Tagebuch

di WYWH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cilly ***
Capitolo 2: *** Gehen ***
Capitolo 3: *** Bunte ***



Capitolo 1
*** Cilly ***


Cilly

 

Fin da subito il caso di Cilly fu molto diverso da quello degli altri bambini dell'orfanotrofio: lei non era stata volutamente abbandonata dai genitori o allontanata dai servizi sociali dal suo nucleo famigliare, anzi i suoi genitori l'avevano amata molto.

A renderla orfana fu un camion MAN una sera di pioggia sulla A 92 che, da Frisinga, dov'era stata in gita quella Domenica con i suoi genitori, la stava risportando a Monaco; lei fu l'unica sopravvissuta dell'incidente, in quanto dormiva sui sedili posteriori e riuscì a non farsi schiacciare dallo scontro dei due veicoli.

Qualcuno pensava fosse una bimba fortunata.

 

Andrea e Cilly si conobbero il giorno in cui entrambe arrivarono, per la prima volta, all'orfanotrofio “Tre Pini”: la prima aveva addosso il suo berretto, maglietta e pantaloni da maschio e aveva in faccia i segni delle percosse del padre; la seconda aveva il suo peluche tra le braccia, il ciondolo con la campanella, camicia e gonna, gli occhi ancora gonfi per i pianti della notte.

Si guardarono intimidite, incuriosite una dell'altra; poi Cilly le porse il peluche, un coniglietto con gli occhi a bottone.

-Ciao.-

-...ciao.-

Tennero ognuna una zampa del peluche, in silenzio ma con un timido sorriso.

 

-Ciao Cilly, ti posso parlare un momento?-

La bambina annuì alla signorina Voigt, allontanandosi dal resto delle bambine e sedendosi su una seggiola che la donna le aveva offerto.

-Ascolta Cilly, ho visto che sei molto amica di Andrea, vero?-

La bambina annuì contenta, girandosi a guardare l'amichetta, in quel momento le dava le spalle e stava giocando con dei bimbi più piccoli di lei.

-Sai perché Andrea si veste sempre come un ragazzo?-

La bambina annuì di nuovo e parlò.

-Perché ha paura.-

-Vorresti aiutare Andrea a non avere più paura?-

Gli occhi della bimba s'illuminarono, e annuì decisa.

 

-Guardati come sei bella!-

Cilly era entusiasta: Andrea stava provando una gonna con le righe nere e blu e le pieghe, sopra una camicetta bianca e, per la prima volta, non portava il suo berretto, ma lo teneva stretto tra le dita della mano.

-...sento freddo alle gambe.-

-Allora chiederemo alla signora Abigail delle calze pesanti.

Ti sta proprio bene Andrea.-

-Davvero?-

Cilly annuì sorridente, soddisfatta e felice di vedere la sua amichetta con dei vestiti da bambina.

Quando la signora Voigt venne a vederla, Andrea passò il suo berretto all'amica chiedendogli di tenerglielo; Cilly se lo tenne gelosamente stretto.

 

Quando Cilly fu adottata fino all'ultimo cercò di fare resistenza: non voleva una nuova famiglia, non voleva lasciare quel posto, non voleva lasciare Andrea.

Però quei signori erano molto gentili con lei e sembravano davvero sinceri nel dimostrarle affetto.

Alla fine fu Andrea a convincerla a dire loro di sì e a farsi adottare; ma il giorno della sua partenza sentì un dolore simile a quello di quando capì che aveva perso la sua mamma e il suo papà, perché ora stava perdendo sua sorella.

Una sorella che non aveva la speranza di trovare una famiglia per sé stessa.

 

Quando Andrea le aveva telefonato dicendole che era stata adottata, per il resto della giornata Cilly era stata pazza di gioia, dicendo a tutti che “sua sorella” aveva trovato un papà, e che papà poi!

Per almeno due giorni aveva continuamente chiesto i suoi genitori di poter andare con Andrea alla Torre Cinese dell'Englisher Garten, e quando fu scelta la data e l'ora dell'incontro la bimba quasi non dormiva la notte, impaziente di rivedere la sua amica.

Appena la vide corse verso di lei gridando di gioia, e l'abbracciò con così tanta forza da farla cadere a terra. Entrambe risero.

 

Appena furono in piedi, Cilly si accorse delle mani di Andrea, tenendole con gli occhi spalancati dalla sorpresa e preoccupazione.

-Cos'è successo?!-

Sulle prime l'amica non voleva dirglielo, scostandosi.

-Niente, è tutto passato.-

-Come niente?! Perché non me lo vuoi dire?-

-Te l'ho detto, oramai è passato…-

-Ma sono rovinate!-

-Ti ho detto che non è niente, smettila!-

E Andrea si allontanò di qualche passo, dirigendosi verso la Torre, ma quando si accorse che l'amica non la stava seguendo si voltò e la vide con gli occhi pieni di lacrime, che stava iniziando a singhiozzare, le spalle balzavano con energia.

 

-Cilly!-

-Perché non mi hai detto niente?!-

-…-

-Non...non siamo più sorelle?-

-Assolutamente no!-

-E allora perché non mi dici le cose? Non mi vuoi più bene?-

-Certo che ti voglio bene! Guarda!-

Andrea s'infilò una mano dentro la maglietta e tirò fuori il ciondolo con la campanella, appartenuto a Cilly.

La bimba in lacrime lo guardò ancora singhiozzante, e Andrea le prese la mano, togliendosi il berretto.

-Scusami, scusami Cilly, la signorina Voigt mi ha fatto promettere di non dirti niente, se no ti preoccupavi e tornavi all'orfanotrofio. Scusami, scusami.-

E l'amica l'abbracciò stringendo forte. L'altra ricambiò, piangendo sollevata.

 

Ci vollero i fazzoletti e le rassicurazioni di mamma e papà, una marea di scuse e spiegazioni da parte di Andrea e Cilly finalmente riuscì a calmarsi; per tutto il resto della giornata non volle lasciare la mani della sua amica neanche per un secondo, visitando la Torre e pranzando assieme al ristorante lì vicino, proprio come avevano sempre voluto fare.

Negli anni quello sarebbe sempre stato il loro posto preferito, dove trovarsi se le cose andavano male per una o l'altra e parlarsi e dirsi tutto, proprio come due sorelle.

-Cilly!-

-Andrea!-

-Scusa il ritardo.-

-Dai, visitiamo la Torre.-

 

Aveva sempre voluto giocare a calcio con Andrea.

All'orfanotrofio l'amica le aveva insegnato qualcosa, ma doveva farlo di nascosto per evitare d'incappare nell'ira di Albert e il resto della squadra; quando si ritrovarono fuori da quel posto, Cilly si mise d'impegno a giocare seriamente con l'amica, ma tutti gli dicevano che per lei doveva essere solo un gioco, in fondo “Andrea è da più tempo che si allena, lei sarà una professionista!”.

Quella frase spinse Cilly ad impegnarsi ancora di più, dimostrando non solo una passione nascosta per quello sport, ma una tigna ineccepibile che la fece entrare nel Bayern.

 

Inizialmente lei e Gerta, la compagna di classe che Andrea trovò anche quando cambiò scuola, non si vedevano di buon occhio: entrambe volevano essere l'unica per la ragazzina, ed entrambe in fondo avevano cominciato a giocare a calcio proprio per lei, per starle accanto.

Così, mentre Cilly diventava una buona centrocampista, Gerta si concentrò sulla difesa; agli allenamenti volevano sempre essere avversarie, per scontrarsi e capire chi, delle due, era la migliore e l'unica ad essere la “vera” amica di Andrea.

Nessuno si sarebbe mai aspettato che tale rivalità avrebbe creato un terzetto affiatato...e una bellissima coppia più in là…

 

Quando Genzo non sapeva cosa fare con sua figlia Andrea, chiamava Cilly: oramai i due avevano un canale loro segreto di comunicazione, fatto di messaggi e telefonate in cui l'uomo spiegava la situazione alla ragazza e questa partiva all'intervento come una specie di agente segreto.

La ragazza parlava con l'amica, questa si confidava e poi Cilly la invitava a parlarne con il padre; appena le due si separavano, la ragazza mandava un messaggio a Genzo spiegando la problematica e suggerendogli come risolverlo.

Ancora adesso, Andrea non sa nulla di questo scambio segreto tra l'SGGK e la sua migliore amica.

 

Quando chiesero ad Andrea di essere la capitana della squadra titolare per il campionato europeo, la ragazza telefonò impanicata l'amica.

-Io non sono un buon capo!-

-Si che lo sei Andrea, tutte noi ci affidiamo sempre a te!-

-Si tratta del campionato! E se sbagliassi?-

-Te lo diremo e ti aiuteremo a migliorare.-

-E se non vi facessi vincere il campionato?-

-Vuoi che perdiamo?-

-Certo che no!-

-E allora ci farai vincere! Noi crediamo in te, Andrea. Io credo in te, sorella.-

E le strinse affettuosamente la mano, facendole appoggiare la testa sulla sua spalla e baciandole i lunghi capelli.

 

Cilly si rese conto di essersi innamorata di Gerta durante una partita di campionato, quando un'avversaria le fece un fallo chiaramente voluto e sleale, e la ragazza dai corti capelli castani le andò addosso pronta a cavarle gli occhi, tanto che Andrea dovette uscire dalla porta per farla calmare.

-Ma che ti è preso? Non è da te!-

A quel punto la ragazza si rese effettivamente conto dei suoi sentimenti verso la sua amica-rivale, e chiaramente andò in paranoia.

-Andrea…-

-Che succede?-

-Sono innamorata di Gerta!!-

-Ah, te ne sei accorta.-

-COSA?!-

-Dovresti dirglielo.-

-...si, hai ragione.-

-Andrà tutto bene.-

 

-Sono innamorata di Seiji.-

Cilly guardò la testa di Andrea appoggiata sul bancone della cucina, in quel momento Gerta stava preparando del tè per tutte e tre.

-Non è il figlio di Kojiro Hyuga?-

Andrea annuì, con la testa sempre appoggiata sul bancone.

-...beh, è diventato un bell'uomo, no?-

-Abbiamo undici anni di differenza!-

-E io sono sposata con una donna, quindi?-

La donna davanti a lei alzò lo sguardo mentre Gerta portava il vassoio con la teiera e le tazze, servendo il tutto mentre Cilly parlava ancora una volta.

-Dovresti dirglielo. A me è andata bene.-

Andrea sorrise divertita.

***

EDIT: mi sono accorta che questo capitolo ha creato un po' di confusione, pertanto cerco di spiegare bene come funzionerà questa raccolta.

Essenzialmente saranno delle one-shot inerenti a al tema centrale (Genzo e Andrea) però staccate l'una dall'altra; alcune potrebbero avere sbalzi temporali (come questa di Cilly) o trattare di eventi precedenti alla storia principale, altre invece si potrebbero concatenare.

Nei prossimi capitoli metterò in corsivo il periodo temporale della one-shot, così da non creare più confusione :)

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Capitolo 2
*** Gehen ***


Gli avvenimenti di questo capitolo avvengono un mese dopo quelli di “Kind”

 

Una delle prime cose che scoprii di Andrea, e che mi lasciò davvero sorpreso, fu che le piaceva “Sesame Street”.

Lo scoprii una Domenica mattina.

Di solito, quando giocavo in casa, io ero più pigro di mia figlia ed era lei che, ad un certo punto, mi veniva a svegliare; i primi giorni chiamandomi timidamente per poi, una volta che si era fatta più coraggiosa, saltare sul letto e cominciare a farmi il solletico; al che rispondevo e iniziavamo la battaglia di cuscini. Dopo ci calmavamo, andavamo a fare un pranzo veloce e ci preparavamo per uscire.

Il più delle volte la portavo dai nonni, alcune volte erano loro a venire qui a casa a tenerle compagnia.

Quella mattina, però, mi ero svegliato prima del solito senza apparente motivo, e avevo deciso che avrei fatto colazione con lei, scendendo dal letto e dirigendomi verso la sala da pranzo.

La prima cosa che mi colpì fu sentire rumori, voci e musica, e rendermi conto che la televisione era accesa: di solito era sempre spenta, pertanto lo stupore di udirla mi svegliò ulteriormente, facendomi scendere le scale. A metà scalinata mi resi conto che tutti quei rumori erano tipici di un programma per bambini, e non potei fare a meno di sporgermi in silenzio, per vedere senza disturbare.

Andrea stava indossando il suo pigiama rosa chiaro, i capelli erano spettinati sulle spalle e sembrava non essersi accorta di nulla; vedevo le immagini sullo schermo e, per quanto non conoscessi il programma, la faccia di Elmo era per me internazionalmente nota come “uno dei muppet”.

Era una delle rare volte che vedevo Andrea concentrata su qualcosa che non fosse il calcio o lo studio e mi affascinò, tanto che mi appoggiai allo stipite dell'uscio a guardarla, incrociando le braccia e notando ogni suo movimento: vidi così che ondeggiava le spalle a ritmo della musica e cercava addirittura di canticchiare le canzoni, con voce bassissima e roca; si sporgeva quando facevano vedere i lavori fatti con la carta e i colori e il loro angolo educativo, quella volta credo che riguardasse i numeri.

Era molto serena, e questo rasserenava anche a me.

La lasciai guardarsi la puntata fino alla fine, sentendola canticchiare la sigla finale, per poi spegnere la televisione e, solo a quel punto, muoversi sul divano e alzarsi, girandosi e accorgendosi della mia presenza.

-Buongiorno tesoro.-

Rimase davvero sorpresa, e la vidi arrossire mentre abbassava lo sguardo imbarazzata, rispondendomi.

-B-Buongiorno papà.-

Di fronte a quella sua reazione mi sentii imbarazzato anch'io, come se l'avessi beccata in un momento molto intimo e personale, e cercai di stemperare il nostro disagio riprendendo la parola e offrendole la mano.

-Facciamo colazione, ti va?-

Lei mi guardò sempre con quella sua aria stupita, annuendo e prendendomi la mano, o quanto meno due delle mie dita; quando faceva così era terribilmente tenera e dovevo appellarmi a tutte le mie forze per non prenderla in braccio.

In quei primi mesi era come un cucciolo nella sua nuova casa, e la psicologa che ci seguiva mi aveva consigliato tanta pazienza, lasciandola adattarsi con i suoi tempi a quella nuova vita, senza insistere in eventuali gesti d'affetto o sue manifestazioni di contentezza. Quelli sarebbero arrivati con il tempo.

Accompagnai Andrea in sala da pranzo, facendola sedere mentre io andavo a recuperare le cose per far colazione, la casa era immersa in una silenziosa tranquillità: quello era il giorno libero di Isolde e Friedrich, e prima dell'arrivo della piccoletta la casa era sempre risultata molto più grande e vuota del solito.

Ora invece, mentre prendevo il succo di frutta e la marmellata, la vedevo abituarsi agli spazi e ai rumori, guardarsi attorno con meno timore e riempire la casa con la sua presenza mentre dondolava le gambe sopra la grossa sedia.

-Vuoi le brioche con la marmellata? O preferisci altro?-

-Brioche.-

-Me ne prepari una anche a me per favore?-

Il suo sguardo s'illuminò e annuì decisa, facendomi sorridere mentre mi preparavo il caffè e lei armeggiava con il barattolo di marmellata, il coltello senza lama e la brioche davanti a lei già tagliata a metà.

La successiva mezz'ora trascorse nel nostro quotidiano silenzio: dopo i primi momenti d'imbarazzo ci eravamo abituati al fatto che, spesso, l'insicurezza di Andrea o il mio essere orso davano spazio a lunghi momenti senza chiacchiere.

Poi mi tornò in mente la scena di mezz'ora prima e decisi di provare ad investigare, ora che...mia figlia era più tranquilla. All'epoca mi agitava ancora definirla “mia”.

-Allora, ti piace molto Sesame Street?-

Lei alzò lo sguardo sorpresa, un po' di marmellata le macchiava il mento e glielo indicai con un dito, lasciandola pulirsi da sola mentre aspettavo che mi rispondesse; annuì con il capo, masticando il boccone e ingoiando con un sorso di succo.

-La Domenica lo guardavo all'orfanotrofio con gli altri bambini.-

-E c'è qualche personaggio in particolare che ti piace?-

La testa annuì di nuovo.

-A...Abby Cadabby…-

-Davvero? Ed è una maga?-

-Una fata, sa anche volare.-

-E che magie fa?-

-Beh, sa apparire e scomparire, vola e trasforma le cose in zucche. E' piccola, pertanto non sa fare tante magie.-

-E come mai ti piace? Perché è una fata?-

Quello mi avrebbe davvero sorpreso, ma Andrea scosse la testa.

-Lo so che Abby è un pupazzo, che non è vera. Però quello che mi piace è che per lei sono cose magiche saper fare i conti in matematica o scrivere sulla carta; poi vola quando è felice ed è molto buffa.

...mi piacerebbe essere come lei.-

-Sicura di te?-

Annuì guardandomi con aria imbarazzata, sulle labbra tratteneva uno dei suoi sorrisi; le accarezzai la testa.

-Ho capito.-

La lasciai finire la sua brioche mentre la mia testa ripensava alle sue parole e mi rendevo conto, ancora una volta, che questa bambina era uno strano miscuglio di insicurezza e maturità precoce...e che ora era mia figlia.

La psicologa pediatra, quando la conobbi la prima volta, mi disse subito che sarebbe stato un percorso molto lungo e lento, dato che non si trattava solo di creare un legame tra me e lei, ma di aiutare Andrea ad accettarsi per quello che era.

-Per ora si limiti ad osservarla e ad intervenire solo quando è necessario; pian piano la piccola comincerà a mostrarle le sue abitudini e quello che le piace.-”

-Dai Andrea, finiamo la colazione che oggi vengono i nonni.

Visto che non ho partita ti va di andare da qualche parte con loro?-

Annuì con gli occhi pieni di entusiasmo e finì con grandi bocconi la sua seconda brioche, aiutandomi a spreparare la tavola e correndo in camera a cambiarsi.

 

Quel giorno mia madre propose di fare una passeggiata lungo la Kaufingerstrasse perché, mi disse sottovoce per non farsi sentire da Andrea, voleva comprare “assolutamente” qualcosa per la sua nipotina; la cosa mi fece sorridere divertito e, per cercare di “coprire” mia madre, proposi a mia figlia di andare a Marienplatz e fare quattro passi per il centro storico.

Quel pomeriggio la giornata era molto limpida e, chiaramente, non eravamo gli unici ad aver avuto la buona idea di andare in centro, tanto che nelle strade era quasi difficile camminare con tranquillità senza rischiare di incrociare il passo con qualche estraneo.

Andrea, inizialmente, si aggrappò alla mia mano intimidita dalla gente, cercando rifugio dietro la mia schiena mentre i suoi nonni cercavano di aprirci la strada; poi, anche per assicurarmi che non rischiasse di scontrarsi con qualcuno o, peggio, perdesse presa sulla mia mano, la spinsi a tenere la mano ai nonni e a mettersi in mezzo a noi tre adulti, con io che chiudevo il gruppo.

Ovviamente mia madre era elettrizzata all'idea tanto quanto la bambina era incerta, ma cercò di non darlo a vedere, sorridendole e offrendole la mano, camminando al suo passo; inizialmente Andrea si voltò verso di me più volte, assicurandosi che io non scomparissi all'improvviso, per poi abituarsi e cominciare a guardarsi attorno, soprattutto quando iniziammo a percorrere la Kaufingerstrasse.

La via, completamente pedonale e piuttosto ampia, aveva un'ampia e varia umanità: da famiglie a gruppi di ragazzetti, a coppie, a diverse compagnie di persone di varia età; queste ultime, in alcuni casi, si avvicinarono per chiedermi un autografo o una foto.

Di solito rifiutavo, anche perché non volevo coinvolgere Andrea, ma in quel caso sapevo che era vicino ai miei genitori, pertanto ero abbastanza tranquillo e accettavo le richieste, facendo però capire di non esagerare.

Ad un certo punto notai che solo mio padre mi stava aspettando, e ammetto che mi allarmai leggermente mentre lo raggiungevo.

-Mamma e Andrea?-

-Sono entrate in negozio, vieni.-

Le trovammo mentre mia madre stava mostrando ad Andrea qualche capo, più che altro magliette, e la bambina le guardava poco convinta.

Le accarezzai la testa, sollevato di vedere che stava bene e al sicuro, lanciando un'occhiataccia a mia madre.

-Mi avete fatto venire un colpo, non vi ho visto più.-

-Scusaci Genzo. Che ne pensi?-

Mi mostrò le due magliette, entrambe con dei colori piuttosto discutibili nonostante il modello fosse carino.

-Penso che le starebbero male quei colori. Tu hai visto qualcosa che ti piace?-

La vidi guardarsi intorno, per poi avvicinarsi a delle magliette grigie con dettagli gialli, mostrandone una con le pieghe sul fondo e le maniche a tre quarti. Decisamente più nel suo stile.

Ovviamente mia madre, quando la vide con quel capo nuovo, ne fu entusiasta, e silenziosamente Andrea le fece capire lo stile e i colori che preferiva, lasciandosi però anche consigliare dalla sua nuova nonna per quanto riguardava cose come gonne e giacche.

Mi ero accorto subito che la bambina non era una grande chiacchierona, nemmeno quando eravamo in giro, tanto che la presi da parte per capire se era disagio verso i suoi nuovi nonni o c'era altro, inginocchiandomi alla sua altezza.

-Andrea tutto bene? Sei molto silenziosa.-

Lei mi rispose a bassa voce, come a non volersi far sentire dai suoi nonni.

-...è che non ho mai fatto queste cose.-

-Non uscivi a fare compere con tua nonna o tuo padre?-

-No intendo...non ho mai comprato cose da femmina.-

Si teneva strette le mani e aveva gli occhi bassi con aria imbarazzata.

Certo, che scemo: mi sembrava una situazione così normale e tranquilla che mi stavo scordando quel dettaglio.

-...E ti piace farlo assieme alla tua nuova nonna?-

Mi guardò negli occhi e la vidi arrossire leggermente, stavo pian piano imparando a capire tutti i vari livelli di felicità di Andrea: quando annuiva tranquillamente si sentiva tranquilla, quando arrossiva era felice o contenta, quando la vedevo rispondermi con leggero entusiasmo era emozionata, e quando mordicchiava le labbra o arrivava a trattenere i sorrisi voleva dire che era davvero molto felice.

-...si, molto.-

Annuì decisa con la testa; a quel punto le accarezzai la testa e le parlai ancora una volta a bassa voce, per mantenere il nostro “segreto”.

-Secondo me, se lo dici alla nonna, le dai un grande piacere. Ci tiene che ti diverti con lei.-

Andrea si voltò verso mia madre, guardandola mentre stava pagando, assieme a mio padre, i vestiti che avevano scelto assieme; poi si voltò verso di me e annuì, aspettando che la coppia tornasse verso di noi.

-Eccoci, possiamo andare.-

-N...nonna!-

Mia madre la guardò sorpresa, la bambina aveva le guance rosse.

-G...Grazie. Mi sono divertita.-

Mia madre si morse le labbra, inginocchiandosi verso sua nipote e facendole una carezza, sorridendo con un'aria così felice che pensavo si sarebbe messa a piangere di gioia.

-Figurati tesoro. Nonna è qui per questo. Dai, facciamo merenda, ti va?-

E le offrì la mano, accompagnandola fuori dal negozio mentre mio padre mi si avvicinava, tenendo in mano le buste e dandomene una.

-E a noi tocca fare i portantini.-

Ridacchiai, seguendolo fuori dal negozio. E in quel momento la notai, proprio davanti a noi.

Beh, non proprio lei, più che altro notai il rosso mantello e i grandi occhi di Elmo, sistemato nella vetrina del negozio di giocattoli.

-Genzo, vieni?-

Mi girai verso mia madre, raggiungendoli mentre si stavano dirigendo ad una pasticceria lì vicino per prendersi qualcosa da mangiare.

Decisi di cogliere l'occasione al volo.

-Ehi, devo prima passare da un negozio, vi raggiungo lì, va bene?-

-Che ne dici Andrea? Aspetti papà con noi?-

Notai subito che mia figlia non era per niente entusiasta all'idea, e annuì un po' incerta, continuando a tenere la mano alla nonna mentre io davo il sacchetto a mio padre. Mi piegai verso di lei.

-Cinque minuti e torno. Promesso. Tu prenditi pure quello che ti piace.-

Le accarezzai una guancia, e questa volta annuì un po' più tranquilla, facendosi quasi trascinare dei suoi nonni in pasticceria mentre mi dirigevo al negozio di giocattoli.

Dovetti chiedere al negoziante se ne aveva una e mi portò nel settore dedicato a Sesame Street, indicandola con un cenno del capo.

Vidi Abby Cadabby guardarmi in un angolo con i suoi giganteschi occhi azzurri, le sue codine rosa e viola e il vestito azzurro, con le alucce aperte dietro la schiena e, in mano, quella che doveva essere una bacchetta magica; era assieme ad altri pupazzi del programma, e sembrava guardarmi come a dire “Finalmente! Mi hai fatto aspettare, sai?!”.

C'erano altre sue varianti grandi e piccole, persino una bambola parlante, ma preferii quella più morbida e, soprattutto, silenziosa: mi hanno sempre inquietato le bambole parlanti.

Il negoziante mi chiese se era un regalo, per incartarla, ma preferii che mettesse una semplice fiocco sulla busta, pagando e uscendo per strada con un certo imbarazzo: il grande SGGK che entrava in un negozio di giocattoli per prendere una bambola. Mi faceva fare robe strane mia figlia.

La trovai subito in pasticceria, seduta con i suoi nonni su delle poltroncine con davanti un Krapfen, e le si illuminò lo sguardo non appena mi vide; quando poi vide la busta subito i suoi occhi espressero sincera curiosità mentre mia madre dava voce ai suoi pensieri.

-E quella?-

-Un regalo.-

-Ah, e per chi?-

-Per Andrea.-

Lei mi guardò sbalordita, con la bocca socchiusa.

-...Per me?-

Annuii, porgendogli la busta; se la mise sulle gambe e, delicatamente, sciolse il fiocco aprendo e guardando dentro. Vidi sul suo viso un enorme stupore, seguito da una gioia trattenuta dal suo mordicchiarsi le labbra mentre le mani, caute, tiravano fuori la bambola; si voltò a guardarmi, gli occhi così contenti che erano sul punto di piangere, tanto che mi venne un groppo in gola a mia volta.

-Davvero è per me?-

Dovetti fare qualche colpo di tosse per riuscire a parlarle mentre m'inginocchiavo verso di lei, accarezzandole la testa.

-Ma certo tesoro. E' la tua preferita, giusto?-

Lei annuii, guardandola ancora, toccandole i codini e la bacchetta magica, per poi stringerla a sé.

-E' bellissima. Grazie papà.-

Allungò un braccio e mi abbracciò il collo mentre io continuavo ad accarezzarle la testa, felice.

Si tenne in braccio Abby per tutto il resto del pomeriggio senza mai lasciarla andare, molto fiera di quel suo pupazzo nonostante avesse 10 anni e, probabilmente, fosse un po' grande per le bambole; eppure era felice, si vedeva mentre teneva la mano un po' a me e un po' ai suoi nonni durante la passeggiata.

Anche in macchina continuò a tenere la bambola in braccio e solo a cena se ne separò, lasciandola in camera da letto ad aspettarla.

-Allora, ti è piaciuto il giro con i nonni?-

-Si, molto!-

Silenzio. Poi parlò di nuovo, timidamente.

-Papà?-

-Dimmi tesoro.-

-Possiamo...uscire di nuovo con loro?-

Sorrisi divertito, annuendole.

-Ma certo, basta chiederglielo. A loro farà di sicuro molto piacere.-

La vidi trattenere, come al solito, un sorriso contento, mangiando la cena con gusto.

Quando andai a darle la buonanotte la vidi stringersi a sé la sua bambola, guardandomi con aria felice.

-Grazie papà.-

-Prego. Buonanotte tesoro.-

Le feci una carezza e poi mi alzai per lasciarla sola, quando la sua voce mi chiamò di nuovo.

-...papà!-

Mi voltai e la vidi agitarsi, fino a nascondere la faccia dietro il corpo di Abby, parlando con voce sottilissima e, probabilmente, la faccia viola come quella della sua nuova bambola.

-...ti voglio bene.-

 

**

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Capitolo 3
*** Bunte ***


Sono passati 2 mesi dagli eventi di “Kind”

 

Nikola Hermann si svegliò con la suoneria di una chiamata sparata nelle orecchie.

Smanettando con il cellulare era riuscito ad impostare, per i numeri più importanti, una suoneria specifica, pertanto quando il suo cervello riconobbe “la cavalcata delle valchirie” prese un profondo respiro: sia perché era sollevato che non fosse il lavoro, dato che solitamente lo chiamavano per cazziarlo, sia perché non aveva voglia di ricevere chiamate dai parenti alle otto e mezza del mattino. Senza aver bevuto prima il suo caffè.

-Pronto?-

> Buongiorno prinzessin, notte brava ieri?

Sorrise riconoscendo immediatamente la graffiante ironia di sua zia Rose, una delle poche persone con cui gli piaceva parlare anche alle otto e mezza del mattino senza caffè; si mise pigramente seduto sul letto, guardando distrattamente il caos di vestiti sopra il lenzuolo spiegazzato.

-Si, direi di sì. Come stai zietta?-

> Vorrei stare meglio, stamattina sto avendo problemi con la tua specie.

Nikola si passò una mano in faccia, cercando di svegliarsi rapidamente: sua zia era la direttrice di un orfanotrofio e aveva sempre avuto un giudizio critico nei confronti della stampa, ma comunque per lei era una pubblicità importante per aiutare i bambini. Sentirla accostare giornalisti a “problemi” non era raro, ma non era mai scontato.

-Che succede?-

> Hai il nuovo numero dei tuoi datori di lavoro?

Il “Bunte” si occupava principalmente di cronaca rosa e gossip becero, ma quando gli avevano offerto un lavoro il giovane uomo ci si era buttato a pesce, ben consapevole che avrebbe fatto una marea di gavetta e, soprattutto, che lui non c'entrava assolutamente nulla come spirito e pensiero critico alla qualità degli articoli della rivista.

Il ragazzo guardò sul letto, individuando solo vestiti, per poi piegarsi verso la sua destra e individuare, per terra, il titolo e le scritte giganti tipiche della rivista. E notò immediatamente la foto e il titolo dell'articolo principale.

GENZO WAKABAYASHI PADRE, IN ESCLUSIVA LE FOTO

Dietro la scritta gigantesca e fastidiosa, una foto dell'SGGK che teneva in braccio una ragazzina con addosso un berretto molto simile a quello dell'uomo, entrambi stavano guardando verso un punto a sinistra, le braccia di lei attorno al collo dello sportivo, il quale la sosteneva con tranquillità.

O meglio, probabilmente entrambi guardavano la stessa direzione, dato che la minore era giustamente censurata nella foto.

Nikola sbatté gli occhi qualche secondo, raccattando la rivista e posandosela sulle gambe, sfogliando le pagine per individuare l'articolo.

-Ok, ho la rivista, ma da quando t'interessi dell'SGGK?-

> Leggiti l'articolo.

Il giovane uomo obbedì silenziosamente, individuando l'articolo da un'ennesima foto di Genzo Wakabayashi, questa volta l'uomo teneva per mano la bambina e stava tranquillamente passeggiando con lei in quello che, a colpo d'occhio, sembrava essere il Botanischer Garten; il suo sguardo scivolò velocemente alle parole.

Che uno dei più appetibili scapoli di Germania abbia messo la testa a posto? Con chi?!

E' il pensiero che, probabilmente, molte di voi avranno nel vedere questa foto del bellissimo e sempre ombroso Genzo Wakabayashi, portiere del Bayern Monaco ed erede dell'omonima società finanziaria, forse lo scapolo più ambito da qualunque donna.

Ora uno degli uomini più affascinanti del panorama calcistico tedesco è stato visto Sabato scorso, al Botanisher Garten, abbracciato a questa deliziosa bambina. Ma di chi si tratta?

Da fonte sicura la bambina proviene dal “Drei Keifern”, uno degli ultimi (se non l'ultimo) orfanotrofi presenti a Monaco.

Ma cosa può aver spinto un uomo riservato e misterioso come Genzo Wakabayashi, di punto in bianco, ad adottare una bambina? Sempre che l'abbia adottata...

Le ipotesi possono essere molte, così come le domande: che sia una bambina nata da qualche precedente relazione, rimasta nascosta? Che sia stato uno slancio di generosità ad aver spinto l'uomo a prendere la piccola orfanella? O magari la piccola possiede un tale talento per il calcio da spingere Wakabayashi ad adottarla, assicurando una continuità al nome calcistico di SGGK?”

L'occhio allenato di Nikola Hermann individuò tre cose fondamentali.

Numero uno: questo articolo era stato scritto da quella maledetta gallina di Adna, ne riconosceva il tono da vecchietta che chiacchiera con le amichette fuori dalla chiesa dopo la messa.

Numero due: proprio perché era scritto da una cinquantenne con aspirazioni da ventenne, il veleno che usciva fuori nei riguardi di una “fantomatica relazione scandalosa” di Genzo Wakabayashi con chiunque era abbastanza fastidioso e corrosivo da spingere Nikola a passarsi una mano sul volto, quasi a ripulirsi.

Numero tre: Adna aveva citato l'orfanotrofio di sua zia Rose, da chi cavolo aveva avuto l'informazione? Lui non ci aveva mai parlato e mai ci voleva parlare con quella maledetta serpe.

-...ora capisco la tua telefonata. Ti giuro che io non ho parlato.-

> So che hai la testa sulle spalle Nik, non ti telefono per sgridarti. Per quello basta tua madre.

L'ultima sgridata della genitrice risaliva proprio alla sera precedente, prima che lui uscisse a bere qualcosa con gli amici: lo aveva ripreso perché all'ultimo momento aveva saltato la cena con il resto della famiglia proprio per fare quell'uscita, e alla signora Hermann non era andata proprio benissimo la cosa, facendogli un culo incredibile al telefono.

-Immagino tu fossi presente alla sfuriata.-

> No perché sono arrivata tardi, ma tuo padre mi ha chiesto di calmare tua madre dopo la telefonata.

-Hmmm.-

> So che Briddy a volte è pesante, ma è pur sempre tua madre e ti vuole bene.

-Lo so, lo so.-

> Comunque, tornando a noi: ti chiamo per farti una proposta inerente all'articolo.

Gli occhi tornarono verso la rivista, diverse foto accompagnavano l'irritante chiacchiera di Adna, alcune molto belle e toccanti: una di queste si trovava verso l'interno della pagina, e ritraeva la bambina di Wakabayashi accanto ad una signora che l'articolo indicava come “Kimiko Wakabayashi”, madre dell'SGGK e presidentessa della fondazione Kleine Däumling.

Le due avevano i piedi a mollo nella fontana del Nettuno, con il risvolto dei pantaloni rialzato e le scarpe in mano, e stava chiaramente chiacchierando. La bambina continuava a tenere calcato in testa il suo berretto, ma nonostante questo la foto faceva certamente effetto.

-Non ho intenzione di patteggiare con Adna, qualsiasi cifra tu mi proponga.-

> Non voglio che tu parli con la tua collega, ma con un mio contatto. E' disposto a rilasciare un'intervista esclusiva sull'argomento.

Le sopracciglia di Nikola si mossero di nuovo, il suo volto aveva la chiara espressione di chi stava pensando “...ok, strano”: sua zia era sempre stata estremamente riservata sui suoi contatti, e in generale tutto quello che era inerente all'orfanotrofio non usciva mai dal suo ufficio, a meno che non fossero comunicazioni ufficiali.

Se voleva addirittura fargli parlare con un suo contatto, riguardo l'SGGK, voleva dire che erano informazioni proprio ghiotte; poteva essere la buona occasione per sbattere in faccia ad Adna la sua incapacità di scrivere articoli decenti.

-Ok, e questo tuo contatto è affidabile nelle sue informazioni?-

> Estremamente affidabile. Possiamo dire che è coinvolto in prima persona nella questione.

Gli occhi di Nikola si spalancarono, precipitando nuovamente verso la rivista, questa volta aveva davanti una fotografia della ragazzina accanto all'SGGK, gli teneva due dita della mano e si stava voltando dietro di sé come se avesse notato qualcosa o qualcuno, anche se ancora non si poteva capire per via della censura.

-Quanto...in prima persona?-

> Abbastanza da farsi spingere dalla sottoscritta a rilasciare un'intervista per salvaguardare l'immagine sua e della sua famiglia, soprattutto di sua figlia.

Se gli occhi di Nikola avessero potuto sarebbero schizzati fuori dalle orbite, per quanto li spalancò; oramai non c'era più traccia di sonno sul suo viso.

-UN'INTERVISTA CON GENZO WAKABAYASHI?! Non mi prendi in giro per conto di mia madre, vero?-

> Ti pare che ti prenda in giro per una cosa che coinvolge l'orfanotrofio?!

Nikola buttò via il lenzuolo, alzandosi in piedi e cominciando a raccattare i suoi vestiti, continuando a parlare con la zia.

-E quando ci potrò parlare?!-

> Gli ho lasciato il tuo contatto. Ti chiamerà lui, ma conoscendolo non dovrai aspettare molto.

-Che tipo è?-

> Riservato. Molto riservato. Vedi di comportarti bene con lui, è il tuo biglietto vincente.

Cavolo se lo era! Quell'intervista l'avrebbe sottolineata a vita nel suo curriculum.

Dopo essersi riuscito ad infilare i jeans con una mano sola, però, si fermò dall'allacciarli raddrizzando la schiena.

-...un momento. E tu? Mi sembra una proposta troppo vantaggiosa per me perché tu non ne guadagni.-

> Non posso voler fare qualcosa per aiutare il mio nipotino giornalista?

-Zia, ti voglio bene ma credo di conoscerti. Carte in tavola: cosa vuoi?-

> Che tu faccia un ottimo lavoro, il migliore fino ad ora: se farai un bel lavoro, Genzo Wakabayashi avrà un debito nei miei riguardi e saprò come farmi ripagare la cortesia.

Rose Voigt non era una donna cattiva, tutt'altro.

Rose Voigt era una donna intelligente, che aveva preso parecchi cazzotti dal mondo per via delle sue scelte di vita; pertanto, quando sentì quella frase, Nikola sentì un brivido dietro la schiena, augurando mentalmente un “in bocca al lupo” all'SGGK.

> Ad ogni modo, ora ti devo lasciare.

-Ah zia, grazie. Grazie mille.-

> ...mi raccomando Nikola: mi affido a te. Sia per l'articolo che con tua madre. Ci vediamo.

Il giovane chiuse la telefonata, lanciando lo sguardo fuori dalla finestra della camera, tornando a rivestirsi con più calma e a prepararsi ad uscire; si portò in cucina la rivista e, sorseggiando il suo caffè, riprese a guardare le foto dell'articolo, in specifico quelle dove erano ritratti Genzo e la ragazzina.

C'erano almeno cinque pagine di foto di diversi momenti di quel pomeriggio, dall'arrivo al Botanischer alla passeggiata, perfino alla pausa merenda dove i due si erano presi un gelato; chiaramente, però, la più bella di tutte era quella in copertina, dove il portiere del Bayern Monaco reggeva quella ragazzina come fosse stata fatta di piume e lei si teneva stretta al collo dell'uomo.

Proprio un bello scatto, gli sembrò familiare lo stile.

Per curiosità Nikola andò a controllare, in fondo all'articolo, chi avesse fatto le foto.

Appena lesse il nome il caffè gli andò di traverso.

 

-Come cazzo ti sei permesso?!-

Nikola sbatté violentemente la rivista sul tavolo facendo girare diverse teste in ufficio, mentre quella del diretto interessato si alzò lentamente dalla sua macchina fotografica; i suoi occhi videro prima la rivista e poi il volto incazzato del giovane giornalista. Un sorriso di scuse cominciò a formarsi sul volto del giovane uomo seduto.

-Ehiii Nik! Ecco…-

-Io avrei capito chiunque, Phil, chiunque: il capo, la tizia con cui ci stai provando da mesi, ma proprio Adna?!-

-Senti posso spiegarti! Mi hanno promesso la prima pagina, era una grande occasione!-

-E per avere la grande occasione ti sei messo a spifferare informazioni riservate su una cosa così delicata?! Ma sei scemo?!-

-Eddai, tanto lo so che avresti usato le informazioni di tua zia per un tuo articolo.-

-Si ma non così, non servendo una ragazzina di 10 anni in pasto al pubblico!-

-Esagerato! E' anche censurata! Il che è un peccato, è molto fotogenica sai?-

Stavolta fu la mano di Nikola a sbattere sul tavolo, attirando nuovamente l'attenzione dei presenti.

Il giovane uomo si piegò abbastanza da rischiare un Glasgow Kiss sulla fronte del fotografo, guardandolo con tutta la furia che i suoi occhi scuri potevano emettere, parlando con voce bassa.

-Phil, forse non ti è chiaro il concetto: tu hai dato informazioni sull'adozione di una ragazzina del “Drei Keifern”. La cifra che ti hanno dato per quelle maledette foto ti ha fatto dimenticare che genere di luogo è quello?-

Questa volta il fotografo non ebbe la risposta pronta, chiaramente inquieto allo sguardo d'astio dell'amico e collega; questo lentamente si raddrizzò, continuandolo a guardare con aria rabbiosa, per poi prendere la rivista e gettarla nel primo cestino che aveva sottomano mentre si avviava alla sua scrivania.

Si sedette con un sospiro, prendendosi il portatile e iniziando a controllare le mail mentre il suo cervello cominciò a fare un countdown mentale da 10 a 0; arrivò al 5 che il fotografo si presentò alla sua scrivania, l'aria chiaramente colpevole.

-Senti, mi dispiace.-

Nikola non parlò e neanche lo guardò.

L'altro insistette, rubandosi la sedia della scrivania accanto.

-Dico davvero Nik! Ok ho sbagliato, mi dispiace non avrei dovuto.-

Ancora nessuna risposta.

-...mi dispiace. Ti prego.-

Gli occhi scuri del giornalista si spostarono verso il volto del fotografo, adesso si vedeva che era veramente dispiaciuto, e mentalmente Nikola ringraziò zia Rose per la tecnica che gli aveva insegnato, era davvero efficace; prese un profondo respiro, passandosi una mano nella zazzera di capelli castani e finalmente rivolgendo la parola all'amico e collega.

-Come mai ti trovavi al Botanischer Garten?-

-Stavo facendo una passeggiata per provare la nuova macchina fotografica.

Hai visto che qualità? Non ho dovuto usare neanche troppo Photoshop per renderle più nitide!-

-Ti ha detto culo che era una bella giornata.-

-Mi ha detto più culo di aver trovato l'SGGK con la famiglia!-

Il giornalista lanciò l'ennesima occhiataccia al fotografo, e questo sussurrò uno “scusa” tra i denti, facendo distendere le sopracciglia dell'amico, che tornò a parlargli.

-Come ti sono sembrati? Tutti insieme intendo.-

L'altro appoggiò la schiena sullo schienale della sedia, ripensandoci.

-Ammetto che erano molto carini: i nonni erano molto attenti alla piccola, e lui...beh, lui ammetto che mi ha sorpreso. Ti faccio vedere.-

Tirò fuori dalla tasca una penna usb, passandola a Nikola che, velocemente, la inserì sul suo portatile, accedendo così ad una cartella stra bordante di foto.

-Quante ne hai fatte?!-

-Era un'occasione più unica che rara, dovevo approfittare! Ecco prendi questa qua.-

Il mouse cliccò sulla foto indicata da Phil, e davanti al giornalista si aprì una foto.

L'SGGK era inchinato verso la bambina, e per la prima volta Nikola poté vederla in faccia, in quel momento la piccola si era tolta il berretto, rivelando dei capelli neri lunghi fino alle spalle e occhi grandi e scuri, in quel momento fissi sul “padre”. Questo le stava parlando con sguardo attento, sembrava studiare l'espressione della ragazzina con attenzione e...affetto? Era l'ombra di un sorriso quella che c'era sul suo volto?

-Wow.-

-Vero?-

-Strano che non abbiano usato questa foto nell'articolo…-

Sempre che Philippe gliel'avesse mostrata.

Nikola si girò verso l'amico, e lui gli fece l'occhiolino.

-Ho bisogno di soldi, ma certe chicche mica le do a quella serpe di Adna. Guarda questa.-

Il mouse cliccò su un'altra foto, e questa volta era la ragazzina da sola, si era voltata a guardare qualcosa dietro di lei mentre, alle spalle, aveva un enorme cespuglio di ortensie in fiore, il colore viola e azzurro faceva risaltare il berretto bianco che aveva in testa e la carnagione chiara. Nonostante la visiera si poteva vedere il volto.

-Questa è splendida Phil!-

-E' una delle migliori che ho fatto. Te l'ho detto, è molto fotogenica, da grande potrebbe fare la modella con un viso così!-

In quel momento il cellulare vibrò nella tasca di Nikola, e il ragazzo lo prese quasi di malavoglia, accendendo il display e notando che era una telefonata da un numero sconosciuto.

-Pronto?-

> Parlo con il signor Hermann? Sono Genzo Wakabayashi, ho ricevuto questo numero da Rose Voigt.

Il ragazzo quasi fece cadere il portatile mentre si alzava in piedi, quel giorno in ufficio i colleghi venivano costantemente disturbati dal giovane giornalista, ma al tempo stesso erano divertiti dalle sue scenette.

-Si sono io! Salve!-

> Buongiorno. La signorina Voigt l'ha informata sulla mia intenzione di fare un'intervista...

-Ah si, Rose mi ha spiegato la situazione.-

> Bene, mi dica pure quando si trova disponibile.

-Ah posso tranquillamente venirle incontro, so che lei in questo periodo è piuttosto impegnato.-

> Possiamo fare allora il prossimo giovedì nel pomeriggio.

-Perfetto! Se non le dispiace porterei un mio collega per le foto.-

> ...va bene. L'aspetto per le tre.

-Va benissimo, la ringrazio.-

> Buona giornata.

E chiuse la telefonata, con Nikola che aveva ancora gli occhi spalancati verso il vuoto e Phil che lo guardava estremamente incuriosito, non aveva mai visto il suo amico così rispettoso e rigido nei confronti di una telefonata.

-...che succede Nik?-

-...Phil, vuoi fare ammenda per quella schifezza fatta con Adna?-

Il fotografo annuì, anche se perplesso; Nikola lo afferrò per una spalla, trascinandoselo verso l'archivio e chiudendosi la porta alle spalle.

-Che succede Nik?!-

-Ora ti dico una cosa, ma mi devi giurare sulla tua macchina fotografica nuova che non uscirà da questa stanza, altrimenti te la spacco.-

-Te lo giuro! Che succede?!-

Il ragazzo si sporse verso l'amico e gli sussurrò all'orecchio; gli occhi di Philippe Beck si spalancarono sempre di più, a momenti le sue iridi azzurre sarebbero uscite dalle orbite come quelle dell'amico quella mattina. Lo guardò scioccato appena fu abbastanza lontano da vedergli la faccia.

Poi i due cercarono di reprimere il più possibile un grido di trionfo, e si diedero un cinque così rumoroso che un collega che passava davanti alla porta chiusa si fermò sorpreso, guardando l'uscio e domandandosi cosa cavolo stesse succedendo nell'archivio.

 

Quel giovedì pomeriggio era difficile dire chi fosse più nervoso tra Nikola e Philippe, sembravano due ragazzini che dovevano andare ad affrontare un'interrogazione dal professore più severo della scuola; si salutarono rigidamente all'appuntamento in stazione, erano rigidi in autobus, erano ancora più rigidi quando furono nei pressi di Neuhausen, il quartiere doveva viveva Wakabayashi.

Praticamente non si parlarono, e quando lo fecero era sempre a bassa voce, come dei criminali.

-E se arrivassimo in ritardo?-

-Per questo ci siamo visti un'ora prima. Tu piuttosto, hai controllato la macchina fotografica?-

-Mi sono portato dietro tutto in caso di emergenza, anche una seconda macchina.-

Philippe indicò il suo zaino professionale, una borsa così grossa Nikola l'aveva solo vista dalla sua vicina di casa, che studiava la fisarmonica.

Il giornalista si limitò ad annuire, controllando poi nella sua borsa se aveva preso tutto: due agende, cinque penne, caricabatteria per emergenza, anche un ombrello perché aveva notato che quel giorno il cielo era plumbeo.

-Riuscirai a fare delle foto con un cielo così?-

-Dovesse scendere notte fonda farò delle foto da Dio.-

I due scesero dall'autobus e cominciarono ad incamminarsi lungo il viale muti, guardando e superando qualche cancello fino a quando non riconobbero villa Wakabayashi, un alto cancello nero la circondava; proprio in quel momento sentirono un suono provenire da un lato della villa, seguito da un parlottare.

Nik e Phil si guardarono negli occhi, e poi bassi e silenziosi iniziarono ad avviarsi verso la fonte del rumore, come ragazzini pronti alla marachella.

Tennero la cancellata sulla loro sinistra, un muretto la sollevava da terra e arrivava ad altezza di metà busto, lasciando loro la possibilità di poter guardare attraverso le inferriate; notarono così una figura che si muoveva, l'inconfondibile berretto lo fece riconoscere come Wakabayashi, l'SGGK, e d'istinto i due si abbassarono per restare nascosti.

Quando se lo vide davanti Nikola comprese perché molti giornalisti lo reputavano “inavvicinabile”: già a quella distanza la sua atletica figura, la visiera che nascondeva lo sguardo e l'aria quasi marziale spingevano il giornalista a tenere una certa distanza, quasi temendo che avvicinandosi sarebbe stato schiacciato da un uomo alto tre metri.

-Pronta?-

-Pronta!-

La voce che rispose attirò lo sguardo di entrambi gli uomini, facendoli spostare rapidamente fino a quando non notarono una porta da calcio e una figura bassa al suo centro, che scattò lateralmente per afferrare un pallone da calcio.

-Oh wow.-

-Oddio Nik, la sta allenando! Hai visto?!-

Il giornalista annuì, quasi ipnotizzato nel vedere la ragazzina rimettersi in piedi e ripassare il pallone all'SGGK, sistemandosi i guanti e rimettendosi in posizione; il suono di un calcio, e la ragazzina si tuffò in avanti, afferrando ancora una volta il pallone.

-Brava! Molto bene!-

Click!

Nikola si voltò di scatto, e vide Phil che stava controllando la fotografia appena fatta.

-Sei impazzito?!-

-Non potevo non farlo! Guarda!-

Gli mostrò la foto, ma il giornalista scosse la testa.

-Non puoi farlo senza il suo permesso!-

-Ma siamo qui apposta!-

-Si ma aspetta santo cielo! Altrimenti ci cazzia e addio intervista!-

-Aspetta Andrea!-

D'istinto, Nikola afferrò Phil per la spalla e lo trascinò giù a terra, sperando che Genzo Wakabayashi non li avesse sentiti bisbigliare, facendo cenno all'amico di stare zitto mentre ascoltavano i rumori oltre il muretto. Percepirono l'SGGK camminare, per poi parlare di nuovo alla ragazzina.

-Ok, proviamo da qui. Attenta.-

-Ok!-

Giornalista e fotografo, lentamente, rialzarono la testa e video l'SGGK caricare il tiro contro la porta, un bel siluro sfrecciò davanti al loro naso e si voltarono verso la ragazzina; questa, per nulla spaventata, si buttò lateralmente, riuscendo a colpirlo con un pugno e a far schizzare via la palla, la quale andò a rimbalzare sul muro di casa, in quel punto non c'erano finestre che potevano rischiare di essere rotte.

-Tutto bene?-

-Sì! Proviamo di nuovo?-

-Va bene, passami la palla.-

Nikola vide Phil superarlo e andare nella direzione della porta e della ragazzina, e veloce lo seguì, pronto a fermarlo in caso di qualche stupidata; lo vide fermarsi poco più in là e girarsi, la macchina fotografica puntata sulla scena.

Ancora una volta, il portiere del Bayern caricò il tiro, ma questa volta la palla colpì la traversa mentre la ragazzina, dopo un salto, cadeva all'indietro sul prato verde.

-Andrea!-

-Sto bene!-

Agitò una mano, prima di mettersi seduta sull'erba mentre l'SGGK si avvicinava.

-Sicura? Non ti sei fatta male?-

-No, no. Scusami, ho saltato male.-

L'uomo s'inginocchiò verso di lei, alzandosi la visiera del berretto, copiato quasi istantaneamente da lei.

-E' che non ti sei abbassata abbastanza. Più basse le ginocchia e il baricentro, così carichi di più la spinta. E poi quando atterri…-

Click!

Gli occhi di Genzo Wakabayashi immediatamente si alzarono verso la fonte del rumore, sembrava un grosso predatore che aveva individuato la sua vittima; Phil quasi rimase pietrificato da quello sguardo e Nikola, a quel punto, ne approfittò per mollargli una sberla sulla nuca.

-Idiota, te l'avevo detto che ti sentiva!-

-Signori, questa è proprietà privata. Se non volete una denuncia sarà bene che cancelliate quella foto e ve ne andiate.-

L'SGGK si alzò in piedi e la ragazzina, immediatamente, scattò a sua volta e cercò rifugio dietro la schiena dell'uomo, che le posò gentilmente una mano sulla spalla.

Nikola si alzò in piedi, mani in vista come fosse stato davanti ad un poliziotto.

-Ah, ci scusi herr Wakabayashi, il mio amico ha la brutta abitudine di fare scatti senza permesso.

Abbiamo un appuntamento con lei; Nikola Hermann, si ricorda?-

Il proprietario della villa lo guardò con aria chiaramente infastidita, e il giornalista pregò tutti i santi che quell'idiota di Phil non gli avesse fatto sfumare l'occasione della vita; ci fu qualche secondo di silenzio, persino il quartiere attorno a loro sembrava aver smesso di respirare.

Poi Wakabayashi gli rispose.

-...Si, mi ricordo. Fate il giro all'ingresso, avviso Friedrich di aprirvi. Andiamo Andrea.-

-...Basta allenamento?-

Nikola e Genzo abbassarono lo sguardo verso Andrea, la ragazzina aveva in faccia un'espressione chiaramente dispiaciuta, e il giornalista si sentì ancora di più in colpa e con la voglia di tirare un'altra sberla a Phil, alla sua destra. Pertanto prese nuovamente la parola, scuotendo le mani.

-Ma no si figuri! Continuate pure! Se ci date il permesso assistiamo in silenzio!-

Genzo gli rivolse nuovamente uno sguardo poco amichevole, e per un momento Nikola temette che gli sarebbe saltato addosso; poi però l'uomo rivolse di nuovo l'attenzione alla ragazzina al suo fianco, e infine inspirò alzando gli occhi al cielo, prima di parlare.

-Facciamo così: ci alleniamo finché il tempo regge, va bene?-

Il giornalista, per la prima volta, vide la ragazzina fare un sorriso anche se trattenuto, mentre annuiva con forza, e quell'atteggiamento lo colpì molto; i neri occhi di Genzo, tuttavia, tornarono verso di lui, e si sentì come preso per la gola mentre il tono del portiere era secco e deciso.

-Fate il giro.-

Nikola afferrò Phil per la spalla sinistra e obbedì all'istante, trascinandosi il fotografo e sussurrandogli agitatissimo.

-Io te l'avevo detto, cretino! Meno male che ci è andata bene!-

-Mi dispiace, ero un'occasione troppo ghiotta!-

-Tieni a freno quelle dita o te le taglio, hai capito?!-

-Ma sono qui apposta per fare le foto!-

-Fare foto con il permesso, non di nascosto facendo incazzare l'SGGK!-

-Fa davvero paura quando s'incazza.-

Arrivarono ai cancelli principali, ad accoglierli un uomo piuttosto anziano che lanciò loro un'occhiata diffidente. Il giornalista si presentò.

-Buongiorno. Nikola Hermann e Philippe Beck.-

-Prego.-

Disse quel “prego” con lo stesso tono con cui un nonno sgrida il nipote, ed entrambi i giovani si ritrovarono a chinare la testa imbarazzati, superando il cancello aperto e dirigendosi verso la parte destra della villa, notando che si trattava di uno spiazzo abbastanza ampio da inserire effettivamente una porta da calcio.

Andrea era tornata in porta e si stava preparando a parare nuovamente, quando notò la presenza dei due giornalisti e per qualche istante sembrò incerta.

-Andrea, concentrati.-

Girò il capo verso Wakabayashi e annuì, abbassando leggermente la testa.

Sentendosi decisamente di troppo, i due uomini si sedettero a terra in un punto in cui non fossero di disturbo, ed osservarono in silenzio gli allenamenti, anche se a Phil scappò il dito sulla reflex almeno un paio di volte mentre Nikola osservava il rapporto tra il portiere del Bayern e quella che, a tutti gli effetti, era “sua figlia”.

Guardò il loro rapporto, le istruzioni dell'uomo alla ragazzina, le risposte di lei e il suo atteggiamento, e prese il suo moleskin, iniziando ad annotare.

“Genzo Wakabayashi allena Andrea con molta serietà. Non si tratta solo di un gioco per nessuno dei due: la giovane ha talento, si vede anche ad un occhio non esperto, pertanto un campione come l'SGGK di sicuro vede in lei le potenzialità per...”

Una goccia di pioggia colpì la parola “per” sciogliendo l'inchiostro della penna, e Nikola alzò lo sguardo verso l'alto, notando il minaccioso nuvolone grigio scuro che stava iniziando a far piovere.

-Ci fermiamo qua Andrea.-

Il giornalista abbassò lo sguardo, osservando la ragazzina che recuperava il pallone e si avvicinava all'uomo; questo le fece un delicato buffetto sulla testa, parlandole a bassa voce in modo che sentisse solo lei.

Ma anche se non sentì cosa le avesse detto, in quell'istante, il giornalista rimase stupito: anche se nascosto da un atteggiamento un po' rigido, sul volto dell'SGGK c'era la chiara ombra di un sorriso orgoglioso, nei suoi occhi si poteva leggere qualcosa che andava oltre la fierezza di un allenatore per un giocatore. E Andrea, accanto a lui, gli rispose annuendo, quasi usando il pallone per nascondere un contento imbarazzo.

Nikola percepì Phil muoversi con la sua macchina fotografica, ma delicatamente posò la mano davanti all'obbiettivo, scuotendo il capo senza guardarlo. No, quella scena non andava salvata dentro una memory card; era un quieto scambio tra di loro, così intimo e delicato che anche solo un “click!” l'avrebbe distrutto.

Genzo Wakabayashi si voltò verso i due “intrusi”, e questi scattarono in piedi come soldati, aspettando istruzioni dal padrone di casa.

-Prima dell'intervista vorremmo cambiarci, non è il caso che parliamo...e facciamo foto con le tute da ginnastica.-

Il “facciamo foto” suonò caustico e scontento, tanto che Philippe abbassò istintivamente la sua reflex mentre Nikola rispondeva.

-Ma certamente, fate pure.-

-Bene. Da questa parte.-

 

Nikola e Philippe attesero il padrone di casa e sua “figlia” nel grande salotto, la domestica offrì loro del caffè bollente e il giornalista lo sorseggiò pian piano, curiosando nella grande libreria; notò sia testi classici della letteratura che titoli più moderni. Un'intera sezione era dedicata specificatamente ai gialli: v'era una collezione magnifica e completa di Agatha Christie affiancata a quella di Doyle, e più sotto riconobbe titoli anche più moderni e stranieri come Larsson, Camilleri eccetera.

-C'è qualche titolo che le interessa, herr Hermann?-

Nikola quasi si rovesciò il caffè addosso sentendo quel calcato “herr”, voltandosi di scatto e trovandosi nuovamente a che fare con Genzo Wakabayashi, in quel momento il padrone di casa indossava jeans e una felpa grigia, gli occhi di brace lo guardavano attenti.

Ancora una volta, l'aura che emanava intimidì il giovane, che cercò di rispondere senza far tremare la voce.

-L-lei è appassionato di gialli, herr Wakabayashi?-

-E' un genere che mi piace molto.-

-Ha qualche titolo che le piace particolarmente?-

-Ammetto che le indagini di Poirot hanno sempre un grande fascino. Lei legge gialli, herr Hermann?-

Ancora una volta calcò quel “herr”, quasi come fosse un ringhio di avvertimento, e Nikola per un attimo fu indeciso se mentire o dire la verità. Quegli occhi neri gli suggerirono di non tentare la sorte.

-...purtroppo non sono un grande amante dei gialli. Però mi piacciono i classici come Verne e vedo che la sua libreria è ben fornita da quel punto di vista.-

L'SGGK camminava senza praticamente emettere suono, incredibile come un corpo compatto e atletico come il suo fosse capace di essere leggero sui suoi passi; l'uomo si avvicinò a sua volta alla libreria, e d'istinto Nikola fece un passo indietro come si ci fosse, fra di loro, una presenza invisibile che necessitava del suo spazio.

-Si ma non si lasci ingannare: una gran parte è di mia madre, e quando i miei genitori si sono trasferiti hanno preferito lasciare i loro libri qui.-

-Quindi si può dire che questa sia la “libreria di famiglia”.-

Gli occhi di Genzo si spostarono dal giornalista alla collezione, e Nikola notò che l'aria severa del volto si distese leggermente, era quasi impercettibile ma si poteva notare un che di nostalgico mentre il tono si faceva più basso nel rispondere al giornalista.

-Si...possiamo dire così.-

-Papà?-

I presenti si voltarono verso l'uscio, Andrea si stava sporgendo con aria timida, i capelli sciolti sulle spalle e addosso jeans e maglia a maniche lunghe, occhi timidi che cercarono immediatamente la figura “paterna”; questo, tranquillamente, si avvicinò a lei quasi a permetterle di entrare, quell'ombra di nostalgia sembrò farsi addirittura più dolce mentre rivolgeva lo sguardo alla ragazzina, stupendo ancora una volta Nikola.

-Bene, herr Hermann, ora che ci siamo tutto possiamo iniziare, giusto?-

La voce severa dell'SGGK riscosse il giornalista dai suoi pensieri, e rapidamente questo si portò verso il divano, i mobili erano stati spostati in modo tale che i due divani si guardassero con in mezzo il tavolino, la tv era stata spostata da un lato per lasciare posto.

-A-ah certo! Certamente!-

-Posso solo chiedervi una cosa, herr Wakabayashi?-

Phil si alzò in piedi, in mano aveva nuovamente la sua reflex; il portiere subito lo guardò con aria contrariata.

-Mi dica, herr…?-

-Philippe Beck. A lei e sua figlia da fastidio il flash?-

Nikola rimase colpito dal sentire l'amico e collega pronunciare la parola “figlia”, e d'istinto si girò verso i due intervistati, per studiarne la reazione: Andrea sembrò sorpresa tanto quanto il giornalista, per poi abbassare leggermente il capo con aria imbarazzata ma contenta, le labbra trattenevano stoiche un sorriso mentre Wakabayashi continuava a guardare sorto il fotografo, prima di rispondergli.

-Preferiremmo evitarlo, se fosse possibile.-

-Va bene.-

Phil e Nik si scambiarono uno sguardo d'intesa, poi il fotografo si allontanò dal divano mentre il giornalista prendeva il suo cellulare e impostava la registrazione vocale; sentì il cuore arrivargli in gola, fino a quel momento non aveva creduto possibile che stesse davvero per intervistare l'SGGK. Invece eccolo davanti a lui, con la sua figura severa e distaccata, come una specie di monarca.

Fargli un'intervista era come avere un incontro con la regina Elisabetta.

Nikola percepì un movimento e notò Andrea che si stava sistemando meglio che poté sul divano, si vedeva che era a disagio per la situazione; lo sguardo di Genzo si rivolse a lei, e ancora una volta il giornalista percepì affetto mentre l'uomo prendeva gentilmente la mano della figlia, stringendogliela.

-...signor Wakabayashi, anzitutto la ringrazio per la sua disponibilità, so che in questo momento è preso dagli impegni con la società.

Posso chiederle cos'ha spinto lei, una persona molto riservata, a voler rilasciare quest'intervista?-

Genzo Wakabayashi squadrò da capo a piedi il giornalista davanti a lui prima di rispondergli con aria severa ma tranquilla.

-Ultimamente sono circolati dei pettegolezzi che potrebbero minare la serenità della mia famiglia, pertanto ho deciso di prendere provvedimenti e di rispondere alle domande necessarie.-

“Pertanto vedi di non fare domande stupide, ci siamo capiti?”

Il messaggio sotto inteso arrivò dritto nel cervello di Nikola come il proiettile di un cecchino.

-Lei parla di famiglia, dunque conferma la notizia che si è aggiunto un nuovo membro alla famiglia Wakabayashi.-

-Esattamente. Questa è mia figlia Andrea.-

Ancora una volta Nikola percepì l'orgoglio nell'uomo davanti a sé mentre questo continuava a tenere la mano della ragazzina; questa guardò il giornalista con aria decisa, nonostante l'imbarazzo sulle guance, provocando un sorriso al giovane uomo sul divano.

-Allora congratulazioni a tutti e due.-

-La ringrazio.-

-Posso chiedervi come vi siete conosciuti?-

E lasciò che Genzo raccontasse la sua storia, interrompendo solo per chiedere qualche dettaglio, senza forzare la mano; Philippe, nel frattempo, si permise di fare qualche scatto ravvicinato, e Andrea si voltò a guardarlo intimidita, tanto che il fotografo provò a sorriderle, e lei replicò timidamente.

Pian piano la bambina si era mise più comoda sul divano, tirando a sé le gambe e avvicinandosi al padre, che continuava a parlare.

Fu in quel momento che Nikola notò un dettaglio: mentre tirava a sé le gambe, vide che la mano destra della piccola aveva la pelle rovinata, come delle cicatrici, e la cosa lo incuriosì, tanto che provò a chiedere.

Immediatamente Andrea nascose la mano e lo sguardo di Genzo s'indurì, mentre rispondeva in maniera secca.

-Preferiamo non parlarne.-

-Ma certo, mi scusi. Prego, prosegua pure.-

E il racconto proseguì.

Fu difficile, ma il giornalista quel pomeriggio poté vedere effettivamente il rapporto tra l'uomo e sua figlia adottiva: erano entrambi un po' rigidi e diffidenti, forse ancora un po' estranei l'uno all'altra, ma si poteva percepire chiaramente la fiducia crescente di Andrea nei confronti di Genzo, si vedeva da come pian piano si avvicinava a lui, osando poggiare la testa sul braccio dell'uomo.

Lui si voltò un momento a guardarla senza smettere di parlare, e Nikola poté vedere quello sguardo di brace farsi leggermente più morbido.

L'SGGK descrisse il campo estivo, gli allenamenti e l'incontro all'orfanotrofio, senza fronzoli, senza parlare dei suoi sentimenti ma descrivendo il tutto con l'attenzione e il trasporto di chi aveva vissuto in prima persona.

-Come mai Andrea non poté partecipare agli allenamenti?-

-Problemi di salute.-

Freddato ancora una volta quell'argomento, per un momento Nikola pensò che potesse collegarsi alla faccenda delle mani, ma l'SGGK continuò a parlare.

-Ma comunque continuò a prepararsi anche all'orfanotrofio, vero soldatino?-

Lei annuì mentre al giornalista scappò un mezzo sorriso per quel diminutivo.

-Zia Yasu mi venne a trovare con lo zio Ken.-

Nikola si rivolse direttamente alla ragazzina, era la prima volta.

-E gli zii ti hanno aiutato ad allenarti?-

Lei annuì di nuovo, più decisa.

-Zio Ken mi ha insegnato a parare usando le gambe! Lui è un portiere fortissimo!-

-Si tratta di Ken Wakashimazu, il secondo portiere della nazionale nipponica.-

-Un super allenatore allora.-

La ragazzina annuì, mordicchiandosi le labbra per trattenere un sorriso, quella sua timidezza colpì Nikola, che rivolse nuovamente la parola all'SGGK.

-E in quelle settimane ha deciso di adottarla? Posso chiederle cosa l'ha spinta?-

Vide Genzo Wakabayashi pensare a quella domanda, voltandosi a guardare Andrea, che muta ricambiò lo sguardo con una leggera incertezza; ancora una volta il giornalista vide gli occhi dell'uomo addolcirsi alla vista di quel viso. Rispose continuando a guardare la ragazzina.

-Quando la conobbi e imparai la sua storia, senza rendermene conto, cercai sempre di aiutarla: a diventare un portiere migliore, a poter continuare a giocare dopo la scuola elementare, e poter essere felice. E lo facevo… beh, perché le volevo bene. E le voglio bene.-

Andrea spalancò gli occhi, per poi arrossire vistosamente e chinare la testa imbarazzata mentre Genzo, per la prima volta dall'inizio di quella intervista, sorrideva senza diffidenza o freddezza. Era un sincero sorriso d'imbarazzo e affetto verso la creaturina alla sua destra.

Ancora una volta, la mano di Nikola fermò Philippe dallo scattare con la macchina fotografica, lasciando invece spazio alla scena davanti a sé; la scena di un padre e di una figlia che si volevano bene.

 

INTERVISTA ESCLUSIVA A GENZO WAKABAYASHI E A SUA FIGLIA ANDREA

Il titolo era decisamente più moderato e meno scoppiettante di quello di due settimane prima, così come la foto in copertina risultava meno scandalistica, ma forse ancora più bella: ritraeva Andrea che si voltava a guardare il fotografo, l'espressione della ragazzina era tranquilla, forse incuriosita.

Sembrava guardare il lettore e chiedergli silenziosamente “vuoi conoscermi?”.

-Davvero un gran bello scatto.-

-E non hai visto dentro. Sfoglia, dai.-

Phil stava gongolando mentre Nikola, un po' incerto, andava a cercare l'articolo dentro il Bunte; quella mattina aveva preferito non comprarsi una copia ma andare diretto in ufficio, era ancora un po' scombussolato non solo per l'intervista fatta, ma anche dai complimenti del suo capo redattore, che gli aveva garantito la prima pagina.

Alla fine fu l'amico a portargli la rivista fresca di stampa, vedere il suo titolo puro come lo aveva lasciato gli fece piacere ma lo lasciava ancora confuso, incerto se stesse accadendo per davvero o fosse tutto un sogno.

Quando raggiunse la pagina con l'articolo riconobbe immediatamente lo scatto fatto mentre l'SGGK stava allenando la figlia dietro il cancello di villa Wakabayashi, e nell'altra pagina c'era invece lo scatto con la ragazzina con lo sfondo di ortensie.

-Wow, hai usato i tuoi scatti migliori.-

-Ho chiesto il permesso a herr Wakabayashi, e in cambio gli ho mandato via mail gli scatti più belli, che non ho usato per l'articolo. Vuoi vederli?-

E ancora una volta la penna usb del fotografo venne inserita nel portatile del giornalista, come al solito la cartella del fotografo stra bordava di foto.

-Ma vuoi mettere un po' di ordine santo cielo? Come fai a capire quale foto pescare in questo casino?!-

-Abitudine, non ti lamentare. Ecco, clicca qua.-

Il mouse cliccò sulla minuscola anteprima, e sullo schermo si aprì la foto.

Nik aprì leggermente la bocca dalla sorpresa mentre Phil sorrideva estremamente soddisfatto.

La foto ritraeva Andrea con ancora le guance arrossate per le parole sentite poco prima, in mano teneva una tazza con della cioccolata calda mentre Genzo Wakabayashi le faceva un buffetto gentile sulla testa, restando comodamente seduto sul divano.

-...non c'è che dire Phil, sei davvero bravo.-

-Ehi, guarda che l'articolo l'hai scritto tu. Siamo una forza insieme.-

E i due si sorrisero entusiasti, scambiandosi un numero cinque con le mani.

In quel momento passò Adna, e gli lanciò un'occhiata di disprezzo mentre i due le sorridevano divertiti.

Poi Nikola restituì la chiavetta usb all'amico e lo lasciò andare, recuperando invece il telefono e spostandosi dall'ufficio all'atrio, in quel momento vuoto; cercò nella rubrica un numero e lo chiamò.

-...pronto, mamma? Ciao...ascolta, scusami per la settimana scorsa, posso venire da voi stasera?-

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