BS Week 2019

di HikariMoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arte, Smoking ed Esplosioni ***
Capitolo 2: *** Pianeti, Asteroidi e Appuntamenti ***
Capitolo 3: *** Saponi, Dolcetti ed Equivoci ***
Capitolo 4: *** Gala, Blog e Vigilanti ***
Capitolo 5: *** Curry, Tavoli e Rivalità ***
Capitolo 6: *** Vite legate dal destino ***



Capitolo 1
*** Arte, Smoking ed Esplosioni ***


Arte, smoking ed esplosioni

Suzuri Hideto apprezzava l’arte ed era capace di ammetterlo senza alcun problema, come ammetteva senza esitazione che il suo interesse si fosse sempre fermato a livello superficiale. Suzuri Hideto non sarebbe stato in grado di indicare i quadri di uno stesso pittore.

Inogashira Nanao, invece, era un giovane magnate della tecnologia e appassionato d’arte. Inogashira conosceva perfettamente le correnti artistiche, le minuscole differenze tra i diversi artisti, i sottili significati delle pennellate e dei colori.

Ed era per questo che, quella sera, all’inaugurazione della mostra della collezione privata c’era Nanao e non Hideto. Nanao che passava di quadro in quadro, un calice di champagne in mano, l’abito di alta sartoria di taglio elegante ma non pacchione, e che era in grado di sciorinare aneddoti e analisi su qualunque fosse la crosta che i suoi bersagli desideravano ammirare in quel momento.

A fine missione, avrebbe dovuto fare un regalo a Stella. Senza l’aiuto e gli appunti di una sua vecchia amica studiosa d’arte, entrare in contatto con il petroliere Joseph Harrington Price sarebbe stato molto più difficile.

Invece, quella serata sarebbe stato l’ultimo pezzo del puzzle che avrebbe mandato in carcere l’uomo, per traffico d’armi, droga e riciclaggio. Doveva solo trovare il momento di allontanarsi dal gruppo.

Il suo bersaglio scoppiò a ridere sguaiatamente, afferrando un nuovo calice di champagne da un cameriere. Con un cenno indirizzò il gruppo di imbellettati uomini d’affari, mogli ed escort (Hideto non era nato ieri, sapeva riconoscere un’attrice per quanto brava fosse). Il nuovo quadro era un quadrato bianco, con sopra spruzzi casuali di colori.

Nanao dimostrò con poche e mirate parole il suo apprezzamento, Hideto si chiese perché un quadro che avrebbe potuto replicare ribaltando le tempere di sua nipote potesse valere così tanto.

“Opera ammirabile. Non immaginavo foste un tale estimatore.”

Hideto strinse impercettibilmente le dita attorno al calice, sforzandosi di non mostrare la tensione istintiva dei muscoli. Invece, imbastì il miglior sorriso di Nanao e si voltò verso il nuovo arrivato.

“Potrei dire lo stesso.”

Izaz ghignò e sorseggiò dal suo calice, posandolo poi direttamente sul vassoio di un cameriere.

“Ci sono ancora molte cose che non sapete di me, mio caro amico. Oh, Mister Price…”

Izaz, fiore all’occhiello dell’agenzia privata che offriva i propri agenti al miglior offerente, si infilò nel gruppo come la serpe che era, ammaliando le dame e conquistando con la sua parlantina gli uomini.

Hideto digrignò i denti e arretrò di un passo, portando con nonchalance il polso alla bocca.

“Abbiamo un problema.”

“Agente Suzuri, qual è la situazione?”

“Izaz è qui.”

Stella imprecò dall’altra parte dell’auricolare. “Possiamo scommettere che ha il nostro stesso obbiettivo.”

“Non ci sono dubbi.”

“Ma guardate, che sbadato, quasi dimenticavo. Ho un appuntamento al quale non posso mancare alle 21:43:05.” Hideto trasalì e si rese conto di essere di nuovo circondato dal gruppo di uomini d’affari. “Non avete idea di quanto mi dispiaccia. Vi lascio nelle sapienti mani di mister Inogashira.”

Tutti si voltarono verso di lui e Izaz ghignò, facendogli un veloce gesto di saluto. “Alla prossima volta.”

Hideto faticò a non imprecare e rovinare così la sua copertura. Nel tempo che gli servì per liberarsi di loro, Izaz era svanito tra la folla. Si fermò in mezzo al salone, voltandosi in tutte le direzioni.

“Riesci a individuarlo?”

“Negativo. Deve essere riuscito a manomettere le telecamere.”

“Non posso aspettare. Mi dirigo al-”

Un’esplosione coprì le sue parole. Una nube di polvere e detriti riempì la scalinata, riversandosi sulla folla che prese a correre urlando dal panico.

“È già in azione.”

“Suzuri, devi assolutamente recuperare quei documenti.”

“Affermativo.”

Iniziò a correre nella direzione opposta della folla, facendosi largo a gomitate. Afferrò la pistola nascosta sotto a uno dei tavoli e attivò i visori infrarossi. Arrivato al piano superiore, tolse la sicura e si avviò con passo felpato verso l’ufficio di Pierce. Aveva pochi minuti prima che pompieri e uomini di Pierce realizzassero che era tutto un diversivo.

Un’ombra saettò nell’angolo sinistro dell’suo campo visivo. Hideto parò la mano con il coltello puntato alla sua tempia e incrociò il ghigno divertito di Izaz.

“Che bello rivederci di nuovo, non trovi?”

E iniziarono a lottare, distruggendo soprammobili e usando parti di mobili come armi, pistola e coltello ormai persi in qualche angolo.

“Suzuri, che sta succedendo?”

Hideto parava i colpi con bracci, mani, gambe e piedi con l’istinto nato da anni di addestramento, dedicando tutta la sua concentrazione nell’individuare dove Izaz avesse la pendrive con i documenti.

Izaz gli sferrò un nuovo colpo rivolto verso la testa, che evitò per un soffio. “Se sapevo che avremmo ballato, mi sarei messo le scarpe da ballo.”

Erano ormai sul balcone centrale. Nella nube dell’esplosione dentro il corridoio, riuscì a sentire il rumore di passi concitati dirigersi nella loro direzione. In lontananza si sentivano le sirene di pompieri e polizia. Non avrebbe avuto una seconda occasione.

“Mai stato un ballerino,” replicò afferrandolo e immobilizzandogli il braccio dietro alla schiena. “Preferisco il paracadutismo.”

E spinse entrambi oltre il parapetto. Izaz emise uno verso stridulo che sembrò uno squittio terrorizzato. Hideto infilò la mano nella tasca della giacca del rivale, afferrò la pennetta, e lo usò come perno per voltarsi verso l’alto. Izaz cercò di abbrancarlo imprecando, ma Hideto allungò il braccio e sparò il rampino nascosto nella giacca.

Il gancio fendette l’aria e si conficcò sottò alle tegole del tetto della villa, trascinandolo verso l’alto.

“SUZURI!”

“Al prossimo ballo!” Hideto rise anche quando un proiettile sibilò a fianco della sua orecchia.

Atterrò sul tetto con una semplice acrobazia. Si voltò verso il giardino e, tra la folla in panico, scorse la figura di Izaz. Ovviamente, il suo rivale era riuscito a non far calare il sipario cadendo da tre piani.

“SUZURI!”

Hideto ghignò e si spazzolò l’abito ormai quasi distrutto dalla colluttazione.

“Materiale recuperato. Mi dirigo verso al punto di estrazione.”

“Suzuri, mi è arrivata la notifica che hai usato il rampino. Se hai distrutto un altro completo, giuro che chiedo al consiglio-”

Gettò un’occhiata alla giacca rovinata e la camicia annerita, mancavano ancora dei bottini, e sorrise.

“No, tranquilla. L’abito è perfetto. Forse le scarpe sono un po’ sgualcite.”

E silenziò l’auricolare. Correndo sul tetto per poi calarsi su un albero e, da lì, superare la cinta del giardino sul retro, si segnò un appunto mentale.

Passare in sartoria e comprare uno smoking identico.

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NOTE DELL’AUTRICE:

Salve a tutti! Eccoci qui con il primo giorno del Battle Spirits Week. E questa volta un po’ di fretta perché, genialmente, ho rimandato fino all’ultimo e, quando è arrivata l’ispirazione, ovviamente non era una drabble come l’anno scorso.

Comunque, spero che vi piaccia. Io mi sono divertita un mondo a scrivere di Hideto in versione spia e di Izaz (ancora un po’ versione Zazie) come suo rivale. Forse non è la mia migliore storia, sono dovuta andare un po’ di fretta, ma per questa volta ho voluto abbracciare lo spirito della BS Week e non preoccuparmi di creare headcanon per Resurgence.

Grazie a quelli che leggeranno e/o recensiranno.

A domani, HikariMoon

P.S. il nome sotto copertura di Hideto è l’unione del nome di due personaggi di Toppa Bashin, la serie mai trasmessa in Italia prodotta prima di Gekiha.

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Capitolo 2
*** Pianeti, Asteroidi e Appuntamenti ***


Pianeti, asteroidi e appuntamenti

“Non credo sia necessario sottolineare l’importanza di questa missione, Capitano Ray.”

Clarky si voltò verso l’ologramma proiettato, scambiando appena uno sguardo con Angers che si trovava dalla parte opposta del tavolo.

“Ammiraglio Kazan, posso assicurarle che io e il mio equipaggio siamo perfettamente consapevoli della situazione. Faremo il possibile per evitare che gli scontri tar le due colonie sfocino in una guerra civile.”

Il volto di Kazan si rabbuiò, rimanendo in silenzio con le mani incrociate dietro la schiena. L’ologramma bluastro oscillò brevemente. Poi si voltò di lato, concentrando la propria attenzione su qualcuno fuori dalla proiezione. L’uomo annuì e tornò a voltarsi verso Clarky.

“Abbiamo appena ricevuto conferma della presenza della Otherworld King nel quadrante. Invieremo astronavi di supporto, ma ci vorrà del tempo prima del loro arrivo.”

Clarky annuì lentamente, posò le mani sul tavolo e si inumidì le labbra.

“La sua organizzazione trarrebbe vantaggio da un simile colpo alla Federazione. E rischierebbe di diventare una scintilla che innescherebbe i malumori nei sistemi. La sua missione NON può fallire, Capitano.”

“Sì, signore!”

Clarky e Angers si portarono sull’attenti e un istante dopo l’ologramma svanì. La tensione, però, non lasciò né la sala riunioni né i volti dei due.

“Cercherà di impedirci di raggiungere il pianeta.”

Angers fu la prima a interrompere il silenzio, facendolo il giro del tavolo e affiancando Clarky.

“Quali sono i suoi ordini, Capitano?”

Clarky raddrizzò la schiena e si sistemò l’uniforme. Poi, si voltò verso la donna sorridendo con sicurezza.

“Raggiungiamo il ponte di comando.”

La Magnifica Sophia non era un’astronave da battaglia. Era un veicolo nato con lo scopo di fare da tramite tra la Federazione e i pianeti nei vari sistemi, fiore all’occhiello dei rapporti diplomatici.

In uno scontro a fuoco diretto, soprattutto con un’astronave delle dimensioni della Otherworld King, era in netto svantaggio. Erano riusciti a sfuggire al primo agguato solo grazie a un salto nell’iperspazio. Non senza subire danni, però.

Clarky espirò lentamente, gli occhi fissi sullo spazio siderale che sfrecciava nella vetrata anteriore.

“Stima dei danni all’iperguida?”

L’ufficiale Hyoudo fece ruotare la sedia per incrociare il suo sguardo. “Il sistema è funzionante, fortunatamente, ma diversi sistemi secondari sono andati in sovraccarico.”

“Tra quanto sarà possibile fare un salto?”

Kenzo si sistemò gli occhiali, tornò a voltarsi verso il computer, e fece scorrere velocemente lo sguardo sulla sequenza di dati.

“Per un po’ dovremo limitarci ai motori sub-luce. Senza il sistema di raffreddamento, fare ora un secondo salto rischierebbe di far completamente saltare in aria la Sophia.”

Clarky si posò contro lo schienale, tamburellando le dita sul bracciolo del sedile.

“Possibilità di aggiustarlo?”

“Non senza spegnere prima il computer centrale o forzare un riavvio, Capitano, ma ci lascerebbe per ore con i soli sistemi d’emergenza.”

L’allarme zittì tutte le voci del ponte e ogni membro dell’equipaggio corse alla propria postazione.

“Tenente Loché qual è la loro posizione?”

La donna non staccò gli occhi dal radar. “Presto saremo nel raggio delle loro armi.”

Clarky si raddrizzò sul sedile. “Prepararsi alla battaglia. Scudi e armi pronti. Non voglio uno scontro diretto, ma dobbiamo raggiungere quel pianeta.”

Un coro di signorì fu l’unica risposta. Non una parola fu pronunciata nei minuti successivi, tutti fin troppo consapevoli di non poter sfuggire alla più grande e potente astronave.

“Capitano.”

Clarky tornò a voltarsi verso Angers, questa volta voltata verso di lui, la fronte leggermente aggrottata e una mano ancora posata sulla tastiera del computer.

“Potrei avere un’idea.”

Annuì e la donna si girò verso il computer, proiettando la mappa del quadrante davanti a lui.

“In questo momento stiamo per raggiungere gli estremi del sistema. Attorno ad esso, c’è un fitto anello di asteroidi. La Sophia ha una mobilità maggiore.”

“Idea geniale, Loché!” Clarky le rivolse un sorriso smagliante. “Se sopravviviamo, permettimi di offrirti una cena.”

Tutto l’equipaggio sbuffò esasperato.

“Per favore, accontentalo non se ne può più di sentirlo,” borbottò Kenzo alzando gli occhi al cielo.

“Se sopravviviamo, potrei pensarci,” replicò Angers nascondendo un sorriso.

Clarky alzò le spalle e, tornato serio, si voltò verso i piloti.

“Rotta verso la fascia di asteroidi. Vediamo di seminarli.”

La Otherworld King li raggiunse prima di poter mettere in atto il loro piano. I suoi cannoni al plasma riversarono sui già provati scudi della Sophia una pioggia di colpi che aveva il solo scopo di distruggerla.

“Scudi al 65%!”

“Siamo entrati nella fascia di asteroidi!”

Clarky strinse i denti, sforzandosi di mantenere il sangue freddo e continuando a impartire un ordine dietro l’altro. Con ogni spia che si accendeva, ogni sistema che raggiungeva l’area critica diventava più difficile.

La Sophia cominciò a sfrecciare tra gli asteroidi, ma erano ancora lontani dalla regione più fitta.

“Pensa, Clarky, pensa.”

Continuava a ripeterselo sottovoce nella speranza che potesse accendere una qualche miracolosa idea. Doveva riuscire a trovare un modo per guadagnare un po’ di tempo.

“Attivate il canale di comunicazione con l’Otherworld King.”

L’ufficiale addetto alle comunicazione trasalì, esitò, lo guardò per conferma e solo allora, dopo l’ennesima esplosione che fece squassare l’astronave, eseguì l’ordine.

“Comunicazioni attivate.”

“Scudi al 42%!”

“Qui è il Capitano Clarky Ray, della Magnifica Sophia. Parlo con il comandante della Otherworld King?”

Ci furono alcuni secondi di silenzio statico, intervallati dal suono di esplosioni, urti con piccoli asteroide di cui intercettavano l’orbita e allarmi che si attivavano dai sistemi più disparati.

“Pronto ad arrendervi, Capitano?”

La voce profonda, minacciosa, sembrava godere della posizione di potere che aveva nei loro confronti. Tutti a bordo della Magnifica Sophia conoscevano la fama di quell’uomo dall’identità sconosciuta che si era posto a capo di un’organizzazione che manipolava e sfruttava le più piccole debolezze dei sistemi.

Clarky sorrise.

“Se devo essere sincero, volevo chiedervi di interrompere l’attacco. Sono alquanto affezionato all’astronave. Mi dispiacerebbe vederla distrutta.”

“Sono un uomo ragionevole, Capitano Ray. Consegnateci il materiale nella vostra stiva e permetteteci di scortarvi lontano dal sistema in cui vi state dirigendo, e vi do la mia parola che voi e la vostra astronave non verrete ridotti a un rottame fumante.”

Angers gli fece cenno di proseguire.

Clarky si piegò in avanti, posando i gomiti sulle ginocchia.

“Offerta allettante ma, vedete, ho degli ordini. Se mi volesse offrire un segno delle vostre buone intenzioni, potrei riflettere meglio.”

Dalla Otherworld King rispose solo il silenzio statico. Ma, pochi istanti dopo, le esplosioni sugli scudi deflettori si interruppero.

La regione centrale della fascia di asteroidi era a un soffio da loro. Clarky si voltò verso Kenzo.

“Un salto nell’iperspazio è possibile. Sarò rischioso, ma fattibile. Ma non possiamo essere colpiti.”

“Sto aspettando.”

“Comandante, le sono grato. Siete veramente un uomo di parola. Quali sono i vostri termini, dunque?”

“Arrendetevi, consegnateci il contenuto della vostra stiva e allontanatevi dal sistema. Accettate entro un minuto o preparatevi a venire annientati.”

Clarky incrociò lo sguardo di Angers. Lei annuì. Nella vetrata frontale gli asteroidi si fecero sempre più numerosi.

“Siete generoso, Comandante. Ma, come vi dicevo, ho degli ordini.” Si voltò verso il pilota. “Seminiamoli!”

I cannoni al plasma della Otherworld King ripresero a colpire ma, grazie allo scudo degli asteroidi, sempre meno colpi riuscivano a centrare l’agile e veloce Sophia.

“Motori a tutta forza. Appena siamo fuori dalla portata di tiro dei loro cannoni, voglio che venga eseguito il salto nell’iperspazio più veloce della vostra vita!”

“Sì, signore!”

Clarky strinse le mani sui braccioli, faticando a non venire sballottato dalle brusche manovre manovre dell’astronave. Sapeva che rischiavano, sapeva che i sistemi non avrebbero potuto reggere a lungo.

“L’Otherworld King è rimasta indietro!”

Un hurrah spontaneo salì sulle labbra di tutto l’equipaggio. Clarky dovette quasi urlare per farsi sentire.

“Salto nell’iperspazio! ORA!”

Kenzo attivò uno dopo l’altro i comandi. “Salto nell’iperspazio in tre, due, uno!”

Asteroidi, stelle e nero dello spazio si confusero in un lunghe strisce luminose.

Clarky si lasciò andare contro lo schienale. “Situazioni dei sistemi?”

“Lo scudo è quasi al 10%. Molti sistemi secondari hanno ricevuto un bello stress. Ma dovremmo essere in grado di raggiungere la meta.”

Quella volta Clarky si unì al coro di hurrah. Per poi voltarsi verso Angers.

“Questa volta, devi assolutamente venire a cena con me!”

Tutto l’equipaggio alzò gli occhi al cielo.

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SPAZIO AUTRICE:

Secondo giorno, secondo prompt. Comincio a rimpiangere di non aver fatto come l’altro anno. Perché non mi sono accontentata di scrivere delle drabble? Spero di reggere il ritmo fino alla fine di questa settimana.

Anche oggi, ovviamente, non ho avuto tempo di rileggere. Spero davvero tanto di non aver fatto errori mostruosi. Nel caso, perdonatemi, ma la tabella di marcia è alquanto pressante.

Dopo un inizio difficoltoso, anche oggi mi sono divertita un mondo a scrivere di Clarky e compagnia in questa versione spaziale. Il collegamento questa volta è meno difficile, Clarky era già un capitano in Brave, ma qui diciamo è passato alla fase successiva.

Che lo show degli AU continui!

Grazie a quelli che leggeranno e/o recensiranno.

A domani, HikariMoon

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Capitolo 3
*** Saponi, Dolcetti ed Equivoci ***


Saponi, Dolcetti ed Equivoci

Fin da bambine, le sue amiche ripetevano ridacchiando le parole vergate sulla loro pelle, sognando la persona che un giorno le avrebbe pronunciate.

Flora aveva provato il loro entusiasmo fino al giorno in cui aveva imparato a leggere. E, da quel momento, aveva capito perché i suoi genitori avessero sempre sviato il discorso.

Dopo che anche le sue amiche, trattenendo a fatiche le risate, avevano cercato di consolarla assicurandole che avrebbero potuto non essere così male, Flora aveva iniziato a nascondere la frase e a dire a tutti che era nata senza un’anima gemella.

“Inverti sale e zucchero! Lo troverei in un battibaleno!”

Aveva frequentato un corso di cucina dietro l’altro e, anche quando si ritrovava sporca di farina dalla testa ai piedi, si ripeteva che era per un bene superiore. Perché, era ovvio per lei, una persona del genere era meglio perderla che trovarla.

Zolder non aveva paura di nulla, non provava vergogna di nulla.

Non era certo per quello che, dal primo momento che aveva letto le parole sulla sua pelle, era inorridito e le aveva nascoste. Tutte le persone che aveva conosciuto avevano frasi brevi, a volte banali, a volte stranamente romantiche.

Solo lui si era ritrovato la tirata di una pazza che probabilmente sarebbe morta d’asfissia dopo averla pronunciata.

Si chiedeva mentre si allenava, quando il suo sguardo si posava sulla fascia bianca che gli avvolgeva l’avambraccio, cosa avrebbe mai potuto dire di così terribile da meritarsi una simile reazione.

Ma non se n’era mai fatto un cruccio.

Non aveva bisogno dell’anima gemella.

Una palestra, i suoi allenamenti, le sue gare e avrebbe fatto benissimo a meno di lei per tutta la sua vita.

Flora canticchiava mentre preparava lo stand insieme alle amiche del suo gruppo. Sulla tovaglia bianca, ognuna delle loro saponette intagliate avrebbe fatto un figurone.

La loro era una piccola passione, ma era sempre pronte a lavorare sodo quando c’era una raccolta fondi.

E lei adorava vedere le espressioni stupite degli adulti e quelle strabiliate dei bambini.

“Le dividiamo per tipologia, vero?”

Flora annuì, adagiando una dopo l’altra le piccole ciambelle. Poi, chiuse gli occhi e annusò i profumi che si confondevano nell’aria, assaporando il momento.

“Ma sono saponette!”

La voce di una bambina la distolse dai suoi pensieri e, con un enorme sorriso, si voltò verso i clienti.

“Benvenuti! Se preferite qualche profumazione, possiamo trovare quella più adatta a voi!”

La bambina saltò su e giù indicando i muffin. “Voglio quello al cioccolato!”

Dopo aver ricevuto l’assenso dai genitori, Flora afferrò la saponetta e si diresse verso il retro dello stand.

“Adesso troviamo la busta e avrai subito il tuo muffin!”

Dovette rovistare qualche istante, ma finalmente trovò i sacchetti che non era ancora stati tirati fuori. La prossima volta sarebbero dovute arrivare prima per evitare di ritrovarsi indietro con la fiera già iniziata.

Quando sbucò fuori, sacchetto in mano, rivolse un nuovo sorriso alla famiglia. “Eccoci qua!”

Le sue amiche stavano già parlando con altri clienti che ammiravano stupiti i loro lavori. Profondamente orgogliosa, Flora consegnò il muffin e ricevette il pagamento. Stava ancora salutando la bambina, quando si accorse di un altro potenziale cliente che si era avvicinato e fissava incuriosito la loro esposizione.

Era un tipo muscoloso, non certo il loro cliente tipo, ma dopotutto anche gli atleti dovevano pur lavarsi. Si avvicinò a lui con il suo miglior sorriso e aprì la bocca per chiedergli a cosa fosse interessato.

Fu allora che lui allungò la mano, afferrò una delle piccole ciambelle e se la gettò in bocca.

Flora sgranò gli occhi e gelò, notando appena le espressioni altrettanto stupite di clienti e amiche.

Il tipo masticò un paio di volte per poi sputare la ciambella spezzettava e ricoperta di saliva per terra.

“Bleah! Oh, mamma!”

E sputacchiò ancora un paio di volte. Flora cominciò a scuotere la testa, lentamente, afferrandosi convulsamente l’avambraccio coperto dal maglione, affondando quasi le unghie nelle pelle. Se avesse potuto, se la sarebbe strappata la pelle.

Il tipo si volò verso di lei, strofinandosi un braccio sulla bocca, riuscendo a essere sorpreso che le saponette non fossero di suo gusto. “Che schifo!”

Flora era certa di sentire le parole incise sulla sue pelle bruciare. Che cosa aveva fatto di male?

Forse sarebbe stato meglio che lei avesse davvero scambiato zucchero e sale.

Il tipo la guardò stralunato, come se, in quella situazione, fosse lei la strana.

“Razza di buzzurro!” Flora inveì verso di lui, puntandogli un dito contro. “Ma mangi qualsiasi cosa ti capiti a tiro? Lo sai distinguere un fiore da una foglia di insalata?”

Quella giornata, per Zolder, era iniziata male. Non poteva essere altrimenti, o la palestra non sarebbe stata chiusa a causa di un allagamento.

Con tanto tempo da occupare, aveva vagato per le strade fino a quando era stato attratto dai cartelloni della fiera. Fiera voleva dire cibo e non ci aveva pensato due volte. Il cibo avrebbe sicuramente migliorato quella giornata.

Ma si era sbagliato, eccome se si era sbagliato. Quella mattina non sarebbe neppure dovuto uscire dal letto.

La fiera si era dimostrata carina, ma niente aveva attirato la sua attenzione e gli stand del cibo scarseggiavano. Poi aveva sentito una bambina parlare di muffin. Si era avvicinato e, finalmente, aveva creduto che le cose stessero andando nel verso giusto.

Aveva fame, era da ore che non mangiava, e aveva afferrato il primo dolcetto sotto ai suoi occhi. Non era molto elegante, ma avrebbe pagato la commessa e, se gli fossero piaciute, ne avrebbe anche comprati altri.

Ma la ciambella non era una ciambella.

Era sapone.

Dannatissimo, schifoso, sapone.

Sputò la poltiglia impiastricciata contro i suoi denti.

Chi era la persona sana di mente che illudeva le persone in quel modo! O sapone o cibo.

“Bleah! Oh, mamma! Che schifo!”

La commessa dai capelli rosa lo guardò come se fosse un mostro e gli puntò un dito contro. Tutto, davvero tutto si era aspettato, ma non la pazza in grado di strillare senza prendere fiato. Solo allora si rese conto che la pazza aveva stretto le proprie dito su uno dei suoi avambracci.

“Razza di buzzurro! Ma mangi qualsiasi cosa ti capiti a tiro? Lo sai distinguere un fiore da una foglia di insalata?”

Il più assurdo marchio dell’anima gemella della storia quasi bruciò la sua pelle. Zolder arretrò, sbattendo le palpebre, non riuscendo a trattenere la smorfia inorridita sul suo volto.

“Ma che razza di frase è la tua!”

Zolder si strappò la fascia dal braccio e le sventolò l’avambraccio davanti alla faccia rossa dalla rabbia, le parole che occupavano quasi tutto lo spazio dal gomito al polso.

“Ti rendi conto che ho dovuto vivere per tutta la vita con questa porcheria?”

Lei inspirò, borbottando indignata, e alzò in fretta e furia la propria manica. Ormai, non solo le sue amiche, ma anche i clienti e altri passanti osservavano allibiti la loro scenata.

“Perché la tua frase pensi sia migliore! Bleah, oh mamma, che schifo! Lo sai che se tu sapessi leggere saresti stato in grado di tirare fuori qualcosa di meglio!”

E puntò il dito contro il cartellone del loro stand. Saponi intagliati.

“Beh, avevo fame,” si difese Zolder senza troppo successo. “Non ho fatto caso.”

Flora afferrò un muffin colorato, verde e bianco, e glielo lanciò contro. Abbassò la testa per riuscire a evitarlo.

“Non farti rivedere mai più!”

Zolder alzò le mani in alto, sbuffando e facendo retro-front. “Contaci!”

Flora riuscì a trattenere le lacrime per tutta la giornata. Ma, quella sera, quando si ritrovò a impacchettare i saponi non venduti, non riuscì a non piangere.

Imbustava i saponi, tirava su con il naso e si strofinava gli occhi.

Perché la sua anima gemella doveva essere quel buzzurro?

Aveva sempre creduto di essersene fatta una ragione tanti anni prima, ma evidentemente una parte di lei aveva davvero sperato che potesse non essere così male.

“Scusa? Sei ancora qui?”

Flora irrigidì, inspirò ed espirò. Poi, ruotò e marciò verso il tavolo ormai vuoto, pronta a dirgliene quattro. Il tipo davanti a lei stava tenendo un braccio dietro la schiena e si dondolava con evidente imbarazzo.

“Cos-”

“Tieni.”

E quasi le sbatté in faccia una rosa bianca. Flora sbatté le palpebre, aprendo e chiudendo la bocca senza saper cosa dire.

“Ci ho ripensato, ed effettivamente sarei dovuto stare un po’ più attento. Però siete brave, non avrei mai saputo dire la differenza. Quindi, tieni.”

Flora allungò le dita e afferrò il fiore, inghiottendo un groppo in gola. “Grazie.”

Rimasero immobili per più di qualche minuto, poi lui spinse la mano in avanti.

“Io sono Zolder.”

“Flora.”

E gliela strinse dopo un attimo di esitazione.

“Ti va di andare a mangiare qualcosa?”

Flora scoppiò a ridere e portò una mano davanti alla bocca. “Sicuro di non preferire una saponetta? Ce ne sono rimaste diverse.”

Zolder le rivolse una smorfia. “Spiritosa. Ti va o no?”

Flora tornò a voltarsi verso gli scatoloni, la rosa stretta tra le dita. “Ok, ma devo prima finire di sistemare.”

Forse, non sarebbe stato così male.

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SPAZIO AUTRICE:

Terzo giorno e anche il terzo AU è completato! Oggi credevo davvero di non riuscire a scrivere nulla. Continuavo a fissare il foglio bianco senza la minima idea, anche se sapevo di voler scrivere di Flora e Zolder. Che volete, sono il mio duo comico preferito e avevo già deciso di non voler fare un SoulmateAU troppo sdolcinato. Non sapete che sollievo quando l’ispirazione è arrivata!

Anche oggi, ho letteralmente finito di scrivere e aggiornato, quindi chiedo il solito perdono per possibili errori.

Spero che questa versione di Zolder e Flora via abbia divertito come mi sono divertita io a scriverne.

Mi sto divertendo da pazza con questi AU!

Grazie a quelli che leggeranno e/o recensiranno.

A domani, HikariMoon

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Capitolo 4
*** Gala, Blog e Vigilanti ***


Gala, blog e vigilanti

“... sono attese diverse figure di spicco nel panorama artistico e sociale. L’annuale gala sponsorizzato dalla Shinomiya Innovations quest’anno raccoglierà i fondi per gli aiuti alle popolazioni coinvolte…”

Mai sbuffò e voltò la pagina della rivista appoggiata contro il divano, approfittando per bere un sorso del suo frullato.

“Non sanno parlare d’altro in questo periodo. Serjou, metti un po’ di musica.”

“Subito, madame.”

L’abitacolo della limousine si riempì delle note allegre e vivaci dell’ultima canzone che aveva appassionato Mai. La giovane donna sospirò di sollievo, si tolse le scarpe e allungò le gambe sul sedile.

“Finalmente. Quello che ci voleva.”

Sfogliò ancora un paio di pagine del giornale per poi roteare gli occhi e lanciarlo sul sedile opposto, su una già piuttosto precaria pila di riviste.

“Sai quanti articoli speculano su quale vestito indosserò questa sera?”

Serjou fece fermare l’automobile al semaforo, abbozzando un piccolo sorriso. “No, madame.”

Tutti.”

Mai sciolse i capelli stretti fino a quel momento in uno chignon e lasciò vagare lo sguardo fuori dal finestrino. La concorrenza era sul piede di guerra, più del solito, e ogni consiglio d’amministrazione diventava una battaglia di numeri e opinioni.

“Da quello che ho sentito, l’ultima apparizione di Violet Shadow ha attirato molta dell’attenzione dei media.”

Mai ghignò, intrecciando una ciocca attorno al dito. “È stato interessante leggere le loro ipotesi, più divertente del solito. Più del vedere il mio toto vestito. Violet Shadow è un vampiro è diventato il nuovo trend sui social.”

Il cancello di casa sua apparve dopo aver svoltato. Dopo il breve vialetto attraverso il giardino, Serjou fece fermare la limousine davanti al portone d’entrata. Mai tornò a infilarsi ai piedi le scarpe, afferrò la propria ventiquattr’ore e spalancò la portiera.

“Il gala inizia alle 21:30.”

“L’automobile sarà qui ad aspettarvi alle 20:50 in punto.”

Mai rivolse a Serjou un enorme sorriso e scese dall’automobile. Non appena entrò nell’atrio, tolse di nuovo le scarpe e proseguì a piedi scalzi. Raggiunto il salone, lanciò la borsa sul divano e iniziò a togliersi gli orecchini.

“Plym, sono a casa.”

Nessuno le rispose.

La donna alzò gli occhi al cielo e proseguì oltre. Passò in cucina, dove afferrò una mela, percorse il corridoio fino alla porta che conduceva al seminterrato: il mondo di Plym.

Già con la porta chiusa era possibile sentire uno strano ronzio, misto a tonfi di vario tipo e clangore di oggetti meccanici salire dal piano inferiore. Mai aprì la porta e, cominciando a mangiare la mela, scese la rampa di scale.

Il seminterrato era illuminato a giorno, riempito all’inverosimile di apparecchiature, parti meccaniche ed elettroniche di cui Mai, in tutta sincerità, aveva perso il conto. Si posò contro il parapetto e sorrise nel vedere la ragazza armeggiare con uno dei suoi robot, mani e viso sporchi di grasso.

“Passato un bel pomeriggio Plym?”

La ragazza trasalì, per poi voltarsi con un sorriso. “Mai! Non ti avevo sentito tornare. Stavo finendo di fare i compiti, quando mi è venuto in mente la possibile soluzione del problema di ieri. E indovina un po’?”

Mai le fece cenno di proseguire.

“Mecha fantastico! Tutto sta funzionando secondo i piani.”

“Meglio così,” concordò Mai guardandola con affetto. Poi tornò a rizzarsi e gettò il torsolo in un cestino. “Questa sera farò tardi, cerca di non essere ancora qui quando tornerò dal gala.”

Plym ghignò, afferrando un cacciavite. “Farò il possibile. E sappi che non ti invidio neppure un po’.”

Mai scosse la testa e tornò a risalire le scale.

“Qualunque cosa, io adesso vado a farmi un bagno. Speriamo sia una serata tranquilla.”

Il bagno era stato favoloso, riuscendo a rilassarla e a eliminare ogni traccia dello stress accumulato durante la giornata. La serata sarebbe stata perfetta, non ci fosse stato il gala, ma era pronta a soffrire un po’ per una buona causa.

“Cosa ne pensi Serjou? Nero è sempre elegante, ma mi sembra un po’ banale. Il 75% dei sondaggi supponeva che avrei scelto questo colore.”

Serjou superò il letto, su cui Mai era seduta a gambe accavallate in mezzo a una dozzina di vestiti buttati sopra alle coperte, e affiancò l’armadio. Dopo un qualche istante, tirò fuori un vestito.

“Posso suggerire questo color crema? I ricami viola e neri non sono eccessivi e ricordo eravate entusiasta quando lo avete provato.”

Mai sollevò lo sguardo dai vestiti davanti a lei e la smorfia di disappunto si trasformò in un luminoso sorriso.

“Sei un genio! Come farei senza di te?”

“Credo sapreste cavarvela egregiamente.”

La donna saltò giù dal letto, afferrò il vestito e provò a vedere l’effetto davanti allo specchio.

“Perfetto. Insieme potrei mettere-”

“Non vorrei disturbare, ma ci sarebbe un problemino.”

La voce estremamente dispiaciuta di Plym venne diffusa dall’altoparlante. Mai alzò gli occhi al cielo e tornò a passare il vestito a Serjou, per poi posare le mani sui fianchi.

“Che succede?”

“Il Golden Lion è hai Laboratori von Bergen.”

Mai sollevò il polso. “Sono le 19:45. Meno di un’ora. O quasi una e mezza se ti raggiungo a metà strada. Spero che oggi non abbia preparato un monologo troppo lungo.”

Serjou annuì, stendendo l’abito sul braccio, mentre la donna si stava già avviando verso la porta della camera.

“Preparo tutto l’occorrente nella limousine? Ha qualche preferenza per le scarpe?”

Mai tornò a sporgersi, i capelli che scivolarono sulla sua spalla. “Mi fido di te. Violet Shadow deve entrare in azione.”

Plym, abbandonati i suoi progetti, si era seduta al computer di ultima generazione di cui Mai aveva dotato lo spazio del loro piccolo hobby, una stanza segreta sotto il seminterrato piena di tutti i gadget di cui aveva dotato Violet Shadow negli ultimi anni.

“Io sono pronta. Pome è pronto?”

Plym roteò sulla sedia facendole il segno di ok con un enorme sorriso. Mai aveva già indosso la sua uniforme, una tuta rinforzata in kevlar e titanio che sfumava dal nero al viola, ed era già seduta sulla sua moto. La motorviole come lei si divertiva a chiamarla.

“Sarà in posizione come al solito.”

Il piccolo drone emise un bip dal tavolo su cui era posato.

“Ottimo. Dopotutto, l’immagine di Violet Shadow deve essere curata. E sai come finirebbe con i giornalisti…”

Plym scoppiò a ridere e tornò a voltarsi verso il computer, sul cui schermo era già visualizzata la mappa della città, afferrando le cuffie e attivando il microfono.

“Buona fortuna Violet Shadow!”

Il rombo della moto fu la sua unica risposta.

Violet Shadow, mimetizzata tra le ombre, raggiunse il limitare dei laboratori von Bergen. Verificato che nessuno potesse vederla, prese una ricorsa e piroettò oltre il muro che cingeva la proprietà. Atterrò dall’altra parte senza emettere un suono e si proseguì dopo aver fatto un occhiolino verso Pome.

Arrivò a una porta secondaria. La serratura era collegata a un codice numerico. Prese dalla cintura una pendrive e, dopo aver forzato la copertura, la collegò a esso. Un attimo dopo, sul suo schermo apparve la combinazione e la porta si aprì.

Si intrufolò senza fare rumore, chiudendosi la porta alle spalle. L’interno era scuro, appena rischiarato dalle piccole luci d’emergenza. Shadow attivò i visori notturni.

“Dove si trovano?”

“Sono nel laboratorio centrale. Golden Lion è insieme a sei uomini. Altri due sono alla porta d’entrata e due sono sul tetto. Hanno già manomesso le telecamere, quindi meno lavoro per me.”

“Inviami la mappa dell’edificio. Attenta che Pome non venga visto.”

“Mappa inviata.”

La guardò appena, gettò uno sguardo all’orologio e si spinse avanti. Erano già le 20:15, doveva fare in fretta.

Il tragitto fu veloce e privo d’intoppi. Arrivata all’angolo dietro cui c’era il corridoio con la porta del laboratorio, si sporse appena e vide i due uomini armati.

Shadow afferrò due dischi taser dalla cintura. Si lanciò fuori dal nascondiglio e gli lanciò contro i due avversari. I due uomini non fecero in tempo a emettere un suono prima di venire messi k.o. dalla scarica elettrica che attraversò il loro corpo.

Li superò senza dar loro bada, sarebbero rimasti nel mondo dei sogni fino all’arrivo della polizia, ed entrò nel laboratorio gettando una bomba fumogena.

Violet Shadow!”

Lion quasi ringhiò il suo nome e tutti i suoi uomini alzarono le armi, senza però riuscire a prendere la mira.

“Fatti vedere. Questa volta non riuscirai a fermarmi.”

Shadow ghignò da dietro il banco dove si era nascosta. “Credevo ti fosse chiaro, caro Lion.”

Si alzò in piedi e, usando il bancone come appoggio, si gettò oltre ad esso. Schivò i primi colpi e, arrivata vicino al primo, lo stese con un calcio rotante.

“Sono io la protagonista di questo show.”

Con rapidi e precisi gesti, muovendosi prima che potessero fermarla, Shadow affrontò uno dopo l’altro i cinque uomini ancora in piedi. Sfruttando soprattutto la potenza dei suoi calci e l’agilità dei suoi salti, li disarmava per poi parare i loro pugni. Ma lei si era addestrata per anni nelle arti marziali: non avevano chance contro di lei.

Stese l’uomo con un disco taser e si voltò pronta a combattere verso il Golden Lion.

“E la protagonista vince sempre.”

L’uomo gridò, un grido di battaglia che davvero sembrava il ruggito di un leone, e si gettò contro di lei. Shadow iniziò a schivare i pesanti colpi dell’avversario, conscia che i suoi punti di forza erano la maggior mobilità e agilità rispetto al più grosso uomo.

Il loro scontro rovesciò e danneggiò la maggior parte del materiale presente nel laboratorio. Fortunatamente, le celle frigorifere dove erano contenuti gli agenti pericolosi, tra cui quello che Lion aveva cercato di rubare, rimasero intatti.

Shadow continuò a punzecchiarlo, schivando e parando ogni suo colpo, aspettando che la furia avesse la meglio. E, anche quella volta, tutto andò come si aspettava. I criminali non erano le sole persone i cui ego si divertiva a sgonfiare.

Appena vide un varco afferrò un taser dalla cintura e lo premette contro il suo collo. Lion emise un grido di rabbia cieca e di dolore, afferrandosi il collo e vacillando. Shadow ghignò e lo stese con un calcio rotante.

Lion cadde a terra con un tonfo, lei non esitò e lo legò agganciandolo a uno dei banconi.

Per scrupolo, si avvicinò e controllò che effettivamente non fosse riuscito a prendere l’agente chimico che cercava. Soddisfatta, Shadow si rimise in piedi e si guardò attorno.

“Le riprese sono venute fantastiche, Shadow!”

Pome volteggiò attorno a lei, facendo un’ulteriore ripresa degli uomini stesi e di Golden Lion, che stava già riprendendo coscienza. Appuntandosi di tarare meglio il voltaggio dei taser, lo raggiunse e gli tappo la bocca con un pezzo di nastro adesivo. L’uomo le lanciò uno sguardo cocente di rabbia.

Shadow gli fece un cenno di saluto e uscì, correndo lungo i corridoi verso la porta da cui era entrata.

“Perfetto. Mi affido a te per scegliere il meglio per il nuovo post di Parole Violette. E prepara anche qualche foto se nel caso ti assillassero i giornali. E controlla che tutti i firmware e i sistemi di criptazione siano attivi. E che-”

“Tranquilla, lo so come si fa. Me lo hai insegnato tu. Nessuno riuscirai mai a risalire a noi dal blog di Violet Shadow. Ora vai, la polizia è già avvisata e Serjou sta venendo a prenderti a un paio d’isolati da lì.”

Shadow rise tornando a immergersi nell’aria della notte. Era un rischio, ma era anche una motivazione in più, che aggiungeva quel brivido di adrenalina. Dopotutto, nessun eroe aveva mai avuto il coraggio di gestire la propria pagina web.

Plym aveva ragione. Fino a quel momento, nessuno aveva mai neppure pensato di collegare la vigilante Shadow Violet alla CEO e filantropa Shinomiya Mai.

“Quanto sono in ritardo?” furono le sue prime parole quando si fiondò dentro la limousine, che mise in moto prima ancora che lei avesse chiuso la porta.

“Se la mia stima risultasse corretta, dovremmo arrivare con appena quindici minuti di ritardo. Se premette, un ritardo più che consono per un’entrata a effetto.”

Mai ghignò verso il vetro oscurato, anche se Serjou non poteva vederla, e cominciò a togliersi l’armatura. I successivi venti minuti furono una corsa contro al tempo per riuscire a vestirsi, acconciarsi e truccarsi come se in realtà avesse impiegato più del triplo del tempo.

Ma, negli anni, aveva avuto più d’un’occasione per allenarsi e ormai le veniva quasi naturale.

Finì di mettersi il rossetto nell’esatto istante in cui Serjou fermò l’automobile davanti al tappeto rosso.

Mai si diede un’ultima controllata, afferrò la borsetta e lisciò il vestito.

“Augurami buona fortuna.”

“Buona fortuna, Lady Viole.”

Mai sorrise determinata e posò la mano sulla maniglia.

“Che lo show abbia inizio.”

E scese dall’automobile.

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SPAZIO AUTRICE:

Rieccomi qua! Eh, sì, niente quarto giorno. Purtroppo, ieri ho avuto davvero poca poca ispirazione e, piuttosto di buttare giù una schifezza, ho preferito saltare il giorno. Oggi però non ho avuto problemi anche perché questa era una delle prime idee che mi sono venute pensando ai prompt.

Ho adorato scrivere di Mai in versione supereroe, con Parole Violette trasformato nel blog gestito dalla stessa Mai per presentare una buona immagine del suo alter ego e con Plym e Serjou come suoi perfetti compagni di squadra.

So che i combattimenti sono molto affrettati, ma il tempo è poco e non avevo davvero voglia di scrivere qualcosa di super dettagliato. Spero che perdonerete l’estrema vaghezza. Ma, dopotutto, per scrivere in così poco tempo in questi giorni mi sono dovuta appoggiare a cliché e a prendere ispirazione da materiale esistente.

Solo due giorni alla fine della Week!

Grazie a quelli che leggeranno e/o recensiranno.

A domani, HikariMoon

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Capitolo 5
*** Curry, Tavoli e Rivalità ***


Curry, tavoli e rivalità

Il Gurii’s Bistro era il punto di ritrovo per i molti studenti dell’università vicina o gli impiegati dei vicini uffici. Il luogo era piccolo e confortevole, i gestori gioviali e rumorosi erano una famiglia che gestiva il locale da tre generazioni.

Dan ci era arrivato per caso, mentre si dirigeva verso la fermata della metropolitana, dopo essere passato in università per informarsi sui corsi che offriva.

Il locale, quel pomeriggio, era ancora pressoché deserto. Ai tavoli c’erano solo un paio di studenti, impegnati su libri o computer. Dan si infilò in uno dei tavoli contro la finestra e si mise a sfogliare i dépliant dell’università.

“Vuoi ordinare qualcosa?”

Dan si voltò senza vedere nessuno. Sbatté gli occhi e si guardò in giro.

“Qui sotto,” aggiunse timidamente la stessa voce.

Solo allora Dan si accorse che a parlare era un bambino che arrivava appena all’altezza del tavolo, con folti capelli marroni e un enorme sorriso.

“Non sei un po’ piccolo per fare il cameriere?”

Il bambino gonfiò le guance e puntò i pugni sui fianchi. “Ho già quasi sei anni. Nella mia famiglia cresciamo tutti dopo!”

Dan alzò le mani davanti a sé, arretrando un po’ sul divanetto.

“Scusa, non volevo fare insinuazioni. Ma non dovrebbe esserci qualcun altro a servire ai tavoli?”

Il bambino saltò sul divanetto di fronte al suo, sospirando.

“Nonbirii è di là in cucina. Di solito c’è anche mamma a quest’ora, ma è dovuta andare a casa perché i gemelli piccoli stavano male. E papà doveva andare a prendere mio fratello e mia sorella. Volevo rendermi utile. Io mi chiamo Zungurii!”

E gli rivolse un altro enorme sorriso.

Dan aggrottò la fronte e sbatté le palpebre un paio di volte. “Ma quanti siete?”

Zungurii abbassò lo sguardo, sollevando la mano davanti a sé. “Donburii, Nonborii, Yukurii…”

Continuò a sciorinare un nome dopo l’altro, sollevando per ognuno un dito.

Dan si sporse in avanti e spalancò gli occhi. “Ma quanti siete?”

“Venti?”

“Zungurii, quante volte ti ho detto di non disturbare i clienti?”

I due si voltarono verso il nuovo arrivato, un ragazzo alto e corpulento con tratti sorprendentemente simili a Zungurii.

“Non stavo disturbando! Volevo prendere il suo ordine!”

“Va tutto bene” si intromise Dan con tono allegro. “Stavamo facendo amicizia.”

Nonbirii non sembrò del tutto convinto, ma si limitò a scuotere la testa. “Cosa posso portarti?”

“Ordina il nostro riso al curry!”

Dan tornò a guardare verso Zungurii, che si era sporto in avanti. “È il piatto della casa!”

Guardò l’ora e mandò con la mente un breve pensiero di scuse a sua madre. Quella sera a cena non sarebbe stata contenta.

“Va bene!”

“Non te ne pentirai! Uh, com’è che ti chiami?”

Dan scoppiò a ridere, mentre Nonbirii si allontanava, e porse la mano. “Dan. Mi chiamo Dan.”

Dan aveva scoperto per caso il Gurii’s Bistro ma, pian piano, si era sempre più affezionato al piccolo Zungurii. E tornò così tante volte in quel posto, dove a suo dire facevano un riso al curry buono quanto quello di sua madre, che finì per essere assunto come cameriere.

La prima volta era successo per caso, un altro pomeriggio in cui impegni improvvisi avevano tenuto lontano i membri della famiglia Gurii. Ma, poi c’era stata una seconda e una terza. Dopo la quarta volta, Nonbirii gli aveva offerto un posto part-time come cameriere. E Dan aveva accettato.

Tutto andò bene nei primi tempi: Dan si divertiva a chiacchierare e servire le persone, sempre con un sorriso e una battuta pronta. Ogni volta che c’era un momento di pausa, aiutava Zungurii con i compiti o giocavano insieme ai videogame.

Le cose cambiarono quando, un paio di mesi dopo, la famiglia Gurii decise di assumere un secondo cameriere.

“Sono arrivato!”

Dan spalancò la porta e, come ogni pomeriggio, entrò nel caldo e famigliare interno del bistro. Ormai, lo conosceva come le sue tasche e li considerava un po’ parte della sua famiglia.

Quel pomeriggio, però, c’era qualcosa di diverso.

Di solito, quando arrivava, molti dei tavoli dovevano ancora essere puliti, con piatti da sparecchiare e tovaglie da cambiare. Quel giorno, invece, tutti i tavoli erano tirati a lucido e i cuscini sui divani posizionati alla perfezione.

Dan si avvicinò al tavolo dove era seduto Zungurii, chinò su un quaderno, e lo colpì su una spalla lasciando cadere la borsa accanto a lui.

“Ma che è successo qui? Non sono in ritardo vero?”

Zungurii scosse la testa e gli rivolse un sorriso incerto. “Più puntuale del solito, ma non è colpa tua. Mamma e papà hanno assunto un nuovo cameriere.”

“Tu devi essere Bashin Dan.”

Dan ruotò e vide a due passi da lui un ragazzo dai capelli biondi stretti in una coda, una mano posata sul fianco. Il ragazzo lo guardò dall’alto in basso, con uno sguardo di sufficienza, quasi lo stesse squadrando.

“Visto che non arrivavi, mi sono permesso di occuparmi di tutti i tavoli. Spero non sia un problema.”

“Nessun problema,” disse Dan porgendo la mano e cercando di mostrarsi amichevole. “Ora siamo una squadra!”

Il ragazzo si limitò ad annuire, girare sui tacchi e dirigersi verso una coppia di clienti appena entrata nel locale.

Dan rimase imbambolato a fissarlo, la mano ancora tesa. Poi, lanciò uno sguardo a Zungurii.

“Ma che ho detto?”

Zungurii alzò le spalle. “Si chiama Chiarodiluna Barone. Credo sia uno studente di scienze politiche.”

Magisa era una cliente abitudinaria del Gurii’s Bistro, che sceglieva sempre per il buon cibo, i prezzi modici e l’ambiente famigliare. Da un paio di settimane, però, c’era un motivo in più per cui visitava il locale.

“Il solito Nonbirii!”

Era diventata una routine. Magisa entrava, si sedeva al bancone e Nonbirii le serviva una fetta di torta al cioccolato e il suo solito cocktail all’arancia. E si sistemava per assistere allo spettacolo.

“Fra quanto pensi che arriveranno?”

Nonbirii guardò appena l’orologio appeso al muro e, sospirando, continuò ad asciugare i bicchieri.

“Presto.”

La porta si spalancò con forza, ribalzando contro al muro. Dan si appoggiò un attimo allo stipite, l’altra mano posata sulle ginocchia piegate. Prese un respiro e si rimise in piedi rivolgendo loro un enorme sorriso.

“Primo!”

Magisa mise in bocca un pezzetto di torta ridacchiando.

“Bravissimo Dan!” esultò Zungurii, saltando giù dal solito tavolo e correndogli incontro.

“Glielo fatta vedere a Barone oggi! Dov’è mister puntualità?”

“Proprio dietro di te.”

Dan fece un balzo in avanti, quasi ribaltando Zungurii che arretrò goffamente, e si voltò ritrovandosi un impassibile Barone a un passo da lui.

“Se ti metti a perdere tempo sulla porta, come pensi che i clienti possano entrare?”

Dan aprì la bocca per ribattere, ma Barone lo ignorò, entrando dentro il locale e dirigendosi dietro al bancone.

“Ma chi si crede di essere?” borbottò correndogli dietro dopo aver lanciato il proprio zaino a Zungurii.

Pochi minuti dopo, entrambi erano già nella sala, senza quasi guardarsi mentre pulivano un tavolo dietro l’altro. Magisa scolò l’ultimo sorso del bicchiere e lo porse, senza staccare gli occhi dai due, a Nonbirii che, come al solito, tornò a riempirglielo. Da un angolo della sala, Zungurii faceva il tifo per Dan.

Entrambi i due ragazzi pulivano i tavoli a tempo da record, con la maggior foga da parte di Dan e con i precisi e mirati movimenti di Barone.

“Laggiù c’è ancora una macchia!”

“Magisa, ti prego, non istigarli. Ci pensano da soli.” Nonbirii la supplicò porgendo il bicchiere di nuovo pieno. Magisa lo afferrò alzando le spalle.

“Dove sarebbe il divertimento altrimenti?”

Barone e Dan, quest’ultimo quasi inciampando su una sedia, si fiondarono al tavolo indicato dalla donna.

“Cercati un altro tavolo, Bashin. Sono arrivato prima io.”

“Bugiardo! Ho posato la mano ben prima di te!”

Barone ghignò.

“Può essere, ma io non ho lasciato il mio straccio sull’altro tavolo.”

Dan si guardò le mani, per poi voltarsi verso il tavolo che aveva appena lasciato. Lo straccio sembrava deriderlo dalla superficie lucida su cui era posato.

“Accidenti!”

“Siete sicuri di cavarvela da soli?”

Dan annuì e allargò le braccia, indicando tutto il locale, con entusiasmo. “Non ti preoccupare, Nonbirii. Il Gurii’s Bistro non potrebbe essere in mani migliori!”

Nonbirii ridacchiò nervosamente, continuando a lanciare occhiate preoccupate ai due anche quando aiutò Zungurii a indossare il capotto.

“Cercherò di portarti una fetta di torta, Dan!”

Dan si chinò in avanti e gli arruffò i capelli. “Divertiti e fai gli auguri a Yukurii!”

“Contaci!”

Una volta che i due Gurii uscirono dalla porta, Dan controllò che il cartello con scritto aperto fosse appeso e si diresse verso Barone.

“Come vuoi che-”

“Io servo i tavoli, tu resta dietro il bancone.”

E il ragazzo lo superò dirigendosi verso l’armadio delle tovaglie. Dan sospirò e andò ad aprire la cassa.

Man mano i clienti riempirono il locale e i due riuscirono a gestire tutto senza troppi problemi, anche se Dan confuse un paio di bevande e Barone sembrò sul punto di graffiare la faccia di un paio di clienti che avevano deciso di dover criticare anche la posizione dei chicchi di riso nel piatto.

L’autocontrollo di Barone, però, ricevette il colpo di grazia quando un gruppo di bambini accompagnati da un paio di genitori arrivò per festeggiare un compleanno. Barone si avvicinò con un sorriso tirato, lanciando occhiatacce a ogni bambino che faceva volare un tovagliolo dal tavolo.

“Cosa vi posso portare?”

I bambini cominciarono a urlare uno sopra all’altro, nonostante i due genitori che cercavano invano di far loro abbassare la voce. Alcuni clienti dei tavoli vicini cominciarono a guardarsi attorno, infastiditi. Barone riprovò un paio di volte a segnare gli ordini, che puntualmente doveva cambiare perché cambiavano idea non appena un altro dei bambini gridava quello che voleva mangiare. Quando l’ennesima forchetta cadde per terra, Barone si chinò fulmineo ad afferrarla.

“Torno subito,” sibilò allontanandosi per recuperarne una nuova.

Dan si rese conto che l’altro stava raggiungendo il punto di rottura. Posò il bicchiere che aveva appena lavato, afferrò una forchetta pulita e corse incontro a Barone.

“Me ne occupo io. Tu vai al bancone. Tanto sei comunque più veloce di me come barista.”

Dan lo spinse avanti e si diresse con un sorriso verso il tavolo di bambini urlanti. Una battuta e una scenetta buffa dopo, Dan riuscì a conquistarli tutti e, trasformando tutto in un gioco, riuscì a prendere le ordinazioni.

“Visto, tutto sotto controllo!” esclamò entrando in cucina.

Barone scosse la testa e iniziò a preparare le bevande.

Il resto della serata passò senza intoppi, grazie al modo con cui Dan riusciva a vincere i clienti e alla precisione e velocità con cui Barone serviva al banco e faceva funzionare la cassa.

Nonostante questo, quando l’ultimo cliente uscì e venne appeso sulla porta il cartello di chiuso, Dan tirò un sospiro di sollievo.

“Wow, non pensavo che sarebbe stato così pesante. Ma abbiamo fatto un buon lavoro, che dici?”

Barone lo affiancò porgendoli una bottiglia ghiacciata appena tirata fuori dal frigo. Dan la afferrò con un sorriso.

I due si sedettero al bancone, bevendo in silenzio e osservando i tavoli ancora tutti da pulire. Dan posò la bottiglia sul tavolo e si voltò verso Barone.

“È un po’ che me lo chiedevo, com’è che sei arrivato a lavorare qui?”

Barone smise di bere e lanciò uno sguardo diffidente verso di lui.

“Perché questa domanda?”

Dan alzò le spalle e agitò le mani per poi tornare ad afferrare la propria bottiglia.

“Così, non mi sembri proprio il genere di persona che ha bisogno di soldi per pagarsi la retta. Sei così, così-” Dan si grattò la testa, sforandosi di trovare un termine che non suonasse offensivo. Barone lo fissò con un sopracciglio alzato. “Raffinato?”

Barone distolse lo sguardo, voltandosi verso i vetri su cui si vedevano i loro riflessi. Per alcuni istanti, i soli rumori furono il ticchettio dell’orologio e le automobili sulla strada.

“Hai ragione, non mi serve.”

Barone bevette un altro sorso.

“La mia famiglia è ricca e non ho mai dovuto fare sacrifici per ottenere nulla. Ma…”

“Ma?”

“Ma sentivo di voler sapere, di voler capire.” Barone si alzò, lasciando la bottiglia sul tavolo e rivolgendo le spalle a Dan. “Voglio entrare in politica e voglio farlo per aiutare le persone, per fare in modo che tutti ottengano lo stesso trattamento, soprattutto i più deboli. Ma come posso farlo, se non so niente di come sia davvero la loro vita?”

Tornò a voltarsi verso Dan, che ricambiò l’intenso e determinato sguardo con un’espressione sorpresa. Poi sorrise e gli porse nuovamente la bottiglia.

“Beh, sono felice che tu sia venuto a lavorare qui.”

Barone la afferrò e le fecero tintinnare.

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SPAZIO AUTRICE:

Penultimo giorno! Più passano i giorni, più mi sto rendendo conto di che assurde storie sto inventando. Però mi sto divertendo un mondo, dovrà pur contar qualcosa no?

Comunque, ve li sareste mai immaginati Dan e Barone in versione camerieri? A quanto pare, io sì. Tanto, la loro amicizia-rivalità rimarrebbe comunque la stessa. Come anche l'amicizia con Zungurii!

Domani è l’ultimo giorno e, nonostante sia stato divertente, credo di essere pronta per far finire questa BS Week. È stato veramente una corsa!

Grazie a quelli che leggeranno e/o recensiranno.

A domani, HikariMoon

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Capitolo 6
*** Vite legate dal destino ***


Vite legate dal destino

La sveglia riprese a suonare e Dan borbottò qualcosa contro il cuscino, stringendoselo più forte alla testa. Perché la sera prima si era dimenticato di togliere la sveglia? Per una volta che aveva un giorno di ferie.

Sbadigliò e allungò il braccio per spegnere l’oggetto infernale che stava tentando di spaccargli i timpani. Tastò e tastò, ma sul comodino c’era solo la lampada e il cellulare.

La sveglia riprese a trillare.

Dan sospirò rassegnato e, con grande sforzo, emerse dal bozzolo delle coperte in cui si era rinchiuso. Sbatté le palpebre più e più volte, strizzando gli occhi contro la luce del sole che filtrava tra le tende. Perché aveva lasciato le tende aperte?

Si guardò attorno ancora una volta e, finalmente, la vide. La sveglia sembrava deriderlo da sopra la scrivania, accanto a un foglio con scritto una data. Perché aveva segnato la data di oggi?

Dan gemette e si lasciò cadere contro il cuscino. Che cosa gli era preso la sera prima?

Il cellulare vibrò.

Sperando che non fosse qualche problema sul lavoro, lo afferrò e si sforzò di mettere a fuoco le scritte sullo schermo. Aveva un messaggio vocale. Non guardò neppure di chi fosse, si limitò ad attivarlo lasciando scivolare il telefono sul cuscino. Aveva già chiuso gli occhi.

“Dan, sono Kajitsu. Stai ancora dormendo, vero? Yuuki era sicuro che sarebbe successo. Mi raccomando, non fare tardi. Altrimenti ci resto male.”

Alla risata divertita di Kajitsu che chiuse il messaggio, Dan saltò su dal letto con gli occhi sgranati, affondando le mani nei capelli.

“Maledizione! Ecco perché!”

Si catapultò giù dal letto, finendo in ginocchio, e gattonò fino alla scrivania. Solo allora realizzò che avrebbe potuto controllare sul cellulare che ora fosse. Afferrò comunque la sveglia e sbiancò. Erano le 9:08.

Dan si rimise in piedi e fece volare la sveglia sul letto. Si guardò attorno, per un attimo colto dal panico, e vide sulla maniglia dell’armadio il completo. E si portò di nuovo le mani tra i capelli.

“Il matrimonio!”

Kenzo, blocco in mano, passò in rassegnare per la seconda volta il salone e i tavoli del giardino. I membri del catering lo stavano guardando male e, in un certo senso, lui li capiva ma aveva promesso a Mai che sarebbe stato tutto perfetto. Lei aveva già abbastanza di che preoccuparsi con Clarky.

“E ricordate che vi farò segno quando sarà il momento di portare la torta.”

Non aspettò che gli rispondessero e andò a verificare che la leggera pioggia della notte prima non avesse danneggiato le decorazioni del giardino.

“Kenzo! Non so come avrei fatto senza di te!”

Mai sbucò in quel momento, borsa in spalla e fiato corto. “Hai fatto un lavoro straordinario.”

“Il merito è stato soprattutto di Kajitsu, Yuuki e Clarky. Hanno scelto tutto loro. Hai visto la torta?”

La donna annuì, ammirando le tavolate pronte ad accogliere il buffet. “Kajitsu ha fatto un capolavoro, come sempre. I suoi dolci sono arte!”

Kenzo allungò la mano per sistemare uno dei rami intrecciati e, dopo averlo guardato, annuì soddisfatto.

“Hai visto Clarky?”

Kenzo tornò a voltarsi verso Mai, sedutasi un attimo su una delle sedie. Aveva aperto la borsa e stava controllando la sua macchina fotografica, quella professionale che usava solo in quelle occasioni. Anche se, pensò divertito, quel giorno avrebbe dovuto lasciare che anche qualcun altro la prendesse in mano.

“Al piano di sopra. Penso ti stia spettando.”

Mai scoppiò a ridere, si rimise in piedi, e afferrò la borsa. “Allora lo raggiungo. Lo sai come può essere lui. È capace di creare un dramma per un nonnulla.”

“Allora, vai, che qui è tutto sotto controllo. Così ti prepari anche tu.”

Mai gli schizzò l’occhio e corse verso la casa, un sorriso sulle labbra. Kenzo tornò serio e riprese a scorrere la propria lista. Catering controllato, decorazioni controllate…

“La musica!”

E si affrettò verso il gruppetto di musicisti per far loro una nuova interrogazione a sorpresa. Tutto sarebbe stato perfetto, o lui non si chiamava Hyoudo Kenzo.

Hideto gettò un’ultima occhiata al navigatore, giusto per essere sicuro che la strada fosse giusta, e svoltò. La richiesta di Yuuki lo aveva colto un po’ alla sprovvista, soprattutto quando aveva scoperto che anche Kajitsu si era premunita di imprimere la data nella sua testa. E Kajitsu era tanto dolce, ma sapeva essere determinata.

Questo Bashin Dan doveva proprio essere un caso particolare.

Non appena svolto, la prima cosa che vide, a una ventina di metri da lui, era un uomo dai folti capelli rossi vestito in smoking che imprecava contro un automobile. Si avvicinò rallentando la macchina e scuotendo la testa: cominciava a capire.

“Stupida automobile!” E il tizio dai capelli rossi sferrò un calcio a una delle gomme.

Hideto si fermò, abbassò il finestrino e si sporse sopra al sedile del passeggero. “Bashin Dan?”

Dan ruotò e aggrottò la fronte, guardandolo sorpreso. “Sì, sono io.”

Poi sembrò realizzare che anche lui indossava uno smoking e il sollievo si fece largo sul suo viso.

“Sei un amico dei Momose?”

Hideto si sforzò di non ridere, limitandosi ad aprirgli la portiera.

“Esatto, Yuuki mi ha quasi obbligato a farmi venire qua. E a vederti, mi sa che aveva ragione.”

Dan scoppiò a ridere, afferrò chiavi, cellulare e un sacchetto dalla sua auto, e si sistemò sul sedile.

“Sei il mio salvatore. Ho fatto del mio meglio, ma stamattina mi sono comunque svegliato tardi e non so che cosa è preso alla mia auto.”

Hideto ridacchiò, immettendo l’automobile nel traffico.

“Io sono Dan, comunque.”

Gli strinse brevemente la mano ricambiando il sorriso. “Hideto. Sicuro di essere amico di Kajitsu e Yuuki? Non me ne volere, ma loro sono sempre così precisi e-”

Dan scoppiò a ridere. “Lo so. Me lo dicono tutti. Ci siamo conosciuti a una convention di non mi ricordo più quale RPG. Aveva bisogno di un terzo componente dato che loro già occupavano il ruolo di tank e di healer. Così sono entrato in scena io.”

“Ora capisco,” ribadì Hideto impostando l’indirizzo datogli da Mai. “Hai approfittato della segreta passione dei fratelli Momose.”

“Ma tu gli hai mai visti giocare? Fanno quasi paura!”

Clarky inspirò profondamente e riprese a marciare. Mai, seduta su una delle poltroncine, sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Sapeva di essere ridicolo, ma non riusciva a trattenersi. Era andato tutto bene, fino a pochi minuti prima. Poi era arrivata Mai, anche lei già pronta, e lui aveva realizzato quanto poco tempo mancasse alla cerimonia.

Si infilò le mani nei capelli e si voltò verso di lei con gli occhi stralunati.

“E se stessi per fare l’errore peggiore della mia vita?”

“Non dire sciocchezze. State insieme da quattro anni. Avevate pianificato il matrimonio da cinque mesi.”

Mai si alzò in piedi e gli venne incontro. Gli afferrò le mani e gliele strinse, sorridendo.

“Siete la coppia più dolce e adorabile che conosco. Mi fate quasi venire le carie.”

Clarky abbozzò un sorriso, per poi tornare serio. Si separò da Mai e si diresse verso il tavolino sui cui aveva posato il piccolo bocciolo di rosa. Lo prese delicatamente tra le dita, facendolo roteare.

“Non voglio farla soffrire, Mai. Ha già dovuto affrontare così tanto.”

Mai tornò ad affiancarlo, lo afferrò per le spalle e lo costrinse a guardarla negli occhi.

“Clarky, ascoltami. Yuuki non ti avrebbe mai fatto avvicinare a lei se avesse anche solo sospettato che tu le avresti fatto del male. Tu la fai felice, vi amate. Perché non lasci perdere tutte queste sciocchezze e ti decidi a godere questo momento? Vuoi passare il resto della tua vita con lei, non è vero?”

Clarky distolse lo sguardo, ripensando alla prima volta che aveva incontrato Kajitsu. Era ancora solo uno sciocco, che si divertiva ad andare alle feste e a conquistare le ragazze in cerca di quella giusta per lui. Le aveva offerto un fiore e un sorriso smagliante, ma lei lo aveva guardato senza battere ciglio e aveva rifiutato.

Si era innamorato in quel momento e si era ripromesso che avrebbe fatto di tutto per dimostrare che non stesse scherzando.

Ricordò i primi appuntamenti, le serate a guardare film e chiacchierare, le passeggiate nei parchi e i pomeriggi a pattinare. Sorrise ripensando al giorno in cui Yuuki lo aveva preso da parte e gli aveva chiesto quali fossero le sue intenzioni. Aveva realizzato allora che voleva stare tutta la vita con lei.

“Sì.”

Clarky scoppiò a ridere e strinse tra le braccia Mai, facendola roteare. “Sì! Grazie Mai, per avermi impedito di fare l’errore peggiore di tutta la mia vita! Non vedo l’ora che la cerimonia inizi!”

Quando Yuuki rientrò nella stanza, Kajitsu era seduta vicino alla finestra. Stringeva il bouquet di rose bianche e girasoli tra le dita e fissava l’esterno.

“Tutto a posto, sorellina?”

Si voltò verso di lui con un sorriso radioso. “Non riesco ancora a credere che sia tutto vero.”

Yuuki superò in poche falcate la distanza che lo separava da lei e si inginocchiò al suo fianco. Strinse le sue mani inguantante tra le sue e la guardò dolcemente.

“È tutto vero.”

Lei chiuse gli occhi e lui notò piccole gocce imperlate tra le sue ciglia. “Sono così felice, Yuuki. Così felice.”

Delicatamente le tolse il bouquet dalle mani. Si alzò, trascinandola su, e la strinse tra le braccia.

“Va tutto bene, sorellina. Va tutto bene.”

Kajitsu posò la guancia contro la sua spalla, stringendo le dita sulla sua giacca.

“Mi sembra impossibile, fratellone. Dopo l’incidente in cui sono morti i nostri genitori, abbiamo sempre dovuto lottare. E ora invece…”

Yuuki sentì la sua voce incrinarsi. La fece staccare da lui e le strinse il volto tra le mani.

“E invece ora è arrivato il momento che tu sia felice. Il mio sogno più grande è sempre stato quello che tu avessi un futuro bellissimo. Dimentichiamoci il passato, ok?”

Kajitsu annuì, afferrando il fazzoletto che le stava porgendo e usandolo per asciugarsi gli occhi. Aveva passato la maggior parte della vita a proteggerla, a fare il possibile affinché niente potesse più farla soffrire. Aveva avuto paura, quando aveva realizzato quanto Kajitsu si fosse innamorata di Clarky. Se lui l’avesse presa in giro, le si sarebbe spezzato il cuore. Ma aveva temuto invano perché lui amava Kajitsu quanto lei amava lui. E, per la prima volta, Yuuki aveva potuto fare un passo indietro e affidare la felicità di sua sorella a qualcun altro.

Kajitsu gli afferrò una mano. “Promettimi che troverai la felicità anche tu, dammi la tua parola, ti prego.”

Yuuki sorrise e le sfiorò la fronte con un bacio. “Lo farò, te lo giuro. Ma ora non pensare a me, pensa a te stessa. Vai a vivere il tuo futuro.”

Kajitsu si guardò attorno e faticò a trattenere le lacrime. Attorno a lei c’erano tutti i suoi amici, le persone che più amava, che erano diventate una famiglia per lei, e ogni volta che si voltava vedeva tutti gli sforzi che avevano fatto per rendere quel giorno meraviglioso.

Non avrebbe mai potuto ripagarli abbastanza.

“Sei una sposa radiosa, Kajitsu!”

Mai si fece largo e le venne incontro con le braccia spalancate, due calici di champagne nelle mani. Le gettò le braccia al collo.

“Mai, grazie! Grazie davvero. Non so come avremmo fatto senza di te! Clarky mi ha raccontato tutto.”

La donna scoppiò a ridere e, separatasi da lei, le porse uno dei due bicchieri.

“Lo sai, com’è. Ogni tanto ha bisogno che qualcuno gli metta in chiaro le cose.”

Kajitsu sorrise cercandolo con lo sguardo. Era a pochi metri più in là, in un gruppo in cui c’erano anche Yuuki, Hideto, Dan e Kenzo. Mai intrecciò un braccio al suo.

“Sono quasi invidiosa di come vi guardate. Se uno dei miei ragazzi mi avesse mai guardato così, mi sarei già sposata.”

Kajitsu abbassò lo sguardo, sentendosi le guance accaldarsi. Poi, tornò a voltarsi verso l’amica.

“Troverai anche tu l’uomo perfetto.”

Mai sbuffò e rise, facendole poi un cenno verso avanti. “Vi lascio soli.”

Kajitsu ridacchiò e scosse la testa vedendola allontanarsi con i pollici alzati. Poi, si voltò e il suo sguardo incrociò quello di Clarky. Sorrise e intrecciò la mano alla sua. Clarky le sfiorò le nocche con il pollice.

“Permettete questo ballo, signora Ray?”

Annuì, faticando a trattenere la propria gioia. Risero mentre si stringevano l’uno all’altra, cominciando a ondeggiare piano sulla melodia che riempiva l’aria. Il mondo si restrinse a loro soli.

“Sono l’uomo più felice di questo mondo.”

Kajitsu posò la testa contro il suo petto e sorrise felice.

Rimasero in silenzio a lungo, appagati dallo stare semplicemente vicini. Non avevano bisogno di parole per sentire l’amore l’uno dell’altra.

Poi, Clarky rise. Kajitsu sollevò la testa e seguì il suo sguardo. Rise anche lei.

“Ma sei sicura che tra quei due possa funzionare?”

“Chiamalo intuito femminile.”

“Ah, beh, io sicuro non ti contraddico. Ti conosco troppo bene per farlo!”

E le catturò le labbra in un bacio.

Mai si lasciò scivolare su una sedia, emettendo un verso di sollievo dal togliere il peso dai piedi, almeno per un paio di minuti. La cerimonia era stata meravigliosa, tutto era stato perfetto, anche grazie a Kenzo, ma lei non vedeva l’ora di scaricare un po’ di tensione.

Sorseggiò dal proprio calice di champagne, sorridendo nel vedere Clarky e Kajitsu ballare dolcemente stretti l’uno all’altra.

Era tutto bellissimo, ma sperava davvero che nessuno dei suoi amici e amiche avesse intenzione di sposarsi nell’imminente futuro.

“Questo posto è libero?”

Mai si voltò e vide davanti a lei un giovane uomo con capelli rossi fin troppo spettinati per una cerimonia. Poi si rese conto di quello che aveva tra le mani e scoppiò a ridere. Il tizio sbuffò e si sedette dalla parte opposta del tavolino, posando tra loro due il bouquet di rose e girasoli.

“Non è divertente.”

Mai si morse un labbro, nascondendo la bocca dietro alla mani e sforzandosi in tutti i modi di frenare l’ilarità.

“Devo farti le mie congratulazioni?”

Le rivolse una smorfia e incrociò le braccia. “Non capisco perché non poteva lanciarlo di nuovo. Ero lì per sbaglio! Una delle ragazze aveva perso la borsa!”

“Voleva il bouquet!”

E Mai scoppiò di nuovo a ridere. Lui le lanciò un’occhiataccia, ma si vedeva che anche lui stava cominciando a fare fatica a restare serio.

“Prima di prendere in giro le persone, potresti anche presentarti almeno.”

Mai tornò seria, anche se non riuscì a togliersi il sorriso dalle labbra, e gli tese la mano.

“Shinomiya Mai, la testimone dello sposo e grande amiche di entrambi.”

“Bashin Dan, amico della sposa.”

Mai aggrottò la fronte e poi gli puntò il dito contro. “Quello con cui giocano a… cavolo qual è il nome di quel gioco?”

Dan scoppiò a ridere. “Tu invece come li conosci?”

“Sono un’assidua della White Rose, la pasticceria di Kajitsu. E ho frequentato alcuni con all’università insieme a Clarky e Yuuki.”

Poi Mai si abbassò, mettendosi a rovistare nella borsa. Dan si sporse per vedere che cosa stesse facendo.

“Puoi prendere un attimo il bouquet?”

“Certo.”

Si voltò fulminea, la macchina fotografica stretta tra le mani, e scattò una foto di un allibito Dan. Continuò a fissarla con gli occhi sgranati anche mentre controllava come fosse venuta.

“Questa Kajitsu e Clarky la adoreranno.”

“Non puoi dire sul serio!”

Mai gli schizzò l’occhio. “Ovvio che sì, sono la fotografa del matrimonio! E adesso scusami, ma il dovere mi chiama!”

Corse via ridendo. Gettò uno sguardo oltre la spalla e lo vide saltare in piedi, trottandole dietro.

“Mai!”

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SPAZIO AUTRICE:

Siamo arrivati alla fine della seconda BS Week! Quasi quasi mi commuovo! Anche quest’anno ho voluto concludere con una storia un po’ più corale, dove ci fossero tutti i Maestri della Luce.

Ero riuscita a depistarvi all’inizio? Immaginavate che fosse di qualcun altro il matrimonio? Lo so, sono perfida. Ma l’idea mi piaceva troppo. Ho cercato di immaginarmi come avrebbero potuto essere le vite dei Maestri della Luce in un mondo come al nostro, senza portali per altri mondi o missioni per salvare la Terra (quindi niente Angers, sorry).

Quindi, è nata questa piccola storia. Dove Yuuki e Kajitsu non portano con loro il peso delle vite passate e dove i Maestri della Luce non si sono per forza conosciuti tutti da ragazzi. Ma voi che dite, Kajitsu ci avrà visto giusto? Dopotutto, in Gekiha sembrava averci visto lungo.

Non penso di avere molto altro da dire, se non ringraziare tutti coloro che hanno letto e in particolare Elinacrisant per aver partecipato insieme a me a quest’avventura! Grazie!

Detto questo, si chiude il sipario su questa settimana. Forse in futuro se mi verrà l’ispirazione aggiungerò un capitolo “bonus” per il giorno in cui non ho scritto niente. Si vedrà!

Mi prenderò un paio di giorni per ricaricare le energie (è stato davvero un tour de force) e vi do appuntamento all’episodio 4 che spero di pubblicare il prima possibile!

Varco apriti, energia!

HikariMoon

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