Queen of Jerusalem di Eilan21 (/viewuser.php?uid=167267)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
San
Giovanni d'Acri
Settembre
1217
Le
prime navi della flotta cominciarono a delinearsi all'orizzonte, con
le galee che punteggiavano di scuro il mare azzurro di Outremer. Con
il vento a favore, ben presto le imbarcazioni si fecero più
vicine,
a centinaia, a migliaia, le vele gonfie di vento e le polene scolpite
a guisa di creature marine.
Yolande
aveva solo cinque anni allora, ma non dimenticò mai lo
stupore che
provò nell'ammirare quello spettacolo affascinante e
inquietante
allo stesso tempo. Ricordava che la sua balia, una ragazza francese
di nome Yvonne, l'aveva portata nel cortile più alto del
castello,
dove si erano radunate buona parte delle dame e dei paggi di corte.
Yolande, in braccio a Yvonne, ascoltava distrattamente le chiacchiere
eccitate delle dame intorno a lei. La sua attenzione era tutta su
quel nugolo di navi che sciamavano sulle limpide acque del mare che
le era tanto familiare. Quelle navi trasportavano un grande esercito,
lo aveva sentito dire. Ma per esserne del tutto sicura chiese a sua
cugina Anais, di cui si fidava ciecamente e nei confronti della quale
provava un'adorazione infantile. Anais era grande ai suoi occhi,
aveva già dodici anni. E per Yolande era perfetta in tutto.
“Anais...”
la chiamò allungando una manina verso di lei e toccandole la
spalla.
Anais alzò gli occhi e le sorrise.
“Cosa
c'è Yolande? Vuoi scendere? Vuoi che ti prenda in braccio
io?”
La
bambina annuì, contenta. Voleva bene a Yvonne, ma preferiva
sempre
la compagnia di Anais a quella di chiunque altro. La ragazza
allungò
le braccia e Yvonne le consegnò la piccola regina di
Gerusalemme,
che si strinse alla cugina e aspirò il profumo dei suoi
capelli
d'ebano. Anche se erano figlie di due fratelli, Yolande e Anais non
potevano essere più diverse l'una dall'altra. Anais aveva
ereditato
la bellezza materna: la pelle olivastra e gli occhi scuri e intensi,
che la facevano sembrare una saracena. Sua madre, Albiria
d'Altavilla, era la figlia del re Tancredi di Sicilia, ultimo re
della dinastia Altavilla che si era visto rubare il trono
dall'usurpatore Enrico di Svevia.
Yolande
invece era di costituzione esile e delicata. I suoi capelli biondi e
la pelle chiara erano un retaggio della madre che non aveva mai
conosciuto: Maria, regina di Gerusalemme prima di lei, che era morta
pochi giorni dopo la sua nascita, consumata dalla febbre puerperale.
“Anais,
è vero che il re d'Ungheria è su quelle
navi?” chiese Yolande
scostandosi dal viso un ricciolo biondo che era sfuggito alle trecce.
“Sì
è vero, mon petite oiseau. I re sono
finalmente pronti a
cominciare la santa crociata.”
Yolande
ci rifletté qualche istante, portandosi un dito alla
guancia. “Ma
perché hanno bisogno di tante navi? Cosa se ne
fanno?”
Yvonne
rise e le diede un buffetto sulla guancia.
“Il
re non è solo, votre altesse. Ci
sono tanti nobili e
tanti soldati che lo accompagnano.”
“E
perché i re sono venuti tutti ad Acri? Non si trovavano bene
nei
loro regni?”
“Oui,
anche troppo bene. Ma se non fossero venuti qui non
potrebbero
strappare il Santo Sepolcro agli infedeli.”
Le
navi erano ormai prossime alle mura della città, e Yolande
le
guardava affascinata. Non aveva immaginato che fossero così
grandi!
E il re d'Ungheria si trovava su una di queste... la bambina
cercò
di indovinare quale. Scoprì che bastava cercare i vessilli
che
garrivano al vento, anche se ondeggiavano talmente forte che era
difficile fissarvi sopra lo sguardo. Sapeva che lo stemma di suo
padre era uno scudo a settori bianchi e azzurri, ma quelli che
individuò non li conosceva.
“Anais,
a chi appartiene quello stemma con i leoni che stringono un
cuore?”
“Quello
su uno sfondo a strisce bianche e rosse? Non saprei...”
“Io
lo so, vostra grazia”, intervenne un giovane paggio.
“Quelle sono
le truppe del re Andrea d'Ungheria, alleato di vostro padre in questa
nuova crociata. E lì ci sono le truppe del duca Leopoldo VI
d'Asburgo. Si uniranno alle truppe di vostro padre e a quelle di Ugo
di Cipro proprio qui, ad Acri. Ecco, vedete che le porte della
città
vengono aperte. Vostro padre e Ugo si stanno recando a dare il
formale benvenuto ai re crociati...”
Yolande
li osservò rapita per qualche istante, prima di rivolgersi
di nuovo
alla cugina.
“E
pensi che riusciranno a liberare Gerusalemme questa volta?”
Il suo
tono era colmo di infantile ardore. Forse era ancora troppo giovane
per comprendere l'importanza della città santa, del suo
valore
economico, strategico e militare. Ma era abbastanza grande da
comprendere ciò che quella città, ambita
dall'intera cristianità,
significava per la sua corona.
Ci
riusciranno”, rispose Anais fiduciosa, “toglieranno
la città
santa agli infedeli. Non possono fallire.”
Nota
dell'autrice: Premetto
che
questa storia può considerarsi un esperimento, nel senso che
anche
avendo chiara la trama, non so ancora bene come debba svilupparsi.
Forse vi chiederete come mai abbia deciso di trattare un personaggio
storico così particolare come Isabella II, aka Yolande,
effimera
regina di Gerusalemme. Ebbene, la curiosità per questo
personaggio
(forse il primo personaggio storico a cui mi sia interessata) nasce
dalla lettura in giovane età di un bellissimo romanzo di
Bianca
Pitzorno chiamato “La bambina col falcone”,
ambientato all'epoca
di Federico II, e in cui personaggio molto marginale è
appunto
Yolanda di Brienne. Per me questa regina rappresenta un po' l'emblema
di tutte le donne dimenticate dalla storia, schiacciate dagli uomini
e dal contesto in cui vivevano. Probabilmente questa sarà
una long
breve, non so ancora quanto, e non so nemmeno se potrà
interessare a
qualcuno. Però, dopo anni di tentennamenti, ho deciso di
iniziarla
proprio con l'intento di dar voce a quelle figure storiche femminili
che nelle pagine dei libri di storia non hanno trovato posto. Che
dire, spero che vi piaccia e che vorrete farmi sapere che ne pensate.
Un
abbraccio a tutti
Eilan
|
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Capitolo 2 *** Capitolo I ***
San
Giovanni d'Acri
Maggio
1223
Nel
sole accecante del maggio siriano Yolande si schermò gli
occhi con
la mano, divertita. La più giovane delle sue dame, che aveva
solo
otto anni, giocava nel giardino del castello con uno dei cagnolini
bianchi che erano i preferiti della piccola regina. Lei, Isabella, da
tutti chiamata Yolande, non molto più grande della sua
piccola dama
Mariam.
Aveva
compiuto undici anni l'autunno precedente, ma era regina di Gerusalemme
da quando aveva pochi giorni. Undici anni di regno, la cui reggenza
aveva portato sulle sue spalle il padre Jean.
La
piccola Mariam tirava un bastoncino al cane, poi quando questi si
rifiutava di mollarlo, lei lo rincorreva. All'ombra del muro che
gettava solo poca ombra sulla terra assolata, le altre dame di
Yolande ricamavano e spettegolavano, mentre il gelsomino rampicante
che i giardinieri avevano piantato in tutto il giardino spandeva il
suo dolce profumo.
“Io
dico che questa ennesima guerra non ci sarà. Fidatevi di me
quando
lo dico. Figurarsi, i re cristiani sono ancora troppo umiliati
dall'esito infausto della quinta crociata per pensarci!”
stava
dicendo Agnes, la moglie di Raoul di Saint Omer, il siniscalco del
regno di Gerusalemme. Con i suoi trentadue anni era una delle dame
più anziane del seguito di Yolande.
“Ti
stai forse riferendo al padre della regina, Agnes? O al mio?”
intervenne maliziosamente la ventunenne Marie di Poitiers, figlia
minore di Boemondo IV, principe di Antiochia.
“Perdonami
Yolande... non intendevo certo biasimare tuo padre...” si
affrettò
a giustificarsi Agnes, rossa in viso, scoccando contemporaneamente
un'occhiataccia a Marie, alla quale non aveva evidentemente
intenzione di chiedere scusa.
Non
era un mistero per nessuno che il padre di Yolande, Jean di Brienne,
fosse stato uno dei capi, insieme a re Andrea di Ungheria, al re Ugo
di Cipro, al Duca Leopoldo d'Austria e al principe Boemondo IV, padre
di Marie, della disastrosa quinta crociata.
Yolande
prese la mano della sua dama fra le sue, rassicurandola con una
dolcezza che le era propria: “Nessuno potrebbe mai crederti
capace
di sottintesi maliziosi Agnes. Nessuno che ti conosca come ti conosco
io, perlomeno” aggiunse scoccando una bonaria occhiata di
rimprovero a Marie, che continuò a sorridere divertita
riportando lo
sguardo sul tamburo sul quale stava ricamando un motivo floreale.
Yolande
sospirò: sapeva che Marie poteva essere molto pungente e
testarda
quando voleva. La gentilezza non era nella sua natura, ma era pur
sempre la più alta in rango tra le dame della regina, e
perciò le
altre cercavano di non contraddirla troppo.
“Suvvia,
non litigate voi due” intervenne placidamente Anais,
continuando a
dare punti, interrompendosi solo per dare di gomito a Marie, che
finse di non accorgersene. “Sappiamo bene che se la guerra
è
fallita non è colpa di mio zio Jean, e nemmeno di tuo padre,
Marie.
I principi che hanno partecipato hanno messo il loro cuore e la loro
fede in quest'impresa, rischiando la loro vita per liberare la
Città
Santa. Non si può che ammirarli.”
Sempre
conciliante, pensò
Yolande sentendo crescere l'ammirazione che provava per la cugina.
Poteva affermare tranquillamente che Anais era la sua più
grande
amica. Erano cresciute insieme tra i palazzi reali di Acri e Tiro.
Anais aveva nove anni più di lei, era vero, ma questo non
aveva
impedito loro di legare. Per Yolande, Anais era la sorella che non
aveva mai avuto. Ammirava tutto in lei: il suo carattere dolce e
gentile – per la verità molto simile al suo. Ma
Anais era anche
forte e determinata, molto più di Yolande, che per sua
natura era
mite. E poi era bellissima: bruna come Yolande era bionda, aveva le
forme sensuali e piene di una saracena, tanto che nessun uomo poteva
fare a meno di voltare lo sguardo quando lei passava. In confronto a
lei l'undicenne ragazzina impallidiva. Dal viso grazioso e dai
lineamenti delicati, Yolande era però ancora troppo acerba
per
essere definita una bellezza. Il suo vero punto di forza erano i
lunghi capelli di un biondo dorato, talmente lunghi, poiché
non
glieli avevano mai tagliati, da arrivarle oltre la vita.
“E
di chi è la colpa Anais?” chiese un'altra giovane
dama. “A parte
degli infedeli, ovviamente.”
“Lo
sappiamo tutte di chi è” s'intromise di nuovo
Agnes.
“Dell'imperatore, ecco di chi è!”
“Di
Federico di Svevia?”
“E
di chi se no? Aveva promesso di mandare rinforzi, ma non l'ha mai
fatto. Per questo la crociata è fallita. Onorio avrebbe
voluto
scomunicarlo.”
“Chi
è Onorio?” chiese Mariam, che si era avvicinata
con il cagnolino
in braccio, ormai stanco di giocare, e aveva sentito solo l'ultima
parte della discussione.
“E'
il Papa, sciocchina” rispose Agnes dandole un buffetto sulla
guancia. Mariam porse il cagnolino a Yolande, che se lo mise in
grembo. Il cane si acciambellò poggiandole il muso umido sul
braccio. Gli altri cagnolini, che riposavano ai piedi delle dame,
berciarono un po' a quel favoritismo, chiedendo di essere anche loro
presi in braccio, ma Mariam li zittì seccamente e con tanta
autorevolezza che tutti gli animali si accucciarono di nuovo senza
protestare. Yolande appariva divertita, mentre considerava la
figuretta della più giovane delle sue dame. Mariam era una
figlia
illegittima di un dignitario del regno e della sua schiava saracena,
ma la bambina era stata battezzata cristiana, e così Yolande
aveva
potuto esaudire la richiesta di suo padre di prenderla nel suo
seguito, un onore che era a molti sembrato anche troppo per
un'illegittima per metà saracena.
“Per
dare a Cesare quel che è di Cesare” intervenne
Anais, citando il
Vangelo. “Innocenzo III e poi Onorio avevano proibito a
Federico di
partecipare alla crociata, a causa delle sue ben note posizioni
antipapali.”
“Ma
da che parte stai?” Marie era scandalizzata. Il trono di
Gerusalemme poi, la riguardava da vicino, perché suo padre
aveva
sposato in seconde nozze la zia di Yolande, Melisende.
“Dalla
parte di chi vuole restituire Gerusalemme alla sua legittima sovrana,
naturalmente” rispose Anais senza scomporsi.
“Ti
ringrazio, cugina” sorrise Yolande chiedendosi se fosse un
peccato
tanto grave non desiderare con fervore smodato che Gerusalemme le
venisse restituita.
Non
che ne sarebbe stata scontenta, naturalmente. Come tutti i fedeli si
augurava che la Città Santa tornasse in mano cristiana. Ma
come
aggiunta al suo regno la desiderava poi tanto? Yolande aveva
stabilito già tempo addietro che la risposta era no. Forse
perché
non avendola mai visitata non provava un attaccamento simile a quello
che si prova per un luogo caro. Tiro e Acri erano la sua casa.
Quest’ultima era divenuta la capitale del regno dopo la
perdita di
Gerusalemme. E poi c'erano Jaffa, Arsuf, Caesarea, Sidone e Beirut.
Ed anche città minori come Ascalona e alcune altre fortezze
interne,
per non parlare della sovranità sui su Tripoli e Antiochia,
i cui
governanti, il conte di Tripoli e il principe di Antiochia erano suoi
vassalli diretti.
Anche
se molto più piccolo rispetto ai grandi regni europei ed
anche ad
alcuni sultanati confinanti, Yolande amava il suo regno. Ed Acri in
particolare: le sue spiagge bianche, il suo mare azzurro e blu,
talmente trasparente che ogni singola roccia sul fondo era
perfettamente visibile; le sue torri, le sue cupole, i suoi minareti;
i suoi profumi – in particolare quello del gelsomino dei suoi
giardini e degli agrumi dei suoi aranceti - i suoi colori caldi e il
suo sole sempre splendente.
“Per
favore, ora basta con questi discorsi seri”
proclamò solennemente
Yolande, con un tono che non ammetteva repliche. “Parliamo di
qualcosa di più leggero, con questo caldo non sono proprio
dell'umore per i discorsi di guerra!”
“Parole
sante!” approvò Anais.
“Giusto!
Perché non parlare d'amore? Per esempio chi sarà
scelto come futuro
re consorte del nostro regno...” disse una dama, accennando
con il
capo a Yolande.
Lei
si schermì con la mano: “Non credo che mio padre
abbia fretta di
trovarmi marito...”
“Oppure
potremmo chiedere alla nostra Marie cosa si prova ad essere sposata
con un principe armeno”, Agnes non perse l'occasione di
lanciare
una frecciatina alla sua rivale.
“Come
con chiunque altro uomo, suppongo” rispose Marie fumando di
sdegno,
ma cercando di non darlo a vedere. Marie di Poitiers aveva sposato
Thoros di Armenia, un figlio cadetto della regina Isabella di
Armenia, che era tra le altre cose anche la sorella minore di
Stefania, seconda moglie del padre di Yolande.
Tutti
sapevano che Thoros e Marie, di un paio d'anni più grande
del suo
sposo, erano una coppia male assortita. Erano sposati da tre anni e
non era ben chiaro se non avessero figli perché non erano in
grado
di averne o perché condividevano raramente il talamo
nuziale.
Yolande riteneva più probabile la seconda ipotesi.
Mentre
il punzecchiarsi e il chiacchiericcio delle sue dame proseguiva in
sottofondo, Yolande, stufa, se ne estraniò, dedicandosi al
suo
lavoro di ricamo, interrompendosi solo per dare qualche istruzione a
Mariam, che, seduta accanto a lei, stava iniziando a impratichirsi
con i rudimenti del ricamo.
Quella
sera Yolande si ritirò presto nelle sue stanze. Anche con il
calar
del sole il caldo non concedeva tregue, così
ordinò di lasciare
aperte le finestre della sua camera. Mentre sedeva alla toeletta, con
la sua ancella personale che le pettinava i lunghi capelli, Yolande
si chiese se dovesse considerarsi un'orfana. Al ritmo dei movimenti
della spazzola e delle mani di Eufemie, anche i pensieri di Yolande
vagavano. Pensava a sua madre Marie, che non aveva mai conosciuto, e
che l’aveva preceduta sul trono.
Suo
padre Jean, che era riuscito ad elevarsi da figlio cadetto di un
nobile francese a consorte della regina di Gerusalemme, era sempre
stata una figura sfuggente per lei. Lo aveva visto di rado da quando
era nata. Dopo solo due anni dalla morte di sua madre suo padre si
era risposato con la principessa Stefania di Armenia, che gli aveva
dato solo un figlio morto in fasce. Dopo sei anni di matrimonio, nel
1220, la principessa era morta, e suo padre si era trovato di nuovo
vedovo. Ma ormai aveva cinquantatré anni, ed era improbabile
che
prendesse una terza moglie ed avesse altri figli. Perciò
Yolande,
con tutta probabilità, non avrebbe mai avuto alcun fratello
o
sorella.
Di
tanto in tanto Jean tornava a Gerusalemme – di cui dopotutto
era il
reggente - per incontrare la figlia ed occuparsi degli affari di
stato, ma quei momenti erano davvero rari, e il consiglio comunque
governava efficientemente anche in sua assenza, in attesa che la
regina fosse in età da marito. Quando ciò fosse
avvenuto lei
sarebbe stata incoronata, la reggenza di suo padre avrebbe avuto
termine e lei e suo marito avrebbero governato insieme su
Gerusalemme, proprio come avevano fatto prima di lei la sua prozia
Sybille con il marito Guy, sua nonna Isabella I con i suoi quattro
mariti e sua madre Marie con suo padre Jean. Gerusalemme vantava una
lunga tradizione di regine regnanti.
Per
essere giusta con lui, Yolande doveva ammettere che la storia di suo
padre dimostrava la sua abilità nel tracciare da solo il
proprio
destino.
Jean
di Brienne era nato secondo figlio di Erard II, Conte di Brienne e di
Agnes de Montfaucon, nella lontana Francia. Suo padre lo aveva
destinato alla carriera ecclesiastica, una prospettiva che non
piaceva affatto al giovane Jean, che aveva preferito divenire
cavaliere, e che in quarant'anni di battaglie e tornei si era
guadagnato una notevole reputazione. Quando nel 1208 gli inviati del
regno di Gerusalemme erano giunti in Francia per chiedere al re
Filippo Augusto di scegliere tra i suoi baroni un marito per la
regina di Gerusalemme Marie, questi aveva scelto proprio Jean di
Brienne, promettendo di supportarlo nella sua nuova dignità.
Due
anni dopo i suoi genitori si erano sposati; a quel tempo sua madre
aveva diciotto anni e suo padre quaranta. Dopo due anni era nata lei,
la loro unica figlia.
Quando
il fratello maggiore, il primogenito Gautier, che era succeduto al
padre come conte di Brienne, era morto nel 1205, sua moglie Albiria
d'Altavilla aveva dato alla luce un figlio nato postumo, anche lui
chiamato Gautier, che era succeduto al padre. Ma Gautier lasciava
anche una figlia di appena due anni: Anais. Quando era nata Yolande,
ed era stato necessario stabilire il suo seguito di dame, balie e
pedagoghi, Jean aveva offerto alla nipote di nove anni un posto tra
le dame della neonata regina di Gerusalemme. E almeno di questo
Yolande sarebbe sempre stata grata a suo padre: di averle donato la
sua amatissima Anais.
Quando,
due giorni dopo, un paggio informò Yolande che era giunto un
messaggio di suo padre, lei non se ne stupì. Suo padre le
scriveva
sovente, così allungò automaticamente la mano
verso il ragazzino
per farsi consegnare la lettera. Ma la ritirò quando si
accorse
dell'espressione imbarazzata di questi.
“Cosa
succede Philippe?” chiese confusa.
“Scusatemi
Vostra Grazia, credo di essermi spiegato male. Non ho una lettera di
vostro padre... mi hanno solo chiesto di riferirvi il suo messaggio.
Sarà qui tra due giorni.”
Yolande
ne rimase sorpresa. Come mai quell'arrivo inaspettato e frettoloso?
Una cosa era certa: quando suo padre diceva che avrebbe fatto una
cosa, la faceva.
E
infatti si presentò ad Acri due giorni dopo, puntuale. Dopo
aver
parlato con i dignitari e il consiglio si recò direttamente
da sua
figlia, raggiungendola nelle sue stanze.
“Padre...”
mormorò Yolande con una piccola riverenza, stando nel centro
del suo
salotto. Jean le andò incontro e l'abbracciò,
baciandola su
entrambe le guance.
“Figlia
cara, sei cresciuta molto dall'ultima volta che ti ho vista. Quando
è
stato... due anni fa.”
“Ricordate
bene, padre” rispose doverosamente Yolande.
Jean
passò a salutare la nipote Anais, che stava in piedi un
passo
indietro la sua signora.
“Ora
vorrei parlare un momento solo con mia figlia, se non vi
dispiace”
annunciò rivolto alle dame. Siccome tecnicamente solo la
regina
aveva il potere di congedare il suo seguito, le signore attesero che
Yolande annuisse col capo, prima di uscire dalla stanza per lasciare
un po' di riservatezza a padre e figlia.
I
due si sedettero l'uno di fronte all'altra, davanti al grande camino
di pietra lavorata, spento a causa del caldo stagionale.
“Come
stai? Ti trovo bene!” iniziò Jean scrutandola
sommariamente. “Come
procedono i tuoi studi? I pedagoghi mi dicono che hai imparato alla
perfezione il latino e la langue
d'oil.”
“Oui
mon pere... ma
sapete che ho una predilezione per la langue
d'oc. Sarà
sempre la mia prima lingua.”
Yolande
conosceva anche un po' di arabo, che le aveva insegnato una delle sue
balie saracene quando era piccola.
“Temo
che dovrai imparare anche il volgare di Sicilia, e quello di
Germania” commentò Jean.
“Sì
lo so che non comprendi di cosa sto parlando”, aggiunse
notando la
perplessità di Yolande. “Abbi un attimo di
pazienza e ti metterò
al corrente. Lo scorso marzo ho avuto un incontro molto importante a
Ferentino...”
“Ferentino?”
chiese Yolande, alzando un sopracciglio. Non aveva mai sentito
nominare quel luogo.
“E'
una piccola cittadina dell'Italia centrale. All'incontro erano
presenti il Papa, il Gran Maestro dell'ordine degli Ospedalieri, il
precettore dei Templari e l'Imperatore Federico II.”
“Avete
discusso della Crociata?”
“Sì,
si è parlato anche di questo. La sesta Crociata
avrà luogo presto,
e vedrai che riusciremo a strappare Gerusalemme agli infedeli. Ma per
acconsentire a prendervi parte l'Imperatore ha posto una
condizione...”
“Quale?”
“Sai
che ha perduto la moglie Costanza da poco meno di un anno. Ha solo un figlio legittimo e
aspira a fare un buon secondo matrimonio. Per farla breve, ti vuole
in moglie, e sia io che Papa Onorio abbiamo dato il nostro
consenso.”
Yolande
rimase a bocca aperta: avrebbe sposato l'imperatore del Sacro Romano
Impero, nonché re di Sicilia?
“Ma...
perché vuole me?” chiese in un soffio.
“Perché
è un uomo avido, che ha ben poco di spirituale. Se
impegnerà le sue
risorse in questa guerra vuole in cambio il regno di Gerusalemme, che
tu gli porti in dote.”
“Quando...
quando dovrei sposarlo?”
“Oh
sei ancora troppo giovane, e inoltre ci vorrà del tempo per
organizzare la crociata. Abbiamo sottoscritto un contratto che
stabilisce il vostro matrimonio al compimento dei tuoi tredici
anni.”
“Ma...
padre! Io non capisco”, disse Yolande, a cui non era sfuggito
il
tono poco lusinghiero con cui Jean aveva parlato dell'imperatore.
“Federico è il nemico, lo è sempre
stato. È un uomo la cui fede
è a dir poco è dubbia. È colui che ha
impedito il successo della
vostra impresa...”
Jean
fece un sorriso amaro, lisciandosi la corta barba grigia.
“Tutto
vero, figlia mia. Hai acume. Ma ora, per un amaro scherzo del
destino, Federico ci serve per riprendere Gerusalemme. Senza di lui
tutto è perduto. Dovrai compiere questo sacrificio, per il
tuo regno
e per il tuo popolo. Sei pronta a farlo?”
Seguirono
alcuni momenti di silenzio in cui padre e figlia si guardarono negli
occhi.
Come
se potessi scegliere...
pensò Yolande.
“Sì,
padre” disse infine ad alta voce, chinando la testa.
“Sono pronta
a farlo.”
Più
tardi, nella sicurezza della sua camera, Yolande pianse a calde
lacrime tra le braccia di Anais, che la teneva stretta carezzandole i
capelli. Mai come in quel momento sua cugina sembrava una bambina
smarrita.
“Suvvia
cara, non sarà così terribile sposarlo,
no?”
“Sì
che lo è!” esclamò l'altra, piccata.
“Oh Anais, ho sempre
saputo di dovermi sposare ma... non lui!”
“E
chi allora?”
Yolande
si tirò su, mettendosi a sedere sul letto. Asciugandosi gli
occhi
arrossati di pianto con la manica dell'abito, cercò di
calmarsi,
perché il suo discorso suonasse più coerente
possibile.
“Riflettici:
che cosa accomunava Folco di Anjou, Guy di Lusignano, Humprey di
Toron, mio nonno Conrad del Monferrato, Henri di Champagne, Amalrico
di Lusignano?” disse enumerando tutti i consorti delle
precedenti
regine di Gerusalemme, inclusi i quattro mariti di sua nonna
Isabella.
“Non
erano monarchi” mormorò Anais, cominciando a
comprendere.
“Esatto!
E' sempre stato così Anais!” continuò
Yolande, infervorandosi.
“La regina regnante sposa un nobile, non un re! Né
tanto meno un
imperatore. E questo perché deve poter governare il suo
regno
insieme al proprio consorte, che non ne ha altri da amministrare; il
re consorte deve vivere qui e dedicarsi esclusivamente a Gerusalemme.
Ma io sto per sposare un sovrano notevolmente più potente di
me, che
è re di Germania e di Sicilia... nonché
imperatore del Sacro Romano
Impero. Sarò io a dover lasciare la mia casa, il mio paese!
Non
governerò mai il mio regno, non sarò mai una vera
regina per la mia
gente.”
Yolande
dovette interrompersi, perché un nodo di pianto minacciava
di
soffocarla.
Quando
si fu calmata aggiunse. “E più di ogni altra cosa,
più del
pensiero che sarò regina solo di nome, che sarà
qualcuno in mia
vece a governare... più di tutto mi mancherà la
mia terra, il suo
mare, il suo sole...”
Anais
l'abbracciò di nuovo e nel farlo le fece una promessa che si
sarebbe
rivelata disastrosa per entrambe.
“Almeno
di una cosa puoi star certa Yolande: io non ti lascerò mai.
Dovunque
tu andrai, io ti seguirò.”
Jean
di Brienne decise di fermarsi a Acri più del solito.
Trascorreva
molto tempo preso dagli affari di stato, ma riuscì comunque
a
dedicare un paio di giornate ad andare a caccia con il falco insieme
alla figlia e al suo entourage. Le aveva portato in dono addirittura
due girifalchi, i falchi bianchi d'Islanda, meravigliosi e nobili
uccelli che da soli valevano quanto un piccolo castello. Yolande ne
era stata deliziata, più che se avesse ricevuto un qualsiasi
gioiello. La sua voliera era già piena, ma due falchi belli
come
quelli erano una rarità.
“Ho
saputo che ha ventotto anni”, stava dicendo Agnes mentre
tendeva il
cestino a Mariam. Quella mattina passeggiavano nel frutteto, che era
pieno di colori e di profumi da inebriare i sensi. “Quindi
quando
vi sposerete ne avrà trenta.”
“E'
vecchio!” esclamò Mariam scandalizzata, scuotendo
la testa e
facendo ondeggiare la treccia scura. “Come puoi sposare un
uomo
così vecchio, mia signora?”
Anais
ridacchiò: a una bambina di otto anni un uomo di ventotto
doveva
apparire decrepito.
“Non
esserne sorpresa Mariam” le disse gentilmente.
“Pensa che i
genitori della nostra regina avevano più di trent'anni di
differenza
quando si sono sposati.”
“Guarda
Mariam, lì ci sono dei fichi maturi. Santo Cielo, sono
davvero
belli!” intervenne Yolande.
Mariam
si allontanò un po' indispettita, sicura che fosse stata
liquidata
perché considerata troppo piccola per i discorsi sugli
uomini.
Yolande
sospirò. “Spero che la differenza di
età non ci impedirà di
avere un matrimonio sereno”, disse filosoficamente.
“Dicono
che sia molto affascinante, se può consolarti”,
ammiccò Agnes.
“Certo se non consideriamo i suoi capelli rossi!”
“Bé,
è un degno erede di suo nonno, il Barbarossa”,
osservò Anais.
“Non
mi interessa il suo colore di capelli, purché sia un buon
marito.
Credo di ricordare che abbia un figlio, Enrico...”
“Sì,
ha un anno più di te, ed è stato incoronato re di
Germania l'anno
scorso per volere paterno.”
“E
della sua defunta moglie cosa sapete?”
“Cos'è
cugina, temi il confronto?” Marie prese per la prima volta la
parola, con un'espressione maliziosa sul viso.
“Non
stuzzicarla, Marie!” la rimprovero Anais.
“So
io qualcosa su Costanza d'Aragona” disse Agnes, constatando
con
sollievo che nemmeno stavolta Yolande si era offesa per gli scherzi
di Marie. “Era la figlia del re d'Aragona e di una
principessa
castigliana. Ha sposato l'imperatore quando era ancora solo re di
Sicilia e di Germania, e aveva ben dieci anni più di
lui.”
“Santo
Cielo!” Marie apparve scandalizzata. “Non mi farei
mai convincere
a sposare un ragazzino con la metà dei miei anni.”
“Un
ragazzino, hai detto bene Marie. Lui non aveva neppure quindici anni
all'epoca...”
Yolande
e Anais si scambiarono uno sguardo divertito. Davvero Agnes
concordava
con
Marie? Avevano forse capito male?
“Hanno
avuto solo un figlio?” si affrettò a chiedere
Yolande prima che le
due dimenticassero la ritrovata concordia e cominciassero di nuovo a
becchettarsi.
Agnes
annuì. “Solo Enrico. Anche se...”
dovette interrompersi perché
Mariam si stava avvicinando trionfante, il piccolo cesto colmo di
fichi. Venne frettolosamente allontanata con la scusa di andare a
portarli alle cuoche perché ne facessero della marmellata e
farsi
dare un altro cestino per raccogliere dei cedri. Mariam
brontolò un
po' ma alla fine obbedì.
Agnes
aspettò che i passetti della bambina si fossero persi in
lontananza
prima di continuare, abbassando il tono come se si trattasse di una
cospirazione.
“Ha
almeno altri tre figli illegittimi. Il primo, Federico di Pettorano,
lo ha avuto solo un anno dopo il legittimo Enrico. E altri due, Enzo
e Caterina, hanno appena otto e sette anni. Gli ultimi due li ha
avuti da una figlia del duca di Spoleto.”
Marie
si portò una mano alla bocca. “E' un licenzioso
dunque?”
Agnes
parve esitare. “Non voglio parlar male del fidanzato della
regina...”
“Ti
prego Agnes, continua. Qualsiasi cosa sia, devo saperla. La scoprirei
comunque una volta sposati, perciò preferisco essere
preparata.”
“Dicono
che segua la moda saracena, come tutti i sovrani siciliani. Dicono
che abbia un harim.”
Yolande
e le sue tre dame rimasero alcuni secondi senza parole, a bocca
aperta.
“Scusatemi”
disse infine Yolande, con un filo di voce. Era sbiancata in viso, e
appariva davvero scossa. “Ho bisogno di stare da
sola.” E, dando
le spalle alle altre, si allontanò in fretta, lasciandole
imbarazzate e dispiaciute.
Era
seduta su una panchina di marmo un po' appartata già da
diversi
minuti quando Anais la raggiunse. Yolande alzò lo sguardo.
“Posso
sedermi?” chiese Anais.
Yolande
le fece un cenno d'assenso, indicando il posto accanto a lei.
“Ho
mandato Agnes, Marie e Mariam a raggiungere le altre dame. Credo che
ora stiano spettegolando tutte insieme in attesa del pranzo. Siamo
solo noi due, se può consolarti.”
Yolande
accennò un sorriso. “Ti ringrazio per la tua
sensibilità. Mi
sento molto sciocca, a dire il vero.”
“E
perché mai?” chiese sedendosi.
“Perché
sarò diventata lo zimbello delle mie dame, a quest'ora. E
perché me
la sono presa tanto.”
Anais
le posò una mano sul braccio. “Loro ti sono
affezionate, cugina.
Non devi temere il loro giudizio.”
“Un
harim!
Il
mio futuro marito tiene un harim
come
gli infedeli! Come potrò tollerare una simile
umiliazione?”
Anais
sospirò pesantemente. “Non lo so, te lo dico con
sincerità.
Suppongo che, non avendo altra scelta, dovrai abituarti.”
“Suppongo
di sì”, lo sguardo di Yolande era perso
nell'orizzonte, verso il
mare. In quel momento stava passando una nave dalle vele gialle che
solcava la distesa azzurra e piatta con il favore del vento di
levante. “In fondo, come dici tu, non ho altra scelta. Come
sovrana
di Gerusalemme, devo fare la mia parte. E nessuno ha mai detto che
sarebbe stato facile, no?”
Nota
dell'autrice: Non
ho molto da
dire su questo capitolo se non grazie di vero cuore a tutti coloro che hanno letto e recensito :)
A
presto
Eilan
|
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Capitolo 3 *** Capitolo II ***
San
Giovanni d'Acri
Giugno
1225
Uno
straniero che per la prima volta avesse posato lo sguardo su Acri non
avrebbe potuto trattenere un commento di ammirazione. Il gioiello
della corona brillava come una perla rara nel diadema del regno di
Gerusalemme, e il suo palazzo reale non poteva essere da meno,
concepito per essere quanto di più lussuoso si potesse
immaginare.
Immenso e magnificamente decorato: i giardini curati fin nei minimi
dettagli, i frutteti traboccanti di deliziosa frutta variopinta, i
colonnati costruiti secondo la moda araba, i mosaici colorati e le
fontane zampillanti erano solo alcune delle meraviglie che colpivano
lo sguardo. Non a tutti era dato di ammirare anche i lussi che si
celavano all'interno del palazzo, come gli hamam
- le
grandi stanze con enormi vasche in cui si riversava acqua calda per
mezzo di fontanelle a forma di animali, piastrellate con mosaici
dagli intricati disegni e circondate da colonnati di marmo.
Ed
era qui che Yolande aveva trascorso il tempo in attesa del matrimonio
con l'imperatore. In vista di questo importante avvenimento erano
arrivati a corte nuovi maestri incaricati di insegnare alla regina il
volgare di Germania e quello di Sicilia, perché era del
tutto
probabile che il suo futuro marito la portasse con sé
durante i suoi
spostamenti tra i suoi due regni. Yolande aveva saputo che Federico
aveva una predilezione per il suo regno siciliano, che amava le
meraviglie di quel regno così simile al suo; questo l'aveva
rincuorata un poco, perché come lui era abituato a vivere in
un
regno in cui si era a stretto contatto con i saraceni, così
lo era
lei; come lui era innamorato di una terra dal clima caldo e ricco di
delizie per la vista e il palato, così lo era lei. Poteva
darsi
davvero che il loro matrimonio sarebbe iniziato con il piede giusto.
Jean
di Brienne non era più tornato a Gerusalemme dalla sua
ultima
visita, due anni prima. Era stato in Francia, e poi in Inghilterra,
fino a spingersi, qualche mese dopo, fino a Santiago di Compostela,
dove il re Alfonso IX di Leon gli aveva offerto in moglie sua figlia
minore Berenguela. Yolande non lo avrebbe mai creduto possibile, ma
alla non più verde età di cinquantaquattro anni
suo padre si era
risposato con una principessa di appena vent'anni. Aveva scritto una
lettera alla figlia per annunciarle personalmente la notizia, e con
l'occasione le aveva inviato un dono di nozze: un pendente a forma di
croce e un paio di orecchini d'oro con tante piccole ametiste e
perle, nel tipico stile della moda bizantina. Si andarono ad
aggiungere al suo corredo, che le serve avevano già
cominciato a
preparare, insieme alle lenzuola di lino ricamate e ai servizi di
piatti in oro e argento. Anche Federico le aveva inviato diversi
gioielli, e ammirandone la bellezza Yolande non aveva potuto
scacciare la sensazione di venire comprata. Il suo regno per un
mucchio di pietre luccicanti.
Nell’ottobre
di quell’anno la piccola regina avrebbe compiuto quattordici
anni
ed erano dunque iniziate le lunghe trattative per fissare una data
per le nozze e la minuziosa organizzazione del viaggio che
l’avrebbe
infine portata in Italia. Dopo un lungo tira e molla fu decisa la
data del 25 agosto per la cerimonia per procura; dopodiché
la regina
e neo imperatrice sarebbe salpata per il regno siciliano del suo
sposo. Se le correnti fossero state propizie sarebbero giunti a
destinazione nei primi giorni di novembre. E cioè in tempo
per
evitare l’inizio dell’inverno, stagione niente
affatto favorevole
alla navigazione.
Era
un giugno già molto caldo e assolato, e quella mattina la
regina era
uscita dal palazzo con un piccolo seguito: Anais, Mariam e due
guardie di scorta. Si era diretta alla cattedrale di San Giovanni
Battista godendosi il sole che scomparve non appena varcò la
soglia
del portale di pietra. L'interno della chiesa era fresco e in
penombra, ma ancora sufficientemente luminoso grazie ai grandi archi
e alla cupola in stile romanico.
Yolande
fece cenno alla sua scorta di aspettarla fuori ed entrò solo
con
Anais e Mariam. La chiesa era semideserta a quell'ora del mattino, e
i pochi fedeli assorti in preghiera si alzarono per un breve inchino
alla regina che sia avviava lungo la navata centrale. Alcuni
sacerdoti la notarono e in pochi secondi un cerimonioso Jacques de
Vitry le andò incontro pieno di ossequi. Yolande
lanciò un'occhiata
al vescovo di Acri, suo confessore, che le porgeva la mano e, senza
dire una parola, si chinò a baciargli l'anello.
Dopodiché il
vescovo si inchinò alla sua regina. Era così: il
potere
ecclesiastico veniva prima di quello temporale. Per tutti i principi
della cristianità, tranne forse il suo fidanzato. Yolande si
chiese
cosa il vescovo pensasse realmente di Federico, noto per sfidare
spesso l'autorità papale.
“Venite
da questa parte, mia regina. Il confessionale è a vostra
disposizione.”
“Vi
ringrazio, vostra eccellenza.”
Il
confessionale era una struttura ancora più adombrata del
resto
della cattedrale, e il legno di cui era fatta emanava un buon odore
di cera appena passata.
Il
vescovo si accomodò e tracciò nell'aria il segno
della croce,
mormorando le parole di rito.
“Potete
parlare liberamente con me, mia signora. So che sono dieci giorni che
non vi confessate. Quali peccati avete commesso? Quali ombre gravano
sul vostro cuore?”
“Ombre,
dite bene eccellenza”, mormorò Yolande,
aggiustandosi il velo che
le copriva i capelli.
“Sapete
che il mio matrimonio con l’Imperatore si avvicina, ed
io… temo
per la riuscita di questa unione.”
“E
perché mai mia regina? Questa unione è voluta da
Dio, da Sua
Santità e anche di vostro padre. E Dio ci ha comandato di
onorare il
padre e la madre, non scordatelo. Dunque voi state compiendo la
volontà del Signore e obbedendo a vostro padre. State
facendo ciò
che il vostro ruolo vi impone e ciò che una brava figlia
farebbe.”
“Questo
è vero, vescovo de Vitry, ma sono preoccupata per
ciò che si dice
del mio fidanzato, della sua… mancanza di fede. Sapete che
anche
Sua Santità si è scontrato con lui su
questo.”
Il
Vescovo sospirò. “Siete perspicace mia signora.
Più di quanto ci
si potrebbe aspettare da una giovane della vostra età. Ma
avete
ragione: la fede dell’Imperatore è traballante, lo
è sempre
stata. E la vicinanza degli infedeli di cui si circonda non lo aiuta.
Ma forse è proprio per questo che il Signore lo ha messo
sulla
vostra strada. Voi potete riportarlo sulla retta via.”
“E
come potrei mai, eccellenza?” esclamò Yolande,
attonita, quasi
scandalizzata a quella prospettiva.
“Con
l’esempio della vostra fede naturalmente! La vostra devozione
non
può non ispirarne altrettante nel vostro sposo.”
Yolande
si chiese come il Vescovo potesse pensare possibile una cosa del
genere, soprattutto conoscendo l’indole di Federico. E
soprattutto
come poteva pensare che lei, che aveva la metà dei suoi anni
potesse
avere una qualche influenza sul marito, quando non sembrava esserci
riuscita neppure la sua prima moglie Costanza, che di anni ne aveva
il doppio di lui.
Ma
De Vitry non sembrò notarlo, mentre la esortava a
confessarle altri
peccati e lei diligentemente eseguiva. Ascoltò
distrattamente anche
le penitenze che le venivano assegnate e mentre si congedava dal
religioso e tornava dove le sue dame e la sua scorta l'attendevano,
continuò a rimuginare sul fatto che, oltre alla riconquista
di
Gerusalemme con l'inizio della nuova crociata, il Papa potesse
aspettarsi da questo matrimonio anche un riavvicinamento di Federico
alla Chiesa.
Il
25 agosto, la data che Yolande aveva atteso e temuto allo stesso
tempo, infine giunse. La popolazione di Acri si era riversata nelle
strade per godersi lo spettacolo senza precedenti, e il suo vociare
era udibile perfino attraverso le finestre del palazzo reale. Una
folla festante in attesa che gridava il suo nome. Yolande si
sentì
stringere lo stomaco.
La
sua cameriera Philippa le stava finendo di spazzolare i capelli
davanti allo specchio.
“Siete
emozionata, bambina mia?” le chiese l’anziana
donna, con un
sorriso che le illuminò il volto rugoso.
Yolande
deglutì visibilmente, annuendo.
“Forse
voi non lo sapete, ma sono stata io a preparare vostra nonna, per
tutte e quattro le sue nozze, molti anni fa.”
“Davvero?”
“E’
così. E lasciatemi dire che voi le assomigliate moltissimo.
Non
portate solo il suo nome, avete anche i suoi stessi capelli, la sua
bellissima chioma dorata, e il vostro viso mi ricorda così
tanto il
suo. Lei era emozionata come lo siete voi ora quando sposò
il suo
primo marito; e anche se non avrebbe dovuto lasciare la sua casa,
come state per fare voi, l’attendeva lo stesso il gravoso
compito
di regnare. Era così giovane e così inesperta,
proprio come lo
siete voi. Ma è stata un’ottima sovrana ed ha
assolto il suo
compito con devozione e abilità. E voi farete esattamente lo
stesso,
fidatevi di me.”
Yolande
si voltò, facendo bloccare Philippa con la spazzola a
mezz’aria.
La giovane regina aveva gli occhi lucidi e afferrò il
fragile
braccio dell’anziana cameriera.
“Oh
Philippa, come vorrei che potessi venire con me in Italia.”
La
donna sorrise commossa. “Lo vorrei tanto anch’io
bambina mia. Ma
guardatemi: il mio volto porta i segni del tempo come nessuna delle
vostre cameriere e ho visto più inverni di quanti possa
contarne. Ho
avuto cura di vostra nonna e di vostra madre dopo di lei; erano care
al mio cuore come lo siete voi, e a entrambe sono sopravvissuta. Sono
troppo anziana per affrontare un viaggio simile. Ci sarà
Eufemie a
vegliare su di voi in vece mia. E vostra cugina sarà al
vostro
fianco, non siete contenta?”
“Certo
che lo sono”, rispose la regina voltandosi di nuovo verso lo
specchio. “E’ solo che vorrei tutta la mia corte
con me. O meglio
ancora… vorrei non dover lasciare Gerusalemme.”
La
brezza leggera e calda che veniva dal mare scuoteva delicatamente la
chioma dorata di Yolande, che brillava al sole come oro filato.
Ancora per poco l'avrebbe lasciata sciolta: una volta che avesse
pronunciato i voti nuziali, la pudicizia imponeva che li intrecciasse
o li annodasse sul capo. Il velo candido che li copriva vibrava con
la brezza gentile, tenuto fermo solo dal soggolo e dal cerchio d'oro
e rubini che le cingeva la fronte. L'abito leggero di seta e mussola
era intessuto con fili d'oro, e il lungo e pesante mantello di
ermellino era trapunto di pietre preziose. Le dame di Yolande,
dispiegate intorno a lei come un prolungamento del suo corpo, erano
vestite con altrettanto sfarzo ed eleganza, ma non c'era da dubitare
su chi fosse la sovrana tra di loro. Il sole che, in quel torrido
giorno di agosto, si rifletteva sul mare cristallino lo faceva
risplendere come un diamante dalle mille sfaccettature.
Le
quattordici galee inviate dal suo fidanzato per portarla in Italia
avevano gettato l’ancora due giorni prima, tra la
curiosità della
folla che riempiva il porto. La flotta, il cui comando era stato
affidato al Conte Enrico di Malta, era qualcosa che nella sua
imponenza i suoi sudditi non vedevano dai tempi dell’ultima
crociata. A bordo della nave ammiraglia aveva viaggiato
l’Arcivescovo
Giacomo di Capua, che avrebbe rappresentato Federico nello sposalizio
per procura. Il corteo reale procedeva tra le grida festose della
folla, assiepate ai lati del lungo tappeto di fiori che era stato
sparso sul cammino della regina. La porta della chiesa era ancora
chiusa e sotto l’arco del grande portale di bronzo intagliato
stavano il Vescovo de Vitry con un gran sorriso sul volto magro e un
uomo di mezza età che Yolande immaginò essere
l’Arcivescovo di
Capua. La folla che avrebbe assistito quel giorno alle nozze non
aveva mai assistito ad un matrimonio per procura, una pratica comune
in occidente, ma del tutto inusuale a Gerusalemme. Anzi, la maggior
parte di loro si chiedeva come potesse una coppia separata da mezzo
Mar Mediterraneo a venire unita in matrimonio.
Yolande
percorse gli ultimi metri che la separavano dalla chiesa con il cuore
in gola e si fermò accanto all’ecclesiastico. Le
sue dame posarono
delicatamente a terra il velo che avevano sorretto durante il
percorso e rimasero in piedi dietro di lei.
De
Vitry pronunciò le formule di rito, chiedendo il consenso
degli
sposi, dopodiché l’Arcivescovo mise
l’anello al dito di Yolande.
Quando il celebrante dichiarò la coppia unita in matrimonio,
si
levarono grida di giubilo dalla folla.
Yolande
stentò a credere che fosse fatta: era una donna sposata
senza
neppure aver mai visto in volto suo marito.
Tuttavia
non ci fu molto tempo per elaborare quel cambiamento, perché
il rito
doveva proseguire. I due ecclesiastici si fecero da parte,
lasciandola al centro della scena. Yolande salì ancora due
gradini,
poi batté sull’imponente portone intagliato che la
sovrastava.
Una
voce si levò dall’interno: “Chi chiede
di essere ammesso nella
casa del Signore?”
“La
tua serva, Isabella”, rispose lei, con voce alta e ferma,
come mai
avrebbe creduto di essere capace.
Alle
sue parole i pesanti cardini girarono e i due battenti di ferro
battuto lentamente si aprirono, mentre sembrava che tutti intorno
stessero trattenendo il fiato. Marie e Anais si avvicinarono a lei e
con pochi gesti esperti le tolsero il velo con il soggolo e il
cerchio d’oro. Più nulla rimase sul suo giovane
capo pronto ad
accogliere la corona. Yolande prese un profondo respiro e
entrò
nella chiesa gremita di nobili e dignitari seduti ai loro posti.
Tutti si voltarono a guardare la sua sagoma che si stagliava sullo
sfondo della luce accecante che proveniva dall’esterno. I
suoi
occhi impiegarono qualche secondo ad abituarsi a quella penombra.
Seguita dalle sue dame, dall’Arcivescovo di Capua e dal
Vescovo de
Vitry, la futura regina si avvicinò all’altare con
passo misurato,
avvolta da un religioso silenzio. Se avesse chiuso gli occhi avrebbe
anche potuto immaginare la chiesa deserta e le panche vuote.
Riuscì
a lanciare qualche occhiata distratta intorno a sé e
riconobbe tra
le prime file suo cugino Baliano Conte di Sidone, il padre di Marie,
Boemondo principe di Antiochia e il Conte di Tripoli Raimondo.
E
anche un paio di file di volti a lei completamente sconosciuti:
dovevano essere i dignitari siciliani mandati da Federico con le
galee per assistere all’incoronazione.
Dopo
non vide più nulla se non il volto sorridente di Simone di
Maugastel, l’Arcivescovo di Tiro, nonché
cancelliere del regno,
che le tese la mano perché baciasse l’anello.
Yolande si
inginocchiò, mentre le dame sistemavano il mantello lungo la
navata.
La giovane regina pronunciò la formula del giuramento che
aveva
imparato a memoria. Giurò di difendere e proteggere il regno
di
Gerusalemme da ogni nemico, interno ed esterno; di votare la sua vita
a questo compito che Dio aveva voluto affidarle. Giurò di
essere
sempre fedele alla sua corona e di mettere sempre il bene del regno e
del suo popolo prima della sua stessa vita. Cosa che – non
poté
evitare di pensare con una certa ironia – stava
già facendo.
Uno
dei ministranti porse quindi la corona all’Arcivescovo di
Tiro.
Yolande la riconobbe alla prima occhiata: era la corona indossata da
sua madre e da sua nonna prima di lei.
D'oro,
traboccante di gemme – rubini, ametiste, ambra, granato e
smeraldi
- e con quattro croci, anch'esse in oro e gemme, che svettavano alte
su ciascun lato. Le venne posta sul
capo e lei ne saggiò la pesantezza. Seguirono lo scettro e
l’orbe
terracqueo, che tenne sollevati con mani appena tremanti. Infine si
alzò in piedi e si voltò verso la folla,
mostrando i simboli del
suo potere. Era qualcosa che non si sarebbe aspettata, ma
un’emozione
improvvisa ed intensa la invase. Gli occhi le si riempirono di
lacrime e un sorriso radioso le illuminò il volto, mentre le
grida e
le acclamazioni della nobiltà del suo regno le risuonavano
nelle
orecchie come riverberi di gloria.
Yolande
poteva vedere sui loro volti la sincera felicità che
provavano
nell’avere di nuovo una sovrana incoronata; una sovrana che
stava
per legare gli interessi del regno di Gerusalemme a quelli
dell’uomo
più potente del mondo, qualcosa che nessun re dei regni
d’oltremare
aveva mai realizzato. Riponevano davvero in lei le loro speranze.
Le
acclamazioni festose dei suoi sudditi, accalcati sul molo e nelle
strade circostanti il porto alla partenza della flotta si erano
lentamente assiepate, mentre le persone diventavano sempre
più
lontane, fino a diventare piccoli puntini variopinti e sfocati. La
sagoma di Acri, i suoi tetti, i campanili delle chiese, con le
campane che non avevano smesso di suonare a festa da quando era stata
incoronata, tutto scomparve all’orizzonte mentre le galee
solcavano
le acque prendendo il largo. Yolande stava appoggiata al parapetto di
poppa, avvolta in un mantello perché il vento era forte,
nonostante
il sole non fosse ancora del tutto calato. Anais osservava anche lei
Acri sparire all’orizzonte, gli occhi arrossati, i lunghi
capelli
neri che le sbattevano sul viso. Teneva protettivamente un braccio
intorno alle spalle della più giovane cugina. Entrambe
stavano dando
il loro silenzioso addio alla terra che le aveva viste crescere.
Nota
dell'autrice: Grazie
a tutti coloro che hanno letto e recensito fin'ora e spero che questo
nuovo capitolo sia di vostro gradimento ^_^
Una
piccola curiosità: non avendo indizi su come potesse
presentarsi la
corona del regno di Gerusalemme ho preso spunto da una famosa corona
più o meno contemporanea, quella del Sacro Romano Impero,
modificandola un po'.
Alla
prossima
Eilan
|
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Capitolo 4 *** Capitolo III ***
Yolande
aveva percorso il tratto di mare tra Gerusalemme e Cipro più
di una
volta nella sua vita e non pativa particolarmente il mal di mare,
certamente non come molte sue dame che, in balia delle onde,
trascorrevano tutto il tempo sotto coperta, sdraiate e sofferenti
nelle loro cabine.
Ma
fu lo stesso segretamente grata quando avvistarono terra.
Già da
lontano i contorni dell’isola apparvero inconfondibili e
familiari
ai suoi occhi: il porto della grande città di Kyrenia, la
capitale,
su cui primeggiava l’imponente fortezza bizantina affacciata
sul
mare, dalle torri squadrate, puntellate di feritoie per gli arcieri,
e dalla pianta a forma di ferro di cavallo. Il castello era situato
in un punto strategico per respingere gli attacchi dei nemici, e
infatti l'isola non era mai stata conquistata in tutta la sua storia. Cipro
rappresentava un punto strategico per i commerci e gli scambi tra
l’occidente e Outremer e aveva fatto gola a molti. Per questo
ogni
costa dell’isola era costellata di rocche e fortezze che ne
difendevano il perimetro grazie alle loro mura alte, massicce e prive
di appigli, e alle loro posizioni costiere, aiutate da torri che alle
loro spalle svettavano sulla cima delle montagne, affidabili come
sentinelle silenziose. A Yolande piaceva quell’isola, per
certi
aspetti molto diversa dal suo regno, per altri molto simile.
Gerusalemme affacciava sul mare, ma era circondata dal deserto; il
suo clima era perennemente torrido e le brezze che lo battevano aspre
e calde. Cipro possedeva un clima più mite, costiero,
attraversato
da brezze marine, umide e salmastre. La sua vegetazione era ricca di
boschi e l’entroterra quasi interamente montuoso, con le
aspre
rocce macchiate del verde degli alberi e dei cespugli in fiore.
La
piccola Mariam, che non era mai stata sull’isola,
aspirò a pieni
polmoni. “Cos’è questo
profumo?” esclamò eccitata.
“Pino”,
mormorò Yolande, socchiudendo appena gli occhi.
“Pino e cipressi.”
“E’
inconfondibile”, commentò Anais con un sorriso.
La
flotta gettò le ancore al largo, mentre la nave maestra
faceva il
suo ingresso in porto fendendo le acque azzurre puntellate in
lontananza di macchie più scure, laddove le rocce
conferivano al
mare un colore blu cobalto che sfumava nel turchese.
Yolande
scese a terra con il suo seguito composto da nobili, dignitari,
soldati e solo poche dame, tra cui la fedele cugina e Mariam, che non
smetteva di guardarsi intorno rapita e le cui ciocche di capelli
crespi stavano sfuggendo da sotto il velo.
La
fortezza che dall’esterno appariva tanto minacciosa, austera
e
spoglia, all’interno era all’opposto: ampi cortili
con grandi
archi a decorarne le volte, palme che svettavano verso il cielo
muovendosi dolcemente al vento e gelsomini che si arrampicavano sui
muri. La regina Alix aveva portato con sé un pezzo di
Gerusalemme -
un pezzo di casa sua - quando aveva sposato il re ed era divenuta
sovrana di Cipro.
Le
porte della sala del trono si aprirono mentre un araldo annunciava
solennemente: “Sua Grazia Isabella II, regina di
Gerusalemme.”
Yolande
avanzò nella stanza fino a fermarsi proprio ai piedi del
trono, su
cui sedeva la regina circondata dai suoi tre figli, simile a una
chioccia che proteggeva i suoi pulcini. Sul trono più
piccolo,
accanto a lei, sedeva il suo nuovo marito con aria quasi smarrita,
come se non facesse ancora parte di quel quadretto familiare e si
sentisse lievemente a disagio.
La
regina scese dal suo scranno e corse ad abbracciare la nipote con
trasporto.
“Mia
cara”, le disse stringendola a sé. “Come
sei cresciuta! Eri
ancora una bambina l’ultima volta che ti ho vista ed ora sei
sposata e in procinto di raggiungere tuo marito. Mi sento
così
vecchia!”
“Tu
mai, zia Alix. Sei sempre così bella e giovane”,
rispose Yolande
asciugandosi una piccola lacrima di commozione. Alix era quanto di
più simile a una madre avesse mai conosciuto e
l’affetto per lei
era profondo e sincero, ricambiato da quella zia che l’aveva
sempre
trattata come una dei suoi figli.
Minore
di tre anni di sua madre Marie, Alix era figlia di sua nonna Isabella
e del suo terzo marito, il Conte di Champagne. Era andata in sposa al
re di Cipro, che l’aveva lasciata vedova nel 1218.
A trent’anni
era davvero ancora giovane e molto bella, Yolande non lo aveva detto
solo per cortesia.
I
tre giovani cugini le andarono incontro e la salutarono a turno.
Marie, la primogenita, aveva pressappoco la sua età e
assomigliava a
sua madre, con portamento fiero e sguardo attento. La sua omonima
Isabelle aveva nove anni e la salutò con calore e senza
timidezza.
L’ultimogenito, Henri, di otto anni, era schivo e silenzioso,
forse
troppo grande per stare attaccato alle sottane della madre, come in
effetti faceva. Ma era chiaro che Alix era molto protettiva nei
confronti di questo unico figlio maschio, re di Cipro da quando era
in fasce. Sua zia aveva combattuto molto per ottenere la reggenza del
regno alla morte del marito, ma governava con successo e polso fermo
da otto anni, affiancata da sempre dal cancelliere del regno,
Philippe d’Ibelin.
“Ti
presento mio marito, Boemondo”,
aggiunse Alix facendo un gesto verso il giovane che si era appena
alzato e si chinava a baciarle la mano.
“Vostra
Grazia… è un
onore.”
“Vi
conosco di fama naturalmente, messere”, disse Yolande
cortesemente.
“Vostra sorella Marie è una delle mie
più care amiche e una tra
le mie più leali dame. Mi ha parlato tanto di voi e delle
vostre
imprese.”
Boemondo
assomigliava molto alla sua altezzosa sorella minore e ne condivideva
il bell’aspetto, ma Yolande non era sicura che avesse
altrettanto
carattere, nonostante fosse l’erede del principato di
Antiochia e
ora nuovo principe consorte di Cipro. In ogni caso da come sua zia
guardava il suo nuovo marito, di qualche anno più giovane di
lei,
era evidente che ne fosse innamorata. La loro era più che
una mera
unione politica studiata a tavolino: si era trasformata in qualcosa
di più, almeno da parte della regina.
Alix
aveva organizzato un banchetto per dare il benvenuto a sua nipote e
alla delegazione di Gerusalemme e di Sicilia che aveva messo piede
sulle sue sponde, e non aveva badato a spese, invitando molti nobili
del suo regno e ostentando tutta la ricchezza della sua piccola ma
florida isola.
Yolande
aveva avuto lo scranno d’onore accanto a sua zia e al suo
consorte,
affiancata dall’Arcivescovo di Capua e dagli altri suoi
nobili e
dignitari. A fianco di Boemondo sedeva il Cancellierie di Cipro,
Philippe d’Ibelin, un uomo alto e magro dai capelli grigi.
Yolande
lo osservò per qualche momento, mentre sorseggiava una coppa
di
vino. L’uomo sembrava assente, lo sguardo adombrato e la
fronte
corrugata. Si chiese cosa passasse per i suoi pensieri, e
perché in
quell’occasione che tutti sembravano considerare festosa lui
non si
divertisse affatto, nonostante il cibo abbondante, il vino che
scorreva a fiumi, le canzoni dei menestrelli e le buffonate dei
giullari.
“Tutto
bene?”, le chiese Anais poggiandole una mano sul braccio e
facendola trasalire. “Sembri assorta nei tuoi
pensieri.”
“Non
è niente”, rispose lei con un sorriso
rassicurante. Poi accettò
l’invito di un nobile siciliano a ballare e non
pensò più allo
strano sguardo di Ibelin.
Ebbe
la risposta alla sua tacita domanda quella sera, quando nel castello
immerso nel silenzio, Yolande se ne stava in camera sua ed Eufemie la
preparava per la notte. Sua zia Alix venne a trovarla nel bel mezzo
della sua toeletta. Anche se non era ancora abbigliata per la notte,
indossava una veste da camera morbida di colore verde scuro, che si
intonava alla sua carnagione chiara e alla morbida treccia bionda che
le scendeva elegantemente sulla spalla.
“Sei
molto stanca?” le chiese. “Non troppo per una
partita a scacchi
spero…”
Yolande
sorrise. Era stata sua zia ad impratichirla in quel gioco che era la
sua grande passione. In occasione del suo settimo compleanno le aveva
fatto dono di una scacchiera d’ebano, i cui pezzi erano
intagliati
con le sembianze di Riccardo Cuor di Leone e i suoi crociati per i
bianchi, e di Saladino e le sue schiere per i neri. Le
sembrò di
essere ritornata bambina mentre, seduta al tavolino davanti al camino
spento, muoveva le pedine d’alabastro sulla scacchiera,
chiacchierando e confidandosi con Alix come aveva sempre fatto.
“Allora…
sei preoccupata per questo matrimonio?”
Yolande
sorrise nervosamente. “Sì”, ammise senza
tanti giri di parole.
“Mentirei se dicessi il contrario. D’altronde tutti
sanno quali
siano le inclinazioni di mio marito.”
Alix
rimase in silenzio qualche momento, assorta. “Non sei una
sciocca,
nipote mia. Non ti ho mai mentito e non vedo la necessità di
iniziare ora. Hai ragione su Federico, ma io confido che
vedrà in te
ciò che vedono coloro che ti amano. Me per prima.”
Allungò
una mano attraverso la scacchiera e prese quella di Yolande. Lei ci
si aggrappò come avrebbe voluto fare ogni giorno della sua
vita,
come se quella mano fosse l’ancora di salvezza di cui aveva
avuto
sempre bisogno e la bussola che l’avrebbe guidata attraverso
il
mare in tempesta che incombeva all’orizzonte.
“Dimmi
una cosa: cos’era quell’espressione sul volto di
Ibelin stasera?”
“L’hai
notata vero? Immaginavo di non poterti nascondere a lungo le mie
angustie e le nubi che si stanno addensando sul mio regno. Sei troppo
sveglia, hai preso da me.”
“E’
così grave, dunque?” chiese Yolande.
Alix
alzò le spalle. “Spero di no. Ma Ibelin sta
sfidando la mia
autorità. Vuole la reggenza del regno che è mia
fin dalla morte di
mio marito. Vuole sfidarmi e la cosa mi sta facendo impazzire. Ma
devo mantenere la calma, perché se lascio il timone di
questa nave
affonderà e non posso contare su nessun altro per la
sopravvivenza
di Cipro.”
“E
tuo marito?”
Alix
sospirò e si passò le mani sul volto.
“E’ per lui che sto
affrontando il tradimento di Philippe. Per affidare la cancelleria
del regno a Boemondo. Ecco quello che Philippe non mi perdona, ecco
perché vuole prendersi tutto.”
“Lo
ami molto?”
Yolande
si stupì nel vedere sua zia, normalmente misurata e
dignitosa,
arrossire come una ragazzina.
“Il
nostro è stato un matrimonio politico, come lo è
stato quello con
il mio primo marito, Hughes, ma è stato con Boemondo che ho
scoperto
il significato della parola amore. Mi ha chiesto di concedergli la
cancelleria di Cipro e non posso dirgli di no.”
Yolande
si chiese se sua zia non stesse mettendo in gioco troppo per
Boemondo. Rischiava addirittura di perdere la reggenza per lui e per
le sue ambizioni. Che l’amore la stesse spingendo a compiere
mosse
incaute e precipitose? Ed era poi un amore corrisposto o
c’era solo
del calcolo nelle mosse di Boemondo?
“Credi
che potrebbe accadere anche tra me e Federico?”,
azzardò
speranzosa Yolande. “Che possa nascere un sentimento
sincero?”
Alix
sembrò strappata alle sue riflessioni dalla voce della
nipote. “Ma
certo mia cara, come vedi il Signore riserva sorprese anche in
matrimoni puramente dinastici”, la rassicurò
distrattamente.
I
giorni trascorsi a Cipro furono gioiosi e spensierati per Yolande, ma
anche stranamente per le sue dame, in particolare per Anais, che
sembrava improvvisamente meno entusiasta di lei di arrivare in
Puglia. O forse, pensò Yolande, lo era sempre stata e lei
era stata
troppo presa dai suoi personali timori per rendersene conto.
Sua
zia Alix aveva organizzato diversi intrattenimenti per lei e il suo
seguito, e da perfetta sovrana qual’era non aveva mai
manifestato
in pubblico alcun segno della difficile situazione politica che
animava la corte, tra i nobili schierati dalla parte della regina e
di Boemondo, e quelli avversi allo straniero e fedeli a Philippe.
Eppure Yolande era sicura che quello stato di incertezza doveva
pesare molto sul suo cuore, più di quanto lei avesse dato a
vedere
quando avevano toccato l’argomento.
“Chi
dovrà prendere la decisione finale?” chiese
Yolande ad Alix un
giorno in cui, con poco seguito, si erano addentrati nei boschi a est
di Kyrenia per una caccia con il falco.
La
giovane regina di Gerusalemme era stata entusiasta di
quell’occasione
per far volare il suo girifalco, ma anche gli altri suoi falchi che
erano rimasti fin troppo tempo nelle voliere. Il paggio saraceno le
porse il grande falcone bianco, che passò da un guanto a un
altro
affondando gli artigli nel cuoio e sbattendo le grandi ali. Per
evitare di venire inavvertitamente colpita in viso, Yolande si
voltò
e osservò Mariam: quella mattina l'aveva condotta con
sé alla
voliera e le aveva regalato uno dei suoi falchetti dal piumaggio
lucente spruzzato di grigio e marrone, che la ragazzina teneva ora
sul guanto di cuoio con infantile orgoglio. Anais invece sfoggiava un
bellissimo sparviero, simile a quello che anche la regina Alix aveva
con sé. Seguendo i falchi e i loro percorsi di caccia il
gruppo si
era inerpicato lungo il fianco della montagna fino a giungere in cima
e aveva sostato alla torretta di guardia: da lassù la vista
era
splendida ed abbracciava gran parte del versante orientale
dell’isola
e del suo mare blu zaffiro.
“Il
Papa”, le rispose Alix con lo sguardo fisso nel cielo
punteggiato
di morbide nuvole bianche alla ricerca di un segno del ritorno del
suo falcone. “La questione è nelle sue mani
già da un mese. Sarà
lui che dovrà esprimersi in mio favore o a favore di
Philippe.”
“Sei
preoccupata per il suo giudizio? Vorrei tanto poterti aiutare in
qualche modo…”
“Forse
puoi”, disse lei guardandola negli occhi.
“Se
intendi che dovrei rivolgermi a Federico, temo che speri invano. Lui
è l’ultima persona che Onorio ascolterebbe. Non ha
alcuna
influenza sul Papa.”
“Lo
so bene nipote mia, non sono una sciocca. Conosco le posizioni
anticlericali di tuo marito. Era a tuo padre che pensavo, lui
è
tenuto in gran considerazione da Sua Santità. Gli
consegneresti una
lettera da parte mia in cui gli spiego la situazione e chiedo il suo
appoggio? Porta dalle mani della sua adorata figlia potrebbe forse
avere più peso.”
Yolande
sorrise, allungando una mano inguantata e poggiandola su quella di
sua zia, che stringeva nervosamente le redini del cavallo.
“Qualsiasi
cosa posso fare per te, zia, sai che la farò.”
La
regina sorrise di rimando, sospirando come se un po’ della
tensione
presente in lei si fosse allentata.
“Ho
visto che Anais ha scelto di essere al tuo fianco anche in questo
viaggio…”, commentò dopo qualche minuto
di silenzio.
“Non
mi avrebbe lasciata per niente al mondo”, rispose Yolande
prendendo
la preda che il suo falco le offriva e porgendola al suo paggio
perché la riponesse nel carniere, senza dimenticare di dare
all’animale il boccone migliore. “Mi fido di lei
più di chiunque
altro – insieme a te zia, s’intende.”
“Se
ha scelto di trovarsi faccia a faccia con il nemico della sua
famiglia pur di starti vicina, puoi star certa che ti ama
molto.”
“Cosa
intendi dire?”
“Non
ti hanno mai raccontato la storia della famiglia materna di Anais? La
famiglia di Federico, gli Hoenstahufen, ha spodestato dal trono di
Sicilia gli Altavilla. Enrico, il padre di tuo marito,
usurpò il
trono allo zio materno di Anais, Guglielmo, costringendo la sua
famiglia alla prigionia e poi all'esilio in Francia, dove poi Albiria
sposò tuo zio Gautier. E il giovane re Guglielmo fu castrato
ed
accecato per ordine di Enrico, un uomo a dir poco crudele,
così che
non potesse più generare eredi e reclamare quel trono
ingiustamente
sottrattogli.”
Yolande
ascoltò inorrdita l'enumerazione di quel lungo elenco di
atrocità
che Anais doveva conoscere bene, ma che non aveva mai espresso di
fronte a lei, tenendo tutto per sé fin dal momento in cui
aveva
saputo che lei era stata promessa a Federico. Se prima aveva
attribuito grande importanza all’affetto e alla
lealtà che Anais
le dimostrava, ora acquisivano ancora più valore alla luce
di quelle
rivelazioni. Forse ora comprendeva in parte la ragione per cui sua
cugina non aveva fretta di trovarsi faccia a faccia con l'imperatore.
Lasciare
Cipro e sua zia Alix, all’alba di una settimana
più tardi, fu
forse ancora più difficile che lasciare Gerusalemme. Yolande
stava
lasciando l’unica madre che avesse mai conosciuto e non si
vergognò
di piangere a calde lacrime, con Anais che la teneva stretta mentre i
singhiozzi la squassavano.
Nota
dell'autrice: Ciao
a tutti,
spero che il capitolo, anche se di passaggio, vi sia piaciuto. Ci
tenevo a raccontare la tappa, realmente avvenuta, di Yolande da sua
zia Alix, personaggio che ritengo importante nella sua storia
personale, in quanto il fatto che Yolande abbia lasciato l'isola in
lacrime è storicamente vero; per cui ho immaginato che
questa zia
per lei fosse una figura fondamentale, forse una sostituta della
madre mai conosciuta. È anche l'occasione per lei di
scoprire
qualcosa di più sui rapporti che intercorrono tra la
famiglia di
Anais e quella di Federico – un passato non facile (sul fatto
che
Enrico, padre di Federico, fosse un uomo estremamente crudele ne sono
piene le pagine dei cronisti, come dimostra anche il suo trattamento
della famiglia Altavilla – nonostante sua moglie Costanza
fosse
anche lei un'Altavilla). Nel prossimo finalmente i due sposi si
conosceranno di persona... ci saranno sorprese?
Grazie
a tutti coloro che recensiscono/seguono/leggono
Alla
prossima
Eilan
|
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Capitolo 5 *** Capitolo IV ***
Castello
di Oria
9
novembre 1225
Yolande
non era sicura di cosa provasse nei confronti di suo marito, e
neppure di cosa pensasse di lui. Fin dal momento in cui aveva messo
piede nella Cattedrale di Brindisi il giorno precedente, con il cuore
in gola e i palmi delle mani sudati, lo aveva giudicato enigmatico ed
ermetico. Si era ritrovata al suo fianco sentendosi completamente
fuori posto e incredibilmente a disagio. Sentiva sulle spalle il peso
degli sguardi dell’intera cattedrale gremita di nobili
siciliani e
tedeschi, consapevole che non le avrebbero concesso alcuna
attenuante. Lei era la straniera, la seconda moglie, la regina di un
regno talmente piccolo che a paragone dell’impero del potente
marito quasi scompariva. E a confronto con la loro defunta e amata
imperatrice Costanza d’Aragona, cos’era lei se non
un’insignificante ragazzina che cercava di prendere il suo
posto?
Yolande avrebbe giurato di poter sentire i loro pensieri, li sentiva
strisciare addosso come brividi agghiaccianti. La sua incoronazione,
le nozze per procura erano niente in confronto a quella prova. Solo
qualche mese prima era stata felice ed orgogliosa del calore
dimostratole dai suoi nobili e del suo popolo. Ma lì era a
casa sua.
Qui percepiva solo freddezza, gelo e giudizi bisbigliati a mezza
bocca.
Yolande
non era sciocca e non era rimasta stupita dall’accoglienza
che le
era stata riservata dai suoi nuovi sudditi; se lo era aspettato,
nonostante Anais avesse cercato in ogni modo di rassicurarla. E si
era mentalmente preparata ad affrontare la prima, durissima prova che
l’aveva aspettata al suo arrivo: quella lunga passerella di
fronte
a quella folla ostile attraverso la navata della chiesa, solo con la
sua determinazione a farle da scudo dalle migliaia di sguardi
inquisitori. Era servita a poco la consapevolezza della presenza del
suo seguito, delle sue dame, di sua cugina. Così come le era
stato
di scarso conforto rivedere suo padre dopo tanto tempo, riccamente
abbigliato accanto all’imperatore, al cui confronto
però
impallidiva. Federico era estremamente elegante, ai limiti della
superbia; l’aspetto curato minuziosamente a cominciare dalla
chioma
rosso fuoco e dalla barba dello stesso colore, senza un pelo o un
capello fuori posto. Il suo abbigliamento era la quintessenza del
lusso e della finezza. Nonostante fosse di altezza media e di
corporatura non molto robusta, era imponente nella sua autorevolezza,
immenso nel fascino che emanava; i suoi occhi azzurri sembravano
trapassarla come lame di ghiaccio mentre la osservava per la prima
volta avvicinarsi all’altare e a lui.
Yolande
avrebbe voluto fuggire da quello sguardo che sembrava non celare
alcuna emozione. La sua mente lavorava febbrilmente per cercare di
capire cosa pensasse di lei, se lei gli piacesse, se fosse deluso dal
suo aspetto, se fosse già pentito di avere sottoscritto quel
dannato
contratto di matrimonio, se rimpiangesse sua moglie Costanza o una
delle sue numerose amanti. Si era sentita bella quella mattina,
rimirandosi nel grande specchio d’argento che era stato di
sua
madre e che aveva portato con sé da Gerusalemme. Eufemie
aveva perso
molto tempo a creare un’acconciatura degna
dell’occasione. Le
aveva fissato le trecce ai lati del capo dopo averle intrecciate con
nastri dorati che si abbinavano all’oro e rosso
dell’abito da
sposa e della collana di rubini. Anais l’aveva personalmente
aiutata a vestirsi, gli occhi lucidi come se stesse mandando
all’altare sua figlia, ripetendole quanto fosse bella mentre
le
drappeggiava il lungo velo bianco sulla coroncina d’oro. E
Yolande
aveva finito per crederci, evitando per una volta confronti con la
straordinaria bellezza in fiore di sua cugina, ammantata di un abito
blu bordato di verde.
Tutto
questo non era bastato a confortarla mentre saliva quei pochi gradini
che l’avevano condotta davanti al Vescovo di Brindisi e
accanto a
suo marito. Quando era venuto il momento di scambiarsi le promesse
Yolande aveva cercato di tenere ferma la voce, ma non appena il
sollievo per esserci riuscita l’aveva riempita, Federico
l’aveva
guardata abbandonando un po’ della freddezza che fino a quel
momento lo aveva caratterizzato. Lei si sentì gelare: forse
non era
sicura di cosa pensava di suo marito, ma era molto chiaro
ciò che
lui pensava di lei. La delusione era evidente nel suo sguardo.
Forse
l’imperatore non era al settimo cielo per la sua nuova sposa,
ma i
cronisti presenti alle nozze non poterono negare che avesse speso una
favolosa somma di denaro per festeggiare degnamente l’unione
tra
l’occidente e l’oriente cristiano, un evento senza
precedenti.
Tre giorni di festeggiamenti erano previsti al castello di Oria,
banchetti, musica, danze esotiche, spettacoli teatrali,
intrattenimenti dei migliori artisti provenienti da ogni angolo
dell’impero, perfino un torneo.
Per
il banchetto della sera delle nozze Yolande si cambiò
d’abito e si
preparò ad affrontare quell’ennesima prova, non
prima che suo
padre fosse venuto a salutarla nelle stanze che le erano state
assegnate, complimentandosi con lei per la sua forza d’animo
e
annunciandole la nascita di un’altra figlia, Marie, avuta
dalla sua
nuova moglie.
Lei
si congratulò, sinceramente contenta di avere finalmente una
sorella, prima di ricordarsi che probabilmente non l’avrebbe
mai
conosciuta. Gli consegnò la lettera di Alix, riferendogli il
suo
messaggio.
“Credi
si possa fare qualcosa per aiutarla a mantenere la reggenza?”
“Ci
proverò”, le rispose Jean.
“Parlerò con il Papa; dovrò recarmi
comunque da lui non appena saranno finiti i festeggiamenti per il
matrimonio. C’è la crociata da
organizzare.”
Yolande
guardò suo padre: sembrava quasi euforico. Nonostante
neanche questa
volta avesse avuto il figlio maschio che tanto desiderava, aveva
pianificato e realizzato con successo il matrimonio del secolo ed era
ad un passo dal mettere in moto la tanto attesa sesta crociata. In
tutto questo il problema di sua cognata doveva sembrargli di poco
conto, anche se Yolande era sicura che avrebbe almeno tentato di
perorare la sua casa. A Gerusalemme faceva comodo l’alleanza
di
un’isola dalla posizione strategica come Cipro.
Jean
sorrise alla figlia, come se la vedesse solo in quel momento:
“Non
preoccuparti, so quanto sei affezionata a tua zia. Farò
tutto ciò
che posso per aiutarla.”
“Ci
vediamo al banchetto”, la salutò uscendo e
chiudendosi la porta
alle spalle.
“Stai
benissimo” le disse Anais squadrandola con le mani sulle sue
spalle. “Sei pronta ad affrontare la serata?”
“Ho
scelta?” sospirò Yolande.
“Che
ti prende?”
“Io
non gli piaccio, Anais”, mormorò nervosamente,
passandosi le mani
sulla gonna.
“Non
devi dire così, cara. Non farti condizionare dalle fantasie.
L’imperatore è un uomo estremamente affascinante e
non ha occhi
che per te.”
“Non
mentirmi, non sono stupida!”, sbottò Yolande.
Anais
rimase a bocca aperta, era la prima volta che sua cugina le si
rivolgeva in quel modo. L’aveva vista triste, sconsolata,
impaurita… ma mai arrabbiata. Certamente non con lei.
“Scusami…
scusami…” mormorò subito dopo,
rifugiandosi nel suo abbraccio.
Anais
la strinse a sé.
“Andrà
tutto bene, mon
petite.
Andrà tutto bene. Vedrai che lo conquisterai.”
“Ora
dobbiamo andare però”, le sorrise, asciugandole
una lacrima e
aggiustandole una ciocca della bionda chioma.
Federico
l’aspettava con il suo seguito personale
all’ingresso della sala
grande e Yolande lo raggiunse con le proprie dame. Anche lui si era
cambiato la tunica e il mantello indossati quella mattina e lei
pensò
che fosse l’uomo più vanitoso che avesse mai
conosciuto. Ma aveva
sentito queste voci su di lui, che era ossessionato
dall’aspetto e
dall’igiene e che addirittura si faceva un bagno completo
tutti i giorni. Yolande non aveva mai conosciuto un uomo che adottasse
simili abitudini e stentava a credere che fosse tutto vero.
Non
sapeva cosa aspettarsi da lui, ma decise di seguire il consiglio di
Anais e non avere pregiudizi dettati dalla propria paura.
Perciò gli
sorrise e fu stupita e felice di vedere un suo sorriso in risposta.
“Moglie
mia”, le disse Federico prendendole la mano. “I
nostri ospiti ci
attendono, non facciamoli aspettare.”
Rinfrancata
dalla cordialità di suo marito Yolande ricevette con piacere
le
acclamazioni degli invitati all’ingresso dei novelli sposi. E
non
solo da parte dei nobili siriani e dal resto del suo seguito, ma
anche dai nobili e dai dignitari siciliani. Prese posto sullo scranno
d’onore fra il marito e il padre e centinaia di calici colmi
di un
corposo rosso locale si levarono a brindare a quelle nozze.
Nel
grande camino di pietra lavorata ardeva un fuoco vivace e al centro
della stanza dei giocolieri si esibivano in numeri strabilianti
accompagnati dalla musica dei menestrelli che trovavano posto sulla
balconata soprastante.
Cominciarono
ad entrare le portate una dopo l’altra: zuppe di verdura e
legumi,
pollo ripieno e selvaggina catturata dall'imperatore stesso con i
suoi adorati falconi, condita con salse raffinate che Yolande non
aveva mai assaggiato. Alla sua domanda su una salsa in particolare,
Federico le spiegò che si chiamava
“saracena” ed era una salsa
tipica pugliese, di Lucera, a base di uvetta, aceto, mandorle e
spezie. A seguire arrivarono volatili laccati al miele, pesce in
gelatina, insalate di verdura e frutta, erbe di campo stufate e
l’arrosto di cinghiale servito intero e portato al centro
della
sala per essere ammirato. Quando entrarono i dolci Yolande
sentì che
non ce l’avrebbe fatta ad assaggiarne nemmeno un pezzo, ma
cedette
quando suo marito le fece portare espressamente un piatto di
frittelle di formaggio, pinoli e uva passa.
“Sono
il mio dolce preferito, ci tengo che tu lo assaggi”, la
incoraggiò.
Confortata dalla sua improvvisa premura, che la fece sentire un
po’
più a suo agio, Yolande diede obbedientemente un morso a
quella
deliziosa frittella.
A
quel punto fu Jean di Brienne ad alzarsi in piedi e a dedicare il suo
personale augurio agli sposi, invitando i propri servitori a far
entrare i doni che Gerusalemme aveva portato all'imperatore. Servi
mori entrarono portando doni esotici, come spezie, gioielli e coppe
lavorate all'orientale, tappeti, cuscini, incenso e perfino dei
cammelli portati a briglia dagli scudieri anch'essi mori. Yolande e
la delegazione siriana erano abituati a tutto questo, ma i nobili
siciliani rimasero a bocca aperta di fronte a quel lusso esotico e
stravagante, mentre Federico fu entusiasta di quei doni, in
particolare dei cammelli, che si avvicinò ad esaminare a
lungo.
Con
un ultimo cenno Jean fece entrare delle danzatrici del ventre,
abbigliate all'orientale, che erano un ulteriore dono per
l'imperatore e che si esibirono per lui. Da quel giorno in poi
avrebbero allietato, con le loro danze sensuali, i banchetti della
corte siciliana.
“Brindiamo
a questa sacra unione”, proclamò Jean di Ibelin,
Signore di Ramla,
uno dei nobili siriani al seguito di Yolande. “L'unione
voluta da
Dio tra l'Imperatore del Sacro Romano Impero e la nostra amata
Isabella, regina di Gerusalemme!”
Nell'alzare
a sua volta la coppa, Yolande notò che, ora che l'atmosfera
era meno
formale di quella mattina, anche i nobili siciliani sembravano
più
inclini ad acclamarla, non solo per l'alleanza che portava in dote,
ma anche come nuova imperatrice e nuova consorte del loro amato
sovrano.
I
festeggiamenti durarono fino a notte fonda, finché tutti
furono
troppo stanchi, sazi o ubriachi e cominciarono a ritirarsi nei propri
alloggi. La nuova imperatrice venne scortata dalle sue dame alle sue
stanze, ma con suo grande sollievo, suo marito non venne da lei,
né
quella né le notti che trascorsero al castello di Oria.
Anais
aveva temuto di incontrare faccia a faccia il figlio
dell’uomo che
aveva distrutto la sua famiglia, ma quando questo accadde non
provò
il risentimento che si sarebbe aspettata o che le sarebbe sembrato
naturale. Ciò che l’aveva spinta ad osservarlo
durante il
banchetto era piuttosto curiosità per quel sovrano che
all’apparenza
non aveva nulla di particolare se non il peculiare colore dei capelli
ereditati dal celebre nonno. Ma aveva carisma, questo Anais doveva
riconoscerlo. La sua figura emanava grandezza e autorevolezza.
Più
tardi era stata fra il corteo di dame che aveva accompagnato la
novella sposa alle sue stanze e l’aveva preparata per la
prima
notte di nozze. Quando aveva lasciato la sua piccola Yolande
congedandosi da lei con un lungo abbraccio, si era diretta alla sua
stanza, non molto lontana da quella della giovane imperatrice.
Aveva
indossato la veste da notte, sciolto i capelli e stava quasi per
spegnere l’ultima candela rimasta accesa quando bussarono
alla sua
porta.
Anais
cadde dalle nuvole quando si trovò faccia a faccia proprio
con
l’uomo che pensava le avrebbe suscitato repulsione al primo
sguardo e
che invece suo malgrado l’affascinava.
“Vostra
Grazia, ma… cosa ci fate qui? Dovreste essere con la vostra
sposa…”, chiese confusa, battendo le palpebre
nella penombra del
corridoio illuminato dalle torce.
“Mi
fate entrare damigella? Vorrei parlare con voi”, rispose
Federico
con un sorriso accattivante.
“Certo…
entrate pure…” disse lei accennando un inchino e
facendosi da
parte per farlo passare. “Gradite del vino?”
“Perché
no?” concesse Federico accomodandosi su una sedia.
Anais
versò il vino in due coppe di vetro e la porse
all’imperatore, che
la prese sfiorandole il dorso della mano con le dita. La ragazza
ritirò la mano, imbarazzata e a disagio per la situazione
che si
stava creando.
“Di
cosa volevate parlarmi?” chiese per rompere quel silenzio e
porre
fine alla questione una volta per tutte.
“Io
volevo chiedere il vostro perdono”, fu la strana risposta che
ottenne. Lei lo guardò stupita, ma Federico continuava a
sorseggiare
il vino come se avesse pronunciato la frase più banale
possibile.
“E
per cosa?”
Finalmente
lui sollevò lo sguardo dal vino e la guardò
direttamente.
“So
chi siete. So cosa mio padre ha fatto a voi e alla vostra famiglia.
Dovete sapere che lo rimpiango dal profondo del mio cuore.”
“Voi…
non dovete… non c’è ne alcun
bisogno”, Anais lottò per tenere
ferma la voce. “E’… è
successo molto tempo fa. E gli errori
dei padri non devono ricadere sui figli.”
“Siete
anche saggia, oltre che bellissima”, disse Federico alzandosi
in
piedi. Prima che lei potesse rendersene conto la sua bocca era sulla
sua.
Anais
lo allontanò da sé, sconvolta e con il fiato
corto, passandosi il
dorso della mano sulla bocca.
“Vostra
Grazia! Cosa… cosa volete fare? Voi vi siete appena sposato,
vostra
moglie è nelle sue stanze che vi aspetta!”
“Lei
non è niente in confronto a voi e alla vostra bellezza,
impallidisce
come la luna di fronte allo splendore del sole. Non sono riuscito a
togliervi gli occhi di dosso da quando vi ho incontrata.”
“Vi
prego non dite così, Vostra Grazia!”
“Non
dirmi che non mi vuoi: te lo leggo negli occhi. Ogni altra donna
è
scomparsa dalla mia vista da quando ho visto te.”
Anais
sapeva di doversi sdegnare per quelle parole, per
quell’affronto
verso la sua fresca sposa. Come poteva dire a un’altra donna
che
non ne esistevano altre quando aveva appena conosciuto colei con cui
avrebbe trascorso ogni giorno della sua vita? Ma la verità
è che si
sentiva stranamente lusingata, euforica ed eccitata a quelle parole.
Lui la desiderava davvero, ed era così…
affascinante e
intelligente. I suoi sensi erano ottenebrati, come se avesse bevuto
troppo vino, e non oppose resistenza quando lui la baciò di
nuovo,
in modo lento e profondo, lasciandola quasi senza fiato.
“Yolande
è mia cugina… vi prego, Vostra Grazia”,
fu tutto ciò che riuscì
a biascicare.
“Chiamami
Federico”, le mormorò lui nell’orecchio,
prima di portarla verso
il letto.
Il
corteo nuziale si trasferì a Barletta e il sollievo di
Yolande per
non aver dovuto affrontare fino a quel momento i suoi doveri
coniugali si trasformò in preoccupazione per il disinteresse
che
Federico sembrava nutrire verso di lei. E anche in qualcosa che non
aveva mai provato in vita sua: risentimento. Per quanto temesse la
freddezza del marito, un moto di orgoglio si risvegliò in
lei. Come
osava Federico trattarla a quel modo? Lei era pur sempre una regina
suo
jure,
cosa che la sua prima moglie non era stata. E ora era
un’imperatrice
per matrimonio. Non aveva forse diritto al suo rispetto?
Yolande
sospettava che si intrattenesse con qualcuna delle sue amanti e
questo era un affronto, ma non voleva esporre le sue lamentele senza
prove certe. Ma Anais, Mariam e le altre sue dame non conoscevano
abbastanza le dinamiche di quella corte, così decise di
rivolgersi
ad una delle sue nuove dame siciliane. Si trattava di una dama di
circa trent’anni, alta e bionda, di nome Bianca Lancia,
membro di
una famiglia di piccola nobiltà, i Lancia di Vercelli, che
aveva
fatto strada grazie alla benevolenza dell’imperatore.
Manfredi
Lancia, il fratello di Madonna Bianca, era uno dei più cari
amici di
Federico. Yolande non sapeva molto di lei, se non che era vedova e
aveva una figlia di nome Bianca come la madre che aveva dodici anni.
Ma le ispirava fiducia, aveva uno sguardo sincero e un modo di
parlare dolce e rassicurante. Lei la tranquillizzò
prontamente,
assicurandole che avrebbe indagato e l’avrebbe informata al
più
presto. Le era sembrata così sicura di sé, che fu
stupita quando
tornò alcuni giorni dopo per riferirle ciò che
aveva scoperto senza
quasi avere il coraggio di guardarla.
“Madonna
Bianca”, mormorò Yolande facendola sedere di
fronte a sé. “Perché
non parlate? State cominciando a farmi
preoccupare…”
“Vostra
Grazia io non so come riferirvi la notizia che ho
appreso…”
L’imperatrice
la osservò tristemente, lo sguardo rassegnato che prendeva
il posto
di quello disincantato che più sarebbe stato consono alla
sua
giovane età.
“Vi
prego, ditemi quello che sapete, non fatevi riguardi per me. Sono
più
forte di quanto sembri.”
“Portate
una coppa di vino per Madonna Bianca”, aggiunse facendo un
cenno a
una cameriera.
Bianca
prese la coppa ingioiellata dalle mani della donna e se la
portò
alle labbra evitando ancora di guardare la sua sovrana negli occhi.
“Vostro
marito non visita il vostro letto perché ha una nuova
amante”,
disse tutto di un fiato.
“Era
quello che temevo”, disse Yolande con un filo di voce
prendendosi
la testa fra le mani. “E sai il suo nome?”
“Si
tratta di… vostra cugina.”
“Cosa
intendete?”
“Vostra
cugina, Madonna Anais di Brienne, è la nuova amante
dell’imperatore.”
Il
silenzio che cadde nella stanza era talmente pesante che si sarebbe
potuto tagliare con una lama.
“No,
non è possibile”, bisbigliò Yolande
scuotendo il capo. “Non è
possibile… Anais non lo farebbe mai. Non mi farebbe mai
questo!”
Bianca
finalmente la guardava negli occhi e Yolande vi lesse desolazione,
pena e compassione. Improvvisamente comprese che era tutto vero, che
la sua dama non mentiva. E che era sinceramente dispiaciuta per lei.
Nota
dell'autrice: Vorrei
precisare che i fatti raccontati in questo capitolo sono storicamente
accertati: ergo il tradimento subito da Yolande per mano di Anais
è
tristemente vero. Come affronterà la cosa la nostra giovane
imperatrice? Starà in silenzio e subirà
l'affronto o reagirà in
qualche modo? Lo scopriremo nel prossimo capitolo! ;)
Federico
è una figura davvero particolare come avrete notato e sono
davvero
curiosa di sapere cosa ne pensate di lui. Il mio giudizio su di lui
è
ambivalente: uomo intelligente, colto e carismatico, sovrano deciso,
ma anche marito possessivo, geloso e freddo, nonché
cronicamente
infedele e privo di scrupoli. Spero di aver reso decentemente questo
personaggio così complesso e sfaccettato.
Una
piccola precisazione per chi s'intende un po' del periodo: la Bianca
Lancia che qui compare non è la famosa amante di lunga data
e
probabile ultima moglie morganatica di Federico, bensì sua
madre da
cui lei prese il nome.
Ringrazio
tutti coloro che leggono e coloro che sono passati a farmi sapere
cosa ne pensano della storia.
Alla
prossima
Eilan
|
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Capitolo 6 *** Capitolo V ***
“Non
mi lascerò trattare in questo modo, padre! Io sono la sua
sovrana!”
gridò Yolande, fuori di sé.
Jean
era quasi sopraffatto da quella furia. La sua giovane, remissiva e
obbediente figlia non sembrava nemmeno più se stessa. Anche
lui era
furibondo per l’affronto che Yolande – e
indirettamente lui
stesso – aveva subito. Il nome della loro casata,
l’onore di sua
figlia, la sua credibilità… erano tutti appesi ad
un filo per
colpa di quella sgualdrina di sua nipote, quella ragazza ingrata che
aveva morso la mano che l’aveva nutrita fino a quel momento.
Se si
soffermava a pensarci Jean si malediceva per aver aiutato sua cognata
Albiria quando era in cerca di una sistemazione per Anais; si
malediceva per averle dato un posto fra le dame di sua figlia, una
posizione che chiaramente la ragazza non meritava di ricoprire. Era
contento di non averla davanti in quel momento, perché non
era
sicuro che avrebbe risposto di se stesso. Ma doveva farlo, doveva
essere lui a gestire la situazione, Yolande era troppo giovane ed
emotiva per farlo.
“Ora
calmati, figlia mia. Capisco che tu sia sconvolta, e hai tutte le
ragioni per esserlo. Ma dobbiamo affrontare la cosa in maniera
diplomatica.”
“Diplomatica?
Io sono stata umiliata padre!”, disse la giovane imperatrice
puntandosi un dito al petto e incrociando poi le braccia.
“Sono
stata umiliata il giorno stesso delle mie nozze, sono stata umiliata
da mio marito e tradita da mia cugina. Come posso essere diplomatica?
Non puoi chiedermelo.”
Jean
sospirò, stringendole il braccio per calmarla.
“Non te lo chiedo,
infatti. Devi lasciare la cosa nelle mie mani, devi lasciare che sia
io a parlare con Federico.”
“Ma,
padre…”
“Non
ti ascolterebbe”, tagliò corto Jean.
“Devi lasciare gestire
questa cosa agli uomini, è giusto così.”
Yolande
lo guardò per qualche momento, poi annuì
lentamente. “Hai
ragione. Mio marito non ha mai dato peso alla parola della sua prima
moglie, non ne darà neanche alla mia. Sono nelle tue
mani.”
“Saggia
decisione, figliola.”
“Una
cosa ti chiedo, però.”
“Cosa?”
“Puoi
pensarci tu ad allontanare Anais dalle mie dame? Io non voglio
vederla mai più.”
Dopo
essersi consultato con i suoi nobili Jean aveva accettato che Eudes
di Montbeliard lo accompagnasse a parlamentare con Federico,
all’inizio con riluttanza; ma poi aveva pensato che la
mediazione
di un uomo pacato come Eudes non avrebbe potuto essere più
propizia
nel caso si giungesse a uno scontro diretto con il genero. La
situazione era estremamente tesa e delicata. Eudes era un suo parente
che era divenuto principe di Galilea sposando l’unica erede
al
principato, Eschiva di Saint Omer. Jean riponeva molta fiducia in
lui, al punto da averlo nominato Conestabile di Gerusalemme alcuni
anni prima.
Federico
li ricevette seduto alla sua scrivania, nel suo studio privato, dopo
che il suo segretario personale li ebbe fatti accomodare.
L’imperatore fece accomodare i suoi ospiti ordinando perfino
del
vino, come se quello fosse un incontro di cortesia. Di certo
Federico, che non era uno sciocco, doveva sapere cosa bolliva in
pentola e il motivo per cui il reggente e il conestabile di
Gerusalemme volevano parlargli. Jean si sentì preso in giro,
ma
trattenne la propria rabbia e lasciò che fosse Eudes a
parlare.
“Vostra
Grazia”, cominciò il principe di Galilea,
“vi sono certamente
giunte all’orecchio le calunniose voci che permeano la corte,
l’affronto subito dalla nostra regina e vostra
sposa… confido che
capiate che non possiamo tollerarlo in silenzio. Ora, se tutto questo
è solo una menzogna, una voce messa in giro dai vostri
detrattori,
come in effetti riteniamo, è comunque opportuno - se posso
osare
dare un suggerimento a Vostra Grazia - prendere provvedimenti per
l’allontanamento immediato della fanciulla oggetto dello
scandalo,
che come Vostra Grazia certamente saprà, è una
dama della camera
privata dell’Imperatrice, nonché sua parente
stretta.”
Federico
rimase un momento in silenzio, un mezzo sorriso sul volto,
lisciandosi la barba rosso fuoco. Poi unì le mani
poggiandole sulla
scrivania di fronte a sé.
“Non
si tratta di voci”, disse tranquillamente.
“Come,
prego…?” chiese sbalordito il Principe di Galilea.
Non tentava
nemmeno di negare? Di salvare le apparenze e la forma?
Quell’uomo
era davvero sfrontato e noncurante del giudizio altrui come gli
avevano raccontato.
“La
fanciulla in questione è davvero la mia amante, ma non
ritengo di
doverne rendere conto a nessuno, tantomeno a mio suocero. In poche
parole, con chi mi intrattengo sono solo affari miei.”
“Ma…
ma voi capite che non è questo che ci importa, non
dell’amante che
Vostra Grazia si sceglie”, tentò di replicare
Eudes, “ma ella è
la cugina carnale della nostra regina, che è stata insultata
e
offesa proprio quando suo marito avrebbe dovuto dedicarle le sue
attenzioni… la sua prima notte di nozze, per
l’amore di Cristo!”
“Ora
basta, cugino”, lo interruppe Jean alzandosi in piedi.
“Non
capisci che l’imperatore qui si sta solo prendendo gioco di
noi?”
Federico
osservò suo suocero, per nulla intimorito nonostante la
notevole
altezza di quest’ultimo gli permettesse di incombere su di
lui in
maniera minacciosa.
Eudes
tentò di calmarlo ponendogli una mano sul braccio, ma Jean
neppure
se ne accorse. Era furioso, le narici dilatate e lo sguardo che
sprizzava scintille.
“Io
esigo che vi sbarazziate immediatamente di quella sgualdrina con la
quale avete osato offendere mia figlia, colei che vi ha portato in
dote il regno di Gerusalemme.”
Federico
si alzò a sua volta. Nonostante la bassa statura emanava
più
autorevolezza dell’uomo più anziano che lo
superava di tutta la
testa.
“Questo
è un avvertimento, caro suocero”, disse in tono
gelido. “Non
osate più darmi ordini.”
“Lo
faccio invece! E voi mi ascolterete… non vi
permetterò di
calpestare mia figlia e l’onore della mia famiglia!”
“Volevo
aspettare a darvi questa notizia, ma credo non ci sia motivo di farlo
ulteriormente”, aggiunse Federico sbattendogli davanti un
documento. “Vi tolgo la reggenza di Gerusalemme.”
La
soddisfazione nel tono dell’imperatore era palpabile e Jean
sentì
che avrebbe potuto facilmente uccidere quell’arrogante
pallone
gonfiato.
“Voi
mi togliete la reggenza? Non erano questi i patti!”
“Non
abbiamo mai parlato di questo nell’accordo di nozze. Assumo
io la
reggenza in vece di mia moglie, com’è giusto che
sia.”
“Ma
Ermanno Di Salza* mi aveva promesso che l’avrei mantenuta
fino alla
sua maggiore età! Questo è un sopruso! Dopo
quello che avete fatto
osate anche aggiungere altra infamia all’infamia?”
Federico
lo interruppe con un gesto della mano. “Le cose stanno
così. Di
Salza non mi ha mai detto nulla di questo accordo e se così
vi ha
riferito non parlava certo a mio nome.”
Eudes
si accorse che la vena sul collo di Jean pulsava pericolosamente e
che il cugino era sul punto di esplodere di fronte a quei reiterati
affronti.
“Mio
signore…” lo richiamò il conestabile di
fronte alla brutta piega
presa da quell’incontro. “Vi
prego…”
“Lasciatemi,
cugino! Dirò a quest’arrogante esattamente
ciò che penso di lui.
Voi siete un uomo senza onore e senza Dio… non siete altro
che il
figlio di un beccaio!”
Il
sorriso sardonico si spense immediatamente sulle labbra di Federico,
che divenne terreo in volto.
“Come
osate…” disse in un sibilo. Poteva tollerare lo
sfogo del
suocero, non era un uomo da perdere le staffe facilmente. Ma
quell’insulto all’onore di sua madre, alla purezza
del suo sangue
riaprì ferite mai del tutto guarite. Gli erano giunte fin da
bambino
le voci messe in giro dai nemici della sua famiglia, le voci che
screditavano la rispettabilità di Costanza
d’Altavilla, che
mettevano in dubbio la sua paternità.
Jean
non sembrava del tutto tornato in sé di fronte a quella
reazione, ma
certamente abbastanza per comprendere di aver oltrepassato il limite.
Voltò le spalle al genero e lasciò la stanza,
seguito da Eudes di
Montbeliard.
Si
fermò solo sulla soglia per annunciare: “Se non
intendete
raddrizzare il torto che mi avete fatto sappiate che mi
rivolgerò a
Sua Santità in persona”, e con uno svolazzo del
mantello di
pelliccia uscì.
Federico
non tentò di aggiungere altro. Era un uomo paziente, e la
resa dei
conti con suo suocero era solo rimandata.
Jean
di Brienne mantenne la sua minaccia e partì pochi giorni
dopo per
Roma insieme a pochi fedelissimi, perché il resto dei nobili
di
Outremer si erano affrettati a giurare fedeltà
all'imperatore. La
scelta non era stata difficile considerando che egli, oltre ad essere
uno degli uomini più potenti al mondo, era anche il marito
della
loro legittima sovrana. Jean si curò poco del fatto che
stesse
lasciando Yolande con un marito che non la voleva e che trascorreva
ogni notte intrattenendosi con sua cugina. Il corteo nuziale si
trasferì a Foggia, dove una sontuosa accoglienza aspettava i
novelli
sposi. Federico ancora perseverava nel suo rifiuto di allontanare
Anais, ma nel giro di poche settimane la situazione prese una piega
inaspettata. Suo suocero aveva presentato le sue indignate proteste
al papa, il quale aveva preso decisamente le sue parti. Un esito non
difficile da prevedere, considerando quanto poco in simpatia il
pontefice tenesse l’imperatore. Lo scandalo aveva assunto
proporzioni enormi quando si era venuto a sapere dell'affronto subito
dalla Regina di Gerusalemme, e i cronisti – molti dei quali
non
ammiravano affatto Federico e la sua licenziosità
– si erano
assicurati che nessuno nei regni d'occidente ignorasse ciò
che era
successo. Yolande era grata che tanti nobili e prelati, e perfino il
popolo, avessero preso le sue difese, ma anche segretamente umiliata
che quell’incidente fosse stato messo in piazza al punto che
ogni
uomo, donna o bambino della cristianità ne fosse al
corrente. La
pressione era stata tale che, per riparare all’offesa e
salvare le
apparenze, Federico era stato costretto ad organizzare il rientro in
patria di Anais, dopo averle assegnato una cospicua dote.
Yolande
persisteva nel suo ostinato rifiuto di vedere la cugina, nonostante
lei avesse chiesto udienza innumerevoli volte. Tuttavia non era
rimasta con le mani in mano: aveva organizzato le nozze di Anais con
suo cugino Balian di Grenier, Conte di Sidone, uno dei nobili
più
potenti di Gerusalemme. Era arrabbiata, ferita, tradita… ma
non
sarebbe mai riuscita ad odiare Anais, neanche dopo tutto quello che
era stata costretta a subire. Voleva ancora il meglio per sua cugina,
ma la voleva anche molto lontana da lei e da suo marito. Il giorno
della partenza di Anais a Gerusalemme venne e la giovane chiese di
nuovo udienza alla sua sovrana.
“Mia
Signora, Madonna Anais chiede di nuovo di essere ricevuta”,
annunciò Mariam in tono quasi di scuse.
“Insiste… siete sicura
che non volete riceverla?”
Yolande
era seduta di spalle alla porta, di fronte al camino acceso.
Madonna
Bianca si inginocchiò accanto a lei e le prese la mano.
“Perdonatemi
se oso, Vostra Grazia, ma voi siete tanto giovane, avete
l’età di
mia figlia… siete sicura che non vi pentirete di non esservi
congedata da vostra cugina? Potreste non incontrarla mai
più…”
Yolande
fissò per qualche momento l’espressione
sinceramente preoccupato
della sua dama, ma il suo sguardo era vacuo e spento.
“Mandatela
via”, rispose infine tornando a fissare il fuoco.
“Non voglio più
vederla.”
Dopo
la partenza di Anais Yolande sperò che non avrebbe
più sentito
parlare di lei. Seppe dai suoi consiglieri rimasti in patria delle
sue nozze con Balian di Grenier, ma fu una notizia che
assorbì solo
pochi momenti della sua attenzione, presa com’era dal seguire
suo
marito nei suoi continui spostamenti per il regno. La sua relazione
con lui era decisamente migliorata dopo che l’ombra di Anais
aveva
sollevato il velo che li divideva; a tratti Federico sapeva
dimostrarsi premuroso, ma non perdeva mai del tutto il suo abituale
distacco. Si preoccupò di non nominare mai Anais davanti a
sua
moglie, e Yolande credette che l'avesse dimenticata, che fosse stata
solo una delle tante donne che Federico aveva avuto. Ma fu
all’inizio
del febbraio seguente che dovette ricredersi. L'imperatore era
impegnato ad organizzare la Dieta di Cremona, occasione in cui
avrebbe incontrato i Comuni Lombardi, e aveva deciso di lasciare
Yolande e il suo seguito ad attenderlo nel castello di Marcina.
Qualche giorno prima aveva ricevuto una lettera di suo padre che le
comunicava di essere stato nominato da Onorio III Amministratore del
Tesoro Pontificio; la buona notizia era seguita da una meno buona che
riguardava sua zia Alix: il Papa aveva deciso poco tempo prima sulla
questione cipriota e aveva tolto la reggenza alla regina madre per
poterla assegnare a Philippe d’Ibelin.
Yolande
era sinceramente dispiaciuta per sua zia e la tormentava il rimorso
di non aver fatto abbastanza per aiutarla. Aveva deciso di scriverle
una lettera e la teneva fra le mani in quel momento, rigirandola
nervosamente e passando il dito sul sigillo di ceralacca su cui aveva
impresso il suo stemma personale. Non le restava che cercare il
segretario di suo marito perché la spedisse al
più presto insieme
alla posta dell’imperatore. Entrò nello studio di
Federico
sperando di trovarlo lì, ma la stanza era deserta. Si
avvicinò alla
scrivania e lasciò la missiva sulla pila di quelle che il
segretario
avrebbe affidato ai messi. Stava per andarsene quando
l’occhio le
cadde su una pergamena che Federico doveva aver terminato
frettolosamente di scrivere quella mattina prima di partire. Yolande
non seppe resistere alla curiosità e la prese; sapeva che
suo marito
si dilettava di poesia, tra le altre cose, ma quello che lesse
riaprì
una ferita che considerava ormai sopita.
Oi
lasso, non pensai si forte mi paresse
lo dipartire da madonna
mia
da poi ch’io m’aloncai, ben paria ch’io
morisse,
membrando di sua dolze compagnia;
e giammai tanta pena
non durai
se non quando a la nave adimorai,
ed or mi credo
morire ciertamente
se da lei no ritorno prestamente.**
Yolande
non riuscì a leggere oltre e gli occhi le si riempirono di
lacrime.
Non era difficile comprendere a chi fosse dedicata quella poesia.
Anais non era stata semplicemente un’avventura, un capriccio,
una
delle tante. Lui l’aveva amata e l’amava ancora.
Forse dopo Anais
ci sarebbe stata un’altra donna che Federico avrebbe amato di
un
amore altrettanto intenso, ma Yolande sapeva che non sarebbe stata
lei, né ora né mai.
◊◊◊◊◊◊◊◊◊
Palazzo
Reale di Palermo
Maggio
1227
Il
caldo primaverile era arrivato in Sicilia molto prima di quanto
avrebbe fatto se Yolande e la sua corte fossero stati ancora a
Terracina. Gli sconfinati agrumeti palermitani avevano cominciato
già
a dare i primi profumati frutti e ogni mattina un servo ne portava un
cestino appena colto alla tavola dell’imperatrice, che
sembrava
apprezzarli molto. Yolande aveva lasciato il castello di Marcina non
appena Margherita era stata abbastanza grande da affrontare il
viaggio fino a Palermo e i rigori dell’inverno avevano
lasciato
posto ad un clima più mite. Yolande ne era stata
felicissima: aveva
mal sopportato la reclusione forzata a cui la gravidanza, scoperta
poco dopo la Dieta di Cremona, l’aveva costretta. Non aveva
più
potuto seguire Federico nei suoi continui spostamenti e aveva
percepito ancora più forte quel senso di isolamento che la
circondava. Sperava che a Palermo sarebbe stato diverso e la sua
prima impressione di quella città le aveva fatto ben
sperare. Dopo
mesi in cui aveva vissuto in castelli dalla tipica architettura
occidentale, con mura alte e possenti, torri massicce, finestre
strette e fredda pietra, era rimasta stupita dalla magnificenza
esotica dell'immenso Palazzo Reale, dal piacevole gusto arabeggiante
e dagli sconfinati giardini perfettamente curati e ricchi di palme,
così simile ai palazzi che aveva lasciato in Outremer, anche
se
certo non ne eguagliava la finezza. Ma aveva presto scoperto che
anche quel palazzo all'apparenza così bello era una
prigione,
lussuosa certamente, ma pur sempre una prigione. Non aveva legato
molto con le sue dame siciliane, tranne Bianca che era diventata per
lei un’amica quasi capace di rimpiazzare la perduta Anais.
Mariam
era ormai una giovane donna e lei è Yolande erano sempre
più
legate, unite dalle vicissitudini che avevano affrontato insieme.
L’imperatrice amava poter parlare in francese con lei, senza
che
nessuno intorno a loro potesse capirle. Le sembrava di avere la
chiave di un linguaggio segreto capace di riportarla indietro di
miglia, indietro a casa sua. Tutto il resto era così nuovo
ed
estraneo per lei; non riusciva a comprendere il volgare di Sicilia,
che le sembravo ostico e astruso. Per farsi capire dai servi e dalle
dame doveva parlare in latino. Federico era spesso via e Yolande
aveva ormai capito che aveva tutta l’intenzione di tenerla
reclusa
come aveva fatto con Costanza d’Aragona. Era un uomo
complicato suo
marito: non era mai crudele, ma neppure capace di gesti di tenerezza.
La trattava con ogni riguardo, ma non c’era dolcezza
né amore nel
suo comportamento. Era però morbosamente geloso, come lo era
stato
anche con la sua prima moglie e aveva adottato, insieme
all’harim,
un’altra usanza tutta orientale: quella di tenere le proprie
mogli
lontane dal mondo e dalla vita politica. Ed era questo che Yolande si
sentiva: una prigioniera, tenuta a forza lontana dalla sua patria e
dalla sua gente. Seppure Palermo avrebbe potuto ricordarle Acri,
lì
non era libera di muoversi come lo era stata nella sua città
natale.
A volte la nostalgia per la sua vita passata era tanto forte da farle
fisicamente male. La nascita di Margherita, nel novembre precedente,
era stata un barlume di gioia e di luce in quel grigiore. La prima
volta che l’aveva vista, così piccola e tenera,
con quelle sue
minuscole dita e la lanugine biondo rossiccia che le copriva la
testolina era stata veramente felice come non lo era da tanto.
Federico invece non era stato molto contento della nascita di una
femmina, perché questo significava che Enrico, il figlio
primogenito, era ancora il suo unico erede e non era in buoni
rapporti con quel figlio estraniato. Ma era venuto a vedere la
bambina e aveva portato ricchi doni alla moglie, tra cui delle perle
in omaggio al significato del nome della piccola. Dal momento che era
una femmina le aveva permesso di scegliere il nome e, dopo che Bianca
Lancia gliene aveva proposti diversi, Yolande aveva scelto
Margherita, perché la sua bambina le sembrava preziosa e
bella come
una perla.
L’imperatore
era tornato a prenderle per portarle con sé a Palermo in
marzo, e
Yolande aveva impiegato i primi tempi del suo soggiorno siciliano ad
organizzare una nursery nel palazzo e a scegliere la balia e le dame
che si sarebbero occupate della piccola principessa. La nursery
tuttavia non sarebbe stata occupata solo da Margherita, ma anche da
un’altra bambina, il cui arrivo inaspettato aveva
inizialmente
turbato l’imperatrice. La figlia di Anais e Federico, che era
nata
l’estate precedente in gran segreto ed era stata mandata al
padre
perché Balian di Grenier si era rifiutato di crescere una
figlia che
non era sua. Federico l’aveva riconosciuta e Yolande, con
gran
stupore del marito, aveva chiesto di potersene occupare
personalmente. L’imperatore non aveva visto motivo per
declinare e
la bambina era al seguito di Yolande da diversi mesi; ne era anche
stata la madrina di battesimo, celebrato insieme a quello di
Margherita nella sontuosa Cappella Palatina del Palazzo Reale di
Palermo, rivestita di meravigliosi mosaici dorati.
Era
stata lei ad attribuirle il nome Blanchefleur, che presto tutti
avevano cominciato ad adattare in “Biancofiore”.
Non sapeva
perché lo aveva fatto, altre mogli avrebbero preteso di
spedire la
bambina da qualche parente o da un vassallo compiacente, o di
sistemarla nel più oscuro e dimenticato dei castelli; e in
effetti
era proprio così per quel che riguardava i numerosi altri
figli
illegittimi di Federico: non aveva nessun desiderio o
curiosità di
incontrarli, e più lontani vivevano da lei e da sua figlia
meglio
era. Ma era diverso per Blanchefleur – come Yolande si
ostinava a
chiamarla – lei non era solo di Federico, era anche di Anais.
E le
restituiva la parte buona della cugina, la sua parte innocente:
quella che Yolande non aveva mai smesso di amare.
*Gran
Maestro dell'Ordine Teutonico che partecipò alle trattative
del
matrimonio tra Yolande e Federico.
**La
poesia presente in questo capitolo non è scritta da me,
chiaramente,
ma è opera di Federico II in persona, una delle poche che ci
sono
giunte scritte da lui e dedicata proprio ad Anais di Brienne.
Nota
dell'autrice: grazie
a tutti voi che siete arrivati a leggere fin qui e che avete speso il
vostro tempo a lasciarmi una recensione. Sembra scontato dirlo ma lo
apprezzo davvero tantissimo! Spero che il capitolo abbastanza denso
di eventi vi sia piaciuto e credo che il prossimo sarà
quello
finale. Ci tengo a ribadire che, come per i capitoli precedenti, mi
sono attenuta rigorosamente ai fatti storici accertati, riempiendo
solo le lacune che comprensibilmente secoli di storia hanno lasciato.
Se vi va, fatemi sapere che ne pensate!
Alla
prossima
Eilan
|
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Capitolo 7 *** Capitolo VI ***
Castello
di
Oria, Puglia
Luglio
1227
L’estate
pugliese quell’anno si stava rivelando estremamente calda, la
più
calda che Yolande ricordasse da quando era in Italia, del tutto
simile alle roventi estati siriane. La temperatura era una delle
poche cose che l’Imperatrice poteva constatare con certezza
della
città che due anni prima aveva visto celebrare il suo
matrimonio con
Federico, rinchiusa com’era ancora una volta nel castello di
Oria.
Solo che stavolta la sensazione di essere prigioniera era mitigata
dalla compagnia di sua figlia. Yolande aveva insistito
perché
Federico le permettesse di portarla con sé quando aveva
deciso che
doveva lasciare Palermo per essere al suo fianco in Puglia, al
culmine dell’organizzazione della sesta crociata.
Quando
nel marzo di quell’anno Madonna Bianca aveva annunciato alla
sua
sovrana e alle altre dame la notizia della morte del Papa, Yolande
non vi aveva attribuito particolare importanza. Si era limitata a
ritirarsi devotamente presso la sua cappella privata per pregare per
l’anima del Santo Padre, come ogni cristiano osservante avrebbe
dovuto
fare. Quello che non si era aspettata, e che forse nemmeno suo marito
– con tutto il suo acume politico – aveva messo in
conto, è che
al soglio pontificio venisse eletto un Papa che non aveva intenzione
di tollerare altri ritardi e altre scuse da parte
dell’Imperatore.
Erano trascorsi quindici anni da quando era stato incoronato
Imperatore del Sacro Romano Impero giurando solennemente di prendere
su di sé il fardello della Croce e liberare Gersualemme
dagli
infedeli, e ancora Federico non aveva onorato la sua promessa. Onorio
era stato paziente: Gregorio IX non lo era altrettanto. Aveva subito
ricordato a Federico il suo impegno, e tra le sue parole la minaccia
di una scomunica imminente non era neppure troppo velata.
L’avvertimento aveva sortito l’effetto sperato
perché, con
grande stupore di Yolande, la tanto attesa sesta crociata,
l’evento
che era stato alla base delle sue nozze con Federico, si era
finalmente messa in moto.
In
tutti quei mesi l’Imperatore era stato impegnato
nell’organizzazione dell’impresa e non era mai
tornato a Palermo
a trovare la moglie e la figlia. Ma quando era arrivato in Puglia le
aveva mandate a chiamare perché lo raggiungessero. Yolande
era stata
contenta di arrivare a Brindisi dopo suo marito, così non
sarebbe
stata costretta ad assistere al suo ingresso in città
seguito dal
suo harim
di
danzatrici orientali, acrobati e giocolieri, e dal suo famoso
serraglio di bestie esotiche che includeva addirittura un elefante.
Federico amava mettersi in mostra, al contrario di lei, e solo una
volta l’aveva convinta a salire sul trespolo innalzato sulla
groppa
dell’imponente elefante insieme a lui. Yolande non gradiva
quello
sfoggio esagerato di lusso e stravaganza, quella volontà di
stupire,
di essere al centro dell’attenzione. Ma era nel carattere di
Federico e lei doveva prendere atto che era talmente diverso da lei
da essere incapace di comprenderlo. Da parte di lui invece non
c’era
neppure la volontà di provare a comprenderla, di considerare
i suoi
bisogni. Federico apprezzava che lei fosse remissiva, quieta e non lo
contraddicesse in alcun modo; Yolande si accorgeva quanta poca
considerazione aveva delle sue consorti: ne aveva avuta poca di
Costanza, e non appena era cresciuto abbastanza da poter fare a meno
della sua influenza l’aveva tenuta rinchiusa in modo da avere
totale controllo su di lei, proprio come stava facendo con lei ora. E
Yolande non dubitava che avrebbe fatto lo stesso se mai avesse avuto
altre mogli dopo di lei.
Quando
era giunta a Brindisi con la sua scorta e il suo seguito di dame e
servitori, aveva appreso con sollievo che lo scandaloso harim
e il
rumoroso serraglio erano stati rimandati nella fortezza di Lucera,
dove solitamente si trovavano. In compenso la città era in
pieno
fermento. Migliaia di soldati, fanti, cavalieri, lancieri, ma anche
semplici pellegrini che approfittavano della crociata per compiere il
loro viaggio nella Città Santa, si riversavano da tutta
Europa per
le strade della Puglia, diretti all’imbarco al porto di
Brindisi.
E
giorno dopo giorno in quell'estate torrida quel flusso infinito di
persone aumentava, insieme al caldo sempre più afoso.
Yolande non
poteva lasciare il castello e trascorreva la maggior parte del tempo
con le sue dame e in compagnia di Margherita e Biancofiore.
Aveva
deciso di ricamare una veste con il simbolo della Santa Croce che
Federico avrebbe indossato sopra l’armatura, e voleva a tutti
i
costi terminarla prima della partenza della flotta per Outremer.
Di
tanto in tanto con la scusa di mandare Mariam in città a
comprare
dei fili che le servivano per il suo ricamo, riceveva da lei notizie
su ciò che stava accadendo e su come procedevano i
preparativi,
perché Federico, anche quando tornava al castello, era
sempre
estremamente impegnato e non aveva tempo da sprecare in chiacchiere,
soprattutto in quelle che lui considerava incorreggibili e irritanti
curiosità femminili.
Mariam
descriveva a lei e alle dame annoiate una situazione sempre
più
caotica e confusionaria, tanto che cominciava a scarseggiare il posto
in cui ospitare quella marea di persone, nonché le provviste
con cui
nutrirle. Già enormi accampamenti erano sorti intorno alla
città, e
anche intorno alle città vicine.
In
tutto quel trambusto l’Imperatore aveva deciso di organizzare
un
torneo per intrattenere gli ospiti illustri che avrebbero partecipato
alla crociata, tra cui il Gran Maestro dei Cavalieri Teutonici
Ermanno di Salza, il Langravio di Turingia, il Duca di Limburgo, il
nuovo patriarca di Gerusalemme Geroldo di Losanna e il Principe di
Galilea Eudes di Montbeliard, il quale su ordine di Federico era
stato rimpiazzato nel suo ruolo di Conestabile di Gerusalemme da
Tommaso D’Aquino all’inizio di
quell’anno. Eudes non si era
dato per vinto e si era rivolto alla sua sovrana, implorandola di
intercedere per lui e raddrizzare il torto che gli era stato fatto.
Quella era stata l’unica volta in cui Yolande aveva
affrontato suo
marito su una questione politica. Non aveva mai messo bocca negli
affari di un impero di cui era solo la sovrana consorte; ma era
ancora la regina di Gerusalemme per suo diritto, e quando si trattava
del suo regno, dei suoi sudditi, era capace di far sentire la sua
voce. Aveva esercitato la poca influenza che aveva su Federico e
aveva fatto in modo che Eudes venisse scelto come uno dei tre
comandanti della crociata, insieme a Di Salza e Riccardo Filangieri,
maresciallo del Regno di Sicilia e Luogotenente di Gerusalemme in
vece dell'Imperatore.
Il
torneo era gremito di persone, una folla variopinta di nobili,
mercanti, borghesi, perfino il popolo. Seduta sullo scranno di legno
intagliato accanto a suo marito nella balconata soprastante, Yolande
osservava nelle gradinate più in basso quella folla di
persone
assiepate le une sulle altre. Gli ospiti d’onore del torneo
erano
seduti accanto ai sovrani, e Eudes di Montbeliard proprio alla
sinistra della sua regina, la quale si era guadagnata la sua eterna
devozione e lealtà. Il sole picchiava forte sulle teste dei
presenti, smorzato solo dal baldacchino di stoffa drappeggiato sopra
gli imperatori e i loro ospiti.
Yolande
lanciò un’occhiata in tralice a suo marito, come
sempre
perfettamente abbigliato e rasato. Ma l’abito di seta
damascata
verde e gialla, il velo candido e le perle che indossava non la
facevano affatto sfigurare accanto al suo consorte. Anzi, insieme
alla pettinatura raccolta su cui Eufemie aveva lavorato a lungo,
mettevano in risalto la sua persona. La maggior parte dei sudditi
presenti quel giorno la vedeva per la prima volta; non aveva avuto
idea prima di allora che la loro imperatrice fosse una ragazza
minuta, dall’incarnato pallido e i capelli biondi,
dall’apparenza
angelica, delicata e un po’ ingenua. Il modo in cui appariva
le
fece guadagnare le simpatie del popolo, ammorbidì i loro
cuori verso
la giovane sovrana straniera che tanto aveva dovuto patire da quando
era approdata sulle loro sponde.
Il
torneo ebbe inizio e Yolande eseguì doverosamente il suo
compito di
madrina dell’evento, annodando nastri di seta intorno alle
lance
dei contendenti: la sovrana era sempre la dama i cui omaggi erano
più
richiesti, per ovvie ragioni gerarchiche. Il sole continuava a
picchiare implacabile mentre i cavalieri si scontravano, lance in
resta, uscendone trionfanti o sconfitti, esultanti o sdraiati nella
polvere, tra le rumorose acclamazioni o i fischi della folla. Yolande
cominciava a sentirsi debole, ma continuò a distribuire doverosamente i premi in oro e argento ai
vincitori. Come ci si aspettava da lei si sforzò di
mantenere un
atteggiamento regale e il sorriso sulle labbra. Ma non si sentiva
bene, nonostante il baldacchino sopra la sua testa. Federico se ne
accorse e le si rivolse, poggiandole una mano sul braccio.
“State
bene? Sembrate pallida…”
Yolande
si sforzò di sorridere al marito e annuì, ma non
appena Federico
ebbe riportato l’attenzione sul torneo, lei si
sentì scivolare
sulla sedia. Udì le esclamazioni di sgomento dei presenti,
sentì
Federico che la prendeva tra le braccia e la sollevava da terra, poi
tutto divenne buio.
◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊
L’episodio
che aveva preoccupato tutti si era rivelato invece foriero di
un’ottima notizia, per Federico e per il futuro di tutto
l’impero.
Yolande era di nuovo incinta e l’Imperatore sperava che
questa
volta sarebbe stato un maschio. Quella gravidanza, la crociata
imminente… le stelle sembravano arridere allo Stupor
Mundi, come
era stato soprannominato Federico.
Come
nella gravidanza precedente Yolande si preparava a trascorrere il
tempo ricamando, leggendo e pregando. Anche se il parto di Margherita
non era stato difficile, la morte di sua madre le aveva insegnato che
ogni nascita era un’incognita.
In
vista della partenza del marito passava molte ore a ricamarne la
veste da battaglia, sperando di finirla in tempo.
Quel
pomeriggio di agosto le dame riunite in giardino tentavano di
combattere il caldo afoso all’ombra di una pergola
ombreggiata dal
profumato gelsomino che Yolande aveva fatto piantare dai giardinieri
perché le ricordasse la patria lontana. L’aria era
immobile,
satura, la brezza assente, e l’unico suono udibile era il
sommesso
ronzio delle api che volavano di fiore in fiore. La balia aveva
portato in giardino anche Margherita e Biancofiore,
quest’ultima
una bimbetta che già trotterellava in giro su gambe
malferme,
cadendo di tanto in tanto e venendo prontamente tirata su da una
serva che la seguiva passo passo. Margherita invece, di soli nove
mesi, osservava con occhi attenti i movimenti della sorellastra
stando placidamente in braccio a sua madre, che aveva passato il
ricamo a Madonna Bianca per prenderla prontamente dalle braccia della sua balia. Yolande
ancora si stupiva dell’amore incondizionato che provava per
sua
figlia, quel tenero fagotto paffuto avvolto in trine e pizzi, con una
cuffietta bianca ricamata che le copriva i capelli ormai tendenti
decisamente al rosso. Ora che era abbastanza grande da non essere
più
stretta nelle fasce era libera di muovere le manine, con cui tirava
le trecce ed i vestiti della madre. Yolande la lasciava fare,
sopportava i suoi baci umidicci con un sorriso, perché tutto
ciò
che faceva sua figlia per lei era fonte di stupore e meraviglia.
Federico la rimproverava spesso di essere troppo attaccata alla
bambina. Si sfiorò il ventre sovrappensiero: c’era
un altro
bambino in arrivo, un fratello o una sorella per Margherita, forse un
erede per il Sacro Romano Impero e il Regno di Sicilia, come Federico
sperava, ma anche per Gerusalemme. I pensieri di Yolande furono bruscamente interrotti dal
castaldo che si presentò tutto trafelato e con il fiatone.
Bianca
Lancia scattò in piedi: “Come osate presentarvi in
questo modo
all’imperatrice?”
“Chiedo
umilmente perdono Vostra Grazia. Ma reco disposizioni urgenti da
parte dell’Imperatore…”
“Va
tutto bene, Madonna Bianca”, disse Yolande alzandosi a sua
volta e
affidando Margherita alle braccia di Mariam. “Cosa succede,
Messer
Tommaso?”
“E’
scoppiata una gravissima epidemia a Brindisi, fra i crociati pronti
alla partenza! Si contano già diversi morti.”
Bianca
si portò una mano alla bocca, mentre Mariam strinse
istintivamente
Margherita a sé. Le altre dame si fecero intorno
all’Imperatrice,
incluse le serve e la balia con Biancofiore in braccio.
“Ma
è terribile! Di che epidemia si tratta?”
“Non
so di preciso, Vostra Grazia. Chi si ammala accusa febbre alta,
delirio, e non sembra in grado di trattenere nel corpo qualsiasi tipo
di cibo.”
Yolande
scambiò sguardi preoccupati con Mariam e Bianca, ma fu
quest’ultima
a parlare.
“Credete
che saremo al sicuro qui, Messer Tommaso? Oria sarà
abbastanza
distante da Brindisi?”
L’uomo
scosse la testa, desolato. “Temo di no, Madonna. In ogni caso
l’Imperatore non vuole rischiare la salute di Sua Grazia e
della
principessa. Vi comanda di prepararvi in fretta, vi scorterà
entro
due giorni a Otranto.”
“Perché
proprio ad Otranto?”
“Sua
Grazia tornerà qui a sovrintendere l’imbarco per
la Crociata, ma
ritiene che Otranto sia un luogo abbastanza distante per voi da
essere al sicuro.”
“Volete
dire che la Crociata andrà avanti?”, intervenne
Mariam dando voce
alla sorpresa generale.
“L’Imperatore
non intende venire meno all’impegno preso con Sua
Santità”,
spiegò il castaldo quasi in tono di scusa. “La
crociata avrà
comunque luogo.”
◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊◊
Il
castello precipitò nel caos alla disastrosa notizia
dell’epidemia,
che dilagava più in fretta del previsto. Le cameriere e le
dame del
seguito dell’Imperatrice misero sottosopra gli appartamenti
delle
donne nella fretta di preparare tutte quelle persone alla partenza
imminente. Pile di abiti, pellicce, mantelli, pianelle e veli
giacevano sopra ogni superficie disponibile delle stanze, mentre
bauli spalancati erano sparsi sul pavimento pronti ad essere
riempiti. Una miriade di serve – praticamente tutte quelle
disponibili al castello – facevano avanti e indietro sotto le
direttive di Madonna Bianca, mentre Miriam sovrintendeva al bagaglio
non meno ingombrante delle due bambine, che le balie si affrettavano
a radunare. E poi c’erano i gioielli, gli oggetti da
toeletta, i
copricapi, i falchi e l’intero seguito – servi,
dame, paggi,
stallieri e falconieri – da organizzare.
In
qualche modo tutto fu pronto per quando Federico arrivò a
prendere
Yolande e Margherita. Quando Yolande andò a salutarlo era
ancora in
abiti da cavalcata, e non si era sfilato neppure i guanti.
“Partiamo
subito”, la informò secco.
“Non
intendete neppure ristorarvi un momento?”
“Non
c’è tempo per inutili frivolezze.”
Yolande
lo guardò stupita. “E’ così
grave, dunque?”
A
Federico sfuggì un mezzo sorriso. “Non mancate mai
di riuscire a
leggermi nel pensiero, vero? Sì è grave,
più grave di quanto
pensassimo, ma vi prego di tenere questa notizia per voi, per non
generare panico nel vostro seguito.”
“E’
terribile! Ci sono molti morti?”
“A
centinaia, e continuano a morire come mosche anche mentre
parliamo.”
“Noi
siamo pronti a partire quando lo comandate, marito. Permettetemi di
andare a prendere nostra figlia, poi potremo partire.”
Ma
sulla porta della nursery, Yolande trovò ad attenderla
Bianca, con
un’espressione angosciata sul viso.
“Che
succede…?”, chiese l’Imperatrice
guardando lei, e poi guardando
Federico, che l’aveva seguita fin lì.
“Vostra
Grazia… la principessa ha contratto il morbo!”
“Cosa?
Come è possibile? Come sta?”, gridò
angosciata.
“Ha
la febbre e ha vomitato perfino il latte. La balia è anche
lei
ammalata e come lei diversi servi. Anche Biancofiore mostra i sintomi
del contagio. La malattia è arrivata fin qui, Vostra
Grazia.”
“Devo
andare da lei!”
“No”,
disse Federico, trattenendola.
“Che
significa? E’ mia figlia, lasciatemi, voglio andare da
lei!”
“Non
potete. Pensate al bambino che avete in grembo.”
“Sua
Grazia ha ragione, mia signora. Non potete mettere a rischio la
vostra salute e quella del bambino.”
Yolande
divenne isterica, cercò di scansare Bianca e
cominciò a gridare.
“Non mi importa niente! Lasciatemi andare da Margherita, ha
bisogno
di me.”
Federico
continuò a trattenerla, poi per evitare che si facesse del
male la
strinse a sé, mentre Yolande continuava a piangere e a
gridare.
Poi
si rivolse a Bianca, che aveva gli occhi pieni di lacrime.
“Madonna
Lancia, fate scendere il seguito di mia moglie in cortile. I cavalli
sono pronti e il bagaglio caricato. Partiamo subito per Otranto.
Scegliete donne di massima fiducia che si occupino della
principessa.”
Bianca
annuì e si allontanò, non senza gettare
un’occhiata preoccupata a
Yolande che continuava a singhiozzare tra le braccia di Federico, ma
che aveva smesso di cercare di divincolarsi.
“Non
temete, Margherita starà bene, guarirà.
Avrà i migliori medici qui
ad assisterla, si prenderanno cura di lei. E non appena
starà bene
potrà raggiungervi ad Otranto”, le disse Federico
per
rassicurarla, mentre la conduceva via con sé, ancora in
lacrime.
Nota
dell’autrice: Salve a tutti, originariamente
questo doveva
essere l’ultimo capitolo della storia, ma poi mi sono accorta
che
sarebbe venuto troppo lungo così ho deciso di dividerlo. Il
prossimo
sarà davvero l’ultimo e sarà una sorta
di epilogo con un piccolo
aftermath. Spero che vi sia piaciuto e se vi va fatemi sapere che ne
pensate.
Alla
prossima
Eilan
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Capitolo 8 *** Epilogo ***
Da
quando Margherita era morta una luce sembrava essersi spenta in
Yolande. La sua bambina adorata non era sopravvissuta che un paio di
giorni alla malattia che l’aveva consumata, piccola
com’era.
Biancofiore invece era guarita, ristabilendosi solo lentamente ma
riacquistando infine la piena salute. Il campo cristiano era stato
devastato e i pellegrini che erano fuggiti terrorizzati in ogni
direzione avevano diffuso il morbo in tutta la Puglia.
Federico
per sfuggire al contagio e nel frattempo sovrintendere
all’imbarco
della crociata aveva scelto di stabilirsi con il Langravio di
Turingia sull’isolotto di S. Andrea, ma si era trattato di
una
precauzione inutile perché entrambi si erano ammalati. Il
Langravio
aveva avuto la febbre talmente alta che aveva cominciato a delirare
–
e nel delirio vedeva un volo di colombe bianche – infine era
morto
appena la galea imperiale era rientrata a Brindisi, dove aveva fatto
appena in tempo a ricevere l’estrema unzione da parte del
Patriarca
di Gerusalemme.
Federico
era gravemente ammalato e si era reso conto di non poter guidare
personalmente la crociata. Aveva affidato il comando della spedizione
al Duca di Limburgo che era già partito con una grossa parte
della
flotta a metà agosto. Anche la restante parte delle galee
che erano
ancora nel porto di Brindisi partirono sotto il comando di Di Salza e
del Patriarca di Gerusalemme, mentre l’Imperatore andava a
curarsi
ai bagni di Pozzuoli.
La
seconda parte della flotta approdò a Cipro, dove Di Salza
avrebbe
dovuto incontrarsi con i baroni ciprioti e quelli di Outremer. I
primi però, nello scoprire che l’Imperatore non
era salpato con la
flotta, decisero di ritirarsi.
Fu
allora che, da Pozzuoli, Yolande ricevette una lettera di suo marito.
Era la prima che le mandava da quando, poche settimane prima, le
aveva scritto per comunicarle, con rammarico, della morte di
Margherita. A quel rammarico Yolande non aveva creduto. A Federico
non era mai importato nulla della figlia, se non per le future
alleanze matrimoniali che avrebbe proficuamente potuto intrecciare
grazie a lei.
In
questa lettera Federico, per la prima volta da quando erano sposati,
le chiedeva aiuto. Quel fatto in altre circostanze le sarebbe
sembrato incredibile, lusinghiero perfino; l’avrebbe fatta
sentire
potente se solo gliene fosse importato ancora qualcosa.
Le
chiedeva di scrivere ai suoi baroni, i baroni d’Outremer, in
qualità di loro sovrana e di colei a cui dovevano
lealtà; le
chiedeva di convincerli a unirsi a Di Salza e a non disertare come i
baroni ciprioti.
Yolande
lo aveva fatto, obbedientemente aveva scritto, utilizzando i toni
perentori e sottolineando l’amor patrio che padre Bernardo,
il suo
confessore, le aveva suggerito. E in effetti la missiva aveva sortito
l’effetto sperato, perché i nobili siriani erano
stati gli unici a
unirsi alla spedizione: Balian di Sidone e Boemondo di Antiochia ed
anche gli altri nobili, insieme ovviamente a Eudes di Montbeliard che
già faceva parte della crociata.
Miracolosamente
Federico era guarito dal morbo e non appena si era ristabilito aveva
inviato un’ambasceria al Papa per spiegare i motivi per cui
non era
potuto partire di persona, ma Gregorio non aveva voluto nemmeno
riceverla, tuonando che la malattia non era che l’ennesima
scusa
dell’Imperatore per non andare in Outremer. Tanto era il suo
sdegno
che in settembre aveva deciso di scomunicarlo.
Nonostante
la scomunica Federico era partito lo stesso, sperando di rimettere in
sesto una crociata che stentava a decollare a causa delle perdite
umane e del caos creato dall’epidemia. Ma dopo i primi
tentativi
aveva deciso di rientrare in patria già nel gennaio del 1228.
A
quell’epoca Yolande si stava lentamente riprendendo dal duro
colpo
della morte di Margherita, grazie alla vicinanza e alle amorevoli
cure di Bianca e di Mariam. Era ormai al sesto mese di gravidanza, ma
le sue dame facevano di tutto per distrarla e allietare le sue
giornate con giochi, musica e battute di caccia con il falco.
Federico le aveva inviato un falconiere personale e alcuni nuovi
falchetti, insieme ad un nuovo splendido purosangue e diversi volumi
di vite di santi e libri di preghiere con illustrazioni
magistralmente dipinte dai monaci amanuensi.
Non
aveva avuto tempo però di recarsi da lei perché
contava, nonostante
la scomunica, di partire comunque per la crociata nel maggio di
quell’anno.
Aveva
tentato di rientrare nelle grazie pontificie proclamandosi disposto a
qualsiasi tipo di penitenza e digiuno, pur di vedersi togliere la
scomunica, ma Gregorio aveva rifiutato ogni tentativo di
riconciliazione, dimostrando così che non era affatto
Gerusalemme
ciò che gli interessava. L’unica cosa che avrebbe
accettato
dall’Imperatore in cambio della revoca della scomunica era la
tutela pontificia sul regno di Sicilia. Questo era ciò che
davvero
interessava all’avido Papa: non i luoghi santi, ma il regno
di
Sicilia. Federico aveva recisamente rifiutato e la scomunica pendeva
ancora sul suo capo.
Tutto
questo giungeva a Yolande come un’eco ovattata che a malapena
scalfiva la sua quotidianità da reclusa.
Ora
che il pericolo di contagio era svanito e che ancora Yolande era in
grado di viaggiare, Federico le aveva ordinato di raggiungerlo ad
Andria, dove risiedeva mentre organizzava la partenza.
Fu
lì che la mattina del 25 aprile del 1228 Yolande
avvertì le prime
doglie. Come per Margherita il parto fu facile e quello stesso giorno
venne al mondo un maschio, roseo e in salute.
Federico
ne fu felicissimo ed impose al bambino il nome di Corrado in onore
del nonno di Yolande, Corrado del Monferrato, per riallacciarsi alla
dinastia e al regno che un giorno il piccolo Corrado avrebbe
ereditato da sua madre.
Nessuno
si aspettava che questo sarebbe successo nel giro di soli sei giorni.
All’inizio Yolande sembrò stare bene, fu anche
abbastanza in forze
per ricevere le congratulazioni per la nascita. Ma dopo due giorni si
presentò la febbre puerperale, la stessa che aveva colpito
sua madre
Maria. La levatrice cominciò a preoccuparsi alle prime linee
di
febbre e fece chiamare i medici dell’imperatore. Le
somministrarono
tutti i rimedi che conoscevano, ma non ci fu nulla in grado di far
passare la febbre. Non si poté far altro che somministrarle
l’estrema unzione.
Isabella
II di Gerusalemme si spense il primo maggio, dopo aver dato un ultimo
saluto al figlio che aveva appena conosciuto e rivolto un ultimo
pensiero alla figlia che stava per raggiungere.
APPENDICE
E
dopo…?
Yolande:
Yolande
venne sepolta in una tomba sfarzosa nella cripta della Cattedrale di
Andria, dove riposa ancora oggi, sebbene l’esatta ubicazione
della
sua tomba sia andata perduta.
Corrado
di Svevia: il
figlio di Yolande e Federico successe alla madre nel Regno di
Gerusalemme a soli sei giorni di vita e alla corona paterna
all’età
di ventidue anni, dopo che il primo figlio di Federico, Enrico, venne
deposto. Sposò Elisabetta di Baviera e fu il padre di
Corradino di
Svevia, ultimo sovrano della casata degli Hoenstahufen.
Federico:
Federico
si autoproclamò reggente di Gerusalemme in nome del figlio
ancora
neonato e riuscì a condurre la sesta crociata nel 1228, che
si
rivelò però più una missione
diplomatica che una guerra, tanto che
ottenne dal Sultano Malik-Al-Kamil diverse concessioni, tra cui il
permesso per i cristiani di poter visitare indisturbati il Santo
Sepolcro a Gerusalemme. Alla fine della crociata, mentre si
apprestava a tornare in Puglia, nominò di nuovo Eudes di
Montbeliard
conestabile del regno di Gerusalemme. Sulla strada per l'imbarco
però, la gente di Acri, ancora fedele a Yolande e furiosa
per il
modo in cui la loro sovrana era stata trattata, gli lanciò
sterco e
interiora e fu solo grazie all'intervento di Eudes e Jean di Ibelin
che la rivolta venne calmata.
Federico
si risposò per la terza volta con Isabella
d’Inghilterra sette
anni dopo la morte di Yolande e, proprio come la Yolande della mia
storia ha predetto, la trattò esattamente come le mogli
precedenti,
tenendola rinchiusa in maniera possessiva e trattandola con freddezza
e distacco. Isabella morì di parto come Yolande e fu sepolta
ad
Andria accanto a lei. In punto di morte della sua amante storica,
Bianca Lancia, figlia di quella Madonna Bianca che nel mio racconto
è
la fidata dama di Yolande, probabilmente Federico la sposò
morganaticamente, anche se questo è ancora dibattuto. In
ogni caso
la trattò finché fu in vita, come
trattò le altre sue mogli.
Jean
di Brienne: Deciso
a farla pagare al genero per gli affronti subiti, Jean ricevette da
Papa Gregorio l'incarico di comandante delle truppe pontificie e,
durante l'assenza dell'Imperatore andato alla crociata, invase il
regno di Sicilia. L'invasione tuttavia fallì quando il suo
esercito
fu sconfitto a Capua dalle truppe di Federico rientrato in Italia.
Anais
di Brienne: non
ci sono ulteriori notizie storiche sulla sorte di Anais, che cadde
nell’oblio subito dopo il suo matrimonio.
Biancofiore:
La
figlia di Federico e Anais fu costretta alla morte del padre a
ritirarsi nel convento dominicano di Montargis, ad Auxerre, per
sottrarsi alla vendetta dei suoi nemici. Prese i voti e
dimorò lì
fino alla morte. Sulla sua tomba ancora oggi presente al convento
è
incisa la scritta “Blanchefleur,
figlia dell'Imperatore Federico II, morta il 20 giugno 1279”,
accompagnata
da una raffigurazione di lei con una palma e il simbolo degli
Hohenstaufen, l'aquila a due teste.
Nota
dell'autrice: E
qui ha termine la nostra storia, purtroppo non con un lieto fine, ma
così è stato. Spero che l'abbiate apprezzata
quanto io ho
apprezzato scriverla e spero di essere riuscita a rendere una minima
parte di giustizia ad una delle tante donne dimenticate dalla storia.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno seguito/letto/recensito...
la mia gratitudine in particolare va a alessandroago_94, franci893,
queenjane e kamony per avermi incoraggiata con le loro recensioni.
Alla
prossima
Eilan
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