SONIC THE HEDGEHOG: THE LOSS CONTROL [STORIA REVISIONATA]

di GlendaSinWrasprigrel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Riccio ferito ***
Capitolo 2: *** Un nuovo incontro ***
Capitolo 3: *** Genitori in trance ***
Capitolo 4: *** Incubo o realtà? ***
Capitolo 5: *** Mist City ***
Capitolo 6: *** Sani e salvi ***
Capitolo 7: *** il Master Emerald ***
Capitolo 8: *** Coincidenze ***



Capitolo 1
*** Riccio ferito ***


La ragazza correva a fatica con l’enorme cassa per il primo soccorso tra le mani, rischiando di cadere dalle scale almeno tre volte e perdendo tra un gradino all’altro diversi rotoli di garze e pacchetti di cotone. «Ma che diamine! Perché abbiamo in casa una simile diavoleria?!» disse a denti stretti arrabbiata, ma d’altra parte come biasimarla.
Ciò che la distraeva in quel momento era il ferito nella sua stanza, che molto probabilmente stava sporcando il suo letto di sangue. Solo il pensiero la fece rabbrividire.
«Non può essere… Ma è lì, nella mia camera! I miei non ci crederanno mai!»
Non era neanche passato un giorno intero da quando Veritas True si era trasferita a Mist City, che già le stava succedendo qualcosa di sorprendente e inaspettata. L’accoglienza più assurda di sempre, pensò lei quasi sorridendo.
Una serata tranquilla, era ciò che credeva avrebbe passato fino al ritorno dei suoi genitori. Avrebbe perlustrato un po’ la casa, mangiato la sua pizza alle quattro stagione e sistemato tutte le sue cose in camera, mentre ammirava il paesaggio dalla finestra, e invece...
Montagne e colline andarono in secondo piano appena Veritas vide cadere dal cielo una strana palla blu, proprio nel giardino di casa sua e con sua grande sorpresa si ritrovò davanti agli occhi un… enorme riccio blu.
«Un riccio… Ma tu pensa! Un riccio blu che vola!» ripeté più volte rievocando il ritrovamento della strana creatura.
Con un po’ di affanno Veritas si diresse in fondo al corridoio dove era posta la sua stanza. Spalancata la porta, posò bruscamente sulla scrivania la scatola di metallo bianca e, con le mani tremanti e armate di disinfettante, tirò indietro le coperte. Per un attimo chiuse gli occhi vedendo quell’orrore.
Il riccio pareva ancora vivo in quanto respirava, ma il suo corpo era completamente ricoperto di sangue e  ferite molto profonde. Alla prima tamponata lui grugnì dal dolore, avvertendo Veritas di fare più piano e allo stesso tempo il più velocemente possibile.
«Ok. Così dovrebbe andare» sussurrò ad ogni garza applicata.
«T-Tails…»
A Veritas scappò un urlo e lasciò cadere la bottiglietta di alcol sul pavimento per portare le mani davanti alla bocca. Da come aggrottava la fronte e sudava, il riccio ferito era nel bel mezzo di un incubo.
«Ma… parla!» disse attraverso le mani.
«Amy. Shadow.» sbattute lentamente l’enormi palpebre cercando invano di mettere a fuoco,  il grosso roditore alzò una mano verso Veritas, che senza indugio si avvicinò al letto e la strette saldamente
«Sta’ tranquillo. Andrà tutto bene. Fidati di me.»
Con gli occhi semiaperti, il riccio blu rilassò i muscoli e sbottò un sorriso, lasciandosi cadere sul cuscino.
Libera dalla presa, Veritas si concentrò sulle ultime ferite rimaste. «Fatto.»
Finito di applicare l’ultimo cerotto, Veritas si pulì le mani con un asciugamano bagnato e sorrise nel vedere l’inaspettato ospite più calmo e rilassato.
 «Uff… non posso credere a quello che ho appena fatto » il cellulare prese a vibrare nella tasca dei suoi jeans. Era sua madre. «Mamma, ciao! non sai cosa mi è appena successo! Sai, stavo…  Ah,ho capito. Ok, non c’è problema. Sì, so già come si chiude la casa. Ci vediamo domani. Sì, un bacio. Ciao…»
Tipico, pensò la ragazza abbassando la mano. Era così eccitata di poter raccontare ai suoi genitori quella bizzarra storia, ma la cava di diamanti esigeva il loro aiuto. La polizia? Un veterinario? Ci avevo pensato più e più volte, ma… per qualche strano motivo non chiamò nessuno che poteva avere, molto probabilmente, più competenze di una quindicenne. Qualcosa le diceva che non doveva rivelarlo ad occhi indiscreti.
Cos’era la creatura che stava dormendo nel suo letto? Com’era finito nel suo giardino? Era buono oppure cattivo? Molte domande si annidarono nella sua mente, di tanto in tanto sovrastate dalla solita delusione del momento.
«E come al solito, mi lasciano da sola il primo giorno» disse con amarezza.
D’un tratto Veritas si accorse che le pareti color turchese si erano tinte di un bel arancione, che dava la sensazione di essere in estate, ormai passata. Si accorse che aveva passato tutto il pomeriggio a curare il riccio blu.
«Fra poco inizio la scuola.» sospirò.
Prima di uscire dalla stanza, la ragazza diede un’ultima occhiata al riccio appisolato sul suo letto con un espressione beata sul muso. D’impulso sorrise. «Sogni d’oro. Signor riccio.»
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Tre anni. Sono passati ben tre anni da quando decisi di scrivere questa storia, ma l’ho abbandonata. Lo so. Sono pessima e chiedo scusa. Ma ora sono tornata e sono pronta a riprenderla. Ho deciso però di riscriverla meglio a livello di grammatica e anche di trama. Grazie per la vostra attenzione.
 Alla prossima! (Spero)


Glenda

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Capitolo 2
*** Un nuovo incontro ***


Sonic si liberò dalle macerie urlando dal dolore per lo sforzo e si piegò in due per riprendere fiato. Alzata la testa, spalancò gli occhi  per l’orrore che aveva davanti a sé: le colline verdi dove al riccio blu piaceva correre erano ormai diventate nere come la pece e l’acqua cristallina del fiume era diventata una pozza di fuoco. Tutto attorno a lui bruciava di uno spaventoso colore cremisi.
« Ma che… ahi!» Con un solo passo Sonic si trovò a terra. Si portò una mano alla caviglia visibilmente gonfia e zoppicando andò a perlustrare la zona e a cercare i suoi amici, ma le uniche cose che incontrava erano i robot distrutti del dottor Eggman e l’aeroplano di Tails in cenere.
«Tails! Amy! Shadow! Knuckles! Dove siete?!» Sonic chiamò a perdifiato i suoi amici continuando a camminare senza una meta da raggiungere. «Che cosa è successo?» si domandò sforzandosi di ricordare.
«Quello che vedi, topastro.»
Alzata la guardia Sonic squadrò una palma alla sua destra, dove una ragazza vestita da abiti orientali lo fissava dall’lato in basso con un sorrisetto compiaciuto.
«Tu…chi sei! E che cosa vuoi?!» le ringhiò il riccio blu.
«Calma, Sonic the Hedgehog. A dirti la verità noi volevamo solo te,ma data la tua reazione non potevamo fare altro se non attaccare anche i tuoi amici. Persino quell’idiota di Eggman.»
«Dove sono?Rispondi?!»
«Stai buono. Li raggiungerai molto presto» la ragazza scese con un salto dall’albero e si avvicinò al riccio blu che non fece in tempo a controbattere per colpa delle ferite, mentre lei lo alzò da terra  con facilità prendendolo per il collo. Sonic urlò di nuovo dal dolore sputando sangue, cercando di staccarsi da quella morsa.
«Lo sai, è un vero peccato che questo mondo verrà distrutto.» disse la ragazza con falsa compassione. «Mi sarebbe piaciuto giocare ancora un po’ con te, ma… temo che ci dobbiamo salutare.» dalla manica del prezioso vestito ricamato, la misteriosa ragazza estrasse una lunga lama nascosta, pronta a colpire il Sonic ormai privo di forze «Addio, topastro.»

«NO!»
L’improvviso risveglio dell’ospite sorprese Veritas che, dallo spavento, fece cadere la bacinella piena d’acqua. «Oh no! Che disastro!» la ragazza prese dall’armadio uno straccio e asciugò il pavimento bagnato.
Sonic, ancora un po’ scosso, si alzò in fretta con una smorfia di dolore.
«Attento! Non puoi ancora muoverti, devi stare tranquillo e a riposo!» lo ammonì Veritas con dolcezza.
Gli occhi verdi smeraldo del riccio, non ancora abituati alla luce, erano piccole fessure che cercavano di mettere a fuoco la figura al suo fianco. Pian piano riuscì a distinguere due piccole luci turchesi fissi verso di lui, capelli lunghi e castani e i lineamenti del viso di una ragazza.
«Tu… chi sei?» domandò perplesso.
«Ah.. ecco io… »
«Dove sono?»
«Ehi, una domanda alla volta, ok?» Veritas fece adagiare Sonic su letto e gli si avvicinò con una sedia un po’ nervosa. I suoi occhi erano fissi sul suo aspetto. I capelli e gli aculei sulla schiena ricordavano proprio quelli di un porcospino, ma vederlo così alla ragazza pareva quasi… umano e la cosa che l’affascinava maggiormente erano le sue scarpe rosse e i guanti bianchi. «Be’,ecco … Da dove posso cominciare… Cioè, voglio dire…»
Il riccio sbottò una risata, ormai abituato a quelle osservazioni. «Si , lo so. A molta gente faccio questo effetto. Ecco a voi un porcospino che parla. Ci sono abituato!»
Veritas rilassò i muscoli. «Ah, mi hai reso più facile il discorso!»
Entrambi risero all’unisono. Finalmente la tensione dentro Veritas scomparve e poté parlare senza problemi. «Ti giuro che quando ti ho visto sul mio giardino non potevo crederci! Io mi chiamo Veritas. Veritas True. E tu?»
«Io? Io mi chiamo Sonic. Sonic the Hedgehog.» disse Sonic puntandosi un pollice.
«Sonic? Che bel nome!»
«Anche il tuo! E ora potrei sapere che cosa mi è successo?»
Confuso, Sonic contemplò le innumerevoli bende sul suo corpo e iniziò a levarsele
«Ehi, non farlo! Sei ancora… Cosa?» Veritas spalancò gli occhi dallo stupore vedendo che sotto le garze e le bende non c’erano più quelle ferite profonde. Non rimasero neanche cicatrici o escoriazioni. «Wow… allora non sei un riccio normale…»
«Direi proprio di no. Ora posso sapere dove sono?»
«Aspetta, mi stai forse dicendo che non ricordi perché sei caduto dal cielo?»
Il riccio fece spallucce scuotendo la testa. «Non ricordo neanche che cosa ho fatto il giorno prima.»
«Be’, hai dormito.»
«Che cosa?!»
«Anzi, a dir la verità hai dormito per tre giorni di fila»
«Eh?!» Sonic scese dal letto e prima che Veritas se ne accorgesse era già giù in giardino a perlustrare il posto.
L’unica cosa che la ragazza riuscì a vedere dalla finestra era una scia blu sulle colline che andava alla velocità della luce o forse di più. «Pazzesco… Ma è velocissimo!»
D’un tratto una folata di vento entrò nella stanza di Veritas. Sonic era nuovamente sul letto.
«Ah, mi ci volevano quattro passi!» disse il riccio stiracchiandosi.
«Quattro pas-… ma tu eri nei campi cinque secondi fa!» gridò Veritas incredula.
«Cosa? Ah, mi sono dimenticato di dirti che io sono il porcospino più veloce del mondo!» annunciò fiero Sonic.
«Non dirlo come se fosse una cosa normale!»
Nel silenzio tra i due uno strano borbottio rimbombò nella stanza. Veritas inarcò un sopracciglio, mentre Sonic arrossì dalla vergogna.
«A quanto pare hai fame» ridacchiò la ragazza.
“Be’… forse.»
«Tenendo conto il fatto che tu non sia un riccio normale, ti vanno bene degli hamburger?»
Gli occhi di Sonic si illuminarono. «Mi chiedi se vanno bene? Sono perfetti!»
«Bene allora! Dammi cinque minuti e saranno pronti!»
 
Tra la nebbia un ragazzino teneva gelosamente stretto a sé una sacca di pelle. Era stanco di correre a vuoto nella selva, ma la sua missione gli impediva di fermarsi. Doveva portare quella sacca intatta a tutti costi, ne valeva della sua famiglia.
Nel vuoto di quella stessa forsta riecheggiava il suono metallico delle armature dei cavalieri che pericolosamente si avvicinavano a lui.
«Presto, fatti vedere…. Ormai sono al limite!» implorò con lo sguardo verso il cielo bianco. «Ti prego!»
«Sono sopra di te.»
Il ragazzo alzò la testa verso un ramo di un albero, dove una ragazza vestita con abiti dai colori sgargianti e orientali sedeva tranquilla. Sul viso del giovane si disegnò un largo sorriso. «Eccoti!»
Con la leggerezza di un gatto,la ragazza scese dall’albero senza fare il minimo rumore.«Come ti avevo promesso, sono qui.»
«Mi dispiace… mi hanno seguito però ho quello che sei venuta a prend-…» una freccia venne scoccata a pochi centimetri dal piede del ragazzo: i cavalieri erano riusciti a raggiungerlo. «Oh no, sono qui!»
Armati di lance, arco e frecce i cavalieri circondarono i due. Il ragazzo tremava dalla paura, mentre la straniera era calma e impassibile, anche davanti al cavaliere dal mantello rosso a capo della cattura. «Tu. Dacci la borsa e il ragazzo» le ordinò puntandole la lama della spada.
«Oh, ti riferisci a questa? Mi spiace, ma appartiene a me.»
«Tu menti!»
«Invece no.»
Prima ancora che il cavaliere brandisse la sua spada, la ragazza era già davanti a lui a pochi centimetri dal suo naso. «Ma tu… come diavolo…? Sei una strega?»
«Ora osserva» la presunta strega fece scivolare dalla manica una piccolo pendolo con incastonata una pietra azzurra e iniziò a farlo oscillare davanti agli occhi dell’uomo. Quest’ultimo, incantato dalla luce che emanava, lo seguì con lo sguardo ripetendo:« Osservo…»
«Questo ragazzo ha pagato la tassa.»
«Il ragazzo. Ha pagato. La tassa.»
«Non dovrete più chiedergli soldi per quindici anni.»
«Non più. Tasse. Per quindici anni.»
« Il suo nome è Christopher Miller. Ripeti tutto.»
«Christopher Miller. Ha pagato la tassa. Non dobbiamo chiedergli. Altro denaro per quindici anni.»
«Bravo. Questo vale anche per voi!» alzato il braccio, un forte bagliore azzurro accecò tutti i cavalieri incantandoli, che con lo sguardo perso nel vuoto ripercorsero la strada a ritroso, senza calcolare il piccolo Christopher.
«Ma… come hai fatto?» chiese il ragazzino impaurito, ma grato.
«È il mio mestiere.»
«Allora sei veramente una strega?»
«Chiamami come vuoi, a me non ha alcuna importanza.»
Con un sorriso la giovane donna si avvicinò a Christopher, che indietreggiò appena notò un sacchetto sospetto in una mano di lei. «Che cos’è?» domandò insicuro.
«Queste dovrebbero bastare per curare tua madre. Stai tranquillo, sono semplici erbe mediche che qui non crescono. Entro una settimana vedrai che starà bene.»
Con la mano tremolante, Christopher prese il sacchetto e si lasciò accarezzare le guance. Le sue dita erano così morbide e calde al tatto.
«Stai tranquillo e continua a vivere sereno.»
Il ragazzino le rispose con un sorriso e le lacrime agli occhi. «Grazie mille!»
«Grazie a te, per aver custodito la borsa.»
Il piccolo Christopher corse via salutando con una mando la sua salvatrice, quando scomparve nella nebbia anche lei fece lo stesso aprendo davanti a se un portale dimensionale. «Bene. Ora che ho tutto quello che mi serve, si va.»
 
Veritas osservava esterrefatta il riccio mentre mangiava. Una fila traballante di succosi hamburger rischiava di cadere man mano che se ne aggiungeva un altro. Il numero ammontava a undici.
«Wow. Avevi davvero fame. È una fortuna che abbia comprato tutte quelle confezioni.» commentò divertita la ragazza.
«Be’, non ho mangiato per tre giorni. È normale che abbia fame! Ok basta. Ora sono sazio!»
«Dalla tua pancia non mi sembra,sai?»
Sonic sogghignò all’osservazione della sua salvatrice e nuova amica.
«Ora che possiamo parlare tranquillamente, tu da dove vieni?»
«Vengo dal pianeta Mobius.» disse il riccio con fierezza.«Però non ti so dire come sia venuto qui. Ma forse…» Sonic si rattristò quando ripensò al suo sogno. Con forza strinse i pugni cercando di reprimere le immagini del suo mondo natale invaso dalle fiamme e sperare che i suoi amici stessero bene. «Devo tornare subito…»
«Come?»
«Voglio essere sicuro che i miei amici stiano bene e che naturalmente lo sia anche Mobius. E’ una distesa verde davvero stupenda, sai? Correre lì è semplicemente fantastico! Però…» I suoi occhi colmi di preoccupazione incontrarono quelli curiosi di Veritas. «Questa notte forse ho ricordato qualcosa. Qualcuno ha tentato di distruggere il mio pianeta e forse è la stessa persona che mi ha catapultato qui.»
«Wow. È una storia così incredibile che quasi fatico a crederci. » in effetti, pensò Veritas, dovrei credere a tutto questo?
«Ti giuro che questa è la pura verità. Parola di riccio!» disse facendosi una croce sul cuore con un indice.
 «Tranquillo ti credo. Semplicemente… mi sembra così assurdo. Oh, il telefono.»
Dopo tre squilli, Veritas lasciò la cucina per raggiungere il telefono all’ingresso. Sonic dalla porta del salotto vide la ragazza farfugliare alla madre con fare eccitato per un’uscita familiare del giorno dopo ( Mist Lake. Al riccio quasi faceva ridere. Gli sembrava un nome per una giostra del terrore), ma poi tutta quella felicità scomparve e venne rimpiazzata con un sorriso forzato e una finta risata. Con un triste allora ci sentiamo Veritas mise giù la cornetta del telefono, abbassando la testa.
«Ehi che cosa è successo?» Domandò l’amico blu.
«A loro non importa…» sussurrò lei.
«Ma di cosa.... Ehi!»
La ragazza scansò Sonic e corse sulle scale per andare nella sua stanza. Sonic la raggiunse in un attimo e la sorprese a singhiozzare vicino alla finestra.
Imbarazzato, Sonic si grattò la nuca. Non era mai riuscito a sostenere simili situazioni, neanche con Amy su Mobius, eppure qualcosa doveva pur dire, anche solo una parola. «Andiamo, che è successo?»
«Anche questa sera i miei genitori non ritornano. E la promessa di portarmi a fare un giro in città è saltata… Tutto per il loro lavoro.» disse Veritas indicando con gli occhi una foto sulla scrivania.
Sonic la prese in mano ed esaminò le tre figure raffigurate. Un uomo dai capelli scuri che indossava un paio di occhiali da sole quadrati, una donna bionda dagli occhi azzurri e una ragazzina castana che sorridevano mentre pescavano.
«Sono i tuoi genitori? Caspita! Assomigli molto a tua madre!» tentò Sonic.
«Lo dicono tutti, ma la verità è che non ci assomigliamo per niente.»
«Dai, non puoi dire così…»
»Io non sono la loro figlia naturale.»
«Oh… Ok. Questo cambia tutto. »
«Venni adottata a cinque anni. Non ricordo nulla dei miei veri genitori. Loro due appena mi videro si affezionarono.»
«E scusa dov’è il problema? »
«Be’, in effetti non dovrei lamentarmi… forse il problema è solo mio. Scusami.»
«E di cosa? Mi spiace solo di vederti così.»
Veritas prese a guardare il sole che tramontava, il cielo tinto di rosso che preannunciava l’arrivo della sera. Quella bellezza naturale pronta per essere ammirata venne deliberatamente ignorata dalla ragazza, in quanto preferì rimuginare sulla sua vita ormai cambiata per l’ennesima volta. «È sempre la stessa storia. I miei genitori sono stimati ricercatori di pietre preziose, ma non quei soliti avidi che cercano in tutti i modi di arricchirsi, loro sono stimati e ammirati da tutti perché lavorano duramente anche nelle miniere scavando. Sono delle persone oneste e grandi lavoratori, però…»
Sonic le si avvicinò e con un dito asciugò l’ultima lacrima sulla guancia di Veritas .«E allora smettila di preoccuparti! Vedrai che questa gita la farete. Non possono amare di più il loro lavoro che te, non pensi?»
Il sorriso deciso del riccio rincuorò la ragazza che lo ricambiò. «Grazie.»
«Figurati!»
Quel momento liete venne improvvisamente interrotto da uno scossone che in pochi secondi si trasformò in un terremoto.
«Che succede?!» chiese impaurita Veritas.
«Un terremoto!»
Aggrappata all’amico blu, i due si ripararono sotto la scrivania. Mensole e quadri caddero dalle pareti. Fortunatamente il tutto durò poco più di un paio di minuti.
«Mamma mia che paura.»
«È normale un terremoto da queste parti?»
Veritas alzò le mani innocente. «Non chiederlo a me. io sono qui da poco.»
Usciti dal loro nascondiglio, la ragazza si precipitò a raccogliere a malincuore tutti gli oggetti che in quei giorni era riuscita a sistemare, mentre Sonic spalancò la finestra e scrutò l’ambiente circostante. «Bene. Fuori sembra tutto a pos-… Ma cosa?»
Raccolti gli ultimi pezzi di vetro, Veritas si avvicinò alla finestra incuriosita. «Qualcosa non va?»
Il riccio ignorò la domanda per concentrarsi su ciò che aveva attirato la sua attenzione. Nei pressi della foresta al di là di due colline, delle scie rosse a lui familiari lo fecero sorridere.
« Ma quello è…»
«Sonic, che succede?» provò di nuovo la ragazza.
«Veritas, aggrappati a me!»
«Eh? Cosa? Perc-… Ah!»
E dopo l’ennesima domanda ignorata, il riccio prese sulle spalle Veritas e uscirono. Paura e freddo scesero subito in secondo piano, non appena la ragazza sentì l’adrenalina ribollire nel suo corpo al richiamo di quella velocità disumana.
«Oddio! Non ci posso credere!» urlò ad occhi chiusi Veritas.
«Ti ci abituerai» scherzò Sonic. «Forza! Sono lì!»
Arrivati alla foresta, la ragazza barcollò un paio di volte prima di seguire l’amico blu. Più andavano avanti, più sentivano dei rumori metallici assordanti.
«Adesso mi vuoi spiegare che cosa succede?» provò Veritas per la quarta volta.
«Tra poco lo scoprirai!» Sonic prese al volo la mano di Veritas e con un balzo evitarono un albero in procinto di cadere su di loro. Era un salto di almeno venti metri, da cui i due poterono vedere benissimo in mezzo alla selva un robot della loro stessa altezza, armato di tenaglie e occhi laser, che combatteva contro un riccio nero striato di rosso.
Scie rosse attirarono l’attenzione degli occhi di Veritas, rimasta impressionata dalla velocità con cui attaccava il nemico di metallo. «Ehi Sonic! Quel riccio lo conosci? Ti assomiglia!»
«Sì, è Shadow! Uno dei miei compagni!» Sonic si lasciò cadere con Veritas in preda al panico. Toccato terra disse alla ragazza, ancora sconvolta, di nascondersi dietro ad un albero e andò all’attacco, in aiuto dell’amico. «Vuoi per caso una mano? » Il riccio blu saltò addosso al robot disorientandolo con una serie di attacchi.
Shadow rimase sbalordito all’arrivo del rivale. «S-Sonic?! Tu che ci fai qui?! Levati!»
«Ehi datti una calmata! Ti sto dando una mano!»
«Non è questo il problema! Nasconditi, questo qui cerca proprio te! Ah!» Distratto, Shadow venne scaraventato sul tronco di un albero vicino.
«Shadow!»
«Ti ho detto di nascond-… attento!»
Una delle tenaglie venne sostituita da un cannone pronto a colpire. Un’aura violacea allarmò i due ricci.
«Oh, cavolo…»
«Spostati, Sonic!» Shadow allontanò Sonic dal mirino con uno spintone e venne colpito in pieno dal un bagliore viola al suo posto.
«Shadow!» urlò il blu in mezzo alla cortina di fumo. «Shadow, rispondimi! Dove sei?!»
Poiché impegnato a ritrovare l’amico, il robot ne approfittò per puntare nuovamente la pericolosa arma sul soggetto iniziale.
«No Sonic! Attento!» lo avvertì invano Veritas, che assistette all’attacco. «No!»
«Soggetto identificato» parlò la macchina. «Sonic the Hedgehog: neutralizzato.» Aggiornata la sua missione, il robot prese il volo allontanandosi  dalla foresta ricoperta da una spessa cortina di fumo.
Veritas tossicchiando andò alla ricerca dell’amico blu e del suo compagno. «Sonic! Dove sei! Rispondi!»
«Maledetto!E’ colpa tua!»
«Ehi, vacci piano! Dai Shadow! Ti ho detto che mi dispiace!»
«No, invece! Ma tu guarda cosa mi è toccato fare per te! Invece di startene lì dovevi scappare, idiota!»
Sorpresa e sollevata,Veritas captò due voci incredibilmente somiglianti davanti a lei. Riconobbe Sonic dalla risata. «Eccoli!»
Avvistate due figure in controluce bisticciare,Veritas capì che dovevano essere loro. Man mano che il fumo si disperdeva, riuscì a distinguere la testa blu di Sonic e quella bicolore del nuovo arrivato Shadow, ma non appena si ritrovò davanti ai due, la ragazza spalancò gli occhi dallo stupore. «Sonic?» chiamò lei insicura e sconvolta nel ritrovarsi due ragazzi della sua età fare wrestling invece di due porcospini.

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Capitolo 3
*** Genitori in trance ***


A casa True l’atmosfera divenne pesante. Sonic se ne stava in un angolo a massaggiarsi il collo ancora dolorante, mentre Shadow mangiava in silenzio altri hamburger preparati da Veritas. I due parevano essere tranquilli, mentre la ragazza era sconvolta dalla trasformazione dei ricci appena conosciuti.
O sto diventando pazza o due creature venute da un altro pianeta hanno appena combattuto contro un robot e si sono trasformati in esseri umani, pensò lei intanto che esaminava l'effetto della presunta trasformazione.
Al di là del nuovo aspetto antropomorfo e i vestiti color celeste, l'unica cosa rimasta di Sonic era la forma dei suoi capelli che richiamava gli aculei da riccio. Per quanto riguardava Shadow, nero e rosso erano i colori predominanti, ma ciò che sorprese maggiormente Veritas fu l’incredibile somiglianza fisica e del timbro della voce. Fratelli gemelli, pensò. Poteva essere una spiegazione.
Veritas non riusciva a credere a quante cose stavano accadendo nel giro di pochi giorni. Solitamente ogni volta che veniva lasciata da sola dai genitori, si era sempre ritrovata a occupare il tempo sistemando quel che poteva in casa o, se le era possibile, visitare la nuova città da sola, non si sarebbe mai sognata di sentire un riccio blu parlare e vedere un robot trasforma- ricci. Perlomeno, ora nulla poteva più sorprenderla e continuare a pensare quanto fosse assurda quella situazione non serviva più a niente, si disse. Tanto valeva sistemare la questione facendo più domande possibili. Il problema era: come iniziare?
«Allora… adesso come la mettiamo?» tentò.
Shadow finì di inghiottire l’ultimo boccone. «Ora che ho finito di mangiare… posso uccidere senza problemi quell’idiota di Sonic!»
Già pronto con una pistola in mano (Dio solo sapeva da dove l'avesse tirata fuori), Veritas lo prese subito per un braccio. «Ehi!Datti una calmata, ok?!»
Sonic schioccò la lingua irritato. «Quante volte te lo devo dire che mi dispiace? Non potevo sapere che sarebbe successo… questo!» si indicò.
«Be’,io lo sapevo!»
«E si può sapere perché non me lo hai detto?»
«Se mi avessi lasciato finire con quel robot, forse non sarebbe accaduto!» gli ringhiò il moro.
«Oh, scusami se volevo darti una mano!»
«Per favore! Non litigate! Si può sapere quanti anni avete?!»
«Io di sicuro sono più maturo di questo qui tutto celeste!»
«Ma sentitelo il vecchietto di cinquant’anni!»
«Cinquan-... ADESSO BASTA!» battuto un pugno sul tavolo, i due ragazzi susultarono e si voltarono in silenzio  verso una Veritas arrabbiata. «Ora volete calmarvi e riflettiamo un attimo? Adesso preparo una bella tazza di cioccolata calda. State buoni, va bene?»
Shadow e Sonic si guardarono confusi e annuirono.
 
Nell’aria si sentiva ancora l’odore di olio per motori. Il cielo era completamente invaso da una spessa cortina di fumo nero e di tanto in tanto delle esplosioni rimbombavano in quella spiaggia desolata come fuochi d’artificio.
«Non posso crederci… è ancora lì.» Una figura incappucciata camminava sulla morbida sabbia assaporando quel breve momento di distrazione dalla missione. Inspirò a pieni polmoni quel poco di aria marittima che restava e sorrise, ma quando arrivò davanti alla navicella spaziale, la sua espressione s’indurì.
«Allora pure una come te è in grado di fare quell’espressione. Meno male.» disse incredula una voce seducente.
«Sta’ zitta» l'ammonì la donna.
«Calmati, cara. Non era un’offesa.» Dall’ombra sbucò a suon di tacchi una ragazza in tuta aderente viola, scuotendo i capelli argentati e mostrando le sue enormi ali da pipistrello. Gli occhi verde-acqua brillavano sotto la luce della luna e le labbra carnose erano deformate un sorriso.
«Tu sei Rouge the Bat. Che sorpresa vederti. Ti sei fatta colpire dal raggio?»
«Ebbene sì, ero curiosa di vedere come sarei venuta fuori. E devo dire che da umana non sono niente male. Hai visto? Ho pure cambiato vestito.» disse la pipistrella mettendosi in posa.
«Se sei contenta così…»
«Forza, entra. Il dottore sta ancora lavorando ma…»
Un’esplosione distrusse la porta principale della navicella.
«Senza risultati.»
«ACCIDENTI! UN ALTRO FALLIMENTO! CHE COSA HO SBAGLIATO! IL FILO ERA QUEL… TU??!!» il dottor Eggman lasciò cadere le innumerevoli chiavi inglesi, tremando alla vista dell’incappucciata e si prostrò ai suoi piedi. «T-ti prego, non uccidermi! Ho fatto tutto quello che volevi!L-lasciami andare!» implorò falsamente.
«Sono proprio venuta per vedere se ne te n’eri andato, ma a giudicare da questo postaccio» ,diverse infrastrutture caddero dal soffitto, «non sei ancora pronto.»
«Be', sai com’è… non è così facile andarsene con una navicella distrutta.» Eggman si grattò la nuca imbarazzato.
«Io non me ne intendo. Sono cose troppo complicate.» L’incappucciata si tolse il soprabito tossicchiando per il fumo. Sciolta la coda di cavallo, lasciò che i suoi lunghi capelli corvini cadessero lungo i fianchi.  I suoi occhi viola si rispecchiarono nei piccoli occhiali del dottor Eggman. «Basta parlare. Visto che sei ancora qui posso darti un lavoretto da fare con loro.» ai piedi della ragazza si materializzarono dal nulla dei piccoli portali, da cui uscirono fuori delle piccole creature simili ad insetti.
Inorridita, Rouge salì su una delle macchine di Eggman, mentre quest’ultimo ne rimase affascinato. «Davvero delle creature curiose. Sono le stesse creature che hanno formato l’illusione su Mobius, giusto?»
«Hai un’ottima osservazione, professore.»
«Non è stato difficile capire che quel fuoco, e tutto il resto fosse finto. Dopotutto io sono un genio» ridacchiò compiaciuto l'omone, ignorando gli sguardi cinici delle due ragazze che gli ordinarono di smetterla. Schiaritosi la voce, si zittì accarezzandosi i baffi.
«Ora che hai finito di fare l’idiota, procura delle corazze per loro e nel momento in cui saranno pronte daremo inizio all’attacco.»
«Cosa? Di nuovo?»
«Devo proprio ammetterlo, le tue… macchine funzionano. Difatti dovrai costruire un altro di quegli enormi robot. Mi saranno molto utili.»
«Ehi, ma non dirmi che tutta questa roba è per Sonic?»
«Esatto.»
«Non saranno… un po’ troppi?»
«Mi sembrava di capire che a te quel topastro non piaceva, no?»
«Beh… è così…»
«Allora, zitto e lavora se non vuoi che ti uccida davvero!» Detto ciò, la misteriosa tiranna si vestì di nuovo e uscì dalla navicella, lasciando Eggman pensieroso. Nella mente del genio malvagio si annidarono pensieri su pensieri, tra cui il giorno in cui arrivò lei, intenta ad uccidere il suo acerrimo nemico, Sonic. Perché non lo uccise all’istante? Perché trasportarlo sul mondo degli esseri umani trasformandolo come uno di loro? Tutte quelle domande confondevano Eggman e rivalutavano persino ciò che stava facendo, non sapendo più se fosse giusto o sbagliato.
«Ebbene,che intenzioni hai?» chiese Rouge come se lo avesse letto nel pensiero.
«In che senso?»
«Hai un’occasione per distruggere Sonic e sei indeciso? Ma che ti prende?!» lo sgridò adirata. «Non era da sempre il tuo sogno?»
«Tu non capisci, Rouge» il dottore si avvicinò agli insetti illusori. «Qua c’è qualcosa che puzza. E io devo scoprire cos’è. Dopotutto, siamo stati messi alle strette anche noi, no? Chi ci garantisce che non ci stia mentendo?»
Rouge alzò le spalle. «Non mi interessa a cosa le serviamo. L’importante è che mi paga.»
«Oh, piccola pipistrella accecata dall’oro. Sai, temo che potresti fare la stessa fine di una falena attirata da una fiamma.»
«Mi hai dato dell’insetto, vecchio?»
«È vero. Io voglio eliminare Sonic, ma lo voglio fare a modo mio. Quella donna nasconde qualcosa di sicuramente molto pericoloso non solo per Sonic, temo.»
 
I tre ragazzi sorseggiavano con calma una tazza di cioccolata fumante. I primi a finirla furono Sonic e Shadow che ancora non si erano riconciliati.
«Oh, andiamo… non potete finirla adesso? Ormai è successo. Il caso dovrebbero essere chiuso.»
«Io sono tranquillissimo!» Ammise Sonic. «Anche se devo ammettere che questa è la prima volta che mi vedo in queste vesti. Mi fa un po’ strano,ma ormai ci sono abituato.»
«Il mio problema non sta nel mio aspetto, ma il tempo che ho sprecato per proteggere questo qui!» disse Shadow squadrando il blu con i suoi occhi rossi.
«Aspetta, in che senso proteggerlo?» chiese Veritas.
Un po’ scocciato Shadow mise i gomiti sul tavolo e cominciò a raccontare il suo arrivo sulla Terra. «Sono atterrato qui tre giorni fa. Non sapevo dove andare così mi misi in viaggio per capire dove fossi e capii subito che non ero più su Mobius. Il giorno dopo mi attaccò un robot simile a quelli di Eggman, ma con un’arma in più.»
«E quale sarebbe?»
«Quella che ci ha ridotto così: per puro caso uno dei raggi colpì uno scoiattolo che si trasformò in un bambino.»
«Pazzesco!»
Prima di continuare, il moro fulminò Sonic per l’ennesima volta. «Quel catorcio in realtà cercava solo te ma ha continuato a mirare il sottoscritto!»
«Non è colpa mia se ci assomigliamo.»
«Taci, impostore.»
«Immagino… che anche tu non ti ricordi che cosa successe nel vostro mondo, giusto?» si intromise Veritas.
«Queste sono cose che non ti riguardano.» gli rispose sgarbatamente Shadow. «Non appena troveremo una soluzione ce ne andremo.» alzatosi dalla tavola, si diresse nel salotto con le braccia incrociate e con fare da prepotente.
«Che caratterino.» commentò la ragazza facendo delle smorfie. «Ma è sempre stato così?»
«Non stare a guardare il suo lato oscuro, Veritas.» ridacchiò Sonic. «Ti posso assicurare che non è sempre così. È solo che a lui piace stare da solo. In più se si parla di dimenticare, è meglio non parlarne davanti a lui.»
«Perché?»
«Be’, in passato ha avuto dei problemi con la sua memoria. Una storia un po’ complicata.»
«Passato… A proposito! Prima hai detto che ha cinquant’anni. Ma scherzavi, vero?»
«Ah, no.  Niente affatto.» disse lui con tranquillità.
«Cosa?!»
Sonic zittì la ragazza tappandole la bocca con una mano e con la coda dell’occhio controllò che Shadow fosse occupato a fare altro. Fortunatamente era assorto nei suoi pensieri guardando fuori dalla finestra. «Ecco vedi… come spiegarlo. In realtà lui è una forma di vita creata circa cinquant’anni fa, anche se ne dimostra quindici in realtà è un riccio di mezza età. Ma comunque è meglio non soffermarci su questi dettagli.»
«Cinquanta… pazzesco.»
«Ehi voi due.» disse Shadow ritornando il cucina. «Si sta avvicinando una macchina.»
«Oh no… Sono i miei genitori!» si allarmò Veritas.
“Eh? E qual è il problema, scusa?» domandò Sonic innocentemente.
“Qual è il problema, mi chiedi?! C’è un grosso buco nel giardino e in casa ci sono due completi estranei, ovvero voi due!»
«Ma non dovevano ritornare domani?»
«Per questo sono nel panico! Voi due, nascondetevi di sopra!»
«Scordatelo. Io non  mi nascondo per una sciocchezza del genere.» disse con freddezza Shadow.
«Cos-… non è il momento di fare l’antipatico! Dammi ascolto!»
Ignorata la ragazza, Shadow si mise davanti a lei e a Sonic con le braccia incrociate al petto
«Ehi. Che intenzioni hai, Shadow?»
« Stai buono lì, Sonic. Ci penso io. Lasciate che entrino.»
«Ma… che cosa è successo qui? Cos’è quel buco nel giardino?»
«Non è ho idea, caro. È come se… fosse caduto qualcosa. Andiamo subito da Veritas.»
«Oh, no. Ora sono nei guai.» disse Veritas a denti stretti.
Dalla cucina si sentì la chiave girare due volte nervosamente e due voci adulte che si avvicinavano pericolosamente alla stanza.
«Veritas, tesoro? Stai bene?» chiamò la madre.
«Eccoli!»
«Bene.» Sogghignò Shadow.
All’arrivo della madre, carica di pacchi e borse di carta, Veritas incrociò il suo sguardo preoccupato. «Tesoro, siamo tornati prima del previsto! Che cosa è succ-… Cosa? Tu… chi sei?» chiese sorpresa alla vista di Shadow. La donna lasciò cadere i pacchi sbigottita portandosi le mani alla bocca, vedendo lo sguardo scarlatto del moro e balbettò al marito che fece cadere bruscamente il cellulare.
L’uomo si mise davanti a sua moglie e guardò con aria di sfida il ragazzo vestito di nero. «Chi diavolo sei? Che ci fai  in casa nostra?!»
«Sono qui per caso» gli rispose di rimando. «Non staremo qui per molto.»
I True non poterono non notare anche un ragazzo dai capelli blu e sua figlia atterrita.  «Veritas!»
«Papà! Lasciami spiegare!»
«Lasciate subito mia figlia! O altrimenti…»
«Altrimenti cosa?» Shadow impugnò nuovamente la pistola puntandola contro il padre di Veritas, zittendolo. Sia la madre che Veritas si lasciarono scappare un urlo. Sonic si preparò a bloccare Shadow. « Adesso basta, Shadow! Ho aspettato abbastanza. Stai esagerando!»
«Sonic, chiudi subito gli occhi. Fallo anche tu, ragazzina.» ordinò Shadow.
«Cosa?»
«Fatelo! Ora!»
Al richiamo, i due ragazzi ubbidirono e chiusero gli occhi. Shadow, tenendo sempre d’occhio l’uomo, tirò fuori dal colletto della maglietta una catenella con attaccata una pietra rossa. Alzato il braccio, essa prese a pulsare e ad illuminare la stanza con una luce color porpora. Entrambi i genitori rimasero affascinati da quella luce.
«Credo che così vada bene.» Shadow ripose la pistola dentro la giacca, la pietra smise di irradiare la cucina, i due adulti però parevano ancora incantati. «Ehi, voi due. Potete aprire gli occhi.»
Veritas un po’ esitante aprì lentamente le palpebre, subito dopo tirò un profondo respiro di sollievo quando vide che i suoi genitori stavano bene. Pur sembrando due statue di marmo.
«Wow. Ora ci spieghi il trucco? Blocco del tempo?»
«Fai poco lo spiritoso, impostore, e comportati come se non fosse successo niente. Stanno per svegliarsi.»
I tre ragazzi si misero a sedere e nel momento in cui erano pronti con una posizione del tutto naturale. I due corpi inerti cominciarono a muoversi un po’ disorientati
«Oh santo cielo! Che disastro! Mi sono scivolati i regali per Veritas!» disse la donna abbassatasi per raccogliere le buste.
«Che ci fa il mio cellulare sul pavimento?» seguì il padre disorientato.
«Veritas! Potresti scend… ah, sei qui!»
La ragazza rimase immobile con il cuore in gola, mentre la madre aggrottò la fronte davanti al blu e al moro striato di rosso.
«Ma… cosa…»
«Mamma, ti prego. Mantieni la calma. Posso… spiegare.» tentò Veritas alzandosi.
 «Ah!Ma voi due siete i figli di Gerald! Il mio fratellastro!» disse la madre allagando un sorriso.
«Oh santo cielo… Hai proprio ragione, cara!» la assecondò il padre aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Veritas cercò spiegazioni attraverso Sonic, che le rispose alzando le spalle.
«Si, esatto. Io sono Shadow e questo è mio fratello gemello Sonic.» rispose con naturalezza Shadow.
«Fratello geme… ? ahi!» manda a monte tutto e sei morto, fu quello il significato della pedata di Shadow a Sonic.
«Siamo arrivati qui con una settimana di anticipo.»
«Ma pensa! Stavo giusto parlando con vostro padre! Ma credo di aver accidentalmente interrotto la conversazione…»
«Quanto vi siete fatti grandi! Non vi vedo da quando avevate tre anni! Eravate così carini! Be’, Veritas. Doveva essere una sorpresa ma… ti presento i tuoi cugini! Facci amicizia, ok?» disse la madre allegra.
«S-sì…» Veritas fu l’unica a non riuscire ad assecondare quell’ambigua situazione, che preferì limitarsi a sorridere e annuire. Dopo un po’ Sonic cercò di stare dietro alle domande dei suoi genitori senza problemi con risposte veloci, così fece anche Shadow.
La serata andò avanti fino alle dieci di sera quando una chioma bionda e riccia non si accorse della non partecipazione di Veritas, che era ancora persa nel vuoto. «So che ne sei sconvolta. Dopotutto hai appena conosciuto dei parenti al di fuori di noi: a dirti la verità sono parecchi anni che non sentivo tuo zio Gerald.»
«Ma no mamma, sono contenta! Credimi!» sorrise la ragazza.
La donna increspò le labbra in un piccolo sorriso e abbracciò amorevolmente la figlia. «Mi dispiace per la gita di domani. Davvero. Anzi, mi dispiace per tutto, Veritas. So che per te non è mai stato facile tutto questo.»
Veritas accolse impotente quell’abbraccio, tenendo sotto controllo le lacrime in procinto di scendere. Che fosse l’effetto di ciò che Shadow aveva fatto ai suoi genitori? Oppure era tutto vero?
Con la coda dell’occhio Veritas vide Sonic farle l’occhiolino e mimare con la bocca: te l’avevo detto.
Veritas sorrise. « È tutto a posto, mamma. Non preoccuparti.»
«Ma prima che inizi la scuola» il padre le si avvicinò per stamparle un bacio sulla fronte. «Stai pur certa che passeremo una bellissima giornata tutti insieme.»
«Grazie, papà.»
«Ok. Bene ragazzi! E’ meglio andare a letto, si è fatto tardi. Veritas, mostra le loro stanza a Shadow e Sonic. Puoi? »
La ragazza annuì serena e fece cenno ai due cugini di seguirla al piano di sopra.

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Capitolo 4
*** Incubo o realtà? ***


«Non posso darvi uno dei miei pigiama – a meno che non vi piaccia il rosa – perciò vi dovrete accontentare di questi.»
«Per me vanno benissimo!» dichiarò Sonic contento.
«Pur essendo una ragazza hai dei vestiti del genere?» commentò Shadow con un sopracciglio alzato.
«Ehi, sii gentile con lei, Shadow! Dopotutto ci sta dando una mano!»
«Si, come vuoi.»
«Beh, i gusti sono gusti» rispose a tono Veritas.
Quando Sonic e Shadow finirono di cambiarsi con un paio di tute da ginnastica, i tre ragazzi entrarono nella stanza di Veritas per scoprire finalmente cosa Shadow avesse fatto hai suoi genitori e  perché ora reputassero lui e Sonic suoi cugini.
«Allora.. adesso ci vuoi spiegare come hai fatto? Hai usato l’ipnosi?»
«Precisamente.» Shadow si sedette sul letto e mostrò nuovamente la pietra rossa che portava al collo. Apparentemente sembrava una semplice pietra deforme color rubino, eppure dentro di sé si nascondeva un potere segreto e incomprensibile
«Wow… bella bigiotteria!» disse sarcastico Sonic.
«Guarda che dovresti avercela anche tu,sapientone.»
«Cosa? Io?»
«Ehm… Sonic.»
«Si, Veritas?»
«Lo sai che hai ancora una benda sul collo?» la ragazza indicò con l’indice la striscia di garza. Sonic si avvicinò allo specchio per toglierla e tutti e tre rimasero a bocca aperta: attorno alla gola pendeva un girocollo fatto con un nastro nero e una pietra ovale blu scuro al centro.
«Oh no!» Sonic lo esaminò più da vicino guardandosi allo specchio, cercando di levarselo a strattoni, ma senza risultati.
«È tutto inutile.» sbuffò il moro. «Ci ho provato anche io con la mia catena.»
«Mi da fastidio! Sembro un cagnolino!»
«Woof
«Lo trovi divertente?»
«Esilarante.»
«Se provate a litigare di nuovo, vi butto fuori di casa…»
«Ad ogni modo, ora vi spiegherò che cosa è successo a quei due umani.»
Sonic e Veritas si sedettero sul parquet davanti a Shadow pronti ad ascoltarlo.
«In realtà non ho idea che cosa sia questa roba, ma so solo che me la sono ritrovata al collo lo stesso giorno in cui sono atterato qui. Non so bene a cosa serva, a parte che è in grado di ipnotizzare chiunque.»
«Wow… dici che sarò capace di farlo anche io?» domandò Sonic.
«Probabile.»
«Fantastico!»
«Avrei una domanda» Veritas alzò la mano. «I miei genitori per quanto rimarranno così?»
«Non ne ho idea. Probabilmente finché non lo deciderò io» Shadow si alzò, pronto per uscire dalla stanza. «Bene, credo che ora andrò a dormire. Domani dobbiamo metterci a perlustrare la zona, Sonic.»
«Non hai voglia di restare a parlare ancora un po’? Ci siamo appena rincontrati dopotutto.»
Il moro inarcò un sopracciglio davanti allo sguardo da finto innocente del suo rivale. «Non se ne parla, impostore. Ti ho già detto che vado a dormire.»
«Quanto sei antipatico.» disse Sonic con fare infantile.
«Con te? Sempre.» e uscì, chiudendo la porta dando le spalle.
«Com’è possibile che voi siate compagni?» chiese Veritas irritata dal comportamento del riccio nero.
«Te l’ho detto. È una storia un po’ complicata. Però, anche se abbiamo ancora degli alti e bassi, posso affermare che è dalla parte giusta. Non ti sto a raccontare tutto. Altrimenti mi ucciderebbe sul serio.»
«Perché ti da dell’impostore?»
Sonic fece spallucce sorridendo. «Ormai è diventato il mio soprannome ufficiale. Se chiamarmi così lo fa sentire meglio, allora mi sta bene.»
«Oh, capisco. Lo ammetto, non pensavo che l’avresti presa così bene. Voglio dire, sei molto rilassato nonostante tutto ciò che è successo finora.»
«Tu dici? Sarà il mio carattere. Non mi faccio intimorire così facilmente, neanche da una simile trasformazione o da queste collanine magiche. Ormai me ne sono capitate di tutti i colori che mi sembra di vivere una routine quotidiana.»
«Davvero?»
«Puoi dirlo forte!» Sonic iniziò a raccontare sotto gli occhi increduli dell’umana alcune delle sue più incredibili avventure sul suo pianeta Mobius, nello spazio e dei suoi innumerevoli viaggi nel tempo. Raccontò dei suoi diversi nemici, di come li sconfisse e di come si salvò per un pelo.
«È davvero fantastico! Incredibile! Ma c’è solo una cosa che non riesco ad immaginare.»
«Che cosa?»
«Insomma… quell’Eggman. A me viene in mente un uomo dalla forma ovale.»
Sonic sogghignò divertito. «Sappi che ci sei andata vicina!»
«Che vuoi dire?»
«Hai presente l’uovo alla coque?»
Annuì.
«Ecco. Ora immagina che due strette e lunghe gambe e metà del corpo formino un portauovo, mentre l’altra metà del corpo è l’uovo bollito. Aggiungici dei baffoni e un paio di occhiali tondi  e il gioco è fatto!»
Veritas focalizzò prima il portauovo dal gambo lungo e stretto con sopra l’uovo, poi s’immaginò un uomo sulla base di quella forma aggiungendo i piccoli dettagli e… scoppiò in una fragorosa risata. «Caspita, è un po’ sproporzionato!»
«È quello che penso anche io!»
Sonic si lasciò cadere sul morbido letto di Veritas con le braccia dietro la nuca e un sorrisetto soddisfatto sul volto. «È un tipo incorreggibile. Dico sul serio! Ogni volta cerca in tutti i modi di conquistare Mobius.»
«E ovviamente tu lo hai sempre sconfitto.»
«Certo!» Sonic  prese a fissare il soffitto e man mano che ricordava quello scellerato di Eggman, anche le immagini dei suoi amici fecero capolino nei suoi pensieri. Il sorriso sul volto dell’orgoglioso riccio svanì all’istante.
«Ti mancano i tuoi amici, non è vero?»
Sonic si alzò dal letto e guardò dritto negli occhi l’umana forzando un sorriso. «Voi ragazze siete formidabili! Riuscite sempre a capire cosa passa per la testa di noi maschi. Incredibile!»
«Non esagerare. Ad ogni modo te lo si legge in faccia. Devi stare tranquillo. Sono sicura che li raggiungerai presto.»
«Forse sono atterrati qui» disse il blu con una punta di entusiasmo
«Tu dici?»
«Se Shadow si trova qui, allora vuol dire che sicuramente ci sono anche gli altri. Per questo voleva perlustrare la città!»
«Ah, capisco!»
Involontariamente, Sonic sbadigliò. «Ok, ora comincio ad avere sonno… Veritas, ci si vede! E’ stato un piacere parlare con te!»
«Anche a me! Buonanotte Sonic.»
Quando il ragazzo uscì dalla stanza Veritas Sbadigliò un paio di volte e si infilò sotto le coperte contemplando il cielo limpido della notte senza nemmeno una nuvola. In quel blu c’era solo l’enorme luna che illuminava la stanza della ragazza con una tiepida luce argentata. Non appena Veritas chiuse le palpebre, cadde nel buio più totale.
 
«Se partirai prima non ti prenderanno mai. Stai tranquilla.» una donna dai capelli castani cercò di rassicurarmi con quel tono così familiare che per un istante le miei mani smisero di tremare, ma rabbrividii quando vidi quella bruttissima linea di sangue che scendeva dalla sua tempia sinistra.  Nonostante quel sorriso di conforto, ormai ero certa che non saremmo mai riusciti a scappare.
Una folla inferocita batteva freneticamente sull’uscio e con delle pietre tentavano di rompere le finestre. Senza farmi notare mi avvicinai ad una di esse e i miei occhi rimasero per un attimo accecati dalle fiamme che avvampavano sempre più forte. Quella città, così bella e splendente, composta da edifici fatti di preziosissimo marmo color perla, ora bruciava e si colorava di nero. Il cielo era tempestato di meteore incandescenti.
La donna mi allontanò con uno strattone dalla finestra. Mi prese per mano e cominciammo a correre verso il piano di sopra. Dalle scale si sentivano la porta spalancarsi di botto e delle voci che si avvicinavano sempre di più.
Urlai tra le lacrime che erano entrati.
«Non faranno mai in tempo, fidati!»
Raggiungemmo la soffitta e,aperta la porta di legno, ne notai subito un’altra di metallo proprio davanti a noi.
Domandai spaventata che cosa fosse.
«Non lascerò che ti portino via, scappa. Ora!»
Le chiesi perché non venisse con me.
«Io non posso. Questo effugium basta per una sola persona.»
Io mi opposi scuotendo la testa.
«Non pensare a me, tu va.»
Lei tra le lacrime mi baciò sulla fronte, mentre io l’abbracciai implorandola di venire via con me.
«Devi vivere» la donna aprì la pesante porta di ferro e un vento impetuoso mi risucchiò all’interno di essa. Combatterlo era inutile poiché la corrente era troppo forte e  io non potei fare nient’altro se non vedere la donna piangere disperata, mentre veniva brutalmente picchiata dalla folla. Io, impotente, urlavo il suo nome, più e più volte…
 
«MAMMA!»
«Sono qui, Veritas. Va tutto bene.»
Veritas si alzò dal letto respirando a fatica, con la fronte bagnata di sudore e gli occhi velati li lacrime. A fianco a lei, c’era la madre che le teneva la mano preoccupata. «Hai avuto ancora lo stesso incubo?»
La ragazza annuì mentre la donna le accarezzò i capelli per  tranquillizzarla. «Non capisco… è strano. Perché mi succede?»
«Non pensarci, tesoro. E’ solo un sogno.» la signora True tirò fuori dalla tasca un flaconcino di medicinale. Veritas arricciò subito il naso. «Sì, lo so che non ti piacciono, ma le devi prendere ogni qualvolta che ti succede. Sono gli ordini del dottore.»
«È una perdita di tempo. Ormai sono mesi che continui a prenderle, ma non hanno alcun effetto.»
La donna le accarezzò i capelli dolcemente con un sorriso. «Ricordati di prenderli dopo aver mangiato qualcosa. D’accordo?»
Annuì.  «Che ore sono?»
«Sono le nove. Sonic e Shadow si sono svegliati di buon ora per fare un giro qui attorno.»
«Ah, capisco.»
«Io e tuo padre andiamo alla cava. Mi raccomando, chiudi bene la casa se uscite.»
«Ok.»
La madre prese tra le mani la testa della figlia e la baciò sulla fronte, un brivido percorse la schiena di Veritas che si ricordò l’immagine della donna castana in lacrime.  
Presa al volo la borsa, la ricercatrice uscì di corsa per raggiungere il marito l’aspettava già dentro la macchina. Veritas si avvicinò alla finestra e vide Shadow vicino al cancelletto che salutava i suoi genitori.
Decisa, la ragazza si vestì alla svelta per scendere, prese dei biscotti e uscì di casa. Shadow era ancora lì, con le braccia incrociate assorto nei suoi pensieri guardando il cielo privo di nuvole.
Antipatico e arrogante. In poche ore Veritas era riuscita solo ad inquadrare quei due aggettivi per descrivere Shadow. Complice o no di Sonic, ancora non gli piaceva.
«Oggi… c’è bel tempo.» disse con la bocca piena di biscotti al cioccolato.
Il moro si girò di scatto rilassandosi. «Ah, sei tu.»
« Be’,ma buongiorno anche a te. Dov’è Sonic?»
«È lì, su quell’albero laggiù.» Un po’ scocciato, Shadow indicò un albero su una collina davanti alla casa. Il blu se ne stava sdraiato beato su un ramo.
«Ah, eccolo. Lo vedo.»
«Ma non mi dire.»
«Senti. È evidente che non ti piaccio, ma non c’è bisogno di rispondere in quel modo. Specialmente con la stessa voce di Sonic...»
«Non è colpa mia se quell’impostore mi assomiglia.»
«Uffa, ancora con questo impostore. Sonic ti considera un amico, non potresti farlo anche tu?»
«Taci, umana! Parli come se sapessi tutto, ma non è così! Chi ti credi di essere?!» ringhiò aggressivo Shadow. «Sei solo una ragazzina viziata che pretende che tutto vada secondo i suoi comodi.»
Stanca di essere offesa, Veritas alzò la voce a sua volta. «Oh, quando vuoi hai la lingua lunga,vero? Nemmeno tu mi conosci, quindi ti consiglio di ritirare quello che hai det-…» una vampata di calore e la perdita del respiro, costrinsero Veritas ad inginocchiarsi senza forze.
«Ma cosa? Ehi! Ehi, ragazzina!» la chiamò Shadow avvicinandosi. «Che ti succede?»
Annaspando in cerca di aria, Veritas prese subito il flaconcino di medicine e ne inghiottì subito due. Dopo pochi secondi, si sentì subito meglio. «Sto… bene.» disse con un filo di voce.
Shadow aiutò Veritas ad alzarsi e ad appoggiarsi alla ringhiera. «Non stai bene? Un attimo fa eri calda.»
«Cos’è, ora ti preoccupi per me dopo avermi insultata?»
Il ragazzo balbettò per poi distogliere lo sguardo. «Non… fraintendere.»
Veritas sorrise, davanti a quel velo d’imbarazzo. «Voi ricci siete proprio strani.»
«Ha parlato l’umana lunatica.»
Un fischiò richiamò l’attenzione dei due. Era Sonic, che agitava le braccia.
«Forza. Raggiungiamo Sonic.» disse Shadow, ritornando freddo e distaccato.
«Sì, tu vai avanti. Io voglio riprendere fiato.»
Shadow inspirò e annuì.
Rimasta da sola, Veritas contemplò per l’ennesima volta il cilindro di plastica. Ricordava perfettamente il giorno in cui iniziò a prenderle.
Se mai dovessero ripresentarsi gli stessi sintomi, due capsule basteranno a calmarti, così le disse lo specialista. Inizialmente la ragazza non credeva che delle insulse medicine  potessero curarla, o meglio, non credeva che un incubo l’avrebbe fatta sentire male per più di sei mesi.
Il ricordo quelle immagini di lei che scappava assieme a quella donna, per un momento spaventarono Veritas. Ogni notte sognava la stessa scena. Ogni notte si svegliava chiamando in lacrime… sua madre.
«Veritas, forza! Vieni!» la chiamò a gran voce Sonic ancora sul ramo.
Veritas scosse la testa e prese a correre per raggiungere i due amici, ignara della presenza sul  tetto di casa sua. La misteriosa incappucciata scrutava seria la figura minuta della ragazza. «Goditi finché puoi questi attimi di felicità, Veritas. Perché presto entrerai in scena tu.»

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Capitolo 5
*** Mist City ***


«Livello di carbonio?»
«Non è nella norma.»
«Densità?»
«Superiore ai 3,55 g/cm³. Decisamente superiore.»
«Voglio la cifra esatta.»
«24,7 g/cm³, dottor True.»
Aggiustatosi gli occhiali, il ricercatore,nonché scienziato, Anthony True verificò lui stesso i valori avvicinandosi ai monitor. Incredulo, fece scivolare le dita sulla tastiera in cerca di una soluzione razionale. «Maledizione. Abbiamo fatto ogni sorta di test, ma il risultato è sempre lo stesso.»
«E non è solo quello il problema» aggiunse Martha True, sistemandosi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. «Densità. Durezza. Reticolo cristallino. Sfaldatura. Dopo un tempo indeterminato che varia dai due ai quindici minuti, ogni caratteristica cambia di valore.»
Frustrato e stanco, Anthony si portò le mani fra i capelli. Erano ormai passati quattro giorni da quando arrivarono alla cava di Mist City e ancora non erano riusciti a scoprire le origini dell’enorme diamante, se lo si poteva chiamare così, trovato da degli operai.
Inizialmente forma e reticolo cristallino combaciavano alla perfezione, ma più provavano a studiarlo, più l’enorme minerale reagiva mandando in corto circuito computer e varie attrezzature. Nonostante la sua convocazione, persino la famosa coppia True non riusciva a capire la causa di tale fenomeno.
«E se fosse davvero materia extraterrestre?» ipotizzò preoccupata Martha.
«Ormai è diventata una possibilità.» gli rispose il giovane John Murray, assistente temporaneo della ricerca.
«Date le dimensioni e il colore particolare, non è assolutamente terrestre.» aggiunse Anthony. «Ma non possiamo arrenderci. Ci deve essere una spiegazione plausibile. Continuiamo con i test!»
Superato il momento di sconforto, i tre scienziati ripresero con le varie verifiche, stando al passo con i cambiamenti del diamante denominato CHAOS.
«Nulla ci impedirà di scoprire da dove viene.»
 
«Sonic! Ma come hai fatto ad arrivare la sopra?» chiese Veritas raggiunta la quercia.
«Arrampicandomi! Avere un corpo umano non è così male, anche se è stato piuttosto irritante venire qui. Dai vieni su! C’è una vista stupenda!»
La ragazza un po’ preoccupata ci pensò su. Aveva sette anni, quando si arrampicò per la prima volta assieme a suo padre e le parve di ricordare che a quel tempo era brava, ma chissà se lo era ancora.  Raccolto tutto il suo coraggio, Era pronta ad arrampicarsi, ma Shadow le prese un braccio per fermarla.
«Non credo sia una buona idea.» l’avvertì il moro.
«Non c’è problema. So come ci si arrampica.» lo rassicurò Veritas con un sorriso.
«Sai bene che non è quello che intendevo.»
«Ragazzi, qualcosa non va?» domandò spazientito Sonic.
«Forza Sonic. Scendi. È il momento di parlare di cose serie» ordinò il riccio nero e rosso.
Sonic sbuffò annoiato e scese saltando su un ramo all’altro. Atterrò proprio tra Shadow e Veritas. «Sei proprio un guastafeste, lo sai?»
«Non sono di certo io quello che ha rischiato di svenire.» disse ironico Shadow.
Veritas lo fulminò lo sguardo.
«Cosa? È successo qualcosa?» domandò preoccupato il blu.
«Non è successo nulla. Tranquillo.»
«Sicura?»
«Sì, certo. Parliamo d’altro.»
Attirata tutta l’attenzione su di sé, Shadow incrociò le braccia al petto e si appoggiò con la schiena all’albero.  «Dunque. Alla luce di ciò che è successo finora e ovvio che anche Eggman sia coinvolto in questa storia.»
«Scusa, perché coinvolto?» obiettò Sonic. «A parer mio è tutta opera sua.»
Shadow scosse la testa in disaccordo. «Eggman non è la mente di tutto ciò. Perché perderebbe tempo nel mandarci su un altro pianeta e trasformarci in umani?»
Sonic si grattò la nuca perplesso. «Be’, probabilmente ha escogitato un piano più… creativo! Ammettiamolo, di solito è sempre la stessa solfa!»
«Riesci mai ad essere serio per una buona volta?»
Sonic alzò le spalle. «Solo quando ne ho voglia.»
Esasperato, Shadow si massaggiò la fronte con una mano. «Ora capisci con chi ho a che fare ogni volta?» rivolto verso Veritas, che ridacchiò divertita. «Ad ogni modo, dobbiamo visitare la città e capire cosa siamo venuto a fare qui. Eggman o no, la priorità ora è trovare gli altri.»
Sonic divenne inaspettatamente serio e annuì.
«Bene. La domanda è: come ci arriviamo? Avendo questa forma ci è impossibile usare le nostre abilità.»
«Detesto ammetterlo, ma hai ragione.» ne convenne Sonic.
«Con l’autobus.» si intromise Veritas.
«Autobus?»
«Sì, autobus. A meno che tu non sappia guidare, Shadow. Anche se fosse una macchina non ce l’abbiamo.»
Shadow incrociò le braccia facendo il muso.
«Ah, però ho dimenticato il portafogli nella mia stanza…»
«Uh! Lo prendo io!» in un battito di ciglia, Sonic corse verso casa e ritorno con in mano un portafogli rosso e a pois neri. «Eccolo!»
Veritas e Shadow spostarono stupiti lo sguardo dalla villa ad un Sonic del tutto tranquillo e evidentemente inconsapevole di ciò che aveva appena fatto.
«Be’? che avete da guardarmi così?» chiese il riccio confuso.
«Ma … come hai fatto a…?» cominciò Veritas.
«Impostore, qual è il tuo segreto?»
Sonic li fissò altrettanto perplesso. «Ma di cosa state parlando?»
«Come diamine hai fatto a correre a quella velocità?!» dissero all’unisono Shadow e Veritas.
Sonic era pronto a ribadire la sua incomprensione, ma si zittì appena capì cosa aveva appena fatto. «Avete ragione! Come ho fatto?!»
«Sei un idiota!» lo sgridò Shadow.
«Lo siete entrambi!»
I due ricci si girarono verso Veritas che li squadrò con un sopracciglio inarcato e i pugni sui fianchi.«Appena svegli non avete provato a verificare voi stessi? Tutti e due?»
Sonic si grattò la nuca ridendo forzatamente, mentre Shadow incrociò le braccia ed ignorò la domanda.
«Ricci o no, voi maschi siete tutti uguali. Orgogliosi come sempre.»
«Non posso darti torto» ammise Sonic. «Però, sono felicissimo! Temevo che non avrei corso per un bel po’ e invece!»
«Non eccitarti così tanto, impostore.» si oppose Shadow. «Va bene. Ora abbiamo scoperto che quella macchina ha solo cambiato il nostro aspetto, ma rimane il fatto che non possiamo dare troppo nell’occhio.»
Sonic sbuffò, sapendo che il moro aveva perfettamente ragione.
«Perciò… andremo in città sempre con l’autobus?» domandò Veritas.
«No. All’andata possiamo anche andare correndo. Dobbiamo pur collaudare le nostre abilità, no?»
Sonic si lanciò su Shadow per prenderlo al collo. «Oh, lo sapevo! Anche tu muori dalla voglia di correre, eh? Dai ammettilo, Shaddy?»
«Shad-… mollami, pezzo di idiota!» Shadow cercò di liberarsi dalla presa divincolandosi, ma senza riuscirci, mentre Sonic rideva a crepapelle. «Non è il momento di scherzare! Vuoi ritrovare i tuoi amici o no?»
Il blu lasciò subito il braccio e il suo smagliante sorriso scomparve a quella domanda, diventando poi serio. Shadow aveva ragione, dovevano trovare al più presto i loro amici e scoprire per quale motivo si trovavano sulla Terra. Non c’era un minuto da perdere. «Ok! Allora andiamo! Veritas, Sali sulla mia schiena! La gita in città oggi la farai con noi!»
«Scordatelo. Veritas verrà con me.» si oppose Shadow, afferrando il polso di Veritas.
«Ehi ma che fai, lasciami!»
«Ho bisogno di parlarle un attimo. Tu vai avanti, poi ti raggiungiamo.»
«Oh, capisco. In tal caso… vi lascio da soli, piccioncini.»
«Piccionc-… aspetta Sonic!» prima ancora che Veritas potesse smentire, il blu era già partito, lasciando dietro di sé una scia blu e un urlo di felicità. Dopo pochi secondi era già sparito.
«Si può sapere che ti è preso?! Di cosa volevi parlarmi?»
«Ma lo hai visto Sonic? È sovraeccitato per la storia della corsa. Se fossi andato con lui avresti potuto avere una ricaduta. È meglio se vieni con me.»
Veritas sbatté più volte le palpebre incredula. Shadow l’antipatico è preoccupato per me, pensò, impossibile.
Shadow avvicinò una mano al collo di Veritas cogliendola di sorpresa. «Respiro affannato e battiti irregolari. Non ti sei ancora del tutto ripresa. E volevi anche arrampicarti. Non fraintendere, chiaro? Semplicemente preferisco non avere altri guai. Inoltre ci ospiti a casa tua.» le disse freddamente.
«Come vuoi dottor Shadow.» rispose Veritas ironica.
«Forza. Sali in spalla. Non abbiamo tempo da perdere.»
Veritas sbuffò e si lasciò issare. Avrebbe preferito di gran lunga stare con Sonic.
«Bene. Tieniti forte.»
All’avvertimento di Shadow, la ragazza si aggrappò pochi secondi dopo al collo di lui, rischiando di cadere all’indietro.
«Te l’avevo detto.»
«Non mi avevi detto che… saresti andato così veloce! » l’intero paesaggio circostante agli occhi di Veritas erano lunghe strisce verticali. Ogni veicolo sembrava andare a passo d’uomo. L’aria la colpiva violentemente sul volto e scompigliava i suoi capelli.
«Fidati. Se fossi andata con Sonic sarebbe stato molto peggio. Oh, eccolo.»
Shadow frenò a pochi centimetri da Sonic spostandosi di lato.
«Nice!» Sonic alzò un pollice all’insù. «Ce ne avete messo di tempo, eh?» fece l'occhiolino a Shadow.
«Andiamo.» lo ignorò il moro.
Alte mura con mattoni a vista circondavano la città di Mist city. L'entrata era un grosso cancello di ferro battuto come quelli dei parchi dei divertimenti: con motivi pittoreschi e fiabeschi.
A prima vista sembrava essere una cittadella come tante altre, ovvero pacifica e con abitanti sorridenti e ospitali, nulla che i tre ragazzi non avessero già visto.
Sonic addocchiò subito un venditore ambulante di hot dog e, seguito da Shadow, ne approfittarono per fare uno spuntino. Diverse bancherelle di libri furono oggetto di interesse per Veritas, che ne approfittò anche per prendere la cancelleria che le mancava per la scuola. Piazze e parchi furono le tappe successive, seguite da soste davanti a vecchi edifici del centro della città.
«Caspita! È davvero una bella città!» disse entusiasta Sonic.«Sei d'accordo, Veritas?»
«Oh sì! Devo ammettere che non mi dispiace affatto.»
«Per ora in questa città non sento alcuna presenza sospetta.» scurì l'atmosfera Shadow.
«Tanto meglio. Significa che Eggman ha fatto cilecca.»
«Ti ho detto che non è Eggman il responsabile.» insistette il moro.
«Come fai ad esserne sicuro?»
Shadow alzò lo sguardo verso un particolare lampione Ottocentesco. «Perché… la notte scorsa ho sognato Mobius.»
Sonic si voltò sorpreso verso il compagno. «Davvero? Anche tu?»
«Ma bene. È raro essere d'accordo su qualcosa.»
«Io ho sognato che Mobius era in fiamme. Adesso che ci penso, c'erano anche i robot di Eggman distrutti. E poi c'era … »
«La ragazza incappucciata.» continuò Shadow.
Il blu annuì.
«Quindi in poche parole. La colpa è di quella ragazza che avete sognato?» domandò Veritas.
«È una possibilità.» rispose Shadow senza distogliere lo sguardo dal lampione.
«Shadow, si può sapere perché continui a fissare il lampione? Sembra che tu non ne abbia mai visto uno.» obbiettò Sonic.
«Non è il lampione a preoccuparmi, ma lo stemma modellato.»
Incuriositi, anche Sonic e Veritas alzarono gli occhi. Lo stemma interessato raffigurava una montagna in mezzo ad un letto di nuvole minuziosamente disegnate.
«Wow! Non male!»
«Già.» Per qualche strano motivo, Veritas non riusciva a smettere di sorridere malinconica. Era come se quel simbolo l'avesse già visto. Senza volerlo, ripensò a quegli edifici bianchi del suo sogno.
«Tempesta tutta la città. Su diversi monumenti importanti è seguito da una leggenda secondo cui Mist City era una città galleggiante, ma che per oscuri motivi precipitò.»
«Sembra quasi una fiaba per bambini.» disse Sonic ridacchiando.
«E non è tutto». Continuò Shadow. «Se ho letto bene, la leggenda dice che originariamente non fosse una città terrestre.»
«Ma dai! Questo è ridicolo!» commentò Veritas.«Insomma. È assurdo!»
«Ti ricordo, mia cara Veritas, che stai andando in giro con due ricci di un altro pianeta che si sono trasformati in esseri umani» obbiettò Sonic.
«Touché.»
 
Il dottor True avvicinò una mano alle tempie. Le dita sfiorarono un liquido denso e caldo che scivolò fino al mento. «Maledizione. Non può essere.»
«Anthony! Anthony, dove sei?!» urlò disperata Martha qualche metro più in là.
«Martha!» attorno allo scienziato c’erano pezzi di cava caduti dall’alto grossi come quanto lui. Tutte le apparecchiature erano sotto le macerie in procinto di esplodere. «Dobbiamo uscire da qui… Martha!» facendosi largo tra metallo e roccia, Anthony seguì la voce di Martha che lo chiamava in lacrime.
«Anthony ti prego, aiutami! John…» la donna teneva con entrambi le mani insanguinate la testa di John per far affluire al meglio il sangue. Il giovane era svenuto e con metà corpo schiacciato da una lastra di roccia.
Il dottor True si avvicinò subito a John e avvicinò una mano davanti alle narici. Respirava ancora. «Dobbiamo subito andarcene da qui. Rischiamo di morire qui dentro.»
«Ma… i dati, le nostre ricerche!»
«Martha, abbiamo una figlia che ci aspetta a casa e John ha solo ventitré anni! Al diavolo i dati!» Con tutta la forza che gli rimaneva, Anthony spostò la lastra e liberò John. Fortunatamente non aveva nulla di rotto, solo qualche livido e graffio. «Forza Martha. Dobbiamo uscire da qui prima che…»
Uno scossone allarmò i due scienziati, accompagnato da un forte ronzio. La cava iniziò a far cadere altri detriti.
«È di nuovo quel diamante!» urlò Martha portandosi le mani alle orecchie.
«Nel giro di poche ore ha reagito il triplo più velocemente di due giorni fa. È veramente qualcosa di non terrestre.» commentò Anthony, prendendo al volo il cellulare per digitare il numero dei laboratori. Al terzo squillo risposero. «Qui è il dottor True che parla! CHAOS sta reagendo in modo anormale! Non possiamo continuare! La cava è in procinto di sgretolarsi, dovete portare subito i soccorsi! Abbiamo un ferito! Fate presto, vi prego!»
 
 

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Capitolo 6
*** Sani e salvi ***


Non curandosi della grossa macchia d’olio sulla manica, Eggman si asciugò la fronte sudata, finendo col sporcarla di nero. «Finalmente ho finito» sospirò. «Maledetti insetti. Se foste stati immobili forse avrei finito in mezz’ora! E non in due ore!»
Diversi cavi dell’alta tensione attirarono l’attenzione del dottore, provocando un paio di scintille. «E magari avrei potuto salvare le mie adorate macchine.»
«Sarebbe stato troppo facile, a parer mio» la ragazza incappucciata si materializzò davanti all’omone spaventandolo. «È stato divertente vederti rincorrere i miei bambini» ridacchiò lei.
«Sai, io ho una certa età – per quanto io possa essere attraente- potrei morire d’infarto se entri così all’improvviso! Aspetta… Eri sempre stata qui?»
«Ha importanza?»
Eggman alzò le braccia scuotendo la testa.
La ragazza si avvicinò alle sue creature esaminando il lavoro del professore. L’armatura nera e opaca calzava a pennello non solo sulla loro corazza dalla forma esagonale, ma anche sulle loro zampette. Il ticchettio di queste ultime era fastidioso, ma comunque sopportabile. La visiera color indaco che copriva i quattro occhi dorati era perfetta. «Impressionante. Ha eseguito ogni mia richiesta. In questo modo sono ben protetti e useranno le loro abilità a mio comando.» sorrise soddisfatta.
«Bene. Ora che ho finito il mio lavoro, ho la possibilità di sapere cosa vuoi fare?»
Senza smettere di grattare due suoi insetti, la ragazza disse :«Ho un conto in sospeso con il topo blu.»
«Perdona la mia osservazione, ma io conosco Sonic da sempre e non ricordo che lui avesse qualcosa in sospeso con… come hai detto che ti chiami?»
«Il mio nome non ha alcuna importanza» ruggì lei spaventando Eggman. «Solo perché sei il suo arcinemico, non significa che tu sappia tutto su di lui.» disse con la voce tremante, distruggendo la sua copertura di ghiaccio.
«Non so bene chi tu sia e come tu faccia a conoscere Sonic, ma una cosa è certa. Non farebbe paura neanche ad una mosca.»
Guidata dalla rabbia, la ragazza dai capelli corvini levitò fino a raggiungere Eggman che indietreggiava, cercando invano di nascondersi sotto un pezzo di metallo grande quanto la sua testa. «Tu non hai idea di ciò che io… noi abbiamo passato! Quel mostro ha rovinato tutto!» scariche elettriche e venti riempirono improvvisamente il laboratorio.
«Fermati, ti prego! Mi sarà impossibile sistemare tutto così! Ho capito, ok?! Non chiederò più nulla al riguardo!» urlò Eggman disperato.
Accolte le suppliche dell’uomo, l’incappucciata riportò la calma, sistemando quel che poteva al proprio posto. Eggman e insetti poterono uscire dal loro nascondiglio. «Bada all’uso che fai della tua lingua, dottore. O la prossima volta te la taglio.»
Lui deglutì, sudando freddo. «D’accordo. Starò al mio posto, promesso.»
«Ora, se vuoi scusarmi, ho delle faccende da sbrigare. Li porterò con me» aprì un portale dimensionale dal colore indefinito. «Tu preparati a partire. Usufruirò ancora del tuo aiuto.»
Annuì.
Seguita dalla colonia di insetti, la ragazza svanì per chissà quale dimensione.
 
Avvistata una panchina, Veritas vi si avvicinò con le sue ultime forze per potersi finalmente sedere. «I miei poveri piedi. Giuro che non ce la faccio più.»
«Ma come! Sei già stanca?» le domandò ridendo Sonic.
«Voi umani siete proprio deboli. Non riuscite nemmeno a resistere ad una semplice camminata» disse severo Shadow.
«Ehi, dateci un taglio. Abbiamo girato praticamente mezza città. Non immaginavo che fosse così grande» sbuffò la ragazza godendosi il suo meritato riposo. «E comunque possiamo prenderci una pausa, no?»
Il blu e il moro si guardarono e alzarono le spalle all’unisono.
«Come vuoi. Tanto non abbiamo trovato nulla di interessante.»
«Grazie, Sonic.»
Avendo guadagnato un po’ di tempo, Veritas ne approfittò per controllare se i suoi genitori l’avessero ritracciata, ma le chiamate e i messaggi più recenti risalivano a tre ore fa, ovvero quando lei avvisò che sarebbe andata in città. «Che strano» sussurrò.
«Qualcosa non va?» chiese Sonic avvicinandosi.
«I miei genitori non mi hanno più richiamata. Eppure è mezzogiorno passata.»
«Saranno impegnati, considerando il loro lavoro» si intromise Shadow. «Appena avranno finito chiameranno.»
Veritas annuì, nuovamente sorpresa dalla gentilezza del riccio nero.
La piazza prese ad affollarsi sempre di più davanti al grande schermo, in quanto la notizia dell’ultimo minuto attirò l’attenzione.
«Che succede?» domandò Veritas alzandosi.
«Deve essere una cosa grossa» ipotizzò Sonic.
I tre ragazzi seguirono la folla e alzarono gli occhi sullo schermo. Una donna bionda in giacca e cravatta dall’espressione professionale annunciò:«Poche ore fa la cava di diamanti Misty Cave, dove da diversi giorni si tenevano ricerche importanti, è crollata. All’interno di essa vi erano i due ricercatori e scienziati di fama mondiale: Anthony e Martha True, accompagnati dal giovane assistente John Murray, di soli ventitré anni.»
Pian piano un brusio coprì l’intera piazza. Molti acconsentirono di conoscere la coppia, altri solo per sentito dire, ma nessuno era preoccupato quanto Veritas, che fissava le foto dei suoi genitori con gli occhi velati di lacrime.
«Mamma! Papà!» urlò d’istinto la ragazza. Pronta a correre, venne fermata dai due amici ricci.
«Veritas, calmati! Non agitarti!» cercò di tranquillizzarla Sonic. «Dove pensi di andare?»
«Alla cava! Devo salvare i miei genitori!»
«Ragazzina, prima di fare qualche stupidaggine, ascolta il notiziario fino alla fine» riuscito a portarla vicino a sé, Shadow prese con entrambe le mani la testa di Veritas per spostarla verso lo schermo. «Ascolta, ti ho detto!»
Avendo la vista annebbiata dalle lacrime, Veritas si lasciò guidare dalle parole della giornalista. «Fortunatamente, prima che l’intera cava crollasse, i soccorsi arrivarono in tempo grazie alla chiamata del dottor True. I tre ora sono ricoverati all’ospedale Saint Gerald
«Hai sentito? I tuoi genitori stanno bene.»
Non appena Shadow le lasciò il braccio, Veritas poté rilassare i muscoli e quindi asciugarsi gli occhi. «Sono vivi. I miei genitori sono vivi» ripeté per esserne sicura.
«Ospedale Saint Gerald, eh? Sbaglio o ci eravamo passati un’ora fa?» domandò entusiasta Sonic.
«Da qui ci vogliono venti minuti camminando» puntualizzò Shadow.
«Che cosa aspettiamo?! Andiamo subito da loro!» Veritas venne presa di nuovo al braccio dal riccio nero.
«Ho detto camminando. Correndo ci metteremo poco più di venti secondi.»
 
Il forte odore di alcol dell’ospedale obbligò sia Sonic che Shadow a tapparsi il naso: era davvero insopportabile e le pareti color bianco perla erano accecanti.
«Direi che oltre alla nostra velocità abbiamo anche il nostro olfatto e la vista da ricci. Mamma che fetore» si lamentò Sonic.
«Non ricordavo che gli ospedali umani fossero così… maleodoranti. Veritas, muoviti a cercare i tuoi genitori.»
Veritas si avvicinò subito alla prima infermiera che vide e chiese informazioni sulla coppia True.
«Oh, tu devi essere loro figlia! Tuo padre non faceva altro che parlare di te. Vieni, ti porto da loro.»
Gli occhi di Veritas si illuminarono dalla gioia e durante tutto il tragitto l’unico pensiero fu la loro incolumità.
Sonic e Shadow si limitarono a seguirle.
Tutti e quattro presero l’ascensore per raggiungere il terzo piano. «Il numero della stanza è il 215b, primo corridoio a destra» disse sorridente l’infermiera. «Puoi stare tranquilla, stanno benissimo.»
Veritas le sorrise di rimando e, non appena le porte si aprirono, sfrecciò fuori per imboccare subito il corridoio, seguita dai due amici. «215b…. 215b…21-… Eccolo!»
Superate una decina di porte, Veritas trovò finalmente la stanza dei suoi genitori. Senza indugio, entrò. «Mamma! Papà!»
«Veritas!» con le lacrime agli occhi, i True accolsero la figlia tra le loro braccia.
«Amore mio! Sono così felice di rivederti!» la baciò sulla fronte Martha .
«Anche io! Sono felice che stiate bene entrambi!»
«È stato un vero miracolo. Se i soccorsi non fossero arrivati in tempo, allora sì che saremmo stati spacciati.» puntualizzò Anthony.
«Ma questo perché tu li hai subito chiamati, tesoro.»
«Basta parlare. Ciò che conta è che voi siate qui» Veritas li strinse per avvicinarli di più. La cosa che le importava in quel momento era che i suoi genitori erano sani e salvi. La scuola e tutto il resto erano passati in secondo piano.
Sonic e Shadow entrarono nella stanza tenendosi a debita distanza. Avvistati i ragazzi, i due adulti alzarono lo sguardo e li salutarono con un sorriso.
«Forse dovremo lasciare a loro un po’ di spazio» disse Shadow con le braccia incrociate al petto.
«Lo credo anche io. Avranno molto da dirsi dopo un’esperienza del genere.»
Senza farsi notare, i due ricci uscirono e chiusero la porta.
«I True stanno bene, che sollievo.»
«È il rischio che devono correre dato il lavoro che fanno.»
«Santo cielo, Shadow. Quando vuoi ne esci con certe freddure.» disse Sonic sfregandosi le spalle.
«Non era di certo un vano tentativo di fare una battuta il mio. Ho detto solo la verità.»
«E ora che facciamo?»
«Continuiamo le nostre ricerche. Così torneremo indietro il più presto possibile.»
«Gliel’ho detto! Grazie di tutto, ma ora dobbiamo andare! Non possiamo aspettare oltre!»
«E io vi ripeto che non vi posso lasciare andare da soli
A Sonic bastarono le prime parole per fermarsi, ma gli servì ascoltare l’intera frase per realizzare di chi fosse quella voce. Squillante e autoritaria.
«Sonic, qualcosa non va?» gli chiese Shadow che era cinque passi più avanti di lui.
«Quella voce» disse quasi sussurrando.
«Voce?»
«La prego, signore. La ringrazio per le ferite, ma dobbiamo proprio andare. Ci riprendiamo il nostro amico e ce ne andiamo» subentrò una voce fioca e gentile.
«Non abbiamo tempo da perdere!» seguita da una grossa e aggressiva.
«Ma questi sono…» cominciò Shadow.
I due rivali si guardarono e iniziarono a correre in direzione delle voci a loro familiari, che si agitavano sempre di più.
«Non vi posso lasciare senza la presenza di un adulto» continuava a ripetere la voce adulta.
Girato l’angolo, il riccio blu allargò un sorriso non appena vide un caschetto rosa di sua conoscenza. «Amy!» chiamò lui sicuro.
La testa rosa shock si voltò verso di lui, mostrando due grandi occhi verde smeraldo, che si velarono di lacrime appena riconobbe la testa blu. «Sonic!» rispose lei contenta.
Dalle spalle di Sonic cadde un enorme peso. Quella ragazzina vestita di rosso era la sua cara amica Amy. Al suo fianco c’era una graziosa bambina che a prima vista pareva essere Cream, riconoscibile dai due codini biondi e dai colori pastello dei suoi vestiti.
«Ma è davvero Sonic, quello?» incredulo e sulla difensiva, c’era anche Knuckles, vestito interamente di rosso e i capelli aggrovigliati in dread.
Raggiunti gli amici ritrovati, Sonic non riuscì a smettere di sorridere. «Ragazzi, sono davvero felice che stiate ben-…»
«Oh Sonic! È un miracolo! Pensavamo che fossi morto!» il micidiale abbraccio di Amy precedette il riccio blu. Come al solito. «Non sai cosa ci è successo in questi giorni! È stato terribile!»
Sonic cercò di rispondere meglio che poteva a quella trappola mortale, ma senza opporre resistenza. Le mancava tanto quella sensazione.«Amy, per favore. Ora calmati! Non respiro!»
«Ma guarda, c’è anche Shadow il Musone» disse irritato Knuckles.
«È un piacere rivederti anche per me.» rispose il moro sarcastico.
«Scusate, ragazzi. Ma voi li conoscete?» si intromise il dottore aggiustandosi gli occhiali.
«Sì, sono con noi» avanzò Shadow tirando fuori la sua pietra già pulsante. «E non si deve preoccupare più di loro.»
Un leggero fascio di luce colpì gli occhi del medico ipnotizzandolo all’istante. Scossa la testa, l’uomo sorrise al ragazzo rosso e nero davanti a lui. «Bene, vedo che avete trovato i vostri fratelli maggiori» si rivolse ad Amy e a Cream. «Visto? Vi avevo detto che li avreste trovati. Fatte attenzione, va bene?» e se ne andò, come se non fosse successo nulla.
Amy, Cream e Knuckles si voltarono verso Shadow in silenzio. Tutti e tre si portarono una mano al collo per tastare le loro pietre color fragola, limone e ciliegia.
«Presumo che avremo molto di cui discutere, ma preferirei parlarne in un posto più appartato» disse Shadow. «Andiamo fuori.»
«Aspetta, Shadow!» lo fermò Amy prendendo tutto il suo coraggio. «Possiamo anche parlarne qui. C’è la stanza di Tails.»
Sentito il nome del suo migliore amico, Sonic prese Amy per le spalle preoccupato. «Tails è ferito? È tanto grave? Dove si trova?»
«Tranquillo, Sonic. Non è grave. Solo che Tails si è fatto in quattro per nasconderci e dalla stanchezza è crollato.» gli rispose sorridente la ragazza.
Sonic si rilassò. «Grazie al cielo.»
«Perfetto. Allora possiamo andare da lui. Forza.»


ANGOLO DELL'AUTRICE:
Mi scuso per l'attesa, ma la scuola mi sta tenendo impegnata più del solito. Mi scuso anche per la lunghezza del capitolo. Sono ancora molto misteriosa, ma ben presto emergeranno capitoli più interessanti :) 
Grazie a coloro che seguono questa storia. Ci vediamo presto! 

 

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Capitolo 7
*** il Master Emerald ***


«Le condizioni di John si sono stabilizzate, ma dovrà restare ancora sotto osservazione.» informò il medico con il consueto tono professionale.
«La ringraziamo, dottore.» disse Anthony forzando un sorriso.
«Ora scusatemi, ma devo andare dalla madre per varie firme. Potete restare qui ancora per dieci minuti.»
Salutato il medico, i True si avvicinarono al vetro della finestra che li separava dal povero John, con la testa fasciata e una maschera per l’ossigeno. I battiti del cuore erano lenti, ma regolari.
Usciti dalla loro stanza, l’intera famiglia True volle andare a trovare il giovane assistente. Incontrata la madre, Veritas venne a conoscenza di come John avesse incontrato i suoi genitori.
John Murray era un ragazzo prodigio che ha avuto molte possibilità nel campo della mineralogia. Nonostante la sua giovane, poté partecipare a diverse conferenze e fu grazie ad una di esse che ebbe la possibilità di conoscere i famosi ricercatori Anthony e Martha True, finendo col diventare loro assistente.
«È stato molto fortunato» cercò di alleggerire l’atmosfera Veritas.
«Sì, tesoro. Hai ragione. Spero che si rimetta presto.»
«Tranquilla, Martha. Quel ragazzo ha la pellaccia dura.» la consolò il marito. «È giovane e con energia da vendere! Sono sicuro che si riprenderà presto!»
La donna gli sorrise annuendo.
«Però una cosa è certa. Se mai dovessimo ritornare là dentro, John non dovrà venire con noi.» disse Anthony grave.
Subito Veritas si voltò verso il padre allarmata. «Aspetta, papà! Non avrete intenzione di tornare lì? No! Non voglio!» urlò.
«Veritas, tesoro. Noi non vogliamo, credimi.»  la calmò Anthony con un sorriso.
«E allora cosa intendevi dire?»
«Ciò che voleva dire tuo padre era che dobbiamo per forza tornare per tirare fuori il diamante che stavamo studiando, così da spostarlo in un laboratorio in superficie.»
«Perché dovete per forza essere presenti anche voi? Non ci possono pensare dei… carpentieri o… insomma, quelli che usano le ruspe e tutto il resto?» Veritas iniziò a tremare. Non voleva assolutamente che i suoi genitori tornassero in quel posto. L’idea che potessero morire non la poteva sopportare. «Io… non voglio.»
I due scienziati si guardarono mortificati di vedere loro figlia in quello stato. «Ne abbiamo discusso» iniziò il padre. «Vogliamo cercare di recuperare i dati. Abbiamo controllato la linea delle apparecchiature e sono ancora in funzione.»
Veritas scosse la testa piano, con gli occhi leggermente lucidi.
«Veritas, tesoro. È il nostro lavoro. Ma non ti devi preoccupare» l’abbracciò teneramente Martha. Veritas inspirò il dolce profumo di pesca della madre. «Ti assicuro che verranno con noi persone pronte a portarci fuori, questa volta.»
Anthony si avvicinò alle sue donne e le abbracciò.
«Va bene» disse infine la ragazza. «Mi fido.»
«Grazie, amore.»
«Posso solo chiedervi una cosa?» chiese Veritas staccandosi dall’abbraccio.
«Certo, tutto quello che vuoi.»
«Come… è successo?»
Martha fece per aprire la bocca, ma la chiuse subito.
«Mamma?» insistette la ragazza.
«È… complicato. Non ci crederesti» rispose imbarazzata la donna, cercando manforte negli occhi del marito. «Ti sembrerebbe assurdo.»
Assurdo. Istintivamente Veritas ripensò ai due nuovi amici ricci Sonic e Shadow, divenuti umani a causa di un robot, non dimenticandosi dei suoi genitori ipnotizzati affinché li reputasse suoi lontani cugini. Sorrise divertita. «Siete i miei genitori. Non mi mentireste mai. Detto ciò, vi crederei anche se mi diceste che la luna è quadrata.»
I True ridacchiarono davanti al brillante sorriso della figlia e acconsentirono.
«È stata tutta opera del diamante che abbiamo denominato CHAOS» cominciò Martha.
«CHAOS?»
Annuì. «In realtà inizialmente aveva i valori di uno smeraldo, ma nel giro di questi giorni si modificarono.»
« Almeno ogni venti minuti» continuò Anthony. «Da lì capimmo che non era una pietra normale. Da smeraldo diventava un quarzo, poi un’ametista, di tutto e di più. Finché non diventò un diamante.  Senza dimenticare le innumerevoli interferenze che generava sulle nostre apparecchiature. » di volata prese il cellulare e mostrò subito una foto della misteriosa pietra.
Veritas rimase sorpresa dalla sua grandezza di circa un metro e mezzo. La forma effettivamente ricordava quello di uno smeraldo, solo non riusciva ad immaginare che potesse causare i danni descritti dai genitori.
Poiché aveva dato la sua parola, Veritas si limitò a dire:« Ma è pazzesco. Quindi… è colpa di questa pietra?»
«È difficile da credere, ma è così.»
La ragazza sfilò dalle mani il cellulare del padre per vederla da vicino. Per qualche strana ragione Veritas non riusciva a smettere di guardare quell’enorme pietra verde brillante, finendo col sussurrare:«il Master… Emerald
«Come hai detto, tesoro?» la chiamò la madre. Veritas si voltò dimenticandosi di quelle parole.
«Cosa?»
«Stavi dicendo qualcosa.»
«Io non ho detto niente.»
«Ok. Credo che sia meglio ritornare nella nostra stanza, ragazze» dichiarò Anthony guardando il suo orologio.
Madre e figlia acconsentirono. Diedero un ultimo saluto a John e uscirono, non curandosi dell’ombra nascosta vicino al letto del giovane assistente.
 
Tails lasciò cadere il cucchiaio nel piatto, ignorando gli schizzi di purè che finirono sulla sua faccia, poiché era impegnato a fissare il ragazzo dai capelli blu elettrico che era appena entrato nella sua stanza. «Non posso crederci» sbottò il rosso ramato con gli occhi velati di lacrime. «Sonic… Sei davvero tu?»
Il riccio blu allargò le braccia sorridendo. «Ma certo che sono io, Tails!»
La volpe a due code scese dal letto e si lanciò sul suo migliore amico, che lo prese al volo. «Sonic! Sei vivo! Non ci posso credere! Sono così felice di rivederti!» urlò tra le lacrime.
«Anche tu mi sei mancato, amico mio! Sono felice di vedere che stai bene.» Sonic strinse Tails con tutte le sue forze. Ora ne era certo: tutti i suoi amici erano sani e salvi. Sentì la piacevole sensazione del peso che lo abbandonava lentamente, facendolo sentire decisamente più leggero e meno teso. «Ora possiamo andarcene da questo postaccio.»
«Non è così facile» borbottò Tails staccandosi dall’abbraccio. «Il dottore non ha alcuna intenzione di lasciarmi andare.»
Sonic subito tranquillizzò l’amico dicendogli che era già stato tutto risolto da Shadow.
«Oh, davvero?» Tails allungò la testa per intravedere il riccio nero striato di rosso. Appena incrociò il suo sguardo, annuì esitante. Shadow rispose altrettanto. «E come ha fatto?»
«Be’, usando questa» Sonic mostrò la pietra blu che teneva al collo. Istintivamente Tails tirò su la sua. Era di un bel arancio acceso.
«Capisco. Significa che queste pietre sono più di semplice bigiotteria.»
«Direi proprio di sì.» ne convenne il blu.
«Bene, Ora che ci siamo tutti, sarà il caso di parlare di questa faccenda» Shadow avanzò al centro della stanza con le braccia conserte.
«Aspetta un momento, Shadow!» lo chiamò alterata Amy. «Per quale motivo dovremmo ascoltare proprio te, eh?»
Il moro si voltò, affrontando a testa alta la ragazza dai capelli rosa, impassibile. «Volete o non volete trovare una soluzione per tornare a casa?»
«Sai bene che non è quello che intendevo! Chi ci dice che tu non stia facendo il doppio gioco, eh?» Amy mise le mani sui fianchi con aria di sfida. «Non m’importa che Sonic ti abbia dato il permesso di stare in squadra con noi, io ancora non mi fido di te.»
Shadow inarcò un sopracciglio rimanendo in silenzio.
«Sono già capitati dei tradimenti da parte tua, questa non sarebbe una novità.»
«Amy, adesso basta» Sonic prese il polso dell’amica per avvicinarla a lui. «stai esagerando.»
«Io non esagero affatto, Sonic! Lo sai quanto me che di Shadow non ci si può fidare!»
«I tradimenti di cui parli erano causati da Eggman, non ricordi? Si è sempre preso gioco di lui e della sua memoria!» disse Sonic quasi urlando.
Amy distolse lo sguardo, incapace di ribattere. Nella stanza calò un imbarazzante silenzio.
«Amy, pensaci» disse con più calma il riccio blu. «Se fosse veramente come dici, perché mai sarebbe in questa situazione? Perché mai avrebbe provato a proteggermi?»
Amy si voltò verso Sonic incredula. Quest’ultimo le sorrise annuendo e le raccontò dello scontro con il robot trasforma-ricci.
«Io… non avevo idea.» come Tails, Amy cercò insicura lo sguardo cremisi del riccio nero e sussurrò:«Scusami…»
Shadow scrollò le spalle. «Senza rancori.»
«Dunque, fatemi capire» s’intromise Knuckles stanco di aspettare. «Queste pietre hanno il potere di.. ipnotizzare le persone?»
Sonic e Shadow annuirono.
«E siamo tutti d’accordo che la causa di questa nostra trasformazione sia Eggman.»
«Più o meno. Pensiamo che Eggman sia stato costretto a farlo» lo corresse Sonic.
«E allora chi c’è dietro a tutta questa storia?» chiese Tails.
Sia Sonic che Shadow non poterono dare una risposta.
«Siamo davvero messi bene.»
«L’unica cosa di cui siamo entrambi d’accordo», parlò Shadow, «è che una possibilità potrebbe essere una ragazza incappucciata.»
«Una ragazza incappucciata?» domandarono tutti all’unisono, cercando di ricordare le vicende successe su Mobius, ma a parte la consueta battaglia contro il Dr. Eggman, il resto era vuoto totale.
«Sì, ma per ora è solo un ricordo sfuocato. Ad ogni modo, Tails. Che cosa avete fatto per tutto questo tempo?»
Alla domanda dell’amico blu, Tails rispose il più chiaro e sintetico possibile. Dopo essersi risvegliati si erano ritrovati in una foresta e già trasformati in esseri umani. Vissero nei pressi di un fiume per un paio di giorni, finché un robot non li attaccò senza sosta per i seguenti due.
«Sono stato maldestro» disse la volpe imbarazzata. «Non sono riuscito a schivare un attacco del robot.»
«Non è vero, signor Tails!» la piccola Cream saltò in braccio a Tails in lacrime. «Lei ha solo cercato di proteggere Cream! Mi dispiace, signor Tails!»
«Oh, Cream. Non dirlo neanche! Non è stata affatto colpa tua.»
«In fondo, l’importante è che ora sta bene» Sonic prese in braccio Cream e le asciugò le lacrime con un pollice. «Dico bene, piccola?»
La bambina rispose al sorriso del riccio blu con uno altrettanto ampio e luminoso. «Grazie, signor Sonic.»
«E voi invece? Come ve la siete cavata?» chiese Amy.
«Io sono atterrato sul giardino di una ragazza. Si chiama Veritas» rispose Sonic.
«Più o meno come è successo a voi» seguì Shadow.
«Veritas?» ripeté perplessa la ragazza.
«Sì, Veritas True. Tra l’altro è venuta con noi. Anche i suoi genitori sono ricoverati qui.»
«Oh caspita! Stanno bene?»
«Fortunatamente sì. Essere ricercatori di pietre preziose è un lavoraccio.»
«Aspetta… Sonic, hai detto True?» domandò Tails come se avesse avuto un’illuminazione.
«Sì, perché?»
Senza perder tempo, Tails prese al volo il telecomando e accese il televisore sintonizzando sul primo telegiornale che gli capitò a tiro. «Me ne stavo per dimenticare! Mentre voialtri cercavate di farmi uscire da qui, ho sentito una notizia scioccante che riguarda proprio questi True!»
«Ah sì. Parli del crollo della cava, giusto? I True stavano studiando un diamante lì dentro. Per fortuna ne sono usciti illesi.» disse Sonic con tranquillità.
Tails scosse la testa serio.«No, Sonic. Non è un diamante.»
Guidati dal dito del ragazzo arancione, tutti si voltarono verso lo schermo e spalancarono gli occhi increduli. Nessuno prestò attenzione alla voce della giornalista, che descriveva la situazione della cava, poiché tutti erano concentrati sull’enorme pietra a loro familiare incastrata tra i denti di una gru.
Tails aveva ragione. Non si trattava di un diamante, bensì del Master Emerald.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Mi scuso per il ritardo. Sono stata molto impegnata tra scuola ed eventi molto spiacevoli che mi hanno segnata parecchio, ma ora le cose si sono sistemate e sono pronta a continuare. Vi dico la verità. Scrivere questa storia non è affatto facile, perché sto cercando di essere il più fedele possibile, ma soprattutto originale. Premetto che, nonostante siano passati tre anni, non sono ancora un’esperta sull’universo Sonic the Hedgehog, perciò se qualcosa non quadra vi prego di segnalarmelo.
Molto presto abbandonerò la forma umana dei nostri amici (sinceramente parlando, non mi piacciono… ma ho voluto inserire questa trasformazione giusto per creare un po’ di… suspense, credo).
Vi prego di essere pazienti. Le cose interessanti arriveranno a breve. Ho apportato un sacco di modifiche alla storia.
Grazie mille per la lettura!
Alla prossima!
 
Glenda

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Capitolo 8
*** Coincidenze ***


Uscita dalla stanza dei suoi genitori, Veritas camminava senza togliere gli occhi di dosso dallo schermo del cellulare. Si era fatta passare dalla madre la foto del misterioso diamante che aveva causato l'imminente crollo della Misty Cave.
«Un diamante, eh? La forma lo ricorda ma...» è il Master Emerald. Veritas scosse la testa per dimenticarsi quel nome. Master Emerald? Che cos'è? Nonostante lei non sapesse cosa fosse, ogni volta che guardare la foto dell'enorme pietra quel nome non faceva altro che risuonarle familiare. Forse tutta quella storia di Sonic e Shadow le stava mettendo delle idee strane in testa e nasconderla persino ai suoi genitori le metteva ancor più sotto pressione.
«È solo una coincidenza» cercò di giustificarsi mettendo via il cellulare nella tasca. «Non è possibile che sia stato colpa di questo masso a far crollare la cava. I miei genitori si sbagliano. È tutta stanchezza.»

Sai che non è così.

La ragazza si girò di scatto rischiando di scontrarsi con un'infermeria intenta a portare una pila di asciugamani puliti. Ignorati i rimproveri della donna, lei prese a guardarsi intorno alla riceca della fonte da cui proveniva quella voce, ma senza vederla. «Ma cosa...»

Devi trovarlo e proteggerlo.

«Chi sei? Che cosa vuoi?!»

Non devi lasciare che il Master Emerald cada in mani sbagliate.

Veritas si portò le mani alle orecchie premendole con forza, nella speranza di non sentirla più rimbombare nella sua testa. «No ti prego... Non di nuovo»
Il cuore aveva cominciato a battere all'impazzata nel suo petto, la tempie pulsare e il respiro si faceva sempre più affannoso. Proprio come lei temeva, anche questa volta i medicinali avevano perso subito l'effetto. Lei se ne era accorta già quella mattina dopo aver dovuto prendere ben due dosi in presenza di Shadow, una quantità che sarebbe dovuta durare fino a sera.

È questo il tuo scopo. Per questo sei qui. Questa volta non puoi più scappare come hai fatto quel giorno.

«BASTA!» incurante di chi le stava attorno, Veritas cominciò a correre con gli occhi chiusi e tenendo sempre le mani sulle orecchie, nella speranza che quella voce sparisse.


«Quello... è il Master Emerald» disse Knuckles indicando lo schermo con gli occhi spalancati. «È il Master Emerald, dannazione!»
«Knuckles datti una calmata. Siamo in un ospedale» lo ammonì Shadow avendo incrociaro diversi sguardi di altri pazienti presenti nella stanza. «E non siamo soli qui dentro.»
«Non ci sono dubbi. È senz'altro il Master Emerald» confermò sicuro Tails.
«Questo conferma la possibilità che non sia colpa di Eggman. Non avrebbe motivo di teletrasportare il Master Emerald in un'altra dimensione» chiese Sonic incrociando le braccia al petto. «Dico bene?»
«In effetti ha molto senso. Non ci resta che pensare ad una sola cosa» Tails si portò una mano sotto il mento. «Scoprire l'identità di questa ragazza incappucciata misteriosa.»
«Ma gli unici che l'hanno vista sono Sonic e Shadow» puntualizzò Amy delusa. «Dite che anche lei si trovi qui?»
«Come per Eggman anche questa è solo una possibilità» Shadow si avvicinò alla porta pronto ad uscire. «Bene. Visto che abbiamo risolto la questione di Tails, direi che possia-... Ah!»
«Shadow!» Sonic corse subito alla porta per assicurarsi che il rivale stesse bene, poiché era stato travolto all'improvviso. «Shadow! Stai ben-... Veritas?!»
il riccio nero si rialzò impreccando e massaggiandosi la nuca. Alla vista di Veritas tra le sue braccia digrignò i denti seccato. «Maledizione... dannata ragazzina! Stavi cercando di uccider-...» pur essendo pronto a rimproverare l'umana, Shadow dovette fermarsi appena vide le sue condizioni: stava tremando, si teneva le mani alle orecchie e anaspava in cerca di aria, proprio come era successo quella stessa mattina.
«Cavoli Veritas! C'era bisogno di correre così...»
«Dove sono?!» urlò Shadow.
«Shadow ma che hai?! Non urlarle contro!» lo ammonì il blu.
«Non sembra stare bene» intervenne Amy preoccupata. «Forse dovremmo...»
«Dove sono le medicine, ragazzina!» Shadow ignorò i due e si inginocchiò all'altezza di Veritas per prenderle le mani e tranquillizzarla. Era visibilmente provata e spaventata.
«Sh-...Shadow... » sussurrò sofferente lei. «Sei... tu?»
«Sì, sono io. Ti prego, dimmi dove sono» gli rispose il moro con più calma. «Le hai con te?»
Annuì debolmente. «Nella... nella felpa.»
Shadow frugò subito nelle tasche e non appena trovò il flaconcino tirò fuori due pastiglie, ricordatosi di quante ne avesse prese. «Presto! Datemi dell'acqua!»
Presa al volo la bottiglia di Tails, Knuckles gliela lanciò. «Eccola!»
«Forza. Prendile» non appena Shadow porse le pastiglie a Veritas, quest'ultima le mise subito in bocca e prese l'acqua. «Bevi piano. Ecco... così.»
Poco per volta i medicinali stavano facendo effetto e la ragazza riprese a respirare regolarmente, così anche i suoi battiti cardiaci e il dolore alla testa svanì all'istante, ma sopratutto... quella voce non la stava più tormentando. «Ora... va decisamente meglio.»
«Ehi Veritas tutto bene? Riesci a rialzarti?» Sonic allungò un braccio verso l'amica per aiutarla a rialzarsi, che lei accettò senza pensarci due volte.
«Sì, ti ringrazio Sonic. Scusate.»
«Non hai bisogno di scusarti. L'importante che tu stia bene.»
Dopo aver annuito all'amico blu, Veritas si sentì non poco osservata da delle facce nuove, che come Sonic avevano un colore di capelli particolare. « Sonic. Questi... sono gli amici di cui mi hai parlato, vero?»
«Ebbene sì! Sono proprio loro!» gli indicò con un pollice.
«Piacere! Io sono Amy!» le si presentò la ragazza dai capelli rosa shock, seguita dal ragazzo con i dread rosso fuoco.
«E io sono Knuckels.»
«Piacere. Io sono Veritas.»
«E quelli laggiù», indicò dentro la stanza un ragazzino dai capelli color mandarino su un letto d'ospedale e una bambina dai capelli giallo-limone, «Sono Tails e la piccola Cream.»
«Ma cosa gli è successo? Sta bene?»
«Tranquilla! Tails ha la pelle dura. Inoltre grazie a Shadow possiamo andarcene da qui senza problemi.»
Veritas si voltò verso uno Shadow imbronciato e con le braccia incrociate al petto. Le pareva incredibile che lo stesso Shadow che non faceva che insultarla l'aveva aiutata ad affrontare per la seconda volta un attacco, riuscendo persino a tranquillizzarla. Forse, rifletté lei, Sonic aveva ragione sul suo conto dopotutto. «Io ecco... ti volevo ringraziare per...»
«Non hai bisogno di ringraziarmi per una sciochezza del genere. Io vi aspetto fuori. Questo posto comincia a nausearmi.» Senza incrociare lo sguardo di nessuno, il riccio ebano se ne andò verso l'uscita dell'ospedale.
«C'è poco da fare, Veritas. Ormai hai capito com'è fatto» disse Sonic scuotendo la testa.
«Sì. Credo di sì.»
«Aspetta... hai detto di chiamarti Veritas?» chiese Knuckles all'improvviso, sorprendendo l'umana pensierosa.
«S-sì. Perché?»
«Quindi sei la figlia di quei due che hanno il nostro Master Emerald?!»
Veritas trattenne il respiro al suono di quel nome. Di nuovo quel Master Emerald era ritornato nella sua testa, proprio ora che era riuscita a dimenticare. Quindi non si trattava di una coincidenza? Ma come poteva conoscere il nome di un qualcosa che non aveva mai visto in vita sua? Ti prego, pensò intensamente, non un'altra volta.
«Knuckles datti una calmata. Sì, è lei la figlia dei due ricercatori.» lo scansò Sonic, vedendo Veritas a disagio. «E so cosa vuoi chiederle.»
«Sonic io sono il guardiano del Master Emerald. È mio dovere proteggerlo ovunque esso sia!» annunciò con la sua solita fierezza.
«Anche fartelo fregare sempre da sotto il tuo naso fa parte dei tuoi doveri?» lo stuzzicò Amy.
«Che fai mi prendi in giro?! »
«Non sia mai! Piuttosto ti prenderei in giro per quei cosi che hai in testa!»
«Ehi, sai benissimo che non è colpa mia se sono stato trasformato così!»
Approfittando della situazione comica dei due, Sonic prese per le spalle Veritas e la portò vicino al letto di Tails. «Ignorali. È una cosa del tutto normale per loro.»
«Forse anche troppo» ne convenne il fratello minore ridendo.
«Lui ha detto di essere il guardiano della pietra. È così?» ritornò al discorso Veritas.
«Sì è proprio lui. Ora che ci penso ne avevamo parlato la sera scorsa prima di andare a dormire.»
Gli occhi della ragazza si illuminarono a quella frase. «Dici sul serio?! Ne abbiamo parlato?»
Il blu annuì. «Sì certo. Forse un po' velocemente, ma ti ho parlato un po' dei miei amici, degli smeraldi del chaos e del Master Emerald. O almeno così ricordo. Ho parlato talmente tanto!»
Veritas si sentì improvvisamente sollevata e si dimenticò subito della voce. Conosceva il nome perché Sonic glielo aveva raccontato, niente di più: non poteva esserci altra soluzione.
«Signorina Veritas» una voce chiara e delicata stava chiamando la quindicenne: era la piccola Cream, con i suoi occhioni color nocciola di un'innocenza tale da far sciogliere il cuore a chiunque. «Stai... meglio?»
Veritas sbottò un sorriso e si inginocchiò all'altezza della bambina. «Sì. Sto molto meglio ora. Ti ringrazio.»
«Credo che sia ora che mi cambi così possiamo andare. È meglio non far arrabbiare Shadow, ci starà aspettando» disse Tails scedendo dal letto.
« Fai piano Tails!» gli si avvicinò subito Sonic apprensivo.
«Sonic sto bene! È stata una bella botta, ma ora sono a posto dico davvero! Piuttosto dobbiamo preoccuparci di trovare un posto dove poter restare. Fino a quando... non troveremo un modo per tornare a casa.»
«Questo non sarà affatto un problema.» Tails e Sonic si voltarono verso Veritas. «Potete restare a casa mia nel frattempo. La piccola e Amy possono dormire nella mia stanza, mentre voi ragazzi nella stanza in cui è stato Sonic. Shadow è meglio lasciarlo da solo.»
«Ma Veritas! Non possiamo! Hai già fatto molto ospitando me e Shadow. Non possiamo...»
«Sì invece che potete. Non sarà un problema coi miei se userete quelle pietre, dico bene?»
«Sì, ma...»
«Io non vi conosco, è vero, ma voglio aiutarvi a ritornare a casa vostra» la ragazza sorrise all'amico blu sorpreso. «Per cui instisto.»
Sonic allargò a sua volta un sorriso e alzò un pollice insù. «Sei fantastica Veritas. Thank you.»
Data la notizia ai suoi amici, Sonic aiutò Tails a vestirsi e finalmente poterono uscire dall'ospedale per tornare a casa.
«Dal momento che siamo tanti credo proprio che questa volta dovremo usare gli autobus» disse Veritas frugando nel suo portafogli, dove vi tirò fuori una tessera magnetica verde. «Per fortuna ho questa. Dentro ci sono quindici biglietti elettronici. Direi che sono più che sufficienti per noi.»
«Wow! Sei sempre pronta a tutto!» si congratulò di nuovo Sonic.
«Una volta ogni tanto» ridacchiò la ragazza.
«Ce ne avete messo di tempo.» ad aspettarli all'ingresso dell'ospedale c'era Shadow appoggiato ad una colonna di marmo. «Pensavo che non sareste più usciti.»
«Scusaci. Discutevamo sul da farsi. Possiamo tornare a casa» gli rispose Veritas sorridendo.
«A casa? Ma noi...»
«No worries. È tutto sistemato» lo fermò Sonic mettendogli una mano sulla spalla.
«Sonic, te l'ho già detto! Non abbiamo tempo per questi gioc-...»
«Ragazzi voi andate pure avanti. Io e Shadow dobbiamo parlare un attimo.»
«Ma non potete parlarne mentre camminiamo?» obbiettò Knuckles con un sopracciglio alzato.
«Sono affari tra ricci» Amy si schiarì la voce mettendo le mani sui fianchi. «Maschi! Cose fra ricci maschi!»
«Allora cominciamo ad andare. È piuttosto lunga da qui la fermata. Non vi perderete, è la stessa strada di prima» confermò Veritas mostrando il cellulare.
«D'accordo! Grazie mille! A dopo!» Sonic lasciò che i ragazzi si fossero allontanati abbastanza così da poter smettere di sorridere.
«Sei inquietante sai? Ti preferisco di gran lunga con il sorrisetto da ebete.»
«Cos'era successo lì dentro?» chiese serio l'eroe blu, lasciando senza parole il nero. «Cosa aveva Veritas?»
Shadow scosse la testa e cercò di mantenere la sua solita compostezza. «Perché la cosa ti interessa tanto? Ha solo avuto il suo solito attacco d'asma, ce lo aveva detto a casa, no?»
«Shadow io di cose idiote ne dico e ne faccio, ma non sono stupido. Non me ne ha mai parlato. E quella non era sicuramente asma.»
Ma cosa'ha fatto, ha scambiato il cervello con quello di Tails in mia assenza, si disse il riccio bicolore ormai privo di idee.
«Non mi ha sorpreso solo questo. Tu come facevi a sapere delle sue medicine?»
Shadow sospirò rasegnato. «Senti, possiamo parlarne quando saremo tornati a casa di Veritas?» chiese inaspettatamente. «Te lo chiedo per favore.»
Sonic rimase sorpreso dall'espressione supplichevole che aveva Shadow e, portatosi una mano dietro la nuca, disse:«Se me lo chiedi con quella faccia... Ok, va bene. Che ne dici di ritornare correndo?»
L'altro riccio annuì, sorridendo. «Grazie, Sonic.»


Il dottore lesse con estrema attenzione la cartella clinica di John per essere sicuro di quello vi era scritto. A livello di organi interni non si era lesionato nulla, il che era un bene, ma purtroppo le quattro costole rotte e le varie fratture delle ossa sia di braccia che gambe non erano un buon segno. Per non parlare della commozione cerebrale. «Accidenti. Sei stato veramente molto fortunato ragazzo mio, non c'è che dire» commentò l'uomo a bassa voce, in modo da non disturbare il giovane addormentato. «Però dovrai abbandonare per un po' le tue ricerche. Hai bisogno di assoluto riposo.»
Risistemata la cartella ai piedi del letto, il dottore si diresse verso la porta per uscire e dopo aver lanciato un ultimo sguardo al ragazzo, spense la luce e chiuse la porta, ignaro della presenza dietro di essa in attesa di uscire allo scoperto.
Rimasta sola nella stanza, l'ospite inaspettato si tolse il cappuccio del suo mantello, lasciando cadere i suoi capelli corvini sulle spalle e che i suoi occhi color magenta brillassero al buio. «Bene. È arrivato il momento.» la ragazza ridacchiò soddisfatta e si avvicinò al letto di John, ancora profondamente addormentato. «Che meravigliosa coincidenza. Tu sei proprio quello di cui ho bisogno in questo momento. Chi poteva immaginare che avrei potuto usare una pedina che fosse abbastanza vicina al mio obiettivo.»
Frugato nella sua borsa a tracolla, tirò fuori un sacchetto di cuoio che emanava una luce viola e verde pulsante. Finalmente poteva usare uno dei suoi manufatti preferiti su qualcuno.

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Primo capitolo pubblicato: 23 marzo 2016. Ultimo capitolo pubblicato: 19 maggio 2016.
Oggi, il 07 luglio 2019, aggiorno la storia con un nuovo capitolo.
Sono passati ben tre anni. Tre. E la cosa mi sconvolge non poco. Ora, non so se a qualcuno interessi ancora questa storia. È più probabile che sia finita nel dimenticatoio dato questo fantastico periodo di stallo. In ogni caso non sono questa gran scrittrice qui su EFP tale da essere ricordata. Se qualcuno ha ancora tra le “seguite” questa storia be'... non so che altro dire se non : scusate per l'attesa.
Non starò a raccontare tutto ciò che è successo in questi tre anni, ma diciamo che ci sono stati diversi cambiamenti della mia vita che mi hanno spinta ad allontarmi da EFP e non solo. Senza contare che mi ero pure completamente scordata della password e della mail di recupero... andiamo bene... Confesso che per via delle cose successe in questi tre anni, questa storia l'abbia involontariamente dimenticata e durante una pulizia aprofondita del mio hard disk mi sono ritrovata davanti alcuni capitoli.
Ricordo perfettamente di aver promesso che l'avrei continuata per cui... ora ci riproverò. Dopo tre maledetti anni. Per fortuna ho ritrovato diversi appunti della storia per cui, più o meno, so come andare avanti.
Detto questo... spero che il capitolo vi sia piaciuto. O se qualcuno leggerà questa storia per la prima volta, spero vi possa piacere.

Ciao a tutti

Glenda

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