un'uscita dalla stanza, posta diametralmente opposta rispetto a dove erano entrati. Non appena attraversarono l'uscio dovettero salire delle scale. La penombra era illuminata da diverse fiaccole appese alle pareti.
Alla fine arrivarono in una stanza quadrata. Al centro della sala c'era una sorta di piccolo altare su cui era posata la strofa della profezia.
«Finalmente siamo arrivati!» Alla vista della lastra in bronzo celeste, Helen sembrò riacquistare un po' di ottimismo. Stavano per avvicinarsi al tavolo, quando un rumore estraneo attirò l'attenzione alle loro spalle. Da un angolo scuro della stanza emerse una figura piegata su sè stessa, che rantolò diverse volte prima di caracollare in avanti e avvicinarsi rapidamente ai due fratelli.
«Nico! Mi hai spaventata!»
Il figlio di Ade tossì ancora e alzò lo sguardo stanco sui compagni, sospirando di sollievo nel vederli sani e salvi. Helen gli si affiancò e gli fece mettere il braccio non ferito sulle spalle per sorreggerlo. «Dei del Cielo, Cosa ti è successo?»
«Ne parliamo dopo. Will, prendi la strofa.» Ordinò con voce flebile. «La mia parte sta letteralmente vibrando. Immagino voglia ricongiungersi con l'altra metà, durante il viaggio-ombra mi ha guidato lei fin qui.» Faticava a tenere gli occhi aperti e non c'era una parte del suo corpo che non gli facesse male.
Will si diresse rapidamente verso l'altare, non prima di aver fulminato il ragazzo con uno sguardo alle parole "viaggio-ombra".
Non appena sollevò la strofa dal tavolino, le mura della stanza iniziarono a vibrare. Da ogni muro si aprirono tre piccole gallerie. Nel giro di pochi secondi, dai buchi iniziarono ad uscire dei mostri grossi ed aggressivi. Somigliavano a dei myrmekes, ma oltre alle grosse tenaglie avevano anche degli aculei sul dorso, e si fiondarono contro i semidei non appena li videro.
«Will, la strofa! Portala qui!» Mentre il biondo veniva assediato da un gruppo di mostri, Nico si staccò da Helen e ne affettò uno con il Ferro dello Stige. «Nico, non sei in condizioni di attaccare!» Helen provò a ritirarlo indietro, ma lo sguardo del figlio di Ade fu piuttosto eloquente. Nonostante fosse sul punto di svenire, tra loro era sicuramente quello con più esperienza in quanto a combattimento.
«Will! La strofa!» Ruggì menando un altro fendente. La vista iniziò ad offuscarsi. Con la coda dell'occhio vide Helen cercare di difendersi con un pugnale. Sapeva che Will si stava facendo strada a suon di frecce. Colpì un altro nemico, ma aveva una presa così debole sulla spada che temeva potesse lasciarla cadere da un momento all'altro senza neanche accorgersene.
«Will!» Un mostro lo morse alla gamba. Cadde in ginocchio. La vista si era fatta quasi del tutto scura. Iniziò a tirare colpi alla ceca basandosi sull'udito, ma dubitava di riuscire a rimanere cosciente per molto tempo. Sentiva le zampe dei mostri assalire le sue braccia e tentare di arrivare alla faccia.
Per un attimo, al posto della distesa nera, i suoi occhi videro il cadavere di Will. Urlò ancora il suo nome, e si accorse solo nel momento in cui lo chiamò quanto panico avesse messo nella sua voce.
Passò probabilmente solo qualche altro secondo. Nico ormai non era più in grado di percepire distintamente dove i mostri lo stessero colpendo.
Udiva la voce di Helen che si lamentava quando veniva morsa, ma che combatteva senza tregua. Sentì del bagnato sulla guancia.
«Will..»
Poi dei passi rapidi. Il soffio delle frecce scoccate. Il rapido susseguirsi di zampe e tenaglie sul suo corpo che si diradava.
«Sono qui. Sono qui.»
Senza sapere come, Nico si trovò la testa appoggiata al suo petto. Sentì la mano di Will prendere la sua con cui teneva ancora la metà strofa. Questa iniziò ad emettere calore, probabilmente anche un bagliore.
Poi Nico svenne.


***Angolo dell'Autrice***
Ehi, non sono morta!
E, soprattutto, non ho abbandonato la storia. Io ve l'assicuro, ho tutti i difetti del mondo quando si tratta di scrivere long, ma sono DETERMINATA e amo questa storia. Quindi, cascasse il mondo, non la abbandonerò mai.
Ma, come avete potuto vedere, sono decisamente incostante. Non ho neanche risposto alla meravigliosa recensione di kirira nell'ultimo capitolo, e dire che sono dispiaciuta davvero, davvero è dire poco.
Speravo di riuscire a scrivere un capitolo per le vacanze di Pasqua. Non ci sono riuscita.
Fino a giugno non ho potuto scrivere niente perchè ero a dir poco sommersa dai compiti. E poi ho praticamente passato due mesi senza fare niente, e davvero non ho scuse.
Credevo in un calo di ispirazione, ma la verità è che semplicemente non ho voluto impegnarmi quando ne avevo l'occasione, e ve lo dico perchè tutto questo capitolo l'ho scritto oggi. Mi sono messa sul divano, ho acceso il computer e mi sono detta: "Okay, ho fatto aspettare fin troppo." E dopo neanche un centinaio di parole, già scrivevo veloce come il vento. Il capitolo è più corto rispetto ai precedenti ma se non altro a mia discolpa posso dire che è pieno di contenuti e ne sono soddisfatta.
Insomma, finora sono stata soltanto pigra e ne sono terribilmente desolata. Questa volta non faccio promesse di aggiornare entro chissà quanto poco tempo perchè, sono sincera, non so se sono in grado di mantenerle.
Posso però assicurarvi che adoro questa storia, adoro i miei lettori e adoro scrivere.
Per finire, volevo un consiglio proprio da voi lettori: forse avrete notato che ho deciso di cambiare il rating della storia in arancione dopo questo capitolo, visto che la scena con Nico è un po' forte. Dite che dovrei anche inserire l'avvertimento "violenza"? Fatemi sapere, anche in messaggio privato se non volete recensire la storia.
Sperando che le cose vadano meglio d'ora in poi e che le mie scuse siano accettate vi saluto,
_Kalika_

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Dato che sono una persona orribile e ho lasciato passare un intero anno senza aggiornare, faccio un riassuntino degli ultimi avvenimenti a quei pochi lettori che ancora mi seguono:
 
I due gruppi (uno formato unicamente da Nico e l’altro da Helen e Will) hanno superato le proprie prove per ottenere la rispettiva metà della profezia che il misterioso anziano del negozio ha ordinato loro di trovare in cambio del passaggio per raggiungere Cupido.
Nico ha dovuto affrontare l’arpia di nome Lisayne e successivamente si è dovuto addentrare in una visione che vedeva Will ed Helen torturati fino alla morte. Gli altri due ragazzi invece hanno dovuto scegliere la cruda realtà rispetto alla fatale illusione suggerita dai loro sogni più ambiziosi. Una volta riuniti, tutti e tre allo stremo delle forze, vengono attaccati da dei giganteschi e aggressivi myrmekes. Quando il combattimento sembra volgere definitivamente a favore dei mostri, le due strofe della profezia si uniscono e cominciano a brillare…
 
 
Capitolo 8
 
 
Nico si svegliò lentamente, faticando a prendere coscienza con la realtà. A malapena si accorse di essere rotolato su un fianco, almeno fino a che non poggiò la guancia sul pavimento gelido che gli diede una scossa per svegliarlo. Allora aprì gli occhi, venendo investito all’istante da una scarica di mal di testa.
Mugugnò infastidito ma per niente sorpreso di avere difficoltà nello svegliarsi, e mentre tentava di mettersi seduto constatò di avere difficoltà nel muoversi a causa delle ferite che Lisayne gli aveva inferto alla spalla e alla gamba.
Si strofinò la faccia con le mani nel tentativo di svegliarsi e di riepilogare cosa era successo prima che si addormentasse.
 
Non appena le due strofe della profezia si erano unite in un’unica lastra, Nico, Will ed Helen erano stati trasportati al negozio del vecchio con lo stesso procedimento dell’andata.
Stanchi, feriti e traumatizzati, ma quantomeno al sicuro, dopo aver notato l’assenza del loro committente, non avevano potuto far altro che comprarsi da mangiare – non avevano idea di che ore fossero, ma sentivano tutti un gran bisogno di buttare giù qualcosa dopo i numerosi scontri –, cambiarsi i vestiti ormai ridotti a stracci e, cosa più importante, curare le proprie ferite. Will era riuscito a migliorare lievemente lo stato di Nico e di Helen, ma lo stesso non si poteva dire di lui. La medicina di Hermes cominciava a perdere il suo effetto: seppur lentamente, aveva iniziato ad accusare i primi sintomi come febbre e tremori. Tuttavia, almeno per quanto sosteneva lui, era ancora cosciente e soprattutto in grado di muoversi e combattere.
Il sole era ancora alto, ma tutti e tre avevano accordato di riposare, e si erano accampati alla meglio all’interno del negozio.
 
Il figlio di Ade si guardò intorno. Sbirciò fuori dalla porta nel negozio: non riusciva a vedere il sole, ma dalla luce fioca e dal cielo quasi scuro intuì che si stesse avvicinando la sera. Doveva aver dormito buona parte del pomeriggio.
Will ed Helen riposavano ancora, e Nico certo non aveva da compatirli: nessuno dei due aveva esperienza in fatto di missioni, e l’avventura di quel giorno era stata pesante per tutti. Per tutti…
“Possiamo trovarli! Sono semidei forti, lasciano una traccia molto chiara!”
…Di chi era quella voce? Quella voce che aveva appena rimbombato nella testa di Nico?
“Nico è un mio amico. So che non farà niente di pericoloso.” Ancora… che cos’era?
Una visione?
No… era un sogno. O meglio il ricordo di un sogno, uno appena fatto, che si palesava in quel momento nella mente di Nico. Il ragazzo si coprì le palpebre con le mani, cercando di ricordarsi meglio cosa aveva visto nel sonno.
Di chi erano le voci? A chi parlavano?
“Blackjack è arrivato fino a questa osteria. Cosa facciamo adesso?” Era tutto troppo confuso… udiva il rumore di zoccoli calpestare il terreno regolarmente, toc, toc, toc, toc, plic, toc, plic, plic, plic… E all’improvviso le voci tacquero come se un velo si fosse calato su di esse, non si sentiva nient’altro che plic, plic, plic, il sangue che colava dai corpi martoriati di Will ed Helen, e le ossa che scricchiolavano, le catene che tintinnavano flebili… e un odore intenso si diffuse nell’aria, ferroso, che chiudeva la gola, e le mani di Nico erano di nuovo intrise di sangue, e ovunque si poggiasse il rosso macchiava e si dilatava, e saliva lungo le braccia di Nico, bruciava la pelle, e continuava a gocciolare con quel plic, plic, plic…
Nico allontanò violentemente le mani dal viso, trovandosi a respirare forte. Si alzò in piedi cercando di fare più rumore possibile, sovrastando il rimbombo nella sua testa, e raggiunse la porta del negozio inciampando un paio di volte. Si aggrappò alla maniglia e attraversò tentennante l’uscio, ritrovandosi sul marciapiede. Le gambe gli tremavano, e per un attimo, mentre usciva, ebbe la tentazione lasciarsi semplicemente crollare a terra. Invece non appena mise piede fuori venne investito da un vortice di luci, suoni, colori, e – non avrebbe mai pensato di dirlo – si sentì rinato. Si appoggiò al muro e osservò il via vai di gente, le macchine che suonavano il clacson, i piccioni che si contendevano un pezzo di pane, i ragazzi che ridevano. Normalmente avrebbe trovato una scena del genere fastidiosamente caotica, o tutt’al più si sarebbe scoperto invidioso di non poter vivere una vita normale come quelle persone. E invidioso sicuramente lo era, ma adesso era spinto da ideali e obiettivi decisamente più alti. In quel momento però, Nico aveva bisogno di qualcosa che gli spazzasse via dalla mente tutti i pensieri, e il rumore della città era il rimedio migliore.
Nonostante il riposo, il ragazzo si sentiva stanco. Le scorte di ambrosia erano finite tutte nella pancia di Lisayne, e gli incantesimi di Will, fortemente influenzati dalla maledizione di Apollo, avevano a malapena fermato l’emorragia.
Sospirò mentre si stringeva da solo le spalle, godendosi un’ultima volta il venticello serale. Doveva stringere i denti ancora un po’, e dopo sarebbe tutto finito. Non aveva senso perdere tempo.
Si staccò dal muro e rientrò nel negozio, strofinando via dalla guancia una scia bagnata.
 
Per prima cosa decise di ispezionare il negozio. Se il vecchio aveva un “passaggio” per raggiungere Cupido, o almeno così aveva detto Ed, allora era possibile che ci fossero delle porte segrete.
Tuttavia, per quanto si sforzò, non riuscì a scovare niente. Si mise anche a frugare nella scrivania del signore, sperando di trovare qualche indizio, ma la ricerca si rivelò nuovamente inutile.
Anche quando Will ed Helen si svegliarono e si unirono alle ricerche, il tastare muri e cassetti in ricerca di scomparti nascosti fu solo una perdita di tempo.
Le uniche cose di interesse all’interno del negozio, oltre l’antico arredamento, era la presunta mercanzia: sembrava che ci fossero oggetti provenienti da tutte le età e dalle più svariate tradizioni religiose.
Ormai rassegnatosi all’idea di dover passare in rassegna tutti i prodotti senza avere un ordine da seguire, Nico si ricordò improvvisamente dello scaffale con le anfore che aveva attirato l’attenzione dei semidei la prima volta che erano entrati in quel luogo.
Con un lieve barlume di speranza si avvicinò a quell’angolo, scostando nuovamente il telo che copriva le opere, e iniziò a esaminarle. Passò almeno una mezz’ora di letture senza fine, scartando una volta un antico mito greco, una volta un’impresa di Percy, fino a quando si trovò tra le mani un’anfora lucida, brillantemente nuova, tanto che sembrava impossibile averla notata solo in quel momento. Al contrario di molte altre, non c’era nessuna scritta: soltanto un complesso intarsio colorato.
C’erano molte figure che giravano tutte attorno al vaso, soprattutto forme irregolari di colore arancione e viola: tutte erano rivolte verso quello che era senza dubbio il punto focale dell’anfora. In mezzo a tutte le figure, infatti, ne risaltavano tre che raffiguravano chiaramente delle persone: una totalmente vestita di nero, le altre due bionde e vestite di arancione.
In un altro momento, Nico si sarebbe sorpreso non poco nel vedere una cosa del genere: invece la prima cosa che fece dopo aver constatato che sì, senza alcun dubbio le tre figure al centro erano lui e i suoi compagni, fu di cercare ogni più piccolo indizio per sapere cosa avrebbe dovuto fare.
La ricerca fu brevissima: risaltava in modo quasi luminescente che i tre personaggi stavano poggiando le loro mani su una lastra brillante color oro, che irradiava i suoi vicini di luce. Nico estrasse dalla tasca la lastra della profezia, osservandone i riflessi dorati e le scritte nere:
 
“Diva, assiste e commenta le azioni di tre:
a tempi diversi avran da patire,
finché fermerà il di lei bambino.
Vittoriosa, degli altri sceglierà il destino”
 
Non potevano esserci fraintendimenti: la chiave per raggiungere Cupido era lì, tra le sue mani. Nico sollevò l’anfora e raggiunse Helen che stava nella stessa stanza.
«Credo di aver scoperto come raggiungere Cupido. Secondo quest’immagine» e alzò il vaso per mostrarle ciò di cui parlava «dobbiamo toccare contemporaneamente la strofa… e magari concentrarci, non so»
Helen parve turbata: «È così facile? E dobbiamo essere tutti e tre, senza poter lasciare nessuno indietro?»
«Sono solo ipotesi» osservò il figlio di Ade «ma così pare. Io e Will abbiamo già toccato la strofa contemporaneamente, nel momento in cui si sono unite fra loro le due metà, e ci siamo ritrovati tutti e tre qui. Quindi immagino che ci sia anche la possibilità che se anche solo noi due tocchiamo la strofa, verrà portato anche Will con noi.»
La ragazza si appoggiò alla scrivania dietro di lei, squadrando pensieroso Nico che appoggiava a terra l’anfora: «Hai centrato in pieno. Può dire quello che vuole, ma Will non sta bene, è evidente che l’effetto della medicina di Hermes stia finendo. Sicuramente è un bravo combattente, e al momento potrebbe anche sopportare uno scontro… ma se dovesse avere qualsiasi ricaduta…» scosse appena la testa e arricciò le labbra, alternando lo sguardo da Nico all’anfora. «…non lo so. È inutile dirlo, sono preoccupata.»
«Lo sono anche io, ma ormai non possiamo tirarci indietro. Questa volta assicuriamoci di non dividerci. Io sono in grado di proteggervi, e anche tu con la tua Foschia, e inoltre in tre è più semplice liberarsi delle arti illusorie.»
«Anche tu sei stato vittima di una visione?» La ragazza parve sorpresa e immediatamente interessata, cosa che non piacque affatto a Nico. «Dev’essere stato terribile affrontarla da solo. Per quanto mi riguarda, se non fosse stato per Will, a questo punto non sarei qui.»
Il figlio di Ade non poté fare a meno di rabbrividire, incapace di levarsi dalla mente le orrende sensazioni che lo avevano riassalito poco tempo prima. Sentì la testa girare e si mise a sedere – guarda caso, proprio sulla sedia su cui si era accasciato la prima volta che erano entrati in quel negozio – commentando cercando di mantenere un’aria disinvolta: «L’obiettivo della visione di cui sono stato vittima non era di uccidermi» non se la sentì di aggiungere “fortunatamente” «..quindi potrei dire di aver fatto il suo gioco. Non è stato bello.»
Helen rimase un po’ in silenzio, riflettendo su ciò che era stato detto. Aveva notato come Nico avesse improvvisamente perso colore non appena avevano sfiorato l’argomento dello scontro di quel giorno, quindi evitò di fare domande. Abbassò gli occhi e dopo un po’ riprese la conversazione con tono rammaricato: «Mi dispiace di causarti tanti guai. Finora non mi sono dimostrata utile, e soprattutto non sono riuscita a fermare Will dal cercarti.»
Nico alzò le sopracciglia. «Pensavo che ce l’avessi portato tu. Voglio dire, so quanto sia insistente Will, ma non pensavo fosse in condizioni di venirmi addirittura a cercare.»
La ragazza scosse la testa increspando appena le labbra in un sorriso ironico. «Stava male, ma ci sono stati dei periodi in cui si sentiva meglio e riusciva anche a reggersi in piedi. Era – o meglio, sarebbe dovuto essere – sotto controllo, ma in quelle poche volte è riuscito anche a passeggiare un po’. Quando ancora era bloccato a letto gli avevo detto che eri partito dato che insisteva per sapere dove fossi, e mi era sembrato piuttosto irrequieto… ma non lo ritenevo in grado di fare una follia del genere. Invece non appena ho saputo che per qualche tempo era stato in grado di reggersi sulle proprie gambe mi sono insospettita e sono andata a controllarlo.» Non era esattamente un racconto divertente, ma Helen notò che Nico si stava distraendo e sembrava meno pallido, quindi sorrise con più sicurezza e continuò: «Ovviamente la sua stanza era vuota. L’ho trovato che si trascinava dentro la stalla, e implorava Blackjack di farlo salire su di lui. Ho cercato a parole di convincerlo a desistere, ma è stato irremovibile, puoi immaginarlo. Con un paio di balzi era salito in groppa a Blackjack: immagino di essermi sbagliata, ma in quel momento l’idea di metterlo ulteriormente in pericolo buttandolo a forza giù dal pegaso mi era sembrata un’idea tremenda, quindi ho preferito andare con lui.»
«Non scusarti. Non nego che le cose sarebbero potute andare diversamente se foste rimasti al campo, ma ormai non si può tornare indietro. Anzi, ti ringrazio per non averlo lasciato solo.»
«Trovato qualcosa? Di che parlate?» Will entrò nella stanza in quel momento trascinando stancamente i piedi, schiarendosi la voce non appena si accorse del tono flebile con cui aveva interrotto la conversazione.
“Della tua stupidità” era sul punto di rispondere Nico, ma si bloccò subito dopo aver aperto la bocca, quando ebbe modo di osservare in che condizioni fosse Will.
Che non stesse bene lo si poteva dire da ore, ma in quel momento sembrò peggiorato in maniera improvvisa. Le occhiaie nere sotto gli occhi entravano in netto contrasto con il pallore innaturale del viso, al punto di sembrare di star guardando un fantasma. Gli occhi velati da sottili ma numerose venature rosse testimoniavano la presenza di febbre alta, o quantomeno di un forte mal di testa. E tutta la sua figura ricordava un vecchio albero appassito e morente, appoggiato al muro, con le spalle cadenti e le gambe incerte. Sembrava un miracolo che si tenesse in piedi.
Ancora una volta, Nico si trovò a confrontare quella triste immagine alla visione di Will torturato, riuscendo a non farsi catturare soltanto grazie al rumore delle dita di Helen che picchiettavano contro l’anfora e poi la sua voce che spiegava le recenti scoperte.
Will si sedette a terra mentre ascoltava la sorella che parlava, e Nico ne approfittò per lanciargli al volo la strofa. Non appena Helen finì di parlare, il biondo abbassò lo sguardo verso la profezia mentre si massaggiava la testa: «Sembra una caccia al tesoro, di quelle brutte. “Diva assiste e commenta le azioni di tre… a tempi diversi avran da patire”… questo potrebbe adattarsi a praticamente qualsiasi missione. Tre persone che soffrono e una.. Diva…» «una Dea» suggerì Nico distrattamente, captando appena l’assenso dell’altro.
«..e una Dea che li osserva. Sai che novità.» Strizzò gli occhi e continuò a leggere. «La parte interessante è questa. “finchè fermerà il di lei bambino”.. la Dea ha un figlio? Come al solito, senza contesto non si capisce niente… “vittoriosa, degli altri sceglierà il destino”… mi sembra incompleta.»
«Cosa?»
«Beh, non dice qual è il destino dei tre. Voglio dire, è normale che non ci siano informazioni certe, ma così è davvero troppo generica.»
Nico si irrigidì e sbuffò: «È una profezia. Non è la prima volta che non viene spiegata la fine della missione. Altrimenti non sarebbe divertente per gli Dei, no?» aggiunse con una punta di ironia.
«E comunque analizzarla non ci servirà a niente. Ormai sappiamo come raggiungere Cupido, dobbiamo preparare tutto il necessario e farlo in fretta.»
Helen fece qualche passo verso gli altri due, sconcertata quanto Will dalla risposta innaturalmente brutale che aveva appena sputato Nico. «Non troppo in fretta. Non abbiamo più ambrosia, e dal momento che sei tu la persona con più esperienza in quanto a combattimento, è meglio aspettare che riposi per bene.»
«Più aspettiamo per farmi guarire, più Will peggiora. Non ha senso restare qua più del necessario. Partiamo il prima possibile.»
«Ha senso, invece» Obiettò Will convinto «Sono comunque una zavorra. Meglio che lo sia soltanto io invece che tutti e due, no?»
Pur a malincuore, Nico non ebbe da ridire.
Stava per chiudere gli occhi e cercare di addormentarsi, pur sapendo già l’esito del tentativo, quando sentì la porta del negozio che si apriva e il campanello che annunciava l’ingresso di qualcuno.
 
«…Nico? E ci siete anche voi due! Finalmente vi ho trovati!»
Il figlio di Ade raggelò sul posto, maledicendosi di non aver pensato prima a quell’eventualità.
Si girò lentamente mentre Jason si chiudeva alle spalle la porta del negozio e avanzava verso di loro. «Non posso credere di avere avuto questo colpo di fortuna..!» Si interruppe nel vedere gli sguardi sconcertati fissi su di lui, ma la cosa che lo stupì di più fu un’altra. «Avete degli aspetti terribili. Avete dovuto combattere contro dei mostri?»
Si levò lo zaino dalle spalle e ne trasse fuori delle porzioni di ambrosia, che offrì a Nico ed Helen. Mentre i ragazzi allungavano le loro mani, lanciò un’occhiata a Will: «Mh…Con te non serve, giusto?»
Il figlio di Apollo annuì appena, soffiando un “passo” tra le labbra. Tutti e tre sembravano attoniti, e soprattutto impauriti, come se fossero davanti a una visione – e per quel giorno, di illusioni ne avevano avute abbastanza. Nico fu il primo a riaversi. «Come hai fatto a trovarci? Sei solo?»
«Chirone era molto arrabbiato, e ha preparato dei gruppi di ricerca. Ho cercato di bloccarlo, ma sono solo riuscito a ritardare di un giorno la partenza.» Si guardò intorno mentre continuava il suo racconto. «Blackjack ci ha condotti fino ad un’osteria, e poi abbiamo avuto molte difficoltà a trovarvi. Però cercando di contattarvi con dei messaggi-iride ricevevamo degli scorci di dove vi trovavate, e siamo riusciti a restringere l’area.»
«Che cosa intendi fare?»
«Sono dalla tua parte, ma ho le mani legate. Il resto del mio gruppo si sarà già accorto della mia presenza e mi starà cercando.» Si morse la cicatrice sul labbro e continuò. «Penso che Will farebbe meglio a venire con noi. Anche Helen, suppongo. Se hai bisogno di una mano nel combattimento, posso venire io con te. Mi inventerò qualcosa e…»
«Non è una cosa possibile.»
Jason lo guardò confuso. «Cosa intendi? E cosa è successo? Non capisco perché ti sei portato dietro anche Will.»
«Se potessi, lo rimanderei al Campo immediatamente, anche a forza di spedircelo a calci in culo» rispose secco lanciando l’ennesima occhiata di rimprovero a Will che gli stava passando in mano la strofa della profezia. «Ma ti sto dicendo che non è possibile che ci dividiamo. Né tantomeno che tu venga con noi. È tutto a causa di questa lastra che-»
«Li hai trovati, finalmente!»
«Potevi avvisarci, ti abbiamo cercato per tutto l’isolato!»
«Ragazzi, venite tutti qui! Jason li ha trovati!»
Nico raggelò mentre una mezza dozzina di semidei entrava nel negozio e si avvicinava. Il piano cambiava.
Se si fosse trattato solo di Jason, avrebbe anche potuto spiegare tutto e convincerlo. Ma una manciata di ragazzi che a malapena conosceva, e che lo consideravano solo un pericolo per via del suo genitore divino? Impossibile.
«Non intendo tornare al Campo prima di aver risolto tutto.» Comunicò con voce chiara a Jason e al resto dei ragazzi. Lanciò uno sguardo d’intesa a Helen e Will, poi allungò la strofa in direzione di Helen. «Proviamo solo noi due, ok? Chissà che non ti lasci indietro»
Will annuì con un lieve sorriso mentre osservava le mani di Nico e della sorella che sfioravano la lastra. «Tentar non nuoce, suppongo.»
 
…e tanti saluti ai preparativi per la partenza.
 
 
 
 
 
 
 
***Angolo dell’autrice***
 
Lo so, lo so. Non ho aggiornato per un anno intero e questo nuovo capitolo non è neanche lungo. Sono imperdonabile.
Se non altro, proprio perché il capitolo mi è sembrato davvero troppo corto (alcune volte sono arrivata quasi alle 5000 parole mentre qui raggiungo a malapena le 3000) ho deciso di dividere il capitolo in due parti, di cui quella che avete appena letto è la prima. Oltretutto questo era soltanto un capitolo di passaggio, quindi speravo di poter scrivere anche una parte di azione invece che noiose spiegazioni. Ho cercato di impreziosirlo il più possibile – ad esempio l’attacco di panico di Nico inizialmente non era previsto – ma resta comunque un capitolo abbastanza lungo, che si salterebbe volentieri.
Non appena avrò finito la seconda parte, decisamente più adrenalinica, la pubblicherò nel posto che spetterebbe al capitolo 9.
Poi non appena avrò pronto il capitolo 9, dato che voglio evitare casini dividendo i capitoli inutilmente, cancellerò il capitolo della 2a parte dell’ottavo capitolo, che aggiungerò in questo capitolo, pubblicherò il capitolo 9, e cancellerò questa inutile spiegazione.
In breve ai lettori non cambierà nulla perché vi risulterà sempre l’aggiornamento quando li farò e io non avrò un elenco capitoli disordinato.
 
A dirla tutta, le motivazioni della pubblicazione del capitolo di oggi sono due.
La prima, naturalmente, è che ho fatto aspettare davvero troppo i miei lettori - che a questo punto saranno calati a zero e anche a ragione; la seconda, è che ho deciso di partecipare con questa storia ad un concorso di Wattpad (dato che la pubblico in contemporanea anche là), ossia l’ ItaContest2019!
È il primo contest di Wattpad a cui partecipo e non ho dubbi che sarà un disastro, ma ho la sicurezza di avere una discreta conoscenza ed esperienza linguistica e una storia di cui, anche se non posso certo affermarne l’originalità, vado davvero molto fiera.
La votazione dell’ ItaContest è divisa nella votazione della giuria e in quella dei lettori. Quindi invito anche voi che mi leggete da Efp a darmi una mano. Come fare? Andate al capitolo dedicato al contest sulla mia storia su Wattpad che potete raggiungere con questo collegamento, in cui sarà brevemente rispiegato il ruolo dei lettori nel contest, e date alla storia un voto da 0 a 10 nei commenti. Inutile dire che mi farebbe davvero molto piacere se motivaste il vostro voto!
Non ho nient’altro da dire, se non invitarvi come al solito a farmi sapere cosa ne pensate della storia con un commento!
Alla prossima,
_Kalika_

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