The biggest challenge

di giambo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Demoni ***
Capitolo 2: *** Prima volta ***
Capitolo 3: *** Cadere e rialzarsi ***
Capitolo 4: *** Il dolore e la rabbia, parte prima ***
Capitolo 5: *** Il dolore e la rabbia, parte seconda ***
Capitolo 6: *** Non volere essere un peso ***
Capitolo 7: *** Le responsabilità di un adulto ***
Capitolo 8: *** Sacrifici ***
Capitolo 9: *** Paure ***
Capitolo 10: *** Il momento più felice ***
Capitolo 11: *** L'attesa più lunga ***
Capitolo 12: *** Il dovere di uno shinobi, parte prima ***
Capitolo 13: *** Il dovere di uno shinobi, parte seconda ***
Capitolo 14: *** Il dovere di uno shinobi, parte terza ***
Capitolo 15: *** Il dovere di uno shinobi, parte quarta ***
Capitolo 16: *** Il dovere di uno shinobi, parte quinta ***
Capitolo 17: *** Il dovere di uno shinobi, parte finale ***
Capitolo 18: *** Il coraggio di andare avanti ***
Capitolo 19: *** Equilibrio ***
Capitolo 20: *** Lotta contro il passato ***
Capitolo 21: *** Empatia ***
Capitolo 22: *** Saper premere il tasto giusto ***
Capitolo 23: *** Parole non dette ***
Capitolo 24: *** Genitore responsabile ***
Capitolo 25: *** Atto di Fede ***
Capitolo 26: *** Croci, parte prima ***
Capitolo 27: *** Croci, parte seconda ***
Capitolo 28: *** Perdono, parte prima ***
Capitolo 29: *** Perdono, parte seconda ***
Capitolo 30: *** Perdono, parte terza ***
Capitolo 31: *** Promesse di sangue, parte prima ***



Capitolo 1
*** Demoni ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

 

Demoni

 

 

 

Fuori pioveva.

Il ticchettio continuo, capace spesso di cullarlo verso il mondo onirico, questa volta lo disturbava. Gli sembrava di ricevere centinaia di martellate dentro il cranio, mentre avvertiva uno spiffero freddo asciugargli il sudore lungo le gambe.

Pioveva. Incessantemente, continuamente. Vento ed acqua si riversavano contro i muri di quella vecchia casa silenziosa. Come sempre del resto. Avvertì freddo alle gambe, mentre il resto del corpo sudava sotto gli strati di coperte, ma non volle muoversi. Sentiva la presenza di lei al suo fianco, così rilassata, così pacifica, persa nel suo mondo dei sogni.

Gli occhi cerulei si mossero lentamente dal soffitto, con l'intonaco scrostato, al corpo che premeva contro il suo fianco sinistro. Lo guardava, senza realmente soffermarsi su qualcosa in particolare. Non sapeva dire cosa c'era in lui in quel momento che non andasse, per quale motivo vederla dormire in maniera così pacifica, e nuda, al suo fianco lo riempisse di una strana sensazione. Era come se migliaia di aghi gli stessero entrando lentamente sotto la pelle, donandogli l'irrefrenabile impulso di allontanarsi da lei.

Hina-chan...

Il corpo di lei era bollente, caldo, invitante. Le sue forme sembravano urlargli di afferrarle, di accarezzarle, baciarle, morderle. I suoi capelli erano lisci, setosi, profumati. Non di un profumo particolarmente delicato e dolce, ma di sudore, letto, sesso e passione. L'intero corpo al suo fianco espandeva quell'odore così acre e forte, capace di ricordargli cosa era accaduto appena poche ore fa.

Ma la sua mente ormai stava andando alla deriva, lontana da Hinata e dalle sue forme così invitanti, lontana dalla passione che consumava il corpo della ragazza, lontana da quella casa fredda e silenziosa.

Si alzò, stando bene attento a non svegliarla. Lo spiffero d'aria ora stava diventando fastidioso. Lo chiuse, rabbrividendo nel sentire l'aria fredda sbattere sul suo corpo nudo. Si coprì rapidamente con i vestiti, buttati alla rinfusa per terra. Neanche si ricordava quando se li era tolti. Nella sua mente, le immagini passavano da quando le mordicchiava il collo, a lei che lo accoglieva tra le sue braccia, nel suo vecchio letto troppo piccolo per entrambi.

Una volta vestito, corse in bagno, sentendo la pelle del viso tirare, coperta di sudore vecchio e qualcos'altro che, in altre situazioni, avrebbe fatto morire di vergogna la ragazza addormentata sul suo letto. Sbuffò, pensando a quanto potesse essere strana Hinata, con la sua dolcezza, il suo essere così pudica. Eppure, nonostante questo, era una delle persone più forti e coraggiose che conosceva.

Naruto...” la voce di Kyuubi risuonò forte e possente dentro di lui, mentre era impegnato a fissare il suo volto gocciolante d'acqua allo specchio. “Questa non è l'ora adatta per andare in giro. Dovresti dormire.”

Da quanto sei sveglio, Kurama?”

Da quando tu e quell'altra mocciosa avete iniziato il vostro rumoroso rituale di accoppiamento.” Il ragazzo non se l'ha prese nel sentire apostrofare in quel modo Hinata. Per Kyuubi gli umani erano tutti mocciosi. “Dovresti dormire, e soprattutto far dormire me! Non riuscite proprio ad evitare tutto quel baccano?”

Ti chiedo scusa. Vai pure a dormire, io resterò sveglio un altro po'.”

Naruto poté sentire il Bijuu iniziare a fissare il suo io interiore più da vicino, vagamente perplesso.

Dovresti smetterla di piangerti addosso.” Ringhiò infine, scoprendo leggermente i denti. “Ormai ti sei fatto una tua vita. Goditi il tuo tempo e lascia perdere il passato!”

Quando era arrivato in salotto? Quando aveva preso in mano la foto dei suoi genitori? Naruto si guardò attorno, vagamente perplesso. Il suo corpo si era mosso in automatico, portandolo nel posto dove avrebbe desiderato tanto arrivare.

Il posto dove erano i suoi genitori.

I suoi occhi divennero più torbidi osservando il sorriso dolce di Minato e quello sbarazzino di Kushina. Si domandò ancora una volta perché certe volte si sentiva così. Era riuscito a vederli, a parlarci, aveva addirittura combattuto al loro fianco, abbracciandoli e capendo che lo avevano amato tanto, troppo. Di un amore così forte che solo un genitore era capace di provare. Un amore che li aveva portati a sacrificarsi per lui, il loro unico figlio.

Eppure, a volte non riusciva a non sentirsi solo, a non provare un dolore immenso dentro il petto, un freddo glaciale, capace di mozzargli il respiro. In tutti quegli anni nel suo cuore si era scavata una voragine di solitudine, qualcosa che non sempre il calore degli amici riusciva a scacciare.

Naruto! Non ignorarmi!” Il ruggito di Kurama lo scosse leggermente, allontanandolo dal vortice oscuro dei suoi sentimenti. “La devi piantare di piangerti addosso! I tuoi genitori sono morti vent'anni fa, che senso ha continuare a distruggerti in questo modo? I tuoi amici contano così poco per te? Quella mocciosa sdraiata nell'altra stanza davvero non riesce a toglierti quello sguardo da cane bastonato dalla faccia?”

Naruto non si scosse più di tanto. Sapeva che il Bijuu aveva ragione, che non era da lui cadere in quelle crisi di depressione autolesionistiche. Aveva sempre combattuto per non restare solo, per ricevere qualcosa capace di scacciare via la solitudine che gli artigliava il cuore. Un sorriso, una carezza, una risata. Aveva lottato tutta la vita per raggiungere quell'obbiettivo, ed ora che lo sentiva dentro di sé, percepiva che quel calore non era sufficiente. Che nulla sembrava veramente in grado di guarire definitivamente la ferita del suo cuore.

Moccioso! Ti ho detto che non devi ignorarmi!”

Non ti stavo ignorando, Kurama.” replicò il biondo. “Credevo però che sapessi che certe ferite non guariscono mai del tutto... e certe notti si fanno più dolorose del solito.”

Lo hai sempre saputo che sarebbe stato così!” Replicò seccamente il Kyuubi, per nulla intenerito dal dolore del suo Jinchuriki. “Nel mondo in cui sei nato il dolore accompagna voi umani fin dalla nascita, indipendentemente da quanto esso sia intenso. Ora tu hai la possibilità di creare un mondo in cui i genitori non devono morire per i propri figli. Piangerti addosso non li riporterà indietro!”

Questo lo so meglio di te!” ora Naruto iniziava ad irritarsi. Kurama non aveva nessun diritto di fargli la paternale, specie dopo che si era tenuto dentro per migliaia di anni il proprio odio, riversandolo in modo indiscriminato verso ogni umano da lui incontrato.

Non lo dimostri con i fatti! E sai meglio di tutti che solo quelli contano!”

Senti...” il biondo si passò una mano sul volto, sospirando pesantemente. “E' tardi, e non ho voglia di litigare. Non possiamo discuterne domani mattina?”

Era convinto che il Bijuu lo avrebbe scannato di rabbia dopo quel futile tentativo di liquidarlo. Invece, con sua somma sorpresa, il Kyuubi si distese, squadrandolo con durezza.

Fai come meglio credi. Chissà... forse quella volta ho sbagliato nel giudicarti.”

Naruto strinse i pugni, mentre qualcosa di simile a rabbia liquida prese ad agitarsi in fondo al suo stomaco. Si sentiva frustrato dall'incapacità di Kurama di comprenderlo, di capire che tutti, anche lui, potevano avere i loro fantasmi, i loro incubi e le loro debolezze.

Nessuno è sempre forte, neanche tu!” ringhiò prima di tagliare il contatto con il Bijuu. Quest'ultimo non lo richiamò, limitandosi a tenere gli occhi stoicamente chiusi. L'umore dello shinobi, se possibile, peggiorò ulteriormente. Odiava litigare con Kurama, perché sapeva benissimo che era solo preoccupato per lui, anche se non lo avrebbe ammesso mai.

Il suo occhio ritornò sui volti allegri e rilassati dei suoi genitori. Strinse la cornice della foto con rabbia, mentre si chiedeva se quella sensazione sarebbe mai scomparsa, o se invece avrebbe dovuto conviverci per tutta la sua esistenza.

Ero-Sennin... chissà cosa direste di me ora...

Era strano come avesse vissuto affianco a quell'uomo per tanti anni, senza mai capire che fosse il suo padrino. Per l'ennesima volta si domandò perché non glielo avesse mai detto, per quale motivo Jiraiya-Sensei non si fosse mai preso il disturbo di dirgli la verità sui suoi genitori. Gli sarebbe piaciuto parlarne con lui, ma forse per il Sannin non era lo stesso. Forse per lui era più importante tenerlo in vita piuttosto che disturbare i morti. Un ragionamento giusto, ma terribilmente arido, che aveva lasciato troppi pochi ricordi di lui al suo figlioccio, il quale lo aveva considerato alla stregua di quel padre che non aveva mai avuto.

Chissà cosa avrebbe detto riguardo a Hina-chan. Si sorprese di quella domanda, anche perché conosceva perfettamente la risposta: qualsiasi bella ragazza avrebbe attratto quell'inguaribile pervertito, ed Hinata non avrebbe fatto eccezione. Se si concentrava, poteva quasi sentirlo parlargli in merito sull'argomento.

 

Ascolta, pivello... per trattare con una bella ragazza ci vuole cervello! Quindi ora prendi spunto dal tuo Sensei ed impegnati a fondo per farla cadere tra le lenzuola del tuo letto!”

 

No, non sarebbe stata decisamente una buona idea. Hinata era dolce, delicata, sensibile, timida. L'esatto contrario delle donne che era abituato a frequentare il suo Sensei.

Ma che diavolo mi viene a pensare? Va bene essere depressi, ma addirittura pensare ai consigli dell'Ero-Sennin su Hinata mi pare eccessivo!

“Naruto-kun?”

Una voce dolce lo fece sobbalzare, riportandolo al salotto freddo e leggermente umido di casa sua. Hinata era al suo fianco, il corpo coperto da una delle sue felpe, e lo fissava con i suoi occhi chiari.

“Hina-chan...” mormorò il biondo, mordicchiandosi l'interno della guancia. Se si concentrava, poteva ancora sentire l'odore di prima sul corpo di lei.

“Non ti ho trovato a letto e mi sono preoccupata. C'è qualcosa che non va?”

Naruto avrebbe voluto rispondere in modi diversi. Una parte di lui gli consigliava di sorridere e tornare a letto con la mora, rassicurandola che non c'era nulla che non andava. Di tutt'altra opinione era l'altra sua metà, che invece gridava di urlarle in faccia che no, in quel momento non andava bene nulla, neanche lei, per guarire il freddo che percepiva dentro di lui, un freddo molto più intenso del più rigido degli inverni.

Si passò una mano sul volto, facendo un profondo respiro. Sapeva che Hinata era forte, e certe volte la invidiava, perché percepiva che la determinazione della ragazza era molto più forte della sua.

“Non è niente.” disse infine. “Solo qualche... brutto ricordo che ha deciso di farsi vivo.” tentò di sorridere ma non era sicuro che la smorfia da lui appena fatta potesse essere chiamata in quel modo.

Hinata non disse nulla, il volto serio, terribilmente serio. Naruto si domandò come aveva fatto a non accorgersi prima di quanto fosse cresciuta. A lui sembrava di essere ancora il ragazzino di qualche anno prima, che urlava al mondo di stare bene, anche se bene non stava affatto.

“Naruto-kun, perché non sei felice?”

La domanda lo sorprese. Felice... lo era mai stato? Aveva molti ricordi belli, allegri dove percepiva di essere stato felice. Ma era sempre stata una sensazione temporanea, che non riusciva ad coprire il vuoto che c'era dentro il suo cuore.

“Naruto-kun...” lei gli prese il volto tra le mani. Quelle mani fresche, delicate, lisce che tante volte le aveva visto stringersi al petto, in un gesto di insicurezza, ora erano sul suo volto, lasciando Hinata scoperta, priva di difese. Capì, e ne fu grato di quel gesto, che testimoniava come lei non si sarebbe mai arresa. Ed avrebbe continuato a lottare, rialzandosi ogni volta.

Hinata voleva lottare.

Voleva combattere contro i demoni e gli incubi di lui, voleva aiutarlo come lui aveva sempre fatto con lei. Voleva dargli felicità, quella felicità capace di riempire il buco nel cuore di Naruto.

Sapeva benissimo che non sempre sarebbe stata capace di vincere, che spesso sarebbe caduta a terra, ma sapeva anche che si sarebbe sempre rialzata, più forte di prima. Fino a quando non avrebbe vinto.

Lo abbracciò, portandosi la fronte di lui alle labbra.

“Non voglio più che tu faccia questo.” sussurrò. D'ora in avanti, sarebbe stata lei la famiglia di Naruto, il suo Naruto. E non l'avrebbe mai più lasciato solo.

Il ragazzo, dopo un attimo di sorpresa, sorrise. Aveva capito ogni cosa, e gliene era grato.

Hina-chan... grazie.

“Promettimelo, Naruto-kun.” il suo sguardo era ancora carico di determinazione mentre lo stringeva a sé. “Promettimelo.”

Solo così saprò che lo farai.

Perché tu mantieni sempre la parola data.

“Accidenti...” esclamò il ragazzo, aspirando l'odore della pelle di lei, ancora recante i segni della sera prima. “Hai imparato fin troppo bene la lezione, non è vero?”

Si sciolse dall'abbraccio, guardandola con espressione rilassata e divertita in volto.

“Hina-chan... te l'ho prometto.”

Forse era solo una sua convinzione, dovuta alle circostanze, ma quando si strinse ad Hinata, in quel letto troppo stretto, con il materasso molle e cigolante, non sentì più freddo dentro di sé.

Era felice.

 

 

Kurama sbadigliò sonoramente, stiracchiandosi le zampe anteriori. Forse poteva finalmente farsi un sonnellino, ora che il suo Jinchuriki aveva sconfitto i suoi demoni interni. Sapeva che il giorno dopo avrebbero dovuto fare pace, ma non se ne preoccupava: con Naruto era facile riappacificarsi.

Stupido moccioso...” borbottò prima di cadere nel suo mondo onirico. “Vedi di tenertela stretta questa mocciosa.”

Il giorno dopo, tra una partita di Morra Cinese e l'altra, doveva assolutamente chiedere informazioni su di lei, anche se, ovviamente, a lui non importava nulla di quella mocciosa. Proprio nulla.

Forse solo un po'.

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Prima volta ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

 

Prima volta

 

 

 

 

Quando una persona diventava ufficialmente un ninja, la prima cosa in assoluto che era tenuta a conoscere era il lavoro di squadra. Solo fidandosi profondamente, ed intimamente dei propri compagni, un ninja era capace di diventare più forte, riuscendo così a portare a termine le missioni. Non era insolito inoltre che tra membri dello stesso team nascessero profondi legami di amicizia se non addirittura di amore.

Ed era proprio per quel motivo che Naruto detestava caldamente con tutto il suo essere la creatura più insensibile di tutta Konoha: Kiba Inuzuka.

Con uno sbadiglio, il giovane shinobi si domandò per l'ennesima volta quale oscuro, e soprattutto perfido motivo l'aveva convinto ad alzarsi dal letto nel suo giorno libero per fare colazione con il gruppo peggio assortito di tutto il villaggio: davanti a lui, infagottato da capo a piedi, nonostante una temperatura quasi estiva, c'era Shino 'Puntualizzare le frasi degli altri è la mia ragione di vita' Aburame, alla sua sinistra stava Shikamaru Nara, in procinto di riaddormentarsi da un momento all'altro, mentre alla destra avevano preso posto Kiba assieme al suo inseparabile orso bianco da passeggio, che prendeva il nome di Akamaru.

Decisamente, quella mattina aveva avuto una pessima idea ad uscire con quei tre.

“Mamma mia, ragazzi!” esclamò il rampollo del clan Inuzuka, osservando Naruto e Shikamaru eseguire un eccellente sbadiglio sincronizzato. “Stamattina cosa vi è accaduto? Sembra che vi sia passato sopra un branco di cani ninja!”

“Ieri sera h-ho finito di lavorare tardi.” borbottò il Nara, trattenendo a stento un nuovo sbadiglio. “A quanto pare, l'Hokage gode immensamente a riempirmi la scrivania di scartoffie. Che seccatura!”

“Il lavoro della Squadra Speciale non deve essere per niente facile.” osservò Shino, con voce impassibile. “Specie se sei il braccio destro del Sesto Hokage.”

“Proprio una bella seccatura.” Shikamaru non sembrava neanche averlo ascoltato, intento com'era a grattarsi la nuca.

“E tu, Naruto? Cosa fai di bello? Ultimamente non ti si vede molto in giro.” chiese il giovane Aburame, dopo aver osservato con disgusto la virile grattata del futuro capoclan dei Nara.

“Non ci vuole certo un genio a capirne il motivo, Shino!” esclamò Kiba, impedendo a Naruto di rispondere. Ignorando lo sguardo omicida dell'Uzumaki, lo shinobi proseguì a berciare allegramente.

“Ormai lo sanno tutti che il qui presente Naruto, eroe di tutti gli Shinobi, passa tutto il suo tempo con l'affascinante Hinata.”

Naruto fu quasi tentato di desiderare la presenza di Sasuke al posto di quella di Kiba. Qualsiasi offesa, silenzio cupo e sguardo truce della creatura più malefica del cosmo sarebbe stato meglio di rimanere in compagnia di una persona con la sensibilità di un cucchiaino.

“Veramente, ho dovuto fare due viaggi nel paese dell'Acqua.” spiegò pazientemente. “Ieri sono tornato a casa tardi, e questa mattina ho fatto fatica a sentire la sveglia.”

“Andiamo, Naruto!” insistette Kiba con sguardo complice. “Lo sanno tutti che ormai state assieme da più di un anno! Devo dire che quando questa notizia si è sparsa, parecchi cuori si sono infranti tra le giovani fanciulle del Villaggio.”

“Un anno che esci con Hinata?” Shikamaru sembrò rendersi conto solo in quell'istante dell'argomento della conversazione. Rivolgendo lo sguardo più annoiato, ed irritante, del suo vasto repertorio, lo shinobi delle ombre squadrò l'amico. “Beh, complimenti. Anche se immagino che uscire con una ragazza deve essere una bella seccatura.”

“Solo tu potresti trovare noioso uscire con una bella ragazza!” replicò l'Inuzuka, sorseggiando il proprio tè bollente. “Non sai quanto ti invidio, Naruto! Hinata è proprio una ragazza dolcissima. Probabilmente è l'unica a trovare affascinante la tua testa vuota!”

“Kiba... almeno lui una ragazza c'è l'ha.” sussurrò maligno Shikamaru, sfoggiando un sorrisetto beffardo. “E non mi pare che la fila di ragazze che gli correva dietro qualche tempo fa fossero un illusione.”

Il ninja moro incassò il colpo arrossendo di botto, tentando maldestramente di nascondere il tutto dietro la tazza del tè.

“Come se fosse facile trovare quella giusta...” borbottò. “Naruto non ha dovuto darsi tanto da fare. Hinata erano anni che non desiderava altro. Mancava poco che non iniziasse a disegnare la sua faccia da ebete anche sul cibo.”

Naruto e Shikamaru si scambiarono un'occhiata complice, preferendo però non dire nulla. Nessuno dei due aveva dimenticato la loro avventura sulla Luna, e neanche gli sforzi che Shikamaru dovette fare per convincere l'amico a rialzarsi, quando credeva che Hinata l'avesse scaricato.

“Prima o poi la troverai, Kiba.” esordì con voce atona Shino, in un patetico tentativo di confortare il compagno. Da quando erano entrati, l'Aburame aveva detto sì e no una quindicina di parole. Naruto si domandò come facevano a stare nello stesso Team un tipo chiacchierone come Kiba ed uno taciturno ed inquietante come Shino, ma poi si ricordò di Sasuke, e si diede dello stupido a non averci pensato prima. Era palese l'amicizia, mista a rivalità, che intercorreva tra i due amici, la stessa che c'era tra lui ed il malefico Uchiha.

“Diciamo che non è stato facile come può sembrare.” Naruto iniziava a chiedersi quando avrebbe potuto alzarsi da lì senza fare la figura del cafone. Non vedeva l'ora di ributtarsi a letto.

“Sì sì, voi fidanzati dite tutti così. Come se fosse facile capire cosa passa per la testa delle ragazze d'oggi!”

“Non capisco perché hai così tanta voglia di prenderti una simile seccatura...”

“Perché mia madre mi da il tormento.” esalò con aria afflitta Kiba. “Sono settimane che va avanti a ripetere che ho quasi vent'anni e che non ho uno straccio di ragazza. Sta cominciando a diventare pesante.”

“Tua madre... vuole che ti fidanzi?” Naruto sembrò vagamente perplesso. Perché diavolo una madre doveva insistere così tanto? L'amore era un sentimento troppo personale per mettersi a cercarlo. Dal suo punto di vista, il giovane shinobi era convinto che, prima o poi, l'amore arrivava per tutti. Bastava sapere attendere, e cogliere le occasioni.

“Già. Secondo lei è vergognoso che il futuro leader del clan Inuzuka non abbia ancora trovato una possibile sposa.” in quel momento, Naruto si pentì di aver pensato così male dell'amico fino ad un attimo fa. Non doveva essere facile convivere con una donna forte ed autoritaria come Tsume Inuzuka.

“Devi solo avere pazienza.” rispose il Jinchuriki. “In queste cose avere fretta non serve. Prima o poi tutti trovano la persona giusta, basta saperla riconoscere.”

“Amico, non ti facevo così filosofo!” replicò Kiba, scoppiando in una risata. “Forse hai ragione. Dopotutto, io ho già Akamaru.” il suo sguardo si intenerì, mentre appoggiava una mano sulla schiena del suo inseparabile amico. “Sono già felice così.”

“Appunto! Perché rovinarti la vita con una donna...”

“Shikamaru... sei veramente incorreggibile.”

“Andiamo! Lo sapete tutti che sono il primo dei codardi!” replicò lo shinobi, trattenendo a stento uno sbadiglio. “Probabilmente, non riuscirei mai a stare dietro ad una donna. Mi addormenterei dalla noia ogni volta che parla.”

Gli altri scoppiarono a ridere, ad eccezione di Shino, il quale osservò i propri amici con disgusto, chiedendosi cosa li spingesse ad esprimere la propria ilarità in quel modo così normale.

 

 

“Ohi, Naruto.”

Lo shinobi biondo, intento a godersi il sole del mattino, si voltò, piantando i propri occhi cerulei in quelli intelligenti ed annoiati di Shikamaru.

“Quindi come vanno le cose tra te ed Hinata?” chiese il Nara, mentre la gente attorno a loro sciamava per le vie di Konoha.

Naruto si mise le mani nelle tasche della propria felpa. Quel pomeriggio avrebbe rivisto Hinata dopo oltre due settimane, e francamente non vedeva l'ora di trascorrere del tempo con la ragazza che amava.

“Tutto bene. Ultimamente non riusciamo a vederci spesso, ma in fondo non è un problema così grave.”

“Mmm...” l'amico non replicò, ricominciando a sbadigliare. Lo shinobi biondo si chiese se nella brillante mente dell'altro ragazzo esistesse altro a parte il sonno. Mentre rifletteva su questo, vide un trio di ragazze che conosceva passargli affianco. Fece per aprire la bocca e salutarle ma queste ultime, vedendolo, divennero rosse in viso e corsero via, lasciandolo piuttosto perplesso.

“A quanto pare, qualcuno non si è rassegnato all'idea che sei impegnato ora.” osservò il figlio di Shikaku.

“Tu dici che era per questo che prima erano tutte così gentili con me?”

“Certo che sei proprio tonto. Sei l'eroe dell'ultima guerra e del Villaggio della Foglia, hai salvato il mondo, ed eri single fino a poco tempo fa. Mi sembra palese che per le ragazze del villaggio tu apparissi come un succulento boccone di carne, per dirla alla Choji.”

“Può essere, ma non mi importa più di tanto.” replicò il biondo, un lieve sorriso ad incorniciargli il volto. “Francamente, ho sempre fatto fatica ad immaginarmi la donna con cui avrei passato il resto della mia vita. Certo, c'era Sakura-chan, ma dentro di me mi ero rassegnato molto tempo fa sul fatto che non sarei potuto essere più di un amico per lei.”

Shikamaru si gratto la coda cespugliosa dei propri capelli, rilasciando un pesante sospiro. Stranamente, non aveva ancora acceso una sigaretta, ma il Jinchuriki sapeva che, una volta in ufficio, l'amico avrebbe intossicato qualsiasi persona nelle vicinanze con le sue stecche di tabacco malefiche.

“Amico, sei sempre stato tardo su certe questioni. A volte mi domandavo perché corressi così disperatamente dietro a quella seccatura di Sakura, quando Hinata neanche riusciva a guardarti in faccia senza svenire.”

“Sì, è vero! Me lo ricordo! Lo faceva sempre!” esclamò ridendo l'allievo di Kakashi. “Ma all'epoca ero troppo preso dai miei allenamenti, dal voler riportare Sasuke al Villaggio... non c'era tempo per lei. E di questo un po' mi dispiace. Sono stato un idiota a non capirlo prima.”

“Sei proprio una seccatura.” concluse l'altro, mettendosi le mani in tasca. In quell'istante, era difficile pensare che dietro quell'espressione annoiata, si nascondesse la mente più geniale di tutta Konoha.

Proseguirono a camminare in silenzio per alcuni minuti. Poi, quando furono in prossimità degli uffici della Squadra Speciale, Shikamaru aprì di nuovo bocca.

“Naruto... per caso intendi fare il grande passo con Hinata?”

Lo shinobi biondo rimase bloccato per alcuni istanti, mentre il colore sul suo volto scompariva rapidamente.

Non starà mica pensando...

“D-di che cosa stai parlando?”

“Certo che sei scemo forte...”

Nell'aria scese un silenzio imbarazzante.

“Stai mica parlando del matri...”

“Sesso. Sto parlando del sesso.”

Silenzio.

La faccia di Naruto passò rapidamente dal bianco crema, al rosso fuoco, per poi sfumare in un più 'rassicurante' viola melassa, concludendo la scala dei colori con un verde malaria.

“Sei sicuro di sentirti bene? Hai una faccia...”

“S-sì... certo che sto bene...” balbettò il Jinchuriki “E' solo che... che...”

Shikamaru sospirò, grattandosi i capelli crespi.

“Davvero amico, non ti capisco. Non c'è bisogno di fare quella faccia.” osservò. “E' palese che non l'avete ancora fatto, te lo si legge in faccia.”

“N-non è... insomma... cioè...” la voce di Naruto divenne un disco rotto, mentre nella sua mente si accavallavano una scusa dietro l'altra, tutte ovviamente patetiche.

“Rilassati! Mamma mia, stavo scherzando!” il Nara squadrò l'amico, sempre più perplesso dalla sua reazione. “Davvero, dovresti rilassati un po' di più.”

“Già... dovrei proprio!” replicò l'altro, tentando di sorridere nel modo più naturale possibile.

L'amico non fu particolarmente convinto, ma decise di non investigare di più, avendo capito che gli argomenti 'sesso' ed 'Hinata' non erano proprio una buona combinazione per imbastire un dialogo con Naruto. Si limitò a salutarlo, lasciando lo shinobi biondo in preda ad un violento turbamento interno.

Hai intenzione di restare così ancora per molto?” borbottò Kurama, ridacchiando nel vedere la faccia del suo Jinchuriki. “Baka! Dopotutto, cosa sarai mai? Devi solo accoppiarti con quella mocciosa.”

Naruto non rispose. Nella sua mente si era delineata all'improvviso l'immagine di una Hinata totalmente nuda nel suo letto, decisa a soddisfare ogni suo desiderio più recondito. Il sangue prese a scorrergli a velocità triplicata nelle vene, mentre la salivazione gli si azzerò di colpo. Se si concentrava, poteva udire Kurama sbellicarsi dalle risate. Quella volpe malefica godeva nel vederlo in quelle situazioni orribili, ormai era palese.

Dovresti chiederglielo oggi.” proseguì il Kyuubi. “Dopotutto, ormai è da parecchio che state assieme. Non vorrai dirmi che quelle slinguazzate che vi scambiate ogni tanto ti bastano?”

Kurama! Da quando sei un esperto di queste cose?!” berciò Naruto, il volto ormai più rosso della pelliccia dell'amico. Quest'ultimo riprese a ridere di gran gusto, facendo capire allo shinobi che no, non era certo Kiba l'essere più bastardo ed insensibile del villaggio.

 

 

Hinata fece un profondo respiro, mentre stringeva con forza la tazza di tè, tentando di assorbirne più calore possibile.

“Allora io gli ho detto: mi dispiace, ma purtroppo io appartengo già a Sasuke...”

“Ti piacerebbe Ino... ti piacerebbe...”

“Ma lui? Mica si è arreso! Davvero ragazze, non so più cosa fare con il povero Sai. Ormai è palese che è cotto di me, ma il mio cuore appartiene già a Sasuke-kun.”

“Sai dove puoi ficcartelo il tuo cuore, Ino?!”

“No! Sono proprio curiosa di saperlo, Sakura...”

Hinata sospirò. Era lievemente a disagio nel vedere Ino e Sakura che si guardavano in cagnesco, causando numerosi sguardi perplessi da parte degli altri avventori del locale. Il fatto poi che Tenten al suo fianco stesse ridacchiando, gustandosi la scena, non l'aiutava di certo.

“Per favore, ragazze... non dovreste litigare. Siete amiche, no?” tentò di mediare la giovane Hyuga, guadagnandosi un 'raffinatissimo' dito medio da parte della splendida kunoichi bionda come risposta.

“Non ti conviene metterti in mezzo.” sussurrò Tenten. “Loro sono fatte così. Le piace litigare. Se non ci fosse Sasuke di mezzo, per me alla fine si sposerebbero tra di loro!”

“Ti ho sentito, Tenten...” berciò l'allieva di Tsunade, uno sguardo omicida negli occhi. “Io, perdere tempo dietro a questo stecchino? Neanche per pulirmi i denti sarebbe utile!”

“Sempre meglio che avere una pancia come la tua!” replicò Ino, sbattendo gli splendidi occhi azzurri. “Dovresti metterti a dieta, lo sai?”

“I-io a dieta?! Ma come osi, kunoichi da strapazzo! Vieni qui che ora ti faccio vedere io!”

Hinata si domandò perché quella mattina aveva deciso di uscire con le sue amiche. Certo, le faceva piacere vederle, ed era contenta che loro la invitassero fuori, ma certe volte erano... troppo. Troppo sfacciate, troppo sicure di loro, troppo rumorose. Non erano poche le volte che si vergognava ad uscire con quelle pazze scatenate, e questa era una di quelle occasioni.

Cinque minuti, molte scenate, e molte imprecazioni impronunciabili da parte di Sakura ed Ino dopo, la quiete ritorno al loro tavolo, permettendo il ritorno di una conversazione quanto meno civile.

“Allora...” esordì Tenten, tentando di portare la discussione lontano dall'argomento Sasuke. “Come vi va la vita, ragazze?”

“Mpf!” borbottò Ino, sorseggiando la propria bevanda senza degnare di uno sguardo Sakura.

“Piuttosto bene dai.” replicò quest'ultima, ignorando anch'essa l'amica.

Il silenzio scese sul tavolo. L'allieva di Gai tentò ancora di provare ad imbastire una conversazione, ma se Ino rispondeva, subito Sakura si trincerava dietro uno scorbutico silenzio, e viceversa. Alla fine, disperata, Tenten se ne andò con una scusa, maledicendo ogni Uchiha affascinante che avesse calpestato quella terra (praticamente tutti). Interpretando la fuga dell'amica come un segnale, anche la giovane Hyuga appoggiò la propria tazza.

“Vai via anche tu?” domandò Sakura. “Come mai tutta questa fretta?”

“Beh... ecco...” Hinata non sarebbe mai riuscita a dichiarare che il motivo era la schizofrenia sua e di Ino, ma quest'ultima interpretò a modo suo, cioè sbagliato, l'indecisione dell'amica.

“Ma come Sakura, non lo sai? La nostra Hinata deve farsi bella per il Baka!” esclamò la bionda sfoggiando un sorriso perverso.

“Cosa? Ma... ecco... io...” il sangue di Hinata prese a bollire per la vergogna. Sembrava una teiera pronta ad esplodere da un momento all'altro.

“Ino! Dovresti essere più discreta!” la rimproverò l'Haruno. “Cosa ne sai che deve vedersi con Naruto?”

“Beh, un uccellino mi ha confidato che il Baka è tornato proprio ieri sera dalla sua ultima missione. Se tanto mi da tanto...”

“Tu hai un po' troppa dimestichezza con gli uccelli...”

“Ti ammazzo Sakura.”

“Provaci se ci riesci.”

“Veramente Ino... io dovrei solamente...” per il nervoso, la giovane Hyuga prese girellarsi gli indici, proprio come quando era ragazzina, il tutto mentre il suo viso diventava sempre più congestionato.

“Andiamo Hinata! Non vedi il tuo bel fustacchione, perché ammettiamolo: il Baka è diventato proprio un bel manzo, da oltre due settimane! È normale volerci subito giocare sotto le coperte!”

“Ino... lo sai che sei proprio scurrile?”

“Sot-to le coperte?” balbettò Hinata, il volto ormai simile ad un ferro rovente, con tanto di vapore che usciva dalle orecchie.

La kunoichi bionda emise un sospiro esasperato, ignorando bellamente Sakura che l'aveva appena definita 'Gonorrea vivente'.

“Hinata, possibile che a diciannove anni sei ancora così ingenua? Dopo due settimane che non ti vede, cosa pensi che vorrà fare il tuo bel Naruto?”

“N-Naruto-kun? Beh... c-credo che vorrà...” ormai la mora era nel pallone più totale, ma sembrava che solo Sakura se ne fosse accorta.

“Andiamo...” proseguì Ino, un sorriso sbarazzino sul bel viso. “Prova a pensare a voi due, soli soletti, magari in casa di Naruto. Lui probabilmente ti dirà che ha caldo, si toglierà i vestiti... e poi una volta nudo...”

Bum! La faccia di Hinata semplicemente esplose la pressione accumulata fino a quel momento in un colpo solo. Il pensiero del suo adorato Naruto senza vestiti addosso era troppo per lei. Con un gemito, il volto ormai simile ad un piccolo tramonto, la kunoichi si accasciò al suolo, sotto lo sguardo perplesso di Ino.

“Hinata? Stai bene?”

“Ino...” Sakura emise un sospiro, esasperata dalla stupidità dell'amica. “Ma perché non impari a stare zitta ogni tanto?!”

 

 

Naruto aspirò profondamente l'aria odorosa di erba e fiori, comodamente sdraiato sotto le fronde di un grosso faggio. Davanti a lui, un allegro ruscello sgorgava impetuoso tra i sassi, attorniato da uno dei tanti prati che punteggiavano la foresta attorno a Konoha. Il sole era caldo, ma grazie ad una leggera brezza proveniente da nord non bruciava, mentre gli unici rumori erano il canto degli uccelli, il fruscio dell'erba e lo scorrere dell'acqua.

Lo shinobi sorrise quando sentì la mano di lei che gli accarezzava i capelli. Era un tocco morbido, delicato, gentile. Un gesto che la rispecchiava perfettamente.

“Come è andato il viaggio nel Paese dell'Acqua?” gli domandò Hinata.

Naruto si puntellò sui gomiti, alzando la testa dal grembo di lei, e specchiandosi nelle iridi color perla della donna della sua vita. Il suo sorriso divenne più intenso. Poi, con un gesto rapido, le rubò un bacio, assaporando il tocco di quelle labbra soffici e carnose.

“Bene, ma non vedevo l'ora di tornare.” le sussurrò a fior di labbra. La Hyuga sorrise, costringendolo dolcemente a riporre la testa sulle sue ginocchia. Sembrava divertita da quella frase romantica, ma allo shinobi parve di scorgere come un'ombra in fondo agli occhi di lei.

“Spero che rimarrai qualche tempo al villaggio. Ultimamente, Kakashi-sama non ti lascia un attimo di riposo.” osservò Hinata, riprendendo ad accarezzare i capelli del suo amato.

“Mmm... francamente non lo so.” rispose Naruto. “Kakashi-Sensei vuole che diventi ambasciatore ufficiale del villaggio. Dice che mi aiuterebbe se in futuro diventassi Hokage.”

“Allora deve essere vero.”

“Mah! Mi da l'impressione di essere un lavoro piuttosto noioso. Non devo fare altro che consegnare messaggi del Sensei e scambiare convenevoli con i bellimbusti degli altri villaggi.” Naruto fece un versaccio disgustato, per rafforzare il disagio nel vestire i panni dell'ambasciatore. Era quasi tentato di aggiungere della montagna di regali che le ragazze degli altri villaggi gli consegnavano ogni volta, ma poi preferì evitare. Non era sicuro che Hinata avrebbe apprezzato quel particolare del suo nuovo lavoro.

“Immagino che le donne degli altri paesi ti corrano ancora dietro.” mormorò quest'ultima con voce dolce, lasciando di stucco il ragazzo.

“Ma... tu come?” la giovane donna trattenne una risatina nell'osservare l'espressione di stupore del suo adorato Naruto.

“Una donna sa sempre cosa accade al suo uomo, in un modo o nell'altro.” rispose con fare misterioso. Naruto sperò vivamente che Hinata non scoprisse mai degli insistenti inviti a cena da parte di Mei Terume, l'affascinante e focosa Mizukage. Se si concentrava, il ninja poteva ancora vedere quegli splendidi occhi verdi, le labbra carnose, il corpo sensuale, bello, che prometteva di esaudire ogni suo desiderio più recondito. Il corpo di una donna splendida e consapevole di esserlo.

Eppure, nonostante tutte quelle promesse, quelle parole con più sensi, quei segnali inequivocabili, Naruto aveva visto dentro di lei solo curiosità, nulla di più. Il morboso desiderio di scoprire cosa si provasse ad andare a letto con l'eroe dell'ultima guerra. Dietro la sensualità che emanava da ogni poro, la Mizukage gli era sembrata una donna profondamente disillusa nei confronti dell'amore.

Il tocco morbido della mano di Hinata lo fece ritornare alla realtà. Hinata... così dolce, così premurosa, così innamorata. Credeva nel vero amore? Sì, Naruto era convinto che la ragazza che lo stava accarezzando fosse profondamente convinta del lieto fine della loro storia. Ma lui? Lui lo era? Naruto era uno shinobi, un guerriero, un uomo immerso in una vita che tutto poteva definirsi tranne che normale. Dal suo punto di vista, l'amore non era altro che un istante, un momento dolcissimo da custodire dentro di sé, che l'avrebbe aiutato per le missioni future. O almeno così aveva creduto fino a quel momento. Ma più tempo trascorreva con Hinata, più il suo desiderio che quegli istanti diventassero sempre di più aumentava. Fino a sperare che non fossero solo una semplice sequenza di istanti, ma qualcosa di più. Qualcosa che si potesse definire 'vero amore'.

“Naruto-kun?” la voce di lei risuonò nella radura, distogliendolo dai suoi pensieri. “A cosa stai pensando?”

Naruto volse il suo sguardo verso di lei, perdendosi in quelle iridi così particolari. Quanto era stato stupido? Possibile che non si fosse accorto prima di quanto splendidi fossero quegli occhi? Come aveva fatto a buttare via tutti quegli anni, correndo dietro all'ombra di Sasuke e all'amore non corrisposto verso Sakura? Il biondo si perdeva in quelle iridi, ripensando alle parole di Shikamaru, il suo amico così intelligente e pigro da non sprecare mai una parola. Se il geniale Nara parlava, significava che era convinto fosse utile farlo, senza perdersi in giri inutili di chiacchiere. E Naruto sapeva che quelle parole servivano a stimolarlo, a compiere un altro passo verso Hinata, un passo che l'avrebbe aiutato a cementificare il loro rapporto.

Non fosse stato che aveva paura. Non paura dell'esperienza del sesso, ma di rendere la loro prima volta banale. Naruto aveva quasi vent'anni, ed aveva smesso da tempo di correre dietro alla prima ragazza svestita, fantasticando su chissà quali avventure erotiche. Eppure, se provava a pensare a Hinata svestita su un letto, il suo sangue prendeva a bollire, mentre il terrore di sbagliare la loro prima notte assieme gli mozzava il respiro.

Sì, forse Shikamaru aveva ragione, stava indugiando troppo, ma lui aveva paura di farle male, di vedere quei meravigliosi occhi fissarlo con sguardo deluso e ferito.

“Naruto-kun?” nell'udire la sua voce, lo shinobi si passò la mano della protesi sul volto, deciso una volta per tutte a superare le sue paure. Lui lo voleva, ed era deciso a regalare un'emozione meravigliosa a Hinata, la sua Hinata.

“Stavo pensando... che stasera potremmo andare alle terme. E poi... dopo il bagno... si potrebbe... dormire assieme.” non aveva avuto il coraggio di esprimere una richiesta esplicita. Temeva di metterle pressione, e l'ultima cosa che voleva era che Hinata si sforzasse di fare sesso con lui. Era assolutamente deciso a darle la possibilità di tirarsi indietro, se non si fosse sentita pronta.

Hinata non rispose subito, un leggero stupore sul viso. Il ragazzo fu quasi certo di aver visto della paura negli occhi della Hyuga, ma fu un guizzo troppo rapido per esserne sicuro.

Lo fece sollevare, portandosi il volto davanti al suo, dandogli un soffice bacio sulle labbra.

“Sarebbe un'ottima idea.” mormorò. “Desidero essere tua, Naruto-kun. Fino in fondo.”

 

 

Stava lì, seduto, nudo, con solo un asciugamano a coprirgli la vita. I capelli umidi gocciolavano, mentre si batteva le mani, strette a pugno, sulle cosce per stemperare la tensione.

Nervoso. Era molto nervoso, forse troppo. Doveva calmarsi, o avrebbe rovinato tutto.

Rilassati.” la voce di Kurama conteneva una nota divertita, come se osservare le pene del suo Jinchuriki fosse uno spettacolo vagamente interessante. “Devi solo accoppiarti. Non stai andando in guerra.”

Gradirei un minimo di privacy, se non ti dispiace!” replicò acido Naruto. Considerando che per sedici anni quella volpe malefica non gli aveva quasi mai parlato, se non per tentare di liberarsi di lui, ultimamente era fin troppo chiacchierona.

Dopo un lasso di tempo che gli parve interminabile, il fusuma davanti a lui si aprì, facendo entrare una Hinata infagottata in un voluminoso accappatoio nero. Quest'ultima si sedette davanti al ragazzo in silenzio, anch'essa profondamente imbarazzata.

Naruto fece un profondo respiro per tentare di calmarsi. Restare a mollo nell'acqua calda fino a lessarsi non era bastato per tranquillizzare il proprio stomaco, il quale proseguiva a fare i salti mortali.

Ho vent'anni ormai! Come è possibile che sia così in difficoltà a farmi vedere nudo davanti alla ragazza che amo?!

Era anche vero che, fino a quel momento, nessuna donna lo aveva mai visto nudo. Hinata sarebbe stata la prima, e questo lo rendeva ancora più nervoso: temeva di deludere le aspettative della ragazza che stava di fronte a lui.

“V-vuoi che inizi io?” propose con voce dannatamente incerta.

Lei scosse la testa. Lentamente, poco alla volta, la ragazza tolse l'accappatoio, mostrando il proprio corpo al biondo, chiuso solamente in un intimo semplice, color pastello. I seni grossi e sodi, racchiusi nella stoffa dell'intimo, il ventre piatto, le gambe lisce, chiuse, a nascondere il proprio fiore. Quella visione fece accelerare vorticosamente la circolazione a Naruto, il quale tento di calmarsi facendo un paio di profondi respiri.

Ci siamo. Ora tocca a me.

Certo che sei proprio un baka!” sghignazzò Kurama all'improvviso. “Invece di concentrarti sulle mammelle, guarda un po' più in alto.” perplesso, lo shinobi alzò lo sguardo. Hinata stava lentamente togliendosi il reggiseno, ma il suo volto era viola e le mani le tremavano dalla paura. Probabilmente, sarebbe bastato un niente in quello stato per farla svenire o, peggio, scappare in lacrime dalla stanza.

Era destino che ti trovassi una mocciosa tarda come te. È palese che non è ancora pronta ad accoppiarsi.”

Sì, era palese. Così come fosse palese che anche lui non era pronto. Quel momento doveva essere magico, non una triste forzatura dovuta alle insistenze dei loro amici.

Ci prenderemo il nostro tempo, Hinata. Dopotutto, abbiamo la vita davanti da trascorrere insieme.

Quando ormai la prima spallina era scesa oltre il gomito, una mano del ragazzo la bloccò. Perplessa, Hinata alzò lo sguardo, incontrando il sorriso calmo e tranquillo del suo uomo.

“Hina-chan, che ne dici se stanotte... ci limitassimo a dormire assieme e basta?” propose, la voce di nuovo sicura di sé.

“Sì!” rispose subito la ragazza, rialzando l'indumento intimo, e ricoprendo il proprio fisico con l'asciugamano. Senza più quel corpo splendido sotto gli occhi, Naruto ebbe una piccola fitta di rimpianto, ma la scacciò subito: la felicità di Hinata veniva prima dei suoi ormoni impazziti. Con il volto molto più sollevato, la ragazza si alzò.

“Vado a... prepararmi per la notte. Torno subito, Naruto-kun.”

Una volta solo, Naruto chiuse per un istante gli occhi, un sorriso stanco sul volto. Sentiva che quella era la decisione giusta, e la cosa lo riempiva di benessere.

Quante storie che fate voi mocciosi.” borbottò il Kyuubi.

Non pretendo che tu capisca, Kurama.” il Bijuu si limitò a brontolare qualcosa di indefinito, mentre si accingeva a dormire.

Quando Hinata ritornò, vestita con una lunga vestaglia bianca. Naruto pensò che, come prima notte assieme, era proprio inusuale: entrambi vestiti, sdraiati su un letto delle terme, che tentavano di dimenticare l'imbarazzante tentativo di prima.

“Naruto-kun...” mormorò la mora dopo alcuni minuti. “Mi dispiace. Ti prometto che la prossima volta andrà diversamente!”

“No!” rispose subito lo shinobi, accarezzandole il volto. “Devi prenderti il tuo tempo, Hina-chan. Perché voglio che tu sia felice.”

C'erano molte più cose racchiuse in quella semplice frase, ma elencarle tutte sarebbe stato molto lungo, oltre che superfluo: Hinata aveva compreso perfettamente ciò che intendeva il suo uomo.

“Naruto-kun...” lo baciò dolcemente, accoccolandosi contro il suo petto. “Grazie.”

Quante smancerie...”

Pensavo di ringraziarti per prima... ma ora non so se lo farò.”

Moccioso... mi devi una partita di Morra Cinese per questo.”

Immagino di non avere scelta, vero?”

Naruto sorrise, mentre stringeva tra le braccia la sua donna, assaporandone il dolce profumo che emanava. Se fosse dipeso da lui, non l'avrebbe mai più lasciata.

Si sarebbero presi il loro tempo, maturando quando fosse giunto il momento.

Non abbiamo fretta.

Kurama... grazie, amico mio.”

Dovere Baka... semplice dovere.”

 

 

 

Angolo dell'Autore:

 

Ehm... so che di solito ci si presenta al primo capitolo, ma... Salve! Benvenuti a questa raccolta su questa coppia (più il terzo imbucato di Kurama). Spero che fino a questo momento le storie vi siano piaciute. Per ora mi sto concentrando molto sul punto di vista di Naruto, ma presto arriveranno anche storie incentrate su Hinata, Kurama e, perché no, anche Boruto e Himawari.

Beeeeene, per ora non ho altro da aggiungere, tranne una cosa. Ringrazio tantissimo Kurama09 e Ulldrael per aver messo questa raccolta tra le preferite, e ringrazio profondamente anche Aine, Amike4ever, elita, iced-swan, Maga_Merlina, Moonchild8 e The gamer 17 per avermi dato una chance mettendola nelle seguite.

Bene, ora ho davvero finito!

Un saluto! E alla prossima!

Giambo

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Capitolo 3
*** Cadere e rialzarsi ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

 

Cadere e rialzarsi

 

 

 

 

La prima sensazione che sentì fu brutta, orribile. Un dolore lancinante al cranio, pari a quello di una lancia che gli perforava il cervello. Immagini frammentate e scollegate tra di loro gli bombardavano il suo occhio interiore, lasciandolo confuso. Perché diavolo stava giocando a shogi con Sasuke? Cosa centravano quelle immagini? Non fu facile mettere fine a quell'intrico di visioni e suoni diversi che iniziò lentamente a sfumare solo dopo molto tempo, lasciandolo completamente stravolto.

Dannato Kiba... perché si lasciava convincere ogni volta? Giurava di smettere ma, inevitabilmente, ricadeva nello stesso errore, come un cane che si mordeva la coda. No, decisamente non era il caso di pensare ai cani, gli ricordavano troppo quello stronzo dell'Inuzuka.

Provò a muoversi, accorgendosi di una cosa: era nudo. Completamente nudo e sudato. La cosa in sé non sarebbe stata così tragica, anche se gli veniva difficile pensare al perché si fosse buttato a dormire senza vestiti. Quello che non andava era il peso che avvertiva sotto lo sterno, vicino al pettorale, un peso morbido, consistente che, proprio come lui, puzzava di sudore, alcool e qualcos'altro di cui non era sicuro con precisione, ma certamente non gli interessava in quel frangente.

Aprì gli occhi, socchiudendoli subito a causa della luce che penetrava dalla finestra mentre una nuova scarica di dolore gli distrusse il cranio. Kami, che male! Giurò e spergiurò di non toccare un goccio di alcool per il resto della sua vita, mentre percepiva la bocca impastata di un sapore nauseabondo.

Maledizione... sto uno schifo. Ci mise molto più del previsto a trovare la forza di aprire gli occhi del tutto, mettendo a fuoco ciò che sbucava alla sinistra del suo campo visivo.

Biondo.

Tanto,troppo.

La sua salivazione si azzerò, mentre Ino Yamanaka, completamente nuda, gli si stringeva meglio al suo fianco, mugugnando parole incomprensibili.

Shikamaru si passò un mano sul volto, mentre l'enormità di quello che aveva appena visto gli colpiva il cervello, cento volte più potente del post sbronza.

Cazzo...

 

 

Naruto si sfregò le mani, imprecando contro il riscaldamento difettoso di casa sua. Avrebbe desiderato tanto cambiarlo, ma purtroppo essere l'eroe di tutti gli shinobi gli consentiva solamente di comprarsi una piccola stufa di seconda mano.

“Forse dovrei iniziare a mettere da parte più soldi.” balbettò, desiderando una stufa tre volte più grande in quel momento. “Se passo un altro inverno così finirò per diventare un ghiacciolo!”

Era snervante dovere continuare a contarsi i centesimi a ventidue anni. Ormai era un uomo, e qualche volta avrebbe desiderato poter fare dei regali costosi ed appariscenti ai suoi amici, senza contare che portare ogni tanto Hinata a mangiare in un posto diverso dal chiosco di Ichiraku non sarebbe stata un'idea così malvagia.

Il ragazzo sospirò. Il pensiero del ramen di Ichiraku gli ricordò che era quasi ora di cena. Avrebbe proseguito dopo la partita a carte con i suoi tre cloni. Chissà perché finivano sempre in parità.

Mentre preparava qualcosa da mettere sotto i denti, il suo sguardo cadde sul pavimento ingombro di cartacce e vestiti usati. Non ci aveva messo molto a riportare le cose come erano sempre state.

Fu proprio quando si stava mettendo a tavola, che il campanello suonò.

Era ora! Ormai stavo perdendo le speranze...

Andò ad aprire, ritrovandosi davanti uno Shikamaru inzuppato fino alle ossa, con il volto sfatto dalla stanchezza.

“Ti dispiace farmi entrare? Non so se te ne sei reso conto, ma fuori diluvia.” borbottò, a mo di saluto, il Nara.

Naruto sospirò, mentre una parte di lui gli suggeriva di lasciare l'amico sotto la pioggia. Ma, alla fine, la pietà ebbe la meglio.

“Entra.” mormorò, facendosi da parte. “Stronzo.”

Shikamaru non replicò. Sapeva benissimo di esserlo.

 

 

Dopo cena, Shikamaru aspirò una profonda boccata di fumo, buttandola fuori con sospiro esasperato. Chiuse per un attimo gli occhi, godendosi l'effimero piacere di essere al caldo (più o meno) ed anche all'asciutto.

“Certo che ci hai messo poco a distruggere l'ordine che ti avevo lasciato.” osservò. “Senza contare che qui dentro si gela! Non accendi il riscaldamento?”

“E' rotto. Ho una piccola stufa, ma riscalda solo la mia stanza.”

“Bello stronzo.”

“Se non ti va bene, perché non torni a casa tua?”

“Non posso.” replicò cupo l'altro. “Temari non aspetta altro. Mi ucciderebbe seduta stante.”

“Non avrebbe tutti i torti.”

Il silenzio scese su di loro. Naruto prese a sparecchiare, lasciando l'amico a fumare da solo. Onestamente, non sapeva neanche cosa dirgli. Ormai quella situazione surreale andava avanti da tre giorni, e non vedeva segni di miglioramento all'orizzonte. Aveva seri dubbi che Sabaku no Temari avesse voglia di perdonare l'amico, per non parlare di Ino Yamanaka. In effetti, anche lo shinobi biondo ci avrebbe pensato due volte prima di affrontare le due donne.

“Ohi, Naruto.” borbottò il Nara dall'altra stanza. “Domani prendo le mie cose e vado via.”

“Non dire cazzate. Dove andresti, sentiamo?”

“Choji mi accoglierebbe a braccia aperte. Senza contare che ti sto dando fin troppo fastidio. Non intendo abusare ulteriormente della tua amicizia.”

Naruto, ritornò lentamente in salotto. Seduto mollemente davanti al tavolo, sigaretta in bocca, Shikamaru lo fissava con il suo sguardo più irritante. Le iridi chiare dell'Uzumaki si incupirono. Si avvicinò al tavolo, battendoci con rabbia una mano.

“Se vai da Choji, tua madre ti rintraccerà subito.”

L'amico si limitò a scrollare le spalle, quasi fosse una faccenda che non lo riguardasse.

“Tanto prima o poi mi troveranno lo stesso.” borbottò. “Non posso scappare per sempre, senza contare che ormai manco da lavoro da tre giorni. Se non ritorno presto, inizieranno a darmi per disperso.”

Il biondo lo guardò sorpreso.

“Credevo che continuassi a lavorare.”

“Con Ino nei paraggi?”

Domanda fin troppo stupida, lo shinobi lo capì con un attimo di ritardo.

“Dimmi almeno come è stato.” propose Naruto, aprendosi una birra. Fece per offrirne un sorso all'amico, ma un'occhiata del Nara bastò per farlo desistere.

“Cosa cazzo vuoi che mi ricordi? Ero ubriaco marcio. L'ultima cosa di cui ho memoria è Kiba che vomita addosso ad Akamaru, non proprio un bello spettacolo se vuoi saperlo.”

“Certo che sei proprio sfigato. Ti sei scopato Ino Yamanaka e non hai neanche un ricordo!” il biondo scosse la testa. “Se questa non è sfortuna: in giro ho sentito dire che ti risuc...”

“Ti ringrazio per i dettagli, ma la cosa non mi interessa!” lo interruppe l'altro, soffiando fuori fumo dalle narici.

“Era una battuta, Shika. Solo una battuta.”

“Beh, in questo momento non ho molta voglia di ridere.” il ninja moro spense la sigaretta, alzandosi lentamente. “Grazie per la cena. Io vado a dormire.”

Andò ad occupare la stanza di Naruto, gentilmente concessagli da quest'ultimo. Il biondo lo seguì con lo sguardo fino a quando la porta non fu chiusa. Sospirò, preoccupato per l'amico. Il suo sguardo cadde sul mazzo di carte mezzo disfatto che aveva lasciato sul pavimento prima di preparare la cena.

“Tanto con questo freddo non chiuderei occhio.” borbottò, creando tre copie, ed iniziando a distribuire le carte. Mentre buttava carte a caso sul tavolo, la sua mente ritornò allo sguardo spento ed annoiato dell'amico. Era come se tutta quella situazione non lo toccasse più di tanto, come se non fosse stato lui a tradire Temari con la sua amica d'infanzia. Solo una volta, che Naruto avesse memoria, si era comportato in quel modo: subito dopo la morte di Asuma.

Shika ha in mente qualcosa. Pigro com'è, probabilmente si farà uccidere senza battere ciglio da Temari.

“Yeah! Finalmente ho vinto!” il vero Naruto ci mise alcuni istanti a capire che era stato appena battuto da una sua copia.

Ma porca...

 

 

Dolore.

Sentiva questo? Quella sensazione che aveva nel petto era dolore? Davvero poteva provare dolore, sdraiato su un letto non suo, l'ennesima sigaretta della giornata stretta tra le labbra?

Non lo sapeva.

Soffiava Shikamaru, perché aspirare e soffiare erano le uniche cose che nella sua vita aveva imparato a fare veramente bene. Vivere no, quello non gli era mai riuscito. Se per quello, neanche morire. Durante la guerra era stato ad un passo dalla morte, ma poi aveva deciso di rimanere, che per quanto seccante, la sua vita meritava di essere vissuta fino in fondo. Senza rimpianti.

Era dolore quello?

Se Choji fosse stato lì con lui, probabilmente l'avrebbe picchiato. Perché non era da Shikamaru nascondersi, lui non lo faceva mai. Era troppo pigro per farlo. Affrontava sempre le sfide quotidiane della vita, sbuffando, lamentandosi ma portando sempre a termine la sua missione.

Non ho alcun rimorso...

Soffiava e fumava.

Del resto, solo quello era capace di fare.

 

Shika.”

Abbassò lo sguardo, soltanto perché era stato lui a chiamarlo.

Sto pensando ad una cosa.”

Sospirò.

Basta che non siano cazzate, Choji.” borbottò, ritornando a fissare le nuvole in cielo.

Credo che Ino sia una bella ragazza.”

Ti avevo detto niente cazzate.” aveva quindici anni, conosceva Choji da quasi dieci. Da quando il suo amico si interessava a Ino?

Sono serio Shika. Credo che sia veramente bella.” quel tono di voce era troppo serio per appartenere al suo amico, non gli piacque neanche un po'.

Torna a mangiare, Choji.” sospirò. “Lei non è roba per noi.”

Il silenzio ritornò nella radura, ma venne rotto dopo poco tempo.

Shika...”

Ti ascolto.”

Voi due sareste proprio bene, assieme. Dico davvero!”

Silenzio.

Torna a mangiare, Choji.”

 

 

Pioveva. Odiava quel periodo dell'anno in cui l'acqua scendeva dal cielo a secchiate. Gli sembrava che l'umidità dell'aria gli entrasse dentro, incattivendogli il sangue. Come se il suo non fosse già abbastanza avvelenato dagli ultimi avvenimenti.

Attraversò il corridoio in direzione del suo ufficio. Se tanto gli dava tanto, sarebbe rimasto sommerso sotto il cumulo di pratiche arretrare creatosi nei suoi giorni di assenza. Si accese una sigaretta, senza ancora sapere se per fumarla, oppure dare fuoco a quelle maledette carte.

“Shikamaru Nara!”

Diavolo, possibile che l'avessero beccato subito? Eppure era lì dentro da appena due minuti.

Non fece in tempo a girarsi, che uno schiaffo gli si stampò sul volto, stordendolo. La sigaretta gli cadde a terra, mentre lo shinobi si morse la lingua per non espellere un fiume di imprecazioni.

Sapeva di meritarselo.

“Shikamaru Nara! Sei soltanto un povero coglione!” esclamò in mezzo al corridoio Ino Yamanaka, osservando il suo amico d'infanzia, ribollendo dalla rabbia. “Un lurido porco, imbecille, stronzo, bastardo...”

“Accidenti... ne hai di fantasia.” replicò freddamente il braccio destro dell'Hokage. “Eppure l'altra sera la lingua la usavi in ben altro modo.”

Era stato stronzo, lo sapeva, ma era troppo di cattivo umore per restare lì immobile a farsi insultare da Ino, la sua amica. Colei con cui aveva condiviso un'infinità di momenti belli, brutti, tristi, allegri, difficili e tranquilli. Lei, la splendida Ino, innamorata pazza di Sasuke, quella che con il tempo aveva accettato la corte goffa di Sai. Ino, la donna con la quale aveva tradito la fiducia di Temari, la sua Temari.

Il secondo schiaffo fu più violento. Nel silenzio si udì il sangue gocciolare lento dal labbro spaccato dell'uomo, e i singhiozzi rabbiosi di lei.

“Sei solo uno stronzo.” sussurrò Ino, gli occhi gonfi di lacrime. Odiava piangere, ma la freddezza di lui era orribile. “Un pezzo di merda.”

Se ne andò, lasciandolo lì, con il labbro inferiore rotto, e lo sguardo attonito dei suoi colleghi.

Fuori pioveva.

Che situazione di merda...

 

 

Non tornò a casa di Naruto, né quel giorno, e neanche in quelli successivi. Lo shinobi proseguì a dormire sul quel divano molle e freddo, sperando ogni sera che il suo amico Shika arrivasse da lui, brontolasse su quanto facesse schifo la sua casa, e poi si mettesse seduto a fumare al suo fianco, brindando al fallimento totale della sua vita sentimentale.

Sì, avrebbe voluto che andasse così.

“Naruto-kun?” la voce di Hinata lo riportò alla realtà. Una realtà fatta da lei, la sua donna, e da un divano che, improvvisamente, era meno freddo.

“Hinata...” la voce di lui era seria, fredda. “Dimmi, ti fidi di me?” una domanda strana, fatta nel momento forse sbagliato, ma lui voleva saperlo ora, in quell'istante, abbracciato a quel corpo così morbido e caldo.

“Sì, Naruto-kun. Mi fido.” lei non voleva passare la serata ad arrovellarsi su strani quesiti. Non voleva rovinare quel momento intimo con il suo uomo.

Le labbra di lei, così dolci e morbide, lo chiamavano, portandolo verso una notte calda e passionale, vicino alla donna che amava. Ma prima di immergersi in quel vortice di sesso e passione, sentì il timore di diventare come l'amico.

Come puoi averne la certezza, Hinata? Come fai ad essere sicura che io non fallirò mai con te?

 

 

Quando Choji entrò lo vide esattamente come l'aveva lasciato la mattina: sdraiato, le braccia dietro alla nuca, lo sguardo perso nel soffitto, una sigaretta accesa che pendeva mollemente dalle labbra. Solo il posacenere pieno fino a scoppiare faceva da testimone al tempo che era passato.

“Ti fa male fumare così tanto, Shika.” la voce dello shinobi non era mai stata così bassa e seria.

Il Nara non si scompose minimamente al suo arrivo, limitandosi a sbuffare una nuvoletta di fumo da un angolo della bocca.

“Torna a mangiare, Choji.”

Il pugno arrivò improvviso. Era pesante, duro e faceva un male cane. Shikamaru si alzò di scatto, imprecando selvaggiamente, portandosi le mani sul naso, dove era stato appena colpito.

“Io sarò anche buono solo a mangiare, ma non ci vuole un genio a capire che stai sbagliando!” da quando il volto di Choji era così adulto? “Devi assolutamente parlare, Shika. Stare chiuso qui dentro non risolverà un bel niente.”

“Con chi?”

“Con Ino e Temari.”

“No.” replicò subito il moro, cercando a tentoni il pacchetto delle sigarette. Quella di prima era caduta a causa del pugno subito. “Non voglio parlare con nessuno.”

L'Akimichi non aggiunse nient'altro. Fece per andarsene, ma sulla soglia della stanza si bloccò.

“Asuma-Sensei si vergognerebbe del tuo atteggiamento. Ed anche tuo padre, Shika.”

“Sono morti, Choji.” si accese una nuova sigaretta, ritornando nella posizione di prima. “Ai morti non interessa nulla di quello che fanno i vivi.”

“Ti ho sempre difeso, ogni volta. Non ho mai dubitato del tuo valore, amico mio. Ma oggi comincio a pensare che, in tutti questi anni, ho riposto la mia fiducia nella persona sbagliata.” Choji scosse la testa, rivolgendo un'ultima occhiata all'amico. “Tu non sei questo, Shikamaru. Un uomo quando cade, deve rialzarsi e lottare per quello che ha perso.”

Se ne andò, lasciandolo da solo, con i suoi pensieri, le sue sigarette, ed i suoi sensi di colpa.

Un uomo...

 

 

Ehi, Shika!”

Alzò lo sguardo, vagamente irritato. Perché non riusciva mai a farsi un sonnellino in pace?

Ho bisogno di una mano.”

Tanto per cambiare... seccatura.”

Che hai detto?!”

Niente... niente...” Shikamaru si grattò la nuca, soffocando uno sbadiglio. Da quando Ino aveva un seno così ben fatto? E le gambe?

Mi insegni a giocare a shogi?” gli spiegò lei, un sorriso dolce sul volto. “Ho scoperto che piace molto a Sai, e vorrei fare qualche partita assieme a lui.” Fantastico, aveva pure iniziato a preoccuparsi di quello che facevano gli altri, incredibile.

Non credo che sia il caso.”

Perché no?!”

Ti annoieresti subito.”

Non puoi saperlo senza prima averci provato, Shika! Siamo amici, me lo devi!” perché il profumo di Ino lo stava convincendo sempre di più?

Che seccatura...”

Grazie, sei un vero amico!”

 

 

Bell'amico che sono...

Erano dieci minuti che era lì, immobile, davanti alla porta di casa di Ino. Nonostante la conoscesse da una vita, non era stato molto spesso da quelle parti. Era sempre troppo pigro per pensare di fare visita ad una compagnia di squadra. Si accese una nuova sigaretta. Forse Choji aveva ragione a dire che fumava troppo.

Che seccatura...

Bussò due volte, lentamente, sperando di non trovarla in casa. Non si sentiva veramente pronto ad affrontarla. Non dopo quello che gli aveva detto due giorni prima al lavoro.

Non passò molto prima che qualcuno aprisse la porta. Era Ino. Ci fu un istante di silenzio non appena vide lo sguardo annoiato dell'amico. Ma poi l'ira prese il sopravvento: gli sbatté la porta in faccia. Shikamaru sospirò, aspettandosi una reazione del genere.

“Ino apri. Dobbiamo parlare.”

“Vai all'inferno, Shikamaru!” urlò lei da dietro la porta. “Tu per me sei morto!”

“Da quando ti metti a parlare con i morti?”

“Vaffanculo!”

“Ino, apri questa porta. Devo parlarti!” ripeté, leggermente scocciato, il Nara.

“Scordatelo!”

“Allora resterò qui: ad aspettarti.”

“Per me puoi pure creparci su quel pianerottolo!”

“Prima o poi dovrai uscire di casa. Ed allora mi troverai qui, davanti alla tua porta.”

Dall'altra parte ci fu un istante di silenzio. Poi, lentamente, la porta si aprì. Shikamaru fece per sospirare, ma un violento pugno lo scaraventò a terra. Il Nara vomitò un fiume di imprecazioni: era il secondo pugno che riceveva da un amico in poche ore.

“Questo è per le parole dell'altra volta.” subito dopo, Ino gli tirò un violento calcio alla bocca dello stomaco, mozzandogli il fiato. “E questo è per avermi portata a letto.”

“Non... bastava il pugno?” esalò l'altro, tentando di recuperare un minimo di fiato.

“Ringrazia che non te l'ho tirato sulle palle.” replicò la kunoichi, scuotendo i lunghi capelli. “Ora possiamo parlare, Shika.”

Shikamaru digrignò i denti. Come inizio non era proprio il massimo.

 

 

“Che cosa vuoi?”

“Non mi offri neanche una tazza di tè? Fuori diluvia.”

“Se speri che un cazzotto ed un calcio sistemino tutto tra noi hai sbagliato. Dimmi che cosa vuoi e poi sparisci dalla mia esistenza.”

Shikamaru sospirò, sedendosi sul comodo divano in salotto. Era sempre rimasto sorpreso che una ragazza come Ino avesse un così buon gusto ad arredare casa. I temi floreali non mancavano, ma non erano troppo invasivi, mentre una luce calda ed allegra illuminava l'ambiente moderno, pulito ed ordinato. Mise una mano in tasca, per prendersi una sigaretta, ma un'occhiataccia di lei lo bloccò.

“Qui dentro non fumi.”

“Che seccatura che sei!” borbottò il moro, grattandosi la nuca. La kunoichi strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile, ma non aggiunse altro.

“Sai lo sa?” fu la prima domanda che gli venne in mente. Onestamente, non si aspettava di arrivare addirittura a spiegarsi con lei.

“Certo che no!” replicò la bionda. “Non sono stupida come te!”

Cadde di nuovo il silenzio tra loro. Il Nara avrebbe decisamente voluto fumare in quel frangente, ma capì che non era il caso di irritare l'amica più del dovuto.

“Perché non glielo hai detto?” chiese. “Non hai fiducia in lui?”

Capì di aver fatto la domanda giusta quando vide che ci metteva un po' troppo prima di rispondergli.

“Non voglio che soffra. È stato un incidente, una di quelle cose che avrei piacere dimenticare il prima possibile.”

“Soffrire... ci tieni molto a lui, non è vero?”

“Certo che ci tengo!” rispose subito la ragazza. “A differenza tua, lui non è un pezzo di merda!”

“Un po' stronzo lo è.” replicò con tono annoiato il moro. “Naruto dice sempre la persona più stronza di Konoha, dopo Sasuke, è sicuramente Sai.”

“Non me ne frega un cazzo di quello che pensa Naruto! Se sei venuto qui solo per dire le tue solite cazzate, allora puoi anche andartene subito!”

Shikamaru piantò il proprio sguardo freddo in quello di Ino per alcuni istanti. Non sembrava, ma al ragazzo dispiaceva da morire vedere l'amica in quello stato.

“C'è stato un periodo della mia vita in cui credevo fossi tu la ragazza giusta, Ino.” mormorò all'improvviso. “Pensavo che tu fossi la persona perfetta con cui mettere su famiglia.”

“Se questa è una dichiarazione allora posso dirti che è la più penosa che io...”

“Non è una dichiarazione.” proseguì lui, bloccandola. “Ho parlato al passato, perché ora non lo credo più.” chiuse per un istante gli occhi, mentre l'immagine di un'altra kunoichi bionda gli invadeva la mente. “Penso che quella persona sia Temari.”

Nel salotto della Yamanaka cadde per un attimo il silenzio. Il volto di Ino non esprimeva più rabbia, anche se non era neanche un'espressione amichevole la sua.

“Sono venuto qui... per dirti che ciò che è successo è stato un incidente e che non desidero che questo possa rovinare la nostra amicizia.”

“Abbiamo fatto sesso, Shika. Non puoi pensare di archiviare la cosa in questo modo.”

Il moro inarcò un sopracciglio, sospirando.

“Quella notte eravamo entrambi ubriachi fradici. Non ho alcun ricordo di ciò che accadde, quindi per me potrebbe anche non essere mai esistito.”

La ragazza scosse la testa.

“Non funziona così, Shika. Dopo una cosa del genere... come puoi sperare che tutto torni come prima?”

“Infatti non lo spero.” rispose l'altro. “Quello che desidero è che tu ti rialzi, proprio come ho fatto io.”

Ino ci mise qualche istante di troppo a rispondere. Improvvisamente, quello che vide fu lo stesso Shikamaru che aveva avuto al suo fianco per tanti anni, lo stesso identico amico, un po' pigro, irritante, ma incredibilmente geniale e coraggioso.

“Certo che ce ne hai messo di tempo.” esclamò, portandosi una mano sulla fronte. “Sei proprio un idiota.”

“Lo sai che sono pigro, e pure codardo.” replicò il moro, sorridendo. “Ci metto tempo per prendere una decisione.”

“Ah... Shika! Sei incorreggibile!” lei lo fissò con criticità. “Mi auguro che non spererai di sistemare tutto con queste belle paroline.”

“Veramente avrei desiderato un abbraccio di riconciliazione, ma forse ero troppo ottimista.”

“Mi hai scopata, Shika... e mi hai pure vista nuda.”

“E tu hai visto nudo me.”

“Non è la stessa cosa.”

“Speravo che almeno il mio fisico avesse un po' più di considerazione da parte tua.”

Ino sospirò pesantemente. Nonostante tutto, alla fine il suo amico di una vita era lì, davanti a lei, che gli chiedeva scusa e di ricominciare.

“Sei veramente pessimo.” commentò, incrociando le braccia. “Proprio pessimo, Shika!”

“E tu sei una vera seccatura.” stranamente, Ino sorrise. Quella parola le riportava alla mente tanti ricordi dolci.

“Cosa pensi di fare con Temari?” domandò.

“Le dirò la verità.” rispose seccamente l'altro, un'espressione di fredda determinazione sul volto. “Poi sarà quello che vorrà lei.”

“Non mi sembra un buon piano.”

“E' l'unico che ho trovato realizzabile.”

La kunoichi inclinò la testa.

“Cerca di non farti ammazzare.” osservò. “Mi dispiacerebbe non poterlo fare io... dopo quello che è successo.”

“Tenterò di lasciarti questo piacere.” lo shinobi si alzò, girandosi per andare via.

“Ino...”

Nella stanza cadde un profondo silenzio.

“Mi dispiace.”

La ragazza trattenne a stento una lacrima, ma non proferì parola, osservando la schiena del suo migliore amico uscire dalla porta di casa.

Anche a me Shika.

 

 

Fuori pioveva. Le strade erano fangose, e risucchiavano i piedi nella melma. Nonostante fosse appena pomeriggio, il cielo era già scuro. Fece per accendersi una sigaretta, ma poi pensò che fosse inutile con quel diluvio, e la mise via.

Peccato. Mi sarebbe piaciuto fumarne una prima di vederla.

“Sempre in giro con questa pioggia, Shika?”

Si girò, ritrovandosi davanti Naruto, il quale sorrise all'espressione perplessa dell'amico.

“E tu che diavolo ci fai qui?”

“Ti cercavo. Ero preoccupato per te.” rispose subito lo shinobi biondo.

“Sto bene.” replicò il moro. “Dico davvero!” aggiunse, in risposta all'espressione scettica dell'altro. “Ho parlato con Ino, ed ora sto andando da Temari.”

“Perché sei andato prima da Ino?”

Quante domande insulse!

“Perché non credo che avrò la forza di muovermi, dopo che avrò parlato con Temari.”

“Questo non è molto incoraggiante.”

“Beh, io vado.” lo shinobi delle ombre lo superò lentamente, i capelli ormai zuppi che gli cadevano in fronte. “Comunque... Naruto, sei un buon amico.”

Silenzio.

“Ti ringrazio.”

Naruto rimase immobile, sotto la pioggia, mentre udiva l'amico allontanarsi. Pensò a tutti i momenti che avevano passato assieme. Dalle fughe di classe in Accademia, alle missioni combattute fianco a fianco. Si passò una mano tra i capelli zuppi, digrignando i denti.

Perché mi sento così... inutile?!

Era insopportabile vedere un amico in difficoltà e non poter fare nulla per aiutarlo. Ma la cosa che più di tutte lo rendeva furioso era il fatto che, come Shikamaru, anche lui un giorno avrebbe potuto tradire la fiducia della persona che amava. Come fare per impedirlo? Davvero bastava così poco per distruggere tutto?

Non sarà rimuginandoci sotto questa pioggia che troverai la risposta.” la voce di Kurama era calda, come solo il fuoco puro può esserlo.

Ho paura, Kurama. Come posso sapere con sicurezza che non deluderò mai le aspettative della persona che amo?”

Tu insicuro? Questa è buona!”

E' una faccenda completamente diversa!”

Invece ti sbagli.” replicò il Bijuu. “Il succo del discorso è sempre quello: non puoi saperlo con certezza fino a quando non ci provi.”

Chiuse gli occhi, stringendo le mani. Aveva ragione, ma ciò non bastava a togliergli quel senso di impotenza di fronte alle proprie imperfezioni.

 

 

Quando arrivò di fronte a casa sua, rimase sorpreso di vederla lì fuori, sotto la pioggia, a fissare con sguardo vacuo lo stipite della porta.

Temari...

Capì che, come al solito, era arrivato tardi alla conclusione giusta. Che la sua pigrizia lo aveva fatto stare lontano da coloro a cui voleva bene. Si chiese come avrebbe mai potuto essere un buon maestro per Mirai, se non era neanche capace di gestire in modo decente la sua vita.

Se sei un vero uomo, non tenerti dentro ciò che provi, ma sfogalo. Io poi verrò a raccogliere i pezzi.”

Padre... A distanza di anni, se si concentrava, poteva ancora sentire la sua voce. Di quell'uomo così geniale che aveva avuto la fortuna di avere come genitore.

Si fermò dietro di lei, in silenzio, le mani in tasca, mentre la pioggia cadeva con violenza. Avrebbe ucciso probabilmente per una sigaretta e degli abiti asciutti. Invece restava lì, sotto quel diluvio, ad aspettare le parole della donna che sentiva di amare.

“Finalmente hai avuto il coraggio di venire.” esordì lei, senza girarsi, la voce atona. “Dopo cinque giorni...”

“Avevo bisogno di restare da solo.”

“Che testa di cazzo che sei...” scosse la testa, i capelli crespi ormai lisci a causa della pioggia. “La prima impressione che ebbi di te fu che eri un idiota. A quanto pare, era corretta.”

“Può essere.”

“Piantala!” urlò Temari, stringendo le mani con rabbia. “Piantala di prendermi per il culo!”

Ritornò il silenzio. La schiena di lei tremava, se per il freddo o per la rabbia difficile dirlo. Shikamaru non si mosse, aspettando che Temari buttasse fuori ciò che si teneva dentro.

“Perché sei venuto?”

“Perché voglio parlarti.”

Finalmente lei si girò. Il volto pallido, gli occhi chiari, il naso minuto, i capelli biondi spiaccicati sul viso, i vestiti attaccati al corpo, quel corpo che lo shinobi conosceva fin troppo bene.

“E che cosa vorresti dirmi?”

Il Nara chiuse per un istante gli occhi, sospirando.

“Mi dispiace.”

Il pugno arrivò, secco e diretto, al mento, scaraventandolo in mezzo al fango. Cadde senza opporre resistenza, mentre la kunoichi gli saltò addosso, gli occhi dardeggianti di rabbia.

“Sai dove puoi mettertele le tue scuse?!” ringhiò, iniziando a prenderlo a pugni. “Sei un lurido bastardo!”

Un pugno, due pugni, tre pugni, quattro pugni.

“Dicono tutti che sei un genio, ma questo è tutto ciò che la tua genialità ha pensato?! Venire qui e farti prendere a pugni?!”

Cinque pugni, sei pugni, sette pugni, otto pugni.

“E io... io che mi sono fidata di te! Che addirittura credevo fossi... fossi una persona che meritasse il mio rispetto!”

Nove, dieci, undici, dodici.

La pioggia lavava via il sangue, ma i lividi restavano. Dopo il quindicesimo pugno, Temari si fermò, digrignando i denti, gli occhi coperti dai capelli. Shikamaru non era sicuro se ciò che gli scorreva in viso fosse acqua oppure qualcosa di più salato.

“Sei un coglione.” mormorò lei, tremando sempre più forte. “Un lurido idiota!”

“Io...” lo shinobi ci mise un po' a spiccare parola, a causa della bocca piena di sangue. “So di meritarmi tutto questo, Temari.” mormorò. “Ma voglio ripartire, imparando da questo errore.” gli prese il viso con una mano, guardandola fissa negli occhi. “E voglio farlo assieme a te.”

La bionda si liberò dalla presa di lui, emettendo un gesto di stizza.

“Troppo comodo!” sibilò.

“Hai perfettamente ragione. Proprio per questo ti chiedo di darmi una chance: per dimostrarti con i fatti... che la persona giusta sei tu, Sabaku no Temari.”

Lei rimase molti minuti in silenzio, mentre l'acqua portava via il sangue del moro dalle sue mani. Shikamaru non si mosse, rimanendo sdraiato in mezzo al fango, i lividi che pulsavano sul volto.

Infine, la kunoichi si alzò.

“Puoi rientrare in casa.” mormorò lentamente.

“Ti ringrazio.”

“Dormirai sul divano, sistemerai la casa, e cucinerai ogni sera.”

“E il lavoro?”

“Cazzi tuoi.”

Lui riuscì a storcere la bocca in un sorriso amaro.

“Ci proverò.”

“Se provi a sfiorarmi con un dito, ti castro a mani nude.” proseguì lei. “E cerca di rivolgermi il meno possibile la parola per ora. Non prometto di trattenermi alle tue stronzate.”

Shikamaru si alzò, le labbra sempre stirate in quel sorriso amaro. La ragazza si voltò, facendo per entrare in casa, quando lui le prese una mano.

“Temari...” era strano che lui la chiamasse per nome. Di solito si prendevano in giro, chiamandosi rispettivamente 'Seccatura' e 'Crybaby', ma in quel momento nessuno dei aveva voglia di scherzare.

“Mi dispiace... per tutto.”

Lei si liberò, rientrando in casa, senza dire nulla. Il sorriso del Nara divenne leggermente più ampio nel vedere la porta restare aperta.

Ti ringrazio... Seccatura.

 

 

Ohi, Crybaby.”

Lui alzò lo sguardo, fissando la propria donna con l'espressione più irritante ed annoiata del suo vasto repertorio.

Quando tirerai fuori le palle, invitandomi a restare da te?” sbuffò lei, mentre gli strappava dalle labbra l'ennesima sigaretta della mattina. “Sono settimane che mi continui a far dormire qui senza dire nulla in proposito.”

Shikamaru sospirò, rovistando nelle tasche alla ricerca di una nuova sigaretta.

Credevo fosse una cosa scontata... ma se hai bisogno di un editto reale tenterò di procurarmelo.”

Che stronzo che sei.”

E tu sei proprio una vera seccatura.”

Può darsi.” replicò la kunoichi, strappando dalle mani del Nara l'intero pacchetto di sigarette. “Ma se non ti dessi il tormento, sono sicuro che un'altra spalla su cui piangere non la troveresti, Crybaby.”

Non mi pareva che stanotte essere la mia spalla ti desse così tanto fastidio.”

Temari gli tirò la tazza del tè addosso, lasciandolo successivamente ad imprecare sul pavimento della cucina.

E' sempre un piacere, Crybaby.”

 

 

Sì, era decisamente sicuro della propria scelta. Ci aveva messo tanto a capirlo, pigro com'era, ma ora ne era convinto: la persona giusta era quella kunoichi irritante, scorbutica, manesca ma tremendamente capace di ascoltarlo e di capirlo come nessun altro.

“Muoviti Crybaby!” gli urlò lei da dentro casa. “Ricordati che devi preparare la cena!”

Shikamaru sospirò.

“Eccomi... Seccatura!”

Sì, era decisamente a casa.

 

 

Era così facile sbagliare, così semplice mettere un piede fuori dal percorso corretto. A volte si sorprendeva di quanto spaventosamente facile fosse buttare via tutta la fatica che aveva fatto nella sua vita, tutte le conquiste che aveva ottenuto.

Naruto guardò il cielo grigio sopra di lui, immerso nei suoi pensieri, passeggiando tra le strade fangose di Konoha. Lo guardava piangere, mentre pensava a quanto fosse difficile mantenere un impegno d'amore. Quanta pazienza, dedizione, precisione e passione ci volevano per relazionarsi con la persona giusta.

“Naruto-kun?”

Si voltò. Davanti a lui, sotto un grande ombrello nero, c'era lei, che lo fissava.

“Ciao, Hinata.” un sorriso stanco si aprì sul suo volto. Nonostante tutti i suoi dubbi, era felice di vederla. “Cosa ci fai in giro con questo tempo?”

“Sono andata a trovare Neji-niisan.” mormorò lei, gli occhi velati di tristezza. Nonostante gli anni che passavano, quel dolore non era mai scomparso. Anche per Naruto quella era una ferita che, molto probabilmente, non si sarebbe mai rimarginata del tutto.

Quanto è facile cadere...

“Capisco...” mormorò. Comprese solo in quel momento che Hinata lo stava quasi cercando, anche se inconsciamente. Sentì che la ragazza aveva bisogno di distrarsi, di non affogare troppo in quella voragine che la morte del cugino le aveva lasciato dentro di sé.

“Hai...” stava per invitarla a mangiare del ramen, quando pensò a Shikamaru, a come fosse facile per chiunque perdere il sentiero giusto. L'amore non era solo passione, ma anche dedizione, dolcezza, cura dei dettagli.

“Naruto-kun?” lei lo guardava, gli occhi chiari perplessi dalla sua esitazione. Vedendola così fragile, così in difficoltà, le sue paure svanirono, quasi fosse stata la pioggia a lavarle via, lasciandogli solo la ferrea volontà di non fallire anche con lei.

L'ho promesso a Neji... non posso fallire.

“Avresti voglia... di venire a passare la serata da me?”

Hinata sorrise, capendo la volontà di lui di non lasciarla sola. Apprezzò il gesto, perché vedeva davanti a lei un uomo, non più un ragazzino goffo e pasticcione.

“Mi piacerebbe moltissimo.” sussurrò, portando sotto l'ombrello lo shinobi e appoggiando le proprie labbra su quelle bagnate di lui.

Fuori pioveva.

Ma sotto quell'ombrello, non c'era più spazio per la tristezza.

 

 

Note dell'Autore:

 

 

Ordunque, eccomi qui con il nuovo capitolo! Vi aspettavate qualcosa di più su Naruto e Hinata? Beh, anche io all'inizio xD La storia è venuta fuori così, di getto, e ho pensato che, alla fine, anche osservare gli errori, e le soluzioni degli altri, possa aiutare una coppia a maturare il proprio rapporto. E poi, Shikamaru è uno dei miei personaggi preferiti. In un certo senso, gliela dovevo questa storiella.

Come forse avrete intuito, in questa storia ho fatto un balzo temporale di 2-3 anni rispetto a quella scorsa. Come avevo avvisato, infatti, non seguirò un filo temporale proprio stretto stretto, quindi magari nel prossimo capitolo tornerò più indietro nel tempo, oppure farò un ulteriore salto in avanti. Tuttavia, cercherò di evitare sbalzi troppo esagerati (per Boruto e co bisognerà aspettare ancora un po' insomma).

Bene! Anche questo capitolo è finito! Come al solito ringrazio chiunque segue, legge e recensisce questa raccolta, e spero lo vorrà fare pure in futuro.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 4
*** Il dolore e la rabbia, parte prima ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

 

Il dolore e la rabbia

Parte Prima

 

 

Le loro lingue si incrociavano in una danza sfrenata, mentre le mani non volevano saperne di stare ferme. Naruto toccava quelle pelle liscia, la carne morbida con avida curiosità, mentre le dita di lei gli accarezzavano, dolci e soavi, il petto muscoloso. La bocca di lui divenne sempre più famelica, mentre scendeva verso il basso, lasciandole rossi succhiotti sul collo.

“N-Naruto-kun...”

Sentiva i suoi gemiti, trattenuti a fatica per pudore. Il suo sangue si infuocò, mentre i vestiti di entrambi cadevano a terra rapidamente, ormai solo inutili impacci.

Lo shinobi afferrò saldamente le gambe della mora, sollevandola. Lei, di risposta, le incrociò attorno alla sua vita, mentre le loro bocche continuavano ognuna ad esplorare il corpo dell'altro.

“Naruto-kun... io... io...” a Hinata sembrava di non avere più aria sufficiente nei polmoni, mentre la lingua del suo uomo le solleticava il lobo sinistro. Lo strinse forte a sé, il corpo sempre più caldo, sempre più eccitato, sempre più sudato. Anche il tempo le giocava brutti scherzi: quando avevano iniziato a rotolarsi sul letto? Da quanto la bocca di Naruto era attaccata al suo capezzolo? Il sangue della Hyuga diventò bollente, sempre più vorticoso, mentre le dita e la lingua del suo uomo le martoriavano il seno di carezze, baci, succhiotti e morsi. Il respiro accelerò quando la bocca di lui prese a spostarsi lentamente verso il basso. Si dedicò con minuziosità al ventre, passando con la lingua sull'ombelico, per poi scendere sulle gambe, dove le labbra dello shinobi, dopo molti baci, presero a risalire, lentamente, troppo lentamente, lasciando un bollore intollerabile alla ragazza.

“Naruto-kun...” ansimò, mordendosi le labbra. Sentiva un piacere irrefrenabile pervaderle tutto il corpo, donandole l'incredibile sensazione di essere viva come non mai. Tentò di trattenersi in ogni modo, ma quando le labbra di Naruto presero a mordicchiare, baciare e succhiare la sua intimità, crollò: inarcò la testa, lanciando lunghi mugugni, fino ad esplodere tutto il suo piacere in faccia all'uomo che amava. Questo non fermò il biondo, che proseguì a stuzzicarla, imperterrito, fino a quando non fu scossa dal secondo orgasmo in pochi minuti.

Ritornò su, piantando le proprie iridi cerulee in quelle perlacee di lei. Hinata aveva il viso rosso per il piacere e la vergogna, i capelli appiccicati sulla fronte sudata e la bocca semiaperta a cercare aria. Naruto la trovò semplicemente bellissima.

“Sei splendida.” mormorò, baciandola, facendole assaggiare il sapore del suo piacere. Lei lo abbracciò, danzando la sua lingua con quella di lui. I denti dello shinobi presero a mordicchiarle il labbro inferiore, senza smettere di guardarla negli occhi.

Entrò in lei.

La sentì trattenere il fiato per un lungo istante, irrigidendosi momentaneamente. Dopo aver atteso per qualche secondo, il biondo iniziò a muoversi, all'inizio lentamente, poi aumentando sempre di più il ritmo, mentre le loro lingue non smettevano di rincorrersi. Il sangue nelle vene bruciava, mentre ansimi e gemiti uscivano incontrollati dalle bocche. L'eccitazione ormai scorreva come magma fuso dentro di loro, annientando qualsiasi pudore o raziocinio. Dopo circa cinque minuti, a sorpresa, Hinata ribaltò i ruoli, imponendo così il proprio ritmo. Piacevolmente sorpreso, Naruto le afferrò i glutei, aiutandola nel movimento. Erano ormai allo stremo: dopo altri cinque lunghissimi minuti, la Hyuga emise un lungo gemito, il polmoni svuotati, tremando intensamente, mentre l'Uzumaki, emettendo una specie di singulto, arrivò al picco del piacere qualche istante dopo.

Si accasciò su di lui, il respiro affannato, il corpo ricoperto di sudore. Rimasero abbracciati in quel letto per minuti, mentre Naruto la stringeva a sé, accarezzandole i lunghi capelli corvini. Senza dire una parola, lei alzò il volto, baciandolo dolcemente, un muto ringraziamento per quella notte ricca di passione.

 

 

Naruto aprì gli occhi, riparandosi il volto con la protesi dai raggi mattutini. Soffocò uno sbadiglio, stiracchiandosi lentamente per evitare di svegliare la ragazza abbracciata a lui. Sorrise nel vedere il letto sfatto, recante i segni della notte precedente. Avrebbe dovuto sistemarlo prima di uscire, ma la cosa non gli pesava affatto.

“Tesoro...” la Hyuga aprì lentamente gli occhi, un tenue sorriso sulle labbra. “Finalmente ti sei svegliato.”

“Eri già sveglia?”

Hinata annuì, cominciando ad accarezzargli i pettorali. Rimasero in quella posizione per lunghissimi minuti, in silenzio ed in pace con tutto. Esistevano solo loro e quel letto, tutto il resto non contava.

Tuttavia, alla fine, con uno piccolo sbadiglio, la mora si alzò, coprendosi con il lenzuolo. Naruto rabbrividì nel sentire l'aria fresca del mattino sul corpo nudo. Si alzò con un grugnito, di cattivo umore all'idea di andare in missione proprio quel giorno.

“Non mi fermo per colazione!” le urlò dal bagno la ragazza. “Questa sera parto per una missione. Devo correre a prepararmi.”

“Una missione?” il ragazzo distolse momentaneamente la mente dalla ricerca delle proprie mutande. “Non sapevo nulla.”

“Non è niente di che.” minimizzò la kunoichi, correndo a recuperare la propria biancheria intima. “Una missione di perlustrazione, come tante altre. Dei ladri hanno derubato un nobile, e tocca a noi rintracciarli.”

Il biondo, tranquillizzato, riprese la ricerca dei propri abiti. Una volta indossate le mutande, vide che Hinata era già pronta.

“Beh, io vado!” lo salutò con un rapido bacio. “Cerca di non fare tardi, altrimenti l'Hokage si arrabbierà.”

“Tu sei più importante!” replicò lo shinobi, abbracciandola stretta. Lei tentò debolmente di liberarsi dalla stretta, ridendo.

“Puzzi!” esclamò, ridendo. “Vai a lavarti!”

“E' il tuo odore...” le sussurrò lui all'orecchio, facendola arrossire dalla vergogna. “Detesto togliermelo di dosso.”

“Naruto-kun... ti prego... la missione...” pregò Hinata, il volto rosso, mentre lo shinobi le succhiava il lobo destro. “Naruto-kun!” quando udì nella voce di lei un tono lievemente scocciato, Naruto la mise giù, dandole un ultimo bacio sulla punta del naso.

“Sarò di ritorno non più tardi di tre giorni.” gli promise la Hyuga. “Cerca di non farmi aspettare troppo!”

“Sarò di ritorno il prima possibile.” rispose lui, ricoprendola di baci. Continuò a sorriderle dolcemente mentre usciva di casa, ma non riuscì a trattenere una punta di apprensione.

Forza! Scosse la testa, mandando via i cattivi pensieri. Andiamo da Kakashi-Sensei.

 

 

Quando Naruto entrò nell'ufficio dell'Hokage, ci vide riuniti il Team di Konohamaru, Ebisu-Sensei ed il Sesto Hokage, intento a fissare, con estremo interesse, la copertina di un romanzo d'amore sulla sua scrivania.

“Sei in ritardo.” fece subito Ebisu, fissandolo severamente da dietro le lenti scure.

“Perdonatemi, ma stamattina è stata dura alzarmi.” sì scuso il biondo, grattandosi la nuca.

“Chissà come mai...” insinuò malizioso il nipote del Terzo. “Sai, Naruto-niisan, prima ho visto uscire da casa tua Hinata... chissà cosa avrete fat...” lo shinobi non terminò la frase, visto che Moegi lo spiaccicò al muro con un pugno.

“Grazie Moegi.” esordì Kakashi, piantando i propri occhi scuri in quelli chiari del suo allievo. Nonostante la perdita dello Sharingan, lo sguardo del Copia Ninja restava acuto e penetrante come sempre. “La missione che vi sto assegnando è di grado A. Ora che siete tutti e tre Chunin, ho bisogno di testare le vostre abilità sul campo.” i suoi occhi passarono un attimo in rassegna Konohamaru, Moegi e Udon. “Naruto sarà il vostro supervisore in questa missione e risponderete a lui di ogni cosa.”

“Sissignore!” risposero gli shinobi.

Nei successivi venti minuti, Kakashi spiegò la missione, che consisteva nel trasporto di documenti della Squadra Speciale al Villaggio della Roccia. Dopo aver elencato tutti le possibili varianti della missione e gli imprevisti possibili, il Sesto Hokage li congedò, con l'ordine di partire da lì a un'ora. Naruto fece uscire gli altri, dimostrando l'intenzione di restare da solo con il suo vecchio maestro.

“Kakashi-Sensei...” una volta solo, il biondo prese la parola, ma l'Hokage lo bloccò subito.

“Qui dentro non sono il tuo Sensei, Naruto.” spiegò. “Devi rivolgerti a me come Sesto, oppure Hokage.”

“Sissignore.” rispose frettolosamente l'altro. “Sesto Hokage, volevo... chiederle un'informazione.” gli occhi attenti dello shinobi lo invitarono a proseguire. “Ecco... volevo avere qualche informazione riguardo la missione...”

“Di Hinata?” lo anticipò l'altro, sorridendo sotto la maschera vedendo lo stupore sul volto del suo vecchio allievo. “L'ho mandata in una missione facile. Lei, Shino e Kiba lavorano assieme da anni. Non dovresti preoccuparti: è una kunoichi abile e preparata.”

Naruto annuì, anche se dentro di lui non riusciva proprio a scrollarsi quel senso di turbamento e paura. Fece per congedarsi, in modo da prepararsi alla sua missione, quando Kakashi lo richiamò.

“Naruto...” gli occhi del Ninja Copiatore scintillavano. “Cerca piuttosto di stare attento alla tua missione.”

Lo shinobi annuì, pur sapendo che difficilmente sarebbe riuscito ad evitare di pensare a Hinata.

 

 

I giorni passarono lentamente.

La missione di Naruto si rivelò più facile del previsto: Konohamaru, Moegi e Udon erano un Team affiatato ed unito, lavoravano assieme da anni. Lo shinobi biondo si limitò a mandarli in ricognizione continua, avanzando rapidamente. Non vedeva l'ora di tornare a Konoha, da Hinata. Da quando l'aveva lasciata, la sua mente era turbata e non capiva per quale motivo: la missione non era difficile, e la Hyuga aveva avuto a che fare con qualcosa di molto peggio di semplici ladri in passato. Eppure, nonostante il clima attorno a lui fosse splendido, ed il paesaggio tranquillo, rimase cupo e taciturno per tutto il viaggio, sforzandosi di sorridere alle scenette comiche del trio di amici la sera davanti al fuoco.

Dopo tre lunghissimi giorni, finalmente Naruto ed i suoi compagni arrivarono al Villaggio della Roccia, accolti dalla focosa Kurotsuchi, fresca di nomina di Quarto Tsuchikage. Dopo due giorni di snervanti convenevoli, finalmente i ninja poterono riprendere la strada del ritorno. Alla fine, otto giorni dopo la loro partenza, sotto il caldo sole del primo pomeriggio, Naruto ed i suoi compagni entrarono a Konoha.

Finalmente sono a casa.

 

 

Correva, sempre più veloce, lungo le vie del Villaggio, dandosi mentalmente dello stupido. Dentro di sé l'aveva sempre saputo, eppure non aveva fatto nulla per evitarlo, cullandosi in illusioni infantili.

Era successo non appena aveva messo piede nel Villaggio, vedendo il volto cupo di Hanabi all'ingresso. Le sue viscere si erano aggrovigliate per la paura quando la ragazza gli si era avvicinata, dicendogli poche, ma raggelanti, parole.

Ti stavo aspettando. Hinata sta male.”

Non l'aveva lasciata finire. Prima ancora che potesse chiudere bocca, Naruto l'aveva sorpassata, iniziando a correre disperatamente verso l'ospedale, sordo ai richiami di Konohamaru.

Hinata...

Arrivò in pochi minuti davanti alla struttura medica, rischiando di sfondare le porte d'ingresso per la fretta. Non appena vide Kiba, Shino e Sakura assieme, il suo stomaco ebbe un groppo, che non si distese nel osservare l'espressione sul volto dell'amica.

“Sakura-chan! Hinata...”

E lo capì, lo comprese subito. Lo lesse nei volti distrutti di Kiba e Shino, dalle lacrime che solcavano il volto di Sakura. Lo capì, ma non lo accettò. Si rifiutò di accettarlo. Il suo volto sbiancò, mentre il cervello ci metteva molto più del previsto a decifrare i suoni che uscivano dalla bocca dell'amica.

“Mi dispiace... veramente...”

Il mondo divenne freddo, mentre un dolore dilaniante gli squarciò il petto. Tutto divenne scuro davanti ai suoi occhi, mentre vedeva i suoi amici parlargli, senza intendere cosa gli stessero dicendo.

 

 

Coma.

Una parola a lui quasi sconosciuta.

Il primo pensiero fu rivolto a Tsunade-Baachan. Lei l'avrebbe guarita, l'avrebbe salvata. Era riuscita lei stessa ad uscire da un coma, perché non poteva fare lo stesso con Hinata?

“Sakura-chan! Tsunade-Baachan l'ha visitata? Lei saprà sicuramente cosa fa...” le parole gli morirono in gola quando vide la rosa scuotere lentamente la testa.

“Abbiamo già fatto tutto il possibile.” sussurrò. “Non sappiamo se e quando si risveglierà.”

Se. Quel semplice monosillabo lo distrusse dentro. Quindi esisteva la possibilità che Hinata non si alzasse mai più? Lo shinobi si rifiutò di crederlo. Hinata si sarebbe svegliata, sarebbe tornata da lui, avrebbero ripreso la vita di sempre. La kunoichi non era tipo da arrendersi così facilmente.

Sentiva le voci di Kiba e Shino lontane, quasi ovattate. Parlavano di un'imboscata vicino al fiume, di un colpo violento alla nuca, la corsa disperata verso Konoha, i giorni e le notti all'ospedale ed infine il verdetto, spietato, giunto poche ore prima: coma, probabilmente irreversibile.

No.

Appoggiò una mano sulla spalla di Sakura. Doveva avere un'espressione orribile, visto che l'amica lo guardava con seria preoccupazione.

“Naruto...”

“Voglio vederla.” sussurrò con voce rotta. “Ti prego...” aggiunse, quando vide la dottoressa esitare.

Non gli interessava niente se quello era un incidente che poteva succedere ad un ninja, e neanche che si fosse trattato di una fatalità. Tutto quello che voleva avere era una speranza, anche la più piccola, che Hinata sarebbe guarita. Doveva vederla, doveva parlarle, chiamarla, riportarla da lui, tra le braccia del suo uomo.

“D'accordo.” la ragazza gli fece strada tra i corridoi dell'ospedale. Quando arrivarono, Naruto fece subito per entrare ma lei lo bloccò.

“Naruto...” lo avvisò. “Non devi farlo per forza. Non è una bella visione.” lui la ignorò, aprendo di getto la porta.

Dentro la luce era scarna. L'illuminazione proveniva da alcune lampade al neon, mentre al centro dell'ambiente c'era un letto d'ospedale, con affianco un respiratore artificiale. Lei era lì, sdraiata, davanti agli occhi di Naruto. Pallida, magra, il volto fasciato, con il respiratore attaccato alla bocca, e due flebo per braccio ad alimentarla.

Hinata...

Sentì la mano di Sakura afferrare la sua, nel tentativo di non farlo precipitare totalmente nel baratro della disperazione. La ragazza la percepì fredda, come se ogni traccia di vita fosse sparita dal corpo dell'amico.

“Naruto...” mormorò la kunoichi. “Ti prometto che farò l'impossibile.” non sapeva neanche lei cosa fare, ma non sopportava l'idea di vedere Naruto, il suo Naruto, distrutto in quel modo. Neanche contro i peggiori nemici era arrivato a soffrire così tanto.

“Sakura-chan...” mormorò lo shinobi. “Riportamela... ti prego...”

“Naruto...”

“Farò qualsiasi cosa, te lo giuro, ma tu salvala.”

“Naruto...” lo bloccò l'Haruno, prendendogli il volto tra le mani. “Devi andarti a riposare. Resterò io con lei.”

“No. Il mio posto è qui.”

“Sei appena tornato da una missione. Hai bisogno di riposo.”

“Si fotta la missione!” urlò improvvisamente lui, divincolandosi con rabbia. “Si fotta ogni cosa! Lei... lei è qua, che soffre! Soffre, lo capisci? Come posso andarmene, come posso lasciarla da sola?!”

Sakura lo guardò con uno sguardo che gli avvelenò il sangue: odiava venire compatito. Fu tentato di colpirla con un pugno ma si trattenne all'ultimo istante.

“Non puoi fare nulla per lei, ora come ora.”

“Non è un buon motivo per andarmene.” trasportò una sedia affianco al letto, sedendosi rabbiosamente. “Io resterò qui, accanto a lei. Qualunque cosa dovesse accadere, io voglio esserci.”

La ragazza fece un profondo sospiro, poi annuì.

“D'accordo. Io passerò più tardi. Ora mi aspettano da un'altra parte.” uscì dalla stanza, lasciandolo solo, il silenzio rotto solamente dal respiratore artificiale e dall'encefalogramma. Non parlò, non si mosse. Tutto quello che fece fu di fissare intensamente Hinata, con il cuore che gli doleva ad ogni battito.

Perché a noi, Hinata? Cosa abbiamo fatto per meritarci questo? Perché sei lì? Sei sempre stata una persona così buona, così dolce, così gentile con tutti. Perché ti è capitato questo? Non è giusto...

Sentì le lacrime iniziare a scendere e non le respinse. Pianse silenziosamente, la memoria immersa in ogni piccolo gesto, o parola che ricordava di lei. Percepiva Kurama che provava a parlargli ma lo respinse, trincerandosi nel suo dolore. L'unica voce che desiderava era della persona che gli era allo stesso tempo estremamente vicina e orribilmente lontana.

Le ore passarono lente. Il pomeriggio divenne sera, la sera si tramutò in notte. A poco a poco, la vita nell'ospedale calò fino a cessare del tutto. Lui rimase lì, immobile, gli occhi fissi sul volto di lei, il ritmo scandito solo dal rumore dei macchinari. Un paio di volte, un'infermiera passò a cambiare le flebo. Non gli disse nulla e lui fece altrettanto: Sakura doveva aver fatto circolare la voce di non disturbarlo.

Era notte fonda quando Sakura passò di nuovo a trovarlo. La ragazza aveva profonde occhiaie di stanchezza, ma per il resto pareva stare bene. Naruto, al contrario, in quelle ore sembrava essere invecchiato di dieci anni.

“Naruto... perché non vai a riposarti qualche ora? Rimango io qui.”

Lui non rispose subito, gli occhi sempre puntati sul viso di lei. La trovava splendida anche in quelle condizioni.

“Sono quattro anni che stiamo insieme.” mormorò. “Presto sarebbe stato il nostro anniversario.” gli scappò una risata fredda, senza gioia. “Buffo come vadano le cose, non è vero? Solo quattro anni. Appena quattro anni abbiamo avuto.” il suo volto tornò serio. “Quanto tempo ho buttato via a causa della mia stupidità.”

Sakura gli appoggiò una mano sulla spalla.

“Vai a dormire Naruto.” ripeté. “Sei sfinito, e qui sei inutile. Ti giuro che se ci saranno delle novità, verrò io di persona a chiamarti. Ma ora devi tornare a casa, almeno per qualche ora.”

Era sicura che avrebbe fatto il diavolo a quattro, invece Naruto si fece guidare docilmente fuori dalla stanza, gli occhi freddi, vuoti, privi di qualsiasi vitalità. Le pianse il cuore nel vederlo ridotto in quello stato. Si sentiva impotente, incapace di poter guarire il suo dolore in qualsiasi modo.

“Naruto, c'è qualcosa che posso f...”

“Hai già fatto fin troppo, Sakura-chan.” rispose lui, con tono di voce irriconoscibile. “Ci vediamo.”

 

 

Una volta a casa, Naruto andò a buttarsi sul letto, nel tentativo di chiudere occhio per qualche ora. Ci mise poco a capire che non ci sarebbe riuscito. Ogni cosa di quella casa gli ricordava lei. Tutte le serate passate assieme in quel posto che per anni era stato vuoto e silenzioso, tutti i sorrisi, gli abbracci, le battute, le risate, i baci, le carezze. Ogni piccolo particolare gli invase la mente, il tutto con la consapevolezza che era finita.

Si alzò di scatto, incapace di restare fermo troppo a lungo. Quel letto, lo stesso letto dove appena una settimana prima avevano amoreggiato, era pregno dell'odore di lei, del suo sapore, dei suoi sospiri, della sua voce. Strinse le mani rabbiosamente, mentre il sangue gli pulsava sempre più veloce nelle orecchie. Qualcosa di simile a collera liquida prese a bollirgli nello stomaco, i denti stretti da impazzire, un mugugno dentro la gola che premeva per uscire.

Hina-chan...

Gli sembrava quasi di vederla, sorridente, seduta in salotto, che gli teneva la mano, rimproverandolo per le ferite dell'ultima missione. I suoi occhi così brillanti di felicità e gioia lo colpirono con la violenza di mille kunai, facendolo esplodere.

Lanciò un urlo rabbioso, continuo, inumano. Le sue mani si mossero da sole, animate solo dal desiderio di distruggere ogni cosa, desideroso soltanto dell'oblio, di una via di fuga, stanco di quella vita che lo privava di qualsiasi conforto ed affetto duraturo.

Cadde in ginocchio, il fiato corto, gli occhi che bruciavano per le lacrime e la stanchezza. Attorno a lui scese il silenzio, un silenzio che sapeva di infanzia e dolore.

Kurama... fammi cadere nell'oblio.” desiderava soltanto perdere coscienza di sé, come accadeva da giovane, quando lui e il Kyuubi erano nemici giurati, e l'unico scopo del Bijuu era sopraffarlo.

Kurama!” il demone non rispose. Lo guardò con occhi gelidi, implacabili, apparentemente sordo alle richieste disperate del suo Jinchuuriki.

Kurama rispondi!”

Non disturbarmi, moccioso.” replicò quest'ultimo. “Voglio dormire.” non era quello il momento giusto per parlare. Ora era il momento dello sfogo, della disperazione, della rabbia contro tutto. E Naruto lo fece. Proseguì ad urlare, a distruggere tutto quello che gli capitava tra le mani, a ricacciare i ricordi di lei con furia dentro di sé, incapace di accettare quella situazione, quel dolore, quella delusione. Ci aveva creduto, forse troppo. Ora doveva pagare il prezzo di quella sua ingenuità, quella sua convinzione che tutto sarebbe sempre andato bene.

Si strinse le ginocchia al petto, il volto ricoperto di lacrime, un lento mugugno chiuso nella gola, intrappolato. Pianse tutta la notte, mentre il suo cuore si spezzava in cento, mille, miliardi di schegge, che lo ferivano nel profondo.

Perché la sua Hinata non c'era, e tutt'intorno era diventato cupo ed oscuro.

 

 

La luce dell'alba entrò lentamente nella casa. Naruto osservava da sopra le ginocchia i resti della sua furia. La collera dentro di lui era scemata, lasciando il posto ad una grande tristezza.

Hai finito di sfogarti?”

Il ragazzo incastrò il volto tra le gambe, lo sguardo inespressivo.

Cosa pensi di ottenere rimanendo qui a piagnucolare?” Naruto rimase ancora in silenzio. Aveva già capito dove voleva andare a parare l'amico, ma non aveva più forza. Non riusciva a trovare la convinzione e l'energia per rialzarsi, era diventato troppo debole per andare avanti a lottare contro il destino. Quello stesso destino che aveva giurato e spergiurato di sconfiggere, piegare al suo volere, plasmare a suo piacimento.

Poteva sentire Kurama frustare l'aria, innervosito dalla sua apatia, dalla sua debolezza, dalla sua arrendevolezza. Lo percepì ma non se ne curò, stanco com'era di quella lotta continua. Aveva passato tutta la sua esistenza a battersi: contro i pregiudizi, le proprie debolezze, contro Sasuke, Pain, Obito, Madara, Kaguya. Se si guardava alle spalle, vedeva una distesa di vittorie, anche se ognuna di esse aveva preteso una parte della sua anima, lasciandolo sempre più vuoto, arido, stanco. Un guscio dorato pieno di dubbi e domande al suo interno.

Ed poi era arrivata Hinata.

All'inizio era stata un vero balsamo per la sua anima. Hinata era una kunoichi, come lui aveva visto la guerra, ma soprattutto aveva vissuto e provato il dolore in prima persona, l'orribile sensazione di sentirsi disprezzati, di non meritarsi la comprensione e l'affetto degli altri, vivendo all'ombra di una sorella e di un cugino infinitamente più talentuosi, forti e stimati, con un cognome sulle spalle pesante come una montagna. Naruto si era accorto solo negli ultimi tempi quanto ormai lei fosse diventata la sua colonna portante, di come i loro ruoli si fossero invertiti con il passare degli anni. Se da piccoli era stato lo shinobi ad aiutarla a rialzarsi, nella vita adulta era toccato alla mora il compito di salvarlo da quell'aura di eterno vincente che aveva iniziato a circondarlo, a consumarlo, a farlo sentire quasi inadatto alla pace. Tutto questo, tutti i suoi incubi, il suo dolore, la sua sofferenza sparivano quando c'era lei, con il suo sorriso, la sua delicatezza, la sua gentilezza innata. Hinata era la cosa più pura e magnifica che gli era mai capitata, ed ora che sentiva che stava per perderla per sempre si sentiva privo di forze, di quello spirito indomabile che l'aveva animato per tutta la sua esistenza.

Strinse i denti. Sentì il dolore risalire, violento, dal profondo del suo essere, installandosi all'altezza dello stomaco, bruciandoglielo. Un'ultima lacrima gli scese dagli occhi arrossati, mentre si conficcava le unghie nei palmi delle mani.

Naruto!”

Non ho voglia di parlarne!” replicò il ragazzo, dando la schiena al Bijuu.

Baka! Non è morta! Smettila di piangerti addosso!”

E' come se lo fosse!” urlò con rabbia il biondo, mordendosi le labbra. “Sono stanco, Kurama! Stanco di vedere come le cose non vadano sempre come desidero, stanco di osservare le persone a me care scomparire dalla mia vita, stanco di provare tutto questo dolore!” si girò, fissando gli occhi fiammeggianti dell'amico, sfidandolo. “Non ho più voglia di lottare.”

Kurama reagì violentemente a quelle parole: lo atterrò con una zampa, schiacciandolo sotto il suo peso, i denti aguzzi a pochi centimetri dai suoi occhi.

Allora tutte quelle promesse che hai fatto cos'erano?! Le promesse che hai fatto al tuo maestro, ai tuoi amici, a Nagato, al Vecchio Eremita, cos'erano? Solo vuote parole?! Pensavi davvero che il dolore non ti avrebbe mai più toccato?!”

E' una faccenda che non ti riguarda!”

Mi riguarda eccome!” ringhiò il Kyuubi. “Hai dimenticato la promessa che facesti a me? Hai forse dimenticato cosa mi promisi quel giorno? Devo forse pensare che mi hai ingannato, sfruttandomi solo per i tuoi scopi?!”

Lo shinobi tacque, tentando di evitare lo sguardo infuocato del Bijuu.

Rispondi!”

Non lo so, va bene?!” rispose esasperato. “Non lo so cosa credevo possibile e cosa no in quel momento. Io... ho fallito. Le avevo promesso di renderla felice ed ho sbagliato ogni cosa!”

Lei non è morta! Puoi ancora farlo, se questo ti tormenta così tanto! Basta che tu ti rialzi, e la smetti di piangerti addosso!”

Naruto tacque, rimanendo in silenzio. Il Bijuu lo lasciò libero di alzarsi, dandogli le spalle.

Se credi che questa sia la risposta giusta, allora non ti fermerò.” commentò con voce greve. “Sappi però che mi stai deludendo. Non è da te questo atteggiamento.”

Forse aveva ragione Nagato.” replicò il biondo, chiudendo lì la discussione. Kurama non poté fare altro che pensare che, probabilmente, aveva ragione il ninja.

 

 

Quando Sakura entrò nella casa dell'amico il suo cuore si strinse in una morsa.

Naruto... i suoi occhi smeraldini videro i resti della collera dello shinobi, quest'ultimo rannicchiato al centro di essa. Posso solo immaginare il dolore che ti sta lacerando.

Non era riuscita a resistere a lasciarlo da solo. Troppe volte in passato si era appoggiata a lui, caricandolo di un peso eccessivo ed ingiusto, che gli era costato anche un braccio alla fine. Ora toccava a lei, in qualità di amica aiutarlo a rialzarsi, a combattere, a portare un peso al suo posto.

Si avvicinò a lui a piccoli passi, il cuore sanguinante nel vederlo così debole, così stanco, così lontano dall'immagine del ninja invincibile e sempre sorridente che tutti conoscevano. Quando gli prese il viso tra le mani, rimase sgomenta nel constatate la freddezza e la vacuità del suo sguardo, perso nell'abisso di dolore che lo stava consumando.

“Naruto...” mormorò la kunoichi. “Che cosa hai fatto?” Una lacrima scese lentamente dal viso dell'Haruno, cadendo sulla fronte dell'amico. “Cosa ti sta succedendo?”

Il ragazzo la fissò negli occhi, il volto inespressivo. Faceva paura.

“Avrei voluto... che non fosse stata una disgrazia.” sussurrò. “Avrei voluto... avere qualcosa su cui vendicarmi, sentire i loro crani frantumarsi sotto i miei piedi.” deglutì, gli occhi rossi per il lungo pianto notturno che tremavano. “Avrei preferito... che andasse in questo modo.”

“Ora basta, Naruto. Non sei questo, non sei uno che si piange addosso.”

Lui sospirò.

“Non vedo luce attorno a me.” sussurrò. “Non più... ora c'è solo buio, il più orribile: la solitudine.”

Lo schiaffo risuonò con forza.

“Allora rimani pure qui, a distruggere quello per cui hai lottato in tutti questi anni!” esclamò lei, afferrandolo per il bavero e strattonandolo. “Tutti i tuoi sforzi non contano più nulla? Non volevi diventare Hokage?! Pensi che ci riuscirai rimanendo qui a piagnucolare su quanto sia ingiusta la vita?!”

Naruto si alzò di scatto, liberandosi con uno strattone. Il suo viso era contorto in qualcosa di molto simile a collera pura.

“Cosa vuoi saperne tu, Sakura?! Hai mai provato quello che ho vissuto io? Hai mai sentito il disprezzo di tutti su di te?! Hai mai provato la sensazione di essere completamente e totalmente solo?! Sì, è vero, ho lottato e combattuto con le unghie per avere un minimo di riconoscimento da parte vostra, per poter finalmente essere trattato da essere umano e non da mostro! È troppo comodo! Comodo per te parlarmi così, che hai sempre vissuto una vita normale, senza avere il terrore di andare a dormire, perché non sapevi se il giorno dopo ti saresti svegliato con il sangue di qualcuno sulle mani!” preso dalla rabbia, lo shinobi afferrò per le spalle la kunoichi, guardandola dritta negli occhi. “Rispondimi Sakura! Credi veramente di potermi fare la paternale, dopo che mi avete costretto ad essere quello che sono?! Ad essere sempre forte, sempre invincibile, sempre quello che sputava sangue per gli altri, solo per essere accettato come un essere umano!”

Cadde il silenzio. Lo shinobi aveva il fiatone, come se liberarsi di quella rabbia gli fosse costato tantissimo. La ragazza non osò guardarlo in faccia, le labbra strette in una linea sottile.

“Forse hai ragione tu.” mormorò. “Forse ti abbiamo sempre chiesto troppo.” alzò gli occhi, nel suo volto un'espressione di dolore. “E' vero, non posso capire e comprendere fino in fondo quello che hai provato.” gli prese il volto tra le mani, appoggiando la fronte sulla sua. “Ma Hinata ti capisce. Anche lei era sola, con una famiglia che la disprezzava e senza il conforto di nessuno. Aveva solo te. Ha solo te.” fece un profondo respiro, inghiottendo il groppo che le stava bloccando la gola. “Ed ora ha bisogno che tu le stia affianco, perché sono sicuro che anche lei desidera ritornare da te, proprio come lo desideri tu.”

Le labbra del ragazzo tremarono, mentre le mani sulle spalle di lei divennero terribilmente deboli.

“Se però pensi che rinfacciarmi i miei errori da dodicenne stupida e ingenua ti farà stare meglio... io non mi opporrò.” proseguì la kunoichi, la voce leggermente tremula. “Dopotutto, è a questo che servono gli amici, no? A supportarsi a vicenda. E io... voglio essere il tuo supporto, Naruto.”

Il biondo si coprì gli occhi con la protesi, in un vigliacco tentativo di nascondere il suo dolore. Tirò su con il naso, i singhiozzi che gli morivano in gola con violenza, una nuova scarica di dolore e sensi di colpa che gli squassò il corpo. Lentamente, lei lo abbracciò, mentre il corpo dello shinobi si scioglieva, quasi non desiderasse altro.

Rimasero a lungo in quella posizione, con il viso di lui affondato nella spalla dell'amica. Quest'ultima non gli disse più nulla, aspettando che il respiro dell'amico si calmasse, e il dolore scemasse. Quando fu certa di questo, Sakura si arrischiò a parlare.

“Andrai da lei?”

Lui non rispose subito, gli occhi cerulei ricoperti di una patina salata. Si staccò, asciugandoseli con un gesto nervoso: il dolore e lo sconforto erano passati.

Era tempo di ritornare a combattere.

 

 

Shikamaru attendeva pazientemente fuori dalla porta di casa dell'amico, l'eterna sigaretta stretta tra le labbra. Lo shinobi delle ombre non si scompose minimamente nell'udire le grida all'interno dell'appartamento: era ovvio che fosse così, anche lui avrebbe reagito in quel modo, come un animale ferito, desideroso soltanto di distruggere ogni cosa attorno a sé. Il Nara non era tipo da provare eccessivi scrupoli, dopotutto era un ninja professionista non un falegname, ma quella volta il suo compito non gli piaceva neanche un po'. Sbuffò fumo da un angolo della bocca, chiedendosi se Sakura sarebbe riuscita nel suo intento di proteggere Naruto da sé stesso e dal Villaggio. Se la missione che portavano avanti da quasi sei anni sarebbe continuata come sempre.

Che compito schifoso.

Quando la kunoichi uscì dalla casa dell'amico, la prima cosa che fece fu quella di fare un tremulo sorriso, che sapeva di vittoria. Shikamaru fece per aprire bocca, ma lei lo redarguì con un'occhiataccia, convincendolo ad incamminarsi verso l'ospedale.

“Naruto come sta?” gli bisbigliò durante il tragitto il moro.

“Per ora ho potuto gestirlo, anche se non è stato facile.” rispose il ninja medico. “Temo che prima o poi lo capirà.”

L'altro non disse nulla, maledicendo dentro di sé per l'ennesima volta quella missione maledetta.

“Perché stiamo andando così rapidi all'ospedale?”

“Perché non mi andava di parlare lì, poteva sentirci.”

“Quello che è successo a Hinata rende tutto più complicato, che seccatura...”

Sakura si fermò di colpo, gli occhi verdi stretti in due fessure. Era come una bomba pronta ad esplodere.

“Odio questa missione!” ringhiò. “E odio quegli stronzi che ci stanno costringendo a fare questo a Naruto!”

Shikamaru soffiò fuori fumo dalle narici, senza aggiungere nulla. Era perfettamente d'accordo, anche se non era nel suo stile urlarlo ai quattro venti.

 

 

Quando Naruto entrò nella stanza di Hinata, non fu del tutto sorpreso di trovarci anche Hiashi Hyuga, così come non fu sorpreso di vederlo stringere le labbra con disgusto al suo ingresso. Poteva anche essere l'eroe di tutti gli shinobi, ma per quell'uomo lui restava un inquietante mezzosangue, con un mostro orribile dentro di sé, che si portava a letto la sua primogenita. Lo salutò con fredda cordialità, ricevendo in risposta un'occhiata gelida. Nonostante anche lui stesse provando un enorme dolore a causa delle condizioni di Hinata, Naruto non riuscì a sentirsi in sintonia con quell'uomo.

“Non immaginavo di trovarla qui, Hiashi-sama.” la sua voce era atona, nonostante le parole cordiali.

“Perché non dovrei essere qui, Uzumaki Naruto?” replicò seccamente il capoclan degli Hyuga. “Hinata è mia figlia.”

Solo quando ti fa comodo! Il ragazzo si morse la lingua, sapendo che non era saggio offendere un uomo di quel rango e potere. Oltretutto, in quel momento la sua Hinata aveva la precedenza.

Fece per andarsi a sedere affianco al letto della sua amata, ma un braccio di Hiashi lo bloccò.

“Gradirei parlarti in privato, se non ti dispiace.”

Lo sguardo freddo e gelido di Hiashi si scontrò per alcuni istanti con quello ceruleo e vulcanico di Naruto. Ancora una volta, il desiderio di non creare attrito con il padre della donna che amava lo rese docile, accettando la proposta del capoclan. Una volta in corridoio, quest'ultimo lo fissò per alcuni istanti con astio, prima di aprire bocca.

“Mi domandavo quando saresti venuto, Uzumaki Naruto.” esordì rigido. “Se le voci sono vere, tu eri in missione nelle Terre della Pietra quando mia figlia è caduta in coma.”

“E' esatto.” replicò freddamente il biondo. Il suo tonò indispettì lo Hyuga, il quale strinse le labbra con più forza, ma apparentemente non ci fece caso.

“Capisco. Tutti quei discorsi di proteggere le persone... a quanto pare, anche gli eroi possono fallire.”

Lo stava provocando, era palese. Hiashi poteva avere poca fiducia in Hinata come sua erede alla guida del clan, ma di sicuro non avrebbe mai accettato la sua relazione con un uomo come lui, un Jinchuuriki, la peggiore feccia che esistesse nel mondo ninja. Naruto contrasse e rilasso le mani, lentamente, nel tentativo di non farsi intaccare dalle parole taglienti di quell'uomo, fallendo però miseramente.

“Dicono che anche i padri falliscono.” sibilò infine, con voce gelida.

Fu con enorme soddisfazione che vide gli occhi di Hiashi, così simili a quelli della figlia, contrarsi, nel tentativo di controllare la propria rabbia.

“Noto, con vero disappunto, che con il passare degli anni non sei maturato.” osservò infine, la voce incredibilmente pacata. “Ti atteggi ancora come un moccioso arrogante, convinto che tutto ti sia dovuto e che non esistano regole per te.”

“Anche lei vedo che non è cambiato.” una vena si stagliò nitida sulla fronte dello shinobi biondo. “Hinata è sua figlia solo quando le fa comodo, altrimenti è solo un peso da scaricare sugli altri.”

“Stai rischiando grosso, ragazzo. Offendendo me, offendi tutti gli Hyuga. Potrai anche essere figlio del Quarto, ma non cambia il fatto che sei un elemento estraneo a questo villaggio, proprio come lo era tua madre.”

Quelle parole, dette con voce bassa, furono pesanti come macigni. Gli occhi di Naruto presero una sfumatura rossastra, mentre il disgusto e la rabbia per l'uomo che aveva davanti ribollivano come magma dentro di lui.

“Mia madre ha dato la vita per Konoha, così come mio padre, e anche Hinata.” era terribilmente difficile non mettersi ad urlare. “Lei può dire di aver fatto lo stesso, Hiashi-sama?”

“Mia figlia, se si trova su quel letto, è solo per te. Non l'ha fatto per il Villaggio.” replicò seccamente lo shinobi più anziano. “A quanto pare, tu le piacevi molto.”

“Era un sentimento più profondo, e soprattutto era reciproco.”

“Tu dici? Hinata è sempre stata una creatura gentile ed insicura, il cui scopo nella vita era alleviare le sofferenze degli altri. Sicuro che la vostra recente intimità fosse dovuta ad un sentimento profondo e, soprattutto, reciproco?”

Naruto si impietrì, raggelato da ciò che quell'uomo gli stava dicendo. La rabbia divenne un urlo incontrollato dentro di lui, mentre il desiderio di percuotere ogni singolo centimetro di Hiashi Hyuga lo consumava. Come poteva un padre essere così cinico nei confronti dei sentimenti di una figlia? Davvero Hiashi credeva che Hinata stesse con lui solo per pietà? Per renderlo felice?

“Lei non sa...” le parole gli uscirono a fatica dalla bocca, a causa della rabbia che lo divorava. “Non sa niente, un bel niente, di Hinata!”

Lo Hyuga inarcò le sopracciglia.

“Hinata è mia figlia. Con quale diritto pensi di conoscerla meglio di suo padre?”

“Hinata io l'ho vista crescere! Io sono stato al suo fianco! Non l'ho buttata in un angolo e trattata come spazzatura come ha fatto lei!” nonostante si fosse imposto di restare calmo, il suo tono di voce prese pericolosamente ad alzarsi, attirando l'attenzione della gente di passaggio.

Hiashi lo fissò per alcuni lunghissimi secondi, il volto severo impassibile. Sembrava che niente e nessuno potesse intaccare l'armatura che aveva eretto attorno ai suoi sentimenti. Naruto si chiese se raggiungere posizioni di potere comportava l'impossibilità di manifestare agli altri le proprie emozioni.

“Per causa tua ho perso un nipote.” mormorò con voce bassa. “Ed ora mia figlia giace su un letto d'ospedale, in un limbo tra la vita e la morte.” si girò, facendo per andarsene. “Se credi di conoscere Hinata meglio di me, allora riportala dalla sua famiglia. Altrimenti, resti solo un fallito.”

Naruto rimase lì, immobile, osservando la schiena di quell'uomo così freddo e misurato da irritarlo profondamente. Le parole di prima l'avevano ferito, più di quanto non volesse ammettere, ed era deciso più che mai a fargliele rimangiare.

Hinata ritornerà da me! Costi quel che costi!

Quando rientrò nella stanza, vederla lì, su quel letto, attaccata a quelle macchine, gli spezzò il cuore. La rabbia fu sostituita dalla tristezza, mentre il disgusto venne soppiantato dal dolore. Le si sedette accanto, prendendole una mano, soffrendo nel sentirla così smorta e fredda.

“Hinata...” sussurrò. “Sono qui, accanto a te.”

Non ricevette alcuna risposta, ma la cosa non lo sorprese più di tanto.

“Ti faccio una promessa.” proseguì lui. “Ti prometto che resterò sempre al tuo fianco, qualunque cosa accada, e che ti riporterò dai tuoi amici, dalla tua famiglia... da me.”

Nonostante tutto, un tenue sorriso gli incorniciò le labbra. Aveva appena lanciato una promessa impegnativa, quasi impossibile, come al suo solito.

E come al suo solito, aveva tutta l'intenzione di mantenerla.

Resisti Hina-chan... ti riporterò indietro.

Quindi aspettami.

 

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

Bene, benvenuti al nuovo aggiornamento! Come forse avrete notato, questa volta la storia è divisa in due parti, a causa della sua eccessiva lunghezza. Questo è un capitolo che reputo cruciale per lo sviluppo di questa raccolta, e quindi preferisco fare le cose con calma, senza farmi prendere dalla fretta.

Ok... detto questo, non devo fare altro che salutare e ringraziare tutti quelli che sono arrivati fino alla fine di questo capitolo. Come al solito, recensioni, critiche e pareri sono ben accetti.

Un saluto a tutti!

Giambo

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Capitolo 5
*** Il dolore e la rabbia, parte seconda ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

 

Il dolore e la rabbia

 

Parte Seconda

 

Naruto fece un profondo respiro prima di entrare, facendo forza sul proprio autocontrollo. Dopo alcuni secondi, in cui attuò altri due profondi respiri, entrò nella stanza di Hinata, non notando alcun miglioramento neanche quel giorno. Il ragazzo andò a sedersi al solito posto, pronto per un nuovo scontro con il coma della sua donna.

Erano passate tre settimane da quando si era creata quella situazione, tre settimane da quando Naruto si era messo in testa, cocciuto come solo lui poteva essere, di sconfiggere il coma di Hinata da solo. Si metteva lì, seduto al suo fianco, di prima mattina fino a tarda notte, parlandole senza sosta, di qualsiasi cosa gli passasse per la testa. Le parlava degli ultimi avvenimenti, del tempo, di quando andava alla tomba di Neji, del fatto che si sentiva solo, che le mancava da morire. Ininterrottamente, senza mai fermarsi, tenendole stretta la mano, nel disperato tentativo di richiamarla a sé. Fino a quel momento i risultati erano stati nulli, ma lui non demordeva. Aveva ritrovato la vecchia grinta, la sua cocciutaggine leggendaria, la sua voglia di provare e riprovare fino a quando non avesse avuto successo.

Quella mattina aveva iniziato da poco a narrarle di quando era stato a trovare Neji l'ultima volta, che Sakura e Hanabi fecero il loro ingresso nella stanza.

“Ciao, Ragazze.” le salutò con un sorriso allegro il biondo. “Hinata è felice di vedervi!”

Sakura non disse nulla, il volto tirato in una smorfia che assomigliava solo vagamente ad un sorriso. Era felice che Naruto ci stesse mettendo anima e corpo in quella situazione, che fosse ritornato identico a quel goffo dodicenne che lei ricordava con affetto. Tuttavia, vedere Hinata in quelle condizioni era sempre un colpo al cuore orribile, capace di renderle impossibile a volte chiudere occhio la notte: le ricordava il suo fallimento come medico.

“Naruto, tu e Hanabi potete uscire un istante?” domandò con voce affaticata. Lunghe occhiaie le si estendevano sotto gli occhi smeraldini, mentre il viso appariva sciupato, come quello di una persona che dormiva molto poco. “Devo controllare Hinata.”

Lo shinobi uscì lentamente, seguendo a ruota la sorella minore della sua ragazza. Una volta in corridoio, tra i due calò un profondo silenzio, rotto dalla frenesia della gente che li circondava.

“Novità?” chiese improvvisamente il biondo, fissandola con sguardo serio.

La Hyuga sospirò.

“Nessuna.” mormorò. “Ho provato ad informarmi, ma mi è stato vietato l'accesso ai dati di Hinata, nonostante fossi un familiare diretto. La cosa mi puzza.”

Naruto annuì, stringendo i pugni.

“Ascolta, devi avere pazienza.” proseguì la mora, scuotendo i lunghi capelli. “Tu ora come ora non devi fare mosse azzardate. Troverò io un modo per visionare quei registri.”

“Lo so.” sospirò lui. “Ma non riesco a capire. Come diavolo è possibile che Hinata si sia ridotta così con una missione apparentemente facile? E perché non ti permettono di leggere i dati relativi a questa missione? Cosa ci stanno nascondendo?”

“Senti, lo so che per te non è facile rimanere con le mani in mano.” lo interruppe Hanabi, fissandolo con durezza. “Ma ora come ora è meglio se mi muovo io. Tu attireresti troppo l'attenzione, quindi resta al fianco di mia sorella, che trovare quei documenti ci penso io.”

Nonostante tutto, Naruto sorrise.

“Hai fegato. Si vede che sei la sorella di Hinata.”

“Mi sembra il minimo. Tu non riesci a capire quanto bene hai fatto, e continui a fare, nei confronti di mia sorella.” replicò lei, iniziando ad allontanarsi. “Ci becchiamo!”

Una volta che la schiena della giovane Hyuga sparì dalla sua vista, il sorriso abbandonò lentamente il volto dello shinobi, la mente piena di dubbi e domande.

Naruto non era stupido, per quanto a volte potesse sembrarlo. In quelle tre settimane aveva riflettuto a lungo sulle cause che avevano portato a quella situazione maledetta. Ci aveva pensato così intensamente da sentirsi la testa scoppiare, arrivando ad invidiare la mente geniale di Shikamaru. Come era stato possibile che una missione banale avesse portato un esito così tragico? Davvero era bastata l'imboscata di qualche bandito a mettere in difficoltà tre ninja del livello di Hinata, Shino e Kiba? Senza contare che la loro era una squadra affiatata, tra le migliori di tutta Konoha. Anche la mente limitata dell'Uzumaki era giunta alla conclusione che qualcosa non tornava. Lo stesso fatto che, da quando Hinata era stata ricoverata, fosse stato completamente assolto dai suoi doveri di shinobi gli puzzava. Ufficialmente era per stare vicino alla sua ragazza, ma dubitava che Kakashi fosse sentimentale fino quel punto. Aveva come la sensazione che l'Hokage gli volesse tenere nascosto qualcosa, quasi dubitasse di lui.

Quando pochi minuti dopo Sakura uscì in corridoio, lo trovò ancora immerso nei suoi pensieri, gli occhi cerulei che fissavano il pavimento. Il ninja medico lo scrollò con una mano, sorridendogli stancamente. Ormai erano settimane che non dormiva in modo decente.

“Ho appena finito la visita giornaliera. Puoi tornare da lei, se lo desideri.” l'Haruno si preoccupò della mancanza di reazioni da parte del compagno. “Naruto?”

Lui alzò lo sguardo, fissandola in volto per alcuni istanti. Era stato più volte tentato di condividere i suoi dubbi con lei, Sakura, la sua amica di mille battaglie. Ogni volta che apriva bocca però, il suo istinto gli suggeriva di restare in silenzio, non aggravando di ulteriori pensieri la mente sfinita dell'amica. Era ovvio che non era l'unico a soffrire per quella situazione, e per Sakura doveva essere ancora più dura: in quanto medico, non era stata capace di trovare un modo per salvare l'amica.

“Sì... va bene.” mormorò. Si stropicciò il viso, sospirando. Anche per lui il sonno era diventato quasi un lusso. “Ti ringrazio.”

Quando rientrò nella stanza, sedendosi affianco al corpo incosciente della Hyuga, Naruto capì che, come sempre, Kurama aveva avuto ragione: quella era una faccenda che doveva risolvere da solo, senza immischiarci dentro Sakura, Shikamaru o chicchessia. Hanabi era stata quasi un caso, una sorpresa tutto sommato piacevole. Quella ragazza, ormai diciottenne, gli si era parata davanti un giorno, senza alcun preavviso, proponendogli il suo aiuto. Come avesse fatto a comprendere i suoi dubbi restava un autentico mistero.

Sorrise, pensando a quanto aveva potuto conoscere di quella ragazza di cui, a conti fatti, non sapeva praticamente nulla prima di quella faccenda. Sapeva che era entrata da circa tre anni negli ANBU, anche se ne ignorava il motivo, ma per lui erano sempre esistiti Neji e Hinata, mentre Hanabi era stata una figura misteriosa, la sorellina della sua donna, troppo piccola per essere integrata con quelli della sua generazione, anche se negli ultimi giorni aveva dovuto ammettere che, di piccolo, quella ragazza non aveva niente, a parte forse la statura e il davanzale. Era in gamba, lo si intuiva facilmente, e soprattutto era molto più sicura della sorella, con quel sorriso sbarazzino che riusciva sempre a mettere in difficoltà i suoi interlocutori. Aveva l'incredibile abilità di comprendere la natura umana, e di giostrarla tra le sue mani come meglio credeva. Sapeva di essere affascinante, e cercava di sfruttare questa sua capacità, unendola ad una lingua affilata ed a eccellenti abilità di combattimento. Se non fosse stato per gli occhi, inconfondibile segno di appartenenza agli Hyuga, nessuno avrebbe mai potuto affermare che lei e Hinata, così dolce, gentile e riservata, fossero sorelle.

Le sue elucubrazioni in merito vennero interrotte dall'ingresso di un rumoroso Kiba, il quale lo salutò con un ampio gesto della mano.

“Ehilà, Naruto!” lo salutò l'Inuzuka, andando a cambiare l'acqua ai fiori sul tavolo, omaggio di lui e di Shino alla loro compagna. “Speravo proprio di vederti.”

Naruto non rispose, piantando i suoi occhi chiari nella schiena dell'amico. La sua mente fu scossa da una rivelazione, dandosi contemporaneamente dell'idiota a non averci pensato prima. Shikamaru ci avrebbe messo tre secondi per arrivare dove lui ci aveva impiegato tre settimane.

“Prima ho incontrato la piccola Hanabi. Beh, piccola solo in altezza ormai. È incredibile che quello scricciolo sia diventato così affascinante! Sai, se non fosse che conosco Hinata da una vita, quasi quasi...” il moro, non sentendo Naruto replicare, si voltò, trovandoselo davanti.

“Naruto?”

“Devo parlarti.” esordì lo shinobi biondo. “Andiamo in un posto più appartato.” grazie a Hanabi, sapeva benissimo che aveva sempre un paio di ANBU a controllarlo, e decise di andare in un altro luogo a discutere. Conosceva abbastanza Kiba e sapeva che, per quanto sicuramente più ciarliero di Shino, avrebbe parlato solo se preso ripetutamente a cazzotti sul muso.

Uscirono in corridoio, entrando in uno dei bagni adibiti al pubblico. Una volta dentro, e controllato che fosse vuoto, Naruto lo chiuse a chiave, deciso a lasciare fuori gli ANBU da quella discussione.

“Si può sapere cosa ti salta in mente di chiudermi in un bagno con te? Non starai mica diventando un invertito?”

“Voglio sapere tutti i dettagli della missione di tre settimane fa.” dichiarò, tutto di un fiato, il biondo.

Kiba sembrò accusare il colpo, irrigidendo i tratti del viso. Il suo sguardo, da perplesso, divenne freddo.

“Questo non posso dirtelo.”

Reazione tutto sommato prevedibile.

“Perché?”

“E' una faccenda che riguarda il Consiglio. Non spetta a me darti i dettagli.”

“Invece lo farai.” la voce dell'Uzumaki non sembrava ammettere repliche.

“Se pensi che minacciarmi possa farmi parlare...” il moro venne interrotto di colpo. Naruto lo afferrò per il bavero della felpa, sbattendolo violentemente al muro.

“Cosa cazzo...”

“Le informazioni sulla missione, Kiba.”

“Sei completamente ammattito?!”

“Le informazioni.” ripeté impassibile il biondo. “Questo è l'ultimo avviso che ti do.”

Kiba non replicò, fissandolo con rabbia. All'improvviso, con un'abile mossa, il moro tentò di tirare un calcio alla nuca dell'amico, ma Naruto lo parò facilmente, torcendogli il piede, e scaraventandolo a terra.

“Non mi piace farti del male, Kiba.” proseguì quest'ultimo, mentre lo teneva bloccato al suolo. “Ma sarò costretto a farlo, se non mi darai le informazioni che cerco.”

Vide un sorriso dipingersi sul volto dell'amico e si incazzò. Lui non aveva nessuna voglia di ridere.

“Vedo che sei sempre il solito idiota.” borbottò l'Inuzuka. “E pensare... che Sakura si sta dannando per pararti il culo.”

“Cosa diavolo stai farneticando?” ringhiò Naruto. “Cosa c'entra Sakura?”

“E' inutile. Puoi anche picchiarmi fino a farmi perdere conoscenza, io non dirò un bel niente.” il sorriso sul volto di Kiba si allargò, facendo incazzare ancora di più Naruto. Stava già per iniziare a picchiare l'amico, quando Kurama lo bloccò.

Kurama? Cosa...”

Lascia perdere i pugni, Baka! Piuttosto dammi ascolto.”

Dopo alcuni istanti in cui rimase immobile, Naruto si alzò lasciando libero l'amico. Quest'ultimo lo guardò con fare perplesso, mentre si massaggiava la caviglia.

“So benissimo che la missione che avete affrontato non è quella che Hinata mi aveva comunicato.” esordì con voce bassa il ragazzo biondo. “E so anche che vengo sorvegliato notte e giorno dagli ANBU.” il suo sguardo era freddo e determinato. “Quindi puoi pure andare a riferire a chi di dovere che si deve rassegnare: scoprirò la verità, in un modo o in un altro.”

Kiba non disse nulla, facendo per uscire dal bagno. Sulla soglia, però, l'Inuzuka disse poche, ma significative, parole.

“Io non ti ho detto niente.”

E adesso?”

Ora aspettiamo.” replicò il Bijuu, sogghignando. “Abbiamo la conferma che ci nascondono qualcosa. Ora tocca all'altra mocciosa darsi da fare.”

Kurama... ti ringrazio. Ti ho trattato male e...”

Risparmia i piagnistei, Baka.” borbottò il Kyuubi. “Detesto le smancerie.”

E nonostante tutto, Naruto sorrise.

 

 

Hanabi era appena rientrata in casa, quando Hiashi le si parò davanti, fissandola con sguardo glaciale.

“Padre.” lo salutò rispettosamente lei, abbassando per un istante la testa.

“Hanabi, sei andata a trovare tua sorella?”

“Sì, padre.” rispose lei, sperando che la lasciasse libera quanto prima di andare nelle sue stanze. Aveva troppe cose nella testa per dare retta al genitore.

“Immagino che ci fosse anche Uzumaki Naruto.”

“Certamente, è lì ogni giorno.” rispose la mora, iniziando ad incamminarsi. “Scusa padre, ma oggi sono di fretta.”

“Hanabi.” Hiashi la richiamò, fissandola in volto. “Rispondimi sinceramente: cosa ne pensi di lui?”

Era una domanda pericolosa, lei lo sapeva, così come anche lui. Hanabi aggrottò leggermente le sopracciglia, non completamente sicura sulle parole da usare. Sapeva fin troppo bene che il rapporto tra suo padre e Naruto era pessimo, e preferiva evitare che si inasprisse ulteriormente.

“Mi pare un tipo a posto.” rispose infime, scrollando le spalle. Avrebbe voluto dire che, in realtà, lo trovava simpatico e che sperava di diventare potente come lui un giorno, ma non era sicura che fosse una risposta corretta in quel frangente. “Onestamente, faccio fatica a capire il vostro risentimento nei suoi confronti.”

Hiashi non mutò il proprio sguardo di fronte a quelle parole, anche se le labbra divennero più sottili.

“Tua sorella ha sempre nutrito molta stima per quel ragazzo.” mormorò, quasi più a sé stesso che alla figlia. “Mi domando...” scosse la testa, rivolgendole un'espressione più dolce.

“Lascia perdere i vaneggiamenti di un vecchio.” se ne andò con passo lento, gli occhi persi in ragionamenti chiusi nella sua mente.

Hanabi rimase perplessa, anche se non più di tanto. Da quando sua sorella era caduta in coma, si respirava un'aria tetra in casa, come se l'ennesima beffa del destino avesse spezzato le reni del valoroso clan Hyuga. Lei stessa si sorprendeva di quanto fosse calma, del fatto che riuscisse a nascondere dietro una maschera il dolore e la rabbia che provava per quella situazione. Non si sorprendeva quindi che anche suo padre, il quale era sopravvissuto alla morte del fratello e del nipote, risentisse di quell'atmosfera. Era molto più cupo di prima, senza contare che raramente le rivolgeva la parola, se non quasi mai: quella domanda era stata la cosa più simile ad una conversazione, da oltre due settimane, che condividevano.

Andò in camera sua, sospirando, mentre si chiedeva se quella situazione avrebbe trovato sbocco in qualcosa di diverso. Era come se tutti fossero sospesi in un limbo, aspettando un segno, positivo o negativo, per iniziare una nuova fase della loro esistenza. Hanabi trovava snervante quella situazione, e si stupiva lei stessa della facilità con cui manteneva la calma e il sangue freddo. Fin da piccola era stata educata a controllare le proprie emozioni, i propri sentimenti, ad essere una kunoichi potente, che fosse d'ispirazione e di guida per tutto il clan. Era entrata negli ANBU proprio per quel motivo: essendo la secondogenita, non voleva essere un peso per il suo clan, e desiderava proteggerlo al massimo delle sue forze. Entrare negli ANBU, il gruppo eletto degli shinobi, i ninja più forti e temibili del suo villaggio, gli era sembrato il giusto percorso per continuare a crescere, a diventare più forte, per poter servire al meglio come kunoichi il suo Villaggio e soprattutto il suo clan.

Eppure, quando aveva visto sua sorella in coma, sdraiata su un letto d'ospedale, tutti i suoi anni di addestramento erano andati in frantumi, lasciandola sola, debole e vulnerabile al dolore.

Era stato Naruto a salvarla da quel baratro. La maggior parte delle persone avrebbero pensato ad un matto nel vederlo ogni giorno, seduto al fianco di Hinata, a parlare del più e del meno, come se la ragazza fosse sveglia e cosciente. Lei no. Hanabi aveva compreso fin da subito che Naruto stava soffrendo, forse più di lei, perché per lui Hinata era una famiglia, non solo una fidanzata. La cosa che gli stava più a cuore era sicuramente lei, che con la sua dolcezza e la sua gentilezza, gli aveva riempito un cuore altrimenti orribilmente vuoto. Ma per quanto potesse soffrire, Naruto si era rifiutato di cedere al baratro del dolore, all'oblio della disperazione. Si era rialzato, iniziando a lottare per quello in cui credeva.

Forse era stato per questo che quella volta si era proposta di aiutarlo a capire il perché Hinata fosse finita in coma. Era decisamente strano, e non da lei, esporsi in quel modo, ma la cosa che più la sorprese fu il suo atteggiamento. Non la trattò da ragazzina, ma come una sua compagna, qualcuno che meritava il suo rispetto più profondo.

Era forse quello che aveva conquistato il cuore di sua sorella anni prima? Una cocciutaggine più forte dell'acciaio, unita ad un sorriso capace di sciogliere il freddo più ostico?

Non lo sapeva.

 

 

Sorellona.” Hinata volse lo sguardo verso la sorella, un sorriso sul volto stanco.

Perché l'hai fatto?” mormorò Hanabi, gli occhi colmi di apprensione. “Perché hai rischiato la tua vita in quel modo?”

Hinata rivolse lo sguardo allo spicchio di cielo racchiuso nella finestra della tenda, gli abiti ancora sporchi di sangue e terra per lo scontro con Pain.

Un giorno lo capirai anche tu, sorellina.” mormorò, stringendola in un abbraccio con il braccio sinistro.

 

 

Sorellona... un sorriso triste incorniciò il volto della kunoichi, mentre si preparava alla sua missione. Indossò la propria armatura, coprendosi il volto con la caratteristica maschera felina del suo ordine, i foderi delle due katane corte che le spuntavano dalla schiena.

Ora ho capito.

Perché veniva terribilmente facile mettere in gioco la propria vita, quando si trattava di Naruto Uzumaki, e questo sua sorella lo sapeva fin troppo bene.

E ora lo so anch'io.

Era pronta a rischiare la vita. Per sua sorella, ma soprattutto per lui.

 

 

Naruto sorrise, stringendo la mano della sua amata, sedendosi al solito posto. Era iniziata un'altra giornata, ed ancora una volta lui era lì, a combattere la loro battaglia contro il coma.

“Ciao, Tesoro.” sussurrò, guardando quel viso smunto e desiderando ardentemente di vederla aprire gli occhi. “Oggi sono arrivato un po' in ritardo, ti chiedo scusa.” era sempre così difficile sorridere? Non si era mai accorto prima di quanta fatica costasse stirare i muscoli facciali, specie se dentro aveva una voragine al posto del cuore. “Comunque sia, ora sono qui. Dovevo cambiare i fiori a Neji, per questo ho fatto tardi. Ino ne ha di splendidi nel negozio di famiglia, sono sicuro che piacerebbero anche a te.” perché la sua voce si rompeva dopo un po'? Possibile che fosse sempre così orribilmente difficile? “A te piacciono tanto i fiori. Li ho presi viola, proprio come quelli che gli porti sempre.”

Fece un profondo respiro, riuscendo a soffocare il proprio dolore. Sapeva che Hinata non avrebbe apprezzato.

Tornerà da me. Lei non si arrende mai.

“Neji mi ha chiesto tue notizie. È un po' preoccupato, ma gli ho detto di stare tranquillo. Che presto anche tu tornerai a fargli visita.” il sorriso sul suo volto divenne più incerto. Nonostante tutto, ogni giorno era sempre più difficile.

Non esistono scorciatoie nella vita.

“Mi ha detto di dirti... che ti aspetta. E che non vede l'ora di rivederti.” sentì gli occhi pizzicare, e se li asciugò con un gesto stizzito del braccio sano. “La prossima volta ci andiamo insieme, ok?”

Il silenzio che seguì fu uno dei più atroci che avesse mai vissuto, ma stranamente il suo sorriso divenne più forte. Non si sarebbe mai arreso. Era sicuro che un giorno Hinata avrebbe aperto gli occhi di nuovo. Non sapeva se sarebbe stato tra un'ora, un giorno, oppure un anno, ma era sicuro che avrebbe rivisto ancora quegli occhi di cui si era innamorato perdutamente anni prima.

Continuò a parlare. Le parlò del fatto che Konohamaru era diventato ormai un uomo, di quanto gli mancasse Sasuke, di quanto fosse grato a Iruka-Sensei per la sua vicinanza in quelle settimane, di come era rimasto sorpreso positivamente da Hanabi, dichiarandole di considerarla una persona fortunata ad avere una sorella magnifica come lei. Snocciolò tutti gli argomenti che gli venivano in mente, senza mai smettere per un solo istante di sorriderle e di tenerle la mano. Era convinto che prima o poi i suoi sforzi sarebbero serviti a qualcosa, permettendogli di riavere Hinata al suo fianco.

Forse fu per questo che non notò subito l'arrivo di Hiashi Hyuga, il quale lo stava osservando da qualche minuto in religioso silenzio. Non appena si accorse della sua presenza, Naruto smise di parlare, stringendo le labbra. Non aveva dimenticato il loro acceso diverbio avvenuto una ventina di giorni prima.

“Hiashi-sama.” lo salutò freddamente, alzandosi. “Mi perdoni se non mi ero accorto della sua presenza. Se desidera rimanere solo con Hinata...”

“Magari dopo.” esordì il capoclan, il tono di voce sempre basso e pacato. “Prima desidererei parlarti.”

Un sorriso amaro si dipinse sul volto del ragazzo.

“Non so quanto possa essere una buona idea, visto il risultato dell'ultima volta.”

“Non succederà più.” affermò deciso lo Hyuga. “L'altra volta ero scosso per ciò che era accaduto a Hinata, e mi sono comportato in maniera sciocca. Ti porgo le mie scuse.”

Naruto sollevò le sopracciglia. Sentire Hiashi Hyuga scusarsi con lui era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato quella mattina.

“La ringrazio, ma anche io ho usato toni forti. Non deve scusarsi di nulla.” replicò cordialmente, il tono meno freddo. Hiashi sembrò apprezzare quella risposta, e i lineamenti del suo viso si rilassarono leggermente.

“Sono venuto per portarti questi.” proseguì l'uomo, tirando fuori un plico contrassegnato con il simbolo di Konoha. “Te li manda Hanabi.”

Nel vedere quei documenti in mano a Hiashi, il cervello di Naruto venne fulminato. Rimase immobile, sudando freddo, mentre tentava di capire come fosse potuto accadere che quei fogli fossero tra le mani di Hiashi, e per quale motivo Hanabi li avesse dati a suo padre, invece di consegnarglieli personalmente.

“Li ha letti?” chiese con la gola improvvisamente secca.

Gli occhi di Hiashi si contrassero appena.

“No.”

Nella stanza scese un silenzio profondo, rotto soltanto dal respiratore artificiale di Hinata.

“Perché?” mormorò il biondo. Non capiva. Non riusciva a capire per quale motivo Hiashi gli stesse dando quei fogli, specie dopo la loro ultima conversazione. “Perché me li sta dando?”

L'uomo sospirò, appoggiando il plico sul tavolo, rivolgendo successivamente il suo sguardo verso la figlia.

“Nella mia vita ho incontrato molte persone, Uzumaki Naruto.” iniziò, la voce sempre bassa, gli occhi persi sul volto incosciente della primogenita. “Ero convinto ormai di conoscere bene la natura umana. Per questo, quando Hinata ha dimostrato che tipo di persona fosse, ho smesso di credere in lei, di darle fiducia. Ero convinto che niente potesse cambiare il suo destino.”

“Ma poi lei ti ha conosciuto.” il suo sguardo si posò sullo shinobi biondo. “Non ho idea di come i vostri destini si siano incrociati, ma da allora Hinata cambiò, diventando un'altra persona. Divenne una persona su cui si poteva contare. Si allenava giorno e notte, nel disperato tentativo di farsi notare dalla sua famiglia... ma i miei occhi erano ciechi.”

Strinse le labbra, come se parlare di sua figlia in quel modo gli costasse un grande dolore. Naruto rimaneva immobile, in ascolto, consapevole che Hiashi aveva deciso di confidarsi con lui, con la persona che più disprezzava al mondo.

“Conosco la tua storia.” proseguì dopo un po' il capoclan. “E' simile a quella di tanti altri Jinchuuriki. Il dolore, la solitudine, il disprezzo... sono questo il vostro pane quotidiano, ciò che la gente vi rivolge. Ma tu... tu sei diverso. Sei sempre stato trattato come un mostro, ricevendo solo odio, paura e disprezzo dagli altri, ma non hai mai provato risentimento. Hai sempre avuto il disperato, viscerale, desiderio di essere accettato dagli altri.” chiuse gli occhi, sospirando. “Io non ne sarei mai stato capace.”

 

 

Sentì bussare alla porta, un colpo secco, che lo risvegliò dal suo sonno leggero. Si alzò cautamente, pronto a combattere un'eventuale minaccia. Tuttavia, non fu pronto alla vista della sua amata secondogenita, ricoperta di sangue dalla testa ai piedi.

Hanabi?! Cosa...” le parole gli si bloccarono in gola, quando lei, con mano tremante, tirò fuori dall'armatura un plico, spingendolo contro il petto del padre.

Padre...” ansimò lei, gli occhi spenti, un sorriso stanco sul volto. “Questo è per... Naruto Uzumaki.”

Hanabi! Cosa ti è successo? Perché sei ricoperta di sangue?!” Hiashi la afferrò appena prima che crollasse a terra, osservando sconvolto il gran numero di ferite che le ricoprivano il corpo.

L'ho fatto...” mormorò lei, la voce rotta. “Perché Naruto... è stato il primo a trattarmi... come un vero compagno.” le labbra si stirarono in un sorriso stanco, un rigagnolo di sangue scuro colò dall'angolo sinistro della bocca. “Ora capisco... perché la Sorellona ha sempre creduto così tanto in lui.”

Non parlare! Rischi di sprecare energie!” Hiashi la prese in braccio, iniziando a correre fuori, in direzione dell'ospedale.

Padre...”

Resta sveglia Hanabi! Non addormentarti!”

Sai... un giorno mi piacerebbe... diventare forte come Naruto.” il cielo sopra di lei non le era mai parso bello come in quegli istanti. “E' il mio grande sogno.”

 

 

Aprì gli occhi, osservando la sua primogenita, colei che aveva sempre trattato con freddezza e severità, quando tutto quello che Hinata desiderava da lui era un po' di fiducia, affetto, amore paterno.

Hinata... Hanabi...

Mai come in quel momento gli fu difficile mantenere il controllo del suo corpo, la compostezza che il capo degli Hyuga doveva sempre avere.

Sono stato un padre ingiusto e stupido. Vi scongiuro... perdonatemi.

 

 

Hinata.” la vide abbassare di scatto lo sguardo, in quel segno di timore e rispetto che gli rivolgeva fin da quando era una bambina.

S-Sì, padre?”

Gli occhi di Hiashi vagarono sugli abiti sporchi di sangue della figlia, indugiando sullo squarcio lasciato dal colpo di Pain.

Era incredulo.

Non avrebbe mai pensato che la sua primogenita potesse essere capace di compiere una simile pazzia.

Perché l'hai fatto?” mormorò. “Saresti potuta morire. Sapevi bene che non era un avversario adatto alle tue capacità.”

La vide mordersi le labbra, mentre il corpo tremava, se di dolore o paura gli era impossibile stabilirlo.

Padre, vi prego di perdonarmi.” mormorò lei, la voce rotta in procinto di scoppiare in lacrime. “Vi ho deluso. Ma... non mi pento di quello che ho fatto.”

Perché dici questo?”

Lei finalmente alzò lo sguardo, fissandolo con espressione fiera, nonostante la patina liquida che gli ricopriva gli occhi.

Perché vedere morire Naruto-kun sarebbe stato peggio di mille tormenti!” rispose. “Lui è... è...” gli mancarono le parole. Abbassò di nuovo lo sguardo, quasi si fosse vergognata di aver fissato suo padre in volto.

Una persona molto importante per me.” sussurrò infine, la voce quasi indistinguibile dal rumore del vento. “E voglio diventare più forte, per proteggerlo.”

E' il mio grande sogno.”

 

 

“In tutta la mia vita, non sono mai stato capace di essere ciò che desideravo sopra ogni cosa: un buon fratello e un buon padre.” lo sguardo di Hiashi ora mostrava qualcosa di caldo, diverso dalla rigida compostezza di sempre: mostrava il suo tormento interiore. “Non sono mai riuscito a credere in Hinata, a darle fiducia. Ho permesso che mio fratello ed il suo unico figlio morissero, e ho sempre trattato Hanabi con freddezza, caricandola di un peso che non meritava.” strinse le labbra, mentre il suo corpo si irrigidiva. “Da questo punto di vista, sono io il fallito, e non tu.”

“H-Hiashi-sama.” mormorò Naruto, a disagio di fronte a quella confessione. “Non deve dire così. Lei è un grande ninja, il capo del clan Hyuga.”

“A cosa serve essere un capo, se non sono neanche capace di proteggere ed amare le persone a me care? Io ho visto quello che hai fatto alle mie figlie: le hai cambiate, rese migliori, persone capaci di credere nelle loro capacità e nella possibilità di forgiare il loro futuro. Sei riuscito dove io ho fallito, e di questo devo dartene atto.”

Chinò lievemente la testa, in un inconfondibile gesto di ringraziamento.

“Grazie, Uzumaki Naruto. Ti sono debitore per tutto quello hai fatto, e stai continuando a fare, per la mia famiglia.”

Naruto fissò a lungo quell'uomo, un uomo che era convinto lo disprezzasse. Ora era lì, davanti a lui, che faceva pubblica ammenda per i suoi errori e lo ringraziava per aver aiutato la sua famiglia.

“Non deve fare così, Hiashi-sama.” sussurrò il ragazzo. “Dopotutto, non sono riuscito ad impedire che Hinata finisse su questo letto d'ospedale.”

“Sono certo che riuscirai a salvarla.” dichiarò con fare sicuro Hiashi, avvicinandosi al corpo della figlia, e stringendole la mano. “Se c'è una persona che può farlo, quello sei tu, Uzumaki Naruto.”

Strinse i pugni, sentendo quelle parole di incoraggiamento. Le sentiva scendere dentro di lui, donandogli calore.

“Spero di non dover tradire la sua fiducia.” si voltò, fissando anche lui il volto della donna che amava. “Hanabi sta bene?” chiese successivamente, preoccupandosi per la sorte della sua nuova amica.

“E' ferita, ma sopravviverà.” rispose subito Hiashi. “Forse rischierà qualcosa, essendosi messa contro gli stessi membri del suo ordine, ma io sono fiero di lei, di quello che ha fatto, di quello in cui ha deciso di credere.” chiuse per un istante gli occhi, il volto che mostrava anni di tormento interiore. “Se Hinata si svegliasse, e potessi dirle quanto la amo e che sono fiero di lei... forse mi sentirei meno in colpa per gli errori del passato.” le spalle ebbero un impercettibile tremolio, mentre anni di sensi di colpa venivano a galla di colpo, lasciando quell'uomo serio e severo in difficoltà a gestire le proprie emozioni.

Forse furono quelle parole, forse fu il fatto che per la prima volta, il padre e l'uomo che amava si erano compresi, forse furono tante cose, che neppure la scienza medica di Tsunade-hime era in grado di comprendere.

Li vide. All'inizio in modo sfuocato, ma poi sempre più nitidi. Vide gli occhi di suo padre, leggermente lucidi, spalancarsi, increduli di ciò che vedevano. Il suo sguardo si spostò lentamente verso il volto di Naruto, il suo Naruto, anche lui un'espressione di puro stupore sul viso.

“Padre...”

Lentamente, lo shinobi biondo si pizzicò una guancia così tanto forte da farsela sanguinare. Solo quando percepì la stilettata di dolore, e continuò a vedere gli occhi di Hinata, che amava così tanto, aperti ci credette.

“Hinata?” boccheggiò Hiashi, incredulo. Le strinse una mano, mentre i suoi occhi si spostavano sugli apparecchi medici dall'altro capo del letto. Tutti i valori erano in ripresa.

Hinata aveva ripreso conoscenza.

“Hinata...” Naruto scoppiò letteralmente in lacrime, un sorriso sul volto, mentre le labbra della kunoichi si piegavano leggermente, in un dolce sorriso.

“Naruto-kun... perché piangi?” sussurrò, la voce fievole come un soffio.

“Non sto piangendo.” nonostante le sue parole, e la sua gioia, le lacrime proseguirono a solcargli il viso, lacrime che buttarono fuori tutto il dolore, la disperazione e la rabbia che aveva accumulato in quelle tre settimane.

Hinata si era svegliata, e lui non era più solo.

 

 

Ore dopo, quando Sakura e Tsunade avevano finito di visitare Hinata, affermandone la piena uscita dal coma, quando aveva visto Shino e Kiba sull'orlo delle lacrime per la gioia con Kurenai-Sensei che piangeva silenziosamente in un angolo, quando aveva visto gli occhi di Hiashi Hyuga brillare di gioia nello stringere la mano di sua figlia, finalmente cosciente, Naruto entrò in un'altra stanza dell'ospedale, vedendola sdraiata su un letto. Aveva gli occhi chiusi, ma non appena entrò li aprì, fissandolo con sguardo penetrante.

“Finalmente qualcuno si è ricordato della sottoscritta.” mugugnò Hanabi, sollevandosi a fatica, il corpo ricoperto di bende. “So tutto.” lo anticipò, sorridendogli, di nuovo felice come non le capitava da tempo. “In ospedale non si parla d'altro.”

Anche Naruto sorrise, contagiato, mentre si andava a sedere al suo fianco.

“Come stai?” le chiese dolcemente.

“Sopravvivrò.” rispose la mora, facendogli l'occhiolino. “Ci vuole altro che due tagli per mettermi fuori gioco. Non dimenticare che sono un ANBU!”

“Hanabi...” lo shinobi biondo le mostrò il plico da lei preso con tanta fatica la notte prima. La Hyuga lo guardò con occhio attento, un'espressione di stanchezza nel volto.

“Spero che tu possa aver trovato quello che cerchi.” sospirò.

“Non li ho ancora letti.” rispose Naruto. “Desideravo farlo assieme a te, visto che è solo merito tuo se potrò farlo.” le spiegò successivamente, in risposta al suo stupore.

“Perché ti prendi tutto questo disturbo per me? Io non sono Hinata.”

“No, non lo sei.” Naruto le accarezzò i capelli con una mano, appoggiando la sua fronte su quella di lei. “Ma sei una persona magnifica, Hanabi. Non potrò mai sdebitarmi per tutto quello che hai fatto per me in queste settimane.”

Spalancò gli occhi, constatando come quelle parole le scendevano giù, verso lo stomaco, scaldandoglielo come mai le era capitato nella sua vita. Si morse le labbra, mentre il desiderio di abbracciare stretto quel ragazzo e non lasciarlo andare mai più si fece sempre più forte dentro di lei.

“Te l'ho già spiegato: tu non mi devi nulla!” spiegò, leggermente spazientita, allontanandosi da lui. “Ero in debito per tutto quello che hai fatto per mia sorella. Mi è sembrato il minimo.”

“Andare contro i tuoi confratelli sarebbe il minimo?” Naruto scosse la testa. “Ho saputo che nessuno di loro è morto. È per questo che hai subito tutte queste ferite?” quando la vide distogliere lo sguardo, quasi fosse in imbarazzo, sorrise. Aveva comunque ottenuto una risposta.

“Potresti finire in prigione, oltre ad essere espulsa dagli ANBU.” mormorò il ragazzo. “Hai messo in gioco tutto ciò in cui credi per me. Non potrò mai ripagare questo tuo sacrificio, fattene una ragione.” concluse sorridendo, vedendola squadrarlo leggermente esasperata.

“Beh, cosa stai aspettando? Apri quella busta e chiudiamo la questione!”

Lentamente, Naruto ruppe il sigillo di ceralacca, tirando fuori i fogli con fare riluttante. Ora che Hinata si era ripresa, si sentiva quasi in colpa a compiere un'azione simile, a intromettersi nella vita privata di lei con irruenza, senza chiederle nulla.

Desidero solo sapere la verità.

Lesse le parole sul primo foglio, mentre Hanabi si sporgeva, spinta dalla curiosità. Se all'inizio fu esitante, divenne sempre più rapido. I suoi occhi cerulei zigzagavano veloci, mentre leggeva un foglio dopo l'altro.

Non può essere...

La consapevolezza di quello che stava leggendo lo colpì, all'improvviso, con la forza di un maglio. Strinse i fogli con rabbia, i denti scoperti, mentre una sfumatura rossastra iniziò a diffondersi nelle sue pupille. Al suo fianco Hanabi strinse gli occhi come un gatto: era livida.

Si alzò di scatto, stringendo sempre di più le carte che teneva in mano, la gola che emetteva un ringhio assai poco umano. Il desiderio di fare a pezzi qualcosa divenne sempre più forte.

Cosa significa tutto questo?!

 

 

Kakashi Hatake fece un profondo respiro, appoggiando la penna affianco all'ennesimo documento della giornata. Fuori dalla finestra del suo ufficio, le stelle brillavano sopra Konoha. Con sguardo indolente, il Copia Ninji adocchiò il romanzo alla sua sinistra, tentato di prendersi una meritata pausa prima di dormire qualche ora. Era già sul punto di sfiorare la copertina, quando si accorse della presenza di qualcuno nell'ambiente circostante.

“Buonasera, Naruto.” esordì l'Hokage. “A cosa devo questo tardo piacere?”

Davanti a lui, in piedi, Naruto lo fissava con occhi rossastri, il volto contratto in una smorfia di collera. Lo sguardo dell'albino divenne freddo, pronto a scattare in qualunque momento.

Con un gesto brusco della mano, Naruto fece volare sulla scrivania dell'Hokage alcuni fogli, che si mescolarono a quelli già presenti. A Kakashi bastò un'occhiata per comprendere di cosa si trattasse.

Sa tutto.

“Prima ho fatto una lettura illuminante.” sibilò il biondo, i denti lievemente appuntiti. Anche Kurama era furioso. “Sono venuto a restituirgliela.”

Il Copia Ninja incrociò le mani davanti al viso, scrutando freddamente il suo ex allievo.

“Non avresti dovuto leggerli, non ti riguardavano.”

“Invece l'ho fatto.” proseguì Naruto, le mani che tremavano per la rabbia. “Missione di livello S, eliminazione di traditori appartenenti al corpo di guardia del Daimyo del Fuoco.” ripeté a memoria. “Non mi sembra proprio una missione semplice.”

Kakashi non dichiarò nulla, rimanendo composto dietro alla propria scrivania. Pareva annoiato, come se la visita del suo vecchio allievo fosse solo un fastidioso impiccio prima di dedicarsi alla sua lettura. Vedendolo così calmo e rilassato, Naruto ebbe l'impulso fortissimo di prenderlo a pugni, ma Kurama lo trattenne, deciso prima a rivelargli ogni cosa.

“Forse però, quello che troverà più interessante, è l'ultimo foglio che ho letto.” proseguì lo shinobi, estraendo la carta in questione e mostrandola al suo Sensei di una volta. “Missione zero uno otto cinque: Controllo dei movimenti e delle azioni del Jinchuuriki Uzumaki Naruto. Stato: In corso.” il biondo gettò con disprezzo anche quest'ultimo foglio sulla scrivania. “In calce è riportata la data di inizio e la firma del mandante.”

Nella stanza cadde un silenzio teso.

“E' stato lei a dare ad Hinata quella missione, sei anni fa. Sei anni... sei... fottuti... anni.” si avvicinò lentamente all'albino, mentre quest'ultimo rimaneva immobile. “Sei anni che vengo spiato e sorvegliato dalla donna che credevo mi amasse.” ora la voce del biondo era tranquilla, e quello incuteva veramente paura. “Non si fa schifo?”

“Naruto...” esordì Kakashi con voce monocorde. “Stai fraintendendo. Anche se quello che c'è scritto sui quei documenti può sembrare...”

Naruto colpì con violenza la scrivania. Il legno scricchiolò, mentre il ragazzo con un unico movimento del braccio buttava al suolo il contenuto di essa.

“Non voglio ascoltare le sue scuse!” ringhiò, gli occhi ormai totalmente rossi, la pupilla verticale. Dentro di lui, Kurama frustava l'aria con le nove code, furioso come poche volte nella sua vita. “Ne ho abbastanza delle sue bugie!”

“Naruto, se non mi lasci spiegare...”

“E che cosa ci sarebbe da spiegare, sentiamo?!” urlò il ninja, perdendo il poco autocontrollo che gli era rimasto. “Per sei anni sono stato usato ed ingannato, anzi no, che dico, da tutta la vita! Avevo quasi sperato che voi nutrisse un minimo di fiducia in me, ci ho sperato e creduto veramente, con tutto il mio cuore! Ma ora vengo a sapere che quella fiducia non era assolutamente ricambiata! Che perfino la donna che amo non ha fatto altro che mentirmi per tutto questo tempo! Cosa vorrebbe spiegare, di grazia?! Risponda!”

“Quella misura...” lo interruppe Kakashi, alzando lievemente il tono di voce. “Non aveva assolutamente lo scopo di ingannarti, e tanto meno quello di non nutrire fiducia nei tuoi riguardi. Lo abbiamo fatto per proteggerti.”

“Proteggermi? Perché non parla chiaramente per una volta?! Perché non dice chiaramente che in realtà serviva a proteggere VOI?! Dopotutto, siete terrorizzati all'idea che mi spuntino le code ed inizi ad uccidere gente a caso, non è vero?!”

“Non sto mentendo. Il nostro scopo era quello di proteggerti.” proseguì il Copia Ninja. “Ti sei mai domandato, Naruto, perché ti abbia sempre tenuto lontano dall'azione in tutti questi anni? Per quale motivo io ti abbia relegato ad un ruolo di rappresentanza? Ci hai mai riflettuto almeno una volta?”

“Voi...” al ragazzo mancò per un attimo la voce, preso alla sprovvista da quella domanda. “Io... non mi interessa la vostra stupida spiegazione!” sbottò. “Tanto saranno solo un mucchio di schifose bugie, come al solito!”

“Allora cosa preferisci fare? Continuare a distruggermi l'ufficio, solo per il puro gusto di farlo? Ti farà sentire meglio questo comportamento infantile che stai tenendo?”

“Non si permetta di trattarmi come un moccioso!” urlò Naruto. “Non sono più il dodicenne che si beve tutte le stronzate che dice, nascondendosi dietro a quella maschera del cazzo! Non è neanche abbastanza uomo da affrontarmi a viso aperto!”

Avrebbe desiderato che Kakashi reagisse ai suoi insulti, alzandosi e dando inizio ad una lotta. Avrebbe voluto vederlo sfoderare il suo leggendario Chidori, in modo da avere una scusa per pestarlo a sangue, per potersi sfogare. Invece l'Hokage rimase immobile, le mani incrociate davanti agli occhi, a fissarlo con sguardo freddo e tranquillo. Lo odiò con tutto il suo essere, perché ogni gesto che compiva lo faceva sembrare un bambino capriccioso che non capisce il motivo per cui il genitore non gli compra un giocattolo.

Kakashi lo guardò dritto negli occhi, osservandolo mentre reprimeva a stento la collera.

“Credo che sia giunto il momento di rivelarti per quale motivo chiesi ad Hinata di compiere questa missione, così come quella che l'ha portata al coma tre settimane fa.” sospirò il Copia Ninja.

“Perché dovrei crederle?”

“Perché sono stato il tuo Sensei.” rispose l'albino. “Ed un Sensei non farebbe mai nulla per il male del suo allievo.”

“Non mi da la certezza che non mi mentirà.”

“Questo è vero.” ammise l'Hatake, stirando le labbra in un sorriso, sotto la stoffa della maschera. “Non ti resta che decidere tu se fidarti o meno di ciò che ti dirò. Desidero soltanto che tu mi ascolti.”

Dopo alcuni secondi di incertezza, Naruto fece un brusco gesto di assenso. Successivamente, Kakashi prelevò due rotoli da un cassetto, porgendoli al biondo.

“Leggili.”

Naruto li afferrò, iniziando a srotolarli. Li lesse attentamente, deciso a comprenderne il testo, per evitare di farsi ingannare o sviare. Più andava avanti con la lettura, più la sua espressione mutava. Rabbia e furia lasciarono il posto ad un profondo stupore.

“Cosa significa tutto questo?” domandò alla fine della lettura del primo rotolo.

“Che il Paese del Fuoco è in miseria.” rispose semplicemente l'Hatake. “La guerra di sette anni fa ha lasciato ferite profonde nel territorio, ferite che non guariscono in poco tempo. Le casse statali sono state prosciugate, mentre gli uomini scarseggiano. Per anni la fame e la miseria hanno imperversato questa terra, mentre sempre più shinobi, ridotti in povertà senza più guerre da combattere, si sono dati al banditismo.” i suoi occhi si piantarono sul viso sconvolto dell'Uzumaki. “Molte persone sono morte a causa di questo.”

“Ma come è possibile? Io... io non ne sono mai venuto a conoscenza!”

“Konoha fin'ora è vissuta all'oscuro di tutto questo.” spiegò pazientemente l'Hokage. “Ho cercato di fare del mio meglio per evitare che i civili del Villaggio soffrissero anche loro la fame e la miseria.”

Naruto ci mise poco a comprendere cosa implicasse con la missione di Hinata. Si sedette, sentendosi improvvisamente le gambe molli.

“Quindi anche gli altri lo sapevano.” mormorò. “Sakura, Shikamaru, Kiba e tutti gli altri. Ne erano a conoscenza... solo io...” volse il volto verso il suo Sensei, alla ricerca di una risposta. “Perché?”

“Volevamo proteggerti. Non volevamo farti scoprire a cosa avevano portato realmente i sacrifici tuoi e di Sasuke.” lo sguardo di Kakashi divenne affranto. “Desideravamo evitarti ulteriore dolore.”

“E' per questo che mi avevate nominato ambasciatore.” mormorò lo shinobi biondo con voce bassa, svuotato da ogni forza ormai. “Non volevate che mi accorgessi di come versavano le nostre terre.”

“È per questo motivo che chiesi ad Hinata di tenerti d'occhio, di informarmi se avessi avuto sentore di quello che accadeva fuori dalle mura del Villaggio. Accettò soltanto per il desiderio di proteggerti, di evitarti ulteriore dolore. Non deve essere stato facile per lei nasconderti in tutti questi anni la sua missione, ma si è fatta carico di questo peso per il tuo esclusivo bene.”

Naruto portò lo sguardo al pavimento, gli occhi di nuovo azzurri, una grande tristezza dentro di essi.

Hinata...

“Quindi la missione dove è avvenuto l'incidente...”

“Non volevo mandarla, ma quei traditori avevano fatto perdere le loro tracce, e nessuno come il suo Team poteva svolgere quel compito.” Kakashi lo fissò con i suoi occhi penetranti da dietro la scrivania, il capello da Hokage che gli copriva i capelli bianchi. “Mi dispiace che tu abbia conosciuto la verità in questo modo, Naruto. Ma dopo tutto quello che hai passato... non me la sono sentita di farti carico anche di questo peso.”

Il ragazzo alzò di scatto la testa, piantando il suo sguardo ceruleo in quello del suo vecchio mentore.

“Alla fine era come dicevo io: non ha avuto fiducia in me. Ha avuto paura di dirmi la verità, come se io fossi ancora il dodicenne che doveva rubarle un campanello.”

“Forse hai ragione.” ammise l'Hatake. “Ma dimmi la verità Naruto, tu nei miei panni ti saresti comportato diversamente? Saresti venuto da me, mostrandomi apertamente che tutto quello in cui avevo combattuto e creduto aveva soltanto portato morte e miseria nel mondo?”

Lo shinobi distolse gli occhi, portandoli verso il basso. Sapeva benissimo che non l'avrebbe mai fatto, che gli sarebbe mancato il coraggio di distruggere il sogno di una persona a lui cara.

“Essere Hokage significa proteggere gli altri, guidarli, mettersi alla loro testa.” dichiarò il Ninja Copia. “Assumendosi anche i pesi degli altri, se necessario.”

“Quindi... io... io...” da quando le mani avevano preso a tremargli? “Ho fatto tutto questo... per nulla?” mormorò, un dolore ed una frustrazione bruciante che salivano furiosamente dentro di lui. “Ho visto morire tutte quelle persone... per niente?!” si sentiva gli occhi pizzicare e non respinse le lacrime, furioso con sé stesso per tutto quello che aveva creato.

“Non è stato vano.” mormorò Kakashi. “I sacrifici di oggi, sono la base su cui costruire il domani.”

“Quelle persone forse sarebbero ancora vive se solo io non fossi stato...” singhiozzò rabbiosamente, il viso coperto di lacrime. “Non fossi stato così arrogante da voler cambiare il mondo!” l'Hokage non replicò, limitandosi a fissarlo, lievemente a disagio. Era una persona razionale Kakashi, ma temeva che usare il raziocino in quel caso fosse deleterio.

“Naruto... tu hai fatto molto più di quello che credi.” mormorò il Sensei del ragazzo. “Hai rivoluzionato questo mondo, insanguinato da troppe guerre. Hai una vaga idea di cosa sei riuscito a realizzare? Pensi veramente che quello che hai fatto sia completamente inutile? È vero, molte persone hanno perso la vita, ma lo hanno fatto con la consapevolezza che lo stavano facendo per dare un futuro migliore ai loro figli, e ai figli dei loro figli. Non devi pensare di essere stato arrogante, hai solo fatto quello che ritenevi fosse la cosa giusta.” dietro alla maschera del Copia Ninja, le labbra delinearono un sorriso. “E questo non è mai un male.”

“Ma io...”

“I nostri desideri non sempre coincidono con la realtà. Tu hai sempre desiderato che nessuno perdesse la vita per il tuo sogno, che nessuno si sacrificasse per te. Purtroppo questo non è stato possibile, ma se ora tu ti arrendessi, lasciandoti sopraffare dai sensi di colpa, sarebbe come se insultassi la loro memoria.”

“Le persone che muoiono di fame, i bambini senza più genitori...” replicò il giovane. “Come posso andare da loro e dire queste cose per giustificare la sofferenza che li colpisce? Sarebbe crudele!”

“Naruto, sei uno shinobi, dovresti aver capito da tempo che non puoi eliminare il dolore da questo mondo. Possiamo solo fare il possibile perché esso intacchi il minor numero di persone. Ci sono molte volontà a questo mondo, alcune lottano per il bene, altre per il male. Il nostro dovere è comprendere da che parte stare, ed accettare le conseguenze delle nostre scelte.”

Era vero, era tutto dannatamente vero. Proprio come Hinata e i suoi amici avevano deciso di proteggerlo, anche a costo di ingannarlo e mentirgli, lui aveva scelto di cambiare il mondo, di renderlo un posto dove i suoi figli non dovessero morire tra le braccia degli amici, un mondo dove uno shinobi non doveva sentirsi di casa dentro un cimitero, un mondo dove la pace non era solo un termine astratto.

Fece un profondo respiro, calmandosi. Aveva preso la sua decisione e avrebbe pagato le conseguenze del suo gesto.

Naruto, sei sicuro che sia la cosa giusta da fare?” Kurama si leccò le labbra, eccitato all'idea dell'amico. “Non potrai tornare indietro dopo.”

Ne era fin troppo consapevole, ma non poteva più nascondersi dietro ad un'illusione. Se voleva diventare Hokage, avrebbe dovuto mettersi in testa agli altri, guidarli, proteggerli, sopportare il peso del comando.

Sì.”

“Sesto...” esordì, la voce bassa ma sicura. “Vorrei entrare nella Squadra Speciale.”

“Nella...” Hatake Kakashi rimase sorpreso da quella richiesta improvvisa. Spalancò gli occhi, preso alla sprovvista. “Per quale motivo?”

“Perché se voglio diventare Hokage devo imparare a sopportare il peso degli altri!” esclamò lui, un sorriso sicuro sul volto. “E sono disposto a tutto per questo, anche farmi seviziare da Ibiki!”

L'Hokage sospirò. Naruto era così: imprevedibile. Poteva passare dalla disperazione più cupa all'euforia in meno di un secondo, prendendo alla sprovvista gli altri. Non era convinto che farlo stare sotto Ibiki Morino fosse una scelta saggia, ma d'altro canto conveniva che, se un giorno voleva succedergli, avrebbe dovuto farsi crescere un po' di pelo sullo stomaco.

“Te lo concedo.” mormorò. “Ma non credere che sarà una passeggiata!” lo ammonì, bloccando sul nascere la sua esultanza. “Dovrai studiare parecchio, molto più di quello che hai fatto per diventare Jonin.”

“Lo farò!” il fatto che non si fosse lamentato neanche un istante all'idea di studiare sorprese Kakashi, facendogli rivalutare le sue possibilità di successo.

“Allora fatti vivo da Shikamaru tra due giorni. Lui ti dirà cosa fare.”

“D'accordo. Per quanto riguarda invece...”

“Hanabi Hyuga?” lo interruppe l'albino, sorridendo nel constatare la sorpresa sul viso del suo vecchio allievo. “Non verrà espulsa dagli ANBU, visto che non ha ucciso nessuno. Tuttavia dovrà scontare un periodo di punizione piuttosto duro. Deve capire che in futuro non potrà agire di testa sua in questo modo. La disciplina per un ANBU è fondamentale.”

“Capisco.” il ragazzo si alzò, determinato nel suo obbiettivo: era entrato là alla ricerca di risposte, ed ora le aveva trovate.

“Naruto...” Kakashi lo chiamò appena prima che varcasse la soglia del suo ufficio. “Sappi che mi dispiace per quello che è capitato ad Hinata... e che sono molto fiero di te.”

Uscì da quel ufficio con un tiepido sorriso, sentendosi in colpa per come si era comportato.

Kakashi-Sensei... ha perfettamente ragione. In fondo, sono ancora un bambino.

 

 

Quando entrò nell'atrio dell'ospedale, non fu troppo sorpreso di vedere tutti i suoi amici radunati, che chiedevano a Sakura notizie di Hinata. Quando arrivò calò il silenzio, tutti che gli sorridevano, felici e sollevati, chiedendogli se avesse voglia di passare la notte con loro a festeggiare. Sorrise, mentre per un attimo fu tentato di parlare con loro. Di ringraziarli per averlo protetto? Accusarli di averlo ingannato? Dirgli che sarebbe entrato nella Squadra Speciale? Non lo sapeva. Si accorse improvvisamente di essere stanco di chiacchiere, di non avere veramente nessuna voglia di parlare. In quel momento, l'unica cosa che desiderava era rimanere solo.

Li superò lentamente, senza aprire bocca, un lieve sorriso sulle labbra. Ci sarebbe stato tempo anche per quello, per parlare e discutere con loro, ma ora era il tempo del silenzio.

Rimase fuori dalla sua porta, in corridoio, osservandola dalla finestrella posta sul muro dormire, questa volta il sonno dei giusti, con il padre affianco che le teneva la mano. Il viso di Hiashi era impassibile, ma i suoi occhi dicevano molto più di quello che sembrava.

Hinata...

Rifletté su quanto aveva appreso dall'Hokage, su come Hinata si fosse presa tutto il suo carico di responsabilità sulle spalle senza lamentarsi mai, riuscendo a sorridere con lui, a baciarlo, a vederlo felice e senza eccessive preoccupazioni. Pensò ad Hanabi, quella ragazza così minuta, capace però di andare contro tutto ciò in cui credeva per lui, per ripagare il debito nei suoi confronti.

Hanno fatto tutto questo per me.

Si passò una mano tra i capelli, lo sguardo fisso sul quel volto che amava così tanto. Ancora una volta, l'ennesima, Hinata e la sua famiglia si erano sacrificati per lui, senza esitare, solo per vederlo felice. Si morse le labbra, incapace di reprimere un senso di gratitudine immenso, oltre che una rabbia bruciante per non essere stato capace di proteggerli.

Te lo prometto, Hina-chan: d'ora in avanti sarò io a prendermi il tuo peso sulle mie spalle.

Forse un giorno sarebbe arrivato il tempo delle parole. Si sarebbero presi per mano, raccontandosi il perché avevano fatto quelle scelte. Fino ad allora, lui avrebbe vegliato su di lei, sul Villaggio e sui suoi amici, affinché quella pace non sparisse di nuovo.

Perché per diventare Hokage non esistevano scorciatoie, ed era per quel motivo che Naruto desiderava così tanto esserlo.

Le cose facili non facevano per lui.

Non ci sarà un altro Neji.

E neanche per Hinata.

 

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

Ed infine, dopo un capitolo infinito, anche stavolta sono arrivato alla fine. Devo dire che, nonostante tutto, mi sono divertito a scrivere questo capitolo, dopo ho potuto decisamente sbizzarrirmi, come forse avrete notato.

Le libertà più grandi le ho prese con Hanabi, un personaggio molto oscuro e mai raccontato bene nel manga. Mi ha sempre dato l'impressione di essere una ragazza molto seria, coscienziosa, più simile a Neji che ad Hinata, tuttavia molto sicura delle sue capacità e con il desiderio bruciante di diventare imbattibile per il suo clan e il suo Villaggio. Ho pensato che, essendo la secondogenita, e quindi non la diretta erede, per lei entrare negli ANBU, con le sue capacità, fosse una scelta plausibile: un ordine attraverso il quale avrebbe servito e protetto la sua famiglia, diventando sempre più forte e potente, proprio ciò che traspare dalle sue poche apparizioni.

Anche la scelta di fare entrare Naruto nella Squadra Speciale è molto... particolare. Diciamo che, se vuole diventare Hokage, dovrà pur imparare a muoversi dentro la macchina di Stato, capire come funzionano gli ingranaggi del potere, no? Ovviamente l'ho fatto anche perché vedere Naruto seviziato da gente come Ibiki, Anko, Ino e Shikamaru era troppo allettante xD Una miniera di gag che non potevo lasciarmi scappare xD

Bene, anche questo capitolo è finito. Come al solito ringrazio tutti quello che leggono e seguono questa raccolta. Recensioni, critiche e pareri sono accettatissimi (anche quelli negativi!)

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 6
*** Non volere essere un peso ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

 

Non volere essere un peso

 

 

 

Rumore. Tanto, troppo per essere prima mattina.

Naruto grugnì nel sonno, rigirandosi più volte sul materasso cigolante, apparentemente sordo al trillio del proprio campanello di casa. Solo alla terza suonata, lo shinobi aprì gli occhi con un ringhio, imprecando violentemente contro chiunque osasse disturbarlo a quell'ora.

“Arrivo!” quando udì l'ennesima scampanellata, l'Uzumaki si ripromise di mettere Kurama di guardia alla porta di casa, in modo da evitare scocciatori molesti di prima mattina.

Alla fine, una volta aperto, il ninja si ritrovò davanti agli occhi impastati dal sonno un Konohamaru eccessivamente su di giri per essere solo una gelida alba invernale.

“Naruto-niisan!” esordì il nipote del Terzo, un sorriso grande come una casa sul volto. “Ho una notizia magnifica da riportarti!”

“Se si tratta della svendita di ramen di Ichiraku non serviva che venissi a buttarmi giù dal letto a quest'ora perché lo sapevo già.”

Il sorriso del Sarutobi divenne, se possibile, ancora più largo.

“Sasuke è tornato!”

Improvvisamente, a Naruto il proprio letto non era mai parso così poco invitante come in quel momento.

 

 

La porta dell'ufficio dell'Hokage si spalancò di botto. Sulla soglia, un Naruto con il fiatone osservò la figura ammantata di scuro in mezzo all'ambiente, illuminato dai primi raggi di sole della giornata. Quando quest'ultima si girò, riconoscendo le fattezze eleganti e nervose del suo migliore amico, un sorriso enorme si dipinse sul suo volto, mentre entrava a grandi falcate nella stanza.

“Tu!” urlò. “Grandissimo bastardo!” lo abbracciò con tutta la forza di cui era capace, sotto lo sguardo vagamente divertito di Kakashi. Sasuke Uchiha non sembrò apprezzare molto quel gesto, anche se non tentò minimamente di liberarsi dalla stretta del biondo.

“Mi sei mancato da morire, Sasuke!” l'Uzumaki lo lasciò andare, fissandolo dritto negli occhi scuri. “Quanto tempo è che non ci vediamo? Tre anni? Quattro?”

“In ogni caso, tu non sei cambiato.” esordì il moro. “Sei il solito Baka sentimentale.” Naruto scoppiò a ridere, troppo felice per prendersela. Erano passati più di sette anni ormai da quando lui e Sasuke si erano quasi uccisi nella Valle dell'Epilogo. Da allora, l'Uchiha aveva iniziato a vagabondare per il mondo, ritornando ogni tanto, anche se mai per lunghi periodi, a Konoha. Il biondo aveva capito che per l'amico non sarebbe stato possibile restare al Villaggio in pace come faceva lui: troppo odio era scorso tra lui e quei luoghi, troppo dolore e sangue avevano imbrattato la sua anima. Sarebbe sempre rimasto legato a quel posto, ma allo stesso tempo gli sarebbe stato impossibile rimanerci a vivere per sempre.

“Devo ammettere che è stata una sorpresa anche per me.” si intromise il loro vecchio Sensei. “Ormai era più di un anno che non davi tue notizie, Sasuke.”

“Non era necessario.” rispose il fratello di Itachi con voce bassa.

“Ehi Sasuke, hai voglia di fare colazione assieme?” gli chiese subito Naruto, un sorriso immenso sul volto. Davanti a quella proposta, l'Uchiha fece un'espressione strana: un misto tra l'esasperato e il divertito.

“Veramente sarei appena tornato. Senza contare che...”

“Perfetto! Dai, vedrai che ti farà bene mangiare qualcosa, patito come sei...” il ninja più giovane, ignorando bellamente le proteste irate del moro, lo trascinò fuori dall'ufficio. Kakashi li osservò sparire dalla sua vista, la mente che andava a dolci ricordi, quando era perseguitato da un ragazzino strizzato dentro una ridicola tutina verde.

Gai...

 

 

Camminavano lentamente, le strade che ribollivano di gente nonostante il freddo battente. Naruto era di ottimo umore, anche se doveva comparire in ufficio entrò un'ora, pena subire l'ira di quella pazza di Anko. Ma per il suo migliore amico valeva la pena di rischiare un brutto quarto d'ora a stretto contatto con la sadica Mitarashi.

“Ti vedo poco in forma, Naruto.” esordì all'improvviso l'Uchiha. “Mi sorprende che tu non stia continuando ad allenarti.”

Lo shinobi biondo sospirò, riparandosi le mani dal gelo dentro le tasche del giubbotto.

“Purtroppo in questo periodo non ho molto tempo per gli allenamenti. Sono entrato nella Squadra Speciale, ed è già tanto se ho il tempo di dormire la notte.”

“La Squadra Speciale?” il fratello di Itachi alzò lievemente il sopracciglio sinistro. In quella divisione entravano gli shinobi più abili nelle tecniche sensoriali e percettive, le menti più geniali e sadiche di Konoha. Il suo vecchio compagno di squadra era l'ultima persona che avrebbe immaginato lì dentro. “Da quando sei un sensitivo?”

“Ho chiesto io di entrarci.” replicò l'amico, il volto ora serio. “Ho ritenuto che fosse la cosa migliore.”

Sasuke non gli chiese il motivo, e Naruto lo apprezzò. L'Uchiha aveva sempre avuto la splendida abilità di capire quando era il caso di invadere la privacy altrui e quando no.

“Immagino che ti frequenti ancora con quella ragazza del clan Hyuga.” mormorò il moro, cambiando completamente argomento. Attorno a loro, l'aria si riempiva del profumo del pane appena sfornato, oltre che delle grida dei ragazzi che correvano a scuola.

Lo shinobi biondo si irrigidì appena, facendo capire al compagno di aver toccato un tasto sensibile.

“L'hai lasciata?”

“Diciamo che... ultimamente ci vediamo poco.” replicò l'altro, un'espressione corrucciata ad incupirgli il volto. “Lei sta seguendo una terapia di riabilitazione, ed io sono troppo occupato con il lavoro. Tuttavia... forse è meglio così.” scosse la testa, quasi volesse scacciare una mosca fastidiosa, un sorriso solare di nuovo sul viso. “Ma basta parlare di me! Cosa mi racconti di nuovo? Hai intenzione di fermarti molto questa volta?”

“Fino alla fine dei festeggiamenti per l'anno nuovo.” mormorò Sasuke, gli occhi fissi davanti a lui.

“Sakura ne sarà contenta.” l'espressione di Naruto si addolcì. “Ti ha pensato molto negli ultimi tempi.”

L'Uchiha non sembrò aver sentito l'amico, rimanendo in silenzio a lungo.

“E' da quando siamo piccoli che mi pensa.” rispose infine, il volto pallido contratto. “E' sempre stata... così noiosa.” un flebile sorriso gli spuntò sulle labbra, il primo da quando si erano rincontrati.

“Essere noiosi non è poi così male.” il moro si voltò a fissare il sorriso dell'amico, replicandolo con uno dei suoi. Per un attimo si sentì veramente a casa, come quando era piccolo e seguiva suo fratello negli allenamenti.

“Chissà...” ritornò a fissare la strada davanti a sé, il sorriso sempre stampato sul viso. “Di sicuro tu sei solo un Baka.”

E nonostante tutto, fu veramente felice di sentire la risata dell'amico, calda ed allegra come solo lui era capace di farla.

Sono a casa.

 

 

Hinata fece un profondo sospirò, cadendo sul prato, il corpo completamente zuppo di sudore. Al suo fianco, Kurenai la osservava con sguardo divertito.

“Sei diventata impaziente, Hinata.” mormorò la Jonin, le labbra rosse incurvate in un sorriso. “Dovresti capire che il tuo corpo deve riprendersi in modo costante. Se acceleri i tempi, rischi di pagarne lo scotto.”

“Ha ragione, Sensei.” ansimò la mora, asciugandosi con un braccio le gocce salate che gli orlavano la fronte. “Ma non ho intenzione di darmi pace. Non finché non sarò tornata quella di prima.”

Kurenai fece un sospiro teatrale.

“Povera me! A quanto pare, Naruto ha trovato una vera discepola!” Hinata abbassò lo sguardo, un sorriso timido sulle labbra. “E pensare che una volta non riuscivi neanche a guardarlo negli occhi.” proseguì la moglie di Asuma. “Ne hai fatta di strada.”

“Non ci sarei mai riuscita senza di lei, Sensei.” mormorò la Hyuga. “Nonostante gli anni, lei è sempre qui al mio fianco, aiutandomi.”

“E' il mio compito di Sensei, no?” gli occhi rossi della donna più anziana fissarono quelli color perla della mora. “Coraggio, di nuovo!”

“Sì!”

Erano passate due settimane da quando Hinata si era risvegliata dal coma. Per recuperare le proprie capacità psicofisiche, si era sottoposta a rigide tabelle di riabilitazione scritturate da Sakura. A sorpresa, Kurenai si era proposta di aiutarla negli esercizi, ritornando ad avere quel rapporto allieva e maestra di tanti anni prima. Con Naruto distratto dal suo nuovo impiego, la presenza della Jonin era stata una vera ancora di salvezza per la ragazza. Il loro stesso rapporto era mutato rispetto a quando era una dodicenne timida ed insicura. La differenza di età era sì ampia, ma ormai la Hyuga era una splendida donna, che andava verso i ventitré anni. Inevitabilmente, i discorsi spesso cadevano anche in zone un tempo tabù.

“Richiama il chackra di nuovo sui piedi.” ordinò Kurenai. “Poi prova ad eseguire la rotazione, in modo che quest'ultimo ti dia forza ed esplosività.”

Le successive due ore passarono in fretta. Hinata era una kunoichi di ottimo livello, e con una grande esperienza alle spalle, e faceva progressi molto rapidi da quando Sakura le aveva permesso di richiamare il chackra durante la riabilitazione. Alla fine della mattinata, Kurenai non ebbe nulla da far notare alla sua vecchia allieva, proponendole di andare a mangiare qualcosa. Una volta seduti a tavola però, la donna più anziana notò lo sguardo cupo e pensieroso della Hyuga. Non era la prima volta che Hinata cadeva nei suoi pensieri, come se qualcosa di molto grave l'affliggesse, e questo le dava da pensare: le voleva bene, come se fosse una sorella minore, e si era sentita morire dentro quando aveva saputo che era caduta in coma.

“Hinata, c'è qualcosa che non va?” domandò la Jonin, porgendole alcune polpette di verdura. “Non è la prima volta che sei così pensierosa. È successo qualcosa?”

La ragazza alzò di scatto la testa, fissandola sorpresa. Si sentì colpita nel vivo, terrorizzata all'idea di rivelare le proprie paure più oscure. Non disse nulla, mordicchiandosi il labbro inferiore, chiaro segnale del suo tormento.

“Hinata...”

“Sto bene, Sensei.” sussurrò, iniziando a mangiare di malavoglia, lo stomaco improvvisamente chiuso. “Sono solo un po' stanca.”

Gli occhi rossi della madre di Mirai si contrassero appena, ma dalla sua bocca non uscì una parola. Iniziarono a mangiare in silenzio, ognuna chiusa nei propri pensieri. Dopo circa dieci minuti però, Kurenai decise di riprendere in mano il discorso, partendo però da più lontano.

“Allora, Hinata, come vanno le cose con Naruto?” domandò con un sorriso gentile. “Ormai state assieme da parecchio tempo, se non erro.”

Hinata appoggiò le proprie bacchette lentamente, mentre i suoi occhi si velavano di tristezza.

“Naruto-kun è molto occupato.” sussurrò. “Forse è meglio così.”

Kurenai corrugò le sopracciglia curate, la mente che ribolliva di domande.

“Hinata?”

“La ringrazio per l'aiuto di oggi, Sensei.” proseguì rigidamente la ragazza, alzandosi. “Ma questo pomeriggio credo di potercela fare da sola.” dopo un rapido inchino, la mora uscì dal locale, lasciando la kunoichi più anziana perplessa e preoccupata.

 

 

Quando Anko gli si parò davanti, una volta entrato negli uffici della Squadra Speciale, Naruto tremò. Poteva essere anche uno degli shinobi più forti del Villaggio, ma neanche lui sarebbe stato capace di tenere testa ad Anko quando era infuriata.

“Ehilà bamboccio!” lo salutò la donna, un sorriso inquietante sul volto. “Lo sai che sono più di venti minuti che ti sto aspettando?”

“Ehm... Anko-Sensei... posso spiegare...”

“Ma davvero?” con un gesto fulmineo, Anko si portò alle spalle del ragazzo, stringendolo al collo con il braccio sinistro, le labbra vicino all'orecchio. “Credevo di essere stata chiara quando ti hanno affidato alle mie cure.” sussurrò con voce calda.

“Ma...”

“Shhhhhh” lo interruppe la donna, sempre con voce pericolosamente morbida e vellutata. “Visto che hai un faccino così carino ti ripeterò le cose per questa volta: tu sei stato affidato a me, quindi tocca alla sottoscritta valutare se sei degno o meno di far parte della Squadra Speciale ed a quale reparto essere assegnato. In altre parole, ho diritto di vita o di morte su di te. Sei mio schiavo, e non mi importa se sei un eroe di guerra. Quindi, se ti dico di uccidere una persona tu lo fai, se ti dico di pulirmi casa lo fai, se ti dico di leccarmi i piedi lo devi fare, ma soprattutto, se ti dico di essere puntuale tu devi esserlo. Sono stata sufficientemente chiara questa volta?”

“Limpidissima.” balbettò il ragazzo, deglutendo la massa compatta di saliva che gli si era formata in gola. La voce di Anko aveva un qualcosa che lo metteva a disagio, fin da quando era un ragazzino e lei una giovane, pazza e sadica Jonin.

“Bravo il mio bamboccio.” esclamò lei, leccandogli il lobo sinistro con la lingua. “Se farai il bravo cagnolino, questo periodo potrà risultarti anche piacevole.” si staccò, sorridendo quando vide l'espressione sconvolta sul volto dell'Uzumaki. “Ora, di grazia, vammi a prendere dei dango, e che siano molto dolci e caldi caldi, Tesoro.”

“D-D'accordo.” borbottò Naruto, sempre più convinto che, in realtà, Anko avesse avuto ben altri ordini dall'alto, e che lo stesse schiavizzando solo per il puro gusto di farlo. In quindici giorni di forzata collaborazione non l'aveva ancora vista fare qualcosa di simile ad un lavoro, limitandosi a chiedergli i favori più assurdi, ignobili e bastardi che la mente umana potesse immaginare. Come se non bastasse, la Mitarashi lo sommergeva di studio a casa sui temi più disparati: dall'anatomia umana ai profili psicologi delle varie tipologie di criminali. Un carico di lavoro che uccideva Naruto quando tornava a casa alla sera, già provato dalle lunghe e sfiancanti giornate accanto alla Jonin. Quest'ultima non gli aveva ancora chiesto nulla riguardo quello che gli dava da studiare, ma il biondo non osava sgarrare neanche una volta, terrorizzato all'idea di cosa potesse capitargli in quel caso.

Dopo averle comprato dei dango, ovviamente a spese sue, Naruto la lasciò sola nel suo ufficio a mangiarli, consapevole di avere giusto il tempo per un rapido caffè in pace. Anko sarebbe stata troppo impegnata ad ingozzarsi per tartassarlo.

“Uzumaki Naruto!”

No, decisamente quello non era il suo giorno fortunato. Specie se a caricarlo era una tipa con lunghi capelli rossi, pelle scura, secca come un chiodo che lo fissava come se avesse deciso di sbranarlo seduta stante.

“Uzumaki Naruto! È oltre un'ora che vengo sballottata in questo posto di merda!” ringhiò con fare 'signorile' Karui della Nuvola, gli occhi ambrati che bruciavano di rabbia. “Ho aspettato per oltre un'ora un pezzo di merda di nome Shikamaru Nara, solo per scoprire che oggi è il suo giorno libero!”

“Capisco...” in realtà Naruto non ci stava capendo nulla, specie perché se la stesse prendendo con lui. La sua vita era già così difficile con Anko a schiavizzarlo, perché doveva mettersi di mezzo anche quel condensato di rabbia e odio?

“Mi stai prendendo per il culo?!” sbottò la rossa, ringhiando come un cane rabbioso. “Ho bisogno di un accompagnatore, visto che per accedere al vostro archivio serve la presenza di un Chuunin di Konoha quanto meno. Quindi ora tu mi accompagnerai!”

“Io dovrei fare cosa?!” sbottò il biondo, domandandosi per quale motivo l'intero genere femminile complottasse contro di lui quel giorno. Eppure quella mattina il ritorno di Sasuke l'aveva messo così di buon umore.

“Qualcosa in contrario?” sputò Karui, i pugni già pronti a stampargli un paio di ricordini sul volto.

“Beh, ecco... assolutamente no!” tentò di barcamenarsi lo shinobi. “Il fatto è che sono già molto impegnato oggi e quindi...” i suoi occhi cerulei, guizzando in giro, trovarono improvvisamente un'ancora di salvezza nella massiccia mola del placido Choji Akimichi, intendo ad uscire dall'ufficio di Ino proprio in quell'istante, l'onnipresente pacchetto di patatine in mano.

“...quindi oggi ti accompagnerà in giro Choji!” proseguì a voce più alta, richiamando l'attenzione di quest'ultimo. Ignorando bellamente lo sguardo da pesce lesso dell'amico, Naruto gli mise un braccio attorno alle spalle mascoline con incredibile disinvoltura, un sorriso falsissimo sul viso.

“Come dicevo, oggi sono veramente impegnato! Ma il qui presente Choji Akimichi sarà più che lieto di farti da accompagnatore!”

“Ma... veramente...”

“Devi sapere che il nostro Choji è un grandissimo ninja, orgoglio e vanto di Konoha! Senza contare che appartiene anche ad uno dei clan più antichi e gloriosi del Villaggio!” nei successivi cinque secondi, il tempo in cui Karui studiava la faccia di Choji, l'Uzumaki sudò freddo, pregando disperatamente che l'amico gli reggesse il gioco. Onestamente, non aveva idea se fossero peggio i pugni della kunoichi della Nuvola, oppure il sadismo bastardo di Anko.

“Tsk, uno vale l'altro.” dichiarò sprezzante la rossa, incamminandosi a larghe falcate verso l'uscita.

“Naruto, si può sapere cosa sta succe...”

“Tu seguila e fai tutto quello che ti dice, per oggi!” lo interruppe rapidamente il biondo, spingendo l'amico verso l'uscita. “Stai tranquillo, è tutto sotto controllo.” Choji non sembrò particolarmente convinto, ma seguì docilmente Karui, la quale stava già sbraitandogli contro, urlando di muoversi. Naruto riprese a respirare normalmente soltanto quando i due furono spariti dalla sua vista. Stava già cominciando a pregustarsi il caffè caldo che si sarebbe preso alle macchinette, quando la voce soave di Anko risuonò nel corridoio.

“Ehi, Bamboccio... avrei bisogno di un massaggio alle spalle. Sai, ultimamente sono troppo stressata. Deve essere il lavoro.”

Per me è quel moccioso Uchiha che ti porta sfiga.”

Kurama...” gemette lo shinobi biondo, terrorizzato all'idea di dover massaggiare la schiena della Mitarashi. “Per favore, non metterti anche tu.”

Poteva sopportare le angherie di Anko. Dopotutto, aveva passato l'infanzia a stretto contatto con due bastardi come Kiba e Sasuke, senza dimenticare l'isterismo estremamente manesco di Sakura. I ricatti di quella donna, per quanto degradanti, ignobili e stronzi, erano passabili, anzi quasi sopportabili. Tuttavia, la cosa che più lo faceva incazzare era vedere Kurama godersi lo spettacolo, completamente spaparanzato, un ghigno da vero stronzo sul muso.

Che mani delicate, dovevi fare il massaggiatore al posto del ninja.” Naruto non gli rispose, sapendo che farlo gli avrebbe dato veramente troppa soddisfazione.

Per me tra poco ti adotta se continui così. Dove lo trova un altro imbecille che le fa da schiavetto?”

Ti vorrei ricordare che il suddetto imbecille ti ha gonfiato di botte, e che può farlo di nuovo!” al diavolo la soddisfazione di quella volpe malefica, non poteva lasciarle dire tutto quello che voleva!

Certo.” ghignò il Kyuubi. “Ma dopo chi massaggerà le spalle al tuo capo? Non vorrai mica deludere Anko-Sensei?”

Ti odio.”

“Ahhhh sì, hai delle mani magnifiche, bamboccio!” esclamò Anko, allungando i muscoli delle spalle. “Dopo fammene uno anche ai piedi, grazie.”

Naruto digrignò i denti, ma rimase zitto, ubbidendole diligentemente, il tutto mentre Kurama si rotolava dalle risate.

Prima o poi ti metterò una museruola!”

Se prima però mi limassi qualche artiglio scheggiato...”

 

 

Quella sera, quando finalmente Anko si decise a lasciarlo libero, Naruto strisciò stancamente fuori dagli uffici della Squadra Speciale, con il solo obiettivo di ingozzarsi di ramen e morire a letto.

“Voglio ucciderla.” borbottò di malumore. Anko quel giorno era stata più stronza del solito, facendogli sistemare il proprio archivio. Non credeva che una singola persona potesse accumulare un numero tale di fascicoli e conservarli così male. Il ragazzo era arrivato al punto di mettersi a piangere appena vedeva un pezzo di carta, dopo avere ore passato in mezzo a fascicoli polverosi e mangiati dalle tarme.

“Ehi, Naruto!” ormai sul punto di mettersi ad urlare in mezzo alla strada, il biondo si girò, soltanto per trovarsi di fronte Choji, il quale sfoderava un sorriso da orecchio a orecchio.

“Choji, cosa h...”

“Volevo ringraziarti per stamattina!” proseguì l'Akimichi, sempre sorridendo come se avesse appena ingoiato una torta di cioccolato, con tanto di vassoio. “Karui è la ragazza più dolce del mondo! Pensa che ha pure la passione per la cucina!”

“Ragazza... dolce?” Naruto ci mise qualche istante a ricordarsi di come aveva appioppato all'amico la pazza furiosa della mattina. Si chiese cosa diavolo fosse successo tra di loro, dato che a lui la kunoichi della Nuvola era parsa tutto tranne che dolce.

“Sì, esatto! È magnifica!” proseguì con aria sognante il Chuunin. “Non avevo mai conosciuto una come lei. Pensa che vuole vedermi di nuovo domani pomeriggio! Un appuntamento... io! Ma ci pensi?!”

“Sì... beh, congratulazioni amico!” fece il Jinchuuriki, sorridendo stancamente. Faceva fatica ad immaginarsi quei due assieme, erano quanto di più diverso ci fosse al mondo: magra e nervosa lei, placido e cicciotello lui. Tuttavia, mentre osservava Choji allontanarsi, il sorriso sognante ancora sul volto florido, non poté fare a meno di sperare per l'amico di aver trovato la ragazza giusta. Era ancora immerso in quei pensieri quando una mano gli si poggiò sulla spalle, distogliendolo dalle avventure amorose dell'Akimichi.

Davanti a lui, sorridente, c'era Iruka.

“Ramen?” propose subito il suo vecchio maestro, tirando fuori un florido pacco di banconote. Naruto non poté fare a meno di sorridere, mentre annuiva, di nuovo in pace con il mondo.

Forse quella non era una giornata da buttare.

 

 

Naruto appoggiò sul bancone di Ichiraku, con un sospiro soddisfatto, la terza ciotola di ramen, chiedendone subito una quarta. Trattenne un rutto a stento, mentre al suo fianco Iruka si godeva ancora la prima portata.

“Allora...” esordì quest'ultimo, conscio che prima della terza porzione difficilmente Naruto aveva voglia di fare qualcosa di diverso dal riempirsi lo stomaco di ramen bollente. “Ho saputo che sei entrato nella Squadra Speciale. Complimenti! Non è da tutti.”

“In realtà non è così figo come può sembrare.” borbottò il biondo, giocherellando con le bacchette. “Attualmente sono solo in prova, e il mio supervisore è quella pazza di Anko, la quale non fa altro che ricattarmi tutto il giorno!”

Iruka scoppiò a ridere.

“Sì, è sempre stata un tipo vivace.” dichiarò, chiedendo una seconda porzione. “Era una classe davanti alla mia all'Accademia, e mi ricordo che gli insegnanti avevano il terrore di lei! Era davvero tremenda! Tuttavia, non è cattiva. Credo che stia facendo tutto questo solo per metterti alla prova, per capire se hai la stoffa di entrare a far parte dell'Intelligence del Villaggio.”

“Dubito che farle massaggi ai piedi, o comprarle quei fottutissimi dango sia utile per capire tutto questo.” replicò di malumore il ragazzo, attaccando la quarta porzione. “Per me si sta solo divertendo alle mie spalle, quella sadica!”

“Ascolta Naruto, io credo che Anko sappia quello che sta facendo.” proseguì il moro, fissando il suo allievo preferito con affetto. “E' una kunoichi abilissima, e mi fido di lei. Forse il tuo problema è solo questo: non hai fiducia.”

Naruto lo guardò con fare perplesso, gli spaghetti che penzolavano a mezz'aria dalla bocca. Iruka gli fece l'occhiolino, mentre terminava la sua seconda porzione, un sorriso caldo sul volto.

“Prova a darle fiducia. Sono sicuro che c'è un motivo dietro a queste richieste, quindi... fai del tuo meglio!” il suo vecchio Sensei gli scompigliò la zazzera bionda, ridacchiando. “Ho fiducia in te!”

“Sempre sul pezzo, eh Sensei?” fece l'Uzumaki, sorridendo, chiedendo subito dopo la quinta porzione.

“Ovvio! Tu potrai anche essere l'eroe di tutti gli shinobi, ma non dimenticare da dove sei partito. Non mi faccio certo mettere i piedi in testa dal mio fratellino!” scherzò il moro, attaccando anche lui una nuova ciotola.

Naruto scoppiò a ridere, subito imitato da Iruka. Dentro quel chiosco di ramen, il tempo parve tornare indietro, a quando quest'ultimo era un giovane insegnante dell'Accademia, e Naruto un teppista da due soldi, bravo solo a combinare scherzi ed ingozzarsi di ramen.

E lui avrebbe preferito davvero che il tempo fosse tornato sui suoi passi.

“Mi prepari altre tre porzioni!”

“Ohi, Naruto...”

“Tanto offre lei Sensei, no?”

“Sì, ma il mio portafoglio ha un limite!”

“Altre quattro!”

“Naruto! Sei il solito pozzo senza fondo!”

 

 

Molto più tardi, dopo aver accompagnato Iruka a casa, Naruto scorse una figura attenderlo davanti alla porta di casa. Non appena la riconobbe, il suo stomaco fece un sussulto: era Hinata.

“Hinata.” la salutò con un sorriso stanco, alzando la protesi. “Cosa ci fai in giro a quest'ora?”

Lei abbassò gli occhi. Tra le mani teneva una voluminosa borsa, da cui spuntava fuori un filone di pane. Il ragazzo non ci mise molto a comprendere come stavano le cose, sentendosi uno schifo: era stato ore a divertirsi con Iruka, mentre Hinata lo aspettava fuori al freddo.

“Hinata... mi dispiace, non lo sapevo.” biascicò. Quelle parole gli parvero patetiche anche alle sue orecchie. “Se lo avessi saputo...”

“Non è un problema, Naruto-kun.” osservò lei con voce fredda. Gli diede la schiena, allontanandosi a passo rapido. Prima ancora che potesse richiamarla, Hinata sparì nella gelida notte invernale, lasciandolo solo, stanco e schifosamente afflitto.

“Bella serata, non è vero?”

Oh Kami, ci mancava lei! Naruto si girò, ritrovandosi davanti Hanabi, la quale lo squadrava con espressione divertita sul volto, il corpo minuto racchiuso nell'armatura degli ANBU.

“Tu sì che ci sai fare con le donne.” lo prese in giro la mora. “Dovresti scrivere un libro: 'Le tattiche amorose di Naruto Uzumaki', successo garantito per tutti gli uomini in crisi di rapporti con il gentil sesso.”

“Non ho molta voglia di ridere stasera!” replicò freddamente il ragazzo, iniziando a cercare la chiave di casa. “E' stata una lunga giornata, e probabilmente ho appena fatto una figura di merda cosmica con la mia ragazza. Ripassa un'altra volta per sfottere!”

“Ohi!” Hanabi richiamò la sua attenzione, sventolandogli un paio di sacchetti sotto il naso. Il tintinnio del vetro al loro interno gli fece subito capire cosa contenessero.

“Bevuta?” davanti allo sguardo perplesso di lui, la ragazza perse la pazienza. “Non sei stato l'unico ad avere una giornata pesante! Ti decidi ad aprire quella porta? Sai, non è che quest'armatura sia proprio confortevole.”

Naruto sospirò, aprendo con uno scatto secco la serratura di casa. Si rassegnò mentalmente a non studiare nulla quella sera: dubitava che Hanabi l'avrebbe lasciato in condizioni tali da prendere un libro in mano.

“E va bene.” si fece da parte, un'espressione esasperata sul volto. “Entra, disgrazia!”

Lei gli mostro uno dei suoi classici sorrisi, di quelli che mettevano in imbarazzo chiunque, entrando senza troppi complimenti.

“E comunque mi offri da mangiare, stronzo.”

 

 

Con un colpo secco del polso, Naruto trangugiò la prima birra in pochi sorsi, il palato che assaporava l'aroma del luppolo. Si sedette sul divano con un sospiro, mentre Hanabi rovistava la cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare.

“Dovresti spiegarmi una cosa.” gli urlò la mora dall'altra stanza. “Cosa te ne fai di trenta confezioni di ramen precotto? È una porcata piena di conservanti!”

“Mi sorprende che parli proprio tu.” replicò il ragazzo. “Non siete voi ANBU quelli che si ingozzano di pillole del guerriero ed altre robacce chimiche?”

“Chi te l'ha detto?” domandò lei, ritornando in salotto con in mano praticamente l'intero contenuto del suo frigorifero.

“Sakura-chan.” borbottò lui, stappandosi una seconda birra. “Dice che quelle cose sono piene di steroidi, anabolizzaqualcosa e porcate simili. Robe ormonali di quelle toste insomma!” sogghignò. “Non mi sorprende che sei piatta come una tavola, visto che mangi quelle schifezze.”

“Ah ah, ho dimenticato come si ride!” replicò piattamente la kunoichi, iniziando a mangiare con fare famelico, sorprendendo parzialmente l'amico.

“Toglimi una curiosità: quanti giorni è che non mangi?”

“Ieri sera!” bofonchiò lei, sputacchiando pezzetti di carne essiccata sul tavolo, riempiendosi ogni anfratto della bocca con tutto quello che le capitava sotto mano. “Stamattina non ho avuto tempo di fare colazione, e sono stata di turno tutto il giorno.” si stappò una bottiglia con i denti, iniziando a sorseggiarla avidamente, buttando giù così il gigantesco boccone di prima.

“Ma non eri finita in punizione? Insomma, credevo che assalire i tuoi commilitoni fosse una cosa piuttosto seria.”

“Lo sono.” replicò cupamente Hanabi, attaccando una porzione di polpette precotte. “Fino alla fine dell'anno devo pulire i cessi, gli armadietti e cose simili. Una gioia!” fece sarcasticamente, iniziando a ficcarsi in bocca manciate di polpette. Era incredibile che un corpo così minuto potesse contenere così tanta roba da mangiare. “Senza contare che devo farlo tenendo l'uniforme ufficiale. Prova tu a pulire un fottuto gabinetto vestito di tutto punto per andare in battaglia!”

“Se la mettiamo sul piano lavorativo io non sono messo molto meglio!” davanti allo sguardo interrogativo della mora, Naruto gli narrò le proprie disavventure con Anko, creando un violento attacco di ilarità nella ragazza più giovane.

“E pensare che ti sto permettendo di svuotarmi la dispensa, e tu come ringraziamento mi sfotti.” borbottò lo shinobi, bevendo un sorso di birra ambrata.

“Ehi, io ho portato le bevande.”

“Calde. Sai che bontà la birra calda?”

“Vorrei ricordarti che siamo in pieno inverno, e che sono a temperatura ambiente.”

“Tanto devi sempre avere ragione tu...” Hanabi non rispose soltanto perché era impegnata a buttare giù l'ennesimo pezzo di pane condito con salsa alla soia. Alla fine, dieci minuti dopo, la ragazza emise un verso di soddisfazione. Naruto osservò mestamente ciò che rimaneva della sua dispensa con occhio triste.

“Avevo fatto la spesa ieri.” sospirò, mentre la mora si massaggiava la pancia gonfia.

“Che mangiata! Erano settimane che non mi riempivo lo stomaco così di gusto!” esclamò, sorseggiando lentamente l'ennesima birra. “Se fossi tornata a casa mi avrebbero impedito di mangiare così bene! Ti ringrazio!”

“Dovere.” borbottò Naruto, mentre il suo portafoglio piangeva al pensiero di cosa avrebbe dovuto comprare il giorno dopo per rimpinguare le scorte di cibo in casa, miseramente ridotte da quello scricciolo di ragazza. Neanche le salse erano state risparmiate dalla sua furia. “Ora comprendo perché sei venuta a farmi visita: volevi ripulirmi la dispensa.”

“Beh... sì, quello era il mio obbiettivo primario.”

“E se fossi stato impegnato? Se Hinata fosse entrata, tu avresti passato la notte a stecchetto.”

“Naruto, conosco mia sorella.” sbuffò lei, sistemandosi una ciocca di capelli, mentre si sedeva sul divano affianco all'amico. “Sapevo benissimo che sarebbe finita in questo modo. Senza offesa, ma a volte siete veramente patetici voi due.”

“Cosa intendi dire?”

“Che è palese che siete cotti. Anzi, a dirla tutta è piuttosto pesante vivere con una persona che non fa altro che disegnare la tua faccia ovunque.” il volto di Hanabi era serissimo. “Sinceramente, hai idea di quanti album pieni di tuoi ritratti abbia trovato nel corso degli anni, durante il mio frugare quotidiano nella stanza di mia sorella?”

“Il tuo cosa?”

“Dimentica.” fece lei con noncuranza. “Il punto è un altro: mia sorella è pazza di te, e mi sembra di capire che anche tu te la mangi con gli occhi.” il volto di Naruto si imporporò. Gli faceva strano parlare di quelle cose con la sorella minore della sua ragazza, quasi fosse imbarazzato dalla loro differenza di età. Hanabi invece sembrava trovarsi a suo agio, come se stesse discutendo del tempo. “Eppure, nonostante questo, non fate altro che crearvi infiniti problemi mentali, per qualunque cosa! Non capisco perché non potete copulare come qualsiasi altra coppietta felice, invece di struggervi in tutte queste sciocchezze!”

“Non è proprio così. Il fatto è che...”

“Bla bla bla!” lo interruppe la mora, facendogli il verso. “Sono solo scuse! Lei ti adora, e tu adori lei. Sbaciucchiatevi e piantatela di farvi tutti questi problemi!”

“Io lo vorrei!” sbottò il Jinchuuriki, infastidito dal sorbirsi lezioni di vita da una persona più giovane di lui. “Ma è lei che ultimamente mi evita! Ha sempre la testa fra le nuvole, oppure fa come stasera: mi pianta in asso senza uno straccio di spiegazione!”

“Naruto, sei proprio un babbeo!” sospirò esasperata la Hyuga. “L'hai ignorata completamente nelle ultime settimane. È ovvio che quando ti sei degnato di rivolgerle la parola sia scappata: sembrava quasi che tu le stessi facendo un favore, facendola sentire di troppo!”

“Ma perché non dirmelo?! Perché fare tutte queste sceneggiate?!” lo shinobi allargò le braccia, confuso da quella spiegazione.

L'occhiata che ricevette dalla giovane ANBU valse più di mille parole.

“Ti prego, non rispondermi dicendo che le donne fanno così!” esclamò il biondo. “Perché è la volta buona che mi metto con Sasuke! Almeno lui lo capisco! Se aveva un problema, perché scappare?!”

Hanabi sospirò. Improvvisamente, sentì di essere molto vicina alla sorella: almeno lei doveva sorbirsi la stupidità dell'Uzumaki solo per quella sera.

“Naruto, usa il cervello, sempre se ne possiedi uno: si è ripresa da un coma da poco più di due settimane. È scossa, stanca, senza contare che sospetto abbia anche qualche problema di salute, visto che ultimamente va sempre da Sakura. Si sarebbe aspettata che tu le stessi vicino, non che ti rendessi irreperibile causa lavoro, spuntando fuori solo per lamentarti di quanto la tua giornata sia stata orribile!”

Naruto aprì e richiuse la bocca più volte, senza riuscire ad emettere un solo suono. Era vero, era tutto schifosamente vero. Si era comportato come un egoista, stronzo ed insensibile, pensando solo ai suoi problemi, senza minimamente ipotizzare che anche per lei quel periodo non doveva essere stato facile. Proprio quando Hinata aveva più bisogno, lui le aveva voltato le spalle.

Hina-chan...

Rivolse lo sguardo verso i propri piedi, incapace di reggere quello di Hanabi, così terribilmente simile al suo, la mente venne invasa da tutti i ricordi degli ultimi giorni, mentre vedeva la verità delle parole della kunoichi al suo fianco. La vedeva lì, stampata a fuoco, sotto la pelle, che bruciava da impazzire, ricordandogli i suoi errori.

Sono stato una merda.

Venne riscosso dai suoi pensieri da un buffetto di lei. Alzò per un istante gli occhi, vedendola sorridere.

“Ora vedi di non farti troppi problemi.” dichiarò la mora, bevendo un sorso di birra. “Hinata ti ama da impazzire. Non ci metterai molto a farti perdonare.”

“Non è questo il punto.” mugugnò lui, di pessimo umore. “Ho fallito. Desideravo renderla felice, e invece la sto solo deludendo!”

“Ohi!” Hanabi gli afferrò il viso con le mani, costringendolo a guardarla. “Hinata ti ama.” ora il suo tono era serio, adulto. “E sa che non sei lo stronzo di stasera. Credo che ti conosca meglio di tanti altri, e ha fiducia in te.” lo lasciò andare, riprendendo a bere. “Sai già cosa fare. Quindi vedi di non buttare via tutto quanto.”

Rimasero a lungo in silenzio. Naruto guardò con occhio diverso la mora al suo fianco, rendendosi conto di come fosse diventata una vera donna, forte e sicura di sé. Sotto un certo aspetto, le ricordava molto Hinata.

“Hinata sarebbe fiera di sentirti parlare così.” dichiarò infine. “Sei diventata una donna in gamba, Hanabi.”

Lei sollevò le sopracciglia, in un'espressione di finta sorpresa, nel tentativo di sopprimere il moto di gratitudine che quelle parole le avevano scatenato dentro.

“Solo perché Hinata si è presa tutte le tette, non significa che non mi abbia lasciato anche un po' di cervello.” scherzò, tastandosi il seno, una prima scarsa. “Comunque ti ringrazio, mi ha fatto piacere parlare con te.”

“No, sono io che ti devo ringraziare.” fece lo shinobi, un sorriso stanco sul volto. “Questa è la seconda volta che mi dai una grossa mano. Prima o poi, dovrò ripagarti.”

Per tutta risposta, Hanabi si alzò di scatto, barcollando vistosamente.

“E' meglio che vada.” rispose, camminando come se indossasse dei trampoli molto scomodi. “O va a finire che mi porti a letto a furia di fare lo sdolcinato.”

Naruto rise di gusto quando la vide finire con il sedere a terra. La aiutò a rialzarsi, mentre le si appoggiava completamente, troppo brilla per mantenere l'equilibrio.

“Forse è meglio se resti a dormire qui.” propose lo shinobi biondo, guadagnandosi un'occhiata strana da parte della kunoichi.

“Tu vuoi che stasera finisca in tragedia.” borbottò, traballando. “Ti ricordo che mia sorella è la tua ragazza!”

“Dormirò sul divano.” fece lui, grattandosi la testa, a disagio anche solo a pensare ciò che aveva insinuato la giovane ANBU. “E' una promessa!” aggiunse, vedendola dubbiosa.

Alla fine, dopo altri cinque minuti di insistenze, Hanabi si fece guidare in camera di lui. Qui Naruto impiegò altri dieci minuti per convincerla a farsi aiutare per togliere l'armatura, essendo ormai goffa e con la mente annebbiata dall'alcool. Quando infine anche l'ultimo pezzo di essa cadde sul pavimento con un rumore secco, la ragazza si buttò sul materasso, gli occhi annebbiati dalla stanchezza.

“Mi fa strano dormire qui.” biascicò con voce impastata dal sonno. “Chissà quante porcate ci avete fatto te e mia sorella.”

“Ma allora la tua è una fissazione!” replicò esasperato il Jinchuuriki. “Dovresti essere meno indiscreta, sai? A volte diventi fastidiosa!”

“Come se... se quello che dico... non fosse vero...” borbottò. Fu l'ultima frecciatina. Pochi minuti dopo, Hanabi russava sonoramente. Il ragazzo tornò in salotto, scuotendo la testa. Si sedette sul divano, indeciso se riordinare o meno il caos lasciato dalla ragazza. Alla fine ci rinunciò, troppo stanco e con la mente piena di pensieri.

Hina-chan.

Era veramente abbattuto. Hinata era tutto per lui: la donna che amava, la sua famiglia, il suo sostegno, qualcuno di cui sapeva potersi sempre fidare. Eppure aveva dato tutto per scontato, lasciandola sola, dentro un corpo debilitato, che l'aveva tradita.

Credo che abbia dei problemi fisici. Ultimamente va sempre da Sakura. Le parole di Hanabi gli rimbombarono nel cervello, mentre i sensi di colpa lo laceravano.

 

 

Cosa fai qua?! Scappa, lui ti ucciderà!”

Lo so. Ma questa volta voglio essere egoista.”

Cosa diavolo stai dicendo?! Hinata, vattene via!”

No. Prima mi arrendevo subito, e non facevo altro che piangere. Ma tu mi hai aiutato, hai creduto in me, mi sorridevi quando tutti gli altri mi disprezzavano. Tu mi hai salvata, il tuo sorriso mi ha salvata, Naruto-kun. Ed ora voglio essere io a salvare te.”

Hinata...” un sorriso magnifico si delineò sulle sue labbra.

Perché io... io ti amo.”

HINATA!”

 

 

Cadde in un sonno inquieto, il viso segnato da lacrime amare, ricolme di sensi di colpa. Sognò il suo volto, quelle fattezze che aveva impiegato anni ad amare. Il sorriso di lei lo colpì con una stilettata dolorosa, anche se incredibilmente dolce.

Hinata...”

Naruto-kun... è questo il mio Nindo.”

HINATA!”

Si alzò di soprassalto, il corpo ricoperto di sudore. La stanza era fredda e silenziosa, mentre i primi raggi del mattino illuminavano la casa. Si passò la protesi sul volto, sospirando stancamente, il battito del cuore che lentamente si calmava.

Si accorse subito che Hanabi era già andata via: aveva sistemato il salotto e la cucina, lasciandogli un biglietto sul frigo.

 

Grazie per la serata e il cibo. Le parole di ieri sera erano dettate dalla birra.

 

Hanabi

 

P.S: il tuo letto è favoloso. Ora capisco perché mia sorella vuole sempre dormire da te!

 

L'angolo sinistro della bocca si incurvò, dando vita all'ombra di un sorriso. Era impossibile non provare simpatia per Hanabi. La sua sfacciataggine, unita a quel sorriso di perenne sfotto che teneva sempre sulle labbra, gli facevano rimpiangere di non averla conosciuta qualche anno prima.

Hanabi. Corse in bagno a prepararsi, in ritardo per il lavoro. Grazie, sei veramente un'amica.

L'acqua della doccia era bollente. Gli penetrò con forza dentro la pelle, sciogliendogli la schiena, indolenzita per la notte passata sul divano. I suoi occhi fissavano le goccioline di condensa che scendevano pigramente lungo il muro, immaginando come dovesse essere una di loro: una singola corsa, prima di mescolarsi a tutte. Un unico attimo di splendore, di vita, prima della morte.

Appoggiò la mente al muro, gli occhi spenti, stanchi, tristi. Si sentiva uno stupido, e francamente non aveva idee su come farsi perdonare da Hinata, su come farle capire che non era uno stronzo che dava tutto per scontato.

Sasuke ha ragione: sono un Baka.

Mentre usciva di casa, i capelli ancora umidi, il suo occhio cadde sulla foto dei suoi genitori. Il sorriso caldo e tranquillo di Minato era bello da vedere, specie affianco a quello sbarazzino di Kushina. Le sue labbra si stirarono in qualcosa di vagamente simile ad un sorriso. Prese in mano la foto, sfiorando i loro volti, ormai nulla più che un ricordo impresso su carta.

Mamma... Papà...

Un'immagine si sovrappose improvvisamente a quella da lui vista migliaia di volte: venivano ritratti sempre un uomo ed una donna, ma erano diversi. L'uomo era anch'esso biondo, ma i capelli non erano lisci e ordinati, ma tenuti con una corta zazzera. Il sorriso della donna era più calmo, gentile, mentre i capelli, neri come l'ala di un corvo, incorniciavano un volto che lui conosceva molto bene.

Hinata... rapida come era giunta, l'immagine sparì, lasciandolo perplesso. I suoi occhi erano rivolti verso il vuoto, mentre quei volti sorridenti rimanevano impressi con forza nella mente.

I sorrisi di lui e Hinata. Felici, assieme, uniti.

Hinata. Deglutì, mentre un'idea si delineava nella sua mente. Era folle, stupida e sapeva benissimo che tutti i suoi amici l'avrebbero definito un idiota a volerla attuare.

Però lui voleva provarci lo stesso.

Uscì di casa, imboccando una via diversa da quella che percorreva di solito per andare a lavoro.

La spesa avrebbe dovuto attendere un altro giorno.

 

 

Il bussare alla porta distolse Kakashi dall'ennesimo documento.

“Avanti.” ordinò con voce stanca, appoggiando la penna. Nonostante fosse mattina presto, era al lavoro già da parecchie ore. Aveva quasi iniziato a rimpiangere il suo lavoro negli ANBU. In un angolo della sua mente, il Copia Ninja si domandò se anche Sensei Minato avesse avuto quelle difficoltà nello svolgere il suo lavoro da Hokage. Le sue elucubrazioni in merito vennero accantonate quando vide il sorriso furbo di Anko fare capolino dalla porta.

“Anko, quale piacere.” la salutò l'albino, invitandola a sedersi. La kunoichi preferì rimanere in piedi, salutandolo con un cenno della testa. Nonostante la Mitarashi avesse sempre avuto un forte rispetto delle gerarchie, con Kakashi le piaceva prendersi qualche libertà. Dopotutto, erano pur sempre compagni dai tempi dell'Accademia.

“Come procede la vita, Hokage? Non ti stanchi mai di ammuffire qui dentro?”

“Diciamo che comincio a capire l'alcolismo di Tsunade-hime.” le labbra dell'Hatake si incurvarono sotto la stoffa della maschera.

“Dubito che bevesse per via dello stress. Quella spugna di donna trinca più e peggio di prima.” Kakashi non poté che fare un piccolo cenno con il capo. Era rinomata la passione per il saké del Quinto Hokage, e non era insolito trovarla sbronza in qualche locanda del Villaggio alla sera.

“A cosa devo questo piacere, Anko? Se non sbaglio, dovresti valutare l'idoneità di Naruto.”

“Oggi non si è fatto vivo. Sospetto di essere stata un po' troppo vivace con lui ultimamente.” replicò la donna con una scrollata di spalle. “Ho pensato che fosse il caso di passare di qua, per comunicarti l'esito della mia valutazione.”

“E sarebbe?”

Le labbra della Mitarashi si incurvarono nel suo celeberrimo sorriso malefico.

“Direi che ha talento. Un po' tardo... ma ha tutte le carte in regola per sostituirti in futuro.” rispose. “Ho deciso di promuoverlo tuo assistente. Lavorerà a stretto contatto con il Consiglio e Shikamaru Nara, e sarà sotto le tue dirette dipendenze.”

Davanti a quella affermazione, Kakashi non rispose subito, alzando il sopracciglio sinistro, leggermente perplesso.

“E per arrivare a questa conclusione serviva ricattare quel ragazzo per oltre due settimane?”

“In che senso?”

“Anko, non offendere la mia intelligenza. Posso capire qualche scherzo innocente, ma farti massaggiare i piedi... questo è sadismo.”

“Sei in vena di botte, Hatake?” replicò lei, il sorriso folle sempre sul viso.

“Non mi permetterei mai di offendere la tua bellezza.” aggiunse subito, con tono pacato, l'Hokage. Davanti a quello sguardo penetrante, la donna si sentì vagamente a disagio.

“E va bene!” sbuffò. “Ho voluto giocare un po' con lui. In ogni caso, se tu mi avessi dato un assistente giovane e carino, come ti chiedo ormai da anni, tutto questo non sarebbe successo.”

“Direi che i miei dubbi sull'argomento erano fondati, visto come hai trattato il mio vecchio allievo.” davanti a quell'affermazione, Anko sollevò gli occhi al cielo, girando i tacchi per andarsene. Sulla soglia, tuttavia, si fermò.

“Ohi, Kakashi.” fece, rivolgendogli il suo inquietante sorriso. “Stasera verso le nove riesci a liberarti?”

L'Hatake sollevò le sopracciglia, sorpreso da quel repentino cambio di argomento.

“Dipende dalla proposta.”

“Tu, io, la vecchia compagnia, una montagna di dango e abbastanza alcool da convincerti a togliere quella mascherina del cazzo.”

“Lo sai che non amo i dango.”

“Non cominciare a tirare fuori scuse!”

“Per vecchia compagnia intendi...?”

“Devo farti la lista completa?” sbuffò la Jonin. “I soliti: Genma, Aoba, Ebisu, Kurenai, Yugao, Raido, Yamato e quel folle di Gai ovviamente!”

“Sembra che non mancherà proprio nessuno.” sospirò il Copia Ninja. “Immagino che non posso rifiutarmi di venire, giusto?”

“Se poi ti togliessi quel ridicolo cappello... altrimenti Ebisu e Raido si seccheranno la lingua a furia di riverenze e cazzate simili.”

“D'accordo, niente cappello.” Kakashi sorrise. Nonostante tutto, passare del tempo con la vecchia guardia gli faceva piacere. “Comunque, fammi un piacere Anko: cerchiamo di non concludere la serata come ai vecchi tempi.”

Il sorriso della Mitarashi sparì di colpo, sostituito da un'espressione rabbiosa, gli occhi che lanciavano fiamme.

“Come se non ti piacesse l'idea di scoparmi di nuovo, stronzo!” sbottò, chiudendosi la porta alle spalle con così tanta forza che il ritratto del Terzo Hokage si inclinò.

Kakashi ritornò alle proprie carte con un sospiro. Nonostante gli anni, Anko non cambiava mai. Non che lui desiderasse il contrario, ma ogni tanto gli sarebbe piaciuto che quel peperino di donna si desse una calmata.

Stasera sarà interessante rivederli tutti.

 

 

Cadde in ginocchio, i polmoni in fiamme. Gocce calde le scivolavano pigre dalla fronte, mentre tentava di recuperare fiato. Ogni giorno era sempre più dura resistere agli attacchi di nausea, celandoli dietro ad un sorriso posticcio.

Ce la faccio. Strinse i pugni, rialzandosi lentamente. È questo il mio Nindo.

Alzò lo sguardo, osservando il viso preoccupato del suo Sensei. Stirò le labbra in un sorriso falso, ormai divenuto per lei quasi naturale. Una maschera con cui desiderava coprire il suo segreto.

Non voglio essere un peso.

“Hinata, sei sicura di poter continuare?” mormorò Kurenai. “Ti vedo stanca oggi.”

“Ce la faccio.” mormorò la Hyuga, mettendosi in posizione di guardia. “La prego, andiamo avanti.”

Sangue, dolore.

“Hinata!”

Sentì il liquido caldo e viscoso scorrerle tra i denti. I piedi erano ogni giorno più deboli, rendendole quasi impossibile mantenere i ritmi che la riabilitazione chiedeva. Si fece forza sulle braccia, alzandosi lentamente, la bocca gonfia e dolorante.

“Non sforzarti, ci sono qua io.” Kurenai la prese per il braccio sinistro, aiutandola a rimettersi in piedi. L'ennesimo fardello per gli altri.

No...

Si liberò con uno strattone, decisa più che mai a farcela da sola. Non voleva più essere un peso per gli altri, mai più.

Voglio farcela da sola!

Le vertigini la colpirono con forza improvvisa, lasciandola spaesata. Perse il senso dell'equilibrio, cadendo verso il suolo, gli occhi spenti e tristi, quando due mani la afferrarono per le ascelle, rialzandola.

Era lui, lo poteva percepire dal suo odore. L'odore dell'uomo che amava.

Ed ancora una volta, l'ennesima, lei che si appoggiava a lui, gli faceva da zavorra, proprio come aveva fatto con suo cugino Neji, che aveva dato la vita affinché una persona debole come lei potesse continuare a vivere. Lei, la piccola e piagnucolosa Hinata.

“Naruto-kun...” mormorò. “Perché?”

Poteva sembrare una domanda strana, specie se fatta dopo aver evitato una caduta, ma Naruto comprese. Sapeva cosa c'era che angustiava Hinata da una vita: l'orribile sensazione di non essere abbastanza per gli altri, il terrore di diventare un peso, la paura di fallire. Il biondo la guardò in faccia, sfiorandole con un dito le labbra sanguinanti.

“Perché io ti amo.”

Spalancò gli occhi, sommersa dai ricordi, mentre le parole di Naruto la colpivano nel profondo.

“Prima mi arrendevo sempre, pensando che i miei sforzi non bastassero mai. Cadevo e non mi rialzavo più, stanco di fallire. Ma poi sei arrivata tu, con il tuo sorriso, la tua dolcezza, la tua gentilezza. Mi hai salvato, hai creduto in me, ed è per questo che voglio essere io ad aiutarti questa volta.” gli occhi azzurri dello shinobi erano colmi di un sentimento caldo, che lentamente si diffuse dentro il corpo della ragazza. “Perché io ti amo, Hina-chan.”

Quelle parole! Erano le stesse che anni prima gli aveva detto lei, nel momento stesso in cui aveva deciso di dare la sua vita, la sua insulsa vita, per salvarlo. Si morse le labbra, gli occhi lucidi, mentre un sentimento di dolorosa riconoscenza le si gonfiava nel petto. Il suo sorriso non le era mai parso così bello come in quegli istanti.

“Naruto-kun...” sussurrò, un groppo in gola che le rendeva la voce più fioca del solito. Quelle parole erano bellissime, un balsamo per la sua anima, chiusa in un corpo che le metteva paura.

 

 

E' sicuro?” mormorò. Una voce fioca, spenta, priva di vitalità.

Sakura la guardò dritta negli occhi, il volto serio.

Penso proprio di sì.” dichiarò con tono professionale. “Ormai non ci sono più dubbi.” un sorriso si delineò sul suo volto. “Non vedo l'ora di vedere la faccia di Naruto quando lo saprà!”

Hinata non rispose, portandosi le mani davanti alla bocca, quasi volesse proteggersi.

Hinata?”

Ti ringrazio, Sakura-chan.” mormorò la Hyuga, dirigendosi verso l'uscita dell'ambulatorio. “Desidero rimanere sola in questo momento.”

 

 

Lui le poggiò le mani sulle spalle, riscuotendola dai pensieri. Lo vide sorridere con gioia, perdendosi nei suoi occhi cerulei, in quei tratti che aveva imparato ad amare fin da piccola. Si morse le labbra, assaporando il sapore del proprio sangue, la paura che le ribolliva nelle viscere.

Naruto-kun...

“Hina-chan, vuoi...”

“Aspetto un bambino.” sussurrò con voce rotta, le prime lacrime che presero a scenderle lungo le gote.

Aprì di scatto gli occhi, preso in contropiede. L'enormità di quella notizia lo colpì con la potenza di un pugno sul naso, lasciandolo stordito, immobile, incapace di spiccare parola.

“Un... bambino?” mormorò dopo parecchi secondi. Lei lo fissò con ansia, il terrore che dilagava nelle sue iridi chiare. “Ma... quando?”

“Prima che partissi in missione...” mormorò Hinata, ormai decisa a togliersi quel peso che da giorni l'angosciava. “L'ho saputo dieci giorni fa. Sono ormai alla sesta settimana.”

Le mani di lui caddero verso il basso, deboli, incapaci di assimilare appieno quella notizia.

“Perché solo ora hai voluto dirmelo?”

“Io...” si asciugò con una mano parte delle lacrime, la voce rotta. Si faceva schifo per quella debolezza, ma non riusciva a fermare il pianto, a controllarsi. Era più forte di lei. “Avevo paura di caricarti di altre responsabilità. Non volevo... essere un peso per te...”

La mano sana del ragazzo si alzò, asciugandole una lacrima. Hinata teneva gli occhi bassi, il corpo scosso dai singhiozzi. Aveva paura di guardarlo in faccia, aveva paura di tornare ad essere un peso per lui come lo era stato durante il coma, come quando Neji si era sacrificato per lei, come era stato per tutta la sua esistenza.

“Hinata...” la costrinse a guardarlo. Il volto dell'Uzumaki era calmo, rilassato, un sorriso caldo come il sole sulle labbra. “Sposiamoci!”

Silenzio. Non ci fu risposta. Spalancò lentamente gli occhi, la bocca aperta, mentre il significato di quella affermazione la trafisse dentro il petto, riversandole un calore che, con la potenza di un uragano, spazzò via la tristezza e la disperazione.

“Naruto-kun...”

“Non voglio più stare separato da te, dare per scontate troppe cose, rischiare di perderti.” lo shinobi le afferrò le mani, stringendole delicatamente. “Tu non sei un peso, Hinata. Sei la persona che amo, e desidero passare il resto della mia vita con te.” davanti all'apatia della ragazza, Naruto si grattò la nuca, lievemente imbarazzato. “Lo so, non suona molto bene, vero? Dopotutto, lo sai che sono una frana con i discor...” si interruppe quando lei lo abbracciò di colpo, stringendolo con tutta la forza di cui disponeva. Aveva ripreso a piangere, ma il ragazzo comprese che erano lacrime di gioia.

“Sì, Naruto-kun.” singhiozzò la mora. “Sì sì sì sì... lo voglio!”

“Ehi, non c'è mica bisogno di piangere.” fece lui, iniziando ad accarezzarle i capelli. “Capisco che i miei discorsi facciano pietà, ma così esageri!”

Una risatina acquosa si aprì nel pianto della Hyuga, anche se non lo lasciò, quasi avesse il terrore che sparisse. Rimasero lì, in mezzo al campo d'addestramento, abbracciandosi strettamente, il tutto sotto lo sguardo lievemente divertito di Kurenai.

Poi, all'improvviso, con un'abile mossa, Naruto si mise in spalla la ragazza, la quale rimase così spiazzata che l'unica cosa che poté fare fu quella di aggrapparsi con le braccia al petto di lui.

“Naruto-kun? Cosa...”

“Per te oggi niente riabilitazione!” esclamò il biondo, il sorriso sicuro sul viso. “Sei la mia futura sposa, e aspetti un bambino! Oggi festeggiamo!”

“Naruto-kun!” con un piccolo urlo, Hinata si strinse più forte, mentre il ragazzo iniziava a correre.

“Stia tranquilla, Sensei! Gliela riporto domani mattina sana e salva!” urlò ad una Kurenai piuttosto sbalordita. Aveva appena scoperto che colei che considerava come una sorella aspettava un bambino, e che presto si sarebbe sposata.

“Li vedi, Asuma?” sussurrò, le labbra carnose distese in un sorriso nostalgico. “I nostri allievi stanno diventando grandi.” il vento le scompigliò la chioma scura, ricordandole, nonostante il gelo, la mano di lui. “Proprio come Mirai.”

 

 

Correva, verso il Villaggio certo, ma anche verso il suo futuro, verso una famiglia. Il cuore pompava con forza, mentre percepiva il sangue ardere dal desiderio. Presto avrebbe avuto una famiglia, sarebbe stato chiamato papà, e forse, chissà, quel bambino in arrivo un giorno l'avrebbe superato, diventando un ninja più abile di lui.

Ohi, Naruto.” brontolò Kurama, sbadigliando vistosamente. “Vedi di non correre troppo con la fantasia. E se fosse una femmina?”

Vorrà dire che sarò padre della kunoichi più bella e forte del mondo!” esclamò lui, sfoderando un sorriso a trentadue denti. “Ora che ci penso, tu diverrai zio! Non sei contento?”

Scordatelo moccioso!” ringhiò il Kyuubi. “Non mi abbasserò mai a fare da balia ai tuoi cuccioli!”

Zio Kurama! Sì, suona proprio bene!” Naruto ridacchiò quando vide il Bijuu fare un'espressione schifata al pensiero di venire chiamato zio da un cucciolo d'uomo.

“Naruto-kun...” sussurrò Hinata, distogliendolo dall'amico. “Dove stiamo andando?”

“Non lo so!” replicò lui. “Ma sono felice, Hinata! E questo solo grazie a te!” lei non disse nulla, stringendosi più forte a lui, il cuore di nuovo in pace dopo tanto tempo.

Sono molto felice anch'io... Tesoro.

 

 

Tre giorni dopo, quando Naruto si presentò al campo di allenamento, Sasuke alzò lievemente un sopracciglio. L'enorme sorriso sul volto del Baka, unito ad un fischiettare stonato, gli parvero piuttosto inusuali, specie prima di una sessione di combattimento.

“Sei in ritardo.” lo bacchettò seccamente l'Uchiha, senza salutare. “Mi auguro che riuscirai quanto meno a starmi dietro.”

Senza smettere di sorridere, l'Uzumaki si avvicinò all'amico, troppo per i gusti di quest'ultimo. Dopo un po' che l'altro continuava a fissarlo in faccia, Sasuke si domandò se non si fosse rincoglionito del tutto.

“Si può sapere cosa diavolo hai da fissarmi in quel modo?!” sbottò. Per tutta risposta, con un gesto fulmineo, Naruto scoprì un inconfondibile segno rosso sul collo del moro.

“E questo?” quando vide il viso pallido dell'amico imporporarsi, il suo sorriso si allargò. “Vedo che qui qualcuno fa il birbante con Sakura-chan...”

“Io starei facendo cosa?!” berciò Sasuke, ormai rosso come un ferro rovente. “Piantala di dire cazzate!”

“Ah sì, e quello cosa sarebbe? Una puntura d'insetto?”

“E se lo fosse?!”

“In pieno inverno?” Naruto scoppiò a ridere, provocando così l'ira funesta dell'Uchiha.

“Naruto...” i suoi occhi divennero rossi. “Preparati...”

“Ehi, aspetta un secondo, Sasuke! Non dovevamo soltanto allenarci?”

“Appunto!” ringhiò l'altro, sfoderando la katana. “Mi alleno ad ucciderti!”

“A-Aspetta un attimo, Sasuke! Parliamone!”

“Chidori!”

Un tuono di immensa potenza si abbatté sull'Uzumaki, lasciandolo parzialmente svenuto, mentre il pallido sole invernale brillava in cielo, quasi a benedire l'azione dell'Uchiha.

“Tsk! Così impari a dire cazzate.” borbottò il moro, allontanandosi seccato. “Io fare certe cose con Sakura...”

Eppure, quando si passò le dita sul punto incriminato, la sua mente non poté fare a meno di ritornare alla sera prima, quando i denti di Sakura avevano lasciato proprio quel segno.

Stupido Baka e le sue teorie del cazzo!

 

 

Note dell'Autore:

 

E quindi? Chiudiamo con Sasuke che maledice il Baka? Sto utilizzando un po' troppo Hanabi? Questa storia è troppo collegata a quella scorsa, facendo quasi pensare più ad una storia continua che ad una raccolta? La risposta a tutte e tre è... forse xD

Spieghiamo un attimo: la mia idea principale era, e resta, quella di una raccolta, in modo da poter sfruttare le idee al momento, senza dover poi bloccarmi in punti morti della storia. Tuttavia, il fatto che le varie storie siano in parte collegate tra di loro sarà inevitabile più si andrà avanti, dato che desidero comunque creare una specie di “Universo” dove tento di spiegare le sfide e i momenti piacevoli e meno di questa coppia.

Riguardo Hanabi... sì, forse la sto usando troppo, magari anche snaturandola, ma personalmente questa sua versione mi piace, anche se magari in futuro la userò con più parsimonia (Hinata non apprezzerebbe le sue serate birra con il fidanzato xD).

Bene, considerando che è cosa buona e giusta che Sasuke picchi Naruto, direi che anche stavolta ho finito! Come sempre ringrazio tantissimo chiunque legga e segua questa raccolta, e ricordo che recensioni, positive e non, sono ben accette!

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 7
*** Le responsabilità di un adulto ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

 

Le responsabilità di un adulto

 

 

 

 

Si sedette a gambe incrociate, un sorriso stanco sul volto. Sopra di lui, il plumbeo cielo invernale, carico di umidità, prometteva pioggia, ma non se ne preoccupò, concentrandosi su ciò che aveva davanti: tutto ciò che restava del suo Sensei su quella terra.

Ero-Sennin...

Gli occhi cerulei di Naruto si riempirono di ricordi, portandolo con il pensiero indietro nel tempo, a quando era un dodicenne imbranato che si era imbattuto quasi per caso in un eremita pervertito.

 

 

Si può sapere chi diavolo sei tu?!”

Io?! Davvero non sai chi sono io, pivello?! Io sono il grande, unico, inimitabile Eremita! In tutte le Terre Ninja parlano di me, le donne con adorazione, gli uomini con timore! Io sono il grande Eremita dei Rospi, il più amato dalle donne!”

 

 

Per tutta la mia vita ho provato a fare qualcosa per la Pace, ma temo di non aver combinato granché.” il sorriso sul suo volto divenne carico di speranza. “Ma non mi sono ancora arreso! E poi, ci sei tu, Naruto, il mio allievo. Ho fiducia in te!”

 

 

“Ero-Sennin.” mormorò Naruto, la voce carica di nostalgia. Avrebbe dato qualsiasi cosa per averlo ancora al suo fianco, con la sua risata aspra, i suoi vaneggiamenti, la sua perversione, il suo affetto. Giunse le mani davanti al petto, chiudendo gli occhi, onorandolo come faceva da molti anni ormai, la ferita sempre aperta dentro di sé.

Il vento gli scompigliò i capelli, mentre il dolore, che periodicamente ritornava con violenza, veniva respinto. Naruto aveva ancora troppe cose da vedere, da provare, da vivere per consumarsi nel dolore del passato. Eppure, nonostante tutto, quelle ferite sarebbe rimaste sanguinanti per sempre, a memoria di tutto ciò che aveva perso.

Vegli su di me, la prego.

Aprì gli occhi. Sorrise quando notò una bottiglia di saké mezza vuota davanti alla piccola lapide, chiaro segno che Tsunade-Baachan era passata recentemente ad omaggiare l'amico di una vita.

“Sensei.” mormorò, appellandolo con quel titolo che quando era in vita non gli aveva mai rivolto. “Presto diventerò padre.” il vento gli fece lacrimare gli occhi, ma non era solo il l'aria fredda la causa di ciò. “Mi sarebbe piaciuto che diventasse il Sensei di mio figlio.” si rialzò, lasciando la propria offerta, omaggio simbolico che non poteva mostrare appieno la sua gratitudine per quell'uomo straordinario.

“Vegli anche su di lui... per favore.”

Il vento soffiava, portando cumulonembi carichi di pioggia. Naruto camminava lentamente, quasi sentendosi in colpa a voltare le spalle a quella piccola lapide, dispersa tra i boschi attorno a Konoha. Si mise le mani nelle tasche della giacca, chiedendosi, per l'ennesima volta, se Jiraiya sarebbe stato fiero di quello che stava costruendo, dei sacrifici compiuti, del percorso verso il quale si stava incamminando assieme ai suoi amici.

Chissà, forse un giorno ci rivedremo.

Soffiava il vento, portando pioggia, freddo, e umidità. Ma anche una risata aspra che lui conosceva molto bene.

E rideremo insieme, come ai vecchi tempi.

 

 

“E questi sono gli ultimi!”

Un'enorme pila di carte bollate cadde sulla scrivania, andando ad aggiungersi ad una già traballante montagna in miniatura di carta. Naruto la scrutò con disperazione, domandandosi a cosa servisse quel mucchio minaccioso di documenti.

“Serve l'approvazione dell'Hokage entro stasera. Il tuo compito è di analizzarli e valutarli idonei in sua vece.” Shikamaru soffiò fumo dall'angolo sinistro della bocca, lo sguardo annoiato come se stesso parlando di una faccenda di dubbia utilità.

L'Uzumaki afferrò il primo documento della pila, constatando come fosse scritto in una grafia piccola e stretta, proprio il genere di scrittura che detestava profondamente.

“Domande?”

“Spero che almeno il caffè non debba pagarmelo di tasca mia.” borbottò il biondo. “Altrimenti va a finire che lavorare qui dentro mi manderà in rovina.”

“Il pass delle porte che ti hanno dato ti permette anche di sfruttare la macchinetta delle bevande calde.” il Nara si grattò la nuca con un sospiro. Nonostante fossero solo le nove del mattino, pareva distrutto. “Cerca solamente di evitare le S.P.A.”

“Le che?”

“Single Perennemente Arrapate.” Shikamaru non si scompose davanti all'occhiata schifata dell'amico. “Non sto scherzando. Qua dentro c'è una vera collezione di casi umani femminili. Da quando ti abbiamo preso con noi non hanno fatto altro che starnazzare su come invitarti fuori a cena.”

“Affascinante.” replicò a denti stretti Naruto, deciso ad ignorare fermamente Kurama, il quale ridacchiava di gusto. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era una torma selvaggia di donne che lo perseguitassero. “Cercherò di tenerlo a mente.”

Il moro fece un pigro cenno del capo, facendo per uscire. Stava già pensando alla propria pennichella mattutina, quando l'amico lo chiamò.

“Shika...”

“Mmm?”

“Beh... ecco, mi stavo domandando... non è che per caso tu conosci qualche trucco per alleggerire il carico di lavoro?”

Il Nara inarcò un sopracciglio.

“Certamente.”

“Potresti darmene una dimostrazione?”

“Scordatelo.”

“Cosa?!”

“Sono pigro, non scemo.” soffiò fumo dalle narici, aprendo la porta. “A proposito, colgo l'occasione per ricordarti che tra tre giorni Hinata compie gli anni. Mi auguro che tu le abbia comprato un regalo.” nonostante tutto, Naruto sorrise pensando a lei.

“Diciamo che ho qualcosa in mente.”

“Meglio così.” sospirò lo shinobi delle ombre. “Visto e considerato che l'anno scorso ti sei ridotto a mezzora prima della cena per acquistarle un regalo, questo è da considerarsi un passo in avanti.” chiuse la porta alle sue spalle, non dando tempo all'amico di replicare.

Sarai stronzo, Shika.

 

 

Fuori pioveva.

Il ticchettio dell'acqua contro le finestre svegliò Hinata, la quale si ritrovò al caldo, completamente nuda e con il braccio sinistro di Naruto come cuscino. I suoi occhi chiari si posarono sull'orologio al muro, constando come la notte fosse ormai vecchia. Sospirò, stringendosi al suo uomo, profondamente felice di essere lì, in casa di lui, sotto le coperte di quel letto improvvisato per terra. Era stato Naruto ad avere l'idea, stufo di doversi stringere ogni volta con lei sul suo vecchio letto ad una piazza.

“Hina-chan...” sentì l'alito caldo dell'Uzumaki sull'orecchio causarle brividi lungo il filo della schiena, la lingua calda che le accarezzava il collo. “Ho ancora voglia... di te.”

Per quanto potesse essere invitante quel richiamo, i bruciori della sera prima, causati da un'idea folle del compagno, non erano scemati, rendendola poco propensa ad assecondarlo nelle sue voglie.

“Pervertito.” mugugnò. “Mi sembra che ti sei sfogato abbastanza prima”

Naruto ridacchiò, ripensando alla faccia di Hinata quando aveva evocato due copie. Era da un po' che l'idea di usare i Kage Bunshin a letto con lei lo stuzzicava, ed ora che l'aveva messa in pratica poteva reputarsi soddisfatto.

“Sei un pervertito!” fece lei, rossa in viso quando i ricordi della sera prima vennero a galla. “Ti pare questo il modo di comportarti con la tua futura sposa?!” si girò dall'altra parte, arrabbiata solo di facciata. Lo shinobi lo comprese, dato che la abbraccio subito, ricominciando a baciarle il collo.

“Ehi... Occhibelli.” la prese in giro, le mani che si beavano di quel corpo caldo e pieno, un corpo che aveva imparato ad amare con passione bruciante. “Stavo scherzando.” non notando reazioni da parte sua decise di proseguire il gioco. “Tanto lo so che ti è piaciuto farlo con tre me...”

Naruto poté tranquillamente affermare che una cuscinata come quella che ricevette dalla mora non l'aveva mai incassata. Si massaggiò il naso, osservando con un sorriso l'espressione severa sul viso di Hinata.

“Naruto-kun.” dichiarò lei. “Non farlo più, per favore.”

“Perché? Mi era sembrato che alla fine ti piacesse.”

“Perché... perché mi vergogno.” sussurrò, rossa in viso. “Mi è parsa una cosa sporca... non facciamola più, ti prego.”

Lui la abbracciò, portandole il volto a pochi centimetri dal suo.

“E allora, quando fai a me quelle cose? Non ti vergogni?”

“E'... diverso!” rispose a disagio la Hyuga. “Prima... mi è parso quasi di... di tradirti. E non voglio sentirmi così!”

Il Jinchuuriki la baciò, assaporando il sapore della sua bocca, mordicchiandole il labbro inferiore.

“Davvero hai paura di tradirmi?” sussurrò.

“Sì.” le mani della kunoichi presero ad accarezzarlo, un tocco dalla dolcezza materna, sconosciuta fino a qualche anno prima allo shinobi. “E non voglio farlo.”

Naruto volse gli occhi al soffitto, il suono della pioggia nelle orecchie. Le parole di Hinata avevano risvegliato in lui ricordi spiacevoli.

 

 

Missione zero uno otto cinque: Controllo dei movimenti e delle azioni del Jinchuuriki Uzumaki Naruto.”

 

 

“Hina-chan.” mormorò, richiamando la sua attenzione. “Non provi del rancore per me?”

Lei lo guardo sorpresa, incapace di capire da cosa derivassero quelle parole.

“Ti ho lasciata sola.” le spiegò, gli occhi cerulei fissi su quelli perlacei della Hyuga. “Nel momento del bisogno ti ho lasciata sola. Stavi male, eri appena uscita da un coma, ed io sono stato distante. Possibile che non provi rancore?”

Hinata appoggiò la testa sul petto di lui, ascoltandogli il battito del cuore, rimanendo a lungo in silenzio.

“No.” mormorò infine. “Non potrei mai portarti rancore.” lo guardò dritto negli occhi, stringendogli la mano sana. “Hanabi mi ha raccontato tutto.” sussurrò. “Del fatto che conosci ogni dettaglio della mia missione per conto dell'Hokage.”

Naruto non parlò, limitandosi a ricambiare la stretta. Hinata si morse un labbro, in difficoltà a gestire i propri sentimenti in quel frangente.

“Ti ho mentito per troppo tempo. Stavo male, ma non oserei mai accusarti del fatto che sei stato lontano. Dopotutto, come potevi fidarti di una persona che per sei anni ha finto di essere ciò che non era?” chiuse gli occhi, una lacrima brillò all'angolo dell'occhio sinistro, rotolando pigramente lungo l'ovale del volto. “Avevi tutte le ragioni del mondo per non volermi vedere.”

“No.” la voce dello shinobi era dura e adulta. “Non avrei dovuto farlo. Tu stavi soffrendo, e necessitavi di me.”

“Ma io...”

“Tu hai voluto proteggermi, esattamente come hai fatto contro Pain e durante la Guerra.” si mise seduto, stringendo il corpo della ragazza, gli occhi cerulei piantanti in quelli lavanda di quest'ultima. “Perdonami.” soffiò, accarezzandole le guance rese umide dalle lacrime. “Ho dubitato di te, e mi faccio schifo per questo. Il dolore, la rabbia... mi hanno fatto ragionare come un idiota. Non ti merito, non dopo questo.”

Hinata si abbandonò a quel contatto, sospirando dolcemente.

“Abbiamo entrambi sbagliato.” mormorò. “Ma non voglio che questo rovini il nostro rapporto.” ora era la Hyuga ad avere un tono di voce adulto. “Voglio donarti una famiglia, Naruto-kun. E voglio vederti sorridere, ogni giorno che ci resta da vivere assieme... anche solo per pochi secondi.”

L'Uzumaki appoggiò la testa nell'incavo del collo di lei, abbracciandola ancora più stretta, sentendosi felice ed incredibilmente fortunato ad averla al suo fianco.

“Grazie, Hina-chan.” sentì di avere gli occhi umidi, ma non lo nascose, non con lei, non in quegli istanti di dolcezza. “Grazie di tutto.”

Rimasero a lungo abbracciati, in mezzo a quel letto improvvisato, nudi nel corpo e nell'anima, senza più veli davanti al cuore, mentre la tempesta infuriava sopra Konoha.

“Hinata.”

“Sì?”

Lui la baciò con dolcezza sulla fronte, desiderando che quel contatto non finisse mai.

“Buon compleanno.”

 

 

Cos'era la gioia? Era possibile essere semplicemente felici?

Le stelle brillavano come fuochi fatui. Hinata le osservava, chiedendosi se fosse felice in quell'istante, seduta in mezzo al giardino di casa, sotto quell'albero spoglio che aveva vissuto affianco a lei innumerevoli momenti della sua vita. Era il suo rifugio, il posto dove andava quando sentiva il mondo comprimerle il petto. Lì, in mezzo a quelle radici, riusciva a ritrovare la serenità di cui aveva bisogno per andare avanti, il suo modo per sentirsi in pace con l'universo.

L'aria era fredda. Hinata si strinse la giacca addosso, le luci che provenivano dalla casa che le illuminavano il viso. Quella sera si era svolta la festa del suo ventitreesimo compleanno. La ragazza avrebbe preferito qualcosa di meno formale, ma quando si portava un cognome come quello degli Hyuga sulle spalle, certe cose devi saperle accettare.

I suoi occhi perlacei si soffermarono sulla figura di Naruto, in piedi a parlare con i suoi amici di una vita: Kiba e Shino. Poteva vedere l'Inuzuka dare delle pacche sulla schiena al suo uomo, mentre Shino si limitava a fare qualche commento qua e là, il volto coperto da una visiera elettronica di ultima generazione. Hinata poteva immaginare cosa si stessero dicendo i tre shinobi. Nonostante fossero passate due settimane dalla proposta di Naruto di sposarlo, vederlo inginocchiarsi davanti a tutti, a metà della cena, chiedendole la mano era stato emozionante, incredibilmente imbarazzate e meraviglioso allo stesso tempo.

Kiba-kun starà facendo le solite minacce se venissi trattata male, mentre Shino-kun... lui sarà felice per me, o almeno lo spero. Le era sempre stato difficile comprendere del tutto il riservato amico. Sapeva che era molto legato a Kiba e lei, e che avrebbe dato volentieri la vita per loro, ma non sarebbe mai stato capace di mostrare apertamente i propri sentimenti come il suo Naruto. Non per cattiveria; Semplicemente, l'Aburame non era una persona che amava mettersi in mostra.

Si rigirò l'anello che indossava al dito, regalo di compleanno e di matrimonio dell'Uzumaki, un tenero sorriso a stirarle la bocca. Era felice, forse troppo. Non sapeva se oltre quella rupe ci fosse un dirupo oppure no, e la cosa un po' la spaventava. Eppure, sentire la presenza affianco dell'uomo che amava le donava la sensazione di potere superare qualsiasi cosa, anche il crepaccio più oscuro e cupo.

“Siamo pensierose stasera.” la Hyuga sobbalzò, ritrovandosi al suo fianco Hanabi. Come la sorella fosse riuscita a muoversi così silenziosamente, le era ignoto.

“Hanabi!” la ragazza più giovane sorrise, l'uniforme degli Anbu che scintillava sotto la luce delle lanterne. Si sedette al fianco della sorella, sistemandosi una ciocca scura di capelli.

“Come mai qui tutta sola? La serata è dedicata a te.”

“Avevo bisogno... di stare un attimo per conto mio.” mormorò Hinata, rigirandosi l'anello che teneva all'anulare.

“Il babbeo alla fine ti ha chiesto di sposarlo?” di fronte all'espressione sbigottita della sorella maggiore, Hanabi sorrise. “Sorellona, sei sempre stata così piatta nel vestirti... l'unico anello che potevi mai indossare era quello di fidanzamento del babbeo.”

“Non chiamarlo così! Non è un babbeo, lui è...”

“Splendido, bellissimo, atletico, simpatico, dolce, gentile, perfetto?” concluse sarcasticamente la giovane ANBU. “Sorellona... sei proprio cotta!” Hinata era troppo in imbarazzo per rispondere. Si limitò a giocherellare con gli indici, come quando era adolescente, facendo sospirare l'altra Hyuga.

“Immagino che dovrei dirti che sono felice per te, o cose di questo genere.” mormorò. “Anche se, in fondo, un po' mi spiace che andrai via di casa. Era bello venire da te la sera, parlare dei miei problemi.” mise un braccio intorno alle spalle della sorella maggiore. “Nonostante tutto, sei una buona sorella.” era qualcosa di molto più profondo, parole che nascondevano un sentimento forte e potente che scorreva tra loro.

“Ho sempre saputo che eri tu quella adatta a portare avanti la causa della nostra famiglia.” le rispose Hinata a voce bassa, osservando dentro casa Naruto ridere con Sakura. “Io non credo che avrei potuto fare quello che stai facendo.”

“Ehi, guarda che la primogenita resti pur sempre tu.” replicò la minore. “In quanto ANBU, io sono automaticamente esclusa da ogni carica all'interno del clan. L'eredità del Vecchio è tutta tua.”

La kunoichi più anziana scosse la testa. “Di lui.” sussurrò, sfiorandosi il ventre. “Qualunque sia il futuro degli Hyuga, sarà sicuramente più adatto lui di me.”

Hanabi spalancò gli occhi, assimilando quella notizia a fatica, la bocca spalancata dallo stupore.

“Sei...” la maggiore annuì, scatenando nella ANBU un nuovo sorriso, questa volta ricolmo di gioia al pensiero di diventare zia. “Lui lo sa?”

“E' pazzo di felicità.” replicò Hinata, il fiato che si condensava davanti agli occhi. “Non fa che parlare di comprare una casa con il nuovo stipendio, una casa enorme.” le labbra si incurvarono in un soffice sorriso. “Sarebbe una bella cosa.”

“Sono sicura che avrete una casa magnifica!” esclamò Hanabi. “E spero che ogni tanto, un posticino per la zia lo troverete.”

La Hyuga maggiore scoppiò a ridere, subito imitata dalla sorella. Rimasero sotto quel vecchio albero spoglio per lunghi minuti, osservando amici e familiari festeggiare dentro casa il suo compleanno, e l'imminente matrimonio.

“Tieni.” all'improvviso, Hanabi tirò fuori un piccolo pacchetto, porgendolo alla sorella. Quest'ultima rimase sorpresa, non aspettandosi minimamente un regalo da parte sua.

“Hanabi, tu... non dovevi...”

“Quello stronzo di Yamato non mi ha permesso di venire alla tua festa, quindi ho voluto rimediare in qualche modo.” spiegò con una scrollata di spalle. “Avanti aprilo!”

Sotto gli occhi di Hinata, una volta tolto l'involucro di carta, comparve un piccolo carillon, dai disegni antichi. Su invito della sorella lo caricò, spargendo nell'aria le dolci note di una canzone a lei conosciuta.

“Ma questa...”

“E' la nostra canzone.” Hanabi sorrise dolcemente. “Da piccole non facevamo che ascoltarla continuamente. Ho pensato che sarebbe stato bene sopra il camino della casa nuova.”

“Hanabi...” la ragazza maggiore l'abbracciò, il cuore ricolmo di affetto e gratitudine. “Grazie per ogni cosa.”

E nonostante odiasse non avere l'ultima parola, questa volta la giovane ANBU non riuscì a trovare nulla da aggiungere, godendosi quel piccolo attimo tra sorelle che il fato aveva loro regalato.

Ti sbagli, Sorellona: sono io a doverti ringraziare per tutto.

 

 

Naruto si mosse cauto, tentando di non compiere il minimo rumore, forte degli anni di ninja alle sue spalle. I suoi movimenti furtivi erano fluidi e perfetti, pronti ad acciuffare la libertà, a soli pochi metri di distanza.

“Bel tentativo, Naruto.”

I suoi sogni di libertà si infransero quando Ino gli mise in braccio, con la grazia di un uragano, una pila di pratiche alte quasi quanto lui.

“Ehm, veramente io dovrei andare... stacco tra cinque minuti.” tentò di giustificarsi il biondo, nell'effimera speranza che l'amica si impietosisse.

“Perfetto! Se finisci il tutto entro due ore ti accompagno a casa!” esclamò lei, sorridendogli, ma per lo shinobi quello fu il sorriso della morte.

“Ino, io ho un matrimonio da organizzare! Non posso restare qua tutta la notte!” esclamò sull'orlo delle lacrime il ragazzo. Per tutta risposta, la kunoichi gli accarezzò il volto con fare materno.

“Benvenuto all'Inferno, Tesoro.” gli sussurrò sarcasticamente, mentre si allontanava, lasciando Naruto a soccombere sotto un mare di carta.

Tre ore dopo, quando Shikamaru entrò nell'ufficio dell'amico, lo trovò ancora alle prese con trequarti del lavoro.

“Bel ritmo.” commentò il Nara, soffiando fumo dalle narici.

“Se devi sfottermi, va pure a casa!” ringhiò l'Uzumaki, gli occhi che bruciavano per la stanchezza. Ormai stava odiando la sua capacità di saper leggere.

“Non prendertela. All'inizio facciamo tutti schifo.” fece il moro, caracollando verso la scrivania dell'amico. “Senza contare che questo è pure un periodaccio. Insomma, il rientro al lavoro dalle festività di fine anno è dura per tutti, per un novellino poi...”

Naruto sospirò, appoggiando la fronte sul tavolo. Da quando Sasuke era partito, gli sembrava di essere solo, tanto più se doveva gestire l'organizzazione del suo matrimonio, il lavoro e il cercare una casa nuova, dato che portare a vivere Hinata nel suo vecchio appartamento sarebbe stato impensabile.

“Hai bisogno di qualcosa?” perfino il tono annoiato di Shikamaru gli parve angelico in quell'istante.

“Sì.” borbottò. “Vorrei che mi andassi a prendere un caffè doppio, per favore.” si passò le mani sul volto. “Temo che ne avrò bisogno, stanotte.”

Shikamaru lo fissò per circa un paio di secondi. Poi, con un gesto improvviso, prese una sedia, sedendosi affianco dell'amico ed afferrando una manciata di pratiche. Il tutto sotto lo sguardo sbigottito dello shinobi.

“Ti amo, Shika.” sospirò quest'ultimo, riprendendo stancamente a scrivere.

“Non dirlo mai più.” replicò seccamente il Nara. “Altrimenti comincerò veramente a sospettare che te la fai con Sasuke.”

Nonostante fosse quasi mezzanotte, ed avesse gli occhi rossi per lo sforzo di leggere, Naruto scoppiò a ridere, distendendo l'atmosfera dentro il suo ufficio.

“Allora...” borbottò il moro dopo alcuni minuti di silenzio, il mozzicone di sigaretta ben saldo tra i denti. “Come vanno le cose? Pronto a rovinarti la vita per sempre, sposandoti?”

Bingo. A volte Naruto si domandava come diavolo facesse quel pigro fumatore incallito a sapere sempre tutto. Neanche Ino era così aggiornata sui pettegolezzi.

“Se ci arrivo.” mormorò, buttando una pratica nel mucchio delle compilate, afferrandone una vuota. “Ultimamente avrei bisogno di giornate più lunghe per fare tutto.”

“E' sempre così: ogni volta si sceglie il momento sbagliato per fare il grande passo.” Shikamaru soffiò fuori l'ennesima boccata di fumo. Nonostante fosse vietato fumare dentro gli uffici, il Nara era l'unico alla quale nessuno osava dire nulla a riguardo. “Se avessi aspettato qualche mese, probabilmente non avresti l'acqua alla gola. Questo è un periodo di merda per lavorare.”

“Sì, lo so.” borbottò il biondo. “Me ne sono accorto.”

“Comunque sia, sono sicuro che non avrai problemi a trovare le motivazioni per farcela in tempo.” proseguì lo shinobi delle ombre, lavorando ad un ritmo triplo rispetto a quello di Naruto. “Dopotutto, ti stai per sposare con chi ha già due validissime motivazioni... tre se ci pensi bene.”

“Shika!”

“Andiamo, Naruto. Pensi di essere stato l'unico a chiuderti in uno stanzino a farti un paio di solitari pensando a quello spettacolo degli dei?” proseguì pacifico il moro, sembrava quasi che stesse parlando del tempo. “Sinceramente, le chiappe ossute di Sakura non reggono il confronto.”

“Se ti sentisse Temari...” ridacchiò l'amico. “Come minimo ti farebbe ingoiare il suo intero ventaglio!”

“Può essere. Ma pensa a questo: sono qui, ad aiutarti, al posto di andare da lei. E puoi stare certo che non sarei io quello ad ingoiare.” dichiarò tranquillamente Shikamaru. “Non ti senti una merda?”

Nello studio cadde un silenzio imbarazzato.

“Sì, mi sento una merda.” dichiarò infine l'Uzumaki. “Ti senti realizzato?”

“No, sarei realizzato se fossi a letto con Temari.”

Una nuova risata echeggiò nell'ufficio, mentre la notte invecchiava fuori dalla finestra. Improvvisamente, al biondo parve una sciocchezza terminare il lavoro.

Un'ora dopo, uscendo dagli uffici, Naruto si trovò davanti Konohamaru. Il Sarutobi lo fissava con sguardo duro, subito ricambiato dal Jinchuuriki.

“Finalmente sei arrivato.” esordì il nipote del Terzo. “Pensavo che te la fossi data a gambe.”

“Sai che non lo farei mai.” replicò subito il biondo. “Sono pronto a tutto per questo, e mi aspetto lo stesso da te.”

Un silenzio carico di tensione calò tra i due shinobi.

Poi, all'improvviso, entrambi iniziarono a cantare e ballare a ritmo, indirizzandosi verso il chiosco di Ichiraku.

“Nooottee ramen! Mangeremo fino a star maaaaale! Di nuovo! Noootte ramen! Mangeremo fino a star maaaaaale!”

Io ti disconosco...”

Nooottee ramen! Andiamo Kurama, lasciati andare anche tu! Questa è la nostra notte!”

Non avevi un matrimonio da organizzare?”

Ma questa è la notte ramen! Non posso lasciare Konohamaru da solo ad ingozzarsi di cibo!”

La volpe si schiaffò una zampa sul muso.

Noootte ramen! Dai, canta con noi, Kurama!”

Piuttosto la vivisezione!” ringhiò il Bijuu, mentre i due amici proseguivano nel loro balletto, pronti ad ingozzarsi di ramen fino all'alba.

“Questa è la nostre notte, Konohamaru!” urlò Naruto, mettendo un braccio attorno alle spalle dell'amico.

“Sì, Naruto-niichan!”

“E vaffanculo alle pratiche! Domani entrerò in ufficio così carico che avrò finito tutto prima di mezzogiorno!”

 

 

Poche ore dopo, alle otto in punto, Naruto strisciò stancamente attraverso il corridoio degli uffici, arrancando verso la macchinetta del caffè, dove ci trovò Shikamaru, con due occhiaie sotto gli occhi che raggiungevano il mento.

“Giorno...” mugugnò quest'ultimo. Il Jinchuuriki rispose con un grugnito, desiderando ardentemente la morte.

Ma guarda un po' chi abbiamo qui, il lavoratore dell'anno!”

Estinguiti.”

Ti conviene sbrigarti, altrimenti mezzogiorno arriverà senza che tu abbia finito tutto...” Naruto avrebbe voluto rispondere a tono a Kurama, con tutto il suo cuore, ma in quel preciso istante, in corridoio apparvero Sai e Ino, teneramente abbracciati, che si scambiavano effusioni d'amore.

“Passa una buona giornata.” le sussurrò all'orecchio il ragazzo, salutandola con un bacio a fior di labbra.

“Anche te, Amore!” Ino era raggiante, sembrava addirittura librarsi in aria, con un sorriso da un orecchio all'altro. “Una bellissima giornata a tutti voi!” esclamò caramellosa a Naruto e Shikamaru, i quali si fissarono perplessi: la kunoichi era solita prendere a pugni chiunque osasse rivolgerle la parola prima delle nove.

Subito dopo, Ino iniziò a sbattere ripetutamente, con violenza, la testa contro la porta del proprio ufficio.

“Ino, ho come l'impressione che qualcosa ti turba.” osservò il Nara, sorseggiando rumorosamente il proprio caffè.

L'occhiata che la bionda rivolse loro ebbe il potere di spaventare un morto.

“Tu dici?! E da che cosa l'hai dedotto, sentiamo?! Dal fatto che non ti ho ancora sbranato, immenso idiota?!”

Ok, il piano è questo: allontanati lentamente, prima che possa fiutare la nostra paura, e poi diamocela a gambe!”

“E sinceramente, cosa cazzo hai sempre da sbadigliare?! Sei irritante, insulso, pesante, stupido, idiota, mentecatto...” Naruto prese a indietreggiare lentamente, con la speranza di dileguarsi prima dell'esplosione finale.

“E tu dove pensi di andare?!”

Piano miseramente fallito.

Ino gli si avvicinò così tanto che l'Uzumaki era convinto di poterle contare ogni singolo pelo delle sopracciglia curatissime.

“Hai svolto tutte le pratiche che ti ho consegnato ieri?” domandò a bruciapelo la Yamanaka.

“Sì.”

“Le hai fatte in triplice copia?”

“Sì.”

“Imbustate?”

“Sì.”

“Spedite ai laboratori e all'Hokage?”

“Sì.”

“Va bene, mister Universo.” Ino si leccò le labbra, pronta al suo attacco finale. “Le hai anche firmate a nome dell'Hokage?”

Silenzio terribilmente colpevole. La kunoichi bionda aveva l'aria di una persona che aveva appena scoperto un dolcetto terribilmente succulento.

Io avrei un appuntamento a cui non posso proprio mancare...”

“Bene bene... e così te ne sei dimenticato...” il suo sorriso sparì, lasciando spazio all'espressione di una tigre. “Hai almeno una vaga idea di quanto lavoro in più avrò per causa tua adesso?! Ne hai una vaga idea?!”

“Ino...” si intromise Shikamaru con tono tranquillo. “Perché non ci spieghi cosa è successo, invece di sfogarti sul babbeo qui presente?”

Nel corridoio cadde un lungo silenzio. Ino continuava a fissare i due ragazzi, il volto contorto in un'espressione strana: un misto tra preoccupazione, rabbia e desiderio di parlare con qualcuno.

“Io... andate al diavolo!” urlò, andandosene in ufficio. “E comunque siete due stronzi!” la porta sbattuta risuonò con violenza nel corridoio.

“Ti ricordi tutte le volte che mi hai chiesto perché ho iniziato a fumare?” Shikamaru si accese una sigaretta, soffiando il fumo in faccia all'amico. “Questo è uno dei motivi.”

“E gli altri?”

“Mia madre e Temari.”

Improvvisamente, Naruto desiderò ardentemente che il caffè freddo che teneva in mano si tramutasse in una corda per impiccarsi.

Quattro ore, molti isterismi, e molte pratiche noiosissime dopo, Ino arrivò in sala mensa con la grazia di un tornado, sedendosi con uno sbuffo affianco a Shikamaru e Naruto.

“Ti trovo di umore meraviglioso stamattina!” esclamò sarcastico lo shinobi delle ombre, proseguendo a sminuzzare in bocca il suo panino.

“Ti prego, Shika...” esordì la bionda. “Chiudi quella cazzo di bocca!”

“E' commovente osservare con quanto affetto mi tratti, specie sapendo da quanto tempo abbiamo la sfortuna di conoscerci.” dopo quelle parole dell'amico, Naruto fu certo che Ino l'avrebbe preso come minimo a calci sulle gengive. Invece, tutto quello che la ragazza fece fu di urlare poche, ma velenose parole.

“Non mi sorprende che Temari resti sempre più spesso a Suna. Chi diavolo vorrebbe perdere tempo con un uomo di merda come te!” si alzò di scatto, tornandosene di corsa in ufficio, il tutto sotto lo sguardo divertito di Anko.

“Bene bene... chi abbiamo qui?” esordì la Mitarashi, sorridendo in modo folle ai due amici. “Shikamaru 'fumo quanto mi pare' Nara e Naruto 'ho un unico neurone in testa che sta per suicidarsi per solitudine' Uzumaki.” appoggiò pesantemente le mani sulle spalle degli shinobi. “Ora, per quanto possa essere affascinante il vostro rapporto con Barbie Raperonzolo, volevo avvisarvi che ho appena depositato un bel po' di scartoffie nei vostri uffici.” Anko ridacchiò. “Non serve che mi ringraziate per avervi trovato cosa fare fino a cena, è come se fosse fatto.” si alzò, sollevando il pollice della mano destra, il sorriso da pazza sempre sulle labbra. “Vi auguro di avere una discreta giornata.”

Naruto scosse la testa, osservando il didietro sodo della Mitarashi allontanarsi. Shikamaru gli porse il pacchetto, uno sguardo di comprensione sul viso.

“Sigaretta?” l'amico lo guardò sconvolto.

“Kami, no!” rispose, alzandosi per iniziare il prima possibile l'ennesimo carico di lavoro.

“Tanto prima o poi ci cadono tutti...” borbottò il moro, accendendosene una.

Alla fine, quando scoccarono le otto e mezza di sera, Naruto aprì la porta di casa, fermamente deciso a buttarsi a letto senza neanche cenare. Arrancò nell'oscurità casalinga, quando due braccia lo abbracciarono da dietro, riempiendogli le narici di un profumo di lavanda che conosceva molto bene.

“Hina-chan? Come...”

“Shhhh...” la Hyuga lo accompagnò al letto, stendendosi al suo fianco, senza smettere di abbracciarlo. “Pensa solo a riposare. Qui ci sono io.” nonostante fosse buio, lo shinobi poté giurare di averla vista sorridere.

“Non so se riusciremo a sposarci entro la data stabilità.” mormorò, stringendole una mano. “Sono un completo fallimento nell'impostare le mie giornate.”

“Sono già tua moglie.” rispose la mora, baciandolo sulla fronte. “Fin dall'istante in cui mi hai chiesto di sposarti, io sono diventata tua moglie. Non mi serve a tutti i costi una cerimonia.” le labbra di lei scesero lentamente, appoggiandosi sopra quelle dell'Uzumaki. “Prendiamoci il nostro tempo, Tesoro.”

In quei frangenti, Naruto fu certo che fino a quando avesse avuto Hinata al suo fianco, non avrebbe mai avuto bisogno di iniziare a fumare.

 

 

“Ohi.” quando Ino si voltò, trovandosi davanti la figura di Shikamaru, il suo volto si adombrò.

“Cosa vuoi, Shika? La razione di oggi non ti è bastata?”

Il Nara sospirò, grattandosi la nuca. Aveva una voglia matta di fumare, ma non era sicuro che l'amica avrebbe apprezzato confidarsi con una ciminiera umana.

“Si può sapere cosa c'è? È tutto il giorno che ti comporti in modo strano.”

“Come mi comporto sono affari miei!”

“Ino...” il tono dello shinobi era tranquillo, sicuro, privo della nota sarcastica della mattina. “Non c'è Naruto qui, non c'è Anko, non c'è nessuno. Solo noi.”

Nella strada calò il silenzio. I due ragazzi si fissavano negli occhi, ma mentre il moro sembrò trovarsi perfettamente a suo agio nello stare alle nove di una freddissima sera di metà gennaio in strada, Ino non sembrava altrettanto d'accordo.

“Va bene... sì, va bene...” fece due profondi respiri, iniziando a sfogarsi. “Vuoi sapere cosa c'è che non va, Shika? Sono una donna che va verso i ventiquattro anni, con un lavoro stressante che nonostante tutto amo, un ragazzo fisso, una casa propria che posso gestire senza avere mia madre che trova i miei assorbenti usati sotto il letto. Sembrerebbe tutto ok, vero? Invece no, in realtà il mio lavoro mi fa schifo, e se lo faccio è solo perché ho il terrore di non essere all'altezza di mio padre, considero una disgrazia andare verso il quarto di secolo d'età, anche perché mantenere il peso forma è sempre più difficile, e il mio ragazzo sembra ricordarsi di me solo per dirmi frasi senza senso oppure per scoparmi, il che potrebbe anche essere una cosa positiva, ma sai che c'è? Che non mi va più! Sono stufa di fare tutto questo, una vita dove mi sento perennemente irrealizzata! Osservo Sakura e vedo il migliore ninja medico di Konoha, mentre io non sono neanche stata capace di diventare un vero dottore, visto che mi fanno senso gli ammalati, vedo te e guardo un maledettissimo genio che si fa sempre scivolare tutto addosso, guardo Naruto e vedo una specie di dio sceso in terra, pronto a ricordarci quanto schifo facciamo, guardo Sai e... vedo una persona che potrebbe mollarmi da un momento all'altro se non fosse che facciamo del sesso divino, e sapere che resta con me solo per il sesso mi fa sentire una specie di sgualdrina capace di interagire solo con il suo pisello! Ah, sì, quasi dimenticavo, sono incinta!”

Shikamaru rimase per alcuni istanti stordito da quel flusso di parole ininterrotto che gli piombò addosso con la grazia di un carico di mattoni. Tutto quello che riuscì a dire fu solo “Ne sei sicura?”

“Sì, l'ho saputo tre giorni fa.” ora la kunoichi pareva sentirsi più leggera, quasi si fosse tolta dal cuore un peso insopportabile.

“E... quale sarebbe il problema?” borbottò lo shinobi. “Capita a tutti prima o poi.”

“Cosa?!” alla ragazza parve mancare la voce per un istante. “No, maledizione, no! Tu sei un fottuto maschio, hai il pisello tra le gambe! Come puoi anche solo immaginare il mio stato d'animo in questo istante? Insomma, al massimo puoi capire che potresti rendere la vita a Temari nove mesi più orribile del solito!”

“Ino...”

“So già che sarò una madre orribile; insomma, io sono una casinista orrenda, metto a soqquadro mezza camera e bagno solo per prepararmi e non sono capace di cucinare in modo decente! Lo avvelenerò all'età di tre anni!”

“Ino...”

“Senza contare che passerò i prossimi nove mesi con una pancia uguale a quella di un panda e caviglie grosse come tronchi! Per non parlare di nausee, vomito, voglie e chissà che altro! E chi mi aiuterà? Sai? Quello non è capace di capire cosa penso neanche se gli infilassi un cartello su per il cu...”

“Ino!” la voce di Shikamaru interruppe lo sfogo di lei, attirandone l'attenzione. “Capita a tutti prima o poi di sentirsi inadeguati nella propria vita, specie quando sappiamo di avere più responsabilità in quanto futuri genitori.” la kunoichi tentò di interromperlo, ma il moro non glielo permise. “I casi sono due: affronti la situazione, dando fiducia al padre di tuo figlio e comportandoti come hai sempre fatto, oppure vai in un angolino a frignare su quanto la vita sia ingiusta.” il Nara si voltò, accendendosi una sigaretta, iniziando a incamminarsi verso casa. “Tocca a te la scelta finale.”

Ino rimase ferma per alcuni istanti. Poi, a passo spedito, raggiunse l'amico, scrollandolo per una spalla.

“E' facile per te parlare! La tua vita non è piena di tutti questi problemi!”

“E tu che ne sai? Mi spii mentre sono a casa?”

“Lo so perché ti conosco da una vita!” esclamò lei, il tono di voce esasperato.

“No, che non lo sai.” replicò il ragazzo, il tono di voce questa volta duro. “Non sai com'è per me tornare a casa e passare la mia serata in compagnia di una donna che amo e che non si fida più di me come un tempo, non hai idea di cosa provo quando sento la testa scoppiarmi e l'unica cosa che desidererei è bere fino a svenire, non puoi neanche immaginare come funziona la mia vita più o meno da quando avevamo sedici anni, Ino!”

“Allora cosa dovrei fare, eh? Farmi forza, dimmi che tutto andrà bene?! Non siamo tutti come te, Shika, che te ne sbatti altamente degli altri, facendoti passare addosso qualsiasi cosa pur di evitare che qualcuno possa disturbare la tua routine giornaliera!”

Shikamaru non disse nulla per un istante, la sigaretta ancora accesa che bruciava tra le labbra. La bionda aveva il fiatone, con nuvolette di condensa che le avviluppavano il viso.

“D'accordo, Ino, se pensi che io sia uno stronzo a cui non gliene frega nulla ti dirò una cosa.” le si avvicinò, i lineamenti del volto contratti in qualcosa di molto simile a rabbia. Era furioso. “Pensi di essere l'unica ad avere una vita difficile, eh? Credi veramente che sei solo una piccola bambina sfortunata in mezzo a mostri insensibili? Beh, dovresti farti un serio esame di coscienza, Ino, perché la vita è dura per tutti!”

“Io...”

“Lo vedi? Parli solo al singolare! Sei preoccupata perché hai paura che essere incinta ti allontani da Sai. Come la mettiamo con Sakura? Praticamente passa solo due mesi l'anno con l'uomo che ama. Oppure vogliamo parlare di Naruto? Ha avuto in coma la sua ragazza per tre settimane, ed ora, oltre a fare un lavoro che detesta, le sta vicino, la aiuta, e nel frattempo sta organizzando un matrimonio e cercando una casa per la sua futura famiglia. E che mi dici di Kurenai-Sensei? Costretta a crescere una figlia da sola e dovendo recarsi al cimitero ogni fottuta volta che vuole passare del tempo con l'uomo che ama! Pensi ancora di essere la sola ad avere una vita difficile, Ino?!”

Lei non parlò più, gli occhi cerulei che scesero lentamente a fissare la punta delle proprie scarpe.

“Fatti un esame di coscienza.” concluse seccamente lo shinobi. “E vedi se riesci a trovare un minimo di coraggio per poterti ancora guardare allo specchio.”

La lasciò lì, in mezzo alla strada, i primi banchi di nebbia che calavano. Ino non seppe quanto rimase immobile, la sensibilità dei piedi che scendeva di secondo in secondo. Si sentiva esattamente come aveva sempre detestato essere: una merda.

Sono una donna orribile.

Eppure, quando rientrò a casa, venendo accolta da un sorridente Sai, perfino il suo animo turbato si acquietò parzialmente, donandole la splendida sensazione di potere superare anche quella sfida.

Posso farcela. Dopotutto, non è la fine del mondo.

“Che cosa mi racconti? Hai passato una buona giornata?” domandò il moro, un sorriso sul volto pallido.

Stranamente, prima di comunicargli la notizia, Ino ebbe la forza di sorridere, ma non fu la cosa più sorprendente: era felice. Felice di stare per diventare mamma. Felice di potere condividere quella gioia con lui, l'uomo che amava, e soprattutto, era contenta di vederlo felice per questo.

Supereremo ogni cosa.

In fondo, Ino era una donna. E come tutte le donne, era costantemente e perennemente in competizione con gli altri per il proprio orgoglio femminile.

Se ci riesce Sakura, per me sarà un giochetto da ragazzi!

 

 

Due giorni dopo, alle otto di sera, quando Sakura andò ad aprire la porta, l'ultima cosa che si sarebbe aspettata era di trovarsi davanti Naruto con in mano un enorme cartone della pizza.

“Ciao!” fece lui, sorridendo come suo solito. “Pizza?”

La ragazza lo fissò a lungo prima di parlare.

“Ti do tre secondi per darmi un solo motivo per cui dovrei far entrare anche te oltre alla pizza.”

“Beh... ci conosciamo da tanto tempo...”

“Uno...”

“Andiamo Sakura-chan! Mi conosci, avevo voglia di scambiare due chiacchiere!”

“Due...”

“E poi sappiamo entrambi che non la mangeresti tutta!”

La kunoichi rimase per un attimo in silenzio, scoppiando successivamente a ridere.

“Andiamo, entra.” dichiarò, facendolo passare. “Baka!”

Un'ora, e una pizza gigante più tardi, Sakura poteva dirsi veramente in pace con il mondo.

“Ci voleva proprio questa serata: io, una pizza, e te che stai zitto.” sospirò la kunoichi. “Potrei abituarmici.”

“La tua gentilezza sta raggiungendo livelli astronomici, Sakura-chan!” esclamò sarcastico il Jinchuuriki. Per tutta risposta, Sakura si avvicinò a lui così tanto che i loro nasi si sfiorarono, mettendolo incredibilmente a disagio.

“Che cosa vuoi?” Naruto reagì a quella domanda a bruciapelo nel modo più scontato del mondo: la prese vaga.

“Non posso volere passare del tempo con un'amica?”

“Senti, non mi freghi.” il sopracciglio sinistro della rosa si inarcò in maniera innaturale. “Mi hai corteggiata per dieci anni, dieci fottutissimi, lunghissimi ed infiniti anni. E in tutto questo tempo, la tua unica proposta per rimorchiarmi era di portarmi a mangiare ramen fino a stare male. Il che è curioso, visto che io detesto il ramen.”

“Sì, è vero, però...”

“Ed ora che, finalmente, hai rivolto le tue attenzioni sentimentali e sessuali verso un'altra sfortunata creatura, tu fai il gentile con me senza un secondo fine?” un sorriso più velenoso della morte si dipinse sul viso del ninja medico. “Naruto, non sono nata ieri.”

Il ragazzo la fissò sconvolto, apparentemente stordito da quel fiume di parole.

“Perché devi essere sempre così logorroica?” pensò stupidamente a voce alta.

“Ti do dieci secondi per prostrarti in ginocchio ad implorare perdono.” mormorò la ragazza, un nervo pericolosamente scoperto sulla fronte. “Altrimenti questa conversazione proseguirà in ospedale, con tutte le tue ossa rimescolate.”

“Senti, lo so che non è un periodo facile per nessuno, però... avrei bisogno di parlarne con qualcuno.” sospirò il ragazzo.

“Sai, ho sempre trovato curioso il tuo modo di fare: offendere per poi chiedere aiuto. Toglimi una curiosità, funziona anche con Hinata?”

“Cosa?! Kami, no! Io... non oserei mai dirle qualcosa di cattivo!”

“Che gli dei la benedicano.” Naruto alzò gli occhi al cielo. Doveva ammettere che la speranza di ammorbidire Sakura con del cibo si stava rivelando infondata ogni secondo che passava.

“Ho capito, non hai voglia di perdere il tuo prezioso tempo con un baka come me.” lo shinobi si alzò dal tavolo di cucina dell'amica, dirigendosi verso l'uscita.

“Ehi, Baka.” improvvisamente sul volto della rosa si aprì un sorriso sincero. “Vieni qui.”

E nonostante tutto, Naruto non riuscì a non pensarla come una proposta a sfondo sessuale.

“Ti vorrei ricordare che siamo entrambi impegnati...” subito dopo, un gancio destro dall'immensa potenza rimestò le ossa del suo viso.

“E' inutile, non cambi proprio mai.” esclamò Sakura, il pugno ancora fumante. “Resti sempre il solito idiota dalla lingua lunga.”

 

 

“Ahia!”

“Piantala di lamentarti! Non sei un bambino!” sbottò Sakura, riponendo il disinfettante e il cotone. “E comunque te la sei cercata!”

“Così amabile... così dolce...”

“Hai detto qualcosa?”

“Io? No, niente!” la rosa fece un profondo sospiro. Non era sicura che picchiarlo di nuovo fosse una buona idea, dato che poi le toccava anche medicarlo.

“Allora, si può sapere di cosa volevi parlarmi prima?” gli chiese con tono gentile, come quando era a contatto con i pazienti dell'ospedale.

Naruto non rispose subito, guardandosi a lungo i palmi delle mani. Sembrava profondamente combattuto.

“Beh, ecco... sono preoccupato.” iniziò, con tono titubante. “A volte, ho come l'impressione che quello che faccio, per quanto mi sforzi, non sia mai abbastanza. Mi sembra di non avere mai abbastanza tempo tra il lavoro, iniziare a preparare questo matrimonio, il cercare una casa nuova, passare del tempo con Hinata durante la riabilitazione... mi sembra di scoppiare, ecco. Ho il terrore di fallire, di farmi rinfacciare che non faccio abbastanza, cosa che temo accadrà prima o poi, visto che io per primo mi rendo conto che dovrei fare di più.”

La ragazza lo fissò in silenzio, il viso appoggiato mollemente sulla mano destra.

“Quindi... cosa ti aspetti, di preciso, da me?” chiese infine, mettendo l'amico, se possibile, ancora più a disagio.

“Sakura-chan, tu sei un ninja medico. Passi tutto il tuo tempo in ospedale, tra ammalati, feriti, drogati... sicuramente saprai consigliarmi un modo per ottimizzare meglio le mie gior...”

“Non esiste un metodo perfetto.” lo interruppe seccamente la kunoichi.

“Come?”

“Naruto, tutti noi siamo adulti ormai, e dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Ti sei preso molti impegni ora come ora, e devi dare il massimo per superarli. Trucchi magici non ne esistono, credevo lo sapessi meglio di me.”

“Sì, è vero. Però...” il ragazzo sospirò, passandosi una mano sul viso. Gli sembrava che nessuno capisse veramente come si sentiva. “Il fatto è... che non voglio deludere Hinata. La vedo di nuovo felice come non capitava da tanto tempo, e non voglio deluderla riguardo questo matrimonio anche se...”

“Hai paura di starlo già facendo, dico bene?” concluse al suo posto la rosa. “Ascolta, Baka. Sai qual è la differenza tra le coppie che funzionano e quelle che scoppiano? Entrambe vengono sommerse da tonnellate di merda, ogni giorno, ogni singola ora della loro vita. Ma le coppie che funzionano, hanno la forza di sollevare la testa, e navigare in quel mare schifoso a testa alta! Se credi che tu e Hinata siete una coppia forte, che funziona, e che può affrontare le difficoltà della vita insieme, allora dovresti smetterla di tormentarti con queste paure. Non fanno che distrarti dal tuo obbiettivo finale. Cosa credi, che basta una scopata ed un paio di frasi sdolcinate a far funzionare un rapporto?”

“Non ho detto questo.”

“Naruto, la vita non è facile per nessuno. Io vedo Sasuke-kun due mesi l'anno quando sono fortunata, e passo la mia vita in ospedale, proprio come hai detto tu, in compagnia di malati, moribondi e tossici. Dovrei essere perennemente depressa o furiosa con il mio uomo che mi lascia sempre in questo schifo, ma non lo sono. E sai perché? Perché amo il mio lavoro, amo Sasuke-kun e comprendo i motivi che lo tengono così a lungo lontano da me, e soprattutto... non sopporto più l'idea di mettermi a piangere in un angolo, disperandomi su quanto la vita sia difficile e ingiusta.” gli occhi verdi di Sakura erano duri come l'acciaio. “Non siamo più bambini, Naruto. Se pensi che la via che hai intrapreso sia troppo difficile, allora dovresti anche riconsiderare la tua idea di diventare Hokage.”

Il ragazzo chiuse per un istante gli occhi, facendo un profondo respiro. Era vero. Sakura aveva ragione su tutta la linea. Non era più un ragazzino, non poteva più indugiare su quanto potesse essere dura e difficile la vita. In passato aveva versato fin troppe lacrime, non risolvendo assolutamente nulla con esse. Se si guardava indietro, scopriva che tutti i suoi insegnanti e maestri di vita avevano sofferto, portandosi dietro macigni nel cuore e nell'animo, ma erano sempre andati avanti, sorridendo anche quando nulla sembrava andare nel verso giusto. Iruka-Sensei era cresciuto senza genitori proprio come lui, ed aveva deciso di insegnare, per non far provare la solitudine a nessun altro bambino. Ero-Sennin aveva visto il suo miglior amico diventare un mostro, la donna che amava struggersi per qualcuno che ormai non c'era più e il suo allievo prediletto morire non appena era diventato padre e Hokage, ma era andato sempre avanti, conscio che piangersi addosso non avrebbe fatto ritornare il sorriso alle persone che amava e neanche gli avrebbe permesso di rivedere quelle che non c'erano più. In quanto a Kakashi-Sensei... Naruto dubitava che chiunque altro sarebbe riuscito a sopportare quello che aveva visto e provato il Sesto Hokage: aveva perso il padre che adorava quando era solo un bambino, perso i suoi compagni di squadra ed il suo Sensei quando era troppo giovane per essere chiamato adulto, aveva ucciso la donna che l'aveva sempre amato dal profondo del cuore davanti agli occhi del suo migliore amico, ed era stato costretto ad assistere alla follia di quest'ultimo, ormai solo un pupazzo accecato dall'odio nelle mani di Madara. Di fronte a quelle tragedie, lo shinobi si sentì quasi stupido ad essersi preoccupato per un lavoro pesante ed un matrimonio da organizzare.

“Ehi!” un sorriso si aprì sul volto dell'amica. Gli afferrò una mano, stringendola dolcemente, proprio come una madre con un figlio. “Ora non pensare di essere un inetto. Solo che devi capire che struggersi in queste cose non ti aiuterà a raggiungere il tuo scopo.” Naruto annuì, l'ombra di un sorriso sulle labbra. Nonostante tutto, era felice di potere condividere quel momento con lei, la sua migliore amica. “E comunque stai tranquillo: ti darò una mano con questo matrimonio.”

“Cosa?! Sakura-chan, tu...”

“Andiamo, Naruto!” sbuffò lei. “Credevi veramente di potercela fare da solo? Sei un Baka! Hinata non si merita uno sgorbio di matrimonio, non credi?”

“E come farai con il lavoro?”

“Non preoccuparti.” replicò la ragazza, sorridendo. “So cavarmela. In fondo, sono una kunoichi, le cose facili non fanno per me.” il suo sorriso fu contagioso. Naruto lo ricambiò con gioia, felice di potere contare su dei meravigliosi amici.

“Non so... come ringraziarti, davvero!”

“Beh... un modo ci sarebbe.” fece Sakura, inclinando lievemente la testa. “Convinci Sasuke-kun a tornare presto.”

Il sorriso dell'Uzumaki divenne, se possibile, ancora più ampio.

“Lo puoi considerare già fatto!”

 

 

Quando tornerai?”

Molto presto.” rispose Sakuke girato di schiena. “Dopotutto, ti stai per sposare. Non mancherò.”

Anche se era girato, Naruto era certo che l'amico di una vita stesse sorridendo, felice per lui.

Ti ringrazio, Sasuke.”

 

 

Forse era vero che ormai erano adulti, e che dovevano affrontare le difficoltà della vita a testa alta. Non c'erano più mentori pronti ad aiutarli, ormai le basi per fronteggiare il mondo le avevano. C'erano solo loro, le loro forze, la loro volontà, e le sfide di ogni giorno davanti, pronte per essere affrontate e vinte.

Eppure, quando quella mattina Naruto arrivò davanti agli uffici della Squadra Speciale, vedendo Ino e Shikamaru, non poté fare a meno di essere convinto di una cosa: anche un adulto, senza l'appoggio di un amico, non sarebbe riuscito a concludere nulla. Che si trattasse di una giovane spaventata all'idea di diventare madre, di un uomo impegnato a riconquistare la persona che amava, oppure di qualcuno deciso a costruirsi finalmente una famiglia, l'aiuto degli amici era fondamentale. Senza di loro, lui non era nulla.

“Allora!” esclamò sorridente, mettendo un braccio sulle spalle di Shikamaru e Ino. “Pronti?”

Loro lo fissarono con sguardo duro, decisi a prendere per mano le loro vite.

“Certo.”

E per quanto potesse detestare quel lavoro, improvvisamente Naruto sentì che non vedeva l'ora di passare la giornata assieme a quelle due persone così importanti per lui.

Due amici.

 

 

 

Note dell'Autore:

 

Dunque, finalmente questo capitolo vede la luce! Sasuke è di nuovo andato via? Hinata è stata per l'ennesima volta messa in secondo piano? Ho usato, per l'ennesima volta, Hanabi? Shikamaru e Ino non c'entrano un tubo a primo avviso? La risposta è sì! Ma posso spiegare xD

Dunque: lo ammetto, sono una brutta persona ad avere già fatto scomparire Sasuke. Il fatto è che l'Uchiha è un personaggio che faccio una fatica tremenda a descrivere e quindi fino a quando si fa i suoi giretti per il mondo sono più contento, ma prometto che in futuro sarà più presente nella vita di Naruto. In quanto a Hinata, in questo capitolo in cui ho affrontato principalmente la difficoltà di Naruto ad abituarsi a questa nuova fase della sua vita. Ora che arrivano gravidanze, voglie, gonfiori, pancioni e marmocchi saltellanti ci sarà tempo anche per lei (so che suona maschilista ma non era quella la finalità). In quanto a Ino... davvero, è una cosa che mi fa strano che TUTTI i personaggi abbiano copulato nello stesso periodo (visto che i loro figli hanno frequentato la stessa classe all'Accademia), quindi poco alla volta dovrò mettere il pancione a tutte. La prima è stata Hinata, ora è toccato a Ino (che non l'ha proprio presa benissimo ma dettagli), adesso mancano solo Temari, Sakura e Karui... e poi abbiamo fatto bingo!

Ok, se siete arrivati fino a qui, complimenti! Anche questa volta ho finito. Come sempre ringrazio chiunque legga e recensisca la storia. Ricordo che qualsiasi tipologia di recensione (negativa e positiva) sono ben accette.

Un saluto!

Giambo

 

 

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Capitolo 8
*** Sacrifici ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko  

 

Sacrifici

 

 

 

C'erano molte, moltissime cose al mondo che potevano urtare il sistema nervoso di Naruto Uzumaki con estrema facilità: Sasuke, Kiba, Anko, Sasuke, Kurama, Sasuke, Sakura-chan, Sasuke. Tutto il contrario Hinata invece, la quale era pronta a sopportare qualsiasi cosa, pur di poter arrivare a fine giornata e sentire le labbra di Naruto sulle sue. Sakura l'avrebbe chiamato amore incondizionato, Kiba un ottimo incentivo per l'addestramento dei cani. Tuttavia, che Hinata Hyuga fosse una persona dolce, amabile, paziente e riservata era noto a chiunque, e tutti la adoravano per queste sue caratteristiche.

Tuttavia, negli ultimi giorni, Hinata aveva appena scoperto di detestare una cosa, con tutte le sue forze: l'improvvisa attenzione che la sua pancia, o meglio ciò che cresceva al suo interno, richiamava.

La ragazza sospirò, richiamando immediatamente l'attenzione delle sue amiche, le quali seguivano ogni sua azione come i segugi fiutano una pista.

“Ragazze, non c'è bisogno di fare quelle facce.” mormorò la Hyuga, imbarazzata a sentirsi al centro della scena. “Sto bene, davvero. Sono solo al terzo mese.”

“Sì, sei solo al terzo mese.” esclamò Sakura, improvvisamente pensierosa. “Non sai quante ne ho viste di donne in ospedale morire per emorragie interne durante la gravidanza...”

Un silenzio più gelido dell'aria di fine gennaio che soffiava su Konaha cadde sopra di loro.

“Allora, di cosa vogliamo parlare?” esclamò improvvisamente Tenten.

“Beh, potrei raccontarvi cosa mi è accaduto oggi sul lavoro. C'è stato un...”

“Niente racconti raccapriccianti dell'orrore Sakura, grazie.” mormorò a denti stretti la kunoichi. “Ino?”

“Voglio uccidere quella fastidiosa sgualdrina di Anko!” ringhiò la bionda, persa nel suo mondo fantasioso dove la Mitarashi la implorava di perdonarla in ginocchio.

“D'accordo,” esclamò l'allieva di Gai, un sorriso falsissimo sulle labbra. “Parliamo della gravidanza di Hinata!” l'occhiata che subì da parte della Hyuga non fu propriamente amichevole.

“Hai già in mente qualche nome?” domandò subito Ino, scostandosi la frangia con fare eccitato.

“Sicuro!” fece sarcastica Sakura. “Fammi indovinare: Naruto se sarà un maschio e... Naruto se sarà una femmina!”

“Veramente noi... non abbiamo ancora pensato a queste cose.” replicò a fior di labbra Hinata, desiderando ardentemente una pala per scavarsi una fossa. “Attualmente stiamo cercando casa. Sapete, ora che Naruto ha uno stipendio fisso di un certo valore, assieme ai miei risparmi come ninja, ci piacerebbe avere una casa singola, magari con giardino.”

“Aspetta aspetta, non ti seguo!” esclamò Tenten. “Tu non appartieni al clan Hyuga? Non sei l'erede del clan più antico, ricco e potente di tutta Konoha? A cosa ti serve contare i centesimi? Praticamente tuo padre potrebbe comprare l'intero villaggio con uno schiocco delle dita!”

“Beh... ecco... ” improvvisamente, la Hyuga non seppe cosa dire. Voleva bene a suo padre, ed era convinta che l'avrebbe aiutata volentieri e con sincerità a finanziare la casa nuova, oltre che il matrimonio. Tuttavia, una parte della ragazza non riusciva ad accettare l'idea di dipendere ancora dal padre all'età di ventitré anni. Era più forte di lei. La cosa che desiderava più al mondo, oltre che essere perennemente tra le braccia di Naruto, era la possibilità di vivere la sua vita senza dovere dipendere da qualcuno, genitore compreso.

“Credo che quello che Hinata voglia dirci sia che preferirebbe farcela con le sue sole forze.” la voce dell'Haruno non le era mai parsa così angelica come in quegli istanti.

“Bah! Non ti capisco! Se mio padre avesse avuto tutti i soldi degli Hyuga, gli avrei chiesto continuamente di finanziare le mie compere.” esclamò Ino, addentando con goduria il quarto panino della serata.

“Ino... sicura di stare bene?” chiese Tenten, osservando l'amica con fare sconvolto. “Di solito quattro panini li mangi in un mese.”

“Stai tranquilla, stasera ho solo un po' di appetito in più.” la kunoichi bionda sorrise, le labbra ancora sporche di senape e salsa piccante. Sakura alzò gli occhi al cielo ma preferì non aggiungere nulla.

“E dei preparativi del matrimonio che mi dici, Hinata?” esclamò Tenten. “Pronta a fare faville?! Perché, se ti serve una mano...”

“Veramente la sto aiutando io.” si intromise la Haruno. “Conoscendo Naruto, ho pensato fosse meglio che ci pensasse qualcuno di più competente.” il sorriso sul volto dell'allieva di Gai si spense lentamente, lasciando posto ad una smorfia posticcia.

“Beh... è una notizia splendida!” dichiarò con entusiasmo un po' troppo forzato per sembrare sincero. Hinata, notando ciò, non riuscì proprio a trattenersi.

“Se vuoi puoi darmi una mano con il trasloco, Tenten.” le propose con voce gentile. “Sai, Hanabi e Naruto sono sempre molto impegnati, e le cose da imballare sono così tante...”

“Davvero?! Fantastico! Conta pure su di me!” gioia pura si irrorava dal viso della kunoichi mora, illuminando il tavolo. Sakura strinse gli occhi in modo impercettibile, Hinata si chiese a cosa era dovuto tutto quell'entusiasmo, mentre Ino trattenne a stento un rutto, sbraitando per avere il quinto panino della serata.

Tenten... chissà cosa si cela dietro quel sorriso così strano...

“Ehi, stronzo! Avevo ordinato un panino ben cinque minuti fa! E andiamo!”

 

 

Nelle settimane successive, Hinata ebbe modo più volte di pentirsi della sua proposta. Tenten era pasticciona, esuberante, vivace e un po' troppo sorridente. Soprattutto, sembrava che la spaventasse enormemente il silenzio, dato che cercava di riempirlo in qualsiasi modo e con qualunque mezzo.

“Ops!” la kunoichi sbarrò gli occhi non appena vide lo stemma degli Hyuga in frantumi. Decidere di imballare quell'antico vaso da sola non era stata una buona idea. Quando Hinata, richiamata dal frastuono, vide i preziosi cocci a terra, l'altra ragazza entrò nel panico.

“Scusami Hinata, mi dispiace tantissimo! Il fatto è che ultimamente non ho una presa saldissima, il che è strano vista la mia abilità nell'usare le armi. È successo la stessa identica cosa quando avevo quattordici anni, mentre aiutavo Gai-Sensei a spostare un enorme gigantografia di Kakashi-Sensei. Chissà poi cosa se ne faceva...”

“Tenten!” Hinata la interruppe, vergognandosi subito di quella scelta. “Non importa, non è una cosa così grave.”

“Davvero? Menomale, sono così sollevata! Sai, per un istante ho temuto che...”

“Tenten...” la voce bassa della Hyuga bloccò nuovamente il suo irrefrenabile cicaleccio. “Forse sei un po' stanca. Se vuoi andare a casa a riposarti...”

“No!” l'urlo risuonò improvvisamente, con violenza, facendo spaventare Hinata. Gli occhi lilla di quest'ultima fissarono Tenten, la quale aveva il fiatone, il viso deformato in un'espressione di terrore.

“Tenten... c-c'è qualche problema?” davanti a quella domanda appena mormorata, la kunoichi si girò di scatto, le labbra strette in una morsa d'acciaio.

“No, tranquilla Hinata... sto benissimo.” tirò su con il naso, rivoltandosi, il volto di nuovo disteso in un sorriso fasullo. “Forse però hai ragione: sono stanca. Un po' di riposo mi farà bene.” fece per uscire dalla stanza, quando la voce dell'amica si insinuò dentro di lei, frantumando ogni barriera.

“E' per via di Neji-niisan, non è vero?” davanti a quelle flebili parole, la schiena dell'allieva di Gai prese a sudare freddo, il colore del volto che lentamente scompariva. “E' per lui che vuoi aiutarmi a tutti i costi, dico bene?”

Fece un profondo respiro, sentendosi i polmoni forati da centinaia di coltelli di ghiaccio. Aveva sempre sperato che quel confronto non arrivasse mai.

Neji...

“Può essere.” dichiarò infine, la salivazione azzerata. Strinse la maniglia del fusuma con così tanta forza da far gemere il legno. “Alla fine, le cose che più desidereresti dimenticare tornano sempre a colpirti, non è strano?” si voltò, il viso impassibile, vuoto, impossibile da decifrare per Hinata. Quest'ultima portò gli occhi verso il basso, sentendoli umidi. Il ricordo della sua morte era ancora lì, che aleggiava sopra di loro, come un macabro legame di cui però nessuna delle due aveva coraggio di privarsene.

“Io... credo che fosse molto legato a te.” mormorò infine la Hyuga, in un debole tentativo di consolarla. In quel preciso istante, la mora comprese una cosa che la sconvolse: non si era mai soffermata su quanto dolore la perdita del cugino poteva aver arrecato agli altri, neanche a Tenten e Rock Lee, suoi compagni di squadra per anni. Fu qualcosa che la fece sentire un mostro, rendendole le gambe improvvisamente deboli.

“E' consolante sapere che qualcuno oltre a me lo pensi.” replicò Tenten, la voce incrinata. “A volte, mi chiedo se per lui io fossi qualcosa di più di un sacco per gli allenamenti. Ho tentato per anni di ricordarmi di un suo complimento, un sorriso, un gesto amichevole. Ma ho dovuto arrendermi all'evidenza che quando non eravamo in missione, io per lui non esistevo.”

“Tu... lo amavi?” quella domanda cadde nel vuoto, mentre gli occhi scuri di Tenten si perdevano in ricordi ricolmi di dolore, inviandole l'immagine del corpo di Neji Hyuga perforato mortalmente, il viso ricoperto di sangue finalmente sorridente.

 

 

Perché?! Perché l'hai fatto?! Perché hai voluto sacrificarti per uno come me?!”

Perché... una volta... mi chiamasti genio.”

 

 

“Amore... è una parola senza significato per me.” rispose infine, piantandosi le unghie nella carne degli avambracci, in uno strenuo tentativo di proteggersi dal passato. “Non sono mai riuscita a provare qualcosa per un uomo che potesse definirsi amore. Tuttavia, quando vedevo quel viso serio, sentivo il desiderio spasmodico di vederlo sorridere... almeno una volta.” percepì gli occhi umidi, ricordando i centinaia di pomeriggi trascorsi davanti a quella piccola lapide, tutto ciò che restava dell'unico uomo capace di smuoverle qualcosa dentro di sé. Un sentimento che era morto troppo presto, facendola sentire privata di qualcosa di potenzialmente bellissimo. “Perdonami!” aggiunse immediatamente, asciugandosi gli occhi con un gesto stizzito della mano. “Vengo a parlare di queste cose in tua presenza, quando per te la sua perdita deve essere stata... infinitamente più orribile.”

Hinata volse gli occhi alla finestra. Ciò che vide non fu il proprio riflesso ma quello di un'altra persona, con occhi identici ai suoi.

“Il dolore non cambia, resta uguale.” mormorò, avvicinandosi alla finestra, persa nei suoi ricordi. “Sarebbe sciocco, o stupido, da parte mia pretendere che il mio sia più importante del tuo.”

Il viso di Tenten rimase privo di espressione, gli occhi fissi al pavimento. Era la prima volta da otto anni che parlava con qualcuno. Non sapeva se sentirsi felice oppure sconvolta all'idea di grattare sotto cicatrici troppo sottili.

“Mi piacerebbe poter dire che ho superato questo lutto, questo dolore, ma non sarei onesta con me stessa.” dichiarò infine. “Spesso la notte lo sogno, vivo, affianco a me, nella vita di tutti i giorni.” le labbra presero a tremarle, mentre la prima lacrima rotolava lungo la guancia. “E' sempre... felice. Le prime volte è stata dura svegliarsi e sapere che tutto ciò che resta di lui è una lapide, ora invece è più facile, fa meno male, sempre meno... fino a quando però non ti accorgi di non riuscire a provare più nulla.”

La Hyuga le si avvicinò, afferrandole le mani. Gli occhi scuri dell'amica si rifletterono nei suoi.

“Credo di capire il tuo dolore.” mormorò Hinata. “Perché è stato così anche per me: pensavo di aver superato la sua morte, ma più andavo avanti e più mi accorgevo che stavo perdendo ogni voglia di vivere. Ero spenta.” un pallido sorriso le illuminò il volto. “Poi... Naruto-kun mi ha salvato. Essere finalmente capace di accettare il mio dolore, ed i miei sentimenti, mi ha salvato.”

Quelle parole non diedero alcuna gioia alla kunoichi, i suoi occhi marroni vagarono verso il pavimento, nel tentativo di ingoiare la fiele che le attanagliava la gola.

“Io...” deglutì a vuoto, sentendo i muscoli del collo spaventosamente contratti, la mente che le inviava ogni singolo frammento di Neji che riusciva a ricordare. “Avrei tanto voluto che lui potesse essere qui, con te, a condividere la tua gioia.” le labbra si distesero in una smorfia priva di allegria. “Forse è per questo che... sto cercando di aiutarti. Perché... è quello che farebbe lui e io... io...” le parole sparirono lentamente nell'aria, i singhiozzi sempre più rapidi che le squassarono il corpo. Non ci riusciva. Nonostante tutto, alla fine quelle ferite che credeva guarite erano lì, a sanguinare copiosamente, rendendola debole e sola.

Hinata la abbracciò, lentamente, facendole appoggiare la testa sulla propria spalla. L'amica si aggrappò a quel contatto con la forza della disperazione, quasi spaventata all'idea che potesse fuggire.

“Per un dolore così... temo non ci sia alcuna cura.” le faceva strano consolare una persona. Di solito era lei quella che necessitava di aiuto, che non riusciva a combattere da sola le proprie battaglie. Eppure, in quel frangente sentiva di stare facendo la cosa giusta. Che abbracciare Tenten, lasciarla sfogare, farle capire che non era sola a combattere le ferite dell'anima era bello, perché capiva di potere dare molto agli altri, anche con gesti semplici, privi di eroismo o di magnificenza.

“Perdonami.” la mora si asciugò le lacrime, staccandosi da lei, un sorriso tremulo sul viso bagnato. “Non volevo addossarti i miei problemi, specie ora che stai per sposarti. Ti devo essere sembrata un'egoista, scusa.”

Hinata scosse la testa.

“Io sono tua amica.” mormorò. “E per me sei importante.” non riuscì a dire di più, ma Tenten sembrò apprezzare, perché il suo sorriso divenne più marcato.

Hinata... grazie.

A volte bastava molto poco per cambiare la vita di una persona. Un abbraccio, un sorriso prima di morire, una stretta di mano, un bacio. Erano gesti così semplici e spontanei che raramente la gente si soffermava a rifletterci sopra. Eppure, quell'abbraccio Tenten lo aveva ancora impresso in mente, ore dopo, davanti ad una lapide che conosceva fin troppo bene.

Neji... La ragazza fece un profondo respiro, osservando il proprio fiato condensarsi e sparire nella fredda aria serale. Non ho idea se ti amassi o meno. I suoi occhi andarono a posarsi sui fiori che gli aveva portato quella mattina, accanto al mazzolino di Hinata. Ma eri una persona importante per me.

Strinse le labbra, pensando improvvisamente a quante vite erano state spezzate, quanto dolore quel mondo aveva dovuto sopportare. Lei stessa l'aveva vissuto sulla sua pelle il dolore, constatando quanto potesse essere devastante, orribile e forte un lutto.

Ti voglio bene, Neji.

Gli volse le spalle, dirigendosi verso l'uscita del cimitero. Piangeva, tenendo però lo sguardo alto, ultimo omaggio a quella ferita del cuore. Un sentimento troppo forte per essere definito amicizia, ma troppo debole per considerarsi amore.

Ma devo andare avanti.

Uscì, decisa a prendere per mano la sua vita. Un'esistenza che non per forza avrebbe significato la presenza di un uomo al suo fianco. Tuttavia, voleva ritornare a vivere, anche accettando l'idea che lui non fosse più lì, accanto a lei.

Grazie davvero, per tutto.

Lei era una kunoichi di Konoha. Sapeva di avere davanti a sé una via difficile, ma non era spaventata. Come le aveva sempre detto Gai-Sensei, se avesse sorriso tutto sarebbe stato più facile.

E lo fece.

 

 

Mirai Sarutobi era quel genere di bambina che tutti avrebbero definito adorabile, se non fosse stato per la sua iperattività capace di mandare in lacrime l'insegnante più paziente. L'unica persona che riusciva a tenerla sotto controllo era sua madre Kurenai, alla quale di solito bastava un'occhiata penetrante per indurla all'obbedienza assoluta. Tuttavia, quando quella sera il campanello suonò, neppure la jonin riuscì a tenere a freno l'eccitazione della figlia.

“E' arrivato! Mamma, è arrivato!” la piccola corse rapida per i corridoi, i piedi che scalpicciavano per la fretta, mentre la donna, dalla cucina, le urlava inutilmente di non correre. Quando Mirai aprì la porta, il suo sorriso divenne immenso.

“Zio Shika!” con un urlo, la bambina saltò letteralmente addosso al Nara, il quale rispose con un sorriso stanco, prendendola in braccio ed entrando in casa.

“Guarda!” con sguardo fiero, la piccola mostrò allo zio acquisito uno shuriken. “Questo l'ho rubato all'Accademia questa mattina!”

“E cosa pensi di farci?” le chiese Shikamaru. La piccola Sarutobi sorrise con fare birichino, gli occhi rossi pieni di divertimento.

“Stamattina io e i miei amici lo abbiamo usato per sezionare una lumaca.” bisbigliò, ridendo subito dopo. “E' stato disgustoso!”

“Abbastanza.” dichiarò il moro, sorridendo. “Ascolta, che ne dici se lunedì, quando esci dall'Accademia, venissi a prenderti? Così ti insegno come si usa un kunai.”

“Sì!” rispose subito Mirai, sorridendo. “Non vedo l'ora di usarli per sventrare le cavallette!”

“Veramente non sarebbe quella la loro funzione...” sospirò Shikamaru, grattandosi la testa. All'ingresso del salotto, Kurenai scoppiò a ridere. Le faceva piacere osservare l'affetto e l'impegno di Shikamaru per essere una figura presente nella vita della figlia. Lo shinobi delle ombre rimase a giocare per un'oretta con la bambina, poi la madre la trascinò a letto di forza. Mirai infatti non aveva nessuna voglia di andare a dormire, non quando aveva zio Shika tutto per sé.

“Stai tranquilla.” esclamò quest'ultimo, asciugando le prime lacrime dal viso della piccola. “Vedrai che lunedì arriva presto.”

“E' una promessa?” chiese subito la bambina. Quegli occhi rossi, su quei viso dai tratti così familiari ebbero il potere di dare vita ad un sorriso sincero del Nara.

“Sì, è una promessa.”

Una volta rimasto solo, il ragazzo sprofondò sul divano, sospirando pesantemente. Improvvisamente, si accorse che stare vicino a Mirai gli costava tantissimo. Gli sembrava ogni volta di rivedere il suo Sensei, i suoi sorrisi, la sua risata, la sua sigaretta. Ogni cosa di Asuma che ricordasse gli tornava in mente quando fissava il viso paffuto della sua figlioccia, lasciandogli un sapore amaro in bocca.

“Gli somiglia, non è vero?” Kurenai era ritornata nella stanza, sedendosi affianco allo shinobi. Quest'ultimo non poté far altro che annuire, un sorriso amaro sulle labbra.

“Mi dispiace.” mormorò con un sospiro. “Mirai avrebbe bisogno di un padre vero, non di uno sconosciuto che si fa vivo due sere a settimana.”

“Quello che fai è già tanto.” replicò la donna. “Non sei uno sconosciuto, ma una persona importante per lei. Credimi, la tua presenza, anche se sporadica, aiuta tantissimo Mirai, la fa sentire meno sola su certe cose. Cose che una madre non può dare ad una figlia.”

“Se si tratta di picchiare gli aspiranti corteggiatori non credo c'è ne sia bisogno: li può sistemare da sola.”

“Parlo seriamente.” gli occhi della jonin si posarono sui fiori appoggiati al davanzale, il viso contratto in un'espressione severa. “Tu forse non te ne accorgi, Shikamaru, ma assomigli tantissimo ad Asuma da giovane. A volte, quando ti guardo, mi sembra di tornare indietro nel tempo.”

Il Nara non rispose subito, la mente colpita a tradimento da un'immagine del suo Sensei. Si accese una sigaretta con movimenti lenti, gli occhi che brillavano alla fiamma dell'accendino.

Sensei...

“Non credo di assomigliargli così tanto.” rispose infine, soffiando fumo dalle narici. Kurenai sospirò, trattenendo a stento un sorriso.

“Tu l'hai conosciuto solo quando era invecchiato. Da giovane Asuma era un vero cocciuto, orgoglioso e testardo fino alla morte. Con il padre non ebbe alcun contatto per oltre dieci anni, ritenendolo incapace di riconoscere il suo talento.” lo sguardo della kunoichi divenne penetrante. “Sicuro che questo non ti ricordi nulla?”

Già, vivere all'ombra di un padre troppo ingombrante. Shikamaru non era mai stato una persona alla quale importasse più di tanto l'opinione della gente. Tuttavia, con il passare degli anni, sentiva inevitabilmente la pressione del paragone con il padre. Shikaku era stato un grande capo per i Nara, oltre che un politico ed un tattico brillante. I paragoni con lui, in quanto suo figlio, si sprecavano da anni, e spesso percepiva qualcosa di molto simile a fastidio all'idea di venire comparato perennemente con il genitore. Per Asuma, figlio del Terzo Hokage, noto per il suo straordinario potere e talento in battaglia, doveva essere stato altrettanto difficile.

“Mi viene difficile pensarlo in questi termini.” mormorò il moro. “Ho sempre visto in lui... un modello da seguire.”

La donna chiuse lentamente gli occhi, mentre una ferita mai del tutto guarita stillava dolore dentro di lei.

“Asuma... quello sciocco.” sospirò. “Per anni non è riuscito a dirmi che mi amava, tutto per il suo orgoglio.” le sue labbra si strinsero. “Chissà, forse se avessimo avuto entrambi più coraggio... le cose sarebbero andate diversamente.”

Il Nara alzò lo sguardo al soffitto, il pensiero che vagava lontano da quella casa, verso il volto dell'uomo che l'aveva aiutato a diventare adulto.

“Coraggio.” borbottò. “Ci vuole coraggio... anche nella vita di tutti i giorni.” una montagna di capelli biondi invasero la sua mente.

“Per questo motivo sono felice che tu sia qui, accanto a Mirai.” dichiarò Kurenai, appoggiandogli una mano sul ginocchio. “Certe cose una madre non può insegnarle. Solo un padre può far capire ad un figlio che spesso amare qualcuno significa dovere sacrificare qualcosa.”

Shikamaru non reagì. Pensò a tante cose in quegli istanti, la sigaretta che bruciava lentamente tra le sue labbra. Pensò ad Asuma, il suo Sensei, orgoglioso e testardo, ai suoi genitori, capaci di amarsi nonostante i loro caratteri conflittuali. Pensò a Mirai, così piccola, così piena di gioia, di vivere, assaporare, ascoltare.

Ma soprattutto pensò a Temari.

Seccatura...

“Non sono convinto che io sia la persona più adatta per insegnare questo a Mirai.” mormorò a voce bassa. “La mia capacità di gestire una relazione è piuttosto schifosa.”

“Non si tratta di gestire una relazione.” replicò Kurenai. “Sto parlando di un rapporto umano, Shikamaru.” lo shinobi aspirò del fumo, incapace di compiere altro, la mente persa in ricordi carichi di rimorso.

“Asuma ti voleva bene, e ha dato la vita per te.” proseguì la jonin. “Un giorno, quando Mirai mi domanderà come suo padre è morto, io le risponderò questo.”

“Non l'ha fatto per me.” replicò il moro. “L'ha fatto per il Villaggio, è diverso.”

“No che non lo è. Asuma ti amava, ed è stato il pensiero che tu potessi non proseguire la sua volontà che gli ha dato la forza di sacrificarsi.”

“Non è stato un sacrificio!” ora la sua voce era dura. Non aveva alcun piacere a ricordare il suo Sensei, morto anni prima. “Lui non doveva morire lì, non in quel momento!”

“Ma lo ha accettato. Il pensiero di sapere che tu, Ino e tutti gli altri giovani sareste andati avanti gli ha dato la forza di accettare il suo fato, di morire in pace.” la donna gli prese il viso tra le mani. “Ha dato la sua vita per amore, Shikamaru.”

Il ragazzo chiuse gli occhi, mentre un respiro profondo lo scosse.

“Mirai ha il diritto di saperlo, e tocca a te dirglielo.” Kurenai si alzò. “Ho amato Asuma per tanti anni.” mormorò, girandosi di schiena. “E lui non è mai riuscito a prendermi la mano in pubblico. Tutto per orgoglio.” andò fuori dalla stanza, dichiarando poche parole sull'uscio.

“Vedi di non commettere i suoi stessi errori, Shikamaru.”

Il Nara rimase seduto su quel divano per molto tempo, mentre la sigaretta si consumava lentamente. Stranamente, non pensò. Non rifletté su nulla, limitandosi a guardare la parete di fronte a sé.

Che gran seccatura...

Spense la sigaretta, alzandosi. Per la prima volta dopo anni, non sentiva alcun desiderio di fumare.

 

 

Quando rientrò in casa, non fu del tutto sorpreso di trovare Temari ancora alzata. La kunoichi era seduta sul divano a leggere, le gambe accavallate. Nonostante indossasse una semplice tunica bianca, tipiche del suo paese, il Nara la trovava incredibilmente bella. Ormai erano anni che non facevano sesso, e la cosa cominciava a pesargli molto più di quanto volesse ammettere.

“Ciao, Seccatura.” borbottò lo shinobi, andando a sedersi affianco. Temari non lo degnò di uno sguardo, proseguendo la propria lettura. La stanza cadde in un silenzio imbarazzante per dieci lunghissimi minuti.

“Vado a dormire.” sbuffò la bionda, alzandosi non appena Shikamarua fece per accendersi una sigaretta.

“Ehi, Seccatura.” la richiamò lui, fissandola dritta negli occhi. “Per quanto tempo andremo avanti così?”

La ragazza di Suna non rispose subito, fissandolo con sguardo freddo.

“Di cosa stai parlando, Crybaby?”

“Non prendermi per il culo.” replicò subito il Nara. “E' un anno e mezzo che viviamo da separati in casa, e francamente la cosa mi sta cominciando a dare molto fastidio.” era nervoso, il sangue circolava acido dentro le sue vene. Desiderava litigare oltre ogni misura. “Quindi ora parliamo.”

“No, non parleremo.” rispose la kunoichi, un sorriso perfido sulle labbra. “Non ho nulla da dirti, a parte che spero che il divano sia scomodo come sempre.”

“Oh, tu forse non hai nulla da dire, ma io ho un sacco di cose da raccontarti.” ora fu il turno di Shikamaru di sorridere. “Per esempio, potrei raccontarti di quanto scopa bene Ino.”

Vedere come Temari incassava il colpo fu la migliore soddisfazione della serata. Il sorriso di lei divenne, se possibile, ancora più largo e cattivo.

“Anch'io potrei raccontarti di come tu sia l'uomo con il pene più corto con cui abbia fatto sesso, ma sarebbe fiato sprecato.”

“Non è vero.”

“Cos'è, hai letto il mio diario dove annoto le dimensioni?”

“Non è vero che mi hai tradito.” davanti a quell'affermazione, Temari scoppiò in una risata priva di gioia.

“Crybaby... ormai non sei più un marmocchio.” scosse la testa, il sorriso cattivo sempre stampato sulle labbra. “Pensavo l'avessi capito che se abito qui è solo per comodità. Non provo più nulla per te. Amore, odio, fastidio... in effetti, tu per me non sei nulla.” erano parole fredde, cattive, dettate forse da qualcosa di più di semplice disprezzo. Shikamaru non replicò subito, fissando dritto negli occhi la donna che amava, il sorriso di prima completamente scomparso.

“Che cosa vuoi, Temari?” quella domanda colpì molto più a fondo di qualsiasi insulto, soprattutto perché l'aveva chiamata per nome. La bionda smise di ridere, il volto contratto in qualcosa di estremamente simile a rabbia.

“Che cosa vuoi?” ripeté lo shinobi. “Vuoi che ti faccia da schiavetto? Che passi il resto della vita a pagare un errore compiuto da sbronzo? Che diventi qualcosa che non sono? Che cosa vuoi da me, Temari? Perché per una volta non parli chiaro, senza insultarmi o urlare?”

La kunoichi contrasse le labbra, gli occhi cerulei che lanciavano fiamme. Si avvicinò lentamente al volto di lui, fino a quando i loro nasi non si sfiorarono.

“Vorrei che tu crepassi tra le fiamme dell'inferno!” sibilò velenosa, la voce carica di odio. Il moro non si scompose, limitandosi a sospirare.

“Dunque ho ragione io: provi ancora qualcosa per me.” un sorriso si aprì sulle sue labbra. “Dovresti ammetterlo.”

“Vaffanculo, Shika!” esclamò lei, allontanandosi. “Cosa ti aspettavi dopo che mi hai tradito con quella puttana?! Che tutto tornasse come prima?!”

“Mi sarei aspettato che tu ti fidassi di me.” replicò il Nara, alzandosi dal divano. “Mi sarei aspettato che apprezzassi i sacrifici che sto facendo per te, che non ho mai alzato una lamentela in questi ultimi diciotto mesi.” la guardò dritta negli occhi, il volto terribilmente serio. “Mi sarei aspettato che riuscissi a voltare pagina, assieme a me.”

Temari scosse la testa, le labbra sbiancate dalla forza di morderle. Sembrava quasi temesse di mostrare i suoi sentimenti.

“Ci ho provato, Crybaby.” mormorò, gli occhi lucidi per un istante. “Ho tentato centinaia di volte a superarlo, di andare avanti assieme a te, ma tutte le volte che ti guardo in faccia, ogni maledettissima volta, io vedo lei... che ti porta via da questa casa.” si morse l'interno della guancia, tirando su con il naso. “Io... non credo di farcela. Non posso perdonarti, è più forte di me.”

“Se non pensavi di farcela, potevi lasciarmi un anno e mezzo fa.”

“Io ci ho provato, Shika!” reagì con stizza la donna, il tono di voce aggressivo. “Ho tentato in ogni modo di andare oltre, ma tu... tu mi hai tradito, Kami! Ti avevo dato fiducia, ti avevo dato la possibilità di costruire qualcosa assieme, e tu hai buttato tutto nel cesso, pensando poi che bastasse qualche lavoretto domestico per rimediare!”

Nel salotto cadde un silenzio pesante. Shikamaru afferrò una sigaretta dal pacchetto, la mano che ebbe un fremito impercettibile. Improvvisamente, desiderò di non aver mai conosciuto Ino Yamanaka.

“Temari... che cosa vuoi?” ripeté, la sigaretta ancora spenta stretta tra le labbra. “Desideri lasciarmi?” gli fece male fissarla dritta negli occhi, perché ci lesse la risposta prima che la pronunciasse.

“Forse... è la cosa giusta da fare.”

Lo shinobi non replicò, lasciandola andare a dormire. Si risedette sul divano, lo sguardo perso nel vuoto. Sentì di aver sbagliato ancora, di non essere riuscito a correggere le cose come sperava. Forse era veramente un problema d'orgoglio il suo, il non poter accettare di dovere sacrificare qualcosa per lei per paura di cambiare troppo.

Che seccatura le donne...

Non chiuse occhio quella notte, chiudendosi in cucina, e svuotando la dispensa di liquori. Poi, all'alba, con un grugnito, si buttò in doccia, uscendo giusto in tempo per andare a lavoro, come se niente fosse. Consapevole che, al suo ritorno, Temari sarebbe uscita dalla sua vita.

Per sempre.

 

 

Quel giorno al tavolo della mensa aleggiava un'atmosfera da funerale. Ino, Naruto e Shikamaru, o come li avevano ribattezzati malignamente i colleghi, gli Anko Boys, fissavano i propri piatti con la speranza di affogarci dentro.

“Questa settimana sono ingrassata di tre chili!” esclamò Ino, il trucco disfatto dalle lacrime mentre azzannava voracemente la quinta porzione di patatine fritte. “Mi faccio schifo da sola!”

“Ieri sera Hinata ha avuto le voglie.” mormorò Naruto, due occhiaie gigantesche sul volto. “Ho passato tutta la notte a riempirla di cibo. Certo, le ho fatto un po' compagnia... ma come si fa a volere una bistecca di manzo grigliata alle tre del mattino?!”

Shikamaru non disse nulla, limitandosi ad accendere quella che doveva essere la ventesima sigaretta della giornata. Sembrava una ciminiera vivente.

“E sapete cosa ha detto quello stronzo di Sai?! Che con un po' di chili in più sto davvero bene!” Ino incominciò a singhiozzare, passando al dolce. “Quello stronzo! Dopo tutti gli anni a dieta che ho passato per lui! Si merita l'astinenza completa dal sesso per tre anni come minimo, quel maledetto lurido...”

“Ho addirittura saltato il torneo settimanale di Morra Cinese con Kurama per lei.” proseguì l'Uzumaki, ignorando bellamente il lamento dell'amica. “Era la nostra serata... ora non mi rivolge più la parola.” scosse la testa, fissando amareggiato il proprio contorno di zucchine. “Diavolo, ero pure sotto con le vittorie! Ora chissà quando mi permetterà di recuperare.”

Shikamaru si limitò a soffiare fumo in faccia a Naruto. Subito dopo, la Yamanaka gli strappò furiosamente la sigaretta dalle labbra.

“Brutto stronzo, ti ricordo che sono incinta! Tieni quelle stecche malefiche lontane da me!” davanti ad una Ino urlante, in lacrime e con la bocca sporca di maionese, tutto quello che il Nara fece fu di tirare fuori una piccola bottiglietta, iniziando a tracannarla sotto lo sguardo perplesso degli amici.

“Shika...” con un gesto fulmineo, Naruto afferrò la bottiglia, annusandone il contenuto. “Da quando bevi schotch a pranzo?”

Il Nara li fissò trucemente per alcuni istanti, poi con una scrollata di spalle parlò.

“Temari mi ha lasciato.” nel sentirlo, Naruto si strozzò con l'acqua, sputacchiando addosso ad una disgustata Ino.

“Scusa...” esalò il biondo. “Temari ha fatto... cosa?!”

“Non è un problema.” borbottò il moro. “Davvero!” aggiunse, osservando le occhiate scettiche dei due. “In fondo... erano mesi che le cose non funzionavano. Forse è stato meglio così.” si riprese la bottiglia, alzandosi. “Scusate, ora torno a fare schifo nel mio ufficio.”

“Dici che sta bene?” domandò l'Uzumaki, osservandolo allontanarsi mentre tracannava liquore. Ino non rispose, gli occhi chiari piantati sulla schiena dell'amico. Sapeva benissimo il motivo per cui aveva perso la donna della sua vita.

Ha preferito rimanere da solo, piuttosto che rinnegare la nostra amicizia.

Non era la prima volta che Shikamaru metteva le esigenze di lei davanti alle sue. Lo faceva anche con Choji, e non aveva mai fatto pesare la cosa ai suoi migliori amici. Sotto quello sguardo annoiato ed alle sigarette, si nascondeva qualcuno che amava follemente i propri amici, e desiderava la loro felicità più della propria.

Shika...

 

 

Non era facile essere incinta. Nonostante fosse una persona amabile e gentile con tutti, negli ultimi tempi Hinata si era tramutata in una creatura imprevedibile, perennemente affamata e con gravi squilibri ormonali e comportamentali.

“Naruto-kun?” un tempo, sentendosi chiamare in quel modo, lo shinobi sarebbe accorso stracciandosi i vestiti mentre correva, ora invece si avvicinò alla salotto del suo appartamento tremando come una foglia.

“Sì... Tesoro?” chiese, pregando ogni divinità esistente che Hinata volesse solo un cuscino più morbido.

“Avrei fame, ti dispiace prepararmi qualcosa?” il tono angelico della sua futura moglie lo mandò nel pallone più assoluto.

Kurama...”

Gira al largo, moccioso!”

Kurama ti scongiuro, aiutami! Non ho più cibo per saziarla, ha mangiato anche le salse, e soprattutto tra 5 minuti dobbiamo uscire a vedere una casa!” il ragazzo si mise in ginocchio davanti all'amico, le mani giunte. “Per favore!”

Come puoi pretendere che ti aiuti?!” berciò il Kyuubi. “Hai saltato la nostra cinquecentoventiseiesima sfida settimanale di Morra Cinese!”

Voi Bijuu siete delle creature insensibili!”

Benissimo.” Kurama si sdraiò, un ghigno che lo shinobi conosceva fin troppo bene sul muso. “Lasciami godere lo spettacolo di te che le prendi da un'umana incinta.”

Se speri che ti aiuti con Matatabi stai sbagliando tutto...”

Tu dovresti aiutarmi in cosa?!”

Avantì!” sbuffò il biondo. “E' palese che le corri dietro! Comunque ora ho da fare, ci vediamo insensibile!”

“Hinata...” ignorando bellamente Kurama, il quale continuava a berciare che no, non era minimamente interessato alla bella Bijuu a due code, Naruto si preparò mentalmente ad essere sbranato vivo. “Dobbiamo andare a vedere una casa. Non abbiamo tempo per fare uno spuntino.”

“Oh...” la ragazza sembrò per un istante sorpresa, contraendo i lineamenti del viso in qualcosa di simile a tristezza. “Ma io avrei veramente fame.” la Hyuga fece due occhioni ricolmi di zucchero al fidanzato. “Per favore.”

Cinque minuti dopo, Naruto era in coda da Ichiraku per una confezione gigante di ramen.

Tu sì che sai farti rispettare.”

Arriverà il giorno in cui sarò io a sghignazzare... oh, sì, arriverà.”

Sì, certo. Nel frattempo, vedi di non farla aspettare, Baka. Sai, non vorrei perdermi il secondo tempo dello spettacolo.”

Venti minuti, e due confezioni giganti di ramen dopo, Naruto e Hinata osservavano quello che doveva essere il salotto di una graziosa villetta singola, ma che per il momento era solo un grosso ambiente spoglio.

“Che te ne pare?” il ragazzo guardò la fidanzata con un sorriso. “Ti piace?”

Hinata non rispose, iniziando un secondo giro. Al piano terra c'era una cucina, un salotto con il camino, una sala da pranzo e due ambienti più piccoli che avrebbero potuto ospitare dei servizi igenici. Il piano di sopra aveva sei stanze, di cui due adibite a bagni. Fuori, saltava all'occhio un grosso prato brullo, il quale sembrava non aspettare altro che essere riempito di fiori colorati.

Annuì al biondo, un tenero sorriso sulle labbra. Sì, quel posto le piaceva. Una volta arredato, sarebbe diventata sicuramente una casa calda, confortevole ed accogliente. Il posto giusto dove crescere i suoi figli, ed accudire l'uomo che amava.

“Sì, molto.” sussurrò, il viso illuminato da quella felicità tenue e leggera tipica di lei. “Sento che è il posto giusto.”

Udendola parlare così, Naruto sospirò, rinfrancato all'idea di non dover più visitare abitazioni. Solo negli ultimi quattro giorni lo shinobi ne aveva dovute ispezionare dieci, con il risultato di aver dovuto chiedere più volte permessi di uscita anticipata ad Anko, non proprio il suo passatempo preferito.

“Perfetto!” mise un braccio attorno alle spalle della mora. “Anche a me piace un sacco!”

“Naruto-kun?”

“Sì?” il ragazzo prese a sudare freddo quando la vide fare gli occhioni dolci.

“Avrei un po' fame... possiamo andare a comprare della frutta? Anzi no, facciamo dei dolci!”

in quell'istante, l'Uzumaki capì che sei mesi potevano essere estremamente lunghi.

“Certo, Amore.” esclamò sorridente, facendo del suo meglio per non dare soddisfazioni a Kurama. “Hai già qualche posto in mente?”

Tuttavia, se affrontati con lo spirito giusto, quel periodo di tempo poteva diventare piacevole, almeno fino a quando Hinata non cominciava a vomitargli addosso senza preavviso.

 

 

Temari scrollò le spalle, sistemandosi meglio il ventaglio sulla schiena. Il freddo sole pomeridiano le illuminava la chioma bionda, mentre la kunoichi si incamminò verso il cancello di Konoha. Avrebbe mandato qualcuno da Suna a ritirare la sua roba da casa di Shikamaru, visto che non sopportava più l'idea di dormire sotto il suo stesso tetto.

Andiamo via da questa gabbia di matti.

Non era triste, o almeno così credeva. Certo, aveva passato momenti migliori, e scoprire che faccia avrebbero fatto i suoi fratelli quando li avrebbe informati che aveva scaricato il Nara non la confortava di certo. Kankuro l'avrebbe presa in giro per settimane, mentre Gaara si sarebbe limitato a qualche banale frase di conforto, incapace di mostrare più emozioni di un cucchiaino.

Fece un profondo sospiro. Non era ancora sicura di stare facendo la cosa giusta. Ogni volta che vedeva il Crybaby sentiva il desiderio spasmodico di uccidere Ino Yamanaka, e questo significava, con ogni probabilità, che il suo subconscio le stava inviando un segnale distorto: nonostante tutto, provava ancora qualcosa per quello stupido fumatore incallito, pigro e con un problema di alcool.

Certo che provo ancora qualcosa per lui: odio puro.

“Ehi.” una voce la riportò alla realtà. Girandosi, la kunoichi di Suna vide l'ultima persona al mondo che desiderava incontrare: Ino. “Dove andiamo di bello?”

La labbra della sorella del Kazekage si spiegarono nel sorriso più perfido del suo vasto repertorio.

“In un posto dove la gonorrea non è ben accetta.” le diede le spalle, riprendendo a camminare. Aveva la ferrea convinzione che se fosse rimasta un attimo di più avrebbe commesso un cruento omicidio.

“Ho saputo che tu e Shikamaru vi siete lasciati.” perché quella donna doveva sempre e soltanto ripetere l'ovvio? Temari chiuse gli occhi, facendo un profondo respiro. Se la ammazzava lì, con tutti quei testimoni, sarebbe stata dura farlo passare per un banale incidente.

“Sono felice che hai imparato il linguaggio delle persone normali. Ora la puoi smettere di starnazzare.” replicò a denti stretti.

“Ce la battiamo, eh?”

Pessima mossa.

Con un ringhio, Subaku no Temari si voltò, gli occhi cerulei che lanciavano fiamme. Faceva paura.

“Lascia che ti illumini su un concetto che anche una demente sculettante come te può comprendere: se ti fai gli affari miei ti ammazzo!”

“Non mi fai paura.” rispose con tranquillità la Yamanaka. “Ho appena accettato il fatto di aver preso tre chili negli ultimi sette giorni. In confronto, tu sei solo una piccola apprensione.”

“Perfetto! Ora tornate nel tuo antro a infastidire qualcun altro!” la ragazza di Suna si girò, iniziando ad incamminarsi verso i cancelli del villaggio, quando una frase di Ino ebbe il potere di fermarla.

“Perché non riesci a perdonarlo?” chiuse gli occhi, desiderando ardentemente di non avere sentito veramente quella domanda. Si voltò, guardando dritta negli occhi la donna che aveva distrutto la sua relazione.

“Forse perché è andato a letto con te?” le si avvicinò, la collera che ribolliva furiosa dentro di sé. Aveva finalmente la possibilità di sfogarsi, di riversare tutta la sua rabbia e il suo dolore su colei che le aveva fatto crollare il mondo sotto i piedi. “Dimmi un po', hai mai provato, anche solo una volta, dei sensi di colpa per tutte le volte che sei andata a letto con un uomo già impegnato?!”

“Nonostante tu creda che io sia una specie di ninfomane assetata di sesso... no, non ho mai tradito il mio unico ragazzo.”

“Affascinante.” rispose sarcasticamente l'altra. “Perché un uccellino mi ha confidato che hai fatto sesso con Shikamaru, e sai, la cosa mi ha irritata alquanto, visto che sono io la cretina che si è fatta mettere le corna! Però sembra che, per qualche oscura ragione, la colpa sia mia, che non riesco a perdonare un tradimento!” le si avvicinò così tanto che i loro nasi si sfiorarono. “Tuttavia, per quanto potrei essere in torto, fammi un favore: piantala di impicciarti della mia vita!”

“Temari...” la kunoichi di Konoha fece un profondo respiro. Ci aveva pensato per oltre un'ora prima di trovare il coraggio di esporsi per il suo migliore amico. “Vuoi sapere perché sto facendo tutto questo?”

“Se si tratta solo perché ti diverti a stressarmi non serve dirlo.”

“Non lo faccio per te. Anzi, se la cosa può farti stare meglio, di te non mi importa proprio nulla.” dichiarò seccamente Ino. “Però, per qualche strano motivo, Shika ti ama, e se ora tu vai via... gli spezzerai il cuore, e non voglio che questo accada.”

Si sarebbe aspettata un mucchio di possibili risposte da Temari: che le strappasse via il cuore, oppure che le rispondesse con una battuta sarcastica, o anche che si girasse, proseguendo per la sua strada. Ciò che non si aspettava dall'altra kunoichi fu di vederla rimanere in silenzio, i lineamenti del viso contorti in qualcosa di simile al rimorso per ciò che stava succedendo.

“Perché mi dici questo?” bisbigliò infine la ragazza di Suna. “Io ti detesto, e non ti aiuterei mai.”

Se avesse dovuto rispondere con sincerità, probabilmente la figlia di Inoichi avrebbe risposto di non saperlo veramente il perché era lì in compagnia di una donna che odiava al posto di ingozzarsi di dolciumi. Forse era stato vedere la lealtà di Shikamaru per lei, il fatto che quando aveva un problema lui c'era sempre, che in fondo se l'amico si trovava in quella situazione era anche colpa sua. Oppure era perché gli voleva bene, ed aveva accettato di sacrificare il suo orgoglio per lui.

“Perché io e Shika siamo amici.” rispose infine. “E... perché credo di doverti delle scuse, visto che la vostra relazione è andata in crisi anche per colpa mia.”

Temari non disse nulla, neanche quando Ino se ne andò, lasciandola in quella strada da sola, con i suoi pensieri. Rimase lì, le braccia a penzoloni, lo sguardo vuoto, la mente che la colpiva a tradimento con tutti i ricordi delle serate passate affianco a lui, quello stupido, pigro fumatore con un problema di alcool. Quell'uomo che, nonostante tutti i suoi difetti, lo amava. Amava la sua pigrizia, amava che sapesse rispettare i suoi spazi, che riuscisse sempre a non perdere la pazienza con lei, che fosse capace di scaldarle il petto come nessun altro.

Stupido. Stupido, irritante, deficiente Crybaby.

Quella sera, quando Shikamaru andò ad aprire la porta di casa, vide sulla soglia l'ultima persona che si sarebbe aspettato. La sigaretta gli cadde dalle labbra, mentre fissava il viso della donna che amava.

“Temari...” lei non rispose, guardandolo con fare duro, il volto inespressivo. Con un gesto rapido lo afferrò per il colletto della maglia, baciandolo con tutto l'ardore che possedeva. Dopo un attimo di smarrimento, il Nara rispose, unendo la propria lingua a quella di lei, il cuore che pompava a velocità tripla.

“Temari, io...”

“Zitto, Crybaby!” ansimò lei, spingendolo con forza dentro casa. “Risparmia il fiato, ti servirà!”

Ricominciarono a baciarsi, strusciandosi su ogni muro della casa, i vestiti che diventavano sempre più un inutile impaccio. Entrambi non erano pienamente convinti che quello fosse il modo più giusto per affrontare i loro problemi, ma sentire di nuovo, dopo tutto quel tempo, il corpo caldo dell'altro li mandò fuori controllo, rendendoli desiderosi solo di amarsi e basta, senza pensare al passato ed al futuro. Contava solo il momento presente.

“Temari...” la ragazza alzò la testa dalla spalla del suo uomo, fissandolo in faccia. “Perché?”

Non rispose subito, guardando davanti a sé, una sensazione di benessere in tutto il corpo.

“Avrei voluto perdonarti prima.” mormorò. “Ma sono stata debole.”

Lui riprese a baciarla, mordicchiandole il labbro. Comprese che quell'ammissione era costata tantissimo alla kunoichi, rendendolo stranamente felice di sapere che quel sacrificio fosse dedicato a lui.

“Seccatura...” la guardò dritto negli occhi, ormai nudi sul letto. “Ti amo.”

Lei sbuffò.

“Non me ne frega nulla!” dichiarò con tono sprezzante. “Dillo!” aggiunse subito dopo, con voce dura, senza smettere di fissarlo in faccia. Shikamaru comprese cosa si aspettava. Forse lo aveva capito fin dal primo momento che era rientrata nella sua vita con la forza di un uragano, ma esitò per un istante, l'orgoglio che ruggiva nel suo petto.

“Dillo!” ripeté lei, un sorriso diabolico sulle labbra. “Altrimenti passerai il resto della vita a farti solitari, Crybaby.” aveva capito cosa lo angustiava, ed aveva deciso di aspettarlo, di dargli un'altra chance.

“Temari...” fece un profondo respiro. Era come se stesse buttandosi da un dirupo senza sapere se la corda l'avrebbe sorretto. “Vuoi sposarmi?”

“Credevo non avessi le palle per chiedermelo, Crybaby!” le loro labbra si unirono nuovamente, le mani che graffiavano la pelle, mentre i loro corpi si stringevano sempre di più. “Ti farò da spalla del pianto per il resto della vita, se è questo che desideri.” la voce calda della ragazza all'orecchio suonò come una dolce melodia per lui.

“Mi ha fregato, dannata Seccatura!”

Sì, la corda l'aveva retto, permettendogli di superare il dirupo.

Sei una donna diabolica, Seccatura!

E non poteva essere più felice.

 

 

Forse l'amore era questo: sapersi sacrificare per gli altri. Capire quando era il momento di farlo, ed accettare il proprio dovere con un sorriso.

“Naruto-kun...” Hinata non riusciva a guardare negli occhi il proprio uomo, era terribilmente a disagio. “Mi dispiace per... quello che è accaduto questo pomeriggio.” il ragazzo sorrise, sollevandole il viso con la mano sana.

“Stai tranquilla!” esclamò con fare gioviale. “In fondo, quei sandali non mi erano mai piaciuti più di tanto. Vomitandoci sopra, mi hai solo fatto un favore!” la Hyuga fece un sorriso tremulo, il cuore ricolmo di riconoscenza.

Grazie mille, Amore mio.

Ja-an-ken!”

Ah! Hai perso!” sghignazzò Kurama. “Con questo sono in vantaggio di ben ventisette partite!”

Tutta fortuna!”

Moccioso, la mia è abilità!” esclamò il Bijuu, strofinandosi gli artigli. “Comunque sei giustificato: giocare mentre consoli quella mocciosa non deve essere facile.” lo shinobi ridacchiò. Sapeva che ammettere certe cose per Kurama non era per niente facile.

Grazie, amico mio.”

Piantala di ringraziarmi!” sbraitò il Kyuubi, accrescendo l'ilarità di Naruto: se avesse smesso di farlo, lui si sarebbe irritato ancora di più.

“Naruto-kun?” la voce della sua fidanzata lo distrasse dal prendere in giro Kurama. “Posso restare stanotte qui... con te?”

Il suo sorriso divenne, se possibile, ancora più ampio.

“Sì, Hinata.” la baciò dolcemente, assaporando il sapore della sua bocca. “Mi renderesti l'uomo più felice di tutti.”

“Grazie... Tesoro.”

L'amore significava anche sacrifici, il mettere le esigenze dell'altro davanti a tutto.

Eppure, quando mise l'orecchio sopra la pancia di Hinata, facendola scoppiare a ridere, Naruto comprese che non gli pesava affatto starle vicino, proteggerla, amarla.

Perché era la sua famiglia.

Grazie a te, Hina-chan.

E l'avrebbe sempre protetta senza pensarci due volte.

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

Bene! Finalmente, dopo millemila anni, torno con un nuovo capitolo. Kurama non ha una faccia molto felice, che dite? In fondo, sappiamo che gli piace essere spupazzato!

Ok... stavolta non ho niente da dire, quindi mi limito a ricordare a tutti che qualsiasi recensione (positiva e non) è ben accetta e che ringrazio chiunque legga e segua questa raccolta.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 9
*** Paure ***


The Biggest Challenge

15pjpko

 


Paure

 

Naruto sentiva un gran caldo, mentre le luci attorno a lui vorticavano sempre più veloci. Aveva la lingua pregna di un sapore pungente, la testa leggera, ed una gran voglia di ridere.

“Alla salute!” urlò Kiba al suo fianco, sollevando la birra ghiacciata. “E viva le poppe!” lo shinobi biondo scoppiò a ridere, sputacchiando la propria ordinazione sul tavolo, mentre l'Inuzuka, incitato da due ormai brilli Choji e Konohamaru, buttava giù tutto in un colpo solo, il tutto sotto lo sguardo divertito di Shikamaru.

“Ahhh, ragazzi, questa sì che è vita!” biascicò Kiba, ordinando l'ennesima birra. “Alcool, cibo, belle donne e nessuna preoccupazione!”

“Commovente il fatto che speri di rimorchiare in quelle condizioni.” replicò Shikamaru, trangugiando sakè come se fosse acqua. “L'unico creatura munita di tette che potresti portarti a letto sarebbe Choji, quando sarà così ubriaco da scambiarti per la sua dolce metà.”

“Mi dispiace, Shika.” borbottò l'Akimichi, la bocca piena di pollo e birra. “Ma stasera ho già un appuntamento nel letto di Karui.”

“Attento a non schiacciarla!” la battuta di Kiba fece rotolare dalla risate Naruto, ormai ubriaco.

“E' stato gentile da parte vostra invitarmi.” si intromise Konohamaru, l'unico ancora abbastanza sobrio da non dover urlare per comunicare qualcosa agli altri.

“Vai tranquillo, pivello!” replicò l'Inuzuka, mettendogli un braccio attorno alle spalle. “Gli amici di Naruto sono miei amici! Stasera puoi chiedermi qualunque cosa!”

“Sai, Kiba, questa cosa suona molto male.” osservò lo shinobi delle ombre. “Cos'è, a furia di ricevere rifiuti dalle donne hai cambiato sponda?” il volto di Kiba divenne rosso fuoco, mentre Choji e Naruto tentavano di riprendere fiato tra una risata e l'altra.

“Ridete pure!” sbottò infine lo shinobi moro. “Tanto un giorno troverò una ragazza, e sarà mille volte più figa delle vostre!”

“Andiamo, Kiba! Non è una gara!” osservò l'Akimichi, ingozzandosi di pollo fritto. “La ragazza giusta è quella che ti fa battere il cuore!”

“E che ti riempie lo stomaco!” sghignazzò L'Uzumaki.

“Beh... anche quello.” Choji inghiottì il boccone, fissando l'amico dritto negli occhi. “Il punto è che... quando trovi la ragazza giusta non importa che sia alta, bassa, magra o robusta di costituzione.” sentendolo parlare così Shikamaru sospirò, buttando giù l'ennesima tazzina di sakè. “Perché... per te sarà sempre e comunque la ragazza più bella del mondo.”

Sulla tavolata cadde il silenzio per alcuni istanti, mentre Choji, imbarazzato, riprese a mangiare per il nervoso.

“Cavolo, amico!” esclamò Kiba, fischiando per l'ammirazione. “Se non fossi troppo impegnato a non vomitare, ti abbraccerei.”

“Concordo.” lo spalleggiò Naruto, alzando poi la bottiglia di birra. “Signori, Choji ci ha ricordato che c'è altro oltre alle poppe.”

“Già.” replicò il Nara.

“Qui ci vuole un brindisi!” urlò Konohamaru. “All'amore!”

“Ed alle poppe!”

“Kiba!”

“Qual è il problema? Mi piacciono!”

“Perché quando sei sbronzo devi sempre fare l'idiota?!”

“Solo da ubriaco?” sussurrò malignamente Shikamaru. Si accese una sigaretta, mentre osservava Naruto e l'Inuzuka bisticciare con blando interesse.

“Sono sempre così?” gli domandò il Sarutobi, fissando perplesso il biondo che addentava l'orecchio di Kiba, mentre quest'ultimo reagiva strattonandogli la testa.

“Pivello, voglio darti un consiglio.” lo shinobi delle ombre soffiò fumo dalle narici. “Quando ti annoi, organizza una rimpatriata alcolica con gli amici. Il risultato sarà sempre ottimo.”

 

 

Due ore dopo, quando ormai era notte fonda. Naruto prese a barcollare verso casa, sorretto da un paziente Konohamaru.

“Stasera ci hai dato giù pesante, eh?” ridacchiò quest'ultimo. “Dovresti trattenerti con l'alcool, Naruto nii-chan.”

“Forse.” biascicò il biondo, la strada che diventava improvvisamente ripida davanti ai suoi occhi. “Era da parecchio che... che... non bevevo così. Ci voleva.”

“Il tuo amico Kiba prima ha urlato che ti organizzerà l'addio al celibato.” rise il moro. “Conoscendolo, chissà cosa tirerà fuori.” la mente di Naruto era troppo confusa per fare caso a quelle parole. Frasi che da sobrio l'avrebbero riempito di dubbi e paura, in quell'istante vennero sciacquate via con una risata.

“Non mi fido di Kiba. Quello è capace di portarmi le peggiori prostitute di tutta la Terra del Fuoco! Lo troverebbe divertente!”

“Eh, mica stiamo tutti per sposarci!” replicò il Sarutobi. “Dopo non sarà più lo stesso.” senza volerlo, il chuunin aveva appena risvegliato nell'Uzumaki una bruciante paura.

“Già...” osservò pensieroso. “Nulla sarà come prima.”

“Sai, stavo pensando una cosa...” esclamò improvvisamente Konohamaru, sistemandosi meglio sulla spalla il braccio sano dell'amico. “Dovremmo formare una band immaginaria.”

“Una cosa?!”

“Una band immaginaria: mettiamo la musica di sottofondo, e facciamo finta di suonarla noi.” il moro sorrise. “Io sarei di sicuro il chitarrista!”

“Certo!” replicò Naruto, stando al gioco, felice di non dover pensare ai suoi problemi. “Ed io che ruolo avrei?”

“Bassista.”

“Ma dai! Come minimo batterista!”

“No, quel posto non lo toglie nessuno a Choji.”

“Cantante?”

“Vorrai scherzare?! Kiba sarebbe perfetto!”

“No, non ci credo!” il biondo fece il finto sorpreso. “Pensi davvero che Kiba sia meglio di me a cantare?”

“Purtroppo sì.” rispose l'altro, il viso contorto in un'espressione sofferente. “Le tue serenate sotto la doccia sono tristemente famose. Un consiglio: non provare mai a cantare una canzone a Hinata.”

Il Jinchuuriki iniziò a ridere, subito imitato dal compagno. La loro voce rimbombava per le strade deserte del villaggio, dando loro l'idea di essere finiti in un'altra dimensione.

“Sai, Konohamaru... grazie.” la voce del biondo ruppe all'improvviso il silenzio. “Sei un vero amico.”

“Non serve ringraziarmi: noi siamo fratelli.” rispose il moro.

“Lo dice sempre anche Iruka-Sensei che sono il suo fratellino.”

“Infatti! Il Sensei è il fratellone maggiore, mentre noi siamo i fratellini più giovani che bevono fino a quando non riescono più a stare in piedi.”

“Perché noto una leggera accusa al mio abuso di alcolici?” il sorriso di Naruto divenne più largo. “Comunque, hai ragione! Sei mio fratello e ne sono felice!”

“Viva i fratelli!” urlò il Sarutobi.

“Fratelli per la vita e oltre!” replicò il jonin, scoppiando di nuovo a ridere, un senso di pace profondo dentro di sé.

Forse era questo che si provava ad avere un fratello. Sasuke era il suo migliore amico, ma Konohamaru era qualcosa di diverso. L'aveva visto crescere, l'aveva allenato, osservato come diventava prima un ninja e poi un uomo. Il loro legame era molto più intimo e profondo di quanto avrebbero ammesso, ma forse era meglio così: per certe cose, non servivano parole.

“Come vanno le cose con Moegi?” domandò a bruciapelo l'Uzumaki. “Alla fine le hai chiesto di uscire?”

“Certo che no!”

“Andiamo! Sono mesi che ti dico che sareste una coppia perfetta! Perché non glielo vuoi chiedere?”

“Perché... la conosco.” rispose il moro. “E so che non succederebbe nulla di buono. Non siamo fatti per stare assieme.”

“Come puoi esserne certo? Forse sarà la birra a parlare, ma una volta mi sono sognato voi due sposati.”

“E' una minaccia?”

“Ci puoi giurare!” una nuova risata echeggiò nell'aria notturna. Nonostante la camminata claudicante, lo stomaco sottosopra e una nausea montante, Naruto era felice di essere lì, con una persona a cui teneva davvero molto.

“Domani sera notte ramen?”

“Certamente!” lo guardò negli occhi, dandogli una pacca sulla nuca. “Fratellino!”

Suo fratello.

 

 

Il giorno dopo, la sveglia trillò nelle orecchie di Naruto. Con un gemito, lo shinobi la spense con un pugno, la testa che doleva da impazzire.

Cazzo. Aveva un sapore orrendo in bocca, la lingua secca, gli occhi sensibili alla luce, ed un mal di testa da impazzire.

Mai più birra... mai più!

Rotolò giù dal letto, imprecando sonoramente quando sbatté il mento sul pavimento. Rimase lì per terra lunghi minuti, assaporando la superficie fresca sotto di lui. Infine, con un ringhio, si alzò, barcollando verso la doccia.

Siamo in forma, oggi!”

Kurama, dammi tregua. Tempo una doccia e potrò insultarti come meriti.”

Era domenica, il giorno in cui di solito lo shinobi aiutava Hinata con il trasloco, ma quella mattina non aveva voglia di imballare antiche reliquie degli Hyuga che Hiashi lo costringeva a mettere nella casa nuova. Fece una passeggiata, la fredda brezza di fine febbraio che si intrufolava sotto la giacca, salutando con una pacca amichevole Rock Lee, impegnato nei suoi consueti giri attorno al Villaggio sulle mani. Gli faceva piacere ogni tanto camminare per le stesse strade dove correva da bambino. Il più delle volte all'epoca veniva guardato storto dalla gente, ma quando iniziò a frequentare l'Accademia le cose cambiarono: Kiba, Choji e Shikamaru divennero suoi compagni di giochi, ed anche se spesso era lui quello che perdeva, era bello poter passare del tempo in compagnia.

I suoi passi lo portarono, quasi inconsciamente, ai campi di addestramento. Fu con sguardo nostalgico che osservò i boschetti e i prati dove un tempo si allenava sotto la guida di Kakashi. Ad attirare la sua attenzione furono, in particolare, tre grossi ceppi, posti vicino all'ansa del fiume.

Ne è passato di tempo...

Si accoccolò davanti a quello centrale, ricordando con un sorriso il giorno in cui venne legato, in quanto sconfitto, dal suo Sensei. Il giorno in cui lui, Sasuke e Sakura avevano iniziato a comprendere il significato della parola squadra.

Diavolo! Quel giorno fu lui a fare la figura di quello tosto! Io invece... mi coprii di ridicolo.

Non sapeva perché si era trascinato in quel posto, e neanche per quale motivo rimpiangeva i tempi in cui era un dodicenne goffo, scontroso e chiacchierone. Con un sospirò, il ragazzo si sedette con la schiena appoggiata al palo, il rumore dell'acqua alle sue spalle di sottofondo.

Ohi, Kurama.” desideroso di confidare il torbido rimestare dei propri sentimenti a qualcuno, Naruto andò a fare una visita al suo affittuario preferito. Quest'ultimo, immenso e spaventoso come sempre, russava profondamente, impegnato nella pennichella mattutina.

Kurama, svegliati!” brontolando, la volpe aprì un occhio, grande quanto una casa, fissando con apparente disgusto il proprio Jinchuuriki.

Per quale motivo devi sempre essere così irritante?” lo shinobi sbuffò. Ormai conosceva perfettamente la scontrosità del Kyuubi.

Desidero parlarti.”

Beh, io no.” Kurama si stiracchiò sbadigliando, i denti acuminati che scintillavano minacciosamente, ognuno lungo oltre un metro. “Ripassa tra un paio d'ore.”

Noto che la tua leggendaria cortesia è rimasta intatta.”

Senti, non tirarla per le lunghe.” ringhiò il Bijuu, appoggiando il muso tra le zampe. “Dimmi quello che devi e poi sparisci.”

Naruto fece un profondo sospiro, sedendosi davanti all'amico. Ormai erano passati i tempi i cui le dimensioni di Kurama, uniti ai suoi sguardi truci, lo mettevano in soggezione.

Io... non ho idea da dove cominciare.”

Fantastico...”

Se devi mettermi fretta lascio perdere!”

Davvero?! Sarebbe magnifico!” Naruto emise un sospiro esasperato, mentre il Kyuubi ridacchiava con la sua voce profonda e rombante.

Grazie per il supporto, davvero.”

Perché la devi fare tanto lunga? Tu hai paura di sposarti.”

Cosa?! Non è affatto vero!”

No?” Kurama sogghignò, mostrando le zanne all'amico. “Allora potrai spiegarmi perché l'altro giorno sei scappato a gambe levate, mentre la mocciosa parlava di che nome dare al vostro cucciolo?”

Avevo da fare!”

Certamente. E perché ogni volta che la tua amichetta rosa ti cerca per parlarti del matrimonio, fingi di dovere andare dall'Hokage?”

Ultimamente... sono molto impegnato.” il viso del ragazzo divenne rosso, mentre dentro di lui si rifiutava di accettare l'idea che potesse avere paura.

Posso immaginare.” il sarcasmo della volpe era mellifluo. “In ogni caso, se vuoi una conferma sul fatto che hai paura di sposarti, eccotene una: sei qui, seduto su uno squallido prato, che parli con me su quanto la tua vita faccia schifo invece di andare dalla tua donna e cacciarle cibo in gola con una pala.” il Bijuu si grattò il il pelo sul collo con un artiglio, mentre Naruto si passava una mano tra i capelli, incapace di dire qualcosa per smentire le convinzioni dell'altro.

Posso tornare a dormire?”

No, ti stai sbagliando!” rispose infine l'Uzumaki, alzandosi di scatto. “Io non ho paura di questo matrimonio!”

Dimostramelo.”

Io...” improvvisamente, Naruto non seppe cosa dire. Si accorse, con orrore, che l'idea di andare a vivere con la donna che amava non solo non lo entusiasmava, ma lo terrorizzava. Temeva di non essere capace di adattarsi alle esigenze di lei, di deluderla, di scoprire che, forse, non erano fatti per vivere assieme. Senza contare che difficilmente avrebbe potuto andare a sbronzarsi fino all'alba con i suoi amici con una moglie incinta da accudire a casa. Comprese che aveva preso troppo alla leggera quell'impegno, e che ora sentiva di essere schiacciato sotto una montagna di pressioni che non era sicuro di volere.

Perché provo queste sensazioni? Amo Hinata, dovrei essere felice all'idea di viverci assieme, allora perché al pensiero di farlo lo stomaco mi si contorce?!

Finito di rimuginare? Il tuo neurone ha trovato qualcosa per dimostrare che ho torto?” il ragazzo fece un profondo sospiro, scuotendo la testa.

E va bene, lo ammetto: ho paura di sposarmi.” si dondolò sui talloni, nel tentativo di comprendere il perché fosse attanagliato da quelle sensazioni. “Solo che... non capisco. Io amo Hinata, perché mi terrorizza l'idea di vivere con lei sotto lo stesso tetto?”

Kurama emise un profondo sospiro, comprendendo che il proprio sonnellino avrebbe dovuto attendere ancora un po'.

Ascolta pivello: credo che sia normale per voi umani provare paura innanzi ad un grande cambiamento. Quando tra tre settimane ti sposerai, non sarai più un moccioso ma un uomo, e come tale dovrai comportarti.”

Lo so.” lo shinobi si sedette nuovamente, gli occhi cerulei rivolti verso l'alto. “Forse è questo che mi spaventa: l'idea che dopo... nulla sarà più come prima.”

Se sei così spaventato, forse dovresti parlarne con lei. Almeno così potrei tornare a dormire.”

Sì, dovrei.” con un gesto improvviso, Naruto si alzò, andando a sistemarsi tra le zampe del Kyuubi, accoccolandosi tra il pelo fulvo e caldo dell'amico. “Ma prima desidero passare del tempo con te.”

Kurama sbuffò, un'espressione di puro fastidio sul volto. Tuttavia, non fece alcun tentativo per scacciarlo.

Te l'hanno mai detto che sei estremamente appiccicoso? Non sono il tuo animaletto da compagnia.”

Può essere.” il sorriso sul viso del Jinchuuriki divenne ampio e rilassato, mentre chiudeva gli occhi, in pace con il mondo. “Ma è bello dormire in compagnia, non credi?” il Bijuu si limitò a borbottare qualcosa di indefinito, chiudendo gli occhi, una zampa a protezione dell'amico.

Se russi ti uccido.”

Se qualcuno fosse passato per quella piccola ansa del fiume, in mezzo a boschi di larici e querce, avrebbe visto un ragazzo biondo seduto per terra, la schiena appoggiata al tronco glabro, con gli occhi chiusi ed un sorriso pacifico sul volto.

Grazie, Kurama.”

Sta zitto, Baka. Ho sonno.”

 

 

Sakura fece un profondo respiro, tentando mentalmente di mantenere la calma. Davanti a lei, Hiashi Hyuga la fissava con sguardo gelido, come se stesse valutando se fosse degna di esistere oppure no.

“Se non ho capito male, sei tu che stai aiutando mia figlia ad organizzare le nozze.” esordì il capoclan, con tono mostruosamente formale.

“Esattamente, Hiashi-sama.” rispose l'Haruno cortesemente, neanche quando aveva dovuto curare un vecchietto pervertito si era sentita così a disagio innanzi ad un uomo. “E le posso confermare che sta andando tutto perfettamente. Sarà un matrimonio stupendo.”

“Mi auguro solo che rispetti la tradizione.” fu il secco commento dello Hyuga. “Sarebbe un disonore se la mia erede festeggiasse il proprio matrimonio in modo balordo ed offensivo verso i nostri antenati.” si girò, lasciando la propria ospite da sola. “Arrivederci.”

“Grazie per il suo consiglio, lo terrò a mente.” replicò a denti stretti Sakura. Neanche Naruto era capace di farle saltare i nervi in quel modo.

“Ignoralo.” all'improvviso, alle sue spalle comparve Hanabi. “Adora fare la parte del duro attaccato alla tradizione, ma probabilmente si commuoverà anche se facessi sposare Hinata in cima ad un albero.”

“Affascinante.” la kunoichi fece schioccare la lingua. Non vedeva l'ora di tornare al proprio appartamento, lontano da quella famiglia di pazzi. “Piuttosto, perché tua sorella non è ancora pronta? Dobbiamo scegliere un abito per la cerimonia, quindi è inutile che si vesta in modo elaborato, dato che dovrà spogliarsi almeno cinquanta volte.”

“Credo abbia una crisi d'identità.” la giovane Hyuga scrollò le spalle. “Prima singhiozzava in bagno, mormorando che era una balena.” a quella notizia, Sakura si schiaffò una mano in faccia, emettendo un sospiro.

“Ci mancavano le crisi ormonali.” afferrò per il colletto la mora, trascinandosela dietro. “Forza, andiamo a recuperare la psiche di tua sorella, e vedi di munirti di qualche dolcetto!”

“Sembra che parli di un cane.”

“Tesoro, sono stata a contatto centinaia di volte con donne gravide. So come funziona il loro cervello sfasato da crisi ormonali continue.” il tono della rosa ora era freddo e professionale. “Cerca di essere gentile e di passarle i biscotti quando le vedi prendere aria tra uno sfogo di pianto e l'altro.” la ragazza si schioccò le nocche, uno sguardo truce sul viso. “Sistemiamo la bambolina e facciamo questo matrimonio!”

 

 

Hinata si osservò allo specchio, gli occhi lavanda che fissavano i traumatici cambiamenti che il suo corpo aveva subito negli ultimi cinque mesi. Dove prima vi era una figura sinuosa e seducente, ora c'era una pancia enorme, caviglie tozze, un seno gonfio e fianchi larghi. Era imbarazzante scoprire quanto potesse cambiare il proprio fisico in così poco tempo. La Hyuga non era mai stata ossessionata dal proprio aspetto, ma come tutte le ragazze la sua autostima, già piuttosto scarna, si impennava quando si fissava allo specchio, osservando la figura di una giovane carina e nel pieno della propria giovinezza. Ora che tutto questo era scomparso, Hinata era letteralmente terrorizzata all'idea di uscire di casa, di farsi vedere da tutti in quelle condizioni. Il pensiero di sposarsi davanti ai propri familiari e amici le bloccava il respiro, le prime crisi di pianto che già spingevano per sfogarsi in tutto il loro furore. A peggiorare le cose, Naruto, il suo Naruto, nelle ultime settimane aveva preso a comportarsi in modo schivo, lasciandola spesso sola per 'inderogabili impegni lavorativi'. L'idea che perfino lui, l'uomo che amava con tutta sé stessa, potesse trovarla poco attraente, o addirittura imbarazzante starle affianco, la faceva cadere nella più cupa delle depressioni.

Sono orrenda. Una lacrima le attraversò l'ovale del volto. Non piacerò mai più a Naruto-kun.

Le sue elucubrazioni sul proprio corpo vennero interrotte dalla brusca irruzione nel bagno da parte di Sakura e sua sorella Hanabi.

“Allora!” esclamò trionfante l'Haruno. “Smettila di piangerti addosso, sei splendida, vestiti, sei uno schianto, andiamo a provare abiti da sposa mentre Hanabi ti rimpinza di biscotti! Va bene?”

“No!” replicò con inaspettata veemenza Hinata. “Non voglio uscire, faccio schifo!” davanti a quella risposta di tono, seppure un po' piagnucolosa, Hanabi sollevò un sopracciglio, sorpresa da una simile reazione.

“Hinata...” sospirò l'allieva di Tsunade. “Ne abbiamo già parlato molte volte: sei meravigliosa! Tutte le donne in gravidanza sono splendide, e solo una persona con la sensibilità di un cucchiaino ti troverebbe brutta!”

“Ma... ma...” la ragazza fece un profondo respiro, scossa dai singhiozzi che, violenti, iniziarono ad uscirle fuori dalla gola. Come d'accordi, Hanabi le passò un biscotto, il quale venne scaraventato senza alcuna pietà dal medico contro il muro. “Ma Naruto-kun non mi rivolge quasi più la parola!” tirò su con il naso, coprendosi il volto con le mani, vergognandosi a morte della propria debolezza. “Non gli piaccio più!”

“Come volevasi dimostrare...” mormorò Sakura. Era ovvio che il suo migliore amico, a causa del suo quoziente intellettivo estremamente basso, non si fosse reso conto che trattare una donna al quinto mese di gravidanza come una donna normale era un errore idiota. Si diede mentalmente della stupida per non aver capito prima come Naruto non avesse ancora compreso che una ragazza incinta era come un enorme e feroce animale, perennemente affamato di cibo ed attenzioni, con la suscettibilità di un drago malvagio.

“Hinata, Naruto non ti sta ignorando perché ti trova brutta. Lo fa perché è... stupido!” quella risposta non convinse appieno la Hyuga, che riprese il proprio pianto con rinnovato vigore. L'Haruno strinse le labbra, in difficoltà a gestire l'amica, mentre Hanabi, ormai stufa di quello spettacolo, alzò gli occhi al cielo.

“Ora basta!” con uno scatto, la giovane ANBU si avvicinò alla sorella maggiore, sollevandole il viso con una mano.

“Ascoltami attentamente, Sorellona.” sibilò con voce estremamente tagliente. “Tu ora ti asciughi le lacrime, ti metti un vestito pulito, esci da questa casa, e fili subito dal Babbeo e gli chiedi se ti trova bella o meno, e se quello osa darti una risposta negativa lo stendo con un calcio sulle palle!”

“Come no...” Sakura rispedì indietro con una manata la ragazza più giovane. “Ora ascolta me, Hinata.” afferrò le mani dell'amica, tentando di farle capire la sua vicinanza. “Io non ho idea di come sia essere incinta. Posso immaginarlo, ma non potrò mai mettermi nei tuoi panni.” fece un sorriso sicuro, strizzandole l'occhio. “Ma una cosa la so: Naruto ti ama. Quando sei stata in coma è stato malissimo, ha sofferto veramente molto. E un uomo non soffre in quel modo, se non è innamorato follemente.”

Hinata non rispose, i singhiozzi che lentamente cessarono. Hanabi le passò nuovamente un biscotto, il quale finì rapidamente tra i denti della mora.

“Grazie...” sussurrò, gli occhi ancora lucidi. “Sono così stupida...”

“Fidati Hinata, non sei stupida.” la rosa le asciugò le lacrime con fare materno. “Sei solo incinta.”

Si alzò di scatto, battendo le mani.

“Forza! Andiamo a provare questo vestito! Al tuo matrimonio farai rodere d'invidia tutta Konoha!” la Hyuga riuscì a trovare la forza di sorridere, un profondo senso di gratitudine nei confronti dell'amica.

Sakura... grazie.

 

 

Si tormentava le mani, profondamente indecisa. Davanti a lei, appoggiati sui manichini, c'erano i tre abiti, tutti di stampo tradizionale, che avevano superato il giudizio di Sakura ed Hanabi, uno più splendido dell'altro.

“Allora?” si fece avanti l'amica. “Quale ti ispira di più?”

“Quello a sinistra! Scegli quello a sinistra!” esclamò subito Hanabi.

“Niente pressioni psicologiche!” la redarguì la rosa. “Se scegli quello centrale ti adorerò.” sussurrò successivamente all'orecchio della Hyuga.

Hinata non rispose, le mani unite sul grembo. Osservava quegli abiti splendidi, immaginandosi dentro ognuno di essi. Rimase sorpresa nel constatare che quell'evento che aveva sognato per anni, sposare Naruto, stesse diventando realtà, lentamente come ogni cosa vera. Certo, nei suoi sogni non aveva un pancione da quinto mese, Naruto non era lo schiavo di una donna sadica e pazza come Anko, e soprattutto non era colta continuamente da crisi di pianto, fame, sete e sesso. Tuttavia, assaporò quel momento come avrebbe fatto con una caramella, scoprendola però orribilmente amara: aveva il terrore di essere inadeguata a Naruto, di non essere una buona moglie, di limitarlo e, sopra ogni cosa, aveva la folle paura di non riuscire a diventare una brava madre.

“Hinata? A cosa stai pensando?” la voce della Haruno le arrivò ovattata, immersa com'era nei suoi pensieri. Aveva paura, aveva una fottuta paura di sposarsi, andare a convivere, fare un figlio. Improvvisamente, il sogno si tramutò in un incubo.

“Non lo so...” scosse la testa, abbassando lo sguardo. “Non ci riesco, scusatemi!”

Sakura fece un profondo sospiro, inginocchiandosi affianco all'amica. Era dura sostenere la Hyuga, specie se quest'ultima non riusciva mai a confidarsi pienamente a causa della sua timidezza.

“Qual è il problema? Questi vestiti non ti piacciono?”

“No... sono meravigliosi.” mormorò la mora, mordendosi il labbro. “E' solo che... ho paura.”

“Paura di cosa?”

Hinata respirò lentamente, gli occhi di nuovo lucidi.

“Ho paura di sposarmi.” quella semplice ammissione fece cadere nello stupore più totale le altre due.

“Paura... di sposarti?” gli occhi di Hanabi erano grandi come piattini da tè. “Tu?! Ma se il vestito da cerimonia c'è l'hai nel sangue!”

“Non... non ci riesco.” la mora tirò su con il naso. “Non riesco a non avere paura... è più forte di me.”

Sakura non disse nulla. Osservò Hanabi iniziare a consolare la sorella, inutilmente a suo avviso. Hinata non stava solo per sposarsi, stava per andare a vivere con l'uomo che amava, aspettava un bambino, e doveva convivere con l'idea che il suo corpo stava nuovamente cambiando dieci anni dopo la pubertà. Neanche la donna più forte sarebbe rimasta impassibile sotto tutte quelle pressioni.

“Hinata...” la giovane alzò lo sguardo, fissando l'amica con occhi spaventati. “C'è solo una cosa da fare.”

“Mangiare un biscotto?” l'occhiataccia che l'ANBU ricevette dalla rosa non fu propriamente amichevole. “Cosa c'è? A me piace mangiare!” replicò, addentando un dolcetto che si era portata di nascosto.

“Ovviamente mangiare un biscotto le farà bene, sempre che il tasso degli zuccheri nel suo sangue non la porti ad un diabete fulminante.” proseguì sarcastica l'allieva di Tsunade. “Quello che deve fare è diverso.”

“Cioè?” pigolò Hinata, asciugandosi le lacrime con un gesto nervoso della mano.

“Parlare con Naruto!” esclamò l'amica come se fosse la cosa più naturale del mondo. “E' palese che hai paura di non piacergli più, oltre al fatto di deludere le sue aspettative, quindi devi andare da lui!”

“E' esattamente quello che avevo detto pri...”

“Hanabi, gli adulti stanno parlando!” la giovane Hyuga contrasse le labbra, le iridi perlacee ricolme di pura irritazione.

“Ma ultimamente Naruto-kun...”

“A lui ci penso io.” Sakura si schioccò le nocche con fare minaccioso. “Vedrai che non farà storie.”

 

 

Naruto si stiracchiò le spalle indolenzite, mentre sorseggiava il secondo caffè della giornata. Al suo fianco, un nervoso Shikamaru era già arrivato al quinto. Da quando Ino era incinta gli era stato proibito di fumare negli uffici, rendendolo particolarmente irritabile.

“La vuoi smettere di grattarti?” borbottò il Nara, sorseggiando rumorosamente il proprio macchiato. “Ti sei sdraiato su un formicaio per caso?”

“Più o meno...” replicò il biondo. “Come vanno le cose a casa? Tra te e Temari...”

“Va meglio.” rispose seccamente lo shinobi delle ombre. “Le cose vanno decisamente meglio.” in quell'istante, dall'altro lato del corridoio, sopraggiunse Ino con la bocca sporca di zucchero a velo, uno sguardo omicida negli occhi che faceva raggelare il sangue.

“Shika...” mormorò l'Uzumaki, sudando freddo. “Non ti muovere.”

“Puoi giurarci.” sussurrò l'amico, anche lui improvvisamente pallido. Tuttavia, nonostante i loro sforzi, la Yamanaka sembrò fiutare la loro paura, dato che li caricò con la ferocia di un toro.

“Cosa avete da guardare?!” abbaiò, masticando mezza ciambella.

“Assolutamente... niente.” rispose Shikamaru.

“Proprio nulla!” rincarò la dose il Jinchuuriki al suo fianco. “A proposito, come va con la gravidanza?” aveva appena toccato, senza volerlo, un argomento tabù ma stranamente Ino non esplose.

“Va benissimo!” un sorriso si aprì tra le sue labbra. “Ho cominciato ad odiarlo! Quando uscirà gli tramuterò la vita in un inferno!” se ne andò, lasciando i due amici vagamente perplessi.

“Toglimi una curiosità, Shika: da quando ha iniziato a comportarsi così?”

“Più o meno dall'età di sei anni.”

“Ah...”

Quella sera, uscendo dal lavoro, Naruto rimase sorpreso di trovare Sakura. Era rado che l'amica terminasse i propri turni in ospedale prima di notte fonda.

“Ciao.” fece, sistemandosi una ciocca di capelli. “Dobbiamo parlare.” aggiunse, prima che lui potesse aprire bocca.

“D'accordo.” scrollò le spalle. “Parliamo.”

Presero a camminare lungo le strade del villaggio, le luci serali che illuminavano l'aria invernale.

“Allora, di cosa volevi parlarmi?” fece l'Uzumaki, incuriosito da quella visita. L'Haruno non rispose subito, fissando dritta davanti a sé.

“Beh, io personalmente non ho molto da dirti, a parte che anche oggi ho visto quanto il mondo possa fare schifo in ospedale.” esordì infine.

“Prima però hai detto che volevi parlarmi.”

“Lo so.” gli rivolse un'occhiata penetrante. “Ma speravo iniziassi tu.” Naruto rimase perplesso da quella risposta.

“In che senso?” la rosa sospirò, capendo che l'unica soluzione era affrontare la questione di petto.

“Naruto, sei sicuro di volerti sposare?” quella domanda gli cadde addosso come una tonnellata di mattoni. La sua salivazione si azzerò, mentre constatava, ancora una volta, quanto Sakura avesse imparato a conoscerlo.

“Certo!” rispose con una sicurezza che non sentiva assolutamente di avere. “Perché non dovrei esserne sicuro? Io amo Hinata!”

Sakura si fermò, fissandolo dritto negli occhi. “Allora perché non le rivolgi più la parola?” colpito nel profondo, il ragazzo non seppe cosa dire, distogliendo lo sguardo.

“Guardami!” lo redarguì severamente lei. “Ti ho fatto una domanda, Naruto.” il silenzio che venne in seguito fu carico di significati. “Rispondi! Se la ami e la vuoi sposare, perché la stai evitando?”

Naruto proseguì a restare in silenzio. Non sapeva perché non riuscisse a trovare le parole, e neanche per quale motivo avesse paura di rispondere. Rimase lì, in mezzo alla strada, la gola secca mentre gli occhi verdi dell'allieva di Tsunade lo fissavano duramente.

“Perché?” lo scosse, tentando inutilmente di farlo reagire. “Per quale motivo le hai chiesto di sposarti se ora non riesci neppure a guardarla negli occhi?”

“Io... io non lo so.” rispose infine, passandosi le mani sul viso. “Forse... ho sottovalutato la cosa.” guardarsi i piedi era incredibilmente più facile. “Credevo... che chiederle di sposarmi, vivere assieme, fosse il modo migliore per appianare le nostre divergenze. Ma più quella data si avvicina, più ho l'impressione di non conoscermi, di non essere veramente sicuro di volere sposarmi.” alzò gli occhi al cielo. Tutto era più facile da guardare del suo volto. “Forse... non sono fatto per il matrimonio.”

Sakura non rispose subito, lasciando che il silenzio tra loro diventasse imbarazzante, mettendo lo shinobi ancora più a disagio. Avrebbe preferito farsi un secondo giro della morte con Madara, piuttosto che affrontare lo sguardo dell'Haruno.

“Ascolta, Sakura-chan io...”

“Non provare a giustificarti con me.” lo interruppe seccamente la kunoichi. “Non sono io la persona che verrà ferita a morte quando il tuo senso del dovere crollerà.”

“Sakura-chan...”

“Ti prego, Naruto, per favore... chiudi la bocca.” il tono della ragazza divenne tagliente. “Altrimenti potrei prendere in considerazione l'idea di ucciderti all'istante.” non stava scherzando. “Ti rendi conto che stai pensando di scaricare la donna che tiene in grembo tuo figlio?! Spero che almeno questo punto tu l'abbia afferrato, perché sennò sei veramente il re dei bastardi!”

Naruto non replicò, rimanendo in silenzio. Sentiva di meritarsi quel livore, quell'odio, perché aveva sbagliato, prendendo tutto troppo alla leggera, ed era giusto che pagasse le conseguenze.

“Quindi ora cosa intendi fare?” incalzò Sakura. “Vuoi andare da Hinata e dirle che non vuoi più sposarti? Che non vuoi più vivere assieme a lei? In fondo, da questo potrebbe anche riprendersi, se non fosse che nel suo utero ora c'è il figlio di un lurido stronzo!”

“Non ho detto di non volerla sposare.” rispose infine il ragazzo. “Solo che... ho paura.” ammise infine. “Credo di avere paura all'idea di diventare marito e padre.”

“Allora perché glielo hai chiesto? Perché le hai chiesto di sposarti?!”

“Forse perché io... non l'ho mai avuta una famiglia.” la kunoichi lo vide mordersi le labbra, tentando di domare i propri sentimenti. “Per tutta la vita non ho desiderato altro che tornare a casa e non trovarla vuota.” scosse la testa, mentre migliaia di sere tristi e silenziose invadevano la sua memoria. “Io non ho mai avuto un padre o una madre, non ho idea di come deve essere un genitore.” riuscì finalmente a guardarla in faccia, scorgendosi qualcosa di simile a sorpresa. “E ho paura di fallire con questo bambino e con Hinata. Ho il terrore un giorno di guardarli in faccia e vederli... delusi.” deglutì a vuoto, gli occhi che pizzicavano. “E so che non me lo perdonerei mai, se questo dovesse accadere.”

Fu il turno di Sakura di abbassare lo sguardo, sentendosi in colpa per le parole di prima. Quello davanti a lei non era altro che un ragazzo che temeva di non riuscire a diventare adulto. Un amico che in quell'istante aveva soltanto bisogno di un appoggio.

Gli afferrò la mano sana, stringendola con forza. Quando vide quelle iridi cerulee, non riuscì a non provare un moto di profondo affetto.

“So che diventerai un buon padre.” dichiarò infine, iniziando ad accarezzargli il viso. “Hai tutte le qualità per diventarlo.” era sincera, e lui lo capì. “Ma ora devi scoprire se sarai anche un buon marito.”

Fece un profondo respiro, rilassando i muscoli del collo. Sentiva che c'era del giusto nelle parole dell'amica, che non poteva lasciarsi dominare dalla paura, non più.

“E' normale?” domandò. “Avere paura intendo.”

“Credi che io non abbia mai paura?” sbuffò Sakura. “Passo la mia vita a fare scelte che determinano se una persona vivrà oppure no. È giusto avere paura, ti da il corretto senso delle cose, ma non puoi permetterle di dominarti... altrimenti diventa terrore.” sorrise con fare materno, un sorriso che raramente gli aveva rivolto. “E il terrore ti farà sempre fare la scelta sbagliata.”

Lui non rispose, impegnato ad accettare l'idea di essere davanti ad una svolta enorme della sua vita. Gli vennero in mente le parole di Kurama del giorno prima, quando gli aveva detto che sarebbe dovuto diventare un uomo.

 

 

Quando tra tre settimane ti sposerai, non sarai più un moccioso ma un uomo, e come tale dovrai comportarti.”

 

 

E finalmente capì. Comprese che era normale avere paura, ma che non poteva permettere a quest'ultima di dominarlo, distruggendo tutto ciò che aveva costruito in tanti anni.

“Va da lei.” gli suggerì l'Haruno. “Non aspetta altro.”

Sorrise come non faceva da tanto tempo.

“Sì.” lo vide dirigersi di corsa verso casa di Hinata, il sorriso che lentamente svaniva quando percepì una seconda presenza.

“Da quanto sei lì?”

“Abbastanza.” rispose Hanabi, comparendo alle spalle della kunoichi. “Diciamo più o meno da quando l'hai definito il re dei bastardi.”

“Tua sorella è pronta?”

“Pulita, vestita e con abbastanza zuccheri nel sangue da non scoppiare a piangere senza un valido motivo.” sciorinò diligentemente la Hyuga. “Ora dammi i miei soldi.”

“E' un piacere fare affari con te.” constatò Sakura, mettendo in mano all'altra una scrocchiante banconota. “Dovremmo lavorare assieme più spesso.”

“Sì, sarebbe fantastico.” un sorriso vendicativo comparve sul viso della ANBU. “Peccato che non mi piace lavorare con le vecchie.” scomparve prima che Sakura potesse esplodere, ridendo perfidamente.

Giustizia è fatta.

 

 

Quando arrivò davanti alla villa degli Hyuga, rimase sorpreso di trovarci all'ingresso Hinata, la cui espressione stupita testimoniava il fatto che non era minimamente consapevole del suo arrivo.

“Ciao.” fece lui, sorridendo debolmente.

“Ciao.” mormorò la mora, stringendosi la sciarpa al viso. Non si aspettava di incontrarlo. Scoprì però che il cuore le batteva forte, come sempre, in sua presenza.

“Cosa fai in strada?” domandò lo shinobi, avvicinandosi lentamente, radunando il coraggio necessario a parlarle.

“Hanabi mi aveva chiesto di vederci all'ingresso... ma non sono sicura che verrà.” rispose la kunoichi.

“E'... una brava ragazza.” osservò il biondo, rendendosi conto che stava per buttarsi senza sapere se sotto ci fosse acqua o terra. “Hinata, io...”

“Non c'è bisogno che ti scusi.” lo interuppe la ragazza, gli occhi bassi. “Posso capire che io ti metta a disagio.”

“Tu?!” l'Uzumaki cadde dalle nuvole. “No, non è così. Non intendevo dire questo! È solo che...” le parole gli si mozzarono in gola quando vide una lacrima rotolare lentamente sul viso di lei.

“Ho paura.” mormorò con voce rotta Hinata. “Ho tanta paura, Naruto-kun.” lui fece un profondo respiro, accettando per sempre i propri sentimenti e sensazioni.

“Anche io.” le mise un braccio attorno alle spalle, sentendola accettare quel contatto con immenso sollievo, come una boccata d'aria dopo troppi minuti di apnea. “Ho paura pure io.”

Per molti minuti rimasero in silenzio, davanti a casa di lei, ognuno profondamente sollevato nell'aver confidato ciò che tormentava i loro spiriti da settimane. Era strano, e allo stesso tempo sollevante, pensare che entrambi avevano il terrore di ciò che stavano per affrontare, la paura di sentirsi inadeguati.

“Tu credi che posso farcela? A diventare... una buona madre?” gli domandò la ragazza. Stava ancora piangendo, anche se ora la sua voce era più salda. Naruto la fissò a lungo, osservando quei lineamenti che tanto amava con ammirazione profonda. Sapere che anche lei era terrorizzata lo aveva rinfrancato, lo faceva sentire meno inadeguato al compito che li attendeva. Eppure, nonostante tutte le sue insicurezze e paure, Hinata era lì, che si confidava con lui, avendo trovato quel coraggio che era mancato invece allo shinobi: quello di accettare le proprie debolezze, di capire che aveva bisogno di lei. Lo aveva sempre saputo, ma ammetterlo e dichiararlo era tutta un'altra faccenda.

“Sarai una madre fantastica.” le baciò teneramente la fronte. “Ne sono convinto.”

“Non ci credo.” replicò la mora. “Non sono neanche riuscita ad affrontare questa gravidanza. Ormai... piango un giorno sì e l'altro pure.” l'Uzumaki sentì profondi e laceranti sensi di colpa dentro di sé afferrarlo brutalmente. Mentre lui passava le serate ad ubriacarsi con gli amici, la madre di suo figlio restava da sola, senza appoggi, dentro un corpo che cambiava troppo in fretta. Ancora una volta aveva fallito, come fidanzato, come uomo ma probabilmente anche come padre, incapace di comprendere l'importanza di quella piccola vita che cresceva dentro di lei.

“Sai, a volte mi chiedo... se quello che sto facendo sia giusto.” dichiarò improvvisamente il biondo, stringendole la mano. “Se sarò mai capace di essere un buon genitore non avendone mai avuto uno.” deglutì, distogliendo per un istante lo sguardo dagli occhi di lei. “Ho passato tutta la vita a ripetermi di avere fiducia in me stesso e nelle mie scelte, ma questa volta... non è come affrontare un duello, o decidere di imparare una nuova tecnica, è qualcosa che cambierà per sempre la nostra vita.” sospirò. “Forse è per questo che sono stato assente negli ultimi giorni: temevo di non farcela ad esserti di sostegno, ora come in futuro.”

Hinata gli appoggiò il viso sulla spalla, aspirando il suo odore.

“Forse è stata una scelta avventata.” mormorò quest'ultima, mentre il ragazzo prendeva ad accarezzarle i capelli. “Ma sono sicura di una cosa: desidero sposarti, e desidero essere la madre dei tuoi figli.” strinse con più forza la mano di lui, felice di mantenere un contatto con l'uomo che amava. “E non mi importa se ora è tutto... troppo. Supereremo ogni cosa, come abbiamo sempre fatto.”

“Come puoi esserne così sicura?” lei gli voltò il volto con una mano, fissandolo dritto nelle iridi chiare.

“Perché io ti amo.” sentendola parlare con quel tono così convinto, Naruto non poté fare altro che sorridere, donandole un leggero bacio sulle labbra.

“Anche io, Hina-chan.” la strinse più forte a sé, la paura che lentamente lasciava spazio alla speranza di un futuro assieme. “Ti amo anch'io.”

Parlarono di molte cose quella notte. Discussero di che nomi dare nel caso fosse nato un maschietto oppure una femminuccia, di come convincere il padre di lei a non riempire la loro casa di anticaglie polverose, delle loro paure su come affrontare la vita da sposati, delle loro speranze per il futuro, i loro sogni per il bambino che doveva nascere. Parlarono di come temevano di non farcela ad essere dei bravi genitori, tentando di rassicurarsi a vicenda. Si chiesero da chi avrebbe preso di più: se dalla famiglia di lui, oppure da quella di lei, se avrebbe ereditato il Byakugan, e se dovesse entrare nel clan degli Uzumaki oppure in quello degli Hyuga. Non giunsero a nessuna conclusione assoluta, ma si sentirono incredibilmente sollevati a stare lì, seduti sul vialetto di villa Hyuga, a parlare liberamente come non facevano da tanto tempo. Hinata verso alcune lacrime, dovute in parte agli ormoni, ma rise molto, specie quando Naruto, irritato dalla sua idea di nominare Hanabi madrina del piccolo, propose Ayane, la figlia di Ichiraku. Quando, a notte fonda, finirono gli argomenti, rimasero semplicemente in silenzio, abbracciati, il freddo della notte che li avvolgeva.

“Sai... stavo pensando ad una cosa.” esordì all'improvviso il biondo.

“Non intendo discutere nuovamente di un trapianto di occhi.” lo redarguì mezza seria la Hyuga. “Non intendo avere un figlio con un Byakugan in un occhio e uno Sharingan nell'altro.” Naruto ridacchiò, ripensando alla balorda idea di proporre uno scambio a Sasuke, tralasciando volutamente la fase in cui lui li ammazzava per la rabbia.

“Forse... dovremmo andare a vivere insieme subito. Nei prossimi giorni, intendo.” la guardo dritta negli occhi, facendole capire che non stava scherzando. “Magari... potrebbe essere un buon test: vedere come possiamo limare i nostri difetti. Perché, sinceramente, litigare su come uso il bagno la prima mattina da sposati non è il mio grande sogno.” Hinata sorrise. Sembrava assurdo pensare che poche ore prima aveva avuto paura di non piacergli più: come aveva detto Sakura, Naruto era troppo innamorato, o stupido, per dare importanza al suo nuovo aspetto fisico.

“D'accordo.” rispose, baciandolo dolcemente. “E' una buona idea.” lui rispose al bacio con trasporto, sentendosi di nuovo felice, libero da ogni paura o tormento interiore.

“Con tuo padre ci parli tu, ok?” sussurrò, non appena si staccarono.

“Va bene, ci parlerò io.”

“Kami, quanto ti amo!” prese a baciarle il collo, sordo alle sue flebili proteste, assolutamente fasulle. Il suo cuore scoppiava di felicità a vederlo così preso, così innamorato di lei.

Ti amo tanto, Naruto-kun.

 

 

Si aggirava per le stanze, ormai vuote, le mani in tasca, un sorriso strano sul volto.

Mi fa quasi senso andare via da questa casa.

Erano passati tre giorni dalla scelta di andare a vivere subito nella casa nuova. Naruto, con l'aiuto di Konohamaru, si era messo ad imballare gli oggetti di una vita. Era incredibilmente facile traslocare quando potevi creare venti copie in un secondo.

Fasci di luce arancione illuminavano le finestre dell'appartamento. Il ragazzo fece un ultimo giro, ora serio, indeciso su come sentirsi. Sarebbe dovuto essere felice di andare a vivere in una splendida casa, in compagnia della donna che amava, invece si sentiva nostalgico, quasi triste. Aveva sofferto molto la solitudine tra quelle pareti, ma in quei muri erano racchiusi anche centinaia di ricordi splendidi, capaci di sciogliergli il cuore.

“Naruto-niichan.” dalla porta della sua vecchia stanza sbucò la testa di Konohamaru. “Ho finito di portare le ultime scatole.”

“Ti ringrazio.” rispose lo shinobi. “Io... ti raggiungo subito.” un sorriso strano si dipinse sulle labbra del Sarutobi.

“Immagino che non sia facile.” entrò nella stanza, mettendo una mano sulla spalla dell'amico. “Tutto bene?”

Naruto non rispose subito, gli occhi cerulei fissi sul pavimento. Ripensò a tutti i ricordi che avrebbe portato con sé, i ricordi di una vita forse dura, ma incredibilmente bella.

“Sì.” mise un braccio sulle spalle del fratello adottivo. “Va tutto bene.”

Quando uscì per l'ultima volta, chiudendosi alle spalle quella vecchia porta, Naruto capì che non stava solo chiudendosi alle spalle un capitolo della sua vita. Lì dentro sarebbero rimaste per sempre la sua adolescenza, la sua infanzia. Un luogo dove i ricordi sarebbero sopravvissuti nella loro pienezza.

“Immagino che questo sia un addio.” soffiò, stringendo le labbra. Era triste, ma un genere di tristezza accettabile, di quelle che comprendi di non poter evitare. Forse fu per quello che, una parte di lui, fu sollevata quando salutò Konohamaru: aveva bisogno ancora di un minuto, prima di entrare nell'universo degli adulti.

“Va tutto bene.” ripeté, alzando gli occhi al cielo. “E' giusto così.”

Non si voltò indietro, raggiungendo la sua nuova abitazione con un sorriso allegro sul volto. La tristezza sfumò lentamente, lasciando spazio ad una dolce felicità.

 

 

Si sdraiò sul letto nuovo, il materasso ancora rigido, sentendosi molto imbarazzato. Al suo fianco Hinata, la schiena rialzata con un cuscino, fissava il soffitto, incapace di pronunciare qualcosa capace di rompere la tensione. Dopo tutte le volte che aveva fantasticato su quel momento, il ragazzo fu costretto ad ammettere che sdraiarsi in un letto circondato da scatoloni chiusi non corrispondeva molto ai suoi sogni.

“Beh... eccoci qui.” esordì il biondo. “In un letto che puzza di nuovo, in mezzo a quintali di roba che impiegheremo mesi a sistemare.” si voltò a fissarla, stringendole una mano.

“A me piace.” mormorò la kunoichi. “E' bello... sapere che questo posto è nostro.”

Naruto sospirò pesantemente, rendendosi conto che aveva ragione, ancora una volta. Era incredibile come Hinata riuscisse sempre a trovare il gesto corretto, la frase giusta, per farlo sentire meglio. Forse era per quel motivo che l'amava così tanto: con lei sentiva di poter essere sé stesso, senza veli o maschere, ed era bellissimo.

“Grazie.” la abbracciò, baciandola in fronte. La Hyuga, stretta tra le braccia del suo uomo, ebbe una vampata di calore, riscaldandole il sangue, il quale prese a scorrere molto più velocemente. I dubbi sul suo aspetto fisico tornarono più forti che mai, combattuta dal desiderio di amoreggiare con il suo uomo e la paura di non piacergli in quelle condizioni.

“Naruto-kun...” mormorò, accarezzandogli il petto. “A-avresti voglia... di... fare l'amore?” poteva sentire il suo sguardo su di lei, desiderando con tutte le sue forze che non stesse provando pietà o compassione: non l'avrebbe tollerato, non da lui.

“Non avevo il coraggio di chiedertelo.” replicò con voce morbida lo shinobi, iniziando a baciarle il lobo sinistro, lasciandola stordita.

“D-dici davvero?” sussurrò, gli occhi lucidi. Lo guardò dritto in faccia, cercandoci la risposta che voleva. “Non ti crea... alcun problema?”

Lui sorrise, riprendendo a baciarla dolcemente. Si mise sopra di lei, lentamente, stando bene attento a non farle male.

“Non mi stancherei mai di te.” le rubò un bacio, le fronti che si sfioravano. “Mai.”

Fu strano. Eccitante, dolce, incredibilmente intenso ma strano, diverso dalle esperienze passate. Forse era il pancione di lei, la consapevolezza che ci fosse un vita dentro di essa, il sentirla profondamente accaldata, ma Naruto si sentiva eccitato in modo diverso dal solito. Era un'emozione profonda, come se quel corpo sotto di lui, in balia degli ormoni, fosse la cosa più bella che avesse mai visto. Le strappò gemiti rochi, così diversi da quelli pudici che tratteneva tra le labbra di solito, mentre entrava in lei, le mani strette fino a farsi male alle nocche. Assaggiò con la lingua quel seno gonfio e sensibile, un retrogusto dolce ogni volta che si soffermava sui capezzoli, il tutto mentre le unghie della ragazza si conficcavano lentamente, quasi con sadismo, nella sua schiena. Tenne un ritmo lentissimo, delicato, quasi temesse di ferirla, portandola dolcemente all'orgasmo due volte nel giro di un quarto d'ora. Alla fine del secondo, Hinata aveva il corpo ricoperto di sudore, le labbra socchiuse che cercavano aria sul viso accaldato. Era splendida, come non l'aveva mai vista, e fu incredibilmente felice di starla per sposare.

“N-Naruto-kun...” ansimò, cercando aria. Fece per parlare ancora, ma l'Uzumaki le poggiò un dito sulle labbra, percependole bollenti. Sentiva che mancava poco al suo orgasmo, e voleva assaporare quelle sensazioni fino in fondo, lasciando a dopo spazio per le parole.

Riprese a muoversi, ora con un ritmo più sostenuto, mentre la Hyuga gli mise le braccia attorno al collo, persa nel suo piacere, con gli occhi socchiusi e la bocca aperta. Era magnifica. Davanti a quel volto, lo shinobi non resistette più, venendo pochi istanti dopo il terzo orgasmo di lei.

Restarono a lungo in quella posizione, i loro respiri che lentamente si regolarono. dopo un ultimo bacio, Naruto scivolo di lato, sentendo di aver appena fatto la scopata migliore della sua vita.

“E' stato magnifico.” dichiarò, sorridendole. “Sei bellissima!”

“Lo pensi davvero?” replicò lei, il viso ancora rosso per la vergogna di essersi lasciata andare in quel modo. Davanti alle sue paure, Naruto ricominciò a baciarla, questa volta in modo più intenso, staccandosi solo dopo parecchi secondi.

“Sì.” rispose infine. “Ti amo, e non sarà certo un pancione da gravidanza a renderti meno splendida.” le accarezzò il viso. “Anzi... sei più bella che mai.” gli occhi lilla della kunoichi divennero lucidi. Si strinse al suo uomo, appoggiandogli la testa sullo sterno, desiderando ardentemente che quel momento non finisse mai.

“Grazie.” si addormentò, un sorriso ancora sulle labbra, accettando finalmente il proprio corpo per quello che era diventato. Il suo ultimo pensiero prima di cadere preda del mondo onirico fu che, al fianco del suo Naruto, era più facile non provare paura.

No, Hina-chan. Grazie a te.

Sapevano entrambi che non sarebbe stata quella scopata a sistemare ogni cosa, che il giorno dopo avrebbero iniziato un lungo percorso assieme e che non sarebbe stato per niente facile. Eppure, in quel momento erano semplicemente felici di essere lì, su quel letto ancora rigido, ad iniziare quel cammino con un sorriso sulle labbra. Un cammino che, e di questo Naruto ne era convinto, sarebbero riusciti a percorrere, fino in fondo.

Ci riusciremo. Si sistemò meglio, tentando di non svegliarla, di nuovo in pace con sé stesso dopo troppo tempo. Faremo anche questa.

Dopotutto, non era mai stato tipo da arrendersi, e non aveva intenzione di farlo neanche questa volta.

Diventeremo dei bravissimi genitori Hinata. È una promessa.

E lui manteneva sempre le promesse.

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

Buondì! Eccomi di nuovo qui, con un nuovo capitolo!

Dunque, se vi aspettavate matrimoni, nascite o qualcosa di questo genere... beh, peccato! Sarà per la prossima volta xD

Questo capitolo è nato quasi per caso, pensando che non deve essere facile accettare così tanti cambiamenti in poco tempo: che sia cambiare casa, diventare genitori, o aspettare un bambino, i cambiamenti possono spaventare. Da qui l'idea di questo capitolo.

Bene! Anche stavolta ho finito. Come sempre ringrazio tutti quelli che leggono e seguono questa storia, ricordando che qualsiasi tipo di recensione ( positiva o critica) è ben accetta.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 10
*** Il momento più felice ***


The Biggest Challenge
 

15pjpko


Il momento più felice

 

 

Quando si entrava nella Squadra Speciale, uno si immaginava di lavorare sugli eventi più misteriosi, sanguinari e fantastici che imperversano i margini della società ninja: lavorare nella Squadra Comunicazioni con un'isterica Ino Yamanaka, la quale non passava giorno che non si lamentasse almeno due ore di quanto fosse stato stronzo il suo fidanzato a metterla incinta. Oppure nei Servizi Segreti, collaborando con gli Anbu ed altri macabri personaggi come Ibiki, capace di sezionarti l'anima con uno sguardo. Ma poteva anche capitare di finire tra i collaboratori dell'Hokage, passando il resto della vita a far andare avanti la mostruosa macchina burocratica che gestiva ed amministrava il Villaggio.

Con uno sbuffo, Naruto fece cadere l'ennesima pratica compilata su una pila orrendamente alta. Si stiracchiò lentamente i muscoli della schiena, tutti doloranti per le numerose ore passate chino su quei maledetti fogli. Il ragazzo guardò fuori dalla finestra, osservando il primo sole leggermente caldo della stagione. Ormai marzo era alle porte, e le giornate iniziavano a scaldarsi. Con un sospiro, l'Uzumaki pensò di calarsi fuori dalla finestra per sgattaiolare da Ichiraku ma Shikamaru, entrando proprio in quell'istante, infranse subito il suo piano.

“Non ci pensare!” lo ammonì, entrando con la grazia di un tornado. “Non ti coprirò una seconda volta!”

“Perché sei qui?” domandò il biondo con fare imbronciato.

“Il tuo ufficio è l'unico posto dove posso fumare senza che Ino mi urli dietro. Sai, è convinta che ci tieni la biancheria sporca qui dentro.” il Nara si accese subito una sigaretta, aspirandone il fumo con un'espressione di puro sollievo. “Kami... odio la mia dipendenza.”

“Dovresti smettere di fumare. Ti fa male.”

“Piantala con le prediche, tanto lo sai che sono troppo pigro per smettere.” replicò seccamente il moro, grattandosi la nuca. Per tutta risposta, Naruto si appoggiò allo schienale della sedia, le mani incrociate dietro la testa, profondamente annoiato.

“Dì la verità, quando ti sei proposto per questo lavoro non immaginavi fosse così.” borbottò Shikamaru, soffiando fumo dalle narici.

“Beh... no.” rispose seccamente lo shinobi. “Il fatto è che... pensavo di avere a che fare con qualcosa di diverso. Perché c'è bisogno della Squadra Speciale per decidere...” afferrò l'ultima cartella compilata, leggendone disgustato il titolo. “Quanti ortaggi importare dal Paese delle Risaie?!”

“Beh, sei fortunato. Io ieri ho passato l'intero pomeriggio a trattare un caso di contrabbando di medicinali. Mi è venuto il mal di testa a furia di mandare gente da interrogare nelle segrete e riceverne ciò che restava di loro dopo gli interrogatori.”

“Ecco, lo vedi?! A cosa serve mettere noi a gestire queste cose?! Capisco che sono compiti importanti, ma tutto questo... perché metterci dei ninja a svolgerlo?” il Nara sospirò, aspirando una nuova boccata di fumo. Se non fosse stato per la sigaretta, sarebbe già corso nel suo ufficio a schiacciare un sonnellino.

“Ascolta, Naruto... quando diventerai Hokage, pensi veramente che il tuo lavoro sarà tanto diverso? Insomma, magari non ti dedicherai a contrabbandi di medicinali e importazioni di ortaggi, ma la maggior parte del tuo tempo lo passerai a firmare documenti noiosi, che dovrai sapere a memoria, e riunioni seccanti dove qualunque idiota del villaggio verrà da te a chiederti consiglio ed aiuto, convinto che un tuo schiocco di dita risolverà ogni cosa.” lo shinobi delle ombre fece un abbozzo di un sorriso, soffiando fumo dall'angolo della bocca. “Dopotutto, quando si è in pace, è questo che la gente si aspetta da un Hokage: che risolva i loro problemi, per quanto banali e sciocchi possano sembrare.”

Naruto fece un profondo sospiro, guardando il soffitto del suo ufficio. Stranamente, lo scenario che l'amico gli aveva dipinto lo allettava. Sapeva che sarebbe stato un lavoro a tempo pieno, sfiancante, noioso, sfibrante e che gli avrebbe rovinato la salute in giovane età. Eppure, il pensiero di poter essere Hokage, la figura che proteggeva e guidava la sua gente lo riempiva di gioia, perché per lui quelle persone erano una famiglia, da accudire ed aiutare. Era il suo sogno, e niente al mondo l'avrebbe fatto desistere dal realizzarlo, neppure lo scenario più apocalittico e scoraggiante.

“Comunque, se hai voglia di un diversivo, vengo proprio per questo.” il Nara si tolse il mozzicone dalle labbra, spedendolo con precisione millimetrica fuori dalla finestra. “Domani arrivano i Kage, e il Sesto desidera che tu faccia coppia con me alla riunione.”

A quella notizia, Naruto si rianimò improvvisamente, gli occhi azzurri che brillavano di eccitazione. Era la prima volta che avrebbe assistito ad una riunione dei cinque Kage, e non vedeva l'ora che ciò avvenisse.

“Dici davvero?! Ma com'è possibile?! Di solito vai sempre con Shizune e...”

“Shizune è impegnata in ospedale in questi giorni, e ha chiesto di essere sostituita. L'Hokage crede che la persona migliore per farlo sei tu.” il moro si accese subito una seconda sigaretta. “Ovviamente io non ho influito nella sua scelta.” aggiunse con tono palesemente falso, facendo sorridere l'amico.

“Perché hai voluto proprio me? Sono la persona meno adatta per starmene in un angolo senza parlare, non credi?”

“Essenzialmente per due motivi.” replicò borbottando l'altro. “Il primo riguarda Shizune: quella donna è un genio, ma si tratta della peggiore seccatura del cosmo dopo la mia futura moglie. Il secondo riguarda invece quella megera che tengo in casa con spirito autolesionistico.” davanti allo sguardo perplesso dell'Uzumaki il Nara sospirò, esasperato dalla stupidità del biondo. “Alla riunione ci sarà Gaara. Devi ammorbidirmelo, perché so già che Seccatura si inventerà qualsiasi balla per rendermi la vita un inferno mentre i suoi fratelli saranno qui.”

Naruto scoppiò a ridere, guadagnandosi un'occhiata molto seccata da parte del figlio di Shikaku.

“Per essere uno che sta per sposarsi tra una settimana, non mi sembri molto maturo.” osservò acido quest'ultimo.

“D'accordo, farò il possibile.” rispose il biondo. “Ma non ti assicuro nulla. Devo ancora scegliere l'abito per la cerimonia, e Sakura insiste di voler venire anche lei, quindi... devo rispondere appena ha un po' di tempo libero.” scosse la testa, ridacchiando. “Un po' mi mancherà la vita da scapolo.” aggiunse. “Era bello uscire assieme e combinare disastri.”

“Fammi indovinare: stai ancora pensando all'addio al celibato che Kiba ti ha organizzato tre giorni fa.” sentendolo parlare di quella sera, Naruto iniziò a sudare freddo: avevano passato tutta la notte in un locale di spogliarelliste, a circa mezza giornata di cammino dalle mura del Villaggio. Lì, l'Uzumaki e i suoi amici si erano ritrovati avvinghiati alle più sensuali, spudorate e sorridenti prostitute di tutta la Terra del Fuoco, bevendo come spugne e facendo cose di cui la mattina dopo non avevano più ricordo. Tuttavia, il biondo era abbastanza sicuro di non aver commesso nulla di irreparabile, visto che quando si era svegliato aveva ancora le mutande addosso, e dormiva abbracciato a Sai.

“Kami, non parlarmi di quella serata.” rispose infine. “Penso di aver bevuto le peggiori porcherie, ho passato tre giorni con lo stomaco strizzato come un calzino. Senza contare che...”

“Hai dormito abbracciato a Sai.” concluse il moro. “Rilassati, lo sanno tutti ormai.” aggiunse, facendo sprofondare l'amico nella più cupa delle disperazioni.

“Non ho idea di come sia potuto succedere.” mormorò depresso. “Eppure avevo le mutande addosso!”

“Sì sì, non avete fatto gli invertiti... non troppo.” Shikamaru ripensò a quando Sai aveva iniziato ad abbracciare il biondo, facendolo urlare di gioia, e minacciando qualunque ragazza osasse scollarglielo di dosso. “Comunque la riunione dei Kage è tra tre giorni. Quindi cerca di tenerti libero, perché dovrai essere presente e disponibile per ogni possibile evenienza.”

“D'accordo, farò il possibile.” il Jinchuuriki sorrise con fare sicuro. “Cercherò di esserci.”

“D'accordo, allora qui ho finito.” il moro si alzò, lasciando perplesso l'amico.

“Credevi davvero che mi sarei preso il disturbo di alzarmi dalla mia sedia solo per una sigaretta?” uscì con quella frase dalla stanza, lasciando l'altro basito.

Sempre più stronzo diventa.

 

 

Quando quella sera Naruto entrò in casa, la prima cosa che vide fu Hinata seduta sul divano, un cuscino sulla schiena per alleviarle il peso del pancione. La kunoichi era intenta a sgranocchiare delle patatine, leggendo un libro. Sorridendo, lo shinobi corse a regalarle un bacio, accarezzandole subito dopo il ventre.

“Ciao.” sussurrò la mora, gli occhi lilla che brillavano di gioia a vederlo.

“Come ve la siete cavata qui a casa?” domandò il ragazzo, andando in bagno a rinfrescarsi.

“Bene, Tenten è andata via un'oretta fa.” spiegò la ragazza, alzando la voce per superare lo scroscio dell'acqua. “Per sbaglio ha rotto un altro vaso appartenuto ad un mio trisavolo.”

“Ricordami di regalarle qualcosa.” replicò scherzosamente l'Uzumaki, tornando a sedersi affianco alla sua donna. “Come stai?” il suo tono tornò rapidamente serio, facendo comprendere alla Hyuga il significato recondito di quella domanda.

“Sto bene.” sorrise fiocamente, andando a toccargli una mano. “Ultimamente scalcia un po' più del normale, ma forse è anche per causa tua.” aggiunse con una sfumatura divertita. Da quando erano andati a vivere assieme, non passava notte che Naruto non le chiedesse di fare l'amore. Era diventato quasi una droga per lui accarezzare quel corpo ricolmo di ormoni impazziti, capace di farlo godere con un'intensità mai provata prima.

L'allusione di Hinata lo stuzzicò. Sentiva il bisogno di scaricarsi, dopo l'ennesima giornata passata tra pratiche insulse e Anko che lo perseguitava. Si avvicinò languido alla ragazza, mettendole il braccio sano sulle spalle, iniziando a baciarle la pelle morbida del collo.

“Hina-chan... se vuoi, possiamo fare un esperimento.” sussurrò con voce calda. “Vediamo se è proprio colpa mia il fatto che scalcia.” le sue speranze vennero infrante rapidamente da uno schiaffo, anche piuttosto forte, della mora.

“Naruto-kun!” esclamò scandalizzata. “Ti comporti come il peggiore dei pervertiti!” il ragazzo mugugnò imbronciato, tentando di fare gli occhi dolci, ma in quel momento la fame chimica della donna era più forte degli ormoni del sesso.

“Vai a preparare la cena, per favore.” sospirò la ragazza, tornando a leggere. “Mi sento spossata.” l'Uzumaki preferì evitare litigi per una cosa banale come una richiesta di sesso respinta, e decise di andare in cucina, dove si arrabattò per fare qualcosa di commestibile. Per sua fortuna, Hinata in quel periodo non andava troppo per il sottile quando si trattava di cibo.

“Sai oggi cosa mi è capitato?” esordì il biondo durante la cena. La Hyuga lo ascoltava a malapena, impegnata com'era a spazzolare il proprio piatto. “Mi hanno scelto come secondo collaboratore dell'Hokage per la riunione dei Cinque che si terrà tra tre giorni!”

“Davvero? Splendido!” replicò senza neanche alzare gli occhi dal piatto la ragazza. “E poi cos'altro ti è capitato?”

“Beh... ecco... solo questo.” Naruto si trovò impreparato a quella risposta. Era convinto di vedere la propria ragazza fare i salti di gioia, invece sembrava che non l'avesse neppure ascoltato. Fece un profondo respiro, leggermente deluso, proseguendo il pasto senza aggiungere altro.

Tuttavia, quando più tardi entrò in camera per andare a letto, trovò un piccolo biglietto sul suo cuscino, scritto con la calligrafia di Hinata.

 

Perdonami. Sono molto fiera di te.

 

Sorrise. Erano poche parole, forse banali, ma a lui bastavano. La sua timidezza le impediva di ammettere di averlo trascurato, ed aveva deciso di rimediare a modo suo, con discrezione, senza troppe parole.

Grazie.

“Perché sorridi?” gli chiese la Hyuga, distendendosi al suo fianco, osservandolo sorridere al soffitto. Lui si girò, regalandole un bacio appassionato.

“Ti ho mai detto di amarti?” sussurrò una volta staccatosi da lei. Quest'ultima fece un sorriso pudico, le gote imporporate. Era stupenda.

“Sì.” rispose, sfiorandogli i capelli paglierini. “Ma ogni volta è come se fosse la prima.”

“Allora vediamo se sarà come la prima volta anche questo.” il ragazzo le saltò sopra delicatamente, togliendole la camicetta da notte, facendo balzare fuori i seni gonfi. Hinata tentò debolmente di respingerlo, ma era palese che non le dispiacessero neanche un po' quelle attenzioni, la facevano sentire incredibilmente desiderata.

Naruto-kun...

Quella notte fecero l'amore. Dolcemente, con passione, sospirando ed ansimando. Il tutto provando le stesse, identiche, sensazioni della loro prima volta.

 

 

Da quando era finito il Quarto Conflitto Mondiale era diventata consuetudine per i cinque Kage riunirsi ogni sei mesi, per rafforzare legami e discutere delle linee guida per il mondo ninja. Nonostante le nuove tecnologie permettessero loro di mettersi in contatto in pochissimo tempo, si pensava fosse utile allo sviluppo delle relazioni e della fiducia reciproca incontrarsi di persona. Ogni anno toccava ad un villaggio diverso ospitare le due riunioni, e quella primavera sarebbe stato il turno di Konoha.

Naruto sbadigliò, mentre al suo fianco Shikamaru fumava ininterrottamente da quasi un'ora. Davanti a loro, seduti su un grande tavolo circolare, c'erano i Kage: di fronte all'Uzumaki sedeva Kakashi, freddo e tranquillo come sempre. Alla sua sinistra stava invece Gaara, una lunga tunica rossa che si abbinava con i capelli, gli occhi di ghiaccio che sezionavano ognuna delle facce lì presenti. Davanti al Kazekage, lo sguardo bruno infuocato, sedeva Kurotsuchi, splendida con il suo caschetto nero e le unghie smaltate di viola. Alla destra della giovine, in tutto il suo splendore di donna, si trovava Mei, la frangia castana che ne nascondeva il sorriso ammaliante. Infine, rigido e burbero, sedeva tra l'Hokage e la Tsuchikage A, i baffi biondi ormai brizzolati.

“Vi ringrazio per essere qui presenti.” prese la parola Kakashi, in quanto padrone di casa. “Dichiaro ufficialmente aperta questa riunione dei cinque Kage delle Terre Ninja.” nello stesso istante in cui l'Hokage prese la parola, le guardie del corpo presenti presero a rilassarsi leggermente, seduti sulle panchine poste ai lati della stanza. Nonostante nessuno di loro prevedesse una minaccia, erano pur sempre lì per proteggere i loro signori.

“Ti ringrazio, Sesto Hokage.” a parlare fu Gaara, impettito e freddo, la voce perfettamente controllata. “A nome di Suna, colgo l'occasione per rinnovare la nostra alleanza e amicizia con Konoha.”

“Abbiamo finito con questi inutili convenevoli?!” sbottò la Tsuchikage, picchiettando le unghie laccate sulla fredda pietra del tavolo. “Non sono venuta fin qui per assistere alle vostre effusioni d'amore verso la Foglia, Kazekage.”

“Immagino che abbiate già pronto il primo argomento della riunione, allora.” replicò pacatamente il Quinto Kazekage. “Sono sicuro che la vostra fretta non sia dettata da un frivolo capriccio.”

“Sì, siamo tutti curiosi, mia cara.” si intromise Mei, la voce calda e suadente. “Per quale motivo toglierci il gusto di vedere l'Hokage recitare la parte dell'affascinante padrone di casa?” davanti a quelle frasi così sarcastiche, Kurotsuchi sguainò un sorriso beffardo, indirizzando il proprio sguardo nella direzione di Kakashi.

“Abbiamo avuto recentemente delle notizie preoccupanti.” esordì con voce sicura e leggermente arrogante. “Le guardie al confine del nostro Paese hanno avvistato spostamenti massicci di truppe fedeli al Daimyo del Paese del Fuoco.” quella frase gelò l'ambiente con rapidità immediata. “A nome del mio signore, il Daimyo della Terra, gradiremmo una spiegazione, Hokage.”

“Purtroppo questa notizia giunge nuova anche a me.” l'Hatake non si scompose minimamente, mentendo in modo spudorato: era ovvio che il capo di Konoha fosse a conoscenza di ogni mossa del Signore della nazione. “Non possiedo l'autorità per conoscere ogni singola scelta del mio signore, Tsuchikage.”

“Potrei anche credervi, ma per abitudine tendo a non fidarmi di nessuno.” replicò scherzosamente la kunoichi. “Se quello che dite è vero, i casi sono due: qualcuno sta tramando alle vostre spalle, oppure siete uno shinobi incredibilmente stupido.”

“Badate a come parlate, Quarto Tsuchikage!” ruggì improvvisamente il Raikage. “State offendendo un ninja che è materia di leggende in tutte le Terre degli Shinobi!”

“La ringrazio, Raikage, ma non serve che prenda le mie difese.” osservò cortesemente Kakashi. “Invierò immediatamente un messaggero al castello del mio signore. Se quello che dite è vero, sono azioni preoccupanti, che non possiamo ignorare.” Kurotsuchi non sembrò particolarmente soddisfatta di quella risposta.

“Tutto qui? È proprio vero che a voi di Konoha piace solo chiacchierare!” esclamò beffarda. “Se il Paese del Fuoco continuerà in queste azioni provocatorie, il mio paese non potrà restare con le mani in mano, e neanche noi.”

“Questo è molto preoccupante, Tsuchikage.” osservò Gaara. “Sono passati appena otto anni da quando abbiamo combattuto fianco a fianco. Avete già dimenticato ogni cosa?”

“La Roccia non dimentica.” replicò la kunoichi. “Tuttavia, in quanto vassalli fedeli del nostro Daimyo, siamo costretti a seguirlo in guerra, e le ultime notizie sembrano spingere verso questa direzione.”

“Allora, ancora più che in passato, dobbiamo accelerare il distacco dei nostri villaggi.” si intromise la Mizukage. “Fino ad ora solo noi e Suna ci siamo dichiarati indipendenti dalle proprie nazioni. Se i Daiymo hanno la memoria corta, non permettiamo loro di farci cadere negli errori del passato!”

“Concordo con Kirigakure. Ora come ora, l'unica possibilità per preservare la pace tra di noi è staccarsi dal potere dei Daiymo.” aggiunse il Kazekage.

“Non possiamo prendere una simile decisione con tanta leggerezza!” dichiarò A. “I Daiymo ci hanno aiutato enormemente in questi duri anni di ricostruzione. Dove saremmo senza le loro benefiche donazioni?!”

“Non pensavo che fosse un uomo così attento a questi discorsi, Raikage. Sono sorpresa.” il tono di Mei divenne viscido di sarcasmo, irritando il suscettibile shinobi della Nuvola.

“Penso solo a ciò che è bene per la mia gente!” replicò infervorandosi. “Voi di Kirikagure avete sempre fatto a meno delle donazioni di un paese povero come quello dell'Acqua, ma per gli altri non è così scontato! Una separazione ora come ora ci dissanguerebbe!”

“Sono sempre così le riunioni?” borbottò Naruto, mentre la discussione al tavolo si surriscaldava.

“Di solito no.” rispose Shikamaru, la fronte corrugata. “Le parole di quelli della Roccia mi preoccupano. Non si rendono conto di stare facendo una mossa azzardata seguendo una linea politica così ancorata al passato.” lo shinobi biondo non rispose, rimanendo sorpreso dalle parole del Nara. Non credeva che rapporti costruiti con così tanta fatica potessero venire meno con quella facilità. Gli occhi cerulei del Jinchuuriki si posarono sulla figura di Kakashi, il quale rimaneva perfettamente calmo e posato, osservando i suoi alleati bisticciare in modo sempre più acceso. Si domandò cosa passasse per la mente del suo Sensei, se fosse veramente all'oscuro dei comportamenti del Daimyo, e se avesse già un'idea o un piano per appianare la situazione.

Tuttavia, Kakashi disse poco o nulla per le successive ore della riunione, lasciando che la situazione si spaccasse in due fronti: da una parte Suna e Kiri che insistevano per una politica isolazionista dei ninja, lasciando che fossero i Daiymo a risolvere da soli i loro problemi, dall'altra Iwa e Kumo che invece erano contrari ad una politica, a loro dire, troppo rinunciataria. Naruto si sarebbe aspettato che a prendere il controllo della situazione fosse l'Hokage, ma quest'ultimo non si schierò, lasciando finire la riunione in un umore diffidente e cupo.

“Non immaginavo che ci fossero simili divergenze tra i vari Villaggi.” osservò Naruto all'uscita.

“Mi sembra invece normale.” replicò lo shinobi delle ombre. “Non si può pensare di appianare secoli di guerre in meno di dieci anni. Ogni Kage pensa prima di tutto al bene del suo Villaggio. Scelte che per alcuni paiono giuste e inconfutabili, per altri possono rappresentare un danno inaccettabile.” gli occhi penetranti del Nara si piantarono sul volto dell'amico. ”Tu hai un grande ascendente sugli shinobi di tutto il mondo, e questo fa di te una pedina fondamentale per mantenere la pace in futuro. Tuttavia, Kakashi non ha la stessa forza o prestigio. Se si fosse schierato da una parte o dall'altra oggi avrebbe commesso un grave errore.”

“Tu dici?”

“Il Sesto è un ninja potente, ma sicuramente inferiore a te o Sasuke, e questo, in qualche modo, lo delegittima agli occhi degli altri Kage. Se oggi avesse fatto una scelta politica netta, probabilmente avrebbe risolto la diatriba, ma si sarebbe inimicato i due Villaggi contrari, i quali non hanno rispetto della sua forza. L'unico modo che aveva per evitare una rottura insanabile tra le parti era questa: fare da ago della bilancia.” Shikamaru si accese una nuova sigaretta. “Personalmente comprendo questa scelta, ma ho il sospetto che, alla lunga, tutto questo finirà per deteriorare i rapporti con la Roccia.” soffiò fumo dalle narici, desideroso di bere un goccio di saké. “Non proprio una bella situazione.”

Naruto non rispose, stringendo le labbra, la mente ricolma di frustrazione. Gli pareva impossibile che i Kage, dopo aver combattuto fianco a fianco contro Madara, fossero ritornati con tanta facilità a bisticciare. Sembravano incapace di capire quali orribili conseguenze avrebbe portato l'avvento di una nuova guerra tra ninja.

“Uzumaki Naruto.” una voce pacata alle sue spalle lo fece uscire dalle sue elucubrazioni. Voltandosi, lo shinobi poté incrociare gli occhi con quelli altrettanto chiari del Kazekge. “E' da parecchio che non ci vediamo.”

“Gaara!” un grande sorriso si aprì sul volto del Jinchuuriki, il quale corse ad abbracciare con forza l'amico. “Mi sei mancato!” dopo un attimo di sorpresa, i lineamenti del viso del rosso si addolcirono, anche se non ricambiò il gesto.

“Ho saputo che stai per sposarti.” aggiunse il ninja di Suna. “Permettermi di farti i complimenti.”

“Già, alla fine è toccato anche a me!” esclamò ridendo il biondo. “Spero ti fermerai per assistere alla cerimonia! Si terrà tra cinque giorni.”

“Sarei onorato... amico mio.” Naruto mise un braccio attorno alle spalle dell'amico, invitandolo a bere qualcosa, mentre Shikamaru fu costretto, suo malgrado, ad intavolare una conversazione con Kankuro, da sempre estremamente critico nei suoi confronti in quanto fidanzato della sorella.

Che cosa diavolo stai facendo?!” la voce di Kurama giunse inaspettata al ragazzo, lasciandolo momentaneamente perplesso. “Perché stai abbracciando questo tizio?!”

Rilassati!” rispose l'Uzumaki. “E' solo Gaara!”

Appunto” ringhiò il Kyuubi. “Non voglio avere nulla a che fare con quel fastidioso procione!” comprendendo il riferimento a Shukaku, il biondo scoppiò a ridere, sotto l'occhio incuriosito di Gaara.

“Non è niente.” spiegò. “Solo Kurama che fa i capricci.”

“Curioso.” osservò il Kazekage, un sorriso flebile sulle labbra. “Anche Shukaku si sta comportando in modo... capriccioso.” i due amici sorrisero, mentre i loro compagni Bijuu si ritraevano, profondamente offesi ed irritati per la vicinanza obbligatoria.

“Allora!” esclamò il Jinchuuriki, una volta seduti davanti alle proprie consumazioni. “Cosa mi racconti di bello? Ho saputo che anche tu hai compiuto il grande passo!”

“Sì, tre anni fa.” rispose sommariamente il rosso, sorseggiando la propria tazzina di saké. “Ho anche un figlio adottivo.”

“Davvero?!” il ragazzo di Konoha fece un fischio sommesso. “E come mai questa scelta?”

“I membri del Consiglio insistevano affinché avessi un erede.” spiegò Gaara, riempiendosi la tazzina di liquore. “E così ho scelto di adottare un orfano. Ha tre anni, e si chiama Shinki.” il suo sguardo si intenerì leggermente. “E' un bravo bambino.”

“Sarai sicuramente un ottimo genitore.” Naruto alzò la propria birra. “A tuo figlio!”

“Al tuo matrimonio.” replicò l'amico, toccando con la coppetta la bibita dell'altro. Per un paio di minuti i due Jinchuuriki si limitarono a sorseggiare le proprie ordinazioni, lasciando che il cicaleccio attorno calasse sopra di loro.

“Credi che scoppierà veramente un'altra guerra?” domandò improvvisamente Naruto, lo sguardo sul fondo della bottiglia. Gaara non rispose subito, la mente persa nei propri pensieri.

“Non lo so.” rispose infine. “Ma non permetterò che mio figlio provi quello che abbiamo vissuto noi.” l'ombra di un sorriso nacque sulle labbra dell'Uzumaki nel sentirlo parlare in quel modo.

“Hai ragione.” buttò giù in un colpo solo ciò che restava della birra. “Nessun bambino dovrebbe.”

Aveva sempre nutrito un affetto profondo per Gaara, dovuto forse al sapere che tutto ciò che aveva vissuto sulla sua pelle, l'amico l'aveva provato con un'intensità ancora maggiore. Il pensiero che suo figlio, o che qualsiasi altro bambino potesse provare la disperazione, la solitudine ed il disprezzo che avevano provato loro lo riempiva di una rabbia violenta, nata dal desiderio di impedire tutto questo.

Te l'ho prometto Gaara: non accadrà.

 

 

Quando Shizune uscì dalla stanza di un paziente rimase sorpresa di trovarsi di fronte Sakura. La ragazza aveva in viso un'espressione dura come l'acciaio, gli occhi verdi che racchiudevano una determinazione granitica.

“Ti devo parlare.” esordì seccamente. La mora annuì, senza chiedersi il motivo di quei toni bruschi. Aveva capito da tempo che Sakura non amava mostrare le proprie debolezze, non dopo anni passati ad appoggiarsi a Naruto, osservandolo da distante mentre diventava lo shinobi leggendario capace di modificare il destino di ognuno di loro. Shizune non sapeva di preciso quando l'Haruno aveva deciso di prendere la propria vita per mano, senza voler dipendere più da Naruto e Sasuke. Forse quando li aveva visti perdere un braccio, quando non era stata più capace di accettare il fatto di poterli solo curare, vedendoli massacrarsi per lei. In realtà Sakura non era mai stata così stupida da pensare di essere l'unica ragione di attrito tra i suoi vecchi compagni di Team. Tuttavia, la kunoichi era arrivata ad un punto della sua vita in cui piangere non era più considerata un'opzione contemplabile.

“Cos'è successo?” domandò Shizune alla collega più giovane, una volta rimaste sole nell'ufficio di lei. Per tutta risposta Sakura fece un profondo respiro, il viso sfatto da notti insonni.

“Ho preso una decisione.” parlò infine. “Partirò subito dopo il matrimonio.”

“Credi che sia una scelta saggia?” osservò la kunoichi più anziana. “Non hai neanche idea di dove possa trovarsi.”

“Ho chiesto tutte le informazioni possibili al Sesto, senza contare che potrò contare anche sull'appoggio di Orochimaru.”

“Orochimaru?! Spero che tu stia scherzando! Come puoi pensare che quell'uomo ti aiuterà?!”

“Lo so e basta.” concluse seccamente l'allieva di Tsunade. “Ho i miei metodi per convincere le persone, e non sarà certo un viscido individuo come Orochimaru a spaventarmi.” Shizune non parve pienamente convinta. Si mordicchiò il labbro inferiore, sedendosi con un sospiro dietro la scrivania.

“E cosa faremo qui al Villaggio? Sei il nostro migliore medico, nessuno può sostituirti, e tu lo sai. Non puoi metterti ad vagare per le Terre Ninja, non in queste condizioni.”

“Il Sesto ha deciso che il mio posto qui all'ospedale verrà ricoperto da te durante la mia assenza, ed anche Tsunade-hime rientrerà in servizio per qualche tempo.” replicò con tono freddamente professionale la rosa. “Come vedi, la mia assenza non sarà un dramma.”

“E chi mi sostituirà come assistente dell'Hokage mentre sarò impegnata qui?”

“Sarà compito di Shikamaru trovare la persona adatta.” davanti all'ennesima spiegazione logica, Shizune fece un profondo sospiro, arrendendosi all'evidenza dei fatti.

“Sei proprio sicura di voler partire?”

“Ho preso questa decisione mesi fa. L'avevo rimandata per aiutare Naruto ed Hinata con il loro matrimonio, sperando che Sasuke tornasse al Villaggio, ma ora non posso più permettermi di indugiare.” Sakura guardò in modo significativo la kunoichi più anziana. “Sai bene anche tu che devo, gli farei un torto se restassi qua.”

“Capisco.” le lanciò un'occhiata significativa. “Hai intenzione di dirlo anche a Naruto?” davanti quella domanda, Sakura non rispose subito, piantandosi le unghie negli avambracci.

“Certo che no.” non guardò negli occhi l'altra, preferendo lo schedario appoggiato al muro. “Non sono così stupida.”

C'erano molti significati sottintesi in quella risposta, ma Shizune non insistette. Sapevano entrambe che Naruto, se fosse stato messo al corrente di ogni cosa, non le avrebbe mai permesso di partire da sola.

“Come desideri.” mormorò la kunoichi mora, mentre l'Haruno faceva per uscire dalla stanza.

“Stai tranquilla.” esclamò improvvisamente sull'uscio. “Sono una kunoichi di Konoha! So badare a me stessa!”

Tuttavia, quando uscì, la prima che desiderava credere a quelle parole era proprio lei.

 

 

Gli faceva strano essere in quel posto, anche perché ora era alto quasi il doppio di quando ci andava. Fece un profondo sospiro, tentando di non dare nell'occhio. Speranza vana visto che ogni ragazzina che incrociava non faceva che indicarlo, sussurrandone il nome con voce sognante. Si accorse che sotto sotto un po' gli piaceva vedere le giovani guardarlo con quel fare adorante. Certo, aveva dovuto aspettare più del dovuto, ma finalmente anche lui era diventato il più ammirato tra le ragazze.

Abbassa la cresta. Ti ricordo che hanno la metà dei tuoi anni.”

Perché devi sempre essere così scorbutico? Lasciami gustare un po' di notorietà!” Kurama non replicò, borbottando qualcosa di indefinibile, ma Naruto non era molto convinto che fosse un complimento nei suoi confronti.

Quando entrò nell'aula adibita ai maestri dell'Accademia, fu felice di trovarci subito Iruka-Sensei, evitando così l'imbarazzante momento in cui avrebbe interrotto la sua lezione. Quest'ultimo, non appena lo vide, rimase sorpreso per alcuni istanti, distendendo successivamente i lineamenti del volto in un largo sorriso.

“Naruto! A cosa devo questa visita durante l'orario di scuola?”

“Iruka-Sensei.” con un movimento fluido, Naruto si sedette su una sedia, lo schienale sotto il mento, osservando dalla finestra il cortile. “Avevo un paio di ore libere e volevo parlarle di una cosa.”

“Dimmi pure. Tra poco ho una lezione, ma cinque minuti per te li trovo.” lo shinobi biondo non rispose subito, guardando i ragazzini esercitarsi nel taijustu, la mente che andava a ricordi lontani.

“Si ricorda le lezioni in cortile?” domandò, un sorriso nostalgico sulle labbra. “Quelle noiosissime esercitazioni dove finivo inevitabilmente per prenderle da Sasuke o Kiba?”

Iruka seguì la direzione dello sguardo di Naruto, tornando indietro anche lui nel tempo. I suoi occhi si illuminarono di luce, mostrandogli due bambini: uno moro, profondi occhi neri, con indosso il simbolo degli Uchiha, l'altro biondo, i vestiti sporchi di terra, gli occhi azzurri che mostravano la rabbia e la determinazione di qualcuno disposto a cambiare il proprio destino ad ogni costo.

“Ogni volta che guardo quel cortile.” rispose infine il Sensei. Da un certo punto di vista, era orgoglioso di vedere quanta strada avevano fatto i suoi allievi, di come quella generazione che aveva affrontato la guerra fosse ancora lì per la maggior parte, a costruire qualcosa di straordinario come una pace vera, che non venisse costruita sopra centinaia di corpi ancora caldi.

“Sa, ogni volta che ripenso a quegli anni non sono la fatica, la mancanza di risultati oppure le prese in giro degli altri a colpirmi.” ora le iridi cerulee si spostarono verso il volto del Sensei. “Penso sempre che senza di lei non ce l'avrei mai fatta.”

“Naruto... è passato tanto di quel tempo.” provò a minimizzare l'altro. “Sono sicuro che Kakashi o Jiraiya-Sensei abbiamo fatto molto più di me per farti diventare l'uomo che sei.”

“Forse.” l'Uzumaki si alzò, mettendosi di fronte al suo vecchio mentore. “Ma voglio che siate voi il mio testimone di nozze.” sentendolo pronunciare quella frase, Iruka temette di non aver compreso.

“Come?”

“Sensei, avete sempre detto che il rapporto che ci lega è come quello tra fratelli.” Naruto sorrise. “Ed è vero. Ogni volta che avevo bisogno, voi c'eravate. Che si trattasse di pagarmi una ciotola di ramen, oppure di dare la vita per me, voi eravate lì, pronto a guidarmi, ad incoraggiarmi a dare il massimo.” gli mise la mano sana sulla spalla, continuando a fissarlo dritto negli occhi. “E' per questo che desidero avervi al mio fianco anche stavolta. Quando diventerò uomo, mi piacerebbe avervi vicino, come avete sempre fatto.”

“Naruto...” lo shinobi moro sentì gli occhi pizzicare, mentre un'ondata di commozione lo sommerse. ”Io... ti ringrazio, ma sei sicuro di volere proprio me, un vecchio insegnante dell'Accademia?”

“Sì.” il tono del biondo non lasciava adito a dubbi. “Mi renderebbe la persona più felice del mondo.”

“Beh...” si asciugò gli occhi con un gesto, stizzito all'idea di piangere lui. “Allora accetto!” quelle parole scatenarono una vampata di gioia negli occhi dell'altro, facendolo sorridere con più forza di prima.

“Lo avrebbe mai pensato?” chiese, tornando a guardare il vecchio cortile dove si era allenato in passato. “Che un giorno io... sarei riuscito a costruirmi una famiglia?”

Iruka fece un sorriso strano, un misto tra il malinconico e il felice. Aveva visto Naruto crescere anno dopo anno, osservando quel bambino pasticcione diventare prima uno splendido ninja e poi un grande uomo. Ne fu orgoglioso, vedendo davanti a lui una persona meravigliosa, la migliore che potesse diventare.

“Ogni giorno.” rispose semplicemente. Fece per uscire dalla stanza, non volendo permettere ai ricordi di trascinarlo troppo lontano, in posti dove il sole era ancora giovane, e la persona più importante della sua vita era un piccolo teppistello ghiotto di ramen.

“Stasera ramen da Ichiraku?” propose prima di uscire.

“Mi dispiace Sensei, ma non me la sento di lasciare Hinata sola.” quella risposta fece sorridere in modo più marcato l'insegnante, il quale comprese come il tempo fosse passato rapido, portandosi via il suo amato Naruto.

“Sono felice della tua risposta.” osservò con tono monocorde.

“Ehi... Sensei,” Naruto mise un braccio sulle spalle del fratello adottivo, sorridendo in un modo fin troppo familiare. “Possiamo fare domani a pranzo!”

No, forse si era sbagliato. Il suo Naruto era ancora lì, al suo fianco, come sempre.

E non se ne sarebbe mai andato.

“D'accordo.”

“Ovviamente offre lei, vero?”

Già, quello era proprio il suo adorato fratellino.

 

 

Naruto si guardò più volte attorno, tentando di comprendere meglio l'enormità di ciò che era appena capitato.

Dubito che dimenticherò questa giornata.

Si trovava in un grande salone, pieno di piccoli tavolini, con una larga pista da ballo in parquet scuro, mentre un'orchestra in abiti neri prendeva posto per suonare. Attorno a lui erano radunati gli amici e conoscenti di una vita intera. In quell'istante, vestito con un abito scuro da sposo tradizionale, che aveva capito come indossare solo al terzo tentativo, e Hinata stretta al suo fianco, sua moglie da poche ore, Naruto sentiva di potere toccare il cielo con un dito. Neanche le interminabili processioni di Hyuga che porgevano loro congratulazioni ed auguri riuscivano a scalfire il suo buon umore, anche se al fianco di Sakura, in realtà, un vuoto fin troppo evidente, capace di scalfire la sua gioia esisteva.

“Sei stanca?” domandò, osservando Hinata al suo fianco sospirare, splendida nel suo abito chiaro, anch'esso in perfetto stampo tradizionale per la gioia di Hiashi.

“Sto bene.” sorrise, il volto raggiante di gioia. Era semplicemente magnifica, la donna più bella che avesse mai visto. “Non mi sono mai sentita meglio.”

Era vero, neanche lui si era mai sentito così felice. Non seppe se fu l'applauso dei suoi amici, riuniti in quel posto per festeggiarlo, oppure la stretta di mano di un Iruka-Sensei profondamente commosso. La pacca sulla spalla di Kakashi-Sensei, privo dell'abito da Hokage per una volta, o i sorrisi di Sai e Sakura, suoi compagni di Team. Lo sguardo d'intesa con Shikamaru, che valeva più di mille parole, le allegre pacche sulla schiena di Kiba o il sorriso caldo e pieno di gioia genuina di Choji. Per non parlare dell'abbraccio materno di Tsunade-baachan, la stretta di mano di Gaara, sorridente come non l'aveva mai visto, il tenue sorriso di Shino, l'abbraccio irruento di Konohamaru, i discorsi motivazionali di Rock Lee e Gai-Sensei, più positivo che mai nonostante l'infermità, il pugno scambiato con Killer Bee, venuto appositamente per il matrimonio dell'amico, senza dimenticare il sorriso sincero, ricolmo di gioia, di Hiashi Hyuga con al suo fianco Hanabi che gli faceva il verso alle spalle. Ma forse, il motivo per cui si sentiva così felice e in pace con il mondo era davanti a lui: una splendida donna, nel pieno di una gravidanza, che si abbracciava con le amiche di una vita: Ino, Sakura e Tenten, le quali non la smettevano più di complimentarsi con lei.

Moccioso,” la voce di Kurama giunse alle sue orecchie con la ruvidezza di sempre. Eppure, lo shinobi poté giurare di sentire una sfumatura più dolce. “Finalmente sei diventato un uomo.”

Così pare.”

Sai che davanti ai miei occhi rimani il solito bamboccio infantile e senza cervello?” Naruto sorrise all'amico, comprendendo che fargli gli auguri fosse per lui semplicemente impossibile.

Lo so, Kurama.” rispose, dando una pacca sul muso dell'amico. “E ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me.”

Quando la smetterai di ringraziarmi?! Lo sai che lo detesto!”

“Naruto!” la voce di Sakura lo distolse dal rispondere al Bijuu. “Il primo ballo sta per iniziare! Tu e Hinata dovete aprire le danze!” quelle parole lo gettarono per un istante nel terrore, ma gli bastò fissare le labbra lucide di rossetto della Hyuga incurvarsi in un sorriso per ritrovare la serenità. Con lei al suo fianco, ogni cosa sembrava diventare una bazzecola.

Fecero entrambi un profondo respiro, mentre gli occhi di tutti, famigliari e amici, era fisso su di loro. Quello era il loro momento, l'istante che avrebbero portato nel cuore per sempre.

“Si comincia.” sussurrò l'Uzumaki. In quel preciso istante, la musica iniziò, costringendolo a muoversi, una mano sul fianco di Hinata. Poté udire i fischi assai poco galanti di Kiba, subito rimproverato da Sakura, ma la cosa non lo toccava più di tanto. C'erano solo lui e la donna che stringeva tra le braccia, tutto il resto era secondario in quegli istanti.

“Sicura di stare bene?” domandò, preoccupato per le sue condizioni. Era stata tutto il giorno in piedi, ed era ormai al sesto mese. Lei sorrise, appoggiando la testa sulla sua spalla, permettendo alle note di scaldare loro il sangue.

“Mai stata meglio.” ripeté sottovoce.

Ben presto altre coppiette li seguirono in pista: c'era Shikamaru trascinato a forza da Temari, la faccia di uno cui aveva appena subito una castrazione, mentre al suo fianco Ino e Sai si muovevano agilmente, splendidi nei loro abiti eleganti. Poco distante, una Tenten imbarazzatissima tentava di insegnare ad un imbranato Rock Lee i fondamentali per ballare, proprio nello stesso istante in cui Kiba trascinava un'affascinante parente di Hinata in pista. Naruto non poté fare a meno di ridacchiare quando notò tra i ballerini anche Kakashi stretto ad Anko. La Mitarashi pareva tranquillamente a suo agio, il fisico sinuoso che si strusciava senza vergogna su quello dell'Hatake. L'Hokage, al contrario, sembrava avere bevuto una pentola d'acqua bollente, il fumo che usciva dalle orecchie per l'imbarazzo, il tutto sotto le urla di incitamento di Gai, il quale non capiva di stare mettendo l'antico rivale ancora più in difficoltà.

Alla fine del primo ballo, quando il fisico di Hinata chiese una pausa, Naruto poté approfittarne per sorseggiare qualcosa di fresco, osservando le altre coppie al centro della pista. Tra coloro che si erano tuffati nella mischia c'erano pure Choji e Karui, i quali stavano aprendo un varco tra la folla a causa dell'imponenza dell'Akimichi, troppo perso nel fissare negli occhi la propria fidanzata per stare attento a dove metteva i piedi. Il suo sguardo superò la figura sbronza di Tsunade, seduta ad un tavolino dove, assistita da Shizune, tentava di importunare i camerieri che passavano lì attorno, e pure quella di un Killer Bee parecchio su di giri, impegnato nell'incredibile impresa di ballare con due ragazze Hyuga contemporaneamente. Quando però vide Sakura da sola, intenta a parlare con Hinata, sentì una fitta allo stomaco. Si chiese per quale motivo Sasuke alla fine non fosse riuscito a mantenere la sua promessa, mancando al matrimonio del suo migliore amico.

Sasuke... mi sarebbe piaciuto parecchio vederti. Le sue iridi cerulee si alzarono verso il soffitto. Dove sei, amico mio?

Le sue elucubrazioni vennero interrotte da un flash improvviso. Sbattendo ripetutamente gli occhi, Naruto si trovò davanti, vestito di tutto punto, proprio Sasuke, il viso chiuso in un'espressione ermetica, il Rinnengan sull'occhio sinistro che sembrava brillare di luce propria.

“Sasuke?!” boccheggiò l'Uzumaki, incapace di capire da dove fosse sbucato l'amico. “Cosa diavolo...”

“Devo parlarti.” lo interruppe bruscamente l''Uchiha, facendogli segno di seguirlo in terrazza. Stando bene attenti a non dare nell'occhio, i due amici si allontanarono cautamente, raggiungendo la fredda brezza serale, i rumori della musica della festa che giungevano ovattati. Una volta lì, Naruto comprese di aver visto già quel completo, ricordandoselo addosso al fotografo di quella mattina.

“Sasuke, per caso ti sei imbucato al mio matrimonio travestito da fotografo?”

“Era l'unico modo che ho trovato.” spiegò il moro, lo sguardo perso in direzione delle montagne attorno a loro. Era una bella località, ricca di terme lussuose e paesaggi montani da levare il fiato: Naruto e Hinata avevano scelto di passare la breve luna di miele in quel posto pacifico e ricco di comfort, in modo da evitare alla Hyuga eccessivi affaticamenti. “Stanotte ripartirò subito e quindi...”

“Non hai voluto ferire Sakura-chan.” concluse il Jinchuuriki al suo posto. “Posso capire, anche se mi avrebbe fatto piacere ricevere qualche complimento da parte tua.”

“Sono venuto per una faccenda diversa dal tuo matrimonio, per quanto possa essere spiacevole da dire.” proseguì Sasuke, ignorandolo. “Avevo da comunicare delle notizie all'Hokage piuttosto importanti.”

“Che genere di notizie?” l'Uchiha si voltò, piantando i propri occhi scuri in quelli chiari dell'amico.

“Il Paese del Fuoco si sta preparando alla guerra.” quelle parole scesero gelide sopra le loro teste. Naruto aggrottò le sopracciglia, la mente pienamente fredda e lucida, lontana dai festeggiamenti che si tenevano a pochi metri.

“Cosa intendi dire?”

“L'ultimo conflitto ha lasciato ferite profonde nel tessuto sociale ed economico, ferite che non guariscono in poco tempo.” rispose Sasuke con tono freddo. “Dopo otto anni, la situazione sta diventando problematica da gestire: la gente comune sta iniziando a mormorare contro il Daimyo e i ninja, accusati di aver portato la carestia e la fame solo per i loro capricci.”

“Ma questo non è affatto vero!”

“Lo so, Naruto.” replicò seccamente lo shinobi moro. “Ma le persone continuano a morire di fame, e non si vede una via d'uscita per arrestare questa situazione.” l'amico strinse le labbra, non ribattendo. “Proprio per questo il Daimyo sta pensando di provocare i paesi confinanti, sperando di indirizzare il malcontento interno verso un nemico esterno.”

“E' una follia! Come può pensare che una nuova guerra possa portare a dei miglioramenti?!”

“Infatti ci sono individui che stanno pensando di detronizzare il Daiymo.” Naruto spalancò gli occhi, sbigottito nell'udire quelle notizie. “Per ora è ancora un fronte molto variegato, privo di una guida univoca, ma il loro scopo è uno soltanto: detronizzare il Daiymo e distruggere Konoha.”

“Distruggere Konoha? Perché dovrebbero volere una cosa simile?”

“I ninja sono coloro che hanno scatenato la guerra di otto anni fa. Agli occhi della gente, siamo noi i veri colpevoli di questa crisi, ed il Daiymo è visto come nostro complice.” l'Uchiha guardò con fare penetrante l'Uzumaki. “La primavera sta avanzando, e con l'arrivo del caldo, la guerra civile non sarà più un miraggio. E credo che tu sappia cosa accadrebbe in quel caso.”

Sì, lo sapeva fin troppo bene Naruto. Un conflitto civile avrebbe portato morte e rovina, proprio come otto anni prima, con conseguenze disastrose per il mondo ninja: attirati dalla debolezza del Paese del Fuoco, i signori feudali confinanti non avrebbero esitato a dichiarargli guerra, obbligando i villaggi ninja, legati da giuramenti di fedeltà, a ritornare a combattersi come in passato, come se le sofferenze patite durante il quarto grande conflitto non fossero mai esistite.

“Dobbiamo impedire che questo conflitto inizi!” esclamò. “Sono pronto a venire con te se è necessario.”

“No, tu devi restare al Villaggio e proteggerlo.” replicò seccamente Sasuke. “Sarò io ad occuparmene. Dopotutto, erano questi i patti che avevano stabilito, o sbaglio?”

“Ma neanche tu puoi fermare una rivolta da solo.” obbiettò il biondo. “Avrai bisogno del mio aiuto.”

“Se avrò bisogno di qualcosa mi metterò in contatto con il Villaggio.” con movimenti rapidi, l'Uchiha si tolse l'abito da cerimonia, indossando nuovamente le proprie vesti da viaggiatore. “Non preoccuparti: intendo muovermi nell'ombra per il momento.” si girò, fissando dritto in viso l'amico. “Tieni gli occhi aperti, Naruto.” mormorò. “Potrei ricomparire prima di quanto tu pensi.”

“Sasuke!” l'Uzumaki lo richiamò un istante prima che scomparisse. “Io e Hinata abbiamo deciso di nominarti padrino di nostro figlio.” quella frase gli uscì di getto dalle labbra, quasi un modo disperato per non far andare via l'amico di una vita.

L'Uchiha accolse quella notizia in silenzio, girato di schiena, la fredda brezza serale che gli agitava il lembo del mantello. Era impossibile per il Jinchuuriki dire se fosse felice o meno di quella notizia.

“Perché lo stai facendo?” domandò infine, il tono di voce apparentemente il solito di sempre. “Difficilmente sarò una figura presente nella sua vita.”

“Lo so.” rispose il biondo. “Ma so anche che se avrà bisogno di aiuto, tu ci sarai sempre. Inoltre... sei il mio migliore amico: non affiderei la vita di mio figlio nelle mani di nessun altro.”

“Naruto,” stava sorridendo, ringraziando mentalmente l'oscurità che lo proteggeva. “Ti ringrazio... per tutto quanto.” l'altro non rispose, limitandosi a sorridere.

“Quasi dimenticavo,” con un movimento rapido, Sasuke passò la macchina fotografica all'amico, contenente le foto della cerimonia svoltasi alcune ore prima. “Ancora congratulazioni per il matrimonio.”

Sparì, proprio come era arrivato, dissolvendosi nelle ombre della notte. Naruto rimase a lungo a fissare l'oscurità davanti a sé, la macchinetta stretta tra le mani. Avrebbe tanto voluto che Sasuke non fosse costretto a vivere in quel modo, sempre lontano da coloro che lo amavano. Che anche lui dormisse affianco alla donna che amava, costruendosi una famiglia, che lo proteggesse dall'oscurità che, rapida, rimontava nel mondo.

Ma Sasuke era partito da solo, a combattere una battaglia contro ombre maligne. Lasciando lì tutto ciò che più di prezioso aveva, tra le sue mani: l'attestato di fiducia più grande che, in quanto amico, potesse lasciargli.

“Grazie, amico mio.”

 

 

Hanabi si stava annoiando.

Con uno sbuffo, la ragazza si scolò l'ennesimo drink, domandandosi per quale motivo non ci fosse neanche un ragazzo carino tra gli amici di Naruto e sua sorella. Finora l'unico che aveva provato ad invitarla a ballare era stato Kiba Inuzuka, un carissimo amico di Hinata, ma le erano bastati cinque minuti per tirargli una cinquina sul viso, dopo che lui aveva provato a palparle il sedere in pista.

“Come si può organizzare un matrimonio senza ragazzi carini da abbordare?” borbottò di malumore, trattenendo uno sbadiglio. Era quasi tentata di andare a litigarsi gli avanzi del buffet, quando una specie di proiettile umano, munito di sciarpa, la investì.

“Ehi!” le gridò Konohamaru all'orecchio, perforandole il timpano. “Ci manca un membro per la nostra band immaginaria, ti va di unirti?”

L'occhiata che ricevette da parte della Hyuga non prometteva nulla di buono.

“Toglimi una curiosità.” esordì l'Anbu. “Preferisci sparire dalla mia vista di tua spontanea volontà, oppure devo farlo io prendendoti a calci?”

“Scusa tanto!” esclamò il Sarutobi, guardandola storto. “Ti lascio pure alla tua movimentata serata!”

“Sarà di sicuro più intelligente della tua, microbo!”

“Non sono un microbo!” replicò il moro, gonfiando il petto. “Io sono Konohamaru Sarutobi! E un giorno sarò Hokage!” quella frase le sembrò incredibilmente familiare.

Un altro idiota. La sua tesi si fortificò quando, pochi minuti dopo, il suddetto idiota, insieme a Choji Akimichi, Kiba Inuzuka e Sai salì sul palco, mettendosi a suonare, con ritmo impeccabile, degli strumenti immaginari sotto lo sguardo di tutti i presenti. Da quello che si poteva capire, il Sarutobi era il chitarrista, Sai il bassista, l'Akimichi il batterista mentre l'Inuzuka era il ballerino e voce del gruppo. Era, in definitiva, uno spettacolo imbarazzante.

Questi da dove sbucano fuori? Hanabi passò la successiva mezzora seduta ad un tavolino, la testa appoggiata sulla mano destra, a fissare quei quattro buffoni che si agitavano allegri sul palco, tra l'imbarazzo e l'ilarità della gente. Osservò con blando interesse Ino coprirsi il viso per la vergogna, mentre Karui sbraitava di volere castrare Choji se non smetteva immediatamente di fare l'idiota, mentre Kiba metteva fin troppa passione nel far finta di cantare ciò che sparava lo stereo alle sue spalle. Tutto sommato, quella banda di saltimbanchi era riuscita a farla divertire un pochino, anche se non l'avrebbe mai ammesso.

“Allora?” con tono trionfante, Konohamaru ritornò al tavolo dove era seduta la giovane Anbu, il volto sudato contorto in un ghigno di trionfo. “Cosa te ne pare? Siamo bravi, eh?”

“Sinceramente, un branco di scimmie che si masturbano sarebbe uno spettacolo più interessante.” rispose gelidamente Hanabi, scatenando l'ira del Sarutobi.

“Sei veramente insopportabile! Non mi stupisce che nessuno abbia avuto il coraggio di invitarti a ballare!”

“Fino a quando sono idioti del tuo calibro preferisco restare da sola!”

“Ah davvero?!” ringhiò il moro, avvicinandosi così tanto che le loro fronti si sfioravano. “Scommetto che sei così disperata che se ti invito a ballare tu vieni!”

“Ah sì?!”

“Sì!”

“Bene!”

“Perfetto!”

“Portami a ballare!” quella richiesta lasciò di sale lo shinobi. “Non restare lì impalato come un babbeo!” sbuffò la ragazza, alzandosi e trascinandolo in pista. “Hai detto che non avevo le palle per dirti di sì. Bene, ora balliamo!”

Il tutto fu piuttosto strano, anche perché quella ragazza la conosceva da appena mezzora. Tuttavia, Konohamaru fu sicuro di una cosa mentre si faceva guidare da lei durante le danze: quella tipa non gli piaceva, neanche un po'.

“Non mi piaci.” le dichiarò in faccia, senza alcun tipo di tatto.

“Se è per questo neanche tu.” replicò seccamente Hanabi, squadrandolo con disgusto. “Devi muovere i piedi più lentamente! Non stai tentando di schiacciare un insetto!”

“Non ti inviterei fuori neanche se fossi l'ultima ragazza rimasta sulla faccia della Terra.” proseguì lui, irritato per venire continuamente rimproverato da una ragazza più piccola.

“Se è per questo, io non accetterei un tuo invito neanche se dovessi scegliere tra te e la morte.” rispose lei, pestandogli un piedi con malignità.

“Sei una donna orribile!” gemette lui, iniziando a saltellare per il dolore. “Se anche ti chiedessi di vederci tra due giorni, tu mi risponderesti di no, perché non hai le palle di affrontarmi!”

“A davvero?!”

“Davvero!”

“Bene, accetto!”

“Ottimo! Tanto non ti andrà bene nessun orario, petulante come sei!”

“Perfetto! Alle nove davanti all'ufficio dell'Hokage?”

“Andata! Non sono mica un lamentoso come te!”

“Benissimo!” sibilò malignamente la Hyuga, mollandolo in mezzo alla pista ed andandosene, la lunga chioma scura che si agitava al ritmo della sua falcata. Dal canto suo, Konohamaru stette bene attento ad allontanarsi nella direzione opposta. Entrambi ci misero alcuni istanti di troppo a comprendere l'impegno che si erano appeni presi, pensando contemporaneamente la stessa, identica, cosa.

Merda.

“Tutto bene?” chiesero Moegi ed Udon all'amico, quando quest'ultimo li raggiunse ad un tavolino, un'espressione cupa in viso. “Hai una faccia...”

“Va benissimo!” replicò lui, afferrando una bibita a caso ed iniziando a sorseggiarla. “Ho appena chiesto ad una ragazza che detesto di uscire, e lei ha accettato.” rivelò successivamente. Subito dopo, il ragazzo sputò l'intruglio imbevibile che aveva in mano. Borbottando imprecazioni, il Sarutobi corse in bagno a pulirsi l'abito sporco.

“Chi l'avrebbe mai detto?” mormorò la kunoichi bionda scuotendo la testa.

“Cosa?” chiese Udon,

“Che a crollare per primo sarebbe stato lui.”

“In che senso?”

“Oh, andiamo Udon!” Moegi sfoderò un sorriso maligno. “Konohamaru è un Baka! Se l'ha invitata fuori significa solo una cosa: si è appena preso una cotta di prim'ordine!” ridacchiò di gusto. “Oh, spero tanto che sia una che non si fa mettere i piedi in testa! Nei prossimi giorni ne vedremo delle belle!”

 

 

Naruto andò a sedersi affianco alla moglie con un sospiro, rigirandosi la macchinetta datagli da Sasuke, le parole portatrici di tempesta dell'Uchiha ancora in testa.

“Cos'hai?” gli chiese Sakura, vedendolo particolarmente pensieroso. “Non sei riuscito a mangiare abbastanza ramen al buffet?”

“Eh? No, niente del genere.” rispose lo shinobi rapidamente. “Ho preso una boccata d'aria.” inventò su due piedi, sentendosi comunque la coscienza a posto, in quanto non era propriamente una menzogna.

“Chi l'avrebbe mai detto...” osservò Sakura, sorridendo con affetto. “Che alla fine voi due vi sareste sposati!”

“Beh...” Hinata strofinò il naso con quello di Naruto, accarezzandogli il volto. “E' successo!”

“Sono felice per voi.” proseguì l'Haruno. “Vi auguro una vita assieme meravigliosa!”

“Sakura-chan...” fu il turno di Naruto di parlare. “Noi volevamo ringraziarti per... tutto.” prese la mano dell'amica, sorridendo con affetto, felice per qualche istante di liberarsi dai problemi portati dalle parole di Sasuke. “Senza di te, tutto questo non sarebbe stato possibile.”

“Non serve ringraziarmi.” rispose sorridente la rosa. “Non potevo permettere che un Baka come te rovinasse il matrimonio di un'amica.” l'Uzumaki stava per rispondere a tono quando, all'improvviso, sbucò fuori da chissà dove Killer Bee, il quale lo afferrò per una mano, trascinandolo verso il palco.

“Bee-chan! Cosa diavolo...”

“Fratello mi dispiace disturbare, ma sul palco ti devi presentare! Quando la musica chiama tu devi cantare, altrimenti un vero uomo non potrai mai diventare!”

“Bee-chan... non sono sicuro di volertelo chiedere, ma cosa stai pensando di...” la sua domanda venne interrotta quando davanti a lui apparvero Konohamaru e Kiba, entrambi con degli occhiali scuri indosso ed un microfono in mano.

“Oh dei, ditemi che non state pensando proprio a quello...” gemette lo sposo, scuotendo la testa.

“Avanti, Naruto!” esclamò Kiba, estremamente soddisfatto del proprio aspetto con le lenti scure addosso. “Sarà divertente!”

“Fratello Bee ha avuto l'idea.” aggiunse Konohamaru, sfoderando un sorriso a trentadue denti. “Dice che sarà uno spettacolo che rimarrà negli annali!”

“Immagino...” l'Uzumaki sospirò. “E va bene, facciamolo!”

“Così si parla da vero uomo! Adesso vai lassù e ruggisci come un tuono, yeah!”

Forse aveva ragione Killer Bee quando diceva che quello spettacolo sarebbe rimasto impresso nella memoria delle persone presenti. Di sicuro, Naruto non si sarebbe scordato facilmente l'istante in cui lui, Kiba, Konohamaru e lo shinobi della Nuvola salivano sul palco, occhiali scuri indosso e microfono in mano, iniziando a cantare e ballare a ritmo di chitarra elettrica e pianola. Dopo le prime note, il Jinchuuriki scelse di non pensare, lasciando che fosse il corpo a muoversi. Ci sarebbe stato tempo in futuro per farlo. Che si trattasse smetterla con quelle ridicolaggini, oppure riflettere su come fermare lo scoppio di una violenta guerra civile, Naruto decise che ci avrebbe pensato dalla mattina dopo, godendosi il meraviglioso istante in cui era immerso: era sposato con la donna che amava, circondato dai suoi amici e conoscenti più cari, e stava ballando un pezzo rap del suo amico Bee che non era davvero niente male.

Mentre si muoveva a ritmo, duettando sempre più rapido con Konohamaru, una piccola parte della sua mente gli riportò alla luce la notte in cui Hinata, vedendolo alle prese con una crisi depressiva, gli aveva chiesto una cosa.

 

Naruto-kun, perché non sei felice?”

 

Quella domanda l'aveva colpito nel profondo, lasciandolo incapace di trovare una risposta. Era felice lui? Davvero quello che aveva costruito lo rendeva felice?

Erano passati anni da quella domanda, ma in quel frangente, ovvero quando passò dal cantare con il Sarutobi a duettare con Kiba, a Naruto parve l'altro giorno quando la sua futura moglie gli aveva chiesto il motivo per cui non riusciva a sentirsi felice, appagato, amato.

Sono felice, io?

Capì che non era possibile essere felici sempre e costantemente. Comprese che la gioia pervadeva l'animo della gente solo in determinati istanti, e che non esisteva un momento assoluto di gioia, capace di potere scacciare via per sempre anni di incubi e dolore.

Tuttavia, mentre la canzone terminava, e si inchinava davanti alla gente che lo applaudiva assieme ai suoi compagni, l'Uzumaki fu convinto del contrario: quella sera l'avrebbe portata nel cuore per sempre come l'istante tra i più meravigliosi della sua vita. Poche ore di gioia pura, che gli avrebbero permesso in futuro di superare qualsiasi prova che lo attendesse.

“Sei proprio convinta di volere passare il resto della tua vita con lui?” domandò Sakura, osservando Naruto iniziare un nuovo duetto rap con Killer Bee. Al suo fianco, Hinata sorrise, notando negli occhi di suo marito una luce diversa, nuova. L'aveva già scorta in passato, ma mai con quell'intensità.

“Certamente.” rispose, il sorriso sempre ben presente sulle labbra rosse. “Ora lui è felice.”

E lo sono anch'io.

A volte bastava poco per comprendere di aver fatto la scelta giusta. Hinata sapeva di averla fatta molto tempo fa, accettando di seguire la via tracciatagli da Naruto, ma le era sempre dispiaciuto vedere l'uomo che amava preda di tormenti interiori orrendi, capaci di risucchiarlo in baratri oscuri. Temeva che lo shinobi non riuscisse a trovare la via giusta, la scelta capace di superare l'oscurità.

Ora, però, non aveva più dubbi: anche Naruto aveva fatto la sua scelta giusta.

Farò il possibile affinché possiamo essere felici, Naruto-kun. È una promessa.

E tutti sapevano che lei non era tipo da infrangerne una.

 

 

Angolo dell'Autore:

 

Dunque, alla fine, passato Natale, sono riuscito a terminare anche questo capitolo!

La prima cosa che mi sento di dire è che sì, ho lasciato volutamente alcune parti in sospeso (la partenza di Sakura, la guerra civile profetizzata da Sasuke, l'appuntamento tra Konohamaru e Hanabi xD) per due motivi: il primo perché ho preferito concentrarmi sul matrimonio di Naruto e Hinata, con cui ormai andavamo avanti da troppi capitoli. Mentre il secondo è che queste cose verranno affrontate anche nelle prossime storie, e quindi ho preferito tenermi sul vago, per giocarmi le carte migliori più avanti (la briscola natalizia sta ancora facendo effetto xD)

Bene! Molto probabilmente questo sarà l'ultimo capitolo dell'anno. Come sempre ricordo a tutti che qualsiasi tipologia di recensione (positiva o meno) è ben accetta. Colgo anche l'occasione per ringraziare chiunque legga/segue/recensisce questa raccolta, ed auguro loro un buon 2017 in anticipo!

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 11
*** L'attesa più lunga ***


The Biggest Challenge

15pjpko
 

L'attesa più lunga

 

 

Con movimenti lenti e professionali, Shizune terminò di ricoprire il pancione di Hinata di un gel freddo e viscido. La ragazza inspirò bruscamente al contatto con quella sostanza estremamente sgradevole, osservando trepidante lo schermo nero alla sua destra. Alla sua sinistra, mano nella mano, c'era suo marito, altrettanto impaziente e nervoso.

“Dunque, vediamo un po' come cresce questo bambino.” esclamò l'assistente di Tsunade, appoggiando la sonda vicino all'ombelico della Hyuga. Nella stanza si udì una specie di ronzio crepitante, mentre alcune immagini confuse iniziavano a comparire sullo schermo. Lentamente, per evitare pressioni inutili, la kunoichi mora prese a spostare lo strumento, cercando di stabilizzarlo. Dopo alcuni tentativi, le immagini presero ad essere più nitide, permettendo loro di osservare un piccolo corpicino, immerso nel liquido amniotico, il battito frenetico del cuore che rimbombava nell'ambiente.

“Allora...” mormorò Shizune, prendendo rapidamente appunti con la mano libera. “Il diametro bipateriale è apposto, così come...” spostò leggermente la sonda verso l'alto. “La circonferenza cranica. Anche il labbro superiore sembra ok, ma vediamo se il cuore...” mentre la dottoressa si perdeva nei suoi calcoli, assolutamente incomprensibili per i coniugi, questi ultimi si strinsero la mano con vigore maggiore, osservando quel corpo così minuto dentro lo schermo.

“E' lui?” sussurrò Naruto, sgranando gli occhi. Non gli sembrava possibile che quel momento fosse giunto. Fino ad allora, lo shinobi non aveva preso veramente in considerazione la possibilità di essere padre. Ci aveva pensato, riflettendoci a lungo, ma osservare quelle immagini dove vedeva una piccola creatura, sangue del suo sangue per metà, gli rese le gambe deboli. Gli sembrava impossibile: stava per avere figlio, sarebbe diventato papà.

“E' bellissimo.” mormorò Hinata, sorridendo nel vedere lo stupore sul viso del marito. Lentamente, l'Uzumaki portò la protesi sopra il pancione di lei, quasi tentando di mettersi in comunicazione.

“Di che sesso è?” domandò improvvisamente il biondo, interrompendo la visita di Shizune.

“Come?”

“E' un maschio, oppure una femmina?” chiese nuovamente, desiderando spasmodicamente la risposta. Non era importante che fosse maschio o femmina, lui l'avrebbe amato lo stesso, ma voleva sapere se il suo primogenito sarebbe stato un piccolo Naruto oppure una piccola Hinata.

Con movimenti cauti, la kunoichi spostò più in basso lo strumento sul ventre gonfio della Hyuga, studiando attentamente le immagini che riceveva dal monitor.

“Direi... un maschio. Sì, è sicuramente un maschio!” dichiarò infine, sorridendo ai due coniugi. “Sarete genitori di un bel maschietto!”

Un maschio! Naruto emise un fischio, le gambe troppo molli per sorreggerlo. Un maschio! Avrebbe avuto un primogenito, sarebbe diventato padre di un piccolo ometto. Al suo fianco, sdraiata sul lettino per la visita, Hinata lo guardò con un flebile sorriso in volto, trovandolo buffo nella sua gioia fanciullesca.

“Avete già pensato ad un nome?” chiese Shizune, sorridendo alla vista della gioia dello shinobi. I coniugi si fissarono in volto per un istante, leggermente imbarazzati.

“Ecco... non ne abbiamo ancora scelto uno.” mormorò la Hyuga. “Desideravamo prima sapere di che sesso era il nascituro.”

“Chi si occuperà del parto, ora che... che... sì, insomma... ora che Sakura-chan è partita?” gli veniva difficile parlarne, nonostante fossero passate parecchie settimane dalla partenza dell'Haruno. Sembrava impossibile a Naruto pensare che la sua amica di una vita, la sua Sakura, avesse preso quella decisione drastica senza interpellarlo. A nulla erano valse le parole di rassicurazione dell'Hokage, di Shizune e neanche quelle di Tsunade-baachan era riuscite ad acquietarlo. Il pensiero della sua amica che vagava senza meta nelle Terre Ninja lo riempiva di dubbi e paure, ancora di più ora che il Paese del Fuoco era sull'orlo di una guerra civile.

“Lo farò io!” esclamò Tsunade, entrando in quel preciso istante nella saletta, il camice bianco da medico a coprire le forme seducenti. “Ora che Sakura si è presa una vacanza, ho deciso di ritornare dalla pensione.”

“Possiamo fidarci di una vecchia megera come lei?” borbottò l'Uzumaki. “Conosco i suoi metodi, e li reputo troppo bruschi per un parto.”

“Cosa hai detto?!” sibilò la kunoichi bionda, una vena che si stagliava nitida sulla fronte liscia. Con un movimento rapidissimo, quasi inumano, l'ex- Hokage afferrò per il bavero il giovane uomo, scrollandolo come se pesasse meno di una piuma. “Ascolta un po', razza di buzzurro troppo cresciuto: Facevo nascere bambini da prima che tu venissi al mondo, è chiaro?! Quindi lasciami fare il mio lavoro e tieni chiusa quella boccaccia!”

“R-ricevuto, Tsunade-baachan!” replicò con un sorriso nervoso lo shinobi biondo, il tutto mentre Hinata tratteneva a stento una risata.

“Quando avverrà il parto?” domandò successivamente la giovane Hyuga, mentre il Quinto Hokage lasciava andare l'Uzumaki.

“Non possiamo saperlo con certezza.” rispose, andando a leggere gli appunti presi precedentemente da Shizune. “Adesso sei all'inizio del settimo mese, quindi di sicuro non prima di quattro settimane. Vieni pure a fare un controllo per quell'epoca. In teoria verso l'inizio dell'ottavo mese è possibile capire e calcolare approssimativamente la data d'inizio delle doglie.” nel sentirla nominare quella parola, Hinata percepì un brivido lungo il filo della schiena. Il sapere di dover affrontare il parto, descritto da molti come un atto estremamente doloroso, le fece montare dentro il petto una forte paura.

“Fa male?” chiese con un filo di voce, andando a stringere con più forza di prima la mano al marito. Tsunade fece un sorriso materno, vedendo in lei centinaia di altre giovani donne in procinto di diventare madri.

“Mi piacerebbe risponderti di no, ma mentirei.” esordì, andando a sfiorarle il viso con una mano. “Tuttavia, una cosa posso dirtela: quando tutto sarà finito, proverai una gioia estrema, che ti farà dimenticare qualunque dolore patito in precedenza.” Hinata non rispose subito a quelle parole, sfiorandosi il ventre con le mani. Dentro di lei, una vita stava crescendo: suo figlio. Il figlio dell'uomo che amava con tutta la sua essenza. L'uomo che era riuscito a cambiarla, darle una speranza, farla credere in sé stessa. In confronto all'immenso debito di gratitudine che gli doveva, il dolore di un parto sembrava quasi una sciocchezza.

Io non mi arrenderò al dolore. Un sorriso le spuntò tra le labbra, mentre sentiva addosso gli occhi di lui. La stava fissando, aspettandosi di trovare una donna forte, capace di provare paura forse, ma che non si sarebbe mai arresa.

“Non c'è problema.” rispose. “Sopporterò.” di fronte a quelle parole, Naruto sorrise, stringendole la mano dolcemente.

Hinata non si arrendeva mai.

Forse era per quello che non smetteva di ammirarla.

 

 

Con un urlo liberatorio, Mirai lanciò i tre kunai in rapida successione. Le armi sibilarono nell'aria come tante serpi, conficcandosi nel legno con un rumore sordo. Con il fiatone, la ragazzina constatò, con un sorriso, di avere fatto due centri su tre.

“Evviva!” lanciò un urlo liberatorio, incredibilmente soddisfatta del successo. Era la prima volta in tutto il pomeriggio che riusciva a centrare il bersaglio con due kunai.

“Non gioirei troppo, se fossi in te.” Shikamaru, giunto proprio in quell'istante, spense bruscamente la gioia della Sarutobi. “In battaglia un ninja non può permettersi di sprecare armi. Potrai essere soddisfatta quando colpirai sempre il bersaglio con tutti i kunai.”

“Uffa, sempre a fare il brontolone!” sbuffò la mora, pestando un piede per la stizza. “Non sei mai contento!”

“Ah, smettila di piagnucolare.” Mirai udì un rumore di ghiaccio spezzato. Girandosi, vide suo zio Shikamaru porgerle metà di un ghiacciolo al suo gusto preferito, un sorriso sul volto magro. “Merenda?”

Seduti sul prato, schiena contro schiena, zio e nipote si godevano il caldo sole d'aprile, gustandosi il fresco dolce.

“Zio...” udendo un borbottio indefinito come risposta, Mirai proseguì. “Com'era il mio papà?”

Il Nara non rispose subito, mordicchiando il proprio stecco, gli occhi persi tra le nuvole del cielo.

Sensei...

“Era un grande uomo.” il suo tono di voce era diverso dal solito, attirando l'attenzione della bambina. “Era il mio Sensei, tutto quello che conosco come shinobi e come uomo lo devo in gran parte a lui.” chiuse gli occhi per un istante, mentre la sua mente gli inviava l'immagine del suo volto sorridente. Sentiva nell'aria la stessa sensazione di quando si sedevano in quel posto, a contare le nuvole, parlando di ogni cosa. “Sii sempre fiera di lui, Mirai.”

La piccola alzò lo sguardo verso l'alto, osservando le nuvole rincorrersi nel cupo blu. Le iridi rosse si riempirono di quel paesaggio meraviglioso, mentre un gran senso di pace le scendeva nell'animo.

“Mi piacerebbe diventare come lui.” mormorò, addentando un pezzo del proprio dolce. “Il mio sogno è essere una kunoichi forte e coraggiosa, che possa onorare la sua memoria.”

Un sorriso strano si dipinse sul volto del Nara. Un ghigno malinconico, come di rassegnazione. Sembrava passato un istante da quando passava le giornate assieme ad Asuma in quel posto, ed ora invece toccava a lui la parte del mentore, guidando i primi passi della figlia del suo Sensei nel duro mondo dei ninja.

“Hai mai giocato a shogi?” chiese improvvisamente lo shinobi delle ombre, cambiando discorso.

“No, cos'è?”

“E' un gioco che allena la mente.” le spiegò Shikamaru. “E' stato tuo padre a spiegarmi le regole. Ti va di imparare?”

“Mmm...” Mirai non rispose subito, finendo di mordicchiare il bastoncino. “Solo se dopo mi aiuti con i kunai.”

“Promesso.” il Nara si alzò, aiutando la bambina a rialzarsi. Nello stesso istante in cui lei afferrò la sua mano, lo shinobi ne approfittò per prenderla in braccio, nonostante le sue resistenze.

“Zio...” dopo alcuni minuti di cammino in silenzio, la Sarutobi aprì bocca. “Ti voglio bene.” Shikamaru non rispose, proseguendo a camminare, gli occhi persi in ricordi lontani. Si grattò il pizzetto che si era fatto crescere recentemente, avvertendo il dolce peso della nipote sulla schiena.

Anche io, Mirai.

Era tutto semplicemente perfetto.

Seduti nella stessa veranda dove lui e il suo Sensei avevano giocato centinaia di volte, Shikamaru non poté fare a meno di notare come la vita tornasse sempre suoi propri passi. Tutto era cambiato da allora, eppure la sensazione che sentiva nel petto era la stessa di un tempo.

Mentre le spiegava le regole, vedendola provare qualche mossa, il Nara non riuscì a trattenere un sorriso. Si prese una sigaretta, accendendosela lentamente. Lo sapeva da tanto tempo che quel giorno sarebbe arrivato, e voleva goderselo fumando.

Le pedine erano tornate a muoversi.

E questa volta sarebbe toccato a lui essere il generale d'argento.

“Mi sembra di aver capito! Facciamo una partita, zio?” il sorriso di Shikamaru divenne più forte, mentre soffiava fuori fumo dalle narici, come tante volte aveva visto fare ad Asuma.

“D'accordo.”

Era lui il generale, ora.

E sapeva fin dall'istante in cui la prima pedina si mosse come sarebbe andata a finire.

Tocca al generale sacrificarsi per il re.

Mentre il Nara era impegnato a guidare nel complesso mondo degli scacchi la nipote, un paio di occhi cerulei li fissarono da dietro il fusuma, un sorriso misterioso ad illuminarli.

“Sai, credo di aver sbagliato a giudicarlo.” mormorò Temari, accarezzandosi il ventre. “Forse il tuo papà è un po' piagnucoloso...” gli occhi le caddero verso la pancia, mentre sentiva il petto scaldarsi di gioia, mista ad irritazione all'idea dei lunghi mesi di gestazione che l'attendevano. “Ma sarà un buon padre.”

Era tutto semplicemente perfetto: lui e Mirai che giocavano a shogi, e lei, la kunoichi che aveva scelto di legarsi per sempre a quel pigro fumatore, incinta.

Questa la paghi, Crybaby... oh se la paghi.

 

 

Aprile trascorse lentamente, portando fiori e giornate ventose sopra Konoha. Ben presto però il capriccioso mese venne succeduto dal caldo maggio, e con esso il nervosismo di Naruto aumentò esponenzialmente.

Da quando Sakura era partita, con Shizune bloccata all'ospedale per sostituirla, Naruto era stato nominato secondo assistente dell'Hokage. Quella promozione aveva significato numerosi cambiamenti nella sua routine lavorativa. Il suo ufficio era sempre più ingombro di documenti, avvisi, cartelle ed altre scartoffie orribili, ma almeno ora Anko non era più sua superiore. Era incredibilmente sollevante poter andare al lavoro sapendo che la jonin non aveva più alcun potere su di lui. Tuttavia, maggiori responsabilità significavano anche un aumento spropositato di ore passate in ufficio, con conseguenti ritorni a casa a notte fonda, dove Hinata affrontava le ultime settimane di gravidanza in compagnia di Tenten. Naruto si sentiva come diviso in due: da una parte era felice di potere lavorare a stretto contatto con Kakashi e Shikamaru, dall'altra gli piangeva il cuore a lasciare sola tutta il giorno la Hyuga. A cosa era servito ripetersi mille volte di migliorare come marito, se poi scompariva in un momento delicato come le ultime settimane di gravidanza?

Quella sera di metà maggio, uscendo dall'ufficio sotto il cielo stellato, lo shinobi biondo fece un profondo sospiro, percorrendo le vie del proprio villaggio, ormai deserte. Era quello il suo destino? Ammuffire dentro un ufficio per il resto della vita, lasciando sua moglie sempre sola, ad attenderlo inutilmente, mentre si perdeva ogni istante importante della loro vita di coppia? Significava quello essere un Hokage? L'Uzumaki non lo sapeva, ma si domandò se fosse stato così anche per suo padre. Se Minato fosse stato costretto a sacrificare la felicità di sua madre in nome del bene del villaggio.

Una volta arrivato a casa, il giovane uomo andò in cucina, pronto all'ennesima cena solitaria. Da quel punto di vista, non era cambiato molto da quando viveva da solo, a parte per i bigliettini. Notando la sua fatica a ritornare in un orario decente, Hinata aveva iniziato a lasciargli qualcosa da mangiare, con affianco dei piccoli biglietti dove lo informava delle novità della giornata, terminando spesso il tutto con una frase piena di affetto. Naruto aveva iniziato ad attendere quel momento con ansia, perché era un segno tangibile dell'amore che quella donna splendida provava per lui, l'ennesima dimostrazione del profondo affetto della Hyuga nei suoi confronti.

Non fu deluso neanche quella sera. Lesse quelle poche righe avidamente, sentendosi ristorato come se non avesse bevuto per giorni ed improvvisamente fosse caduto in un fresco lago. Ad un tratto, le poche pietanze riscaldate che mangiò gli parvero uno splendido banchetto.

Quando salì per andare a dormire, rimase sorpreso di vedere ancora accesa la luce nella loro stanza da letto. Entrò lentamente, osservando Hinata leggere un libro, il pancione coperto da una leggera vestaglia da notte.

“Ehi!” non appena sentì la sua voce, la kunoichi si voltò, gli occhi che si illuminarono nel vederlo. “Non dormi?” lei scosse la testa, invitandolo tramite un gesto a sedersi al suo fianco.

“Oggi com'è andata?” domandò lo shinobi, ubbidendole.

“Bene.” sussurrò la mora. “Ho preferito aspettarti prima di dormire.”

“Hinata...” Naruto fece un profondo sospiro, sentendosi tremendamente in colpa per il modo in cui trattava la moglie. “Rispondimi sinceramente: vuoi che sia così la nostra vita assieme?” lei lo guardò con espressione seria, sfiorandogli una mano.

“Perché mi chiedi questo?”

“Hinata, non voglio che sia Tenten a passare affianco a mia moglie momenti importanti come questo. Se in futuro diventassi Hokage le cose... non cambieranno. Vuoi davvero passare la tua vita affianco ad un uomo perennemente assente? Ad accudire un figlio che non potrò vedere nei suoi momenti più importanti?”

“Quando diventerai Hokage, la tua famiglia non sarò solo io e questo bambino.” replicò la Hyuga. “L'intero villaggio sarà la tua famiglia.” gli prese il volto tra le mani, guardandolo dritto negli occhi. “Non voglio che rinunci al tuo sogno solo per me.”

“Ma il bambino...”

“Lui capirà.” lo interruppe con tono sicuro. “Se sarai capace di dimostrargli quanto lo ami, sono sicura che comprenderà i motivi che ti tengono lontani da noi.” sorrise, appoggiando la fronte su quella del marito, senza smettere di accarezzarlo. “Sarò sempre orgogliosa di te, qualunque cosa farai.”

“Hina-chan...” si chiese per quale motivo lei lo amasse così tanto, cosa avesse scatenato in quell'animo gentile ed altruista un simile sentimento nei suoi confronti. “Ti ringrazio. Sei sempre così comprensiva con me, un Baka...” sorrise, mentre percepiva le labbra della mora appoggiarsi sulle sue, regalandogli un soffice bacio.

“Vieni a letto.” soffiò, guardandolo dritto in faccia. Era assurdo anche solo pensare che fino a qualche anno prima la kunoichi non riuscisse neanche a parlargli, mentre ora era diventata la sua ancora di salvezza, capace di toccare le corde della sua anima come nessun altro. “E smettila di pensare a queste cose. Non ti aiuteranno ad essere la persona che desideri diventare.”

Naruto si alzò, spogliandosi lentamente. Mentre si preparava alla notte, il biondo si chiese il motivo per cui negli ultimi tempi quelle domande e preoccupazioni lo stessero divorando con un'intensità mai vista prima. Un tempo non si sarebbe tormentato in quel modo, convinto com'era di poter compiere qualsiasi impresa.

Forse sto invecchiando. Un sorriso amaro gli deformò il viso a quel pensiero. Gli faceva senso pensare a sé stesso in quei termini, specie se considerava che non aveva neanche ventiquattro anni. Eppure, se si guardava indietro, vedeva un'infinità di emozioni ed avventure, che gli donavano la sensazione di avere più anni di quanti realmente portava.

Il folle si è dato una calmata...

Si sdraiò affianco alla moglie con un sospiro, le braccia dietro la nuca. Era stanco, ma aveva ancora troppi pensieri in testa per dormire. Hinata sembrò capire il suo stato d'animo, poiché si girò dalla sua parte, afferrandogli la protesi e stringendola con affetto.

“Oggi ho pensato ad un nome.” esordì, con il chiaro intento di distrarre il marito dai suoi problemi. Lo shinobi piantò subito le proprie iridi chiare in quelle della Hyuga, ora pienamente concentrato sulle sue parole.

“Davvero?”

La kunoichi annuì, un flebile sorriso tra le labbra. La vicinanza con Tenten le aveva riportato alla mente moltissimi ricordi del cugino, quella persona per lei importante come un fratello. Il pensiero che Neji non avrebbe mai conosciuto suo nipote le aveva riaperto la vecchia ferita, facendole però trovare nel dolore il nome giusto per suo figlio.

Ricambiò lo sguardo del marito, quel sorriso carico di ricordi sempre sul viso, sillabando una singola parola.

“Boruto.”

Naruto accolse quel nome con una strana smorfia. Puntò le iridi al soffitto, ripetendo mentalmente quel nome più volte.

Boruto...

“Hai pensato a Neji.” non era una domanda la sua.

“So che Neji-niisan veglierà su di lui.” osservò Hinata. “Proprio come ha fatto con me.”

Boruto. Quel nome gli entrò in mente come la punta di una lancia, lasciandogli una sensazione nuova, piacevole. Chiuse gli occhi, inspirando profondamente, percependo le prime avvisaglie del sonno.

Boruto... gli piaceva. Sentiva che era il nome giusto.

“Sono sicuro che Neji apprezzerebbe.” mormorò, andando ad accarezzarle i capelli. “Mi piace.” sentendolo parlare in quel modo, la mora sorrise, accarezzandosi il pancione.

“Uzumaki Boruto.” sussurrò. “Nostro figlio.”

Quella notte, il sonno della Hyuga fu pacifico come non le capitava da molto tempo. Sognò lui, il suo volto, il suo sguardo severo così simile al proprio, il suo flebile sorriso, sempre carico di sicurezza. Una grande pace le scese nell'animo, mentre lo vedeva sorridere in un modo che, da vivo, non aveva mai compiuto.

Neji-niisan... proteggi Boruto, per favore.

Sapeva che l'avrebbe fatto, e lo comprese dal modo in cui la guardò dritta negli occhi: lui non avrebbe mai smesso di proteggere la propria famiglia.

Grazie.

Avrebbe continuato a farlo.

Sempre.

 

 

Konohamaru era di pessimo umore.

Seduto davanti alla tomba del Terzo Hokage, il chuunin masticava un filo d'erba, gambe e braccia incrociate, il volto una maschera inespressiva di ghiaccio.

Nonno...

Non sapeva per quale motivo fosse andato in quel posto. Forse perché tutta la sua famiglia era sepolta sotto un metro di terra, oppure perché si chiedeva sempre cosa avrebbe fatto il nonno al suo posto. Con il passare degli anni, il Sarutobi era giunto alla conclusione che quelle visite servivano molto di più a lui, piuttosto che al parente, ormai scomparso da anni.

Chissà cosa mi consiglieresti. Fece uno sbuffo, immaginandosi il volto sorridente sotto il cappello da Hokage. Forse era dovuto al fatto che all'epoca lui era solo un bambino, ma si accorse che Hiruzen non gli aveva mai parlato sinceramente, in faccia, limitandosi a riempirgli la testa di suggerimenti enigmatici. L'ennesimo rimpianto che aveva della sua famiglia. Da quel punto di vista, Ebisu-Sensei era stato molto più genitore dei suoi famigliari più stretti.

Chiuse gli occhi, mentre percepiva la rabbia ribollire come magma liquido nello stomaco. La sua famiglia, era quello il problema. Aveva passato l'infanzia a vedere le persone a lui care scomparire, una dopo l'altra: i suoi genitori, suo nonno, suo zio. Era rimasto sempre più solo, costretto a sorridere davanti agli amici anche quando il suo unico desiderio era piangere fino allo sfinimento. Gli anni erano passati, permettendogli di ritrovare un minimo di pace interiore, almeno fino a quando al matrimonio di suo fratello adottivo non aveva conosciuto la persona più irritante del cosmo.

 

Non accetterei un tuo invito ad uscire neanche sotto tortura.”

 

Fece un profondo sospiro. Hanabi, quella piccola peste era riuscita a toccargli il cuore in un modo che nessuno prima di allora era riuscito a compiere. Era irritante, piatta come un maschio e spesso adorava anche vestirsi come un uomo. Eppure, c'era qualcosa in quella ragazza che gli faceva ribollire il sangue; di rabbia certo, ma anche di qualcosa di molto più profondo e complicato.

Idiota che non sei altro. Proprio di lei dovevi andare ad invaghirti? Dopo quel primo appuntamento che si erano dati quasi per sfida ne era seguito un altro, ed un altro ancora, fino a quando lei non gli aveva fatto una domanda che gli fece rimescolare il sangue.

 

Intendi rimanere a sbavare ancora per molto? Perché non fai l'uomo e mi baci una buona volta?”

 

Un ghigno di amara rassegnazione gli deformò le labbra. Quella ragazza gli era entrata nel sangue, lasciandolo senza fiato. La prima volta che l'aveva baciata era stato un momento assurdo, dove le loro lingue si erano rincorse con fare famelico, mentre le unghie di lei si erano conficcate nella sua schiena, le labbra strette nella morsa dei suoi denti.

 

Baci proprio da schifo.”

 

Appoggiò la testa alle ginocchia, maledicendo per l'ennesima volta quel sentimento nuovo, che si era sviluppato dentro di lui. Era assurdo che si fosse invaghito di una persona che dire che trovasse irritante era solo uno schifoso eufemismo. Lui, sempre così determinato, sempre così serio nei suoi allenamenti, aveva iniziato a provare qualcosa per la ragazza più piatta e problematica dell'universo.

Sono un idiota. Solo un cretino si innamorerebbe di una così, quindi sono un cretino.

Era stato quello a farlo scappare? A costringerlo a rifugiarsi davanti alla tomba di suo nonno? Si chiese se in gioventù anche il Terzo Hokage fosse stato così in crisi davanti ad una scelta di quel genere. Si accorse, per l'ennesima volta, di non sapere molto su colui che l'aveva cresciuto. Hiruzen Sarutobi era stato un grande ninja, allievo di Hashirama e Tobirama Senju, rivale di Danzo Shimura e grande amico di Kagami Uchiha. Sulla sua giovinezza lui, suo nipote, non sapeva nient'altro.

“Ehi.” digrignò i denti, udendo la voce che meno in assoluto desiderava ascoltare in quel momento. “Si può sapere cosa diavolo ti è preso prima?” andava sempre dritta al punto lei, preferendo non indugiare in stupide frasi di circostanza.

Konohamaru non rispose, stringendosi al petto le gambe, lo sguardo ostinatamente fisso sulla lastra di marmo. La udì sedersi al suo fianco con uno sbuffo, quasi per lei tutto quello fosse un'inutile perdita di tempo.

“Di solito è gradita una risposta quando qualcuno fa una domanda.”

“Vattene!” sbottò il Sarutobi. “Non ho voglia di vederti.”

Hanabi si scostò i capelli neri dalla fronte, gli occhi chiari fissi sul volto del giovane uomo.

“Credo che mi devi una spiegazione, non credi? Eravamo a pomiciare normalmente, quando hai preso e sei andato via, lasciandomi come una cretina.” strinse lo sguardo, le labbra a formare una linea sottile. “Non amo essere presa per il culo, quindi ora mi spieghi che accidenti hai.”

Gli occhi scuri del ninja si spostarono lentamente, fissando il corpo minuto di lei, racchiuso in quell'armatura che, da sempre, lo perseguitava come il suo peggiore incubo. Forse era tutto lì il problema: in quel vestiario ed in quel tatuaggio rosso sulla spalla sinistra di lei, la fiamma rossa degli shinobi che dedicavano la propria vita al bene del Villaggio.

“Per quanto tempo ancora intendi restare in silenzio?” gli chiese la kunoichi. “Rispondimi, Konohamaru!”

“Non credo che sia il caso di proseguire questa relazione.” rispose seccamente il Sarutobi. Lei rimase spiazzata da quelle parole, le labbra semiaperte a causa dello stupore.

“Perché dici questo? Quale stronzata ti sei inventato?” chiese sgarbatamente.

“Non ti devo nessuna spiegazione.” osservò lui, ritornando a fissare la tomba di suo nonno. “Ti basti sapere che è finita.”

Sentì le dita della Hyuga artigliargli il viso, costringendolo a fissarla dritta negli occhi.

“Non mi pianti in questo modo!” ringhiò. “Non senza una spiegazione plausibile! Non sono un giocattolo che puoi buttare quando meglio credi!”

“Beh, scusa se ci frequentiamo appena da un paio di mesi!” replicò lo shinobi. “Non so se te ne sei resa conto, ma darsi un paio di baci non significa proprio nulla!”

“Balle!” strinse con più forza il volto di lui. “Non mi avresti mai baciata in quel modo se non te ne fosse fregato nulla!”

“Cosa sai di me?!” sbottò Konohamaru, liberandosi dalla presa. “Non sai niente di me, niente! Quindi evita di farmi la paternale!”

“So che mi piaci.” non fu sicuro di averlo veramente sentito. Si girò, fissandola dritta in quegli splendidi occhi chiari, il volto ora terribilmente serio.

“C-come?”

“Tu mi piaci, Konohamaru.” ripeté Hanabi. “E se speri che rinuncerò a te senza lottare allora sei più stupido di quanto pensassi.”

Il Sarutobi non rispose subito, perdendosi in quello sguardo splendido. Ci vedeva una speranza. Quella di non restare da solo, di potersi addormentare affianco ad una persona che amava, di essere un giorno chiamato padre da qualcuno. Una flebile speranza, la quale però veniva inghiottita da quel tatuaggio rosso. Un fuoco famelico, che risucchiava le sue speranze e sogni, lasciandolo in balia della paura.

“Anche i miei genitori erano degli Anbu.” esordì improvvisamente, tornando a fissare la tomba di suo nonno. “Dicono tutti che fossero dei grandi ninja, talentuosi e molto preparati.” abbassò gli occhi, il cuore schiacciato da quel vecchio dolore. “Sono morti entrambi quando avevo cinque anni.”

Hanabi ascoltò in silenzio quella confessione. Comprese che era la prima volta che il ragazzo parlava apertamente con qualcuno di quella ferita mai rimarginata.

“Venni cresciuto da mio nonno, il Terzo.” proseguì con voce spenta Konohamaru. “Anche lui morì, in nome di Konoha, quando avevo nove anni.” la brezza gli scosse i capelli scuri, lasciandolo più freddo di quanto ricordasse di essere. “Tre anni dopo morì mio zio, il mio ultimo parente, anche lui per proteggere questo villaggio.” rialzò gli occhi, tornando a bearsi di quel volto, di quei tratti di cui si era invaghito. “Ogni volta che ti vedo, che sento qualcosa per te... temo di vederti scomparire.” si morse le labbra, faticando a trovare le parole giuste. “Ho paura... di provare di nuovo quel senso di solitudine, quello capace di azzannarti il cuore, di strangolartelo nell'oscurità, e non voglio. Non voglio più soffrire perché una persona a me cara muore in nome di Konoha! Io...” fece un profondo respiro, calmando il battito del cuore, improvvisamente accelerato. “Scusa, immagino che ti appaio ridicolo: ci conosciamo da appena due mesi, ed ecco che ti sommergo con le mie paure e...”

“Non sei ridicolo.” lo interruppe seccamente la kunoichi. “E' comprensibile che tu abbia paura, lo capisco.” gli prese il volto tra le mani. “Ma se ora ti chiudessi per timore di soffrire ancora, rimpiangerai questo istante per sempre.” lo guardò dritto negli occhi, un'espressione determinata in faccia. “Non respingermi, Konohamaru.” sussurrò.

Il Sarutobi non seppe cosa dire. Una parte di lui venne tentata da quel richiamo, dalla possibilità di riavere una famiglia persa troppo presto. Tuttavia, le lunghe notti passate da solo, a piangere il proprio dolore e le proprie perdite erano ancora lì, come un oscuro tumore, che gli succhiavano via ogni speranza.

“Io...” vedendolo esitare, Hanabi si sporse, appoggiando le proprie labbra su quelle del ragazzo. Rimasero lì per pochi secondi, lunghi come anni, a scambiarsi un bacio carico di speranza ed amore.

“Imprimiti bene queste parole nella tua testa.” dichiarò con forza la Hyuga, una volta staccatasi. “Io non morirò.”

Konohamaru non rispose. Si sfiorò le labbra con una mano, la speranza che divampava con furore dentro di lui, con un'intensità che nessun dolore avrebbe mai potuto spegnerla. Voleva crederle, voleva avere anche lui una famiglia, qualcuno da poter abbracciare, da amare, da aiutare, a cui appoggiarsi nei momenti di difficoltà. Era Hanabi quella persona? Colei che l'avrebbe aiutato ad uscire dalla sua solitudine? Non lo sapeva, ma voleva provarci, non voleva avere rimpianti.

“Hanabi...” le afferrò la mano, non riuscendo a guardarla in faccia. “Ci proverò.” era una frase che stava a significare molto di più, e lei lo comprese benissimo. Lo abbracciò, stringendolo forte al petto, sorridendo all'idea di essere riuscita a farsi accettare per quello che era dal ragazzo del quale si stava innamorando.

“Che ne dici se stasera ceniamo da te?” gli chiese all'orecchio con voce calda e suadente. “Dove la portata principale è il mio corpo?” percepì il sangue del moro scaldarsi rapidamente, e ne fu compiaciuta.

Quella sera avrebbe messo il proprio segno su di lui, rendendolo completamente suo.

Sei mio, Baka.

E non ti lascerò andare mai più.

 

 

Con un boato degno di un'esplosione, Naruto entrò nella sala d'ingresso dell'ospedale, il fiatone per la corsa folle appena compiuta. Mentre i suoi polmoni in fiamme tentavano di riempirsi di ossigeno, i suoi occhi chiari zigzagarono affannosamente per la stanza, fino a quando non individuarono la figura di Tenten.

“Tenten!” corse dalla kunoichi, scrollandola per una spalla. Quest'ultima si girò, guardandolo con un'espressione di pura sorpresa.

“Naruto! Cosa fai qui?! Credevo fossi dall'Hokage a...”

“Mi sono liberato!” tagliò corto lo shinobi. “Dov'è Hinata?!” aveva il cuore ancora in tumulto da quando era stato chiamato da Shizune, la quale l'aveva avvisato che la moglie era comparsa improvvisamente in ospedale con le doglie già iniziate. Quando aveva sentito quella parola, una paura più fredda del ghiaccio gli aveva afferrato le viscere, strizzandogliele con ferocia. Aveva mollato tutto, correndo più veloce che poteva all'ospedale, il cuore che pompava furiosamente in qualche punto indistinto del collo.

Tenten lo guidò attraverso i corridoi. Una volta arrivati alla porta giusta, Naruto entrò con furia, trovando Hinata sdraiata su un lettino, vestita con un camice d'ospedale, il viso rosso e sudato che respirava affannosamente.

“Hinata!” lo shinobi andò ad afferrarle una mano, sentendola bollente. Lei lo guardò con felicità, il petto che si alzava ed abbassava rapidamente. Nonostante il dolore che montava rapido, ebbe la forza di sorridergli.

“Naruto-kun...” mormorò, trattenendo a stento un gemito di dolore. “Sono contenta che sei riuscito a venire.”

“Non sprecare fiato in sciocchezze!” replicò lui, guardandola con ansia. “C'è qualcosa che posso fare?”

“Sì, puoi uscire di qui e farmi fare il mio lavoro!” a parlare fu Tsunade, la quale entrò in quel preciso istante, indossando guanti in lattice. Dietro di lei, con espressione fredda, Shizune la seguiva mentre dosava la flebo zuccherina da iniettare alla Hyuga.

“Cosa intende dire?!” replicò con fare scorbutico il biondo, per nulla disposto a lasciare quella stanza. Per tutta risposta, Tsunade lo afferrò per il bavero scuotendolo con irrisoria facilità.

“Tua moglie ha iniziato le doglie da circa un'ora e mezza. Sarà una veglia lunga e dolorosa per lei, e l'ultima cosa di cui ha bisogno è avere al suo fianco un marito incapace di contenere la propria ansia. La tua parte è finita nove mesi fa, quindi ora esci fino a nuovo ordine!” sorda alle proteste dell'Uzumaki, il Quinto Hokage lo buttò fuori, lasciandolo in compagnia di Tenten e della sua paura.

“Merda!” ringhiò, sbattendo un pugno contro il muro. In quell'istante udì un urlo di dolore provenire dall'interno della stanza. L'uomo digrignò i denti fino a farli scricchiolare, sentendosi schifosamente impotente.

Rilassati.” Kurama fece un vistoso sbadiglio, osservando con vago fastidio il tormento del proprio Jinchuuriki.

Come faccio a stare calmo, Kurama?! Non senti come sta soffrendo?!” prese a camminare con fare agitato avanti ed indietro, le mani che prudevano dal desiderio di sfondare quella dannata porta.

Smettila di agitarti, mi irriti!” borbottò il Kyuubi. “Tanto non puoi fare altro che attendere.”

Come sarebbe a dire?!”

Che non puoi fare nient'altro che sederti ed aspettare.” sentendo l'amico parlare in quel modo, Naruto si bloccò di colpo, mordendosi con frustrazione il labbro inferiore. Gli era intollerabile accettare quella verità, il fatto che non potesse fare nulla per sua moglie.

E va bene!” si lasciò cadere su una sedia in corridoio, le braccia incrociate, lo sguardo torvo rivolto verso la porta da dove sentiva ogni tanto qualche urlo di dolore. Al suo fianco, Tenten non provò neanche ad imbastire una conversazione, comprendendo che lo shinobi non era dell'umore giusto.

Le ore passarono lentamente, strisciando una dopo l'altra. La calda giornata di inizio giugno scivolò via, lasciando i nervi di Naruto in uno stato di profondo stress. Ormai erano più di cinque ore che stava seduto su quella seggiolina maledettamente scomoda, e i suoi tentavi di scoprire qualcosa ogni qualvolta che Tsunade o Shizune uscivano dalla stanza erano tutti caduti nel vuoto. Tenten si era congedata, adducendo ad un impegno con Rock Lee, lasciandolo da solo, con le sue paure, la sua ansia e il suo senso di frustrazione sempre più crescente.

Quanto diavolo ci vuole ancora?! Perché non posso entrare?!”

Smettila di borbottare, sei fastidioso.” replicò Kurama, grattandosi dietro un orecchio. “Se fosse successo qualcosa di grave, ti avrebbero sicuramente avvisato. Quindi piantala di ringhiare a vuoto!” Naruto fece per replicare, ma l'apertura della porta di fronte calamitò immediatamente la sua attenzione.

“Allora? Come sta?” chiese subito ad una Tsunade piuttosto stanca.

“Bene, le contrazioni si sono stabilizzate.” rispose la kunoichi bionda, togliendosi i guanti in lattice. “Di solito un parto che inizia con doglie così violente non è un buon segnale, ma ora la situazione si è stabilizzata. Tua moglie sta riposando, ma più tardi, se si sveglia, puoi farle visita, magari portandogli qualcosa di dolce da mangiare.”

Udendo quelle parole, il cuore dello shinobi prese a battere in maniera meno frenetica. Fece un profondo sospiro, distendendo le spalle, mentre un'improvvisa stanchezza scese sulla sua mente con la violenza di uno tsunami.

“Tsunade-baachan, la ringrazio. Io...”

“Risparmia i ringraziamenti, tuo figlio non è ancora nato.” lo interruppe seccamente il Quinto. “Un'infermiera terrà sotto controllo la situazione per la notte. Se tutto andrà bene, dovrebbe entrare in travaglio tra una decina di ore.”

“Ci vorrà ancora tutto questo tempo?”

“Fare nascere un bambino non è una faccenda da poco!” replicò gelidamente Tsunade. “Tua moglie è una donna forte e sana, quindi non mi preoccuperei troppo. Vai a dormire, qui sei solo d'impiccio!” subito dopo, la donna se ne andò, permettendo all'ansia ed alla paura dell'uomo di ritornare.

Non è ancora finita... si sedette nuovamente con un sospiro, le braccia incrociate, la testa appoggiata al muro dietro di sé. Nonostante la posizione scomoda, cadde presto in un sonno leggero ed agitato, contornato da sogni inquietanti e oscuri, che lo lasciarono al risveglio più teso di prima, con in aggiunta un torcicollo orribile.

“Ben svegliato!” con un gemito, lo shinobi vide seduto al suo fianco Shikamaru, il quale gli stava porgendo un caffè fumante. “Era ora che ti alzassi.”

“Shika... c-che ore sono?” biascicò lo shinobi, soffocando uno sbadiglio, la protesi intenta a massaggiarsi le spalle indolenzite.

“Le due di notte.” rispose il Nara. “Hinata si è svegliata un'oretta fa. Ora dentro con lei ci sono Hanabi e suo padre.”

“Dovevano svegliarmi!” replicò l'amico, iniziando a bere il proprio caffè, desiderando qualcosa di solido da mandare giù con esso.

“Non volevano disturbarti. Hanno portato qualcosa da mangiare a tua moglie. Dice di stare bene, per ora. Ho provato a chiedere qualcosa a Tsunade, ma ha risposto di farmi gli affari miei.”

“Tipico di quella vecchiaccia!” borbottò Naruto. “Come mai sei ancora qui? Domani non devi andare a lavorare?”

“Temari mi ha costretto a venire.” spiegò lo shinobi delle ombre con una scrollata di spalle. “Dice che non posso entrare in casa fino a quando il bambino non è nato. Cosa importa poi a lei quando tuo figlio nasce...” nonostante tutto, l'Uzumaki scoppiò in una risata, mentre l'amico sbuffava, infastidito dall'impossibilità di fumare dentro l'ospedale.

“Allora, cosa si prova a diventare genitore?” domandò successivamente Shikamaru.

Naruto non rispose subito, gli occhi fissi sul pavimento. Non aveva una risposta certa, anche perché, in quell'istante, l'unica cosa che sentiva di provare era un'ansia bruciante, che gli si incagliava all'altezza dello stomaco, lasciandolo sfibrato.

“Non credo di averlo ancora compreso.” mormorò infine. “Magari, quando questa storia sarà finita, ti risponderò.”

“Che seccatura...” sospirò il Nara, grattandosi la nuca.

Poco dopo, Hanabi e Hiashi uscirono dalla stanza, entrambi con il viso sfatto per la stanchezza. Immediatamente, Naruto si alzò, chiedendo di entrare, ma sorprendentemente la kunoichi mora gli rispose di no.

“E' mia moglie!” sbottò il Jinchuuriki. “Credo di avere il diritto di vederla!”

“E' molto stanca, ha bisogno di riposare.” replicò Hanabi. “In questo momento saresti solo d'intralcio.” lo shinobi strinse i pugni con forza, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani. Per un istante fu tentato di entrare lo stesso, ma Hiashi, prevedendo la sua reazione, gli appoggiò una mano sulla spalla.

“Andiamo fuori.” si limitò a dichiarare il capo degli Hyuga, sospingendolo con decisione lungo il corridoio. Naruto, troppo stanco per replicare, si fece guidare docilmente dal suocero, convinto ormai di vivere in una notte senza fine.

Il suo viso accolse con sollievo la fresca brezza della notte estiva. Una volta fuori, Hiashi si girò a guardarlo in faccia, gli occhi perlacei freddi ed impenetrabili come sempre.

“Sei nervoso.” non era una domanda la sua. Del resto, il giovane uomo era il primo a sapere di non avere una bella cera, a causa delle troppe ore passate su una sedia di ospedale a macerarsi nella paura.

“Preferirei che fosse già tutto finito.” rispose, alzando gli occhi al cielo. “Questa attesa mi distrugge.”

“Anche quando nacque Hinata fu un parto travagliato.” dichiarò improvvisamente Hiashi. “La madre ebbe contrazioni per oltre un giorno.” la linea inespressiva delle labbra si incurvò lievemente verso l'alto, perso in ricordi ormai lontani. “Non fu una grande giornata per me.”

Lo shinobi biondo fece un profondo respiro, rilasciando lentamente l'aria, nel tentativo di calmarsi. In quel momento fu felice di avere solo un caffè nello stomaco: sentiva di poter rigettare in ogni istante.

“E' sempre così... quando si attende un figlio?” chiese con un filo di voce. Gli faceva strano chiedere sostegno a quell'uomo, specie considerando che si erano rappacificati solo di recente. Tuttavia, Hiashi era prima di tutto un padre, e sapeva meglio di chiunque altro come fare per vivere in modo sereno le ore prima della nascita di un figlio.

“Quello che noi sopportiamo è quasi nulla in confronto al dolore di loro.” rispose lo Hyuga. “Per rispetto di tutto quello che mia figlia sta facendo, dobbiamo mostrarci forti.” guardò in faccia il genero con sguardo severo. “Non è il momento di lasciarsi andare al sentimentalismo.”

“Ha ragione.” ammise l'Uzumaki. “Eppure, non ci riesco. Ho paura che qualcosa vada storto, che questa attesa non finisca mai...” un sorriso amaro gli sorse in volto. “Non ho mai avuto paura di rischiare la vita, ed ora invece sono semplicemente terrorizzato.”

“Perché non è in gioco la tua vita.” rispose semplicemente Hiashi. “Sai che tutto questo non è nelle tue facoltà modificarlo, e ciò ti rende impotente.”

Naruto annuì. Era vero, non sopportava l'idea di non poter fare nulla per sua moglie, di doverla lasciare in balia del caso. Non gli era mai piaciuto il gioco d'azzardo, a differenza del suo Sensei, ed ora che in gioco c'era la vita di Hinata e di suo figlio sentì di odiarlo.

“Resta qui fuori.” dichiarò improvvisamente il capo degli Hyuga.

“Cosa?”

“Aspetta qui.” ripeté Hiashi. “Quando tutto inizierà, ti verrò a chiamare.” rientrò, lasciando lo shinobi solo, nel silenzio della notte, il battito del cuore che rimbombava distintamente nelle orecchie. Con un profondo sospiro, il biondo si sedette su una panchina dell'ingresso, le iridi cerulee rivolte verso il cielo scuro. Nell'aria c'era odore di pioggia, probabilmente il giorno dopo avrebbe piovuto.

“Siamo pensierosi, vedo.” girandosi, l'Uzumaki vide uscire dall'ospedale Shikamaru, una sigaretta stretta tra le labbra, il quale si sedette affianco all'amico. “Ho voglia di fumare.” spiegò semplicemente, soffiando fumo dalle narici.

Naruto sorrise, grato al Nara per la sua vicinanza in quei momenti.

“Fai pure.” rispose, tornando a fissare il cielo. “Non c'è nessun problema.”

La notte invecchiò lentamente. I due amici restarono in silenzio, seduti su quella panchina, ad attendere un nuovo inizio. In vita sua, Naruto non aveva ricordo di una notte altrettanto lunga. I pensieri gli si accavallarono uno dietro l'altro, impedendogli di trovare quiete. Al suo fianco, Shikamaru fumò una sigaretta dietro l'altra, fino a quando anche lui rimase disgustato dal sapore della nicotina. Ben presto giunsero le fredde ore che precedono l'alba, in cui ogni cosa pare attendere l'arrivo del sole. L'Uzumaki aveva la testa appoggiata sulle ginocchia, troppo intirizzito per addormentarsi, mentre lo shinobi delle ombre fissava con sguardo annoiato un punto fisso davanti a sé, il volto una maschera di stanchezza.

“Vedo che è arrivato già qualcuno.” una voce distrasse dai propri pensieri i due uomini. Lentamente, il Jinchuuriki alzò la testa, gli occhi che bruciavano per la stanchezza. Rimase sconvolto di vedere tutti i propri amici davanti a lui, che gli sorridevano con gioia.

“Sei la solita, Tenten!” sbuffò Ino, ormai al sesto mese di gravidanza, camminando al fianco di Sai. “Ci hai fatto alzare nel cuore della notte solo per scoprire che c'è già Shika con lui!”

“Non riesco ancora a crederci che Hinata stia per avere un figlio da un Baka come te!” esclamò Kiba, sorridendo con furbizia. Al suo fianco, l'inseparabile Akamaru lanciò un paio di latrati di saluto.

“Non credevo fossi capace di passare una notte in bianco, Shika.” Choji si avvicinò all'amico di una vita, mettendogli una grossa mano sulla spalla, il sorriso pieno di gioia sempre al suo posto. “Chissà cosa hai combinato a Temari per farti cacciare tutta la notte.”

“Torna a mangiare, Choji.” borbottò il Nara. “Non sono dell'umore adatto.”

Lentamente, uno dopo l'altro, gli amici di una vita si fecero avanti, sedendosi per terra, donando la propria compagnia ad un confuso Naruto. Quest'ultimo guardò Tenten e Rock Lee, i quali, facendo l'occhiolino, gli fecero capire di essere stati gli artefici di quella rimpatriata notturna.

“Voi?” balbettò il biondo.

“In persona!” esclamò Lee, tirando fuori l'immancabile pollice all'insù. “Nonostante tu sia nel pieno della giovinezza, abbiamo pensato di portarti gli amici più cari al tuo fianco, per accogliere in maniera esemplare l'arrivo di tuo figlio!”

“Volevamo farti una sorpresa.” spiegò con tono meno euforico Tenten. “Siamo tutti legati a te ed Hinata, e desideravamo darvi il nostro supporto in qualità di amici.”

“Ragazzi...” si asciugò una lacrima con un gesto stizzito della protesi, incapace di trattenere la propria commozione. “Non so proprio come ringraziarvi!”

“Non serve.” rispose Sai, sorridente come sempre. “Ho letto che tra compagni ci si deve aiutare, ed è quello che stiamo facendo.”

“Vedi però di non farci l'abitudine!” osservò sogghignando Kiba. “Dopotutto, io ed Akamaru saremo gli zietti acquisiti! Vedrai che lo faremo diventare uno splendido ninja come il sottoscritto!”

“Ricordati che faccio anch'io parte del Team Otto, Kiba.” mormorò gelidamente Shino. “Ho i tuoi stessi diritti di zio sul piccolo.”

“Poveretto, deve ancora nascere e già mi fa pena.” borbottò Shikamaru.

“Cos'hai detto, Shika?!”

“Niente Kiba, niente...”

“Bello stronzo che sei! Non capisco proprio come faccia Mirai ad adorarti! Stamattina da Kurenai-Sensei non ha fatto altro che parlare di te!”

“Molto interessante, Kiba, ma adesso lascia passare una signora!” berciò Ino, guadagnandosi un posto a sedere sulla panchina a causa della sua condizione. “Dopotutto, anch'io tra tre mesi diventerò mamma!”

“Immagino già la seccatura...” replicò il Nara, accendendosi una nuova sigaretta.

“Credi forse di non avere figli da Temari?”

“Diavolo, no!” esclamò lo shinobi delle ombre, seriamente preoccupato. “Poi chi la regge una Seccatura in miniatura? Mi basta ed avanza l'originale!”

“Chissà!” replicò la kunoichi bionda con un sorriso “Mi aspetto come minimo di essere nominata madrina.”

“Dei, perché mi punite in questo modo?” sbuffò Shikamaru, alzando lo sguardo al cielo. Naruto non riuscì a trattenere una risata. Improvvisamente, l'ansia e la paura erano scomparsi, lasciandolo semplicemente pieno di gratitudine e di sollievo.

“Chissà se Hinata sta soffrendo...” mormorò Tenten, fissando lo scuro ospedale che troneggiava sopra di loro.

“Hinata è forte!” osservò Ino. “Se non ha vomitato dopo aver visto Naruto in mutande, partorire sarà una sciocchezza!”

“Ehi!”

“Sono incinta bello, ho il diritto di essere acida e scorbutica!” constatò seccamente la Yamanaka, chiudendo la bocca ad un perplesso Uzumaki.

Le ore restanti della notte scorsero molto più velocemente. L'alba fece la sua apparizione all'orizzonte, illuminando volti stanchi ed assonnati. Con il comparire del sole, i timori di Naruto riemerso lentamente. Fino a quando, nell'istante in cui vide Hiashi uscire dall'ospedale, il biondo fu completamente terrorizzato.

Posso farcela... distese i nervi, respingendo il panico. Hinata stava soffrendo molto di più, e come marito aveva il dovere di mostrarsi forte, sicuro, affidabile. Un appoggio in ore complesse e dolorose come quelle.

Sollevò lo sguardo, fissando il suocero dritto in faccia. Quest'ultimo comprese di trovarsi davanti un uomo sì spaventato, ma consapevole di dover lottare per respingere la paura.

“E' ora.” il Jinchuuriki non vacillò a quelle parole, accettando il proprio ruolo in quell'evento. Avrebbe retto, senza lasciarsi scalfire dalle emozioni, come tutti si attendevano.

“Sono pronto.”

 

 

Stanchezza.

Hinata provava un grande senso di stanchezza, mentre sorretta da Kurenai faceva alcuni passi per la stanza d'ospedale dove era stata ricoverata. L'ultima cosa che la Hyuga desiderava in quegli istanti era muoversi, ma la sua Sensei insistette a farla camminare qualche minuto, dichiarandole che sgranchire i muscoli era indispensabile in vista del parto. In realtà, se quella sera la jonin non fosse sbucata fuori, mentre Naruto dormicchiava in corridoio, Hinata non era sicura che sarebbe riuscita a contenere il tumulto di emozioni che le squassavano il petto, tra tutte la paura.

“Sensei...” mormorò, mentre si sforzava di mettere un passo dopo l'altro, il bambino nel ventre che lentamente si muoveva, quasi anche lui avesse compreso l'importanza del momento. “Fa male?” nonostante si fosse promessa più volte di non provare paura, l'attesa le aveva fatto riemerge i dubbi del passato.

Kurenai sorrise, osservando la donna davanti a lei. La sua mente le inviò l'immagine di una ragazzina timida, insicura, con gli occhi perennemente rivolti a terra. Non riusciva a credere che il tempo fosse passato così rapido, facendo diventare Hinata, la sua Hinata, una splendida donna, un'ottima kunoichi, una moglie premurosa ed ora anche una madre.

“Un po'.” rispose infine, donandole una carezza sul viso accaldato. “Ma la gioia che proverai dopo sarà immensa, la gioia più grande che proverai in vita tua.” la vide sorridere in modo flebile, gli occhi ricolmi di una determinazione forte, anche più della paura.

“Sensei...” sussurrò, tornando a sdraiarsi sul letto. “Ho paura, ma sento che non sarà un grosso problema.” specchiò i propri occhi perlacei nelle iridi rosse della donna più anziana, leggendoci un grande affetto. “Perché so che lei è con me.”

“Ci riusciresti anche senza di me.” replicò Kurenai. “Sei una donna forte, Hinata. Sono molto orgogliosa di te, e della strada che hai intrapreso.” appoggiò la fronte su quella della sua vecchia allieva, provando lo stesso affetto che sentiva ogni volta che abbracciava Mirai. “Tu e Naruto sarete dei genitori magnifici, ne sono sicura.”

La Hyuga sorrise, tramutandolo ben presto in una smorfia di dolore. Tornò a sentire le fitte atroci patite per tutto il giorno precedente, mentre lo stimolo tra le sue gambe diventava sempre più forte.

“Sensei...” ansimò. “Grazie.” vide sorridere quella donna a cui era così affezionata, sentendo improvvisamente il dolore diventare molto più sopportabile.

“Diventa madre, Hinata.” sussurrò la jonin, senza smettere di tenerle la mano. Nonostante le fitte che provava, la kunoichi più giovane trovò la forza di rispondere con un sorriso, sentendosi improvvisamente pronta ad affrontare il travaglio.

Ci riuscirò! Io non mi arrendo mai!

“Sì!”

 

 

Quando Tsunade uscì dalla stanza, il sole era alto nel cielo, bagnando di luce i cumulonembi che si accavallavano all'orizzonte, le prime gocce di pioggia che sbattevano sui vetri, trascinate dal vento. Naruto la guardò silenziosamente, deglutendo a vuoto, gli occhi ricolmi di febbrile attesa.

“Beh, chi l'avrebbe mai detto...” sospirò il Quinto, togliendosi i guanti di lattice. “A quanto pare abbiamo un nuovo papà qui al villaggio.” sorrise con fare materno all'Uzumaki, facendogli segno di entrare. “Sei diventato padre di un maschietto sano e forte! Complimenti, Baka!”

Sono padre! Sentì le gambe molli, udendo a malapena gli applausi dei propri amici. Fissò stupidamente Tsunade, mentre dentro di sé venne sommerso da qualcosa di simile a gioia allo stato puro.

Ho un figlio... mosse timidamente qualche passo in direzione della stanza di sua moglie, ancora incapace di comprendere fino in fondo i propri sentimenti. L'ansia e la paura si erano dissolte, lasciandolo ubriaco di felicità.

Entrò. La prima cosa che vide fu il viso di lei, la donna della sua vita. Era esausta, glielo leggeva chiaramente. Eppure, i suoi occhi risplendevano di gioia, mentre teneva un fagotto di coperte tra le braccia, i lineamenti del viso ancora portanti i segni della sofferenza patita. Si fece avanti timidamente, sotto lo sguardo addolcito di Kurenai, sorridendo in modo stanco alla moglie, il cuore che pompava frenetico in qualche zona indistinta del collo.

“Ciao.” sussurrò lo shinobi, sfiorandogli una mano. “Come stai?” si rese conto subito di aver fatto una domanda sciocca, ma Hinata non parve farci caso, troppo presa dalla sua gioia.

“Stiamo entrambi bene.” con il cuore in gola, Naruto guardò infine suo figlio. Osservò il viso paffuto, le guance rosse, i radi capelli chiari, le mani morbide, mentre dormiva il suo primo sonno tra le braccia della madre. Comprese fin dal primo istante di amarlo con tutto sé stesso, sfiorandogli una guancia con un dito, gli occhi improvvisamente umidi.

“Sono padre.” mormorò sorridente, le lacrime che scendevano rapide lungo le gote. “Io... sono diventato un papà!” proseguì ad accarezzare con tutta la delicatezza del mondo quel corpicino caldo, sentendosi incapace di smettere di piangere. Finalmente il suo sogno si era realizzato: si era costruito una famiglia.

Non era più solo.

“Uzumaki Boruto.” mormorò Hinata, sorridendo nello scoprire la commozione del marito. “Nostro figlio.”

“Hina-chan...” il biondo la guardò dritta negli occhi, la voce rotta dalla gioia che provava. “Grazie! Grazie di tutto! Io...” lei gli sfiorò la protesi, senza smettere di sorridere. Aveva capito cosa celava quella frase, quel ringraziamento così sentito e pieno di sentimento.

Naruto-kun... non sai quanto sia io debitrice nei tuoi confronti.

“Cavolo, non avrei mai immaginato che ci fosse anche Kurenai-Sensei!” fischiettò Kiba dall'uscio della stanza, dove si erano accalcati tutti i loro amici. “Ma Mirai?”

“Mirai è da Temari, razza di impiccione!” replicò la jonin, rimproverando con un sorriso il suo vecchio allievo.

“Ecco perché ti ha buttato fuori di casa stanotte, Shika.” esclamò Choji. “Voleva restare un po' con la bambina.”

“Si vede che ormai è pronta per diventare mamma!” osservò Ino con un ghigno. Per tutta risposta, Shikamaru si girò, incamminandosi lungo il corridoio.

“Dove stai andando, Shika?”

“A prenotarmi una vasectomia, Choji.” tutti scoppiarono a ridere, tranne Naruto ed Hinata, troppo presi dalla loro gioia. I coniugi si tenevano per mano, incantati dal bambino che lei teneva in braccio, sordi e ciechi a tutto ciò che li circondava.

Uno alla volta, lentamente, gli amici di una vita entrarono nella stanza, osservando tutti con gioia il figlio della coppia. Tuttavia, le loro erano solo flebili fiammelle, comparate al sentimento che stavano provando i due neo genitori.

“Come si chiama?” chiese Ino, la quale non la smetteva di accarezzare il piccolo, intenerita dalla sua bellezza.

“Uzumaki Boruto.” rispose Hinata, osservando Tenten sorridere in modo strano, quasi avesse capito la scelta di quel nome.

“E i tutori sono...?”

“Il padrino sarà Sasuke.” a parlare questa volta fu Naruto. “Mentre la madrina... beh, ecco...”

“Sarò io!” esclamò Hanabi, squadrando torvo chiunque non fosse entusiasta della scelta. I coniugi si scambiarono un'occhiata d'intesa, sorridendo davanti alla determinazione della giovane Anbu.

“Ecco, lo vedi?!” esclamò Tenten improvvisamente. “Guarda quanto sono felici assieme! Non desidereresti anche tu provare una simile gioia?!”

“E'... diverso.” a rispondere fu un imbarazzato Rock Lee. “Hinata e Naruto sono destinati a stare assieme. Io invece... sono solo un...”

“Non osare dire che sei uno scarto!” lo redarguì la kunoichi mora. “Perché sei così cocciuto, Lee?!”

“Perché sei sempre stata innamorata di Neji.” replicò il chuunin, guardandosi i piedi per la vergogna. “Non voglio che tu lo faccia solo per pietà. Io desidero che tu sia felice, e non lo sarai mai passando la vita affianco ad un ripiego.”

“Ma io non sono mai stata innamorata di Neji!” rispose Tenten, afferrandogli la mano. “Gli volevo bene, ma sei stato tu, e soltanto tu, ad essermi stato sempre accanto, a farmi sorridere, crescere, capire quanto la determinazione sia importante nella vita.” sorrise, costringendo il ninja a guardarla negli occhi. “Voglio solo te, Lee.”

“Tenten...” il viso dell'allievo di Gai divenne color magenta quando la ragazza lo baciò sulla guancia, davanti a tutti i loro amici.

“Lee... da quanto tu e Tenten...?” balbettò Kiba, profondamente sorpreso.

“Sono mesi che cerco di convincerlo!” spiegò lei, gli occhi color nocciola che scintillavano di felicità. “Ormai l'unica era quella di metterlo alle strette in pubblico!”

“Non è successo nulla!” si affrettò a dichiarare Lee, rigido come un pezzo di marmo, il volto rosso come un ferro incandescente. “Questo... non significa niente!” nonostante le sue parole, a nessuno sfuggì il fatto che non lasciò minimamente la mano di Tenten, tenendola stretta come se fosse un qualcosa di estremamente prezioso.

Naruto guardò Hinata, tentando di non scoppiare a ridere. Le chiese silenziosamente se fosse al corrente di quella storia, facendola sorridere nuovamente.

“Tenten sono mesi che mi racconta dei suoi tentativi.” gli sussurrò all'orecchio, approfittando del chiacchiericcio nella stanza. “A quanto pare, Rock Lee è un osso duro.”

“Mai quanto lei.” sospirò l'Uzumaki, tornando a fissare il figlio, il cuore che ancora esplodeva di gioia.

Boruto... gli sfiorò la testolina, tornando a sentire quella sensazione di commozione dentro di sé. Mio figlio.

Fuori iniziò a piovere. Grosse gocce d'acqua gelida, che si abbatterono con violenza su Konoha, dando vita ad un temporale estivo. Eppure, per quanto il cielo rombasse, dentro quella stanza il calore e la luce brillavano più forti che mai. Che fosse dovuto a quel piccolo bambino stretto tra le braccia della madre, al bacio donato da Tenten a Rock Lee, alla testa di Ino appoggiata alla spalla di Sai, oppure alla stretta di mano tra Konohamaru ed Hanabi, dentro quelle mura, la primavera non era mai andata via, brillando fulgida come mille soli.

Fulgida come la vita che era appena iniziata.

Ti voglio bene, figlio mio!

 

 

Kurama fece un profondo sbadiglio, stiracchiandosi la schiena. Non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, ma quella notte non era riuscito a chiudere occhio. Ovviamente la colpa era di Naruto, non certo perché provasse ansia per l'arrivo imminente del figlio di quel Baka.

Stupido Moccioso.” borbottò, appoggiando il muso sulle zampe anteriori. “Ci mancava pure il cucciolo, ora.”

Socchiuse gli occhi, osservando con il proprio occhio interiore quel visetto paffuto. Gli ricordava incredibilmente un neonato di sua conoscenza, ultimo ricordo che aveva di quella notte maledetta in cui era stato sigillato dentro il corpo del suo primo ed unico amico.

Uzumaki Boruto... chiuse gli occhi, sogghignando. Non l'avrebbe confessato neanche sotto tortura, ma sentì di provare qualcosa di diverso dal disgusto per quel mucchietto di ossa appena venuto al mondo.

Benvenuto al mondo, piccolo Baka.”

 

 

Note dell'Autore:

 

 

Ed eccomi finalmente con il primo capitolo del 2017!

Ho lasciato da parte anche in questa One-Shot molte cose (Sakura e Sasuke su tutti), preferendo concentrarmi sulla nascita di quel casinista di Boruto (per la gioia dello zio Kurama xD). Anche la faccenda della guerra civile non è stata gettata via, ma solo rimandata. Dopotutto, credo che un capitolo più leggero ci sta all'inizio dell'anno.

Credo di essermi soffermato di più su Naruto durante la notte prima del parto perché non sono molto ferrato con queste faccende. Ho voluto quindi evitare di scrivere cavolate, magari facendo fare ad Hinata qualcosa che NON si dovrebbe mai fare prima di partorire xD Lo so, di solito in queste situazioni è la donna ad essere la protagonista assoluta, ma per una volta lasciamo spazio all'uomo xD

Sul nome di Boruto, e sulla scelta di esso, ho letto da qualche parte che in giapponese è una specie di omaggio a Neji, la cui perdita ha ferito profondamente sia Hinata che Naruto. Ho deciso di sfruttare questa teoria per i motivi della scelta riguardo tale nome.

Su Rock Lee e Tenten beh... sono rimasto molto indeciso fino all'ultimo. Come coppia mi sembra... strana, ma anche qui ho letto in giro molte teorie su certe somiglianze tra la kunoichi e Metal Lee, figlio di Rock Lee. Alla fine ho scelto di dare credito a simili teorie, portando i due a mettersi insieme. Sotto alcuni aspetti sono molto uniti e simili, anche se Tenten, avendo più sale in zucca del Sopracciglione, potrebbe anche contenerlo (ma se ci si mette pure Gai-Sensei si salvi chi può!) xD

Bene, anche per questa volta è tutto! Come sempre ringrazio chiunque legga la storia, e ricordo che qualsiasi recensione (positiva o meno) è ben accetta.

Un saluto!

Giambo

 

 

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Capitolo 12
*** Il dovere di uno shinobi, parte prima ***


The Biggest Challenge

15pjpko
 

Il dovere di uno shinobi

 

Parte Prima

 

 

Un urlo squarciò la notte, tuonando con forza per tutta la casa. Era un incrocio tra una sirena ed uno sciacallo scuoiato vivo, lacerando timpani e nervi di chiunque fosse nelle vicinanze.

Naruto emise un gemito, passandosi la protesi sul viso. Aprì gli occhi, irritati per la mancanza di sonno, chiedendosi per quale diavolo di motivo suo figlio stesse urlando così forte. Fece per alzarsi, ma Hinata lo precedette.

“Ci penso io, Naruto-kun.” borbottò, strofinandosi l'occhio destro. “Tu cerca di dormire.” il marito rispose con un borbottio indefinito, dal quale la kunoichi distinse solamente qualche insulto nei confronti della fonte di quello strillo infernale.

A passo rapido, Hinata attraversò il corridoio, giungendo infine nella cameretta del figlio. Quest'ultima era un ambiente caldo, confortevole, con un allegra carta da parati sui muri e mucchi di peluche, giocattoli, seggioloni ed altri attrezzi per neonati sparsi per tutta la stanza. Addossata alla parete di sinistra, troneggiante su quel mucchio rigurgitante infanzia, svettava la culla di Boruto, con quest'ultimo che urlava con tutto il fiato che possedeva in corpo.

“Shhh...” con gesti delicati, la Hyuga accorse dal figlio, tentando di capire i motivi di quel pianto furioso. Annusò l'aria, constatando con sollievo che l'ora del cambio pannolino non era ancora arrivata, mentre cullava lievemente il piccolo tra le braccia, nel tentativo di calmarlo. Tuttavia, quando i suoi sforzi furono ripagati solamente con nuove urla inumane, ormai simili agli ultrasuoni dei pipistrelli, Hinata comprese di doversi giocare la sua ultima carta.

Con un sospiro, la donna si sedette sull'unica sedia della stanza, sbottonandosi la camicetta estiva che teneva per la notte. Il seno destro, gonfio per l'allattamento, balzò fuori rapido, cadendo ben presto preda della fameliche fauci del bebè. Hinata chiuse gli occhi per un istante, sollevata nel vedere il figlio smettere di piangere. Tuttavia, all'improvviso provò un forte imbarazzo ad essere lì, in mezzo ad una stanza, con una tetta di fuori. Le guance le si imporporarono, mentre pregava mentalmente il figlio di sbrigarsi nel consumare lo spuntino di mezzanotte. Era più forte di lei: nonostante avesse passato mesi a leggere e rileggere opuscoli in cui si decantavano le gioie dell'allattamento, continuava a sentire una certa forma di disagio nel compiere quel gesto naturale, retaggio di anni ed anni di ferrea e pudica educazione sotto la guida del padre.

“Quasi lo invidio.” nell'udire la voce del marito, Hinata spalancò gli occhi, proteggendosi il petto con il braccio libero.

“N-Naruto-kun!” balbettò, il viso rosso come un ferro rovente. “Dovresti dormire. Domani devi alzarti molto presto.”

“Con questo ometto che urla ogni due ore è impossibile.” spiegò il biondo, donando un piccolo buffetto sulla fronte del figlio, ancora impegnato nella poppata. Notando il rossore sulle guance della kunoichi, l'Uzumaki ridacchiò.

“Non dovresti vergognarti. Ti ho vista nuda un sacco di volte!”

“L-lo so.” replicò lei mormorando. “Ma davanti a Boruto... mi sento a disagio ecco.”

“E' naturale quello che stai facendo.” gli spiegò il marito pazientemente. “In fondo, stai solo accudendo questa piccola peste urlatrice. Non vedo dove sia il problema.”

“Che è una cosa intima!” replicò Hinata, tirando uno schiaffo al marito, desiderando restare sola in quel frangente. “Torna subito a letto, pervertito!”

Vagamente perplesso, con la guancia destra dolorante, Naruto uscì dalla stanza di Boruto, chiedendosi cosa diavolo passasse per la testa della moglie.

Si può sapere cosa ho detto di sbagliato questa volta?!”

Tu sbagli a prescindere.” mormorò Kurama, tenendo stoicamente gli occhi chiusi. “Come illudendoti che nel cuore della notte me ne freghi qualcosa dei tuoi problemi! Lasciami dormire in pace!”

Lo shinobi emise un sospiro, mentre il Kyubi si rigirava, profondamente irritato per essere stato svegliato di colpo.

Cosa avranno dall'essere tutti così nervosi, poi...

 

 

Quando Temari andò ad aprire, trovandosi davanti Yoshino, il volto della donna di Suna si contrasse in un ghigno.

“Questa è proprio una bella sorpresa.” mormorò.

“Buonasera, Temari.” dichiarò con tono cortese la donna. “Mio figlio è in casa?”

“Se non è morto d'inedia.” si limitò a replicare la bionda, lasciando passare la futura suocera. Le era sempre piaciuta Yoshino. Era una donna minuta, un'espressione seria sul viso, i capelli scuri tipici dei Nara raccolti in una crocchia. Eppure, nonostante l'aspetto da casalinga dismessa, Temari sapeva che il compagno ne aveva il terrore più folle. Si era spesso domandata come fosse stata capace di crescere un figlio così irritante come Shikamaru, oltre a vivere con un uomo altrettanto pigro, misogino ed ubriacone come Shikaku. La risposta, con il tempo, si era accorta essere una soltanto: Yoshino Nara amava follemente tenere al guinzaglio la propria famiglia, punendo ferocemente chiunque non obbedisse ciecamente ai suoi ordini. Tutto questo aveva causato un profondo senso di risentimento nei confronti delle donne da parte del figlio, il quale si limitava a catalogare l'intero genere femminile come una gigantesca seccatura, incapace di comprenderle e desideroso di tenerle alla larga dalla propria persona. Tuttavia, per quanto potesse desiderare non avere donne in giro, il pigro Nara non poteva evitare di sorbirsi la settimanale visita in casa della madre, per la gioia perversa di Temari, da sempre intimamente felice di vedere il compagno in crisi.

Le sue attese non vennero deluse: non appena Yoshino vide il figlio spaparanzato sul divano, lo sguardo perso sul soffitto, i suoi occhi scuri lanciarono fiamme, mentre dalla gola emerse un ringhio inumano.

“Shikamaru Nara!” abbaiò con tono da far gelare il sangue. “Quante volte ti ho detto di sederti composto sul divano?! Non sei un cane!”

Emettendo un gemito di profondo dolore, lo shinobi si alzò, un'espressione di indicibile sofferenza impressa sui lineamenti del viso. Trovava terribilmente seccante sorbirsi ramanzine dalla madre all'età di ventiquattro anni suonati, ma Yoshino non pareva farci caso. Qualsiasi momento ed età andava bene per controllare in maniera ferrea la vita del figlio.

“Madre...” borbottò il moro, grattandosi la testa. “Quale infausto motivo ti porta da queste parti?”

“Usa un tono meno sfrontato!” replicò seccamente la kunoichi mora, stringendo le labbra con rabbia. “Sono tua madre, devi portarmi rispetto!”

“Come se potessi dimenticarmene...”

“Cosa hai detto?!” sibilò la donna più anziana, una vena che pulsava nitida sulla fronte.

“Niente mamma, niente...” il ragazzo sbadigliò profondamente, deluso di non essere riuscito a passare la propria giornata libera interamente sul divano. Con un gesto secco del braccio, Yoshino scacciò il figlio, sedendosi al suo posto, invitando la futura nuora a fare altrettanto.

“Ehi, Shika...” lo chiamò Temari, prima che quest'ultimo potesse dileguarsi in camera a fumare. “Prepara del tè per me e tua madre.”

“Non potresti fartelo? Sono anni che dici di odiare il mio infuso.”

“Obbedisci senza protestare!” lo rimproverò la genitrice. “Ormai non ho più dubbi: hai ereditato del tutto l'orribile carattere di tuo padre!”

“Capirai la tragedia...” borbottando frasi incomprensibili, lo shinobi si chiuse la porta di cucina alle spalle, sempre più convinto che le donne non fossero altro che orribili uragani portatori di disgrazie.

“Mi piace quando lo tratta così.” esclamò Temari, una volta rimasta sola con la kunoichi mora. “E' divertente vederlo in difficoltà.”

“Gli uomini sono tutti uguali, mia cara. Se non gli metti un guinzaglio al collo, si limiteranno a sfruttarti.” Yoshino si sistemò le pieghe della gonna, lanciando uno sguardo penetrante nei confronti della bionda. “Lui lo sa?”

Temari non rispose subito. Portò le iridi azzurre verso la porta chiusa, chiedendosi se il Nara sospettasse qualcosa. Ormai era all'inizio del terzo mese, e non avrebbe potuto nasconderlo ancora a lungo.

“No.” il suo tono di voce era secco, apparentemente privo di sentimenti.

“Perché?”

“Ho pensato che non fosse il caso. Sta per iniziare una guerra, non ho voglia di vederlo piagnucolare proprio ora che c'è più bisogno di lui.” provò un senso di disagio sotto quello sguardo scuro. Neanche suo fratello Gaara era stato capace di metterla così in difficoltà semplicemente fissandola.

“Mio figlio ha molti difetti, non lo nego.” replicò la kunoichi più anziana. “Ma sono sicura che sapere di stare per diventare padre lo spronerebbe ancora di più.”

“Ci vorrebbe un miracolo...” borbottò la ragazza di Suna. Per la prima volta da quando era entrata in casa, Yoshino fece un flebile sorriso.

“Tu hai paura, Temari.”

“Non dica stronzate!” replicò aggressivamente l'altra. “Non ho paura di nulla, io!”

“Eppure ora sei spaventata.” il tono della madre di Shikamaru era asciutto, come se non ammettesse obiezioni. “Hai paura di non essere una buona madre, è questo che ti sta frenando.”

Temari fissò il muro di fronte con ostinazione, il labbro inferiore stretto nella morsa dei denti. Quelle parole l'avevano colpita molto più di quanto volesse ammettere. Non aveva mai pensato a sé come un genitore, specie considerando che aveva vissuto un'infanzia orribile. Suo padre era sempre stato una figura dura, distante, avara di gesti d'affetto o di comprensione. In quanto ai suoi fratelli... la kunoichi li aveva dovuti accudire lei stessa, con le sue forze, dovendo combattere contro l'odio bruciante di Gaara e la rabbia perenne di Kankuro contro chiunque avesse un'infanzia migliore della loro. Non proprio l'immagine di una famiglia felice.

“Non ho paura di questo.” osservò con voce fredda. Non aveva mai immaginato lei e quell'ubriacone del compagno come una famiglia. Erano solo due sbandati, privati troppo in fretta della loro infanzia, che il destino aveva deciso di mettere assieme. Il pensiero che lei e Shikamaru stessero per avere un figlio cambiava ogni cosa, costringendola, ancora una volta, a crescere e superare i suoi traumi e paure in poco tempo, troppo poco.

In quell'istante, con l'espressione più irritante del proprio repertorio, Shikamaru rientrò nella stanza, porgendo due tazze fumanti alla compagna ed alla madre.

“Allora, perché sei venuta?” chiese il Nara, sprofondando nella poltrona. Yoshino contrasse le labbra, ma decise di sorvolare per il momento sul modo di sedersi del figlio.

“Ti porto una comunicazione da parte del Consiglio del clan.” spiegò. “Tuo zio ha appena lasciato il posto di capoclan, ed il Consiglio vuole che sia tu a ricoprirlo.”

Shikamaru non disse nulla per alcuni secondi, sentendosi addosso gli sguardi di sua madre e di Temari. Lentamente, tirò fuori una fiaschetta dalla tasca dei pantaloni, ingollandone un lungo sorso.

“No.” fu la sua secca risposta. “Non mi interessa.”

“Shikamaru! Come membro del clan Nara è tuo preciso dovere...”

“Non mi interessa avere altre seccature!” replico seccamente, interrompendo la madre. “E guidare il clan è solo un'immensa seccatura.”

“La guerra sta per incombere su questo Paese.” osservò Yoshino. “In quanto fedeli alleati di Konoha, noi Nara daremo tutto il nostro supporto all'Hokage. Non puoi pretendere che il clan ti lasci in disparte, non ora che abbiamo bisogno delle capacità che hai ereditato da tuo padre.”

Lo shinobi fece un profondo sospiro, buttando giù un nuovo sorso di liquore. In cuor suo, trovava tutto quello solo un'immensa perdita di tempo. Era già assistente dell'Hokage, proprio come suo padre, e non capiva cosa volevano ancora da lui i membri del clan. Che si presentasse a quelle noiosissime riunioni mensili? Che partecipasse al Consiglio dei clan di Konoha, portando le ragioni dei Nara? No, era assurdo anche solo pensarlo. Lui non era suo padre, dotato di un talento nato per la politica. Non sarebbe mai stato capace di rappresentare il suo clan, né di comprenderne i malesseri e bisogni.

“Sono già primo assistente del Sesto. Mi sembra abbastanza, o sbaglio?” osservò pigramente, grattandosi la nuca. Yoshino scosse la testa, fissando il figlio con rabbia crescente.

“So che non sei un figlio perfetto, e che hai preso moltissimo da tuo padre, ma Shikaku non è mai stato un vigliacco!” nella sua voce si poteva percepire una nota di disgusto. “Sai bene qual è il tuo dovere, quindi smettila di scappare e fai l'uomo!”

Quelle parole sembrarono non toccarlo. Proseguì a fissare il pavimento con occhio spento. Sembrava indifferente, ma entrambe le donne sapevano che era in quegli istanti che la mente di Shikamaru entrava a pieno regime. Stava soppesando i pro ed i contro di assumere quell'incarico, tramite un suo metro di giudizio.

“Non ho alcun interesse ad essere capo dei Nara.” borbottò infine, alzandosi dalla poltrona. “Quando è la prossima riunione?”

“Stanotte.”

“Allora verrò per comunicare la mia decisione finale.” Yoshino si alzò, sospirando, guardando il figlio con tristezza.

“Così sia.” la kunoichi appoggiò la tazza di infuso intatta, uscendo rapidamente dalla casa, lasciando i due compagni soli. Senza aggiungere una parola, Shikamaru si portò una sigaretta alla bocca, imboccando l''uscita, ma Temari lo bloccò.

“Sei proprio senza speranza.” esordì la bionda, scuotendo la testa. “Sai bene che nessun altro può ricoprire quel ruolo. Quindi smettila di fare l'immaturo ed accetta quell'incarico!”

“La faccenda non ti riguarda.” rispose il moro. “Per una volta nella vita, fatti gli affari tuoi Seccatura.”

“Sono affari miei.” la donna emise un sospiro esasperato. “Perché con te deve essere sempre tutto così difficile? Ti piace così tanto avere la gente che ti corre dietro, implorandoti di fare quello che è tuo dovere compiere?”

“Non sono obbligato da nessuno.”

“Ah no?” Temari si alzò, un sorriso carico di disprezzo a contorcerle il volto. “Sai qual è il tuo problema, Shika? Che devi smetterla di comportarti come un bambino.”

“Non mi sembra di stare scappando dalle mie responsabilità.” Shikamaru si tolse la sigaretta ancora spenta dalle labbra, profondamente infastidito da quella discussione. “Ho sempre rispettato i miei impegni, ma questo non è un mio problema. Lo risolva il Consiglio.”

“Fino a prova contraria fai anche tu parte del clan.”

“E allora?”

“Allora sei un immaturo!” sbottò la bionda, profondamente irritata all'idea di dovere rimediare ai comportamenti del compagno. “Sai benissimo che solo tu puoi raccogliere l'eredità di tuo padre, quindi piantala di fare il bambino e cresci, Shikamaru! Non ho alcuna intenzione di allevare un figlio con un uomo incapace di prendere in mano la propria vita, è chiaro?!”

“Un... cosa?” per la prima volta dall'inizio della conversazione, il Nara sembrò colpito da ciò che disse la kunoichi. Spalancò gli occhi, la bocca semiaperta per lo stupore.

“Ho parlato di crescere un figlio, Crybaby.” ripeté Temari con rabbia. “Perché se non te ne fossi accorto, sono già al terzo mese di gravidanza, imbecille!”

“Sei seria?” chiese lo shinobi, apparentemente incapace di muovere i propri muscoli facciali.

“Ti sembro una che vuole scherzare?!” con due rapide falcate, la kunoichi di Suna si avvicinò al compagno, afferrandolo per il bavero. “Sì, mi hai messo incinta, Crybaby, ma prima che tu possa gioire ti dirò una cosa: non credere che per i prossimi sette mesi sarò solo io a fare schifo perché ti farò sputare sangue, è chiaro?!”

Shikamaru sospirò, maledicendo mentalmente ogni divinità esistente per quell'immensa seccatura. L'ultima cosa che desiderava in quell'istante era avere in giro per casa una Temari ancora più rabbiosa ed irritabile del solito. Se poi quella situazione proseguiva per sette mesi, poteva pure traslocare in ufficio, dove avrebbe trovato più pace.

“Mi stai ricattando, quindi?” domandò infine, fissandola dritta in quegli occhi chiari.

“Io non la metterei così, Crybaby.” rispose la donna con tono velenoso. “Ma sappi che se rifiuterai quell'incarico non solo potrai scordarti il sesso con me per il resto della tua frignosa esistenza, ma per i prossimi sette mesi ti farò pentire amaramente di essere nato, è chiaro?!”

Sì, era decisamente un ricatto, anche se in quel momento, con la mano di Temari pericolosamente vicina alla sua trachea, Shikamaru non era così sicuro che fosse il caso di insistere. Fece un sospiro, chiedendosi perché il destino aveva trovato divertente metterlo assieme a quella donna. Erano entrambi esempi della loro generazione: imperfetti, costretti a crescere in fretta e furia, lasciando spesso troppe cose importanti da parte come la famiglia, gli affetti e gli amici.

“D'accordo.” rispose infine, liberandosi della presa della compagna. “Accetterò quella carica.”

C'erano molte cose che non piacevano a Shikamaru di Temari. Tante volte si era chiesto per quale motivo avesse deciso di portarsi in casa una donna di quel genere, così simile alla madre di cui tanto aveva timore. La risposta, probabilmente, l'aveva avuta anni prima, quando aveva chiesto a suo padre perché avesse sposato una donna tirannica come Yoshino.

 

Una volta mi ha sorriso.”

 

Forse era così che si sentiva suo padre ogni volta che era stato costretto dalla moglie a fare qualcosa contro la sua volontà. Non l'avrebbe mai saputo con certezza, ennesimo lascito di un passato grondante sangue.

Shikamaru soffiò fuori fumo grigiastro da un angolo della bocca, un'espressione annoiata sul volto. Davanti a lui, seduti in circolo ad un tavolo in pietra, c'erano i principali membri del Clan, che lo fissavano, in silenzio, in attesa della sua risposta.

“In qualità di membro del Clan Nara, accetto l'incarico di capofamiglia che mi avete offerto.” dichiarò con lo stesso entusiasmo con cui avrebbe affrontato una castrazione. “Salvaguarderò i nostri interessi, e porterò le nostre richieste davanti all'Hokage ed al Consiglio di Konoha.”

Con un fruscio, gli uomini e le donne nella sala si alzarono, tutti portanti lo stemma dei Nara sul petto. Uno di loro gli si avvicinò, porgendogli una statua di marmo nero raffigurante un cervo, chiedendogli di pronunciare il giuramento. Leggermente scocciato, Shikamaru emise un sospiro carico di rassegnazione, prima di appoggiare la mano destra sulla statua e di iniziare a pronunciare i voti.

“Io, Shikamaru Nara, figlio di Shikaku Nara, giuro solennemente di restare fedele al mio clan, al mio villaggio, di rispettarne gli usi, i costumi, le tradizioni e i valori. Di credere fermamente nello Spirito del Fuoco, di onorarlo e di dedicargli le mie preghiere. Di rispettare ed onorare le amicizie con gli Yamanaka e gli Akimichi, nostri amici e fratelli dai tempi remoti. Giuro inoltre di promuovere sempre le nostre richieste, di proteggere i nostri interessi e di portare avanti la storia del nostro clan. Davanti agli dei, ed ai miei fratelli e sorelle, io giuro di rispettare tutte le promesse appena fatte. Possa la morte colpirmi, e il disonore spezzarmi, se non dovessi mantenerle.”

Un lungo applauso partì dalla folla di Nara venuti fin lì per assistere al giuramento del nuovo capoclan. Tra tutti, lo shinobi vide chiaramente sua madre fissarlo con uno sguardo benevolo, che quasi mai le aveva visto, un sorriso carico di gioia sul volto. Gli ricordò Temari, che poche ore prima gli aveva sorriso con la stessa intensità, la stessa luce negli occhi, la stessa fierezza nello sguardo nel vederlo afferrare il proprio destino a testa alta.

Che seccatura le donne...

Ora comprendeva perché suo padre aveva sposato Yoshino Nara.

Padre... soffiò fuori fumo dalle labbra, terminando in quel modo la sua prima sigaretta da capo del clan Nara. Comprendo la tua risposta, adesso.

Aveva finalmente capito per quale motivo aveva chiesto a Temari di sposarlo. Lo stesso motivo per cui aveva accettato di diventare la guida della sua gente.

Gli aveva sorriso.

 

 

Naruto entrò nell'ufficio dell'Hokage, comprendendo subito che si trattava di qualcosa di grosso. Kakashi aveva uno sguardo cupo, i raggi scarlatti del tramonto gli scaldavano la schiena. In un angolo della stanza, Shikamaru fumava nervosamente, gli occhi che brillavano sinistri.

“Sesto, cosa sta succedendo?” chiese subito l'Uzumaki. In realtà aveva dei forti sospetti sul motivo di quella convocazione urgente, ma preferiva sperare fino all'ultimo di sbagliarsi.

“Abbiamo appena ricevuto un messaggio da parte del Daiymo.” rispose l'Hokage con tono stanco. “Ci comunica che è scoppiata una grossa ribellione nella parte orientale del paese, al confine con i Paesi dell'Acqua e del Fulmine. Chiede il nostro intervento immediato per sconfiggere i ribelli.”

Un gelo fuori stagione cadde nell'aria. Naruto sentì lo stomaco compiere un balzo all'indietro, mentre constatava, con orrore, che la pace era giunta agli sgoccioli.

“Cosa pensa di fare?” chiese con voce pacata, rimanendone sorpreso lui stesso.

“Siamo legati al signore del paese da un giuramento di fedeltà.” replicò l'Hatake. “Non possiamo rifiutargli il nostro aiuto.”

“Ma questo significherebbe...”

“Sì, Naruto.” lo interruppe l'Hokage. “Significherebbe entrare in guerra.”

Nell'ufficio ci fu un silenzio carico di tensione per alcuni secondi.

“Sesto...” a parlare fu ancora lo shinobi biondo, il tono nuovamente pacato. “Con tutto rispetto, non possiamo accettare questa richiesta, non dopo quello che abbiamo passato.”

“Non si tratta di volere accettare oppure no.” replico Kakashi. “Ho le mani legate, Naruto.”

“Ma lei è l'Hokage!”

“Appunto. Proprio perché sono l'Hokage, in qualità di vassallo del Daiymo del Paese del Fuoco, non posso rifiutare un ordine di questo genere.”

“Ma...” al ragazzo mancò il fiato. Il pensiero di un'altra guerra, con nuove vittime e nuovi orrori gli mozzò il fiato. Gli parve quasi di udire la risata beffarda di Madara, mentre constava come il suo sogno di rompere il ciclo dell'odio si stesse rompendo in mille pezzi.

“Naruto...” a prendere la parola fu Shikamaru. “So bene come ti senti, ma questa volta non abbiamo scelta.”

“Ci deve essere un altro modo per fermare tutto questo!” sbottò il biondo. “Sasuke mi aveva detto che se ne sarebbe occupato! Cosa sta facendo?!”

“A questo proposito, Sasuke ci ha mandato un messaggio un paio di giorni fa.” rispose l'Hatake, estraendo una lettera. “Purtroppo il contenuto è piuttosto scarno. Si è limitato a consigliarci di interpellare Orochimaru in caso di problemi con la rivolta in corso.”

“Orochimaru?! Deve essere completamente impazzi...”

“Sappiamo che non possiamo fidarci di un individuo come Orochimaru.” lo interruppe il Nara, soffiando fumo dalle narici. “Per questo il Generale Yamato è stato mandato a riprendere il suo vecchio ruolo di sentinella, in modo da poterlo tenere d'occhio.”

“Ma Sasuke dov'è?!” chiese esasperato il Jinchuuriki. “Cosa sta facendo in questo momento?! Perché non ci da una notizia che sia una?! È da marzo che non mi ha più comunicato nulla!”

“Questo non possiamo saperlo.” osservò con tono pacato Kakashi. “In questo frangente, con un paese sull'orlo della guerra civile, non posso mandare squadre alla sua ricerca... e neanche alla ricerca di Sakura.” intercettò la domanda del suo ex allievo con un'occhiata penetrante. “Non abbiamo il tempo, né gli uomini, per correre dietro a quei due. Dovremo cavarcela da soli.”

Naruto si sentì morire al pensiero di dover iniziare una guerra con i suoi migliori amici sperduti chissà dove. Fece un profondo respiro, conficcandosi le unghie nei palmi, il senso di frustrazione che cresceva dentro di lui.

“Ascolta, Naruto.” Shikamaru si tolse la mani dalle tasche dei pantaloni, avvicinandosi alla scrivania, dove srotolò una mappa raffigurante l'intero Paese del Fuoco. “Non abbiamo idea del numero di avversari che dovremo affrontare, e neanche il numero di ninja che stanno ingrossando le loro fila. Per il momento ci limiteremo ad inviare delle squadre di Anbu nei territori in rivolta, in modo da avere un'idea più chiara della situazione. Nel frattempo, ho pensato che fosse il caso di nominarti comandante delle truppe. Sarai tu a dirigere i nostri uomini in battaglia quando si arriverà allo scontro. In queste settimane vorrei che tu nominassi alcuni shinobi che possano farti da sottoposti, e che creiate una catena di comando semplice e lineare, che possa restare in contatto anche nel bel mezzo di una battaglia. Sarò poi io a dirigere ogni cosa dal campo base.” lo shinobi delle ombre alzò lo sguardo lentamente, fissando l'amico con un'occhiata penetrante. “Tutto chiaro?”

“Cristallino.” rispose mestamente l'Uzumaki. In realtà, di quello che gli aveva appena comunicato l'amico ne aveva sentito a malapena la metà. Il senso di orrore e disgusto che stava montando dentro di lui lo aveva come svuotato, rendendogli praticamente impossibile ascoltare ciò che diceva il Nara.

Quella sera, quando rientrò a casa, vedendo suo moglie accoglierlo con un sorriso, si sentì morire. Il pensiero di doverle comunicare che i loro sforzi, quelli di Neji e di tutti quelli che erano morti per quella causa erano stati vani gli fece venire voglia di vomitare. La abbracciò con forza, aspirando il profumo della sua chioma corvina, sentendosi terrorizzato al pensiero di perdere lei e Boruto.

“Cosa c'è?” la voce di Hinata suonò soave in quegli istanti, unico raggio di luce in mezzo ad un'oscurità altrimenti orrenda. Deglutì, un groppo in gola, mentre la sentiva accarezzargli il viso, perplessa da quell'atteggiamento.

“Hina-chan...” quando la Hyuga udì cosa stava per accadere, i suoi occhi si spalancarono, il cuore spazzato via da una ventata di gelo.

“Questo... significa che...” le mancò la voce, incapace di pronunciare quella parola. Naruto tenne gli occhi bassi. Pensò al suo Sensei, a suo padre, a Neji, a tutti quelli che erano morti per quella pace, ormai nient'altro che un ricordo.

Strinse le mani con tutta la forza, chiedendosi per quale motivo fosse accaduto tutto quello. Decenni di sofferenze, di dolore, di sangue, di generazioni spezzate avevano portato solo ad otto anni di pace. Otto brevi anni, mentre ora l'ombra grondante sangue della guerra incombeva sopra di loro.

“Hina-chan...” alzò gli occhi, guardandola dritta negli occhi. “Ti prometto che farò finire questa follia.” il suo tono era serio, duro, adulto. “Non permetterò che nostro figlio cresca in mezzo alla guerra come è accaduto a noi.”

Hinata si lasciò cullare da quelle parole. Affondò il viso nel suo petto, desiderando ardentemente che il suo uomo avesse ragione, che fosse capace di fermare l'ennesima follia dell'uomo.

“Ti credo... ” il biondo la sentì tremare in modo incontrollato, il gelo della paura e del dolore che imperversava nei loro cuori. “So che ci riuscirai.”

L'Uzumaki la strinse con più forza, facendole capire che lui era là, al fianco di Konoha e di tutti coloro che credevano ancora nella fine del ciclo dell'odio.

“Non parliamone più per stasera.” dichiarò, appoggiando la fronte su quella della moglie. “Basta con la disperazione.” la vide annuire, asciugandosi le lacrime con un gesto rapido della mano, un tremulo sorriso tra le labbra.

“D'accordo.”

Quella sera cenarono normalmente, in pace, come non capitava da molto tempo. Risero quando Naruto fece confusione tra sale e zucchero nella zuppa, mentre Hinata cadde in imbarazzo quando il marito la colse da dietro alla sprovvista, leccandole il lobo destro. Parlarono di tante cose, tutte meravigliosamente normali e monotone, sentendosi al riparo, almeno per qualche ora, dalla tempesta che si avvicinava. Alla fine della cena, Naruto si offrì di sistemare ogni cosa, lasciando la moglie libera di andare da Boruto per la poppata serale. Tuttavia, quando lo shinobi salì poco dopo le scale, la vide immobile nel corridoio, davanti alla porta della stanza del figlio. Quando si avvicinò, vide che le tremavano le labbra, mentre fissava il bambino addormentato nella culla con gli occhi lucidi.

“Cosa succederà...” mormorò quando lo percepì arrivare. “Cosa ne sarà di Boruto se venissimo a mancare?” si girò, fissandolo dritto in faccia, una lacrima che rotolava pigra lungo l'ovale del viso. “Voglio che abbia una famiglia, lo desidero con tutta me stessa!”

“Lui c'è l'ha una famiglia.” mormorò il biondo, abbracciandola. “Siamo noi.” sentendola tremare per il dolore, si morse un labbro, percependo quella paura come propria.

“Naruto-kun... perdonami se vado a pensare simili cose ma... ho paura! Non voglio che nostro figlio... che Boruto...”

“Non accadrà mai!” la guardò dritta negli occhi, il tono di voce sicuro e duro. “Se anche noi dovessimo per qualche disgrazia mancare, lui ha ancora Sasuke, Sakura-chan, Hanabi, tuo padre, e tutti i nostri amici.” sorrise, tentando di mostrarsi forte e sicuro, perché era di quello che aveva bisogno in quell'istante sua moglie. “Non sarà mai solo, è una promessa.”

Le accarezzò il viso con la mano sana, sentendola abbandonarsi a quel contatto con gioia, desiderosa in quell'istante di un appoggio per superare il dolore e la paura che dilagavano dentro di lei.

“Ti credo...” sussurrò, un sorriso flebile sulle labbra. “Grazie.”

 

 

Hanabi chiuse con un rumore secco il proprio armadietto, rimanendo sorpresa di trovarsi Yugao al suo fianco. La donna si era mossa in modo così silenzioso che neppure i suoi allenati sensi erano riusciti a percepirla.

“Ti stavo cercando.” esordì seccamente l'Anbu dai capelli viola, i lineamenti dolci del viso contratti in un'espressione seria.

“Per quale motivo?” domandò la Hyuga, per nulla intimorita da quell'atteggiamento freddo e distaccato. Yugao era tra i membri più anziani dell'ordine, con un'esperienza ormai di oltre vent'anni alle spalle. L'avere passato la maggior parte della sua vita tra i guerrieri scelti dell'Hokage l'aveva segnata, rendendola estremamente schiva e distaccata con praticamente chiunque, a parte forse Yamato e Kakashi, compagni di mille esperienze e missioni.

“Sono stata nominata Generale dell'Ordine.” rispose sempre in maniera estremamente informale la donna. “Il Sesto me l'ha comunicato alcune ora fa.”

“Capisco.” in realtà Hanabi non aveva la più pallida idea del perché fosse venuta a dirglielo. In quei quattro anni dentro gli Anbu era stata affidata alla divisione comandata da Yugao, con quest'ultima che, pur addestrandola duramente all'uso della Shinobigatana, in tutto quel tempo non le aveva mai dato un segnale, un gesto che potesse indurla a pensare a della stima nei suoi confronti, trattandola sempre con gelida informalità.

“Desidero che sia tu a prendere il mio posto come comandante della divisione Ro.” le spiegò Yugao, gli occhi castani fissi su quelli perlacei della Hyuga. Quest'ultima rimase stupefatta dalla notizia, fissando con profondo stupore il superiore.

“I-io?!” boccheggiò infine. “Per quale motivo?! Ci sono decine di persone più abili di me nell'Ordine che meriterebbero questa promozione!”

“Può darsi, ma io ho scelto te.” quella risposta non la soddisfò del tutto. Era la prima volta in quattro anni che l'Uzuki la degnava di qualche considerazione, e questo la disorientava, rendendola confusa.

“Continuo a non capire.”

“Sono stata io ad addestrarti, Hanabi.” le spiegò la donna con i capelli viola. “Sarai anche giovane, ma sei una kunoichi di altissimo livello, senza contare che la tua capacità percettiva tramite il Byakugan sia un'arma eccezionale. Onestamente, era dai tempi di Uchiha Itachi che non avevamo tra noi un simile talento. Tenerti come semplice soldato sarebbe solo uno spreco.” Hanabi accolse quella marea di complimenti sbattendo rapidamente gli occhi, ancora incredula di ciò che aveva appena sentito. Le sembrava assurdo, ma stranamente aveva appena fatto carriera.

“Quindi... questo significa che ora tocca a me impartire gli ordini agli altri membri del team durante le missioni?” chiese titubante, domandandosi fino a dove poteva spingersi la sua nuova autorità.

“In parte sarà così...” il tono di Yugao conteneva una leggera sfumatura di irritazione, quasi non si aspettasse tutte quelle domande. “Ma non credere che questo sia un vantaggio per te.”

“In che...”

“Non... interrompermi.” la minacciò lentamente la kunoichi più anziana. Sembrava sfinita, quasi che mantenere quel gelido distacco le costasse un'incredibile fatica. “Come capitano di divisione, la tua prima missione sarà quella di partire con la tua squadra alla volta dei territori in mano ai ribelli. Il vostro obbiettivo saranno il sabotaggio delle linee di rifornimento, la distruzione delle basi strategiche e lo studio sul campo riguardante il numero delle forze nemiche.” le iridi color nocciola non avevano smesso di fissarla neanche per un istante, quasi la stesse sfidando. “Sarete divisi in team di quattro membri, e tu sarai a capo del Team Ro. Ovviamente, si tratta di una missione di livello S, e pertanto non ti è concesso parlarne con nessuno.”

“Quando dobbiamo partire?”

“Stanotte.”

Stanotte... non protestò e neanche si sorprese eccessivamente. Era abituata a non avere molto tempo di preavviso per una missione di quel livello. Tuttavia, in quel caso si trattava di una missione che sarebbe durata settimane, con parecchie possibilità di non fare ritorno.

“Sissignore.” rispose infine. Yugao la congedò con un cenno della mano, permettendole di uscire dallo spogliatoio. Tuttavia, la mora, una volta sull'uscio, si girò.

“La ringrazio!” esclamò con il suo solito sorriso sbarazzino. “Le prometto che non la deluderò!”

L'Uzuki non sembrò farci caso, limitandosi a fissarla con il suo solito sguardo severo. Tuttavia, quando si incamminò lungo i tetri corridoi della sede, Hanabi trattenne a malapena un sorriso, convinta con tutta sé stessa di aver visto, per la prima volta, un'espressione leggermente più dolce sul volto del suo mentore.

Yugao-Sensei... aveva sentito parlare molto di lei. Quando era appena entrata negli Anbu, il nome di Yugao Uzuki, colei che per anni aveva combattuto al fianco di Kakashi Hatake, Hokage di Konoha, risuonava sulla bocca di tutti con timore e rispetto. Si diceva che nessuno fosse in grado di sconfiggerla nell'arte della Shinobigatana, l'arma in dotazione agli Anbu, e che nel corso della sua carriera avesse ucciso oltre mille persone. Hanabi all'epoca era una quindicenne minuta, con alle spalle anni di allenamenti estenuanti sotto la guida del padre. Tuttavia, nonostante il suo talento innato nel Juken, l'arte marziale del suo clan, Yugao ci mise non più di una decina di secondi a metterla al tappeto durante il primo di una lunga serie di massacranti allenamenti. Se si concentrava, la kunoichi poteva ancora sentire il freddo della lama della viola sfiorarle la carotide.

 

 

Morta.” con tono secco, l'Anbu si allontanò dal corpo steso a terra di Hanabi. “Sei morta, Hyuga.” proseguì, fissandola con sguardo duro e freddo. “Come pensi di sopravvivere in una vera missione?”

Mi perdoni, Yugao-Sensei...” ansimò la ragazza, alzandosi in piedi, rimettendosi in posizione di guardia. “Non capiterà più.”

Non sono il tuo Sensei.” la corresse seccamente l'Uzuki. “Sono il tuo capitano, e se sto perdendo tempo con te, è solo perché mi sei più utile da viva. Mettitelo bene in testa, Hyuga: negli Anbu non esistono clan, titoli nobiliari e nessuna di quelle altre cose che piacciono tanto agli altri shinobi. In questo posto, siamo tutti fratelli e sorelle, il cui unico scopo è obbedire all'Hokage e proteggere Konoha.” mosse rapidamente la katana, facendola sibilare minacciosamente. “Di nuovo!”

 

 

Era così iniziato un rapporto strano, basato su una fiducia silenziosa, che non aveva bisogno di parole o gesti particolari. Nonostante Yugao la trattasse sempre con freddezza e severità, nei suoi gesti non c'era mai traccia di disprezzo. Anzi, con il passare del tempo, affinando sempre di più le proprie capacità combattive, Hanabi si era vista assegnata compiti sempre più complessi, segno della fiducia che riscuoteva da parte del suo capitano. Una fiducia che neanche la sua bravata, avvenuta durante il coma di Hinata, era riuscita a scalfire.

 

 

Dicono che ti abbiano dato un mese di punizione.” osservò l'Uzuki, osservando la Hyuga riporre le katane e prendere scopa e spazzolone.

Sì, Yugao-Sensei.” replicò seccamente la mora. “Dovrò pulire i bagni e gli spogliatoi fino alle fine dell'anno.”

Non sono il tuo Sensei.” rispose l'altra, uscendo dalla stanza. “Non insegno ad aspiranti donne delle pulizie.”

 

 

La calda aria estiva le colpì il viso, facendola uscire dai propri pensieri. Osservando il sole sulla linea dell'orizzonte, comprese di non avere molto tempo prima della partenza. Fu tentata di andare da Konohamaru, ma sapeva che lo shinobi, alla notizia della sua missione, avrebbe reagito male, e non voleva salutarlo con una litigata. Tuttavia, nonostante sapesse quanto il suo tempo fosse limitato, si incamminò a larghe falcate all'abitazione del suo fidanzato, con il chiaro scopo di vederlo almeno una volta prima di partire alla volta della guerra.

Konohamaru-kun...

Era sbagliato anteporre quel moretto sempre dedito agli allenamenti alla sua famiglia? Probabilmente Hinata era al corrente della sua missione grazie a Naruto, ma suo padre? Doveva fare una scelta, capire chi dei due meritasse veramente un saluto che, forse, sarebbe stato l'ultimo.

Padre...

Quando lo vide aprire la porta sorrise, con il suo solito fare sbarazzino, osservando i suoi occhi color nocciola, perdendosi in quelle iridi così calde e ricolme di sicurezza.

Perdonami, ma dovevo vederlo... un'ultima volta.

“Cosa ci fai qui?” chiese il Sarutobi, facendola entrare, perplesso nel vederla come pronta alla battaglia, la maschera felina stretta in una mano.

“Volevo vederti.” rispose con tono tranquillo, sorridendogli come se fosse una serata come tante altre.

“Vestita così? Mi sembri più adatta ad un campo di battaglia che ad una visita.” osservò il moro, non comprendendo quanto fosse vicino alla realtà.

“Infatti.” Konohamaru non capì subito al significato recondito di quella parola. Aggrottò lentamente le sopracciglia, mentre la Hyuga poteva leggerglielo in faccia l'atroce dubbio che si stava insinuando nella sua mente.

“Cosa intendi?” voce pacata, lontana dal suo tono allegro e sbruffone di sempre. La kunoichi fece un profondo respiro, percependo il peso degli spallacci più intenso che mai.

“Parto stanotte per la guerra.” dichiarò con tono orrendamente normale. “Starò via... per un po'. Volevo salutarti.”

“Ah...” non ci fu nessuna reazione, nessun grido, urlo o pianto. Konohamaru la guardò dritta negli occhi, osservando solo in quell'istante il fazzoletto rosso legato al braccio destro.

“Sei stata promossa?” lei annuì, preferendo non dire nulla. Altre parole sarebbero state di troppo.

“Capisco.” la voce del Sarutobi era asciutta, fredda, priva di emozioni. “Ti ringrazio per la visita, lo apprezzo.” Hanabi rimase delusa da quell'atteggiamento distaccato, quasi disprezzante del fidanzato. Il suo animo ribollì, sentendosi presa per il culo: capiva il non voler piangere davanti a lei, ma venire trattata in quel modo la urtava profondamente.

“Potrei morire.” la sua voce risuonò gelida nel salotto del ragazzo. “Lo sai?” Lui fece un profondo respiro, fissando la notte scura dalla finestra.

“Lo so.” emise uno sbuffo, quasi avesse appena ricordato qualcosa di divertente. “Vai pure a morire in nome di Konoha.” si voltò andando a sedersi sulla propria poltrona, lo sguardo perso nel vuoto. “Dopotutto, ci sono abituato.”

“Ehi!” la kunoichi lo raggiunse rapidamente, afferrandogli la mano destra. “Ti ho fatto una promessa, e la manterrò.” lo guardò dritto negli occhi, tentando di fargli capire tutta la sua determinazione. “Tornerò.”

“Forse.” Konohamaru si morse un labbro, le iridi perse in ricordi troppo dolorosi per essere narrati. “Ma chissà... magari stavolta toccherà a me lasciarci la pelle.”

“Cosa intendi dire?”

“Se si giungerà ad uno scontro con i ribelli, anche io sarò chiamato alle armi, e conoscendo la fortuna della mia famiglia, forse dovrei già prenotarmi un posto affianco a mio nonno.”

“Non fa ridere.” replicò la Hyuga con un roco sussurro. “Neanche un po'.”

Il moro si passò le mani sul volto, sospirando.

“Scusa.” nel salotto tornò un silenzio pesante, dettato dalla riluttanza di entrambi a separarsi, timorosi che fosse l'ultima volta.

“Hai paura?” gli chiese dopo alcuni minuti di silenzio Hanabi.

“Un po'.” deglutì a vuoto. “Otto anni fa avrei dato qualsiasi cosa per combattere, mentre ora... beh, preferirei non doverlo fare.” chiuse gli occhi per un istante, stringendo con vigore maggiore la mano della fidanzata. “E' normale?”

“Credo di sì.” rispose l'Anbu, accarezzandogli il viso. “Ma è il nostro dovere, e lo porteremo a termine.” appoggiò la fronte su quella del suo uomo, stringendolo in un abbraccio ricolmo di sentimento. “Torneremo insieme a vivere la pace. È una promessa.” era sicura, talmente tanto che perfino lo shinobi credette a quelle parole, a quella determinazione più forte dell'acciaio.

“Va bene.” le sue labbra si stirarono in un sorriso, veramente felice di avere al suo fianco una donna così forte.

Hanabi... torna indietro. Quando la ragazza chiuse dietro di sé la sua porta di casa, Konohamaru fece un profondo respiro, le labbra strette nella morsa dei denti.

Ti prometto che farò altrettanto.

 

 

L'afa estiva risuonava del canto dei grilli quando Hanabi si presentò al punto di ritrovo convenuto con il suo team, ombre prive di volto che si mimetizzavano nella notte.

“Sei in ritardo.” una voce maschile, soffocata dalla maschera di un orso, rimproverò un ritardo piuttosto consistente. “Le altre squadre sono già partite.”

“Non è una gara.” replicò seccamente la Hyuga. Pur non riuscendo a vedere il padre e la sorella, aveva deciso di scrivere ad entrambi una lettera, chiedendo loro di non preoccuparsi. Un mezzo vigliacco da usare con i propri famigliari, ma la kunoichi mora non aveva avuto la forza di salutare di persona anche loro.

“Siamo pronti?” chiese con tono greve, l'impugnatura delle katane che scintillavano sotto le stelle.

Gli altri tre annuirono. Subito dopo, tutti e quattro sparirono senza alcun rumore, dirigendosi oltre le mura di Konoha, oltre le terre del loro villaggio, a est, verso la guerra.

Tornerò. Si ripeté più volte quella semplice parola nella mente, il corpo impegnato a muoversi silenzioso e rapido come aveva imparato a fare anni prima. Devo tornare.

Quindi aspettatemi!

 

 

Si svegliò di soprassalto, una mano sul kunai che teneva sotto il cuscino. Tentò di volgerlo verso la fonte di chackra che aveva appena percepito, ma non appena le sue dita si strinsero sul freddo acciaio, avvertì una sensazione di gelo alla gola, mentre una voce a lui fin troppo familiare gli risuonava nell'orecchio.

“Troppo lento, come sempre.”

“Sasuke?!” Naruto rimase stupefatto nel vedere l'amico nella sua camera da letto. Al suo fianco, Hinata si alzò di scatto, fissando spaventata la figura ammantata di scuro.

“Sasuke-kun? Cosa...”

“Perdonami Hinata per essermi intrufolato in casa vostra.” esordì bisbigliando l'Uchiha. “Ma non potevo attendere la mattina. Devo parlare con Naruto.” lanciò un'occhiata penetrante allo shinobi biondo. “Da solo.”

Sbadigliando, l'Uzumaki accompagnò al piano di sotto Sasuke. Fece per accendere le luci, ma l'amico gli chiese di rimanere al buio, lasciandolo sempre più perplesso.

“Mi vuoi dire che accidenti sta succedendo?!” sbottò, sedendosi in cucina. “Prima non ti fai vivo per mesi, con una guerra che sta scoppiando sotto il nostro naso, e poi sbuchi all'improvviso in camera mia e di Hinata con atteggiamenti ridicoli!”

“Non sono ridicoli.” replicò seccamente l'altro, tenendo sempre il tono di voce stranamente basso. “Sono settimane che vengo spiato dai ribelli.” quella frase fece cadere la mascella dallo stupore al biondo, donandogli un'aria poco intelligente.

“C-come?”

“Dopotutto, avevo torto.” proseguì Sasuke, ignorandolo e sedendogli di fronte. “In questi mesi, coloro che agiscono contro Konoha e il Daiymo hanno trovato un capo intelligente ed astuto.”

“In che senso?”

“Nel senso che prima di far scoppiare la rivolta ha disseminato il paese di spie. Ho impiegato dieci giorni per tornare a Konoha senza essere pedinato, e sospetto che anche dentro le mura abbiano degli informatori. Se esistono, puoi stare sicuro che casa tua è uno degli obbiettivi meglio sorvegliati.”

“Ora capisco la tua lettera.” mormorò Naruto, abbassando inconsciamente il tono di voce. “Non potevi rischiare di scrivere notizie compromettenti.”

“Precisamente. Ho preferito venire di persona, ma ho avuto delle noie durante il viaggio di ritorno.” mentre il moro parlava, Naruto fu colto da un pensiero. Fece per aprire la bocca ed esprimerlo, ma l'amico lo precedette.

“Non ho incontrato Sakura.” dichiarò seccamente. “Tutto quello che so è che attualmente si trova al sicuro, ma è impossibilità a tornare.”

“In che senso? È ferita?!”

“Non ne ho idea.” l'Uchiha sembrava sincero, anche se era un po' troppo freddo, considerando che stava parlando della sua donna. “Ricevetti un messaggio alcune settimane fa in riguardo, ma non ho osato andarle incontro visto che ero già sotto sorveglianza.”

“Comprendo.” Naruto sospiro, il silenzio nella stanza scura rotto solo dal rumore degli elettrodomestici. Il Jinchuuriki si chiese se l'amica stesse bene, dove si trovasse, e se fosse vero che era al sicuro. Pregò dentro di sé che quel messaggio fosse vero, maledicendosi per l'ennesima volta di averla fatta partire.

“Naruto, non è il momento di preoccuparsi di Sakura.” esordì l'Uchiha. “Abbiamo un grosso problema da risolvere, e dobbiamo farlo in fretta.”

“Il Daiymo ha avvisato Kakashi-Sensei della ribellione.” lo informò il biondo. “Abbiamo inviato delle squadre di Anbu a spiare i ribelli, mentre Shikamaru ha già iniziato ad organizzare l'esercito.”

“E' inutile che vi affannate, tanto loro non combatteranno mai apertamente.” replicò gelidamente il moro.

“Loro?”

“I ribelli.” lo shinobi tolse dal mantello una piccola mappa spiegazzata, aprendola sul tavolo. Mostrava il Paese del Fuoco, in particolare le zone orientali. “In questi mesi mi sono mosso per i territori ostili al Daiymo, scoprendo che dietro a questa ribellione c'è una mente che sta dirigendo e governando la rabbia popolare con grande abilità.”

“Hai avuto modo di incontrarlo questo individuo?”

“Ci ho provato.” le labbra dell'Uchiha si contrassero al pensiero. “Ma è troppo furbo. Ho dovuto fuggire da quelle terre, poiché il numero di nemici che mi dava la caccia era troppo elevato per rischiare uno scontro.”

“Non credevo fossi capace di fuggire da un duello.” lo prese in giro Naruto, alzandosi per offrire del saké all'amico. “Non è nel tuo stile.”

“Le notizie che avevo recuperato meritavano di essere portate a Konoha.” accettò la tazzina di liquore con un gesto del capo, buttandola giù in un colpo solo. “Se quello che ho scoperto è vero, siamo in grossi guai.”

“Che tipo di guai?” chiese l'Uzumaki, ingollando un grosso sorso direttamente dalla bottiglia per svegliarsi del tutto.

“Di quelli che possono causare una guerra decennale tra i villaggi ninja.” quella frase risuonò gelida nella stanza. Naruto appoggiò lentamente la bottiglia di liquore, le iridi chiare fisse su quelle del suo migliore amico.

“Dimmi che questo è uno scherzo di pessimo gusto.” mormorò.

“I rivoltosi hanno intenzione di dare vita ad una guerriglia, in modo da indebolire il Paese. È probabile che se questa rivolta non verrà soppressa entro la fine dell'estate, i paesi confinanti ci attaccheranno, con i villaggi ninja al seguito.” udendo quelle parole, lo shinobi biondo fece un profondo sospiro. Si passò la protesi sul viso, domandandosi per quale motivo stesse andando tutto in malora.

“Dobbiamo radunare i Kage.” propose infine. “Se parliamo loro di questo piano, potremmo evitare che gli shinobi degli altri paesi intervengano.”

“Inutile. Sono legati ad un giuramento di fedeltà ai Daimyo dei loro paesi. Se questi ultimi decideranno di entrare in guerra contro di noi, saranno costretti a seguirli.”

“E allora cosa facciamo?! Non possiamo permettere che scoppi un nuovo conflitto mondiale!”

“No, non possiamo.” Sasuke avvicinò il proprio viso a quello dell'amico, gli occhi neri che scintillavano alla luce della luna che filtrava dalla finestra. “Abbiamo una sola possibilità, e non possiamo più attendere o sarà troppo tardi.”

“E cioè?”

“Tagliare la testa al serpente.” con un gesto rapido, l'Uchiha indicò un punto sulla mappa. “Ho avuto notizie che la maggior parte delle truppe nemiche si trova nella città di Boosha.”

“Non ne ho mai sentito parlare.”

“Un covo di fuorilegge.” gli spiegò rapidamente l'altro. “Si trova vicino ai confini con i Paesi dell'Acqua e del Fulmine. Ogni traditore, bandito, ladro o feccia di queste nazioni cerca rifugio in quella città.”

“E che cosa ci fanno i ribelli in un posto del genere?”

“Questo è precisamente ciò che devi scoprire.” Naruto non capì subito l'ultima frase dell'amico, pensando che si fosse sbagliato, ma l'espressione sul volto del moro non sembrava alimentare quest'ipotesi.

“Cosa stai dicendo?”

“Intendo dire che dovrai essere tu ad infiltrarti a Boosha, scoprire dove si trova il capo dei ribelli, e comunicarcelo prima della fine dell'estate.” il biondo continuò a sperare di stare capendo male, ma l'Uchiha proseguì nella propria spiegazione, freddo e conciso come sempre. “Se la tua missione avrà successo, potremmo uccidere colui che sta dietro a tutto questo, ed evitare un nuovo conflitto.”

“Spero che tu stia scherzando! Non posso lasciare Konoha!”

“Sei l'unico che può farlo.” replicò il moro. “Sei l'unico ninja abbastanza abile da riuscirci oltre a me, e purtroppo da quelle parti sono troppo conosciuto.”

“Come se io non lo fossi!” sbuffò l'Uzumaki. “Non so se te ne sei accorto, ma ovunque vado non c'è persona che non si inginocchi per chiedermi un autografo o stronzate del genere! Probabilmente mi riconoscerebbero prima ancora di entrare in città!”

“Userai un travestimento, ovviamente. A differenza mia, tu possiedi ancora due braccia. Quindi hai buone possibilità di farcela.”

“E che ne sarà di Konoha?! Se venisse attaccata mentre sono via?! Chi la proteggerà?! Senza contare che se sono sorvegliato noteranno subito la mia assenza!”

“Rimarrò io a protezione del Villaggio.” rispose pazientemente Sasuke. “Ovviamente resterò nell'ombra, ma se dovesse avvenire un attacco a sorpresa interverrò subito. In quanto alla tua assenza, basterà diffondere la voce che, in vista della guerra, sei andato alla ricerca di Sakura. Ormai lo sanno tutti che è partita da Konoha.” davanti a quelle spiegazioni, Naruto sospirò, prendendosi la testa tra le mani. Non voleva partire, non ora che c'era Boruto. Aveva il terrore di lasciare lui ed Hinata da soli, senza contare che il pensiero di compiere quell'impresa da solo lo preoccupava: temeva di essersi arrugginito troppo negli ultimi anni per riuscire a cavarsela.

“Kakashi-Sensei lo sa?”

“L'ho avvisato prima di venire da te. Non ha mosso critiche.” fu l'ultima domanda. Con un sospiro, l'Uzumaki portò lo sguardo al tavolo sotto di sé, la mente ricolma di dubbi ed incertezze. Comprendeva le ragioni che avevano portato Sasuke da lui, ma allo stesso tempo sentiva il desiderio di rifiutarsi, di scappare da quella missione praticamente suicida. Che speranze aveva di guadagnarsi la fiducia dei ribelli in soli due mesi? Era praticamente follia pura, e rimase stupito che fosse stato proprio Sasuke a proporgliela.

Kurama...” sapeva benissimo che l'amico stava solo fingendo di dormire, ascoltando ogni cosa. “Cosa dobbiamo fare?”

Il Kyuubi abbassò il muso, sorridendo con fare sicuro al proprio Jinchuuriki.

Direi che non abbiamo molte alternative.” borbottò con la sua voce cavernosa. “Lo dicevo io che quel moccioso Uchiha porta sfiga.”

Credi che possiamo farcela? Sono anni che non facciamo che poltrire al villaggio, potrebbe risultare più complicato del previsto.”

Motivo in più per farlo, un po' di moto ti farà bene!” il demone frustò l'aria con le proprie code, eccitato all'idea di quella missione. “Credo che se manteniamo un profilo basso, non sorgeranno problemi. Il moccioso Uchiha ha ragione: sei l'unico che ha le capacità di infilarsi in quel posto ed uscirne indenne.”

Così sia.” fece un profondo respiro, buttando giù un nuovo sorso di sakè. Quella missione non gli piaceva neanche un po', ed aveva un gran brutto presentimento. Tuttavia, come avevano detto Kurama e Sasuke, non poteva tirarsi indietro, non se quella missione poteva evitare un nuovo conflitto tra ninja.

“D'accordo, lo farò.” capitolò infine. “Ma tu sei uno stronzo.”

Un flebile sorriso incorniciò il volto magro e pallido dell'Uchiha.

“Hai paura?” sussurrò, versandosi altro liquore nella tazzina.

“Solo un idiota non ne avrebbe.” replicò l'altro, trincando nuovamente dalla bottiglia. “Ma credo che tu abbia ragione: se non interveniamo, presto saremo sommersi dalla merda, non proprio una bella sensazione.”

“Allora non perdiamo tempo.” replicò il moro, strappando la bottiglia dalle mani dell'amico, e bevendone un sorso. “La notte invecchia. Abbiamo molte cose da organizzare.”

Le ore successive trascorsero lente. I due amici studiarono un piano d'azione nei minimi dettagli, la bottiglia che passava da una mano all'altra con frequenza sempre più alta. Perfino Kurama diede il suo contributo, suggerendo comportamenti e dialoghi da utilizzare in casi di emergenza. Naruto si immerse quasi con sollievo in quella marea di chiacchiere e teorie, cullandosi nella speranza che, alla fine di tutto, fosse l'amico a partire al suo posto. Tuttavia, le ore avanzarono inflessibili e spietate, costringendoli ad alzarsi dal tavolo verso le quattro del mattino, la bottiglia di sakè ormai vuota.

“Direi che non c'è altro da aggiungere.” dichiarò con un sospiro Naruto. Aveva il volto di chi non fa una buona dormita da molto tempo, ma l'Uchiha non esibiva una cera migliore.

“Farai meglio a prepararti.” lo esortò. “L'alba non è lontana, e devi sfruttare l'oscurità per partire.” lanciò un'occhiata al biondo. “Ti aspetto tra quaranta minuti sui volti di pietra.”

Lo shinobi biondo salì lentamente le scale, osservando attentamente tutto ciò che lo circondava. Quella casa, dove lui e Hinata avevano deciso di costruire la loro famiglia, il loro sogno... forse sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe vista in vita sua.

Baka... pensa positivo!

Si preparò, facendo attenzione a non svegliare la moglie. Indossò la propria divisa da missione e i calzari, andando a tirare fuori i suoi shuriken e kunai dopo anni che non andava in missione. Forse avrebbe dovuto prendersene di più affilati, ma non aveva tempo, senza contare che quelle armi rovinate dall'incuria lo avrebbero aiutato a recitare il ruolo che aveva concordato con l'Uchiha.

Alla fine, quando mancavano dieci minuti all'appuntamento con Sasuke, si accorse che rimaneva solo una cosa da fare.

“Ehi...” scosse delicatamente la moglie, svegliandola. Hinata si stropicciò gli occhi, i capelli arruffati, fissando con sguardo perplesso il marito. Naruto la trovava semplicemente magnifica anche in quell'occasione, con i capelli disordinati e il volto tirato per il sonno interrotto bruscamente.

“Naruto-kun...” mormorò, soffocando uno sbadiglio. “Che ore sono? Boruto fa i capricci?”

Lentamente, con un groppo in gola, l'Uzumaki le spiegò ogni cosa. Gli piangeva il cuore farlo, ma sapeva che quello era il suo dovere, e non poteva tirarsi indietro. La Hyuga, non appena udì ogni cosa, spalancò gli occhi, le labbra semiaperte per lo stupore.

“Ma...” per un istante le mancò la voce, guardando il volto stanco e teso del suo uomo. “Perché proprio tu?” sussurrò infine, sfiorandogli la mano. “Perché?”

“Perché sono l'unico abbastanza folle da potercela fare.” le rispose scherzosamente il biondo. Hinata non sorrise, restando seria, un'espressione di preoccupazione sul viso.

“Non voglio che tu vada.” mormorò. Si alzò di scatto, abbracciando il marito con tutta la forza che possedeva, quasi sperando di poterlo trattenere. “Non voglio...”

“Neanche io vorrei.” Naruto ricambiò l'abbraccio, aspirando l'odore della sua chioma, desiderando ardentemente che quel momento non terminasse mai. “Ma è il mio dovere.”

Lei gli afferrò il viso tra le mani, ricoprendolo di baci.

“Non morire.” mormorò, la voce rotta. “Ti scongiuro Naruto-kun, non morire.”

“Tornerò.” nonostante tutto, riuscì a trovare la forza di sorridere. “E' una promessa.”

Fuori la luce iniziò ad aumentare, chiaro segnale che l'alba era vicina. A malincuore, lo shinobi si staccò dalla moglie, mettendosi a tracolla la sacca per il viaggio. Lasciò sul comodino il coprifronte, come d'accordi con Sasuke. Se doveva fingersi un'altra persona, era meglio evitare di portarsi dietro oggetti incriminanti.

Salutare il figlio addormentato fu ancora più difficile. In quegli istanti, solo nella stanza con Boruto, Naruto non riuscì a trattenere una lacrima, sfiorando una manina paffuta chiusa a pugnetto.

“Ciao... ometto.” sussurrò, un sorriso amaro sul volto. “Papà tornerà molto presto.” nonostante i suoi sforzi, non riuscì a tenere un tono di voce saldo, il dolore per quella separazione che lo straziava nel profondo. “Comportati bene, e vedi di non far dannare la mamma, ok?” il bebè non si scompose, proseguendo il proprio viaggio nel mondo dei sogni. Il Jinchuuriki rimase estasiato da quella vista, come sempre commosso nel constatare che quel piccoletto era per metà sangue del suo sangue.

Naruto, è ora.” la voce rombante di Kurama lo scosse dai propri pensieri, costringendolo a lasciare la mano del figlio. “Non possiamo attendere oltre.” il giovane uomo fece un profondo respiro, cercando di calmarsi. Poi, con uno sforzo immenso, girò le spalle alla culla di Boruto, separandosi dalle persone che più amava.

Tornerò... lo giuro!

 

 

L'aria sopra Konoha era fresca. Quando Naruto giunse sui volti di pietra, notò Sasuke intento ad osservare il villaggio ai loro piedi, ancora profondamente addormentato. All'orizzonte, verso est, un bagliore sempre più forte stava ad indicare che la fine della notte era prossima.

“Sei in ritardo.” lo redarguì seccamente l'Uchiha.

“Ho avuto da fare.” replicò con tono altrettanto sgarbato l'amico, ancora di malumore per quella missione folle che avrebbe intrapreso di lì a poco.

“Tieni.” Sasuke porse un sacchetto di pelle al biondo. “Contengono le pillole di cui ti parlavo prima. Ognuna di esse ti permetterà di restare trasformato per circa dodici ore.”

“Sei sicuro che funzioneranno?” domandò l'Uzumaki, soppesandolo con fare scettico.

“E' il risultato di una ricerca di Orochimaru, quindi dovrebbe funzionare.”

“Se lo dici tu.” borbottò l'altro, intascandole. “Come modificheranno il mio aspetto?”

“Sfruttando i tuoi geni. Muteranno il tuo corpo in modo tale da donarti un aspetto simile all'originale, pur se diverso in molti dettagli. Non intaccando il tuo chackra, dovrebbero impedire che tu venga smascherato da qualche sensitivo.” Sasuke gli porse anche un ulteriore oggetto: un coprifronte della Pioggia rovinato con un taglio trasversale. “Il Kage Bunshin è il posizione?”

“Sì, gli ho appena comunicato tutte le istruzioni.” avrebbe lasciato una propria copia al villaggio per le successive ventiquattro ore, in modo tale da dargli un certo margine di tempo per allontanarsi da Konoha senza correre il rischio di essere seguito.

“Allora direi che puoi partire.” Sasuke gli mise l'unica mano rimastagli sulla spalla, il Rinnegan fisso sul volto del biondo. “Non abbassare la guardia. Ricordati che a Boosha ogni muro ha occhi ed orecchie.”

“Farò del mio meglio.” nonostante tutto, il Jinchuuriki fu felice di vedere come l'amico si preoccupasse per lui. Fece per voltarsi e partire, ma all'ultimo si bloccò.

“Sasuke, hai almeno una vaga idea di che aspetto abbia questo loro fantomatico capo?”

L'Uchiha volse nuovamente lo sguardo alla vallata sotto di loro, le labbra sottili incurvate in un sorriso amaro.

“So il suo nome.” mormorò infine. “Si chiama Himawari.”

 

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

Ok, prima che mi linciate lasciate che vi spieghi!

Dunque, con questo capitolo inizia una parte che reputo importantissima per la crescita del Naruto adulto. Sarà suddivisa in tre parti (almeno spero) e affronterà l'argomento della guerra civile nel Paese del Fuoco. In questi capitoli affronterò, per la prima volta in questa raccolta, anche il compito di utilizzare dei personaggi non canonici, quindi completamente di mia invenzione. E' una sfida che reputo estremamente intrigante, e farò del mio meglio per renderli credibili ed adatti al mondo di Naruto.

Per il resto... non ho molto altro da dire. Sarà anche l'occasione per trovare la motivazione del nome per la secondogenita di Naruto ed Hinata (come avete potuto leggere), ma per ora non vi dico assolutamente nulla, avendo già in mente, a grandi linee, la trama dei prossimi capitoli.

Bene, anche questa volta ho finito! Come sempre ringrazio chiunque legga e segue questa raccolta, e ricordo che qualsiasi recensione (negativa o positiva) è ben accetta.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 13
*** Il dovere di uno shinobi, parte seconda ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

Il dovere di uno shinobi

 

Parte Seconda

 

 

 

Non appena il campanello suonò, Ino corse alla porta, per quanto le fosse possibile nelle sue condizioni. Una volta aperto, trovandosi davanti Choji e Shikamaru, sul suo viso si aprì un grande sorriso, facendo entrare gli amici di una vita.

“Era ora!” esclamò sorridente. Afferrò il Nara per il codino, mettendosi la sua testa sotto il braccio. “Cominciavo a pensare che avreste dato buca ad una signora!”

“Perché devi essere sempre così pesante?” replicò il moro, leggermente piccato per essere il sacco da boxe della Yamanaka.

“Oh, sta zitto, Shika!” replicò lei, lasciandolo. “La cena è già pronta, e mi stavo annoiando!”

“E' già in tavola? Evviva!” osservò l'Akimichi con l'acquolina in bocca. “Ino, questa volta ti sei superata!” esclamò, una volta visto le portate principali. Per tutta risposta, Ino ridacchiò, donando un bacio sulla guancia dell'amico.

“Sei sempre un tesoro, Choji.” fece per servire gli amici, ma questi ultimi insistettero affinché fossero loro a servirla, facendola sedere a causa del pancione.

“Chi l'avrebbe mai immaginato?” osservò la donna, sorridendo a Shikamaru che le riempiva il piatto di pollo al curry. “Che un giorno mi avresti fatto da cameriere.”

“Vedi di non farci l'abitudine.” replicò l'assistente dell'Hokage, constatando solo in quel momento come la tavola fosse priva di bevande alcoliche. “Ino, come mai...”

“In questa casa ormai è tabù.” rispose la donna, iniziando a mangiare. “Visto che devo restare astemia, anche Sai farà questo sforzo.”

“Chissà perché non mi sorprende.” Shikamaru ricevette uno scappellotto da parte dell'amica. Si sedette in mezzo ai vecchi compagni di team, con Choji che mangiava di gran gusto, e Ino che lo rimproverava di non ingozzarsi. Con uno sbuffo, il Nara si portò un bicchiere di acqua alla bocca, le labbra distese in un sorriso. Era incredibile come, a distanza di anni, riuscissero a stare così bene assieme.

Era mercoledì. E come tutti i mercoledì, quella sera era dedicata alla riunione del loro team. Di solito passavano la serata in locali a bere e mangiare fino a quando dovevano appoggiarsi a vicenda per stare in piedi, ma a causa della gravidanza di Ino, Shikamaru e Choji avevano deciso, di comune accordo, di tenere quelle rimpatriate a sorte in una delle loro case fino al termine della gestazione.

“Allora, come sta andando con i tuoi allievi, Choji?” chiese a metà del secondo la Yamanaka.

“Abbastanza bene.” rispose lo shinobi, la bocca piena di carne grigliata. “Anche se...”

“Cosa?”

“Mah... forse sono io che mi immagino le cose, lasciate stare.”

“Eh no, bello mio! Non puoi lasciarmi così nel dubbio!” Ino minacciò l'amico con la forchetta, le iridi cerulee che bruciavano dalla curiosità. Shikamaru sapeva che davanti a quell'espressione l'Akimichi sarebbe crollato, e così fu.

“Nella mia squadra c'è un ragazzo a cui non riesco ad insegnare nulla.” spiegò infine, buttando giù il boccone con un po' d'acqua.

“E qual è il problema? Un allievo un po' tardo può capitare a tutti.” osservò il Nara.

“Vero, ma con lui non riesco a lasciare correre. Probabilmente sono diventato il suo peggiore incubo.” con un sorriso imbarazzato, l'Akimichi si servì nuovamente di insalata di patate, pollo alla griglia e verdure ai ferri. “Sapete... mi ricorda molto me quando ero un genin.”

“Mi auguro che almeno sull'appetito sia meno ingordo...”

“Io invece non la vedo una cosa così sbagliata.” osservò la kunoichi, gli occhi persi in ricordi lontani. “Anche Asuma-Sensei ti era sempre addosso, non perdonandoti nulla, e guarda cosa sei diventato ora: l'orgoglio del nobile Clan Akimichi!” Choji abbassò lo sguardo, imbarazzato da tutti quei complimenti. Shikamaru sorrise, ricordando con un pizzico di nostalgia i primi tempi del Team Dieci.

“Sapete, a volte guardo indietro, e rimpiango un po' i vecchi tempi.” proseguì Ino, sorseggiando dal proprio bicchiere. “Una volta eravamo sempre insieme, mentre ora è già tanto se riusciamo a vederci una sera a settimana.”

“Hai ragione.” ammise Choji, mordicchiando un pezzo di carne grigliato. “Era bello passare le giornate assieme. Mi dava la sensazione... di avere degli amici veri.”

“Perché, non lo siamo più?” chiese il Nara, masticando uno stuzzicadenti, in alternativa alle sigarette, bandite a causa della gravidanza di Ino.

“No, certo che no! Solo... vi prendevate sempre cura di me, rimproverandomi certo, ma anche aiutandomi. Sapete, se ripenso ai primi tempi, non sono gli scherzi di Ino a venirmi in mente per primi, e neanche i nostri pisolini sulla collina dietro casa mia, Shika.” il figlio di Choza si cacciò mezza patata in bocca, un'espressione pensierosa sul volto. “Mi viene in mente che quando ero nei guai, o qualcuno mi prendeva in giro, voi eravate sempre lì, a proteggermi ed aiutarmi, ed era bello rischiare la vita per voi.”

“Ora smettila, Choji.” esclamò Shikamaru. “Non sei sul letto di morte!”

“Shika!” lo redarguì l'amica. “Perché devi essere sempre così insensibile?! Choji voleva dirci una cosa importante, e tu esci fuori con queste frasi?!”

“Non importa, Ino... davvero...” fu tutto inutile. Ino Yamanaka aveva già iniziato la propria filippica su quanto fosse insensibile e stronzo il suo amico d'infanzia. Quest'ultimo lanciò un'occhiata disperata all'Akimichi, il quale si limitò a sorridergli con fare imbarazzato: quando la figlia di Inoichi si comportava in quel modo, non c'era modo di fermarla.

Era strano come il tempo fosse trascorso, cambiandoli, ma mantenendo il loro rapporto sostanzialmente uguale. Shikamaru si accorse solo in quell'istante che sia lui che Choji portavano il pizzetto, rendendoli estremamente simili ai loro genitori. Ino invece era cambiata poco in quegli anni, rimanendo la splendida bellezza eterea di sempre, anche se il pancione da settimo mese faceva capire come anche lei fosse diventata ormai una donna adulta.

“Sapete, oggi sono andata dall'Hokage.” esclamò ad un tratto quest'ultima, interrompendo la discussione su dove servissero la migliore carne grigliata di Konoha. “Ho chiesto un trasferimento.”

“Un trasferimento?” il Nara accolse quella notizia con perplessità. “E dove?”

“Si tratta di una cosa che prenderà piede tra qualche mese.” puntualizzò la bionda, la quale chiaramente non vedeva l'ora di vuotare il sacco. “Ma quando il mio periodo di maternità sarà concluso, inizierò ad avere degli allievi anch'io!” il suo viso era raggiante di gioia, mentre i due amici di una vita si guardarono in faccia.

“Davvero? Ma è splendido!” esclamò Choji, sorridendole bonario. “Vedrai che ti piacerà! Essere un Sensei da molta soddisfazione, credimi!”

“A quanto pare, sarò solo io a non avere dei discepoli.” esclamò Shikamaru, grattandosi la nuca.

“Cos'è, sei geloso?” lo punzecchiò la kunoichi. “E poi tu sei l'assistente dell'Hokage, lo sanno tutti che sei un lupo solitario sul lavoro.”

“E comunque hai sempre Mirai.” osservò l'Akimichi. “Ho saputo dai maestri dell'Accademia che è migliorata moltissimo in questi ultimi mesi. Potrebbe addirittura diplomarsi prima dei dodici anni se continua così.”

“Mirai non è un giocattolo.” replicò il Nara con tono lievemente annoiato. “Non è di mia proprietà, e di sicuro non è mia allieva. Voi siete importanti per lei esattamente come lo sono io.”

“Se lo dici tu... chissà perché, ogni volta che la vado a trovare, non fa altro che parlare dello 'zio Shika'.” Ino scoppiò a ridere quando vide l'amico d'infanzia emettere un sospiro carico di rassegnazione. Era bello potersi godere alcune ore di intimità con i propri amici più intimi, specie se fuori stava per scoppiare una guerra civile.

“Sapete, anch'io ho un annuncio da fare.” esordì Choji durante il dolce, attirando subito l'attenzione degli altri due. “E' dall'inizio della serata che volevo dirvelo, ma poi... mi è mancato il coraggio.”

“Di che cosa si tratta?” chiese subito curiosa la kunoichi. La risposta si fece attendere, con l'Akimichi che si tormentava le mani in grembo.

“Avanti, Choji! Non tenermi sulle spine in questo modo!” si lamentò la donna.

“E' meglio che lo dici.” borbottò il Nara. “Altrimenti ti darà il tormento per settimane.”

“Beh... ecco...” Choji fece un profondo respiro, il volto contratto in un'espressione di pura gioia. “Ieri Karui mi ha preso in disparte e... mi ha detto... che... che aspetta un bambino!”

Nella cucina cadde un silenzio stupefatto. Shikamaru fece cadere lo stecchino, mentre Ino spalancò la bocca per lo stupore, gli occhi grandi come piattini da tè.

“Un... cosa?!” balbettò il Nara, guardando le prime lacrime solcare il viso paffuto del suo migliore amico.

“Un bambino!” ripeté con voce rotta Choji. “Ti rendi conto, Shika? Io... che divento padre?” si nascose gli occhi lucidi con una manona, mentre la Yamanaka lanciò un urlo di gioia.

“Choji!! Tu... ma è magnifico! Vieni qua, lasciati abbracciare!” a fatica, la donna si alzò, gettando le braccia attorno al collo dell'amico, riempiendogli il viso di baci. “Sarai padre, Choji! Padre!!! Ma perché non l'hai detto subito?!”

“Beh, temevo che suonasse sgarbato parlare subito... sì, insomma... non volevo attirare l'attenzione per tutta la sera...”

“Oh, sei sempre il solito Baka!” Ino rimproverò l'amico ridendo, senza lasciarlo andare, il tutto mentre l'altro shinobi ne approfittava per bere di nascosto dalla sua fiaschetta personale, un sorriso di sincera felicità sul viso.

Sarai un padre fantastico, amico mio.

“E così diventeremo tutti e tre genitori!” esclamò la Yamanaka, ritornando a sedersi dopo aver quasi strangolato Choji.

“Aspetta un attimo... cosa intendi dire?” domandò il Nara, sudando freddo sulla schiena.

“Andiamo! Credevi davvero che Temari non l'avrebbe detto a nessuno?! Sono settimane che ne sono al corrente, mancavi solo tu!” Shikamaru non fu particolarmente felice di quell'informazione. Se Temari aveva preferito dire della propria gravidanza prima ad Ino che a lui, c'era decisamente qualcosa che non andava nei rapporti con la sua fidanzata.

“Sono... così felice di avervelo detto!” osservò l'Akimichi, tirando su con il naso. “Io padre... ancora non ci credo!”

“Sarai un genitore fantastico.” mormorò con gentilezza Ino, afferrando la mano del moro. “E sono veramente felice per te e Karui.”

“Grazie...” l'uomo tirò nuovamente su con il naso, incapace di contenere la propria commozione. “Ho voluto dirvelo perché io e Karui vorremmo che foste i tutori del bambino. Sapete... ora che sta scoppiando una guerra... se dovesse succedermi una disgrazia...”

“Non dirlo neanche per scherzo, Choji!” esclamò con tono duro la kunoichi bionda. “Supereremo questa guerra insieme, come abbiamo sempre fatto!”

“Non devi preoccuparti.” aggiunse con voce bassa Shikamaru. “Ti prometto che riuscirai a vedere tuo figlio.”

“D'accordo...” nuove lacrime scesero sul viso paffuto dell'Akimichi. In quegli istanti, lo shinobi si ritenne una delle persone più fortunate del mondo: aveva trovato una donna che lo amava per quello che era, degli amici magnifici e presto sarebbe diventato padre.

“Dai, non devi piangere.” con uno sbuffo, lo shinobi delle ombre mise un braccio sulle spalle dell'amico. “Che figura ci farai con la tua signora?”

“Ino... Shika... grazie!” si asciugò le lacrime con un braccio, appoggiandosi quasi con sollievo al moro, il tutto sotto lo sguardo intenerito di Ino, la quale aveva ancora impresse nella mente le immagini di loro da bambini. Sorseggiando dal bicchiere, la bionda comprese che se era diventata quel tipo di persona non lo doveva a suo padre oppure a Sai, ma a loro due. Persone capaci, tramite semplici atti di gentilezza e di amore, di renderle la vita splendida.

Amici miei... guardò fuori dalla finestra, dove il cielo estivo era coperto di stelle. Sono io a dovervi ringraziare.

Fuori stava per scoppiare una guerra, ma in quella casa la luce dell'amicizia splendeva più forte che mai.

 

 

Ore dopo, quando Sai rientrò, la prima cosa che i suoi occhi scuri videro fu la figura di Ino che sonnecchiava sul divano. Shikamaru e Choji erano andati via poco prima, dopo averla aiutata a rimettere a posto la cucina.

Lo shinobi rimase a lungo a fissare la sua donna, l'espressione del viso impenetrabile. Non era ancora abituato a vivere con una persona affianco dopo tutto il tempo passato nella Radice. L'esuberanza e la vivacità della kunoichi bionda poi, non aiutavano di certo a rendere meno traumatico quel cambiamento.

Lentamente, stando ben attento a non svegliarla, il moro si sedette al suo fianco, fissandola. La guardò a lungo, perdendosi nei lineamenti eleganti del viso coperto dalla frangia, dai lunghi capelli dorati, le labbra sottili e morbide, il fisico appesantito dalla gravidanza inoltrata, il quale rimaneva comunque sinuoso ed affascinante. Osservò ognuno di quei dettagli, prima separatamente, poi nel loro complesso, nel tentativo di decifrare cosa rappresentasse veramente per lui quella persona.

Ino...

Sai non era stupido. Era uno shinobi di alto livello, dotato di abilità particolari, che lo rendevano un elemento imprescindibile per Konoha. Da quando la Radice era stata sciolta, aveva deciso di entrare nel corpo degli Anbu. In fondo, lui sapeva fare solo quello nella vita, e non era affatto una vita particolarmente dura combattere trai i guerrieri scelti dell'Hokage, non per chi era cresciuto sotto il comando di Danzo. Era anche riuscito ad instaurare un rapporto nuovo con i suoi vecchi compagni di Team Sakura e Naruto. Un rapporto basato sulla fiducia, sull'amicizia e sulla capacità di aiutarsi a vicenda. Eppure, ogni volta che vedeva Ino, non riusciva a comprendere le proprie emozioni, e come gestirle. Le ricordava molto Shin: sapeva che era importante, ma non comprendeva come decifrare il tumulto di sensazioni che percepiva dentro di sé.

Afferrò il proprio libretto, iniziando, quasi senza toglierle gli occhi di dosso, a disegnarne un ritratto, imprimendo in ogni segno di matita il turbinio dei suoi sentimenti. Il cuore gli batteva febbrilmente, alla ricerca di capire quel tumulto di percezioni diverse, difficili da decifrare una per una. Fu solo quando l'ultimo tratto di matita venne impresso sulla carta che trovò il coraggio di abbassare gli occhi. Il risultato lo sorprese: davanti alle sue iridi scure c'era il volto di una giovane donna, i lineamenti contratti in un'espressione di preoccupazione, la frangia bionda scossa da un vento immaginario. Era questo che aveva appena provato nel vederla? Una donna misteriosa, splendida, capace fargli provare emozioni impetuose ed inarrestabili?

“Ehi...” la voce morbida della kunoichi lo riscosse dai propri pensieri. Chiuse con un colpo secco lo schizzo appena fatto, mentre la bionda si stiracchiava le spalle. “Devo essermi appisolata sul divano.”

“Ho visto.” lei gli sorrise, accarezzandogli la frangia scura. Gli piaceva Sai, con i suoi tratti del viso raffinati, i capelli scuri e gli occhi insondabili. Così diverso da lei, sempre estroversa, ricolma di una bellezza dorata.

“Ultimamente torni tardi.” mormorò, accarezzandogli il volto. “C'è qualche problema?”

“Partirò per le terre in rivolta tra due notti.” rispose subito l'uomo, con tono freddo. “Il Generale Yugao vuole mandare una squadra di Anbu alla corte del Daimyo per proteggerlo.”

Ino accolse quella notizia con sobrietà. Un tempo si sarebbe scatenata, riversando sul proprio uomo tutta la sua rabbia ed il suo dolore per quella separazione, ma ora era diverso. Sapeva che era il suo dovere, che chiedergli di restare sarebbe stata ingiusto ed egoista. Comprese, ma non per questo quella notizia fu meno dolorosa.

“Mi sarebbe piaciuto che fossi presente quando il bambino nascerà.” mormorò. Era curioso che fosse così tranquilla con il suo uomo. Normalmente, a causa degli ormoni, non passava minuto che non gli urlasse addosso per qualsiasi cosa le passasse per la testa, oppure per portarselo a letto. “Credo però questo sia ormai impossibile.”

Lo shinobi appoggiò una mano sul pancione. Avrebbe desiderato con tutte le sue forze che Shin potesse essere là in quei momenti, a godersi quella famiglia assieme a lui. Che potesse sorridergli, rassicurandolo, come quando si addestravano assieme, promettendogli che tutto sarebbe sempre andato bene.

Fratello...

“Quando tornerò, sarò felice di esserne il padre.” sussurrò, incurvando le labbra in un sorriso. Era facile sorridere, molto più che mostrare veramente la paura e la confusione che provava dentro di sé in quei momenti.

“Sai...” la Yamanaka scosse la testa, sorridendo. Non sarebbe mai riuscita a cambiare la goffaggine del suo uomo nel gestire le proprie emozioni. Sai poteva essere un grande shinobi, un amante dolce e gentile, ma non sarebbe mai stato capace di mostrare ciò che veramente provava. Ino lo sapeva, accettava che fosse compito suo capire ed ascoltare il significato di ogni suo gesto. In quell'istante, il suo uomo stava tentando di dirle che avrebbe fatto l'impossibile per tornare, e che avrebbe dato tutto sé stesso per crescere felicemente quel bambino.

“Ho pensato ad un nome.” mormorò la kunoichi, facendosi aiutare dal compagno per alzarsi. Lui le rivolse uno sguardo enigmatico dei suoi, facendole capire che era sinceramente curioso di saperlo.

“Inojin.” propose con un sussurro. “E' l'unione dei nomi di mio padre e di tuo fratello.” gli spiegò successivamente, notando la sua incapacità a comprendere quella scelta. “Sono sicura che loro lo proteggeranno.” lo vide riflettere per lunghi minuti, mentre l'aiutava a cambiarsi per la notte. Poi, quando si sdraiò affianco alla compagna, quest'ultima lo vide sorridere.

“E' un nome strano.” osservò con la sua solita mancanza di sensibilità. “Ma credo che al bambino piacerà.” la Yamanaka sbuffò, ormai rassegnata alla mancanza di tatto del moro.

“Allora è deciso!” esclamò, sorridendogli. “Il nostro bambino si chiamerà Yamanaka Inojin.”

“Suona strano.” le afferrò la mano, tentando di comprendere il motivo della scelta di lei. Era davvero possibile che suo fratello ed il padre di lei, ormai defunti, potessero proteggere suo figlio? Non lo riteneva molto probabile, ma ricordandosi di una lettura fatta tempo prima, si trattenne. Aveva letto che era scortese criticare il credo religioso di una persona.

“Qui se c'è uno strano sei tu!” sbottò la bionda, donandogli un soffice bacio sulle labbra. “Buonanotte, adorabile strambo.” forse non sarebbe mai riuscito a catalogare quelle sensazioni che provava quando stava assieme ad Ino. Tuttavia, di una cosa era assolutamente sicuro.

“Buonanotte, ragazza dei fiori.”

Quelle erano delle sensazioni meravigliosamente belle.

E voleva continuare a provarle.

 

 

Naruto espirò lentamente l'aria del mattino, osservando l'agglomerato urbano di Boosha che si estendeva innanzi a lui. Il biondo aveva profonde occhiaie sotto gli occhi, gli abiti sporchi e logori a causa del viaggio. Aveva passato gli ultimi quattro giorni nascosto in anfratti, sottoboschi, o tra i rami frondosi di qualche albero, arrischiandosi a muoversi soltanto una volta calato il sole. Ora che il suo viaggio era finito, comprese che la parte più difficile della missione stava per iniziare.

Dai rami dell'albero dove era nascosto, lo shinobi scrutò attentamente la periferia della città, distante meno di mezzo miglio. Era diversa da come se l'aspettava. Sasuke aveva parlato di un covo di criminali ed assassini, ma ciò che i suoi occhi vedevano erano un confuso ammasso di edifici sudici che si accalcavano sulle sponde di un grosso fiume. Al centro di quest'ultimo, sorgeva un'isola, collegata da ponti alla terraferma, ove sorgeva l'unico edificio lindo della città, un grosso palazzo circondato da una cinta muraria. Le vie ribollivano di gente sotto la calura estiva, mentre l'aria era satura dell'odore di letame, sudore e pesce.

Un bel posticino.”

Piantala di distrarti!” borbottò Kurama. “E vedi di prendere quelle dannate pillole! Se qualcuno ti vede trasformarti sei nei guai!” con un sospiro, Naruto estrasse il sacchetto donatogli dall'Uchiha, scrutandoci dentro. Vide circa un centinaio di piccole pasticche rosse, non più grandi di un paio di centimetri. Ne afferrò una, scrutandola con diffidenza. Non aveva nessuna voglia di mangiare qualcosa venuto fuori dai laboratori di quel folle di Orochimaru.

Naruto, sbrigati! Non sei in gita di piacere!”

E' facile per te, non sei tu quello che deve ingoiare questa roba!”

Piantala di fare il bambino! Oppure vuoi che ci pensi io a ficcartela in gola?!”

E va bene!” facendo un profondo respiro, il cuore che tambureggiava in qualche zona indistinta del collo, Naruto mise tra i denti una capsula, masticandola rapidamente. Aveva un sapore orrendo: un misto tra formaggio andato a male e cipolle crude. Trattenne a stento un conato, mentre buttava giù con uno sforzo ogni cosa, rimpiangendo le zuppe di vermi del monte Myoboku. Subito dopo, lo shinobi percepì un forte bruciore all'altezza dello stomaco, che si propagò in tutto il corpo con rapidità. Gemette di dolore, iniziando a sudare copiosamente, mentre la sensazione di aver mangiato un topo vivo si rafforzava ogni secondo che passava. Aveva i nervi in fiamme, gli occhi che dolevano, e la pelle che bruciava. Si accasciò per alcuni secondi su sé stesso, mentre il dolore, rapido come era giunto, scomparve, lasciandogli addosso un forte senso di nausea.

Si può sapere cosa diavolo hai da lamen...” il Kyuubi preferì interrompersi quando vide il proprio Jinchuuriki rigettare violentemente il contenuto del proprio stomaco. Naruto si asciugò le labbra con una mano, un forte tremito in tutto il corpo. Non si era mai sentito così male in vita sua.

E io dovrei prendere questa schifezza due volte al giorno?! Cosa credeva di fare Sasuke dandomele, avvelenarmi?!”

Smettila di piagnucolare e guardati la faccia.” sogghignò il Bijuu. Sbuffando, con lo stomaco ancora sottosopra, l'Uzumaki prese dalla propria sacca un piccolo specchio. Poco mancò che gli cadesse dalle mani non appena si vide in viso.

Sono io? Rimase sconvolto da ciò che vide. Dove prima c'era una corta zazzera di capelli biondi, ora erano presenti morbide ciocche rosso scuro, con alcune lunghe fino alle spalle. Gli occhi erano diventanti di un verde smeraldo, con un taglio più elegante, mentre i tratti del volto erano stati rimescolati: aveva il naso più dritto, nessun segno sulle guance, e il mento più sottile. Sembrava che qualcuno avesse preso il volto di suo padre e quello di Nagato, divertendosi a mescolarli. Dopo alcuni istanti, si accorse che anche il resto del corpo era diverso: era più alto e magro, con i muscoli ben definiti, e perfino la protesi era scomparsa, lasciando spazio ad un braccio vero. La cosa che più lo colpì però fu l'assenza della cicatrice sul ventre, tutto ciò che restava del sigillo di suo padre.

Hai finito di rimirarti allo specchio? Alla fine è solo un travestimento!”

Kurama, se improvvisamente assumessi l'aspetto di un coniglio, cosa penseresti?” per la prima volta da quando lo conosceva, il Kyuubi non trovò una risposta abbastanza pungente, e la cosa lo riempì di soddisfazione. La giornata era iniziata con il piede giusto.

Si legò il coprifronte attorno alla testa, ripetendosi mentalmente la storia ideata assieme a Sasuke: avrebbe interpretato la parte di un Nukenin della Pioggia, venuto a Boosha alla ricerca di un ingaggio in vista della guerra. Avevano scelto proprio quel villaggio per via della grande sicurezza che vigeva in quelle terre, rendendo molto improbabile che incontrasse qualcuno originario di quel paese.

Fece un lungo giro per entrare in città, prendendo la grande via occidentale, e mescolandosi con i contadini che portavano i propri prodotti al mercato. Boosha era priva di mura e di guardie agli ingressi, e gli fu piuttosto facile entrare senza dare nell'occhio. Tuttavia, una volta dentro, rimase frastornato dalla marea di voci, odori e suoni che percepiva. Le vie erano ingombre di persone, ognuna immersa nei propri affari, mentre i commercianti si sgolavano dall'ingresso delle botteghe per attrarre clienti. Fu con un brivido che lo shinobi vide anche un numero molto ampio di bordelli, dalle cui finestre si esponevano affascinanti ragazze svestite, cariche di promesse proibite e di sogni perversi.

“Ehi, rossetto!” strillò una formosa mora, completamente nuda, da una finestra, mangiandosi l'Uzumaki con gli occhi. “Perché non vieni a farmi visita? Adoro quel colore di capelli!” Naruto non rispose, accelerando lievemente il passo, udendo dietro di sé le risatine di scherno delle prostitute.

Non fare l'idiota!”

In che senso?”

Sei un Nukenin, non un bamboccio imberbe! Se vedi una prostituta che ti lancia frecciatine devi risponderle a tono non scappare come un verginello!”

Va bene, non vedo il bisogno di scaldarsi tanto!” in realtà, oltre che nervoso, il ragazzo era sinceramente perplesso. Non vedeva da nessuna parte segni della guerra civile che, in teoria, imperversava in quella parte di paese, senza contare che l'assenza di soldati era sospetta. Gli sembrava una città come tante altre, anche se un po' troppo sudicia per i suoi gusti. Tuttavia, come Kurama gli fece notare poco dopo, non doveva fidarsi delle apparenze. Era probabile che il segno che portava sulla fronte fosse stato notato da qualcuno, e un paio di volte percepì la sgradevole sensazione di sentirsi osservato.

Ora che facciamo?” propose, tentando di non dare a vedere di essersi perso.

Il moccioso Uchiha ti aveva lasciato il nome di un posto dove poter iniziare le indagini. Dovremmo cominciare da lì.”

Non ho idea di dove possa trovarsi però.” mormorò l'uomo. “Che dici, proviamo a chiedere in giro?”

Immagino che non abbiamo scelta, anche se ciò significherà annunciare il nostro arrivo con tanto di fanfara e squilli di tromba.”

Chiese indicazioni, ma rimase sorpreso che nessuno conoscesse il nome fornitogli dall'amico. Nessun indizio, nessun gesto sospetto. Semplicemente le persone scuotevano la testa, visibilmente perplesse, dicendo di non averlo mai sentito nominare. Con il passare delle ore, Naruto cominciò a credere che Sasuke si fosse sbagliato. Improbabile, ma anche l'Uchiha era umano. Kurama invece insistette affinché proseguisse con le domande, fino a quanto, verso il tardo pomeriggio, una donna gli disse di aver udito di quel locale nel quartiere lungo la sponda occidentale. Tuttavia, fu solo al tramonto che lo shinobi lo individuò.

La porta del Paradiso. Era un posto piccolo, stretto tra due condomini, con un'insegna viola ed una porta di legno scrostata. Nessun rumore all'interno, nessuna luce che mostrasse che fosse aperto. Pareva abbandonato da diverso tempo.

Che te ne pare?” osservò sarcastico l'Uzumaki. “Un vero splendore.”

Se non la smetti con queste battute giuro che ti sbrano.” Naruto preferì non ribattere. Fece un profondo respiro, bussando alla porta con il segnale che gli aveva rivelato Sasuke: tre colpi forti, seguiti da un colpettino, e nuovamente tre colpi forti. Dopo alcuni secondi, la porta si socchiuse silenziosamente, facendo uscire una lama di luce. Lentamente, preparandosi a qualsiasi evenienza, lo shinobi entrò.

La prima cosa che lo colpì fu l'aria: era soffocante, molto calda e profumava di incenso mischiato ad altre erbe che non riconobbe. L'ambiente attorno era estremamente pulito, con il legno rivestito di morbidi tappeti viola, ed un silenzio quasi inquietante che gli premeva nelle orecchie.

“Buonasera.” una voce alle spalle lo fece trasalire. Si voltò di scatto, trovandosi di fronte una splendida donna sulla trentina. Aveva lunghi capelli neri raccolti in una coda, labbra truccate di rosso incurvate in un sorriso sensuale e occhi chiari che non mollarono le iridi verdi del ragazzo neanche per un istante. “Siete qui per un servizio?”

Di cosa accidenti sta parlando?!”

Reggi il gioco, Baka! Altrimenti sei fottuto!”

“Sì... sono qui per questo.” rispose con il tono di voce più saldo che riuscì a tirare fuori. Gli cadde un occhio sulla profonda scollatura della mora, maledicendosi subito dopo per averlo fatto. Quest'ultima sembrò capire il suo stato d'animo, dato che sorrise con maggiore intensità.

“Avete... una scelta particolare?” consapevole di starsi giocando tutto, Naruto estrasse la moneta che gli aveva dato Sasuke: un grosso doblone d'oro con su inciso una stelle a tre punte. La ragazza la studiò per un lunghissimo secondo, prima di rivolgere nuovamente gli occhi al proprio ospite.

“Benissimo.” sfiorò un pannello, aprendo una porta nascosta. “Se volete seguirmi...” ringraziando ogni divinità esistente, lo shinobi seguì il didietro armonioso della donna, immergendosi in un corridoio fatto in pietra, illuminato da alcune lampade al neon sul soffitto.

“Sapete, è la prima volta che vedo un uomo con degli occhi così strani.” esordì improvvisamente la mora.

“In che senso?” lei si girò di colpo, sfiorando con una mano curata il volto del falso Nukenin.

“Verdi con striature azzurre.” sussurrò, sempre sorridente. “E' comune nel Paese della Pioggia?”

“Beh... non proprio.” sorrise, mentre il suo cervello lavorava a pieno regime. Verdi con striature azzurre? Che si ricordasse, i suoi occhi erano solo verdi. Comprese con orrore che l'effetto della pillola stava terminando, con il suo corpo che aveva ricominciato lentamente a ritornare al suo aspetto originario.

Prendine subito un'altra!”

Sei pazzo?! Vuoi che le vomiti sui piedi?!”

Quanti anni hai?! Fai l'uomo e resisti!” maledicendo Sasuke e la sua idea delle pillole, Naruto attese che la donna si girasse, prendendone di nascosto una seconda. Il sapore era schifoso come quella mattina, ed anche il bruciore allo stomaco fu tremendo, anche se decisamente più sopportabile.

Dopo un paio di minuti, giunsero in fondo al corridoio. L'umidità era sempre più pressante, facendo capire al Jinchuuriki che dovevano trovarsi sotto il livello del fiume. La mora aprì una pesante porta in mogano, facendolo entrare.

“Prego, si accomodi.” Naruto la sorpassò, facendo fatica a nascondere lo stupore di ciò che vedeva. Davanti ai suoi occhi, c'era l'ingresso di un locale gigantesco, dove centinaia di persone si accalcavano attorno a tavoli da gioco, slot machine e roulette. Un lungo bancone in quercia luccicava in fondo, dietro al quale ragazze vestite con abiti succinti servivano da bere ai clienti. L'odore di incenso che aveva percepito all'entrata si fece più forte ed aspro, annebbiandogli i sensi per qualche istante.

Si fece avanti lentamente, osservando i volti degli uomini e delle donne che lo circondavano. Si chiese perché Sasuke l'avesse spedito in una bisca clandestina, e che cosa dovesse cercare di preciso in quel posto.

E adesso?” in quel preciso istante il suo stomaco brontolò, ricordandogli che non toccava cibo da quella mattina.

Siediti ad un tavolo, ed osserva.” borbottò il Bijuu. “Se il moccioso Uchiha ti ha indicato questo luogo, vuol dire che è qui che possiamo trovare i ribelli.”

L'Uzumaki obbedì. Si sedette ad un tavolo, ordinando da mangiare e da bere. Non era propriamente sicuro che il cibo di quel posto fosse commestibile, ma aveva così tanta fame che si sarebbe mangiato anche Kurama. Mentre aspettava, si mise ad osservare la gente del posto. Vide un miscuglio di ogni genere: nobili e poveri, ninja e persone comuni. Evidentemente, quel posto era piuttosto famoso tra la gente della città. Si chiese come mai aveva fatto così tanta fatica a individuarlo se, come sembrava, era frequentato da ogni categoria sociale.

Tu vedi qualcosa?”

Non posso rilasciare il mio chackra.”

In che senso?!”

Se ci fosse qualche sensitivo si accorgerebbe subito della mia presenza, e la tua copertura salterebbe. Dovrai cavartela da solo questa volta.” Naruto sospirò, sentendo un'improvvisa nostalgia di casa. Da quando era partito aveva parlato soltanto con il Kyuubi, il quale non era precisamente un grande oratore. Gli mancava il chiosco di Ichiraku, la sua casa accogliente e perfino il suo ufficio. Ma soprattutto, ciò che più gli mancava erano Hinata e Boruto. Maledisse la concatenazioni di eventi che l'avevano portato in quel posto, ripetendosi continuamente che doveva farlo per la sua famiglia. Avrebbe mentito e probabilmente ucciso, ma se non fermava subito quella follia, molte vite sarebbero state fagocitate dalla guerra.

Perso nei propri pensieri, ci mise un istante di troppo a comprendere di essere sorvegliato. Lentamente, cercando di non darlo a vedere, osservò le figure di due uomini fissarlo con insistenza. Avevano un aspetto normale, privo di segni di riconoscimento e non portavano alcun coprifronte. Lo shinobi si chiese se facessero parte dei ribelli, oppure di qualche banda criminale della città.

Li hai visti?”

Solo un idiota non ci riuscirebbe.” Kurama soppesò attentamente le varie eventualità, picchiettando con un artiglio. “Comportati normalmente. Lascia fare loro la prima mossa, ma preparati ad uno scontro.”

D'accordo.”

Sai che non devi usare le tue tecniche, vero?”

E perché?”

Possibile che non ci arrivi?!” sbottò il demone, irritato per la stupidità dell'amico. “Se usassi il Rasengan o, peggio, utilizzassi il mio chackra, capirebbero subito chi hanno davanti. Quindi limitati al Taijustu ed a qualche Ninjustu minore, chiaro?”

Mi renderà tutto più difficile.”

E' proprio questo il piano! Se credono che sei un Nukenin qualunque non sospetteranno troppo di te!”

Va bene, va bene!” sospirò esasperato il Jinchuuriki. “Niente Senjustu e Rasengan.”

Gli portarono da mangiare. Nonostante fosse affamato, piluccò il proprio piatto, tenendo i sensi all'erta. Per alcuni minuti la situazione non mutò. Poi, all'improvviso, accaddero più cose contemporaneamente.

I due individui si alzarono, incamminandosi verso il suo tavolo. Naruto irrigidì i muscoli, pronto allo scontro, le dita che fremevano per afferrare un kunai. Tuttavia, subito dopo, un individuo si sedette al suo tavolo, sorridendogli con calore.

“Ti dispiace se mi siedo?” era un uomo alto, dai lineamenti affascinanti, con corti capelli neri e occhi azzurri. Il falso Nukenin non rispose subito, tenendo sotto controllo i due uomini di prima, i quali si erano fermati all'arrivo del nuovo venuto, mostrandosi addirittura spaventati.

“Ah, immaginavo che non mi conoscessi.” proseguì il moro, ignorando i due. “Mi chiamo Yoichi.”

“Molto piacere.” Naruto aprì bocca per la prima volta, percependo Kurama drizzare le orecchie, pronto ad ascoltare ogni parola.

“Beh, questa è proprio una cosa strana.” proseguì Yoichi. “Cosa porta un Nukenin della Pioggia a Boosha?”

“Ho saputo... che ci sono stati degli scontri in questa parte del Paese.” spiegò lentamente l'Uzumaki, soppesando le parole. “Sono in cerca di un ingaggio.” udendo quelle parole, il sorriso di Yoichi divenne più marcato.

“Allora questo è il posto giusto.”

“Giusto per cosa?” chiese Naruto. Non riusciva a capire se quell'uomo stesse dalla parte dei ribelli oppure sotto il servizio di qualche bandito o fuorilegge della città.

“Per fare soldi combattendo.” l'uomo si alzò, non sembrando più interessato al rosso. “Se cerchi bene, troverai di sicuro qualcuno pronto a ricoprirti di oro per ammazzare qualcuno.”

Lavora per i ribelli!”

Come puoi esserne certo?”

Se fosse un criminale non si farebbe problemi ad ingaggiare un mercenario, non trovi?” il Kyuubi frustò la coda per l'impazienza, trovando il cervello dell'amico troppo lento. “Fermalo! Altrimenti non riusciremo più ad entrare nelle loro fila!”

Alzandosi di scatto, Naruto corse dietro a Yoichi, fermandolo. Quest'ultimo si girò, perplesso da quell'atteggiamento.

“Yoichi... tu lavori per i ribelli, giusto?” quella domanda fece sparire il sorriso dalle labbra del moro, tramutando la sua espressione in una maschera di ghiaccio.

“Anche se fosse?”

“Mi piacerebbe unirmi a voi.” comprese di essere stato troppo diretto quando vide le sopracciglia dell'uomo aggrottarsi lentamente, quasi stesse soppesando quella proposta.

“Qual è il tuo nome?” domandò con voce bassa, costringendo l'Uzumaki ad avvicinarsi ulteriormente per sentirlo.

“Mi chiamo Nagato.” in realtà non era quello il nome che avevano deciso lui e Sasuke, ma da quando aveva visto come era stato mutato dalle pillole di Orochimaru, aveva trovato naturale usare quel nome, in memoria di una persona a lui fin troppo vicina.

“Tra tre ore, alle rovine del Tempio del Fulmine.” il moro si allontanò di scatto, quasi disgustato, mescolandosi rapidamente tra la folla, lasciando il Jinchuuriki vagamente perplesso.

E ora?”

Presentiamoci all'appuntamento.” Kurama si leccò le labbra, eccitato dalla piega degli eventi. “Sarà molto interessante...”

Solo tu vedi qualcosa di divertente in questa faccenda.” replicò Naruto. “E se fosse una trappola? Non possiamo fidarci della parola di un completo sconosciuto! Ti ricordi cosa disse Sasuke riguardo questo posto?”

Non offendere la mia memoria, moccioso!” ringhiò la volpe. “Mi sto stancando di farti da balia! Da quando questa storia è cominciata non hai fatto altro che piagnucolare e lamentarti!”

Scusa se preferirei essere con la mia famiglia, invece che indossare i panni del mercenario traditore!”

Ma ormai è così, quindi piantala di lamentarti!” un occhio grande quanto una casa scrutò il giovane uomo da vicino, l'iride rossa che ribolliva di potere. “Se vuoi tornare a Konoha, l'unica è terminare questa missione. Quindi raggiungi questo posto e smettila di frignare!” l'Uzumaki non replicò subito, comprendendo le ragioni dell'amico. Non era partito volentieri, e questo l'aveva riempito di cattivo umore, facendolo sembrare negli ultimi giorni uno scorbutico idiota.

Non sto frignando, dico solo che potrebbe essere saggio informarsi ancora un po'.” decise di tenere un atteggiamento conciliante con Kurama. Aveva bisogno di lui in quel frangente, e litigare li avrebbe messi entrambi in difficoltà. “Non abbiamo la certezza che quell'uomo faccia parte dei ribelli.”

Questo è vero, ma noi non sappiamo dove si trovi questo tempio, né quanto tempo ci voglia per raggiungerlo.” il Bijuu rivolse un'occhiata significativa all'amico. “Credo che dovremo rischiare qualcosa, e fidarci di quell'uomo.”

D'accordo, ma se le cose precipiteranno non mi tratterrò.” porse il pugno al Kyuubi, il quale sogghignò, appoggiando il proprio su quello dello shinobi.

Affare fatto, Baka!”

 

 

Trovare indicazioni su dove si trovassero le rovine del tempio non fu complesso. Sotto lauta mancia, il cameriere che gli portò il conto gli diede indicazioni fin troppo dettagliate. Fece un paio di puntate ai tavoli da gioco per sviare eventuali osservatori. Non si era dimenticato dei due di prima, ed anche se non li vide più in giro preferì non rischiare. L'Uzumaki incrociò anche Yoichi prima di uscire, ma fece finta di non averlo mai visto prima d'ora, e il moro fece altrettanto.

Due ore dopo, sotto una luna rossa, Naruto avvistò le scure rovine del Tempio del Fulmine, situato poche miglia a nord di Boosha. I suoi occhi scintillarono dorati al buio, la pupilla allungata ed orizzontale, mentre tentava di percepire presenze intorno alle macerie.

Avverto alcune presenze tra le rovine.” squadrò meglio l'oscurità, tentando di comprendere meglio ciò che si nascondeva tra le tenebre. “Mi sembrano cinque... sei al massimo.”

Che siano i ribelli?”

Può essere.” uscì dalla Sannin Mode, capendo che non l'avrebbe aiutato più di così. “Andiamo a scoperchiare la tana del lupo?” Kurama si limitò a sogghignare.

Uscì allo scoperto, avvicinandosi a ciò che rimaneva del complesso religioso. La luce della luna era sufficientemente forte da illuminare l'area circostante, rendendolo abbastanza tranquillo. I minuti trascorsero lenti, mentre l'aria umida gli appiccicava i vestiti alla pelle, gli occhi che bruciavano per la mancanza di sonno. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sdraiarsi su un soffice materasso con affianco Hinata.

“Sei Nagato?” cinque figure avvolte in mantelli marroni uscirono allo scoperto, i cappucci alzati a nascondere i volti.

“Sì.” rispose lo shinobi. “Mi manda Yoichi.” aggiunse, nel tentativo di convincerli della sua identità. Questi ultimi non risposero subito, osservandolo da sotto le falde dei cappucci con fare famelico.

“Cosa ci fa un Nukenin della Pioggia in questo posto?”

“Cerco un ingaggio.” Naruto cominciò a sentirsi nervoso. Comprendeva la segretezza, ma lì c'era qualcosa che non tornava. Non gli ispiravano minimamente fiducia quei tizi incappucciati, ed anche Kurama non era tranquillo. “Fate parte dei ribelli?”

“Avvicinati.” i cinque alzarono le mani per mostrare di non avere intenzioni bellicose. L'Uzumaki fece un paio di passi nella loro direzione quando accaderò molte cose.

Percepì una presenza alle sue spalle, un fruscio quasi impercettibile ad orecchio umano. Fece per voltarsi, ma un dolore lancinante alla spalla destra lo immobilizzò. Con la coda dell'occhio vide i cinque di prima correre verso di lui, i kunai che scintillavano al chiaro di luna. Udì Kurama ruggire di rabbia mentre si accorse, con orrore, di non essere in grado di richiamare il chackra. Tentò di afferrare uno dei suoi kunai con la sinistra, ma un violento dolore alla nuca gli annebbiò lo vista, rendendolo totalmente inoffensivo.

Naruto!” sentì l'amico ululare, frustato per non riuscire a liberare il proprio chackra. La vista gli si oscurò del tutto, percependo vagamente di stare cadendo al suolo.

Poi ci fu il buio.

 

 

Dolore. Tanto, troppo.

Un gocciolio insistente fu la prima cosa che udì, mentre centinaia di magli gli martellavano il cervello. Fece una smorfia, aprendo gli occhi, vedendo una sudicia porta davanti a sé. Aveva la bocca secca e gli occhi che bruciavano, con il corpo che si divideva tra un dolore atroce alla spalla ed un pulsare lancinante alla testa.

Kurama...” fece fatica a raggiungere l'amico e per un istante si spaventò. Tuttavia, pochi secondi dopo, avvertì la familiare presenza del Bijuu, apparentemente indenne.

Era ora che ti svegliassi!” borbottò con il solito tono rombante, facendo gemere per l'emicrania lo shinobi.

Kurama... dove siamo?”

Nella merda fino al collo.” quella risposta non lo tranquillizzò. Si sedette a fatica, accorgendosi di trovarsi su una brandina dentro una cella. Fece per muovere il braccio destro quando una fitta lancinante glielo impedì. Abbassando lo sguardo, Naruto vide un paletto di metallo scuro, a lui fin troppo familiare, conficcato nella spalla destra, mentre il polso sinistro era incatenato ad un anello sul muro dietro di lui.

Come ci siamo finiti in questo posto?”

Dopotutto, avevi ragione tu: quel Yoichi non faceva parte dei ribelli.” ringhiò Kurama, il muso appoggiato sulle zampe anteriori.

Cosa vuoi dire?”

Quel bastardo ci ha venduti. Ho sentito i tipi che ti hanno stordito parlare di una ricompensa. Credono di aver catturato qualcuno con una taglia.”

Fantastico.” borbottò l'Uzumaki, appoggiando la schiena alla parete. “Ricordami di fare i complimenti a Sasuke per il travestimento, davvero un'idea geniale!”

Smettila con le battute idiote. La situazione è molto più grave di quanto possa sembrare!”

Perché? Una volta che si saranno accorti che non esiste nessuna taglia su un Nukenin di nome Nagato, mi lasceranno andare, no?”

Ti hanno preso tutto ciò che avevi!” replicò seccamente il Kyuubi. “Anche le pillole per la trasformazione. Cosa credi che succederà quando riprenderai il tuo vero aspetto?”

Lo stomaco di Naruto si contrasse. Lui era Naruto Uzumaki, eroe di tutti gli shinobi. Era probabile che i suoi carcerieri, una volta compreso chi avevano di preciso tra le mani, lo avrebbero venduto a peso d'oro a qualche strambo riccone, tramutandolo di fatto in uno schiavo.

Quanto tempo ho prima che l'effetto della pillola svanisca?”

Non sei rimasto svenuto a lungo. Probabilmente hai ancora tre, massimo quattro ore di tempo per uscire di qui.”

Non è molto.” sospirò, maledicendosi per la sua impudenza. Si era comportato come un pivello, cadendo con una facilità irrisoria in una trappola a dir poco banale. Gli anni di pace a Konoha lo avevano arrugginito, facendogli perdere smalto e malizia. Provò a richiamare il chackra, ma comprese subito che era uno sforzo inutile: conosceva il genere di arma che aveva conficcata nella spalla, era dello stesso materiale che usava Nagato per controllare i corpi di Pain. Avrebbe assorbito ogni goccia di chackra che provava ad usare, rendendolo completamente inoffensivo.

Merda! Non ho idea di come fuggire da questo posto!” ribolliva di rabbia per il guaio in cui si era cacciato, rendendogli difficile, assieme al mal di testa, pensare in maniera lucida. “Se hai un'idea, questo è il momento di tirarla fuori.”

Ne ho una sola.” borbottò il demone. “Ma preferirei tenerla come ultima spiaggia.”

Difficile che la situazione possa peggiorare ulteriormente!”

Non ne sarei così sicuro.” Kurama aprì gli occhi, un'espressione severa sul muso. “Se attuassimo il mio piano, la tua copertura cadrebbe.”

In che senso?”

Quando prima ho provato ad aiutarti, il paletto che hai conficcato nella spalla ha assorbito tutto il mio chackra. E' probabile che se ci ritentassi fallirei nuovamente, a meno che non utilizzi tutto il mio potere in una volta sola.”

Mi sembra una buona idea!”

Aspetta a gioire! Ci vuole qualche minuto per accumulare una simile quantità di chackra, senza contare che è un'operazione che non passerebbe inosservata.”

E quindi? Cosa facciamo? Non abbiamo altra scelta, Kurama!”

Aspettiamo un po'.” replicò il demone. “Io comincerò ad accumulare potere. Se ne frattempo la nostra situazione non cambierà, allora temo che dovrò giocarmi questa carta.”

Fantastico: abbiamo fallito la missione dopo solo un giorno. Direi che se non è un record poco ci manca.”

Le battutine non aiutano la concentrazione, quindi chiudi la bocca e tieni gli occhi aperti!” il giovane uomo rispose sbuffando, lasciando l'amico in pace. Quella missione non gli era mai andata a genio, e finora non era accaduto niente che potesse fargli cambiare idea. Chiuse gli occhi, tentando di ignorare i morsi della fame, mentre fuori dalla cella la luce aumentava sempre di più, a testimonianza di come la notte fosse ormai finita. Mentre il Kyuubi era impegnato a radunare tutto il proprio spaventoso potere, Naruto rifletté. Più pensava a come era stato catturato, più la rabbia ribolliva dentro di lui. Aveva sempre odiato fare la figura dell'idiota e quella probabilmente era una delle sue performance peggiori. Aveva abbassato la guardia, troppo convinto delle proprie forze, ignorando perfino gli avvertimenti di Sasuke. Ora si trovava in una fetida cella, impossibilitato ad usare il chackra, e con un braccio fuori uso, il tutto senza considerare che ogni minuto che passava rendeva la sua copertura sempre più debole.

Un rumore di passi all'esterno dell'angusta stanza lo fecero uscire dalle sue elucubrazioni. Udì lo stridio di una serratura poco oliata scattare, con la porta che si aprì. Entrarono due uomini, entrambi sulla trentina. Avevano barbe mal fatte, e sorrisi poco rassicuranti sul viso. Uno dei due mise un kunai all'altezza della gola del Jinchuuriki, mentre l'altro cominciò a liberarlo dalle manette.

“Niente scherzi.” mormorò quello con l'arma in pugno. “Altrimenti ti apro un secondo buco per mangiare.”

Kurama, riesci a liberare abbastanza potere da metterli fuori uso?”

Posso farlo, ma ti farà male.”

Fallo e basta!” percepì l'amico leccarsi le labbra, la fame di sangue che cresceva ogni secondo che passava.

Non appena le manette scattarono, liberandogli il braccio sinistro, un'aura dorata gli circondò il corpo. Prima che i due potessero emettere un suono, due braccia di fuoco afferrarono loro la gola, soffocandoli lentamente. Il paletto prese a surriscaldarsi, bruciandogli la carne. Strinse i denti, mentre i due uomini si divincolavano sempre più debolmente, il colorito del volto cianotico, fino a quando cessarono di muoversi del tutto.

Non avresti dovuto ucciderli.” osservò Naruto, mentre l'aura di chackra svaniva. Afferrò il paletto per provare ad estrarlo, ma fu costretto a ritrarre subito la mano a causa della forte temperatura di quest'ultimo.

Avrebbero fatto cadere la tua copertura, non potevo fare altrimenti.”

Sei sempre il solito sanguinario.”

E tu il solito babbeo che tocca a me togliere dai guai! Sbrigati a cavarti quel coso dalla spalla prima che arrivi qualcun altro.” emettendo un ringhio, l'Uzumaki afferrò nuovamente il paletto, ignorando il dolore, e lo estrasse molto lentamente. Una scia di goccioline vermiglie bagnò il sudicio pavimento in pietra quando la punta uscì. Si sentì subito meglio, percependo nuovamente il chackra scorrere dentro di sé, mentre Kurama provvedeva prontamente a guarire la ferita.

Te l'ho mai detto che sei un'infermiera eccezionale?”

E tu che sei il paziente più recidivo e stupido di tutto il mondo?” ridacchiando, Naruto afferrò il kunai caduto a terra ad uno dei carcerieri, uscendo cautamente dalla cella. Doveva assolutamente recuperare le pillole per il camuffamento e fuggire di lì.

Si trovò in un corridoio umido e caldo, forgiato in pietra, con il tetto parzialmente crollato. Sembrava una vecchia prigione abbandonata, come poté constatare dalle numerose celle ai lati. Tenendo i sensi all'erta, percorse rapido il passaggio, le iridi verdi che saettavano da una parte all'altra. Non incontro nessuno fino a quando non giunse in fondo, dove percepì tre fonti di chackra oltre una robusta porta di legno.

La aprì lentamente. I cardini cigolarono, ma quando i tre si girarono non videro nessuno sull'uscio. Perplessi, i banditi si avvicinarono, ma non appena il primo oltrepassò la soglia, venne colpito da un violento pugno sul naso, seguito da un colpo che gli ruppe l'osso del collo. Si accasciò a terra, i compagni che sguainarono una corta katana a testa, caricando il Jinchuuriki. Quest'ultimo, parò facilmente il primo fendente, bloccando il braccio e spezzando il gomito con una leva. L'uomo ululò di dolore, ma venne subito zittito da una feroce pugnalata al collo. Il sangue zampillò copioso, imbrattando il kunai di Naruto che lo estrasse e lo lanciò rapido contro il terzo nemico, impegnato a scavalcare i corpi dei due compari. L'arma sibilò nell'aria come una serpe, conficcandosi all'altezza del cuore con violenza. Emettendo un suono gracchiante, il bandito si afflosciò al suolo, ormai privo di vita.

Poi sarei io il sanguinario, moccioso brontolone.”

Non abbiamo molto tempo, dobbiamo trovare quelle dannate pasticche.” frugò animatamente i corpi a terra, non trovandoci assolutamente nulla. Trattenne a stento un'imprecazione, sentendo il proprio corpo ricominciare ad assumere il proprio aspetto di sempre.

“Stavi cercando queste?” si voltò di scatto, trovando Yoichi in mezzo alla sala, il quale reggeva in una mano un sacchetto a lui molto familiare.

“Sei proprio un tipo curioso, Nagato.” proseguì il moro, estraendo da faretra un paletto come quello che gli aveva perforato la spalla. “Non è da tutti possedere un simile portento: un capolavoro della genetica. Quando ne ho fatta provare una ad un mio sottoposto quasi non credevo ai miei occhi.”

“Dammele.” Naruto si preparò a colpire, il potere che ribolliva nelle vene. “Dammele e chiuderò un occhio su come mi hai trattato questa notte.”

“Ah, stai parlando della piccola discussione che abbiamo avuto al Tempio qualche ora fa? Ti chiedo di perdonarmi.” il sorriso di Yoichi divenne più freddo. “Dopotutto, anche io devo mangiare, no?”

“Assassinando le persone?”

“No, non sono un assassino. Direi che sono più un commerciante, ecco. E tu sei una merce troppo rara per farmela scappare.”

“Sei un mercante di schiavi.” il tono dello shinobi era carico di disgusto. “Traffichi le persone come fossero oggetti.”

“Cosa sono questi toni superiori? Dopotutto, tu sei un traditore, e fino a qualche ora fa eri pronto a venderti al miglior offerente.” Yoichi fece un passo in avanti, il sorriso ora scomparso. “Non sei nella posizione di criticarmi, feccia!”

“Io non distruggo la vita delle persone!” ribatté il Jinchuuriki. “Ciò che fai è abominevole!”

“Ah sì? Pensi che quello che fai sia diverso?” Naruto aggrottò le sopracciglia, perplesso da quella domanda. Yoichi tornò a sorridere, consapevole di aver colpito nel giusto. “Credi davvero che tu non stia distruggendo la vita della gente?”

“Cosa stai dicendo?”

“Sei uno straniero, o almeno sostieni di esserlo, non puoi sapere quanti avvoltoi come te ho visto negli ultimi anni. Shinobi caduti in disgrazia a causa della pace, pronti a vendersi al miglior offerente per i lavori più sporchi.” l'espressione del moro divenne inquietante. “Questo paese è stato distrutto da gente come te.”

“Di cosa stai parlando? Non ti seguo.” l'Uzumaki sapeva che era pericoloso temporeggiare, ma quelle parole nascondevano qualcosa di oscuro, qualcosa che voleva scoprire ad ogni costo.

“Vuoi che sia più chiaro? E' stato Uzumaki Naruto e la sua cricca di Konoha a portare questa nazione alla guerra civile, lasciandola in balia di mangia carogne come te!” ora il tono di Yoichi divenne duro, colmo di rabbia. “Hanno portato fame, carestia e distruzione per mero capriccio, fregandosene altamente dei bisogni della gente. Si sono rinchiusi dentro il loro sporco villaggio, grassi e felici di essere in pace, finanziati dal Daiymo, mentre la gente moriva di fame! Sono un uomo pragmatico, ma se perfino io provo disgusto a questo pensiero, comprendo chi combatte per un paese nuovo.” alzò la propria arma, mettendosi in posizione di guardia. “A me tutto questo non interessa, io sono pagato per catturare persone che possano sollazzare i ricchi di questa nazione, ma non accetto la predica da parte di uno schifoso ninja parassita!”

Naruto non replicò, fissando con occhi sbarrati il suo avversario, mentre il sangue affluiva rapidamente alle orecchie. Quelle parole taglienti, fredde e colme di disprezzo lo avevano ferito nel profondo, riempiendogli lo stomaco di collera. Digrignò i denti, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani, il desiderio di ricacciargli in gola quelle frasi che s'intensificava ogni secondo di più.

“Menti.” mormorò, la voce resa innaturale dalla furia che gli artigliava il cuore. Yoichi ridacchiò, inclinando la testa di lato.

“Non ho nessun motivo di farlo. E se un giorno tornerai libero, scoprirai che la gente la pensa esattamente in que...”

“STAI MENTENDO!” dalla gola dello shinobi uscì un ruggito furioso, più simile a quello di una bestia. Un'aura dorata gli circondò il corpo, mentre le pareti tremarono sotto la spinta del chackra di Kurama. Con uno scatto troppo rapido per essere visto ad occhio nudo, Naruto si portò alle spalle di Yoichi, un Rasengan rosso sangue nella mano destra. Il moro tentò di girarsi, ma fu troppo lento. Senza smettere di urlare, l'Uzumaki conficcò la propria tecnica sulla schiena dell'avversario, mettendoci dentro ogni singola oncia di rabbia e frustrazione accumulata negli ultimi giorni. Yoichi lanciò un urlo disumano, inarcandosi per il dolore, mentre il chackra distruggeva muscoli ed ossa al suo passaggio. L'impatto fu così potente che la stanza crollò del tutto, sollevando nugoli di polvere bianca sotto il caldo sole di giugno.

Naruto respirò con fare affannoso, in piedi in mezzo alle macerie, il sacchetto delle pillole stretto nella mano sinistra. Gli sembrava di non riuscire a riempirsi abbastanza i polmoni d'aria. Fece scomparire l'aura di chackra, osservando il corpo senza vita del mercante di schiavi sotto di sé. Ripenso a tutte le parole che gli aveva detto, sentendolo nella sua mente accusarlo di aveer portato fame e disperazione nel paese. Un conato di vomito lo assalì, bruciandogli l'esofago, i sensi di colpa che lo strangolavano con furia.

Cadde in ginocchio, le iridi verdi che saettavano in preda al panico. Era dunque vero? Era stato lui, con la guerra contro Akatsuki, a portare fame e rovina per il paese? Davvero la sua scelta di proteggere il mondo dalle follie di Madara ed Obito aveva causato tutto quello? Non poteva crederci, non voleva crederci. Si strinse le braccia sul ventre, ripetendosi mentalmente che quelle erano solo menzogne, che aveva fatto la cosa giusta e che non aveva alcun motivo di martoriarsi nel senso di colpa.

Ma allora perché sto così male?

Inghiottì una pasticca, assaporandone il sapore amaro quasi con sollievo. Percepiva Kurama provare a parlargli ma lo ignorò, desiderando restare solo con i propri pensieri.

Va tutto bene... tutto bene... fece un profondo respiro, tentando di distendere la mente. Ci mise qualche minuto, ma alla fine il battito del cuore tornò normale, permettendogli di alzare lo sguardo. Il senso di colpa non era svanito, ma il senso di soffocamento sembrò passare.

Si guardò intorno, scoprendo di trovarsi in una radura nel folto di una foresta. La costruzione dove era stato tenuto prigioniero doveva trattarsi della prigione di qualche nobile del passato, ormai inglobata dalla natura.

Perquisì il corpo di Yoichi, tentando di trovare qualcosa che lo aiutasse ad orientarsi, senza risultato. Ormai scoraggiato, lo shinobi tentò di riflettere su come fare per ritornare a Boosha, quando udì delle voci provenire dagli alberi alle sue spalle.

“Baka! Ecco cosa siete, due enormi, giganteschi Baka! Quante volte vi ho detto di chiamarmi subito quando si tratta di quel bastardo di Yoichi?”

“Ti abbiamo già chiesto scusa, Kiyoko. Cos'altro possiamo fare affinché tu stia zitta un secondo?”

“Smettila di chiamarmi con quel nome Giichi, lo sai che non lo reggo! E comunque io urlo quanto mi pare e piace, è chiaro?!”

“Smettila di fare tutto questo chiasso! Siamo vicini alla base di Yoichi, potrebbero sentirci!”

“Che ci provino a farmi un'imboscata! Prendo a schiaffi lui e tutti i suoi scagnozzi da due soldi! Avanti, Baka! Muovetevi!”

Vagamente perplesso, Naruto vide scendere dagli alberi tre individui. Riconobbe i due uomini che lo avevano fissato a lungo la sera prima alla Porta del Paradiso, mentre il terzo membro era una giovane ragazza. Era graziosa, non mostrava più di quattordici anni, il viso non del tutto privo dei tratti infantili. Aveva gli occhi di un colore strano, simile ad ametiste, con corte ciocche di capelli azzurri che le incorniciavano un'espressione battagliera. Il fisico minuto era coperto da una tunica lilla, con sopra un giubbotto di Konoha troppo grande per lei, e calzari da ninja rossi ai piedi.

I tre shinobi rimasero stupiti quando videro il covo degli schiavisti ridotto in macerie. I due uomini, entrambi bruni e con una rada barba, misero mano ad un kunai, mentre la ragazzina spalancò i propri occhi, la bocca a formare un cerchio perfetto. Quando i suoi occhi videro la figura di Naruto, la richiuse subito, fissandolo con sospetto.

“Ehi, tu!” abbaiò, avvicinandosi a grandi passi, un'espressione sicura sui tratti infantili. L'Uzumaki notò che le arrivava a malapena al petto. “Hai visto per caso chi ha combinato questo macello?”

“Beh...” lo shinobi non fece in tempo ad aprire bocca che uno dei due uomini lo indicò con un cenno del capo.

“Ehi, Yoko! È lui il tipo di cui ti parlavamo!”

“Cosa?” lo stupore tornò a regnare sul viso della giovine. “Questo tipo strambo sarebbe il Nukenin di cui mi accennavate? Ma... questo significa...” le chiare iridi di Kiyoko si illuminarono mentre comprendeva ogni cosa.

“Come hai fatto?” chiese a Naruto, il tono ora diverso, carico di ammirazione. “Sono settimane che volevamo sistemare quel bastardo, ma era sempre riuscito a cavarsela in qualche modo. Come sei riuscito a batterlo, uscendone illeso?”

“Fortuna immagino.” si schernì il Jinchuuriki con un sorriso nervoso. Comprese subito di aver commesso un errore a farsi trascinare dalla collera, e si diede mentalmente dell'idiota.

“Vorrei averla io la tua fortuna.” borbottò uno dei compagni della ragazzina.

“Stai zitto, Gihei!” lo rimproverò Kiyoko. “Comunque cosa ci fa un Nukenin della Pioggia da queste parti?” domandò successivamente.

“Cerco uno scopo.” comprese che parlare di ingaggio potesse suonare strano, specie se, come sospettava, quella gente apparteneva ai ribelli. “Avevo sentito che da queste parti è in corso una rivolta, e visto che ormai io non ho più nessuno scopo nella vita...”

“Quindi è questo che ti porta a volerti unire ai ribelli?” chiese Gihei. “La ricerca di uno scopo?” Naruto sostenne con fermezza i loro sguardi, il cuore che pompava tranquillo.

“Precisamente.”

Gihei ed il suo compare, chiamato Giichi, si voltarono, mormorando tra loro. Kiyoko invece proseguì a fissarlo con curiosità, quasi fosse un animale strano. Sotto quegli occhi chiari, l'Uzumaki si sentì a disagio. Prese a giocherellare con una ciocca rossa di capelli, nel tentativo di mascherare il proprio nervosismo.

“Credo che dovremmo discuterne con gli altri prima.” dichiarò Giichi, una volta smesso di confabulare. “E' una decisione delicata, e non possiamo dare troppa confidenza ad uno sconosciuto.”

“Aspetta un attimo, ma quindi voi fate parte dell'armata dei ri...”

“Basta con tutte queste chiacchiere!” esclamò l'azzurra, sbuffando per l'impazienza. “Bendatelo e portatelo dalla Sorellona!”

“Ma Yoko! Non sappiamo nulla di...”

“Proprio per questo lo bendiamo!” sorrise a Naruto, mostrando una fila di denti bianchissimi. “Se piacerai alla Sorellona diverrai il mio nuovo Fratellone!”

Fratellone? Decise di non indagare troppo su quella stramba ragazzina. Dopotutto, se non aveva capito male, l'avrebbero portato in mezzo ai ribelli, proprio ciò che voleva.

Credi che questa volta ci possiamo fidare?”

Non abbiamo altre tracce.” Kurama scrutò attentamente il proprio Jinchuuriki. “Tieni gli occhi aperti, e soprattutto lascia perdere le parole di prima. Sono solo inutili distrazioni.”

Lo so.” tentò di apparire convincente, ma sapeva lui per primo che quelle parole l'avevano ferito nel profondo, scavandogli nell'anima come un tarlo. Il pensiero di essere la causa di quella rivolta lo disgustava nel profondo, facendo crollare ogni sua certezza. Doveva credere che non fosse così, altrimenti sarebbe impazzito.

Si fece bendare gli occhi. Una volta persa la vista, tendette a dismisura gli altri propri sensi, trasalendo quando percepì una piccola mano calda stringergli la propria.

“Coraggio!” udì alla propria sinistra la voce squillante di Kiyoko. “Ti guido io, aspirante Fratellone!”

Fu guidato nel folto del bosco, seguendo sentieri tortuosi e spesso ridondanti, perdendo completamente il senso dell'orientamento. Sperò con tutto sé stesso di stare andando a conoscere il capo dei ribelli, la persona che si celava dietro il nome di Himawari. I suoi dubbi e tormenti vennero spazzati via a quel pensiero, riempiendolo di una solida determinazione. Avrebbe portato a termine la sua missione, ponendo fine a quella rivolta, tornando in questo modo da Hinata e Boruto, la sua famiglia.

Ho giurato di tornare, e manterrò la promessa!

Le parole di Yoichi gli avevano scavato una ferita nell'animo, qualcosa di molto difficile da ricucire, ma per il momento scelse di non pensarci. Si fece guidare dai ribelli, la propria mano stretta in quella della ciarliera Kiyoko, pronto a compiere il proprio dovere per proteggere il proprio villaggio, il proprio paese ma soprattutto la propria famiglia.

E un ninja mantiene sempre la propria parola.

 

 

CONTINUA

 

 

Ed ecco a voi la seconda parte sulla guerra civile!

Come forse avrete notato, in questo capitolo sono andato piuttosto lento, soffermandomi molto su Naruto e i suoi sforzi di rintracciare i ribelli. Prometto che nelle prossime parti sarò più conciso, giusto per evitare di dilungarmi eccessivamente (per questa storia ho avuto veramente troppe idee e se le dovessi realizzare tutte ci vorrebbero almeno altri 6-7 capitoli solo su di essa!). Ho sottolineato più volte i diverbi tra Naruto e Kurama perché ritengo che durante le missioni la volpe abbia una parte attiva, come consigliere ed aiutante del nostro eroe (senza contare che adoro farli battibeccare tra di loro xD). Riguardante la parte della prigionia, l'ho scritta per evidenziare come durante gli anni di pace Naruto abbia perso parzialmente lo smalto ed il potere ottenuto durante la guerra con l'Akatsuki. Questo non significa che sia più debole, solo che ci vorrà del tempo affinché tutti i suoi poteri riemergano, permettendogli così di portare a termine questa missione.

Ultime considerazioni: i nomi dei personaggi da me inventati e presentati in questo capitolo sono effettivamente di etnia giapponese (internet fa miracoli) ed alcuni come quello di Kiyoko hanno anche dei significati nascosti (che verranno fuori più avanti). Sul discorso di Yoichi a Naruto, riguardo le sue colpe per la guerra civile, è una mia particolare lettura degli anni post bellici. Un conflitto come quello affrontato contro Obito e Madara, capace di distruggere le montagne e continenti, non può non lasciare delle ferite nel territorio e tra la gente comune, e queste ultime ci mettono spesso anni a guarire, specie in una società di stampo feudale come quella dove vive Naruto. Ho voluto costringere il nostro eroe ad affrontare le conseguenze di quella guerra, un conflitto combattuto per la pace certo, ma che poi bisogna anche sapere conservare.

Bene, anche questo capitolo è giunto al termine. Come sempre ringrazio chiunque legga questa raccolta, e ricordo che le recensioni di qualsiasi genere (critiche o meno) sono ben accette!

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 14
*** Il dovere di uno shinobi, parte terza ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko


Il dovere di uno shinobi

 

Parte Terza

 

 

Si accese una sigaretta, lasciando che il bagliore della fiamma scavasse ombre cupe sul suo viso. Aspirò la prima boccata stancamente, osservando la piccola lastra di marmo davanti a sé, gli occhi persi in vecchi ricordi. Sopra di lui, il cielo estivo mostrava il migliore dei propri spettacoli notturni, con migliaia di stelle incandescenti.

Soffiò, concentrandosi sul silenzio che regnava tutt'intorno. Ben presto venne sostituito da rumori: voci e risate di un passato lontano, quando era solo un bambino pigro che amava fissare le nuvole.

 

 

Shikamaru! La vuoi smettere di dormire e cominciare a studiare? Come pensi di ottenere il diploma se non apri mai un libro?!”

Che seccatura...”

Cosa hai detto a tua madre?!”

 

 

Era stanco, non fisicamente, ma mentalmente. Negli ultimi giorni non aveva praticamente dormito, impegnato a radunare un'armata degna di quel nome. Gli occhi gli bruciavano, mentre il sapore della nicotina ormai lo stomacava, eppure era ancora sveglio, intento a fumare, seduto davanti alla tomba di suo padre.

Soffiò fuori fumo dalle narici, in un angolo della mente consapevole che al suo ritorno Temari gli avrebbe fatto sputare sangue per quel ritardo incivile, ma la cosa non lo toccò. Aveva bisogno di restare da solo, in silenzio, in compagnia dei fantasmi del proprio passato, alla ricerca della risposta giusta.

Tocca a noi sacrificarci questa volta.

Shikamaru non era stupido. Da quando aveva saputo da Kakashi della missione di Naruto il suo cervello aveva preso a lavorare a velocità doppia. Era consapevole che l'amico stava rischiando tantissimo, e quindi anche lui doveva fare la propria parte, agendo rapidamente per porre fine a quella follia prima che sfuggisse loro di mano.

Unì le punte delle dita, riflettendo. Da quando Naruto era partito, circa una settimana prima, la situazione era peggiorata rapidamente. Ormai non si contavano più i messaggi che parlavano di pattuglie di soldati fedeli al Daiymo attaccate e sterminate. Gli Anbu facevano quello che potevano, ma dai loro messaggi sembrava quasi che stessero lottando contro dei fantasmi: apparivano, uccidevano e svanivano, silenziosi come ombre. Nessuna traccia, nessun indizio, nulla su cui poter lavorare per scovare il loro nascondiglio. Se non fosse stato per la missione di Naruto, probabilmente sarebbero stati in balia dei rivoltosi, incapaci di porre fine a quella spirale di morte e distruzione.

Chiunque sia il loro capo, deve essere qualcuno di molto intelligente. Nella mente del Nara si era come formata una scacchiera, dove esaminava pezzi e strategie di ognuno degli schieramenti. Era indubbio che il loro avversario fosse inferiore in quanto a mezzi e uomini, ma la tattica di dissanguamento che stava attuando era terribilmente efficace. Era inutile preparare ed armare un esercito in quelle condizioni, perché avrebbe combattuto contro il nulla, ma lo shinobi delle ombre aveva preferito proseguire con i preparativi, nella speranza che eventuali spie si convincessero che Konoha fosse totalmente incapace di fronteggiare in modo adeguato quella ribellione.

Se solo ricevessi un segno, un messaggio... qualcosa che mi dicesse che sei vivo... Shikamaru aveva fiducia nell'Uzumaki, sapeva che non era tipo da morire con facilità, ma allo stesso tempo lo conosceva bene, e sapeva che l'infiltrazione non era il suo forte. Tutto quello che poteva fare era preparare una squadra d'azione pronta in ogni istante, che colpisse con rapidità e violenza il luogo che Naruto avrebbe loro riferito.

“Ancora sveglio?” le sue labbra si stirarono in un ghigno. Percepì l'incedere pesante di Choji avvicinarsi sempre di più, sedendosi al suo fianco.

“Cosa ci fai qua?”

“Il cimitero non è un bel posto da frequentare di notte, Shika. Pensavo che un po' di compagnia ti avrebbe fatto piacere.”

“Avevo bisogno di riflettere.” replicò il Nara.

“Su cosa?” il moro non rispose subito, gli occhi fissi sulla tomba del padre. Sapeva qual era la cosa giusta da fare, solo che non gli piaceva neanche un po'.

“Choji...” parlare non gli era mai parso così difficoltoso come in quel momento. “Ho bisogno di un favore.”

“Va bene.” lo guardò negli occhi, osservando colui che considerava un fratello. Choji, sempre così buono, così dolce, così altruista. Si sentì un verme a chiederglielo, specie ora che stava per diventare padre, ma non aveva alternative: il bene del villaggio veniva prima di loro.

“Vorrei che tu prendessi il comando di una squadra, la quale dovrà essere pronta a colpire il quartier generale dei ribelli in qualsiasi momento ti verrà comunicato.” aveva mormorato quelle parole nel silenzio del cimitero, osservando i lineamenti del volto dell'Akimichi rimanere identici a prima. Solo gli occhi divennero più duri e freddi, colmi di determinazione.

“D'accordo.”

“Non avrei voluto chiedertelo, ma...”

“Sono l'unico di cui ti fidi.” Choji sorrise, notando come il tormento stesse consumando l'amico. “E' per questo che non dormi da giorni, Shika?”

“In parte sì...” si passò una mano sul volto, desiderando ardentemente un letto su cui sdraiarsi. “Ora che stai per diventare padre...”

“Va bene così.” gli mise una mano sulla spalla, sorridendo con fare sicuro. “E' il mio dovere di shinobi, no? Mettermi al servizio del villaggio.” Shikamaru buttò via il mozzicone, giocherellando con l'accendino, nella mente i ricordi di ogni lutto che aveva subito a causa del dovere.

Il nostro dovere...

“Ti chiedo solo un favore.” borbottò, sollevandosi. “Non farmi la vigliaccata di crepare.”

Anche l'Akimichi si alzò, mettendo una mano sulla spalla destra del Nara.

“Non lo farò.” sorrise con fare dolce, facendo riemergere nel figlio di Shikaku vecchi ricordi d'infanzia. “E' una promessa.”

 

 

Davvero non è un problema?” Shikamaru squadrò il bambino cicciotello davanti a sé, chiedendosi il motivo di tutte quelle domande.

Nessun problema.” tornò a guardare le nuvole. “Puoi sederti affianco a me durante le lezioni di Iruka-Sensei.”

Ti ringrazio, Shikamaru.” un sorriso tremulo si delineò sul viso paffuto di Choji, mentre tornava a fissare il cielo, una mano che frugava nell'onnipresente sacchetto di patatine.

Shika...”

Cosa c'è?”

Mi prometti che non è un problema se passiamo del tempo assieme?” si girò di malavoglia. Gli occhi scuri dell'Akimichi erano puntati su di lui, colmi d'ansia, in attesa trepidante della sua risposta.

E' una promessa, Choji.” ritornò a guardare il cielo, godendosi il calore del sole. Chiuse gli occhi, considerando l'idea di schiacciare un pisolino, mentre il bambino al suo fianco mangiò in silenzio una patatina, un sorriso innocente sul faccino pienotto.

Grazie.”

 

 

Una promessa... Rimase seduto a lungo davanti alla porta di casa, fissandosi i piedi, ricordando tutti i momenti passati assieme all'Akimichi, dall'infanzia fino alla guerra, assaporandone ogni ricordo come qualcosa di meraviglioso.

Me l'hai promesso, Choji... si alzò, osservando l'alba illuminare il cielo. Nella casa alle sue spalle c'era la sua compagna incinta, che non vedeva ormai da tre giorni. Per un istante fu tentato di entrare, lasciare a qualcun altro il gravoso compito di guidare il villaggio assieme all'Hokage, di assaporare il calore di un letto e della sua donna dopo tanto, troppo tempo.

Ho fiducia che tornerai. Si incamminò verso il proprio ufficio, sorseggiando un goccio di Schotch dalla propria fiaschetta nel tentativo di svegliarsi.

Avrebbe visto Temari un altro giorno.

 

 

Silenzio.

Hinata aprì di scatto gli occhi, il petto che si alzava ed abbassava rapidamente. Le iridi color perla zigzagarono affannosamente lungo la stanza, osservando con orrore come fosse tristemente vuota. Improvvisamente, alla kunoichi il letto matrimoniale parve scottare, mentre il senso di soffocamento diventava più forte.

Aria... ho bisogno di aria... si alzò di scatto, il respiro sempre più frammentato. Barcollò verso la finestra, nel disperato tentativo di aprirla, le pareti che le si stringevano addosso come orride sbarre. La mano le tremò quando spalancò le imposte, facendo entrare la brezza notturna nella stanza. Lentamente, il respiro della Hyuga si acquietò, il cuore che riprendeva un battito normale. Era sudata fradicia, il corpo preso preda di forti tremiti. Chiuse gli occhi, mordendosi a sangue le labbra nel disperato tentativo di non cedere. Tutto quello che voleva fare era sedersi in un angolo e scoppiare in lacrime, urlando fino a quando avesse avuto fiato.

Sta passando... deve passare. Piantò le unghie negli avambracci, scavandosi solchi sanguinanti. La stilettata di dolore fu sufficiente a farla uscire dai propri incubi. Lentamente, la sua mente si acquietò, mentre i demoni interiori che le laceravano l'anima vennero respinti.

Naruto-kun... dove sei? Guardò il cielo stellato con sguardo corrucciato, desiderando ardentemente riavere il suo uomo affianco. L'Uzumaki era partito da una settimana ormai, alla ricerca di porre fine a quella follia che insanguinava il loro paese. Da allora, ogni notte incubi orrendi e sanguinolenti tormentavano la mente della kunoichi. Sognava Naruto morto, senza vita, che tornava al villaggio sopra un feretro dorato. Ne osservava il viso pallido, i lineamenti distesi, gli occhi chiusi, mentre veniva sotterrato in mezzo ai grandi di Konoha, tra le lacrime degli amici e dei conoscenti. Ma sopra ogni cosa, vedeva se stessa, vestita di nero, il volto sfigurato dal dolore, mentre il suo cuore crollava sotto la morsa della solitudine e dell'orrore di quella scomparsa.

Percepì i propri battiti aumentare nuovamente a quell'orrendo pensiero. Riprese a martoriarsi le braccia, il sangue che si incrostava sotto le unghie, tentando di mantenere la mente lucida.

Sono solo incubi, nient'altro che sogni senza senso... Naruto-kun l'ha promesso, tornerà. Quei pensieri riuscirono a calmarla, facendola sentire meno sola. Se si concentrava, riusciva ancora a percepire il suono della sua voce allegra, le sue braccia forti che l'avvolgevano, il tocco morbido delle labbra di lui che le donavano sensazioni meravigliose...

Si scosse, accorgendosi di essere caduta nuovamente preda dei propri pensieri. Ormai succedeva di continuo che pensasse a lui, oscillando dalla disperazione cupa alla struggente nostalgia. Chiuse la finestra, fissandosi le mani, chiedendosi per quale motivo fosse così preoccupata. Non era la prima volta che Naruto si cacciava in situazioni così estreme, e ne era sempre uscito vittorioso, con il sorriso sulle labbra, pronto a riprendere il proprio sogno di diventare Hokage. Eppure, mai come in quel momento, Hinata temeva per la vita del proprio uomo, di vederlo per la prima volta fallire.

Sono una sciocca.

 

 

Le iridi chiare erano puntate sul corpicino dentro la culla. Boruto dormiva pacifico, il volto segnato da baffi come quello del padre, disteso e placido. Vederlo le portò una grande pace nell'animo. Sfiorò la manina del bebè, sentendosi meno sola. Naruto e Sakura erano dispersi, Hanabi in missione, Ino agli ultimi mesi di gravidanza, mentre Tenten, Kiba e Shino erano occupati con i preparativi voluti dall'Hokage in vista della guerra. Le uniche compagnie che le rimanevano erano il padre e Kurenai-Sensei, ma la notte non c'era nessuno a scaldarle il cuore, ad acquietare le sue preoccupazioni. Solo lui, quel bambino così piccolo e fragile, che sentiva di amare con tutto il suo essere.

Lo prese in braccio, stando bene attenta a non svegliarlo. Faceva ancora fatica a credere che avesse avuto un bambino con Naruto, il suo Naruto, un figlio che sentiva di amare profondamente. Un amore potente, che solo una madre era capace di provare.

Crescerai con un padre. Si sedette, stringendolo al petto, un calore dolcissimo che le scaldava l'anima. Te l'ho prometto.

Avrebbe tanto voluto combattere affianco al marito, proteggerlo, permettergli di raggiungere i propri sogni. Eppure, pur desiderandolo, sapeva che non era possibile, che il suo dovere di madre le imponeva di restare affianco a suo figlio, per proteggerlo e crescerlo.

Ed io mantengo sempre le promesse.

In quegli istanti, con Boruto tra le braccia, le era impossibile pensare agli incubi di prima. Le mente venne invasa da dolci sogni, dove la sua famiglia era di nuovo riunita sotto quel tetto. Un sogno che, e di questo ne era sicura, sarebbe diventato realtà.

 

 

Naruto imprecò, scivolando su un masso. Percepì sangue colare dal ginocchio sinistro, mentre la voce squillante di Kiyoko, proveniente da un punto imprecisato alla sua destra, gli assordò l'orecchio.

“Stai attento, aspirante Fratellone!” lo redarguì l'azzurra. “E' facile farsi male!”

“Se mi togliessi questa benda forse riuscirei ad evitare queste cadute...” borbottò lo shinobi.

“Te l'ho già spiegato: non posso farlo!” replicò esasperata la ragazzina. Subito dopo, Naruto si sentì trascinato da una mano piccola e calda, che aveva imparato a riconoscere come quella di lei. “Coraggio, ti guido io, Baka!”

“Perdonala.” si scusò una voce alle sue spalle, che associò all'uomo chiamato Gihei. “Yoko è fatta così.”

L'Uzumaki si limitò a farsi guidare dall'azzurra, borbottando che non servivano scuse. Era due giorni che si faceva guidare come un cieco da quello strano trio. Di comune accordo, lui e Kurama avevano deciso di non usare i poteri di quest'ultimo per scandagliare la zona, non conoscendo le capacità ninja dei loro accompagnatori. In quel momento, la massima priorità era guadagnarsi la fiducia dei ribelli, localizzare la loro base sarebbe stata una semplice conseguenza. Tutto quello che aveva potuto fare era affidarsi ai restanti sensi, notando come la foresta non aveva mai smesso di circondarli, lo scorrere di acqua che diventava ogni ora più forte. Comprese di essere nei pressi di un fiume, e fece mente locale, tentando di ricordare il nome di qualche corso d'acqua importante nella zona attorno a Boosha. Purtroppo, oltre a non essere mai stato un grande amante dello studio delle cartine, non aveva assolutamente idea se il covo degli schiavisti in cui era stato rinchiuso fosse vicino o meno alla città. Tutto quello che poteva fare era andare per ipotesi, nella speranza che avesse l'opportunità in futuro di confermarle.

Con il passare delle ore il rumore di acqua divenne più forte, uno scroscio possente, simile ad un ruggito che gli frastornò l'udito. Ad un certo punto trasalì, percependo freddi schizzi sul viso. Per un istante temette di venire trascinato sott'acqua, ma Kiyoko lo guidò distante dalla cascata, la luce del sole che svaniva in un'ombra indistinta. Proseguirono a camminare per circa una decina di minuti, i passi che rimbombavano tra pareti di pietra. Poi, quando il falso Nukenin percepì una corrente di aria fredda sul viso, gli fu tolta la benda. Lo shinobi rimase parzialmente accecato dopo tutto quel tempo passato senza usare gli occhi. Si portò una mano davanti al viso, mentre una visuale spettacolare prendeva lentamente corpo alla sua vista. Al suo fianco, Kiyoko sorrise, stringendogli la mano con maggiore vigore.

“Benvenuto alla Grotta delle Cascate!” il rosso non trovò parole per descrivere ciò che vide: si trovava innanzi un'imponente grotta senza soffitto, da cui entravano i raggi del tramonto. Alle sue spalle c'era un cupo tunnel scavato nella roccia da cui erano provenuti, ma la sua attenzione era rivolta a ciò che aveva davanti: decine di piccole cascate, rese rosse come rubini dal sole morente, che scendevano allegre, riempiendo un lago di un blu cobalto che si estendeva per centinaia di metri davanti a lui. Dietro di esso, una città costruita interamente in pietra, con tanto di mura e torri, si estendeva fiera, i vessilli che venivano catturati dalla calda brezza estiva. Era il posto più magico che avesse mai visto, e perfino Kurama sembrò colpito da quella visione.

Kiyoko ed i suoi compagni si diressero verso i cancelli della città a passo rapido, permettendogli di ammirare ancora più da vicino gli splendidi corsi d'acqua che scendevano dalle pareti di roccia che li circondavano. Era altissime, probabilmente sfioravano i cinque chilometri di altezza, e rimase sorpreso che i ribelli avessero scelto un posto così particolare come rifugio, facilmente localizzabile da lontano.

“Com'è possibile?” chiese, incapace di abbassare lo sguardo, rapito dai giochi di luce che si creavano sugli spruzzi di spuma. “Come riuscite a nascondere un simile posto?”

“Gli uomini spesso guardano troppo lontano, non osservando ciò che hanno vicino.” rispose con fare enigmatico Gihei.

“Cosa vuoi dire?”

“Ora non possiamo dire di più. La Sorellona ti aspetta.” replicò con fare sbrigativo Kiyoko. Naruto tacque, comprendendo che le risposte che cercava le avrebbe ottenute solo se fosse riuscito ad entrare nelle loro fila.

Entrarono in città. Qui lo shinobi si accorse che le case, di pietra anch'esse, erano usate come armerie o infermerie per i feriti e gli ammalati. Non c'era nessuna traccia di abitazioni private. Le strade ribollivano di gente: uomini e donne, tutti molto giovani e ben armati, mentre i bambini erano quasi assenti, anche se c'erano molti ragazzini di età simile a quella di Kiyoko. Facendo un calcolo approssimativo, con l'aiuto di Kurama, Naruto giunse alla conclusione che dovevano esserci circa cinquecento persone in quel posto, anche se esisteva la possibilità che ci fossero molti altri nascondigli nelle vicinanze.

Più si avvicinavano al centro della città, più si sentì osservato. Le persone non sembravano maldisposte nei suoi confronti, ma curiose. Notò con la coda dell'occhio un paio di ragazze indicare il suo coprifronte scheggiato con un sussurro, mentre un ragazzino gli piantò con fare sfrontato gli occhi in faccia. Naruto si sentì una specie di fenomeno da circo, che veniva esibito al grande pubblico di quella cittadina dai propri domatori.

Ho il sospetto che mi stiano esibendo.”

E' probabile che li abbiano avvisati del tuo arrivo. Dopotutto, un Nukenin della Pioggia non è uno spettacolo comune da queste parti.”

Superarono l'intera città, passando in mezzo alla folla. Naruto si sentì ridicolo mano nella mano con Kiyoko, la quale lo trattava come un cagnolino, guidandolo e sorridendogli ogni tanto con fare dolce. All'Uzumaki ricordava sempre di più Sakura, con quel modo di fare che svariava dal premuroso al furibondo in pochi istanti.

Quando arrivarono in prossimità della parete di roccia tempestata di cascate, lo shinobi si accorse che dietro il velo d'acqua erano presenti decine di cunicoli che si immergevano nel fianco della montagna. Giichi sorrise davanti alla sua perplessità, affiancandolo mentre si immergevano dentro uno di essi.

“Questo posto è il nostro vero rifugio.” spiegò, mentre Gihei li guidava nei cunicoli illuminati da lanterne. “La città non è altro che una difesa per esso, e dove teniamo le persone ammalate. Sai, l'aria qui dentro non è molto salubre.”

“Ma come avete fatto a creare tutto questo?” da quando era entrato in quel posto, Naruto non smetteva di guardarsi intorno, profondamente scosso. Gli sembrava di essere finito dentro una fiaba. “La città, le grotte... come ci siete riusciti?”

“L'abbiamo trovato. Questo posto era abbandonato da secoli quando i primi ribelli l'hanno scoperto. Abbiamo riparato i cunicoli, e ricostruito le mura crollate. Non ci sono segreti, solo la buona volontà degli uomini e delle donne che hai visto prima.”

“Smettila Giichi!” lo rimproverò l'azzurra. “Ormai siamo quasi arrivati.”

Il tunnel da loro imboccato aveva numerose diramazioni, ma Gihei rimase sempre nel corridoio principale. Più i minuti passavano, maggiore divenne il nervosismo dell'Uzumaki. Stava per incontrare il capo dei ribelli, la figura che voleva porre fine alla pace, la persona che si celava dietro il nome di Himawari.

Stai calmo. Se sei nervoso se ne accorgeranno.”

Lo so...” ringraziò silenziosamente Kurama. Da quando quella faccenda era cominciata, il Kyuubi era sempre rimasto al suo fianco, aiutandolo e sorreggendolo. Probabilmente non avrebbe avuto nessuna speranza di farcela senza il Bijuu, e di questo gliene era profondamente grato.

Dopo altri cinque minuti, il corridoio sbucò in un grosso salone, sorretto da grandi colonne di pietra lavorata in maniera esemplare. L'ambiente era gremito di gente, anch'essi armati, che lo fissavano in silenzio. I rumori dei loro passi rimbombò tra le pareti con fare lugubre, mentre percorrevano la navata centrale. In fondo a quest'ultima, c'erano tre persone, due uomini ed una donna, tutti sulla trentina. Quest'ultima catturò l'attenzione di Naruto quando Kiyoko, vedendola, mollò la mano dello shinobi, correndole incontro con un grande sorriso sul volto.

“Sorellona!” un sorriso si aprì sul volto della donna. Era alta, con corti capelli dorati ed occhi di un azzurro cupo ad incorniciare un volto affascinante. Aveva le labbra carnose di un rosso acceso, il naso diritto e due file di denti bianchi e perfetti. Indossava calzari neri, pantaloni di pelle scura ed una camicia bianca a coprirle il seno, il tutto con sopra un corpetto di cuoio. Alla vita le pendeva una luccicante ascia bipenne. Abbracciò stretta l'azzurra con sincero affetto, le mani ricoperte da mezzi guanti che accarezzarono la chioma ribelle della ragazzina.

“Yoko, era ora! Ero convinta che avrei dovuto fare le ore piccole per attendere il vostro arrivo!” aveva una voce armoniosa e chiara, che sembrava nascondere un animo gentile, ma l'Uzumaki percepì anche una forte determinazione. “Gihei, Giichi! Venite qua!” anche i due uomini caddero preda dell'abbraccio della bionda, i volti rossi a causa dell'imbarazzo. Una volta sciolto, la giovane donna rivolse il proprio sguardo ceruleo verso Naruto.

“Così... questo sarebbe il Nukenin.” il tono della voce era cambiato, passando ad una tonalità più cupa. Si avvicinò all'uomo, senza smettere di fissarlo in faccia. Naruto ebbe l'impressione che quegli occhi stessero scavando dentro di lui e fu colpito dall'impulso di abbassare lo sguardo, ma Kurama lo bloccò, facendogli tenere ben alto il volto.

“Qual è il tuo nome?” gli domandò la bionda, i nasi che si sfioravano. Il suo profumo investì il cervello di Naruto, riscaldandogli il sangue con prepotenza. Dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per resistere al ribollire che percepiva all'altezza dell'inguine.

“Mi chiamo Nagato.” rispose infine. Dopo lunghissimi secondi, la donna si voltò, allontanandosi. L'Uzumaki emise silenziosamente un sospiro di sollievo, sconvolto dalla propria reazione. Prima di allora soltanto Hinata era riuscita a rimescolargli il sangue in quel modo con una semplice occhiata.

“Dimmi, Nagato... per quale motivo intendi unirti a noi?” tornò a fissarlo in faccia, il volto sempre serio. “Cosa ti spinge a lottare per questa causa?”

“Il motivo è molto semplice.” scandì lentamente le parole, per evitare di tradirsi. “Ormai non ho più alcuna patria, e la mia vita non ha alcuno scopo.” continuò a fissare quella donna con determinazione, sperando che le sue parole venissero credute. “Combattere per la vostra causa potrebbe aiutarmi a trovarne uno.”

“Così sei in cerca di uno scopo?” un sorriso freddo illuminò l'espressione di lei. “Allora mostrami la tua determinazione.”

“Cosa?”

“Fammi vedere cosa sei disposto a fare per noi.” si allontanò, mentre uno dei due uomini che le erano precedentemente affianco si fece avanti. Era alto e ben piantato, i capelli castani, portati lunghi fino alle spalle, gli incorniciavano un bel viso. Sorrise con fare sicuro, mentre estraeva lentamente una katana.

Cosa sta succedendo? Dovrei lottare contro questo tizio?”

Penso proprio di sì.” Kurama lo scrutò con un occhio, il muso contorto in un ghigno. “Vedi di andarci leggero.”

Spero solo che non mi obblighi a tirare fuori troppo potere...” con un sospiro, Naruto estrasse un kunai, mettendosi in posizione di guardia. Non aveva idea di quanto fosse forte quel tizio, ma sapeva che non era importante: non avrebbe usato il suo vero potere, rischiando di compromettere la missione, non ora che era arrivato fino a quel punto.

“Nessun rancore, vero?” il sorriso del moro era accattivante mentre pronunciava quelle parole. Probabilmente gli sarebbe stato simpatico in un contesto diverso. Ora invece era solo un ostacolo da rimuovere. Entrambi rimasero a fissarsi negli occhi, i muscoli che fremevano, fino a quando la donna bionda, alzando verso il soffitto l'ascia, non l'abbassò di colpo, dando il via così all'incontro.

Con un balzo, l'uomo armato di katana ridusse la distanza con Naruto, puntando alla testa con un rapido fendente, ma l'Uzumaki parò il colpo senza troppa fatica. Scintille volarono per qualche istante tra le due lame, ma poi il moro compì un movimento rapidissimo, portandosi alle spalle dello shinobi, il quale riuscì a parare il colpo solo grazie ad anni di allenamenti. Rimase sorpreso dalla velocità e dalla forza del suo avversario, il quale non sembrò particolarmente sorpreso da quelle parate. Sorrise con maggiore vigore, mentre riprendeva a danzare attorno al rosso. Ogni volta colpiva da una direzione diversa, rapidissimo, non lasciando mai più di un paio di secondi di pausa tra un assalto e l'altro. Naruto comprese che il suo scopo era quello di stancarlo, per poterlo finire senza troppi problemi una volta che fosse stato privo di energie.

Non sono venuto fin qui per farmi fare a fettine da questo bamboccio!

Attese alcuni secondi, studiando i movimenti del suo nemico. Poi, quando ricevette l'ennesimo attacco, ruppe la guardia con un'abile mossa del polso, prendendo in contropiede il moro. Approfittandone, Naruto portò le mani davanti al petto, richiamando il chackra, pronto ad usare la sua tecnica migliore.

Fermati Naruto!”

“Kage Bunshin no Jutsu!” con uno sbuffo di fumo, tre copie comparirono al suo fianco. Sorrise con sicurezza, osservando lo spadaccino in difficoltà, chiaramente stupito da quella mossa. Tutt'attorno si levarono mormorii di sorpresa, ma lo shinobi li ignorò, troppo concentrato sulla sfida.

“Ti ho lasciato sfogare, ora tocca a me!” lo avvisò con un ghigno. Subito dopo, i quattro Naruto assalirono il moro, attaccandolo da direzioni diverse. Tuttavia, quest'ultimo non si scompose, resistendo a tutti gli attacchi. Il rumore dell'acciaio contro acciaio risuonava in tutto il salone, mentre il sangue dei due combattenti si scaldava sempre più con il passare dei minuti. L'Uzumaki rimase sorpreso di come il suo avversario avesse aumentato sensibilmente il ritmo, resistendo all'attacco combinato. Ad un tratto, con due rapidi fendenti di chackra, due copie vennero trafitte, scomparendo. Naruto indietreggiò rapidamente, sorpreso dalla resistenza e forza di quello strano spadaccino.

Non è un guerriero comune. E finora non ha ancora usato nessun tipo particolare di jutsu.”

Non sottovalutarlo!” l'ammonì Kurama. “E ricordati che il Rasengan è proibito! E' già abbastanza rischioso che usi dei cloni.”

Ma come faccio a batterlo? Nel Tajutsu non ha punti deboli, e se neanche i cloni riescono a metterlo in crisi, ho paura che sarò costretto a giocarmi quella carta.”

Se lo farai, la tua copertura cadrà subito, Baka! Possibile che non lo capisci?!” Naruto stava per rispondere all'amico quando lo spadaccino, con un gesto improvviso, richiamò il chackra sulla propria lama. L'Uzumaki si morse l'interno della guancia, decisamente preoccupato dalla piega che stava prendendo quel duello. Se non inventava qualcosa alla svelta, rischiava seriamente di perdere.

Adesso basta...

Fece un gesto d'intesa con l'ultimo Kage Bunshin rimastogli, il quale riprese subito ad attaccare con il moro. Quest'ultimo però liquidò con estrema facilità il clone, aumentando sensibilmente rapidità e forza. Naruto non si fece impressionare, e riprese ad attaccare con più determinazione di prima. Il suono delle lame che si scontravano ferocemente rimbombava con furore nella sala, i muscoli tesi che si sfioravano per un istante prima di allontanarsi, immersi in una letale danza della morte. Tuttavia, con il passare dei minuti, lo spadaccino sembrò sempre più in vantaggio. I suoi colpi diventavano più forti, il suo ritmo più intenso, i suoi assalti erano respinti con sempre meno vigore. Consapevole di stare vincendo, il moro intensificò i propri sforzi, costringendo lo shinobi ad indietreggiare sempre di più. Infine, con un rumore di carne tranciata, la lama di chackra penetrò all'altezza del braccio destro del rosso, il quale spalancò gli occhi per il dolore. Un sorriso si aprì sul volto dell'uomo, il quale però si gelò quando vide il corpo dell'Uzumaki svanire in una nuvola di fumo. Perse l'equilibrio, colpito a tradimento da dietro con uno sgambetto. Prima ancora che potesse muovere un dito, lo spadaccino si ritrovò steso a terra, con il kunai di Naruto puntato alla gola.

“Direi che ho vinto!” esclamò lo shinobi, un ghigno sulle labbra. Il moro non disse nulla, gli occhi scuri puntati sull'arma del rosso, una delusione tangibile sul volto a causa di quella sconfitta inaspettata.

Dalla folla attorno si alzò un mormorio di stupore, ma furono subito interrotti dalla donna bionda, la quale avanzò di qualche passo, un'espressione gelida sui tratti del viso.

“Notevole, non è da tutti una simile abilità.” lo fissò con sguardo duro e freddo. “Ma se ti dicessi di ucciderlo, che cosa faresti? Mi obbediresti?”

Naruto aggrottò le sopracciglia, stupito da quella domanda. Non aveva alcuna voglia di uccidere quell'uomo, non ora che era inerme ai suoi piedi. Eppure quella poteva essere l'unica soluzione per guadagnarsi la fiducia dei ribelli.

La bionda continuò a fissarlo, mentre un silenzio carico di tensione aleggiava sopra di loro. Il kunai tremò impercettibilmente nella mano dell'Uzumaki, incapace di prendere la giusta decisione.

Davvero sono pronto ad uccidere per la pace? Sono arrivato ad essere così cinico? Rimase disgustato da se stesso, allontanandosi di scatto dal suo avversario a terra. Non era in quel modo che voleva mantenere la pace, non se poteva evitarlo.

“No.” rispose infine, gettando a terra il kunai. “Non sono un assassino.”

Per lunghi secondi la donna non disse nulla, mantenendo un'espressione indecifrabile. Poi, con due rapidi passi, corse incontro a Naruto, abbracciandolo con tutta la forza che aveva. Quest'ultimo rimase sorpreso da quella mossa, il profumo di lei che tornava a fomentargli il sangue in zone intime.

“Sì.” sussurrò con voce calda al suo orecchio, causandogli brividi incontrollati lungo il filo della schiena. “Sei uno di noi.”

 

 

Gli diedero una stanza all'interno delle grotte. A guidarlo lungo i corridoi fu Gihei, il quale non nascondeva il suo entusiasmo per il duello avvenuto prima.

“Ora capisco come sei riuscito a sgominare la banda di Yoichi. Sei un vero portento!” Naruto preferì nascondersi dietro un sorriso imbarazzato, stanco per la marcia e per il duello di prima; a complicare le cose, c'erano anche le sensazioni causate dalla vicinanza con quella strana donna, le quali non avevano smesso di artigliargli lo stomaco, provocandogli un forte fastidio nella zona inguinale assolutamente non voluto. Quando infine fu lasciato solo dal moro nella sua nuova stanza, lo shinobi fece un profondo respiro, spossato dalla girandola di emozioni provate nel corso di quella giornata.

A quanto pare ci siamo riusciti.”

Sì, siamo dentro.” il tono del Bijuu sembrava nascondere una vena di nervosismo. “Il difficile verrà ora.”

E' bello sapere che resti il solito inguaribile ottimista.” Kurama ritrasse il muso con uno sbuffo, irritato dal sarcasmo dell'amico. Sapendo che per la prossima ora il Kyuubi sarebbe risultato intrattabile, Naruto preferì lasciarlo in pace, osservandosi intorno.

La stanza che gli avevano dato era scavata interamente nella roccia. Era ampia, seppure la penombra causata dall'illuminazione artificiale la faceva sembrare più grande, e munita di un arredamento spartano: un letto singolo, con sopra appoggiati dei vestiti puliti, ed un cassettone. Di fronte alla porta d'ingresso era situata una finestra che dava su uno dei corridoi principali, mentre una seconda porta conduceva ad un bagno. Chiedendosi come fosse possibile avere acqua corrente in quel posto,lo shinobi esplorò anche il secondo ambiente. Rimase sorpreso di scoprire un rudimentale, ma efficace, sistema di leve e secchi, capace di riempire d'acqua calda la rozza vasca da bagno presente. C'era poi un lavabo e, separata da una tenda, una piccola latrina. Con l'ultimo bagno risalente a prima della partenza da Konoha, l'Uzumaki si spogliò rapidamente dai propri abiti logori e macchiati di sangue. Riempì d'acqua bollente la vasca, immergendosi con un sospiro, la mente lontana da quel luogo. Pensò ai suoi amici, a cosa stessero facendo, se Sakura fosse in salvo e al sicuro, ma soprattutto penso a Hinata e Boruto, desiderando ardentemente rivederli il prima possibile.

Quando tutto questo sarà finito, credo proprio che porterò fuori a cena Hina-chan... per farmi perdonare. Le labbra si incurvarono in un sorriso al pensiero della Hyuga. Era meraviglioso sapere che da qualche parte esistevano delle persone che poteva chiamare famiglia. Addolcito da quel pensiero si lavò rapidamente, rientrando nell'ambiente principale con il corpo scosso da tremiti di freddo. Indossò rapidamente gli abiti ricevuti in dono, scoprendoli ben adatti alla sua nuova fisionomia fisica: erano composti da un pantalone nero, calzari dello stesso colore ed una maglietta rossa che si intonava con la sua capigliatura. Una volta vestito rimase indeciso a lungo se indossare o meno il coprifronte datogli da Sasuke. Lo soppesò, domandandosi se avrebbe insospettito qualcuno liberandosene troppo velocemente. Alla fine, più per abitudine che altro, lo legò attorno alla fronte, uscendo dalla stanza per cercare qualcosa da mangiare, rimanendo sorpreso di trovarsi Kiyoko di fronte.

“E tu che ci fai qui?”

“Baka!” lo redarguì lei con una linguaccia. “Ora che sei diventato il mio Fratellone, devi saperti muovere qua dentro!” gli afferrò la mano, trascinandolo a forza lungo i corridoi. “Forza, ti porto a mangiare qualcosa. Avrai fame, Baka che non sei altro!” vagamente perplesso, lo shinobi si fece guidare lungo i corridoi, sempre più confuso dal carattere di quella ragazzina.

Giunsero in pochi minuti in un'ampia sala. Era diversa da quella in cui l'Uzumaki era stato accolto: lunghi tavoli in pietra gremiti di persone occupavano l'ambiente, talmente pieno di voci e frastuoni che in principio ne fu assordato. Kiyoko lo guidò con fare sicuro verso un gruppo di persone, tra le quali riconobbe Giichi, Gihei e lo spadaccino affrontato poche ore prima.

“Sei sempre la solita, Yoko!” esclamò quest'ultimo. “Stavano per iniziare a mangiare senza di te!”

“Sta zitto, Baka!” esclamò l'azzurra. “Ragazzi, vi presento Nagato! È il mio nuovo Fratellone, quindi trattatelo bene, è chiaro?!” boccali e bicchieri si alzarono in cielo per salutare lo shinobi, il quale si limitò a sorridere, sorpreso dal calore e dall'allegria di quel posto. Fu trascinato a sedere in mezzo a gente che non aveva mai visto prima, ricevendo subito un boccale in birra scura in una mano, ed una storma di nomi che gli giunsero da ogni parte. Di fronte a lui, Giichi sogghignò, divertito dall'imbarazzo del nuovo arrivato.

“Non serve che li ricordi tutti.” gli sussurrò in un momento di pausa. “Solo Himawari ci riesce, ma lei è un caso particolare.”

“Chi?” chiese subito Naruto sentendo quel nome.

“Himawari, la donna che hai incontrato prima.” gli indicò con il boccale la donna bionda, in quel momento impegnata a conversare con due ragazze brune dall'altro capo del salone. “E' il nostro capo, e devo ammettere che la tua scelta di risparmiare Katsuo l'ha impressionata positivamente. Hai dimostrato di avere una morale, e questo per lei conta più di ogni altra cosa.”

Himawari... Naruto rimase a fissarla a lungo, incredulo. Dunque era quella giovane donna così dolce e gentile il famigerato capo dei ribelli, colei che da sola stava piegando l'intera nazione. Per un istante la sua mente fu invasa dal ricordo del suo profumo, che gli provocò un gonfiore doloroso dentro ai pantaloni. Distolse subito lo sguardo, il viso imporporato, sorseggiando la propria birra nel tentativo di pensare ad altro.

Cosa diavolo mi sta succedendo? Perché quella donna mi mette così in crisi? Per un istante fu tentato di chiedere consiglio a Kurama, ma poi si trattenne. Non era sicuro che il Bijuu avrebbe trovato pertinenti i suoi pensieri in merito a quella faccenda.

Sei marito e padre ora... vedi di ricordati perché sei qui.

Tentò di passare il resto della serata in silenzio, mangiando avidamente dopo giorni di magra. Il cibo e l'alcool però sciolsero ben presto i suoi tentativi di restare in disparte. Kiyoko, Giichi e Gihei lo invitarono più volte a discutere assieme ai loro compagni. Senza rendersene conto, Naruto scoprì di trovarsi bene con quelle persone: erano allegre, gentili e gioviali. Nessuna di loro si avvicinava alle descrizioni di ferocia e crudeltà che erano giunte a Konoha. In un angolo della sua mente si chiese per quale motivo quelle persone avessero imbracciato le armi contro il suo villaggio e, soprattutto, se le parole di Yoichi fossero vere: se tutti loro lo odiassero e si auguravano che morisse il prima possibile. Furono quesiti che si portò dietro fino a quando fu l'ora di coricarsi nella sua nuova stanza, dopo aver salutato Kiyoko e gli altri. Lì, nel silenzio e nell'oscurità, l'Uzumaki fu assalito dai dubbi, domandandosi se quello che stava facendo fosse giusto.

Non è il momento di cadere preda di simili incertezze.” la voce rombante di Kurama lo scosse, agitandogli i pensieri.

Eppure faccio fatica a credere che tutti loro siano dei mostri.” si morse le labbra, le iridi verdi piantate sul soffitto sopra di sé. “E se stessimo sbagliando tutto? Se il Daiymo fosse veramente nel torto?”

Naruto... non spetta a noi decidere cosa è giusto e cosa non lo è. Hai fatto una scelta: proteggere ad ogni costo la pace che la tua generazione ha ottenuto con grandi sofferenze.” il demone scrutò attentamente l'amico, nella voce un tono di sincera preoccupazione. “Vedi di non dimenticarlo mai.”

Naruto annuì, ammettendo le ragioni del Bijuu. Ormai si era spinto troppo in là per tornare indietro. Dubbi e ripensamenti non potevano essere contemplati.

Eppure, per quanto quella notte si sforzò, non riuscì a dimenticare il profumo di Himawari, la risata di Kiyoko, e il calore di Gihei e Giichi.

 

 

La mattina dopo, uscendo dalla propria stanza, rimase letteralmente sconvolto quando vide il volto di Himwari a pochi centimetri di distanza dal suo. Indietreggiò di colpo, sbattendo la nuca sullo stipite in pietra, domandandosi, in preda a dolori atroci, perché la gente si divertisse a fare agguati innanzi alla sua porta.

“Tutto bene?” chiese con espressione preoccupata la donna.

“Sì... nessun problema.” balbettò lo shinobi, massaggiandosi con vigore la zona lesa.

“Ottimo!” con un sorriso, la ragazza gli mostrò un sacchetto in carta. “Ho pensato di portarti la colazione. In questo modo, possiamo conoscerci meglio!”

“Ah...” ancora una volta il suo profumo gli mandò completamente in pappa il cervello, e fu solo con un enorme sforzo che si trattenne dal togliersi i vestiti “D'accordo.”

Uscirono all'aria aperta, fuori dalle mura. Il sole del mattino riempiva di luce dorata gli spruzzi d'acqua tutt'intorno, quasi fossero una corona che cingeva il lago. Naruto rimase incantato da quello spettacolo, rimanendo ad osservare a lungo l'acqua che scendeva rapida. Himawari rise, notandolo lo stupore fanciullesco sui tratti dell'Uzumaki.

“Sei strano.” constatò, passandogli una brioche ancora calda. “Non ho capito molto su di te, ma ieri sera mi hai spiazzata. Non credevo esistesse qualcuno capace di battere Katsuo in un duello.”

“Forse ho avuto solo fortuna.” provò a schernirsi il giovane uomo. “In fondo, ho vinto usando un trucco.”

“Non era fortuna. Hai saputo maneggiare in modo eccezionale la moltiplicazione del corpo, e questo fa di te uno shinobi di indubbio valore.” gli sorrise nuovamente, facendolo arrossire. Iniziarono a costeggiare il lago, baciati dai raggi obliqui del mattino. Naruto ebbe l'impressione di non essersi ancora alzato ma di stare vivendo uno splendido sogno.

“Parlami di te.” esclamò improvvisamente la bionda, guardandolo con un sorriso. “Perché sei scappato dal tuo villaggio?”

Naruto esitò. Sapeva cosa doveva dire, dopotutto lui e Sasuke avevano speso molte ore per dare credibilità al suo personaggio, ma si trovava a disagio nel mentirle, specie quando sorrideva come in quel frangente.

“Oh, mi dispiace! Non volevo metterti a disagio.” esclamò lei, fraintendendo la sua esitazione. “Non è necessario se non vuoi, davvero.”

“Avevo un amico.” mormorò con tono spento lui, interrompendola. “Eravamo cresciuti insieme, combattendo fianco a fianco durante la Grande Guerra.” rivolse gli occhi verso il lago, amareggiato dal dover mentire in quel modo. “Un giorno venne accusato di un crimine che non aveva commesso. Tentai di liberarlo, ma durante la fuga venimmo scoperti. Lui fu ucciso, ed io dovetti scappare per non subire la stessa sorte.” tornò a guardare Himawari, la quale ora lo fissava con espressione seria. “Da allora ho viaggiato per molti paesi, ma quando ho sentito di questa rivolta... ho pensato che poteva essere l'occasione di una svolta, la possibilità di tornare ad avere uno scopo.”

Per alcuni istanti l'unico rumore fu quello dello scorrere dell'acqua. Naruto non riuscì a guardarla in faccia, sentendosi intimamente un verme a compiere tutto quello. Sapeva che era necessario per proteggere la propria famiglia, ma ciò non gli rendeva meno amara la bocca, quasi avesse ingerito della cenere.

“Posso capire il tuo stato d'animo.” rispose la donna giocherellando con l'elsa della propria ascia. “Anche io per molto tempo mi sono chiesta se questo mondo avesse per me uno scopo, qualcosa che desse un senso alla mia vita.”

“Quanti anni hai, Nagato?” chiese successivamente con tono dolce, sbocconcellando il croissant.

“Ventitré.”

“Dunque eri molto giovane quando ci fu la Grande Guerra.”

“C'erano altri ragazzi della mia stessa età. Non tutti però hanno avuto la mia fortuna.”

“Fortuna...” gli occhi cerulei erano bloccati sullo specchio d'acqua, quasi fossero persi in ricordi antichi. “Anche io ero lì, Nagato. Otto anni fa... ero lì quando la follia degli uomini esplose in tutto il suo orrore.”

“Hai combattuto contro l'Akatsuki?” questa volta lo stupore dello shinobi fu genuino.

“Divisione Combattimenti a Corta Distanza.” snocciolò a memoria la bionda, un sorriso amaro sulle labbra carnose. “Sai, sono originaria di Konoha.” sentendole pronunciare quel nome, l'Uzumaki dovette fare ricorso a tutto il proprio autocontrollo per non fare raggiungere ai propri occhi le dimensioni di piattini da tè.

“K-Konoha?” la sua voce ebbe un fremito, ma fortunatamente Himawari non se ne accorse, impegnata a fissare il proprio riflesso nell'acqua. “Sei originaria di questa nazione, quindi.”

“Oh sì.” rivolse il proprio sguardo al rosso. “Ma non credere che abbia bei ricordi di quel posto. Ero un'orfana, quindi ho passato la mia infanzia praticamente da sola. Gli altri bambini mi evitavano, forse per il mio aspetto sempre trasandato, oppure perché gli adulti mi accusavano di essere una ladruncola; devo dire che non ho mai tentato di smentire simili voci.” prese a giocherellare con una ciocca bionda, scoppiando in una risata amara. “Ma forse ti sto annoiando.”

Naruto non rispose. Rimase a fissarla impietrito, il cuore che pompava in qualche punto indistinto del collo. Gli sembrava impossibile che anche lei fosse originaria di Konoha, che avesse vissuto le sue stesse sofferenze, la stessa solitudine. Si domandò quale divinità fosse stata così bastarda da organizzare un simile incontro, dalla quale non era sicuro di riuscire ad uscirne indenne.

“No...” mormorò con tono impassibile. “Non mi stai annoiando.”

Lei lo guardò per alcuni secondi, un'occhiata capace di scrutarlo dentro, donandogli la sgradevole sensazione di essere nudo. Rivolse lo sguardo verso il lago, sentendosi meno a disagio. C'era qualcosa di quella donna che lo metteva in crisi, rimescolandogli il sangue in un modo nuovo, sconosciuto, che lo spaventava, quasi non fosse più padrone del proprio corpo.

“Sei un tipo strano.” ripeté la donna a voce bassa. “Forse ti starai chiedendo per quale motivo io stia qui a chiacchierare con te, un perfetto sconosciuto. La verità è che non ho mai avuto prima d'ora una famiglia, ma queste persone, tutti voi, lo siete diventati.” alzò gli occhi al cielo. “Voglio creare un paese migliore, e lo voglio fare assieme a voi.”

“Un paese migliore?”

“Sì, Nagato. Io ho viaggiato dopo la guerra, ho visto come questa nazione fosse stata ridotta in ginocchio: villaggi devastati, famiglie distrutte, orfani di guerra abbandonati al loro destino.” la sua voce divenne più aspra, l'animo ribollente di collera. “Dalla grande nazione del Fuoco si alzava al cielo un grido di dolore, ma cosa hanno fatto l'Hokage e il Daiymo? Quali risposte sono giunte al contadino, al mercante, al pescatore? Solo una crudele e squallida indifferenza! Non posso accettare che il mio popolo venga privato in questo modo della sua dignità, non finché avrò sangue nelle vene.”

Naruto non disse nulla, percependo lo stomaco contrarsi violentemente per i sensi di colpa. Le parole di Yoichi tornarono a bruciare con sadica violenza, mostrandosi per quello che erano: la cruda verità.

Dunque è vero... ho condotto questo paese alla miseria, e gli ho voltato le spalle. Fu costretto ad uno sforzo immenso per non vomitare in quell'istante, disgustato da se stesso. Tutto quello che aveva fatto fino a quel momento gli parve meschino e squallido, un egoistico desiderio di gloria personale, lordo del sangue di migliaia di innocenti.

Ho sbagliato ogni cosa. Io... non avrei mai dovuto... le sue elucubrazioni vennero interrotte da Himawari, la quale gli mise le mani sulle spalle, sorridendogli con sicurezza.

“Lascia perdere i vaneggiamenti di una sciocca!” esclamò. “Ti ho assegnato alla squadra di Yoko, sotto sua insistenza. Partirete per la prima missione questo pomeriggio.”

“Ok...” il profumo di lei lo avvolse, causandoli gli ormai noti problemi di gonfiore all'inguine. Fu quasi con sollievo che la vide staccarsi, ringraziando silenziosamente il proprio autocontrollo. Per essere stato allievo dell'Ero-Sennin, non se la cavava male.

“Non sei tipo di molte parole, vero?” le labbra rosse della bionda si incurvarono in un sorriso che aveva ormai imparato a riconoscere. “Raggiungi Yoko, lei ti dirà il da farsi. Cerca di fare del tuo meglio, ok?”

“V-va bene...” mormorò lo shinobi, ancora scosso per il tumulto che stava provando.

“E' stato un piacere conoscerti!” con un ultimo saluto, Himawari si incamminò verso la città. Naruto alzò la mano, i lineamenti del viso contratti in qualcosa simile a stupore. Fino a quel momento, ogni cosa era stata totalmente diversa da come se l'era immaginata, e ciò lo lasciava confuso e turbato.

Non è così che doveva andare.

 

 

Vide Kiyoko porgergli una sacca nera decorata con un gatto rosso. La squadrò perplesso, domandandosi quale diavoleria quella piccoletta avesse architettato questa volta.

“Ehm... cosa sarebbe?”

“Baka! Questi sono i tuoi nuovi shuriken! I tuoi erano così arrugginiti che non avrebbero tagliato neanche un panetto di burro, Baka che non sei altro!” sospirando, Naruto si appese il nuovo strumento alla vita. Aveva capito che con quella ragazzina non c'era speranza di vincere una discussione.

Uscirono dalla grotta, inoltrandosi tra la foresta rigogliosa. Erano in quattro: Naruto, Kiyoko, Giichi e Gihei. Non si mossero in modo da ricordare una missione ninja, inoltrandosi con fare tranquillo nel sottobosco. L'azzurra poi non faceva che chiacchierare con tono esageratamente alto, assordando le povere orecchie dei suoi compagni. L'Uzumaki preferì concentrarsi sul paesaggio circostante, come d'accordi con Sasuke. Doveva assolutamente scoprire la posizione precisa di quel luogo, e comunicarlo all'Uchiha. I dubbi della mattina non era scomparsi, ma aveva preferito accantonarli. Se voleva tornare dalla sua famiglia, avrebbe dovuto completare quella missione.

Sarò stato anche un mostro, ma non sarò così bastardo da costringere mio figlio a crescere in mezzo ad una guerra.

“Cosa stai facendo?” la voce di Giichi lo fece sussultare, riportandolo bruscamente alla realtà.

“Nulla...” dichiarò con tono un po' troppo frettoloso. Dentro di lui Kurama si schiaffò una zampa sul muso, chiedendosi per quale motivo il suo Jinchuuriki doveva essere un dannato imbecille. “Mi stavo solo chiedendo che tipo di missione ci attende. Non mi sembrate particolarmente tesi o preoccupati.”

“Non preoccuparti per la missione.” esclamò Gihei, sbattendogli una mano sulla schiena, donando all'Uzumaki l'impressione di avere conficcato in gola un polmone. “Vedrai che saremo di ritorno per cena.”

“Smettetela, Baka!” li rimproverò Kiyoko. “Risparmiate il fiato per dopo.”

Dopo? Naruto non era del tutto sicuro di ciò che stava succedendo, ma decise di non chiedere altro, più che altro per evitare le 'dolci' pacche di Gihei.

 

 

Naruto squadrò con fare sconvolto l'immenso campo che si estendeva innanzi a sé. Sotto il bollente sole di fine giugno sembrava non avere fine.

“Credo di non aver capito bene...” borbottò. “Io dovrei sistemare questo campo?”

“Entro il tramonto!” esclamò Kiyoko, ficcandogli una falce in mano. “Io mi occuperò del pollaio, mentre Giichi e Gihei raccoglieranno la frutta.”

“Ma...” tutto quello gli sembrò assurdo. Si girò, osservando la fattoria dove erano arrivati. Sulla soglia, una coppia di anziani li guardava lavorare con un sorriso sulle labbra screpolate. “Perché?”

“Perché questa gente ha bisogno di aiuto, Baka!” replicò l'azzurra. “La figlia è morta di parto, e il genero è scomparso durante la Grande Guerra.” lo squadrò con un'occhiata ribollente. “Non mi dirai che sei anche tu uno di quelli che pensa che un ninja non si abbassa ad aiutare le persone in difficoltà?”

“No... certo che no.”

“Allora mettiti a lavorare e piantala con le domande stupide, Baka!” con un sospiro, lo shinobi afferrò la falce, iniziando a tagliare i fusti di grano. Ben presto fu costretto a togliersi la maglietta zuppa di sudore, arrotolandosela attorno alla testa per proteggersi dai raggi roventi.

Tutto questo non ha alcun senso.” ringhiò, i muscoli della schiena che bruciavano per la fatica.

Perché? Se facendo questa fatica permetterai a quei due di sopravvivere...”

Non sto parlando di questo, Kurama!” sbottò l'amico. “Sto dicendo che nulla di tutto ciò che credevamo di conoscere su di loro è giusto. Non sono mostri che avevamo dipinto!”

Stanno provocando una guerra. Questo mi sembra un motivo sufficiente per spazzarli via.”

Vogliono solo che le persone comuni non vengano dimenticate! Pensaci, Kurama! Quando è stata l'ultima volta che abbiamo fatto una cosa così semplice come aiutare un fattore? Tra guerre, poteri, reincarnazioni e tutto il resto abbiamo perso la capacità di vedere vicino a noi!” guardò il Bijuu con uno sguardo che quest'ultimo non vedeva da lunghi anni. “Abbiamo perso di vista le cose importanti!”

Può essere.” sbuffò la volpe. “Ma cosa credi che succederà se li lascerai fare? Pensi davvero che il loro obiettivo finale verrà raggiunto?”

Cosa intendi dire?”

Hai dimenticato le parole del moccioso Uchiha? Gli altri paesi si stanno preparando alla guerra! E se non fermerai questa rivolta, tutti i sacrifici fatti otto anni fa saranno stati inutili.” la voce di Kurama divenne minacciosa. “Tu puoi anche credere alle belle parole di quella mocciosa, ma sappi questo: non ti permetterò di buttare via ciò che hai costruito per un mero capriccio.”

Mi stai minacciando?”

Sto solo ricordandoti il tuo dovere.”

So cosa devo fare, non serve che me lo ricordi continuamente!”

Davvero? Mi sembrava di ricordare che tu fossi sposato, ma da come guardi quella donna non ne sono più sicuro.”

Ora basta! Non sei la mia balia!” reagì lo shinobi, punto sul vivo. “E' compito mio portare a termine questa missione, mio soltanto!” il Kyuubi non rispose subito, squadrando il Jinchuuriki in modo imperscrutabile.

Non sei il primo a dire certe cose...” strinse gli occhi con fare malevolo. “Sai di chi sto parlando, vero?”

Non metterti in mezzo, Kurama!” lo minacciò Naruto, deciso più che mai ad evitare l'argomento Sasuke. “Non ti permetterò di fare a modo tuo!”

Rilassati, lo sai che sono un tipo riservato.” il demone sogghignò, assumendo sembianze spaventose. “Attenderò che tu capisca da solo dove ti condurrà questa strada.”

Bene!” lo shinobi chiuse di scatto quella conversazione, l'animo più turbato di quanto voleva ammettere. Le parole di Kurama l'avevano scosso, iniettandogli in corpo il terrore di stare diventando come il vecchio Sasuke, cieco ad ogni cosa che metteva in discussione la bontà delle sue azioni.

Io non sono come Sasuke! Pensò, tagliando con rabbia gli steli di grano. So bene cosa è giusto e cosa non lo è, volpe del cavolo!

Rimase di malumore per tutto il pomeriggio. Alla fine della giornata, quando il sole incominciò a tingersi di rosso, lo shinobi si sgranchì la schiena dolorante, i muscoli che bruciavano per la stanchezza. Lavorare sotto quella calura gli aveva inacidito il sangue, peggiorandone ulteriormente l'umore. Rimase in silenzio per la maggior parte del viaggio di ritorno, lo sguardo fisso a terra, la mente scossa dalle parole del Bijuu.

Kurama sta sbagliando: non mi sto facendo influenzare. So bene anch'io che tutto questo è sbagliato.

“Ehi, Fratellone!” la voce di Kiyoko lo riportò bruscamente alla realtà. “Perché quel muso lungo? Non dirmi che uno forte come te si è stancato a lavorare un pomeriggio nei campi!”

“Avanti, Yoko! Lascialo respirare!” la rimproverò Gihei. Per tutta risposta, l'azzurra gli fece una linguaccia, andando avanti per conto proprio, mormorando parolacce assai poco femminili.

“Fate spesso lavori di questo genere?” chiese Naruto, tentando di distrarsi dai propri pensieri cupi.

“E' una pratica comune.” rispose Giichi sbadigliando. “Ogni squadra ha un certo numero di villaggi e famiglie che aiuta, in cambio la gente ci avvisa dell'arrivo dei soldati del Daiymo o ci regala quello che hanno in eccesso.”

“Ovviamente se ci capita di incontrare quei bastardi non ci tiriamo certo indietro.” aggiunse Gihei. “Ma cerchiamo di evitare di coinvolgere gli abitanti dei centri abitati, per timore che subiscano rappresaglie da parte del Daiymo.”

L'Uzumaki sbatté le palpebre, perplesso da quella risposta che era in contrasto con ciò che gli aveva riferito Sasuke. Quando espose i propri dubbi ai due ribelli, questi ultimi scoppiarono a ridere.

“Abbiamo sparso noi quella notizia in giro.” gli spiegò Giichi. “E' molto comodo far sapere al proprio nemico che si vuole radunare un'armata dove in realtà non c'è un bel niente. Averci incontrato quella sera per te è stato un vero colpo di fortuna! Non mandiamo spesso gente in ricognizione dalle parti di Boosha.”

Dunque quella notizia era falsa... forse il loro rifugio non è vicino a quella città. Avrebbe avuto bisogno di girovagare da solo per qualche ora, in modo da potersi fare un'idea del territorio circostante. L'unico problema era trovare una scusa plausibile per evitare di essere smascherato. Fu tentato per un istante di chiedere consiglio a Kurama, ma il ricordo della loro lite era ancora troppo fresco.

Farò da solo. Da qualche parte dentro di sé, lo shinobi sapeva che stava sbagliando a non chiedere aiuto all'amico, ma l'orgoglio era più forte di tutto. Porterò a termine questa missione senza coinvolgere nessuno.

Si inoltrò nella foresta assieme ai suoi compagni, cercando in quella determinazione malsana la forza di concludere quella missione.

 

 

Le settimane trascorsero rapidamente. Luglio portò con sé caldo e venti bollenti, rendendo l'aria afosa e pregna di umidità. Naruto si immerse sempre di più in quella nuova vita parallela, iniziando a gustarsela. Vivere nella Grotta delle Cascate era splendido, e le persone lo trattavano in un modo diverso da quello cui era abituato: per loro non era né un eroe né un mostro, ma solo un uomo; Nagato della Pioggia.

I giorni si susseguivano leggeri, ridendo, mangiando, stringendo amicizie e lottando affianco di coloro che doveva tradire. Tentava di pensarci sempre meno a quel lato della sua missione, mentre il pensiero di schierarsi veramente dalla parte dei ribelli prese a tentarlo. Li vedeva combattere per qualcosa di giusto, mossi dall'idea che la gente comune non doveva essere abbandonata al suo destino. Osservava come aiutavano i contadini, i poveri, i bisognosi sempre con un sorriso sulle labbra, senza mai chiedere nulla in cambio. Si chiedeva cosa ci fosse di sbagliato in tutto questo, per quale motivo avrebbe dovuto tradire la loro fiducia. Himawari poi era diventata la sua ossessione. La vedeva sempre sorridere, pronta a consolare o aiutare chiunque. Poteva toccare con mano ciò che gli aveva detto durante la loro chiacchierata sulle rive del lago: quelle persone erano la sua famiglia, e lei desiderava proteggerle tutte, costruendo con esse un paese migliore. Che si trattasse di scaricare delle casse, pulire un malato, o consolare qualcuno per una perdita, lei c'era sempre, instancabile, disposta a tutto per la propria famiglia. Si era accorto che era piacevole fissarla di sottecchi, constatare la grazia e la forza che emanava la sua figura. Ogni volta che i loro occhi si incrociavano, Naruto sentiva il sangue bollire come pece ardente, rendendolo incapace di pronunciare parole di senso compiuto. Sapeva che era sbagliato, che era sposato e con un figlio, ma non riusciva a bloccare le pulsioni del proprio corpo, attratto dalla bionda come una falena alla luce.

Eppure, per quanto potesse illudersi, i venti di guerra soffiavano sopra la calura estiva. Sempre più spesso aveva notizie di scontri tra i ribelli ed i soldati del Daiymo, o contro gli shinobi di Konoha. Ogni volta che udiva quel nome, il cuore smetteva di battere per un istante, mentre i volti dei suoi amici e della sua famiglia gli riempivano la mente. Si sentiva come diviso in due, incapace di comprendere cosa fosse giusto e cosa no. Un pensiero che ritornava bruscamente quando doveva prendere una delle pillole per il camuffamento, ognuna di esse pronta a ricordargli come il tempo a sua disposizione fosse sempre meno. Che la figura di Nagato dietro al quale una parte di lui anelava nascondersi per sempre era destinata a scomparire, riportandolo bruscamente alla realtà: Uzumaki Naruto, eroe degli shinobi, e nemico del popolo.

Cosa devo fare? Era una domanda che lo tormentava nel profondo, mettendolo di fronte ad una scelta tremenda: da una parte il suo dovere di shinobi e padre, dall'altra ciò che sentiva fosse giusto fare.

Cosa devo fare?

 

 

Osservava la mappa di fronte a sé, chiuso nella sua stanza. Sul rotolo erano incisi ingressi, punti deboli, turni di guardia e punti di fuga della Grotta delle Cascate, risultato di un mese di esplorazioni ed annotazioni notturne. I minuti trascorsero lenti, mentre Naruto fissava il foglio, incapace di trovare risposta al dubbio che lo tormentava. Luglio era ormai agli sgoccioli, e non poteva più indugiare.

Cosa devo fare? Di nuovo quel quesito. Si mise le mani tra i capelli, incapace di scegliere. Si accorse che quel dubbio l'aveva roso fin nel profondo, annullando ogni sua certezza. Se avesse inviato quel documento Kiyoko, Gihei, Giichi e tutti coloro che l'avevano accolto con affetto in quell'ultimo mese sarebbero stati spazzati via, distrutti dalla guerra. Senza contare che, con ogni probabilità, Himawari sarebbe morta.

Himawari... il pensiero della kunoichi bionda gli diede la forza di prendere una decisione. Con movimenti rapidi e secchi nascose la mappa, stando bene attento che nessuno notasse il piccolo buco che aveva scavato nella roccia.

Non tradirò la loro fiducia. Si sentì meglio, come non capitava da tempo. Si convinse che c'era ancora tempo, tempo per fermare la rivolta in modo pacifico, per evitare l'ennesimo spargimento di sangue, per impedire che Himawari, Kiyoko e tutti coloro che l'avevano fatto sentire uno di loro perissero tra le fiamme della guerra. Uscì dalla stanza con quel pensiero in mente, un sorriso carico di gioia e speranza sulle labbra.

Aveva fatto la propria scelta.

Non aveva idea che ciò l'avrebbe distrutto.

Per sempre.

 

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell'Autore:

 

Ed ecco qui la terza parte di questa storia sulla ribellione!

Allora, colgo subito l'occasione per dire che Naruto NON è innamorato di Himawari, e che il loro rapporto sarà qualcosa di più complesso di un semplice colpo di fulmine. In ogni caso, Hinata resta la donna della vita dell'Uzumaki, e tale resterà.

Posso inoltre dirvi che finalmente, dopo tagli e ritagli, ho trovato la quadra di questa storia, che si concluderà con altri due capitoli. Ovviamente la raccolta proseguirà, ma ho pensato di rendere la cosa più concisa, per evitare di costruire una sotto trama eccessivamente complessa. Il personaggio di Himawari, per quanto possa apparire simile a Naruto, in realtà è molto diverso, e verrà approfondito meglio nel prossimo capitolo.

Bene, anche questa volta ho concluso. Come sempre ringrazio chiunque legga e segue questa storia, e ricordo che le recensioni (anche critiche) sono ben accette!

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 15
*** Il dovere di uno shinobi, parte quarta ***


The Biggest Challenge


15pjpko
 

Il dovere di uno shinobi

 

Parte Quarta

 

 

 

Un urlo atroce si alzò nell'aria, pari a quello di una belva ferita. Ino si morse le labbra fino a spaccarle, il volto reso rosso per lo sforzo. Al suo fianco, un'arcigna Tsunade le intimava di respirare profondamente, con scarso successo di ascolto.

“Sono venti ore che va avanti questa storia, non ne posso più!” urlò con una verve d'isterismo la Yamanaka. “Dica a quello stronzo di mio figlio di uscire, che mi sono rotta le palle di averlo dentro di me!”

“Ci siamo quasi.” replicò il Quinto, sollevando gli occhi al cielo. Era da oltre un giorno che Ino si stava comportando come una pazza isterica, più o meno da quando le doglie erano arrivate con oltre quindici giorni di anticipo. Se non fosse stato per il suo giuramento di medico, la Sannin avrebbe già sbattuto la porta dietro di sé, ordinando a Shizune di occuparsene, preoccupandosi solamente di dove consumare la bevuta del mattino.

“Perché proprio a me, perché?!” gemette la Yamanaka, trattenendo a stento l'ennesimo urlo di dolore. “Maledetto Sai! Se prova a mettermi incinta di nuovo giuro che gli strappo quell'inutile uccello a mani nude!”

“Devi rilassarti!”

“Mi spiega come faccio a stare calma?!” urlò la kunoichi bionda, gli occhi leggermente sporgenti. Sembrava posseduta da una divinità malvagia. “Che tu sia maledetto Sai! Giuro su tutti gli dei che questa me la paghi molto cara!” afferrò con così tanta forza le sbarre del lettino che il metallo gemette. “Shika! Dov'è Shika?! Perché quell'ubriacone bastardo non è qui al mio fianco?!” ululò successivamente, constatando l'assenza del suo migliore amico.

“Gli ho detto di uscire.” rispose l'ex Hokage. “E' stato al tuo fianco per tutta la notte, e non si reggeva neanche in piedi. Quel ragazzo dorme troppo poco.”

“Chi se ne fotte di quanto dorme quello stronzo!” reagì con aggressività Ino, il petto che si alzava freneticamente. “Dov'è?! Giuro che castro a mani nude anche lui se entro tre secondi non è...” l'ennesima fitta al ventre le mozzò la voce, costringendola a liberare nell'aria l'ennesimo strillo. Tsunade dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per non urlarle di stare zitta, ma dentro di sé la Sannin si domandò per quale motivo quel bambino ci metteva così tanto ad uscire, a meno che, ipotizzò, non fosse terrorizzato al pensiero di avere una madre posseduta dal maligno.

“SAI, GIURO CHE TI UCCIDERO'!”

Nello stesso istante, in corridoio, due spossati Shikamaru e Choji fissavano la porta della stanza della loro compagna.

“Pensi che abbia bisogno di noi?” domandò l'Akimichi, udendo Ino ululare frasi irripetibili contro il padre di suo figlio.

“Onestamente, faccio fatica a notare la differenza dal suo comportamento di tutti i giorni.” borbottò lo shinobi delle ombre, sorseggiando schotch dalla sua inseparabile fiaschetta.

“Shika, sono serio.” la voce del moro era carica di preoccupazione. “Non dovresti scherzare su certe cose.”

Il Nara non rispose subito, chiedendosi da quando il suo migliore amico fosse diventato anche la sua coscienza. Fece un profondo respiro, immaginando Temari in quella stessa stanza, mesi dopo, a soffrire per far nascere suo figlio.

Probabilmente sputerà veleno. Emise uno sbuffo, alzandosi di scatto. Era consapevole che se ne sarebbe pentito, ma entrò lo stesso. Choji lo seguì, un sorriso sul viso. Sapeva che l'amico non l'avrebbe mai ammesso apertamente, ma teneva moltissimo a loro.

Quando il Nara entrò, la prima cosa che vide furono gli occhi cerulei dell'amica. Gli stessi occhi che per anni aveva visto lucenti di gioia, o intorbiditi per il dolore, in quel preciso istante erano ricolmi di qualcosa di profondamente diverso: lampi di luce roteavano attorno alla pupilla, mentre nubi cupe di paura presero a diradarsi nel vedere i propri amici al suo fianco.

“Shika... Choji...” ansimò, incurvando le labbra sanguinanti verso l'alto. “Era ora...”

Shikamaru sospirò, andando a stringere la mano di lei, subito racchiuse entrambe nella manona calda e soffice di Choji, sorridente come sempre.

“Siamo con te, Ino.” sussurrò l'Akimichi. “Fino alla fine.”

“Intendila come una minaccia, sia chiaro.” aggiunse il ninja con il codino, facendo ridere l'amica.

“Ragazzi...” non riuscì a trattenere una lacrima, anche se non era certa che fosse dovuta al travaglio. “Grazie.”

Shikamaru non ebbe mai modo di parlare con qualcuno di quella mattina d'estate trascorsa in ospedale con i propri amici di una vita. Gli fu difficile dire quale fu il momento più complicato da gestire: quando Ino gli frantumò ogni falange della mano destra, oppure l'istante in cui vide il figlio dell'amica dormire il primo sonno della propria vita tra le braccia della madre, quest'ultima con un sorriso sul volto che mai le aveva visto prima d'ora.

“E' meraviglioso.” sussurrò Choji, sfiorando con un dito il volto paffuto di Inojin.

“Sì...” mormorò la Yamanaka, incantata nell'osservare quanto fosse splendida quella minuscola creatura. La rabbia di prima era sfumata, lasciando posto nel suo animo ad una dolcezza senza fine. “Il mio piccolo Inojin.” appoggiò le labbra sulla fronte del bebè, la mente che volò al ricordo del padre, scomparso anni prima.

Papà... proteggilo sempre, per favore.

“Chi sono i tutori?” domandò Tsunade, lievemente perplessa nel vedere come era mutato l'atteggiamento della neo mamma. Quest'ultima, senza smettere di sorridere, indicò con gli occhi gli amici al suo fianco, lasciandoli impietriti.

“So che non è molto comune nominare due padrini...” strinse la mano di Shikamaru, ridacchiando. “Ma desidero che siate voi i suoi tutori.”

“Ino...” Choji nascose il viso dietro una manona, tirando su rumorosamente con il naso, il tutto mentre il Nara emise un profondo sospiro di rassegnazione.

E siamo a due figliocci...

“Con una madre del genere, tremo al pensiero di come crescerà.” borbottò. Per tutta risposta, Ino gli tirò un pugno sul braccio, regalandogli un livido di tutto rispetto.

“Perché devi trattarmi come se fossi il tuo sacco personale?” chiese il moro, massaggiandosi la parte lesa.

“Era solo una carezza!” sbuffò la kunoichi. “Mi raccomando Tesoro, non diventare mai come lo zio Shika.” aggiunse con voce zuccherosa al figlio addormentato.

“Ci mancherebbe altro...” soffiò il Nara, mettendosi le mani in tasca. Aveva voglia di fumare, ma poteva aspettare. In quel momento, vicino al suo secondo figlioccio, comprese meglio cosa era accaduto quel giorno lontano in cui lui, Choji ed Ino erano stati scelti per formare una squadra. Era successa una cosa meravigliosa, lenta e inarrestabile. Qualcosa che, una volta accaduta, non aveva potuto fare altro che accettarla.

Si era trovato una famiglia.

Ino... fissò con sguardo intenerito la sua migliore amica tenere in braccio il nascituro. Sembrava così lontana quella sera d'inverno dove lei era quasi scoppiata in lacrime al pensiero di diventare madre. A distanza di nove mesi, era sicuro che Inojin avesse una madre meravigliosa, che l'avrebbe accudito con tutto l'amore possibile.

Benvenuto tra noi, piccola seccatura.

Sì, per una volta, le sigarette potevano aspettare.

 

 

Quando Hinata aprì la porta rimase scioccata nel trovarsi a pochi centimetri dal viso un ansimante Akamaru. Emettendo un urlo per la sorpresa, la kunoichi indietreggiò rapidamente, perdendo l'equilibrio. Prendendolo come un segno ad entrare, il gigantesco cane saltò addosso alla mora, ricoprendole il viso di viscida bava.

“No! Basta... Akamaru-san, smettila ti prego...” Hinata tentò di ripararsi come poté da quella tempesta di pelo e saliva canina, il tutto mentre una risata si alzava dall'ingresso.

“Ma come? Sono secoli che non ti vede! Akamaru vuole solo dimostrarti quanto le sei mancata!”

“Kiba-kun, ti prego, digli di smetter...” in quell'istante la sua voce venne soffocata dalla lingua del grosso cane ninja, provocandole urti di vomito al pensiero di cosa le era appena entrato in bocca.

Soffocando una nuova risata, l'Inuzuka richiamò il compagno, permettendo a lui e Shino di osservare la propria amica rialzarsi con i capelli unti e sgocciolanti di bava.

“Forse abbiamo esagerato!” esclamò a mo di scusa lo shinobi moro; al suo fianco Akamaru guaì dispiaciuto, assumendo un'espressione così dolce da assomigliare ad una montagnola di zucchero filato.

“L'avevo detto che non sarebbe stata una buona idea.” mormorò Shino, il viso coperto dagli onnipresenti occhiali da sole e cappuccio. In vista della guerra aveva lasciato da parte la visiera elettronica, a causa della sua fragilità.

Dopo aver fatto accomodare i due amici di una vita in cucina, Hinata corse in bagno a ripulirsi dalla bava canina. Al suo ritorno rimase stupefatta nel vedere Boruto in braccio a Kiba, il quale gli stava presentando Akamaru.

“Questo è lo zio Akamaru, Boruto-chan!” esclamò l'Inuzuka. “E' un grande cane shinobi, e un giorno ti insegnerà a diventare un potente guerriero, proprio come noi!” il figlio di Naruto agitò le manine paffute, scoppiando a ridere quando il suo naso venne a contatto con quello freddo ed umido di Akamaru. Accarezzò più volte la grossa testa canina, il viso rotondo che sprizzava gioia infantile da ogni poro. Seduto affianco all'amico, Shino osservava la scena con perplessità, quasi non avesse idea di cosa dire al nipote. Era un'immagine così dolce che la Hyuga non riuscì a trattenere un sorriso, intenerita dall'affetto che i suoi compagni di team riversavano su Boruto.

Offrì loro del tè. Mentre l'acqua bolliva, l'Aburame si tolse il cappuccio, rivelando corti capelli neri coperti da una bandana scura.

“A volte mi chiedo se tu sia una creatura a sangue caldo, Shino.” borbottò Kiba. “Come tu faccia a sopravvivere vestito così in piena estate resta un mistero.”

“Te l'ho spiegato un sacco di volte: uno shinobi non dovrebbe mai andare in giro a volto scoperto. Potrebbe essere vittima di un agguato.”

“Sarà! Ma per me schiatti prima di caldo!” replicò l'Inuzuka. Shino preferì non ribattere. Si limitò ad alzare una mano, permettendo ad uno dei suoi fidati insetti di ronzare per la stanza. Quest'ultimo, dopo qualche esitazione, si appoggiò sulla fronte di Boruto, impegnato ancora a giocare con Akamaru, ritornando dal proprio padrone dopo alcuni istanti.

“Ho sparso di una sostanza odorosa Boruto-chan.” spiegò ad Hinata. “In questo modo, i miei insetti lo potranno sempre ritrovare, ovunque esso si trovi.”

“Ti ringrazio, Shino-kun.” mormorò la Hyuga, servendo il tè agli amici. Sapeva che quello strano regalo era la più alta dimostrazione d'affetto che l'amico fosse capace di fare, e di questo gliene era grata.

Per alcuni minuti nella cucina ci fu silenzio, rotto solamente dai biscotti spezzati tra le fauci di Akamaru. Hinata non disse nulla, gustandosi la propria tazza. Era felice che i suoi amici fossero lì a farle compagnia, mostrandole il proprio sostegno ed appoggio. Dopotutto, era sempre stato così per loro. Fin da quando erano ragazzini avevano imparato a sostenersi a vicenda, colmando l'uno le lacune dell'altro: Kiba era sempre stato l'elemento più spaccone del gruppo, ma Hinata non dimenticò mai la volta in cui l'amico aggredì suo cugino Neji, reo di averla offesa in maniera inqualificabile. Anche Shino le aveva sempre dato il suo sostegno, fidandosi di lei, ed affidandole compiti difficili durante le missioni, dimostrando che credeva nelle sue qualità di kunoichi. Non che loro non avessero mai fallito. Che si trattasse di consolare l'Inuzuka dopo una sconfitta, oppure convincere Shino a farsi aiutare per correggere un errore, Hinata aveva un ricordo dolce dei loro allenamenti. Erano sempre stati una grande squadra, affiata ed unita da una solida amicizia. Forse i primi veri amici della sua vita.

“Dimmi, Hinata.” chiese improvvisamente Shino, scrutando l'amica con la solita espressione indecifrabile. “Hai avuto più notizie di Naruto?”

Il cuore della donna, addolcitosi al ricordo delle vecchie missioni d'infanzia, crollò di nuovo in un baratro di solitudine. Senza volerlo, l'Aburame aveva appena nominato il suo più grande cruccio.

“No.” mormorò con tono spento. “Non ho ricevuto alcuna notizia.” era passato un mese abbondante dalla partenza dell'Uzumaki, e da allora non si era mai fatto vivo, neanche con il più piccolo segno. Hinata si rifiutava categoricamente di pensare che il suo uomo fosse morto, ma ogni giorno che passava il suo cuore si appesantiva, come se stesse per succedere qualcosa di terribile.

“Naruto non lo capirò mai.” borbottò Kiba sovrappensiero, sorseggiando rumorosamente dalla propria tazza. “Come può andarsene in giro a cercare Sakura in un momento come questo?! È da irresponsabili!” sentendolo parlare in quel modo, la Hyuga prese a mordicchiarsi il labbro inferiore, in preda ai sensi di colpa: non aveva avuto il coraggio di dire la verità ai suoi amici, lasciando loro credere alla versione ufficiale. Era convinta che mantenere il riserbo avrebbe aiutato Naruto nella sua missione.

“Sakura non è una kunoichi qualunque.” replicò a voce bassa Shino. “E' una Sannin, allieva di un Hokage. Direi che trovarla sia invece una missione di vitale importanza per il futuro del nostro villaggio.”

“Ma dove si trova? Possibile che non abbia avuto notizia di cosa sta accadendo?” domandò l'Inuzuka, grattandosi la barba ispida che aveva preso a crescergli sulle guance.

“Forse è impossibilitata a tornare.” gli occhi di Shino brillarono da sotto le lenti scure. “In un paese martoriato dalla guerra come il nostro, viaggiare da soli può essere pericoloso.”

“Sarà! Comunque non vedo l'ora che questa storia finisca.” il moro alzò lo sguardo al soffitto, gli occhi scuri immersi in ricordi del passato. “Non pensavo che saremmo tornati in guerra, non dopo quello che abbiamo vissuto otto anni fa.”

Quella frase cadde nel silenzio della stanza. L'Aburame parve perso nei propri pensieri, mentre Hinata volse lo sguardo alla finestra, pensando al marito. Si chiese dove fosse, cosa stesse facendo e se fosse vicino alla fine della sua missione.

“Hai ragione, Kiba-kun.” sussurrò improvvisamente. “Nessuno di noi poteva immaginarlo. Speriamo che questa guerra finisca presto.”

I due amici non ribatterono. Il loro sguardo cadde sulla figura di Boruto, il quale si era appena addormentato, il faccino appoggiato sul fianco di Akamaru. Compresero subito ciò che attanagliava il cuore dell'amica: il terrore di vedere il proprio figlio crescere in mezzo alla guerra come era capitato a loro.

“Non succederà.” a parlare fu Shino, il tono di voce greve. “Questa guerra non distruggerà Boruto-chan com'è accaduto a noi. Io ho fiducia in Naruto: so che porrà fine a tutto questo.”

Hinata guardò il volto impassibile dell'amico, un'espressione di stupore a distendere i lineamenti del suo viso. Non era da Shino dire certe cose, essendo sempre stato una persona schiva e riservata. Capì che l'aveva fatto per rincuorarla, per starle vicino. Il mondo poteva frantumarsi in mille pezzi sanguinolenti, ma loro non l'avrebbero mai abbandonata, proteggendo lei e suo figlio.

“Shino-kun.” ricacciò indietro le lacrime, desiderosa di sentirsi forte, capace di superare ogni cosa. “Grazie...”

Con loro al suo fianco, il mondo sembrava davvero un posto più luminoso.

Naruto-kun porrà fine a tutto, ne sono sicura.

 

 

Un fiotto di sangue vermiglio colò pigramente da un angolo della bocca, tingendo di rosso la scura barba. Vide gli occhi diventare vacui, quasi spenti, mentre il cielo si inscuriva di colpo, privato di ogni luce. Osservò la figura piangente di Kurenai in un angolo, ogni lacrima che brillava come argento, una pioggia violenta che cadeva sopra di lui, immobile, incapace di muoversi.

No...”

Udì la risata di suo padre, resa roca dall'alcool, svanire crudelmente, lasciandolo vuoto, debole, ferito, incapace di liberarsi da quel dolore, di quella visione: l'orrido spettacolo del suo maestro sanguinante, e delle lacrime della madre di Mirai.

Asuma!” provò a tendere una mano, ma l'immagine svanì, lasciando spazio a qualcosa di ancora più spaventoso.

Il sangue era rimasto, le lacrime pure, ma ciò che vide lo riempì di un orrore inconcepibile, rinnovato.

Il corpo privo di vita di Choji, sopra il quale Karui piangeva ciò che rimaneva della sua umanità.

No...”

Choji... Asuma... Karui... Kurenai...

No!”

Gli occhi chiusi, il pallore mortale, il sangue vermiglio e viscoso, pari a quello di Asuma. Le lacrime che cadevano dal volto di Karui, argentate e cariche di dolore proprio come quelle di Kurenai. Il crudele e beffardo ritorno sui propri passi del destino.

NO!”

Si alzò di scatto, ansimante, il corpo ricoperto di sudore. Impiegò alcuni istanti a comprendere di trovarsi nel suo ufficio, in cui doveva essersi addormentato la sera prima. L'occhio gli cadde sull'orologio appeso al muro, il quale segnava le tre di notte. Si appoggiò allo schienale della poltrona con un sospiro, mettendo mano alla sua fiaschetta. Lo schotch non gli era mai parso magnifico come in quell'istante.

Era solo un sogno. Shikamaru si passò una mano sul viso, sentendosi distrutto. Non aveva neppure ricordo dell'ultima volta che aveva dormito veramente bene. Lentamente, lo shinobi si alzò, aprendo la finestra, assaporando il fresco bacio della brezza notturna. Si accese una sigaretta, lasciando che la nicotina lo svegliasse del tutto.

Chissà se manco alla Seccatura in questi giorni. Sbuffò, trovando ridicolo il solo pensiero. Probabilmente, anche se fosse stato così, la kunoichi bionda non glielo avrebbe confessato neanche sotto tortura.

I suoi pensieri in merito vennero rotti dal bussare alla sua porta. In sé la cosa non sarebbe stata strana, se non fosse che era l'unico a passare la notte in ufficio

“Avanti.” borbottò. Tornò a sedersi, constatando con disgusto come la propria fiaschetta fosse miseramente vuota, il tutto mentre la figura scura di Sasuke fece il suo ingresso nell'ambiente, provocando l'alzata di un sopracciglio del Nara.

“Guarda chi si fa vivo.”

“Perdona l'ora tarda, Shikamaru.” mormorò l'Uchiha. “Ma non potevo aspettare il mattino.”

“Non ci sono problemi.” mise via la fiaschetta, rivolgendo la propria attenzione al nuovo arrivato. “Stavo solo pensando a come fare per ubriacarmi.”

“Capisco.” Sasuke avanzò di qualche passo, gli occhi che sigillavano al loro interno qualsiasi pensiero o sentimento. “Non mi aspettavo di trovarti sveglio, è stata una fortuna.”

“Fortuna...” gli occhi dello shinobi delle ombre si incupirono, rimembrando l'incubo di prima. Da quando aveva chiesto a Choji di rischiare la propria vita, aveva il terrore di rivivere la stessa scena vissuta con Asuma, la stessa orrenda sofferenza che gli artigliava l'anima. “Diciamo che ho qualche pensiero di troppo.”

“E' comprensibile.” Sasuke sembrò sul punto di dire altro, ma poi si bloccò, estraendo un rotolo e porgendolo all'assistente dell'Hokage. “Sono qui per questo.” agli occhi acuti del Nara non sfuggirono i disegni intricati che ricoprivano l'oggetto in questione, a significare che era stato spedito tramite un jutsu.

“Cos'è?”

“Un messaggio proveniente da Naruto.” non appena sentì quel nome, lo sguardo di Shikamaru divenne affilato, la stanchezza scomparsa. “Ha individuato la base dei ribelli.”

Lo shinobi delle ombre si alzò, il volto trasformato in una maschera di gelida determinazione.

“Allora è il momento di muoversi.”

Finalmente quell'attesa lunga e logorante era terminata. Avrebbe riportato la pace nel suo paese, dentro se stesso e nel villaggio. Ma soprattutto, avrebbe riportato Choji da Karui.

Me l'hai promesso, amico mio. Devi tornare.

Il sacrificio del generale d'argento poteva attendere.

 

 

Naruto si sentiva leggero, quasi impalpabile, mentre rideva di gran cuore ad una battuta di Giichi. Percepiva al suo fianco il corpo caldo di Kiyoko, la testa appoggiata alla sua spalla, gli occhi color ametista sonnacchiosi. Lo shinobi sorseggiò il proprio calice di birra, in pace con il mondo: era al caldo, circondato da persone meravigliose e di fronte, ad appena un metro di distanza, c'era il sorriso luminoso di Himawari. Era difficile pensare che fuori da quella sala ci fosse in atto una guerra.

Durante la sera ci furono più momenti in cui le iridi cerulee di lei si specchiarono in quelle verdi dello shinobi, rimescolandogli il sangue. La sua mente fu tormentata da una lotta interiore spietata: da una parte anelava alla compagnia della kunoichi bionda, ma dall'altra sentiva i sensi di colpa nei confronti di Hinata e Boruto graffiargli l'anima con ferocia. Con Kurama i rapporti nelle ultime settimane erano stati praticamente nulli, sembrava che la volpe si fosse disinteressata completamente di quella faccenda, attendendo che fosse il proprio Jinchuuriki a risolverla. Peccato che quest'ultimo avesse ben altro in mente.

Non posso... Baka, sono sposato! Vide gli occhi della donna fissarlo con fare famelico, un sorrisetto malizioso sulle labbra che durò appena un istante. Si chiese addirittura se c'era stato o se era solo uno scherzo della propria mente.

Forse... potrei parlarle da solo. Sentì a malapena ciò che disse Himawari a Kiyoko, perso a fissare le labbra carnose muoversi. Non ci sarebbe nulla di male nello scambiare due parole. Stava per aprire bocca a proporglielo quando la porta della sala si aprì di colpo, rimbombando. I pochi rimasti, a causa dell'ora tarda, si voltarono, osservando un uomo avvicinarsi trafelato.

“Dai!” esclamò Himawari alzandosi, riconoscendo il compagno. Quest'ultimo era un uomo imponente, alto quasi due metri, dalla corporatura massiccia e la pelle scura. Aveva un volto dai tratti grezzi, quasi primordiali, con un grosso naso e occhi piccoli e scuri, il tutto impreziosito da corte treccine nere che gli scendevano fino alle spalle. Era la prima volta che Naruto aveva modo di vederlo dal vivo, anche se ne aveva sentito parlare: Dai era uno dei guerrieri più fidati di Himawari, colui che combatteva spesso contro gli Anbu e i soldati del Daiymo.

“Wari...” con voce cavernosa, il grosso shinobi si avvicinò alla bionda. Quest'ultima spalancò gli occhi, avvicinandosi quando vide le numerose ferite che coprivano il muscoloso fisico dell'amico.

“Dai, che ti è successo?”

“Un'imboscata degli Anbu.” la sua voce risuonò cupa nel silenzio del salone. “Io e pochi altri siamo riusciti a salvarci.” guardò dritto negli occhi la kunoichi, mordicchiandosi il labbro inferiore. “Wari... Katsuo-san è...” non riuscì a concludere ma non fu necessario. Himawari impallidì di colpo, gli occhi celesti che fissavano il vuoto, incapaci di accettare quella verità.

“No...”

“Ha lottato valorosamente.” aggiunse Dai, martoriandosi le manone, sentendosi a disagio nel dover riportare una simile notizia. “Ma il suo avversario era troppo potente, anche per me.”

“Chi?” lo stupore lasciò spazio al dolore, ma anch'esso venne ben presto soppiantato dalla collera. “Chi è stato?” ripeté la donna, la voce rotta per la rabbia.

“Un Anbu... possedeva un'abilità innata tremenda.” la voce dello shinobi scuro divenne un roco sussurro, quasi il ricordo lo spaventasse. “Byakugan.” nel sentire quel nome, il cuore di Naruto perse un colpo. Che lui sapesse, esisteva un Anbu con quel potere.

Hanabi! Il pensiero della sorella minore della moglie fu pari ad un violento ceffone. Non aveva idea che anche Hanabi fosse impegnata nella caccia ai ribelli.

Himawari non sembrò colpita da quel nome. Rimase ferma, gli occhi rivolti verso il basso, solo il sangue che gocciolava dalle nocche faceva capire il lento ribollire della sua rabbia.

“Lo vendicherò.” mormorò la kunoichi. “Ucciderò con le mie mani il bastardo che ha commesso tutto questo.” uscì di colpo dalla sala, il corpo che ribolliva di un potere mostruoso, che Naruto non aveva mai percepito prima. Un gelo innaturale gli scese nel cuore. Se Himawari andava a caccia di Hanabi, c'era il serio rischio che la situazione precipitasse.

“Himawari... aspetta!” urlando, lo shinobi seguì la donna fuori dal salone . La notò con la coda dell'occhio, mentre si inoltrava in un corridoio a lui sconosciuto. Le corse dietro, seguendola lungo una diramazione di tunnel sempre meno illuminati. Qui la roccia sembrava meno lavorata, quasi fossero stati costruiti in fretta, e le lanterne scarseggiavano. Alla fine, dopo alcuni minuti, il corridoio si aprì in una grande caverna, scarsamente illuminata dai riflessi della luna, provenienti da alcune feritoie in alto. Era un posto scuro, ricolmo di stalattiti e colonne naturali di pietra, dove quarzo ed altri minerali svettavano lucenti. In mezzo, un piccolo lago scuro rifletteva la luce argentea, donando la sensazione di essere immersi in una vecchia miniera di diamanti.

La individuò davanti alla superficie d'acqua, il respiro affannoso quasi stesse tentando di domare le proprie emozioni. La osservò afferrarsi un braccio, conficcandosi le unghie nella carne, un disperato tentativo di non soccombere alla furia che imperversava nel suo cuore. L'Uzumaki non provò pietà: sapeva che non era il sentimento adatto per aiutare a superare una perdita, specie se molto cara.

“Perché sei qui?” la voce di Himawari risuonò roca, quasi avesse la gola bloccata. “Non serve che mi tieni compagnia. Conosco il dolore di una perdita.”

“Lo so.” lo shinobi le si avvicinò. Non stava piangendo. I suoi occhi erano fissi sulla superficie liquida, persi nel proprio tormento interiore.

“Volevi bene a Katsuo.” non era una domanda quello del rosso.

“E' stato il mio unico compagno dopo la guerra.” deglutì, le iridi sommerse da una patina liquida. “Avevo perso ogni amico ed affetto in quell'orrido conflitto. Lui è stato il primo a credere veramente in me, ad aiutarmi a realizzare il mio sogno.”

“Gli volevi bene?” la voce di Naruto suonò dolce, forse più di quanto avrebbe voluto: non desiderava che lei sentisse pietà da parte sua.

“Siamo stati compagni.” mormorò la bionda. L'Uzumaki percepì un senso di fastidio nei confronti del defunto spadaccino, invidiandolo per ciò che era riuscito a fare. “Ma questa lotta non ci ha mai permesso di comprendere ciò che ci univa veramente.” scosse la testa, asciugandosi gli occhi con un gesto stizzito. “Scusami. Non so perché ti sto annoiando con questi dettagli privati. Solo che...”

“Comprendo appieno il tuo dolore.” la interruppe lui; seguendo il proprio istinto, le afferrò la mano destra, sentendola liscia e calda. “Anch'io ho perso molti affetti nella mia vita, e so quanto orribile possa essere la sensazione di solitudine che stai vivendo.” sentì che ricambiava la sua stretta, e ne fu intimamente felice, in senso pacato, privo delle ribollenti sensazioni delle ultime settimane. Improvvisamente, Himawari le sembrò qualcosa di diverso: non una splendida e solare kunoichi, ma una donna sola, che lottava una guerra per regalare un futuro migliore al proprio popolo.

“Sei gentile.” gli sorrise, provando così la propria riconoscenza. “Sai, vengo sempre qui quando ho voglia di pensare. Katsuo amava chiamarlo 'Il Pensatoio'.”

“Ed ora a cosa stai pensando?”

“Che gli Anbu pagheranno per questo crimine.” la voce di lei divenne rude, aspra, colma di rabbia per ciò che le avevano portato via.

“Sei sicura che sia la cosa giusta da fare?” Naruto soppesò a lungo ciò che stava per dire. Non desiderava che Hanabi ed Himawari si affrontassero in un duello all'ultimo sangue. “Il sangue non farà altro che richiamare altro sangue.”

“Il sangue è il prezzo da pagare.” rispose la bionda. “Se vogliamo costruire un futuro, non possiamo fare altro che versare tutto il sangue che possiamo.”

“Ma... questo non porrà mai fine al ciclo dell'odio.” reagì l'Uzumaki, sconvolto dal sentirle pronunciare parole così cariche di cinismo. “Non sarà creando una pila di cadaveri che daremo un futuro a questa terra.”

“E con cosa lo faremo allora?” Himawari si voltò, i lineamenti seri e tesi. “Cosa pensi che sia possibile fare per dare un futuro dignitoso a questa gente? Con le parole? Il dialogo? Forse, ma se dall'altra parte non ci sono orecchie disposte ad ascoltare, non ha senso sprecare fiato.”

“So solo che non è questa la via giusta, Wari.” Naruto le strinse la mano con maggior vigore, guardandola dritta negli occhi. “Ho visto ciò che stai creando, ed è una cosa nobile, ma devi fermarti, o presto tutto questo ti sfuggirà di mano.”

“Di cosa stai parlando? Sembra quasi che tu sappia qualcosa.” Sentendola sospettosa, lo shinobi comprese di aver detto troppo.

“Solo voci.” si corresse. “Si dice che gli altri paesi siano pronti ad entrare in guerra contro il Paese del Fuoco. Se questo fosse vero, il tuo popolo soffrirebbe ancora di più.”

“Parli come uno degli shinobi di Konoha!” la bionda si liberò dalla stretta di lui, camminando in circolo attorno al rosso. “Ho passato tutta la vita a sentire ciò che ora stai ripetendo.” un sorriso sprezzante le si dipinse sul volto, donandole un aspetto minaccioso. “Tu parli del ciclo dell'odio? Di una guerra ingiusta? Sono parole vuote, buone solo per coloro che possiedono l'arroganza di credere di essere superiori agli altri. Noi siamo shinobi, Nagato. Questo significa che è il nostro destino combattere per ciò che crediamo, anche a costo di imbrattare di sangue ogni acro di questo mondo.” gli si avvicinò, afferrandogli il viso tra le mani. “Noi siamo guerrieri, persone che hanno ricevuto dagli dei il potere di modificare il mondo. È nostro dovere combattere e morire per le cause che riteniamo più giuste. Siamo armi, Nagato... nulla di più.”

Erano parole tremende, che turbarono profondamente l'animo di Naruto. Forse solo ciò che gli disse a suo tempo Obito era riuscito a renderlo così inquieto. Si allontanò lentamente, le iridi smeraldine che tremavano. Non poteva credere che Himawari, la stessa Himawari che aveva visto aiutare i malati, i bisognosi, i poveri fosse capace di affermare che loro non erano altro che strumenti di morte, nient'altro che oggetti portatori di sofferenza.

“Non puoi pensarlo veramente.” mormorò.

“Perché? Per quale motivo non dovrei credere a ciò che ho detto?” replicò la kunoichi. “Rifletti, Nagato! Tu ed io siamo diversi dalla gente comune, siamo dotati di grandi poteri! Il nostro dovere non è quello di chiuderci in un recinto, ignorando la sofferenza degli altri, ma lottare per essi, morendo se necessario! Siamo ninja, tutto ciò che conosciamo è il campo di battaglia, l'odio bruciante e il sapore della morte! È il nostro dovere di shinobi!” provò ad avvicinarsi, ma lui indietreggiò nuovamente, nonostante lei gli stesse sorridendo dolcemente.

“Non devi avere paura. È difficili accettare la realtà, lo so. Anch'io l'ho rifiutata per anni, ma infine ho compreso ed accettato che il mio dovere è combattere e morire per i poveri, gli indifesi, non per un avido e stupido signorotto feudale!”

“Ti stai sbagliando!” reagì l'Uzumaki, il cuore che pompava in un punto indistinto del collo. “Noi non siamo strumenti, ma persone vive! Abbiamo dei sentimenti, e non possiamo reprimerli per mero senso del dovere!”

“Tu sei speciale, Nagato. Come me e tutti gli altri shinobi di questo mondo, anche tu hai ricevuto un dono dal destino. Saresti potuto essere una persona normale, senza alcun potere speciale, ma non è stato così.” provò a riavvicinarsi, e questa volta Naruto non si mosse. “Non credi che sia tremendamente ingiusto mettere questi poteri solo al servizio dei ricchi? O di un villaggio? Non sarebbe molto più crudele ed ingiusto pretendere di avere una vita normale, quando normali non lo siamo mai stati, fin dalla nostra venuta in questo mondo?” ormai erano così vicini che le loro labbra si sfioravano. “Non vuoi aiutarmi a realizzare questo mondo? Un mondo dove saranno le persone le cose più preziose da proteggere, non signorotti feudali o villaggi imbrattati dal sangue di decine di generazioni, ma il contadino, il pescatore, l'orfano. Un posto dove essere speciali significherà proteggere, e non schiacciare, chi non può esserlo.”

Naruto esitò. Ripensò a tutto ciò che aveva vissuto, alle morti dei suoi cari: Jiraiya-Sensei, Neji, i suoi genitori alle parole cariche di speranza esalate da Obito prima della morte. Molto sangue era stato sparso per quella pace, una pace che ora Himawari voleva distruggere per sempre.

Eppure, una parte di lui sapeva che non poteva nascondersi dietro alla sofferenza del passato. Che il dolore della gente comune era scivolato via nell'indifferenza. Lui stesso aveva dimenticato cosa significasse aiutare chi non ha più nulla, rinchiuso in una bolla dorata in mezzo agli amici e compagni di una vita. Ancora una volta, il dubbio lo rose come un tarlo, dividendolo e rendendolo incapace di prendere una decisione.

“Questo significherà guerra.” mormorò.

“Sì, Nagato.” prese ad accarezzargli i capelli, le labbra sempre ad un soffio dalle sue. “E porterà sofferenze, non possiamo negarlo. Ma da questa sofferenza troveremo la via del riscatto per il mio popolo.” si protese, quasi volesse baciarlo, ma lo shinobi si ritrasse di colpo.

“No, Wari.” la voce dell'uomo era greve, come se parlare gli stesse costando molto. “Non puoi coprirti dietro queste belle parole. Potresti avere anche ragione, noi shinobi siamo stati troppo egoisti ed arroganti in passato, ma tutto questo non giustifica il tremendo massacro che avverrebbe con una nuova guerra tra i vari paesi.” la guardò negli occhi, sperando con tutto il cuore di riuscire a farla ragionare. “Ripensaci. Non è troppo tardi per fermare questo bagno di sangue, e tu lo sai.”

“E' già cominciato.” la donna prese a guardarlo con freddezza, quasi fosse delusa da quella titubanza. “Il sangue di chi ha creduto nella mia causa infanga questo mondo da tanto tempo, compreso quello di Katsuo. Tutto ciò che ho messo in moto non posso più fermarlo.” mise lentamente mano all'impugnatura dell'ascia. “Ti ho dato la possibilità di riflettere, di comprendere ciò per cui noi lottiamo, ora è tempo che tu prenda una decisione Nagato: sei con me, o contro di me?”

Nella grotta cadde un silenzio profondo. I secondi scorrevano lenti, ognuno di essi pregno di tensione. Naruto distolse lo sguardo da Himawari, ragionando freneticamente. La sua speranza di impedire lo scontro tra Konoha ed i ribelli sembrava svanita, ma lo shinobi non si arrese.

Deve pur esserci una via alternativa. Non può risolversi tutto nell'ennesimo bagno di sangue.

“Non credo di poterti dare una risposta ora.” doveva guadagnare tempo, per ragionare, riflettere, ma anche per convincere la donna a fermarsi. Le parole di lei suonavano come una sentenza, ma l'Uzumaki non volle ascoltare, rifiutandosi di accettare una simile scelta: non avrebbe combattuto contro Himawari ed i ribelli, non fino a quando non avesse provato ogni alternativa possibile.

“Perché?” lo incalzò lei, avvicinandosi. “Cosa ti fa esitare, Nagato? Cosa devi a questo mondo, a questa pace? Sei un Nukenin, il tuo villaggio ha ucciso il tuo amico, non ricordi? Cosa ti ferma dal tentare di raddrizzare le ingiustizie che affliggono le persone?”

“Non puoi pensare di curare una società con la guerra.” Naruto scosse la testa. “Non sarà così che guarirai questo mondo, Wari.” fece un passo in avanti, senza smettere di guardarla negli occhi. “Devi credermi, ti prego. Tu c'eri otto anni fa, sai cosa significa perdere ogni affetto, sentirsi soli ed abbandonati da tutti. Non permettere che altre persone soffrano tutto questo.”

Himawari rimase a lungo in silenzio, gli occhi chiusi. I secondi scorrevano lenti, mentre le parole che lo shinobi sperava uscissero dalle sue labbra si facevano attendere.

Ti prego, ti scongiuro... credimi!

“Se questa è la tua risposta, allora le nostre strade si devono dividere.” sfoderò lentamente l'ascia, lo sguardo freddo e determinato. “Non posso permetterti di abbandonare questo luogo da vivo, però. Se gli shinobi di Konoha ti rintracciassero, per noi sarebbe la fine.” il bel viso della donna si contrasse in un'espressione di dolore. “Mi piacevi, e non avrei mai voluto che finisse in questo modo, ma non mi lasci altra scelta.”

“Wari...”

“Impugna la tua arma, Nagato della Pioggia!” esclamò la bionda, la voce carica di determinazione. “Ed affrontami per la tua vita!”

“Wari, aspetta... ci deve essere un'altra soluzione...”

“Non c'è!” urlò lei, il corpo che ribolliva dello stesso potere avvertito dallo shinobi precedentemente. “Non esiste nessuna via alternativa, nessuna possibilità! Anche io per anni ho sperato che esistesse, ma ho dovuto arrendermi all'evidenza!” puntò l'arma contro il rosso. “Io cambierò questo mondo, non importa quanti morti e dolore costerà, e non sarai tu ad impedirmelo. Ora impugna la tua arma!”

Naruto non si mosse, bloccato dallo stupore e dal dolore. Non riusciva a crederci che Himawari fosse così ricolma di determinazione, disposta a sacrificare ogni cosa per poter raggiungere il proprio obiettivo. Da questo punto di vista, gli ricordava molto Obito, con la differenza però che lei combatteva non per distruggere il mondo, ma per rinnovarlo.

“No.” quel semplice monosillabo risuonò con la potenza di un tornado. La bionda rimase perplessa, quasi stupita da quel rifiuto. “Non combatterò contro di te.” strinse le mani, vedendo in lei una splendida creatura, così bella ed allo stesso tempo così tormentata e colma di dolore. “Non spargerò il sangue di una persona che rispetto.”

“Questo significa che sei un codardo!” il tono della donna era carica di disprezzo. “Se non sei disposto a sacrificare qualcosa, non raggiungerai mai nulla!”

“Forse hai ragione.” ammise il rosso. “Ma se per raggiungere il mio obiettivo devo essere costretto a perdere la mia umanità, allora preferisco non avere nulla, se non il rispetto verso me stesso.”

“Stai delirando! Tutti noi facciamo cose di cui proviamo vergogna, è il corso naturale degli eventi! Nasciamo puri e moriamo come feccia, e niente può cambiare questa cosa!”

“Beh, forse ho trovato il mio scopo.” proseguì a fissare dritto negli occhi Himawari, un'espressione dura sul viso. “Provare a restare umano.” la sua voce si disperse lentamente, creando un lungo silenzio, avvolto nell'oscurità. La kunoichi socchiuse le labbra per lo stupore, guardando con occhio nuovo il falso Nukenin.

“E' una decisione che ti fa onore, Nagato.” abbassò l'arma, mentre tutti i suoi tormenti e dubbi vennero a galla, facendola apparire come una bambina persa in un gioco più grande di lei. “Il mio cuore sperava di aver trovato un spirito affine, ed ero pronta a sacrificarlo per la mia causa, ma ancora una volta la realtà è ben più crudele.” un sorriso amaro cosparse d tristezza i suoi lineamenti. “Va, Nagato. Corri a realizzare il tuo scopo.”

“Cos...”

“Lascia questo luogo... ti prego.” si avvicinò allo shinobi, mettendogli le braccia attorno al collo, quasi fosse terrorizzata da quella scelta appena compiuta. “Se un giorno avrai memoria di questi mesi passati assieme, spero vivamente che sia questo il ricordo più bello di tutti.”

Le sue labbra si incollarono a quelle di Naruto, dando vita ad un bacio soffice e dolce, ricolmo di sentimenti contrastanti. L'Uzumaki accettò quel contatto, rispondendo con passione, il corpo che ribolliva di desiderio. Non aveva dimenticato Hinata, ma laggiù, nelle viscere della terra, tutto sembrava lontano, quasi alieno, al punto che mentre percepiva la lingua della kunoichi intrecciarsi con la sua sperò di diventare veramente Nagato della Pioggia, Nukenin vagabondo alla ricerca della propria umanità.

Ma alla fine lei si staccò, perdendosi negli occhi smeraldini del rosso.

“Noi non ci vedremo mai più, lo sai?” sussurrò, una lacrima di puro argento che scivolò rapida lungo il suo ovale. Naruto l'asciugò, sul volto un'espressione carica di amara rassegnazione.

“Addio... dolce Himawari.” la baciò sulla fronte, liberandosi dal suo abbraccio. “Ti auguro di trovare la risposta che cerchi.” lei lo fissò in silenzio, le braccia molli lungo i fianchi, i capelli dorati che si muovevano al sussurro di un vento nascosto.

“Non ti augurerò lo stesso.” mormorò, girandosi di colpo, reprimendo i propri sentimenti nel petto. “Perché solo ora comprendo che hai già trovato la tua risposta.

Naruto non aggiunse altro. Uscì dalla caverna, il cuore carico di un peso tremendo. Ad ogni passo percorso, ripensò ad ogni avvenimento dolce e meraviglioso che aveva vissuto nelle ultime settimane. Rivide il volto solare di Kiyoko, le pacche calorose di Giichi e Gihei, la risata argentina di Himawari, il suo profumo inebriante, la splendida sensazione di essere una persona normale, accettata dagli altri senza dover provare nulla. Ricordò tutto, il volto solcato da lacrime silenziose, sempre più consapevole di aver compiuto finalmente una scelta.

Non posso abbandonare mio figlio. Non smise di piangere, mentre il suo occhio interiore veniva travolto da ogni ricordo che avesse della sua famiglia. Poteva quasi toccare con mano la morbidezza dei capelli di Hinata, sentire la sua voce gentile soffiargli nell'orecchio, vedere il faccino di Boruto, che gli sorrideva; suo figlio, colui per il quale aveva appena deciso di diventare un essere spregevole: un traditore.

È questo il mio dovere. Aveva finalmente capito. Che per quanto lontano fosse andato, per quanto distante fosse stato, non avrebbe mai potuto rigettare quel legame di sangue, quella meravigliosa unione che lo collegava alla Hyuga ed al piccolo Uzumaki. Il suo posto era al loro fianco, anche a costo di compiere le gesta più ignobili.

Aveva fatto un giuramento, sposando Hinata. Una promessa suggellata con il sangue di Neji. Ora era tempo per lui di pagare ciò per il quale si era impegnato.

Himawari, amici miei... perdonatemi. Si accasciò per terra, incapace di contrastare il tumulto di sensazioni che lo pervadevano dall'interno. Si portò una mano davanti agli occhi, reprimendo a fatica singhiozzi rabbiosi. Pianse silenziosamente ogni lacrima che poteva versare, sentendo di odiarsi profondamente, di meritarsi l'appellativo di mostro contro il quale aveva lottato per anni. Himawari aveva ragione su tutto: neanche lui poteva opporsi al destino. Sarebbe diventato feccia, tradendo la fiducia di coloro a cui voleva bene.

Kurama...” percepì la presenza dell'amico al suo fianco, e gliene fu immensamente grato. “Perdonami, avevi ragione su ogni cosa.”

Non servono scuse.” il Kyuubi fissò l'amico contorcersi per il dolore, impassibile. “Comprendo che per te sia molto difficile.”

Kurama...” alzò lo sguardo da terra, gli occhi nuovamente azzurri. L'effetto della pillola stava ormai svanendo, e con essa, ogni traccia dell'ombra dietro alla quale aveva sperato di nascondersi, di fuggire dalle proprie responsabilità. “Dobbiamo contattare Sasuke.”

Questo significa che combatteremo i ribelli?” Naruto non rispose subito, anche se sapeva già cosa doveva fare, per sua moglie e suo figlio. Avrebbe tradito, ucciso e sparso il sangue di coloro che amava come fratelli e sorelle, perdendo ogni onore e diritto di essere un uomo, diventando solo una lurida feccia.

Sì...” mormorò, il cuore distrutto in mille pezzi. “Combatteremo contro di loro.”

È questo il mio dovere. Come padre e come shinobi.

 

 

Tre giorni dopo

 

L'oscurità lo circondava, rendendolo nervoso.

Con un gesto fulmineo della mano, Choji diede ordine ai ninja rimasti indietro di fermarsi. Rimase a lungo in silenzio, ascoltando la foresta attorno a lui. Se la mappa che Naruto aveva loro inviato era corretta, non doveva mancare molto alla base dei ribelli. Era probabile che quel fruscio udito prima fosse una delle loro sentinelle. Al suo fianco, Shikamaru chiuse gli occhi, affidandosi soltanto all'udito.

“Sono circa una decina, forse meno.” mormorò infine il Nara, alcuni istanti dopo. “Sembra che ci stiano studiando.”

“Dobbiamo fermarli.” replicò l'Akimichi a voce altrettanto bassa. “Potrebbero avvisare i ribelli del nostro arrivo.”

Shikamaru sembrò intenzionato a dire qualcosa, ma l'improvvisa comparsa di otto ombre innanzi a loro lo bloccò. I flebili raggi lunari svelarono figure avvolte in mantelli scuri, il cui unico segno distintivo erano le maschere animali tipiche degli Anbu.

“Identificatevi!” ordinò subito Choji, preparandosi a scattare per l'attacco.

“Capitano Hyuga Hanabi, divisione Ro.” rispose una delle figure, liberando la scura chioma corvina dal cappuccio. “In missione per conto dell'Hokage.”

“Questa è una sorpresa.” si intromise Shikamaru. “Non avevano ricevuto rapporti provenienti da questa zona da parte degli Anbu.”

“Se è per questo, pure noi siamo perplessi: nessuno ci aveva comunicato un simile spostamento di truppe.” replicò Hanabi. “Perché siete qui?”

“Abbiamo ricevuto da un nostro informatore la possibile ubicazione del covo nemico.” spiegò Choji. “Siamo intervenuti subito, portando con noi ingenti forze.”

“Quante?”

“Troppe domande, capitano Hyuga.” replicò con voce bassa il Nara. “La curiosità non si confà ad un Anbu.” per alcuni istanti l'aria fu pregna di tensione. Successivamente, con gesti lenti, Hanabi si tolse la maschera, mostrando il proprio sguardo penetrante ai due shinobi.

“Dubiti ancora della mia identità, Shikamaru?” mormorò la kunoichi, attivando il Byakugan. “Nessun camuffamento potrebbe replicare la mia abilità oculare, e lo sai bene.”

“E' vero, ma dovevo accertarmene.” replicò lo shinobi delle ombre. “Non possiamo fallire questa missione, non arrivati a questo punto.”

“Lo so bene! Anche noi siamo in cerca del covo nemico, ma non immaginavamo di esserci così vicini.” la Hyuga si rimise la maschera sul volto, disattivando il proprio potere. “Questo è indubbiamente un colpo di fortuna.”

“Dove si trovano le altre squadre?” chiese Choji. “Sarebbe opportune che vi riuniste per aiutarci a colpire il nemico.”

“Non c'è nessun altro, signore. Tutti gli Anbu sopravvissuti si trovano qui.” mormorò con tono lugubre la ragazza. Davanti a quella notizia, Shikamaru imprecò silenziosamente: degli oltre venti Anbu scelti inviati a combattere i ribelli, più della metà era stata uccisa. Un fallimento su tutta la linea.

“Allora avrete un motivo in più per lottare al nostro fianco.” osservò l'Akimichi. “Il sacrificio dei nostri fratelli non sarà stato vano.”

“Le notizie in nostro possesso dichiarano che il numero di nemici all'interno di questo rifugio si attesta tra le cinquecento e le seicento persone.” spiegò rapidamente il Nara, desideroso di porre fine a quella storia il prima possibile. “Anche se supponiamo che gli shinobi adatti al combattimento non superino le duecento unità. La nostra squadra è composta da circa centocinquanta shinobi, divisi in venti squadre. Sfrutteremo l'effetto sorpresa per travolgere le loro difese esterne, in modo da impedire una reazione efficace da parte loro. Se agiamo rapidi, potremmo soffocare questa rivolta senza combattere eccessivamente.”

“Come facciamo ad avere la certezza che non ci vedranno arrivare?” obiettò Hanabi. “Un numero così grande di ninja, anche se divisi in più squadre, è quasi impossibile da nascondere, specie se consideriamo il numero di spie che hanno sparpagliato in tutto il paese. Non riusciremo mai a coglierli di sorpresa.”

“Non dovremo coglierli di sorpresa.” i denti bianchi dello shinobi brillarono nell'oscurità della notte. “Tu e i tuoi confratelli guiderete una piccola squadra, che aggirerà il nemico da un passaggio laterale. Se la fortuna ci assiste, schiacceremo i ribelli tra l'incudine ed il martello.”

“Combatterli da due fronti.” la Hyuga rimuginò per alcuni istanti. “Un piano ardito, specie se consideriamo che siamo in inferiorità numerica.”

“Ragione in più per attuarlo.” replicò seccamente Shikamaru. Non vedeva l'ora di fumarsi una sigaretta in santa pace. “Ora andate! Raggiungete le altre squadre, trasmettete loro gli ordini e preparatevi all'assalto.”

“Shikamaru...” Hanabi si trattenne dal partire, lasciando andare avanti i suoi compagni, gli occhi chiari che brillavano nell'oscurità. “C'è anche Konohamaru tra di voi?” il Nara non rispose subito, reggendo lo sguardo penetrante dell'Anbu con estrema tranquillità.

“Sì.”

“Allora fa che sia con la tua squadra.” la kunoichi si tirò su il cappuccio, tornando ad essere un tutt'uno con l'ombra. “Se muore, ti riterrò responsabile.”

Shikamaru non replicò, osservando il punto dove la ragazza era scomparsa. Il buon senso gli suggeriva di lasciar perdere quegli ordini, di non mettere a repentaglio la buona riuscita della missione per un mero capriccio della kunoichi. Eppure, se avesse dovuto dare retta al buon senso, lo shinobi sarebbe rimasto a Konoha, lasciando Choji da solo in vista della battaglia finale. Anche se ciò avrebbe significato subire la furia compulsiva di Temari, ormai all'inizio del quinto mese di gravidanza.

“Dobbiamo andare, Shika.” il roco sussurrò dell'amico lo distolse dai propri pensieri. “La notte sta invecchiando.”

Si alzarono. L'Akimichi si mosse, dando il segnale di essere seguito. Decine di fruscii si susseguirono nella foresta, centinaia di cuori che pompavano frenetici, in spasmodica attesa per lo scontro che si prospettava. I secondi sembravano ore, i minuti giorni interi, mentre i ninja di Konoha si preparavano a combattere i loro stessi fratelli, la loro stessa gente, il tutto in nome della pace, una macabra ironia del destino.

 

 

Rock Lee fece un profondo respiro, rilassando i muscoli della schiena e delle gambe, indolenziti dalla lunga marcia notturna. Innanzi si estendeva una fitta boscaglia, mentre nell'aria risuonava il ruggito di una cascata. Erano ormai nei pressi del covo nemico, e la tensione era alle stelle: l'ordine di attacco poteva arrivare in qualsiasi momento, e ciò si poteva percepire nell'aria. Gli shinobi restavano silenziosamente accovacciati nell'ombra, il volto spesso incastrato tra le gambe. Le parole erano rade, e la maggior parte di esse erano poco più di sussurri, spesso intervallate da risatine semi soffocate cariche di nervosismo.

La Grande Bestia Verde di Konoha terminò il proprio riscaldamento, tentando di sopire il rimestare dei propri pensieri. Al suo fianco, Konohamaru Sarutobi si mordicchiava l'interno sinistro della guancia, un colorito verdastro sul volto. Da quando erano partiti da Konoha, tre giorni prima, il chuunin era diventato sempre più taciturno e cupo. Lee capiva e comprendeva ciò che attanagliava il giovane shinobi: anche lui, durante la Grande Guerra, aveva vissuto malissimo gli istanti prima della lotta. Se non fosse stato per la prodigiosa vicinanza di Gai-Sensei, i suoi nervi sarebbero crollati miseramente, deludendo tutti coloro che nutrivano speranze in lui.

“Non devi essere nervoso.” provò a tranquillizzarlo, ma la sua voce suonò ridicola e falsa anche alle sue orecchie. “La prima volta succede a tutti, ma devi restare calmo e focalizzarti sul tuo obiettivo.” il Sarutobi si limitò a serrare la mascella, gli occhi scuri fissi davanti a sé. Lee fu tentato per un istante di incoraggiarlo, ma si trattenne. Dopotutto, neanche lui aveva la serenità mentale necessaria per scendere in battaglia, e la ragione era poco distante, intenta a lucidare le proprie armi.

Tenten... la vide rivolgergli lo sguardo, gli occhi color nocciola che brillavano come stelle nel buio della notte. Era strano per lui vederla in quel modo: aveva passato metà della sua vita a considerarla nient'altro che una compagna. I sentimenti nei suoi confronti erano nati molto più tardi, alla fine della guerra. Si era accorto che anelava sempre di più la vicinanza della kunoichi, ascoltare la sua risata, percepire il tocco caldo della sua mano. Eppure, più si struggeva nel desiderio di diventare qualcosa di più di un semplice amico, maggiore era il senso di colpa che sentiva: non aveva mai dimenticato Neji, il suo rivale, la persona più simile ad un fratello che avesse posseduto. Dichiararsi alla ragazza che per anni era stata innamorata di lui gli sembrava quasi un tradimento, una cosa sbagliata, come se temesse di diventare solo un misero surrogato dell'amico ormai scomparso. Il senso del dovere nei confronti di Neji era stato così potente da costringerlo ad ignorare i sorrisi che sempre più spesso Tenten gli rivolgeva, le sue richieste di passare del tempo assieme, i suoi tentativi di tenergli la mano.

Tutto questo era proseguito per mesi, in cui la sua cocciutaggine, degno lascito del suo maestro, aveva respinto ogni possibilità di andare oltre la semplice amicizia, fino a quando la ragazza non l'aveva messo alle strette davanti a tutti i loro amici, obbligandolo ad accettare una realtà che, ad essere onesti, non gli dispiaceva neanche un po'.

Osservò le labbra di lei stirarsi in un sorriso, scaldandogli il cuore. Quell'ultimo mese e mezzo era stato un sogno. Era come se tutto l'affetto che aveva represso per la bella mora fosse uscito fuori di colpo, al pari di una diga ormai rotta, travolgendolo ed immergendolo in un flusso d'amore e sentimenti dalla potenza di uno tsunami.

Le si avvicinò, accovacciandosi al suo fianco, desideroso di sfruttare ogni secondo che il fato aveva loro concesso insieme prima della battaglia.

“Sei nervosa?” la voce dello shinobi risuonò nella calda aria estiva come una corda di violino, carica di tensione. Malgrado tutto, Lee aveva una fottuta paura di ciò che poteva accadere in quello scontro. Non avrebbe potuto reggere una perdita devastante pari a quella di Neji, non dopo ciò che era successo tra loro nelle ultime settimane.

“Non troppo.” la ragazza strinse il Ventaglio di Banano, gli occhi persi in ricordi lontani. “L'ultima volta che l'ho usato è stato il giorno in cui...”

“Non ci pensare!” la voce di Lee risuonò con forza, distogliendola dai propri pensieri. “Non devi fare questo tipo di pensieri, Ten!”

“Lo so, Lee. ” Tenten sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Lo so...” sembrava quasi rassegnata, come se fosse cosciente che quella poteva essere la sua ultima notte tra i vivi. Sudore freddo prese a scendere lungo il filo della schiena del moro, il quale le afferrò una mano con tutta la forza che aveva, costringendola a guardarlo dritto negli occhi.

“Io so che non sono invincibile.” esordì lui, perdendosi nello sguardo dolce di lei. Sentì di amarla veramente, di provare l'ardente desiderio di proteggerla da ogni cosa, anche a costo della vita. “Ma ti prometto che andrà tutto bene, e che torneremo a vivere la pace assieme!”

Tenten lo guardò a lungo. Rimasero entrambi lì, accovacciati, protetti dall'oscurità, tentando di convincersi che per loro c'era ancora un futuro a questo mondo.

“Sei senza speranza!” il viso della kunoichi si schiuse in un sorriso, pari ad un raggio di luce in mezzo ad una tempesta. Lee sorrise, alzando il pollice all'insù, sancendo di fatto il proprio giuramento. Un giuramento che, e di questo era sicuro, avrebbe pagato anche con il sangue.

Ti proteggerò, Ten! E' questo il mio dovere di shinobi!

 

 

L'aria era satura di umidità. Nubi scure si ammassavano all'orizzonte, cariche di pioggia, mentre un vento caldo soffiava tra le fronde degli alberi.

Shikamaru si deterse il sudore dalla fronte, gli abiti zuppi. Si sentiva soffocare sotto quella cappa, facendogli desiderare ardentemente una doccia fredda ed un letto pulito. Fu tentato di accendersi una sigaretta, ma all'ultimo preferì evitare: la brace sarebbe potuta brillare più del previsto. Si scolò un goccio di liquore, schiaffeggiandosi le guance per liberarsi dal torpore.

“Gli uomini sono in posizione.” la voce di Choji lo distolse dai propri pensieri carichi di sonno. Fissò in faccia l'amico, anch'egli con il viso sfatto e ricoperto di sudore. Il Nara era convinto che anche il resto degli uomini fosse in quelle condizioni: le ore prima di una battaglia erano le più orrende che un essere umano poteva provare nel corso della propria esistenza.

“Hanabi ha dato conferma?” domandò, sorseggiando la fiaschetta.

“Sì, lei ed i suoi confratelli guideranno una trentina dei nostri attraverso il passaggio che ci ha segnalato Naruto.” l'Akimichi si asciugò il sudore con una mano, un'espressione granitica sul viso. Sembrava in procinto di vomitare violentemente. “Hai avuto più notizie di lui, Shika?”

“No, nessuna.” borbottò lo shinobi delle ombre. “E Sasuke non ha più riferito nulla, quindi presumo che dovremo fare a meno di quei due per questo scontro.” si scolò il resto della bottiglietta in un colpo solo, rabbrividendo nel sentire il liquore bruciargli l'esofago. “Forza, andiamo! Prima finiamo questa faccenda, prima potremo farci una sana dormita!”

“Speriamo arrivi il prima possibile.” Choji diede il segnale, il quale si diffuse in ogni anfratto della foresta. Armi lucenti vennero sguainate, vesciche svuotate per la paura e fiasche di liquore tracannate per infondersi coraggio.

La battaglia per il Paese del Fuoco stava per cominciare.

 

 

L'acqua ruggiva all'interno della Grotta delle Cascate, risplendendo dei raggi delle stelle e della luna in fase calante. Sulle mura di pietra, poche guardie facevano la ronda, sudando copiosamente sotto la cappa d'umidità. Il vento era quasi assente, tranne per una brezza carica di pioggia.

Giichi scrutò le tenebre innanzi a sé, i nervi tesi e pronti a scattare. Da tre giorni a questa parte, più o meno da quando Nagato era scomparso, si respirava un'aria strana all'interno del rifugio. Himawari stessa non sembrava più la stessa: pallida, smorta, priva di ogni allegria, la kunoichi bionda trascorreva quasi ogni ora nella propria stanza, lasciando la gestione di ogni cosa a Dai. Lo shinobi bruno sentiva il cuore pesante, come se un'ombra pregna di morte gravasse sopra le loro teste. Era più una sensazione che altro, ma dagli sguardi dei suoi amici e compagni, Giichi comprese di non essere l'unico a percepire la tensione che aleggiava nell'aria pregna di umidità.

Forse è solo una mia impressione... l'uomo sorseggiò un goccio di liquore da una borraccia, nel tentativo di rimanere lucido e pronto all'azione. Era convinto ci fosse qualcosa che non andava. Nonostante gli ingressi alla grotta fossero tutti ben sorvegliati, ciò che percepiva non gli piaceva neanche un po'. Stava per andare a chiamare Dai, proponendogli di mandare una squadra in ricognizione, quando avvennero numerose cose in pochissimo tempo.

Prima ci fu un fruscio, come se numerosi serpenti sibilassero contemporaneamente. Poi una luce, abbagliante, di un rosso vivo, che illuminò centinaia di kunai volare verso la loro posizione, ognuno di essi portante una carta-bomba accesa. Giichi ebbe solo il tempo di imprecare, quando un boato assurdo squarciò l'aria. Detriti e uomini volarono da ogni parte, mentre coloro che erano vicini all'esplosione si misero le mani sulle orecchie sanguinanti. Giichi venne sbalzato prepotentemente, incapace di formulare un singolo pensiero cosciente, gli occhi rivolti verso il cielo. Non avvertì dolore, neanche quando cadde con violenza inaudita al suolo, vicino ad un deposito in fiamme. Si rialzò lentamente, constando di essere praticamente illeso: aveva gli abiti fumanti, con braccia e gambe coperte da escoriazioni. Il moro sapeva che nel giro di qualche minuto avrebbe sentito maggiormente gli effetti collaterali di quella caduta, ma in quel momento non aveva assolutamente tempo per indugiare.

Nello squarcio che si era creato con l'esplosione, tra detriti fumanti e cadaveri ardenti, una fiumana di ninja entrò urlando in città, le armi che scintillavano crudelmente sotto le stelle. Alle spalle di Giichi, tutti coloro che erano ancora capaci di restare in piedi caricarono gli intrusi, mentre l'allarme veniva sparso rapidamente per tutte le grotte.

La battaglia per il Paese del Fuoco era cominciata.

 

 

CONTINUA

 

 

Bene, infine ecco qua il penultimo (o almeno spero) capitolo riguardante la guerra civile. So bene di essere un po' in ritardo dal solito, ma la gestazione di questo capitolo è stata molto difficile e complessa, come si può notare dal suo essere molto frammentato, con continui cambi di scena. So che così la storia perde di fluidità, ma l'essere un po' sintetico mi costringe anche a questi espedienti. Non dirò nulla sul rapporto tra Naruto e Himawari: il motivo per cui l'Uzumaki darà lo stesso nome alla sua secondogenita deve ancora venire fuori, anche se forse qualche cosa si può già prevedere qua e là.

Ottimo, anche questo capitolo è finito! Come al solito ricordo che qualsiasi tipo di recensione (positiva o critica) è ben accetta!

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 16
*** Il dovere di uno shinobi, parte quinta ***


The Biggest Challenge


15pjpko


Il dovere di uno shinobi

 

Parte Quinta

 

 

 

Rumore. Tanto, uguale, protratto nel tempo.

Gli occhi cerulei si soffermarono sulle scintille rosse che si sparsero nell'aria, mentre la lama cantava. Un canto stridulo, feroce, cattivo. Un canto di morte.

Strideva la cote, passando sull'ascia, affilandola, preparandola al suo nuovo assolo. Himawari la mosse lentamente, assaporando ogni singola nota stridula, ogni assaggio di ciò che avrebbe percepito di lì a poco.

Arriveranno.

Non era una stupida, non lo era mai stata. Testarda, cocciuta, disposta a morire per i propri ideali, ma mai priva dell'uso del cervello.

E quando lo faranno, la nazione brucerà.

Sapeva che era solo questione di tempo. Che Nagato non sarebbe mai giunto vivo fuori dai confini del suo paese. Gli shinobi di Konoha l'avrebbe rintracciato, catturato ed interrogato, anche con la tortura, fino a quando non gli avrebbero stillato fuori l'ultima sillaba degna della loro attenzione, donandogli infine la morte dopo un'agonia senza fine.

E lei l'aveva lasciato andare, gli aveva permesso di correre incontro alla morte più fetida, orrenda e crudele che potesse esistere. Non l'aveva fermato, limitandosi a regalargli un bacio, quasi sperasse di ancorarlo a sé con esso. Lui era sparito, e questo significava una cosa sola.

Vendicherò anche lui... pagheranno la loro arroganza.

Cantava l'ascia. Un canto stridulo e freddo, quasi innaturale, capace di risvegliare orrori che credeva ormai sopiti da tempo. Se si concentrava, poteva ancora sentire le urla disperate dei moribondi sul campo di battaglia, il rumore delle lame che si immergevano avide nella carne dei nemici, l'odore del sangue, dell'urina e delle feci che si spargevano nell'aria, quasi fosse un mattatoio più che un campo di battaglia. E l'urlo senza fine della bestia: il Juubi.

La porta venne aperta di colpo, ponendo fine al canto della sua amata. Himawari si voltò, osservando un ragazzo sconvolto.

“Wari, Konoha ci ha attaccato!” esalò quest'ultimo, l'occhio sinistro coperto da un grumo di sangue. “Hanno sfondato le nostre difese esterne, e stanno premendo per entrare in città.”

“Avvisa Dai, digli di attuare il piano concordato. Che tutti rispondano a lui durante la battaglia.” la donna tornò a fissare la propria arma. “Io vi raggiungerò a breve.”

“Ricevuto!” udì i passi affrettati del giovane scomparire lungo il corridoio, sopraffatti dal rinnovato canto della cote sul filo dell'ascia. C'era la possibilità che neanche lui superasse la notte, raggiungendo Katsuo e Nagato. L'ennesimo sangue offerto per quella terra.

Questa notte ci sarà un massacro. Riprese con gesti metodici l'operazione di prima, svuotando la mente da ogni pensiero. Ma non sarà l'ultimo. Non finché questo mondo non sarà rinnovato.

L'ascia cantava. Un canto di morte, freddo e privo di pietà.

Proprio come lei.

Questo mondo cambierà... o lo ridurrò in cenere.

 

 

Konohamaru era terrorizzato.

Frastornato, lo shinobi si guardava attorno, osservando decine di urla, imprecazioni, scoppi e morti. Un turbinio confuso nel quale era stato gettato in modo quasi suicida. Il kunai nella sua mano tremava, mentre il desiderio di rannicchiarsi in un angolo e scoppiare in lacrime diventava sempre più forte.

Cos'è tutto questo? Vide un uomo comparirgli innanzi, una katana pronta a sgozzarlo che mulinava feroce nell'aria satura di fumo. Tuttavia, prima ancora che potesse muovere un dito, un jutsu di fuoco proveniente da chissà dove lo incenerì, lasciando il ragazzo a fissare sconvolto ciò che restava di quell'uomo. Lentamente, il moro prese ad indietreggiare, frastornato da tutta quella violenza insensata, incapace di capire per quale motivo quelle persone si accanivano con tanta ferocia tra di loro. Gli sembrarono quasi ridicoli i suoi lunghi anni di addestramento in quel frangente: a cosa potevano servirgli? Quale jutsu sarebbe mai stato capace di porre fine a quella follia insensata?

Un'esplosione alla sua destra lo fece sobbalzare, mentre un vento bollente gli investì il volto. Indietreggiò, inciampando su un corpo ormai carbonizzato. Vederlo gli causò conati di vomito, i quali si mescolarono rapidamente tra il sangue che scorreva rapido tra le pietre della città.

Perché tutta questa violenza? Si strinse la testa tra le mani, chiudendo gli occhi, il corpo scosso da brividi di orrore. Perché ci stiamo massacrando in questo modo?! Perché?! Sapeva che non poteva restare in quella posizione, che il suo compito era lottare affianco ai propri compagni, ma non ci riusciva. Il terrore lo stava letteralmente paralizzando, rendendolo inerme e alla mercé di chiunque. Una voce dentro di lui si fece strada, dal tono stranamente simile a quella di Naruto, la quale gli intimò di alzarsi e muoversi, che non poteva restare lì.

Muovi il culo, idiota! MUOVITI DANNAZIONE!

Lentamente, il Sarutobi riuscì a riprendere il controllo del proprio corpo. I tremiti si attenuarono, il respiro divenne più profondo, la mente di nuovo lucida. Aprì gli occhi, alzandosi, immergendosi nel fumo acre che lo circondava. Non poteva morire lì, non in quel modo stupido. Doveva trovare Moegi ed Udon, salvarli e proteggerli, uscendo assieme a loro da quell'inferno.

Ci salveremo assieme!

Muoversi era difficile. I corpi si accalcavano l'uno contro l'altro, rendendo impossibile distinguere gli alleati dai nemici. Le esplosioni dovute a jutsu o carte-bombe erano quasi continue, aumentando il caos in quel turbinio di voci, urla ed imprecazioni. Tossendo, lo shinobi comprese che per farsi un'idea di ciò che stava accadendo doveva raggiungere le mura. Andando a memoria, il ragazzo avanzò a tentoni, tenendosi basso per evitare colpi vaganti. Più di una volta schizzi di sangue gli colpirono il viso, ma proseguì. In quel posto non c'era spazio per la pietà.

Infine, una volta sopra la cinta muraria, dove la battaglia infuriava con meno violenza, Konohamaru poté finalmente vedere il risultato del loro attacco a sorpresa.

A differenza di ciò che speravano, i ribelli si erano organizzati rapidamente. L'avanzata era stata bloccata, ed ora i ninja di Konoha stavano lentamente ripiegando, schiacciati dalla superiorità nemica. Tuttavia, per scaricare la pressione dalla prima linea, Shikamaru aveva diviso l'armata principale in tre gruppi, con due di questi che entrarono in azione in quell'istante: decine di shinobi scavalcarono le mura da più punti, cogliendo di sorpresa i difensori. Sangue scarlatto prese a scorrere lungo i parapetti, mentre gli incendi illuminavano la notte di una luce rossa e crudele.

Tutto questo interessava relativamente il giovane Sarutobi, impegnato a cercare un segno dei propri amici. Più i minuti passavano, maggiore era la sua inquietudine. Sentiva artigli affilati riemergere dal suo passato, conficcandosi nel cuore, il pensiero di ciò che aveva perso che ritornava con prepotenza dall'oblio del passato.

Non accadrà. Continuò a correre lungo il parapetto, tentando disperatamente di scorgere i propri amici. Non deve accadere.

Schivò abilmente un kunai, superando una donna con un salto, il cuore che batteva febbrilmente in un punto imprecisato del collo. Era ricoperto di sudore e sangue, puzzava di vomito e non era sicuro di riuscire a mantenere una buona lucidità mentale ancora a lungo, ma non smise di correre, alla disperata ricerca di un segno di coloro che considerava alla stregua di fratelli, amici di una vita.

Dove siete? Evitò una bomba carta, buttandosi a terra, mentre schegge impazzite di pietrisco volavano tutt'attorno. Dove siete finiti?!

Il suo udito, piuttosto frastornato dalle continue esplosioni, percepì un urlo che gli fece gelare il sangue. Era quasi una sensazione più che un suono, ma Konohamaru non dubitò neanche per un istante di essa. Aveva imparato che raramente il suo istinto sbagliava su quel genere di cose.

Udon!

Si rialzò di scatto, iniziando a correre verso l'origine di quel grido, il cuore che aveva triplicato i propri battiti. Si ripeté che non sarebbe successo nulla, che sarebbe riuscito a salvare i propri amici da quel mattatoio infernale. Se lo impresse con così tanta forza nel cervello che alla fine, quando vide Udon a terra, inerme di fronte ad un uomo pronto a finirlo, il suo corpo agì d'istinto, senza fermarsi a pensare, pieno di odio e di cieca furia.

Con un urlo, il Sarutobi estrasse un kunai, gettandosi addosso al nemico. Quest'ultimo, colpito a sorpresa, perse l'equilibro, cadendo a terra. Subito dopo, senza smettere di urlare, Konohamaru conficcò con ferocia la lama nel petto dell'uomo, ripetutamente, quasi con orrida metodicità, fino a quando non percepì più alcun movimento sotto di sé. Fu solo in quell'istante che comprese cosa aveva fatto: era diventato un assassino, si era macchiato le mani di sangue.

Cosa ho fatto?! Si alzò, allontanandosi di scatto dal cadavere, quasi scottasse. Al suo fianco, Udon fissava il corpo senza vita con occhi spalancati. Il giovane shinobi pareva incolume, a parte per un lungo graffio sulla guancia sinistra.

“Konohamaru...” balbettò il moro. “Ma tu... cosa...”

“Dobbiamo andarcene!” il Sarutobi tirò su rudemente l'amico, deciso più che mai a non pensare a ciò che aveva appena compiuto. Ora doveva preoccuparsi dell'incolumità dei propri amici, tutto il resto non contava.

Presero ad allontanarsi dalle zone calde dello scontro, nel tentativo di riprendere fiato. Konohamaru sentiva l'aria calda seccargli il sangue sulle mani, impregnandole, creando una macchia indelebile. Sapeva che non sarebbe mai scomparsa, ma era un prezzo che pagava volentieri se ciò significava la salvezza dei propri amici.

“Udon, dov'è Moegi?” fissò l'amico dritto negli occhi, mentre l'ennesimo scoppio risuonava nell'aria, satura di fumo e sangue. “Dove l'hai vista l'ultima volta?”

“Io... non lo so.” la voce del moro era ancora leggermente tremula; Konohamaru capì: anche lui era stato sbattuto dentro qualcosa che andava aldilà della loro forza e comprensione. “Prima della carica, credo. Doveva attaccare con la squadra degli Anbu.”

“Anbu?!” udire quel nome fece gelare il sangue al Sarutobi. “Quali Anbu?!”

“Non so... avevo sentito che c'era una squadra capitanata da Hanabi che avrebbe colpito alle spalle il nemico, ma non ne sono sicuro, dico davvero.” Konohamaru non lo sentì più, incapace di accettare quella frase, quell'orrenda verità. Hanabi era lì, anche lei stava rischiando la propria vita in quell'inferno, con la possibilità di morire, di lasciarlo solo, scomparire dalla sua vita.

“Konohamaru?” Percepì Udon fissarlo con perplessità, e non lo biasimò. Sotto lo strato di sangue e terra, il suo volto doveva essere diventato più bianco del latte.

“Udon... va a cercare Moegi.” la sua voce tremò per un istante, riprendendo però rapidamente la sicurezza di prima. “Trovala e mettetevi al sicuro fuori città. Io vi raggiungerò appena posso.”

“Fuori città?! Ma... significherebbe...”

“Fa come ti dico!” esclamò il moro. “Qui è in gioco la vostra vita, lo capisci?!”

“No.” il tono del giovane era sicuro, diretto. Scosse la testa, lasciando il Sarutobi perplesso. “Non voglio scappare come un vigliacco, non mentre tu rischi il collo per Hanabi.”

“Cerca di ragionare, Udon!” esalò lo shinobi, imprecando mentalmente per la cocciutaggine dell'amico. “Verrete spazzati via se rimarrete qui!”

“Anche tu rischi tanto, quindi non vedo perché dovrei fuggire.” alzò la testa, reggendo lo sguardo dell'amico. “Combatterò al tuo fianco, fino alla fine.”

Da quando Udon era così determinato? Da quando era diventato adulto? Konohamaru non lo sapeva. Rimase immobile per lunghi secondi, fissando negli occhi l'amico. Ci lesse una determinazione dura come l'acciaio, facendogli capire che non avrebbe cambiato idea per niente al mondo.

“D'accordo.” mormorò. “Trova Moegi, dopodiché raggiungetemi sotto la cascata. Vi aspetterò laggiù, una volta che avrò trovato Hanabi.”

“Ricevuto.” Udon fece per andare, ma il Sarutobi lo bloccò, guardandolo con espressione dura sul viso.

“Resta vivo.” gli disse. “Non te le perdonerò mai se muori, Udon.” quest'ultimo ricambiò l'espressione, mettendo una mano sulla spalla dell'amico, compagno di mille avventure.

“Anche tu.”

Si separarono, ognuno imboccando strade diverse. Konohamaru corse verso le grotte, alla disperata ricerca di Hanabi. Sapeva che era pericoloso, che c'era il rischio che restasse bloccato dietro le linee nemiche, che la Hyuga era una combattente eccezionale, molto più forte di lui, ma ciò non lo dissuase dal suo scopo. Non avrebbe permesso un'altra perdita, l'ennesima dipartita di una persona a lui cara. Konoha non si sarebbe presa anche Hanabi.

Sto arrivando, Hanabi! Un gruppo di ribelli gli bloccò la strada. Senza smettere di correre, lo shinobi incanalò il chackra nella gola, espellendo una voragine di fuoco dalle labbra.

“Katon: Sfera Dorata!” un muro di fiamme dorate investì i nemici, incenerendoli in una massa incandescente di fuoco. Konohamaru non provò nulla, superandone i corpi ustionati con un balzo, un'espressione feroce sul volto sporco di terra e sangue. Proseguì la propria folle corsa verso il centro della città, deciso più che mai a raggiungere la donna che sentiva di amare, per proteggerla da un fato fin troppo crudele ai suoi occhi.

Quindi vedi di non morire!

 

 

Le ore passarono lentamente, facendo diventare la notte vecchia. I ribelli uscivano a frotte dalle grotte, andando ad ingrossare le file dei difensori, respingendo con sangue ed acciaio gli assalti degli shinobi di Konoha. Fra tutti spiccava Dai: la sua Suiton sembrava imbattibile sul campo di battaglia, travolgendo ogni cosa con violenza inaudita. Anche Giichi e Gihei, con i loro letali attacchi in coppia seminavano il panico tra le fila dei ninja. Choji, utilizzando la tecnica segreta degli Akimichi, caricò con violenza la prima linea, nel tentativo di aprire un varco. I suoi assalti diedero fiducia agli shinobi, i quali rinnovarono il proprio vigore. Tuttavia, dopo tre cariche consecutive, Choji fu costretto a ritirarsi nelle retrovie, ormai sfinito, mentre le pile di corpi senza vita aumentavano ogni secondo di più.

“Non resisteremo per molto!” ansimò l'Akimichi a Shikamaru. Il Nara fino a quel momento era rimasto indietro, muovendo i soldati come fossero pedine su una scacchiera, nel tentativo di trovare un punto debole. L'attacco lampo stava diventando lentamente una guerra logorante che non potevano permettersi, a causa dell'inferiorità numerica.

“Come siamo messi?” domandò, osservando l'amico fasciarsi il braccio sinistro.

“Male!” replicò quest'ultimo, facendo una smorfia quando provò a muovere l'arto ferito. “Stiamo continuando a perdere terreno, e molti uomini sono ormai allo stremo. Dobbiamo allentare la pressione nemica, o non riusciremo mai ad entrare nelle grotte.” lo shinobi delle ombre unì le mani in cerchio, chiudendo gli occhi, la mente che elaborava una strategia alternativa.

“Manda il segnale ad Hanabi.” dichiarò dopo circa un minuto. “Che attacchino le loro retrovie. Questo ci darà l'occasione di sfondare. Useremo tutto ciò che ci rimane per rompere la loro linea difensiva.”

“Capisco. Posso usare le pillole del mio clan per aiutare la prima linea.”

“Tu resterai qui.” Shikamaru resse tranquillamente lo sguardo stupito dell'Akimichi. “Stavolta guiderò io l'assalto.”

“Shikamaru... no!” Choji reagì con veemenza, tagliando l'aria con la mano sana in un gesto di diniego. “Non ti permetterò di buttarti a capofitto in quell'inferno. Tu sei troppo importante!”

“Arrivati a questo punto, non importa che io resti qui.” rispose il Nara, tirando fuori una sigaretta e stringendola tra le labbra. “Un comandante deve guadagnarsi il rispetto dei propri uomini, e non lo farò certo restando qui a poltrire. Senza contare che tu, con quel braccio, non dureresti un minuto laggiù.”

Cadde un silenzio profondo, rotto soltanto dai rumori della battaglia. Choji fissò l'amico con espressione strana, quasi fosse deluso da quella scelta.

“Non sei costretto a farlo.”

“Lo so.”

“E allora perché? Per quale motivo vuoi buttarti nella mischia come un maledetto pazzo suicida?!”

“Te l'ho già detto: un comandante...”

“Risparmiami la logica, Shika!” la voce dell'Akimichi si alzò, ricolma di rabbia. “Dimmi perché vuoi andare al mio posto! Non hai le capacità adatte a quel genere di scontro, maledizione! Ti uccideranno in poco tempo!”

Shikamaru non rispose subito. Si accese la sigaretta, aspirandone la nicotina con evidente soddisfazione. Sembrava quasi dovesse andare a schiacciare un pisolino.

“Ho sempre avuto fiducia in te, Choji.” mormorò infine. “E tu l'hai avuta in me. Perché ora non ci riesci? Cosa ti frena dal fidarti nuovamente di me?” Quelle parole sembrarono colpire molto lo shinobi. Choji aprì e chiuse lentamente le grosse mani, gli occhi scuri piantati in quelli neri del suo migliore amico.

“E' per Karui, non è vero?” sussurrò infine. “Temi che possa accadermi ciò che avvenne ad Asuma-Sensei?” Il Nara non rispose, superandolo, ma un braccio dell'Akimichi lo bloccò. “Dimmelo, ti prego.”

Silenzio.

“Non lo faccio solo per te.” quelle parole uscirono fioche, cariche di rassegnazione. “Lo faccio per la nuova generazione.”

“Anche tu stai per diventare padre, Shika!” Choji digrignò i denti, incapace di contenere il tumulto di emozioni che lo squassava. “Sii egoista per una volta!”

La sigaretta si spense, cadendo a terra, mentre un sorriso amaro prendeva vita sul viso dello shinobi delle ombre.

“Credimi... lo sono fin troppo.” proseguì per la propria strada, salvando il proprio migliore amico, consapevole che le sue possibilità di sopravvivere in quell'inferno erano minime.

Perdonami... Seccatura.

Sguainò le lame di chackra del suo vecchio maestro, tutto ciò che aveva ereditato da quest'ultimo, pronto a combattere per il proprio paese, i propri amici e per il figlio che doveva ancora nascere.

“Manda il segnale!” ordinò ad un ninja sensitivo al suo fianco. “Sguinzaglia gli Anbu!”

 

 

Con un urlo liberatorio, Tenten roteò il Ventaglio di Banano, scatenando un forte vento che spazzò via edifici e nemici. Una volta sgombrato il campo, la ragazza si accasciò al suolo, ansimante, provata dai continui tributi di chackra che il Ventaglio richiedeva.

Non ricordavo che fosse così difficile. Fissò la propria arma, sentendola più pesante ogni secondo che passava. La capacità di manipolare tutti e cinque gli elementi era sicuramente preziosa in battaglia, ma il dispendio di chackra richiesto era eccessivo per le sue capacità. In mano a Naruto il Ventaglio sarebbe potuto restare operativo per giorni interi, lei dopo alcune ore era ormai giunta al limite.

Si rialzò, tentando di regolarizzare il respiro. Da quando la battaglia era cominciata non aveva fatto altro che restare in prima linea, spazzando via nemici su nemici. Aveva preferito non pensare a quante vite avesse spezzato, a quanto sangue le macchiasse le mani. Era necessario per la salvezza del suo villaggio e di Rock Lee, tutto il resto diventava decisamente secondario in quegli istanti.

Neji, chissà cosa diresti nel vedermi ridotta in questo stato. Un ghigno amaro le deturpò i bei lineamenti, rimembrando come fosse sempre stata l'anello debole del proprio Team. Ancora adesso sentiva di essere debole, quasi inadeguata a ciò che doveva affrontare, il corpo che sembrava incapace di seguire la sua volontà.

A cosa serve aver preso a modello kunoichi come Tsunade se non sono neanche capace di reggere questo scontro? Si rialzò con un ringhio, impugnando con maggiore forza il Ventaglio. Non era tempo di riposarsi, il suo compito non era ancora terminato.

Si guardò intorno, constatando come la maggior parte degli scontri si fossero spostati verso il cuore della città. Si trovava sotto il fianco sinistro delle mura, dove era presente un gran numero di depositi di armi ormai semidistrutti. Tenten fece per muoversi verso il cuore della battaglia, quando un enorme massa d'acqua, dalle sembianze di un drago, la investì in pieno. La kunoichi si ritrovò con i polmoni svuotati, provata dall'impatto subito. Mosse freneticamente le gambe, nel tentativo di riemergere, ma la corrente era troppo forte. Si schiantò contro le mura, un dolore atroce lungo la schiena. Ormai senza più ossigeno la ragazza fu convinta che fosse giunta la fine, quando il livello dell'acqua scese, permettendole di aspirare grandi boccate d'aria, le quali non le erano mai parse così meravigliose come in quegli istanti.

Cosa diavolo è successo? Vomitò acqua, squassata da tremori, tentando lentamente di riprendere il controllo del proprio corpo. Dopo alcuni istanti, percepì una presenza innanzi a lei. Alzando lo sguardo, la mora vide un enorme uomo di colore fissarla con espressione inespressiva, gli occhi che brillavano nell'oscurità notturna.

“Dunque avevo ragione.” mormorò Dai, fissando il Ventaglio in mano alla ragazza. “C'era una fonte di potere incredibile proveniente da questa zona.”

Tenten si rialzò a fatica. Si sentiva spossata, incapace di muovere come desiderava il proprio corpo. Maledì la propria sfortuna, che l'aveva cacciata in quella situazione: se quel tipo era capace di evocare simili masse d'acqua, di sicuro non era uno shinobi qualunque.

I due avversari rimasero immobili per alcuni secondi, l'aria che si caricava di tensione. Poi, quasi contemporaneamente, entrambi scattarono.

“Suiton: Drago Acquatico!” dalla mano destra di Dai uscì un drago d'acqua simile a quello di prima. Tenten evocò la Raiton dal Ventaglio, nel tentativo di sopraffare il jutsu avversario, ma il chackra che le era rimasto era insufficiente. L'attacco fu debole e venne sopraffatto con facilità irrisoria da parte del ribelle. La ragazza indietreggiò, respirando profondamente, la mente che cercava febbrilmente una via d'uscita da quella situazione.

Non avrebbe senso usare i Draghi Gemelli. Si morse un labbro, il sudore che scendeva pigramente lungo la schiena. La sua Arte neutralizzerebbe ogni tipologia di arma, anche quelle esplosive. Digrignò i denti, imprecando mentalmente contro il fato avverso. La sua unica speranza era il Ventaglio, ma non aveva forza sufficiente per maneggiarlo. Una situazione apparentemente senza scampo.

A meno che... si sfiorò i tre rotoli alla vita con una mano, consapevole di starsi giocando tutto. Tuttavia, non aveva altra scelta.

Iniziamo lo spettacolo!

Sistemò sulla schiena il Ventaglio, iniziando a correre in direzione del proprio avversario, il quale le scagliò contro un altro drago d'acqua. Tenten lo evitò saltando verso l'alto, estraendo due rotoli ed aprendoli di colpo.

“Draghi Gemelli!” i due rotoli iniziarono a vorticare all'impazzata, mentre una quantità impressionante di armi di ogni genere presero ad uscire, dirigendosi a rapida velocità contro Dai. L'uomo modificò a quel punto la direzione del proprio jutsu il quale, lanciando un ruggito spaventoso, inglobò al proprio interno tutte le armi scagliate dalla ragazza. La kunoichi sorrise: era proprio la mossa che si attendeva.

Vediamo ora cosa combina. Muovendo le mani come un marionettista, mosse i fili di chackra collegati ad ognuna delle armi lanciate con il jutsu precedente. Fu con soddisfazione che le vide superare il muro d'acqua riprendendo il proprio percorso a folle velocità contro la figura di Dai. Lo shinobi fece partire un secondo drago d'acqua dall'altra mano, respingendo l'assalto e preparandosi ad usare il primo jutsu per colpire la ragazza, la quale nel frattempo aveva estratto il terzo rotolo, aprendo il colpo.

“Sigillo delle Amazzoni!” mordendosi un dito, Tenten cosparse di sangue la pergamena linda del terzo rotolo. La striscia vermiglia venne assorbita, mentre strani simboli neri apparvero sul braccio sinistro della kunoichi, simili a fiamme oscure, che salirono fino a coprirle anche il collo, la pupilla sinistra che divenne improvvisamente color oro. Nello stesso istante in cui il sigillo venne evocato, Tenten percepì un violento flusso di chackra scorrerle in corpo, ridandole forza e vigore.

Ora!

Estrasse rapida il Ventaglio, scuotendolo con tutta la rabbia che aveva in corpo. Violente scariche elettriche si sparsero in tutti i jutsu di acqua di Dai, colpendolo con potenza tremenda. L'uomo ringhiò di dolore, accasciandosi al suolo. Nello stesso istante, Tenten percepì il chackra abbandonarla con velocità spaventosa. Cadde al suolo, in ginocchio, il respiro irregolare, sforzandosi di tenere aperto il sigillo.

Un altro... colpo. Si alzò, prendendo a muoversi con decisione verso il suo avversario, ancora intento a riprendersi dall'attacco di prima. Sentiva il chackra del sigillo abbandonarla, i segni sul collo che presero a svanire. Raddoppiò i propri sforzi, concentrandosi mentalmente, afferrando il potere con le unghie.

Solo... un colpo. La pupilla sinistra riprese il proprio colore di sempre, mentre le fiamme ormai erano scomparse fino al gomito. Ti prego, corpo! Non abbandonarmi! Aveva sempre saputo che tenere aperto il sigillo nelle sue attuali condizioni fosse un azzardo, ma non poteva arrendersi, non dopo tutto quello che aveva passato.

Lee non si arrende mai... fece un profondo respiro, ormai pochi passi da Dai. Anche io... non mi arrenderò.

Avanzò un altro po', ormai abbastanza vicina da non poter sbagliare. La stanchezza le aveva alzato un velo di nebbia davanti agli occhi, rendendole difficile mantenere la mira perfetta di sempre. Radunò tutta la concentrazione di cui era capace, mantenendo il sigillo ancora aperto. Alzò il ventaglio, pronta al colpo finale, quando avvennero due cose in rapida successione.

Il corpo di Dai si sciolse in una pozza d'acqua, lasciando stordita la ragazza. Non appena comprese che fosse un clone d'acqua, percepì uno spostamento d'aria alle sue spalle. Girandosi, vide Dai venirle incontro, la mano destra aperta che la colpì in pieno petto.

“Suiton: Palmo d'Urto!” il colpo di chackra fu così violento che il selciato alle spalle della kunoichi saltò via. Tenten non percepì dolore, non subito almeno. Il Ventaglio le cadde dalle mani, mentre un fiotto di sangue nero le colò dalle labbra.

Poi percepì l'inferno.

Una scarica di dolore tremenda la squassò internamente, donandole la sensazione di andare a fuoco. Cadde a terra, vomitando sangue, il corpo scosso da tremiti, incapace di muoversi. Il chackra dell'avversario le aveva danneggiato gli organi interni, lacerandole tessuti e muscoli. Vomitò nuovamente sangue, in preda a spasmi tremendi, un gemito senza fine che le usciva dalla gola.

Sto forse morendo? La sua mente ebbe un istante di lucidità in cui penso che la morte sarebbe stata quasi una liberazione, un modo per scappare via da quel dolore atroce.

“Non amo far soffrire i miei nemici.” udì la voce del ribelle fioca, come se provenisse da distante. “Porrò fine alle tue sofferenze.” nel sentire quella frase, la kunoichi fu quasi felice; avrebbe avuto modo di liberarsi di quel dolore, pur consapevole che ciò avrebbe rattristato enormemente Lee.

Perdonami Lee... chiuse gli occhi, preparandosi a raggiungere Neji. Non sono stata abbastanza forte.

Ma il colpo di Dai non giunse mai.

Lanciando un urlo di guerra, la Grande Bestia Verde di Konoha colpì con un calcio il gigantesco ribelle alle costole, spedendolo a parecchi metri di distanza.

Nello stesso istante, nonostante fosse sull'orlo dell'incoscienza, Tenten sorrise: aveva riconosciuto quell'urlo, e sapeva cosa significava.

Il suo uomo era venuto a salvarla.

 

 

Hanabi sguainò la Shinobigatana, la cui lama splendette del riverbero degli incendi. I suoi occhi chiari fissavano la città in fiamme ai suoi piedi, fremendo per entrare in battaglia. Dietro di lei, i suoi confratelli ed una trentina di shinobi attendevano in silenzio, le lame pronte a bere il sangue dei nemici.

Chissà se Saru sta bene. Scosse la testa, imponendosi di non pensare a Konohamaru. Il suo obiettivo era vincere quella battaglia, e salvare il proprio Paese. Aveva fiducia nel suo uomo, o almeno era quanto si ripeteva come un mantra, mentre attendeva il momento in cui sarebbe entrata in azione.

E quell'istante venne.

Ci siamo! Non appena le comunicarono di attaccare, un ghigno sanguinario le contorse il viso, nascosto dalla maschera. Non le era mai piaciuto restare con le mani in mano, e quelle ultime ore le erano sembrate infinite.

“Sapete cosa fare.” esordì, fissando gli uomini alle sue spalle. “Non abbiate alcuna pietà, perché non ne riceverete alcuna!”

“Per Konoha!” lanciando un urlo di battaglia, la Hyuga uscì dalle grotte, seguita dagli altri, una massa ribollente di odio e rabbia che si abbatté sulle schiere dei ribelli. Le lame si immersero con avidità nella carne di quest'ultimi, bevendone il sangue. Hanabi e i suoi confratelli sembravano spettri di distruzione: abili, agili, silenziosi, le loro lame colpivano ed uccidevano senza pietà, spazzando via qualsiasi cosa si parasse loro di fronte. Nel giro di qualche minuto, la zona innanzi alle grotte era stata conquistata, ed i ribelli ora erano stretti tra due fronti.

“Manda il segnale!” ordinò la kunoichi ad un ninja al suo fianco. “E preparatevi a mantenere la posizione ad ogni costo!” lo shinobi afferrò un corno che teneva al fianco, soffiandoci dentro con violenza. Il suono si diffuse nell'aria, facendo capire a Shikamaru che era il momento di muoversi.

E' ora. Il Nara fissò dietro di lui le facce di circa un'ottantina di shinobi. Vide volti stanchi, imbrattati di sangue e sporcizia. Osservò nei loro occhi la sofferenza di essere diventati degli assassini, dell'aver visto morire tantissimi compagni ed amici. Si impresse quelle sensazioni dentro di lui, consapevole che gli sarebbero servite per sopravvivere.

“Non dirò frasi colme di retorica od altro.” esordì a voce alta. “Davanti a voi ci sono i nostri morti: amici, fratelli, sorelle, compagni. Morti per questo paese.” evocò le lame di chackra, negli occhi una determinazione gelida. “Fate in modo che il loro sacrificio non sia stato vano.”

“Per Konoha!” risposerò all'unisono tutti i ninja, alzando verso il cielo scuro le armi. “Per Konoha!”

“Avanti!” urlò Shikamaru. “Poniamo fine a questa follia!”

Con un grido, shinobi e kunoichi caricarono le linee nemiche. Quest'ultimi, presi tra due fuochi, indietreggiarono rapidamente, diventando facili prede per le lame assetate di vendetta che caddero su di loro. Nuovo sangue venne sparso al suolo, mentre le truppe di Shikamaru seminavano morte e distruzione ovunque, tentando di fare propria la città.

 

 

Rock Lee osservò Dai rialzarsi lentamente. Lo shinobi sentiva ribollire il sangue, mentre una rabbia senza fine gli bruciava nel petto.

Ten... osservò Tenten dietro di lui, ormai svenuta, una pozza di sangue sotto il corpo della kunoichi. Si morse il labbro inferiore, mentre il desiderio di farla pagare a chi aveva ridotto in quel modo la sua amata si intensificava sempre di più.

“Questa... è una promessa.” esordì con voce tonante, puntando l'indice contro l'uomo di colore. “Pagherai per il male che hai fatto a Tenten!”

Dai non rispose, fissando lo shinobi con sguardo inespressivo. Si sgranchì il collo, facendo successivamente un profondo respiro.

“Che promessa sciocca.” mormorò infine, scatenando la rabbia di Lee.

“Cosa hai detto?!”

“Che hai appena fatto una promessa stupida.” rincarò la dose il ribelle. “Guardati attorno, nelle ultime ore sono morte centinaia di persone, pensi di potermi dare del mostro solo per aver tentato di farne fuori una in più? E tu? Quanto sangue hanno sparso le tue mani questa notte?”

“Ciò che dici non ha alcun senso.” replicò la Bestia Verde. “E' vero, questa notte molte persone hanno perso la vita.” strinse le mani con forze, mettendosi in guardia. “Ma ciò non significa che dovrei evitare di salvarne una. Chi sei tu per decidere chi merita di essere salvato e chi no?”

“Non amo parlare.” rispose Dai, sembrava annoiato. “Facciamola finita.”

“Con vero piacere!” senza aspettare altro tempo, Rock Lee portò le braccia davanti al petto, un sorriso sul volto.

“Hachimon Tonko Tomon... Kai!” un'aura verde ricoprì il corpo dello shinobi, la pelle completamente rossa, gli occhi bianchi e vitrei. Frammenti di selciato e polvere si sollevarono, costringendo Dai a proteggersi gli occhi con un braccio.

Fu un errore.

Con un singolo balzo, Lee coprì la distanza che lo separava dal proprio avversario. Caricò il pugno destro, tentando di colpirlo al viso. Dai riuscì a pararlo alzando l'altro braccio. Scintille sprizzarono, entrambi i contendenti impegnanti a sopraffare l'altro. Con un'abile mossa, lo shinobi eseguì una torsione, riuscendo a superare la difesa dell'uomo di colore. Il calcio penetrò con violenza nella carne, incrinando due costole. Dai emise un gemito di dolore, ma subito dopo il suo corpo si dissolse, diventando semplice acqua.

Un clone? Lee si voltò, vedendo il proprio nemico venirgli incontro con rapidità, il palmo destro carico di chackra. Fece un balzo indietro, schivando il colpo, replicando con una scarica di pugni, tutti evitati facilmente. Nonostante la mole, Dai si muoveva con rapidità pari o superiore alla sua, che stava tenendo aperte cinque porte.

Così non va. Lee indietreggiò rapidamente di qualche metro, tentando di studiare un'alternativa. Quello che più lo preoccupava era la tranquillità del suo avversario, la sua inespressività. Era difficile capire cosa passasse per la testa di quell'uomo.

E va bene. Fece un sorriso, sciogliendo le bende sugli avambracci. Basta giochini.

L'aura verde di chackra aumentò d'intensità, mentre Lee prendeva a dirigersi verso Dai. Quest'ultimo evocò un altro drago d'acqua, ma lo shinobi lo evitò facilmente, comparendo innanzi al ribelle, e colpendolo sul mento con un violento calcio. Senza dargli il tempo di reagire, Lee elevò il corpo dell'avversario in aria tramite una complessa sequenza di calci, mentre le bende si stringevano senza pietà sul corpo dell'uomo.

“Sei finito!” sibilò, iniziando a roteare verso il terreno a folle velocità. “Loto Frontale!”

Avvenne tutto in una frazione di secondo: il corpo di Dai si trasformò in acqua, sfuggendo alla presa del ninja. Quest'ultimo, frastornato, perse velocità e coordinazione, rimanendo scoperto in cielo. Un istante dopo, un drago d'acqua ruggì contro di lui, sommergendolo sotto una violenta e compatta massa d'acqua. I polmoni di Lee, già in difficoltà per lo sforzo precedente, collassarono, impedendogli di reagire. Il corpo della Bestia Verde si schiantò violentemente al suolo, lasciandolo stordito e confuso.

Come ci è riuscito? Ci mise alcuni secondi di troppo a rialzarsi, osservando l'imponente figura del proprio avversario avvicinarsi. Come riesce a creare quelle copie? Eppure non l'ho perso di vista neanche un secondo! Era evidente che l'arte di Dai non era comune, e che doveva esserci altro dietro, ma non sapeva come fare per costringerlo a scoprire le proprie carte.

D'accordo. Digrignò i denti, deciso più che mai a vendicare Tenten. Se non inizi tu, comincerò io a giocare a carte aperte.

“Hachimon Tonko Keimon... Kai!” l'aura verde si intensificò, dovuto all'apertura della sesta porta. Senza dare tempo a Dai di reagire, lo shinobi scattò iniziando un nuovo attacco.

“Stormo del Mattino!” una raffica di pugni di Lee colpì l'aria, dando vita a numerosi uccelli di fuoco che calarono in direzione del ribelle. Quest'ultimo evocò più draghi d'acqua, i quali pararono ogni colpo effettuato dal ninja. Tuttavia, prima che Dai potesse accorgersene, Rock Lee si spostò alle sue spalle, colpendolo con un colpo infuocato in piena schiena.

“Sei finito!” vedendolo in difficoltà, la Bestia Verde proseguì il proprio attacco, tempestando di colpi il corpo di Dai, ma anche questa volta, quest'ultimo di dissolse in acqua, lasciando perplesso il moro.

Di nuovo?! Fece un rapido salto, allontanandosi dalla zona, nel tentativo di evitare un nuovo attacco. Fu solo grazie ai suoi riflessi fulminei che riuscì ad evitare l'ennesimo jutsu d'acqua evocato dal ribelle, il quale ora era ricomparso a pochi metri di distanza.

Non capisco. Lee si allontanò, la mente che lavorava freneticamente. Ogni volta che sembrava acquisire un vantaggio nei confronti di Dai, quest'ultimo si dissolveva, ricomparendo sempre in una posizione dalla quale poteva contrattaccare con facilità. Era come se ci fosse qualcuno che osservasse lo scontro da fuori, suggerendogli ogni volta il posto più adatto per ricomparire.

E' evidente che anche questa è una copia. Fece un profondo respiro, cominciando ad avvertire la fatica per la prolungata apertura di sei porte. Ma allora quello vero dov'è?

Non era mai stato capace di analizzare a fondo la situazione durante uno scontro. Proprio come Naruto, preferiva affidarsi all'istinto più che alla cervello in battaglia. Eppure, ora come ora, l'istinto l'aveva ingannato ben due volte, rendendolo quasi cieco. Fu una sensazione nuova quella di ragionare lentamente, analizzando ogni dato in suo possesso, nei pochi secondi di pausa che aveva prima del prossimo assalto.

Il mio avversario utilizza jutsu d'acqua... ma qui non c'è acqua. Rimase folgorato da quel pensiero: dove prendeva l'acqua per i propri attacchi quell'uomo? Possibile che fosse capace di evocare l'elemento senza una sorgente vicina? Davvero era capace di tanto?

Se fosse vero, sarei nei guai. Ma evocare un simile jutsu richiederebbe un tributo di chackra mostruoso... no, deve per forza esserci un'altra soluzione. Chiuse gli occhi, rimuginando lentamente. Il lago era troppo distante, ed anche le cascate innanzi alle grotte rendevano complesso un simile jutsu. Restava una sola possibilità.

Giù! Con un urlo, Lee colpì con tutta la propria forza il terreno sotto di sé, creando numerose crepe. Per la prima volta dall'inizio dello scontro, Dai sembrò preoccupato, inviando contro lo shinobi due draghi d'acqua nel tentativo di fermarlo. Con un sorriso, il moro colpì nuovamente il terreno, facendolo collassare. Quando la polvere si depositò, rimase estremamente soddisfatto da ciò che vide: una cisterna ricolma d'acqua, con sopra di essa un uomo di colore a lui familiare.

“Finalmente ho capito.” esclamò, un ghigno soddisfatto sul volto mentre si calava nella voragine da lui creata. “Le tue copie possono creare jutsu d'acqua perché sono composte dallo stesso elemento! Tu non ti sei mai spostato da qui fin dall'inizio della battaglia, limitandoti a creare una copia dietro l'altra! Astuto, non c'è che dire.” irrigidì i muscoli, preparandosi al colpo finale. “Ma ora il tuo gioco è finito.”

“Questo è da vedere.” mormorò Dai. Il quale inviò una gigantesca sfera d'acqua contro lo shinobi.

“Hachimon Tonko Kyōmon... Kai!” la massa d'acqua venne distrutta con un singolo pugno, mentre un'aura azzurra circondò il fisico di Lee, causato dall'apertura della settima porta. Prima ancora che il ribelle potesse capire cosa era accaduto, il ninja lo spedì in aria con un tremendo montante, iniziando una serie di colpi ripetuti in aria, sfruttando le pareti dell'ambiente sotterraneo per darsi la spinta. Alla fine, con un calcio più forte degli altri, Dai venne lanciato all'esterno, ma Lee non gli diede tregua: comparve innanzi agli occhi dell'uomo, il volto stravolto dalla furia delle Otto Porte. Afferrò il braccio sinistro del nemico, preparandosi al colpo finale.

“Loto...” radunando tutte le energie rimastegli, Lee scaricò al terreno Dai con un duplice pugno al petto, creando un cratere di notevoli dimensioni. “Posteriore!”

Terriccio e pietre si sollevarono in aria, mentre una nube scura coprì i due contendenti. Lee fu il primo a riemergere, reggendosi il braccio sinistro, il corpo sfinito dallo sforzo appena compiuto: eseguire il Loto Posteriore con sette porte lo aveva prosciugato di qualsiasi energia. Convinto di aver vinto, il giovane uomo prese a dirigersi verso il corpo di Tenten, quando un movimento alle sue spalle lo bloccò, rendendolo incredulo.

Non è possibile. Si voltò lentamente, osservando emergere dal fumo il corpo sanguinante di Dai. Aveva il braccio sinistro ferito, ma sembrava stare bene per il resto.

Assurdo! Il moro si rifiutò di crederci: era impossibile che qualcuno fosse capace di resistere ad un simile impatto. Rimase immobile, sfinito, il corpo paralizzato dallo sconforto, incapace di pensare ad una strategia alternativa. Di questo ne approfittò il suo avversario, appoggiando la mano destra sul terreno.

“Suiton: Idra D'acqua!” decine di serpenti d'acqua sputarono dal terreno, svuotando la cisterna sotto di loro e dirigendosi contro Lee. Il moro tentò di schivarli, ma il fisico provato lo tradì. I denti dei jutsu si accanirono contro di lui, danneggiandogli gli organi interni ed i muscoli. Vomitando sangue, Rock Lee cadde al suolo, un dolore atroce in tutto il corpo.

“Hai combattuto bene.” Dai aveva il fiatone, mentre si dirigeva verso Tenten. “Ma ora devo dare il colpo finale alla ragazza.”

Ten! Una paura atroce si sollevò nel cuore dello shinobi nel sentire quelle parole. Tentò di alzarsi, ma i muscoli delle braccia cedettero, facendolo ricadere al suolo.

Maledizione! Si conficcò le unghie nei palmi delle mani, frustrato per la propria debolezza, l'incapacità di proteggere i propri affetti. MALEDIZIONE!

Ten! Per quanti sforzi facesse, il suo corpo non rispondeva più, il dolore che montava sempre più rapido dentro di lui. Eppure, al pensiero di essere stato sconfitto, il dolore fisico scompariva, lasciando spazio alla tremenda consapevolezza che Tenten sarebbe morta per colpa sua, del suo essere debole.

Glielo avevo promesso... si morse le labbra, mentre lacrime amare presero a scendergli lungo il viso. Le avevo promesso che saremmo tornati a vivere assieme la pace.

E lui le promesse le manteneva sempre.

 

Rassegnati, Lee.” Tenten scosse la testa, osservando il compagno steso a terra. “Non riuscirai mai a sconfiggere Neji. Lui è di un altro livello.”

Invece un giorno ci riuscirò!”

Tsk... le solite parole.” la voce fredda dello Hyuga risuonò tagliente come una lama. “Ma con i fatti sei proprio deboluccio, mio caro Lee. È inutile che ti sforzi: sei un perdente e resterai per sempre un perdente. Questa è la realtà, e non c'è niente che tu possa fare per cambiarla.”

 

Artigliò la terra, spezzandosi le unghie, intimandosi di alzarsi. Sentiva i muscoli urlare dal dolore, mentre un nuovo conato di sangue si fece strada nella sua gola. Vomitò, rabbrividendo, sentendosi a pezzi, ma intimandosi di non cedere, di proseguire per la propria strada.

No...

 

Lee, sono sicuro che un giorno diventerai un grande shinobi.” lacrime calde caddero dal viso del ragazzo, vedendo il proprio Sensei sorridergli. “Devi solo avere fiducia in te stesso. Sii sempre convinto delle tue qualità.”

La ringrazio, Gai-Sensei!” esclamò Lee, asciugandosi le lacrime, un sorriso determinato sulle labbra. “Le prometto che da domani triplicherò gli allenamenti!”

Questo è lo spirito giusto, ragazzo mio! Lo Spirito della Giovinezza!”

 

Mosse lentamente una gamba, facendo leva con essa per sollevarsi. Percepì i muscoli tremare dal dolore, sempre più difficile da controllare, ma non si fermò, facendo forza sul proprio orgoglio, sulla propria determinazione.

Non perderò.

 

Gai-Sensei! Crede veramente sia giunto il momento?!”

Lee... non fare quella faccia.” vide Gai sollevare il pollice all'insù, un sorriso caldo e sicuro sul volto. “Goditi lo spettacolo!”

Gai-Sensei...”

 

Neji, Gaara, Naruto, Sasuke... l'avevano lasciato tutti indietro, a causa della sua debolezza, della sua incapacità di diventare veramente quel ninja vincente e forte che sognava di essere fin da quando era un bambino incapace di usare qualsiasi tipo di jutsu, la pecora nera dell'Accademia.

Si sollevò, ormai in piedi, il sangue che gocciolava dalle dita con pigrizia. Aveva visto il suo migliore amico morirgli davanti agli occhi, i suoi rivali diventare irraggiungibili e il proprio maestro sacrificarsi a causa della sua debolezza.

Adesso basta. Contrasse la mascella fino a far scricchiolare i denti, stringendo i pugni. Non mi porteranno via anche Tenten! Questa volta non perderò!

Era strano come le parole vennero fuori da sole, come il suo corpo sapesse già quello che doveva fare. Non pensò alle conseguenze del suo gesto, deciso solamente a vincere quello scontro, qualunque fosse prezzo necessario.

Anche a costo della vita!

“Hachimon Tonko Kyōmon... Kai!” un'aura azzurra si alzò per decine di metri verso il cielo, il fisico che richiamava le riserve più profonde che possedesse. Le vesti si stracciarono, i muscoli gonfi per lo sforzo, gli occhi bianchi e vitrei, carichi di tutta la determinazione di questo mondo. Dai si voltò, sorpreso di vedere un simile potere. Non riusciva a credere che quel giovane ninja fosse capace di sfoderare ancora una forza simile.

“Flusso!” Lee si mise in posizione, come per scattare, mentre il chackra fuoriusciva dirompente dal suo corpo, assumendo le sembianze di un gigantesco orso azzurro contornato da venature rosse.

Chi è questo ragazzo? Il ribelle non seppe trovare una risposta a questo quesito, spaventato da quel potere distruttivo.

“Suiton: Drago D'acqua Finale!” un gigantesco drago a tre teste comparve alle sue spalle, i denti pronti a ghermire il corpo del moro. Quest'ultimo, avendo ormai radunato tutto il proprio potere, si lanciò alla carica. L'orso ruggì con violenza, gli occhi rossi come il sangue, demolendo con facilità irrisoria i draghi di Dai.

“Orso...” caricò entrambi i pugni, radunandoci tutto ciò che aveva, tutta la rabbia, il dolore e la frustrazione accumulati nei suoi duri anni di ninja. “del Mezzogiorno!”

I pugni colpirono con precisione letale il petto di Dai, scaraventandolo all'indietro per decine di metri. L'uomo vomitò sangue, percependo chiaramente ogni singolo osso del proprio corpo frantumarsi.

Wari... perdonami... si specchiò negli occhi vitrei del proprio avversario, leggendoci dentro una determinazione forgiata con dolore e rabbia. Un fuoco che nessun jutsu d'acqua avrebbe mai potuto spegnere.

Non sono stato capace di aiutarti. Chiuse gli occhi, accettando la propria sconfitta, avvertendo il freddo alito della morte sul collo. Il suo ultimo pensiero fu il volto di lei, sorridente come un raggio di luce, il giorno in cui i loro destini si erano incrociati.

 

Io sono Himawari, una guerriera del Fuoco! Vuoi aiutarmi a cambiare questo mondo?”

 

Poi il suo volto scomparve, lasciando spazio ad una luce senza fine, che lo accolse per sempre.

Addio...

Poco dopo, quando la polvere causata dall'esplosione si depositò. Uno sfinito Lee si fece lentamente strada verso il corpo incosciente di Tenten. Aveva i vestiti ridotti a brandelli, la pelle spaccata e tutte e due le braccia fratturate.

Ten... si fece strada lentamente, un passo alla volta, lasciandosi dietro di sé una scia di sangue, ormai mosso da pura e semplice determinazione. Ten...

La vide, bella come sempre. Il volto pallido, gli occhi chiusi, i lineamenti di chi è caduto nell'incoscienza ma è ancora vivo. Le sue labbra si mossero appena, accennando un flebile sorriso. Si fece forza, sollevando il braccio destro rotto, mostrando alla donna della sua vita un pollice all'insù.

Ho mantenuto la promessa, Ten... si beò di quella visione, incapace di staccarle gli occhi di dosso. Torneremo a vivere... in pace...

Infine l'oscurità lo sommerse, facendolo cadere al suolo, la mano sopra quella della sua amata.

Ten...

 

 

Con un urlo colmo di rabbia, Hanabi roteo la Shinobigatana, tranciando il braccio di un uomo, finendolo successivamente. Un istante dopo, tre jutsu di fuoco le vennero incontro, costringendola all'utilizzo della Hakkeshō Kaiten, con la quale le fiamme vennero rapidamente disperse. Senza perdere tempo, la Hyuga scattò per colpire gli autori del precedente attacco. Il suo Juken fu rapido e spietato, neutralizzando facilmente gli avversari. Fece per scattare nuovamente all'attacco, ma un compagno la trattenne, costringendola ad arretrare.

“Dobbiamo mantenere la posizione, capitano!” dichiarò da sotto la maschera. “Siamo troppo pochi per iniziative personali!” Hanabi replicò con un grugnito, innervosita da quel continuo difendersi e basta. Ormai era più di un'ora che stavano tentando di reggere gli assalti dei ribelli che uscivano dalle grotte. Sembravano un'orda senza fine, che li sommergeva con rabbia e furore, quasi avessero disprezzo della propria vita. Dei sette confratelli della kunoichi ne erano rimasti solo quattro, ed anche il resto degli shinobi era quasi dimezzato, rendendo sempre più complesso mantenere la posizione.

Non possiamo restare qui in eterno. Parò un fendente, liquidando il proprio nemico con una stoccata, venendo attaccata immediatamente da altri due ribelli. Quanto tempo ti ci vuole per prendere la città, Shikamaru?!

Tump. Un rumore improvviso scosse la città fino alla fondamenta. I soldati di entrambe le fazioni interruppero quasi istantaneamente a combattere, mentre una nuova scossa faceva tremare la pietra. Hanabi alzò lo sguardo verso le grotte, mentre una terza vibrazione le fece sbattere i denti. Improvvisamente, la kunoichi ebbe una fitta gelida di paura, come se un grosso pericolo si stesse avvicinando a grande velocità.

C'è qualcosa che non torna. Gli occhi chiari della Hyuga fissarono le espressioni estasiate dei ribelli, i quali lanciarono un urlo di gioia nel percepire quelle vibrazioni. Ho un brutto presentimento.

Una gigantesca colonna di fuoco uscì fuori dalle grotte, alzandosi fino al cielo. Era immensa, quasi intimidatoria, come se il solo pensiero di poter evocare un simile jutsu facesse impallidire qualunque cosa. Le fiamme illuminarono a giorno il campo di battaglia, facendo tremare la terra, con più di un guerriero che perse l'equilibrio. Hanabi si coprì il volto con una mano, mentre il vento incandescente faceva volare via la maschera. Durò alcuni istanti, scomparendo rapido come era arrivato. Tuttavia, quando il fumo si dissolse, una figura uscì fuori dalle grotte, avanzando lentamente. I ribelli ruggirono di gioia, sollevando le armi al cielo, rinnovati nello spirito e nel vigore nel vedere il proprio capo scendere in battaglia al loro fianco.

Himawari fissò il campo di battaglia, gli occhi cerulei che osservavano freddi come buona parte della città fosse in mano agli shinobi di Konoha. Quando le iridi chiare si soffermarono sul Byakugan di Hanabi, si strinsero velenosamente, la presa sull'ascia che divenne più salda.

Si fece avanti lentamente, i passi che rimbombavano nel silenzio generale. Avanzò tra alleati e nemici, ignorandoli, continuando a tenere fissi i propri occhi su quelli perlacei di Hanabi. Alla fine, quando le due donne furono ad un paio di metri di distanza, la bionda si fermò, il cuore che pompava odio nelle vene.

“Hai il Byakugan.” esordì con voce bassa. Hanabi resse quello sguardo intimidatorio, il cuore che batteva sempre più forte. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma quella donna le metteva semplicemente paura.

“Sì.” rispose con voce bassa, i muscoli pronti a scattare. “Hai paura?”

“Paura?” il labbro superiore di Himawari si incurvò verso l'alto di un paio di centimetri, quasi trovasse divertente quella domanda. “No, ma tu presto l'avrai.”

“Me l'hanno detto in tanti.” rispose a tono la Hyuga. “Ed ora sono tutti morti.”

Il sorriso sparì dalle labbra della kunoichi più anziana.

“Avrò la tua testa, Anbu.” la sua fu una constatazione secca, come se non potesse esistere alternativa a ciò che affermava. “E soffrirai.”

“Sembri molto sicura.” il tono di Hanabi rimase calmo, il volto di pietra. “Ma per ora hai solo emesso sentenze... quando i fatti?”

Un silenzio pesante e denso scese, tutti gli occhi puntati sulle due kunoichi. Himawari sembrava tranquilla, ma si vedeva chiaramente quanto l'odio la consumasse; Hanabi, al contrario, appariva più fredda, come se quello scontro per lei non significasse nulla.

Poi, quando la tensione raggiunse il punto massimo, si ruppe.

“Katon: Sfere a Ripetizione!” Con un balzò all'indietro, Himawari soffiò fuori decine di piccole sfere infuocate. Hanabi le parò facilmente con la lama, ma un istante dopo, uno spostamento alle sue spalle, la costrinse a girarsi, osservando il volto ghignante della bionda. Quest'ultima roteò l'ascia, sprizzando scintille quando si scontrò con la spada della Hyuga. Le due guerriere rimasero in tensione per alcuni secondi, prima di allontanarsi. Hanabi riprese subito l'assalto, nel tentativo di prendere in contropiede l'avversaria, ma la ribelle sembrava divertita da quell'avventatezza. Per alcuni minuti sul campo di battaglia si videro solo due figure indistinte, il cozzare dell'acciaio che risuonava stridulo e mortale nell'aria.

“E' tutto qui?” la denigrò Himawari, il ghigno sanguinario ben impresso nella faccia. “Credevo che gli Hyuga valessero qualcosa di più!” Hanabi non rispose, intensificando gli attacchi. Alla fine, dopo un affondo improvviso, la mano destra della kunoichi mora andò a colpire il petto dell'avversaria. Il suono mortale del Juken risuonò in tutta l'area, mentre la bionda indietreggiava a causa dell'impatto, il volto basso.

“Ora sai quanto vale il mio sangue!” osservò con il fiatone l'Anbu. Il corpo di Himawari si contrasse, mentre sputava sangue dalla bocca. Fu solo dopo alcuni istanti che la Hyuga comprese che la ribelle stava ridendo.

“Il valore del tuo sangue?!” la bionda alzò la testa al cielo, ridendo beffardamente. “Il valore del tuo sangue?!” tornò a fissare la kunoichi più giovane, gli occhi che ribollivano di odio. “Il tuo sangue non vale un bel niente! Ed ora te lo dimostrerò!”

Si mosse molto più rapida di prima, cogliendo di sorpresa Hanabi, la quale fu costretta ad indietreggiare per difendersi. Il filo dell'ascia sfiorò il volto della ragazza, lasciando dietro di sé un calore che sapeva di morte. Senza darle tregua, Himawari evocò un nuovo jutsu di fuoco: una gigantesca sfera di fiamme, costringendo la Hyuga ad utilizzare la Hakkeshō Kaiten per difendersi. Tuttavia, non appena la rotazione terminò, una frusta infuocata partì fuori dalla mano destra della ribelle. Sibilando, il nuovo jutsu si avvolse attorno al corpo della giovane Anbu, svuotandole i polmoni di aria e bruciandole la carne.

Merda!

Cadde al suolo, la Shinobigatana che si perse nel clamore della battaglia. Non appena il suo corpo toccò terra, Himawari le fu sopra, schiacciandole il petto con un violento calcio a roteare. Sangue vermiglio le uscì dalle labbra, il petto che bruciava dal dolore. La sua avversaria però non le diede tregua, iniziando a percuoterle ferocemente il viso con una raffica di pugni. Le nocche si conficcarono con sadica furia nella carne della giovine, spezzando zigomi e fratturando la cartilagine del naso. Sangue rosso prese a scorrere con impetuosità sulle pietre, mentre Himawari attuava la propria vendetta per l'omicidio di Katsuo.

“Allora?!” le chiese la bionda, un ghigno folle sul viso sporco dagli schizzi di sangue della sua vittima. “Quanto vale il tuo sangue, Hyuga?! Ancora convinta di essere qualcosa di più di semplice feccia?! RISPONDIMI!”

Per tutta risposta, Hanabi le sputò addosso un fiotto di sangue nero. Era distrutta, ed anche il Byakugan si era disattivato. La frusta che la imprigionava le aveva assorbito tutto il chackra, rendendola inerme ed alla mercé di quella donna furiosa. Quest'ultima si leccò il sangue dalle labbra, un ghigno folle che le contorceva i lineamenti. In lei non c'era nulla della dolce donna che aiutava i poveri ed i bisognosi, divorata com'era dall'odio e dalla sete di vendetta.

“Ho giurato di farti soffrire.” fiamme nere presero ad uscirle dalla mano destra, cupe come la sua smania di vendicarsi. “E manterrò la mia promessa!” fece per calare quel colpo mortale sul petto della Hyuga, quando una figura, con un urlo rabbioso, la allontanò con un feroce pugno sul volto. La kunoichi bionda cadde a diversi metri di distanza, mentre Hanabi tentava di identificare il suo salvatore.

“Come hai osato farle del male?!” la voce di Konohamaru era profonda, roca, quasi fosse preda di una rabbia divorante. La Hyuga fu convinta di essere in errore, giacché quella figura era completamente diversa dal ragazzo di cui era innamorata: un'aura di chackra lo avvolgeva, trasmettendo un potere immenso. Sembrava una forza della natura, potente ed inarrestabile.

E' Konohamaru?! Il suo stupore aumentò quando lo vide girarsi, mostrando due occhi del colore dell'oro, la pelle attorno che aveva assunto una tonalità argentea. Il suo stesso viso sembrava cambiato: era come se un pittore avesse preso i tratti del Sarutobi, rendendoli più raffinati ed eleganti.

“Non fare quella faccia.” mormorò lo shinobi. Si accovacciò affianco all'Anbu, liberandola con estrema facilità dal jutsu imprigionante. “E' una storia lunga, ma dopo te la spiegherò.” rivolse il proprio sguardo dorato in direzione di Himawari, la quale si era già rialzata, fissando con freddezza il nuovo arrivato. “Prima devo sistemare questa pazza.”

“Fa attenzione.” Hanabi si rialzò a fatica, il volto tumefatto rivolto in direzione della sua carnefice. “E' molto più potente di quanto possa sembrare.” il suo sguardo, acuto come sempre, tornò sullo strano aspetto del suo uomo, osservando in particolare gli occhi. “Hai appreso la Sennin Mode dei primati, non è vero?”

Il ragazzo si limitò a mettersi una mano dietro la testa, ridacchiando.

“Ci ho messo un sei mesi per impratichirmene.” era chiaramente orgoglioso del proprio risultato. “Ma ora so padroneggiarla perfettamente. È con questa tecnica che ti ho rintracciato.” il suo volto divenne serio, ritornando a fissare la ribelle. “E con essa onorerò la memoria di mio nonno!”

“Sei un Sarutobi.” osservò Himawari, aprendo bocca per la prima volta da quando lo shinobi era comparso. “La vostra abilità risiede nei jutsu di fuoco e nell'uso di primati. Tuttavia...” la sua voce divenne sprezzante. “La tua Sennin Mode non ti servirà a molto. Non hai speranze di battermi in quelle condizioni.”

Per tutta risposta, Konohamaru roteò il bastone, un sorriso feroce sul viso. “Io sono invece convinto del contrario!”

“E va bene.” la kunoichi estrasse nuovamente l'ascia, il tono quasi annoiato. “Fatti sotto, giovane Sarutobi!”

“Io non sono un Sarutobi qualunque!” ringhiò lo shinobi. “Sono Konohamaru Sarutobi, nipote del Terzo, e compagno di lotta di Emna, Re dei Primati!”

“Un titolo altisonante!” replicò sarcastica la donna. “A me non interessa niente di chi sei.” strinse gli occhi cerulei, il potere che ribolliva dentro di lei. “Sei solo un ostacolo verso la realizzazione del mio sogno, nulla di più.”

“Concordo!” i due ninja presero a fissarsi, in silenzio, ognuno in attesa di una mossa da parte dell'altro, un segno per partire all'attacco.

Stai attento, riesco a percepire un grande potere in questa donna.” la voce aspra di Emna, signore dei primati, risuonò dal bastone. “Sospetto che sia superiore anche al mio.”

“E' quello che temevo.” mormorò il ragazzo. “Forse con una Fusione si potrebbe...”

E' escluso! Non sei ancora capace di padroneggiare quella tecnica, sarebbe un suicidio!”

“D'accordo.” chiuse gli occhi per un istante, percependo le forze naturali scorrere dentro di lui. “Faremo con ciò che abbiamo.”

Si lanciò improvvisamente all'attacco, roteando la propria arma con grande abilità. Himawari parò il colpo, ma il Sarutobi le era già alle spalle, pronto a colpirla nei reni. La ribelle non si fece trovare impreparata, saltando verso l'alto, pronta a calare la propria arma contro lo shinobi. Scintille rosse sprizzarono quando la lama si infranse contro il robusto bastone, i loro volti a pochi centimetri l'uno dall'altro. Si allontanarono, iniziando una danza elegante e mortale. Più volte i loro corpi si sfiorarono per alcuni istanti, i muscoli tesi e gonfi, prima di allontanarsi, il sangue che scorreva nelle vene sempre più velocemente, eccitati dall'impeto della battaglia.

“Katon: Sfera Suprema!” Himawari fu la prima a rompere l'impasse, evocando una gigantesca palla fiammeggiante. Konohamaru la schivò facilmente, pronto alla contromossa, ma la kunoichi gli era già alle spalle, un ghigno sanguinario sul volto.

“Lento!” mosse l'ascia con estrema rapidità, tranciando i muscoli della schiena del moro. Il corpo del ragazzo si accasciò a terra, scomparendo in una nuvola di fumo un istante dopo.

Una copia! Percependo uno spostamento alle sue spalle, Himawari si voltò: Konohamaru le veniva incontro, un'enorme massa di chackra nella mano destra che roteava vorticosamente.

“Senpou: Chou Oodama Rasengan!” il gigantesco Rasengan colpì in pieno la bionda, scagliandola a svariati metri di distanza. L'esplosione scosse la città intera, coprendo il campo di battaglia di terra e polvere per lunghi minuti. Konohamaru fece un profondo respiro, tentando di rallentare i battiti del cuore: sapeva che non bastava un simile colpo per metterla fuori gioco. I suoi timori vennero confermati un minuto dopo, quando tra la polvere che si depositava comparve la figura di Himawari, apparentemente illesa.

Di cosa è fatta questa tizia? Il Sarutobi si morse l'interno della guancia, trattenendo a stento un'imprecazione. Le sue speranze di indebolirla si era infrante fin troppo velocemente.

Cominciò a credere che il vecchio Enma abbia ragione: non sono al suo livello.

“Bel jutsu!” esclamò la donna. “Dico davvero: mi hai sorpresa.” le iridi cerulee si illuminarono di una luce inquietante. “Non credevo fossi così in gamba. Per premiarti, ti farò un regalo: ti mostrerò il mio vero potere.” conficcò l'ascia al terreno, iniziando subito a formare rapidamente una serie di segni. Chiuse gli occhi, mentre risvegliava il proprio potere, proseguendo a formare un segno dopo l'altro, la mente fredda e lucida. Nel giro di alcuni secondi terminò la sequenza, unendo le mani davanti al petto. Quasi subito, un'aura rosso sangue prese a circondarla, mentre il terreno iniziò a tremare.

Cosa diavolo... Konohamaru strinse il bastone con maggiore forza, sudando freddo. Non aveva mai visto qualcuno capace di creare terremoti. Le scosse aumentarono d'intensità, l'aura rossa sempre più potente. Un vento caldo prese a soffiare sopra il campo di battaglia. Quando Himawari aprì gli occhi, il limpido azzurro era sparito, lasciando spazio a tizzoni ardenti, più potenti di mille soli.

“Katon: Risveglio del Demonio!” grosse spaccature si aprirono nel terreno circostante, lasciando fuoriuscire fiamme scure. Queste ultime presero a convergere sopra la ragazza, dando vita ad un tornado di morte e fiamme.

E' assurdo... Konohamaru digrignò i denti, sentendosi tremendamente impotente. Nessun jutsu di fuoco che conosceva poteva competere con quella massa oscura di morte e fiamme. Fu con amara rabbia che comprese di non aver alcuna possibilità di sconfiggere la kunoichi, neanche con la Sennin Mode.

Merda! Tutti i miei anni di allenamento, tutti i miei sacrifici... per un istante fu tentato di urlare al cielo la propria rabbia, la frustrazione di aver visto vanificati gli sforzi di una vita, quando l'immagine di Naruto gli rasserenò la mente. Naruto... così forte, così sicuro di sé. Colui che non si arrendeva mai, che riusciva a superare qualsiasi ostacolo con la forza della determinazione.

Il mio Nindo deve essere lo stesso. Tornò a fissare negli occhi la donna con espressione sicura di sé. Aveva una sola possibilità di vincere quella sfida, e non poteva più indugiare.

“Enma...” chiamò il compagno con voce stentorea, quasi rassegnata. “Dobbiamo effettuare la Fusione.”

Sei impazzito? Non sei capace di padroneggiarla in battaglia! Non ti ricordi cosa è accaduto l'ultima volta che hai provato a maneggiarla? Vuoi forse morire?!”

“Se non tentiamo moriremo lo stesso.” fu la secca replica del Sarutobi. “Non ho niente da perdere a provarci, non credi?”

Se fallisci però...”

“Non fallirò!” un sorriso sicuro nacque tra le labbra del giovane uomo. “Abbi fiducia in me!” sentì l'amico emettere un sospiro, mentre univa le mani davanti al petto, pronto a giocarsi la sua ultima carta.

Così sia.”

In quel preciso istante però, un'esplosione di fumo sommerse il campo di battaglia, bloccando ogni scontro. Avvolti nella nebbia, i guerrieri rimasero confusi, incapaci di comprendere cosa era accaduto. Solo Shikamaru sorrise, ma il suo era un sorriso dettato da vecchi ricordi.

Era ora...

Quando la nebbia calò, apparve uno spettacolo inusuale: un gigantesco rospo rosso magenta troneggiava sulle mura cittadine, una sigaretta stretta tra le labbra, lo sguardo altezzoso e sicuro di sé. Sul suo capo, a braccia conserte, c'era un uomo. Indossava abiti da guerra, una mantella rossa con fiamme nere che gli copriva la schiena. Aveva corti capelli biondi, gli occhi dorati con una bruciante pupilla orizzontale. In testa portava un coprifronte della Pioggia scheggiato.

Konohamaru sorrise, trattenendosi dallo scoppiare a ridere per il sollievo, mentre Hanabi si limitò a borbottare qualche insulto per quel ritardo inaccettabile, ma la figura che il nuovo arrivato non perdeva di vista reagì in modo ben diverso. Un sorriso carico di disprezzo si delineò sul viso di Himawari davanti a quella visione, un ghigno che di umano aveva ben poco, colmo di odio e di rabbia.

“Sapevo che sarebbe arrivato.” mormorò, senza smettere di emettere fiamme dal terreno. “Uzumaki Naruto...” nel vederla così colma di odio, Naruto strinse gli occhi, sentendosi pronto a combattere la battaglia più difficile della sua vita.

Wari...

Era quello il suo dovere: combatterla. E l'avrebbe fatto.

Per la mia famiglia. I suoi lineamenti si rilassarono, pensando che tutto quello era per la sua famiglia, i suoi amici ed il suo popolo.

Ci siamo.

Era pronto a diventare un assassino.

 

 

CONTINUA

 

 

Angolo dell'Autore:

 

Allora, lo so che avevo promesso di chiudere questa faccenda in un solo capitolo, ma come al solito il mio essere prolisso ha avuto la meglio. Non potevo liquidare questa battaglia in qualche riga, e quindi ho deciso di allungare di un capitolo. Ma il prossimo sarà l'ultimo, lo giurò! Poi si tornerà alla vita di tutti i giorni, con un po' di comicità (che qua con tutta sta morte e tristezza va a finire che cado in depressione pure io!).

Riguardo alle tecniche di lotta... ho tentato, dove possibile, di mantenere i nomi originali, mentre là dove non è stato possibile ho preferito l'italiano (Google Traduttore ed io non abbiamo un gran rapporto). Forse l'effetto è un po' sgradevole, questo misto di giapponese e italiano. In caso ditemelo, che dal prossimo provvederò a cambiare, tenendo tutto italiano.

Ed ora partiamo con qualche spiegazione (se non siete troppo stanchi di leggere ovviamente!)

Iniziamo da Tenten: il sigillo da lei utilizzato è una specie di contenitore, che una volta rotto (tramite alcune gocce di sangue) permette l'utilizzo della modalità eremitica. Tuttavia, la ragazza non sa ancora maneggiarla perfettamente, come testimonia il fatto che è durata solo qualche minuto.

Rock Lee in questo punto della storia sa aprire fino a sette porte. Nell'ultimo attacco sta per aprire, inconsciamente, l'ottava porta, motivo per cui il chackra è in parte rosso, e perché è così gravemente ferito alla fine dello scontro. I suoi attacchi sono parzialmente diversi da quelli di Gai (anche se ha preso ispirazione da essi il nostro baldo shinobi).

Hanabi ha perso così rapidamente contro Himawari perché già affaticata dai precedenti scontri. Inoltre, la kunoichi bionda non ha giocato ancora tutte le proprie carte, come si vedrà nel prossimo capitolo. Konohamaru ha imparato ad usare i primati come suo nonno, ed ho pensato di dargli anche a lui la Sennin Mode (dopotutto, suo nonno era un vero e proprio genio, quindi è plausibile che possa anche lui impararla). La tecnica della Fusione è una cosa diversa, che verrà fuori più avanti (non dico altro per non spoilerare!).

Bene! Infine anche questo capitolo è terminato! Come sempre ringrazio chiunque legga e segua questa storia, e ricordo che qualsiasi recensione (anche negative, non mordo tranquilli!) è ben accetta!

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 17
*** Il dovere di uno shinobi, parte finale ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

Il dovere di uno shinobi
 

Parte Finale

 

Strano.

Era strano per lui tornare a combattere qualcuno per cui sentiva un sentimento così profondo. Gli sembrava che il tempo non fosse mai trascorso: era ancora un diciassettenne che stava combattendo il proprio migliore amico nella Valle dell'Epilogo, uno scontro che l'avrebbe privato di un braccio e di molte certezze, tra le quali la speranza di tornare a vivere in pace con Sasuke a Konoha.

Ed ora la storia si ripeteva. Crudele, amara, con uno epilogo orribilmente chiaro.

Wari... gli fece male vederla consumata in quel modo dall'odio, il viso contorto in un ghigno mostruoso, che di umano non aveva niente ormai. La donna da cui aveva imparato così tanto sulla vita, la persona che ammirava dal profondo del cuore sembrava scomparsa, sostituita da una guerriera fredda e sadica, desiderosa soltanto di distruggere ogni cosa.

“Dunque sarebbe lei... la mocciosa di cui parlavi tanto.” la voce gracchiante di Gamakichi risuonò nell'aria, distogliendolo dai propri pensieri. Aveva passato gli ultimi tre giorni in compagnia del suo vecchio amico, sul Monte Myoboku, tentando di radunare tutta la propria determinazione nel compiere quel gesto, la forza di affrontarla in battaglia.

“Gamakichi, occupati della battaglia.” dichiarò con tono secco. “Fai in modo che gli scontri abbiano fine.”

“E tu?”

“Io mi occuperò di lei.” il grosso rospo ridacchiò, soffiando fumo dalle labbra.

“Vuoi chiedere il conto da solo, dico bene?”

“Voglio che questa storia finisca, una volta per tutte.” guardò l'amico con un sorriso amaro sul volto. “Posso contare sul tuo aiuto?”

“Il re dei rospi ha una parola sola, dovresti saperlo!” Gamakichi si accovacciò, preparandosi a saltare in mezzo alla battaglia. “Ma vedi di stare attento. Anche se ora hai il Kyuubi dalla tua parte, sento che quella donna è molto potente.”

“Lo so.” mormorò lo shinobi, senza smettere di fissare la kunoichi bionda. “Ma la fermerò ad ogni costo... è una promessa.”

Senza replica, il signore dei rospi saltò verso il centro della città, in direzione degli scontri principali. Naruto scese dalla testa dell'amico, compiendo un'aggraziata capriola, cadendo proprio a pochi metri da dove si trovavano Himawari e Konohamaru. Senza perdere tempo, il giovane uomo avanzò, percependo Kurama sferzare l'aria con le nove code: anche il Kyuubi desiderava farla finita.

“Hanabi...” mormorò, osservando tristemente il viso tumefatto della Hyuga. Non credeva che esistesse qualcuno capace di ridurre in quel modo la kunoichi. Quest'ultima sorrise, i denti sporchi di sangue, il braccio destro molle a causa di una brutta ferita.

“Era ora che arrivassi... Baka.” mormorò l'Anbu. “Non sono certo quella che si definisce una brava ragazza, ma quella... è una vera furia.”

“Avete già fatto troppo.” dichiarò seccamente il biondo. “Prendi Konohamaru ed uscite dalla città.” tornò a fissare Himawari, un'espressione di amara determinazione impressa nei tratti del volto. “Questo duello è una faccenda che non vi riguarda.”

Oro. Vedeva dell'oro a lui molto familiare. Specchiarsi negli occhi di Konohamaru fu per lui un tuffo nel passato. Gli parve di rivedersi più giovane, più sicuro, meno tormentato, e ne fu fiero. Fiero dell'uomo che il fratellino stava diventando, della persona che aveva deciso di essere.

“Naruto-niichan.” mormorò il Sarutobi, un'espressione dura sul viso, adulta. “Sei in ritardo.” lo rimproverò, un sorriso privo di gioia sulle labbra. L'Uzumaki sorrise a sua volta, mettendogli una mano sulla spalla, felice di vederlo ancora vivo.

“Sei diventato forte, Konohamaru.” dichiarò. “Il Terzo sarebbe fiero di vederti ora... hai raccolto la sua eredità.” veloce come era comparso, il sorriso sparì, lasciando spazio a qualcosa di diverso: dolore, rabbia ed inadeguatezza presero a tormentare l'espressione del chuunin.

“Può essere... ma non è bastato a vincere.” replicò. “Io... sono ancora un in...”

“Sei un uomo, Konohamaru.” lo interruppe Naruto. “E un uomo non si arrende mai, ricordalo sempre.” strinse con forza la spalla del Sarutobi, tentando di fargli capire che era al suo fianco, ora e sempre. “Un giorno toccherà alla tua generazione difendere il nostro popolo.” mormorò, superandolo, il vento caldo causato da Himawari che gli scuoteva la mantella. “Ma tu dovrai anche guidarlo, amico mio.”

Konohamaru non disse nulla. Rimase immobile, a fissare il proprio amico, fratello ed insegnante farsi avanti, ancora una volta, per guidare e proteggere quel paese martoriato, che non voleva saperne di restare in pace. Proseguì a restare immobile per lunghi secondi, persi nel fissare la schiena dritta del biondo. Glielo aveva letto negli occhi: un peso tremendo gravava sul cuore di Naruto, ma ciò non l'avrebbe fermato. Era lui il faro della loro nazione, la luce del popolo del Fuoco, ed era suo compito difenderlo con tutte le sue forze, a qualsiasi prezzo.

“Saru...” percepì la mano calda di lei. Era morbida, seppure piena di escoriazioni e sangue. “Andiamo, qui siamo d'intralcio.”

“Lo so.” chiuse gli occhi per un istante, dando le spalle al Jinchuuriki. “Un giorno toccherà a noi proteggere questa nazione, Hanabi.”

“Un giorno le guerre finiranno.” replicò la Hyuga. “O almeno così dicono.”

“Io non ci credo più.” prese ad incamminarsi verso il centro della città, deciso a ritrovare Udon e Moegi. “Le guerre non finiranno mai.”

 

 

Rimasero soli, nel silenzio rotto dalle fiamme emesse da lei. L'espressione sul viso dello shinobi era indecifrabile. Solo gli occhi dorati mostravano qualcosa di simile a dolore per quella situazione, per quel duello ormai inevitabile.

“Ti ringrazio per aver permesso ai miei amici di allontanarsi.” esordì lo shinobi. “Lo apprezzo molto.”

“E' solo questione di tempo.” rispose lei, interrompendo il flusso di fiamme. L'aura di chackra rosso sangue continuò a ricoprirle il corpo. “La guerra chiederà un tributo ad ogni abitante di questo paese, nessuno escluso.”

“Wari...” la voce del biondo divenne colma di tristezza nel vederla consumata in quel modo dall'odio. “Deve esserci una soluzione diversa da questa...”

“Anche se ci fosse, di sicuro non ti lascerei in vita!” con uno scatto fulmineo, la kunoichi afferrò l'ascia, coprendo con un balzo la distanza che c'era tra lei e il ninja di Konoha. “Non dopo tutta l'arroganza che hai mostrato!” Naruto estrasse un kunai, parando il colpo. Scintille bollenti sprizzarono dal contrasto, mentre ognuno dei due avversari tentava di sopraffare l'altro. L'Uzumaki provò a colpirla ad una gamba con una rapida stoccata, ma la punta si infranse contro il piatto della lama dell'ascia. I denti bianchi di Himawari scintillavano come perle, impegnata a roteare con estrema abilità la propria arma. Il filo sfiorò solamente i capelli del biondo, costringendolo ad una spazzata per guadagnare un istante di pausa: gli attacchi della donna era secchi, potenti e rapidi.

Sfruttando la Sennin Mode, Naruto tentò nuovamente un assalto, roteando nella mano destra il pugnale. L'impatto tra le armi creò un'apertura, che il ninja provò a sfruttare estraendo un secondo kunai con la sinistra. Le due armi sibilavano come serpi nell'aria, calando con rapidità e potenza contro Himawari. Quest'ultima, a causa dell'arma più pesante, fu costretta ad indietreggiare goffamente, fino a quando le lame del Jinchuuriki non inflissero due tagli, rispettivamente sulla coscia destra e sul fianco sinistro della donna, la quale compì un salto all'indietro per guadagnare tempo, sibilando per il dolore.

“Non mi sembri molto sicura nel corpo a corpo!” la prese in giro Naruto, roteando i pugnali nelle mani. La kunoichi sputò un grumo di sangue, effetto postumo del Juken di Hanabi, provando ad appoggiare il peso sulla gamba ferita. Vedendola reggere senza problemi, la donna riprese a sorridere, riprendendo a roteare l'ascia. Lo shinobi rimase stupefatto quando la vide raddoppiare improvvisamente la velocità d'attacco. Fu preso in contropiede, troppo lento anche con la Sennin Mode. Il ghigno sul volto della ribelle sapeva di vittoria quando calò l'arma sulla testa dell'Uzumaki, con il chiaro intento di spaccargliela. A pochi centimetri dalla fronte di quest'ultimo però, un braccio infuocato comparve improvvisamente, facendo da scudo al colpo. Senza perdere tempo, Naruto provò ad approfittarne per colpire, ma ancora una volta la nuova velocità dell'avversaria fu determinante: alzando la gamba, Himawari lo colpì in pieno volto con una ginocchiata, sfruttando quell'istante per allontanarsi dal braccio di fuoco evocato da Kurama.

“Interessante.” mormorò la donna con occhi di ghiaccio, il sorriso pazzo sempre sul viso. “Ero davvero impaziente di vederti comparire... Kyuubi.”

Idiota, vedi di stare più attento. Non posso sempre coprirti.”

Scusa.” il giovane uomo si massaggiò il naso dolorante, sorpreso dalla rapidità mostrata da Himawari. “Sospetto che la Sannin Mode non sia sufficiente per fermarla.” guardò il demone, appoggiandogli una mano sulla zampa anteriore. “Apriamo le danze?”

Dillo un'altra volta e ti uccido io.” l'Uzumaki ridacchiò, richiamando il potere della volpe. Percepì l'ormai familiare sensazione di bruciante forza scaldargli il sangue, mentre un'aura dorata lo ricoprì, gli occhi che aggiungevano la pupilla verticale del demone a quella orizzontale della Sannin Mode.

Himawari non fu sorpresa da quella mutazione, così come non cambiò il proprio atteggiamento di superiorità nel percepire l'immensa forza del demone. Si limitò ad intensificare l'aura di chackra che le ricopriva il corpo, gli occhi che brillavano per l'eccitazione della lotta.

“Dunque è questa la tua vera forza.” esclamò. “Se non ricordo male, otto anni fa sei stato capace di fermare Madara delle Sei Vie.” il sorriso divenne un ghigno. “Vediamo se riuscirai a fare altrettanto con la sottoscritta.”

“Wari... sei ancora in tempo.” mormorò l'altro, un ultimo tentativo di fermare la donna. “Come puoi permettere che questo massacro possa andare avanti?”

“Non è che l'inizio.” replicò lei, tornando improvvisamente seria. “Voi shinobi siete stati troppo arroganti, convinti che tutto vi sia dovuto, anche una pace che porta vantaggi soltanto a voi!”

“Ne sono perfettamente a conoscenza. Se ho sbagliato è stato per ignoranza, non per malignità, e tu lo sai!”

“Questa è una scusa, lo sai perfettamente.” una risata macabra nacque nella gola della kunoichi. “Non hai mai voluto informarti! Dopotutto, tu ormai avevi ottenuto ciò che volevi, perché fare tanta fatica?”

“Io...”

“Non mentire!” quella frase zittì Naruto, spaventato dal tono della donna. “So cosa hai provato nella tua vita... anch'io ho vissuto a lungo a Konoha, e conosco il tuo passato.” gli occhi cerulei di lei non smisero di fissare l'Uzumaki, sempre più a disagio sotto quello sguardo. Erano gli occhi di chi conosceva appieno la sofferenza che aveva patito, perché era anche la sua.

 

 

Si muoveva tra gli alberi, stanca ma soddisfatta per la missione appena compiuta. Eppure, quella sensazione di benessere era intaccata al ricordo dei propri compagni di Team che ritornavano a casa, dalle proprie famiglie, mentre lei restava inevitabilmente sola.

Sola. Quel pensiero era tremendo. I suoi occhi cerulei si tinsero di malinconia nel prevedere l'ennesima serata silenziosa, stretta tra le pareti del suo appartamento, in compagnia solo della propria ombra.

Ah!” un urlo infantile la fece uscire dai propri pensieri. Ne udì un secondo e successivamente un terzo. Incuriosita, si diresse verso la sua origine, rimanendo sorpresa da ciò che vide.

In una piccola radura, c'era un bambino. Non doveva avere più di otto anni. Indossava abiti consumati e sporchi ed aveva le mani piene di graffi. Anche i capelli biondi non sembravano aver mai visto un pettine in vita loro, ma ciò che più la colpì furono gli occhi: azzurri, pieni di oscurità e di solitudine, proprio come i suoi.

Forse fu quello a farla rimanere fino a sera, ad osservare con quanta foga il bambino si stava esercitando nel lancio dei kunai. Era piuttosto scarso, raramente centrava il bersaglio due volte di fila, ma non si arrendeva mai. Raccoglieva le armi e riprendeva l'allenamento, in modo quasi ossessivo, come se dipendesse la sua stessa vita dalla riuscita di quell'esercizio.

Fu quello il giorno in cui incontrò Naruto Uzumaki. Il giorno in cui conobbe colui che veniva chiamato 'Il Mostro di Konoha'.

E le piacque.

 

 

“Tu volevi degli amici, una bella donna da sposare, una famiglia che ti amasse. Ora che hai ottenuto tutto questo, perché dovrebbe importarti qualcosa se il tuo stesso popolo muore di fame, o è costretto a vendere i propri figli per evitarlo?” abbassò l'ascia, il tono che divenne più velenoso. “Hai sofferto molto, Naruto, questo è vero, ma proprio per questo avresti dovuto vedere, capire la sofferenza della tua gente... ma non l'hai fatto.” ogni parola si caricò di disgusto, quasi fosse schifata da ciò che vedeva. “Mi eri sempre piaciuto, sai? Vedevo in te quello che avevo passato io: la solitudine, il dolore, il disprezzo degli altri... niente però sembrava scalfire la tua determinazione. Mi piaceva vedere nei tuoi occhi l'identico folle desiderio di cambiare il destino, tutto ciò che mi animava.” calò un silenzio significativo. Lo shinobi fece sempre più fatica a reggere quello sguardo. Tutto quello che si era ripetuto negli ultimi giorni scivolava via quando si specchiava in quei limpidi specchi azzurri. “Quindi puoi solo immaginare la mia delusione riguardo il tuo comportamento indegno, la tua scelta di ignorare la sofferenza del nostro popolo!”

Scattò all'attacco, rapida come uno scorpione. Brandì l'ascia, costringendo l'Uzumaki ad una difficile parata con il kunai. Il potere di Kurama l'aveva rinvigorito, permettendogli di tenere testa al passo della kunoichi. Ben presto i loro movimenti divennero quasi sfuocati a causa della velocità, mentre le loro aure di chackra, rossa ed oro, si avvicinavano e si respingevano, causando esplosioni sempre più violente.

“Posso anche aver sbagliato...” ansimò Naruto, in un breve istante di pausa. “Ma tutto quello che stai facendo sta causando solo inutili vittime! Non sei nella posizione di giudicarmi, Wari!”

“Hai perfettamente ragione!” ringhiò la bionda, riprendendo il proprio attacco, un fendente dietro l'altro, il ritmo sempre più incalzante. “Io sono una Nukenin, uno scarto della società, ma tutto questo è solo opera tua!” la lama slittò sulla punta di uno dei kunai dello shinobi, quest'ultimo ne approfittò subito per colpirla con un calcio, ma Himawari parò il colpo con il braccio sinistro, ricambiando con un violento pugno che scagliò a diversi metri di distanza l'altro.

“Rispondi, Naruto!” urlò, riprendendo subito il proprio attacco, mettendolo sempre più in difficoltà. “E' questa la pace che volevi costruire? Guardati attorno! È questo il futuro che sognavi? RISPONDI!”

Un fendente più potente dei precedenti riuscì a disarmare il biondo, il quale cadde in ginocchio, con il fiatone. La Nukenin rimase immobile, l'ascia rivolta a terra, gli occhi cerulei piantati sul volto scuro e contorto dai sensi di colpa del Jinchuuriki.

“Io... sono stato uno stupido.” mormorò infine, lo sguardo basso. “Ho dato per scontato che la pace... fosse stata un bene per tutti, nessuno escluso.” fece un profondo respiro, deglutendo a vuoto, nel disperato tentativo di rimanere lucido. “Ho sbagliato e per questo ti chiedo scusa... ma ciò non può bastare a giustificare la distruzione di tutte queste vite! Non posso e non voglio accettarlo!” si rialzò, fissandola dritta negli occhi. “Te l'ho già detto: non puoi pensare di guarire una società con la guerra.” vide la sorpresa nei suoi occhi, mista a perplessità per quell'enigmatica frase. Con un gesto eloquente, lo shinobi indicò il proprio coprifronte, attendendo che la sorpresa lasciasse spazio all'orrore del dubbio.

“Sono stato io a dirti queste esatte parole... tre giorni fa.” un'espressione di dolore nacque sul volto di Naruto, dolore per aver dovuto ingannare e tradire persone che aveva imparato ad amare. “Sono Nagato.”

Silenzio.

L'ascia le sfuggì dalle mani, cadendo al suolo. Vide le labbra socchiudersi, il volto cristallizzato, impietrito. L'orrore che si mescolava alla disperazione di aver sperato e sofferto a causa di una menzogna, una schifosissima bugia.

“Tu?” sibilò infine, la voce rotta. L'uomo si passò una mano sul viso, desiderando ardentemente scomparire all'istante: si sentiva una vera feccia.

“Mi dispiace.” mormorò, la voce che appariva falsa ed ipocrita anche alle sue orecchie. “Era l'unico modo che avevo per salvare la mia famiglia, il mio villaggio.”

Dolore. Tanto, improvviso, violento. Con uno scatto, lei l'aveva colpito con un diretto sotto l'occhio, facendogli perdere l'equilibrio. Cadde a terra, subito bloccato dalla donna, la quale prese a percuotere con furia crescente ogni centimetro del suo corpo.

“No!” urlò, gli occhi sporgenti, spiritata. “Tu non sei lui! Non sei niente! NIENTE!”

Muoviti, Baka! Non puoi farti massacrare in questo modo!” poteva percepire l'amico urlargli, incitarlo a non arrendersi, ma era difficile non cedere alla tentazione, alla possibilità di pagare per i propri errori in quel modo, facendosi uccidere di pugni da colei che aveva tradito.

Naruto!” Kurama ululò di frustrazione, tentando di prendere il controllo del suo corpo, di sopraffarlo, ma prima che ci riuscisse Himawari smise di colpirlo. Restò immobile, il volto coperto dai capelli paglierini, le mani strette a pugno che presero a tremare in modo impercettibile.

“Perché...” mormorò con voce rotta, quasi distrutta. “Perché dovevi essere proprio tu?”

Naruto non rispose, proseguendo a restare fermo, alla mercé della kunoichi. Era quasi felice di essersi tolto quel peso dal cuore, di essersi liberato di un simile macigno, capace di distruggerlo dentro come niente era riuscito a fare. Forse solo la morte di Neji l'aveva spezzato in quella maniera, ma in quel luogo di fiamme e morte non c'era nessuna Hinata pronta a salvarlo dal baratro.

“Dovevo dirtelo.” rispose infine, le ferite che si rimarginavano grazie ai poteri del Kyuubi. “Dovevo mostrarmi per quello che ero: feccia.” un sorriso amaro nacque sul volto dello shinobi. “Indipendentemente da come questo scontro finirà, tu hai ragione: i ninja sono destinati a morire come feccia, nessuno escluso.”

Himawari si alzò, allontanandosi dal corpo dello shinobi. Teneva il volto basso, nascosto dalla frangia bionda, le labbra strette, compresse in una linea sottile.

“No...” dichiarò infine, raccogliendo l'ascia e sistemandosela alla vita. “Non sei una feccia... sei peggio.” si girò di scatto, gli occhi ricolmi di una furia trascendentale, lucidi di lacrime rapprese, acide, colme di una furia cieca. “E morirai come un cane!”

Unì le mani davanti al petto. Il flusso di chackra che fuoriusciva dal suo corpo aumentò in maniera spropositata, pari ad una colonna che si alzò fino al cielo. Naruto si alzò a fatica, riparandosi il viso, quasi abbagliato dal potere che la donna stava liberando.

Wari... un brivido lo percorse quando vide il chackra rosso prendere una forma ben definita: un gigantesco demone color sangue, circondato da fiamme nere. Aveva corna ricurve, artigli affilati, ali fiammeggianti ed una lunga corda incandescente. Nella mano destra teneva una gigantesca ascia di fuoco. Un essere composto da ombra e fiamme alto parecchie decine di metri. Dentro il cranio, fulcro e fonte di quella immensa creatura, c'era Himawari, il volto contratto in un'espressione di puro odio.

“Katon: Signore degli Inferi!” il mostro fiammeggiante lanciò un tremendo urlo, che risuonò per tutto il campo di battaglia. Mosse una zampa, con l'intento di schiacciare lo shinobi, ma proprio in quell'istante, Kurama fece la sua apparizione: una volpe color oro apparve davanti al demone, le nove code che sibilavano nell'aria, gli occhi dorati orgogliosi e sicuri di sé. Il Kyuubi rispose alla sfida lanciando un ruggito.

“Dunque finirà così.” mormorò Naruto, fulcro e fonte del chackra dell'amico. Fissò la creatura evocata dalla Nukenin, sentendo ancora una volta il richiamo del passato, a quello scontro nella Valle dell'Epilogo di otto anni prima.

Naruto... basta ripensamenti!” la voce di Kurama lo richiamò al presente. “Abbiamo una battaglia da vincere, smettila di rimuginare sul passato!”

L'Uzumaki chiuse per un istante gli occhi, sorridendo con amarezza. Ancora una volta, il Bijuu aveva ragione. Lo ringraziò silenziosamente, richiamando tutto ciò che restava della sua determinazione: arrivati a quel punto non c'era più spazio per i dubbi.

Così sia!

 

 

Shikamaru parò a fatica un colpo con le proprie lame. Sbuffando, lo shinobi delle ombre si liberò dell'assalto con un calcio, finendo l'avversario con un rapido fendente. Si ritirò per alcuni istanti dalla prima linea, nel tentativo di riprendere fiato.

“Merda!” si asciugò il sudore dalla fronte con un gesto nervoso. Era frustrante non poter usare le proprie ombre in quei frangenti. Alzò gli occhi al cielo, chiedendosi quando avrebbe avuto fine quella notte all'apparenza infinita. Gli sembrava fossero passati giorni interi da quando la battaglia era iniziata.

Cosa darei per un pisolino sulla collina di Choji...

“Shikamaru!” si voltò, lasciando da parte quei pensieri invoglianti. Vide Konohamaru ed Hanabi fargli incontro, quest'ultima gravemente ferita. “Shikamaru!”

“Ti sento!” borbottò il moro. “Cosa diavolo c'è ora?!”

“Naruto è arrivato.” rispose l'Anbu. “Sta combattendo con il capo dei ribelli in questo preciso momento.”

“Lo so già.” indicò alle proprie spalle il gigantesco Gamakichi, impegnato a neutralizzare da solo interi plotoni nemici. “Solo Naruto è capace di evocare un simile rospo.” i suoi occhi acuti si posarono sulle ferite della kunoichi. “Chi è stato a ridurti in questo modo?”

“Qualcuno che presto se la passerà peggio.” sghignazzò lei, le labbra spaccate.

“Shikamaru, hai visto per caso Moegi ed Udon?” gli chiese il Sarutobi, gli occhi che saettavano tutt'intorno.

“Se hanno partecipato all'assalto, io non li ho visti.” replicò sbuffando. Vedendo i ribelli tentare una nuova carica, il jonin richiamò le lame di chackra, preparandosi all'ennesimo scontro. “Fareste meglio a concentrarvi sullo scontro, non abbiamo ancora vinto!” si congedò con quella frase, ritornando alla testa dei suoi uomini, il fumo che degli incendi che si alzava nella notte senza fine.

“Saru, sono sicura che stanno bene.” Hanabi mise una mano sulla spalla del fidanzato, tentando di trasmettergli la propria tranquillità. “Shikamaru ha ragione: ora dobbiamo solo pensare a vincere la battaglia. Non c'è tempo per cercarli.”

Konohamaru strinse con forza il proprio bastone, decidendo di credere disperatamente alle parole della sua donna.

“Hai ragione.” la guardò dritta negli occhi, specchiandosi nel lilla delle sue iridi. L'effetto della Sennin Mode era ormai finito, ma si sentiva ancora pieno di energie.

“Tu cosa farai?” le chiese con voce bassa.

“Io?” con un rapido gesto, Hanabi rubò un kunai al moro, roteandolo abilmente nella mano sinistra. “Ti seguirò in prima linea! Sono una Hyuga, non dimenticarlo!”

Il Sarutobi sorrise, scuotendo la testa innanzi alla testardaggine della kunoichi, non provando a fermarla dal suo intento: sapeva che sarebbe stato inutile.

“Cerca di non morire, per favore.” fece per superarla, ma lei lo bloccò, regalandogli un rapido bacio a fior di labbra.

“Anche tu.”

Poi, entrambi si diressero verso la prima linea, caricando i ribelli, decisi più che mai a vincere quella battaglia, per Konoha ma soprattutto per il loro futuro.

 

 

Con un boato, una gigantesca sfera di fuoco distrusse parte della città, scagliando in direzione del lago Kurama e Naruto. Quest'ultimo imprecò sonoramente, preso in contropiede dalla velocità e dalla forza del suo avversario.

“Vuoi giocare duro, eh?” portò le mani davanti al petto, evocando cinque copie fiammeggianti. “E va bene!”

Il mostro creato da Himawari caricò, ruggendo furiosamente. Le copie di Naruto le andarono incontro, dando vita ad uno scontro titanico. I denti e gli artigli di Kurama si conficcarono nella carne incandescente del demone, con quest'ultimo che lottava furiosamente per liberarsi dalla stretta delle copie. Momentaneamente bloccato, il Naruto originale lo caricò con un'enorme Bijuu Dama alla schiena. Lanciando un urlo di dolore, la creatura venne scaraventata in mezzo al lago, dove le fiamme a contatto con l'acqua diedero vita ad una nube di vapore che lo nascose alla vista dello shinobi.

Mantenendo i sensi vigili, l'Uzumaki e le sue copie avanzarono cautamente in direzione dello specchio d'acqua. Quando il fumo scomparve, rimase allibito nel vedere numerose copie del demone.

“Cosa credevi?” esclamò beffarda Himawari. “Non sei l'unico capace di creare delle copie!”

“Merda!” Le copie della Nukenin ingaggiarono battaglia con quelle di Naruto, lasciando gli originali a fronteggiarsi. L'impatto tra i pugni delle due creature fu tremendo, dando vita a vibrazioni che si espansero in tutta la grotta. La forza e la potenza del demone di Himawari erano sorprendenti, e lo shinobi fu costretto molto presto a ritirarsi, subito inseguito da quest'ultima.

Dobbiamo affrontarla in aria. Alzati in volo!”

Cosa?”

In un corpo a corpo a terra non abbiamo chance, in aria possiamo tenerla facilmente a distanza.”

Ricevuto!” Con un rapido colpo di una delle code, lo shinobi allontanò Himawari, librandosi in cielo, verso l'apertura della grotta. Senza perdere tempo, il demone dispiegò le proprie ali, inseguendo in aria il Jinchuuriki.

Si alzarono sempre più in alto, oltre il soffitto di pietra, all'aria aperta. All'orizzonte si poteva scorgere un bagliore, chiaro segno che l'alba era ormai prossima. Naruto lanciò due Rasenshuriken, nel tentativo di evitare il confronto ravvicinato, ma la forte Katon del nemico neutralizzò senza troppi problemi la sua Fuuton.

“Che ti succede, Uzumaki Naruto?” gli urlò dietro la donna. “Sei troppo vigliacco per affrontarmi a viso aperto?”

“Cosa te lo fa pensare?” replicò il biondo, sorridendo con fare beffardo. “Il fatto che non vengo a farmi abbracciare dal tuo amichetto?”

“Se speri di evitare i miei attacchi sei un illuso.” improvvisamente, una grande quantità di chackra prese ad accumularsi tra le zampe del demone. “Con il prossimo colpo, spazzerò via te e tutto ciò che lega questo paese al passato!”

Kurama... siamo nei guai.” lo shinobi prese a sudare freddo. La sfera di chackra evocata da Himawari superava i 50 metri di diametro. Era rossa come il sangue, con fiamme scure che ne solcavano la superficie. Era il jutsu più imponente che Naruto avesse mai visto.

Hai finito di accumulare chackra? Qui non abbiamo più tempo.”

Vai tranquillo.” il Bijuu sogghignò. “Possiamo dare inizio allo spettacolo quando vuoi.”

Bene!”

Una copia lasciata precedentemente al suolo ad accumulare chackra naturale venne richiamata. L'Uzumaki si sentì ricolmo di potere, quasi spaventandosi per la forza che poteva sfoderare. Senza perdere tempo, ne concentrò la maggior parte in una Bijuu Dama, la quale si tinse di oro, fulgida come il sole in una mattina d'estate, raggiungendo dimensioni simili al jutsu della kunoichi.

“Ora vedremo chi è più forte!” urlò quest'ultima, lanciando il proprio attacco, subito imitata dal Jinchuuriki. “La tua determinazione, oppure il mio odio!”

L'impatto fu tremendo. I suoni scomparvero, immergendo entrambi i contendenti in un ambiente ovattato. L'onda d'urto che arrivò successivamente fu così potente da spazzarli via, scaraventandoli al suolo, mentre scintille e lampi di energia, causati dalla collisione delle due sfere di chackra, incendiavano la foresta sotto di loro. Alla fine, il punto di contatto collassò, creando un'esplosione di proporzioni titaniche. Kurama e il demone di Himawari vennero spazzati via con facilità irrisoria, mentre i corpi dei due ninja si schiantavano nel lago sotto di loro.

Naruto fu il primo a riemergere. Sputacchiando acqua, lo shinobi nuotò faticosamente a riva, troppo indolenzito per richiamare il chackra sui piedi. Una volta a terra, il biondo alzò lo sguardo al soffitto di pietra sopra di lui. Rimase esterrefatto nel vedere un tornado di pura energia scuotere il cielo, illuminandolo a giorno con lo scoppio di centinaia di scariche elettriche. Sconvolto dal risultato dell'impatto, Naruto si accorse solo all'ultimo di un movimento alle sue spalle. Sangue rosso si sparse nell'aria, mentre l'ascia di Himawari gli tranciava pelle e muscoli della schiena.

Naruto!” l'ululato di dolore del biondo fu atroce, simile a quello di una bestia ferita. Si accasciò al suolo, percependo il sangue inzuppargli i vestiti. Kurama aveva consumato troppo chackra per riuscire a guarire una ferita di quelle dimensioni.

Una fitta al costato gli fece capire che la donna aveva iniziato a prenderlo a calci. Tentando disperatamente di rimanere lucido, Naruto afferrò una manciata di fango, tirandola alla cieca alle sue spalle. Fu fortunato: un sibilo di irritazione gli fece comprendere di aver centrato il proprio bersaglio. Senza perdere tempo, il ragazzo si alzò, girandosi di scatto, colpendo con un pugno in pieno volto la bionda.

Himawari accusò il colpo. Confusa, la Nukenin barcollò all'indietro. L'Uzumaki tentò di approfittarne, ma una nuova tremenda fitta alla schiena lo costrinse ad ingobbirsi per il dolore, sputando sangue nero dalle labbra. Quando riuscì a riprendere fiato, notò come Himawari non fosse in condizioni migliori: aveva il volto ricoperto di sangue ed ecchimosi, il labbro superiore spaccato e sangue scuro che le gocciolava dalle mani.

“Non ti hanno mai detto che... colpire alle spalle... è da codardi?” ansimò l'uomo, digrignando i denti nel percepire una nuova fitta. Gli sembrava di andare a fuoco; neanche quando aveva perso il braccio destro aveva percepito così tanto dolore.

La donna sorrise, mostrando i denti sporchi di sangue.

“Siamo entrambi feccia, Naruto.” mormorò. “Arrivati a questo punto, cosa importa il modo in cui concluderemo questo scontro?”

“Hai ragione.” lentamente, lo shinobi estrasse l'ultimo kunai a sua disposizione con la protesi, il braccio che tremava impercettibilmente. “Ormai non importa più nulla.” ora anche lui aveva iniziato a sorridere. “Chiudiamo questa faccenda, Wari.”

“Non desidero altro.”

Si lanciarono all'attacco. Feriti nell'animo e nel corpo, sfiniti, ma decisi più che mai a prevalere sull'altro. Un ultimo duello, tra fango e sangue, che avrebbe decretato il destino del Paese del Fuoco.

 

 

La lama impattò con furia, stridendo in maniera dolorosa. Per lunghissimi istanti, il tempo parve fermarsi per Shikamaru. Poteva vedere con estrema nitidezza il volto scavato dalla fatica del suo avversario, notarne la paura e la furia omicida negli occhi, percepirne l'odore colmo di sangue e sudore. Una miriade di dettagli che gli si imprimettero nella mente, prima che lo finisse con la lama nella mano sinistra. Sangue rosso gli imbratto il braccio, mentre l'acciaio penetrava con facilità irrisoria nella giugulare del ribelle.

Sangue... sempre questo dannato sangue. Ormai non si scomponeva più quando l'ennesimo schizzo lo imbrattava, ricoprendolo totalmente. Lo sentiva colargli dai capelli, gocciolargli pigramente dalle dita, inzuppargli gli abiti, mescolarsi al sudore, dando vita ad un plasma macabro che gli scendeva giù, sempre più in basso, corrodendogli l'anima come un veleno.

Digrignò i denti, superando il cadavere, pronto all'ennesimo scontro, ad un nuovo omicidio. Ormai non contava più niente, solo uccidere più nemici possibili, un disperato tentativo di tornare alla normalità, di vedere qualcosa oltre a quel cumulo di morti.

All'improvviso, quasi inconsciamente, percepì un pericolo alle spalle. Si buttò a terra, giusto un istante prima che un uomo mulinasse una katana nel punto esatto in cui si trovava la sua testa. Senza indugiare, lo shinobi delle ombre rotolò distante, rialzandosi rapidamente. Nello stesso istante però, un dardo d'acciaio gli perforò il quadricipite destro. Imprecò sonoramente, la gamba che cedette di colpo, mentre davanti a lui si paravano due uomini barbuti e mori.

“Dunque sei tu che comandi questi bastardi.” mormorò Giichi, un sorriso freddo tra le labbra. Tra le mani teneva una balestra. “Sarà un piacere eliminarti.” al suo fianco Gihei, anch'esso sorridente, padroneggiava una lunga katana insanguinata.

Shikamaru si sfilò il dardo, trattenendo a stento un gemito. Provò a rialzarsi, comprendendo ben presto di essere in un equilibrio precario: la gamba destra faticava a reggere il peso, e ciò lo rallentava non di poco. Tuttavia, il moro si mise in posizione, le lame di chackra che brillavano nella notte.

“Che seccatura che siete...” borbottò.

Si lanciò all'attacco. Gli venne incontro Gihei, mulinando la propria arma. Le lame si impattarono con violenza, ognuno dei due ninja che tentava di sopraffare l'altro per un singolo istante, allontanandosi subito. Con la coda dell'occhio, lo shinobi delle ombre notò un luccichio diretto contro di lui. Lo schivò, ma Gihei, approfittando di quella distrazione, lo colpì con un calcio sulla gamba ferita, facendogliela cedere. Imprecando, Shikamaru tentò di tenere a distanza l'altro, ma prima che potesse anche solo ipotizzarlo, numerosi dardi lo colpirono al petto, facendolo accasciare al suolo.

Merda! Provò a rialzarsi, ma si accorse, con orrore, che il fisico non lo reggeva più, ormai sfinito da ore di combattimento continuato. Alzati idiota! Forza, muovi il culo!

Poteva udire i passi dei propri nemici farsi sempre più vicini, pronti a finirlo. Fu con nitidezza inquietante che rivide davanti a sé il corpo senza vita di Asuma, con affianco Kurenai che singhiozzava disperata. Temari avrebbe pianto quando le avrebbero detto che era morto in battaglia? Sicuramente l'avrebbe insultato, reo di averla costretta a crescere un figlio da sola, senza il suo appoggio. Choji non l'avrebbe mai perdonato, mentre Ino avrebbe forse pianto per la prima volta da quando era morto suo padre. In quanto a sua madre... non voleva neanche pensarci, incapace di vedere quel volto materno solcato dalle ennesime rughe di dolore.

Non sarebbe però così male... morire così...

Ma lui non voleva morire, non poteva morire. Aveva promesso di guidare il proprio clan, di crescere Mirai, di diventare un genitore responsabile assieme a Temari. Soprattutto aveva promesso di aiutare Naruto a condurre il loro paese verso la pace, una pace che non voleva saperne di arrivare, lasciando la guerra libera di imperversare in un paese ormai stanco di battaglie e sangue.

Ma il Baka l'aveva promesso. Aveva detto che avrebbe portato la pace nella loro nazione, e il Baka manteneva sempre una promessa. Così come doveva fare anche lui, rimanendo al suo fianco ed aiutandolo a diventare l'Hokage più grande di sempre.

Sono stanco... una sonnolenza pesante gli scese nell'animo. percepì il proprio cuore abbassare i battiti in maniera preoccupante, mentre ogni cosa innanzi a lui si cristallizzava. Ogni secondo divenne un'ora, mentre assaporava gli ultimi respiri prima della fine.

Morirò così? Era ricoperto di sangue, con la bocca piena di fango e con pochissimo chackra in corpo. Sentiva la mente diventare meno lucida, una cosa che aveva sempre detestato.

Forse... è un buon posto per morire... Chiuse gli occhi, concentrandosi sul proprio battito cardiaco, ormai rassegnato alla propria fine. Temari aveva ragione: era troppo pigro per combattere il fato.

Scusa... Seccatura.

Cadde nell'incoscienza, un corpo scomposto al suolo, non vedendo così Konohamaru che venne ad assisterlo, roteando con abilità il proprio bastone, un sorriso sul volto stanco.

“A quanto pare, dovrò fare gli straordinari stanotte!” esclamò, osservando il corpo svenuto del Nara. “Oltre a spazzare via voi ribelli, farò in modo che tu possa continuare a vivere, Shikamaru!”

 

 

Guardalo, è ancora lui!”

Si voltò, interrompendo il proprio pasto, osservando due ninja guardare con evidente disgusto un ragazzino sui dodici anni passeggiare in strada, mostrante orgoglioso il simbolo di Konoha sulla fronte.

L'hanno addirittura fatto diventare genin!”

Non capisco cosa spera di ottenere il Terzo con queste scelte.”

Un mostro simile non dovrebbe neanche camminare in mezzo alle persone normali!”

Himawari tornò a mangiare, un sorriso appena accennato sulle labbra.

Vedi di non mollare, ragazzino.” sussurrò.

 

 

Perché le era venuto un simile pensiero proprio in quel momento? Perché ogni singolo istante che aveva condiviso inconsciamente con lui ritornava con prepotenza nella sua mente proprio ora che doveva ucciderlo?

Non lo sapeva. Da tempo aveva smesso di spiegarsi cosa di preciso la legasse a quel giovane uomo, a colui che l'aveva spinta a diventare ciò che era.

L'ascia si impattò con forza contro il kunai di Naruto, allontanandosi successivamente. L'ennesima danza di morte ove nessuno dei due aveva intenzione di smettere di ballare.

Perché? La donna effettuò una difficile rotazione del busto, tentando di cogliere di sorpresa l'avversario, il quale però respinse subito l'attacco, incalzandola con due rapide stoccate. Fu costretta ad indietreggiare, un velo di stanchezza che le offuscava la vista. Perché proprio ora?

I loro movimenti erano ormai lenti, sempre meno coordinati. Il grande consumo di chackra li aveva debilitati fortemente, rendendoli poco precisi in fase di attacco e di difesa. Naruto riuscì a conficcare la propria arma un paio di volte nella carne di Himawari, mentre quest'ultima lo ferì una seconda volta alla coscia sinistra. Sfiniti, i due ninja inciamparono nel fango sotto di loro contemporaneamente, cadendo in ginocchio uno di fronte all'altro, specchiandosi negli occhi cerulei del proprio avversario.

“Perché?” ansimò lei, l'ascia sempre più pesante. “Perché insisti a batterti? Hai la schiena squarciata, e una gamba fuori uso. Non durerai ancora molto!”

“Può essere.” un sorriso sghembo si dipinse sul volto sporco di sangue e fango dell'Uzumaki. “Ma finché avrò fiato nei polmoni, io non mi arrenderò.” le lanciò un'occhiata piena di significati. “Ma credo che questo non ti sorprenda.”

“No...” anche la donna sorrise in modo triste, quasi rassegnato. “Tu non ti arrendi mai, vero? È così che sei diventato ciò che sei.”

“Esattamente.” con un gemito, Naruto si rialzò in piedi, appoggiando quasi tutto il peso sulla gamba sana. “Non ho intenzione di lasciarti campo libero!”

“Anche a costo della vita?” anche la kunoichi si alzò, a fatica, respirando lentamente, nel tentativo di richiamare le ultime energie.

“Ci puoi giurare!” con un urlo, lo shinobi si gettò addosso alla Nukenin, sorprendendola. Caddero entrambi al suolo, ognuno deciso più che mai a sopraffare l'altro, le armi che volarono via. Naruto le tirò più volte pugni al volto, graffiandosi le nocche. Himawari reagì con una ginocchiata all'inguine, che lo fece gemere di dolore. Gettando il corpo dell'uomo a lato, la bionda si rialzò, tirandogli un violento calcio sulle costole, mettendoci dentro ogni oncia di rabbia che possedeva.

Il Jinchuuriki incassò silenziosamente il colpo, bloccando la gamba di lei con la protesi, e torcendole il piede. La vide perdere l'equilibrio, rialzandosi subito per approfittarne. Caricò nella mano sinistra un Rasengan, deciso più che mai a chiudere lo scontro, ma ancora una volta la ribelle dimostrò una reattività incredibile. Fiamme nere emersero nella sua mano destra, le quali andarono ad impattare il jutsu del biondo.

Perché?

La tensione tra le due sfere di chackra divenne sempre più instabile, fino a quando non esplosero, allontanandoli in direzioni opposte.

Perché?

Si rialzarono nello stesso tempo, lentamente, ormai al limite. Poi, barcollando, Naruto la caricò, abbracciandola alla vita, nel tentativo di sollevarla per scaraventarla al suolo. Lei reagì piantando i piedi nel fango, colpendolo ripetutamente con un ginocchio al volto. L'Uzumaki sputò sangue dalla bocca, ma non mollò la presa, creando una situazione di stallo.

Perché non riesco ad odiarlo fino in fondo?

 

 

Lo osservò mentre veniva acclamato dalla gente del villaggio come un eroe, tra le macerie generate della furia di Pain. Un sorriso le nacque inconsciamente sulle labbra. Non sapeva darsi una spiegazione, ma era felice per lui. Alla fine era stato capace di vincere contro tutto, anche sul pregiudizio delle persone.

Sei forte, Naruto.”

 

 

Approfittò di un cedimento sulla gamba ferita di lui per liberarsi dalla presa, infliggendogli una violenta gomitata al petto. Naruto non indietreggiò, reagendo con un tremendo montante all'addome, ancora dolorante dal Juken di Hanabi. Himawari vomitò sangue nero, il corpo che faceva sempre più fatica a seguire la sua volontà, ma non si arrese.

Afferrò per i capelli l'uomo, infliggendogli un tremendo pugno sul volto. Lo mollò, provando a colpirlo nuovamente con una gomitata, ma il Jinchuuriki la schivò, tirandole un gancio sotto il mento. Intontita, la donna fu costretta ad indietreggiare, sorpresa dalla forza che possedeva ancora il suo rivale, nonostante la schiena martoriata ed una gamba fuori uso.

Perchè?

 

 

Sentì il chackra del Kyuubi scaldarle il sangue, osservando Naruto condividere il proprio potere con tutti gli shinobi dell'Alleanza. Ne vide gli occhi dorati ricolmi di determinazione, del desiderio di condurre tutti loro ad una vera pace.

Naruto... grazie.” sussurrò, stringendo la propria ascia con maggiore vigore.

Era pronta a dare la vita per lui.

 

 

Pugno contro pugno, mano nella mano, colpo su colpo. Ogni attacco veniva parato, ogni sfuriata contrastata. Uno stallo incapace di trovare una via d'uscita. Ormai nessuno dei due stava lottando per il proprio paese, il proprio popolo o per i propri affetti. Combattevano per sé, per rinnegare ciò che vedevano di fronte a loro, tutto quello che avevano ripudiato con forza.

 

 

Lacrime amare le scendevano dagli occhi, incapace di accettare che i propri amici fossero scomparsi, distrutti, fagocitati dalle atrocità di quella guerra maledetta.

Strinse la terra sotto di sé, spezzandosi le unghie, percependo un senso di solitudine mostruoso, mai provato prima. Sapeva di essere sempre stata sola, ma ora la cosa le pesava tremendamente.

Singhiozzi secchi di rabbia le squassarono la gola, mentre si toglieva con un gesto stizzito il coprifronte dell'Alleanza.

Non sarebbe mai più tornata a Konoha.

 

 

Squilli di tromba risuonarono nella grotta, interrompendo il duello. Himawari volse il proprio sguardo a nord dove, tramite un ingresso nascosto, una nuova fiumana di ribelli si dirigeva verso la città, i vessilli della ribellione che svettavano fieri nella calda aria estiva.

Sorrise, tornando a fissare Naruto, il quale osservava i nuovi nemici con espressione impassibile, quasi rassegnata.

“E' finita.” mormorò lei, asciugandosi un rigagnolo di sangue dal mento. “I ninja di Konoha moriranno tutti, e dopo toccherà a te.”

“E' stato il tuo piano fin dall'inizio, non è vero?” mormorò l'Uzumaki. “Dissanguarci per poi chiuderci in una morsa.”

“Credi che non sapessi del vostro arrivo? Pensavi veramente che vi avrei permesso di distruggere tutto ciò in cui credo?” lo guardò con sguardo diverso, non più carico di odio, ma di sofferente comprensione. “Tu avresti fatto lo stesso.”

“Sì...” replicò lui. “Ho fatto lo stesso.”

Nuovi squilli fieri si udirono nella Grotta delle Cascate, il quale sorprese i ribelli in marcia verso le mura distrutte. Dall'ingresso principale una seconda armata emerse: centinaia di shinobi recanti il simbolo e gli stendardi di Suna, guidati dal Kazekage Gaara in persona. Ruggendo come il mare in tempesta, essi si abbatterono sulle file nemiche, schiantandole e disperdendole con estrema facilità, pronti ad entrare in città per dare manforte ai propri fratelli di Konoha.

“E' questa la forza degli shinobi, Wari.” proseguì Naruto, vedendo la disperazione montare sul viso della bionda. “Le antiche rivalità sono morte, ed oggi tutti noi combattiamo fianco a fianco, pronti a dare la vita per i nostri fratelli, siano essi di Suna, Konoha o di qualunque altra nazione.” la vide contrarre lentamente le mani, gli occhi che diventavano ricolmi di rabbia.

“Hai distrutto il mio sogno, la mia famiglia, tutto ciò in cui credevo.” mormorò con tono stanco. “Concludiamo questa storia.” una lama di fiamme le ricoprì la mano destra, nel quale ci caricò dentro le ultime energie. “Io e il mio ideale non avremo un futuro, ma neanche tu!” Naruto non rispose, limitandosi a caricare un Rasengan nella mano sinistra, anch'esso rappresentante delle sue ultime forze.

Perché?

Di nuovo quel pensiero, quella parola a roderle la determinazione. Perché non riusciva ad odiarlo? Eppure ne aveva ben donde di farlo, ma non ci riusciva. Ogni volta che lo guardava dritto negli occhi, vedeva lui: il ragazzo dai capelli rossi e lo sguardo triste. Vedeva colui a cui aveva aperto il proprio cuore, nella speranza di trovare un conforto dopo tanti, troppi anni di solitudine.

Nagato...

Forse fu suggestione, forse la mente annebbiata dalla stanchezza, ma quando prese a dirigersi verso il suo avversario, l'immagine del ninja biondo sparì, lasciando spazio al ragazzo per cui aveva provato un sentimento forte, violento, vibrante di speranza. Ne osservò il sorriso, gli occhi smeraldini, i capelli ramati e la sua voce dolce che la chiamava.

Capì solo in quell'istante, e accettò le conseguenze dell'aver provato quel sentimento, dell'aver assaggiato dopo tanto tempo il dolce sapore della compagnia, del sapere di non essere più sola. Un istante che valeva un'intera vita.

Ora ho capito... Nagato.

Avvenne tutto in un attimo: la lama di fuoco di Himawari si sollevò verso l'alto, graffiando la guancia di Naruto, il petto che restò volontariamente scoperto, alla mercé di quest'ultimo.

“No!”

Il Rasengan penetrò con spaventosa facilità il corpo della kunoichi, trapassando ossa e carne, sotto lo sguardo atterrito di Naruto, incapace di fermare la propria tecnica. Si impresse nella mente ogni singolo brandello di carne distrutto dalle proprie mani, mentre il volto della donna si contraeva in una smorfia di dolore.

No! No! NO!

Infine, con un boato terrificante, il corpo di Himawari venne spazzato via, atterrando a diversi metri di distanza con fare sgraziato, quasi una marionetta a cui erano stati tagliati i fili. Il tutto mentre lo shinobi prendeva completamente coscienza di ciò che era appena accaduto.

“Wari!”

Era diventato un assassino.

 

 

Konohamaru indietreggiò di colpo, parando con la propria arma i dardi speditegli da Giichi. Percependo alle sue spalle Gihei che gli veniva incontro, il Sarutobi si voltò di scatto. Il bastone del re dei primati si infranse contro la lama del ribelle, creando scintille rosse come il sangue.

“Katon: Drago Finale!” incanalando il chackra nella gola, il chuunin evocò un enorme dragone di fuoco, il quale si diresse contro Gihei.

“Doton: Muro Infrangibile!” appoggiando le mani al suolo, il ribelle evocò una barriera rocciosa, sulla quale si infranse con una forte esplosione il jutsu di fuoco del moro. Senza aspettare che il fumo si disperdesse, Konohamaru riprese ad incalzare il proprio avversario, approfittando della copertura creata dalla cortina di fumo, la quale lo proteggeva dai dardi di Giichi.

Effettuò una finta, fingendo di puntare alla testa dell'avversario. Lo spadaccino moro emise un gemito di dolore quando la punta infrangibile del bastone gli si conficcò nel fianco destro. Senza perdere tempo, Konohamaru roteò l'arma, disarmandolo e colpendolo ripetutamente sul petto e sulle gambe. Una volta messo a terra, il Sarutobi si voltò, pronto per affrontare Giichi, ma quando il fumo si disperse, vide il ribelle in ginocchio e disarmato, alla mercé di Hanabi.

“Hanabi!” la Hyuga sogghignò, tenendo il proprio kunai puntato alla gola del balestriere, pronta a finirlo se si fosse ribellato.

“E' meglio se contatti la Squadra Medica.” esordì l'Anbu. “Shikamaru sta perdendo troppo sangue.”

“Ricevuto!” Konohamaru diede le spalle a Gihei, in procinto di correre verso le mura cittadine, quando avvennero più cose contemporaneamente.

Vedendo mutare l'espressione di Hanabi, la quale passò da sicura a spaventata, Konohamaru si girò di scatto, trovandosi davanti Gihei, pronto a colpirlo con un kunai. Il Sarutobi fu preso alla sprovvista, ma prima ancora che potesse muovere un muscolo il ribelle agì, facendo per pugnalarlo dritto al cuore, quando una figura si mise in mezzo, incassando il colpo al suo posto.

“Maledetto bastardo!” sentì la voce della Hyuga alle sue spalle imprecare sonoramente, ma fu quasi un suono ovattato, distante. Ci mise alcuni istanti per mettere a fuoco colui che gli aveva fatto da scudo, rimanendo completamente sconvolto quando lo riconobbe.

“Udon!” il giovane ninja sorrise, un rigagnolo scuro che colava lentamente da un angolo della bocca. Completamente paralizzato dall'orrore, Konohamaru vide una chiazza scura allargarsi sul petto dell'amico, proprio davanti ai suoi occhi.

Non può essere...

“Lurido figlio di puttana!” con un balzo, Hanabi assaltò Gihei, colpendolo il pieno petto tramite il Juken. Il ribelle vomitò sangue, cadendo al suolo, ma la Hyuga lo incalzò, continuando a colpirlo con furia crescente, fino a quando lo spadaccino non smise di muoversi. Approfittando della situazione, Giichi recuperò la propria balestra, scagliando numerosi dardi contro il Sarutobi. Vedendo questo, Udon spinse l'amico a terra, ricevendo al suo posto i colpi in pieno petto.

No! Konohamaru vide la scena al rallentatore, quasi il tempo si fosse cristallizzato. I dardi d'acciaio che si conficcavano nel petto dell'amico, distruggendo carne ed ossa, Udon che vomitava sangue, cadendo al suolo, dove giacque tremante.

“Udon!” con un ruggito di rabbia, Konohamaru si rialzò di scatto, correndo incontro a Giichi. Quest'ultimo tentò di ricaricare la propria arma ma fu troppo lento: senza smettere di urlare, il Sarutobi evocò un Rasengan, colpendo il pieno petto il ribelle. Quest'ultimo urlò di dolore, mentre il jutsu scavava dentro di lui, imbrattando di sangue il volto dello shinobi di Konoha. Una volta terminato il Rasengan, quest'ultimo estrasse un kunai iniziando a pugnalare con fare ossessivo il corpo ormai senza vita del suo nemico, il tutto continuando ad urlare come un ossesso, fino a quando Moegi non lo staccò a forza dal cadavere di Giichi.

“Konohamaru!” il ragazzo non smise di agitarsi, il volto spiritato, folle, distrutto dal dolore e dalla rabbia, incapace di trovare pace per ciò che aveva visto. “Calmati Konohamaru!”

“Konohamaru...” sentendosi chiamare da lui con voce tremante, il ragazzo si calmò di botto. Rimase per lunghi secondi immobile, tra le braccia di Moegi, a fissare il volto senza vita di Giichi, la mente che tentava disperatamente di negare ciò che aveva visto precedentemente.

E' vivo... si salverà. Deve salvarsi.

Corse dall'amico, negando con tutto se stesso ciò che stava visualizzando, le ferite troppo profonde e numerose per essere curate. Lo girò, osservandone il petto perforato, il respiro faticoso, gli occhi che si spegnevano con rapidità disarmante.

“Ha bisogno di cure immediate!” dichiarò subito il moro, negando con tutto il proprio essere la verità. “Moegi, inizia a curarlo! Io correrò a cercare una Squadra di Soccorso!” il suo respiro riprese ad aumentare quando vide l'amica restare immobile, gli occhi bassi, le braccia rigide lungo i fianchi.

“Moegi muoviti! Non abbiamo tempo da perdere!” riprese ad urlare, il terrore che diventava sempre più forte, sommergendolo con la violenza di un tornado. “Moegi!”

“Mi dispiace...” vide gli occhi della kunoichi diventare umidi, le prime lacrime che scendevano lungo l'ovale del viso, sporco di terra. “Per simili ferite... non esistono cure.”

“Non dire assurdità! Lui può salvarsi! Deve salvarsi!”

“Konohamaru...”

“Udon!” sentendosi chiamare, tornò a fissare l'amico, notando come il suo sangue gli avesse imbrattato le mani e le braccia. “Non sprecare fiato! Te la caverai, lo giuro!”

“Konohamaru... basta...” percepì il sangue gorgogliare nella gola dell'amico, a causa dei polmoni forati, un sorriso sereno sul volto morente. “Va... bene così...”

“No!” lacrime calde iniziarono a scorrere sul volto del ninja, una sensazione familiare che gli afferrava il cuore con artigli gelidi. “Non puoi farmi questo, Udon! Mi avevi promesso che saremmo tornati assieme a Konoha! L'avevi promesso!”

Avrebbe voluto fare qualcosa, con tutte le sue forze. Urlare a squarciagola la sua rabbia, uccidere qualsiasi persona davanti a lui, strapparsi il cuore a mani nude. Qualsiasi cosa sarebbe stata più sopportabile, più umana del restare immobile lì, sul campo di battaglia, a vedere gli ultimi istanti di vita del suo migliore amico, le mani ricoperte dal suo sangue.

“Udon...” mormorò, la voce rotta, distrutta dalla sofferenza. “Non puoi farlo. Non lasciarmi solo... ti prego.”

“Konohamaru...” vide Udon sorridere, ma i suoi occhi erano ricolmi di paura. “Tu... diventerai un grande Hokage, ne sono sicuro.” gli afferrò la mano, infondendo in quel gesto le sue ultime energie. “Ho paura... sono felice, ma ho... una grande paura.” prese a piangere, il sangue che gli otturava la gola. “Sono... un vigliacco.”

“No, Udon.” Konohamaru strinse quella mano con disperazione, quasi tentasse di trattenerlo lì con lui. “Hai dimostrato coraggio.” radunando tutta la propria determinazione, riuscì a sorridere, sperando di scacciare in quel modo la paura dell'amico. “Sono fiero di te, amico mio.”

“Kono...” fu costretto ad interrompersi, un getto di sangue che gli imbrattò il petto. “Resta... con me... ti prego.”

Il Sarutobi lo abbracciò, mettendosi la testa di Udon sulla spalla sinistra, stringendolo dolcemente. I secondi divennero lunghi come anni, mentre percepiva il respiro dell'amico diventare sempre più debole e frammentato.

“Non fa male... non più.” sussurrò improvvisamente lo shinobi. “Grazie...”

Digrignò i denti, le lacrime che scendevano impetuose sul suo viso, la disperazione serpeggiante nel cuore, libera e potente. Sentì il corpo di Udon contrarsi per un lungo, interminabile istante, prima di rilassarsi, per sempre.

Udon... non disse nulla, non pronunciò una sillaba. Rimase immobile, abbracciando il cadavere del proprio migliore amico, gli occhi fissi nel vuoto. Non percepì la vicinanza di Hanabi, le lacrime di Moegi, la resa dei ribelli innanzi ai ninja di Suna. Nulla di tutto questo lo sfiorò, la mente bombardata da ogni singolo ricordo che aveva di Udon, della sua dolcezza, la sua timidezza, il suo altruismo, capace di portarlo infine alla morte.

Sono solo... ancora una volta, il fato lo aveva privato di una persona cara, di un affetto. L'ennesima persona scomparsa per sempre dalla sua vita.

“Konohamaru.” Hanabi mise una mano sulla spalla del fidanzato, percependolo freddo, apatico, privo di ogni vitalità. Un corpo arido, incapace di uscire dal baratro della disperazione dove era appena sprofondato. Alzò gli occhi, vedendo la battaglia terminare, i primi raggi di sole che illuminavano il cielo sopra di loro. L'incubo era finito, ma non per loro, non per lei, rifletté amaramente, constatando come fosse l'unica tra gli Anbu ad essere sopravvissuta allo scontro.

Le guerre non finiranno mai. Ripensò alle parole pronunciate da Konohamaru, il quale in quell'istante abbracciava il proprio migliore amico morto, preda della disperazione più cupa, Moegi che singhiozzava apertamente poco più in là. Si passò una mano davanti agli occhi, sentendosi improvvisamente stanca, di tutto.

La speranza è morta.

Forse ricostruire sarebbe stato impossibile.

Perché per certe ferite non esistevano cure.

 

 

Naruto... la vita di Hinata-sama... è nelle tue mani. Proteggila... ti prego.”

Neji...”

 

 

Strisciò lentamente lungo la riva fangosa del lago, la gamba sinistra incapace di reggere il suo peso. Arrancò affannosamente, il corpo immobile di Himawari sempre più vicino, eppure mai così lontano.

“Wari!” sentiva la disperazione prendere possesso del suo cuore con rapidità disarmante, la consapevolezza di essere stato lui a toglierle la vita in quel modo, con quella crudeltà, lo dilaniava nel profondo, sconvolgendolo come ai tempi della scomparsa di Neji. “Wari!”

Resisti, ti prego!

La vide coprirsi il petto ferito, il respiro affannoso, il sangue che le inzuppava gli abiti. Non appena le fu affianco, un sorriso le incurvò le labbra, quasi fosse felice di vederlo.

“Naruto...” ansimò a fatica, vomitando un fiotto di sangue. “Sono felice che tu sia qui... prima della fine.”

“Non andrai da nessuna parte!” esclamò il biondo. “Tu vivrai!”

Fece per guardarle le ferite, in modo da sincerarsi delle sue condizioni, ma Himawari lo bloccò, senza smettere di sorridere, gli occhi di nuovo limpidi, pacifici, privi di odio, rabbia e disperazione.

“Lascia stare!” mormorò, bloccandogli le mani con le proprie. “Va bene così...”

Naruto sentì le prime lacrime solcargli il volto, incapace di accettarlo. Non voleva, non aveva mai desiderato che finisse in quel modo, che il sangue della kunoichi venisse sparso per causa sua.

“Perché?” singhiozzò. “Perché l'hai fatto?”

La Nukenin ridacchiò, prima di interrompersi a causa di un nuovo sanguinoso conato.

“Perché... ho capito.” sussurrò, accarezzandogli il volto con una mano tremante. “Ed ho accettato le conseguenze dei miei sentimenti per te.”

Lo shinobi non rispose, incapace di bloccare il proprio pianto. Unì la propria mano a quella di lei, desiderando che quel contatto non avesse mai fine.

“Mi dispiace...” mormorò, senza smettere di piangere. “Mi dispiace per tutto! Io...” tirò su con il naso, il volto sporco di sangue e fango contorto in un'espressione di puro dolore. “Io non so quanta forza ci sia nel mio sangue, ma ti giuro: non permetterò che la tua causa muoia, né che il nostro popolo soffra ancora!”

“Il nostro popolo... il nostro... popolo...” tese una mano verso un bagliore poco distante, il quale si rivelò essere la sua ascia. Naruto gliela strinse tra le dita, permettendole di appoggiarla al petto.

“Sai... mi sarebbe piaciuto seguirti.” mormorò, scossa dagli ultimi spasmi. “Per costruire... una pace duratura.” la mano appoggiata al volto del Jinchuriki ebbe un tremito per lo sforzo, ma quest'ultimo la tenne tra la sua, permettendole di proseguire ad accarezzarlo. “Ti avrei seguito per sempre... fratello mio... mio capitano... mio Hokage.”

Furono le sue ultime parole. Con il sangue che le otturava la gola, Himawari proseguì a fissare negli occhi l'uomo che aveva accettato di amare. Il suo sorriso si contrasse per un istante in una smorfia di dolore, per poi distendersi lentamente, spirando fuori dalle labbra l'ultimo soffio della sua vita.

Naruto non disse nulla, le lacrime che gli ricoprivano il viso. Appoggiò lentamente la mano della kunoichi sopra l'impugnatura dell'ascia, il corpo scosso da singhiozzi. Alla fine era accaduto: era diventato un assassino, una misera feccia, indegna di essere chiamato uomo. Si era addossato un peso immenso solo per amore della sua famiglia, nella speranza che quest'ultima non vivesse nella guerra.

“Riposa in pace, figlia del Fuoco.” mormorò con voce rotta, chiudendole gli occhi con un gesto delicato.

Voleva darle degna sepoltura. Qualcosa di grandioso, che ricordasse per sempre l'immenso amore che quella donna coraggiosa aveva provato per la sua terra. Sapeva che era impossibile, ma il suo cuore anelava farle un regalo d'addio, per quanto amaro ed inutile fosse.

La sollevò, sorprendendosi della facilità con cui lo fece, quasi non percependo più il dolore delle ferite, insignificante rispetto a ciò che gli stritolava il cuore. Non fece in tempo a compiere alcuni passi quando una voce alle sue spalle lo bloccò.

“Non serve.”

Si girò, trovandosi difronte a Kiyoko. Era lei, eppure gli sembrava diversa: la voce era meno infantile ed anche il suo volto era troppo serio per la sua età.

“Yoko?” balbettò, incredulo di vederla lì, incolume, dopo tutto il dolore e la morte che erano avvenuti in quel luogo nelle ultime ore. “Cosa...”

“Seguimi.” senza aggiungere altro, la ragazzina si incamminò verso il lago. Vagamente perplesso, ma troppo stanco e sofferente per replicare, l'uomo la seguì, tenendo sempre tra le braccia il corpo senza vita di Himawari.

L'azzurra lo condusse fino alla battigia dello specchio d'acqua, immergendosi fino alle ginocchia tra le fresche acque, indicando un punto davanti a sé allo shinobi.

“Riesci ad appoggiarla là?” gli chiese dolcemente. Naruto la guardò con perplessità, incapace di capire quale fosse il suo scopo.

“Yoko, cosa vuoi fare?”

“Ti prego, Fratellone... appoggiala sul pelo dell'acqua.” sentendosi chiamare con il suo vecchio nomignolo, l'Uzumaki non aggiunse più nulla, il cuore che stillava dolore. Si limitò ad obbedirle, avvolgendo nella propria mantella il corpo della ragazza prima di lasciarla in balia del fato.

“Shōton: Cupola Splendente!” non appena il corpo fu abbastanza distante dalla riva, Kiyoko effettuò alcuni rapidi segni con le mani, radunando il proprio chackra. Subito dopo aver completato l'ultimo, il corpo di Himawari venne avvolto da luminosi cristalli azzurri, splendenti come zaffiri. Nel giro di alcuni istanti, davanti a Naruto apparve una tomba lucente e maestosa, dalla quale si poteva intravedere il viso rilassato di lei, in pace, lontano da qualsiasi preoccupazione ormai.

Wari... fu solo osservandone quella tomba, splendente come una gemma, che la pienezza di quella perdita lo colpì. Lacrime amare ricominciarono a scendergli dagli occhi, mentre il senso di colpa per tutto ciò che era accaduto prese a divorarlo come un tarlo da dentro.

Perdonami.

“Lei non ti odiava.” la voce di Kiyoko giunse soave alle sue orecchie, liberandolo momentaneamente dai suoi tormenti. “Non l'ha mai fatto.”

“Lo so.” rispose, incapace di distogliere gli occhi dal viso di Himawari. “Sono io che mi odio per tutto questo.”

Non seppe quanto tempo passò dopo quelle parole. Rimase immobile, le braccia molli lungo i fianchi, a fissare il suo fallimento più grande, la sua colpa più atroce. Cupi pensieri ricominciarono a tormentarlo, sussurri oscuri in cui vedeva la propria mano recare la morte alla Nukenin, ed a tutti i ribelli che l'avevano accolto ed amato come un fratello in quelle ultime settimane.

“Andiamo.” la mano soffice e calda di lei strinse una delle sue, portandolo lontano da quel posto. Naruto si fece guidare docilmente, lontano da quel lago, dalla città, dalla Grotta delle Cascate, da tutto.

“Dove stiamo andando?” chiese infine.

“A casa, Fratellone.” rispose l'azzurra. “Ti riporto a casa.”

 

 

Gaara camminava lentamente tra i corpi fumanti, osservando con sguardo spento ciò che lo circondava. Un tempo una simile sofferenza l'avrebbe lasciato indifferente, ma ora era diverso.

“Grazie.” sentì la voce di Choji alle sue spalle; stanca, roca, priva di ogni vitalità. “Se non fosse stato per voi, saremmo tutti morti.”

Il Kazekage vide i propri medici prestare soccorso ai feriti di Konoha, con i più gravi, tra cui Shikamaru e Rock Lee, che veniva trasferiti in un campo base d'emergenza fuori dalle mura.

“Dov'è Naruto?” domandò infine. “Ho sentito che anche lui ha partecipato allo scontro.”

“Il rospo gigante si è limitato a dire che è già partito per Konoha.” replicò l'Akimichi. “Credo che le sue siano ferite più dello spirito che del corpo.”

Gaara alzò gli occhi al cielo. Fuori da quel posto, una nuova giornata estiva aveva inizio.

Naruto...

“Mi domando se guarirà mai.” sussurrò, più a se stesso che ad altri. “Se capirà ciò che l'ha portato a questa scelta, e se saprà perdonarsi.”

 

 

Tre giorni dopo

 

 

Naruto osservò da distante le prime propaggini di Konoha, il sole pomeridiano che gli scaldava le spalle. Al suo fianco, Kiyoko canticchiava allegra, senza smettere di tenergli la mano, facendo nascere un sorriso spontaneo sul volto dello shinobi.

Yoko... era stata lei la sua ancora di salvezza in quei giorni. Da quando avevano lasciato la Grotta delle Cascate, Kiyoko era tornata ad essere la ragazzina allegra e chiacchierona di sempre. Durante tutto il viaggio di ritorno, non aveva fatto altro che cantare e parlare di cose futili, come se tutto ciò che era avvenuto non fosse mai successo. Naruto non aveva potuto fare altro che ringraziarla silenziosamente per tutto questo: lo aiutava a non pensare, ed in quei frangenti era meraviglioso.

Si grattò una guancia, sentendosi pizzicare le scapole. Kurama era riuscito, dopo una notte di riposo, a curargli tutte le ferite, ma non aveva potuto impedire che gli si formasse una lunga cicatrice biancastra sulla schiena. Allo shinobi andava bene così: gli avrebbe ricordato per sempre il suo fallimento.

“Il Villaggio della Foglia.” mormorò improvvisamente l'azzurra, osservando da distante i primi tetti. Si girò, guardando con un dolce sorriso il biondo. “Qui le nostre strade si dividono.”

“Yoko...” Naruto non seppe cosa dire. Quali parole avrebbero mai potuto giustificare quei morti? Katsuo, Dai, Gihei, Giichi, Himawari... erano tutti morti a causa sua, della sua scelta. Kiyoko avrebbe dovuto odiarlo, invece era lì, che gli sorrideva, stringendogli dolcemente la mano destra, rendendolo confuso e divorato dal senso di colpa.

“Vieni con me.” gli propose di getto, desiderando non separarsi da lei. “Vieni con me a Konoha.”

La ragazzina scosse la testa, senza smettere di sorridere.

“No...” mormorò. “Sarebbe sbagliato.”

“Perché dici così?”

“Se rimanessi con te, il tuo tormento interiore non avrebbe mai fine, e non è ciò che desidero.”

Naruto rimase in silenzio, lo sguardo basso. Non si sentiva pronto per un altro addio, non dopo quello che era accaduto.

“Dove andrai?”

“Proseguirò la missione di Himawari.” il sorriso di Kiyoko divenne più ampio. “Tenterò di cambiare questo paese in modo pacifico.” mise una cosa in mano allo shinobi, la quale si rivelò essere la sacca nera che le aveva donato settimane prima.

“L'avevi dimenticata.” gli spiegò quest'ultima. L'Uzumaki fissò a lungo l'infantile gatto rosso che la decorava, il cuore che si stringeva di dolore al pensiero di tutti i momenti felici passati assieme alla piccola kunoichi.

“E' stato solo un sogno, Yoko.” mormorò infine, tentando di restituirla. “Nulla di più.”

“E' stato un bel sogno.” replicò lei, rifiutandola. “Tienilo.”

“Perché lo fai?” il Jinchuuriki non si capacitava di quel comportamento, della sua scelta di aiutarlo. “Io vi ho traditi.”

“Sei il mio Fratellone.” Kiyoko lo abbracciò, affondando il viso nel petto di lui. “E un Fratellone va sempre aiutato.”

Rimasero in silenzio per lunghi istanti in quella radura, abbracciati, lasciando che fossero le proprie azioni a parlare. Naruto iniziò per la prima volta dopo tanto tempo a sentirsi in pace, desiderando che quell'istante non avesse mai termine.

“Sarai sempre la mia Sorellina.” sussurrò infine, baciandola sulla fronte. “Non dimenticarlo.”

La piccola kunoichi si staccò, senza smettere di sorridere, scomparendo quasi di colpo dalla radura. Se ne andò così, in silenzio, lasciando il ninja di nuovo solo, come all'inizio di quell'avventura, avvenuta mesi prima.

“Yoko...” Naruto strinse al petto la piccola sacca, unico ricordo di quella strana ragazzina. “Grazie.”

 

 

Il sole era ormai rosso sulla linea dell'orizzonte quando scorse la sua figura inconfondibile in mezzo alla strada. Non disse niente, proseguendo per il proprio cammino, superandolo. Solamente quando furono schiena contro schiena l'Uzumaki si accinse a parlare.

“Hai saputo tutto, immagino.”

Sasuke non parlò subito, chiudendo per alcuni istanti gli occhi.

“Sì.” sussurrò infine, riaprendoli. “Ora sai cosa provò Itachi.”

Lo shinobi biondo digrignò i denti, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani. L'immagine del volto sorridente ed insanguinato di Himawari gli colpì la mente con la violenza di un maglio.

“Tuo fratello era un grande ninja.” replicò infine. “Forse il più grande di tutti.”

Riprese a camminare verso Konoha, stanco di parlare. Sasuke non lo fermò, iniziando ad incamminarsi nella direzione opposta. Conosceva bene il tormento che stava corrodendo l'animo di Naruto, e sapeva che, in quegli istanti, doveva restare solo.

Naruto... avrebbe continuato a proteggere il proprio villaggio, da lontano, così come aveva fatto suo fratello, alla continua ricerca dell'espiazione.

Non smettere di lottare.

 

 

Gli ultimi raggi violetti gli scaldarono la schiena, mentre osservava con sguardo nostalgico il vialetto di casa sua.

Dunque, è così che termina. Erano passati due mesi da quando era partito, ma ai suoi occhi sembrava fossero trascorsi anni interi da quando aveva scorto per l'ultima volta quelle mura, al cui interno c'era la sua famiglia.

Hinata. Si sentì quasi in colpa a non aver più pensato a lei in quelle ultime settimane. Aveva sacrificato il proprio onore, e la propria integrità, per lei e Boruto, ma faceva fatica a rimembrare il suo volto, i dettagli della donna che aveva sposato. Rimase turbato da quel pensiero: erano bastati due mesi di lontananza a fargliela quasi dimenticare.

Attraversò il viale, sentendo le cicale cantare nella calda serata estiva, i fiori curati dalla Hyuga risplendevano di colori vivaci attorno a lui, facendolo sentire fuori posto, con i propri abiti laceri ed insanguinati.

Bussò due volte, con forza, chiedendosi che cosa le avrebbe detto, cosa avrebbe mai potuto dire o fare per scusarsi di una simile assenza. In quei mesi di lontananza non le aveva mai inviato neanche il più piccolo messaggio. I secondi in cui la kunoichi aprì la porta furono lunghi e pieni di dubbi, e per un istante pensò di scappare, non sentendosi assolutamente pronto per quell'incontro.

La porta si aprì silenziosamente, permettendogli di vedere sua moglie. Nell'istante in cui scorse la sua figura, sentì il cuore battere più rapido, sufficiente a fargli ricordare ogni minimo dettaglio di lei. Nonostante gli abiti semplici, ed i capelli spettinati, la trovò semplicemente bellissima nel suo ingenuo stupore di rivederselo davanti dopo tutto quel tempo.

“Naruto-kun?!” la Hyuga spalancò gli occhi, incredula di trovarselo davanti senza alcun preavviso. I suoi occhi chiari si soffermarono sugli abiti laceri ed insanguinati, sul volto smunto e magro e sul coprifronte della Pioggia che indossava. Era diverso da quando era partito, eppure le bastò vederne gli occhi, quelle iridi cerulee che tanto amava, per essere completamente sicura che quello era suo marito.

Lo abbracciò di scatto, trattenendo a stento le lacrime, immensamente sollevata dal vederlo di nuovo vivo ed al suo fianco.

“Sapevo che saresti tornato!” singhiozzò, con voce rotta dalla gioia.

Naruto le cinse la vita con la protesi, dolcemente, senza trasporto, incapace di provare la pace dello spirito che desiderava ardentemente. Chiuse gli occhi, abbandonandosi al dolce profumo di lei.

“Sono a casa.” mormorò, capendo che quella era la cosa più importante di tutte.

Per guarire ci sarebbe stato tempo.

 

 

Wari.”

La donna sorrise, stupefatta di ritrovarli tutti lì, difronte a lei. Lacrime calde le inondarono il volto, osservando le facce sorridenti di coloro che aveva amato nella sua vita.

Ragazzi...” vide i propri compagni di Team, i suoi amici d'infanzia che le sorridevano felici. I suoi occhi splendettero di gioia nel vedere il sorriso caldo ed affascinante di Katsuo, la figura imponente di Dai, i sorrisi allegri ed identici di Giichi e Gihei.

Amici miei...” si fece avanti, le lacrime che non smettevano di sgorgare. “Mi dispiace.” sussurrò. “Non sono riuscita a portare avanti il nostro sogno.”

Hai fatto del tuo meglio, Wari.” rispose Katsuo, afferrandole la mano. “Yoko riuscirà dove noi abbiamo fallito.”

Himawari annuì, asciugandosi le lacrime. Si abbandonò al calore di quel contatto, andando incontro ai tutti i propri amici più cari, la sua famiglia.

Sì.”

Finalmente non era più sola.

 

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

E finalmente, questa storia sulla guerra civile ha avuto fine.

Innanzitutto, mi scuso per il ritardo, ma le ultime settimane sono state fitte di impegni. Inoltre, questo capitolo è stato estremamente complesso, dato che trovare l'incastro giusto per ogni cosa non è stato facile, specie se condensato tutto in un solo capitolo. Forse alcune parti sono risultati troppo sintetiche, ma onestamente non me la sentivo di allungare ulteriormente questo spin-off sull'origine del nome di Himawari, la secondogenita di Naruto. Comunque, le conseguenze di tale guerra verranno analizzate in parte anche nelle prossime storie, per dare più spessore a questi avvenimenti.

Concludo questo intervento ringraziando sentitamente chiunque abbia letto fino a questo punto, così come tutti coloro che seguono questa raccolta. Da prossimo capitolo inizieranno nuovi avvenimenti, quindi si ritorna, se vogliamo, alla normalità. Come sempre, ricordo che qualsiasi commento, positivo o critico, è ben accetto.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 18
*** Il coraggio di andare avanti ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko
 

Il coraggio di andare avanti

 

 

Assassino.

Lui era questo.

Ne era a conoscenza. Il loro sangue gli lordava le mani, ungeva i suoi capelli, bagnandogli le labbra, scendendogli giù, nell'anima, corrodendola come un acido.

Sono morti per colpa tua... solo tua.” una voce maligna, orribilmente simile alla voce di lei, lo colpì nel profondo; gli scavò il petto, lacerandogli l'anima, facendola a brandelli.

Sei solo uno sporco traditore.”

Era vero. Poteva vedere i loro occhi spenti, i corpi dilaniati, consumati dal fuoco, mentre tutto attorno bruciava in un incendio senza fine, intossicando l'aria come un morbo.

Assassino... traditore...” nella voce si era mescolata una goccia di perfida gioia, quasi godesse nel vederlo osservare il suo fallimento. “Non sei altro che feccia.”

No...” provò a chiudere gli occhi ma fu tutto inutile. Rimasero spalancati, rifulgendo della devastazione che vi era attorno a lui, centinaia di volti freddi, sporchi, privati della vita, dei sogni, delle speranze.

E fra tutti spiccava il suo.

Il suo cuore si ruppe nel vederla piangere sangue, osservarne le labbra contorcersi in un'espressione di dolore, mentre il fuoco la divorava.

Wari!” la vide urlare di dolore, gli occhi cerulei che stillavano lacrime cremisi, mentre nell'aria si udiva il ruggito di un demone affamato di carne e sangue.

Assassino...”

No, non è vero!”

E' morta solo per colpa tua...”

No! NO!” vide gli occhi rossi della creatura, il suo urlo stridulo portatore di morte, le fauci fiammeggianti che divoravano Himawari.

Assassino! Assassino!”

ASSASSINO!”

 

 

Si alzò di scatto, sudato fradicio, il respiro affannoso. Davanti a lui c'era l'oscurità familiare della sua stanza, ma non era ciò che vedeva: il volto insanguinato di lei, il sorriso, il sangue che gli ricopriva le mani.

“Naruto-kun?” sentì, come un suono ovattato, la voce di sua moglie che lo chiamava. Un suono indistinto, lontano, incapace di trascinarlo via dalla sua disperazione.

No... Wari... no!

Il suo respirò aumento, sempre di più, il cuore che batteva impazzito. Si portò una mano al petto, incapace di calmarsi, mentre le immagini della battaglia gli scorrevano frenetiche dentro la mente.

Io... io... colpa... è solo colpa mia!

“Naruto-kun!” percepì il letto svanire, il pavimento che si avvicinava a velocità spaventosa. Poteva sentire il tono affannoso di Hinata, spaventata, ricolma di preoccupazione, ma era troppo lontana per salvarlo.

Wari... perdonami.

Poi ci fu solo il buio.

 

 

Quando Hinata vide Tsunade uscire dalla stanza le corse subito incontro, gli occhi chiari ricolmi di apprensione.

“Allora?” chiese subito alla Sannin. “Come sta?”

La kunoichi bionda emise un profondo sospiro, riparandosi gli occhi dalla luce al neon del corridoio d'ospedale. Era stanca, come dimostravano le sottili rughe che le cerchiavano gli occhi, chiaro segno di come il suo fisico richiedesse riposo.

“Ora sta bene.” rispose infine, togliendosi i guanti in lattice. “La tachicardia è sparita e il respiro si è normalizzato. Gli ho somministrato un potente calmante, che lo farà dormire fino a domani. Una volta sveglio, valuterò se dimetterlo o trattenerlo per ulteriori esami.”

La Hyuga annuì, abbassando gli occhi. Si sentiva stanca, ma non era un malessere fisico il suo, dato che Tsunade la squadrò con un'occhiata significativa.

“C'è qualche problema?”

“Io...” Hinata esitò. Non sapeva assolutamente cosa dire, come provare a spiegare il terrore che l'attanagliava da quando Naruto era tornato, ormai due mesi prima.

“Sentiti libera di parlare.” la incoraggiò il Quinto. “Ricordati che sono un medico, prima che un ninja.”

“E' che... sono preoccupata per Naruto.” mormorò infine la donna. Era nervosa, e lo dimostrò il fatto che iniziò a dondolare il passeggino di Boruto, nonostante il piccolo fosse profondamente addormentato. “Ho paura per lui.”

La kunoichi più anziana aggrottò le sopracciglia nel sentire quelle parole.

“Ha già avuto attacchi di panico simili a questo?” chiese con tono professionale.

“No... o almeno non credo.” rispose la mora. “Ma è diventato... strano, diverso. Non sembra neanche lui.”

“Non sembra lui?” le sopracciglia curate dell'ex Hokage divennero, se possibile, ancora più imbronciate. “In che senso?”

“Non mangia, a malapena dorme. Passa tutto il tempo a lavorare in ufficio, e quando torna a casa risponde sempre a monosillabi.” elencò con voce desolata la donna, stringendo la culla del figlio con forza crescente. “E' diventato cupo, non sorride mai... e qualche volta è tornato a casa in piena notte completamente ubriaco.” vide Tsunade tentare di nascondere la propria preoccupazione, e ciò non la tranquillizzò. “Inoltre... non vuole mai passare del tempo con Boruto.”

“Ti ha picchiata?” chiese a bruciapelo il ninja medico. “Ti ha trattata male?”

“Cosa?!” Hinata sembrò scandalizzata nel sentire quelle domande. “No, assolutamente no! E' sempre gentile e cortese, ma in modo freddo, quasi distaccato. Sembra quasi... che io sia trasparente per lui.”

La bionda fece un profondo respiro, le rughe che divennero lievemente più marcate.

“Va a casa, Hinata.” dichiarò infine. “Domani, quando si sveglierà, gli parlerò e vedrò cosa fare.”

“Con il vostro permesso, preferirei rimanere qui.” ribatté con voce pacate la Hyuga, gli occhi splendenti di fermezza.

“Hai bisogno di dormire.” provò stancamente a replicare il Quinto. “Qui non c'è nulla che puoi fare.”

“Neanche a casa.” davanti a quella risposta, Tsunade non se la sentì di insistere. Si limitò ad un brusco cenno della testa, dirigendosi successivamente verso il suo ufficio. Nonostante la stanchezza, le parole della giovane madre l'avevano riempita di inquietudine.

Cosa diavolo stai combinando, Naruto?!

 

 

Torpore. Una sensazione calda lo avvolgeva, mentre fissava un soffitto sconosciuto.

Io... io...

Ancora troppo intontito per formulare pensieri di senso compiuto, Naruto si sollevò a fatica. Aveva un mal di testa tremendo e la gola secca. Quando provò a cercare qualcosa per dissetarsi, notò Hinata profondamente addormentata su una sedia, una mano a pochi centimetri dal suo braccio. Doveva essere crollata da poco, visto che Boruto nel passeggino iniziava a dare segni di un imminente risveglio.

Hinata... lo shinobi fissò a lungo la moglie, un'espressione indecifrabile sul volto. Percepì una sensazione orribilmente familiare montare dentro di lui, che si incagliò al livello dello stomaco. Un violento e bruciante senso di colpa lo colpì con la violenza di un maglio, mentre osservava l'amore e la dedizione della Hyuga nei suoi confronti.

Distolse lo sguardo dalla donna, alzandosi per sgranchirsi le gambe. Fece appena in tempo ad uscire dal bagno che Boruto iniziò a piangere, facendo svegliare di scatto la kunoichi.

“Cosa?! B-Boruto!” soffocando uno sbadiglio, Hinata corse subito ad accudire il figlio, prendendolo in braccio. Solo dopo alcuni istanti si accorse della presenza del marito.

“Naruto-kun!” esclamò, gli occhi ricolmi di sollievo. “Stai bene? Ieri notte mi sono preoccupata!”

“Non era mia intenzione.” il suo tono cortese ma freddo fu una sferzata per la donna, la quale accusò il colpo. Abbassò gli occhi di scatto, osservando Boruto che proseguiva a piangere.

“Ne sono lieta.” mormorò, la voce sul punto di spezzarsi. “Scusami, ma devo tornare a casa per allattare Boruto-chan.” uscì di corsa dalla stanza, desiderando mantenere un contegno innanzi al marito. Naruto abbassò gli occhi, deglutendo a vuoto. Sapeva benissimo che le lacrime della moglie erano soltanto rimandate.

Che marito schifoso che sono.

Prese a rivestirsi, notando come Hinata gli avesse portato i propri effetti personali in ospedale, l'ennesima dimostrazione di un affetto che non sentiva di meritarsi, che percepiva quasi con fastidio, pari a migliaia di aghi conficcati sotto la pelle.

“Si può sapere cosa diavolo stai facendo?!” una voce irata lo fece voltare di scatto. Tsunade lo fissava dall'ingresso della stanza, le mani strette a pugno. Era livida.

“Devo andare a lavoro.” rispose seccamente l'Uzumaki. “Sono già in ritardo.”

“Non mi sto riferendo a questo!” esclamò seccamente il Quinto. “Ho appena visto Hinata uscire dall'ospedale in lacrime! Cosa diavolo stai facendo a tua moglie?!”

“Assolutamente nulla.” nel sentire quel tono distante, la kunoichi bionda digrignò i denti, avanzando a falcate nella stanza.

“Non ho idea di cosa ti passi nella testa, ma...”

“Appunto.” la interruppe seccamente Naruto, fissandola dritta negli occhi, vibranti di rabbia. “Non sa niente di quello che sto provando. Quindi si risparmi la paternale sui miei doveri di shinobi e marito, ne ho sentite fin troppe.”

“Non mi sembra tu le abbia recepite.” sibilò il ninja medico. “Da quando tratti la tua famiglia come se fosse spazzatura?! Perché stai dando tutto per scontato?! Pensi veramente che Hinata e tuo figlio si meritino un simile atteggiamento da parte tua?!”

Il Jinchuuriki non rispose, facendo per superare la donna, ma quest'ultima lo bloccò.

“Tu ed io non abbiamo ancora finito!”

“Non ho niente da dirle.” Naruto la fissò con sguardo freddo, privo di qualsiasi empatia, sembrava un'altra persona. Tsunade lo mollò, quasi spaventata da ciò che vide; non assomigliava minimamente al giovane shinobi che aveva visto crescere durante il suo mandato.

“Naruto.” lo vide fermarsi all'ingresso, i muscoli della schiena rigidi, contratti, quasi si stesse sforzando di mantenere l'autocontrollo. “Non puoi sperare di uscire dalla disperazione da solo. Hai una famiglia e degli amici disposti ad aiutarti, devi fidarti di loro.”

Il giovane uomo si voltò, mostrando alla Sannin uno sguardo diverso, pieno di sofferenza.

“Non mi fido di me stesso.”

Uscì dalla stanza, lasciandola da sola. Strinse nella morsa dei denti il labbro inferiore, le iridi chiare fisse sul pavimento.

Naruto... se ti farai divorare dai sensi di colpa, distruggerai tutto ciò a cui tieni.

 

 

Sei solo feccia...”

Vedeva il volto di lei, bagnato da lacrime cremisi, fissarlo con sguardo accusatore, penetrandogli l'anima, consumandolo dentro con il senso di colpa.

Non volevo...” mormorò. “Non era questo...”

Assassino!”

Lacrime amare, gonfie di rabbia presero a scendergli dagli occhi, incatenato, costretto a vedere le proprie mani che scavano nel petto di lei, che le toglievano la vita, la distruggevano per sempre.

No!”

Sei solo un assassino... un mostro.” vide dietro di lei molti altri volti a lui noti: lo sguardo ricolmo di delusione di Nagato, gli occhi freddi di Zabuza, il dispiacere impresso nei tratti delicati di Haku, l'espressione gelida di Itachi; ma la cosa che più lo ferì furono gli occhi di lui, il suo amico più caro, che lo fissava con disgusto.

Sasu...”

FECCIA!”

 

 

“E questo cosa significherebbe?!”

Si alzò di scatto, rovesciando pile di fogli dalla scrivania nel tentativo di darsi un contegno. Davanti a lui, intento a fissarlo con severità, c'era Shizune.

“Naruto, questi documenti andavano compilati ore fa.” lo redarguì la kunoichi mora, afferrando una montagna di pratiche lasciate a metà. “Questa è la terza volta in un mese! Se non la smetti di dormire in ufficio ne parlerò all'Hokage!”

Lo shinobi non replicò, massaggiandosi lentamente le tempie. Il mal di testa era aumentato nelle ultime ore, la mente bombardata da ciò che sognava continuamente da alcune settimane.

Maledizione...

“...del tutto irresponsabile! Dovresti dormire di più a casa invece di compiere i tuoi pisolini in ufficio...”

Maledizione. Una fitta più forte lo fece gemere, costringendolo ad un movimento brusco del braccio sinistro, causando la caduta a terra di una bottiglia vuota di sakè.

“E questo cosa sarebbe?” con espressione irata, Shizune sollevò la bottiglia, constatando solo in quell'istante come l'intero ufficio puzzasse d'alcool.

“Adesso ti sei messo pure a bere sul posto di lavoro?! Questo è proprio il colmo, Naruto! Da te non me lo sarei mai aspettato!”

Maledizione! L'ennesima fitta alla testa, unita al sorriso sanguinante di Himawari, lo fece scattare di colpo. Si alzò, rovesciando l'intero contenuto della propria scrivania a terra, gli occhi cerulei che fissavano con odio la donna.

“Ho capito, maledizione! Quanto ancora vuoi andare avanti a darmi il tormento?!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola, sentendosi il sangue bruciare di rabbia, contro ogni cosa, indistintamente.

Nell'ufficio cadde un silenzio di tomba. Shizune aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono, sconvolta dalla reazione rabbiosa del giovane uomo, il quale stava rendendosi conto solo in quel momento di ciò che aveva fatto.

“Io...” fece un profondo respiro, sentendosi soffocare dalla tensione presente nell'aria. “Perdonami.”

Uscì di scatto dalla stanza. Una volta fuori, prese a camminare rapidamente lungo il corridoio, desiderando fuggire da quel luogo asfissiante. Sentiva mancargli l'aria nei polmoni, percependo l'ennesima colpa bruciargli in fondo allo stomaco.

“Naruto!” sentì la voce di Shikamaru alle sue spalle chiamarlo con tono duro, secco. “Dove stai andando?!”

Il Jinchuuriki si voltò, fissando dritto negli occhi l'amico. Quest'ultimo corrucciò lievemente le sopracciglia nel vedere la disperazione albergare dentro il biondo, rigirandosi la sigaretta tra i denti.

“Naruto... se cominci a sentirti in colpa per la morte delle persone, non torni più indietro.”

Secco, diretto, privo di giri di parole. Tipico di Shikamaru.

“Sì...” la voce dell'Uzumaki era rotta, come se stesse per crollare da un momento all'altro. “Hai ragione.”

Riprese a correre verso l'uscita, sbattendosi la porta alle spalle. Non sapeva neanche lui perché l'avesse fatto, per quale motivo avesse urlato addosso ad un'incolpevole Shizune. Forse il senso di colpa, la sensazione di non potersi confidare con nessuno, perché probabilmente nessuno sarebbe stato capace di capire cosa lo tormentava da due mesi a questa parte. Nessuno, neanche sua moglie, neppure Hinata.

 

 

Pugno, calcio, calcio, pugno, calcio, calcio, pugno, pugno.

Una sequenza ripetitiva, quasi ossessiva, nel tentativo di sopprimere la rabbia, il disgusto verso se stesso, la sensazione di solitudine che lo attanagliava.

Sono un debole.

Pugno, calcio, colpo di gomito, parata, calcio, pugno.

Uno schifoso debole.

Pugno, ancora un pugno, seguito da un altro. Una sequenza infinita, il desiderio di affogare nella fatica e nel dolore fisico ciò che lo angosciava.

DEBOLE!

Con un urlo rabbioso, Konohamaru sfondò il tronco sul quale si stava sfogando, percependo migliaia di schegge conficcarsi nelle nocche. Subito dopo, con uno scricchiolio sinistro, alcuni rami caddero al suolo, seguiti dallo shinobi, intento a recuperare fiato.

Udon... alzò lo sguardo, fissando le nuvole rincorrersi nel cielo del primo pomeriggio. Un vento fresco gli baciò il collo sudato, facendolo rabbrividire. Le giornate avevano iniziato ad accorciarsi, portando con sé vento e pioggia.

Amico mio.

Molte cose delle ultime settimane aveva odiato, ma nessuna era stata come l'istante in cui aveva comunicato ai genitori dell'amico la sua scomparsa, la sua morte in nome di una nazione che mai come in quel momento gli sembrava distante e meschina; un'entità malvagia che gli portava via ogni cosa, ogni desiderio di vivere, ogni affetto.

Chiuse gli occhi, rivedendo nella mente tutto per l'ennesima volta: le lacrime della madre di Udon, il dolore impresso in ogni ruga del padre, l'orrenda sensazione di essere di troppo, quasi un disturbo, un qualcosa in più che violava il dolore di due genitori che avevano perso il loro unico figlio.

E di nuovo la sensazione di solitudine lo afferrò, riempiendogli il cuore di un gelo che con la brezza autunnale non aveva nulla a che fare.

“Konohamaru?” la voce di Moegi lo risvegliò dai propri incubi. Si rialzò lentamente, quasi provando un senso di gratitudine nei confronti dell'amica. Notò come anche lei avesse scure occhiaie ad incorniciare un volto smunto, chiaro sintomo di come il sonno fosse ormai solo un ricordo per la kunoichi.

“Perché se qui?”

“Il Sesto ci ha convocati.” mormorò con voce bassa la bionda. “Desidera vederci il prima possibile.”

Senza dire nulla, il Sarutobi la superò, rabbrividendo sotto una nuova folata di vento; nell'aria c'era odore di pioggia e ne fu compiaciuto.

Rispecchiava perfettamente il suo umore.

 

 

Tre giorni dopo

 

 

Con un gesto secco, Naruto ingollò il drink, percependo l'alcool bruciargli la gola. Appoggiò il bicchiere vuoto sul bancone, fissando la propria sagoma distorta sul fondo. Ciò che vedeva rispecchiava perfettamente il turbinio di sensazioni che percepiva: un uomo distrutto, privo di appigli e forse pure di coraggio.

“Un altro.” borbottò, spingendo alcune monete davanti a sé. Si immerse nel rado chiacchiericcio del bar, percependo il ronzio indistinto del televisore sopra di sé.

“Oggi si sono tenute nella capitale del Paese del Fuoco le celebrazioni per l'anniversario della fine della Grande Guerra, conclusasi otto anni fa. Il Sesto Hokage, Kakashi Hatake ha dichiarato ai cronisti che queste festività non sono fine a se stesse, e che porteranno una pace rinnovata all'interno del paese...” la voce della giornalista gli giungeva da lontano, quasi come un suono disturbato. Era l'ultima moda tecnologica la televisione, capace di invadere le case dei suoi concittadini con la rapidità di un tornado. L'Uzumaki aveva preferito non comprarsela, trovandola fastidiosa ed irritante, ma non poteva fare a meno di sorbirsela quando andava in qualche locale.

Vide sullo schermo il volto di Kakashi, coperto dall'onnipresente maschera. Sembrava imbarazzato, quasi trovasse ridicolo farsi fotografare in quel modo. Naruto abbassò lo sguardo, sentendosi ancora in colpa per la sceneggiata fatta con Shizune. Non aveva più osato presentarsi a lavoro, preferendo venire licenziato che affrontare le dure parole di Shikamaru, ma l'Hokage sembrava non preoccuparsi della sua assenza, coprendola come se niente fosse.

“Il primo assistente dell'Hokage, Shikamaru Nara, ha colto l'occasione per dichiarare che le trattative di pace con i ribelli sono a buon punto, aprendo di fatto le porte ad un periodo di pace e prosperità per tutta la nazione...” dallo schermo vide l'amico affrontare i cronisti in maniera assai più energica e sicura del Sesto, lo sguardo intelligente e sicuro che brillava senza esitare innanzi alle domande più scabrose, come la ribellione avvenuta in estate per detronizzare il Daimyo. Naruto lo invidiò: sembrava capace di superare tutto, anche le ferite più profonde.

Dopo la battaglia alla Grotta delle Cascate, la ribellione aveva subito un duro colpo, costringendo i sopravvissuti a trattare per un'amnistia con le forze governative. A capo dei negoziati era stato messo Shikamaru, il quale, nonostante le ferite ricevute in battaglia, non aveva esitato a prendere in mano la situazione, cercando una soluzione pacifica al conflitto, ottenendo ottimi risultati in merito. Tutto questo aveva toccato relativamente Naruto, il quale aveva smesso di occuparsene da tempo. La sua parte era terminata quando aveva ucciso una delle persone che più aveva stimato nella sua vita, capace di mostrargli l'ampiezza del suo fallimento e del suo sogno di una pace collettiva.

Ricevette un nuovo drink, ascoltando distrattamente la voce della giornalista dietro lo schermo blaterare qualcosa riguardo il Daiymo. Afferrò la propria ordinazione, la mente immersa nel passato, assai più dolce e carico di speranza rispetto al presente.

 

 

Voglio cambiare questo paese, e lo voglio fare assieme a tutti loro, la mia famiglia.”

 

 

Estrasse di tasca il coprifronte della Pioggia, fissandolo con occhio spento. Da quando era tornato se l'era sempre portato dietro, quasi fosse un talismano, un qualcosa che non doveva essere dimenticato. Accarezzò con il pollice il metallo sfregiato, ripensando per l'ennesima volta a tutto ciò che quel piccolo oggetto racchiudeva.

 

 

Non sarà con la guerra che guarirai questa nazione.”

 

 

Il bruciore in gola divenne insopportabile. Strizzò gli occhi, le narici che prudevano, avvertendo il liquore scendere nello stomaco, infuocandogli l'esofago.

 

 

Se sono diventata una Nukenin è solo colpa tua!”

 

 

Sospirò, proseguendo a fissare il coprifronte, alla ricerca di una risposta, di qualcosa che potesse spiegargli il perché fosse caduto così in basso, quale orrida trama del destino l'avesse fatto diventare un assassino miserevole, senza alcun onore.

Cosa sto facendo?

Hai finito di piangerti addosso?” lo shinobi emise un gemito nel sentire Kurama parlare; era l'ultima persona con cui desiderava discutere in quel momento. Bevve un nuovo sorso, ignorandolo, nel vano tentativo di farlo desistere dal continuare quella discussione.

Direi che hai bevuto abbastanza per stasera.”

Dacci un taglio!” borbottò il biondo. “Non è serata.”

Spiegami quando lo sarebbe. Sono due mesi che ti stai comportando in maniera ridicola.”

Ho detto di darci un taglio!” ringhiò l'uomo. “Non sei nella condizione di giudicare nessuno!”

Infatti stiamo parlando di te, non di me.”

Naruto non disse nulla. Strinse con maggiore forza il bicchiere, la mente invasa dal sorriso di lei, dalle proprie mani ricoperte di sangue, dell'ultimo respiro effettuato dalla kunoichi.

Quando la smetterai di fare quella faccia da cane bastonato? Sei patetico.”

Kurama...” ora il tono del Jinchuuriki divenne minaccioso. “Giuro sugli dei che se non stai zitto ti rinchiudo nel sigillo! E questa volta ti ci lascio a marcire per l'eternità!”

Era ubriaco. Il Bijuu lo capì dalla voce impastata, gli occhi liquidi, i sensi annebbiati che, in parte, colpivano anche lui.

Nelle tue attuali condizioni non sei in grado di fare un bel niente.” replicò infine, grattandosi pigramente dietro l'orecchio destro.

Posso tenerti testa anche da ubriaco, stanne certo!”

Oh, ma io non mi riferivo a quello.” i denti della volpe scintillarono, le labbra incurvate in un ghigno. “Sei terrorizzato, te l'ho leggo negli occhi. Hai una fottuta paura di andare avanti.”

L'Uzumaki non replicò, punto nel vivo. Era vero: aveva paura, il terrore folle di dimenticarsi di lei, di dimenticare tutti coloro che era stato costretto a tradire, ma soprattutto aveva paura di guardare in faccia Hinata, di sfiorarle la mano, di accarezzarle i capelli. Ogni volta che vedeva la moglie sorridergli, dentro di lui si sentiva un verme. Come poteva fare finta di nulla ed andare avanti? Come poteva tenere nascosto a sua moglie ciò che aveva fatto, gli atti disonorevoli di cui si era macchiato?

Forse era quello il motivo per cui era caduto in quel limbo, incapace di sfogare il proprio dolore, di andare avanti, di vedere un futuro. Il motivo per cui si era chiuso in sé, allontanando la moglie e gli amici, alla ricerca di un sollievo momentaneo nel fondo di una bottiglia.

Sono un vigliacco. Bevve un nuovo sorso, sentendosi improvvisamente distante, alienato dagli altri. In quegli istanti non esisteva nessuno, solo lui e il rimorso di ciò che aveva compiuto.

Credi di poter risolvere la faccenda ubriacandoti? Più indugi, più ferirai coloro a cui tieni.” perfino la voce di Kurama gli giunse ovattata, come se fosse troppo distante per poterlo aiutare, per salvarlo da tutto ciò che lo stava avvelenando da dentro.

Non so più niente, Kurama.” mormorò, terminando la propria ordinazione. “A parte che sono un vigliacco.”

Uscì, trasalendo nel sentire la fredda pioggia colpirgli il volto. Iniziò a camminare a zonzo per il villaggio, non provando alcun piacere al pensiero di rivedere Hinata e Boruto: non meritava il loro affetto, non dopo ciò che aveva compiuto.

Scusa Hina-chan. Si fermò ad udire la campana del tempio suonare la mezzanotte, il segnale che aveva appena compiuto ventiquattro anni. Non sono l'uomo che meriti.

Camminò a lungo, barcollante per l'alcool. Smise di pensare ai suoi problemi, sia perché non possedeva la lucidità necessaria per farlo, sia perché in quei momenti non gliene importava assolutamente nulla. Era quasi l'alba quando infine decise di tornare a casa, dalla sua famiglia.

Fu lì che lo trovò Hinata, ore dopo, quando il sole era ormai alto nel cielo. Seduto sui gradini d'ingresso, ingobbito, gli occhi spenti a fissare il vuoto. Le pianse il cuore vedere colui che ricordava pieno di vita e forza di volontà ridotto in quelle condizioni. Si chiese nuovamente cosa fosse accaduto di così terribile, quale oscuro fardello il marito si portasse dietro da due mesi a quella parte.

“Naruto-kun...” si sedette al suo fianco, prendendogli la mano sana, percependola fredda al tatto. “Perché non sei entrato?”

Naruto si voltò, fissando le iridi lilla della kunoichi, perdendosi in esse. La trovò bellissima, e forse fu quello a creargli l'ennesima stilettata di tormento interiore.

“Non ero... in condizioni presentabili.” rispose infine, passandosi la protesi sul volto. “Non voglio che tu mi veda in certe... situazioni.”

“Sono tua moglie.” replicò lei, la voce ferma ora. “Ed ho giurato di restare al tuo fianco in ogni situazione.” strinse con maggiore vigore la mano del biondo, desiderando poterlo aiutare in qualche modo. “Anche le più difficili.”

Vide il marito mordersi il labbro inferiore con tanta forza da spaccarselo. Comprese che era solo l'orgoglio a trattenerlo dall'iniziare a piangere, il desiderio di non mostrarsi debole in sua presenza.

“Perché non...”

“Scusami, Hina-chan.” si alzò di scatto, un'espressione di ghiaccio a contornargli i lineamenti del volto. “Ma ho bisogno di una doccia calda.”

Entrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle. Hinata restò lì, seduta davanti alla porta di una casa che stava lentamente diventando una prigione, incatenandola dentro un incubo senza fine. Sentì gli occhi inumidirsi e non si trattenne. Rimase immobile, il volto di pietra, a fissare il vialetto, le lacrime che scendevano silenziosamente, ognuna un ricordo felice di una relazione che sembrava ormai avviarsi alla fine.

Nel frattempo, sotto il getto d'acqua bollente, Naruto rivide l'espressione ferita della moglie, maledicendosi per la propria vigliaccheria, un liquido più salato dell'acqua che gli scorreva in viso.

 

 

Con un cigolio la porta si aprì, facendo entrare la figura di Ebisu. Il Jonin individuò subito Konohamaru: se ne stava seduto in mezzo al soggiorno del proprio appartamento, la testa appoggiata sulle ginocchia, gli occhi scuri fissi verso il muro.

Ebisu sospirò. Nonostante amasse apparire come un ninja tutto di un pezzo, era sempre stato un tipo che amava il proprio lavoro. Amava insegnare alle giovani generazioni, vederle imparare a camminare sulle proprie gambe, osservarle mentre si sforzavano di trovare la propria strada. Aveva avuto moltissimi allievi nel corso della sua carriera, ognuno che gli aveva lasciato qualcosa, ma nessuno era stato importante per lui come Konohamaru.

Si avvicinò al ragazzo, sedendosi al suo fianco. Da quando era morto Udon, il Sarutobi era diventato introverso, taciturno, chiuso. Non usciva mai, se non per allenarsi o compiere una missione. Anche il suo modo di interagire in missione era cambiato: era diventato freddo, cinico, cupo. Ad Ebisu non piaceva assolutamente la deriva che il suo pupillo aveva preso, e desiderava porvi rimedio il prima possibile.

“Ebisu-Sensei...” il moro aveva la voce roca, come se non parlasse da ore. “Come mai è qui?”

“Desideravo parlarti.” rispose il ninja più anziano, sistemandosi gli occhiali scuri con un gesto meccanico della mano.

“Riguardo cosa?”

“Di ciò che tu e Moegi vi siete detti con l'Hokage tre gioni fa.”

L'espressione sul volto del Sarutobi non si modificò. In un certo senso, si aspettava quella visita, non fosse altro perché conosceva il proprio maestro come nessun altro. Sapeva bene che Moegi gli avrebbe parlato di ciò che era accaduto.

Sentiva lo sguardo di Ebisu su di lui, che lo osservava, attendendo una risposta che tardava ad arrivare.

“Ha chiesto a me e Moegi di sostenere gli esami per diventare Jonin che si terranno alla fine dell'anno.” mormorò infine.

“Questo lo sapevo già.”

“Allora perché siete qui?”

“Perché voglio sapere il motivo per cui non vuoi sostenerli.”

Konohamaru chiuse gli occhi, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani. Il ricordo di ciò che era accaduto tre giorni prima era vivido e pulsante dentro di lui, pari ad una ferita infetta. Le parole di Moegi erano state più violente di qualsiasi ceffone o pugno tiratogli precedentemente dall'amica.

 

 

Io non parteciperò.”

Perché?!”

Perché no.” fece per uscire dall'ufficio dell'Hokage, ma Moegi lo bloccò, costringendolo a fissarla dritta negli occhi.

Sai bene che questo non è da te, Konohamaru! Se Udon fosse qui...”

Ma lui non c'è.” le parole dello shinobi furono dure, secche, prive di qualsiasi sentimento. “Non è qui, e di certo non devo rendere conto a nessuno di questa scelta, neanche a lui.”

Lo schiaffo risuonò con violenza nell'ambiente. Perfino Kakashi rimase sorpreso da quel gesto, mentre osservava la giovane kunoichi sull'orlo delle lacrime.

Puoi dire ciò che vuoi...” mormorò con voce rotta dalla rabbia. “Ma non osare mai più mancargli di rispetto! Se vuoi gettare via la tua vita dopo quello che Udon ha fatto per te fai pure! Ma sappi che perderai il mio rispetto, Konohamaru!”

Se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle, lasciando l'amico a sfiorarsi il labbro spaccato, gli occhi persi nel vuoto.

 

 

Sangue scarlatto prese ad gocciolargli dalle nocche, il ricordo delle parole dell'amica ancora impresse nel suo cervello, ogni singola sillaba.

“Konohamaru...”

“La ascolto.”

“Non hai ancora risposto alla mia domanda.”

Il Sarutobi riaprì gli occhi, girandosi a fissare in faccia il suo maestro. Quest'ultimo aggrottò ulteriormente le sopracciglia nel vedere la freddezza e la disperazione albergare nello sguardo del suo allievo più caro.

“Non mi va di fare quello stupido esame.” borbottò infine, ritornando a fissare il muro davanti a sé. “Moegi può dire quello che vuole, ma...”

“Konohamaru.” la voce secca del Jonin lo fece desistere dal proseguire. “Qual è il motivo per cui non vuoi fare quell'esame? E' sempre stato il tuo sogno diventare un grande ninja, no?”

“I sogni possono cambiare.” il moro pronunciò quella frase con tono stanco, vuoto. Era stufo di dover pensare a ciò che era accaduto, all'ennesima perdita che l'aveva colpito. Fu quasi tentato di chiedere ad Ebisu-Sensei di andarsene quando quest'ultimo si alzò, sorprendendolo.

“Vieni con me.” vedendo come il proprio allievo non reagisse, Ebisu si spazientì. “Konohamaru, questo è un ordine.”

“Non mi va di uscire.” borbottò il ragazzo, stringendosi con maggiore forza le ginocchia al petto.

“Konohamaru Sarutobi...” il tono del Jonin non prometteva niente di buono. “Se entro cinque secondi non sarai uscito da questa casa, ti mostrerò di cosa sono capace.” estrasse un kunai, la punta che scintillava minacciosa. “Sono serio.”

Per un lungo istante Konohamaru sembrò tentato di sfidare il suo vecchio Sensei. Tuttavia, alla fine, con una scrollata di spalle, il Sarutobi si alzò, seguendo fuori di casa Ebisu.

 

 

Il vento freddo lo fece rabbrividire, mentre osservava la piccola tomba davanti a sé.

“E questo cosa significa?” domandò, voltandosi a fissare con perplessità Ebisu.

“Ripetilo.” si limitò a rispondere quest'ultimo.

“Cosa?”

“Dillo davanti alla sua tomba.” lo incalzò il Jonin. “Digli che non hai intenzione di diventare un Jonin, che non vuoi più diventare Hokage.” nell'udire quelle parole, il Sarutobi percepì un brivido lungo la schiena.

“E' uno scherzo?!”

“No, Konohamaru.” Ebisu lo afferrò per le spalle, fissando il suo vecchio allievo dritto negli occhi. “Udon ha dato la vita per te, quindi è giusto che ora sappia cosa hai intenzione di fare del suo sacrificio.” l'espressione del ninja più anziano era serissima. “E sappi che finché non gli dirai ogni cosa, non ti permetterò di allontanarti.”

Con un vago senso di irritazione, il Sarutobi si liberò con uno strattone, seccato da quella pagliacciata.

“La smetta con queste cazzate!” berciò, un'espressione cattiva in faccia. “Se pensa che mi coprirò di ridicolo davanti alla sua tomba...”

“Ti sembra ridicolo? Perché il tuo atteggiamento degli ultimi mesi cosa è? Pensi che Udon sarebbe felice di vedere come ti comporti?”

“Io... la smetta di parlare di lui!” urlò furioso il moro. “Lui è morto, va bene?! MORTO! Non è qui, e dovete smetterla di parlarne come se lo fosse, perché non è vero!”

“Sì, hai ragione.” replicò seccamente Ebisu. “Udon è morto! E niente di tutto quello che potrai fare in futuro lo riporterà da te, ma credi veramente che questa sia una scusa valida per mollare ogni cosa?”

“Cosa ne sa lei?!” ribatté lo shinobi, i denti scoperti in un ringhio furioso, ricolmo di sensi di colpa. “Cosa diavolo sa di perdere ogni affetto, ogni cosa?! A cosa è servito che mi sia allenato come un folle in tutti questi anni? I sogni che dicevo di voler raggiungere... tutte stronzate! La verità è che non sono stato neanche capace di proteggere il mio migliore amico!”

“E quindi? Cosa credevi, che la vita sarebbe stata così facile? Pensavi veramente che le tue difficoltà sarebbero finite? La verità è un'altra: non sei debole, ma hai paura di andare avanti, perché temi di perdere di nuovo qualcuno.”

“Ed anche se fosse?” Konohamaru spintonò il proprio Sensei, un velo umido a ricoprirgli gli occhi. “Cosa ci sarebbe di sbagliato ad avere paura? Ho perso ogni membro della mia famiglia, ed ora pure il mio migliore amico per questo paese maledetto! Perché non dovrei avere paura? Chi sarà il prossimo?!” riprovò a spintonare Ebisu, ma quest'ultimo lo evitò. Con un gesto fulmineo, il Jonin gli diede un violento pugno in faccia, facendolo crollare a terra.

“Perché ti ho sempre insegnato che un ninja deve combattere la propria paura, non abbandonarsi ad essa!”

Lo shinobi più giovane si rialzò, lo zigomo arrossato. Con un ringhio caricò nuovamente il suo Sensei, ma ancora una volta Ebisu lo mise a terra con un colpo secco. Prima che il Sarutobi potesse rialzarsi nuovamente, quest'ultimo gli bloccò le gambe, scrollandolo per il colletto della giacca.

“Allora, cosa vuoi fare?” lo incalzò, la voce fredda. “Vuoi continuare a coprirti di ridicolo? E' questa la tua scelta? Cosa direbbero tutti coloro che hai perso se ti vedessero ora? Cosa direbbero coloro che ti sono ancora vicino?”

“Mi lasci!”

“Te l'ho detto: fino a quando non mi dirai cosa vuoi fare della tua vita, resteremo qui.”

“Le ho detto di lasciarmi!”

“Ed io ti ho detto di dirlo!” spazientito, Ebisu diede uno schiaffo al proprio allievo, scuotendolo per il bavero. “Dillo, Konohamaru! Dimmi una volta per tutte cosa hai deciso di fare, ma piantala di appassire in questo dannato limbo! Avanti, dillo!”

“Io...”

“DILLO!”

“Non lo so, va bene?! NON LO SO!” tentò di nascondere i propri occhi, ormai incapace di trattenere le lacrime. Un pianto furioso, ricolmo di rabbia e senso di ingiustizia. “Non so cosa fare della mia vita, non so neanche se voglio continuare a fare il ninja! Io... io...” deglutì a vuoto, il volto ormai ricoperto dalle lacrime. “Io voglio vedere Udon!” singhiozzò, il corpo squassato da tutti i sentimenti che si era portato dentro nelle ultime settimane. La rabbia, il dolore, il disprezzo per se stesso; emersero tutti assieme, facendolo crollare psicologicamente.

“Mi manca da morire... ogni giorno, ogni istante, ogni ora... lo vedo davanti a me, che mi ringrazia per essergli stato amico, scomparendo e lasciandomi solo... solo...” il pianto divenne singhiozzante, impedendogli di parlare chiaramente.

Lentamente, Ebisu si rialzò, permettendo al moro di sedersi, nel vano tentativo di calmarsi. Pianse tutte le lacrime di cui disponeva, affondando il viso tra le mani, aprendo un cuore martoriato ma desideroso di affetto, di una speranza, una luce che lo facesse uscire dal baratro della disperazione.

“Mi dispiace... Ebisu-Sensei...” mormorò infine, il corpo ancora scosso da qualche singhiozzo. “Vorrei andare avanti, ma non ci riesco... ho troppa paura.”

Il Jonin gli si sedette affianco, mettendogli un braccio attorno alle spalle, tentando di confortarlo con quel gesto paterno.

“Non posso darti il conforto che cerchi.” anche il ninja con la bandana si era calmato, riprendendo il tono pacato e serio di sempre. “Non posso neanche prometterti che non perderai mai più nessuno.” mise una mano sotto il mento del ragazzo, costringendolo a fissarlo in faccia. “Ma una cosa posso promettertela: un giorno tu, Konohamaru Sarutobi, sarai Hokage.” vide gli occhi arrossati spalancarsi per la sorpresa di quella frase. “E quando toccherà a te proteggere questo villaggio e tutti i suoi abitanti, allora ricorderai i sacrifici della tua famiglia e di Udon, ed onorerai per sempre la loro memoria.” il tono di Ebisu non era mai stato così serio. “Lo giuro sugli dei.”

Il moro volse lo sguardo verso la piccola lapide di Udon. Si impresse nella mente ogni istante che riusciva a ricordare dell'amico, il desiderio di riaverlo al suo fianco che lo perseguitava come sempre. Eppure, per la prima volta da quando era tornato a Konoha, sentì di poter vincere quel dolore, di poterci convivere.

“Dice che dovrei sostenere quell'esame?” mormorò con un filo di voce, ormai esausto. “Anche se non sono stato capace di proteggerlo?”

“Proprio per questo devi sostenerlo.” ribatté Ebisu. “Tu diventerai Hokage, e potrai farlo solo se diventerai più forte di ora. E quando il sole bacerà il tuo mantello bianco e rosso, scosso dalla brezza del mattino, allora la tua stella brillerà così fulgida che anche Udon riuscirà a vederla, e ne sarà felice.”

Konohamaru non disse nulla. Si limitò a stringere la mano del suo maestro, grato che fosse lì, al suo fianco, ad aiutarlo e sostenerlo come aveva sempre fatto.

“Mi aiuterà?”

“Sempre.”

E fu allora che Konohamaru capì, comprese ciò che Ebisu-Sensei aveva tentato di dirgli per tutto quel tempo: il dolore non sarebbe mai scomparso, lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, fino all'ultimo dei suoi giorni.

Ma un ninja doveva sapere convivere con il dolore, e trovare la forza di andare avanti.

Udon... amico mio. Si asciugò le ultime lacrime, il cuore ancora a pezzi ma di nuovo pronto a lottare, a conquistare ogni cosa con fatica e sudore. Ti prometto che diventerò Hokage, ed onorerò la tua memoria.

Lo giuro.

E sapevano tutti che lui le promesse le manteneva sempre.

 

 

Naruto fissò con fastidio la bottiglia vuota, notando con indifferenza di aver terminato un litro di saké in un pomeriggio. Appoggiò con un sospiro il recipiente vuoto sul tavolo, affondando nel soffice divano in salotto. Sul muro, sopra il caminetto, la pendola in legno antico, regalo di nozze di qualche parente di Hinata, batteva le cinque del pomeriggio. Normalmente l'Uzumaki sarebbe stato in ufficio a quell'ora, ma anche quello non lo toccava, non più ormai.

Si lasciò cullare dal silenzio che regnava in casa, un silenzio che gli ricordava molto la sua infanzia. Hinata era uscita con Boruto, probabilmente per fare visita ad Ino, ancora in maternità, e non sarebbe tornata prima di un paio d'ore. La testa dello shinobi ciondolò, quasi in procinto di addormentarsi; erano settimane che non dormiva bene, ed ormai le occhiaie sul suo volto erano diventate inquietanti.

Il rumore della serratura che scattava lo fece uscire bruscamente dallo stato di dormiveglia in cui era caduto. Si sedette con un gemito, sorprendendosi che Hinata fosse tornata così presto. Era quasi tentato di scappare di sopra, a causa di una fitta tremenda alla testa, quando una voce dura, dal chiaro tono femminile lo apostrofò.

“Sei ridotto proprio male.”

Naruto spalancò gli occhi, boccheggiando per la sorpresa: davanti a lui, a fissarlo con sguardo severo, c'era Sakura.

“S-Sakura?!” le iridi cerulee ispezionarono la figura che aveva d'innanzi, ancora incredulo che la sua amica più cara fosse lì. “Ma cosa...”

“Sono tornata.” spiegò brevemente l'Haruno, sedendosi affianco dell'amico. “Diciamo che non avevo più motivo di viaggiare.”

“Quando...”

“Una settimana fa.” lo anticipò nuovamente la kunoichi. “Ho preferito non annunciare il mio ritorno. Gli ultimi mesi non sono stati facili.” il suo sguardo smeraldino mise a disagio lo shinobi. Gli sembrava che l'amica fosse capace di leggergli dentro.

“Io... sono felice che tu sia tornata.” mormorò infine, ancora scosso da quell'arrivo così improvviso. “Mi fa molto piacere vederti.”

“Bugiardo.” il tono della donna nascondeva una sfumatura dura, quasi di rimprovero. “Se fossi felice di vedermi non passeresti le tue giornate ad ubriacarti sul divano.”

Naruto si passò la protesi sul viso, grattandosi la rada barba che gli era cresciuta. In quei giorni aveva anche smesso di radersi, perso com'era nella sua depressione.

“Sono... successe molte cose, Sakura-chan.” osservò. “Io...”

“So tutto.” la voce della rosa era secca e diretta. “So che ti sei infiltrato nella base dei ribelli, che hai dovuto tradirli e che ne hai ucciso il capo, così come so che tutto questo ti tormenta tremendamente.” stirò le labbra in un sorriso freddo, osservando l'amico impallidire di colpo. “Prima di tornare a Konoha ho incontrato Sasuke-kun.” spiegò. “E ho avuto modo di capire meglio cosa è accaduto nei mesi in cui sono stata assente.”

Lo shinobi appoggiò il capo sullo schienale, sospirando pesantemente. Aveva paura di cosa avrebbe detto Sakura, e non era sicuro di poter reggere quella prova, non nelle condizioni mentali in cui si ritrovava.

“Immagino che ti starai chiedendo perché ho aspettato una settimana prima di venirti a trovare.” quelle parole lo sorpresero. Si girò a fissare l'amica, notando come il sorriso freddo ed il tono duro fossero spariti, lasciando spazio ad un'espressione diversa, enigmatica. “Sai, io stessa all'inizio non capivo perché non volessi vederti. Non era per il fatto che avevi ucciso una persona, e neanche per come hai trattato Hinata in questi ultimi mesi.” la kunoichi fece un profondo respiro, sistemandosi con un gesto nervoso della mano una ciocca di capelli.

“Io avevo paura.”

Nella stanza cadde un silenzio profondo. Naruto proseguì a guardare negli occhi la donna che gli stava di fronte; teneva lo stesso sguardo che tante volte le aveva visto da ragazzina, quando pensava a Sasuke.

“Avevo paura di ciò che avrei dovuto affrontare.” spiegò, continuando a tenere le mani in grembo. “Credo che, nonostante ci conosciamo praticamente da sempre, io ti veda ancora come... il grande ninja sorridente, capace di aiutarmi ad uscire da ogni situazione, che quando promette una cosa la mantiene ad ogni costo.” sorrise, ma era un'espressione amara la sua. “Scoprire che anche tu sei... umano, mi ha lasciato senza appigli, sperduta.” scosse la testa, quasi volesse cacciare via i brutti pensieri, il sorriso privo di gioia sempre sul viso.

“Ma non è per questo che sono venuta.” proseguì, appoggiando una mano sul ginocchio dell'amico. “Sono venuta per dirti... quanto io sia orgogliosa di te, e non perché hai fatto il tuo dovere, ma perché, dopo tutto quello che hai passato, i lutti che hai subito, quando le cose vanno male per te è ancora un colpo durissimo, che non riesci ad accettarlo.” la mano si spostò verso l'alto, accarezzando dolcemente la guancia dell'uomo. “Sei il ninja che avrei sempre voluto essere, Naruto.” mormorò. “E non importa per quanto tempo proseguirai a macerarti nel dolore, io ci sarò sempre, qualunque cosa deciderai di fare.”

Chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel contatto. Sentì le prime lacrime premere per uscire e non le lottò. Sentire di nuovo la voce di Sakura, sapere che era vicina, che l'avrebbe sempre sostenuto era una sensazione meravigliosa, capace di aiutarlo per la prima volta, dopo tanto tempo, a sentirsi bene, in pace, privo di rimorsi.

“Cosa intendi fare ora?” gli chiese lei, osservandolo stringerle la mano con forza.

“Immagino che dovrei dire tutto ad Hinata.” osservò lui, asciugandosi le lacrime. “Lo vorrei, credimi. Liberarmi di questo peso sarebbe splendido.” si passò la protesi davanti agli occhi, facendo un profondo sospiro, in procinto di liberarsi dell'incubo che da settimane lo tormentava. “Ma temo la sua reazione. Dirle che suo marito è un assassino ed un traditore... non si merita tutto questo.”

“Non si merita neanche un marito ubriacone e depresso.” replicò la kunoichi. “Hinata ti vuole bene, molto più di quanto tu possa immaginare.” lo obbligò a fissarla in faccia, gli occhi smeraldini che risplendevano di ferrea convinzione. “Devi avere fiducia in lei, proprio come in passato.”

Naruto fece un profondo respiro. Vedendolo ancora indeciso, l'Haruno si alzò, preparandosi ad uscire.

“Beh, io quello che dovevo dirti l'ho detto. Ora tocca a te.” guardò l'amico con occhio critico. “O resti a piagnucolare su questo divano, oppure ti dai una sistemata, affronti tua moglie e stasera vieni a conoscere la tua figlioccia.”

Ci mise qualche istante di troppo a comprendere quelle parole. La consapevolezza di ciò che l'amica gli aveva appena detto arrivò tutta in un colpo, pari ad un violento ceffone. Si alzò di scatto, gli occhi grossi come piattini da tè, mentre la sua mente tentava freneticamente di capire come diavolo fosse stato possibile tutto quello.

“Figlioccia?” balbettò infine. “Ma... come... quando?”

“Ci arrivi da solo o ti serve un disegno?” lo prese in giro la donna, ridacchiando nel vedere l'amico sforzarsi di arrivare alla soluzione.

“Eri già incinta quando sei partita!” esclamò infine, puntandole contro l'indice con fare fanciullesco, riportando indietro nel tempo la kunoichi, quando Naruto era solo un ragazzino goffo e chiacchierone.

“Finalmente ci sei arrivato... Baka!” lo prese in giro, ridendo di gusto quando vide l'amico avvicinarsi e stritolarla in un abbraccio carico di affetto. L'Uzumaki prese a girare sul posto, volteggiando abbracciato alla rosa, ridendo come un bambino, felice come non si sentiva da tempo.

“Hai avuto una bambina! Sasuke è padre!” si fermò di colpo, barcollando come un ubriaco, e trascinando con sé sul divano Sakura, la quale non poté fare altro che rimproverarlo con una botta in testa.

“Come si chiama?” domandò il Jinchuuriki, massaggiandosi il punto leso con la protesi.

“Sarada.” mormorò l'Haruno, gli occhi che brillavano di gioia nel parlare della figlia. “Sarada Uchiha.”

Fu vedendo l'espressione dell'amica che capì, e lo accettò. Aveva già visto quella gioia feroce, potente, capace di vincere su tutto sul volto di un'altra persona, nel giorno in cui era nato Boruto.

Hinata...

 

 

Si torceva le mani, in preda al dubbio. Davanti a lui c'era la porta della cucina, dietro di essa sua moglie.

Coraggio Baka... coraggio! Si era lavato, sbarbato e vestito elegantemente. Perfino i capelli, di solito arruffati, avevano dovuto perdere la loro decennale lotta con il pettine. Si sistemò la casacca scura, profumata di bucato, deglutendo a vuoto: era nervoso. Neanche quando vide Hinata nuda per la prima volta il suo cuore aveva battuto così violentemente.

Fece un profondo sospiro, afferrando la maniglia, incapace di abbassarla; sembrava pesare una tonnellata. Quando però stava già iniziando ad avere dei ripensamenti, la sua mano si mosse da sola, aprendo la porta di getto, quasi qualcuno l'avesse fatto al posto suo. Nello stesso istante, lo shinobi percepì un soffio caldo sul collo, unito ad un suono flebile, quasi impercettibile: una risata che conosceva molto bene.

Wari! Si girò di scatto, quasi aspettandosi di trovarsela davanti, di vedere il suo sorriso sbarazzino, i corti capelli dorati ed il fisico nervoso coperto da una camicia bianca da uomo.

Non vide nessuno. Il salotto era vuoto, illuminato dalla luce del lampadario, il fuoco che languiva dentro la stufa. Il biondo non demordette, gli occhi che guizzavano rapidi in ogni direzione, un velo di sudore freddo a ricoprirgli la schiena.

“Naruto-kun?” percepì la presenza della moglie alle spalle, sorpresa di vederlo così elegante dopo settimane di trascuratezza. Naruto chiuse per un istante gli occhi, effettuando nuovamente un profondo respiro per calmarsi, pronto ad affrontare le conseguenze delle sue azioni.

“Ti devo parlare.” esordì con voce pacata, voltandosi e guardando negli occhi la kunoichi mora. “Ora.”

Wari... grazie.

Le disse tutto, spiegandole ogni cosa avvenuta da quando era partito da Konoha all'inizio dell'estate. Le parlò del suo arrivo a Boosha, del suo travestimento, di come fosse finito in mano ai commercianti di uomini e del suo incontro con Kiyoko, Giichi e Gihei. Le parlò della Grotta delle Cascate, dei motivi che avevano spinto i ribelli a combattere il Daiymo, che era stato accettato in modo fraterno da tutti loro, di come l'avevano fatto sentire a suo agio, uno di famiglia. Provò a spiegarle cosa aveva provato in ogni istante di quei due mesi, i sentimenti e le sensazioni vissuti, i dubbi che l'avevano attanagliato. Fu difficile, ma desiderava che Hinata capisse, comprendesse il motivo per cui si era chiuso in sé così a lungo.

Parlò anche di Himawari, capace di aprirgli gli occhi sulla sofferenza della loro nazione, del suo amore per la Terra del Fuoco, e di come i ribelli fossero per lei una grande famiglia. Solo due cose nascose ad Hinata: il nome di Himawari ed il bacio d'addio che si erano scambiati nelle profondità delle grotte. Sapeva che era sbagliato nascondere una parte della storia, ma non riuscì a trovare la forza necessaria per narrarle anche quello.

Con voce ormai roca, l'Uzumaki terminò il proprio racconto, parlandone del suo tradimento verso la ribellione, rivelando la posizione del loro covo a Sasuke, della battaglia tra i ribelli ed i ninja di Konoha e del suo scontro con la Nukenin, terminato con la morte di quest'ultima per mano sua. Quando il silenzio calò nella cucina, con gesti lenti, lo shinobi si tolse la casacca, mostrando la schiena alla Hyuga, la quale spalancò gli occhi per l'orrore: dove ricordava fasci di muscoli lisci svettava una sinistra ed inquietante cicatrice biancastra, spessa parecchi centimetri, che partiva da sotto la scapola sinistra, sull'attaccatura tra muscolo ed osso, per terminare sul fianco destro, una tremenda testimonianza di ciò che gli aveva appena raccontato il marito.

“Immagino che mi giudicherai una merda.” esordì dopo lunghi minuti di silenzio il Jinchuuriki. “Una persona senza onore che ha fatto tutto questo per una famiglia che tratta malissimo.” si rivestì, vedendo la donna persa nei propri pensieri, le iridi perlacee fredde ed impenetrabili. Gli ricordava molto Neji.

“Perché non me l'hai detto subito?” domando infine, la voce bassa. “Temevi davvero che avrei pensato tutto questo di te?”

“Ne avresti motivo.” la risposta laconica del marito la irritò. Strinse le labbra, gli occhi che proseguivano ad osservarlo con freddezza.

“Perché?”

Naruto fece un profondo respiro, passandosi una mano tra i capelli, spettinandoli. Si aspettava una simile domanda.

“Non sono mai riuscito ad essere il compagno che meritavi.” mormorò. “Desideravo... non mostrarti il mio lato peggiore.”

“E' per questo motivo che mi hai trattata come spazzatura per due mesi?” la voce della Hyuga fu sferzante, colpendo con la violenza di un pugno il biondo.

“Avevo paura.” anche alle sue orecchie sembrò una scusa patetica. “Temevo di deluderti.” Hinata sembrò sul punto di ribattere ferocemente, ma si bloccò di colpo, chiudendo gli occhi per un lunghissimo istante.

“Ci sei appena riuscito.”

Uscì dalla stanza, lasciando il marito da solo, a fissarsi le mani. Naruto fu tentato per un istante di seguirla, ma poi si trattenne, scuotendo la testa. Sapeva di meritarselo quel disprezzo, il prezzo da pagare per non aver avuto fiducia in un matrimonio che gli stava sfuggendo dalle dita come sabbia.

Forse è giusto così.

 

 

Fu strano presentarsi da solo da Sakura, vedere gli sguardi di tutti i suoi amici e, nonostante tutto quello che era successo, sentirsi bene. Si sentiva quasi in colpa nei confronti di Hinata, mentre chiedeva scusa per il suo atteggiamento, sorrideva ed abbracciava i suoi amici più cari. Eppure, nonostante tutto ciò che era accaduto poco prima, si sentiva di nuovo felice e gli andava bene così.

Quella sera la protagonista indiscussa fu Sakura, la quale reggeva un fagottino tra le braccia che fu un colpo al cuore per lui: lì dentro c'era la figlia dei suoi migliori amici, la sua figlioccia. Sentì di amarla fin dal primo istante che la vide: piccola, paffuta, con la testolina ricoperta da ciocche scure estremamente familiari.

“E' bellissima.” mormorò, sfiorandole le guance morbide con l'indice sano. “Sarada-chan.” sorrise all'amica, sentendosi intimamente felice per lei, per essere riuscita a diventare una donna matura e forte, come aveva sempre desiderato. “E' un nome magnifico.”

Le labbra della Sannin si inclinarono in modo strano, dando vita ad un sorriso sghembo. Aveva capito fin da quando era arrivato che le cose con Hinata non erano andate nel modo sperato, ma quello non era il luogo adatto per rinfacciarglielo.

“Ti ringrazio, Baka.” rispose infine. “Mi auguro che sarai un buon padrino.”

“Ci proverò.” replicò lui, il sorriso che si spense al pensiero che, fino a quel momento, come padre era stato semplicemente schifoso, e che avrebbe dovuto impegnarsi molto di più se voleva diventare una persona migliore, per lui e per tutti coloro a cui voleva bene.

“A quanto pare anche Sasuke ha fatto il grande passo.” borbottò Shikamaru, avvicinandosi al Jinchuuriki mentre sorseggiava dalla propria fiaschetta.

“In che senso?”

“Si dice che Sakura e Sasuke si siano sposati in incognito durante l'estate.” spiegò il Nara, lanciando un'occhiata significativa ad Ino, la quale era impegnata a scambiare convenevoli con l'Haruno, il piccolo Inojin stretto in collo. Naruto sbuffò, capendo l'allusione: era ovvio che la Yamanaka avrebbe rivelato a chiunque si fosse trovato nel suo raggio d'azione un pettegolezzo così succoso, e per un istante pensò che, probabilmente, il motivo per cui Sakura glielo aveva riferito era proprio quello.

Quella donna ne sa una più del diavolo.

“Immagino che il prossimo sarai tu.” osservò, dando una pacca sulla spalla allo shinobi delle ombre, il quale gli lanciò un'occhiata decisamente poco amichevole.

“Beh...” guardò Temari, la cui gravidanza era ormai al settimo mese. “Direi che mi tocca.”

“Sarai un buon padre, Shika.” osservò il biondo. “Fidati.”

Sicuramente meglio del sottoscritto.

Forse era quello che aveva tentato di fargli capire Himawari per tutto quel tempo: il piacere delle piccole cose. Essere in compagnia dei propri amici, a festeggiare la nascita della figlia del suo più caro amico, lo rendeva felice, leggero, allegro come non gli capitava da molti mesi a questa parte.

Forse è questa la gioia che dicevi, Wari... l'importanza delle piccole cose.

Fissò il cielo scuro fuori dalla finestra, la mente che volò verso la kunoichi scomparsa. Era un dolore che non sarebbe mai scomparso, ne era consapevole, ma doveva andare avanti, e continuare a combattere, anche per le cause più insignificanti.

Proprio come mi hai insegnato tu.

Non sapeva se sarebbe riuscito a riconquistare la fiducia e l'affetto di Hinata, e non sapeva neanche se sarebbe stato capace di diventare un buon padre per Boruto, così come un padrino presente per Sarada. Tutto quello che sapeva, era che avrebbe dato il massimo, non dando mai più nulla per scontato.

Wari, non finirò mai di ringraziarti abbastanza. Chiuse gli occhi, sentendo nuovamente il flebile eco della sua risata, a testimonianza che lei aveva capito, così come lui.

Era pronto a riprendere in mano la propria vita.

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

Ma come? Il capitolo finisce così? Con Naruto ed Hinata che litigano? Beh... sì xD

Parto con il dire che questo capitolo, anche se può sembrare incompleto, aveva uno scopo ben preciso: mostrare come Naruto e Konohamaru superano i lutti che li hanno colpiti durante la guerra civile. Forse può sembrare che abbia tralasciato gli altri personaggi, ma posso assicurare che già nel prossimo capitolo ci sarà spazio per tutti.

La scelta di non far rappacificare Naruto ed Hinata sarà un argomento della prossima storia, quindi per ora non posso dire molto, anche se spero che si capisca il motivo per cui la Hyuga non l'ha subito perdonato. Colgo anche l'occasione per scusarmi se non ho mostrato l'atto del concepimento di Sarada, così come il matrimonio tra Sakura e Sasuke ma state tranquilli: l'espressione dell'Uchiha non è mai cambiata xD

Bene, anche questo capitolo è terminato. Come sempre ringrazio infinitamente chiunque legga e segue questa raccolta, e ricordo che qualunque recensione, negativa o positiva, è ben accetta!

Un saluto!

Giambo

 

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Capitolo 19
*** Equilibrio ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

Equilibrio

 

 

 

Dolore. Tanto, atroce, inatteso.

Emettendo un muggito, Shikamaru cadde giù dal letto, un fiume di imprecazioni tra le labbra. Tentò di contrastare il dolore inumano che risaliva dall'inguine, il tutto rotolandosi per terra come un ossesso.

“Preparami la colazione.” sbottò Temari, piuttosto spazientita di vedere il proprio uomo rantolare a terra, in una posizione che tutto era tranne che virile.

Alla fine, dopo circa dieci secondi di atroce agonia, il Nara trovò la forza di rialzarsi, sfruttando la coperta come una fune. Nel compiere quell'impresa, il suo occhio cadde sulla sveglia, le cui lancette segnavano le cinque del mattino.

“Ti sei bevuta completamente il cervello?!” gracchiò sconvolto. “Mi hai svegliato alle cinque del mattino con un calcio nelle palle perché hai fame?!”

“Esattamente.” gli occhi cerulei della kunoichi bruciavano di irritazione. Non comprendeva perché il suo compagno fosse così lento ad ubbidirle. “E ricordati di usare molta frutta. Ho voglia di ciliegie.”

L'occhio sinistro di Shikamaru iniziò ad avere un tic incontrollato. Per un lungo istante si domandò se sarebbe stato più comodo farla finita oppure uccidere la propria 'adorabile' compagna di vita. Chiedendosi dove accidenti avrebbe trovato delle ciliegie all'alba di una fredda giornata di fine novembre, il moro fece un profondo respiro, iniziando ad incamminarsi verso la cucina, con la speranza riuscire ad affogarsi nel lavabo.

“E vedi di sbrigarti!” lo incalzò la donna un attimo prima che si chiudesse la porta alle spalle. “Ricordati che dopo dobbiamo fare sesso, e cerca di metterci un pochino di impegno, visto che l'altra volta mi sembrava di farlo con un girino agonizzante!”

Il moro si premurò di sbattere la porta con tutta la forza di cui disponeva a quell'ora indecente. Maledicendo mentalmente qualsiasi divinità maligna avesse inventato gli squilibri ormonali della gravidanza, lo shinobi delle ombre prese a pensare ad una scappatoia dal sesso mattutino che Temari ormai esigeva ferocemente, con suo grande disappunto: erano assai poche le cose che faceva volentieri di prima mattina, e di sicuro tra queste non c'era il dover fare sesso con una specie di ippopotamo irascibile e potenzialmente instabile.

“Donne!” borbottò rabbiosamente, soffocando uno sbadiglio smascellante. “Chiunque le abbia inventate doveva essere proprio uno stronzo!”

 

 

Vagamente perplesso, Naruto fissò Boruto mettersi una mano in bocca, un'espressione soddisfatta sul visino paffuto.

“Sai, non vorrei sembrare pignolo...” esordì il genitore, inclinando la testa. “Ma sei un pochino sporco sulla faccia.”

Boruto emise un versetto di soddisfazione, il volto ricoperto da quella che doveva essere la sua colazione, ma era evidente che il piccolo Uzumaki non fosse stato dello stesso avviso del padre.

“Ed ora chi lo dice a tua madre?” sospirò lo shinobi. Iniziò a pulire il figlio con una salvietta, nel vano tentativo di renderlo presentabile prima dell'arrivo della moglie. Fatica sprecata, come dimostrò il fatto che pochi istanti dopo Hinata fece il suo ingresso in cucina. I suoi occhi chiari fissarono prima il figlio, ricoperto di omogenizzato dalla testa ai piedi, per poi passare ad ispezionare il marito con sguardo vagamente accusatorio.

“Giorno, Hina-chan.” esclamò quest'ultimo, passandosi una mano dietro la nuca per l'imbarazzo. “Come vedi c'è stato un piccolo problemino con la colazione di Boruto!”

Senza dire una parola, la kunoichi si inginocchiò davanti al seggiolone di Boruto, iniziando a pulirlo amorevolmente, anche se i suoi occhi restarono freddi e scostanti.

“Sei sporco sulla casacca.” dichiarò infine con tono monocorde. “Dovresti cambiarti prima di andare a lavoro.”

“Ah... grazie.” Naruto non fu sorpreso dal tono freddo e scostante della Hyuga, ormai ci era abituato. Tuttavia, ciò non minò il suo buonumore, testimoniato dal largo sorriso con cui saluto il figlio una volta cambiatosi.

“Allora io vado!” esclamò, regalando un bacio sulla fronte di Boruto. “Ci vediamo stasera, ometto!”

Quando fu il turno di salutare la moglie, il suo sorriso si incrinò lievemente davanti all'espressione seria di lei. Non c'era freddezza o cattiveria nel suo sguardo, ma senza la fiamma della passione a cui era stato abituato per anni i suoi occhi gli sembrarono gelidi.

“Ci vediamo stasera, dunque.” ripeté il biondo con tono gentile. Fece per darle un bacio, ma Hinata scostò la testa, permettendogli solo un tiepido tocco sulla guancia.

“Oggi vado a fare visita a mio padre.” mormorò la Hyuga. “Potrei fermarmi a cena da lui.” quel tono freddo riuscì a spegnere del tutto il sorriso di Naruto.

“D'accordo.” rispose, aprendo la porta di casa. “Non c'è nessun problema.”

Una volta fuori, il Jinchuuriki rimase per alcuni istanti immobile, lo sguardo cupo. Poi, con uno sbuffo, tornò a sorridere, incamminandosi verso gli uffici della Squadra Speciale fischiettando un vecchio motivetto d'infanzia.

Andrà meglio la prossima volta.

 

 

Freddo. Questo era l'unico aggettivo che era riuscito a coniare Naruto per l'atteggiamento della moglie nelle ultime settimane, un comportamento frutto anche della sua scelta di non fidarsi di lei, di chiudersi nel proprio dolore senza metterla al corrente di ciò che era accaduto durante l'estate. Onestamente, l'Uzumaki non si era trovato impreparato a quella situazione; aveva previsto che la sua donna potesse risentirsi di quella confessione tardiva, dell'aver ammesso di non aver avuto fiducia in lei, nel suo amore per lui, nella sua forza di volontà. Un insulto a tutti i sacrifici commessi dalla Hyuga in passato, di cui lui era perfettamente a conoscenza.

Ma lo shinobi non era tipo da arrendersi facilmente, neanche innanzi ad un matrimonio che pareva finito prima ancora di cominciare.

L'Uzumaki in quell'ultimo mese e mezzo era tornato ad essere ciò che era sempre stato prima della guerra civile: solare, scherzoso, attivo, pieno di vitalità. La mattina era sempre pronto ad alzarsi prima di Hinata per prepararle la colazione a letto, oppure per occuparsi di Boruto. Anche al lavoro era cambiato, diventando attento ad ogni singolo problema che riguardasse la gente comune, dando il massimo per risolverla rapidamente, proprio come gli aveva insegnato Himawari. Gli incubi la notte lo perseguitavano ancora, ma ogni volta che si alzava, il pensiero di Hinata gli dava la forza di uscire dal letto con un sorriso, carico di energia come non mai.

La moglie sembrava aver apprezzato quel cambiamento, quell'atteggiamento rinnovato e pieno di forza del suo uomo era capace di strapparle qualche sporadico sorriso. Era palese comunque che la donna preferiva mantenere ancora le distanze e Naruto lo accettava. Gli dispiaceva vedere Hinata distante da sé, ma capiva che ci voleva tempo per ricucire lo strappo che aveva creato lui stesso.

Ma quella mattina il suo buonumore non era forzato o dovuto a qualche sogno meno sanguinoso del solito. Era riuscito a passare due ore con Boruto senza nessuna pausa e la cosa lo riempiva di gioia. Ogni volta che vedeva il figlio sentiva qualcosa smuoversi dentro di lui, un miscuglio di sensazioni meravigliose e dolorose allo stesso tempo. Era così felice che aveva quasi paura di vivere in un sogno, di doversi risvegliare in un mondo senza suo figlio.

Fu per quel motivo che quando entro negli uffici della Squadra Speciale accolse con un sorriso un cupo Shikamaru, il quale stava fumando come una ciminiera davanti alla macchinetta delle bevande calde, un caffè ben stretto in mano.

“Giorno, Shika!” esclamò il Jinchuuriki, il sorriso da baka ben stampato sul volto. Il Nara lo squadrò con un'occhiata che definire omicida sarebbe stato un vergognoso eufemismo. Ignorando il malumore dell'amico, il biondo si prese un caffè, preferendo non chiedere il motivo di quel mutismo, anche perché aveva già un'idea in proposito.

“Senpai?” una voce femminile sbucò fuori dal corridoio, un paio di occhi scuri che fissavano con ansia Shikamaru. Naruto la riconobbe subito: Mei. Era una giovane shinobi di diciotto anni entrata da poche settimane nella Squadra Speciale. Bassina, minuta, con lunghi capelli neri ad incorniciare un volto perennemente corroso dall'ansia, Mei ispirava all'Uzumaki una serie di sentimenti che variavano dalla pietà al disagio dato che la giovine sembrava capace di scoppiare a piangere da un momento all'altro. Tuttavia, Kakashi sembrava averne molta considerazione, dato che come primo incarico l'aveva assegnata all'ufficio del suo primo assistente, vale a dire Shikamaru, il quale aveva accettato quel nuovo arrivo con la stessa gioia con cui si sarebbe fatto martellare i genitali da Temari.

“Senpai?” non notando alcuna risposta da parte del proprio superiore, Mei si fece avanti cautamente, un'espressione guardinga sul viso. Sembrava stesse inoltrandosi nel covo di una belva feroce. “Senpai... ha chiamato sua moglie. Dice che dovrebbe andare a comprarle delle fragole e ha aggiunto che è... urgente.”

Con un rumore sinistro, il bicchiere di plastica del Nara si ruppe, rovesciando caffè bollente sul tappeto, il tutto sotto lo sguardo allibito di Naruto e Mei.

“Shika io...”

“Naruto, se le tue prossime parole non saranno 'ci si vede' diventeranno 'O dei le palle! Mi ha tirato un calcio nelle palle!'.”

“Ci si vede.” con una falcata decisa, il biondo si eclissò nel proprio ufficio, lasciando l'amico ad ustionarsi la mano destra in compagnia della giovane kunoichi, la quale tremava a tal punto che sembrava potesse scappare in lacrime alla minima parola.

 

 

Con uno scatto quasi inumano, Hinata schivò il colpo diretto contro di lei, gli occhi contratti nell'utilizzo del Byakugan fissi sulla figura del padre. Digrignò i denti, indirizzando il palmo destro contro il genitore, il quale però non si scompose minimamente, effettuando una facile parata, subito pronto a contrattaccare, costringendo la figlia ad una complessa rotazione del busto per evitare i nuovi assalti, allontanandosi successivamente per riprendere fiato.

“Sei ancora troppo lenta.” la redarguì Hiashi con tono gelido, mettendosi in posizione di guardia. “Ora come ora mi basterebbe una mano per sconfiggerti. Di nuovo!”

Hinata fece un profondo respiro, digrignando i denti nel tentativo di gestire l'adrenalina nelle vene. Ripartì all'attacco, attuando una finta sulla sinistra ma puntando in realtà al viso del genitore. Hiashi era però troppo smaliziato per cadere in quel trucco, e si limitò a spostarsi con movimenti rapidi ed aggraziati alle spalle della figlia, afferrandole il braccio destro e torcendoglielo dietro la schiena. Prima ancora che potesse rendersi conto di cosa fosse capitato, Hinata si ritrovò a terra, il braccio destro stretto nella presa salda del padre, completamente alla sua mercé.

“Basta così.” osservò il capoclan Hyuga, lasciando libera la primogenita. “Facciamo una pausa, è evidente che ne hai bisogno.”

Delusa per la facilità con cui era stata messa al tappeto, non fece altro che annuire con un cenno brusco, il volto coperto dai capelli corvini.

Sono debole!

Il suo umore migliorò parzialmente quando sorseggiò una tazza di tè caldo, seduta sotto il portico della tenuta del padre, rabbrividendo nel percepire il freddo vento invernale a contatto con la pelle sudata. Al suo fianco, seduto sui talloni in maniera classica, Hiashi fissava gli alberi spogli innanzi a lui, le iridi chiare impenetrabili come sempre.

“Stai migliorando.” esordì improvvisamente. “In poche settimane hai ripreso buona parte delle tue abilità, ma il lavoro da fare è ancora molto. Le tue gambe hanno perso il loro smalto e scatto, devi recuperarlo il prima possibile.”

“Sì, padre.” rispose come un automa la donna, la mente impegnata a perdersi nel torbido rimestare dei propri pensieri.

Da quando l'allattamento di Boruto era terminato, Hinata aveva deciso di riprendere gli allenamenti. Ferma ormai da un anno, aveva preferito chiedere una mano al padre, sia per far passare più tempo al genitore con il nipote, sia per dimenticare i propri problemi negli sfiancanti allenamenti impostigli da quest'ultimo. Problemi che, nella maggior parte dei casi, riguardavano il proprio matrimonio. Checché ne dicessero i membri più anziani del suo clan, i quali malignamente sussurravano che fare la casalinga fosse l'unico mestiere a lei consono, Hinata era e restava una Hyuga, ed i suoi occhi spesso vedevano più lontano di quelli di tanti altri ninja assai più abili di lei.

Il suo cruccio principale riguardava il comportamento del marito. La kunoichi sapeva benissimo che Naruto stava cercando di farsi perdonare, di provare a porre una pezza per farle dimenticare il modo ignobile in cui l'aveva trattata nei due mesi successivi al suo ritorno. Da una parte era sicuramente felice di riavere al suo fianco l'uomo solare e sorridente di cui si era innamorata, una parte di lei però si ripeteva che non potevano bastare qualche sorriso e gesto gentile per cancellare tutto. L'Uzumaki si era comportato in modo irresponsabile, egoista ed immaturo con lei; perdonarlo le sarebbe piaciuto, ma temeva che questo avrebbe creato un pericoloso precedente. Se Naruto voleva continuare a vivere con lei e Boruto, doveva capire che simili atteggiamenti non dovevano neanche essere contemplati in futuro.

“Ho parlato con gli anziani del clan la settimana scorsa.” il cambio improvviso di argomento di Hiashi la fece perdere il filo dei pensieri. “A quanto pare, devo ufficializzare il mio erede, in modo da dare sicurezza per il futuro.”

Hinata abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa per tutto quello. Era da quando era piccola che mettevano in discussione la sua eredità, e la cosa le aveva lasciato ferite nel cuore che non si sarebbero mai rimarginate del tutto.

“Sono sicura che Hanabi sarà un'ottima guida per tutti noi.” mormorò con il tono più ascetico che riuscì ad esprimere.

“Hanabi ha preso i voti degli Anbu.” osservò con voce monocorde il capo degli Hyuga. “Non può ricoprire alcuna carica all'interno del clan, ormai.”

“Un Anbu può sempre ritirarli i propri voti.”

“Vero, ma lei non ha intenzione di farlo, ed io non intendo obbligarla.” Hiashi le lanciò un'occhiata obliqua. “Tua sorella è felice di essere ciò che è, senza contare che non è la mia primogenita.”

Non servivano quelle parole per farle comprendere dove volesse arrivare il padre. Del resto, erano anni che uscivano regolarmente quelle discussioni tra lei ed il genitore. La cosa che più la irritava non era il dover combattere, ancora una volta, contro i pregiudizi del proprio clan. Dopotutto, aveva sempre dovuto faticare per guadagnarsi il rispetto degli altri. Il motivo che la frenava dall'accettare tutto questo era l'ineluttabilità di quella scelta: non veniva scelta da suo padre perché era ritenuta la migliore a ricoprire quell'incarico, ma perché era l'unica disponibile. Con la morte di Neji, e l'ingresso tra gli Anbu di Hanabi, lei restava l'unico candidato, e questo la rendeva debole agli occhi degli anziani del clan.

“Sembra che non mi lasciate alcuna scelta.” mormorò con un sorriso amaro sulle labbra. Sottili rughe si disegnarono sulla fronte di Hiashi nell'udire quelle parole.

“Gli anziani sono ciechi.” dichiarò con voce secca. “Non riescono a vedere oltre le apparenze, a comprendere che ora agli Hyuga non serve un guerriero come guida, ma un politico.”

“Non sono ne l'uno ne l'altro.”

“Ma hai forza di volontà.” ora fu il turno di Hinata di corrugare la fronte. “Non credere che gli occhi di tuo padre siano diventati ciechi con la vecchiaia. So cosa è accaduto tra te e tuo marito, e non posso che approvare la tua condotta. È la dimostrazione che hai la forza di volontà necessaria per cambiare questo clan.”

Hinata non rispose, tornando a fissare il portico spazzato dal freddo vento invernale. Rimase sorpresa dall'assenza di emozioni dentro di sé in quegli istanti. Il pensiero che un giorno potesse toccarle guidare gli Hyuga l'aveva sempre riempita di un terrore immenso, quasi impossibile da gestire. Ora invece non sentiva nulla, solo una grande calma. Sapere che quel timore fosse diventato realtà l'aveva ridimensionato, facendoglielo accettare per quello che era: il suo destino.

Se dovrò guidare la mia gente... così sia.

Aveva sentito spesso Naruto parlare del destino come qualcosa che veniva forgiato dagli individui, che non era affatto immutabile e probabilmente anche lei credeva in quell'affermazione. Ma c'era qualcosa che la frenava dal considerare il destino qualcosa di totalmente plasmabile, e quella carica che aveva appena accettato implicitamente di portarsi appresso ne era la dimostrazione.

Non voglio che altre persone soffrano come ha sofferto Neji-niisan.

E fu con quella certezza che Hinata accettò quel fardello. Un peso forse ancora più gravoso e complesso di quello dell'Hokage: con lei gli Hyuga si sarebbero riformati, diventando qualcosa di diverso, oppure sarebbero caduti nell'anonimato, solo ombre del loro passato glorioso.

Farò in modo che la tua morte non sia stata vana, Niisan. È una promessa.

E quando faceva una promessa, lei la manteneva. Ad ogni costo.

 

 

Naruto entrò di scatto nell'ufficio di Shikamaru, la mente persa tra i meandri del milionesimo fascicolo della giornata, solo per trovarsi davanti una ciminiera umana molto incazzata.

“Ehi Shika, avrei bisogno di...”

“NO!” lo interruppe il Nara, una vena che pulsava malignamente sulla tempia. “Adesso no!”

L'Uzumaki lo squadrò, confuso da quella reazione spropositata.

“Ehi... tutto bene?”

“Benissimo.” replicò sarcasticamente lo shinobi delle ombre, masticando rabbiosamente la sigaretta stretta tra le labbra. “Così bene che potrei uccidermi dalla gioia!”

Con un sospiro, Naruto si sedette sulla sedia davanti alla scrivania dell'amico, fissandolo sbuffare nuvolette di fumo ad intervalli regolari, un sorriso amaro sul volto.

“Si tratta di Temari, non è vero?”

“Da cosa l'hai capito?” osservò l'altro, buttando di malagrazia un plico di documenti sopra una montagna di carta che pendeva minacciosa sulla sua sinistra. “Dal fatto che mi sta rendendo la vita un inferno?”

“E' all'ottavo mese ormai.” provò a difenderla il biondo. “Potrebbe partorire da un momento all'altro.”

Facendo un profondo respiro, Shikamaru si passò una mano sulla fronte, gettando con precisione millimetrica il mozzicone dentro un posacenere pieno fino a scoppiare.

“Non è una giustificazione accettabile.” borbottò infine. “Hinata non ti chiamava ogni cinque minuti con le richieste più assurde! Io qui dentro ci lavoro, non passo le giornate a divertirmi!” notando come la penna avesse esaurito l'inchiostro, il moro la scagliò contro il muro in preda al nervoso. “Mi auguro che quando finalmente avrà finito di crescere mio figlio a base di veleno la smetta con tutte queste sceneggiate!”

Nell'ufficio calò il silenzio. Shikamaru ingollò una grossa sorsata di scotch, distendendosi parzialmente sotto lo sguardo dell'amico.

“Dimmi la verità, com'era Hinata quando aspettava Boruto?” borbottò nuovamente, fissando con occhio spento la propria scrivania.

Naruto non rispose subito, perso nei ricordi di quando sua moglie sembrava ancora innamorata di lui.

“Non lo so.” rispose infine. “Ero sempre chiuso in ufficio... c'era con lei Tenten.” nel rimembrare quel periodo, il Jinchuuriki sentì una fitta di dispiacere: aveva fatto schifo come marito anche in quell'occasione.

“Forse il motivo per cui Temari ti chiama così spesso è perché è sola.” si appoggiò sullo schienale della sedia, fissando l'amico dritto negli occhi. “Ha solo te qui a Konoha, lo sai.”

Il Nara fece un sospiro, imitando l'amico ed appoggiando la schiena sulla morbida imbottitura della sua poltrona.

“Potresti hai ragione.” ammise, bevendo un nuovo goccio d'alcool. “Probabilmente stasera mi farò perdonare con la sua pizza preferita, e forse dopo passerò del tempo con lei, parlandone.” si passò le mani sul viso, sentendosi tremendamente stanco. “Anche se so che non ammetterà mai che ha dei problemi. Negherà tutto, come sempre.” fece uno sbuffo, riprendendo a bere. “Siamo proprio patetici.”

“In che senso?”

“Abbiamo ventiquattro anni, e le nostre relazioni vanno di merda. Se tocca a noi guidare questo paese, siamo proprio messi male.” sorrise amaramente, subito imitato dall'Uzumaki.

“Come vanno le cose con Hinata?” gli chiese successivamente. “Siete tornati a parlarvi?”

Naruto si fissò le mani, il sorriso che colò via come acqua dal suo volto. Il pensiero della moglie, e di come il rapporto con essa stesse lentamente morendo, gli diede la sensazione di avere la bocca piena di cenere.

“Non va.” dichiarò infine. “Abbiamo ripreso a parlarci, però... a volte ho come la sensazione che siamo diventati due estranei.” scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli. “Forse abbiamo fatto il passo più lungo della gamba. Insomma... sposarsi, vivere assieme, il bambino... è avvenuto tutto troppo in fretta.” si mordicchiò il labbro inferiore, gli occhi fissi sui piedi. “Credevo che il nostro fosse un rapporto forte, invece è crollato tutto alla prima difficoltà.”

Lo shinobi delle ombre non disse nulla, riprendendo a bere. Gli occhi acuti fissi sulla figura ingobbita e pensierosa dell'Uzumaki.

“La ami ancora?” gli domandò infine. Notò un'esitazione negli occhi cerulei dell'altro, a testimonianza di come non era solo Hinata ad essere delusa da quella situazione.

“Non lo so.” rispose a voce bassa il biondo. “Le voglio bene... ma non so più se quello che provo per lei è amore, oppure solo paura di ammettere che è tutto finito.”

“Hai avuto un figlio da lei.” gli ricordò l'altro. “Sono parole pesanti quelle che hai detto.”

Naruto sorrise con amarezza, gli occhi cerulei che brillavano di determinazione, mista a stanchezza.

“Amerò sempre Boruto.” dichiarò. “E anche se sarò sempre grato ad Hinata per tutto quello che ha fatto per me... io devo pensare a mio figlio.” non aggiunse altro, e Shikamaru non gli chiese di farlo. Dopotutto, era palese ciò che intendeva: aveva senso far crescere un bambino in mezzo a due adulti incapaci di convivere pacificamente? Naruto non desiderava separarsi, ma se fosse stato impossibile ricomporre la frattura con la Hyuga, per il bene del figlio, era anche disposto a tornare a vivere da solo, come aveva fatto per tanto tempo. L'estremo atto d'amore di un padre verso il proprio bambino.

“Dunque sei pronto anche a questo?” il Nara si stiracchiò, sbadigliando. Avrebbe pagato oro per un pisolino sotto un cielo primaverile.

“Sì.” rispose il biondo. “Voglio bene ad Hinata, ma se lei non mi vorrà più nella sua vita... mi farò da parte, per la sua serenità e per quella di Boruto.”

“La serenità di tuo figlio?” Shikamaru avvicinò il volto a quello dell'amico, fissandolo dritto negli occhi. “Questa è proprio una stronzata.”

“Cosa?”

“Naruto, se ti separassi da Hinata ed andassi a vivere da solo, pensi che così facendo farai la felicità di tuo figlio? Sparendo dalla sua vita?”

“Non sparirei!” si difese l'Uzumaki. “Lo andrei a trovare. Lo crescerei comunque, e tu lo sai!”

Lo shinobi delle ombre scosse la testa.

“Non puoi fare il genitore due pomeriggi a settimana.” il suo pensiero andò a Mirai, la sua figlioccia, costretta fin dalla nascita a vivere senza il padre. “Credimi... per quanti sforzi tu farai, alla fine diventerai una presenza come un'altra nella sua vita, e ne soffrirai da morire.”

“E che cosa dovrei fare?!” Naruto allargò le braccia, con fare sconsolato. “Vivere affianco ad una persona che non mi ama più? Questo lo renderebbe felice? Crescere con due genitori che non sono neanche capaci di parlarsi per cinque secondi di fila?”

“Parli come se il tuo rapporto con Hinata fosse già perso.”

“Non ho detto questo.”

“Ma lo stai pensando. E se cominci a pensarla in questo modo... allora è veramente finita.”

Non replicò, facendo un profondo respiro. Sapeva che l'amico aveva ragione, che se si arrendeva allora era veramente finita, ma subire tutti i giorni la freddezza di Hinata era frustrante. Nonostante la conoscesse praticamente da sempre, era rimasto sorpreso da quel modo di porsi della Hyuga e questo lo metteva in crisi, incapace di comprendere quel nuovo lato di sua moglie. Se all'inizio era stato plausibile quell'atteggiamento, dopo oltre un mese che la situazione non mutava si cominciava a chiedersi se, alla fine, l'unica soluzione fosse mettere la parola fine a tutto.

“Hai ragione, Shika.” dichiarò infine, abbandonandosi allo schienale della sedia. “Nonostante mi continui a ripetere che le cose miglioreranno, forse inconsciamente ho già mollato.” deglutì, gli occhi persi tra i meandri delle proprie sensazioni. “Voglio bene ad Hinata... ma non so più se la amo.”

Shikamaru si limitò a bere un goccio da fiaschetta, gli occhi che tornarono ai propri fascicoli e cartelle.

“La questione è molto semplice: vuoi tornarci a vivere assieme in modo pacifico?”

Era un quesito a cui non trovò subito risposta. Si umettò le labbra, le iridi azzurre che vagavano per la stanza, alla ricerca di un segno che lo aiutasse a prendere una decisione. Voleva veramente aggiustare le cose con Hinata? Ritornare ad essere la coppia felice che erano stati per molto tempo? La sua mente riportò a galla i centinaia di momenti vissuti assieme: le serate passate ad amoreggiare, i sorrisi di lei, il tocco morbido della sua mano sul suo corpo, il fisico morbido e sodo di lei, maturo, da vera donna che veniva schiacciato contro il suo. Un turbinio di dolcezza, mista a rimpianto lo investirono, facendogli capire cosa desiderasse veramente da quella relazione.

“Sì.” rispose infine, la voce ridotta ad un roco sussurro “Ma non so come fare.”

“Allora devi sforzarti di trovare una risposta.” il Nara si accese una sigaretta, fissando la cartella in mano all'amico. “Di che cosa hai bisogno?” gli domandò subito dopo, indicando con un cenno il plico.

Parzialmente sorpreso da quel cambio di argomento, Naruto si riscosse dai propri problemi, immergendosi con piacere nel proprio lavoro, felice di non pensare ad essi per qualche ora. Lo stesso Shikamaru pareva non desiderare altro. Buttarsi alle spalle i problemi di relazione, per qualche ora, sembrava veramente la cosa più bella del mondo.

Peccato che, alla fine, i problemi recuperavano sempre.

Con un sospiro, Shikamaru indugiò per alcuni istanti davanti alla porta di casa propria. Aveva un cartone fumante di pizza in mano, tre bottiglie di birra nell'altra, e una sgradevole sensazione nello stomaco, come ogni volta che si sentiva in colpa nei confronti di Temari.

Stupida Seccatura.

Gettando via il mozzicone di sigaretta, l'uomo entrò in casa, dirigendosi verso il salotto. La trovò sdraiata sul divano, intenta a sgranocchiare patatine, gli occhi fissi su un libro. Era incredibile quanto leggesse quell'incarnazione del male, considerando che alla fine trovava in ognuno di loro qualche difetto orrendo.

“Cosa ci fai con la mia pizza preferita in mano?” gli domandò subito la kunoichi, senza alzare gli occhi dalla carta stampata. Le voglie causate dalla gravidanza le avevano fornito un olfatto simile a quello dei cani da tartufo.

“E' per te.” con un sospiro, lo shinobi delle ombre si sedette accanto alla sua donna, porgendole il cartone caldo. “Ritengo di essere stato scortese oggi al telefono, specie quando ti ho definito 'orrida balena in calore'.”

“Non mi dire!” il sarcasmo nella voce di lei era così mellifluo da risultare tremendamente irritante.

“Comunque, qui c'è la pizza, e magari... potremmo... stare un po' assieme stasera, ti va?”

Con uno scatto secco, la donna chiuse il libro, fissando dritto negli occhi il Nara, un'espressione dura incisa nei tratti del viso.

“Come mai tutta questa premura? Avevi paura di non trovare qualcuno che ti asciugasse le lacrime?”

“Beh... so che mi pentirò molto amaramente di quello che sto per dirti, ma...” fece un profondo respiro. Diavolo, era più dura di quanto pensasse smettere per un istante di impersonare il misogino bastardo, una maschera che detestava togliersi dalla faccia. “Non voglio lasciarti sola... non ora che sta per nascere nostro figlio.”

Temari non rispose subito, proseguendo a fissarlo con fare imperscrutabile. Poi, quando ormai Shikamaru era certo che gli avrebbe riso in faccia, la kunoichi aprì il cartone, prendendosi una fetta ed iniziando a mangiarla.

“Lo considerò un sì.” borbottò il moro, stappandosi una bottiglia di birra ed iniziando a sorseggiarla.

“L'unico motivo per cui non ti uccido, Crybaby, è perché con questa pancia sarebbe difficoltoso nascondere il tuo corpo da pulcino bagnato.” bofonchiò la donna, la bocca piena di pizza.

“Quanta eleganza.” osservò tagliente l'uomo. “Sembri proprio una principessa.”

“E tu uno senza palle.” replicò lei pigramente, afferrando una seconda fetta. “Sai, Crybaby? Ho appena cambiato idea. Non ti ucciderò per avermi messa incinta, costretta a nove mesi di inferno totale ed avere distrutto definitivamente la mia linea.” un ghigno si delineò sulle labbra sporche di mozzarella fusa. “Ma se in futuro vorrai di nuovo fare sesso con me, dovrai metterti due preservativi come minimo, oppure il tuo moscio pisello andrà a fare compagnia ai tuoi testicoli nella mia sala dei trofei.”

“Dei, donna! Questa sarebbe una minaccia?” borbottò lui, squadrandola con apparente disgusto. “Con il culo gigante che ti ritrovi non riusciresti a farmelo rizzare neanche con un elettroshock.”

“Beh, se la cosa ti disturba, possiamo scambiarci i ruoli. Almeno sentirei qualcosa di diverso da un girino annaspante che tenta pateticamente di donarmi piacere.”

“Non mi sembrava che il mio girino ti facesse così schifo questa mattina, quando mi hai implorata di farlo prima che andassi a lavoro.” un ghigno nacque sul viso di Shikamaru. Dopotutto, era quasi piacevole passare il tempo a stuzzicarsi in quella maniera. Sarebbe stato molto più preoccupante se Temari non l'avesse degnato neanche di uno sguardo: era il suo modo di dirgli che teneva a lui.

“Ti ricordi il nostro primo appuntamento?” gli chiese improvvisamente, trafitto dai ricordi di quando avevano appena diciannove anni.

“Come potrei dimenticarmene?” replicò con un sospiro teatrale la donna. “Ero a Konoha da sei mesi, e ormai avevo perso le speranze che avresti trovato le palle per chiedermelo. Ti riducesti all'ultima sera che rimasi al Villaggio per farlo.” gli lanciò un'occhiata divertita, un sorriso sul volto sporco di mozzarella e pomodoro. “Chissà perché non mi sorprese più di tanto.”

“Beh...” il Nara si grattò la nuca, imbarazzato. Non si aspettava una simile memoria da parte della sua donna. “Diciamo che non avevo molta voglia di assaggiare il tuo ventaglio. Correvano certe voci sui tuoi spasimanti...”

“Erano tutti idioti senza spina dorsale.”

“Guerrafondaia.” borbottò il moro, sorseggiando dalla bottiglia. “Non hai un briciolo di cuore.”

“Cafone!” con un gesto velocissimo, quasi inumano, la bionda kunoichi tirò un pugno in faccia al compagno, spedendolo per terra. “Se ti dico che non mi piacevano, non mi piacevano!”

Shikamaru si morse la lingua, trattenendosi dal riempire d'insulti la sua donna. Tuttavia, il livido che gli aveva lasciato pulsava davvero tanto. Alla fine, quando stava per esplodere, lei lo sorprese afferrandogli la mano e trascinandolo al suo fianco.

“Cosa...”

“Shhh...” con un gesto delicato, troppo delicato per essere veramente di Temari, lo baciò dolcemente, stringendogli la mano.

“Alla fine la guerrafondaia te la sei presa però, o sbaglio?” domandò una volta staccatasi, il solito sorrisetto sornione sulle labbra.

Shikamaru la guardò confuso, incapace di comprendere come ragionasse quella donna diabolica.

Donne...

“E comunque fu un appuntamento orrendo!” esclamò lei bruscamente, allontanandolo con uno spintone. “Mi portasti in un posto mediocre, ed i tuoi amichetti ci spiarono dalla finestra per tutta la serata!”

“Cosa credevi? Che fossi milionario?” replicò il moro, sempre più perplesso da quei continui cambi di umore.

“Non si porta la sorella maggiore del Kazekage in un postaccio simile!”

“Da quando ti importa della tua parentela?!”

“Stai dicendo che non voglio bene ai miei fratelli?! È questo che vuoi dire?!”

“No... io... mi sono spiegato male...” l'uomo provò ad evitare il confronto diretto ma fu tutto inutile. Dopo averlo ricoperto di insulti acidi e tremendi, Temari finì la pizza in silenzio, fissandolo con sguardo omicida.

Che seccatura che sono le donne! Con un sospiro, Shikamaru prese la mano di lei, stringendola con affetto, scoprendo con piacere di essere ricambiato.

Seccatura malefica...

Non avrebbe mai capito le donne, ma forse aveva finalmente compreso come riappacificarsi con Temari: del cibo e un po' di dolcezza.

“Piantala di stritolarmi la mano! E vedi di starmi lontano che puzzi di sigaretta da fare schifo!”

Anche se era meglio non esagerare.

 

 

Due giorni dopo

 

 

“Posso picchiarlo?”

“No.”

“Ok... posso picchiarlo?”

“Cielo!” Hinata sollevò gli occhi al cielo, spazientita di doversi ripetere per la milionesima volta. “Stiamo solo avendo una pausa di riflessione, Kiba-kun! Non voglio che tu e Naruto-kun vi mettiate le mani addosso per... per...” non sapeva neanche lei come definirla. Una crisi? Un addio lento ed agonizzante? Una pausa di riflessione, come aveva appena detto all'amico? Scosse la testa, passandosi le dita tra i capelli, sovrappensiero. Forse anche lei era confusa su cosa era diventato il suo rapporto con Naruto.

Il sospiro teatrale di Kiba Inuzuka la fece riemergere dai propri pensieri. L'amico era seduto scompostamente su una sedia di un ristorante, lo sguardo pensieroso, come se fosse impegnato a risolvere un problema tremendamente complesso. Al suo fianco, infagottato ai limiti dell'umano, Shino Aburame fissava con sguardo inquietante la Hyuga, quasi stesse valutando se fosse degna di ricevere i suoi consigli oppure no.

“Secondo me una bella rissa è la soluzione migliore!” berciò con fare pomposo Kiba, sollevando fieramente il naso verso l'alto. “Vedrai Hinata: lascia a me ed Akamaru il tuo bel maritino un paio di ore e poi vedi come torna buono buono all'ovile!” il ragazzo cercò l'approvazione del suo compagno di vita, ma Akamaru era troppo indaffarato a sgranocchiare ossa per dargli ascolto. Risolvere i problemi sentimentali degli umani non rientrava tra i compiti di un cane-ninja affamato.

“Kiba-kun, potremmo non parlare del mio matrimonio?” mormorò stancamente la Hyuga. Dopotutto, l'idea iniziale di quell'uscita era di riuscire a farla distrarre dai suoi problemi, che ora contavano anche il dover succedere un giorno a suo padre, evento che lei sperava arrivasse il più tardi possibile. Non era stato facile lasciare alle cure di Naruto il figlio, specie considerando che nei due giorni che erano trascorsi da quando aveva parlato con Hiashi le cose tra di loro non si erano minimamente modificate, ma qualche ora lontana dal marito non poteva che farle bene.

“Ah, sarebbe meraviglioso!” proseguì l'Inuzuka, sognando ad occhi aperti. “Sono anni che aspetto la rivincita con quel Baka!”

“Considerando i vostri attuali livelli di forza, non credo sia una scelta saggia.” mormorò con voce funerea Shino, gli occhi coperti dagli occhiali scuri fissi sul proprio piatto.

“Devi piantarla di essere così poco fiducioso nelle mie capacità, Shino!”

“Scusami.”

“Le scuse non bastano, uomo insetto!”

“Hai qualcosa contro i miei insetti?” l'Aburame sollevò l'indice destro, un sinistro ronzio che si alzò sopra il tavolo in segno di minaccia.

“Tienili lontani da noi!” berciò Kiba, indietreggiando di colpo con la sedia. “L'ultima volta ho dovuto usare l'insetticida su Akamaru per liberarlo di tutti i tuoi amichetti!”

“Usare un insetticida... che cosa orribile da fare, Kiba.” mormorò sovrappensiero Shino, il volto una maschera impassibile. Era sempre stato difficile per la kunoichi comprendere le emozioni dell'amico. Gli occhi perennemente nascosti, i tratti sempre seri, il cappuccio tirato a coprirgli il volto. Ogni cosa di Shino lo faceva sembrare impenetrabile, qualcosa di impossibile da capire, chiuso nella mente e nello spirito.

Eppure, Hinata poteva comprendere molto da come parlava, si muoveva, il tono che usava per rispondere alle onnipresenti battute di Kiba. Riusciva a scrutare più in là di chiunque, ma non era un dono derivato dal Byakugan; solo il forte affetto che la legava a quel ragazzo silenzioso ed orgoglioso.

“Cosa c'è che ti turba, Shino-kun?” chiese gentilmente, provando a superare la barriera scura che l'Aburame amava mettere tra il mondo ed i suoi occhi. Quest'ultimo non rispose subito, bevendo un goccio d'acqua con esasperata lentezza, quasi stesse valutando se l'amica meritasse una risposta sincera o meno.

“Ho parlato con Iruka-Sensei due giorni fa.” mormorò infine, ignorando bellamente Kiba, impegnato a flirtare con la cameriera. “Per via di un fatto avvenuto nelle ultime settimane.”

“Di che cosa si tratta?”

Shino non rispose, il volto granitico che tentava di nascondere ciò che lo attanagliava da tanto, troppo tempo, una domanda a cui non era mai riuscito a trovare una risposta.

Qual è il mio sogno?

Era una domanda che si era posto più volte in quegli ultimi mesi. Dopo la missione tragica in cui la Hyuga era finita in coma, il Team Otto era stato di fatto sciolto; la gravidanza della ragazza l'aveva esonerata dalle missioni, in aggiunta ad un matrimonio che l'aveva legata in maniera indissolubile a Naruto. Shino si era improvvisamente trovato privo di un appoggio fondamentale, un sostegno che aveva scandito per oltre dieci anni la sua quotidianità. Senza la presenza silenziosa e dolce di Hinata, la sua intera esistenza gli era parsa grigia, vuota, priva di uno scopo. Erano rimasti solo lui, Kiba ed Akamaru. Tuttavia, per quanto casinista, il suo migliore amico sembrava avere le idee ben chiare per il futuro, o almeno era ciò che aveva capito quando lo sentiva berciare di volere diventare il nuovo Hokage, ma lui? Cosa voleva essere? Quale strada avrebbe imboccato, ora che tutti i suoi amici più cari avevano trovato la propria?

Forse era questo che l'aveva spinto a cercare supporto nel suo passato. Non aveva un ricordo eccelso dell'Accademia, la sua esperienza lì dentro era stata simile a quella di tanti altri ragazzini, ma c'era la possibilità di trovare qualche indizio, ricordi di un passato che forse aveva abbandonato troppo in fretta.

Ed era stato là, a pochi passi dall'Accademia, lungo l'argine del fiume, che era iniziata ogni cosa.

 

 

Shino! Quanto tempo!”

Sussultò, riportato bruscamente alla realtà da quella voce calda che sapeva d'infanzia. Si voltò, osservando Iruka avvicinarsi con al seguito una ventina di bambini.

Ragazzi, vi presento Shino Aburame, un ninja di grande talento.” lo presentò a questi ultimi Iruka, senza dare tempo a Shino di emettere una sillaba. “E' stato mio allievo circa... quanti anni saranno passati, Shino? Dieci?”

Dodici, Iruka-Sensei.” mormorò con voce monocorde il manipolatore di insetti.

Dodici?!” Iruka si grattò la testa, sentendosi improvvisamente vecchio. “Beh... è proprio vero che il tempo vola!” si riscosse rapidamente, fissando il suo vecchio allievo con affetto. “Comunque, cosa ti porta da queste parti?”

Nulla di particolare.” rispose gentilmente Shino, fissando da dietro gli occhiali scuri i volti dei bambini. Sembravano intimiditi dalla sua figura infagottata, il volto impassibile che non faceva trasparire nulla di ciò che stava provando. “Cercavo di riflettere.”

Davvero?” il Sensei indietreggiò di un passo, un'espressione mortificata sul viso. “Scusami allora! Dobbiamo averti disturbato!”

La prego, non deve scusarsi.” obbiettò subito il Chuunin. “In fondo, questo è orario di scuola, giusto?”

Beh...” Iruka evitò lo sguardo del suo ex alunno, sentendosi in colpa. “Era una giornata così bella che abbiamo pensato fosse un peccato sprecarla al chiuso, specie ora che sta per arrivare l'inverno.”

Non mi sembra una cattiva idea.” comprendendo di aver messo in qualche modo a disagio il suo vecchio insegnante, Shino fece per congedarsi, quando una manina soffice e calda gli afferrò una manica del giubbotto. Sorpreso, lo shinobi abbassò lo sguardo, trovandosi davanti una bambina di circa otto anni che lo fissava con curiosità.

Lei è davvero un ninja, signore?” chiese con voce educata. Era graziosa, con lunghi capelli neri che incorniciavano un viso paffuto nel quale si poteva leggere curiosità mista a timore. A Shino ricordava molto Hinata da bambina.

Sì.” fu la sua risposta laconica. Alzò un dito, permettendo a due insetti di alzarsi in volo. “Sono un manipolatore di insetti.”

A quell'affermazione, i ragazzi si divisero in due gruppi: chi rimase disgustato e chi invece affascinato. Questi ultimi attorniarono lo shinobi, bombardandolo di domande sulla sua arte, lasciandolo confuso e disorientato. Tempo un minuto, lo stupore aveva lasciato lo spazio ad una sensazione nuova, diversa, sconosciuta. Non sapeva dargli un nome, ma era incredibilmente calda e... bella.

Se proprio volete sapere cosa sanno fare i miei amici.” senza cambiare espressione, l'Aburame evocò i propri insetti, donando loro diverse forme: un cavallo, un uomo, un kunai gigante, un cane saltellante. I bambini rimasero affascinati da quello spettacolo, bombardandolo di una richiesta dietro l'altra, alla quale il Chuunin si piegò di buon grado, anche se mantenne il proprio atteggiamento composto.

Ragazzi...” dopo circa dieci minuti Iruka, sorpreso e divertito allo stesso tempo da quello spettacolo, richiamò all'ordine i propri studenti. “E' ora di rientrare. Shino non è qui per farvi da intrattenitore!”

Un coro di proteste si sollevò nell'udire ciò, ma l'insegnante non ammise repliche.

Uffa!” borbottò un bambino magro e dai capelli biondi. “Ora mi tocca tornare in quella noiosissima Accademia!”

Perché pensi che l'Accademia sia un posto noioso?” gli chiese l'Aburame, sinceramente perplesso.

Non impariamo nulla di figo! Lei invece sì che lo è!” il biondino lo fissò con occhi sognanti. “Quanto mi piacerebbe diventare un manipolatore di insetti come lei! Sarebbe un sogno!”

Allora concentrati.” rispose subito Shino, quasi sorprendendosi lui stesso di quelle parole. “Se hai un sogno nella vita, l'importante è dare sempre il massimo, tenendo bene a mente il proprio obiettivo!”

Si zittì di colpo, stupefatto da ciò che aveva appena compiuto. Lui che dava lezioni ad un bambino? Che provava piacere nell'essere al centro delle attenzioni di quei monelli? Doveva essere completamente impazzito.

Belle parole, Shino!” esclamò Iruka, salutandolo con una pacca sulla spalla. “Sai, dovresti provare a fare l'insegnate. Hai talento.”

Io... cosa?” il manipolatore di insetti era così sorpreso da avere perso la capacità di parlare.

Dico davvero!” il suo vecchio Sensei lo guardò con un'occhiata sicura. “Sai parlare ai ragazzi, e questo non è cosa da tutti.”

Se ne andò con la propria scolaresca, lasciandolo solo, in preda a sensazioni nuove e sconosciute, con le quali non aveva assolutamente mai avuto a che fare prima, rendendolo incerto ed insicuro su come comportarsi.

Io... un insegnante?”

 

 

Diventare un Sensei...

Erano settimane che ci pensava, ripetendosi nella mente quella frase come un mantra. Davvero aveva talento per diventare un maestro? Era possibile? Non lo sapeva. Non era mai riuscito a capire cosa volesse fare della propria vita. Fino a quel momento aveva sempre avuto tutto ciò che desiderava: i suoi amici. La dolcezza di Hinata, le fanfaronate di Kiba, la gioia spensierata di Akamaru, la gentilezza di Kurenai-Sensei, l'irruenza infantile di Mirai. Era quello il suo mondo, tutto ciò di cui aveva sempre avuto il bisogno. Ma ora si rendeva contro che quel delicato equilibrio era destinato a spezzarsi per sempre, lasciandolo solo, alla ricerca di uno nuovo che potesse dare un senso alla sua vita.

“Shino-kun...” la voce soave della Hyuga lo riscosse dal torbido rimestare dei suoi pensieri. “Va tutto bene?” Hinata, così dolce ed apprensiva, capace di capirlo senza costringerlo a restare vulnerabile, scoperto. Un dono dell'amica che apprezzava più di qualsiasi arte oculare esistente al mondo.

“Ho chiesto di poter sostenere l'esame per diventare insegnante di ruolo all'Accademia.”

La frase cadde sul tavolo con l'effetto di una bomba. Kiba smise subito di giocare con Akamaru, iniziando a fissare l'amico con occhi grandi come piattini da tè. Anche Hinata rimase sorpresa da quell'affermazione, ma si trattenne dall'esprimere un giudizio affrettato sulla cosa: era sicura che Shino avesse validi motivi per decidere di sostenere quell'esame.

“Come mai questa decisione?” gli domandò. Rimase sinceramente sorpresa nel vedere l'amico agitarsi sulla sedia. Era raro vedere Shino a disagio.

“Io...” scosse la testa, quasi non credesse neanche lui a ciò che stava per dire. “Tutti voi avete trovato la vostra strada.” dichiarò infine. “Mi piacerebbe anche a me trovarla.” c'erano molte cose sottintese in quelle parole, ma i suoi compagni non gli chiesero altro, capendo tutto: la paura di non riuscire a liberarsi del passato, il dolore per lo scioglimento del loro Team, il timore per un futuro nebuloso ed una disperata richiesta d'aiuto.

“Stai tranquillo.” la kunoichi afferrò la mano dell'amico, sorridendogli gentilmente. “La troverai sicuramente.”

“E non dimenticare che noi siamo uno squadra!” aggiunse Kiba con fare trionfante. “E se ti serve una mano per questo esame da due soldi vieni pure dal sottoscritto! Vedrai che sarà una passeggiata passarlo con l'aiuto di un futuro Hokage!”

“Ritenete quindi che dovrei sostenere quell'esame?”

“Io credo di sì.” rispose Hinata, sorridendogli con sincera felicità per l'amico. “Sarebbe una bella cosa diventare un Sensei, non trovi?”

“Così finalmente avrai qualcun altro che potrai traumatizzare con i tuoi amichetti.” ridacchiò l'Inuzuka, trasformando la propria risata in un urlo di terrore quando venne sommerso da una fiumana di insetti, il tutto sotto lo sguardo rassegnato di Akamaru.

Equilibrio. Shino aveva sempre pensato a quella parola per definire la loro squadra. Una concatenazione di rapporti delicata ed estremamente fragile, ma allo stesso tempo incredibilmente resiliente. Si diede mentalmente dello sciocco, mentre osservava Kiba sputare insetti dalla bocca con Hinata che tentava di aiutarlo porgendogli un bicchiere d'acqua. Anche se il loro rapporto sarebbe mutato, diventando qualcosa di diverso a ciò che era stato fino a quel momento, non significava che sarebbe rimasto da solo. Kiba ed Akamaru sarebbero sempre stati al suo fianco a fare casino, ridendo e schiamazzando incessantemente, Hinata non avrebbe smesso di aiutarlo e sorreggerlo, come faceva da quando avevano dodici anni e Kurenai-Sensei avrebbe proseguito ad aiutarlo, osservandolo afferrare la propria vita e plasmarla al suo volere da distante, pronta ad intervenire in caso di una caduta.

Chiuse gli occhi, afferrando e godendosi quell'istante con lentezza, come avrebbe fatto un bambino con una caramella.

Equilibrio.

Per la prima volta in vita sua, comprese come doveva sentirsi Naruto, così come tutti coloro che erano animati da un sogno ardente come una stella.

Ed era una bella sensazione.

Shino Sensei.

Suonava decisamente bene.

 

 

Quella sera Naruto si divertì un mondo.

Dopo essere riuscito a convincere Boruto a non spalmarsi addosso la propria cena, lo shinobi fece il bagnetto al figlio, ridendo come non faceva da tempo nell'osservarlo giocare con le bolle di sapone. Una volta asciugato e preparato per la notte, il piccolo fu costretto da un fin troppo esuberante padre a ballare sulle sue ginocchia, sulle note della canzone preferita di quest'ultimo. Quando infine scoccarono le nove, Naruto mise a letto Boruto con tutto l'affetto possibile, passando la successiva mezzora a raccontargli una storia, infischiandosene che fosse troppo piccolo per comprenderla. Alla fine, gli fu difficile trattenere una lacrima, come ogni volta che osservava suo figlio dormire pacifico e beato.

“Buonanotte, piccolo mio.” sussurrò sfiorandogli la guancia con l'indice sano. Gli era sempre difficile credere che quel corpicino caldo fosse per metà sangue del suo sangue, che fosse veramente suo figlio.

E' bellissimo.

Non sarebbe mai stato abbastanza grato ad Hinata per quel dono. Le sarebbe stato riconoscente per tutta la vita, anche se la loro relazione fosse finita in quel preciso istante.

Erano le dieci quando la Hyuga rientrò in una casa buia e silenziosa. L'unica luce proveniva dallo studio del marito, il quale pur di evitare di dormire, e sognare il volto insanguinato di Himawari, preferiva portarsi avanti con il lavoro durante le ore notturne.

Hinata si affacciò sulla soglia della stanza, osservando la schiena del suo uomo ricurva sulla scrivania. Gli unici rumori che udiva erano il raschiare della penna sul foglio e il gorgogliare delle tubature.

“Ciao.” quella parola le uscì di bocca quasi di getto, senza pensarci. Lo vide voltarsi lentamente, gli occhi cerulei che la fissavano con dolcezza.

“Ciao.” la voce calda dello shinobi le scivolò addosso come una carezza, causandole un brivido lungo il filo della schiena. Fu con fatica che mantenne la propria espressione rigida ed inespressiva. Il corpo le urlava di mandare a puttane ogni cosa e di saltargli addosso, ma la ragione le intimava che non doveva cedere o in futuro se ne sarebbe pentita amaramente.

“Non dormi?” era stanca e non desiderava altro che sdraiarsi sul proprio letto, ma evidentemente il suo cervello non era d'accordo.

Vide l'Uzumaki stropicciarsi il viso con la protesi, emettendo un profondo respiro. Sembrava veramente stanco.

“Ultimamente non dormo molto bene.” rispose con un sorriso. “Preferisco portarmi avanti con il lavoro ancora un po'.”

“Ok.” scese un silenzio denso di imbarazzo sopra di loro. Veloce come era giunto, il desiderio carnale scomparve dal corpo della Hyuga, regalandole solo l'impulso di concludere in fretta quell'abbozzo di conversazione.

“Come è andata la cena con gli altri?” la voce di Naruto era dolce e calda, ma Hinata stavolta non provò nulla nell'udirla, schiacciando dentro di sé i propri sentimenti in merito.

“Bene.” rispose con tono gentile. “Con Boruto-chan invece?”

“Quel monello sta dormendo come un ghiro da oltre un'ora.” gli occhi del Jinchuuriki si illuminarono nel parlare del figlio, permettendogli di essere più loquace ed esuberante.

“Hina-chan, io...”

“Naruto.” la donna lo interruppe subito. Aveva capito dove voleva arrivare il marito, ma non se la sentiva di affrontare l'argomento in quel momento. “Sono molto stanca, e desidererei andare a dormire.” vide la delusione affiorare nei tratti dell'uomo davanti a sé. Un uomo che non sapeva più se amava.

“D'accordo, lo capisco.” rispose subito con un sorriso triste lo shinobi. “Ti raggiungo più tardi allora.”

Per un istante Hinata percepì una fitta di rimpianto. Nonostante tutto, le dispiaceva rimanere così distante nei confronti dell'uomo con cui aveva scelto di legarsi. Fu quasi tentata di chiedergli scusa e parlargli, ma il suo corpo agì nuovamente d'istinto, allontanandola da quella stanza, scrigno di rimpianti e delusioni.

“Buonanotte.” la voce della Hyuga risuonò delicata, ma priva dell'affetto che il biondo era abituato ad ascoltare. Percorse i corridoi bui della casa con lentezza, chiedendosi se quell'insistere fosse giusto, se tentare di salvare quel rapporto fosse un gesto intelligente.

A volte le storie non hanno un lieto fine.

 

 

Tre giorni dopo

 

 

Naruto percorse di fretta il corridoio, ansimando per la lunga corsa. Maledicendosi per la sua scarsa forma fisica, il ninja fece una brusca svolta a sinistra, andando a scontrarsi direttamente con Choji, cadendo a terra e vomitando un fiume di imprecazioni.

“Cazzo!” borbottò il Jinchuuriki. “Potresti stare un attimo più attento, Choji!”

“Sei tu che mi sei piombato addosso!” si difese l'Akimichi, aiutando l'amico a rialzarsi. “E comunque sei in ritardo. Le doglie sono iniziate da ore.”

“Lo so, ma Kakashi oggi mi ha sommerso di lavoro.” spiegò massaggiandosi la parte lesa il biondo. “Dov'è Shika?”

Il corpulento ninja si limitò ad un cenno. Accasciato su una sedia d'ospedale, lo sguardo perso nel vuoto, Shikamaru Nara attendeva che la compagna partorisse il suo primogenito, non sapendo ancora se essere felice o incazzato per questo.

Con un sospiro, Naruto fece per avvicinarsi all'amico, ma in quel preciso istante un urlo, simile a quello di una bestia assetata di sangue, eruppe da una stanza poco distante, facendo agghiacciare il sangue ai presenti.

“DOVE CAZZO SI TROVA IL PEZZO DI MERDA CHE MI HA MESSO INCINTA?!”

L'Uzumaki emise un flebile fischio, scambiando un'occhiata d'intesa con lo shinobi delle ombre.

“Sembra che stia bene.”

Senza dire una parola, Shikamaru mostrò la parte sinistra del viso all'amico, dove capeggiava un rossore pulsante.

“E' stato il suo regalino prima che le porte si chiudessero.” borbottò sarcasticamente. “Non invidio per niente Sakura.”

“Sakura-chan è qui?”

“Si sta occupando del parto.” rispose mollemente il moro. Aprì la propria fiaschetta, ingollandone un sorso, nel tentativo di fare passare il tempo.

“Capisco.” osservò il biondo, sedendosi affianco al Nara. “Ma per quanto possa sembrare manesca e ricolma d'odio, direi che Temari necessiti della tua compagnia.”

“Naruto, tu non ci vivi ogni santo giorno affianco.” ribatté Shikamaru. “Sei abituato ad Hinata, che è come vivere con un gigantesco cioccolatino al latte! Temari è un concentrato di odio puro che per qualche ragione ancora sconosciuta ho deciso di prendermi sotto casa, prima di scoprire che è solita avvolgersi nelle sue ali demoniache quando è ora di andare a dormire.”

“E' inutile che fai il burbero scontroso.” replicò il Jinchuuriki. “So bene che sei preoccupato, e soprattutto so che lei desidera averti al suo fianco in questo momento.”

Il moro non disse nulla, bevendo un nuovo sorso d'alcool. Un nuovo grido gli giunse alle orecchie, lasciandolo sorpreso da ciò che sentì dentro il petto: una fitta di paura e tensione gli si formò all'altezza della milza, creandogli il desiderio di sfondare quella porta e stringerle la mano.

Fece un profondo respiro, provando ad alzarsi, ma proprio in quell'istante un rumore di passi nel corridoio lo distrasse, gelandogli il sangue nelle vene: conosceva bene quelle falcate, e non promettevano nulla di buono.

O dei... non proprio loro...

Cinque secondi dopo, Yoshino Nara fece la sua comparsa, il volto dai tratti delicati contratto in un'espressione capace di mettere a disagio anche Kurama. I suoi occhi scuri si piantarono prima sulla figura del figlio, seduta tra Choji e Naruto, per poi spostarsi verso la porta da cui proveniva la voce di Temari. Dietro di lei, camminando con aria annoiata, sopraggiunse Ino, sospingendo la carrozzina con dentro il piccolo Inojin.

“TU!” urlò Yoshino, i denti snudati in un ringhio inquietante. “RAZZA DI FIGLIO DEGENERATO!”

Si avvicinò a Shikamaru a passo di marcia, afferrandolo per il bavero e scrollandolo come fosse un pupazzo.

“Cosa pensi di fare qui fuori, si può sapere?! Corri subito dentro a tenerle compagnia, razza di ubriacone misogino!”

“Va bene! Va bene!” provò a difendersi il moro, liberandosi dagli artigli della genitrice. “Basta che smetti di dare di matto!”

“Allora piantala di comportarti in modo infantile!” ribatté la donna. “E comincia a fare l'uomo!”

Emettendo un profondo respiro, Shikamaru si avvicinò alla porta. Chiuse per un istante gli occhi, a disagio. Non si sarebbe mai abituato a quel genere di cose, o forse era solo troppo pigro per provarci.

Giuro che domani vado a prenotarmi sul serio una vasectomia...

Entrò. Una volta dentro, vide Temari che si stava sedendo dopo una breve camminata lungo la stanza, sorretta da Sakura. Era rossa in volto, i capelli biondi appiccicati alla fronte sudata, le gambe gonfie e prive di qualsiasi sinuosità. Eppure, nonostante avesse passato mesi a prenderla in giro, non riuscì a non trovarla bellissima. La donna di cui, nonostante tutto, si era innamorato.

“Per essere una Seccatura, ne fai di casino.” osservò, avvicinandosi al lettino, le mani in tasca. Lei alzò lo sguardo, gli occhi cerulei che brillavano come fuochi fatui, un sorriso amaro sulle labbra.

“Cosa c'è?” chiese, facendo un profondo respiro per contrastare il dolore. “Come vedi ora non posso farti da spalla per il pianto.”

Lo shinobi scosse la testa, prendendole una mano bollente tra le sue, sul volto la solita espressione annoiata di sempre.

“Sono qui per te.” si limitò a dire con lo stesso tono con cui avrebbe discusso del tempo.

“Non ti voglio.” sputò lei, la voce meno convinta di prima. “Non sono una donnetta che ha bisogno di un uomo per fare una cosetta da nulla come questa.”

“Non te lo sto chiedendo.” si mise al suo fianco, senza smettere di stringerle la mano. “E poi mi piace darti fastidio.”

La donna di Suna non disse nulla, limitandosi a ricambiare la stretta.

“Se la tua amica Ino prova ad entrare giuro che vi uccido entrambi.” borbottò infine, trattenendo l'ennesimo strillo di dolore in gola.

“Vai tranquilla!” dal corridoio emerse la voce della Yamanaka. “Non ci tengo a vederti più dello stretto necessario!”

Shikamaru sospirò, udendo Temari sputare una sequenza senza fine di insulti diretti contro di lui e l'amica. Si chiese chi diavolo glielo avesse fatto fare, per quale motivo si fosse circondato di persone così fastidiose e chiassose, quando tutto ciò che amava era la vita tranquilla.

Che seccatura...

Eppure, nelle due ore successive, Shikamaru non mollò mai quella mano sudata e tremante. Sia che ella dovesse resistere all'ennesima fitta, sia quando Sakura la costringeva a camminare in giro per la stanza, lui restava sempre al suo fianco, mano nella mano, ad infonderle tranquillità.

“Sai...” era tardo pomeriggio quando la kunoichi bionda aprì nuovamente la bocca per parlargli. “Potrà sembrare un discorso da femminuccia, ma tu... sei l'unico che immaginavo al mio fianco per questo istante.”

Il Nara chiuse gli occhi, sbuffando leggermente, un abbozzo di sorriso sul volto.

“Che Seccatura che sei...”

Naruto fissava i due amici dall'ingresso della stanza. Li vedeva uniti, nonostante non facessero altro che punzecchiarsi a vicenda, comprendendo che dietro la loro facciata composta da insulti e frasi acide, Shikamaru e Temari si amavano profondamente, anche se forse erano troppo orgogliosi per ammetterlo.

“Sono così carini assieme...” sospirò Choji al suo fianco, sorridendo sotto i baffi.

“Può essere.” da dietro lo stipite comparve l'occhio ceruleo di Ino, ansiosa di sbirciare Temari durante il parto. “Ah, lo sapevo! Io durante la gravidanza ero meno grassa!”

L'Uzumaki non disse nulla. Continuò a fissare gli amici, la mente però lontana da quella stanza d'ospedale. Ripensò a quando era nato Boruto, rivedendo con dolorosa nitidezza la gioia sul volto di Hinata, una felicità che sembrava ormai solo un lontano ricordo.

Hina-chan...

Forse fu vedere l'amore tra Shikamaru e Temari, l'osservare come l'amico fosse sempre pronto ad ingoiare l'orgoglio per la sua donna, ma improvvisamente capì. Comprese che non voleva rinunciare a sua moglie, a quella famiglia agognata per tanto tempo. Avrebbe fatto ogni cosa per riaverla al suo fianco, anche buttare via tutto ciò a cui teneva di più.

Indietreggiò lentamente, ignorando le occhiate perplesse degli altri, iniziando a correre lungo il corridoio. Gli dispiaceva per il Nara, ma sentiva di non poter più aspettare. Avrebbe agito come sempre: d'istinto, fregandosene altamente delle conseguenze.

E al diavolo tutto!

 

 

Corse. Corse con tutto il fiato che aveva nei polmoni, l'aria fredda che gli colpiva la gola come una coltellata. Aumentò il ritmo della propria falcata, zigzagando con rapidità inumana in mezzo alla gente, sfrecciando tra le vie di Konoha. Sapeva bene dove andare, lei andava in quel luogo tutti i giorni.

Il cielo scuro sopra di lui gli fece aumentare il ritmo, il cuore che pompava ossessivamente. Doveva sbrigarsi. Sapeva di non avere molto tempo a disposizione per raggiungerla, e non voleva sprecarne altro.

Ti prego... sentì le gambe bruciargli da impazzire, ma resistette, intravedendo in lontananza il cancello del cimitero. Fa che sia ancora là... ti scongiuro...

Entrò. La luce dei lampioni era scarsa, e le viuzze in mezzo alle lapidi praticamente deserte. Dovevano mancare pochi minuti alla chiusura. Chiese al suo fisico un ultimo sforzo, cercando di raggiungere la lapide di Neji, sperando con tutto il cuore che non fosse già andata via. Sentiva il bisogno impellente di parlarle subito, in quell'istante preciso, altrimenti era certo che sarebbe impazzito.

E' ancora qui. Deve essere ancora qui. Il sudore gli si gelò sul collo, causandogli un brivido involontario. Perse l'equilibrio, inciampando su una lapide e precipitando verso una di esse a rapidità allarmante.

“Porca...”

Il dolore fu atroce. Sbatté sulla fronte, rovesciandosi al suolo, stordito. Migliaia di puntini rossi invasero il suo raggio visivo, mentre sentiva un sordo pulsare sopra l'occhio sinistro. Rimase lì per un tempo che gli sembrò lunghissimo, nel tentativo di recuperare un minimo di lucidità mentale.

“Naruto-kun?” il volto di Hinata oscurò la sua visuale, i capelli neri che gli accarezzavano il volto. “Stai bene?”

Emettendo un gemito, lo shinobi si rialzò. Anche se provava un dolore atroce alla testa, le sue budella stavano festeggiando gioiosamente il fatto di averla trovata nonostante si fosse andato a schiantare contro una solida tomba di marmo.

“Direi di sì.” si accorse solo in quell'istante del nome inciso sulla lapide. Un sorriso nostalgico gli spuntò sul viso nel leggere quell'incisione: era dura quasi quanto il proprietario.

Solo tu potevi farmi così male, Neji.

“Che cosa ci fai qui?” la voce della kunoichi lo riscosse. La fissò dritta negli occhi, notando come fosse sinceramente preoccupata per lui, nonostante tutto quello che era accaduto nelle ultime settimane.

“Ti cercavo.” si mordicchiò il labbro inferiore, tentando di trovare le parole giuste. Ora che l'aveva trovata, non aveva la più pallida idea di cosa dire. “Volevo dirti una cosa.”

Fece un profondo respiro, radunando tutto il proprio coraggio, specchiandosi negli occhi di lei per trovarlo.

“Volevo scusarmi... per non aver creduto in te.”

Gli occhi della Hyuga si contrassero, le labbra schiuse in un'espressione di sorpresa. Sembrava incredula di ciò che aveva appena udito: dopo quasi due mesi, suo marito aveva finalmente compreso ciò che l'aveva spinta così lontano da lui.

“Sono stato un idiota.” proseguì Naruto. Era molto più facile andare avanti una volta superato lo scoglio principale. “Ho tentato di caricarmi tutto sulle spalle, ottenendo come risultato solo quello di far soffrire te e Boruto.” inclinò la testa, esponendo il collo e la nuca alla kunoichi. “Ti chiedo perdono. Ho fallito come padre e come marito.”

Nel cimitero cadde un silenzio teso, rotto solo dai rumori serali portati dal vento. Naruto proseguì a tenere la testa bassa, gli occhi piantati sul terreno sotto di sé. Percepiva il battito furioso del proprio cuore in un punto imprecisato del collo, mentre attendeva la risposta della mora.

La kunoichi portò il proprio sguardo verso la tomba del cugino, quasi cercasse conforto, o aiuto, nel ricordo di lui.

“Quando vidi la tua cicatrice, il mio primo impulso fu quello di abbracciarti.” mormorò infine, le mani strette in grembo nel tentativo di ripararle dal gelido vento serale. “Ho percepito sulla mia pelle l'orrore che ti ha investito, come se l'avessi vissuto in prima persona.” abbassò lo sguardo per un istante. Nonostante tutto, si sentiva in colpa per come aveva trattato il marito. “Ma per quanto lo desiderassi, non sono riuscita a perdonarti.” rialzò gli occhi, accorgendosi di come lo shinobi continuasse a tenere il volto puntato a terra. “Non riuscivo a sopportare l'idea che non avessi avuto fiducia in me, che non trovassi giusto confidarti con tua moglie.” allungò una mano, sfiorando la protesi del marito. “Non ho alcun motivo per pretendere le tue scuse. Volevo solo... che tu capissi.”

Naruto annuì, deglutendo a vuoto. Accettò quel fievole contatto con gioia, scoprendo che gli era mancato terribilmente.

“Ora ho capito.” osservò a voce bassa. “Ci ho messo un po'... proprio come un Baka.” lei abbozzò un sorriso, proseguendo a sfiorargli la mano artificiale, con dolcezza, assaporando lentamente il loro riavvicinamento.

“Hina-chan...” fu il Jinchuuriki a rompere nuovamente il silenzio. “So che non sono stato un buon marito, e che ti ho fatto soffrire.” afferrò con forza la mano di lei, decidendo di rialzare lo sguardo. “Ma ti prometto che saremo una vera famiglia.” sorrise con fare sicuro, gli occhi cerulei nuovamente limpidi dopo tanta, troppa oscurità. “Avrò sempre fiducia in te in futuro, e non perché sei mia moglie... ma perché sei la donna che amo.”

La Hyuga non rispose. Strinse la mano di lui con maggiore forza, pensando che, forse, c'era un equilibrio in tutto quello. L'amore aveva spinto Naruto a caricarsi tutto e li aveva costretti a ragionare sul loro rapporto, capace in un anno di portarli a sposarsi, convivere, avere un figlio. Se fossero riusciti ad uscire da quella crisi uniti, allora potevano veramente aspirare ad essere una vera coppia.

“Torniamo a casa?” il biondo sorrise nel sentire quella frase. Era ciò che aveva sperato di udire oltre ogni cosa.

“Sì.”

Forse fu la sua immaginazione, il sapere che, alla fine, la sua storia non era giunta al termine, ma Hinata fu certa che, quando imboccò l'uscita del cimitero, la lapide di Neji-niisan brillò come mai aveva fatto prima d'ora, sotto le stelle della gelida notte dicembrina.

“Dov'è Boruto-chan?” la voce di Naruto la distolse dal pensiero del cugino scomparso, riportandola alla realtà, dove lei camminava mano nella mano con il marito, pronti a riprovarci assieme ancora una volta.

“Con Tenten.” rispose, godendo di quel contatto allo stesso tempo intimo ma delicato. “A quanto pare, ha scoperto di avere una passione smodata per i bambini.”

L'Uzumaki sbuffò, scuotendo la testa. Probabilmente in quel momento avrebbe sorriso anche se fosse comparsa Anko a cospargerlo di letame.

Mentre camminavano verso la loro abitazione, Hinata pensò che, quasi certamente, ciò che aveva fatto perdere loro l'equilibrio era la considerazione che avevano gli altri di suo marito. Il fatto che tutti si aspettassero di vedere sempre Naruto vestire i panni dell'eroe l'aveva portato a non desiderare in alcun modo di essere visto come quello che era realmente: un uomo, composto da pregi e difetti. Ed era proprio quello che la Hyuga amava di lui: la sua umanità.

Chiuse gli occhi, sorridendo leggermente.

Ritroveremo il nostro equilibrio.

Improvvisamente, anche diventare capo degli Hyuga non sembrò così impossibile.

 

 

Caldo.

Una fitta di calore lo colpì in pieno petto, gli occhi acuti fissi sul corpicino avvolto nelle coperte tra le braccia di Sakura.

“Complimenti Shika!” dichiarò la Sannin. “Sei papà di un bel maschietto!”

Shikamaru non disse nulla, rimanendo immobile affianco alla compagna. Dopo aver deciso di assistere al parto di Temari, che gli aveva dato materiale per gli incubi delle prossime tre vite, lo shinobi delle ombre era fermamente convinto che avrebbe accolto quella nuova vita con sobrietà, senza lasciarsi andare a comportamenti rumorosi e, soprattutto, faticosi.

Eppure, quando guardò il figlio in faccia, qualcosa dentro di lui si ruppe.

Prese il corpicino caldo dalle braccia dell'amica, il volto inespressivo. Fu solo quando il pensiero andò al suo Sensei ed al padre, scomparsi anni prima, che una lacrima ruppe la sua resistenza, scivolando pigramente lungo il viso.

“Cerca di trattenerti.” nonostante la voce affaticata, Temari sorrise sprezzantemente al compagno. “Farai una ben misera figura se piangerai più di lui.”

Il Nara deglutì lentamente il groppo che sentiva in fondo alla gola. Continuando a non dire una parola, si avvicinò alla kunoichi, donandole un bacio sulla fronte, uscendo successivamente con il figlio in braccio per mostrarlo gli amici radunati fuori dalla sala.

E nonostante fosse presente Sakura, Temari non riuscì a resistere: sorrise, asciugandosi con un gesto nervoso della mano gli occhi lucidi.

“Sono solo gli ormoni residui.” si giustificò con Sakura. “Quello stupido Crybaby... finalmente si è tolto dalle palle!”

E Sakura non poté fare a meno di ridere. Erano questi i momenti che la convincevano che la sua scelta di diventare medico fosse stata corretta, perché sentiva di aver aiutato tangibilmente un amico, e non esisteva cosa più bella.

Equilibrio.

Shikamaru sentì finalmente di averlo trovato. Aveva sempre creduto che il suo equilibrio fosse sdraiarsi su un prato soleggiato in compagnia di Choji, pronto a tornare a casa e trovare suo padre ancora vivo che lo accoglieva proponendogli di fare una partita a shogi.

Ma quella sensazione ora era diversa. Forse perché non toccava da ore un goccio di alcool, oppure perché si accorse di essere circondato da molte altre persone oltre a Choji: Ino, sua madre Yoshino, Kurenai con affianco Mirai. Tutto ciò di cui aveva bisogno era lì, al suo fianco, unito al piccolo fagottino che teneva tra le braccia. La cosa più preziosa che possedesse assieme a Temari.

“Vi presento l'ennesima seccatura della mia vita.” dichiarò per annunciare la propria comparsa. “Shikadai Nara.”

“E' magnifico!” esclamò Ino. “Per fortuna che ha preso i tuoi capelli. Sarebbe stato orribile se avesse preso i peli insipidi di Temari.”

“Lui chi sarebbe, zio Shika?” chiese Mirai, alzandosi sulle punte per sbirciare tra le braccia di suo zio.

“Il tuo fratellino.” le spiegò Kurenai, sorridendo nel vedere l'espressione sbigottita sul volto del Nara. “E dovrai sempre prenderti cura di lui.”

“Posso farlo diventare il mio schiavetto, mamma?”

“Beh...” la Jonin sorrise imbarazzata. “Aspettiamo che cresca prima.”

Shikamaru scosse la testa. Si annotò mentalmente di nominare Kurenai madrina di Shikadai, mentre una manona morbida gli scaldò la spalla destra. Si voltò, osservando il viso sorridente di Choji.

“Sono fiero di te.”

“Non dire così.” ribatté il moro. “Non ho mica salvato il mondo.”

“No, infatti.” replicò l'Akimichi. “Quello lo hai fatto otto anni fa.”

Lo shinobi non disse nulla, attirato dall'incedere di sua madre. Yoshino Nara fissò con dolcezza il nipote, sfiorandogli la guancia con un dito, prima di rivolgersi con un sorriso al figlio.

“Anche tuo padre sarebbe fiero di te.”

Chiuse gli occhi, percependo il calore divampare dentro di lui come un uragano, regalandogli un benessere immenso, come non lo provava da anni.

“Lo so.”

Temari... grazie.

Aveva trovato il suo equilibrio.

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

Dunque, che dire? Anche questo capitolo chilometrico è giunto alla fine e spero vivamente che vi sia piaciuto, così come sia stato finalmente chiaro il motivo per cui Hinata e Naruto si sono allontanati.

Riguardo alla grande assenza di questo capitolo (Kurama ovviamente xD), posso dire che al nostro scorbutico Bijuu non piace molto apparire, e quindi non sempre comparirà nei capitoli (un po' come Sasuke).

Bene, non aggiungo altro per non sembrare più prolisso del solito. Come sempre, ringrazio chiunque legga, segue e recensisce questa raccolta, e ricordo che qualsiasi recensione, positiva o critica, è ben accetta.

Un saluto!

Giambo.

 

 

 

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Capitolo 20
*** Lotta contro il passato ***


The Biggest Challenge

 

15pjpko

 

Lotta contro il passato

 

 

 

Buio.

C'era tanto buio attorno a lui. Soffocante, freddo, cupo.

Rabbrividì, mentre immagini frammentate del suo passato lo colpirono con la forza di un pugno: i volti insanguinati dei suoi genitori, l'odio e il disprezzo intriso in ogni volto degli abitanti, il ghigno satanico di Sasuke e molti altri ancora lo schiacciarono sotto una valanga di dolore e sensi di colpa, privandolo bruscamente di ogni gioia.

E poi la vide.

Spalancò gli occhi, un velo freddo e appiccicoso a ricoprirgli la schiena, mentre osservava le iridi cerulee di lei. Occhi freddi e spenti, come quelli di un cadavere, mentre un fiume di sangue iniziò a ricoprirlo completamente, entrandogli in bocca, intasandogli il naso, riempiendogli la gola con il suo sapore ferroso.

Urlò con tutto il fiato che aveva.

Sapeva benissimo che era il sangue di colei che aveva ucciso.

 

 

Si alzò di scatto, il respiro affannoso. I suoi occhi fissarono il muro di fronte, convincendolo a poco a poco che si trovava nella sua stanza, lontano dal sangue delle sue vittime.

Wari... si portò le mani tremanti sulla faccia, sentendola grondare sudore. Improvvisamente, l'immagine della kunoichi bionda venne sostituita da un altro volto, incredibilmente vivido: il viso di una ragazzina con lunghi capelli blu ed un sorriso così triste da rompere le sue ultime resistenze.

Yoko...

Fu l'ultima goccia. Con un singulto, lo shinobi si alzò di colpo, correndo in bagno, dove rigettò il contenuto del proprio stomaco sul lavabo, mischiato ad acida bile che gli bruciò la gola.

Merda! Sputò con rabbia un grumo acido di riflusso. Era stufo marcio di quella situazione. Ormai erano mesi che non aveva requie la notte, tormentato da incubi sul suo passato e su ciò che aveva compiuto ai ribelli. Nonostante fosse riuscito a riappacificarsi con la moglie, aveva il terrore di andare a dormire, e questo lo irritava profondamente. Non riusciva a capire cosa fare per porre fine a quella storia.

“Sono un debole!” ringhiò sottovoce, fissandosi trucemente allo specchio. “Una fottuta femminuccia del cazzo!” non comprendeva come potesse aiutarlo insultarsi da solo, ma sentiva il bisogno spasmodico di farsi male e quello era il rimedio più indolore che conoscesse.

“Merda!” esclamò improvvisamente. “Merda, merda, merda, merda, merda, cazzo, cazzo, cazzo, fottiti! Fottiti, fottiti, fottiti, fottiti, fottiti, FOTTITI!”

Vuoi chiudere la bocca?! Qui c'è gente che vuole dormire!”

Grazie per la comprensione!” per quanto fosse allettante l'idea di sfogarsi con Kurama, Naruto si ricordò che aveva appena urlato in piena notte. Facendo un profondo sospiro, il Jinchuuriki si sciacquò la faccia, decidendo successivamente di andare a stendersi sul divano. Aveva perso ogni voglia di dormire, e non voleva disturbare Hinata.

Il suo tentativo si rivelò inutile. Aveva fatto appena in tempo a sedersi, che due mani delicate gli strinsero le spalle, mentre avvertiva la testa della moglie appoggiarglisi sulla spalla sinistra.

“Perché urli in bagno in piena notte?”

“Mi hai sentito?”

“Diciamo che ci sono buone probabilità che non sia stata l'unica.” rispose la Hyuga con un sorriso sulle labbra, tornando subito seria quando vide il marito proseguire a fissare la finestra di fronte con sguardo vuoto.

“Naruto-kun...” gli afferrò la mano sana, iniziando ad accarezzarlo sul volto. “Perché non riesci a darti pace?”

L'Uzumaki non disse nulla, incapace di trovare una risposta. Per quanto si fosse sforzato di combatterlo, il senso di colpa non era mai sparito del tutto. Ora, dopo quattro mesi, si sentiva stanco, sfibrato da quel tormento interiore, capace di toglierli pace e serenità in qualsiasi istante.

“Diciamo che... forse sono un po' masochista.” provò a buttarla sul ridere, ma la compagna non demordette.

“Ricordi cosa ci eravamo detti?” continuò ad accarezzargli il viso, anche se il tono della voce non ammetteva repliche. “Dobbiamo fidarci l'uno dell'altro.”

Naruto si passò la protesi sul volto. Fiducia. Sembrava facile a parole dire di non volere segreti con la kunoichi, ma non appena provava a confidarsi sentiva qualcosa di molto simile all'orgoglio che lo bloccava. Probabilmente Shikamaru lo avrebbe chiamato istinto di sopravvivenza, ma l'Uzumaki non era convinto che parlare con Temari fosse la stessa cosa.

“Naruto-kun...” ora la donna sembrava veramente arrabbiata, e il suo sguardo lo mise a disagio, sciogliendogli la lingua.

“Non so il motivo di questi incubi.” sospirò infine. “Io... volevo loro bene, e li ho condannati a morte.”

“Hai deciso di salvare la tua famiglia.” ribatté Hinata. “Hai fatto quello che qualunque padre e marito farebbe. Non sentirti in colpa per questo.” provò a infonderci tutto il suo amore e convinzione in quelle parole, ma Naruto si limitò a scuotere la testa, demoralizzato.

“Forse... il vero motivo è... che io... volevo realizzare un mondo migliore.” deglutì a vuoto, sentendosi gli occhi umidi, asciugandoseli con un gesto stizzito. “Ma ho fallito, e delle persone sono morte per questo.” si voltò a fissare negli occhi la Hyuga, un'espressione semplicemente triste, priva di qualsiasi altro aggettivo. “Ecco perché non riesco a darmi pace, Hina-chan.”

La donna non disse nulla. Proseguì ad accarezzare il volto del marito, gli occhi fissi sulla gelida notte invernale che imperversava fuori.

“Io ho memoria di un ragazzino che falliva sempre.” mormorò infine. “Ho ricordo di un bambino pasticcione, imbranato e buono a nulla.” rivolse le iridi lilla in quelle cerulee dell'uomo. “Ma sai cosa ricordo anche? Che quando cadeva nella polvere, lui si rialzava sempre con un sorriso, pronto a riprovarci.”

“Non è la stessa cosa...”

“Sì che lo è.”

“Sono morte delle persone!” replicò seccamente Naruto. “Sono morte perché sono stato un ingenuo! Non è come... fallire un esercizio o un jutsu, questa volta ci hanno rimesso altri dal mio sbaglio!”

“Queste non sono le parole di uno che vuole diventare Hokage.” quella frase ebbe il potere di zittire il Jinchuuriki, il quale contrasse la mascella, punto nel vivo.

“Un Hokage prende sempre decisioni che mettono a rischio la vita delle persone.” proseguì la Hyuga. “Se non cominci a capire questo, allora tutti i tuoi sacrifici non saranno serviti a nulla.”

Naruto emise un profondo respiro, passandosi la protesi tra i capelli. Sapeva che Hinata aveva ragione. Un Hokage prendeva continuamente decisioni che avrebbero determinato la vita o la morte di qualcuno. Se sentiva il terrore di ripetere quell'errore, allora non sarebbe mai stato capace di indossare il mantello rosso e bianco.

Ho sbagliato... afferrò la mano della moglie, tentando disperatamente di allontanare i volti insanguinati delle sue vittime dalla mente. Le fu grato di ciò che stava facendo; senza il suo supporto, non era sicuro che avrebbe trovato la forza per provarci.

Ma devo andare avanti.

“Torniamo a letto.” lo incoraggiò la kunoichi. “Domani devi lavorare.”

Si alzò, facendosi portare docilmente in camera, il loro rifugio. Fu quasi sollevante avvolgersi nel calore delle trapunte, tentando di lasciare fuori da esse qualunque pensiero negativo.

“Hinata...” provò a ringraziarla, ma lei lo zitti appoggiandogli un dito sulle labbra.

“Dormi.” sussurrò.

Forse era sapere che la Hyuga era al suo fianco, la consapevolezza che doveva ricominciare, che dopo essere sprofondato nella disperazione più atroce poteva solo risalire, ma il resto della notte lo passò tranquillo, senza sogni di alcun tipo, assaporando un riposo che gli mancava da troppo tempo.

Grazie.

 

 

Homura Mitokado sistemò i propri occhiali con un gesto meccanico, fissando con severità i membri seduti attorno a lui.

“Non possiamo continuare così, Sesto.” dichiarò con voce roca. “La situazione è grave e noi dobbiamo porvi subito rimedio.” al suo fianco Koharu annuì, il volto segnato dal tempo che fissava con sguardo gelido l'Hokage.

Kakashi unì stancamente le mani davanti al volto, lo sguardo rivolto ai due consiglieri anziani. Alla sua sinistra, con espressione annoiata, sedeva Shikamaru, una sigaretta tra le labbra, mentre alla destra, c'erano Anko e Tsunade, con quest'ultima che batteva nervosamente l'indice sinistro, laccato di rosso, sul tavolo circolare.

“Quali sono le sue lamentele sul mio operato, consigliere?” domandò stancamente l'Hatake, il tono della voce più pacato e gentile del solito.

Sistemandosi nuovamente gli occhiali, Homura mise sul tavolo un grosso plico di fogli, iniziando a leggerli sommariamente, come testimonianza delle proprie accuse.

“La situazione è tragica su tutti i fronti.” iniziò. “Le nostre finanze sono dissestate, e dipendono quasi esclusivamente dalle donazioni del Daimyo. Molti dei nostri ninja più giovani hanno ingrossato le fila dei ribelli quest'estate, e attualmente gran parte di essi sono ancora fuggiaschi. L'Ordine degli Anbu, che dovrebbe garantire la nostra sicurezza, è a corto di uomini e non può svolgere il proprio compito come dovrebbe, per non parlare delle immense spese, da lei autorizzate, per la costruzione di nuovi edifici civili, fondi che avrebbero potuto potenziare le nostre difese.” una volta appoggiato l'ultimo foglio, il consigliere appoggiò il mento sul dorso delle proprie mani, rivolgendo un nuovo sguardo accusatorio all'altro capo della sala. “Francamente, in tutta la mia vita, non ho mai visto un operato così negligente e deficitario da parte di un Hokage.”

“Ora basta!” esclamò Tsunade, battendo un pugno per la rabbia, facendo scricchiolare il marmo. “Non ti permetto di insultare il Sesto in questo modo, mummia rinsecchita! Se avessi potuto farlo a mio tempo, io...”

“Tsunade-sama!” la voce di Kakashi risuonò con forza nella stanza. La Sannin si bloccò di colpo, gli occhi ambrati che ribollivano di rabbia. Con un gesto stizzito, l'ex Hokage si risedette, permettendo al Sesto di rivolgere la propria attenzione ai problemi elencati da Homura.

“Quali suggerimenti portate, consiglieri?” fu la sua semplice domanda.

“Potenziamento immediato delle finanze e dei poteri in mano agli Anbu.” rispose prontamente l'anziano. “Oltre ad un taglio drastico delle spese per la cementificazione selvaggia che ha subito Konoha in questi ultimi anni. Inoltre, consideriamo di vitale importanza formare delle squadre per ritrovare i rinnegati a cui accennavo prima, catturarli e giustiziarli seduta stante. Suggeriamo anche un aumento della tassazione sui beni di prima necessità per un tempo di almeno due anni, per permettere di risanare il debito che avete creato.”

“Sono delle richieste assurde!” tuonò nuovamente il Quinto. “Vorreste farci entrare in un regime militare proprio ora che abbiamo concluso le trattative di pace con i ribelli!”

“Tsunade-sama, la prego di calmarsi.” dichiarò annoiato Kakashi. “O sarò costretto ad allontanarla dalla riunione.”

Quando la rabbia della kunoichi bionda parve sotto controllo, Koharu prese la parola, fissando con malignità il Quinto.

“Non sono provvedimenti assurdi, ma vitali per la nostra sopravvivenza.” osservò con voce sottile. “Il Villaggio non può permettersi il mantenimento di così tanti ninja inattivi, quindi l'unica soluzione è aumentare la tassazione.”

“Una tassazione che impoverirebbe il tessuto economico del nostro popolo!” sbottò la Senju, ricominciando a battere l'indice sinistro sul tavolo.

“Una soluzione straordinaria, necessaria per il futuro prossimo.”

“Anche dare poteri maggiori agli Anbu sarebbe necessario?” ringhiò Tsunade. “Mettere Konoha sotto una cappa di terrore sarebbe la vostra soluzione a tutto?”

“La pace comune con le altre nazioni ci ha portato indubbi vantaggi.” proseguì l'anziana, con un tono che faceva capire come non credesse minimamente a quelle parole. “Ma tutto questo ha ridotto drasticamente il numero di missioni da noi svolte in ambito bellico, e questo ha contribuito a creare una generazione di ninja inoperosi e pieni di risentimento.” Tsunade fece per parlare nuovamente, ma Kakashi la bloccò con un gesto della mano, permettendo a Koharu di proseguire. “L'unica soluzione possibile è potenziare gli Anbu, dando loro maggiori uomini, fondi e poteri, in modo da poter raccogliere e soddisfare un più alto numero di richieste nei campi dello spionaggio privato e l'assassinio.”

“In pratica dovremmo iniziare a seminare spie ed assassini in giro per le altre nazioni, dico bene?” a parlare questa volta fu Anko, il sorriso folle stampato sulle labbra. “Non sembra tanto male detta così!”

Tsunade scosse la testa, sbuffando stizzita, a testimonianza di come trovasse quel discorso ridicolo e privo di alcun fondamento. Vedendo l'Hokage deciso a non prendere la parola, Shikamaru intervenne, senza esimersi dal borbottare insulti sull'orario indecente della riunione.

“Aumentare il numero di uomini all'interno degli Anbu non è così semplice.” esordì pigramente, aspirando una soffiata di tabacco. “Non tutti i jonin possono farne parte, senza contare che oltre alle abilità fisiche serve anche un allenamento mentale e psicologico tra i più complessi per svolgere le missioni richiese ad un Anbu.”

“Quindi lei sta tentando di dirci che, attualmente, Konoha non è in grado di formare un sufficiente numero di ninja che possano entrare nell'Ordine?” ribatté seccamente Homura.

“Dico che la scarsità attuale è un fenomeno fisiologico, accaduto già in passato. Non possiamo far entrare nell'Ordine shinobi mentalmente impreparati a svolgere missioni di spionaggio od assassinio.”

“Quindi cosa proponete?” dichiarò Koharu. “Noi le nostre proposte per uscire da questa situazione le abbiamo elencate, anche se sembrano non riscuotano l'approvazione del Quinto e del primo assistente.”

“Le vostre proposte sono rifiutate.” dichiarò Kakashi, prendendo la parola. “E vi spiego subito il motivo: dobbiamo pensare in maniera diversa.”

“Non capisco cosa intendiate dire, Sesto.” osservò Homura. “Pensare in maniera diversa?”

“Le vostre soluzioni nascono dall'idea che dobbiamo solo pensare al bene di Konoha, del nostro villaggio.” spiegò l'Hatake. “Ma noi ora siamo uniti e legati da un'alleanza profonda con gli altri grandi villaggi ninja, e questo ci obbliga ad avere una visione più ampia.”

“Quindi la sua soluzione è mendicare aiuto dagli altri Kage?!” ribatté minacciosa Koharu. “Oserebbe gettare nel fango la reputazione dei suoi predecessori in questo modo?!”

“Ritengo che potremmo aumentare il numero di missioni, e i fondi, prestando i nostri ninja agli altri villaggi, dietro un compenso ovviamente.” concluse lo shinobi albino. “Ho già parlato agli altri Kage di questa idea all'ultima riunione, e si sono trovati d'accordo che, per rinforzare i nostri legami e le nostre finanze, serve cooperare.”

“Abbiamo avuto l'idea di creare squadre miste di ninja.” si intromise Shikamaru. “Avranno giurisdizione e mandato per operare in ogni paese del continente, con il sostegno di tutti e cinque i grandi villaggi. In questo modo, aumenteremo le possibili richieste provenienti dalle altre nazioni, e potremo sfruttare gli shinobi rimasti inoperosi in questi ultimi anni.”

“Squadre... miste?” i due anziani furono bravi a nascondere le proprie sensazioni, ma era palese che quell'idea non li convincesse minimamente.

“Ovviamente siamo solo agli inizi, e dovremo lavorarci sopra.” proseguì il Nara. “Ma il nostro obbiettivo è avere le prime squadre pronte per l'inizio dell'estate, tra sei mesi. I compensi saranno divisi in parti uguali, tra ogni villaggio di appartenenza dei membri della squadra, e a rotazione sarà uno dei grandi villaggi a fornire supporto ad un determinato numero di squadre. In questo modo, la cooperazione tra ninja di paesi diversi dovrebbe permetterci di velocizzare il processo di integrazione a cui stiamo puntando.”

Homura non disse nulla, sistemando i propri documenti nel tentativo di guadagnare tempo per riflettere, ma Koharu fu molto più rapida a contrattaccare.

“Quando è stata presa questa decisione?” chiese a bruciapelo.

Shikamaru si prese il tempo di aspirare una lunga boccata di fumo e di buttarla fuori dal naso prima di rispondere.

“Prima della riunione dei Kage.”

“E avete pensato di avvertire il Consiglio di questa scelta dopo un mese e mezzo?” il tono accusatorio dell'anziana era carico di veleno. “Sono costretta ad accusarvi di manovre disoneste ed irresponsabili!”

“Mi duole interrompere la vostra accusatoria così ricolma di passione, Koharu.” esclamò sarcasticamente lo shinobi delle ombre. “Ma sono le tre del mattino, tra quattro ore dovrò essere nuovamente qui, e attualmente a casa ho una moglie con possenti istinti omicidi ed un neonato con corde vocali simili a quelle di un elefante imbizzarrito... per quanto tempo vorrà ancora darci il tormento per aver fatto una scelta che non le sta bene?”

“Come si permette?!”

“Mi permetto perché ho in corpo un litro di schotch e un pacchetto di sigarette.” lo shinobi delle ombre si alzò di scatto, fissando con sguardo annoiato i presenti. “Ora scusatemi, ma ho di meglio da fare che ascoltare i vostri deliri.”

Uscì dalla stanza, gettando il mozzicone con lancio perfetto nel portacenere sul tavolo. Un silenzio imbarazzato scese nell'ambiente, ma Kakashi sorrise, coperto dal tessuto della maschera; aveva capito benissimo il motivo di quella sceneggiata da parte del suo assistente, qualcosa di assolutamente non dovuto al consumo eccessivo di tabacco e alcolici: era riuscito ad impedire il proseguimento della riunione, bloccando per ora il boicottaggio da parte dei consiglieri anziani del progetto sulle squadre miste.

“Bella mossa!.” esclamò nel silenzio Anko, stiracchiandosi le spalle. “Quasi quasi la uso anch'io la prossima volta!”

 

 

“Perché glielo hai permesso?” Kakashi si voltò, osservando Tsunade fissarlo severamente, in una sala delle riunioni ormai vuota. “Perché hai permesso a quei due di fare quello che volevano? Ci è voluto il tuo assistente per chiudere la bocca a quell'arpia!”

L'Hokage sospirò. Non era proprio l'orario che preferiva per mettersi a discutere con il suo predecessore.

“Tsunade-sama, credevo che, avendo rivestito lei stessa la posizione di Hokage, avesse compreso l'importanza di ascoltare il proprio Consiglio.”

“Piantala con le sciocchezze, Kakashi!” ribatté la Senju. “Sono anni che quei due tentano di farti fuori. Onestamente, mi sorprende che tu non li abbia già tagliati dal tuo Consiglio.”

“Non l'ho fatto per vari motivi.” mormorò l'albino, passandosi una mano tra i capelli. “Prima di tutto, perché all'epoca in cui venni eletto l'ultima cosa di cui avevamo bisogno erano lotte intestine di potere, e poi perché le loro conoscenze politiche all'interno dei vari clan sono preziose.”

“Preziose solo per i loro sporchi affari!” ringhiò la Sannin. “Ricordi cosa fecero con Danzo? Non appena ebbero l'occasione di spodestarmi non ci misero un istante ad appoggiare quell'intrigante! Se non mi hanno combattuta più di tanto è solo perché la minaccia di Madara li preoccupava maggiormente, ma ora che anche la rivolta è finita non si fermeranno fino a quando non ti avranno sostituito con un pupazzo a loro più congeniale!”

“Ritengo di poter gestire i miei consiglieri.” la voce dell'albino fu gentile, ma ferma. “I clan sono dalla mia parte, ed ora che la loro assemblea è gestita da Shikamaru non possono colpirmi da quel lato. I Nara sono troppi rispettati per essere contestati, perfino i Senju o gli Shimura non oserebbero mettersi contro il clan delle ombre ed i loro alleati Yamanaka ed Akimichi.”

“Stai puntando tutto sulla triplice alleanza tra i Nara ed i loro fratelli per mantenere i clan dalla tua parte, ma stai rischiando grosso.” osservò freddamente la kunoichi. “Che mi dici dei Sarutobi? Gli Aburame? Gli Inuzuka? Per non parlare degli Hyuga, tanto arroganti quanto poco propensi ad ubbidirci! Non puoi pensare di avere tutti i clan dalla tua parte con questo stratagemma Kakashi, perché loro ne approfitteranno per ritorcerli contro di te.”

“Le sue osservazioni non mi sono nuove.” ribatté sempre con tono fermo l'Hokage. “I clan sono soddisfatti del mio operato, e non ritengo di starmi muovendo in direzioni a loro dannose. Non riusciranno a spodestarmi aizzandomeli contro.”

“Allora intendi continuare a muoverti nella direzione delle squadre miste?”

“Sì, sono convinto che siano l'unica soluzione per rilanciare le nostre finanze e stemperare il malcontento tra gli shinobi più giovani.”

“Sai bene che proveranno a fermarti, non è vero?” insistette Tsunade. “Non accetteranno mai un simile esperimento, non se avranno il potere di fermarlo.”

“So cosa intende.” l'occhiata dell'Hatake fu acuta e penetrante come sempre. “Proveranno a fare leva sul Daiymo.”

“Simili squadre metterebbero a serio rischio la sua autorità su di noi, puoi stare certo che tenteranno di mettertelo contro.”

Kakashi non rispose subito. Obbiettivamente, l'idea di avere contro il suo signore non lo inquietava quanto una possibile rivolta dei clan, ma comprendeva che quella era una battaglia da vincere assolutamente se voleva staccare Konoha dall'ingombrante ombra del signore della nazione.

“Se dovesse giungere questa eventualità, allora direi che saremo noi in vantaggio su di loro.” sorrise da sotto la maschera, osservando lo sguardo perplesso della donna.

“Non capisco.”

“Se il Daiymo si intromettesse in questioni interne al villaggio, i clan si irriterebbero, considerandola una lesione alle loro libertà, e ciò mi darebbe la scusa perfetta per staccarci definitivamente dal Paese del Fuoco.”

La Sannin scosse la testa.

“Non funzionerà, molti membri dei grandi clan hanno incarichi di prestigio alla corte del nostro signore.” sorrise, quasi divertita dalla situazione complessa in cui era costretto a muoversi il suo successore. “Dovrai fare un grande lavoro diplomatico per convincerli ad appoggiarti in un simile progetto. Anzi, direi un miracolo.”

“Ho fiducia in Shikamaru.” replicò l'albino. “Sono sicuro che riuscirà a tenere uniti i clan dalla nostra parte.”

“Già... suo padre era un vero genio.” la Sannin si lasciò andare ai ricordi, una mano davanti agli occhi. “Onestamente, senza l'apporto di Shikaku non sarei mai riuscita a tenere uniti tutti i clan durante la Grande Guerra. Dobbiamo molto della nostra vittoria a lui.”

“Ho buoni ricordi di Shikaku.” ammise l'Hatake. “Non lo conoscevo molto, ma devo dire che ispirava subito fiducia. Era un uomo che sapeva come ottenere ciò che si prefissava.”

Per alcuni secondi l'ombra del capo defunto dei Nara aleggiò sopra di loro. Poi, con un gesto secco, Tsunade si alzò, sorridendo a Kakashi.

“Basta parlare di politica e persone scomparse!” esclamò. “E' meglio che vada a riposare, e ti conviene farlo anche tu. Mai sprecare ore di riposo quando si indossa quel cappello, te lo dico per esperienza personale.”

“Sai... temo che questa notte dovrò fare gli straordinari.” mormorò con aria rassegnata il Ninja Copia.

“Come...” la kunoichi si interruppe quando vide all'ingresso della sala Anko in posizione provocante che faceva l'occhiolino all'Hokage. “Capisco.” si limitò a commentare con un sorrisetto sulle labbra. “Allora non mi resta che augurarti buona fortuna!”

“Se vuole si può unire!” esclamò la Mitarashi mordicchiandosi un labbro.

“No, grazie.” fu la gelida risposta della Senju. “Non sono abbastanza sbronza per finire a letto con un'altra donna.” oltrepassò la kunoichi più giovane, decidendo di lasciarsi andare ad una vecchia frase che sognava di dire fin da giovane. “E comunque non sei abbastanza tosta per starmi dietro!”

Anko si girò a fissare l'Hatake, indicando il sedere sodo del Quinto che si allontanava.

“La voglio nel nostro letto!”

Kakashi si passò una mano davanti al volto, chiedendosi cosa fosse peggio: provare a rinnovare Konoha, combattendo le forze contrarie ai cambiamenti, oppure gestire una relazione con una donna mentalmente instabile e sadica.

Le gioie dell'essere Hokage.

Chissà, magari sarebbe stato un buon titolo per un libro.

 

 

Con un gesto rapido ed esperto, Sakura infilò l'ago della siringa nel polso del paziente, prelevando il campione di sangue necessario.

“Tieni.” ordinò ad un'assistente. “Portalo al laboratorio per l'emogasanalisi, rapido!” si tolse i guanti in lattice con un sospiro, sistemandosi una ciocca di capelli. Si era scordata di quanto potessero essere massacranti i turni di notte in ospedale, tanto più se il reparto di terapia intensiva aveva appena ricevuto tredici nuovi ospiti.

“Sakura-hime.” si voltò, fissando un'infermiera che le porgeva una cartella medica. “Sono i risultati degli esami che aveva richiesto.”

“Oh...” ci mise un istante a fare mente locale a causa della stanchezza. “Ti ringrazio.”

“Di niente.” con un sorriso, la giovane infermiera si congedò, iniziando il solito giro di controllo.

La kunoichi andò a prendersi un caffè, il quinto della nottata, nel tentativo di reggere fino alle otto del mattino, quando sarebbe potuta tornare finalmente a casa da Sarada. Una volta ottenuto un bicchiere di plastica fumante, Sakura aprì distrattamente la cartella, venendo però subito interrotta da Shizune.

“Sakura!” la kunoichi mora la fissò con severità. “Non dovresti essere qui.”

“Piantala!” ribatté la Sannin. “Ho troppo caffè in corpo per discutere in maniera pacifica.”

“Avevamo detto niente turni notturni!” insistette Shizune. “Chi baderà a tua figlia?”

“C'è Tenten.” rispose subito Sakura. “A quanto pare, ha scoperto di adorare i bambini, pensa che sta pure provando ad averne uno con Rock Lee.”

“Non cambiare discorso.”

“Andiamo, Shizune!” la donna più giovane chiuse la cartella con un colpo secco, sospirando. “Ora che lavori a tempo pieno qui dentro, lo dovresti capire, no?”

“Che cosa?”

“Che non puoi smettere di essere te stessa.” dichiarò semplicemente, riaprendo la cartella. Shizune abbassò gli occhi, ammettendo che la Sannin aveva, con ogni probabilità, ragione. L'ospedale entrava dentro a chiunque lo frequentasse con regolarità, rendendo impossibile starne lontani troppo a lungo. Per quanto dura, estenuante, nevrotica e spesso anche crudele, quella vita non l'avrebbero mai abbandonata.

I suoi pensieri vennero interrotti dal rumore del caffè di Sakura che cadeva a terra. Alzando lo sguardo, vide il volto della rosa bianco come un cadavere, gli occhi fissi sulla cartella di prima.

“Sakura...” la kunoichi la squadrò con preoccupazione. “Tutto bene?”

Lentamente, Sakura Haruno abbassò i fogli, fissando con espressione di indicibile orrore l'amica.

“Sono i risultati degli esami che Tenten mi aveva chiesto.” sussurrò con voce rotta.

“E quindi?”

Cadde un silenzio teso, il quale venne rotto dalla Sannin solo dopo un profondo respiro.

“E' sterile.”

 

 

Quando Sakura ritornò a casa erano le nove del mattino. Aprì la porta del proprio appartamento con un sospiro, la mente annebbiata dalle dodici ore di turno che aveva appena compiuto.

“Ciao!” con un sorriso, la testa di Tenten fece capolino dalla cucina, i capelli castani raccolti in una lunga treccia. “Bentornata! Ho appena finito di fare il caffè, ne vuoi un po'?”

“Ti ringrazio, ma con il caffè ho dato per oggi.” rispose con una smorfia tirata la Sannin. Aveva provato a sorridere, ma il risultato era stato quello di assomigliare ad un malato di colecisti. Il pensiero di dover comunicare una simile notizia all'amica le era insopportabile. Nella sua carriera di medico aveva visto innumerevoli pazienti morire, e molto spesso era toccato a lei comunicarli che la loro vita era agli sgoccioli, ma quello era qualcosa di totalmente diverso. Avrebbe dovuto dire ad una cara amica che il suo sogno di diventare madre non si sarebbe mai realizzato.

“Nottataccia in ospedale, eh?” esclamò la kunoichi mora. “Dai, vieni qua! C'è una birbante che non vede l'ora di salutarti con un bacione!”

La seguì in cucina. Quando vide il volto paffuto della figlia, impegnata nella poppata mattutina con il biberon, il suo sorriso divenne sincero. La sollevò dal seggiolone, prendendola in braccio e ricoprendola di baci. Era il suo tesoro più prezioso, la sua ancora di salvezza, l'unica presenza capace di colmare veramente il vuoto di Sasuke.

“Mi sei mancata terribilmente.” mormorò, aspirando l'odore di latte e vomito di Sarada, trovandolo semplicemente delizioso. “Kami, quanto sei bella!” aggiunse, accarezzandole una guancia paffuta. “Bella come il tuo papà!”

“E' stata un angelo stanotte.” dichiarò Tenten, non riuscendo a trattenere un sorriso nel vedere l'amica con in braccio la figlia. “Verso le due ho dovuto farle un cambio pannolino, ma a parte questo è stato tutto tranquillo.”

“Sì, ha preso l'abitudine di farla a quell'ora. Ormai ho impostato la sveglia per evitare risvegli traumatici.” aggiunse la rosa, continuando ad accarezzare la piccola Uchiha, impegnata a terminare il proprio latte sotto lo sguardo sognante di Tenten.

“E' meravigliosa.” sospirò. “Non sai quanto mi piacerebbe avere un bambino!”

Il sorriso di Sakura scomparve all'istante. Il pensiero di doverle comunicare che non sarebbe mai diventata madre riprese a tormentarla.

“Tenten...” rimise nel seggiolone Sarada, iniziando a stropicciare un lembo della sua veste per il nervoso. “Dobbiamo parlare.”

Non fu facile. Per la prima volta dopo tanto tempo, Sakura si sentì nuovamente debole, incapace di prendere in mano la propria vita. Vedeva gli occhi scuri della sua amica, innanzi a lei, pupille risplendenti di serenità, ignare di ogni cosa.

Anni passati a ripetermi che devo essere forte, e ora non sono neanche capace di comunicarle la verità nel modo giusto.

Le disse tutto, con voce atona, priva di sentimento. Credeva che mostrarle la sua pietà l'avrebbe ferita ancora di più. Vedere gli occhi scuri della kunoichi spegnersi lentamente, mentre le sue parole prendevano piede, fu forse la cosa più dura di tutte.

“Mi dispiace.” fu una frase secca, che valeva tutto e allo stesso tempo nulla. Lo comprese da come Tenten si morse il labbro inferiore; quelle due ultime parole, per lei, valevano meno di zero.

Nel salotto cadde un silenzio teso. Tenten deglutì a vuoto, le nocche sbiancate dalla forza con cui stringeva le mani sulle ginocchia. Sakura non disse più nulla, sentendosi impotente come quando aveva dodici anni.

“E'...” ci mise alcuni istante a ritrovare la voce la mora. “E' irreversibile?”

“Temo di sì.” sussurrò la Sannin. “Le ferite che hai subito in battaglia hanno danneggiato in maniera irreparabile le tue pareti uterine.” si scostò una ciocca di capelli dal volto, osservando l'autocontrollo di Tenten sgretolarsi poco a poco. “Potremmo provare con una fecondazione assistita, ma le probabilità di emorragie interne è molto alta.”

“Quante possibilità ho?” vedendo l'amica perplessa, la kunoichi mora deglutì prima di spiegarsi meglio. “Quante possibilità avrei di... di portare a termine una gravidanza con questa soluzione?”

Le iridi smeraldine di Sakura si spostarono verso il tappetto sotto i suoi piedi, odiandosi a morte per quello che stava per dire.

“Non più del quaranta per cento.” ammise infine. “E potresti non solo perdere il bambino... ma anche la vita.”

L'allieva di Gai si passò una mano sul volto, iniziando a fare respiri profondi. Aveva gli occhi lucidi, le mani che tremavano e il viso privo di colore.

“Tenten...”

“Va tutto bene, Sakura.” continuò a respirare in modo profondo, nel tentativo estremo di controllarsi. “Ora scusami... ma devo andare.”

Uscì a passo rapido dall'appartamento dell'amica, chiudendosi la porta alle spalle con troppa irruenza, quasi le mancasse l'aria.

Tenten... Sakura si passò una mano tra i capelli. Sapeva che non era colpa sua se tutto quello era accaduto, ma la consapevolezza di non poterla aiutare, di dover assistere al suo sogno infranto le ruppe qualcosa dentro, spezzando il suo ferreo autocontrollo di medico.

Mi dispiace. Si coprì il volto con una mano, desiderando nascondersi da Sarada.

Non voleva mostrarle la debolezza di sua madre.

 

 

 

Si muoveva a passo rapido, il respiro sempre più affannoso. Le strade erano gremite di gente, nonostante il freddo pungente e la neve che cadeva vorticosa, ma lei non ci fece caso. Si sentiva come se avesse scollegato il cervello, lasciando il corpo libero di muoversi d'istinto, privo di ragione. Non voleva pensare, non voleva ragionare, desiderava solo scappare da ogni cosa, fino a non provare più nulla.

Non sarò mai madre.

Era un pensiero orrendo, mostruoso, inumano. Vedere le proprie amiche, una dopo l'altra, che assaporavano la sensazione agrodolce di essere diventate genitrici, di essersi costruite una famiglia, sapendo che ciò le veniva negato era intollerabile. Era come se avesse centinaia di schegge infilate sotto le unghie, che si aprivano la strada nella sua carne con sadismo.

Si fermò di gettò, quasi le gambe fossero immerse nel fango. Davanti a lei c'era un ragazzino di circa dieci anni che teneva per mano il padre, parlandoci con fare imbronciato, come se fosse in disaccordo con il genitore.

Lee... sentì le lacrime premere per uscire, ma si contenne, contraendo ogni muscolo, in un disperato tentativo di non crollare. Si era immaginata tante volte il compagno che teneva per mano loro figlio, allenandolo a diventare un grande shinobi. Una fantasia che sarebbe rimasta tale.

Perché...

Digrignò i denti, conficcandosi le unghie nei palmi. Un sentimento di odio immenso, profondo ed avvolgente la sommerse, spalancandole le porte dell'inferno. Odiava la vita per averla privata di quel desiderio, odiava le sue amiche che erano state privilegiate dal fato, ma soprattutto detestava se stessa con tutto il suo essere.

Perché...

Fu solo quando raggiunse il suo appartamento che il suo autocontrollo cedette. Si vide allo specchio d'ingresso, vedendoci il riflesso di una splendida donna di venticinque anni, dai lunghi capelli castani e gli occhi scuri e profondi, persi in un torbido dolore.

La sua ira esplose; improvvisa, rapida e furiosa. Investì lo specchio con un pugno, seguito da un altro ed un altro ancora. Proseguì a colpirlo fino a quando non si ruppe in centinaia di pezzi sul pavimento, infischiandosene dei tagli che le provocò sulle nocche. Non soddisfatta iniziò ad urlare con tutto il fiato che aveva in gola, con tanta forza da ferirsela. Caricò in quel urlo tutta la rabbia, il disgusto ed il senso di ingiustizia che provava, fino a quando non cadde in ginocchio sul pavimento. Aveva il fiatone, ma dai suoi occhi non scese alcuna lacrima.

Perché...

Sentì l'odio suggerirle una risposta, maligno e viscido come sempre. Era la sua debolezza la colpa di tutto. Il suo essere stata un ninja incapace, vulnerabile e debole.

Sono un rifiuto ormai. Chiuse gli occhi, rivedendo dentro di sé ogni istante del momento in cui Dai le aveva inferto il colpo al petto, ogni secondo in cui il suo futuro era stato spezzato, privandola per sempre di un sogno che covava da tanto tempo.

Si morse un labbro, assaporando il sapore del sangue, colma solo del desiderio di infliggersi del male.

Lee, ti prego... perdonami.

Fu solo quando la sera scese, trovandola nella stessa identica posizione, che la sua forza mentale crollò, portandola ad un pianto furioso e ricolmo di acido rancore.

Perché la sua luce era sparita, e con essa il suo desiderio di una famiglia da proteggere ed amare.

 

 

Quando Rock Lee entrò, il sole faceva capolino dalle finestre, illuminando con la sua pallida luce invernale i resti della furia di Tenten. Quest'ultima si trovava rannicchiata in un angolo del salotto, le gambe strette al petto, i capelli scuri che le coprivano il viso. Nell'avvicinarsi, lo shinobi corrugò la fronte, vedendo sulle braccia della kunoichi brillare malsana la carne viva: si era graffiata fino ad escoriarsi.

“Ten...” Lee si accovacciò davanti alla compagna, incredulo da ciò che vedeva. Quando provò a sfiorarle una mano, ella si ritrasse di scatto, spaventata all'idea di avere ancora un contatto con lui.

“Vattene!”

L'allievo di Gai non si mosse, continuando a fissare con sincera perplessità la fidanzata.

“Ten... cosa è successo?” mormorò. “I vicini dicono che hai urlato tutta la notte.”

“Sono affari miei!”

“Non posso aiutarti?”

“No!”

Cadde un silenzio denso nella stanza, rotto solo dal respiro pesante della donna, ancora scossa dalla sceneggiata della notte prima.

“Ten, non me ne vado senza una spiegazione.” dichiarò con voce seria Lee. “Lo sai.”

La kunoichi si conficcò le unghie nei solchi scavati negli avambracci la notte prima, stringendo la mascella con forza maggiore. Le faceva rabbia ogni cosa in quel momento, anche la dolcezza e la pazienza del suo uomo.

“Non puoi capire.”

“Aiutami allora a farlo.” insistette lui.

“Io...” le mancarono le parole giuste. Una stanchezza tremenda le piombò addosso, facendole desiderare ardentemente un letto e qualcosa che le potesse cancellare i ricordi delle ultime ventiquattro ore.

“Ti prego...” sussurrò con voce roca. “Lasciami sola... per favore.”

Lee le afferrò il volto con una mano, sollevandoglielo ed obbligandola a guardarlo in faccia.

“Dimmi cosa c'è.” ripeté lo shinobi. “Lo sai che ti aiuterò, in qualsiasi situazione.”

Tenten chiuse gli occhi, maledicendo la cocciutaggine del fidanzato. Sapeva che non se ne sarebbe mai andato se prima non gli avesse raccontato ogni cosa. La consapevolezza di dovergli dire che non gli avrebbe mai donato un figlio la tormentava peggio di qualsiasi ferita subita in passato.

“Lee...” deglutì a vuoto, percependo le prime lacrime farsi avanti. Odiava quella situazione, ma soprattutto odiava se stessa per quello che era diventata.

“Non posso avere un bambino.” mormorò infine con voce roca, quasi un sussurro carico di disperazione.

Rock Lee sbatté rapidamente le palpebre, preso in contropiede. Vide negli occhi della kunoichi l'ansia di conoscere la sua reazione a quella notizia, comprendendo che, con ogni probabilità, era spaventata a morte.

“Ne sei sicura?” le chiese infine, con voce gentile.

Lei annuì, asciugandosi le ultime lacrime. Gli parlò della discussione avuta con Sakura, e dei motivi per cui le era quasi impossibile aspettare un figlio. Lo shinobi ascoltò in silenzio, senza dire nulla, il volto inespressivo.

“Non sai quanto avrei voluto averne uno.” bisbigliò infine la mora, mordendosi il labbro inferiore, gli occhi fissi sul pavimento. “Vedevo le altre partorire, osservavo i loro volti risplendere di gioia, chiedendomi se un giorno anch'io avrei avuto questa possibilità.” le si incrinò la voce, il dolore ancora troppo recente per essere respinto efficacemente. “Ora so che era solo una vana chimera.”

“Ten...” la voce di Lee era adulta, profonda, con una tonalità che ricordò moltissimo alla kunoichi Gai-Sensei. “Lo desideri così tanto un figlio?”

“Che razza di domanda è?!” ribatté subito, alzando di scatto il viso, contorto in un'espressione rabbiosa. “Certo che lo vorrei, ma non posso! E questo solo perché sono una debole, che non è capace di badare a se stessa!”

“Sai bene che non è vero.” l'uomo le afferrò una mano, stringendola tra le sue. “Ten... devi sottoporti all'inseminazione assistita.” la guardò negli occhi, dimostrandole che non scherzava. “Avremo il nostro bambino, dobbiamo solo crederci!”

“Non hai sentito cosa ti ho detto?” replicò Tenten. “Ho meno del cinquanta percento di possibilità di portare a termine una gravidanza in questo modo, per non parlare che rischierei anche la mia vita.”

“Questo non è lo spirito di una donna che vuole diventare madre!” ora la voce del guerriero divenne dura, sorprendendola: Lee non era mai comportato in quel modo con lei.

“Nella vita ho imparato che le cose a cui teniamo di più non si ottengono mai con facilità. Quando... ho subito l'operazione alla schiena mi dicevano le stesse cose che hai appena detto!” spalancò gli occhi, incredula da ciò che sentiva. Non aveva mai udito parlare Lee di quando si era operato alla spina dorsale in giovane età, quella era in assoluto la prima volta. “Anche io allora ero disperato, e non desideravo altro che arrendermi, ma poi Gai-Sensei mi ha ricordato che se non avessi messo in gioco la mia vita per le cose a cui tenevo, avrei subito un destino peggiore della morte.” strinse la mano della donna con maggiore forza, gli occhi che brillavano di ferrea determinazione. “Se desideri veramente diventare genitore, allora devi lottare, e crederci! Io sarò al tuo fianco dall'inizio alla fine di questa storia, e se le cose dovessero andare storte... allora morirò assieme a te.”

Crederci. Le sarebbe piaciuto farlo, con tutta se stessa. Tenten vedeva le parole del fidanzato come una fune dorata, una via di fuga da un baratro di depressione e rancore. Eppure, una parte di lei si chiese se fosse veramente giusto fare così, se rischiare la propria vita per un sogno nato da poco fosse un sacrificio 'corretto'.

Lo desidero davvero? Voleva veramente diventare madre? Passare nove mesi con squilibri ormonali, perdere definitivamente il proprio aspetto giovanile e prendersi un impegno a tempo pieno per i successivi vent'anni?

La sua mente venne invasa dai ricordi d'infanzia. Un periodo duro, privo di genitori. Un'orfana che si era fatta strada lottando e faticando. Una ragazzina che, a volte, avrebbe desiderato con tutto il cuore un abbraccio materno, un supporto o una semplice parola d'incoraggiamento.

Lee... guardò negli occhi il compagno, vedendoci quello che si aspettava: anche lui era cresciuto da solo, lottando e faticando, subendo i pregiudizi della gente e dei coetanei, senza nessun supporto. Aveva dovuto attendere i dodici anni per vedere qualcuno iniziare a credere in lui, proprio come era accaduto alla kunoichi.

Ed ora Lee credeva in lei, nella sua forza di volontà, nel suo desiderio di diventare un ottimo genitore, il migliore del mondo.

Lui ha fiducia in me, ci crede. Deglutì, sentendo il freddo dentro il suo petto sparire lentamente, lasciando spazio ad un meraviglioso tepore, memoria di tutte le loro notti passate assieme ad amoreggiare.

“Lee...” sussurrò infine con un filo di voce. “Grazie.” sciolse la stretta sulle gambe, permettendogli di abbracciarla, appoggiando il volto sul petto del suo uomo. “Faremo questa cosa insieme, vero?”

Rock Lee appoggiò la fronte su quella della kunoichi, sorridendole con tutta la forza ereditata da Maito Gai.

“Sì.” rispose. “Lo affronteremo insieme, come una vera famiglia.”

Una famiglia. Quelle due parole ebbero l'effetto di trasformare il tepore dentro il petto di Tenten in un vero e proprio uragano, capace di sciogliere ogni residuo di rabbia, dolore e disperazione dentro di lei. Aveva ancora paura, ma finché aveva al suo fianco Lee, sapeva che avrebbe superato ogni cosa. Anche una gravidanza quasi impossibile.

“Ti amo.” vedere il volto di Lee imporporarsi innanzi a quell'affermazione la fece sorridere. Era una sensazione stupenda. Non credeva che sarebbe riuscita a sorridere di nuovo, ma lui ci era riuscito. L'aveva salvata, ancora una volta.

“Ten... io...” lo zittì con un bacio rapido, sull'angolo sinistro della bocca, sentendosi tremendamente bene, una sensazione fragile, ma capace di tenerla fuori dalla depressione.

“Procurati un film di lotta e una pizza gigante.” sussurrò la mora. “Oggi ho bisogno di essere consolata.”

“D-d'accordo.”

“Allora muoviti!” lo rimproverò mezza seria la kunoichi, osservandolo scattare fuori dal suo appartamento.

Era strano. Aveva passato una notte d'inferno, forse solo seconda a quella in cui aveva visto morire Neji, eppure ora stava sorridendo, pronta ad affrontare quell'ennesima difficoltà della vita. Ed era solo merito di un uomo che vestiva tute verdi ridicoli, portava un taglio di capelli inquietante ed era un maniaco del fitness.

Era decisamente l'uomo della sua vita.

Te l'ho prometto, Lee. Avremo una famiglia tutta nostra, e diventeremo due genitori magnifici.

Sapeva che era una promessa difficile.

Ma a lei le sfide difficili erano sempre piaciute, proprio come a Lee.

 

 

Ombre scure lo circondarono, soffocandolo, svuotandogli i polmoni. Frammenti del suo passato lo investirono con la forza di un fiume in piena, sommergendolo. Osservò il volto insanguinato di Kushina dirgli addio piangendo, il sorriso sporco di sangue di Jiraiya-Sensei un istante prima di morire, lo sguardo priva di vita di Neji, le lacrime di Sakura, gli occhi ricolmi di odio di Sasuke, ma sopra ogni cosa c'era lei, il suo ricordo più fresco.

Deglutì a vuoto, guardando lacrime cremisi uscire da quegli occhi cerulei, iridi che aveva imparato a conoscere in ogni dettaglio. Provò a sfiorarne il viso, ma il terreno sotto di lui svanì, facendolo precipitare in un baratro senza fine, ricolmo di disperazione e di odio. Provò ad urlare, solo per scoprire di avere la bocca ricolma di sangue, capace di stomacarlo come non mai. Cadeva sempre più in basso, rapido, incapace di vedere alcuna luce attorno a sé, alcuna speranza, inerme di fronte al dolore del suo passato.

E poi toccò terra.

Non capì subito dove era finito. Era sdraiato su un terreno bianco, di una lucentezza abbagliante. La cosa che più lo sorprese fu di sentirsi bene. Era comodo stare in quel posto. Un luogo pacifico e caldo, che lo rese leggero, libero da tutto ciò che lo opprimeva da anni.

Si mise a sedere, scoprendo di essere dentro una specie di cupola bianca, splendente e luminosa, circondata da un'oscurità malevola ed avvolgente. Ombre nere sbattevano contro le pareti, nel vano tentativo di penetrare, di corrompere anche quel luogo.

Dove sono?” mormorò. Si accorse solo in quell'istante di indossare i propri abiti da combattimento, il coprifronte che splendeva sulla fronte nell'abbagliante luce che illuminava il luogo.

In un posto sicuro.”

Udire quella voce gli gelò il sangue nelle vene. Si voltò lentamente, un velo di sudore freddo a ricoprirgli la schiena, incapace di comprendere come fosse possibile.

Seduta davanti a lui, impegnata a lucidare la propria ascia, c'era Himawari. Indossava i soliti abiti da uomo, ma sulla fronte c'era un lucente coprifronte con su inciso il simbolo della Foglia.

Naruto!” esclamò sorridente la kunoichi bionda, le iridi cerulee pacifiche e ricolme di gioia. “E' bello rivederti!”

Wari?!” balbettò lo shinobi, ancora impossibilitato a capire cosa stesse accadendo. “Ma come...”

Cosa c'è?” il sorriso della donna divenne più marcato. “Non sei contento di vedermi?”

Tu sei morta!” Naruto non riusciva a darsi pace. Rincontrarla così felice e sorridente era assurdo dopo quello che era successo tra di loro. “Sono stato io ad ucciderti!”

Hai ragione.” ammise Himawari. “Io sono morta per mano tua.”

Ma...” un pensiero orrendo lo colpì come una secchiata d'acqua gelida. “Sono morto anch'io?”

Tu?” la Nukenin scoppiò a ridere, aumentando la confusione nella testa del Jinchuuriki.

Si può sapere perché stai ridendo?”

Scusami.” lentamente, la donna riprese un contegno, senza smettere però di sorridere. “Ma il fatto è che se siamo in questo luogo è proprio perché tu sei vivo.”

Continuo a non capire.”

Proprio non ci riesci?” con uno sbuffo, Himawari si avvicinò allo shinobi, toccandogli il petto. “Questo posto è il motivo per cui sei diventato ciò che sei.” il suo sorriso divenne più ampio. “E' il tuo cuore.”

L'Uzumaki sbatté le palpebre, ancora confuso nonostante quella risposta. Deciso a sorvolare per il momento, rivolse le sue attenzioni alle ombre che premevano furiose fuori dalla barriera.

Se questo è il mio... cuore, loro cosa sono?”

La kunoichi sospirò, il sorriso leggermente incrinato. Sembrava triste nel dover affrontare quel discorso.

Sono qualcosa che può ferirti profondamente.” dichiarò infine. “Il tuo passato, Naruto.” la sua espressione divenne seria, quasi stesse soffrendo. “A volte il passato diventa un nemico dal quale non ci si può nascondere.”

Naruto deglutì. Ricordava perfettamente la sensazione di gelo e di soffocamento che aveva provato poco prima. Si chiese se sarebbe stato così per sempre. Se il suo passato l'avrebbe perseguitato fino alla fine dei suoi giorni.

A cosa pensi?” trasalì nel sentire la mano di lei sopra la sua protesi. Era quasi a disagio nel percepire quella carne calda e liscia dopo che l'aveva vista morire sotto i suoi occhi.

Sto pensando se... esista un modo per andare avanti.” mormorò. “Se qualcuno possa veramente lasciarsi alle spalle il proprio passato.”

Himawari non disse nulla. Guardò corrucciata oltre la barriera, gli occhi persi in memorie lontane, ma non troppo dissimili da quelle dello shinobi.

Non lo so.” la sua voce divenne un sussurro portato dal vento. “Io non sono mai riuscita a farlo.” l'ombra di un sorriso tornò ad illuminarle il volto. “Ma ho fiducia in te.”

Io?!” Naruto scosse la testa, demoralizzato dagli ultimi avvenimenti. “Ti sbagli. Se c'è qualcuno che non riesce a superare il passato, quello sono io.”

Naruto...” la donna lo guardò dritto negli occhi, infondendogli uno strano calore, facendogli scomparire ogni dubbio. “Abbiamo avuto entrambi infanzie difficili, ma tu non ti sei mai arreso. Hai sempre lottato e creduto di poter cambiare il tuo destino.” mostrò la cupola con una mano, la luce bianca che li circondava come una calda e morbida coperta. “E' stato il tuo cuore a permetterti di vincere contro il tuo passato. Devi fidarti di lui, come hai fatto una volta.”

L'uomo si passò una mano tra i capelli, sospirando.

Io ti ho uccisa.” mormorò. “Ho tradito tutti voi, e permesso che moriste, come il vostro sogno.”

No, ti sbagli.” ribatté con voce dolce la kunoichi. “Tu mi hai salvato un'infinità di volte.” sorrise, iniziando ad accarezzargli il viso. “Mi hai insegnato che bisogna sempre credere in se stessi, che per raggiungere i propri sogni bisogna essere pronti a dare ogni cosa, anche la propria vita.” asciugò una lacrima dal volto dell'uomo con il pollice, fissandolo con affetto. “Grazie a te ho potuto incontrare e conoscere tantissime persone meravigliose, con le quali ho costruito il mio sogno.” la sua voce si abbassò, tornando ad essere un fievole sospiro. “Mi hai permesso di vivere la mia vita in modo fantastico, fino alla fine, e per questo non posso che dirti grazie.” lo baciò sulla fronte, sentendolo scosso da singhiozzi ricolmi di tristezza. “Grazie per tutto.”

Naruto l'abbracciò di scatto, le lacrime che avevano iniziato ad uscire di getto, quasi improvvise. Sentire Himawari ringraziarlo fu per lui qualcosa di tremendamente bello. Mesi passati a sognarla, sentendola accusarlo di essere un assassino l'avevano segnato nel profondo, inculcandogli che fosse solo uno sporco traditore; ma lei ora l'aveva ringraziato e tutto aveva acquisito una nuova, meravigliosa prospettiva.

Wari...” si staccò, vedendola sorridere. “Io...”

Lei lo zittì con un dito sulle labbra, gli occhi azzurri ripieni di una pace ultraterrena.

Hai fatto molto per me.” si alzò, il sorriso ora incrinato in un'espressione di pacata rassegnazione. “Ora tocca a me fare qualcosa per te.”

Cosa vuoi fare?” gli chiese subito Naruto, alzandosi di scatto. Non voleva che se ne andasse, non ora che si erano finalmente rivisti.

Ti aiuterò a sconfiggere il passato.” la sua voce divenne distante, come se stesse andando via da quel luogo. “Proteggi sempre il nostro popolo.” sussurrò. “Proprio come io farò con te.”

Wari... no!” provò ad afferrarla, ma si accorse di non riuscire a muoversi come voleva. Sentiva le membra pesanti, come se indossasse vestiti ripieni di piombo. “Non osare...”

Himawari iniziò ad allontanarsi verso il bordo della barriera, dove le ombre oscure si agitavano, più furiose che mai.

Non provare compassione per i morti, Naruto.” dichiarò, voltandosi a sorridergli per l'ultima volta. “Provala per i vivi, per coloro che soffrono. Solo così potrai diventare un vero Hokage.”

Wari...” non disse più nulla, comprendendo che niente l'avrebbe trattenuta ancora.

Himawari gli strizzò l'occhio, il sorriso di prima nuovamente al suo posto. Si mise l'ascia in spalla, oltrepassando con fare sicuro la barriera, immergendosi nelle tenebre dell'anima del Jinchuuriki. Per un istante sembrò venire inghiottita da esse, ma poi un lampo accecante di luce bianca le dissolse con rapidità irrisoria, permettendo ad un calore meraviglioso di invadergli il corpo, donandogli una sensazione di benessere.

Wari... cosa?”

Vai...” la sua voce gli giunse fievole, nulla più che un dolce eco. “Vai e vivi... anche per me.”

La luce lo sommerse, immergendolo in un liquido caldo e piacevole. Chiuse gli occhi, immergendosi in esso, sentendo che fosse la cosa giusta da fare. Sprofondò sempre più in esso, fino a quando non comprese di aver raggiunto la vera pace, di essere stato veramente capace di vincere il proprio passato, ancora una volta.

Vivi, Naruto.”

Vivi...”

 

 

Aprì gli occhi, osservando il soffitto sopra di sé. Percepiva il cuore pompare placido, mentre un profondo senso di benessere aveva preso possesso di lui. Fuori dalla stanza, poteva scorgere il freddo sole invernale illuminare il cielo plumbeo.

Cosa diavolo... si alzò lentamente, la mente confusa dai frammenti dell'ultimo sogno. Sentiva che riguardava Himawari, ma non aveva una spiegazione vera per quella sensazione.

Si stropicciò gli occhi, trattenendo a stento uno sbadiglio. Fece per alzarsi quando si accorse di avere qualcosa stretto nella protesi: un coprifronte di Konoha.

Lentamente, Naruto volse lo sguardo verso il proprio comodino, dove capeggiava luccicante il suo vecchio coprifronte.

Non è possibile... spalancò gli occhi, la mente invasa dai ricordi del sogno della notte precedente.

Aveva capito a chi apparteneva il coprifronte che teneva in mano.

Wari... si accorse di avere gli occhi lucidi e non si nascose, sollevato dal comprendere che tutto quello che aveva vissuto la notte prima aveva un fondo di verità, la possibilità che Himawari non lo considerasse solo un traditore assassino era reale, davanti a lui. Una verità che poteva toccare con mano.

Non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto questo. Un sorriso nacque sulle sue labbra, mentre la pace che lo pervadeva gli rischiarò la mente come un fresco vento primaverile. Era come se il suo cuore si fosse liberato di un peso, di un tremendo macigno che per troppo tempo l'aveva schiacciato tra il rimorso e la disperazione.

Aprì il cassetto del comodino. Dentro erano riposti un coprifronte scheggiato della Pioggia, un sacchetto di pelle mezzo vuoto ed una sacca nera con su disegnato un infantile gattino rosso. Trattenendo a stento un singhiozzo, il Jinchuuriki sfiorò il suo unico ricordo di Kiyoko, sentendone la mancanza. Per un attimo fu tentato di tirarlo fuori e perdersi nei loro ricordi assieme ma si trattenne, afferrando invece il coprifronte della Pioggia.

Aveva finalmente capito cosa doveva fare.

“Buongiorno!” Hinata si voltò di scatto, osservando il marito arrivare in cucina fischiettando un motivetto allegro e prendere in braccio il figlio, il quale aveva appena finito di spalmarsi la colazione in faccia.

“Buongiorno a te, Naruto-kun.” rispose, sorpresa da quel buonumore così genuino, diverso dal solito sorriso posticcio con il quale l'Uzumaki affrontava la mattina. “Stai bene?”

“Bene? Benissimo!” esclamò il biondo. Con due rapide falcate, il giovane uomo si portò alle spalle della Hyuga, leccandole il lobo destro con evidente lussuria.

“Naruto-kun!” la donna divenne rossa per l'imbarazzo. “Non davanti a Boruto-chan!”

“L'hai sentita, Boruto?” Naruto fece un'espressione comicamente triste, rivolgendosi al figlio, il quale lo fissava con un sorriso infantile sul volto paffuto. “Dice che non vuole mostrarmi il suo amore davanti a te! Può esistere una madre più crudele?”

“Smettila!” esclamò Hinata, tra il serio e il divertito. “E comincia a mangiare la tua colazione, che sennò farai tardi al lavoro anche oggi.”

Dieci minuti dopo, dopo aver salutato il figlio e la moglie con un gigantesco bacio ciascuno, Naruto uscì di casa a passò rapido, un sorriso immenso ad illuminargli il viso. Sentiva il corpo ribollire di energia positiva, come non gli capitava da anni. Si fece strada tra la neve con rapide falcate, il viso avvolto tra nuvolette di condensa. Aveva una cosa da fare prima di andare a lavoro, qualcosa che non poteva assolutamente rimandare.

Ne è passato di tempo, eh? Ero-Sennin...

La vide da lontano, stagliarsi nitida tra il manto nevoso. Nonostante fossero passati diversi mesi dall'ultima sua visita, si accorse che la lapide del suo maestro era lucida come sempre, con una bottiglia di saké mezza vuota in offerta. Sorrise: era contento che Tsunade-baachan non si dimenticasse mai di lui.

“Non dovresti essere in ufficio?” la sentì farsi avanti tra la neve con la sua inconfondibile falcata. Era un passo duro, rapido, secco, tipico di una persona sicura di sé.

“E lei non dovrebbe essere in ospedale?” replicò senza voltarsi, il sorriso di prima ancora al suo posto.

“Ora che Sakura è tornata, posso riprendere il mio ruolo di Hokage in pensione.” Tsunade si affiancò allo shinobi biondo, le iridi dorate perse sulla lapide del suo migliore amico. “Era da un po' che non venivi a trovarlo.”

“Ho avuto altri pensieri.” si giustificò il Jinchuuriki, ascoltando il silenzio profondo che lo circondava. Non era sicuro che al suo Sensei sarebbe piaciuto quel posto. Probabilmente Jiraiya avrebbe preferito una lapide dentro ad un bordello, ma era comunque un luogo meraviglioso, perfetto per chi agognava solo la compagnia dei propri pensieri.

“E come mai ora sei qui?” il Quinto si sedette, tirando fuori una bottiglia di liquore nuova, e scolandosi con due rapidi sorsi quella vecchia.

“Non male.” sospirò soddisfatta. “Mi ci voleva una bevuta per svegliarmi del tutto.” riportò lo sguardo su Naruto, il quale era impegnato a posizionare due coprifronte sulla lapide: uno raffigurante il simbolo di Konoha, l'altro il segno, scheggiato, del Villaggio della Pioggia.

“Li ho dimenticati.” la bionda sorrise, osservandolo mettersi le mani in tasca.

“Sai, non ho mai avuto modo di dirtelo prima.” la kunoichi stappò la bottiglia nuova, ingollandone un sorso. “Ma sono molto fiera di te, Naruto.”

Non rispose, le iridi cerulee perse su tutto ciò che restava del suo Sensei su quella terra. Nonostante sapesse che non fosse proprio il posto giusto, non riusciva a smettere di sorridere. Quella sensazione di benessere e pace che provava dentro di sé era qualcosa di difficile da spiegare; non avrebbe mai dimenticato Himawari, Kiyoko e tutti i loro compagni, ma ora sentiva di aver vinto la sua battaglia contro il proprio passato, ancora una volta.

Era pronto ad afferrare e vivere il proprio presente ed il suo futuro.

“Himawari.” esclamò, colto da un improvviso pensiero.

“Come?”

“Himawari.” ripeté, osservando divertito la perplessità sul volto della donna. “E' un bel nome, non trova?”

L'ex-Hokage non disse nulla, fissandolo come se fosse diventato pazzo, ma al Jinchuuriki non importava. Era troppo di buon umore per lasciarsi intaccare da quello sguardo.

“Ci si vede, Baa-chan.” si girò, pronto ad andare a lavoro. Lo aspettava una giornata dura, ma il pensiero di Hinata e Boruto lo rendevano impaziente; non vedeva l'ora di riabbracciarli, quando sarebbe tornato finalmente a casa.

Siamo allegri stamattina.”

Ho fatto una bella dormita.” squadrò il Bijuu con un'occhiata divertita. “Ma immagino che la cosa non ti interessi minimamente, giusto?”

A volte non sei scemo come sembri.”

Detto da te è proprio un grande complimento, potrei commuovermi.”

Ho detto a volte.” borbottò Kurama, sbadigliando vistosamente, stiracchiandosi le zampe anteriori. “E comunque era ora che la smettessi di frignare la notte! Non ti sopportavo più!”

Immagino.” si avvicinò all'amico, iniziando a grattargli il pelo sotto il mento. “Potrai mai perdonarmi?”

Giuro che se non la smetti ti sbrano seduta stante.” lo shinobi ridacchiò, senza smettere di coccolare il demone: sapeva che se si fosse interrotto, Kurama si sarebbe irritato ancora di più.

Se vuoi dopo facciamo una partita a Morra Cinese.” propose, spostando le dita sotto l'osso della mandibola, sapendo che quel punto era il suo preferito.

D'accordo.” il Kyubi socchiuse gli occhi, godendosi il massaggio dell'amico. “Ma solo perché ultimamente mi sto annoiando, è chiaro?!” ringhiò sottovoce, facendo tremare le ossa del biondo con il rombo della sua voce cavernosa.

Ricevuto!” si era dimenticato di quanto potesse essere bello stuzzicare Kurama, l'ennesima cosa della sua vita che voleva recuperare. “Non lo dirò a nessuno, promesso!”

Prima o poi ti sbranerò, lo giuro.”

Nel frattempo, seduta nella radura innevata, il Quinto Hokage fissava la lapide del suo vecchio compare, gli occhi ambrati illuminati da una luce divertita.

“Chi l'avrebbe mai detto.” mormorò Tsunade, un ghigno sul volto giovanile. “Il tuo pivello è diventato un uomo, Jiraiya.”

Ingollò un nuovo sorso.

Aveva decisamente voglia di una sbronza allegra.

 

 

Con un boato, Tenten entrò come una furia nell'ufficio di Sakura, facendo prendere a quest'ultima una sincope.

“Cosa diavolo...”

“Voglio fare l'inseminazione assistita!” esclamò tutto di un fiato la kunoichi mora. “E prima che me lo ricordi: so benissimo che è rischioso, ma io voglio diventare madre e lo diventerò, punto.” inarcò il sopracciglio sinistro, incrociando le braccia, un'aria di minacciosa sicurezza sul volto. “Ci sono domande?”

Presa in contropiede, l'Haruno non poté far altro che sbattere gli occhi per un paio di secondi, per poi dispiegare le labbra in un sorriso dolce.

“No.” rispose con voce morbida. “Nessuna domanda.”

“Ti prendo subito un appuntamento con il miglior ginecologo dell'ospedale. Presentati qui da noi tra un paio di giorni.” la Sannin fu rapida a riprendere il controllo delle proprie emozioni, scrivendo un rapido fogliettino e dandolo all'amica. “Se sarai fortunata, potresti subire l'intervento già tra qualche settimana.”

“Qualche settimana?” un sorriso illuminò il viso della kunoichi mora. “Ed ora chi lo dice a Lee che bisognerà aspettare così tanto? Non vedeva l'ora di iniziare!”

“Sei... sicura di volerlo fare?” si azzardò a chiedere la rosa. “Dopotutto, qui c'è in gioco la tua vita.”

“Lo so.” il sorriso di Tenten divenne, se possibile, più ampio. “Ma è giusto così. Dopotutto, bisogna sapersi mettere in gioco per le cose veramente importanti, no?”

Sakura non rispose subito, il pensiero che andò a quando decise di rintracciare il proprio uomo ad ogni costo, fermamente convinta che Sasuke avrebbe visto sua figlia al momento della nascita. Era stata una vera e propria follia: mettersi in viaggio, incinta di tre mesi, in una nazione martoriata dalla guerra civile; ma quando c'erano in mezzo cose troppo importanti, ogni sacrificio diventava ragionevole, anche la propria vita.

“Già.” mormorò infine. “Hai perfettamente ragione.”

Tenten fece per andarsene, quando si fermò di colpo, voltandosi e mostrando il pollice all'insù, proprio come faceva sempre Gai-Sensei.

“Ci riuscirò, vedrai!” esclamò. “E comunque in questi mesi esigo di fare da babysitter a Sarada. Ho bisogno di fare esperienza.”

“Accordato!” rispose subito l'Haruno, sollevata nell'aver trovato qualcuno che si occupasse della figlia a costo zero. “Presentati stasera allora, stanotte ho un altro turno, purtroppo.”

“Contaci!” Tenten uscì dall'ufficio dell'amica a passo leggero, come non le capitava da tanto tempo. Una volta in corridoio, vide il volto del compagno fissarla con apprensione.

“Allora?”

“Mi dispiace, Lee.” rispose con voce fintamente dispiaciuta la kunoichi. “Dovremo aspettare qualche settimana per l'intervento.”

“Ma quindi è sicuro che te lo faranno? E come sarà? Sarà Sakura a fartelo? io...” Tenten interruppe quel flusso di domande baciandolo sulle labbra, stringendogli la mano destra.

“Ti racconto per strada, curioso.” mormorò infine. “Dobbiamo andare da Gai-Sensei a chiedergli di fare da padrino, ricordi?”

“Hai perfettamente ragione! Come ho potuto dimenticarmene, Gai-Sensei non me lo perdonerà mai! Ho deciso: una volta da Gai-Sensei farò diecimila piegamenti per penitenza, anzi no ventimila!”

Tenten non replicò all'ennesima strampalata decisione del fidanzato. Era troppo felice per iniziare una discussione che sapeva di perdere in partenza. Si sentiva libera da un peso, quasi camminasse a qualche centimetro da terra. Aveva fatto la sua scelta, e non sarebbe mai più tornata indietro. Lei e Lee avrebbero affrontato quella sfida insieme, come una vera coppia, ed avevano tutte le intenzioni di uscirne vittoriosi.

Forse fu l'euforia del momento, la consapevolezza di stare per costruirsi una vera famiglia dopo tanto tempo, ma la donna si rese improvvisamente conto di una cosa: era la prima volta dopo troppi anni che si sentiva veramente bene, felice, libera da qualsiasi peso o macigno. I demoni della morte di Neji o della sua incapacità di avere bambini sembravano solo un lontano ricordo, un brutto sogno che ormai non poteva più nuocerla in alcun modo.

Ho sconfitto il mio passato.

E fu con quella consapevolezza che Tenten uscì mano nella mano con Rock Lee dall'ospedale, mettendosi per sempre il passato alle spalle, imboccando assieme al compagno un nuovo percorso. Era una strada dura e difficile, lo sapevano entrambi, ma la cosa non li turbava affatto.

Perché loro erano shinobi di Konoha.

E agli shinobi di Konoha le sfide facili non piacevano affatto.

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

Bene, eccoci arrivati al capitolo numero 20!

Riguardo il capitolo non dirò molto (a parte che Tenten faccio veramente fatica a descriverla, cavolo!), ma ho un piccolo annuncio: stiamo per arrivare alla fine della prima parte di questa raccolta, che dovrebbe essere tra uno al massimo due capitoli. Nella seconda parte i personaggi in gioco saranno molti di più (anche qualcuno che finora è apparso molto poco) e avrà salti temporali più ampi e frequenti. Insomma, sarà una seconda parte più veloce e, spero, anche avvincente. In ogni caso, manca ancora un pochino prima di questo, ma ho preferito avvisare.

Anche questo capitolo è finito. Come sempre ringrazio chiunque legga o segua questa storia e ricordo che qualunque recensione o critica sono ben accette.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 21
*** Empatia ***




Angolo dell'Autore:

 

ATTENZIONE! Leggere attentamente le prossime righe prima di cimentarsi nella lettura del capitolo, grazie!

Dunque, con questo capitolo ha ufficialmente termine la prima parte di questa raccolta. Cosa cambierà con l'inizio della seconda parte? Beh, diciamo che gli argomenti trattati saranno differenti. In questi 21 capitoli ho tentato, pur romanzando ampiamente qua e là, di descrivere i principali momenti di una coppia agli inizi: la prima volta, la dichiarazione di matrimonio, le paure di non essere buoni genitori, la fiducia reciproca, ecc... Nella seconda parte, oltre a prendere in considerazione anche altri personaggi che finora sono rimasti in disparte, parlerò di temi che vanno a toccare coppie ormai fatte e finite, che hanno relazioni che vanno avanti da molti anni.

Perché sto dicendo tutto questo? Beh... non sapevo che soggetto usare per concludere questa prima parte. Alla fine, dopo molti tentennamenti, ho scelto di dare spazio a l'unica coppia che finora ho ignorato: Kiba e Tamaki (Sì, lo so. Esistono anche Choji con Karui, che sono adorabili, ma prometto che anche loro avranno i loro spazi in futuro).

Ora, è bene che sappiate però una cosa: io odio Kiba Inuzuka, anche se forse dovrei specificare meglio. Odio come Kishimoto ha sviluppato il personaggio di Kiba.

Sinceramente, all'inizio aveva un casino di potenzialità: era il rivale del protagonista, di Naruto! Si poteva sviluppare una sotto trama interessantissima, con Kiba che matura e decide di mettersi in gioco perché riconosce la forza crescente di Naruto. Sarebbe stata una cosa stra figa vedere una duplice rivalità nel protagonista, diviso tra quella con Sasuke e quella con Kiba, senza contare che un ninja che usa gli animali per combattere era un personaggio perfetto per ideare tecniche di lotta assurde e interessanti. Invece Kishimoto ha reso Kiba una specie di pupazzo, un bamboccio che dice stupidaggini senza che nessuno gli dia retta. Sinceramente, ho odiato vedere un simile potenziale ridotto a una macchietta, anche se bisogna dire che non è stato l'unico personaggio con potenziale ad essere buttato nel dimenticatoio (Shino, Neji, ecc...).

Ma vogliamo parlare di come viene narrata la sua 'love story' con Tamaki? Tralasciando che metterlo assieme ad un personaggio comparso per dieci minuti circa trecento numeri prima suona molto ridicolo, e sorvoliamo anche sul fatto che nel manga praticamente non ci viene detto una beata ceppa su di loro (Come si sono incontrati? Come hanno copulato? Perché l'hanno fatto? Kishimoto dacci delle risposte!), onestamente speravo che almeno nell'anime avrebbero reso loro giustizia. Invece usano un espediente, oltre che ridicolo, che usava la Disney per i suoi film sessant'anni fa! (sessant'anni... SESSANTA ANNI!), roba che non volevo crederci da quanto era orrendo.

Quindi... eccoci tornati a questo capitolo. Vedrete un Kiba fedele al manga? Beh... forse. Diciamo che ho preso il Kiba dell'inizio e ci ho lavorato su, regalandogli anche un passato ed un rapporto con la propria famiglia. Naruto e Hinata sono citati solo indirettamente questa volta, e se state per chiedervi 'Ma non dovrebbero essere i protagonisti assoluti di questa raccolta?' vi consiglio di andarvi a rileggere le note riassuntive, dove spiego bene che è mia intenzione dare un giusto spazio a tutte le coppie, anche quelle trattate a pesci in faccia.

Bene, questo è tutto! Scusatemi per queste note chilometriche, ma ho preferito spiegare tutto qui, invece di creare confusione a voi lettori. Come sempre ringrazio chiunque legga o segue questa raccolta e ricordo che qualsiasi recensione (positiva o critica) è ben accetta.

E ora non mi resta che augurarvi buona lettura!

Un saluto!

Giambo

 

 

The Biggest Challenge

15pjpko

 

Empatia

 

 

Hinata, vuoi sposarmi?”

Tre parole. Tre semplici parole capaci però di aprire una voragine dentro di lui.

Vide Hinata spalancare gli occhi, quei magnifici occhi chiari che aveva imparato ad amare tempo addietro. Osservò le labbra carnose socchiudersi per la sorpresa, il naso tremare impercettibilmente. Ogni reazione di lei non gli era sconosciuta, o ignota, perché la conosceva come forse nessun altro al mondo. Non la sua famiglia, non i suoi amici e neanche quel ragazzo biondo dal sorriso caldo ed allegro che aspettava trepidante una risposta in ginocchio. Nessuno poteva conoscerla come lui, che aveva condiviso ogni singolo momento degli ultimi dodici anni al suo fianco.

E forse fu proprio questo che gli fece male. Sapeva la risposta, ma ciò non bastò a lederne il dolore.

Sì, Naruto-kun.” mormorò Hinata, sorridendo con dolcezza. “Sarei felice di diventare tua moglie.”

Gli applausi riempirono il salone di villa Hyuga, riempito a festa per il compleanno della kunoichi, ma lui non fece nulla. Rimase fermo, immobile, a fissare Naruto alzarsi di scatto e baciarla. Si rese conto che sembravano veramente felici. Una felicità semplice, spontanea, carica dell'entusiasmo di chi arde della passione e scopre di essere ricambiato. Un destino che non lo riguardava, non più.

E fu lì, osservando i due promessi sposi risplendere di gioia, attorniati da altre coppie, composte dai loro amici di una vita, che Kiba venne colpito da un pensiero tremendo, pari ad una secchiata di acqua gelata.

Avrei dovuto essere io.”

 

 

Aprì lentamente gli occhi, il soffitto della vecchia camera che lo accolse in tutta la sua familiarità. Sentì affianco al letto il corpo caldo di Akamaru contrarsi, entusiasta della nuova giornata. Un sentimento che non riusciva proprio a condividere, non dopo quello che aveva sognato.

Hinata...

Si passò una mano tra i capelli, arruffandoli ulteriormente, alzandosi di scatto, desideroso solo di una doccia fredda, in modo da non dover più pensare alla sua vecchia compagna. Rimase sotto il getto gelato per oltre dieci minuti, infischiandosene che fossero solo i primi di febbraio. Nonostante fosse passato più di un anno da quell'evento, a volte gli era davvero difficile non pensarci.

Perché?

Quando entrò in cucina, sua madre non lo degnò di un'occhiata, limitandosi a emettere un grugnito a mo' di saluto. Kiba non ci fece caso, mangiando un paio di bocconi giusto per evitare discussioni: ogni volta che faceva quel sogno gli si chiudeva lo stomaco per ore.

“Io esco.” dichiarò una volta mangiato ciò che gli parve una razione sufficiente per blandire la genitrice. “Vado a fare due passi.”

“Ti sei accorto che fuori diluvia, non è vero?” esordì Tsume, squadrandolo con un'occhiata dura.

“Sì.” fu la laconica risposta dello shinobi. “Ma ho comunque voglia di uscire.”

La kunoichi si limitò a sbuffare, scuotendo la testa.

“Cerca di non conciarti come un randagio. Stanotte c'è la riunione del clan.” Kiba si bloccò di colpo, come se qualcuno l'avesse colpito ai reni con un pugno. “Sai bene quanto sia importante per tua sorella.”

Strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, gli occhi rivolti innanzi a sé, quasi vitrei, come se temesse di mostrare ciò che gli ribolliva nell'animo.

“Lo so.”

Uscì di casa quasi di scatto, sollevato nonostante la violenta pioggia che batteva incessantemente. Akamaru provò a seguirlo, ma con un gesto rapido lo shinobi lo rispedì a casa: non voleva che nessuno lo guardasse in faccia in quel momento, neanche il suo migliore amico.

Hana...

Non aveva mai avuto un rapporto fraterno con sua sorella, considerando che aveva sei anni più di lui. Anche se aveva ricordi di lei che lo accudiva da piccolo, con il passare degli anni Hana aveva assunto sempre più le sembianze di una figura fredda, distante ed irraggiungibile. Grande kunoichi, impareggiabile veterinaria, a capo di una squadra di tre cani lupo, i fratelli Haimaru, sua sorella era sempre stata un paragone scomodo, un traguardo che non avrebbe mai potuto raggiungere o superare.

A volte vorrei che non fossimo mai cresciuti.

Proseguì a gironzolare per le strade semi deserte del villaggio, noncurante della pioggia gelida che scendeva furiosamente. Lo capì dopo un po' dove i suoi piedi lo stessero guidando. Era un percorso che sempre più spesso faceva di nascosto, temendo di farsi scoprire a rimirare il suo più grande rimpianto, forse l'unica cosa che gli bruciava maggiormente della superiorità di sua sorella.

I piedi affondarono in una pozzanghera ghiacciata quando infine fu arrivato a destinazione. Rivolse i suoi occhi scuri in direzione della casa innanzi a lui. Era un'abitazione a due piani, in muratura bianca, con un giardino curatissimo. Una villetta come tante altre, ma che custodiva qualcosa capace di corrodergli il cuore, pari ad un veleno mortale.

Hinata...

Dove erano finiti gli anni che avevano passato assieme? Tutti i giorni trascorsi all'aria aperta, ad allenarsi, fare scherzi a Shino, oppure semplicemente a passeggiare per i boschi ed i campi attorno a Konoha?

Erano trascorsi rapidi, come la pioggia che cadeva dal cielo, simile al pianto del suo cuore. Un cuore che per orgoglio non aveva mai avuto il coraggio di aprirle, limitandosi a sperare nell'impossibile. Che Hinata smettesse di rincorrere l'ombra di Naruto, accorgendosi della sua presenza. Del fatto che lui era sempre stato al suo fianco, fin dall'inizio, proteggendola da ogni pericolo, ogni pregiudizio, ogni minaccia. Pronto a rischiare la vita per quella ragazza timida e dolce, capace di entrargli nel cuore poco alla volta, in maniera impercettibile, facendogli comprendere solo quando era troppo tardi ciò che aveva iniziato a provare per lei.

Osservò, da sotto la patina bagnata dei capelli, Hinata augurare buona giornata al marito con un bacio all'ingresso della villetta. Ci vide tutto l'affetto che la compagna provava per l'Uzumaki, un amore che non le aveva mai visto per nessun altro, neanche per lui.

Perché, Hinata? Si allontanò, proseguendo il proprio vagabondare in mezzo alle pozze d'acqua formate dalla pioggia. Perché è finita così?

Una domanda che sempre più spesso si faceva. Aveva visto con i propri occhi Naruto e Hinata mettersi assieme, sposarsi, avere un figlio, crearsi una famiglia e non le aveva mai tolto il suo supporto. Aveva sempre recitato la parte che la Hyuga si aspettava da lui, per timore di ferirla, di rovinare la loro vicinanza, per evitare di dover aprire il proprio cuore.

Il mio cuore... strinse la stoffa della felpa davanti al petto, chiedendosi perché non si fosse mai fatto avanti. Per quale fottuto motivo aveva permesso che Naruto prendesse per sé Hinata senza lottare, senza tentare di combattere per ciò che amava. Si sforzò a lungo nel tentativo di trovare una risposta, qualcosa che però sapeva già di conoscere: il suo orgoglio, il terrore di essere veramente sé stesso con qualcuno che non fosse Akamaru. Dietro la sua risata spaccona si nascondevano quintali di insicurezze nate dal vivere con una sorella maggiore ed una madre fin troppo brillanti, audaci e coraggiose. L'ennesimo motivo per detestarle senza provare alcun rimorso per questo.

Proseguì a vagabondare per tutta la mattina. Verso il primo pomeriggio la pioggia perse d'intensità, fino a fermarsi del tutto, con ampi tratti di cielo che si schiarirono, dando vita ad una tavolozza di colori che spaziava dal viola al grigio. Fu dal grosso ramo di un pino che Kiba osservò il movimento delle nuvole nel pomeriggio, lasciando la mente libera di spaziare, senza soffermarsi troppo. Di pensieri cupi ne aveva fatti abbastanza nell'ultimo periodo.

Fu verso sera, quando riprese a piovere forte, che incontrò una delle fonti di tali pensieri.

“Non dovresti andare in giro sotto questo diluvio.”

Kiba si bloccò di colpo, deglutendo a vuoto. Nonostante avesse gli abiti inzuppati e i piedi gelati, sentì un profondo calore cominciare a ribollire all'altezza dello stomaco. Un calore acido, rancoroso e per niente gradevole.

“Vedo che farmi la ramanzina ti piace ancora.” mormorò, sfoderando un sorriso posticcio sul viso quando vide comparire, da una via laterale, Hana con i suoi tre cani-ninja al seguito.

“Mamma mi ha chiamato.” rispose l'Inuzuka maggiore, osservando il fratello da sotto un grosso ombrello rosso con espressione impassibile. “Dice che ultimamente non fai altro che andare in giro dalla mattina alla sera.”

“Cosa ci sarebbe di così strano? Lo faccio da sempre.”

“Vuoi davvero che ti risponda?”

Arrivò un silenzio profondo, rotto soltanto dalla pioggia che cadeva sempre più fitta. Kiba si tolse i capelli bagnati dalla fronte con un gesto stizzito, iniziando a riconoscere il calore che provava dentro di sé per quello che era veramente: rabbia.

“Quando la smetterai di trattarmi come un moccioso?” borbottò infine con tono accalorato. “Non sono più un bamboccio a cui stare dietro, Hana!”

“Sei ancora un bamboccio, fratellino.” replicò con voce piatta la kunoichi. “E il fatto che tu abbia ventiquattro anni rende il tutto molto imbarazzante e sgradevole.”

“Mi stai provocando?” con due rapide falcate, lo shinobi arrivò a sfiorare il viso della sorella, le iridi scure che ribollivano di acido rancore.

“Ti sto solo dicendo la verità.” a differenza del fratello, Hana non sembrava minimamente turbata da quella conversazione. “Il solo fatto che tu ora sia qui a bighellonare sotto la pioggia lo testimonia. Cos'è, essere felice per un mio successo ti è davvero così difficile, fratellino?”

“Un successo?!” Kiba buttò la testa all'indietro, scoppiando in una fredda risata. “Il problema non è oggi, come non lo era quando sei diventata Jonin a sedici anni, Hana!” strinse le mani con forza, conficcandosi le unghie nella carne, desideroso soltanto di sfogare il qualche modo la sua frustrazione. “Fin da quando sono nato mamma ha deciso che tu dovevi essere la migliore, in ogni cosa. Hai idea di come sia vivere ogni giorno della vita con la tua fottuta ombra attaccata al culo?! Ne hai una vaga idea, Sorella?!”

“E tu cosa hai fatto per staccartela?” ribatté con tono freddo e duro la kunoichi mora. “Cosa hai provato a fare per convincere mamma che il migliore eri tu? Andare a prostitute ed ubriacarti sono state le soluzioni migliori che hai trovato?”

“Ci ho provato a superarti!”

“Posso solo immaginarlo.” la voce di Hana si tinse di derisione. “Alla tua età non hai ancora avuto le palle di metterti in gioco e provare a diventare Jonin. Cosa pensi di mostrare con le tue spacconate? Davvero credi di essere divertente? Forse lo eri da bambino, ma ora vedo solo un ninja come tanti altri, che si rifiuta di crescere, di provare ad essere qualcosa di più di un mediocre, preferendo lamentarsi su quanto la vita sia stata ingiusta con lui.”

Kiba reagì d'istinto, provando a tirarle un pugno, ma Hana lo schivò con un riflesso eccezionale, bloccandogli il braccio con una semplice torsione del polso. I fratelli Haimaru iniziarono a digrignare i denti, ma un cenno secco della kunoichi bloccò sul nascere la loro furia.

“Sai cosa hai fatto, Kiba?” ora la donna non scherzava più, come testimoniava la gelida collera che ardeva nella sue iridi color pece. “Hai appena provato a colpire il tuo futuro capoclan.”

Lo shinobi non disse nulla, rendendosi conto solo in quell'istante di aver tentato di picchiare sua sorella maggiore.

“Hana... io...”

“Non venire stanotte.” Hana lo lasciò andare, il volto contorto in un'espressione strana: un misto tra disgusto, rabbia e compassione. “Non voglio che il mio primo atto da capo degli Inuzuka sia quello di bandirti a vita.” emise un lieve fischio di richiamo, iniziando ad allontanarsi, subito seguita dai suoi fedeli compagni a quattro zampe. “Per il tuo bene, farai meglio a starmi alla larga per un po'.”

Kiba rimase immobile, sotto la pioggia, fissando la schiena della sorella allontanarsi fino a scomparire del tutto. La rabbia di prima era scomparsa, lasciando spazio solo ad un'enorme amarezza.

Hana ha ragione. Chiuse gli occhi, passandosi una mano sul volto, sentendosi un vero verme per ciò che aveva fatto. Come sempre.

Non andò alla riunione del clan. Sapeva che Hana non minacciava a vuoto, e non desiderava costringerla ad attuare le sue minacce. Rimase tutta la notte seduto sotto un portico, a fissare la pioggia cadere, gli occhi scuri persi nel senso di colpa. Fu allora che capì il motivo per cui si era sempre rifiutato di dichiararsi ad Hinata, il perché aveva deciso di restare nascosto nell'ombra, mentre Naruto gli portava via ciò che aveva di più caro dopo Akamaru.

Sono un fallito.

E a nessuna donna piacevano i falliti.

 

 

Entrò in casa a passo rapido, percorrendo con due falcate il tragitto verso la sua camera, dove Akamaru lo accolse con lunghe feste.

“Buono!” esclamò Kiba, sorridendo davanti all'entusiasmo dell'amico. Sapeva che sarebbe stato difficile, ma era convinto che quella fosse la decisione migliore, anche per Akamaru.

Si cambiò rapidamente, sciacquandosi il fango di dosso con una rapida doccia. Una volta lavato, iniziò a prepararsi una sacca da viaggio, gettandosi dentro alla rinfusa solo lo stretto necessario. Aveva appena iniziato a riempire la borsa per gli shuriken quando un tornado ringhiante entrò in camera sua, fissandolo con occhi ricolmi di disprezzo.

“Tu!” la voce uscì simile ad un latrato dalle labbra di Tsume. “Si può sapere dove diavolo sei stato ieri notte?!” fece per afferrare il figlio per il colletto della felpa, ma quest'ultimo si liberò con una facile presa.

“Non ho tempo per queste cose.” riprese i preparativi, lasciando la genitrice perplessa.

“Cosa stai facendo?”

“Vedi, madre...” esordì con voce carica di sarcasmo l'Inuzuka. “Stamattina, mentre tu stavi ancora smaltendo la sbornia per aver visto la tua figlia prediletta diventare capoclan, sono andato dall'Hokage a farmi dare una licenza.” chiuse con un gesto secco i bagagli, gli occhi puntati su quelli del genitore. “Una licenza a tempo indeterminato.”

Tsume inarcò un sopracciglio, mentre un sorriso ironico le spuntava spontaneamente sul viso.

“Cos'è, il troppo lavoro ti distrugge? Non ne hai abbastanza di puttane e sbronze?” lo provocò, il sorriso di scherno sempre sul volto. “Dopotutto, vedo che in questi anni hai imparato solo questo: a scappare dai tuoi problemi.”

“Ti sbagli.” le si avvicinò così tanto che i loro nasi si sfiorarono. Tsume poté così vedere ogni singolo poro del volto di suo figlio esprimere una violenta rabbia nei suoi confronti, nascosta sotto una maschera gelida.

“Non sto scappando dai miei problemi.” la oltrepassò, subito seguito da uno scodinzolante Akamaru. “Sto andandomene dal clan.”

“Cosa?” l'Inuzuka più anziana si voltò di scatto, seguendo il figlio fino alla porta. “Cosa diavolo significa?!”

Kiba si voltò lentamente, la maschera di fredda collera ancora al suo posto, gli occhi ricolmi di determinazione.

“Ieri sera ho incontrato tua figlia.” rispose con voce pacata. “E mi ha fatto capire una cosa: in questo clan non c'è posto per tutti e due.”

“Kiba...” ora Tsume sembrava spaventata. “Non vorrai diventare un reietto solo per orgoglio. Neanche tu puoi essere tanto stupido!”

“Perché no?” sorrise, mostrando un'ombra della gioia fanciullesca che da sempre lo caratterizzava. “In fondo, anche l'eroe di questa nazione è un idiota.”

“Kiba!”

“Prenditi cura di Akamaru mentre sono via.” si congedò con queste parole, uscendo all'aria aperta. Akamaru proseguì a seguirlo, ma arrivato al confine della proprietà della madre, il padrone lo fermò.

“Tu resti qui.” esordì, bloccandolo con un cenno. “Seguirmi sarebbe pericoloso, oltre che stupido, e non desidero che ti succeda qualcosa.”

Il cane-ninja lo fissò confuso. Provò nuovamente a seguirlo, ma ancora una volta l'Inuzuka glielo impedì.

“No, Akamaru.” scosse la testa, il cuore che sanguinava. Provava dolore per quello che stava facendo. Intimare al suo più caro amico di restare lì gli sembrava orrendo, contro natura. Era come se si stesse strappando un arto, o una parte di sé, con le sue stesse mani. Una cosa così insopportabile, che fu tentato di essere duro, brusco, ma osservare il terrore negli occhi di Akamaru gli fece cedere le ginocchia.

“Amico mio...” iniziò a grattargli le orecchie, ricevendo un paio di ruvide leccate in faccia. “Resta qui, ti prego.” appoggiò la fronte sul muso dell'amico, trattenendo a stento una lacrima. “Ti prometto che tornerò.” sussurro, senza smettere di accarezzarlo. “E resteremo insieme per sempre.”

Akamaru iniziò a guaire, come se avesse subito una ferita. Asciugandosi gli occhi umidi con un gesto stizzito, Kiba si alzò di colpo, volgendo le spalle al compagno di sempre con un ringhio. Era tremendo, ma doveva farlo. Se voleva trovare la sua strada, avrebbe dovuto compiere quel viaggio da solo, senza l'aiuto di nessuno. Kurenai-Sensei, Shino, Hinata, Mirai, Akamaru... avevano tutti trovato la loro strada. Ora era il suo turno.

Si allontanò rapidamente, incapace di sopportare gli uggiolii di Akamaru, i quali divennero ben presto lugubri ululati. Un torbido e doloroso addio che gli rimbombò nelle orecchie anche molte ore dopo che aveva attraversato i confini del villaggio, alla ricerca disperata di qualcosa che giustificasse tutto quel dolore inflitto al suo più caro amico.

Perdonami Akamaru... chiuse gli occhi, appoggiandosi una mano sopra il cuore. Aveva sempre dubitato dell'espressione 'cuore spezzato', ma ciò che sentiva rispecchiava perfettamente quel concetto: un muscolo dolorante, che gli inviava stilettate di dolore ad ogni battito.

Un giorno tornerò, e sarò un padrone migliore.

E' una promessa.

 

 

Due settimane dopo. Soraku, Terra del Fuoco

 

 

Kiba si tirò su il cappuccio, infastidito dalla pioggia che cadeva violentemente. Alzò lo sguardo al cielo plumbeo, sentendosi intirizzito fin nelle ossa, stanco di camminare con quel tempo infernale.

Potrei anche prendermi una pausa. Lo shinobi rivolse diverse occhiate attorno a sé, cercando qualcosa di simile ad un riparo. Il suo sogno sarebbe stato una locanda, ma in quel luogo non osava aspirare a tanto.

Soraku era una città malsana, dall'aspetto fatiscente. Grossi grattacieli grigi e diroccati si innalzavano verso il cielo, dando vita ad una miriade di strade fangose ed anguste. Un tempo doveva essere stata un città ricca e potente, ma ormai era praticamente abbandonata a se stessa, dimora di disperati, accattoni e criminali. Kiba ne conosceva la nomea, e avrebbe preferito non sostarvi, ma il brutto tempo lo tormentava da oltre una settimana, e non vedeva l'ora di passare una notte sotto un tetto solido, per quanto cupo e fatiscente potesse essere.

L'Inuzuka si mosse rapido, per quanto le sue stanche gambe glielo permettessero, affondando i piedi nel pantano sotto di sé. Superò un vecchio barbone che chiedeva l'elemosina con una mano deforme, e successivamente una donna truccata pesantemente che gli inviò un bacio a schiocco da sotto un portico semi-allagato, mentre poco più avanti vide il corpo senza vita di un giovane, abbandonato in mezzo al fango.

Kiba non provò alcun sentimento nel vedere ciò, non poteva. Le prime volte era rimasto scioccato nel constatare quanto profonde ed orrende fossero le ferite che la Grande Guerra aveva lasciato nel suo paese, ma poi si era abituato, come sempre. Aveva visto uomini e donne, compagni di una vita, morirgli davanti agli occhi in un istante. Anni di esperienze, sensazioni e ricordi svaniti senza lasciare nulla. Aveva capito che l'unica possibilità per non impazzire era diventare come coloro che aveva sempre disprezzato maggiormente. Chiudere il suo cuore a quel dolore era l'unica via che conosceva per non annegarci dentro.

Svoltò l'angolo, vedendo una luce in fondo alla strada. Si avvicinò a passo stanco, desiderando ardentemente di ripararsi da quella pioggia gelida. Non aveva neanche fame, solo uno spasmodico bisogno di chiudere gli occhi.

Quando infine arrivò, constatò di essersi sbagliato. Non era un rifugio, ma una vera e propria locanda, costruita dentro il rudere di una vecchia caserma. Il moro poteva sentire voci rauche rincorrersi all'interno, mentre una luce tremolante ma calda gli investì il viso.

Entrò di buon passo, accogliendo con un sospiro l'aria bollente avvolgergli il corpo. Si tolse il cappuccio, scrollandosi di dosso l'acqua come un cane. Notò che l'ambiente non era altro che un grosso stanzone diroccato, dove al centro divampava un focolare, su cui un grasso individuo rosolava una porchetta. Su un lato della stanza, quella più lontana dall'ingresso, c'era un rozzo bancone, dove un uomo di colore serviva liquori.

Gocciolando acqua sul selciato rovinato dal tempo, lo shinobi raggiunse il grassone, spintonando rudemente un paio di ubriachi, i quali lo insultarono con voci impastate.

“Chi devo pagare per averne un po'?” domandò seccamente.

Senza proferire una parola, l'uomo indicò il barista, il quale non batté ciglio quando Kiba gettò sul bancone alcune centinaia di ryo.

“Bastano per una birra ed un po' di quella carne?”

“Posso aggiungerci anche qualcos'altro.” fu la secca replica dell'uomo. Aveva una voce rauca e profonda. “Un consiglio.”

“E quale sarebbe?”

“Nascondi quel simbolo.” Kiba capì subito che si riferiva al suo coprifronte. “Da queste parti quelli come te durano poco.”

Quelle parole gli rimasero impresse, mentre mangiava avidamente la fetta di carne che si era fatto consegnare. Nonostante la guerra civile fosse ormai finita, il malcontento contro gli shinobi era ancora ampio e diffuso, dato che la povertà e la violenza dilagavano indisturbate nel paese, dando vita a posti come Soraku: un ricettacolo di disperati ed assassini, un luogo dove ogni legge era scomparsa, lasciando spazio alla follia ed al caos come uniche morali.

Cosa si potrebbe fare per sistemare tutto questo? Era una domanda a cui nessuno, neanche l'Hokage, aveva una risposta. L'esercito del Daimyo era troppo mal organizzato per provare a riportare l'ordine negli angoli più sperduti del paese, mentre gli shinobi di Konoha erano una forza militare d'élite, tanto preziosa quanto mal vista dal resto della popolazione. Usarli per azioni repressive avrebbe solamente alimento il fuoco morente, ma ancora caldo, che sobillava la rabbia della nazione.

Quando trangugiò l'ultima sorsata di birra, una stanchezza pesante e calda lo investì, facendogli desiderare di poter chiudere gli occhi per qualche ora. Il calore della stanza lo invogliava, ma le parole del barista gli risuonarono ancora ben chiare nella mente, facendogli prendere rapidamente la decisione di cercare altrove.

Durante la breve pausa che si era concesso la pioggia era, se possibile, aumentata ulteriormente. Si nascose nuovamente il volto, iniziando a girovagare per le strade oscure e fangose. Fu in quel momento che sentì, per la prima volta da quando era partito, nostalgia di casa. Gli mancavano i commenti secchi di Shino, i sorrisi caldi di Kurenai-Sensei, le risate gioiose di Mirai, gli occhi splendenti di Hinata; anche per sua madre e sua sorella ebbe un fremito di nostalgia, chiedendosi se, dopotutto, non si era comportato in maniera avventata e brusca con loro. Ma soprattutto sentiva la mancanza di Akamaru. Era come se gli mancasse una braccio, o una gamba: poteva abituarsi, ma non avrebbe mai smesso di sentirne l'assenza.

Mi domando cosa spero di fare, quali miracoli immagino di compiere in questo viaggio. Era un pensiero ricorrente, una consapevolezza che lo accompagnava come un macigno sul cuore. Se non sapeva lui per primo cosa cercava, forse tutto quello era solo una perdita di tempo, l'ennesimo atto compiuto d'istinto che l'aveva solo allontanato da coloro che amava, per cui covava numerosi rimorsi e, forse, ancor più rimpianti.

“Ehi, tu! Cosa diavolo...” delle urla proveniente da un vicolo alla sua sinistra lo fecero bruscamente riemergere dai suoi pensieri. Udì un uomo gridare dal dolore, seguito successivamente da un tonfo secco, un suono che aveva imparato a riconoscere in guerra: qualcuno aveva appena perso la vita.

Agì d'impulso, correndo in direzione della colluttazione. Sapeva che non erano affari suoi, ma non sopportava l'idea di vedere altra morte, non dopo quello che aveva osservato nelle ultime ore.

Una volta nel vicolo, ciò che vide furono tre uomini riversi a terra, privi di vita. Una rapida perquisizione gli permise di capire che erano stati uccisi da qualcosa di simile ad artigliate profonde, come quelle di un grosso felino. Si guardò attorno, maledicendo la pioggia che gli annullava l'olfatto. Fu solo grazie ad anni di allenamenti che scorse una figura risalire, rapida e silenziosa, uno degli edifici diroccati.

La seguì. I suoi passi risuonarono rapidi lungo le pareti di cemento, il torpore di prima completamente scomparso. Era semplicemente furibondo, stanco di morte e devastazione, e vedere quei cadaveri risvegliò in lui un cieco furore.

Una volta sul tetto, riuscì a vedere meglio l'artefice della carneficina. Era completamente vestito di nero, con solo gli occhi scoperti. Dalle forme poté intuire che si trattava di una donna, con lunghi capelli castani raccolti in una treccia, due iridi color miele che lo fissavano con perplessità.

“Non ho idea del perché tu l'abbia fatto.” esordì Kiba, mettendosi in posizione di guardia. “Ma stasera è la tua serata sfortunata. Non tollerò gli assassini a sangue freddo.”

La donna non disse nulla, proseguendo a fissarlo da distanza di sicurezza. Lo shinobi poté tuttavia constatare come avesse irrigidito tutti i muscoli, pronta a reagire a un qualsiasi cenno di minaccia.

Per alcuni secondi i due avversari si fissarono in silenzio, alla ricerca del momento giusto per agire. L'Inuzuka ne approfittò per studiarla: dal modo in cui si muoveva le ricordava una grossa gatta, e la cosa non gli piaceva neanche un po'; non aveva mai amato quei predatori sguscianti e silenziosamente letali.

Improvvisamente, la ragazza scattò. Si lanciò con incredibile rapidità contro di lui, colpendolo con un calcio in pieno volto. Kiba accusò il colpo, ma si riprese subito, attaccando con un montante, il quale però venne parato. La sua avversaria iniziò ad attaccarlo con rapidi colpi di tatjutsu, infliggendogli più volte vari danni al petto. Con l'ultimo di essi, Kiba venne scaraventato a diversi metri di distanza, il corpo scosso da fitte lancinanti di dolore.

Merda! Si rialzò barcollando, sputando un grumo di sangue. Gli anni di pace l'avevano reso lento e prevedibile. Caricò, ringhiando come un vero cane, colmando con la potenza là dove l'agilità non bastava. Provò più volte a colpire la donna, ma quest'ultima si difendeva sempre in maniera impeccabile, con parate e contrattacchi precisi e letali. Tuttavia, dopo circa cinque minuti di corpo a corpo ininterrotto, la perseveranza dello shinobi venne premiata: colpì con un doppio pugno la ragazza al petto, scaraventandola a svariati metri di distanza. Quest'ultima cadde malamente al suolo, scrollando il capo, stordita dalla caduta.

Con il passare dei minuti, gli allenamenti effettuati per anni a Konoha iniziarono a riaffiorare nel corpo e nella mente dell'Inuzuka. Ritornò alla carica, rinvigorito dall'adrenalina che gli circolava rapida nelle vene. Provò nuovamente a colpire con un montante al volto la sua avversaria, ma quest'ultima gli bloccò facilmente il braccio con una presa, facendogli lo sgambetto, e tirandogli un tremendo pugno sul naso. Disorientato, Kiba si affidò all'istinto: afferrò con il braccio libero la spalla destra di lei, scaraventandola con l'aiuto della forza centrifuga della caduta lontano da sé.

Atterrarono entrambi con violenza a terra. I polmoni di Kiba si svuotarono troppo in fretta, annebbiandogli del tutto la mente. Ci mise un istante di troppo a rialzarsi, dato che non appena fu in piedi venne colpito da un calcio sul mento che lo riportò al suolo.

Emettendo un gemito di dolore, Kiba provò a muoversi quando percepì un freddo pugnale vicino alla gola. Nello stesso istante, una mano lo afferrò per il bavero, sollevandogli il capo di pochi centimetri dal suolo.

Dunque deve finire così. Si maledì dentro di sé. Quello stupido viaggio sarebbe terminato nella maniera più ridicola possibile: morto per aver voluto fare il paladino della giustizia. Un ruolo che di sicuro stava meglio addosso a Naruto che a lui.

Deve sempre essere lui quello che non sbaglia mai... proprio come con Hinata.

I secondi passarono, ma la donna non sembrava decisa a fare una mossa. Si limitava a fissarlo, con quegli occhi dal colore insolito, mentre la pioggia cadeva più fitta che mai.

“Se devi farla finita... fallo in fretta.” ansimò l'Inuzuka, ma la ragazza non si mosse ancora, permettendo al ninja di attuare un tentativo disperato di liberarsi.

Con una mossa rapida, tirò una ginocchiata all'addome della ragazza, liberandosi della sua presa. Quest'ultima indietreggiò goffamente, risentendo del colpo subito, e permettendo allo shinobi di approfittarne. Tuttavia, quando Kiba stava per afferrare il pugnale, essa scomparve dalla sua vista, lasciandolo perplesso.

Dove... non riuscì a formulare un pensiero compiuto. Un dolore lancinante alla nuca lo investì, sfocandogli la vista. Le gambe cedettero di colpo, mentre il pavimento si avvicinava troppo rapidamente.

Hinata... Akamaru...

Poi, ci fu solo buio.

Perdonatemi.

 

 

Correva disperatamente lungo il corridoio, i piedi nudi che scalpicciavano rapidi sul pavimento. L'ansia lo consumava, come la paura che lo divorava poco a poco, trasformando ogni cosa in puro orrore.

Arrivò alla sua meta, aprendo il fusuma di scatto. Numerose persone troneggiavano sopra di lui, tutte vestite di nero. In mezzo alla stanza c'era sua madre, seduta su una sedia, il volto coperto da un velo scuro, una mano davanti agli occhi per nascondere le lacrime.

Dov'è?” sentì la voce morirgli in gola, quasi avesse paura di rompere la tensione che regnava nell'ambiente. “Dov'è papà?”

Il silenzio che seguì fu ancora più teso ed angosciante.

Voglio sapere dove si trova mio padre!”

Hana!” la voce di sua madre si levò roca, carica di fastidio, come se non potesse sopportarne la vista. “Porta tuo fratello fuori da questa stanza!”

Dov'è papà?!” provò a scrollare una manica di uno degli adulti, ma una mano dura come l'acciaio gli afferrò il braccio sinistro, trascinandolo fuori.

Lasciami!”

Questo non è un posto per un bambino, Kiba. Ti avevo detto di giocare con Akamaru.”

Voglio vedere papà! Lo voglio vedere! Lasciami andare!” provò a divincolarsi con tutte le sue forze, puntando i piedi, scalciando, mordendole la mano, ma sua sorella non cedette di un centimetro, trascinandolo fuori di peso.

Mamma! Mamma!” Kiba richiamò la madre, la quale, nel sentirlo gridare, digrignò i denti. “Dove si trova papà? Per favore, dimmelo!”

PORTALO VIA!” l'urlo di Tsume fu inquietante, quasi inumano, ricolmo com'era di rabbia e dolore. “Non lo voglio più vedere qui dentro!”

Perché non vuoi dirmelo?! Perché nessuno mi dice dove si trova papà?! PERCHE'?!”

Ora smettila!” con un gesto secco, Hana lo voltò, tirandogli uno schiaffo. “Smettila di fare lo stupido!”

Erano in corridoio, lontani dalla madre e da tutti quegli strani adulti vestiti di nero. Kiba si toccò la guancia arrossata, percependo le prime lacrime premere per uscire.

Voglio solo sapere dove si trova papà...” mormorò con voce rotta, iniziando a singhiozzare. Hana si mordicchiò l'interno di una guancia, cercando di trattenere la rabbia che divampava dentro di lei.

Lui... non tornerà mai più, Kiba.” mormorò. “Ci ha lasciato.”

Gli occhi del piccolo Inuzuka si spalancarono per la sorpresa, mentre le parole della sorella gli entravano in testa con la violenza di uno tsunami, lasciandolo sperduto e confuso.

Cosa?”

Dimenticalo, Kiba, dimenticalo e basta.” la ragazzina lo superò, rientrando nella stanza. “Lo dico per il tuo bene.”

Rimase solo, in mezzo al corridoio, il corpo scosso da singhiozzi sempre più violenti. Strinse i pugni con rabbia, i denti che scavano nel labbro inferiore, nel disperato tentativo di non cedere, di non lasciarsi sopraffare dalla disperazione.

E' una sporca bugia!” urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, percependo il silenzio attorno a lui soffocarlo. “Io non ci credo!”

Corse via, lontano da quegli adulti così crudeli e meschini, che osavano pensare che il suo papà li avesse abbandonati. Ci mise ogni oncia di rabbia in quel gesto, in quel rifiuto. Non ci credeva, e non l'avrebbe mai fatto.

Avrebbe atteso suo padre per sempre.

Invano.

 

 

Certo che sei proprio ridicolo per essere un ninja.”

Una voce fin troppo vicina lo fece rinvenire bruscamente, costringendolo a richiudere subito gli occhi a causa della luce. Aveva un dolore lancinante alla testa, che gli impediva di ragionare lucidamente, anche se capì di trovarsi in un letto piuttosto comodo e caldo, cosa che stonava con gli ultimi, frammentati, ricordi che possedeva.

Come... ci sono arrivato in questo posto?

Quando i suoi occhi si abituarono, comprese di trovarsi in una stanza angusta, dalle pareti in acciaio, senza alcuna finestra. Il mobilio era composto dal letto dove era sdraiato, più un cassettone vuoto, di legno scuro. All'inizio credette di trovarsi in una cella, ma la porta, blindata anch'essa, era aperta, mentre un paio di tubi al neon illuminavano freddamente l'ambiente dal soffitto.

“Cosa diavolo è questo posto?” borbottò, massaggiandosi la testa, scoprendo un profondo taglio slabbrato sulla nuca, probabile origine dell'emicrania che lo tormentava da quando si era svegliato.

In quel preciso istante, un gatto saltò sul letto, appoggiandogli le morbide zampe sullo stomaco. Era un bel esemplare, completamente nero, naso compreso. I suoi occhi, di un verde smeraldo, si piantarono con sfacciataggine in quelli dell'uomo, fissandolo con disgustosa superiorità.

E' incredibile che uno shinobi della Foglia sia così stupido, oltre che debole.” esordì improvvisamente il felino. “A Konoha si devono essere rammolliti parecchio.”

All'inizio Kiba credette di essere diventato pazzo. Era impossibile che quel gatto avesse parlato, e per alcuni istanti pensò di trovarsi in un sogno. Tuttavia, il felino, infastidito dall'espressione di profondo stupore del moro, lo graffiò su una guancia con un gesto improvviso. Il dolore lancinante fece comprendere all'Inuzuka che, per quanto assurdo potesse essere, quell'arrogante palla di pelo aveva veramente parlato.

“Tu... parli?!” boccheggiò incredulo, notando solo in quell'istante il fatto che l'animale indossava degli abiti tradizionali da ninja, seppure riadattati alle sue misure.

Certo che parlo, ed anche molto meglio di te, Puzza di Cane!” replicò sdegnato l'animale, iniziando a leccarsi una zampa con alterigia. Era incredibile quanta arroganza e superiorità ci mettesse solo per ricoprirsi il muso di saliva.

“Puzza di... Cane?”

Odori come un cane, quindi d'ora in poi ti chiamerò Puzza di Cane.” gli spiegò il micio, squadrandolo come se fosse completamente rincitrullito.

Profondamente irritato per essere stato offeso da quel piccolo bastardo in miniatura, Kiba provò a strozzarlo ma quest'ultimo scese con grazia ed agilità dal letto, mettendosi fuori tiro dall'iracondo, ma ancora convalescente, shinobi.

E' questo il tuo modo di ringraziare chi ti salva? Non dovrei sorprendermi che odori come un cane, visto che sei stupido come uno di loro.”

“Piccolo arrogante...”

“Momo!” una figura femminile entrò nella stanza, squadrando con severità il gatto. “Smettila di essere scortese!”

Il felino non rispose, limitando a strusciarsi sulle gambe della donna, lanciando un'occhiata sospettosa al ninja.

“Ti porgo le mie scuse.” fu solo in quel momento che Kiba si concentrò sulla nuova arrivata, la quale doveva avere all'incirca la sua stessa età. Era di media altezza, con un corpo molto magro, coperto da abiti semplici e consumati. Teneva i lunghi capelli castano chiaro raccolti in una treccia, i quali incorniciavano un volto di una bellezza semplice. Era qualcosa di diverso dalle bellezze capaci di stregare a primo impatto, come quelli di Hinata o Ino. Il naso era leggermente canuto, mentre gli zigomi erano marcati, donandole un aspetto sciupato. Tuttavia, ciò che colpì l'Inuzuka furono gli occhi: due perle di ambra, ingentilite da miele dorato. Le stesse che aveva combattuto prima di perdere i sensi.

“Tu!” provò ad alzarsi, ma una fitta alla testa lo stordì, obbligandolo ad affondare nuovamente tra i cuscini.

“Stai calmo.” dichiarò la ragazza, appoggiando sul cassettone un vassoio con sopra un piatto fumante di zuppa. “Hai dormito per quasi due giorni, devi evitare i movimenti bruschi.”

“Sei... stata tu...” deglutì, sentendosi la gola impastata. Aveva una sete tremenda. “Tu mi hai... colpito.”

Lei sospirò, un'espressione contrita sul volto, mentre passava un bicchiere d'acqua allo shinobi.

“Mi dispiace, ma temo che ci sia stato un equivoco.” si sistemò un ciuffo ribelle, sedendosi sul materasso cigolante. “Quando ho visto il tuo coprifronte, non riuscivo a crederci: uno shinobi di Konoha che mi attacca!”

“E a buon rendere!” borbottò il moro, ancora teso. “Avevi appena ucciso tre persone!”

“Erano tre assassini.” replicò con voce improvvisamente fredda la giovane. “Oltre che ladri e stupratori. Non meritavano di vivere.”

“E chi sei per decidere chi deve vivere e chi invece deve crepare?!” ringhiò Kiba, fissandola con astio. “Anche se quello che dici fosse vero, ciò non giustificherebbe il tuo atto: esiste una differenza tra la vendetta di sangue e la giustizia.”

La ragazza lo guardò a lungo negli occhi, mettendolo a disagio. In qualche modo, quello sguardo gli ricordava Hinata. Ci leggeva dentro la stessa forza unita a dolcezza, lo stesso dolore, la stessa determinazione. Eppure, se tutto ciò nella Hyuga ispirava regalità e grandezza, in lei quelle sensazioni apparivano più... umane, terrene.

“Dovresti mangiare qualcosa.” mormorò infine, rialzandosi. “Non appena ti sarai ristabilito potrai proseguire per la tua strada.” fece per andarsene, seguita da un annoiato Momo, quando il ragazzo, con uno scatto, la richiamò.

“Aspetta.” la vide girarsi con grazia, proprio come un felino. Fu solo allora che Kiba si accorse che non emetteva alcun suono quando si spostava, al pari di un predatore potente, elegante e raffinato. “Non mi hai detto come ti chiami.”

La vide sbattere le palpebre, un sorriso dolce che prese a brillare su quel viso così particolare, diverso dal classico canone di bellezza a cui lo shinobi era abituato. Eppure, non riusciva a non trovarlo affascinante nella sua particolarità.

“Mi chiamo Tamaki.”

Se ne andò, silenziosa come un'ombra, lasciandolo solo con i suoi pensieri, il suo mal di testa, ed il pensiero fisso di quella ragazza così misteriosa e strana.

Tamaki...

 

 

Nei giorni seguenti Kiba si sentì meglio, iniziando ad alzarsi ed a camminare per brevi distanze. Scoprì di trovarsi in un vero e proprio labirinto di cunicoli sotterranei, illuminati da lunghi e sottili tubi al neon. Era un luogo inquietante e cupo, specie per un ninja come lui, amante degli spazi aperti e dei boschi.

Tamaki veniva a trovarlo almeno un paio di volte al giorno, portandogli sempre qualcosa da mangiare. Tuttavia, il resto delle sue giornate era costretto a trascorrerle in compagnia di Momo, il quale possedeva l'innato dono di irritarlo in qualsiasi istante. A quanto pare, la ragazza aveva dato al gatto il compito di fargli da guida durante le sue assenze, accompagnandolo durante le sue esplorazioni. Momo tuttavia trovava quel compito umiliante, e non perdeva occasione per lamentarsene, accusando Kiba di essere troppo stupido per muoversi da solo senza perdersi.

Faccio veramente fatica a credere che tu sia un eroe di guerra, come sostieni.” borbottò con la sua voce affilata, durante una delle loro passeggiate. “Senza di me non riusciresti neanche ad allacciarti le scarpe, Baka!”

Il più delle volte il moro sopportava pazientemente. Sapeva che senza il felino non avrebbe mai avuto modo di orientarsi in quel luogo, e preferiva evitare di indispettirlo eccessivamente. Tuttavia, in più di un'occasione fu vicino a mettergli le mani addosso, anche se Momo era troppo furbo per lasciarsi cogliere di sorpresa.

Le ore che passava con Tamaki erano, fortunatamente, molto più piacevoli. La ragazza era di carattere allegro, e possedeva una mente arguta, che le permetteva spesso di capire quando Kiba scherzava oppure quando parlava seriamente. Le loro chiacchierate durante i pasti divennero un passatempo dolcissimo per lo shinobi. Aveva ancora nostalgia di casa, ma quando era con lei quella sensazione sgradevole che percepiva all'altezza dello stomaco scompariva, lasciando spazio al calore del suo sorriso.

Gli argomenti oggetto delle loro discussioni erano dei più disparati. Tamaki rimase impressionata quando scoprì che Kiba possedeva un cane-ninja, e gli chiese moltissime informazioni su di lui ed Akamaru. Anche l'Inuzuka comprese qualcosa della giovine, come il fatto che possedesse altri gatti-ninja oltre a Momo, anche se quando si andava a parlare dei loro passati, entrambi si mostravano restii, dando vita a silenzi imbarazzanti e carichi di tensione.

“Parlami di Konoha!” esclamò improvvisamente Tamaki, cinque giorni dopo che Kiba aveva ripreso conoscenza. “Non l'ho mai vista dal vivo, anche se ho sentito molte storie a riguardo. È vero che c'è una montagna con sopra intagliate le facce di tutti gli Hokage del passato?”

“E' vero!” replicò Kiba, masticando un pezzo di carne essiccata. “Ad oggi le facce sopra la montagna sono sei, e ti posso assicurare che la prossima ad essere scolpita sarà la mia!”

“La tua?” Tamaki sorrise furbescamente, creando delle fossette delicate sul proprio viso. “Ma un Hokage non dovrebbe essere così forte da radere al suolo intere valli?”

“E con ciò?”

“Perdonami Kiba, ma per quanto io ti creda sulla parola, non mi hai dato l'impressione di essere quel tipo di guerriero.”

L'Inuzuka corrugò le sopracciglia, diventando pensieroso. Benché il tono della ragazza fosse stato scherzoso, aveva toccato un nervo scoperto, che pulsava ancora purulento nel suo animo.

“Ehi...” l'avvicinarsi del volto di lei lo distrasse bruscamente dai propri pensieri. “Guarda che stavo scherzando!”

“Perdonami... era solo sovrappensiero.” Sorrise con fare sicuro. Sorridere era sempre maledettamente facile.

“Sai, mia nonna mi ha insegnato che i brutti pensieri non vanno mai tenuti dentro di sé.” raccontò la ragazza, sbocconcellando un dolcetto di riso.

“Deve essere sicuramente una persona in gamba, mi piacerebbe incontrarla un giorno.” la vide sorridere in modo strano, gli occhi persi in ricordi lontani.

“Perché no?”

 

 

“Toglimi una curiosità.” esordì Tamaki, durante il quindicesimo giorno di permanenza di Kiba nei tunnel. “Come mai ti trovi da queste parti? E' molto raro vedere shinobi della Foglia.”

“Beh, non posso rivelartelo.” l'Inuzuka si diede un'aria importante, notando, con una punta di orgoglio, che ciò aveva catturato l'attenzione della giovane kunoichi. “E' una missione di livello S... roba di quelle toste, per intenderci.”

“Uao!” Tamaki aveva letteralmente la bocca aperta. “Mi sento ancora più in colpa per averti messo al tappeto!”

“Ma figurati... non devi neanche pensarlo!” mentirle gli faceva schifo, e avrebbe desiderato con tutto se stesso raccontarle la verità, ma l'orgoglio aveva avuto la meglio, per l'ennesima volta. “In fondo... quella sera ero molto stanco.”

Questa è la scusa dei perdenti...”

“Momo!”

“In ogni caso, mi sorprende che una ragazza così giovane viva in questo posto lugubre tutta sola.” proseguì Kiba, deciso ad ignorare l'irritante felino. “C'è qualche motivo che ti spinge a farlo?”

Tamaki non rispose subito, giocherellando con una ciocca di capelli, che quel giorno teneva sciolti lungo la schiena. Il suo stupore di prima si era dissolto, lasciando spazio a qualcosa di molto più profondo ed enigmatico.

“Tamaki?”

“Vieni con me.” gli afferrò la mano, cogliendolo di sorpresa e trascinandolo lungo i tunnel. Proseguirono per alcuni minuti, imboccando quelle che sembravano delle scale, lasciando lo shinobi sempre più perplesso.

“Tamaki... dove stiamo andando?” lei non rispose, continuando a guidarlo senza mai lasciarlo. Il moro rinunciò a scoprirlo, preferendo concentrarsi sulle sensazioni che quella piccola mano, liscia e calda, gli stava regalando.

Alla fine, quando le ginocchia dell'Inuzuka cominciarono a mandare segnali di protesta per quella fatica, sbucarono su il tetto di un grattacielo dismesso. Una luce rosso sangue li avvolse, mentre il sole aveva iniziato a scomparire all'orizzonte, costringendo il moro a ripararsi il viso con una mano. Era un luogo aspro e vuoto, da dove si poteva ammirare la desolante vastità di Soraku stendersi tutt'intorno.

“Tamaki... perché mi hai porta...” si interruppe di colpo, osservando la ragazza condurlo davanti ad una piccola lapide in pietra, perfettamente pulita, con alcuni mazzolini di fiori che ne addolcivano l'aspetto.

Tamaki si inginocchiò davanti ad essa, le mani giunte, gli occhi chiusi, le labbra che si muovevano in una muta preghiera. Kiba corrugò la fronte, incapace di decifrare gli strani segni incisi sulla roccia.

“Chi è sepolto?” chiese, una volta accortosi che la kunoichi aveva terminato di pregare.

“Nessuno.” fu la risposta di quest'ultima. “E' solo un ricordo.” accarezzò con un dito la ruvida pietra, la mano che tremava impercettibilmente. “Il ricordo più dolce che possiedo.” si girò a fissare il ninja, il quale si perse tra le miriadi di sfaccettature di sentimento che i suoi occhi emanavano in quegli istanti. “Ed anche per questo è il più doloroso di tutta la mia vita.”

Deglutendo, Kiba si sedette al suo fianco, assaporando l'aria fredda con sollievo, dopo i giorni passati al chiuso dentro i tunnel.

“Si tratta di tua nonna.” mormorò infine, proseguendo a fissarla in faccia. “Non è vero?”

Lei annuì, tornando ad osservare la lapide, in religioso silenzio. L'Inuzuka non osò romperlo, comprendendo la sacralità del momento e del luogo per la ragazza, attendendo che fosse lei per prima a parlare.

“Tu sei il primo che porto quassù.” dichiarò dopo alcuni minuti Tamaki, gli occhi persi in ricordi lontani. “Mi sento... strana ad averlo fatto.” andò a cercare la mano di lui, stringendola con dolcezza. “Ma so anche che tu riesci a capirmi.”

Kiba si umettò le labbra, abbassando lo sguardo a terra. Ricordi lontani riemersero dal suo subconscio, frammenti di un'infanzia che avrebbe di gran lunga preferito cancellare per sempre, a lungo teatro di incubi cupi ed oscuri.

“Quando ero piccolo ho perso mio padre.” confessò d'impulso. Non aveva mai parlato con nessuno di quello che aveva provato in quegli istante, neppure con Shino e Hinata. Ora però sentiva di essere in sintonia con Tamaki, perché sapeva che lei poteva comprenderlo, capirlo, senza che ciò significasse calpestare i suoi sentimenti più nascosti e fragili.

“E' stato brutto?” chiese lei con voce delicata, quasi impalpabile.

“All'inizio molto.” chiuse gli occhi, ripensando alla volto di sua sorella, ribollente di gelida rabbia, del tutto diverso da quello di sua madre, la quale aveva pianto per l'ultima volta proprio in quell'occasione. “Ero un bambino, e non capivo perché mio padre non ci fosse più. Nella mia famiglia erano tutti troppo sconvolti per pensare a me, specie mia madre.” chiuse le mani, conficcandosi le unghie nei palmi. “L'unico che riuscì veramente a comprendere ciò che provavo fu Akamaru... l'ennesimo suo atto d'amore nei miei confronti.”

Cadde un silenzio profondo, rotto solo dal sibilo del vento. Ad anni di distanza, la rabbia ed il dolore divampavano ancora nel petto dello shinobi. Non aveva mai veramente accettato quella scomparsa, il sapere che non avrebbe più potuto vedere suo padre lo aveva colpito nel profondo, costringendolo a chiudere le proprie emozioni dietro strati di arroganza e falsa sicurezza, nella cieca convinzione che aprire il proprio cuore fosse sbagliato. Un errore, proprio come gli aveva inculcato a suon di schiaffi sua sorella in quel giorno maledetto, quando aveva capito che non poteva più restare un bambino.

“Avevo sette anni.” sussurrò infine, deciso a concludere quel dannato ricordo, convinto fin nel profondo che lei fosse veramente capace di comprendere ciò che aveva portato per quasi quindici anni nel suo cuore. “Quel giorno mia sorella mi picchiò e mi intimò di dimenticarlo. Disse che era la cosa giusta da fare.” aprì di scatto gli occhi, percependoli umidi, sorpreso di quella reazione da parte del suo corpo. Aveva dimenticato l'ultima volta che aveva pianto. “Non sono mai riuscito ad obbedirle. Ci ho provato, con tutte le mie forze, ma mi rendevo conto che quella ferita era dentro di me, qui...” si batté il petto con la mano libera. “Una ferita che non sarebbe mai guarita...”

Tamaki non disse nulla, e lui lo apprezzò. Gli ci voleva tempo per assimilare ciò che aveva appena fatto. Sentì una sensazione strana all'altezza dello stomaco, simile al sollievo. Era come se si fosse liberato di un masso da sopra il petto. qualcosa che ne l'alcool, e neanche le prostitute, erano riusciti a togliere ora non esisteva più, svanito nel magnifico benessere dell'essersi confidato con una persona con cui sentiva una sintonia potente, quello che forse era sempre mancato tra lui e Hinata.

“Immagino sia bello conoscere i propri genitori, poter stringere loro la mano...” sussurrò infine la kunoichi, stringendosi le gambe al petto. “Forse è per questo che i tuoi ricordi sono così dolorosi.” lo costrinse a guardarla negli occhi, sorridendogli dolcemente. “Perché sono ricolmi dell'amore che tuo padre provava per te.”

Kiba fece un profondo sospiro, gli occhi persi sulla linea infuocata dell'orizzonte. Per la prima volta dopo troppi anni, sentì di provare del rimorso nei confronti della sua famiglia. Forse, se avesse avuto la forza di superare il proprio orgoglio, il suo rapporto con Hana non si sarebbe deteriorato, sua madre lo avrebbe visto in un modo diverso e con Akamaru sarebbe stato un padrone migliore; anche il suo rapporto con Shino e Hinata avrebbe potuto prendere un'altra strada, una via diversa, forse migliore.

Ma la vita non poteva essere cambiata con i rimorsi. Lui era stato un orgoglioso idiota per troppi anni, permettendo a sua sorella di disprezzarlo, ed alla donna che amava di finire tra le braccia di un altro, un uomo diverso, un eroe, capace di essere forte, buono e coraggioso. L'emblema della perfezione che lui, impulsivo perennemente in conflitto con se stesso, non sarebbe mai riuscito ad essere.

Sentì lo sguardo di lei addosso, che lo scrutava, alla ricerca delle sue vere emozioni. Per un attimo fu veramente tentato di nascondersi dietro al ghigno beffardo che per tutta la vita aveva portato, ma ormai il muro aveva trovato una breccia, che venne allargata rapidamente.

“Credo che sia stata l'unica cosa che mi ha aiutato nei momenti più duri.” dichiarò infine, mostrando un sorriso diverso da quello che aveva sempre portato, un sorriso vero. “Sapere che lui mi ha sempre voluto bene, qualsiasi cosa io fossi diventato... è stato d'aiuto.”

Lei capì, ricambiando il sorriso. Il silenzio ritornò a regnare sopra di loro. Gli ultimi, magnifici, istanti in cui la luce salutava il mondo, lasciando spazio al manto oscuro della notte.

“Visto che siamo in tema di confessioni, ora è il tuo turno!” esclamò il moro, guardandola con fare rassicurante.

Lei sembrò sorpresa di questo cambio di atteggiamento da parte sua, ma non si chiuse. Sbatté gli occhi un paio di volte, riportandoli alla lapide. Per alcuni istanti le uniche voce che udirono furono i sibili provenienti con la notte imminente, ma poi la kunoichi iniziò a parlare, senza più smettere.

“Un tempo questa città non era come la vedi adesso.” iniziò con voce dolce, quasi il suo fosse il racconto di una ballata. “Era un luogo prospero, ricolmo di vita e gioia. La gente accorreva da ogni angolo del continente ad osservare le meraviglie di Soraku, la perla del Fuoco.”

“Ai tempi delle guerre tra clan, prima della fondazione di Konoha, le storie narrano che un potente clan assoggettò Soraku, portandola a nuovo splendore e gloria. Tuttavia, i suoi membri non scelsero mai questo luogo come loro residenza, affidando a fedeli vassalli il compito di amministrarla e proteggerla al posto loro.” si umettò le labbra, scostandosi i capelli dal viso. “Quei vassalli erano i miei antenati.”

“I tuoi antenati hanno governato Soraku?!” esclamò l'Inuzuka, incredulo di ciò che udiva. “Ma non è possibile! Eravate praticamente al pari del...”

“Daimyo?” concluse lei, sorridendo con condiscendenza. “Forse, ma bisogna dire che la mia famiglia non ruppe mai il suo patto di fedeltà con il clan che ci aveva conferito tale onore, aiutandoli e sostenendoli ogni volta che lo richiedevano. Anche quando venne fondata Konoha, ed i membri del clan signore di Soraku si trasferirono laggiù, noi continuammo a custodire questa città in loro nome.”

“Ma gli anni non furono clementi con noi. La fondazione dei vari villaggi ninja in tutto il continente portò ad un nuovo livello la guerra. Semplici scaramucce tra clan divennero veri e propri conflitti mondiali, che non risparmiavano nessuno, neanche questo luogo.”

Ci fu una lunga pausa. Tamaki fece un profondo respiro prima di riprendere a parlare, quasi sentisse sulla pelle le disgrazie del passato, capaci di corrompere quel luogo fino al midollo.

“Mia nonna era molto piccola quando ciò avvenne.” proseguì, la voce ridotta ad un roco sussurro. “Ma diceva sempre che non avrebbe mai potuto dimenticare l'orrendo massacro che avvenne tra questi edifici. Gli shinobi nemici del Paese del Fuoco entrarono con violenza in città, uccidendo barbaramente l'intera popolazione, compresi molti membri della mia famiglia.” Kiba non aveva neanche il coraggio di respirare, rapito dalla drammaticità di quel racconto. “C'è una frase che mi è sempre rimasta impressa: 'Quel giorno il sangue scorreva tra le strade, così alto che sfiorava le ginocchia degli uomini, i quali ci annegavano dentro i neonati e le giovani madri, dopo che ne avevano abusato oltre ogni decenza'.”

“Basta.” sussurrò infine lo shinobi. “Non è necessario che tu debba ricordare tutto questo.”

Lei lo guardò con sincera perplessità, accorgendosi solo in quell'istante di non aver mai smesso di stringergli la mano.

“E' la storia della mia città, Kiba.” mormorò, un sorriso dolce tra le labbra. “Non posso dimenticarla, non sarebbe corretto.”

Aveva ragione. Il moro capì che chiederglielo era stato sbagliato, così come sua sorella gli aveva chiesto di dimenticare suo padre.

Ognuno ha il proprio fardello da portare...

“Ti chiedo scusa.” rispose, chinando la testa. “Ti prego, continua.”

Il sorriso di lei divenne più ampio, anche se intriso di un velo di tristezza. Improvvisamente, appoggiò la testa sul petto di lui, accoccolandosi, alla ricerca di un riparo dal vento freddo di febbraio.

“Quando Soraku cadde in rovina, divenne un luogo spettrale.” proseguì, iniziando ad accarezzare il petto del moro. “Le leggende narrano che le anime di coloro che vennero uccisi in quel modo barbaro dimorino ancora qui, alla ricerca di vendetta. Qualunque sia la verità, i superstiti della mia famiglia mantennero intatto il loro giuramento, continuando a proteggere e sorvegliare questo luogo.”

“Ma gli anni passarono ancora, portando nuove guerre e nuove devastazioni. Il clan che tempo addietro aveva conquistato la gloriosa Soraku iniziò a decadere, scomparendo nell'oblio, e così fece anche la mia famiglia. Diventammo sempre meno, ultimi superstiti di una lunga e gloriosa casata di guardiani, custodi di un sapere in rovina, che forse non vedrà mai più la luce di un tempo.”

Ritornò il silenzio. Kiba iniziò a sfiorarle la chioma castana, assaporandone tra le dita l'incredibile morbidezza, muovendosi dolcemente, quasi fosse solo uno spirito protettore. Lei sembrò apprezzarlo, poiché la percepì rilassarsi, abbandonandosi del tutto a quel contatto.

“Mia nonna è morta cinque anni fa.” sussurrò infine, concludendo quel lungo racconto. “Quando è scomparsa, io sono rimasta sola. Ultima discendente dei guardiani di Soraku.” si voltò, fissando l'uomo negli occhi, il sorriso ora mutato in un'espressione seria. “La custode di un luogo che pullula di morte e disperazione.”

Avanzò cautamente una mano, sfiorandole il volto. Assaporò sotto i polpastrelli quel viso così strano, così particolare, che l'aveva stregato fin da quando aveva avuto modo di osservarlo per la prima volta. Tamaki socchiuse gli occhi, stringendo quella mano tra la sua, confortata da quel contatto così umano.

“Ti ricordi il nostro primo incontro?” mormorò la kunoichi, tornando a fissarlo in faccia. “Quando mi hai accusata di essere un'assassina?”

Kiba provò a sviare lo sguardo, ma lei glielo impedì, costringendolo a fissarla in quegli occhi dolci ed ambrati.

“Sì.”

“Quegli uomini erano dei criminali. Avevano compiuto crimini meschini ed orrendi.” con un gesto impulsivo, appoggiò la fronte contro quella dello shinobi, la voce ora incrinata. “Ti chiederai perché l'ho fatto, ed io potrei risponderti molte cose, ma non desidero mentirti.” fece un profondo respiro, continuando a stringere le mani di lui con forza crescente, quasi avesse paura di cadere se l'avesse lasciato. “L'ho fatto per dovere. Proteggere questa città è tutto ciò che mi ha lasciato in eredità la mia famiglia, ed io lo devo fare, anche se questo comporta macchiarsi di azioni orrende.” le prime lacrime solcarono il viso di Tamaki. Rappresentavano il suo senso di colpa, la sua disperazione per un destino che l'aveva intrappolata come un uccello in gabbia, costringendola a compiere non ciò che desiderava, ma quello che il suo sangue esigeva da lei.

“Avevi ragione: io sono un'assassina, una persona con le mani sporche del sangue di innumerevoli persone, solo per onorare coloro che sono morti in questo luogo.” scosse la testa, asciugandosi le lacrime con un gesto stizzito, i singhiozzi che ne squassavano il corpo magro. “Non pretendo che tu possa comprendere. Sei uno shinobi di Konoha, uno spirito libero che ha sempre potuto scegliere la sua strada, una cosa che a me è stata negata fin da quando sono venuta al mondo.”

La propria strada. Quelle parole risuonarono con prepotenza dentro la mente di Kiba. Tamaki aveva parlato della libertà di compiere il destino che uno preferisce, ma si chiese se ciò fosse veramente un bene. Non era mai stato veramente capace di prendere in mano la propria vita, ma si accorse che la kunoichi, invece, quella possibilità non l'aveva mai avuta.

Proprio come me... quel pensiero lo colpì, facendogli notare come anche lui, nonostante tutto, una vera scelta non l'aveva potuta fare. Per la sua famiglia sarebbe sempre stato quello meno talentuoso, meno bravo, l'elemento da disprezzare e considerare feccia. L'elemento imperfetto.

“Tamaki...” le asciugò una lacrima con il pollice, sentendola tremare tra le sue braccia, incredulo nel pensare all'eredità che quella ragazza così fragile doveva tenere sulle proprie spalle ogni giorno. Era sorprendente il fatto che non fosse mai crollata, continuando la propria opera di protezione nei confronti di un luogo ormai decaduto da molto tempo prima che entrambi nascessero.

“Io... credo di poter capire il tuo dolore.” la vide alzare il volto di scatto, incredula, gli occhi spalancati a fissarlo. “Tu non hai mai avuto la possibilità di scegliere, ma anch'io non ho mai potuto decidere del mio ruolo nel mondo.” deglutì a vuoto, accorgendosi solo in quell'istante che gli occhi di lei riflettevano la pallida luce delle stelle sopra di loro, rendendola semplicemente magnifica. “Sono sempre stato considerato l'elemento sbagliato della mia famiglia, una pecora nera da emarginare e disprezzare.” un sorriso sghembo nacque sul viso dello shinobi. “Il mondo ha deciso che noi due non possiamo essere più di questo, ma io credo che queste catene si possano spezzare... basta solo volerlo.”

Forse fu l'atmosfera del momento, l'empatia nata dall'essersi confessati ciò che maggiormente tormentava i loro cuori, o forse fu solo il destino, tante volte da loro maledetto. Kiba non avrebbe mai avuto la risposta che cercava, ma forse non gli importava neanche troppo conoscerla. L'importante, era che fosse successo.

I loro volti si sfiorarono, delicatamente. Poi si unirono in un bacio, lento e passionale. La lingua di lei provò a danzare con quella del moro, timidamente, dimostrando così la propria inesperienza, facendosi ben presto guidare da quella ben più vissuta dello shinobi.

“Perché?” mormorò quest'ultimo, quando le loro labbra si staccarono, rimanendo comunque a pochi centimetri di distanza. “Mi conosci da pochi giorni... non puoi sapere se sono quello giusto.”

Tamaki sorrise, un sorriso ricolmo solamente di gioia.

“Mi hai aiutato a spezzare le catene.” le ribaciò, lentamente, assaporando ogni istante di quel gesto così carico di significato. “Anche se solo per una notte.”

E Kiba non si fece più domande. Non le voleva, così come non le desiderava lei.

Una notte... sarebbe stata solo loro. Ore in cui avrebbero potuto illudersi di ogni cosa, creando un mondo privo dei sogni infranti e delle speranze distrutte.

Una notte in cui potevano diventare la principessa di un potente clan e l'eroe di tutti gli shinobi, destinati ad amarsi per sempre.

La vivremo insieme.

 

 

Scesero le scale avvinghiati, faticando a raggiungere la stanza di lui, ognuno impegnato ad esplorare con la bocca ogni centimetro del corpo dell'altro. Le mani dello shinobi si portarono all'attaccatura dei capelli di lei, percependo sotto i propri polpastrelli la carne calda e delicata. Il suo sangue si scaldò, proprio come in battaglia, annebbiandogli i sensi, lasciando spazio alla parte più primitiva ed animalesca del suo subconscio.

Le mordicchiò la spalla, percependo il corpo di lei scattare sotto una scarica di adrenalina. Tamaki iniziò a mugugnare, graffiandogli la schiena, le gambe avvinghiate attorno alla sua vita, incurvando la schiena per appoggiarsi del tutto su di lui.

Entrarono nella stanza. Lì lo shinobi iniziò a togliersi gli abiti, sentendoli ormai un'inutile impiccio. Era arrivato ai pantaloni quando una mano di lei lo bloccò.

“Aspetta!” aveva la voce roca, il petto sudato che si alzava ed abbassava freneticamente. “Per me... è la prima volta.”

Il sangue di Kiba si surriscaldò nel sentirle dire quella frase, percependo il gonfiore dentro i pantaloni diventare un'eccitazione pulsante e dolorosa. La guardò negli occhi, sentendo il desiderio di farla propria, di poter diventare una cosa sola con lei. Un impulso così potente ed irrefrenabile come non l'aveva mai percepito, neanche nei suoi sogni più nascosti con Hinata.

“Anche per me.” si limitò a sussurrare, riprendendo a baciarla con trasporto. Non era una bugia, non nel vero senso della parola. Aveva fatto sesso in passato, e molte volte, ma non aveva mai sentito un'empatia così travolgente come quella che stava provando con Tamaki. Per la prima volta nella sua vita, Kiba stava per scoprire cosa significasse fare l'amore: un insieme di azioni e sensazioni infinitamente più potenti del puro e semplice sesso.

Gli ultimi abiti scivolarono a terra, permettendo ai loro corpi nudi di avvinghiarsi liberamente. Le mani dell'Inuzuka assaporarono pienamente quel corpo, così diverso da quello che aveva popolato i suoi sogni più oscuri e tormentati. Le gambe non erano lisce ma ricoperte da piccole cicatrici, risultato di una vita aspra e dura, impegnata a combattere fin dalla tenera età. Il sedere non era pieno e sodo, ma magro e nervoso, il seno era poco più di una prima, dove svettavano due capezzoli chiari e pronunciati, duri come chiodi, sui quali si attaccarono, famelici, i suoi denti, aumentando vertiginosamente l'eccitazione della kunoichi, anch'essa impegnata ad esplorare il corpo di lui. Percepì muscoli caldi e compatti, anche se non definiti, sotto gli innumerevoli segni della vita da ninja. Le sue dita, calde e curiose, gli artigliarono il sedere, spingendogli l'eccitazione verso la sua intimità più nascosta, ma lo shinobi la bloccò, osservando quegli splendidi occhi implorare piacere con un ringhio soddisfatto.

“Pazienza...” le ansimò all'orecchio, la voce ormai simile ad un vero e proprio latrato. “Devi avere pazienza...”

Scese lentamente con la lingua, accarezzando quel corpo pulsante ed avido di piacere, desiderando spasmodicamente conoscere ogni singolo segreto di esso. Quando arrivò in mezzo alle sue gambe, il suo olfatto sviluppato venne sommerso dall'odore acre dell'eccitazione di lei, facendogli perdere anche l'ultimo barlume di lucidità.

Ci si immerse con sadica lentezza, assaporando con la lingua ogni centimetro della parte più intima e segreta di ogni donna, mentre le sue dita esperte regalavano sussulti di piacere alla ragazza. Tamaki inarcò la schiena, emettendo dalla gola versi simili alle fusa di un gatto, mentre le sue gambe bloccavano la testa dell'amante, schiacciandogli la faccia contro il bacino. Il suo corpo si ricoprì di acre sudore, iniziando a tremare impercettibilmente. Fino a quando, con un verso simile a quello di una gatta soddisfatta, Tamaki venne, permettendo al ninja di assaporare il succo del suo piacere.

Lentamente, Kiba risalì il corpo ansimante della kunoichi, fissandola dritta negli occhi. Ci vide gioia e stupore per le sensazioni appena provate, oltre ad uno spasmodico desiderio di provarne ancora. Avvicinò la propria eccitazione all'intimità di lei, sfiorandola, percependola più bollente e famelica di prima.

“Non esitare.” sussurrò la ragazza, graffiandogli la schiena per gioco, proprio come un gatto. “Rovinerebbe tutto.”

Lui inarcò il labbro superiore, mostrandole i denti, accettando implicitamente quella sfida.

Entrò. In modo secco, diretto, senza pause, lacerandole l'imene senza alcuna esitazione.

Le unghie di lei gli si conficcarono nelle scapole, sibilando, irritata dal bruciore che percepiva. Senza indugiare oltre, Kiba iniziò a muoversi in modo lento, metodico, preciso. Conosceva la propria resistenza, e sapeva quale fosse il ritmo più corretto per prolungare il piacere di entrambi. La kunoichi iniziò ad apprezzare rapidamente quel corpo estraneo, accompagnando il movimento con il proprio bacino, dando vita ad una danza erotica ed animalesca.

Nonostante l'inebriante piacere che alimentava la parte più primitiva di entrambi, sapevano che era solo un'illusione, una splendida, magnifica illusione. Tamaki non era una principessa destinata a governare un potente clan, Kiba non era il grande eroe di tutti gli shinobi, privo di difetti e dotato di poteri sovrumani. Eppure, tra quelle lenzuola, potevano essere tutto ciò che desideravano, perché era quello che volevano. Sognare, illudersi, vivere per una notte lontani dallo schema sociale che li aveva ridotti a sopravvivere, giorno dopo giorno, alla ricerca di qualcosa di così sfumato e contorto da essere difficile da comprendere appieno. Esistevano solo loro, il piacere e l'empatia che li univa. Tutto il resto non contava, non in quell'istante. Ed era qualcosa di bellissimo.

Amoreggiarono per tutta la notte. Tamaki sembrava instancabile nel suo desiderio di assaggiare il frutto proibito, di vivere sensazioni che per troppi anni aveva dovuto rimuovere dalla sua esistenza. Kiba la seguì senza farsi alcuna domanda, stanco di cercare scuse. Stava bene con lei, la desiderava e per una notte poteva bastargli.

Quando iniziarono a farlo per la terza volta, i loro movimenti, i loro versi, erano ormai solo puro e brutale istinto. La kunoichi incurvava la schiena come una splendida gatta, graffiando e mordendo per gioco il compagno di letto, ma scoprendo ben presto di trovare più divertente usare la lingua per stuzzicarlo, assaporando direttamente il piacere di lui in gola. Kiba prese a comportarsi come un grosso cane, tentando costantemente di stare sopra, ansimando e latrando, seguendola nei suoi giochi contorti con perplessità, incapace di comprendere quale fosse il suo vero scopo.

La loro danza amorosa raggiunse il proprio picco alla fine del terzo amplesso, quando lei prese a cavalcarlo, piantandogli le unghie sul petto quale monito a restare sotto. L'Inuzuka sbuffò, contrariato a lasciarsi comandare, ma troppo stanco ormai per controbattere. Si limitò ad afferrare i glutei nervosi e contratti di lei, aiutandola a mantenere un ritmo costante, fino a quando, a distanza di un paio di minuti l'una dall'altro, non raggiunsero l'ultimo, devastante, orgasmo.

Assurdo... Kiba ricominciò solo allora a riprendere un minino di lucidità, osservando la ragazza accasciarsi sopra di lui, emettendo mugugni di soddisfazione simili a fusa. Mai vista una vergine così scatenata!

Rimasero parecchi minuti in silenzio, ognuno impegnato a riprendere in mano la propria mente. Era come se si fossero lasciati per alcune ore tutto fuori da quella stanza, ed ora, una volta che il fuoco della passione si era assopito, fossero costretti a recuperare ogni cosa, un pezzo alla volta.

“Ci sono riuscita?” sussurrò improvvisamente Tamaki, alzando il viso, cercando gli occhi di lui. “Sei riuscito a spezzare le tue catene?”

L'Inuzuka fece un profondo respiro, iniziando ad accarezzarle i capelli. Era stato magnifico, e probabilmente non serviva dirlo a voce affinché lei lo capisse, ma quegli occhi esigevano una risposta, e Kiba iniziò a capire che non sarebbe mai riuscito a negarle qualcosa.

“Sì...” rispose infine. “Ma mi domando se ci sarà qualcosa anche dopo che la notte avrà fine.”

Lei non rispose subito, appoggiando nuovamente la testa sul suo corpo.

“Io sono una guardiana di Soraku, tu uno shinobi di Konoha.” mormorò infine. “Non esiste niente là fuori per noi.”

Il moro chiuse per un istante gli occhi. Si aspettava quella risposta, ma gli fece comunque male.

“Vuoi davvero rimanere a vivere in questo posto per sempre?” sussurrò. “A difendere ciò che non può essere salvato?”

“Chi sono io per dirlo?” fu la replica della ragazza. “Come posso abbandonare ciò per cui i miei antenati hanno dato la vita?”

“Tu non sei loro.” il ninja le alzò il viso, fissandola dritta negli occhi. “Quello è stato il loro giuramento, non il tuo! Non sei costretta a farlo, e tu lo sai.”

Tamaki non rispose. Si limitò ad alzarsi, iniziando a rivestirsi con gesti lenti, sistemandosi i capelli scompigliati.

“Perché non mi rispondi?” anche Kiba si alzò, bloccandola. “Ieri sera mi hai detto che odi questa situazione, e che desideri cambiarla. Perché non lo fai? Possiamo farlo assieme, se è questo che ti spaventa, ma non puoi liquidare tutto ora, non dopo quello che...”

“Abbiamo fatto sesso, Kiba.” fu la secca replica di lei. “Del magnifico sesso, e ti sono grata per aver condiviso questi istanti con me, ma tu hai la tua strada ed io la mia. Tentare di unirle sarebbe solo una follia.”

“Perché? Cosa ci sarebbe di così scandaloso se ti lasciassi alle spalle questo posto? Cosa ti lega a un cumulo di macerie abitate dalla peggior feccia del paese?”

“Che questa città è intrisa del sangue della mia gente, Kiba!” la ragazza reagì con stizza, liberandosi della presa di lui. “Sangue che è stato versato per un giuramento! Come potrei considerarmi una persona degna di questo nome se lo infrangessi? Come potrei vivere sapendo che ho voltato le spalle a tutto ciò per cui i miei genitori, mia nonna e tutti i miei consanguinei hanno dato la vita?” si avvicinò al moro, squadrandolo con durezza. “Come ti sentiresti ad abbandonare quel coprifronte? Se ripudiassi tutto ciò in cui credi? Saresti davvero capace di vivere in pace con te stesso?”

L'Inuzuka non rispose, abbassando lo sguardo. Nel vederlo fare ciò, Tamaki contrasse la bocca, quasi avesse mangiato qualcosa di estremamente amaro.

“Mi aspettavo questa risposta.” gli accarezzò il volto con dolcezza. “Ti ringrazio per tutto, dico davvero.” si voltò di scatto, iniziando ad uscire dalla stanza. “Ma non puoi salvarmi da questo fardello.”

Kiba chiuse gli occhi, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani. Era vero, era tutto schifosamente vero. Lui non era Naruto, non poteva cambiare il destino degli altri. Come poteva sperare di salvare qualcuno se non era neanche capace di salvare se stesso dalla mediocrità in cui era caduto? Si morse un labbro, assaporando l'amaro sangue, chiedendosi se fosse veramente incapace di poter raddrizzare il proprio destino, e la deriva che esso aveva preso.

“E se ti liberassi di quel giuramento?” le parole gli uscirono di getto, quasi d'istinto, come se una parte di lui si fosse rifiutata di far uscire Tamaki dalla sua vita.

“Come?” quest'ultima si voltò a fissarlo, sinceramente perplessa da quella frase. Era come se ciò che avesse davanti agli occhi fosse qualcosa di profondamente sbagliato, non catalogabile. Non era possibile che Kiba avesse proposto una cosa simile, perché agire in quel modo non lo riguardava, non apparteneva al suo modo di vivere ed operare nel mondo. Apparteneva a qualcun altro.

Qualcuno destinato ad essere Hokage.

“Hai detto che la tua famiglia ha giurato di proteggere questa città in nome di un potente clan.” continuò il moro, ancora non del tutto sicuro di sapere cosa stesse dicendo. “Se non vuoi più che la tua vita sia decisa da qualcosa promesso da gente morta secoli fa, allora tutto quello che dobbiamo fare e trovare i membri di questo clan, e chiedergli di sciogliere il giuramento.”

“Sono morti, Kiba.” fu il laconico commento di lei. “Non esiste più nessuno con porti quel nome ormai.”

Stranamente, sul volto dello shinobi nacque un sorriso nell'udire quella risposta.

“Hai detto che questo clan venne a vivere a Konoha quando quest'ultima fu fondata. Che io sappia, esiste un solo clan di Konoha che è stato sterminato: gli Uchiha.” fu con soddisfazione che notò una tenue sorpresa sul viso della ragazza. “Ed esiste ancora un membro vivo di quel clan: Sasuke Uchiha.”

Nella stanza cadde un silenzio tombale. Tamaki abbassò lo sguardo, la mente rosa dal dubbio che l'Inuzuka le aveva messo in testa. Poteva davvero liberarsi per sempre di quel fardello? Di quel passato tragico che da troppo tempo le pesava nell'animo come un macigno? Non lo sapeva, ma una parte di lei lo desiderava così tanto che non osava sperare di poterlo davvero fare.

“Nessuno sa dove si trovi Sasuke Uchiha.” provò a replicare, ma la voce la tradì, dimostrando un disperato desiderio di credere nelle parole del moro.

“Ti aiuterò a trovarlo.” nonostante fosse ancora nudo, Kiba si fece avanti, afferrando la mano di lei. “Dovessimo impiegarci anni, noi lo troveremo... è una promessa.”

“Non avevi una missione di livello S da compiere?”

“Era una bugia.” fu con naturalezza che lo ammise. Era strano, ma con lei non si vergognava ad ammettere le proprie debolezze. Sapeva che la kunoichi l'avrebbe compreso, ed era semplicemente magnifico sapere che esisteva al mondo una persona con cui condividere una simile empatia. “L'ho fatto perché non volevo mostrarti chi ero veramente.”

“E perché ora l'hai fatto? Cosa è cambiato?”

Le labbra del ragazzo si dispiegarono in un sorriso.

“Lo sapevi già.”

Rimase colpita da quella risposta. Era vero, aveva capito molto prima di finirci a letto assieme che persona realmente fosse Kiba Inuzuka, ed era per quello che si era confidata con lui: sapeva che poteva capirla, e quella proposta, folle ed incosciente al tempo stesso, ne era la prova.

Kiba... provò un'improvvisa riconoscenza nei confronti di quel ragazzo, capace di confidarsi con lei, di capirla, appoggiarla, farle di nuovo conoscere il significato della parola 'compagnia'. E lui le stava proponendo di iniziare una ricerca al limite dell'impossibile, solo per renderla di nuovo libera di scegliere da sola il proprio destino.

Dolce stupido Kiba... chiuse gli occhi, un leggero sorriso sulle labbra, mentre assaporava il contatto della sua mano.

Forse, in cuor suo, aveva deciso molti giorni prima la risposta che infine fu pronta a rivelargli.

 

 

Tre giorni dopo

 

 

Kiba si riparò dai raggi del sole, assaporando con un profondo respiro la frizzante aria mattutina. Osservò alle sue spalle le ultime propaggini di Soraku con un sorriso strano sulle labbra. In quel posto aveva imparato molto su se stesso, oltre ad incontrare una persona semplicemente incredibile. Nonostante la cupezza dei grattacieli in rovina, le strade infangate e gli abitanti corrotti, Soraku avrebbe avuto sempre un posto speciale nel suo cuore.

“Ripensamenti?” percepì al suo fianco la voce dolce di Tamaki, la quale gli strinse la mano. Si voltò a fissarla negli occhi, notando ancora una volta la bellezza particolare di quel viso. Dopo quello che era accaduto, Hinata era solo un ricordo lontano. Avrebbe occupato comunque un posto speciale nella sua vita, ma solo come amica.

“Nessuno!” iniziarono ad incamminarsi, lasciandosi la città dietro di loro. “Mi domandavo solo se Momo non soffrirà la tua mancanza.”

“Oh, lui non è solo.” rispose la kunoichi, beandosi anche lei dei freddi fasci di luce invernali. “Possiedo altri gatti come lui: ci sono Kibito, Lula, Sakuro, Tekko...”

“Scusa una domanda, ma tu... quanti gatti hai di preciso?” la interruppe l'Inuzuka, iniziando a sudare freddo.

“Quindici gatti e ventidue gatte.” fu la risposta di lei, scoppiando a ridere quando vide l'espressione sconvolta di lui. “E ci sono anche tre cuccioli. Quindi in totale possiedo quaranta gatti.”

Kiba non replicò, limitandosi a sospirare, guadagnandosi una scherzosa pacca consolatoria da parte di Tamaki. Non sapeva se trovare l'idea di condividere una futura casa con quaranta gatti simili a Momo divertente o raccapricciante, ma poi immaginò l'espressione che avrebbe fatto Akamaru nel scoprirlo e non ci fu niente da fare: scoppiò semplicemente a ridere, subito imitato dalla kunoichi.

Forse era quello che provava Naruto ogni volta che si imbarcava in qualche pazzia. Kiba si sentiva semplicemente sicuro della sua scelta, convinto che, fino a quando avesse avuto al suo fianco Tamaki, tutto sarebbe stato possibile, anche rintracciare Sasuke per regalare loro un futuro assieme e, forse, riconciliarsi con la sua famiglia.

Perdonami Akamaru... si voltò a fissarla di nuovo, ormai totalmente dipendente dal sorriso di lei. Ritarderò un po'... ho una missione da compiere.

Una missione da Hokage.

 

 

 

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Capitolo 22
*** Saper premere il tasto giusto ***


The Biggest Challenge

 

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Saper premere il tasto giusto

 

 

Naruto scrutò corrucciato il figlio, le sopracciglia così contratte da risultare quasi ridicolo. Si accoccolò davanti al seggiolone di quest'ultimo, fissandolo mentre era impegnato a fare colazione, gli occhi cerulei che si consumavano nell'eccitazione del momento.

Questa volta lo sento... è quella giusta!

“Avanti...” lo incoraggiò, iniziando ad imboccarlo. “Guarda quanta pappa ti sta dando il... il...” fissò speranzoso Boruto, nella speranza che pronunciasse quella fatidica parola, quella che aspettava fin da quando aveva sentito il figlio biascicare frasi senza senso alcune settimane prima. Poco distante, intenta a rassettare la cucina, Hinata fissava la scena con la coda dell'occhio, non riuscendo a trattenere un sorriso.

Lentamente, Boruto aprì la bocca, sorridendo con fare fanciullesco al padre. Nella cucina ci furono attimi di tensione, mentre Naruto attendeva che da quelle fauci rigurgitanti saliva finalmente uscisse il vocabolo che tanto desiderava udire.

Ne era sicuro, sicurissimo: questa volta lo avrebbe chiamato, avrebbe chiamato il suo papà!

“Ma-ma!” esclamò il piccolo Uzumaki, tirando una cucchiaiata di pappa alla pesca in un occhio del padre, ridendo tutto contento. “Ma-ma!”

“No, non dire mamma!” replicò con una vena nascosta di supplica Naruto. “Dì papà! Avanti... pronuncia questa parola facilissima... papà!”

“Ma-ma!” proseguì a ripetere Boruto, iniziando ad agitarsi. “Ma-ma!”

“Eccomi, Tesoro.” Hinata accorse dal figlio, aiutandolo a finire la colazione, mentre il marito andava a pulirsi il volto sporco di pesca frullata nell'acquaio.

Ti è andata male anche stavolta, eh?”

Scommetto che pronuncerà prima il mio nome del tuo, Volpe del cavolo!”

Mai scommettere su queste cose, moccioso, specie se sai di non avere alcuna chance.”

Notando l'aria abbattuta del compagno, la Hyuga non poté fare a meno di sorridere. Era dispiaciuta per il suo uomo, ma notare quanto impegno ci mettesse per essere un buon padre le scaldava il cuore.

“Sarà per domani.” dichiarò, con il chiaro intento di consolarlo. “Ricordati che farà due anni solo tra un mese; c'è tempo.”

“Lo so... ” sbuffò il biondo. “E' solo... frustrante! Da quando ha cominciato a parlare, ha nominato qualsiasi cosa tranne me! Ha nominato perfino il nome di Sakura-chan prima del mio!”

“Non ti facevo così competitivo su queste cose.” lo prese in giro Hinata, finendo di pulire il viso al figlio. Quest'ultimo era intento ad osservare l'enorme montagna di pelo a cui corrispondeva il nome di Akamaru, impegnato a fissare fuori dalla finestra di cucina con occhio spento. Seguendo lo sguardo del figlio, il sorriso della donna svanì, lasciando posto ad un'espressione di sofferenza.

Kiba-kun... era passato quasi un anno e mezzo da quando il suo vecchio compagno di Team era sparito dal villaggio senza lasciare alcuna notizia dietro di sé. Molti lo davano per morto, ed alcuni cominciavano già a parlare di lui al passato. Tuttavia, quando quelle voci era giunte all'orecchio di Tsume, quest'ultima aveva spedito all'ospedale chi le aveva pronunciate, sbraitando che suo figlio non era uno smidollato che si faceva ammazzare facilmente. Da allora nessuno aveva più osato nominare il figlio in sua presenza, ma l'idea che all'Inuzuka fosse successo qualcosa era sempre più diffusa, checché ne dicesse la genitrice.

Hinata si avvicinò al grosso cane, regalandogli una leggera carezza. Quando aveva saputo che Kiba era partito senza il suo fedele amico non ci aveva pensato due volte ad andare da Tsume, chiedendole di potersi occuparsene lei del cane-ninja. Credeva che fosse il minimo far sentire meno solo un compagno che l'aveva aiutata in centinaia di occasioni, senza contare che anche lei, come Akamaru, sentiva la mancanza del casinista di casa Inuzuka.

“Mi dispiace, Akamaru-san.” sussurrò, grattandogli dolcemente le orecchie. “Temo che dovrai aspettare ancora.” il grosso cane si limitò a guaire piano, senza smettere di osservare il vialetto di casa Uzumaki, desideroso di veder comparire da un momento all'altro l'amico di una vita.

“Kiba...” Naruto emise un profondo respiro, mordicchiandosi l'interno della guancia. Più il tempo trascorreva, più si malediva per non aver convinto Kakashi a mandarlo a recuperare l'amico. Si era anche chiesto cosa diavolo fosse passato in mente al suo vecchio Sensei di dare una licenza indeterminata a Kiba senza fargli alcuna domanda, ma tutto quello che aveva tirato fuori all'Hokage, dopo un'ora ininterrotta di domande, era stata una frase enigmatica riguardo il 'saper leggere il cuore di un uomo'.

“Sono sicuro che tornerà.” mormorò l'Uzumaki, iniziando anche lui a grattare le orecchie ad Akamaru. “E' forte, Kiba. Non si farà mettere i piedi in testa facilmente.”

“Perché l'Hokage non manda una squadra a cercarlo?” chiese la Hyuga, tornando ad occuparsi di Boruto, impegnato a tirare la coda di un depresso cane-ninja. “Dopo oltre un anno credo che sia il minimo!”

“Non sai quante volte ho provato a chiederglielo.” replicò Naruto. “Ma in questo momento siamo contati. Con le nuove squadre miste, il numero di Jonin e Chuunin al villaggio è veramente minimo, e non possiamo certo lasciare la difesa dei confini ai Genin!”

“Un tempo non la pensavi così.” osservò con un sorriso nostalgico la donna, pensando a tutte le volte che il marito, da giovane, aveva sbraitato per ottenere compiti più consoni ad un Jonin che ad un semplice Genin.

Il Jinchuuriki spiegò le labbra in un sorriso strano, comprendendo l'allusione della moglie. L'afferrò per una mano, stringendola tra le braccia, regalandole un intenso bacio.

“Un tempo pensavo anche che tu fossi solo un'amica.” fu la sua replica, una volta staccatosi dalla Hyuga. Quest'ultima gli accarezzò il viso, le gote rosse, mentre il desiderio ribolliva in lei come un fiume in piena, annichilendo il suo raziocinio.

Naruto-kun...

Non gliene fregava niente se erano presenti sia il figlio che Akamaru-san. Era da troppo tempo che Naruto non la guardava più con occhi ribollenti di desiderio, che non la desiderava a letto, trasformando ogni singolo istante delle loro notti in pura e semplice passione. Finalmente, dopo mesi interminabili, avrebbe potuto tornare a sfogare le sue voglie con l'uomo che amava.

“Porca... sono di nuovo in ritardo!” Naruto mollò di colpo la moglie, rischiando di spedirla con il sedere per terra, correndo a mettersi i sandali con fare frenetico. Hinata fece appena in tempo ad evitare il contatto tra le sue chiappe ed il duro pavimento, che il marito le lanciò un frettoloso saluto con la mano, uscendo di casa a passo rapido.

“Ci vediamo stasera!” la sua voce risuonò dal giardino, scomparendo ben presto, evitando così alla Hyuga una penosa risposta. Il tutto mentre Boruto proseguiva a tirare la coda di un apatico Akamaru, lanciando urla di gioia.

“Cane buffo! Cane buffo!”

Peccato che sua madre in quel momento, non vedesse nulla di lontanamente buffo nella sua vita.

 

 

Shino non amava parlare. Non era mai stato una persona espansiva, e credeva che parlare troppo fosse deleterio, oltre che fastidioso. A cosa gli serviva blaterare quando poteva, con le proprie azioni, spiegarsi benissimo? Inoltre, dopo quasi quindici anni come migliore amico di Kiba Inuzuka, l'Aburame era giunto alla conclusione che, come chiacchiere, bastavano quelle del suo vecchio compagno di squadra.

Ma ora non era così sicuro che non possedere una buona dialettica fosse conveniente.

Da quando aveva cominciato ad insegnare, Shino si era accorto di quanto potesse essere difficile parlare ai propri studenti. I concetti erano lì, dentro la sua testa, meravigliosamente chiari e limpidi, ma quando tentava di trasformarli in parole, essi diventavano vuoti, banali, addirittura goffi, suscitando perplessità e, in alcuni casi, anche ilarità tra i suoi alunni.

Io sono il loro Sensei, tocca a me fare in modo che possano diventare le migliori persone possibili, prima ancora che i migliori ninja del mondo.

Il sole investiva di luce la piccola radura, circondandolo con gli odori e i rumori della foresta. Inspirò, assaporando l'odore dell'erba primaverile, percependo le distrazioni e le preoccupazioni dissolversi. Era il suo posto speciale, il luogo dove andava quando necessitava di acquietare la mente dai problemi. Un rifugio in cui, specie da quando Kiba era partito senza dirgli nulla, riusciva a riacquistare un minimo di serenità.

“E' proprio un bel posticino.”

Shino non si mosse, riconoscendone la voce. Non poteva dire di conoscerla a fondo, ma sapeva a chi apparteneva e tanto bastava per renderlo perplesso sulla sua presenza in quel luogo.

“Hana-sama.” la salutò con tono cordiale, osservandola raggiungerlo con una falcata decisa. Non aveva mai avuto molti rapporti con la capoclan degli Inuzuka. Ovviamente aveva avuto modo di parlarci, essendo la sorella maggiore del suo migliore amico, ma i pessimi rapporti di Kiba con la famiglia, e la sua scarsa dialettica, non gli avevano mai permesso di andare oltre alcune parole di circostanza.

Eppure, ora era lì. L'Aburame era troppo smaliziato per credere che si trattasse di una coincidenza. Tuttavia, a parte il legame con l'amico disperso, non riusciva a trovare alcuna motivazione valida perché lei, Jonin e capo di un potente clan, andasse a cercare la compagnia di un semplice insegnante, introverso e taciturno, con scarse possibilità di instaurare un dialogo costruttivo con chicchessia.

“Shino.” non era un saluto, ma semplicemente il suo nome, pronunciato con tono incolore, lo stesso con cui tante, troppe, volte lui si era rivolto ai suoi studenti.

“A cosa devo questo onore, Hana-sama?” chiese con fredda cordialità. La sua vicinanza lo metteva a disagio. Era incredibilmente simile a Kiba in tanti piccoli dettagli: dalla sfumatura scura delle iridi, fino al modo con cui annusava l'aria, per non parlare dei simboli degli Inuzuka impressi sul viso, incisi negli stessi punti del fratello. Eppure, per quanto simile, c'era molto in lei, troppo, che rimarcava le differenze. I capelli lisci e ben curati, le labbra carnose e il petto florido che tracimava dalla camicia bianca che indossava. Ogni cosa di lei tracimava forza e sensualità, proprio come un grosso animale selvaggio.

“Volevo domandarti una cosa.” anche la sua voce era molto diversa da quella del fratello. Non era aspra e ruvida, simile ad un latrato, ma calda e liscia, con solo una nota in sottofondo di ruvidezza, quasi a ricordare il sangue che le scorreva nelle vene. “Mi piacerebbe sapere se hai avuto qualche notizia di mio fratello.”

Shino si sistemò gli occhiali con un gesto meccanico, piantando le proprie iridi su un alveare in costruzione, posizionato sull'albero di fronte a sé. Era logico che fosse quello il motivo della sua presenza, e la cosa gli andava più che bene: non desiderava la compagnia ad ogni costo, specie di una donna che lo confondeva con quel suo modo di porsi, così forte e sensuale al tempo stesso.

“Temo di doverla deludere.” rispose con voce ascetica. “Non ho ricevuto alcuna notizia da parte di Kiba.”

“Capisco.” una folata di vento le scompigliò un ciuffo ribelle, obbligandola a sistemarlo con un cenno abituale. Non sembrava triste, quanto più rassegnata. Era come se, dopotutto, non avesse mai nutrito vere speranze di ricevere una buona notizia.

“Non sei un tipo di molte parole.” osservò successivamente, rivolgendo al giovane Sensei un sorriso tiepido, simile ad una fredda alba primaverile. “A volte mi chiedo come sei riuscito a legare così tanto con Kiba. Lui è... il tuo opposto.”

L'Aburame non disse nulla, lasciandosi cullare dal fresco vento che soffiava da nord. La sua amicizia con Kiba... una cosa su cui non aveva mai voluto soffermarsi. Non c'era un motivo, non esisteva un perché, era accaduto e basta. Il fato aveva deciso che il suo migliore amico fosse una persona spaccona, arrogante e logorroica, il genere di individuo che aveva sempre creduto di detestare. Un'ironia del destino che, a conti fatti, non faceva ridere proprio nessuno.

“Non esiste un perché.” mormorò. “E' successo lentamente, quasi senza accorgermene.” ci sarebbe stato molto altro da dire, ma non riusciva a trovare le parole giuste. Come spiegare un simile avvenimento? Come poteva narrare che un giorno si era accorto di non detestare Kiba Inuzuka, ma di rispettarlo? Di trovare indispensabile la sua vicinanza?

Certe sensazioni... le parole non possono racchiuderle completamente.

Il sorriso di Hana si rafforzò, quasi avesse compreso ciò che turbava la mente dello shinobi. I suoi occhi scuri si spostarono sull'alveare innanzi a loro, lasciandosi catturare dalla laboriosità metodica degli sciami di api che ronzavano.

“Sono felice che Kiba abbia un amico come te.” esclamò improvvisamente, il sorriso che scompariva, fagocitato dai ricordi. “Sei sempre stato la figura che mio fratello cercava in me: qualcuno che lo aiutasse, senza però che ciò ferisse il suo orgoglio.”

“Voi possedete un legame di sangue con Kiba; vale più di ogni cosa, Hana-sama.”

“No.” la capoclan scosse la testa. “Il nostro legame non basta a coprire il mio fallimento con lui.” si mordicchiò il labbro inferiore, le iridi color pece perse in memorie lontane, infinitamente più dolci del presente.

 

 

Sorellona! Me ne compri uno? Per favore!”

Abbassò lo sguardo, osservando Kiba fissarla con sguardo speranzoso, la manina paffuta stretta nella sua. Era difficile dirgli di no, percependo il calore di quel contatto.

E' tardi Kiba... se adesso ti compro un mochi, dopo non mangerai più niente a cena.”

Uffa! Ma faccio a metà con Akamaru, promesso!” si mise la mano sul cuore, sorridendo furbescamente alla sorella. “La mamma e il papà non lo sapranno mai!”

Non riuscì a trattenere un sorriso.

D'accordo.” gli scompigliò ulteriormente la zazzera. “Sarà il nostro piccolo segreto!”

 

 

Sorrise. Le era veramente difficile trovare la voglia di farlo, ma quando pensava al volto infantile di suo fratello, a come la guardava con adorazione, non riusciva a trattenersi.

Perché siamo cambiati così tanto... fratellino.

“Sai... un paio di volte vi ho osservati, duranti i vostri allenamenti.” si conficcò le unghie nei palmi delle mani, provando a controllare il flusso di emozioni che ribolliva in lei. “Vedevo... mio fratello felice, spensierato... solo grazie a te.”

Shino non replicò, la mente invasa da tutti i momenti che aveva condiviso con l'unico vero amico che era riuscito a trovare. Gli mancava la risata simile ad un latrato, il sorriso scanzonato e le interminabili chiacchiere. Il mondo sembrava più grigio e silenzioso senza Kiba, un posto tremendamente noioso.

“Quando nostro padre morì... io avevo tredici anni.” la voce di Hana assomigliava ad un soffio portato dal vento. “Ero diventata Chuunin da due mesi, ed ero considerata una kunoichi a tutti gli effetti dal mio clan.”

Si sedette sull'erba umida sotto di sé, incrociando le gambe, le iridi color pece perse nel baratro del dolore. Una crepa del suo cuore che non si sarebbe mai rimarginata.

“Io... non desideravo sembrare debole, non lo volevo essere.” fece un profondo sospiro, artigliando gli steli d'erba sotto di sé. “Ero spaventata a morte da ciò che sentivo, dalla voragine che si era aperta dentro di me. Capì che non potevo affrontarla, non se ciò avrebbe significato mostrare le mie emozioni agli altri. Nessuno... neanche Kiba.”

 

 

Uno schiaffò risuonò nell'aria.

Kiba cadde a terra, reggendosi la guancia arrossata, gli occhi ricoperti da una patina liquida.

Mamma... perché?” dichiarò, confuso da quel gesto.

Tsume digrignò i denti, fissando con rabbia disumana il proprio secondogenito.

Non devi mai pronunciare quel nome sotto questo tetto, Kiba! MAI!” la sua voce sferzò l'aria con cattiveria, facendo ritrarre il bambino. “Lui non è mai esistito, chiaro?!”

Il viso paffuto del piccolo Inuzuka si contrasse, lasciando libere le lacrime di uscire.

Lui era il mio papà!” urlò, alzandosi in piedi di scatto. “Non lo voglio dimenticare!”

Corse in camera sua, chiudendo con rabbia il fusuma dietro di sé. Nel silenzio della casa, i singhiozzi di rabbia e dolore echeggiarono con la violenza di una tempesta.

Gli occhi di Hana rimasero a lungo piantati sul fusuma del fratello, udendolo piangere ogni lacrima che possedeva. Per un istante sembrò tentata di aprirlo, ma lo sorpassò, dirigendosi all'uscita.

Io esco.”

L'aria calda del tramonto l'avvolse in un infuocato abbraccio, permettendole di non ascoltare più la disperazione di Kiba. Ne fu sollevata. Sapeva che era un'illusione, ma le andava bene così.

La sua corazza aveva retto ancora una volta.

 

 

Riaprì gli occhi di colpo. Aveva accelerato il respiro in modo involontario, le urla disperate del fratello che riecheggiavano assordanti nella sua mente.

Kiba... si accorse solo dopo alcuni istanti di Shino, seduto al suo fianco, lo sguardo impassibile fisso sul suo viso. Non sembrava sorpreso, né impietosito dalle crepe che aveva mostrato d'impulso. Il suo volto esprimeva una tacita condivisione, come se potesse comprenderla, rispettando al tempo stesso le sue sensazioni più intime e nascoste.

“Stai bene?” la sua voce risuonò calda e pacata, aiutandola a riacquistare il controllo del proprio subconscio. Hana si chiese come fosse possibile che una semplice frase potesse aiutarla così tanto. Iniziò a comprendere come avesse fatto quel ragazzo introverso e chiuso a conquistarsi la fiducia di suo fratello.

“Non è niente.” rispose infine, emettendo un profondo respiro, purificando la mente dal passato. “E' solo che... a volte mi chiedo cosa sarebbe successo se io... fossi stata disposta a confidarmi con Kiba, se avessi trovato la forza di vincere il mio orgoglio.” si morse un labbro, riuscendo infine a comprendere il mescolamento di emozioni che gli si era incagliato nello stomaco: un bruciante senso di colpa.

“Forse sia lui che io saremmo diventati persone migliori... con meno rancore da scaricare uno sull'altro.” il volto sorridente e paffuto di un piccolo Kiba risplendette tra i suoi ricordi, distendendole le labbra in un sorriso triste. “Che idiota che sono!” esclamò. “Solo ora che potrebbe essere morto ho dei rimorsi, confidandomi con il suo migliore amico... patetico!”

“Io non credo che voi siate patetica.” si voltò di scatto, osservando Shino con espressione di sorpresa. “Siete solo una sorella che teme per la sorte di suo fratello.” l'Aburame rivolse il proprio sguardo verso l'alveare. “Non deve avere paura di mostrare i suoi sentimenti.”

Nella radura scese il silenzio, rotto solo dal ronzio delle api che vagavano alla ricerca di polline.

“Vede, Hana-sama, noi siamo come le api: forse abbiamo compiti diversi, e ruoli diversi nella società, ma proviamo le stesse emozioni nei confronti del nostro alveare.” ritornò a fissare la donna, la quale era rimasta sbalordita da quella similitudine così particolare. “Il mio alveare è Kiba.”

Hana non rispose subito. Rivolse i suoi occhi scuri verso l'alveare, pensando a ciò che aveva rappresentato suo fratello per lei in tutti quegli anni. Gli aveva voluto bene, amandolo come solo una sorella poteva fare, ma il suo orgoglio l'aveva sempre bloccata dal dimostrarglielo. L'aveva osservato senza muovere un dito andare a prostitute, o ubriacarsi fino a stare male, nel disperato tentativo di riempire il vuoto che si era creato nel suo cuore. Un vuoto nato dal dolore furibondo di sua madre e dal suo orgoglio.

Il mio alveare...

“Forse hai ragione.” incurvò l'angolo sinistro della bocca, dando vita ad un sorriso stanco. “Ma se Kiba è il mio alveare, allora non sono stata una buona ape.” tornò a fissare l'Aburame, le labbra sempre tirate in un ghigno malinconico. “Dopotutto, sono riuscita ad essere egoista con un bambino di sette anni...”

Lo shinobi non replicò a quell'affermazione. Proseguì a rimanere in silenzio, gli occhi nascosti dalle lenti scure che tentavano di non guardare in faccia la kunoichi, fallendo miseramente. C'era qualcosa in Hana che lo attraeva, come un'ape al polline. Forse era la mancanza di Kiba, la sensazione di aver stabilito un vero contatto con lei dopo anni di fredda cordialità, oppure era altro che non riusciva a comprendere appieno, ma probabilmente era meglio così in quel preciso istante.

“Io non penso che siete stata una cattiva sorella.” probabilmente rimase più sorpreso il moro di quello che aveva appena detto. Lui che provava a consolare una persona? Una donna? Era la cosa più assurda che gli era capitata dopo aver deciso di diventare insegnante.

Hana lo guardò a lungo, tentando di scorgere oltre gli strati di vestiti e gli occhiali scuri, oltre quell'espressione glaciale apparentemente infrangibile. Ciò che ci vide le piacque: Shino era un uomo interessante, con una personalità che la stava stuzzicando poco alla volta, spingendola sempre più ad interessarsi di lui.

“Lo pensi veramente?” gli afferrò una mano, facendolo sobbalzare. Non riuscì a trattenere un sorriso davanti alla sua reazione. Lo aveva sorpreso, e non poteva negare di esserne compiaciuta, trovando quella conoscenza sempre più intrigante.

Rimasero alcuni minuti in silenzio, circondati dai rumori sommessi della natura. L'Aburame non si scostò, trovando quel contatto sconvolgente ma allo stesso tempo piacevole. La mano di lei trasmetteva forza ed autorità, ma anche calore, forse addirittura troppo, donandogli la sensazione che nelle vene dell'Inuzuka scorresse lava liquida.

“Sì.”

Un monosillabo ruppe la quiete, spezzando l'equilibrio che si era creato. Shino aveva deciso di andare avanti, di provare a comprendere fino a quando quello scambio di sensazioni ed emozioni sarebbe continuato. Una sfida nuova ed eccitante che non smetteva di sorprenderlo.

“Shino...” Hana mosse l'indice, accarezzando le minuscole imperfezioni del dorso della mano dello shinobi. Sembrava un cane curioso, non ancora sicuro di ciò che aveva davanti. “Mi devi promettere una cosa.”

“Cosa?” aveva la gola secca, e tutto per un dito perfido, impegnato a solleticargli i tendini, inviandogli impulsi al cervello del tutto illogici. Era come se la mora riuscisse a toccare ogni volta il tasto giusto per regalargli nuove sensazioni, lasciandolo sempre più in conflitto con la sua mente.

“Che se ci rivedremo... mi chiamerai solo Hana.”

Provò a deglutire, scoprendo di non possedere più saliva. Lei stessa sembrava essere cambiata, passando dal rimorso al divertimento. Reazione emozionale che stava provando solo lei, poiché per l'Aburame quella situazione era tutto tranne che divertente.

“D'accordo.” di nuovo la sua lingua che si muoveva senza interpellare il cervello, e nuovamente il miscuglio di sensazioni di prima gli si incagliava all'altezza dello stomaco, lasciandolo stordito e confuso, costringendolo a sperare che Hana non avesse compreso il turbamento che aveva causato in lui.

La kunoichi sorrise, alzandosi, interrompendo bruscamente il contatto. Fece un profondo respiro, incamminandosi verso il villaggio, le labbra ancora spiegate in un sorriso che non aveva nulla di innocente.

“Ti ringrazio.”

Le parole non potevano racchiudere ogni sensazione che l'essere umano provava.

Eppure, udendo quelle parole, Shino comprese molto di ciò che si annidava nel cuore di Hana Inuzuka. Ciò che non capì fu perché saperlo lo rendeva... felice.

Cos'è successo, oggi?

Forse esisteva davvero un tasto giusto per ogni persona, capace di mostrare ciò che la parola non poteva fare.

E Hana aveva appena scoperto il suo.

 

 

Hinata fece un profondo respiro, tentando di calmare il proprio battito del cuore. Era nervosa, oltre che profondamente imbarazzata. Tuttavia, era convinta nel profondo che quella fosse l'unica scelta giusta che potesse fare.

Coraggio...

Respirò nuovamente a pieni polmoni, radunando tutto il coraggio che possedeva, bussando alla porta di fronte a sé. I secondi trascorsero lentamente, fino a quando la porta non si aprì, rivelando il volto incuriosito di Kurenai.

“Hinata!” esclamò la Jonin, tentando di parare gli affettuosi assalti di Akamaru. “Questa è proprio una sorpresa!”

“La prego di perdonarmi per la mancanza di preavviso, Kurenai-Sensei.” esordì la Hyuga. “Ma avrei bisogno di parlarle.”

Cinque minuti dopo, Kurenai offrì una tazza di tè fumante alla sua vecchia allieva, sedendosi di fronte, in una cucina illuminata dal caldo sole di maggio.

“Mirai come sta?” domandò garbatamente la kunoichi più giovane, stringendo la tazza tra le mani, assorbendone il calore.

“Quella ragazzina cresce ogni giorno di più!” rispose con un sorriso la Jonin, gli occhi scarlatti che brillavano di gioia nel parlare della figlia. “All'Accademia la descrivono come una ragazzina in gamba, talentuosa, anche se un po' indisciplinata.” scosse la testa con fare teatrale, facendo nascere un sorriso sul volto dell'altra.

“Avrà tempo per maturare.” osservò. “Se non sbaglio, l'anno prossimo dovrebbe diplomarsi, giusto?”

“Già...” il sorriso di Kurenai si tinse di una goccia di malinconia. “Asuma sarebbe fiero di lei.” chiuse gli occhi per un istante, liberando la mente dai cattivi pensieri.

“Di cosa volevi parlarmi?” chiese successivamente, l'espressione sul viso priva di ombre.

Hinata fece un profondo respiro, sorseggiando un goccio di tè nel tentativo di guadagnare tempo. Ora che era arrivata al dunque, si sentiva le labbra come sigillate, incapace di esprimere ciò che provava.

“Ecco...” deglutì a vuoto, sentendosi tremendamente in imbarazzo a discutere di quell'argomento specifico con colei che considerava alla stregua di una madre. Eppure, era stato proprio quel legame a spingerla in quella cucina. Era convinta che la sua vecchia Sensei possedesse più tatto e discrezione delle sue amiche più care; il pensiero di come avrebbero reagito Sakura ed Ino a sentirle parlare di 'problemi di lenzuola', come aveva deciso di ribattezzarli nella sua mente, le causò un brivido lungo il filo della schiena.

“Si tratta per caso di Naruto?” ebbe un sussulto nel constatare quanto avesse imparato a conoscerla la sua Sensei, la quale soffocò una risata nel vederla reagire in quel modo.

“Ah, Hinata...” sospirò con fare teatrale la Yuhi. “Sei diventata una grande donna, ma per me resti sempre un libro aperto.” sorseggiò un goccio dalla propria tazza, dando il tempo all'altra di ricomporsi. “Allora, cosa è successo con Naruto? Avete litigato?”

“No, va tutto bene.” rispose la Hyuga, tormentandosi una ciocca scura di capelli. “E' solo che... che... ultimamente abbiamo qualche... problema.”

La Jonin inarcò un sopracciglio.

“Che tipo di problemi?”

“Beh...” il suo viso si imporporò di colpo, facendole abbassare lo sguardo per l'imbarazzo. Era in momenti come quello che detestava la rigida e repressiva educazione subita dal padre.

“Problemi... intimi.” mormorò infine con un filo di voce.

Nella cucina scese un silenzio imbarazzante, rotto solo dallo sgranocchiare di Akamaru, impegnato a conficcare le fauci su alcune costolette, generoso regalo della padrona di casa. Hinata non trovava la forza di alzare gli occhi, temendo di leggere sul viso della sua Sensei derisione o, peggio, commiserazione.

“Problemi intimi?” la Jonin sbatté le palpebre, presa decisamente in contropiede. “Sei capace di essere... più precisa?”

Hinata fece un profondo respiro, svuotando la mente. Ora che aveva compiuto il primo passo, era molto più semplice proseguire.

“Diciamo che a letto... non riusciamo più ad avere feeling.” spiegò, le iridi lilla incredibilmente attratte dal fondo scuro della tazza che teneva in mano. “Negli ultimi mesi è diventato tutto molto... ripetitivo, e questo si è ripercosso anche la notte. Ormai, saranno più di sei mesi che... che... non lo facciamo.” le ultime parole le uscirono di bocca a sprazzi. Era più forte di lei provare imbarazzo per quegli argomenti, specie considerando il fatto che stava spiattellando la propria vita sessuale a colei che un tempo le aveva fatto da insegnante. Una situazione che trovò solo in quel preciso istante tremendamente inquietante, ma per sua fortuna Kurenai era abbastanza intelligente da non farglielo notare.

Nella cucina tornò nuovamente il silenzio. Fuori dalla finestra, il sole risplendeva luminoso come un tizzone ardente, mentre laboriose api ronzavano attorno ai fiori coltivati amorevolmente dalla padrona di casa. Quest'ultima, a differenza della sua vecchia allieva, non sembrava minimamente imbarazzata dalla questione che era stata tirata fuori, come si poteva evincere dal mezzo sorriso che le spuntò sulle labbra carnose.

“Non devi vergognarti di parlare di queste cose.” esordì infine la Yuhi. “Il sesso è una cosa naturale, che fa parte della vita di ogni coppia.”

“Lo so. Solo che...”

“Non ami rivelare i dettagli della tua intimità in giro.” concluse la Jonin. “Lo capisco, ma se hai un problema è giusto affrontarlo. Nasconderlo, facendo finta che non esiste, non farebbe che peggiorare le cose.”

“Lei crede che dovrei rivolgermi... a qualcuno?”

“Dipende.” Kurenai appoggiò il viso sul palmo sinistro, le iridi scarlatte piantate sul viso dell'ex allieva. “A volte è solo una questione di stimoli. È possibile che, sommerso dalla routine di tutti i giorni, Naruto non abbia più il desiderio di un tempo.”

“Ma allora cosa dovrei fare?”

“Devi cercare di risvegliare la passione che è in lui.” la donna più anziana si lasciò andare ad un sorriso nostalgico. “Mi ricordo che una volta accadde anche a me ed Asuma. Eravamo così pieni di lavoro in quel periodo che praticamente non ci vedevamo mai, e le poche volte che accadeva eravamo entrambi troppo stanchi anche solo per un bacio, figurarsi finire a letto!”

“E come avete superato quel momento?” domandò incuriosita la Hyuga.

“Fu lui a farlo.” le gote della Yuhi si imporporirono al pensiero. “Una sera venne da me senza preavviso, trascinandomi quasi a forza fino ad un locale di terme.” fece un sospiro, scuotendo la testa. “Fu la notte più eccitante della mia vita, almeno fino a quando non ci scoprirono all'alba gli addetti ai lavori, costringendoci a scappare mezzi svestiti come ladri.”

Hinata rimase sorpresa nell'udire tali parole. Non riusciva neanche ad immaginarsi la sua Sensei che scappava mezza svestita dalle terme assieme al suo compagno. Era... semplicemente troppo.

“Immagino che sia stato tremendamente imbarazzante!”

Stranamente, Kurenai scoppiò a ridere, lasciandola ancora più confusa.

“Sì, sul momento mi arrabbiai tantissimo con Asuma. Gli dissi che era un pervertito, e per una settimana mi rifiutai di parlargli. Tuttavia, con il passare dei giorni, ripensandoci a mente fredda, compresi che quell'avventura, per quanto bislacca, aveva riacceso la nostra passione, ridando vitalità ad un rapporto ormai logoro.” la Yuhi terminò la propria tazza, volgendo lo sguardo verso fuori. Ogni volta che parlava del marito le si illuminavano gli occhi in modo unico, rendendola più bella che mai. “Il segreto per una buona intesa nel sesso è soprattutto questo, Hinata: conoscere il proprio partner, sapendo quali tasti toccare per accendere il esso la passione necessaria affinché diventi qualcosa di empatico e meraviglioso.”

Hinata non replicò, immergendosi nei propri pensieri. Comprendeva ciò che la sua Sensei le aveva detto, ma si accorse che passare ai fatti, almeno nel suo caso, era tremendamente difficile. Naruto era stato il suo unico uomo, e nei loro momenti di passione sfrenata, a prendere l'iniziativa era stato sempre e solo lui. Essere costretta a fare la prima mossa la metteva in una posizione difficile, nuova, obbligandola a camminare in un sentiero ricolmo di trappole.

“Quindi... dovrei cercare di riaccendere la sua passione.” mormorò, mordicchiandosi il labbro. “Il problema è... che non so come fare.”

“Questo non è vero, e lo sai.” fu la replica della Jonin. “Un uomo mostra sempre il proprio lato più intimo durante il sesso, e con Naruto stai assieme da molti anni ormai. Sono sicura che conosci perfettamente il tasto giusto da toccare per risvegliare la sua passione, dipende solo da te.”

Aveva ragione. Con Naruto stava assieme da veramente tanto tempo, otto anni ormai, eppure lei non aveva mai tentato di assecondare qualche fantasia del suo compagno, di giocare con lui in quel intrigante e contorto mondo sessuale che giace tra le lenzuola di ogni coppia. Aveva sempre lasciato a lui ogni iniziativa, seguendolo certo, ma mai prendendo veramente il comando del rapporto.

Forse... è per questo che Naruto-kun non mi vede più come un tempo. Quel pensiero la colpì con la violenza di un pugno ai reni. Aveva sempre fatto resistenza alle proposte del marito di avere un rapporto più fantasioso, trovandole perverse e sbagliate, ed ora doveva pagare lo scotto di quel comportamento chiuso ed ostile a qualsiasi cambiamento.

Il tocco umido del naso di Akamaru la riscosse dai propri pensieri. Accarezzò distrattamente il cane-ninja, notando Kurenai osservarla con un sorriso.

“Non crucciarti troppo, Hinata.” dichiarò la Yuhi, alzandosi. “Sei una moglie meravigliosa, e sono convinta che riuscirai a riaccendere la passione di Naruto.”

Sorrise, lasciandosi cullare da quell'incoraggiamento. Forse era vero: era una buona moglie, o almeno tentava di esserlo, ma il dubbio di essere lei stessa la causa che aveva spento la loro passione le rimase anche dopo aver salutato la madre di Mirai.

Naruto-kun... supererò le mie inibizioni, se questo potrà migliorare il nostro rapporto.

In fondo, si trattava di una sfida, a modo suo.

E non si sarebbe mai tirata indietro.

 

 

Quella sera, Naruto uscì dall'ufficio strisciando. Si sentiva il cervello strizzato e dolorante, mentre il suo occhio interiore veniva bombardato in continuazione da fascicoli burocratici, diplomatici e commerciali. Come se non bastasse, aveva dovuto sorbirsi tutto il giorno occhiate cupe da parte degli anziani del Consiglio, Homura e Koharu, i quali da qualche tempo a questa parte avevano iniziato a controllarlo con fare ossessivo, quasi temessero che impazzisse da un momento all'altro.

Voglio andare a letto e morirci dentro...

Barcollando, l'Uzumaki percorse lentamente le vie di Konoha, raggiungendo infine la propria abitazione. Era così stanco che per un attimo ipotizzò di saltare la cena, andando direttamente a letto, ma il gorgogliare del suo stomaco lo convinse a tenere duro ancora un po'.

Non appena il Jinchuuriki fece il suo ingresso, un odorino invitante lo investì, cogliendolo impreparato, mentre si accorse che l'intera casa era tenuta in penombra. Perplesso, il biondo fece alcuni cauti passi lungo il corridoio, notando come le uniche luci arrivassero dalla cucina.

“Hinata?” la sua voce risuonò senza risposta, facendolo subito scattare in posizione di guardia. Ne aveva passate troppe in passato per tralasciare anche il minimo dettaglio. Iniziò a muoversi lentamente, stando bene attento a non compiere il minino rumore, dirigendosi verso la cucina. La stanchezza era scomparsa di colpo, lasciando spazio ad una fredda calma. Percorse gli ultimi metri con i nervi tesi, pronto a scattare al minimo segnale di pericolo. Senza dire nulla, Kurama aprì un occhio, pronto anche lui ad intervenire se necessario.

Nessuno dei due fu però preparato a ciò che videro una volta giunti nell'altra stanza.

La sala da pranzo era imbandita con le pietanze preferite del Jinchuuriki, le quali rilasciavano l'odore di buono percepito precedentemente, mentre candele profumate davano vita alla luce soffusa. All'ingresso della stanza, vestita con un provocante abito scuro, Hinata lo attendeva sorridente.

“Buonasera, Naruto-kun.”

“Hinata?!” Naruto spalancò gli occhi, incapace di capire cosa diavolo stesse accadendo, il tutto mentre Kurama malediceva elegantemente ogni singolo essere umano, ritornando brontolante al suo pisolino.

“Ultimamente sei stato molto impegnato con il lavoro.” mormorò la moglie, avvicinandosi a lui con passo lento e studiato, avvolgendolo con una fragranza dalla forte carica erotica. “Ho pensato che un piccolo momento tra noi sarebbe stata una cosa carina da fare.” gli mise le braccia attorno al collo, fissandolo con occhi carichi di desiderio.

“Hina-chan...” lo shinobi deglutì a vuoto, la salivazione completamente azzerata. Nonostante trovasse quegli occhi splendidi, il suo sguardo non voleva saperne di staccarsi dalla scollatura della moglie. Quando capì che non portava il reggiseno, il suo disagio aumentò in modo esponenziale. “Sei stata... gentilissima, dico davvero.” provò a muovere i muscoli facciali, ma non era del tutto sicuro di aver fatto un sorriso decente. “Ma forse dovrei prima andare a lavarmi... sai, non sono proprio in condizioni presentabili...”

Per un istante gli sembrò di notare nei suoi occhi una fiamma di irritazione, ma fu un guizzo troppo rapido per essere sicuro di averlo davvero visto.

“Sarebbe un peccato...” fu la risposta della Hyuga, la voce sempre calda e vellutata. “Si raffredderà ogni cosa...”

Oh Kami, non può averlo veramente detto... Naruto chiuse gli occhi per un istante, chiedendosi cosa diavolo fosse accaduto alla moglie per farle usare doppi sensi di bassa qualità. Decise di assecondarla, non fosse altro perché quella scollatura lo stava mettendo veramente a disagio.

“D'accordo.” si liberò dall'abbraccio di lei con un sorriso, regalandole un rapido bacio. “Vado a sciacquarmi solo la faccia e sono di nuovo qui.”

La cena trascorse lentamente. Hinata aveva dato a fondo a tutte le sue conoscenze culinarie, e il risultato era stato eccezionale. In un'altra occasione, l'Uzumaki si sarebbe ingozzato fino ad intossicarsi, ma il comportamento anormale della moglie lo distraeva dal cibo. A complicare le cose, la Hyuga pretese di servirlo personalmente per ogni portata, costringendolo ogni cinque minuti ad un contatto oltre modo ravvicinato con il suo seno.

Perché si comporta così? La sua mente era troppo attenebrata dalla stanchezza per ragionare in modo lucido, ma anche in quello stato gli stava inviando un campanello d'allarme grande come una montagna. L'atteggiamento della moglie lo inquietava: era troppo sfacciato, remissivo, erotico per appartenerle veramente. Sembrava che stesse recitando un ruolo che non amasse, ma il suo modo di fare appariva così naturale che anche lui, che era suo marito, faceva fatica a notarne l'artificio.

Alla fine della cena, quando i piatti erano stati ripuliti, Naruto fece per andarli a lavare, ma la Hyuga lo bloccò, appoggiandogli una mano sul petto, un dolce sorriso ad illuminarle il volto.

“Non serve.”

“Hina-chan, hai già fatto così tanto... permettimi di aiutarti.” in realtà l'unica cosa che voleva era un letto morbido dove distendersi, ma lo strano atteggiamento della moglie lo confondeva, costringendolo a guadagnare tempo in qualche modo, nel tentativo di capire cosa diavolo passasse per la testa della donna.

La kunoichi gli mise le braccia attorno al collo, lentamente, avvolgendolo con la sua fragranza sensuale. Il biondo iniziò a sentire un gran caldo, il sangue che prese a muoversi con decisione verso il basso. Per quanto stanco, era pur sempre l'allievo dell'Ero-Sennin. Certe cose non potevano lasciarlo del tutto indifferente.

“Vuoi davvero aiutarmi?” l'alito caldo di lei gli solleticò l'orecchio sinistro, mentre percepiva il morbido seno a contatto con il suo petto. Ci fu un lungo istante di silenzio, in cui l'Uzumaki riuscì a percepire il proprio cuore pompare furiosamente in un punto imprecisato del collo.

“Fammi tua.”

Quelle parole lo colpirono nel profondo, lasciandolo di stucco. Il sangue prese a scorrergli con irruenza nel corpo, aumentandone la temperatura, mentre il gonfiore nei pantaloni iniziò ad essere doloroso. Sua moglie era lì, davanti a lui, splendida e provocante come non l'aveva mai vista, che gli chiedeva di possederla fino allo sfinimento. Il suo primo istinto sarebbe stato quello di metterla sul tavolo e farla sua, ma l'ultimo barlume di lucidità lo bloccò, facendogli nascere nel cervello un pensiero orrendo.

Hinata non sarebbe mai così sfacciata.

Il dubbio iniziò a farsi strada dentro di lui, mentre la Hyuga proseguiva a baciargli dolcemente il collo. Per quanto potesse sembrare paranoico, c'era un briciolo di verità in quel sospetto, dato che era la prima volta che la moglie si comportava in quel modo, senza alcun preavviso. Le possibilità che fosse un nemico, pronto ad approfittare di un suo attimo di debolezza, non erano così remote.

Kurama...” radunando tutto il proprio autocontrollo, lo shinobi richiamò l'amico. “Kurama, svegliati!”

Cosa diavolo vuoi? Non ne voglio sapere di sentire voi mocciosi che vi accoppiate! Siete tremendamente fastidiosi!”

Smettila di lamentarti! Dimmi piuttosto se quella che sto abbracciando è veramente mia moglie, volpe del cavolo!”

Tua moglie?” il Kyuubi aprì nuovamente un occhio, grande quanto una casa, scrutando con il proprio chackra l'identità della kunoichi. “E' la mocciosa Hyuga.” tornò a dormire, ringhiando per essere stato svegliato due volte in meno di un'ora. “Prova a disturbarmi di nuovo, e ti ammazzo.”

Naruto corrugò la fronte, sempre più perplesso. Non capiva perché la moglie si stesse comportando in quella maniera, e decise di affrontare la questione di petto.

Si staccò da lei, lasciandola confusa. Con un gesto sicuro, lo shinobi biondo le afferrò le mani, guardandola dritta negli occhi.

“Perché lo stai facendo?”

Il volto della kunoichi non mosse un muscolo, ma il Jinchuuriki rivide le sue splendide iridi chiari bruciare di irritazione, questa volta con maggiore intensità di prima.

“Non capisco la tua domanda.” fu la risposta gelida della donna. “Non posso desiderare di stare in intimità con mio marito?”

“Non provare a tergiversare, Hinata.” ora la voce dell'uomo aggiunse una goccia di autorità. “Tu non sei... questa. Si può sapere perché hai montato tutta questa messinscena?”

Hinata si morse il labbro inferiore, gli occhi che ardevano come tizzoni ardenti. Sembrava in procinto di colpirlo da un momento all'altro tanta era la sua collera.

“Chiedi perché mi sto comportando così?” si liberò dalla stretta del marito con uno strattone, il viso contorto in un'espressione di gelida rabbia. “Come puoi essere così cieco?”

“Io...” l'Uzumaki rimase spiazzato da quella domanda. Di cosa accidenti stava parlando? “Non capisco di cosa stai parlando, veramente.”

La Hyuga parve sul punto di esplodere, ma si trattenne, chiudendo gli occhi per un istante. Poi, senza aggiungere una parola, uscì dalla stanza, salendo al piano di sopra. Naruto fece per seguirla, ma poi rinunciò. Sapeva per esperienza che in quei casi ci voleva del tempo alla moglie per smaltire la rabbia. Seguirla l'avrebbe solo indispettita ulteriormente.

Sistemò la cucina, chiedendosi per quale motivo la Hyuga si fosse comportata in quel modo, quasi si sentisse trascurata da lui. Ripercorrendo gli ultimi mesi, lo shinobi non capiva in che modo avesse offeso, o trattato male, la moglie. Meno di due mesi prima, per il loro anniversario, l'aveva portata per tre giorni in lussuose terme montane, cercando di essere sempre presente e disponibile per ogni evenienza. Non era moltissimo, ma l'Uzumaki era convinto che, per quanto l'ufficio gli prosciugasse tempo ed energie, non aveva mai fatto mancare la propria presenza ad Hinata e Boruto nei momenti veramente importanti.

Eppure, quando entrò in camera, osservandola fingere di dormire, fu un colpo al cuore.

Hina-chan...

Le si sedette affianco, provando a sfiorarle i capelli. Le sue dita solleticarono la morbida chioma della moglie per lunghi minuti, fino a quando lei non lo scacciò con una mano.

“Lasciami sola.”

Naruto sospirò, chiedendosi se il matrimonio fosse sempre così complesso. Da quando si era unito con Hinata, ogni cosa nel loro rapporto si era complicata, rendendo tutto maledettamente più difficile da gestire.

“Hina-chan, sono sincero: non capisco.” provò a toccarle la mano, ma la donna si ritrasse ancora. “Cosa c'è che non va?”

Nella stanza ci fu un lungo silenzio. Poi, quando ormai il biondo si era rassegnato a non ricevere alcuna risposta, Hinata si voltò, sedendosi a gambe incrociate di fronte al marito, il viso corrucciato in un'espressione di rabbia.

“Rispondi a questa domanda, Naruto-kun.” ebbe un istante di esitazione, ma il desiderio di comprendere, unito alla collera per la situazione creatasi, furono più forti di ogni cosa. “Io ti piaccio ancora?”

Naruto ebbe l'impressione che un carico di mattoni gli fosse crollato addosso da un'altezza chilometrica, rimbambinendolo completamente.

“Cosa?!” balbettò, la mente inceppata, incapace di capire le vere intenzioni della compagna. “Ma... che domanda è?!”

“Rispondi!”

“Ma... certo che sì!” esclamò l'uomo. “Sei mia moglie! Come puoi anche solo immaginare questo?!”

“Allora perché ti comporti in questo modo?!”

“Quale modo?” il Jinchuuriki ormai era in totale confusione. “Hinata, vuoi deciderti a parlare chiaro?! Non ci sto capendo più nulla!”

La donna strinse le labbra, le iridi perlacee che bruciavano di cieco furore. Per un istante, Naruto ebbe l'impressione di osservare sua madre Kushina.

“Tu non mi desideri più!” sbottò infine la mora, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani. “Ormai sono mesi che provo ad attirare la tua attenzione, ma mi ignori sempre.” notò il colore sparire dal volto del marito, gli occhi cerulei spalancarsi per la comprensione. “Ho pensato che un approccio più diretto avrebbe riacceso la complicità che avevamo un tempo.” abbassò lo sguardo, la rabbia che lasciava posto all'amarezza. “Mi sbagliavo...”

Lo shinobi non replicò, rimanendo sorpreso da quella rivelazione, che però dovette ammettere corrispondere al vero. Negli ultimi tempi non ci aveva proprio pensato a quell'aspetto della loro relazione. In parte era colpa del suo lavoro, stressante fino all'esaurimento, ma non poteva negare che quella situazione era anche figlia della scarsa fantasia a letto della compagna. Aveva capito da tempo che Hinata non apprezzava particolarmente l'indole che aveva ereditato dall'Ero-Sennin. Per la Hyuga il sesso era un momento dolce ed intimo, da vivere lentamente e con passione. Per lui era qualcosa di più: era follia, attimi di furore, quando sudore ed ormoni facevano emergere la parte più bestiale intrinseca in ogni essere umano, dando luogo alle fantasie più contorte dell'animo delle persone.

Non era stato facile all'inizio accettare quella visione diversa di una sfera della loro vita di coppia così importante. Certo, aveva vissuto notti meravigliose con Hinata, ma dopo anni di sesso tradizionale, l'Uzumaki aveva iniziato a percepire un distacco emotivo. Gesti e sensazioni che fino a qualche anno prima lo rendevano euforico, ora non lo invogliavano più, facendogli preferire una riposante dormita ad una notte di passione con la moglie.

Forse era per quello che l'atteggiamento a cena della kunoichi l'aveva eccitato. Abituato a vederla vestire in modo sobrio e composto, quel vestito nero e scollato, unito ad un comportamento dalla forte carica erotica, avevano risvegliato in lui un fuoco che credeva ormai spento, le cui braci ardevano ancora dentro i suoi pantaloni.

“Hina-chan...” l'afferrò per le spalle, accarezzandole dolcemente la pelle. Poteva ancora percepire il suo profumo sensuale avvolgerlo, mantenendo intatta la sua eccitazione. “Io ti amo.” il suo tono era serio, mentre fissava negli occhi la compagna. “Simili periodi sono cose che possono capitare... ho solo avuto molto da fare in ufficio.” non desiderava farle ricadere la colpa addosso di quel problema, poiché sarebbe stato ingiusto, oltre che egoista, obbligarla a compiere gesti che l'avrebbero messa in imbarazzo. Trovava fosse meglio lasciarle credere che si trattasse solamente di un problema di stress, nell'attesa che il sesso tradizionale tornasse ad invogliarlo come in passato.

Hinata lo fissò a lungo, lo sguardo indecifrabile. Poi, senza alcun preavviso, gli tirò uno schiaffo.

“Hina-chan, cosa diav...”

“Non mentire.” la donna si liberò dalla presa di lui, afferrandogli il volto con le mani, le iridi lilla sempre fisse in quelle celesti del compagno. “Lo sai che detesto quando fai così.”

Provò a distogliere lo sguardo, ma la mora glielo impedì, appoggiando la sua fronte con quella del Jinchuuriki.

“Smettila di addossarti sempre la colpa.” mormorò. “Se abbiamo un problema, allora è giusto che ne parliamo sinceramente, affrontandolo assieme.” per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata, la Hyuga abbozzò un sorriso. “Niente segreti, giusto?”

Già, fiducia. Quella parolina magica che, come sempre, faceva fatica ad accordare alla donna della sua vita. Era come se temesse di apparire debole ai suoi occhi, preferendo addossarsi ogni volta tutto il peso di un problema. Hinata ormai lo conosceva troppo bene per non capirlo, ma la tentazione di farlo, ogni volta che si presentava un problema, era forte.

“Forza.” la moglie lo incoraggiò, la voce di nuovo pacata e dolce, ma con una goccia di autorità che non ammetteva repliche. “Dimmi la verità.”

E Naruto gliela disse. Lo fece lentamente, quasi sperasse che le parole, pronunciate poco alla volta, ferissero meno i sentimenti di colei che amava. Le dichiarò ciò che sentiva, quello che provava dentro di lui: una monotonia capace di spegnere la sua passione per lei.

La Hyuga ascoltò in silenzio lo sfogo del marito, raccogliendo le ginocchia al petto, gli occhi fissi su quelli di lui. Alla fine, quando il silenzio ritornò nella stanza, la kunoichi aveva sul viso un'espressione glaciale, indecifrabile a tal punto da assomigliare, in maniera inquietante, a suo cugino Neji.

L'Uzumaki attese. Aspettò un cenno da parte della compagna che però non arrivò. Si limitava a fissarlo, con sguardo freddo, il volto una maschera di granito. Se il suo scopo era metterlo a disagio stava letteralmente trionfando su tutta la linea.

“Hina-chan, io...”

“Sospettavo che fosse qualcosa di simile il problema.” lo interruppe lei, la voce atona. “Io non condivido questo tuo... desiderio di provare nuove sensazioni nella nostra intimità.” lasciò libere le gambe, iniziando, con sorpresa del compagno, a spogliarsi. “Ma posso capire come queste mie convinzioni abbiano messo in crisi la nostra complicità.” terminò di togliersi l'abito, lasciandolo cadere a terra, permettendo al marito di osservarla in tutta la sua nudità.

“H-Hinata...” la gola del Jinchuuriki si seccò di colpo, mentre la sua eccitazione dentro i pantaloni riprese vita bruscamente. “C-cosa...”

“Io ti desidero, Naruto-kun.” si mise a cavalcioni del proprio uomo, tenendo sempre gli occhi piantanti in quelli azzurri di quest'ultimo. “E se per averti dovrò sottostare alle tue regole per questa volta... allora così sia.”

“M-mie regole? C-che...” la voce gli morì in gola, diventando un fievole balbettio quando le labbra della mora presero a sfiorargli il naso, scendendo lentamente, fino a soffermarsi sopra le sue.

“Questa notte io farò tutto quello che vorrai.” la sua voce era calda come magma, le mani che avevano preso a spogliarlo. “Ogni tuo desiderio, ogni tua fantasia... questa notte diverranno realtà.”

Il cervello di Naruto andò in cortocircuito. Non si sarebbe sorpreso se gli fosse uscito sangue dal naso, non fosse che quest'ultimo era tutto concentrato sull'inguine. Sua moglie che gli prometteva una simile cosa era aldilà di ogni suo più roseo desiderio. Percepì la stanchezza sparire, lasciando spazio ad adrenalina ed eccitazione, il cuore che pompava furioso sangue ed ormoni nelle vene.

Artigliò il i glutei di lei, spingendola di scatto sul letto, iniziando a lasciarle vistosi succhiotti lungo il collo. Lei li accolse con un gemito di piacere, tirando fuori tutto il desiderio accumulato negli ultimi mesi. Tentò di spogliarlo, ma lui la bloccò, fissandola dritta negli occhi, un'espressione animalesca sul volto. Faceva quasi paura, mentre una tonalità rossa iniziava a colorargli gli occhi.

“Naruto-kun...” non riuscì a dire altro. Trattenne il respiro di colpo quando lui iniziò a toccarle rudemente tra le cosce, percependola calda e disponibile. Continuò a stuzzicarla per alcuni minuti, fino a portarla sull'orlo dell'orgasmo. Un istante che la Hyuga attendeva con impazienza, ma che le fu negato bruscamente.

“La notte è lunga...” anche la sua voce era diventata più bassa e rauca, come se parte dello spirito del Kyuubi si fosse risvegliato, facendo emergere il suo lato più brutale ed animalesco. “Non roviniamo tutto facendo di fretta.”

Si alzò dal letto, terminando di spogliarsi. I suoi occhi scandagliarono il corpo della moglie, notandone il respiro affannoso, il sudore acre che aveva iniziato a ricoprirle il corpo. Sapere che per quella notte sarebbe stata un pezzo di carne da manipolare a suo piacimento lo eccitò ulteriormente, facendolo arrivare ad uno stadio di irrigidimento quasi doloroso.

“Alzati.” usò un tono gentile, ma intinto di un'autorità nuova, che le era sconosciuta. Gli obbedì con un filo di timore, chiedendosi se non avesse intrapreso una sfida più grande di lei, provocando il lato più perverso del marito. Lo shinobi sembrò accorgersi del suo turbamento poiché ingentilì la propria espressione, stringendola al petto con la protesi, mentre la mano sana era impegnata a solleticarla nella sua intimità.

“Stanotte potrei farti male.” la voce del Jinchuuriki stava diventando sempre più simile a quella di Kurama: rauca, potente, selvaggia. Un tono così virile che scivolò come un panno freddo lungo la schiena della mora, regalandole brividi incontrollati di piacere. “Non desidero però causartene.” prese a mordicchiarle il lobo sinistro, le dita della mano sana che proseguivano la sua opera di blanda masturbazione. “Sei sicura di voler andare fino in fondo?”

Hinata non rispose subito, le gambe che faticavano a reggerla. Quello che Naruto aveva compiuto negli ultimi minuti era tutto ciò che l'aveva sempre messa a disagio nella loro intimità: rozzo, diretto, perverso. Eppure, per qualche sconosciuto motivo, sentiva il sangue ribollire nelle vene, mentre l'eccitazione più potente degli ultimi anni saliva in maniera inesorabile dentro di lei. Era semplicemente ad un passo dal piacere sporco, il frutto proibito che il suo subconscio aveva agognato segretamente per anni. Toccava a lei scegliere se affondarci i denti, oppure gettarlo via.

Le sue labbra catturarono quelle del marito, infilandogli la lingua in bocca di prepotenza, mentre le sue mani gli afferravano la virilità, saggiandone la consistenza e la durezza.

“Fammi tua...”

Aveva deciso di affondare nella perversione che aveva combattuto per anni.

E non sarebbe tornata indietro.

 

 

Un odore penetrante la investì quando gli si inginocchiò davanti. Sapeva di maschio, di eccitazione e ormone maschile. Era un sentore che conosceva, ma che non aveva mai percepito con quell'intensità.

Sentì la mano del marito premerle sulla nuca, facendole capire cosa desiderava. Era la prima volta che assaporava la virilità del compagno, giacché l'aveva sempre trovata una cosa sporca e sbagliata. Eppure, nello stesso istante in cui le sue labbra andarono a contatto con la carne pulsante, il calore che percepiva in mezzo alle gambe aumentò ulteriormente, annebbiandole il raziocinio.

Nei successivi minuti il suo cervello si scollegò totalmente, lasciando libero l'istinto di agire. Non aveva alcuna esperienza in quelle pratiche, ma si fidò di quest'ultimo. Ci mise tutta se stessa, percependo i gemiti di piacere del marito diventare sempre più forti, facendole capire che, come prima volta, non stava andando affatto male. Ben presto la mandibola indolenzita, e la saliva che le colava dalla bocca, resero la situazione fin troppo sgradevole, ma Naruto sembrò accorgersene, dato che la interruppe di colpo, buttandola rudemente sul letto con la schiena rivolta al soffitto.

“Naruto...” si interruppe di colpo quando lo sentì entrarle dentro. Inspirò bruscamente, il cuore che pompava adrenalina ed ormoni ad un ritmo folle, mentre l'Uzumaki aveva preso a muoversi rapidamente, regalandole nel giro di un paio di minuti il primo, devastante, picco di piacere.

“U-u-un attimo... per favore...” si accorse di balbettare, le fitte di godimento che arrivavano dritte al cervello, una dietro l'altra, senza sosta, lasciandola incapace di formulare il benché minimo pensiero. Provò a girarsi, ma lo shinobi le bloccò la testa, dominandola, aumentando ulteriormente il ritmo, rendendole impossibile trattenere il secondo orgasmo nel giro di due minuti. Tremò tutta, il corpo scosso da scatti incontrollati, mentre Naruto, sentendola gemere sottovoce, prese a muoversi più lentamente, consentendole di prendere fiato, facendole sperare in un attimo di requie.

Si sbagliava.

Il Jinchuuriki le porse l'indice sano vicino alle labbra, ordinandole di succhiarlo. Gli obbedì perplessa, incapace di capire cosa stesse architettando. Tuttavia, quando sentì il dito inumidito tentare di prendersi la sua seconda verginità, spalancò gli occhi di colpo, provando inutilmente a divincolarsi.

“Naruto-kun!” riuscì a torcere la testa, piantando le iridi perlacee in quelle cerulee di lui. “Non o-oserai...”

Naruto si abbassò, iniziando a baciarle dolcemente il collo. Il suo indice si fece strada nel corpo della kunoichi, causandole una fitta di dolore.

“Ti prego... questo no, è troppo.” provò a dissuaderlo, ma si accorse che era come parlare ad un muro. L'eccitazione aveva ottenebrato ogni raziocinio nel suo uomo, tirandogli fuori la parte più bestiale. Un'essenza assai simile a quella del Kyuubi per sfrontatezza e perversione.

Strinse i denti quando sentì le dita diventare due, il dolore sempre più forte. Provò nuovamente a divincolarsi, ma la presa dello shinobi era salda.

“Naruto-kun...”

“Farà male solo all'inizio...” il suo tono di voce era roco e basso, quasi privo di umanità. Il verso di una creatura selvaggia. “Io ti avevo avvisato, Hina-chan... questo gioco poteva farti male, e tu hai deciso di farlo lo stesso. Ora sto per causarti dolore ma durerà poco... è una promessa.”

Le dita divennero tre, rendendo il dolore difficilmente sopportabile. Hinata trattenne a stento le lacrime, comprendendo che il suo Naruto non si sarebbe fermato fino a quando non si sarebbe preso la sua verginità più sporca e perversa. Si rese conto solo in quel momento quanto desiderio represso covava il marito, quante fantasie irrealizzate aveva dentro di sé. Anni di sesso tradizionale andarono in cenere nel preciso istante in cui la virilità del Jinchuuriki si fece strada con forza dentro di lei, rendendole impossibile trattenere un gemito di dolore.

Fa male... percepiva la schiena andare a fuoco, mentre il calore di prima si era trasformato in una gelida sofferenza. Non c'era nulla di romantico in quell'atto contro natura, alcun segno d'amore: era solo l'ennesima fantasia contorta di un uomo che per anni l'aveva accontentata in tutto, senza mai farglielo pesare, facendole ingenuamente credere che dargli carta bianca per una notte sarebbe stato un gesto assolutamente privo di conseguenze.

I minuti successivi trascorsero lenti, con lo shinobi che si muoveva dolcemente, quasi non volesse infierire sulla moglie. Quest'ultima si accorse che il dolore prese a svanire, lasciando spazio ad un calore nuovo, diverso. Non era piacere, o almeno non solo. Era qualcosa di differente, un concentrato di diverse sensazioni che comprendevano dolore, rabbia, umiliazione e piacere. Non seppe mai di preciso cosa fossero poiché, proprio quando iniziò a scaldarsi nuovamente, Naruto raggiunse il proprio picco, irrigidendosi dentro di lei per alcuni istanti, il respiro affannoso e frammentato. Rimasero così a lungo; interi minuti in cui i loro cuori si tranquillizzarono, abbassando la pressione degli ormoni nel sangue.

“Mi dispiace.” lo shinobi si sdraiò affianco a lei, accarezzandole i capelli. “So che non ti è piaciuto... ma quando mi hai parlato in quel modo prima... non so che mi è successo.” sembrava a disagio, come se avesse compreso solo in quel preciso istante cosa avesse compiuto in quell'ultima mezzora. “Non ci ho più visto... scusami, Hina-chan.”

Si aspettava che la moglie se ne andasse, che gli tirasse uno schiaffo, accusandolo di essere un maniaco con gravi problemi di perversione. L'espressione gelida sul volto di Hinata era così inquietante da non fargli escludere neanche l'utilizzo del Juken per attuare la sua vendetta contro di lui.

Tuttavia, tutto ciò che fece la donna fu baciarlo di sorpresa, con passione, obbligandolo ad una danza sfrenata tra le loro lingue per quasi un minuto.

“La notte è ancora giovane...” mormorò una volta staccatasi dalle labbra del biondo. “Sono tutte qui le tue fantasie? Mi deludi...”

Aveva deciso di andare fino in fondo a quella storia, qualsiasi fosse il prezzo da pagare. Era giunta alla conclusione che aveva dato la sua parola in quella sfida. Rimangiarsela non sarebbe stato da lei, e non era ciò che voleva. Era come se, in quegli ultimi minuti, Naruto avesse tirato fuori una parte di lei sconosciuta, fermamente decisa a scoprire i propri limiti mentali e fisici sul sesso.

Osservò lo shinobi spalancare gli occhi, sorpreso da quella decisione. Ricambiò il bacio, le mani che assaporarono avido il suo corpo, ridando vita al fuoco interno della sua eccitazione, non ancora sazio di piacere.

Era pronta per un altro giro.

 

 

L'acqua calda investì i loro corpi, sovrastando i loro gemiti. Hinata sentiva il piacere crescere dentro di lei come una marea, soffocando ogni barlume di lucidità.

Il cubicolo della doccia non permetteva loro di muoversi come desideravano, costringendoli a posizioni scomode. La kunoichi teneva la schiena appoggiata sul muro, mentre Naruto le regalava fitte di piacere con la propria virilità, le labbra incollate ai capezzoli, le braccia impegnate a sorreggere le cosce della compagna.

Fecero l'amore furiosamente in quei pochi metri quadrati di spazio. Un sesso sfrenato e passionale come non capitava da anni. L'acqua divenne ben presto bollente, evaporando, circondandoli di una cortina, donandolo loro la sensazione di essere fuori dal mondo. Non esisteva più nessuno, tranne loro due, ed il sesso più bello della loro vita.

Rimasero sotto il getto caldo a lungo, facendolo per tre volte. Alla fine del terzo amplesso, Naruto raggiunse un orgasmo quasi doloroso, che sfogò conficcando i denti nella spalla della moglie. Hinata impiantò le unghie nella schiena del biondo, scoprendo i denti, percependo l'ennesimo orgasmo della nottata mandarle in confusione totale il cervello, provocandole brividi incontrollati lungo tutto il corpo, obbligandola ad urlare il proprio piacere al soffitto.

B-basta... l'Uzumaki indietreggiò lentamente, lasciando scivolare a terra la mora, anch'essa esausta. Per alcuni minuti l'unico rumore udibile fu quello dello scroscio della doccia, unito ai loro respiri affannosi.

“E' stato fantastico!” dichiarò improvvisamente il biondo, rivolgendo un sorriso riconoscente alla compagna. “Ma soprattutto tu sei stata fantastica.”

La Hyuga non rispose, rialzandosi lentamente, le iridi perlacee piantate sul volto del suo uomo.

“Sei un maiale.” dichiarò con tono fintamente severo. “Mi hai costretta a fare cose sporche, non ti vergogni?”

Il viso dello shinobi si contrasse in un ghigno. Rubò un bacio alla moglie, stringendola al petto, le mani che assaporavano la levigatezza della sua pelle.

“Neanche un po'.” fu il roco sussurro che le soffiò nelle orecchie. “Sei riuscita a regalarmi la migliore notte di sesso di sempre... grazie.”

“A costo però della mia integrità morale.” nonostante la severità del tono di voce, la kunoichi non era veramente arrabbiata. Anche lei aveva vissuto emozioni incredibili nell'ultima ora e mezzo, capaci di scaricare tutto il desiderio accumulato negli ultimi tempi.

“P-potremmo rifarlo, ogni tanto.” propose il marito, osservandola ripulirsi sotto il getto d'acqua calda. “Insomma... serate così... senza regole.”

Hinata non rispose, terminando di eliminare le ultime tracce della loro passione. Fu solo quando fece per uscire dal cubicolo che rivolse un'occhiata fintamente dura al Jinchuuriki.

“Forse.” vide un sorriso incredulo nascere sul volto del suo uomo e la cosa la infastidì, non desiderando essere considerata una stupida bigotta dalla persona che amava. “Ma deciderò io quando.”

“Sissignore!” lo shinobi la salutò scherzosamente con un inchino militare, strappandole un sorriso. Sembrava impossibile che quell'infantile uomo possedesse un lato animalesco, ma era anche vero che dentro di lui custodiva l'essenza di un demone. Così come Naruto aveva influenzato Kurama, così quest'ultimo aveva cambiato suo marito, donandogli un feroce istinto bestiale che, se provocato nei modi giusti, veniva fuori in tutta la sua potenza.

Lasciò al compagno la doccia, andando a cambiare le lenzuola del letto, ancora sporche dall'amplesso di prima. Dopo aver controllato di non aver svegliato Boruto, la Hyuga attese pazientemente il ritorno in camera del suo uomo, il quale, quando la vide nuda sul letto, non poté fare a meno di impallidire.

“Hina-chan... per stanotte basta!” esclamò, grattandosi la nuca imbarazzato. “Non credo di avere più la forza per fare nulla, dopo quattro volte!”

“Ti avevo promesso che ogni tuo desiderio si sarebbe avverato questa notte.” si alzò, avvicinandosi lentamente al marito, schiacciando il seno contro il petto di lui. “E' ancora buio.” mormorò, baciandogli dolcemente il labbro inferiore. “Se hai qualche altra richiesta... esprimila.”

Naruto ricambiò l'abbraccio, appoggiando le labbra sulla fronte della kunoichi. Si chiese come avesse fatto ad ignorarla per tutto quel tempo, a dare per noioso o scontato il suo rapporto con la moglie. Ancora una volta era stata Hinata a fargli aprire gli occhi, toccando il tasto giusto dentro di lui, risvegliando quella complicità a lungo tempo tralasciata.

“Mi piacerebbe poter dormire abbracciato a te.” la guardò negli occhi, sorridendo. “La cosa ti dispiace?”

Le labbra carnose di lei si incurvarono in un flebile sorriso. Si buttò sul letto, obbligando il marito a seguirla, regalandogli l'ultimo bacio di quella nottata di passione.

“Solo se restiamo nudi.”

Fu allora, quando si misero sotto le coperte, la testa di lei appoggiata sul suo sterno, che l'Uzumaki si rese conto fino in fondo di quanto fosse stato fortunato ad incontrare Hinata. Dietro la sua gentilezza c'era una donna incredibilmente determinata, che sapeva bene cosa volere dalla vita, e che tentava in ogni modo di ottenerlo.

Hina-chan... inspirò lentamente, assaporando il dolce profumo della chioma corvina della compagna. Il litigio di prima era solo fumo nella nebbia del passato, scomparso grazie al tasto schiacciato dalla kunoichi.

Il tasto giusto.

Sei fantastica.

 

 

Shino fissò a lungo la figura seduta nella radura. Hana era impegnata a godersi i caldi raggi del primo pomeriggio, un flebile sorriso sul volto. L'Aburame era rimasto spiazzato nel rivederla: non si aspettava di incontrarla nello stesso posto dopo solo due giorni da quella loro strana chiacchierata.

Cosa cerca?

Avanzò lentamente nella radura, provocando volutamente abbastanza rumore da segnalare la sua presenza. L'Inuzuka si voltò a fissarlo in volto, il sorriso improvvisamente più intenso.

“Sono felice di rivederti, Shino.” esordì, osservandolo sedersi al suo fianco.

“Il piacere è mio, Hana-sama.” nonostante il tono di voce freddo, lo shinobi era veramente felice di vederla di nuovo. Forse era la sua parte più nascosta, ma la sua vicinanza, pur confondendolo, lo rinfrancava, essendo la persona più simile a Kiba che gli era rimasta.

“Ti avevo detto di non chiamarmi più con quell'onorifico.” osservò la kunoichi, gli occhi scuri sempre fissi sul volto del moro. Sembrava non desiderare altro che strappargli le lenti scure dalla faccia, in modo da potergli scandagliare gli occhi.

“Ha ragione.” ammise l'altro. “Le... ti chiedo scusa.”

“Le accetto solo se stasera vieni a cena da me.”

Quella proposta improvvisa lo colpì con la forza di un cazzotto, stordendolo. Si voltò di scatto a fissarla, incredulo, osservandola sorridergli con fare dolce e sicuro allo stesso tempo.

“H-Hana...” non trovò la forza di risponderle. Per la prima volta in vita sua, Shino aveva trovato qualcuno capace di lasciarlo senza parole. Non sapeva se esserne terrorizzato o affascinato.

“Sì?” lei lo incoraggiò a proseguire, i denti bianchi che brillavano sotto il caldo sole di maggio. Era cosciente di averlo messo a disagio, ma la cosa sembrava procurarle un grande divertimento. “Sei riuscito a trovare un paio d'ore libere per una povera capoclan?”

“Beh... ecco...”

“Che peccato.” Hana scosse la testa, tornando a fissare le rade nuvole in cielo. “E pensare che volevo discutere di insetti. Ho giusto un libro nuovo sull'argomento a casa.” gli lanciò un'occhiata divertita. Era come un cane entusiasta di aver trovato un nuovo giocattolo. “Mi auguro che non avrai pensato male...”

“A-assolutamente no.” l'Aburame deglutì a vuoto, percependo nuovamente qualcosa di molto grosso e sgradevole schiacciargli lo stomaco. Quella donna sembrava aver scoperto il modo di metterlo a disagio con poche parole, ma la cosa, più che spaventarlo, sembrava scollegargli la bocca dal cervello, poiché parlò nuovamente senza riflettere sulle conseguenze delle sue parole. “Sarà un... onore essere tuo ospite.”

“Ottimo!” l'Inuzuka si alzò di scatto, il sorriso raggiante sempre sul viso. “Ti aspetto sulle otto e mezza. Lo conosci l'indirizzo, no?”

Shino annuì, ancora sconvolto da quella svolta improvvisa. Tuttavia, per quanto teso dall'impegno appena preso, fu colto comunque alla sprovvista quando vide la donna chinarsi per baciarlo sulla fronte.

“C-c-c...”

“Un incentivo a non fare tardi stasera.” sussurrò lei, facendogli l'occhiolino. “Starai bene, vedrai. Sono un'ottima cuoca.”

L'Aburame non disse nulla. Si limitò ad osservarla allontanarsi, il cervello completamente fuso. Non capiva. Non riusciva a comprendere quando quella donna aveva ottenuto tutto quel potere su di lui, in quale istante aveva trovato il tasto giusto per farlo diventare un burattino nelle sue mani.

Cosa diresti di me in questo momento, Kiba? Probabilmente, mi picchieresti anche solo per averlo pensato...

Perché aveva capito cosa era accaduto. Non era un esperto di quelle cose, ma ormai non aveva più alcun dubbio su cosa fosse quel macigno nello stomaco che percepiva ogni volta che si trovava davanti gli occhi scuri e le labbra carnose della capoclan degli Inuzuka.

Hana aveva trovato il tasto giusto per fare breccia nel suo cuore.

E la cosa, dopotutto, non gli dispiaceva neanche un po'.

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

Ordunque, dopo millemila anni di assenza, torno alle undici di sera con un nuovo capitolo, il primo della seconda parte! Cosa è cambiato dalla prima? Ci siamo lasciati con il sesso e riprendiamo con... altro sesso xD

Ho voluto parlare di un problema che nelle coppie di oggi, specie se di lunga durata, è piuttosto comune: la fine della passione. Il tempo passa, la routine vince su tutto, e le emozioni provate le prime volte assieme scompaiono, inghiottite dalla monotonia di tutti i giorni. In questo capitolo ho voluto sottolineare come questo problema, spesso fautore di interminabili litigi, spesso può essere superato con un po' di adattabilità da parte dei partner. Questa volta è stata Hinata a 'sacrificarsi', ma chi lo sa... in futuro potrebbe toccare a Naruto xD

E riguardo a quest'ultimo... sì, so di averlo reso piuttosto perverso in questo capitolo, ma non dimentichiamoci che Naruto è, effettivamente, un pervertito (basta pensare alla prima tecnica da lui appresa: il Sexy Jutsu) senza contare che è stato allievo del maestro della perversione, Jiraiya. Mi suonerebbe alquanto strano che crescendo, pur diventando più serio, abbandoni totalmente questa sua indole da pervertito.

Su Shino ed Hana... beh, che dire. Tra i personaggi secondari loro mi sono sempre ispirati, un po' per i loro design, un po' per le loro abilità... ho pensato che provare a metterli assieme, giocando anche sul fatto che lei è più grande di sei anni, fosse divertente, un modo per stemperare la carica erotica del capitolo.

Bene, concludo con un piccolo avviso: causa sessione esami, nei prossimi due mesi gli aggiornamenti saranno molto più radi. Quindi... controllate spesso ed abbiate pazienza xD

Come sempre ringrazio chiunque legga o segua questa raccolta, e ricordo che qualsiasi recensione (negativa o positiva) è ben accetta.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 23
*** Parole non dette ***


The Biggest Challenge

 

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Parole non dette

 

 

 

Hinata si tormentava un lembo della gonna, in religioso silenzio, osservando con la coda dell'occhio Sakura, dall'altra parte della scrivania, che studiava i dati delle sue analisi.

“Allora?” chiese dopo quello che le parve un tempo interminabile. “Cosa dicono?”

Sakura si mordicchiò l'interno della guancia, le iridi smeraldine che guizzavano come serpi, studiando i risultati degli ormoni nel sangue dell'amica.

“Beh, direi che non ci sono dubbi.” fece un sospiro, rivolgendo un sorriso alla Hyuga. “Sei incinta!”

Hinata socchiuse le labbra per lo stupore, le iridi color perla spalancate. Per lunghi secondi rimase in silenzio, tentando di assimilare la notizia, sotto lo sguardo vagamente perplesso dell'Haruno.

“Di solito si dovrebbe essere felici di diventare madre.” la prese in giro la Sannin. “Specie se si ha già assaporato questo piacere.”

“Beh...” prese a torcersi una ciocca scura, il labbro inferiore stretto nella morsa dei denti. “Sì, è vero... però...”

“Però, cosa?”

La kunoichi sembrò sul punto di dire qualcosa ma si trattenne, abbassando lo sguardo sulle proprie ginocchia.

“Hai forse paura di come reagirà Naruto nel sapere che avrete un altro figlio?” Sakura sorrise nel vedere l'altra provare a balbettare qualche replica, capendo di aver indovinato.

“Io non credo che gli dispiaccia avere un altro marmocchio in giro per casa.” proseguì la rosa, iniziando a sistemare i propri appunti. “Il punto però è se l'idea piace a te.”

“Cosa?”

“Naruto passa tutti i giorni in ufficio, lasciando la cura di casa e pupo a te. Sinceramente, l'idea di raddoppiare l'impegno, con in mezzo una seconda gravidanza, ti ispira?”

Hinata non rispose. Non lo sapeva. Quella notizia era arrivata nel momento peggiore, ovvero quando credeva di aver trovato l'equilibrio perfetto con Naruto e Boruto. Ormai erano passati due mesi da quando avevano riscoperto il piacere sotto le lenzuola, e la splendida monotonia della loro vita assieme scorreva proprio come l'aveva sempre sognata. Sotto un certo aspetto, quella gravidanza era arrivata con la violenza di uno tsunami, portando con sé nausee, voglie e problemi di linea. Sarebbe stata capace di gestire nuovamente tutto nei successivi mesi, senza l'aiuto di Tenten e con un Boruto che stava iniziando ad essere fin troppo vivace ed energico? Non lo sapeva, ma non era troppo ottimista sulla faccenda.

Il tocco sulla spalla di Sakura la riscosse dai propri pensieri.

“Non preoccuparti!” il sorriso della Sannin divenne rassicurante. “Sei sempre stata una donna piena di risorse, avrai successo anche questa volta, ne sono sicura!”

Sorrise, pur sapendo perfettamente che le sue preoccupazioni non erano svanite, ma preferiva non angustiare l'amica. Era un suo problema, che avrebbe affrontato da sola.

Posso farcela.

Dopotutto, si trattava solo di comunicare al marito che sarebbe diventato padre per la seconda volta e che la loro vita sarebbe stata sconvolta e trasformata per i successivi sette mesi e mezzo in un orrendo inferno.

Non era difficile.

Oppure sì?

 

 

Naruto socchiuse gli occhi, godendosi il caldo sole di inizio luglio sul viso. Si stiracchiò la schiena, appoggiandosi completamente al rigido schienale della panchina, il tutto mentre si accertava, con uno sguardo pigro, che Boruto non combinasse disastri nel recinto della sabbia. In teoria tenere d'occhio un bambino di due anni non era complesso, ma l'Uzumaki aveva capito da tempo che con suo figlio la parola semplice non esisteva.

Era il suo giorno libero, e come tutti i suoi giorni liberi, era stato buttato fuori di casa dalla moglie assieme alla piccola peste, con l'ordine tassativo di non ricomparire prima di pranzo. Il Jinchuuriki soffocò a stento uno sbadiglio, chiedendosi per quale motivo non costruissero panchine più comode al parco. Hinata quella mattina l'aveva tirato giù dal letto ad un orario criminale, facendogli rimpiangere le levatacce per andare in ufficio.

Osservò con fare annoiato Boruto tentare di costruire qualcosa di vagamente simile ad una torre, ma che ai suoi occhi sembrava solo un mucchietto smorto di sabbia. Si chiese se fosse una caratteristica di famiglia il talento per l'arte astratta, quando Kurama lo rimproverò duramente.

Smettila di distrarti!” il Kyuubi era particolarmente nervoso, ma il Jinchuuriki lo poteva capire: stavano disputando la sfida settimanale di Morra Cinese numero mille, che valeva cinque punti, ed erano giunti alla partita finale. La tensione era palpabile.

Questa volta ti distruggo, moccioso!”

Fatti sotto, Volpe del cavolo!”

Sollevarono entrambi il pugno destro, rimanendo per un lunghissimo istante immobili, in attesa del momento giusto per calare la loro mossa.

Ja-an-ken!” il volto dello shinobi si contorse in un sorriso di gioia nel constatare di aver vinto. Fece una piroetta in aria, il tutto mentre il Bijuu sbuffò, profondamente irritato nell'aver perso.

La fortuna del pivello!”

Naruto sogghignò.

Ti brucia, eh?”

Kurama si limitò a fargli lo sgambetto con una delle code, ridacchiando con la sua voce gutturale nell'osservare l'amico massaggiarsi il sedere.

Mai quanto il tuo culo, moccioso.”

Sportivo come sempre, complimenti...”

“Mi scusi?” una dolce voce femminile lo distrasse dalla risposta acida del Kyuubi. Si voltò, osservando una giovane madre indicargli un punto alla sua sinistra. “Quello è il suo bambino?”

Con la sgradevole sensazione che ciò che avrebbe visto non gli sarebbe piaciuto affatto, il biondo si girò notando, con orrore, Boruto arrampicarsi allegramente sui tubi d'acciaio di un gioco adatto a bambini decisamente più grandi di lui.

“Merda!” scattò, dirigendosi a tutta velocità in direzione del figlio. Quest'ultimo, stancatosi presto di arrampicarsi, mollò di colpo la presa. Naruto ricorse al proprio chackra, indirizzandolo sui piedi, raggiungendo così una velocità tale da afferrare il piedino destro del piccolo Uzumaki un istante prima che sbattesse la testa contro il selciato.

Bella presa... se continui così ti nomineranno padre dell'anno.”

Naruto emise un profondo sospiro, troppo sollevato per trovare la forza di replicare a Kurama. Preferì avvicinare il viso del figlio al suo, il quale sembrava entusiasta di farsi tenere a testa ingiù dal padre.

“Giro!” esclamò il bambino, battendo le manine paffute. “Giro!”

“Eh, no!” replicò lo shinobi, mettendosi sulle spalle il bambino. “Questa volta non corro rischi con te. Sei fin troppo vivace per i miei gusti!”

Boruto gonfiò le guance, gli occhi cerulei fiammeggianti di rabbia. Tuttavia, subito dopo, con sommo orrore del padre, il piccolo Uzumaki contrasse la faccia, lasciando fuoriuscire le prime lacrime.

“No... B-Boruto... non farlo... ti prego...” Naruto riprese in braccio il bambino, provando a non farlo piangere con ogni trucco che conosceva, finendo con il pregarlo senza alcuna dignità.

“Avanti... non fare questo dispetto al papà... non piangere...” sfoderò il suo sorriso più accattivante, nella speranza di trattenere la tempesta, ma subito dopo Boruto gli svuotò in faccia i propri polmoni, scoppiando in un furioso pianto, capace di far tintinnare i vetri nelle vicinanze.

“No, non piangere!” Naruto iniziò a coccolare goffamente il figlio, ma questo provocò soltanto un aumento d'intensità delle grida. Il Jinchuuriki iniziò a sudare freddo: conosceva quella piccola peste, e sapeva che un pianto di quelle dimensioni poteva andare avanti per ore.

Fallo stare zitto!” Kurama si portò le zampe anteriori alle orecchie, frastornato da quella sequenza di strilla inumane. Neanche i peggiori genjutsu di Madara erano stati capaci di provocargli emicranie di quella potenza.

Come se fosse facile!” replicò lo shinobi, proseguendo a sballottare il figlio come un cocktail, nella tenue speranza che si acquietasse. “Ormai è partito, ne avrà per minimo un'ora.”

Un'ora?!” il Kyuubi gemette di dolore, percependo i propri timpani andare i mille, dolorosissimi, pezzi. “Non se ne parla neanche! Chiudigli subito la bocca!”

Non so come fare!” nella voce del biondo iniziò a farsi strada una vena di disperazione. “Se solo Hinata fosse qui... lei saprebbe come tranquillizzarlo.”

La volpe scoprì i denti, percependo un nuovo urlo da parte del piccino trapanargli ciò che restava del suo sistema uditivo. Per un istante soppesò l'idea di ucciderlo brutalmente, ma poi rinunciò, pensando che sarebbe stato noioso ripulire l'area da tutto quel sangue. Occorreva un'azione più diplomatica.

Ora basta!” con un gesto secco si fece avanti, spingendo da parte l'amico. “Scambiamoci i ruoli!”

Naruto chiuse gli occhi per un istante, mentre alcuni passanti si avvicinavano, temendo fosse in atto un infanticidio piuttosto brutale. Tuttavia, non appena il Jinchuuriki li riaprì, le sue iridi rosso sangue bastarono ad allontanare qualsiasi curioso.

Ora a noi due, pidocchio!” Kurama scrutò il figlio dell'amico, il quale teneva la bocca così spalancata che, volendo, il Bijuu avrebbe potuto estrargli le tonsille. Dal vivo era decisamente più brutto, molliccio e puzzolente di quanto immaginasse, e si chiese quale folle motivo spingeva gli umani a tenersi in casa per anni simili seccature.

Le urla di Boruto proseguirono nella loro opera di distruzione, provocando una vena pulsante sulla tempia del demone, il quale iniziò a contare fino a diecimila prima di trovare la forza di non strangolarlo.

Ora piantala!” appoggiò una mano sulla fronte del bambino, richiamando il proprio potere. Per alcuni istanti, un'aura di chackra rosso sangue circondò il corpo di Boruto, venendo successivamente assorbita, il tutto mentre il pianto del bambino si spegneva lentamente, con somma sorpresa del padre.

Non l'avrai mica ucciso?!” esclamò terrorizzato.

Per stavolta no.” borbottò il Kyuubi, scambiandosi nuovamente la posizione con il proprio Jinchuuriki. “Mi sono limitato a passargli parte del mio chackra. Essendo troppo piccolo per controllarlo, lo sforzo gli ha fatto perdere i sensi. Ne avrà per un paio d'ore.”

In pratica lo hai stordito!” replicò indignato l'uomo. “Anche io ci riuscivo a farlo stare zitto in questo modo! Se avessi voluto usare questo metodo, mi procuravo un bastone e glielo tiravo in testa!”

Smettila di blaterare idiozie!” ribatté il demone, esibendo, con uno sbadiglio, le proprie fauci. “Quella peste puzzolente sta benissimo, ed al suo risveglio non si ricorderà un bel niente. Quindi piantala di fare la mammina apprensiva!”

Naruto scrutò attentamente il volto del figlio. Sembrava semplicemente addormentato, con respiro e colorito nella norma. Vagamente perplesso, lo shinobi lo mise dentro il passeggino, mentre Kurama iniziò a grattarsi dietro l'orecchio sinistro.

In ogni caso... non credere che la faccenda finisca qui!” riprese il discorso il biondo, portando fuori dal parco il proprio primogenito. “Se Hinata scopre che ti uso per 'sedare' Boruto, come minimo mi castra a mani nude!”

Per quello che ti servono...”

Dovresti comportarti da bravo zio, invece di fare battutine acide!”

Il Kyuubi reagì ringhiando a quell'affermazione, i denti aguzzi che luccicavano minacciosi.

Chiariamo un concetto...” la sua voce divenne più profonda, mentre avvicinava un gigantesco occhio verso l'amico. “Io non sono la balia di nessuno, tanto meno del tuo marmocchio!”

Ma davvero?” il Jinchuuriki sogghignò, innervosendo ulteriormente il Bijuu. “Allora come mai l'altra notte ti ho visto addormentato sotto il lettino di Boruto, in versione cagnolino da compagnia?”

Tu...” il pelo di Kurama divenne, se possibile, ancora più scarlatto, provocando l'ilarità di Naruto, il quale si mise ad ammiccare verso il demone con l'espressione più irritante e beota del suo vasto repertorio.

Lo vedi che, sotto sotto, sei un tenerone?”

Naruto!” il Kyuubi rizzò il pelo, ruggendo con tutto il fiato che possedeva. “Piantala di provocarmi, altrimenti renderò tuo figlio orfano!”

Naruto scosse la testa, preferendo non proseguire la discussione. Conosceva abbastanza bene Kurama da sapere che in quei momenti era meglio lasciarlo sbollire in pace. Si limitò a sorridere, osservando l'amico chiudere stoicamente gli occhi, fingendo di addormentarsi di colpo. Faceva ancora fatica a credere di aver visto il Kyuubi vigilare su Boruto due notti prima, senza contare che non aveva idea che possedesse l'abilità di rimpicciolire le proprie dimensioni a quelle di un grosso cane, ma forse quella era solo una parte dell'essenza del demone.

Un giorno dovrò chiederglielo... potrebbe tornare utile in battaglia, oppure in qualche missione di spionaggio.

“Ehi!” una voce familiare gli giunse all'orecchio, interrompendo il flusso di pensieri. Non appena collegò la voce udita al proprietario, il suo stomaco fece un balzo all'indietro, il cuore che iniziò a battere rapidamente in un punto imprecisato del collo.

Non può essere...

Si girò di scatto, le iridi azzurre che si spalancarono per la sorpresa, il tutto mentre un sorriso gli nacque spontaneamente sulle labbra.

Davanti a lui, sorridente, una criniera selvaggia ad incorniciare il volto abbronzato, c'era Kiba.

“E' da parecchio che non ci vediamo, eh?” esclamò l'Inuzuka.

Naruto non disse nulla. Si limitò a rimanere immobile, un'espressione da pesce lesso sul volto. Si accorse solo dopo alcuni istanti della ragazza affianco all'amico: era minuta, incredibilmente magra, con capelli castano chiaro che le sfioravano le scapole ed una bella bambina mora in braccio.

“K-Kiba?” boccheggiò, incapace di capire come fosse possibile che l'amico fosse comparso di botto dopo oltre un anno e mezzo di assenza. “Ma cosa...”

“Beh, non mi saluti?” lo prese in giro il moro, scoppiando nella sua tipica risata simile ad un latrato. “Sapevo di aver preso colore in faccia, ma credevo che almeno i miei amici mi avrebbero riconosciuto!”

“Grandissimo bastardo!” con un ruggito di gioia, Naruto mollò il passeggino, strangolando l'Inuzuka in un fortissimo abbraccio. “Ti credevamo morto!”

“Io morto?” Kiba sogghignò. “Lo sai anche tu che ho la pelle dura!”

“Diciamo pure indigesta!” replicò ridacchiando l'Uzumaki, staccandosi. “Brutto come sei, neanche i vermi ti vorrebbero!”

“Spiritoso come sempre, ma non sono tornato per questi giochetti da bambino.” lo shinobi moro mise le mani sulle spalle dell'amico, sorridendo come non mai. “Ho deciso di tornare per mettere su famiglia!”

Naruto ebbe l'impressione che qualcuno gli avesse appena tirato un pugno molto forte sul viso.

“Puoi ripetere?” chiese con sguardo da pesce lesso. “Perché sono sicuro di aver sentito male...” la voce gli morì in gola quando Tamaki si fece avanti, un sorriso furbo sul viso magro, gli occhi ambrati che lo sfidavano. Anche per il suo cervello non fu difficile capire chi fosse e cosa rappresentasse la bambina che la kunoichi teneva in braccio.

“Tu... sei diventato padre?” balbettò, gli occhi grandi come scodelle. “Sei diventato... un papà?!”

“Ce ne hai messo di tempo!” lo prese in giro Kiba. “Ti presento Tamaki e Moriko.” mise un braccio sulle spalle della fidanzata, regalandole un bacio tra i capelli.

“E' un onore conoscere un amico di Kiba.” esordì la ragazza, ingentilendo il sorriso sulle labbra, il tutto mentre la bambina dava segni d'insofferenza nello stare in braccio alla madre, chiedendo di scendere.

“I-Il piacere è mio.” rispose Naruto, grattandosi la nuca con fare nervoso. Era ancora troppo scosso dagli ultimi avvenimenti per poter ragionare in maniera lucida. Kiba che ricompariva all'improvviso con una figlia, decidendo di voler mettere su famiglia? O si trattava di un sogno molto bizzarro, oppure a colazione Hinata gli aveva versato liquore al posto del tè nella tazza.

“Dai, non fare quella faccia!” l'Inuzuka gli mise un braccio sulle spalle, grattandolo sulla nuca per scherzo. “Tamaki è una combattente fenomenale, e abbiamo un sacco di cose in comune!”

“Se è così forte, allora in comune avete ben poco!” osservò il biondo, facendo notare con un pugno all'amico di smetterla di stargli appiccicato. “Avete... già trovato una casa?”

“Per ora no. Siamo arrivati qualche ora fa, passando da mia madre per ritirare un paio di cose, e dall'Hokage per informarmi delle novità.” spiegò lo shinobi, osservando la figlia fissare Boruto 'svenuto' nel passeggino. Fu solo in quell'istante che l'Uzumaki si accorse di come la piccina avesse gli occhi dello stesso colore della madre, anche se la pupilla verticale, e i capelli castani, li aveva sicuramente ereditati dal clan paterno. Tuttavia, la finta coda di gatto legata alla vita tradiva la tradizione 'canina' degli Inuzuka.

“Quindi non serve che ti spieghi cosa è accaduto mentre tu di divertivi a sfornare piccoli selvaggi in giro per il mondo.” sogghignò, riprendendo in mano il passeggino, affiancando per la strada la coppia. “Spero che mi rimborserai tutto ciò che ho speso per mantenere Akamaru! Quel cane ha l'appetito di un esercito!”

“Sapevo che un idiota come te non avrebbe mai potuto apprezzare la sua compagnia.” borbottò Kiba, osservandolo storto. “Per fortuna che c'era Hinata, altrimenti gli avresti fatto patire la fame!”

“Se non c'era Hinata, Akamaru in casa mia non ci entrava per diciotto mesi.” lo corresse il Jinchuuriki.

“Che gli dei la benedicano sempre!” sospirò teatralmente il moro. “Comunque un'informazione me la puoi dare.”

“Sputa.”

“Sai per caso cosa è accaduto a Shino? Perché quando ho accennato di lui, sia l'Hokage che mia madre non hanno spiccato parola.”

Naruto si fermò di colpo, facendo un profondo respiro. Kiba lo scrutò in faccia, perplesso da quell'atteggiamento, iniziando a temere che fosse accaduto qualcosa di molto grave al suo migliore amico.

“Perché quella faccia? Non gli sarà mica successo qualcosa.”

L'Uzumaki si passò una mano tra i capelli, spettinandoli ulteriormente, tentando di trovare le parole giuste, anche se era abbastanza sicuro che, qualunque frase avesse in mente di usare, la faccenda sarebbe comunque finita in tragedia.

“Non esattamente...”

 

 

Il sole baciò dolcemente il volto di Hana. La kunoichi contrasse gli occhi, assaporando la morbidezza delle lenzuola, soffocando uno sbadiglio.

Quanto ho dormito? La sua prima impressione fu che doveva essere tardi, ma il pensiero della notte precedente la fece sorridere, infischiandosene della possibilità di aver mandato a monte i numerosi impegni da capoclan che l'attendevano. Era da molto tempo che non si sentiva così bene, ed aveva tutta l'intenzione di assaporare quegli istanti fino in fondo. Avrebbe recuperato nei giorni successivi il lavoro arretrato.

Si alzò, andandosi a sciacquare la faccia, muovendosi per corridoi che ormai conosceva assai bene. Era incredibile quanto si trovasse a suo agio tutte le volte che era ospite in quella casa al limitare del bosco, lontano dai rumori della città. In quel luogo, pace e tranquillità regnavano sovrane, disturbate solamente dal canto degli uccelli e dallo scrosciare dei torrenti che gorgogliavano allegri nei dintorni. Tuttavia, quello che la circondava acquistava un'importanza relativa al pensiero di ciò che stava nascendo con il padrone di quel posto.

Lo incontrò seduto in veranda, impegnato ad osservare la natura attorno a sé. Sentì di trovarlo splendido anche in quell'occasione, chiedendosi come avesse fatto ad essere così cieca in passato, a lasciarselo sfuggire per così tanto tempo. Ora che l'aveva capito, non aveva alcuna intenzione di perderlo.

“Buongiorno.” lo salutò con un bacio sulla guancia, sedendosi al suo fianco, le lunghe gambe nude baciate dal sole. “Sempre mattinieri, vero?”

“Tra meno di un'ora sarà mezzogiorno.” rispose Shino, apparentemente indifferente alle attenzioni della kunoichi. “Stavo per venire a svegliarti.”

“Sempre così gentile...” il tono dell'Inuzuka si tinse di un'ironia beffarda, capace di renderle la voce più fredda, ma il moro ci era abituato. Nel corso degli ultimi mesi aveva appreso molte cose di Hana Inuzuka, forse troppe. Era giunto alla conclusione che sotto la corazza da guerriera forte, carismatica e ironica, ci fosse una donna profondamente sola, che trovava nella sua compagnia una presenza intima a lungo ricercata. Per Shino quell'estate stava correndo rapida come il vento, immergendolo in un vortice di sensazioni ed emozioni troppo complesso per essere capito. Aveva lottato per un po', mosso anche da sincero rimorso per l'amico disperso, ma alla fine si era arreso, lasciandosi trascinare dal desiderio di Hana, la quale gli aveva mostrato di cosa fosse veramente capace una donna adulta.

“Hana.” assaporò quel nome come avrebbe fatto con un frutto maturo. Se si concentrava, poteva ancora percepire il sudore acre di lei addosso, il sapore del suo piacere tra le labbra, l'odore della sua pelle nelle narici, il suono della sua voce, resa roca dal piacere, nelle orecchie. Era l'incarnazione di una notte di fine estate: calda ed accogliente, la quale dentro di sé però covava già i primi frutti del gelido inverno.

“Cosa c'è?” la osservò mentre si raccoglieva i capelli, il corpo sinuoso e tonico coperto solo da una leggera vestaglia di cotone. Era bella, molto bella, ma non era quello a turbarlo, a rovinargli ogni singolo momento trascorso assieme a lei.

“Io...” si interruppe quando percepì qualcuno avvicinarsi. Alzò lo sguardo, coperto dalle onnipresenti lenti scure, fissando emergere dal sentiero la fonte di ogni sua preoccupazione, lasciandolo sorpreso e sbigottito.

“Kiba?!” gli occhi scuri di Hana si spalancarono di colpo, il colore che spariva rapido dal suo viso. Ciò che vedeva era suo fratello, ma allo stesso tempo una persona completamente diversa: era più magro e robusto, con il volto reso scuro dal sole, ed una barba poco curata che, assieme ai capelli scarmigliati, donavano l'effetto di una criniera. Indossava abiti da viaggio usurati e teneva una sacca a tracolla. Tuttavia, ciò che colpiva subito era il suo sguardo, freddo e glaciale, fisso sulla figura della sorella e su colui che considerava come un fratello.

“Ciao, Sorellona.” esordì con voce ascetica una volta giunto innanzi ai due. “Shino...” rivolse un cenno del capo all'amico, al quale quest'ultimo non rispose, paralizzato dal senso di colpa che, violento come una tempesta, infuriava dentro di lui. “E' da parecchio che non ci vediamo, no?”

“Kiba...” la voce di Hana era diventata un sussurro. La kunoichi aveva il corpo ricoperto di sudore freddo, gli occhi fissi sulla figura del fratello da lei ritenuto ormai morto. “Sei tu?”

“Certo, Sorellona.” fu l'amabile risposta dell'Inuzuka. “Sono io, il tuo amato fratello.” il sarcasmo nella sua voce era palpabile, e colpì come una sferzata la capoclan. Quest'ultima si conficcò tra i denti il labbro inferiore, il corpo scosso da emozioni contrastanti: gioia, paura, senso di colpa e sollievo.

“Kiba.” Shino si decise a parlare, notando come, dietro la facciata pacifica e rilassata, l'amico stesse ribollendo di rabbia. “Sono felice di rivederti sano e salvo.”

“Tu dici?” Kiba inarcò un sopracciglio, la voce sempre innaturalmente fredda. “Eppure credevo di non mancarti affatto.”

“Fratello, posso spiegarti tutto... dico davvero.”

“Tieni la bocca chiusa, Hana.” la voce dell'uomo assunse, per un istante, una tonalità più feroce, facendo emergere ciò che realmente provava nel profondo. “Adesso sto parlando con il mio amico.

Nella radura scese un silenzio carico di tensione, rotto solo dal caldo vento estivo, che sussurrava tra le fronde rigogliose degli alberi. Kiba teneva gli occhi piantati sul volto di Shino, le braccia incrociate innanzi al petto, le pupille verticali iniettate di sangue. Era incredibile come riuscisse a mantenere ancora un briciolo di autocontrollo.

“Di cosa vuoi parlare, Kiba?” esordì infine l'Aburame, la voce bassa. “Sono a tua disposizione.”

Le unghie dell'altro shinobi si piantarono negli avambracci, mentre il volto ebbe uno spasmo involontario. Era come una bomba pronta a scoppiare alla minima sollecitazione.

“Tu cosa pensi, Shino?” sibilò con voce velenosa, l'autocontrollo che stava rapidamente svanendo. “Magari parliamo che ti sbatti mia sorella mentre sono via dal villaggio? Oppure del fatto che la cosa non ti crea alcun pudore, visto che tutta Konoha sembra sia al corrente della vostra storiella.” sangue scarlatto prese a gocciolargli dalle braccia. Si era conficcato le unghie con tanta forza da lacerare l'epidermide. “Possiamo cominciare da questo... amico.

“Shino non ha colpa, è stata tutta una mia iniziativa.” si intromise la capoclan, alzandosi in piedi. “Se cerchi qualcuno su cui sfogare il tuo risentimento, quella sono io.”

“Piantala di coprirlo!” fu la secca replica del fratello. “Non sei tenuta a farlo, e non mi interessa chi ha cominciato!” i suoi occhi si mossero con lentezza, osservando a turno i due innanzi a lui. “Non avresti neanche dovuto pensarlo... Shino.” proseguì, la voce di nuovo bassa e priva di emozioni. “Sbatterti la sorella del tuo migliore amico...”

“Hai ragione.” l'Aburame si alzò, portandosi di fronte a colui che considerava come un fratello. “Non avrei dovuto.” i secondi scivolarono via lenti, aumentando la tensione che li divideva. “Ma l'ho fatto... e ti chiedo scusa per questo.”

Quella debole scusa fece perdere definitivamente il controllo a Kiba. Anni di amicizia, cementata da centinaia di missioni e combattimenti fianco a fianco, vennero prontamente spazzati via nel preciso istante in cui il pugno destro dell'Inuzuka colpì dritto in faccia il moro, scaraventandolo al suolo.

“Ti dispiace...” con una rapida mossa, Kiba bloccò l'ormai ex amico al suolo con le gambe, afferrandolo per il bavero, gli occhi iniettati di sangue. “Risparmiami le tue scuse... posso solo immaginare quanto ti sia dispiaciuto fotterti mia sorella, sporco bastardo!”

Shino non rispose, limitandosi a fissare colui che considerava un fratello sputargli in faccia il suo disprezzo. Sentì di meritarselo, di essersi guadagnato totalmente quell'odio, dal quale non poteva nascondersi, neanche dietro le sue lenti scure, ormai crepate.

“Ti si è seccata la lingua a furia di leccare i piedi di mia sorella?!” l'Inuzuka alzò nuovamente il pugno destro, con il chiaro intento di percuotere ogni singolo centimetro della faccia dell'Aburame. “Sei solo un essere immondo e viscido, proprio come i tuoi inset...” un calcio lo colpì in pieno volto, scaraventandolo a svariati metri di distanza. Lo shinobi si rialzò subito, furioso, specchiandosi nello sguardo furibondo della sorella, il cui volto era livido per la collera.

“Non osare sfiorarlo!” sibilò la capoclan, mostrando i denti, i muscoli tesi e pronti a scattare. “Con quale faccia ti presenti qui e lo accusi?! Tu, che sei scappato come un vigliacco dal villaggio, rinnegando il tuo stesso clan!”

“I nuovi giocattoli sono sempre i più facili da proteggere, vero Sorellona?” replicò il minore degli Inuzuka, irritato per l'intromissione della consanguinea. “Peccato che ti stancherai presto anche di lui, come hai fatto con me... dico bene? Troppo piccolo per meritarsi l'attenzione della grande Hana.” un rigagnolo di sangue prese a scendergli dal naso, ma Kiba lo leccò con un cenno rapido della lingua. Aveva ancora sete di violenza, e sembrava incapace di controllarsi. “Ma sai cosa c'è? Che il piccolo Kiba è cresciuto... e non ha più intenzione di essere trattato come l'ultimo della cucciolata!”

“Allora fatti sotto! Vieni pure!” Hana si schioccò le nocche delle mani, il volto contorto in un'espressione animalesca, capace di far gelare il sangue anche al più incallito dei guerrieri. “Avrei dovuto insegnarti le buone maniere molto tempo fa, piccolo bastardo ingrato... ma oggi posso finalmente rimediare!”

Nella radura scese un silenzio teso, carico di elettricità. Fratello e sorella presero a fissarsi negli occhi, ognuno pronto a scattare. Anni di incomprensioni, insulti e rimorsi stavano per essere concentrati lì, in quel luogo sperduto in mezzo al bosco, ormai maturi. L'occasione per pareggiare i troppi conti in sospeso che avvelenavano il loro sangue fin dall'infanzia.

Mi ha portato via anche Shino... Kiba scoprì ulteriormente i denti, i nervi che pulsavano nitidi sulla faccia sfigurata dall'odio. Nonostante si giudicasse cambiato, non era mai riuscito a perdonare la sorella, di essere stato costretto a vivere nella sua ombra per la maggior parte della vita. Sapere che l'aveva privato del suo migliore amico, colui che per anni aveva considerato la sua vera famiglia era stata l'ultima goccia, capace di traboccare da un vaso ormai colmo.

Scattarono nello stesso istante, muovendosi in perfetta sincronia. Il pugno sinistro di lei impattò contro quello destro dello shinobi, creando una violenta onda d'urto che scosse le cime degli alberi. Dopo alcuni istanti di stallo, i due ninja si staccarono, tornando subito alla carica, nel tentativo di sopraffare l'altro con la semplice forza bruta. La gamba destra di Hana venne bloccata dall'avambraccio contrario del fratello, il quale gliela ritorse con una presa. Reso euforico dal piccolo vantaggio ottenuto, l'Inuzuka provò a sferrare un colpo con la mano destra, ricoperta di chackra, ma Hana la evitò con un riflesso sovrumano, colpendolo all'addome con una ginocchiata. Kiba indietreggiò per il dolore, ma la kunoichi non gli diede tregua, stordendolo con un tremendo montante al mento, il quale scaraventò lo shinobi a svariati metri di distanza.

“Hana!” Shino avanzò, provando ad arginare la furia della donna. Quest'ultima infatti aveva subito ripreso ad attaccare, il volto contorto in un'espressione bestiale, ma il tocco sulla spalla da parte del suo uomo la fermò.

“Perché mi hai fermato?” sbottò, i lineamenti ancora contratti per la foga del momento, il respiro corto, come quello di un predatore. “Quell'arrogante moccioso...”

“E' tuo fratello.” replicò gelidamente lo shinobi. “Ed è mio amico.” Hana provò a ribattere, ma lo sguardo freddo del moro la frenò, costringendola al silenzio. “Non è giusto, e tu lo sai.”

La kunoichi si morse il labbro inferiore, osservando il fratello rialzarsi. Distese lentamente i muscoli del proprio corpo, riassumendo sembianze umane. Era difficile credere che dietro quel volto splendido si nascondesse una vera e propria belva feroce.

“Già finito?” la provocò Kiba, sputando un grumo di sangue, un sorriso sbilenco sul viso. Osservarlo fingere sicurezza urtò profondamente il sistema nervoso della capoclan. Aveva sempre odiato quell'espressione arrogante sul viso del fratello, ed ora aveva la possibilità di cancellarla a suon di pugni una volta per tutte.

Piccolo insolente... sangue scarlatto prese a fuoriuscirle dal labbro inferiore, le unghie conficcate nei palmi delle mani. Era convinta che rivedere suo fratello l'avrebbe riempita di gioia, che finalmente avrebbero superato le loro frizioni, legate a quel giorno maledetto in cui loro padre era scomparso, invece Kiba l'aveva sommersa di livore, dandole della puttana, e picchiando il suo uomo. Un affronto che non poteva tollerare.

Lo faccio solo per te, Shino.

“Non mi sporco le mani con i bambocci.” fece schioccare il collo, dandogli le spalle. “Spaccarti la faccia non cambierebbe nulla, quindi levati di torno.” rivolse con la coda dell'occhio uno sguardo omicida al fratello, i denti che scintillavano come vere zanne. “Altrimenti ti faccio fuori sul serio.”

Se ne andò dentro casa, lasciando i due vecchi compagni da soli. Kiba si morse l'interno della guancia, la rabbia che lo divorava come un acido. Per un istante fu tentato di inseguirla, andare fino in fondo una volta per tutte, ma il pensiero di Tamaki e Moriko lo fermò.

Rifletti! Non sarà azzuffandoti come un randagio che diventerai il padre di famiglia che Tamaki merita.

“Kiba...” rivolse lo sguardo verso l'Aburame, percependo il disgusto mescolarsi alla rabbia. Pensare a ciò che lo shinobi aveva compiuto in quell'ultimo anno e mezzo gli diede semplicemente il voltastomaco.

“Per me sei morto.” sibilò, allontanandosi in direzione di Konoha, lasciando Shino solo con il suo senso di colpa, e la consapevolezza di aver distrutto la famiglia del suo migliore amico.

Kiba... perdonami, se puoi.

 

 

Lo sentì, prima ancora di vederlo.

Non appena oltrepassò il cancelletto, inoltrandosi nel viale curato, Kiba percepì guaiti e latrati furiosi provenire dall'interno della casa, oltre ad un frenetico grattare sulla porta d'ingresso. Aveva appena percorso metà del vialetto, quando finalmente Akamaru, il suo compagno di vita, comparve sull'uscio aperto, investendolo in un vortice di peli, saliva e profondo affetto. Presero a rotolarsi sul prato, cane e padrone, stretti in un abbraccio fortissimo, di nuovo uniti dopo tanto, troppo tempo.

“Akamaru...” Kiba appoggiò la fronte sul muso dell'amico, sentendosi di nuovo completo. “Perdonami... ti ho fatto attendere troppo.”

Il cane-ninja gli ricoprì la faccia di saliva, la coda che si muoveva frenetica. L'Inuzuka rimase sorpreso di avere gli occhi lucidi, incredulo di essere stato così fortunato da avere ricevuto un simile dono dal fato. Nonostante tutto, Akamaru l'aveva subito perdonato, l'ennesima dimostrazione del suo amore.

Si rialzò, notando solo in quell'istante di avere innanzi Hinata. La Hyuga lo fissava con occhi sgranati, le labbra socchiuse per lo stupore: la trovò semplicemente splendida.

“Kiba-kun...”

Lo shinobi incurvò le labbra in un sorriso allegro. Era intimamente felice di poterla rivedere. La sua Hinata... capace di aiutarlo in ogni occasione, con la sua dolcezza e pazienza.

“Ciao!” esclamò, notandola stringere la gonna con forza crescente. “Spero che Akamaru non ti abbia dato troppo distu...” venne interrotto dall'abbraccio di lei. Quest'ultima lo strinse con tutta la forza che possedeva, gli occhi ricoperti da una patina salata.

“Non farlo mai più!” singhiozzò la corvina, affondando il volto sul petto di lui. “Promettimelo!”

“Cosa?” la vide alzare lo sguardo, fissandolo con occhi lucidi, squassata dalle emozioni che infuriavano dentro il suo petto.

“Promettimi che non te ne andrai mai più.” sussurrò. “Mi sei mancato terribilmente...”

Un tempo quelle parole avrebbero incendiato il cuore di Kiba. Tutto quello che fece invece fu ricambiare il suo abbraccio, inspirando profondamente, purificandosi delle tossine createsi durante l'incontro con Shino e sua sorella.

“Anche tu.” sorrise, scompigliandole i lunghi capelli scuri, osservandola scuotere la testa come un cane per liberarsi della sua presa affettuosa.

Amica mia...

Entrarono in casa. La kunoichi gli offrì una tazza di tè, obbligandolo a farsi medicare i graffi della lite di prima. Kiba provò a nasconderli, ma non fu difficile per la Hyuga individuarli e convincere l'amico a lasciarla fare.

“E' stata Hana-san, non è vero?” mormorò dolcemente, disinfettando un graffio sull'avambraccio sinistro dello shinobi. Quando notò l'espressione sorpresa di quest'ultimo, abbassò lo sguardo, senza interrompere la propria opera di medicazione.

“Tu sai?”

“Non... direttamente.” replicò la mora. Si sentiva in imbarazzo a parlare di quell'argomento, anche se poteva comprendere lo stato d'animo dell'amico. “Un giorno li ho visti passeggiare lungo il fiume tenendosi per mano... e così...”

“Hai capito ogni cosa.” concluse al posto suo il moro, scuotendo la testa. “Stupidi idioti!”

Hinata prese un rotolo pulito di bende, iniziando a fasciare la parte lesa. Nonostante tenesse lo sguardo basso, poteva immaginarsi benissimo l'espressione irritata sul viso dello shinobi. Lo conosceva fin da quando erano bambini, ed aveva compreso fin dal principio che quella relazione non gli sarebbe andata a genio.

“Io non credo che sia un errore.” alzò gli occhi, incrociandoli con quelli scuri dell'Inuzuka, il quale torse la bocca come se avesse appena assaggiato qualcosa di molto amaro.

“Come fai a perdonargli una cosa del genere?!” reagì lui, sbattendo il pugno destro sul tavolo di cucina. “Shino sa benissimo dei rapporti tra me e mia sorella! Come poteva sperare che io accettassi una simile cosa?!”

Hinata non rispose subito, terminando la fasciatura con un nodo così stretto da far trasalire l'amico.

“Shino-kun ed Hana-san hanno sofferto moltissimo negli ultimi tempi.” continuò a fissarlo in faccia, iniziando a metterlo a disagio. “E' stato il loro dolore per la tua scomparsa a farli incontrare.” Kiba tergiversò, incapace di reggere la vista degli occhi chiari della kunoichi. “Se desideri la felicità di Shino-kun, allora devi rispettare i suoi sentimenti... così come lui ha rispettato i tuoi.”

Deglutì a vuoto, profondamente a disagio. C'era un significato più profondo nelle parole della Hyuga, ma lo shinobi non era sicuro di volerlo scoprire. Avrebbe significato tirare fuori sentimenti ormai assopiti, ma che l'avevano dilaniato per troppi anni per sperare che non avessero lasciato alcuna traccia.

Nella cucina scese il silenzio, rotto soltanto dai rumori dei giochi di Naruto con il figlio in salotto. Con la coda dell'occhio, Kiba osservò l'amico aiutare il Boruto nelle costruzioni. Sembrava allegro e spensierato, come non l'aveva mai visto. Si chiese se un giorno anche lui sarebbe riuscito a diventare una simile figura paterna per Moriko.

“Ho saputo che sei diventato padre.” la voce di Hinata lo riscosse dai propri pensieri. La kunoichi lo fissava con volto sorridente, la mano destra che stringeva quella sinistra di lui.

“Già...” l'Inuzuka sospirò, ripensando alla sfuriata effettuata poco prima. La trovò patetica ed infantile, ma era più forte di lui. Il disprezzo, misto ad invidia, nei confronti di sua sorella era ancora lì, dentro di lui, pronto ad inacidirgli il sangue in ogni istante.

“Dimmi piuttosto di te! Non ti è capitato nulla in quest'ultimo anno?” provò a cambiare discorso, non fosse altro per provare a sbollire la rabbia che provava a rimuginare su Shino e sua sorella.

Il sorriso sul volto della donna sparì, lasciando spazio ad un'espressione pensierosa, gli occhi persi in pensieri cupi.

“Va... tutto benissimo.” mormorò infine. Rivolse lo sguardo verso la sua famiglia, le iridi perlacee ricolme di timore. “Forse... troppo.”

Non chiese il perché di quelle parole. Sentiva che l'amica non era pronta a confidarsi, e non desiderava forzarla. Rimasero in silenzio per lunghi minuti, le parole non dette tra loro che aleggiavano come densa nebbia, annebbiando loro sensi e vista. Forse, in una vita parallela, avrebbero trovato più coraggio, magari unendosi come coppia, ma non lì. In quel mondo erano semplici amici, felici delle loro scelte, ma corrosi sempre da quel minuscolo dubbio sulla bontà delle loro azioni. Se fossero riusciti ad avere più coraggio in passato, il futuro avrebbe potuto prendere una piega profondamente diversa.

“Devo andare.” fu Kiba a rompere quel momento di incertezza. Forse era stata la paura di cadere nei vecchi dubbi, o forse perché, nonostante tutto, lui aveva già una famiglia, che amava e riteneva splendida. Indugiare su quelle parole rimaste in sospeso sarebbe stato un errore, oltre che un insulto nei confronti di Tamaki e Moriko.

“Kiba.” la voce di lei lo richiamò quando era ormai aveva varcato il cancello della proprietà. “Ho fiducia in te... così come in Shino.”

Fiducia... contrasse le labbra in un ghigno amaro, proseguendo il tragitto verso l'abitazione di sua madre. Solo una persona come Hinata poteva ancora riporre fiducia in lui, dopo tutto ciò che aveva commesso. Forse era per quello che se ne era innamorato in passato.

Alzò il pollice destro in cielo, allontanandosi con Akamaru al suo fianco. Non si voltò, anche perché sapeva che l'avrebbe vista sorridergli.

Come sempre.

Ci proverò, amica mia.

 

 

Dolore.

Una fitta inumana lo scosse nel profondo, premendogli tra le labbra un urlo mostruoso. Strinse le mani, percependo il sangue caldo scorrergli tra le nocche, mentre il dolore aumentava sempre di più, un'ondata dietro l'altra.

Basta!” balbettò, ormai sull'orlo della follia. Era impensabile proseguire a vivere con quel dolore, un fuoco maligno che lo divorava dall'interno. “V-vi prego... basta!”

Merda!” una voce femminile si fece strada nella sua agonia, rinfrescandolo come una fonte fresca. “Sta perdendo i sensi! Mi serve un sostegno!”

Hana...”

Vai a chiamare la squadra medica, bisogna ricoverarlo d'urgenza!”

Hana!” per lunghi istanti si percepì solo il rumore della pioggia, unito alle grida dei moribondi sul campo di battaglia, ormai solo un empio mattatoio abbandonato. “Quella ferita è troppo grave! Non arriverà a domani mattina!”

Con un urlo disumano, Hana afferrò per il bavero il ninja, gli occhi scuri simili a quelli di un lupo impazzito per il dolore, i denti che scintillavano minacciosi sotto la luce delle lampade.

Non lascerò morire mio fratello in questo fetido campo di battaglia!” urlò con voce animalesca. “Anche a costo di consumarmi, lo salverò!”

Hana...”

Vai subito a chiamare la divisione medica, maledizione!” percepì uno scalpiccio frenetico, mentre la sensazione di fresco si rifece viva, attenuando parzialmente il dolore.

H-Ha... na...”

Non preoccuparti, fratellino.” un paio di labbra morbide gli sfiorarono la fronte sudata, mentre la kunoichi proseguiva ad infondere ogni singola goccia di chackra che possedeva nel jutsu medico applicato sopra lo squarcio. “Mi prenderò cura di te.”

Resistette. Si aggrappò alla vita con ferocia, disperatamente, lottando con il dolore, percependo ogni secondo lungo come un'ora. Sapeva che sua sorella gli era vicino, e questo bastava a sorreggerlo, a non cedere.

Resisti Kiba... ti prego, resisti. Non puoi lasciarmi!”

KIBA!”

 

 

Aprì gli occhi di colpo, la mente ancora invasa dalle urla disperate della sorella. Il soffitto della sua vecchia stanza riempì la sua visuale, rinfrancandolo nella sua normalità.

Era solo uno stupido sogno. Si alzò, stropicciandosi la faccia, il petto nudo grondante sudore nella calura notturna. Al suo fianco, Tamaki si rigirò nel sonno, il corpo magro ricoperto solo da una leggera vestaglia.

Tamaki. La figura della kunoichi dormiente riuscì a rasserenarlo. Incurvò le labbra in un fievole sorriso, il quale divenne più intenso quando spostò lo sguardo in fondo alla stanza, dove Akamaru dormiva ai piedi del lettino della piccola Moriko.

Quella visione lo rinfrancò. Forse quel viaggio non era stato un fallimento. I suoi rapporti con la famiglia erano rimasti pessimi, e probabilmente la sua amicizia con Shino era rovinata per sempre, ma aveva trovato una compagna ed una figlia. Poteva bastare per il momento.

Uscì all'aria aperta, sedendosi sui gradini sotto la veranda, assaporando sul petto la tiepida brezza notturna. Gli occhi dello shinobi erano fissi sull'orizzonte, nel tentativo di afferrare quella voce che aveva udito durante il sonno.

Davvero mia sorella... era così terrorizzata all'idea di perdermi?

Era un'idea assurda. Aveva passato la vita a credere che Hana fosse un'arrogante bastarda, capace solamente di squadrarlo con disprezzo. Il pensiero che avesse rischiato la propria vita per tentare di salvarlo suonava bizzarro, un po' come immaginarsi Naruto intelligente.

“Vedo che non hai perso le vecchie abitudini.” con un movimento silenzioso, sua madre Tsume si sedette al suo fianco, una bottiglia di saké in mano. “Tu preferisci dormire la mattina, così da avere una scusa per non lavorare.”

“Mi mancavano le tue prese in giro, mamma...” borbottò lo shinobi, passandosi una mano tra i capelli arruffati. “Il mondo era molto più silenzioso senza la tua voce che mi distruggeva i timpani ad ogni occasione possibile.”

Tsume scoppiò a ridere, ingollando una grossa sorsata di liquore. Era alticcia, il figlio lo comprese dall'alito impregnato di alcool e dagli occhi lucidi.

“Perché stai bevendo?” gli chiese, una volta constatato come la genitrice avesse già svuotato oltre la metà della bottiglia.

“Sto festeggiando.” rispose la kunoichi, un sorriso caldo sul viso. “Festeggio il ritorno dai morti di mio figlio.”

“Sei ubriaca.” replicò lui, tornando a fissare le stelle in cielo. “Vaneggi cose senza senso.”

“Per me era come se lo fossi.” ora la voce di Tsume divenne più bassa, quasi si stesse vergognando di ciò che le usciva di bocca. “Ero convinta che non avrei mai più potuto rivederti.” il sorriso divenne più intenso, “Ma oggi sei tornato! Con una famiglia!” rivolse lo sguardo verso l'alto, le iridi lucide per qualcosa di diverso dal saké. “Gli dei mi hanno fatto dono di un miracolo...”

Kiba non rispose, profondamente sorpreso da quello slancio affettivo della genitrice. Aveva passato la vita a vedere sua madre come una donna dura, severa, autoritaria. Scoprire che possedeva un lato sentimentale, capace di farle provare emozioni profonde e vere, lo colpì, obbligandolo a vederla in una luce nuova.

“Parlami di papà.” le parole gli uscirono dalle labbra di getto. Era come se avesse atteso per anni quell'istante, il preciso momento in cui Tsume si sarebbe rivolta a lui non come guerriera, ma come donna e madre. “Ho così pochi ricordi di lui...”

La kunoichi abbassò gli occhi verso la bottiglia, il volto una maschera di granito. Rimase in silenzio a lungo, così tanto che il giovane Inuzuka cominciò a pentirsi delle sue parole avventate, capaci di rompere quel raro momento di intimità appena formatosi.

“Non te ne ho mai parlato molto... dico bene?” sussurrò infine. “Sono quasi vent'anni che faccio di tutto per dimenticarlo, e poi arrivi tu con questa domanda...” squadrò il figlio con un'occhiata obliqua, quasi fosse vagamente divertita dalla situazione. “Sei tutto tuo padre.”

Lo shinobi ritornò con la mente alla sua infanzia, provando a far riemergere i ricordi più antichi e frammentati. Vide un volto sfuocato, una risata calda e due mani morbide che lo prendevano in braccio. Poi, il nulla.

Padre...

“Gli volevi bene?” rimase sorpreso dal constatare come la madre fosse tranquilla a parlare di quell'argomento. “Hai passato vent'anni a fare finta che non fosse mai esistito... perché?”

“A cosa sarebbe servito?” Tsume ingollò una nuova sorsata, gli occhi scuri persi in ricordi troppo lontani e dolorosi. “A rinvangare quel maledetto giorno in cui andò in missione? Quando fece una delle sue stupide promesse?”

“Quali promesse?”

La kunoichi bruna sospirò, sistemandosi una corta ciocca di capelli. Sembrava quasi rassegnata, come se avesse compreso solo in quell'istante quanto fosse stato sciocco il suo tentativo di cancellare il ricordo del marito scomparso.

“Tuo padre non era un grande ninja.” esordì seccamente. “Anzi, a dirla tutta era un mediocre. Aveva fegato... ma il coraggio, se non è accompagnato dalle giuste abilità, può condurre solo alla tomba.”

“Papà era coraggioso?”

“Solo quando gli faceva comodo.” chiuse gli occhi per un attimo, un sorriso dettato da vecchi ricordi sulle labbra. “Sai... da giovane non ero proprio una brava ragazza.” Kiba sbuffò, ma si guardò bene dal sottolineare ciò che aveva sempre saputo. “Mi fidanzai con tuo padre che ero molto giovane. All'inizio le cose andavano bene, ma poi lui dopo un po' si spaventò. Diceva che ero troppo manesca e spericolata, una scavezzacollo che lo cacciava sempre in situazioni suicide.” ridacchiò di gusto, ormai immersa nel flusso dei ricordi. “Lo malmenavo sempre quando diceva così.”

“Non faccio fatica a crederlo.”

“Beh... la nostra non fu proprio una relazione tranquilla.” proseguì Tsume, ignorando il commento del figlio. “Mi mollò tre volte, ed ogni volta, alla fine, decideva di tornare.” sbatté le palpebre un paio di volte, la mente invasa dal sorriso del suo uomo. “Quando tu e Hana siete nati, ricordo che piangeva come un bambino... che femminuccia!”

Si interruppe, riprendendo a bere. Trovava più semplice discutere di quell'argomento con un litro di liquore nello stomaco. Kiba non osò fiatare, ormai rapito dalle parole della genitrice.

 

 

Tsume... grazie per questo dono meraviglioso!”

 

 

“Non hai idea di quanto tuo padre amasse te ed Hana.” sussurrò la donna. “Eravate il suo tesoro più prezioso... fino a quel giorno...”

 

 

Batté con violenza il pugno sul tavolo, crepandolo, gli occhi scuri che fissavano furibondi la figura del compagno.

Sei uscito di senno, Tadashi?!” si morse il labbro inferiore, stillando sangue scarlatto. “Non hai nessuna possibilità di tornare vivo da una missione del genere! Gli shinobi della Roccia ti faranno a pezzi!”

Lo so.”

Cosa...”

Questa missione sarebbe destinata a te.” Tadashi sogghignò. “Ma ora tu sei il capo di tutti gli Inuzuka. È tuo dovere proteggere i nostri figli, così come il mio è quello di proteggerti.”

Il tuo dovere è quello di restare accanto a Kiba ed Hana da padre, non da morto!”

Non preoccuparti.” girò le spalle, uscendo dalla stanza. Arrivato sull'uscio, si voltò, sorridendo alla moglie. “Resterò sempre al loro fianco! È una promessa!”

Tadashi!”

 

 

Aprì gli occhi, nelle orecchie ancora il suono della sua voce che richiamava vanamente il marito, chiedendogli di non abbandonare lei ed i loro figli.

“Tuo padre aveva un gran cuore.” concluse mestamente, riprendendo ad ingollare saké. “Ho sempre rivisto in te la sua bontà d'animo.”

“In... me?”

L'occhiata della madre riuscì a metterlo a disagio, pareva riuscisse a scavargli dentro, portando a galla ricordi e sensazioni che non desiderava rimembrare.

“Una madre conosce il proprio figlio.” fu l'osservazione di Tsume. “Ho sempre scorto dietro la tua supponenza il buon cuore di tuo padre.” tornò a fissare le stelle in cielo, l'aria ricolma del canto dei grilli. “Nonostante tutto, lui sarebbe fiero di te.” sogghignò, terminando la bottiglia con un ultimo, lungo sorso. “Ma lo sarebbe solo perché era un Baka.”

Si alzò, sgranchendosi la schiena. Quando vide il figlio profondamente immerso nei propri pensieri irrigidì i muscoli facciali, ricomponendo la maschera che tutti erano abituati ad osservare sul volto di Tsume Inuzuka.

“Posso comprendere perché tu ed Hana avete litigato.” esordì, richiamando l'attenzione di quest'ultimo. “Ma sappi una cosa: Hana ti vuole bene, e te ne vorrà sempre. Non scordarlo.”

Se ne andò, lasciando lo shinobi solo. Quest'ultimo fece un profondo respiro, appoggiando il mento sulle nocche. Non riusciva a comprendere cosa stesse provando in quegli istanti. Da una parte era felice di essere riuscito ad infrangere il tabù di suo padre con la genitrice, dall'altro l'odio che provava nei confronti di Hana si era diluito, trasformandosi in forte amarezza.

Stupida sorella.

Sospirò, grattandosi la testa. Le parole della madre gli erano rimaste impresse nel cervello come caratteri piombati, rendendogli impossibile pensare a qualsiasi cosa che non fosse il volto sorridente di Hana, quando erano solo due bambini con un padre al loro fianco.

 

 

Hana ti vuole bene, e te ne vorrà sempre. Non scordarlo.”

 

 

“Può essere che sia vero.” mormorò, alzando la testa al cielo. “Forse non è... come ho sempre pensato.”

Era tornato convinto di aver trovato la soluzione ai propri problemi, di non aver bisogno di cercare altre risposte che non fossero Tamaki e Moriko.

Ma forse, per certe questioni, arrivare alla fine del mondo non sarebbe stato sufficiente per trovare una risposta.

 

 

Quando quella sera si sedette a tavola, Naruto comprese subito che c'era qualcosa che non andava. Era come una sensazione sgradevole che scorreva lungo il filo della schiena, conficcandogli schegge sotto la pelle. Il suo sesto senso di volpe, come amava definirlo, gli fece inoltre comprendere come la fonte di tale inquietudine fosse Hinata. Da quando era tornato con la notizia del ritorno di Kiba, l'Uzumaki aveva visto un'ombra sul volto della moglie, qualcosa che sembrava possedere un origine assai distante dalla ricomparsa del casinista del clan Inuzuka.

La cena si svolse in silenzio. La kunoichi fece cadere nel vuoto ogni tentativo del marito di imbastire una conversazione, facendo nascere in quest'ultimo l'atroce sospetto di averne combinata un'altra senza rendersene conto.

Che diavolo posso aver sbagliato, questa volta?! Ho lavato Boruto, l'ho fatto giocare, ho impedito che si mangiasse i giocattoli... ho anche riordinato le mie mutande! Non lo facevo da dieci anni!”

Non hai pensato al fatto che la questione non mi tocca minimamente?” borbottò Kurama, impegnato a grattarsi un orecchio. “Per oggi ho dato.”

Ricordami di contattarti se mi servisse qualcuno che faccia svenire mio figlio...”

Ricordati che solo il primo servizio è gratuito.”

Naruto stava per ribattere aspramente, facendo notare all'amico che non se ne faceva un bel niente dei soldi, quando Hinata si alzò, prendendo in braccio Boruto.

“Vado a mettere a letto Boruto-chan.” osservò con voce spenta. “Sparecchia tu, per favore.”

“Sì... nessun problema.” mormorò il biondo, osservandola uscire senza riuscire a trovare uno straccio di parola per provare a capire cosa stesse accadendo.

Però... facciamo progressi...”

Kurama... per favore!”

Il Bijou ridacchiò con la sua voce rombante, rigirandosi su un fianco, pronto per una lunga dormita, l'ideale dopo un'intensa giornata trascorsa a pisolare.

Poco dopo, quando lo shinobi salì per cambiarsi, vide la moglie immobile di fronte al lettino del figlio, le spalle rigide, il volto contratto in una maschera di ghiaccio.

“Hinata...” esordì timidamente, rimanendo intimorito dallo sguardo glaciale della kunoichi. “Va... tutto bene?”

“Sì...” rispose subito la Hyuga, ritornando a fissare il figlio addormentato con volto ascetico. “Tutto bene.”

“Sicura?” azzardò il biondo. “Perché... mi sembri nervosa.”

“Non essere invadente.” fu la secca replica di lei, voltandosi ed andando in bagno. Per Naruto quella risposa fu peggio di un pugno sul naso. Non aveva mai visto Hinata rispondergli in quel modo. Fu la conferma che qualcosa si era insediato nel cuore della moglie, qualcosa capace di riempirla d'angoscia.

Le corse dietro, afferrandole la mano destra prima che potesse rifugiarsi in bagno. Quando lei si voltò, gli occhi pallidi ricolmi di irritazione, Naruto resse lo sguardo, deciso ad arrivare in fondo a quel problema prima che si incancrenisse come era avvenuto troppe volte in passato.

“Cosa c'è?” chiese lei, rimanendo impassibile innanzi a quell'espressione di feroce determinazione.

“Devi dirmelo tu.” la incalzò l'Uzumaki, lo sguardo duro e deciso. “So capire ormai quando c'è un problema, e non voglio che tu lo affronti da sola.” la sua maschera di uomo duro si ruppe, lasciando spazio ad un caldo sorriso. “Fidati di me.”

Fiducia. Quella parola che tante volte Hinata gli aveva rinfacciato di non possedere. Ora, quasi per uno scherzo del destino, toccava a lei trovarsi nella situazione di non possedere la forza di fidarsi, di provare a cullarsi nella possibilità che le cose potessero andare bene. Aveva lottato così tanto per la propria felicità da essere terrorizzata da qualsiasi avvenimento che potesse rovinarla, compresa quella gravidanza improvvisa.

Devo avere fiducia in lui... si specchiò nelle iridi cerulee del marito, trovandole splendide, come sempre. Era difficile non riuscire a fidarsi di quello sguardo, e si chiese quale fosse la motivazione che la faceva esitare innanzi a quel sorriso caldo e rassicurante.

Ma la paura era più forte di ogni cosa. Non voleva vedere la delusione prendere piede sul viso del marito, fargli comprendere che il loro delicato equilibrio famigliare, costruito con tanta fatica, era destinato a spezzarsi, ancora una volta.

Fece per andarsene via, ma Naruto la bloccò con forza contro la parete del corridoio, gli occhi azzurri ribollenti di frustrazione e delusione.

“Se prendi le tue decisioni da sola, come posso fidarmi?” domandò lo shinobi, afferrando il polso destro della moglie con la protesi. “Come posso fare affidamento su di te?” rilasciò la presa, perdendosi nello sguardo chiaro della kunoichi, scorgendoci per la prima volta della paura. “Non commettere i miei stessi errori...”

Hinata deglutì a vuoto, abbassando lo sguardo. Non ci riusciva. Nonostante comprendesse l'importanza di dover comunicare al marito che sarebbe diventato padre per la seconda volta, le parole restavano bloccate in gola, restie ad uscire.

“Lasciami andare...” mormorò, percependo le emozioni vissute durante la giornata crollargli addosso con la violenza di una frana. La scoperta della gravidanza, il ritorno di Kiba ed ora il sentirsi accusare da Naruto... era troppo. La kunoichi percepiva le gambe farsi molli, mentre la stanchezza le ricopriva la mente come una pesante coltre invernale. “Ti prego.”

L'Uzumaki arretrò di un passo, sospirando. Non capiva. Per quanto tentasse e si sforzasse, Hinata restava un mistero per lui. Fin da bambino non aveva mai capito ciò che la Hyuga nascondeva in fondo al cuore e crescendo tutto ciò non era cambiato minimamente. Che si trattasse di capire i suoi sentimenti per lei, o comprendere i motivi per cui non era riuscito a darle fiducia una volta sposati, Hinata era sempre rimasta distante, imprevedibile e a tratti incomprensibile.

“Hinata...” provò a guardarla negli occhi, trovandola splendida come sempre. Forse era proprio quell'alone di mistero che gli faceva ribollire il sangue, accendendogli il desiderio di possederla e farla sua una, dieci, cento, mille volte. “Ho fatto una promessa, quando decisi di sposarti.” provò a riavvicinarsi e lei non lo respinse, ascoltandolo. “Promisi di restare al tuo fianco, fino a quando non sopraggiungerà la mia ora.” la costrinse a guardarlo, il sorriso di nuovo al suo posto, caldo e rassicurante come solo lui era capace. “E sai che non ho l'abitudine di infrangere una promessa...”

La bruna si morse il labbro inferiore, incapace di decidere. Era stanca, e desiderava solo dormire con la speranza che al suo risveglio quella gravidanza fosse solo un brutto ricordo. Eppure, come sempre, vedere il sorriso del marito incoraggiarla le diede la forza di trovare le ultime energie mentali, permettendole di pronunciare le fatidiche parole.

“A...” deglutì, la voce leggermente tremula. “Aspetto un bambino.”

Silenzio. Naruto rimase spiazzato da quella notizia, impreparato anche solo ad immaginare la possibilità di poter diventare padre per la seconda volta. Il suo stupore era così grande che non si accorse neanche del fatto che Kurama aveva assunto la sua stessa espressione da pesce lesso, attirato dalla discussione dei due coniugi.

“Un... bambino?” esalò infine, provando a darsi un contegno, con scarso successo.

Hinata annuì, incapace di alzare lo sguardo per scoprire la reazione del marito. Per lunghi istanti, l'Uzumaki non disse nulla, ma il sorriso che sorse spontaneo sul suo viso era un chiaro indicatore dei sentimenti che lo animavano.

Mise le mani sulle spalle della kunoichi, il sorriso sempre più intenso mentre la osservava spalancare gli occhi, stupita dalla sua reazione.

“E' una notizia meravigliosa!” esclamò il biondo. “Perché era così restia a dirmelo?”

La Hyuga fece un profondo respiro, il cuore improvvisamente molto più leggero. Si accorse solo in quell'istante di quanto fosse stata sciocca a dubitare del compagno. Naruto era un uomo, con i suoi difetti e debolezze, ma non aveva mai abbandonato qualcuno, e di sicuro non avrebbe iniziato con lei, sua moglie, specie in un momento così particolare.

“Il fatto è... che queste ultime settimane sono state... magnifiche.” rispose con voce bassa. “Sapere che tutto sta per essere sconvolto, di nuovo, mi ha... messo paura.” gli sfiorò la protesi, cercando un appoggio non solo fisico. “Non so se avrò la forza di...”

“Ci riusciremo!” la interruppe lui, scostandole dolcemente una ciocca di capelli dalla fronte. “Sei sempre stata una donna forte, Hinata, e avrai successo anche stavolta, come sempre.” la sua mente venne invasa da tutte le sconfitte e momenti di sconforto vissute, constatando quanta verità conteneva quella frase. Una verità che non era mai riuscito a confessarle.

Molto più forte di me...

“Lo pensi veramente?” la mora assaporò quelle parole con lo stesso bisogno di un assetato nel deserto. Nelle ultime ore la sua mente era stata invasa dai ricordi più deprimenti che possedeva della gravidanza di Boruto: i chili presi, gli attacchi di nausea, i vestiti che non le entravano, le crisi ormonali, l'incapacità di poter compiere anche i compiti più semplici. Ricordi duri, che non rinnegava, ma che le avevano instillato la certezza di non essere capace di poter reggere una seconda gravidanza, non ora che Boruto necessitava di una madre sempre accanto, che lo guidasse e lo istruisse sul mondo che lo circondava.

Eppure, nello stesso istante in cui suo marito aveva iniziato ad incoraggiarla, tutto questo era scomparso, permettendole di trovare la forza di affrontare, ed accettare, per la seconda volta la sfida di diventare madre.

“Certo!” con una mossa improvvisa, Naruto la prese in braccio, provocando in quest'ultima un urlo per la sorpresa.

“Naruto-kun! Cosa...”

“Dobbiamo festeggiare!” rispose lui, dirigendosi a passo deciso verso la stanza da letto. “E visto che la notte è ancora giovane...”

“Sei un pervertito!” lo rimproverò lei con tono fintamente severo. “Non ti basta avermi messo incinta, ora vuoi anche prenderti nuovamente la mia integrità morale?!”

L'Uzumaki non rispose. Entrò come un tornado nella loro stanza, buttandosi sul letto con ancora la moglie in braccio. Solo allora, appoggiando le proprie labbra sul collo di lei, rispose con voce calda ed eccitata.

“Voglio tutto di te, Hina-chan.” prese a baciarla con passione, lasciandole profondi segni rossi sulla morbida pelle che copriva la giugulare della Hyuga. “E lo voglio stanotte.”

Fecero l'amore. Non il sesso violento e sfrenato che tanto piaceva allo shinobi, ma qualcosa di più dolce, seppure intriso di forte passionalità. Nei gesti di quella notte, tra le parole non dette, Naruto trasmise tutta la propria voglia di condividere quella nuova vita in arrivo con Hinata, di non volerla lasciare sola a combattere le proprie paure e le debolezze del corpo. Una scelta che lei capì, e di cui gliene fu profondamente grata.

“Sei stato bravo.” la voce di lei era divenuta roca dopo il secondo amplesso, il seno che si alzava ed abbassava ritmicamente a causa del suo respiro affannato. “Ti sei meritato un premio.” le sue dita scorsero lievi lungo la coscia di lui, alimentando un fuoco capace di un'ultima, grande fiammata.

Non fu necessario che la Hyuga specificasse. Lui aveva capito, leggendo il desiderio che trasudava dal corpo della moglie. Si prese nuovamente la cosa più immorale, ma anche più eccitante, che il sesso potesse contemplare. Un frutto proibito che questa volta Hinata gli offriva sua sponte.

Ohi...” ore dopo, con la Hyuga profondamente addormentata tra le sue braccia, Naruto andò a dare fastidio al suo affittuario preferito, troppo eccitato all'idea di diventare nuovamente padre per poter dormire. “Svegliati, Volpe del cavolo!”

Cosa vuoi?” con un ringhio di fastidio, Kurama spalancò un occhio, osservando disgustato il proprio Jinchuuriki. “Devi proprio aggiornarmi in tempo reale di ogni tua azione? Esiste un modo per disdire questo infernale abbonamento?”

No, e comunque devi ascoltarmi!” ribatté lo shinobi, sedendosi di fronte all'amico. “Non riesco a prendere sonno al pensiero che diventerò nuovamente padre... ci pensi! Avrò un altro figlio!”

Allora smettila di pensare.” borbottò il demone. “Per te non dovrebbe essere un problema.”

Il biondo sorrise, troppo di buonumore per farsi scalfire dalle solite battute taglienti del Kyuubi.

Chissà come farai, ora che dovrai fare doppi turni di guardia la notte...”

Kurama chiuse la discussione rigirandosi dall'altra parte, avendo cura di colpire l'amico in faccia con una delle proprie code.

Naruto non se la prese. Ci era abituato. Trascorse il resto della notte a fissare il soffitto della propria stanza, la mente ripiena di pensieri su come sarebbe stato quel nuovo bambino, se avrebbe preso da lui, oppure se questa volta sarebbe stato simile ad Hinata. Impegnato in simili pensieri, l'Uzumaki non smise mai di abbracciare e stringere la mano della moglie, rendendosi conto di non riuscire neanche più ad immaginare una vita senza di lei, Boruto e quella nuova vita in arrivo. Un gesto privo di parole che, con molto probabilmente, Hinata capì, datò che riuscì a dormire pacificamente fino al mattino successivo, scevra da preoccupazioni e paure.

Hinata... grazie.

 

 

Kiba si riparò la faccia dal caldo sole estivo, osservando il flusso di gente che entrava ed usciva dall'ambulatorio di sua sorella. Nonostante fosse diventata capoclan, Hana non aveva rinunciato alla sua professione di veterinario, anche se la maggior parte dei giorni erano i suoi assistenti ad occuparsene.

Lo shinobi fece il suo ingresso nella sala d'attesa, ormai vuota essendo ora di pranzo. Attese pazientemente che l'ultima persona uscisse con il proprio animale prima di entrare nello studio della sorella. Quest'ultima era impegnata a togliersi un paio di guanti in lattice, e non parve particolarmente sorpresa della presenza del fratello.

“Hana.” Kiba la salutò con voce pacata, ma la capoclan degli Inuzuka non sembrava disposta a ricambiare.

“Cosa vuoi?” fu la sua brusca domanda, mentre si sistemava i lunghi capelli scuri in una coda. “Akamaru ha qualche problema?”

“Volevo parlarti.”

La kunoichi gli lanciò un'occhiata significativa.

“Che genere di conversazione?” lo provocò. “Attualmente non ho voglia di spaccarti la faccia. Ho altro da fare.”

“Voglio solo dirti una cosa.” insistette pazientemente lui. “Hai un minuto?”

Per alcuni istanti Hana sembrò tentata di rifiutare, ma infine, con un sospiro, la donna accettò, sfilandosi il camice ed appoggiandolo sulla sedia.

“Immagino che possa rimandare di un paio di minuti la mia pausa pranzo.” si avvicinò al fratello, squadrandolo con severità. “Mi auguro per te che sia una cosa importante.”

“Sono venuto... a chiederti scusa.” Kiba deglutì a vuoto, osservando il volto della sorella tradire, per un istante, una profonda sorpresa. Nonostante la capoclan tentasse di dissimularlo con ogni mezzo, era palese che non si aspettasse quel genere di discorso. “Ieri... ho sbagliato ad offendere te e Shino, mi dispiace. Inoltre io... io...” fece un profondo sospiro, ripetendosi mentalmente che tutto quello era per Tamaki e Moriko, le quali meritavano un padre ed un compagno maturo e responsabile. “Credo che, se tu e Shino siete felici assieme, dobbiate continuare a frequentarvi.” sentiva gli occhi di lei addosso, e la cosa lo mise a disagio, incapace di reggere quello sguardo così simile a quello che vedeva ogni giorno allo specchio. “Non ho nulla da ridire, dico davvero.”

Nell'ufficio scese un profondo silenzio. Dopo il primo momento di stupore, Hana riuscì a ricomporre la propria espressione, fissando il fratello con sguardo glaciale. Quest'ultimo non abbassò gli occhi, deciso ad arrivare fino in fondo a quella faccenda.

Poi, quando la tensione cominciò a diventare imbarazzante, la kunoichi sospirò, passandosi una mano sulla fronte.

“Immagino che stavolta mi hai fregato.” osservò. “Un comportamento così maturo non me l'aspettavo proprio da te.” un sorriso le illuminò il viso. “Non ho altra scelta che accettarle, temo.” Kiba abbozzò un sorriso, lo stomaco improvvisamente più leggero, ma veloce come era comparso, il sorriso sul volto di Hana sparì, lasciando spazio ad un'espressione severa.

“E' a causa del fatto che ora possiedi una fidanzata ed una figlia che sei venuto qui ad ingoiare il tuo orgoglio?” sogghignò quando comprese di aver preso in contropiede il fratello.

“Come...”

“Pensavi che mamma non me l'avrebbe detto che sono diventata zia?” l'Inuzuka incrociò le braccia, emettendo un sospiro teatrale. “Diavolo... passi la vita a rifiutarti di crescere, ed ora in meno di un anno mi superi in tutto. Mezze misure mai, eh?”

“Non è stata una cosa voluta.” si affrettò a spiegare lo shinobi. “E'... successo, ecco.”

“Se avessi ascoltato questa spiegazione qualche mese fa ti avrei riso in faccia.” fu la replica della capoclan. “Ma oggi, dopo aver io stessa vissuto una simile vicenda, posso comprenderti.” tornò a fissare il fratello, vedendolo perplesso dalla sua reazione.

“Come si chiama?”

Kiba si grattò la barba prima di rispondere, sentendo l'improvviso desiderio di un posto ombreggiato e di una bibita fresca, lontano da ogni cosa. Era stanco di quelle incomprensioni e litigi, e sembrava che anche Hana la pensasse allo stesso modo.

“Moriko.” rispose infine, mettendosi le mani in tasca. “Non ha preso molto da me, a parte i capelli e gli occhi, ma forse è meglio così.”

Hana non commentò, limitandosi ad incamminarsi verso l'uscita. Tuttavia, quando fu fianco a fianco con il fratello, la kunoichi si bloccò, il volto una maschera di ghiaccio.

“Sono felice che oggi tu sia venuto qui, Kiba.” mormorò. “Ti ringrazio.”

L'Inuzuka non disse nulla. Rimase in silenzio, la mente invasa da ricordi lontani, della sua infanzia: il giorno in cui conobbe Akamaru, portatogli da sua sorella, sua compagna di giochi e di avventure nei suoi primi anni di vita. Tutti i momenti trascorsi insieme in quel passato ormai remoto si accavallarono dentro di lui, facendogli desiderare di tornare indietro, per poter riavere una sorella da ammirare, a cui voler bene, su cui poter contare in ogni momento.

“Anche io.” sussurrò, mordendosi l'interno della guancia sinistra per trattenersi. Non era sicuro di riuscire a mantenere il proprio autocontrollo ancora per molto. “Sono felice anch'io di averti di nuovo... Hana.” le sfiorò la mano con fare esitante, ricordando tutte le volte che da bambino gliela aveva stretta con gioia. Da allora era cambiato tutto, forse troppo, trasformandoli in due sconosciuti che a malapena si potevano vedere. Una situazione che doveva finire.

“Sono in pausa ora.” esordì lei, sorridendogli. “Vuoi accompagnarmi?”

Kiba non rispose, non essendocene bisogno. Si limitò a superarla con un sorriso, subito seguito da quest'ultima, la quale mise un braccio attorno alle spalle del fratello, scoppiando a ridere, il cuore ricolmo di gioia.

Aveva ritrovato il suo fratellino.

Nel frattempo, sopra il tetto dell'ambulatorio, una giovane donna fissava fratello e sorella allontanarsi con un sorriso enigmatico sul viso.

“Sei proprio fortunata, Moriko.” mormorò Tamaki, accarezzando le guance pienotte della figlia. “Possiedi un padre meraviglioso.”

Finalmente sei un uomo, Kiba... sii sempre fiero di questo.

 

 

“Dunque mi ha perdonato?”

“Così pare.” Hana si accoccolò meglio affianco al suo uomo, accarezzandogli il volto con l'indice sinistro. “Sembra che sia finalmente diventato un uomo il mio fratellino.” sorrise, sentendosi finalmente il pace con se stessa, dopo troppi anni passati ad ingoiare l'amaro sapore del rimorso.

“Kiba padre...” Shino sembrava perso nei propri pensieri, apparentemente indifferente alle attenzioni della kunoichi, ma Hana non ci faceva caso, abituata al carattere freddo e misurato del suo uomo. “Sembra ieri che eravamo due ragazzini...”

Hana fece forza sui gomiti, appoggiando il mento sulla spalla destra dell'Aburame, guardandolo con fare ironico.

“Sempre così serio...” lo prese in giro, sorridendogli. “Chissà cosa farai quando ti toccherà fare da insegnante a sua figlia.”

“Immagino che dovrò fare il mio dovere.” rispose subito lo shinobi con fare ascetico. “Il favoritismo sarebbe ingiusto nei confronti degli altri studenti.”

“Non mi aspettavo nulla di meno dal mio severissimo professore.” con un gesto improvviso, la capoclan gli leccò il lobo dell'orecchio, facendolo sobbalzare. Nonostante fossero in intimità ormai da qualche mese, il moro non era ancora riuscito ad abituarsi a quelle attenzioni, e la cosa non faceva che intrigare Hana, da sempre eccitata all'idea di comandare durante l'amplesso.

“Sai cosa stavo pensando prima?” mormorò la donna, mentre saliva a cavalcioni sopra il compagno, il corpo coperto solo da una leggera vestaglia. “Che ora che il mio fratellino ha messo su famiglia, avrà bisogno di una casa sua, no?”

“Osservazione impeccabile.” mormorò Shino, a disagio sotto il tocco morbido e continuato delle mani della kunoichi, la quale sembrava instancabile nella sua opera di strusciamenti e stimolazioni.

“Sai cosa noto, ogni volta che esco di qui dopo che abbiamo fatto sesso?” la voce di lei si era abbassata di un'ottava, assomigliando a quella di un grosso animale selvaggio, il desiderio che trasudava da ogni poro della pelle. “Che in questa radura c'è posto tranquillamente per una seconda casa. Una casa grande, capace di ospitare animali... e bambini.” le sue labbra erano a pochi centimetri da quelle di lui, ormai soggiogato da quello sguardo caldo e lascivo.

“Tu dici...”

“Sì... io dico.” il suo sorriso si intensificò. “E sono sicura che non opporrà alcuna obiezioni.”

“Così sia.” Shino preferì non indugiare ulteriormente nelle parole, lasciando spazio alla passione sfrenata dei loro corpi. L'Inuzuka ne fu compiaciuta, specie quando l'imponente virilità dell'Aburame la penetrò, facendole provare un piacere immenso al pensiero di ciò che era dentro di lei.

Perché in fondo Hana era una donna pratica.

E per una donna pratica, le misure in amore contavano sempre.

 

 

Angolo dell'Autore:

 

 

E finalmente, dopo oltre un mese, torno a farmi vivo!

Chiedo scusa per questo ritardo abnorme ma, purtroppo, sono in piena sessione e solo negli ultimi giorni ho avuto qualche attimo di pausa che mi ha permesso di terminare questo capitolo, scritto a spizzichi e bocconi.

Allora, devo dire parecchie cose, quindi parto subito senza indugiare.

Punto primo: so benissimo che nel manga non si parla di una figlia di Kiba e Tamaki. Tuttavia, nell'anime di Boruto è comparsa una ragazza che, per aspetto e carattere, assomiglia moltissimo a Kiba e compagna. Non si sa ancora il suo nome, e quindi ho optato per un nome di mia idea (Moriko, che significa 'Figlia della Foresta'). Se in futuro verrà confermato che è loro figlia bene, e in quel caso sarò ben felice di sostituire il nome da me inventato con quello vero, in caso contrario... pazienza xD Vorrà dire che ci sarà qualche differenza tra la mia storia e quella di Boruto.

Punto secondo: non si sa nulla del padre di Kiba, quindi anche in quel caso è un nome da me inventato. Ho preferito concludere in questo capitolo l'analisi della famiglia Inuzuka iniziato negli ultimi due, in modo da non lasciare nulla in sospeso, e per potermi concentrare su altri personaggi in futuro.

Punto terzo: Sì, avete capito bene, Shino è un superdotato xD L'idea mi è venuta guardando il prologo del film 'Road to Ninja' dove Naruto, alle terme con gli amici, tra cui Shino, rimane sconvolto nel guardare in mezzo alle gambe dell'Aburame (anche se viene usata la metafora del bruco gigante, il significato è quello). L'idea che l'ascetico ed apparentemente asessuato Shino fosse stato baciato da Madre Natura mi ha fatto divertire, ed ho deciso di inserirlo in questo capitolo come finale.

Ultimo punto: Nell'ultimo mese e mezzo ho buttato giù parecchie idee per il futuro di questa raccolta. Pertanto, vi do un piccolo spoiler, per farmi perdonare del ritardo: tra qualche tempo', più o meno tra 4-5 capitoli, inizierò una nuova storia a più capitoli. Ho deciso di compiere questa scelta perché mi è parso di capire che 'l'esperimento' della guerra civile a più capitoli sia stato apprezzato, ed essendomi divertito a scriverlo, farò un secondo esperimento, sperando che abbia altrettanto successo.

Bene, questo è tutto! Come sempre ringrazio vivamente chiunque segua o legga questa storia, e ricordo che qualsiasi recensione, positiva o critica, è ben accetta.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 24
*** Genitore responsabile ***


The Biggest Challenge
 

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Genitore responsabile
 
 

Hinata si sistemò febbrilmente i capelli davanti allo specchio per l'ennesima volta, le pallide iridi che saettavano sull'immagine riflessa, alla ricerca di qualcosa che sollevasse la sua autostima, fallendo però miseramente. Nonostante suo marito gli ripetesse almeno dieci volte al giorno che era splendida, lei non vedeva altro che una donna con un pancione ridicolo, ormai al settimo mese, gambe tozze, fianchi larghi ed occhi perennemente arrossati a causa delle crisi di pianto che la colpivano a tradimento ogni due ore.

“Perché?” mormorò, tormentandosi una ciocca di capelli, i denti conficcati nel labbro inferiore. “Perché non riesco ad apparire decente?”

Alle sue spalle, Naruto alzò gli occhi al cielo, ormai esasperato dall'ennesima crisi della moglie. Tuttavia, quando vide gli occhi della Hyuga contrarsi minacciosamente verso di lui, lo shinobi sfoderò il suo sorriso più caldo e sicuro del suo repertorio, abbracciandola da dietro e regalandole un bacio sul collo.

“Non appari decente perché sei splendida.” mormorò, riempiendola di baci. “La mia regina...” Hinata abbozzò un sorriso, tranquillizzandosi parzialmente, ma ormai l'Uzumaki sapeva che nell'arco di cinque minuti l'avrebbe vista nuovamente angosciarsi davanti allo specchio.

Il campanello suonò. Un trillo acuto, capace di far aumentare, se possibile, il nervosismo della kunoichi.

“Sono loro!” muovendosi alla massima capacità possibile, Hinata si diresse all'ingresso, quando Naruto, da perfetto gentiluomo, la anticipò, aprendo la porta di casa al posto della moglie, solo per prendersela violentemente sul setto nasale, mentre un tornado in forma umana entrava in casa a passo di marcia.

“Dov'è?!” berciò Hanabi, gli occhi lilla che zigzagavano frenetici, ispezionando ogni angolo della casa. “Dove si trova?!”

In quel preciso istante, la kunoichi individuò Boruto in salotto, impegnato a giocare con un grosso robot di plastica colorato, protagonista della sua serie televisiva preferita. Senza perdere altro tempo, la temibile e feroce Hanabi Hyuga corse ad abbracciare il nipote, riempiendolo di baci e parole caramellose.

“Eccoti qui, Boruto-chan! Amore della zia, lasciati abbracciare, angelo del cielo!” Naruto fece in tempo a raggiungere il salotto per assistere al disgustoso spettacolo, massaggiandosi il naso dolorante. Il tutto mentre dietro di lui si faceva avanti Konohamaru, il quale sorrideva imbarazzato per la reazione della fidanzata.

“Boruto-chan... tesoro di zia!” Hanabi proseguiva imperterrita nella propria opera di strangolamento amoroso nei confronti del nipote, il quale aveva cominciato a dare visibili segnali di insofferenza nei confronti di tutto quell'affetto.

“Lascia pace!” borbottava il piccolo Uzumaki, provando inutilmente a divincolarsi dai muscoli d'acciaio della kunoichi. “Lascia pace!”

Alla fine, dopo altri cinque, imbarazzatissimi, minuti, Hanabi lasciò, a malincuore, libero il nipote, andando a sedersi a tavola affianco alla sorella, dove era ormai pronta la cena.

“Ti vedo in forma, Hanabi.” esordì Hinata, osservando il fisico magro e nervoso della sorella minore, coperto da abiti civili.

“Anche tu, Sorellona.” replicò bonariamente la bruna, cacciandosi avidamente in bocca lo stufato della sorella. “E' inutile, non capirò mai come riesci a renderlo così buono!” borbottò successivamente, assaporando a pieno la carne speziata.

Dall'altra parte del tavolo, un paziente Naruto stava tentando di convincere Boruto a sedersi sul seggiolone. Tuttavia, dopo essere stato strapazzato da sua zia, il bambino non era molto propenso ad obbedire.

“Giocare!” berciò, opponendo fieramente resistenza al padre. “Voglio giocare!”

“Giocherai dopo!” sbuffò Naruto, stufo dei capricci del figlio. “Quando imparerai a fare quello che ti dico?! Possibile che debba sempre pregarti?!”

“Voglio giocare!!!”

“Lascialo andare.” osservò Hanabi, facendo l'occhiolino al nipote. “Si annoierebbe e basta a mangiare in mezzo a noi.”

“Non è quello il punto, Hanabi.” replicò lo shinobi biondo, sbuffando nel tentativo di trattenere un irritatissimo Boruto. “Deve imparare che esistono delle regole da rispettare!”

“E vuoi convincere un bambino che non ha compiuto ancora tre anni?” Hanabi sorseggiò il proprio bicchiere di vino, scuotendo la testa. “Convinto tu...”

Il Jinchuuriki lanciò un'occhiata di fuoco alla cognata, la quale resse tranquillamente lo sguardo. Alla fine, pur contrariato, Naruto lasciò libero il figlio di tornare a giocare, sedendosi affianco a Konohamaru con uno sbuffo.

“Dura la vita del padre, eh?” osservò quest'ultimo, gustandosi pacificamente la cena.

“Non sai quanto!” sospirò il biondo, versandosi del vino. “Amo quella piccola peste, ma ogni giorno è una lotta per convincerlo a fare qualsiasi cosa, dal lavarsi i denti al mangiare.”

“Quanto la fai lunga!” borbottò Hanabi, agitando la mano destra. “È un bambino! Cosa pensi, che tu da piccolo fossi migliore di lui? Probabilmente eri anche peggio!”

“Visto che ti piacciono tanto i bambini, perché non ne fai uno?” ribatté l'Uzumaki. “In fondo, ora tu e Konohamaru vivete assieme, e i soldi non vi mancano di certo ora che il mio fratellino è diventato Jonin.”

La Hyuga sfoderò un sorrisetto enigmatico, le iridi chiare piantate in quelle del cognato. Sorseggiò lentamente il proprio vino, assaporandone ogni singola goccia, facendo cadere un silenzio imbarazzante sopra i commensali.

“Chissà!” mormorò infine, senza smettere di sorridere. “Magari lo sto già aspettando, cosa ne sai?”

“Bevendo vino?” la prese in giro il fidanzato. “Saresti proprio una pessima madre!”

“Oh, zitto Saru!” lo rimbeccò lei, squadrandolo con un'occhiata omicida. “Vogliamo parlare del fatto che leggi ancora riviste del nudo? Bel padre che saresti!”

“Cerco altrove quello che tu non puoi darmi.” fu l'acida risposta dello shinobi, alludendo alla prima di seno della fidanzata.

“Mi sa che dovremo sopportarli tutta la sera.” borbottò Naruto alla moglie, mentre Hanabi ribatteva subito, adducendo a presunte prestazioni sessuali del partner decisamente scadenti.

“Mi va bene tutto.” sospirò Hinata, sistemandosi una ciocca di capelli. “Ma per favore smettetela di bere vino! È frustrante vedervelo fare senza potermi unire.”

Il Jinchuuriki, che stava per versarsene un secondo bicchiere, appoggiò saggiamente la bottiglia, afferrando la caraffa dell'acqua, il tutto mentre, dentro di lui, Kurama lo scrutava con disgusto.

“Sei proprio diventato il cagnolino di quella mocciosa... che fine ingloriosa per il Jinchuuriki del Kyuubi!”

“Kurama! Non metterci anche tu!”

 

 

Ore dopo, quando Boruto era stato messo a letto da un'agitatissima Hinata, convinta di essere ingrassata di tre chili durante la cena, Naruto si sedette in salotto affianco a Konohamaru, godendosi il calore della grossa stufa nell'angolo, mentre in cucina Hanabi tentava di tranquillizzare la sorella sul proprio peso forma.

“Ti ringrazio per la serata, Nii-chan.” dichiarò il Sarutobi. “Hinata è veramente un'ottima cuoca.”

“Figurati!” il biondo liquidò con un cenno il ringraziamento, stiracchiandosi le spalle. “Da quando ti hanno promosso Jonin non hai mai un attimo di riposo. Ci voleva una serata tranquilla.”

Cadde il silenzio, rotto solo dal chiacchiericcio delle compagne nella stanza accanto e dal vento gelido di gennaio che soffiava fuori dalla casa.

“Allora...” fu Konohamaru a rompere il silenzio, sorridendo al fratello adottivo. “Hai una moglie splendida, una bella casa, un figlio sano ed un altro in arrivo... dov'è la fregatura?”

“Finalmente ci sei arrivato!” Naruto scoppiò a ridere, alzandosi per andare a prendere del sakè, offrendone una tazzina all'altro. “Vuoi sapere la verità? Ho tutto quello che desidero, tranne forse il tempo per me stesso.” buttò giù una lunga sorsata direttamente dalla bottiglia, sprofondando nuovamente affianco al fratello. “Arrivi a fine giornata scoprendo che non hai avuto un solo minuto da dedicare a te stesso...” scosse la testa, bevendo nuovamente. “Ma immagino che sia così quando si possiede una famiglia.”

“Già...” il Sarutobi si buttò in gola il contenuto della tazzina, versandosene ancora. “E' bello avere una famiglia, no?”

L'Uzumaki non rispose subito. Si limitò a lanciare un'occhiata in direzione di Hanabi, la quale era impegnata a rassicurare la sorella riguardo il suo aspetto per la milionesima volta. Konohamaru seguì lentamente il suo sguardo, il volto impassibile.

“Lascia perdere, Nii-chan.” osservò seccamente, ingollando la propria razione di alcool. “Non è roba per noi.”

Il biondo parve sorpreso di quella chiusura.

“Mi vuoi spiegare il perché di questa risposta?” mormorò, servendo il Jonin nuovamente. “Mi sembrava di capire che ad Hanabi i bambini non dispiacciano.”

“Non è questo il punto.” Konohamaru corrucciò il volto, lo sguardo scuro perso in vecchi ricordi. “Io sono un Jonin, ed Hanabi un Anbu.” spiegò lentamente, agitando il liquore nella tazza. “Non voglio fare un figlio solo per poi lasciarlo orfano... non me lo perdonerei mai.”

Naruto non rispose. Capiva le motivazioni del fratello adottivo e non se la sentiva di biasimarlo per questo. Era il rischio che tutti i ninja accettavano nell'istante in cui sceglievano quella vita. La morte sul campo non era un'ipotesi così remota, anche in tempi di pace. Crearsi una famiglia stabile significava correre il rischio di perderla da un momento all'altro, anche per la fatalità più sciocca. Naruto aveva corso quel rischio, forte delle sue capacità, ma neanche lui sarebbe stato così tranquillo se Hinata non si fosse ritirata dall'attività di kunoichi.

“Avere un figlio è una cosa meravigliosa.” dichiarò, osservando lo shinobi più giovane al suo fianco. “Non devi temere di non poterlo aiutare nel suo percorso di crescita. L'unica cosa importante è che tu lo ami con tutto se stesso.” la sua mente gli inviò il sorriso caldo dei suoi genitori, e il sollievo provato nello scoprire che l'avevano amato fino al loro ultimo istante di vita. “Lui lo capirà e lo apprezzerà.”

Konohamaru spostò il suo sguardo verso la figura della fidanzata, perdendosi su quel corpo. Era bella Hanabi, di una bellezza non classica: minuta, con fasci di muscoli nervosi a donarle un'aria di forza, gli occhi dall'iride chiara, tipica degli Hyuga, che le regalavano un alone di mistero; ma la cosa che più di ogni altra piaceva al Sarutobi di lei era il suo carattere, la sua forza d'animo, la sua mente acuta, il suo essere così tremendamente abile in battaglia.

Una guerriera, ecco il termine giusto per definire Hanabi Hyuga. Forse era quello che aveva spinto Konohamaru a chiederle di uscire, una sera di alcuni anni prima. Un fascino rimasto intatto per tutto quel tempo.

Lei sarebbe felice di diventare madre?

Non lo sapeva. Hanabi era un Anbu, un guerriero scelto al servizio dell'Hokage. Scegliere di intraprendere una gravidanza l'avrebbe esonerata dal servizio per oltre un anno, causando anche un congedo permanente. La kunoichi avrebbe accettato di rinunciare, forse per sempre, alla sua vocazione?

“Le parlerò.” mormorò alla fine, riprendendo a bere saké. “Dopotutto, è una scelta che spetta a lei.”

Naruto agitò il liquore nella bottiglia, ripensando a tutti i dubbi che avevano pervaso Hinata quando aveva scoperto di essere incinta di Boruto. Se si concentrava, poteva ancora percepire il senso di smarrimento nella voce della moglie, la quale cercava disperatamente una rassicurazione da lui, che la convincesse che non sarebbe stata sola ad affrontare quella battaglia.

“Già...” bevve una nuova sorsata. “Spetta a loro decidere.”

 

 

Boruto fissò in faccia Sakura, gli occhi azzurri ricolmi di perplessità e timore. Il sorriso della Sannin, unito ad un grosso lecca-lecca, aiutarono il piccolo Uzumaki a distendersi.

“Allora, Boruto... mi dicono che sei un ometto, ormai.” esordì la kunoichi, preparando il siero nella siringa. “Mi aspetto un comportamento da uomo, me lo prometti?”

Il suo sorriso divenne più intenso quando vide il bambino annuire, stregato dal dolce che l'Haruno teneva nella mano sinistra. Una volta distratto con quest'ultimo, Sakura gli fece rapidamente l'iniezione nel braccio destro, disinfettando con pochi gesti rapidi, il tutto sotto lo sguardo bonario di Naruto.

“Posso portarlo via subito?” chiese l'Uzumaki, osservando il figlio mangiare felicemente il proprio lecca-lecca.

“Aspetta una mezz'ora.” rispose la kunoichi, togliendosi i guanti in lattice con un sospiro. “L'antibiotico non dovrebbe causare effetti collaterali, ma non si sa mai.”

“Ti ringrazio, Sakura-chan.” osservò il Jinchuuriki. “Con tutto quello che hai da fare, trovare del tempo per Boruto...”

“Dacci un taglio.” chiosò la rosa, andandosi a sedere sulla propria scrivania, ingombra di cartelle. “Anche se ormai lavoro solo in terapia intensiva, non significa che non abbia tempo per tuo figlio.” si sgranchì le spalle, stanca per l'ennesima giornata di lavoro. “E comunque a quest'età una bronchite non va sottovalutata. Anche se lieve, ho notato che sta peggiorando rapidamente, quindi è meglio iniziare una cura che blocchi sul nascere l'infezione.” sorrise all'amico, facendogli l'occhiolino. “Stai tranquillo: tuo figlio ha la pellaccia dura, proprio come la tua. Non sarà certo una malattia a farlo secco.”

Naruto sorrise. Anche se non l'avrebbe mai ammesso, la brutta tosse che aveva colpito Boruto nelle ultime settimane l'aveva preoccupato non poco, facendolo correre a gambe levate da Sakura, la quale, lievemente divertita, aveva assistito alla prima crisi da genitore ansioso dell'amico, impegnandosi personalmente affinché il piccolo Uzumaki guarisse il prima possibile.

“Hinata come sta?” chiese improvvisamente la kunoichi, adocchiando distrattamente qualche documento sparso sul tavolo. “Avuto problemi durante i festeggiamenti del nuovo anno?”

“No, nessuno.” rispose l'amico. “Le è dispiaciuto non poter andare al tempio per i festeggiamenti tradizionali, fare le scale non è il suo forte attualmente, ma devo dire che il quartiere degli Hyuga era splendido per l'occasione.”

“Hiashi si è comportato bene?”

“Ligio al proprio dovere di capofamiglia come al solito.” scherzò il biondo. “Non l'ha voluto manifestare, ma sembrava contento di poter ricevere una nipotina, senza contare che ha letteralmente sommerso Boruto di regali! Non mi sorprenderei di sapere che il clan Hyuga sia andato in rovina!”

“Paura di perdere l'eredità?” sulle labbra della Sannin si dipinse un ghigno, il quale venne accolto con imbarazzo dall'Uzumaki.

“Non proprio…”

“Ah, rilassati!” con un'abile mossa, Sakura si mise a sedere sulla propria sedia, appoggiandosi allo schienale di pelle con aria soddisfatta. “Hiashi ha fatto il burbero per tutta la vita, ci sta che voglia lasciarsi andare con il nipote, specie se ora la figlia sta per raddoppiare.”

“Già... devo dire che ero un po' nervoso durante le feste. Avevo paura che il cibo troppo pesante le facesse male.”

“Una donna incinta digerisce anche il ferro.” replicò la kunoichi. “Ma dimmi un po'... avete già scelto un nome per la piccola? In fondo... Hinata è a metà del settimo mese ormai.”

Naruto non rispose, abbassando lo sguardo. Fin da quando aveva saputo che Hinata aspettava una femmina un nome aveva preso a frullargli in testa. Credeva che fosse giusto impedire che l'eredità di cui si era fatto carico non svanisse una volta che il suo tempo si sarebbe concluso. Restava solo da convincere la Hyuga. Lo shinobi non era sicuro che la moglie avrebbe accettato i motivi che lo spingevano verso quel nome.

“Noi... non abbiamo ancora deciso.” fu la sua risposta, lo sguardo perso in una matassa di capelli dorati. “C'è ancora tempo, no?”

Le iridi color smeraldo di Sakura lo vivisezionarono, scavandogli dentro come solo lei era capace di fare.

“Già...” mormorò, capendo molto più di quanto il biondo avrebbe voluto. “C'è tempo.”

Naruto fece per parlare, deciso a capire cosa significassero quelle parole sibilline, quando Boruto si fece avanti, il bastoncino di legno ben saldo tra i denti, a chiederne un secondo.

“Ancora!” fece il piccolo Uzumaki, agitando lo stecco. “Ancora!”

“No, basta così.” fu subito la replica del padre, prendendolo in braccio. “Altrimenti dopo non mangi più nulla a cena.”

“Uffa!” borbottò il bambino, lanciando un'occhiata di profonda irritazione verso il genitore. “Papà brutto!”

“Su questo hai ragione!” esclamò Sakura, un sorriso sul viso.

“Che dici, posso portarmelo a casa questo fagotto, dottoressa?” domandò Naruto, iniziando a fare il solletico al figlio, il quale reagì con risatine isteriche.

“Sì, vai pure.” rispose la Sannin, iniziando a togliersi il camice. “Se ci sono problemi fammi un squillo al telefono. Penso proprio che andrò a godermi il resto del pomeriggio a casa da mia figlia.”

L'Uzumaki smise di fare il solletico a Boruto, osservando l'amica cambiarsi con gesti rapidi. Nonostante avesse voluto farla passare come una cosa da nulla, allo shinobi non era sfuggito il tono gioioso della ninja al pensiero di passare qualche ora con la piccola Sarada.

“Come sta?”

“Sarada?” con un'abile mossa, Sakura riverso una parte delle cartelle ammucchiate sulla scrivania dentro una borsa, chiudendola prima che potessero tracimare. “Cresce bene. Purtroppo io sono sempre chiusa qui dentro, quindi di fatto la vedo solo la mattina e la sera.”

“Chi si occupa di lei?”

“Una tata.” la kunoichi terminò di prepararsi, andando ad aprire la porta all'amico. “E' molto brava, e Sarada si trova bene con lei. Devo dire che riesce addirittura a cucinare meglio di me!”

“E i tuoi?”

Sakura sbuffò, chiudendo a chiave l'ufficio ed incamminandosi a passo spedito verso l'uscita dell'ospedale, con l'amico che arrancava dietro.

“Da quando sono in pensione non fanno altro che chiedermi se possono occuparsi della bambina.” spiegò rapidamente. “Ma onestamente non me la sento di caricarli di troppe responsabilità.”

“Io credo che Sarada sarebbe più felice a passare le proprie giornate con i nonni piuttosto che con una tata, per quanto brava.” osservò Naruto.

“Ti prego, non cominciare anche tu!” sospirò la rosa. “Ci pensa già Ino a farmi una testa così con questa storia.”

“Qual è il problema?” chiese lo shinobi, sempre più perplesso. “Sono sicuro che i tuoi genitori sarebbe entusiasti di avere Sarada tutto il giorno in casa.”

“Non è questo il punto.” replicò seccamente la donna, girandosi a fissare in faccia l'amico. “Sarada va già da loro tutti i fine settimana. Non voglio che stia più tempo con i miei che... che...” si morse il labbro inferiore, rendendosi conto solo in quell'istante di ciò che aveva appena detto.

L'Uzumaki capì, preferendo non aggiungere nulla. Anche per lui valeva lo stesso problema. Non erano rare le settimane in cui Boruto passava più tempo da suo nonno Hiashi che con lui. Sapeva che era ingiusto, oltre che egoistico, ma ogni volta che accadeva sentiva il desiderio spasmodico che il figlio non andasse, che potesse condividere maggiore tempo con lui.

E' sempre così? Quando ottieni una famiglia... devi restare lontano da loro per dovere? Volse lo sguardo verso l'amica, anche lei schiacciata tra una figlia che amava con tutta se stessa, un lavoro in ospedale che non conosceva sosta ed un marito con troppi errori sulle spalle per avere speranza di trovare la pace dentro di sé.

“Sakura-chan.” mise una mano sulla spalla sinistra della Sannin, rivolgendogli un sorriso carico di speranza. “Sei un genitore fantastico... e sono sicuro che Sarada lo sa meglio di chiunque altro.”

Era in quei momenti che Sakura non sapeva mai se odiare l'amico, capace di individuare sempre le sue paure più profonde, oppure di abbracciarlo con tutta se stessa, grata agli dei per aver potuto incontrare una persona così straordinaria.

“Piantala di dire sciocchezze e vai a casa!” lo redarguì, un sorriso ad ammorbidirle i lineamenti del volto. “Se resti qui a sprecare il tuo pomeriggio libero sei proprio un Baka!”

Lo shinobi comprese, accettando il singolare modo di ringraziare dell'amica, capace di tirare fuori l'immagine della donna tutta di un pezzo anche con il suo amico più caro.

Sakura-chan...

Probabilmente, se c'era qualcuno che era diventato veramente forte del loro vecchio Team, pensò Naruto uscendo dall'ospedale, quella era proprio Sakura.

 

 

Si passò una mano sulla fronte, gli occhi che bruciavano per la stanchezza. Davanti a lui, imponente e minacciosa, svettava l'ennesimo plico di documenti da consegnare il prima possibile.

Basta carte... Naruto sospirò, riprendendo in mano la penna. Si passò la lingua tra i denti, assaporando il disgustoso sapore dei troppi caffè giornalieri.Ucciderei per un letto.

“Ancora qui?” l'Uzumaki alzò stancamente lo sguardo, osservando l'espressione irritante di Shikamaru. “Credevo fossi andato a casa due ore fa.”

“Era quello il mio piano.” borbottò lo shinobi biondo. “Ma qualche ignoto stronzo ha avuto l'idea di riempirmi a tradimento la scrivania di robaccia mentre ero a prendermi un caffè.”

Il Nara si accese lentamente una sigaretta, aspirandone avidamente la prima boccata. Sembrava sfinito anche lui. Lunghe occhiaie sotto gli occhi testimoniavano le molte notti trascorse in ufficio, mentre la fiaschetta appesa alla cintura era tristemente vuota.

“Io vado a casa.” borbottò, soffiando fumo dalle narici. “Dovresti farlo anche tu, non hai una bella cera.”

“Sì... forse hai ragione.” mormorò il Jinchuuriki. “Finisco gli ultimi fogli e vado anch'io.”

Era passata da poco mezzanotte quando riuscì a chiudersi la porta dell'ufficio alle spalle. Emise un sospiro di sollievo, sentendosi molto più leggero, tanto che neppure la gelida aria di fine gennaio riuscì a scalfirlo.

Si incamminò a passi rapidi verso casa. Il volto imbacuccato sotto la sciarpa, mentre gelidi refoli di nebbia danzavano attorno a lui. Era l'ora in cui i bar ed i locali iniziavano a svuotarsi, con gli avventori che si avviavano lentamente a casa, desiderosi di un letto più che di una bottiglia. Naruto non ci fece caso, la mente ottenebrata dalla stanchezza. Era passato troppo tempo da quando anche lui bighellonava da un bar all'altro assieme a Kiba e Shikamaru. All'epoca le sue preoccupazioni erano molte poche, tra una relazione semplice e perfetta con Hinata ed una pace apparentemente priva di lati oscuri.

“Era ora.” una voce alle sue spalle lo riportò bruscamente alla realtà. Si fermò subito, inspirando la gelida aria invernale, aspettando che il nuovo arrivato manifestasse le sue intenzioni.

“Non dovresti essere qui.” rispose infine, voltandosi, gli occhi cerulei piantati sulla minuta figura incappucciata che gli si parava davanti.

“Sono ore che ti aspetto.” replicò quest'ultima, un chiaro timbro femminile a lui familiare. “Hai idea di quanto sia scomodo avere le chiappe completamente gelate?”

“Posso immaginare.” lo shinobi tirò fuori uno sorriso stanco, iniziando ad intuire i motivi di quell'incontro. “In ogni caso, sarei piuttosto stanco e...”

“Ti offro da bere.” lo interruppe lei. “E la mia non è una richiesta.”

Il biondo emise un sospiro di rassegnazione. Si grattò la nuca, mentre, suo malgrado, percepiva la stanchezza accumulata sparire innanzi all'idea di una bevuta.

“Deduco che non abbia molta scelta.”

“Beh, volendo ne hai una.” ribatté Hanabi, sorridendo beffarda da sotto le falde del cappuccio. “Puoi farti spaccare la faccia prima di venire a bere qualcosa.”

C'erano molte cose che Naruto aveva capito di Hanabi Hyuga nel corso del tempo, ed una di queste era che non minacciava mai a vuoto.

“Fai strada.”

 

 

Il calore lo colpì sul volto con la violenza di un pugno, facendolo barcollare. Preferì evitare l'occhiata accondiscendente che gli mandò la Hyuga, concentrandosi sull'ambiente circostante.

“Questo non lo conoscevo.” borbottò, assaporando l'odore nell'aria, un miscuglio tra erbe aromatiche, sudore e sakè. “In che razza di posto mi hai portato?”

Hanabi gli fece l'occhiolino, togliendosi il cappuccio, e lasciando così libera la chioma corvina.

“In un posto dove i frignoni non campano a lungo.” avanzò con passo sicuro, seguita dal Jinchuuriki, il quale rimaneva sempre più perplesso da ciò che vedeva.

Il locale nel quale erano entrati non era particolarmente ampio. Una stanza rotonda, scavata sottoterra, con una decina di tavolini rettangolari di legno scuro, ognuno impreziosito da un centrotavola a fiori. In fondo alla sala, era presente un lungo bancone lucido, dietro al quale una donna sulla trentina serviva i pochi avventori con un sorriso spudorato sulle labbra carnose.

“Oh, la mia piccola Hanabi è tornata!” esclamò con voce profonda, portando subito gli occhi sulla figura dietro alla giovane Anbu. “E vedo che ti sei portata dietro un magnifico zuccherino!”

“Tieni giù le mani, Sacha!” replicò seccamente la Hyuga, sedendosi al bancone. “Non è roba per te.”

“Già impegnato?” la barista chiamata Sacha assunse un'espressione dispiaciuta. Era una donna dal fisico prosperoso, con capelli chiari rasati a zero, labbra rosse e due occhi di un azzurro scuro. “Che peccato! Sono sempre i migliori quelli che si fidanzano per primi!” si avvicinò con sguardo sensuale a Naruto, facendo attenzione di sbattergli a pochi centimetri dal volto l'abbondante seno. “Se hai voglia di provare qualcosa di diverso, vieni pure da me, zuccherino. Posso risucchiarti l'anima.”

“Sacha!” il tono della kunoichi fu duro e secco. “È il marito di mia sorella, quindi tieni le tue manacce a posto e portaci da bere!”

La barista si allontanò con un sorrisetto beffardo. Non le era sfuggito l'occhio di Naruto nella sua scollatura, né che fosse arrossito improvvisamente.

“Siediti!” la voce della Hyuga lo aiutò a togliersi il ricordo dell'incontro appena compiuto. “E lascia perdere i vaneggiamenti di quella. Lo fa con tutti i suoi nuovi clienti, donne o uomini che siano. Un modo per fare in modo che ritornino.”

“O che scappino a gambe levate.” mormorò lo shinobi, sedendosi affianco dell'amica.

“Almeno sa che chi torna è soddisfatto del servizio.” ridacchiò quest'ultima.

“Hanabi... è mezzanotte passata.” mormorò Naruto, passandosi una mano sul volto. “Si può sapere in che razza di posto mi hai portato?”

“Guardati intorno.” rispose la mora, togliendosi il mantello ed appoggiandolo con noncuranza sul bancone.

Vagamente perplesso da quella criptica risposta, l'Uzumaki prese a dare un'occhiata in giro. Il locale era praticamente vuoto, a parte per qualche sparuto cliente. Si accorse subito anche del silenzio che li circondava, rotto solo dallo sfregare di qualche sedia o dai passi della barista, ma quello che lo colpì di più fu il vedere che tutti gli avventori portavano maschere a lui molto familiari.

“È un locale di Anbu!” esclamò.

“Abbassa la voce!” ringhiò la kunoichi. “Da queste parti non è salutare disturbare. Qui viene gente che vuole bere oppure scambiarsi informazioni senza essere visti.”

“E noi per quale dei due motivi siamo qui?” domandò sospettosamente il biondo, temendo qualche risvolto complicato da quell'invito.

“Per il primo.” Hanabi accettò con un cenno del capo le ordinazioni, portate da una sorridente Sacha. “Se avessi bisogno di un appoggio esterno nel mio lavoro, tu saresti l'ultimo a cui chiederei qualcosa.”

“Molto confortante.” Naruto afferrò il proprio bicchiere squadrato, contente quello che a prima vista sembrava sakè. “Sai, a volte ho l'impressione che tu sia troppo dura, Hanabi.” bevve un sorso, solo per scoprire che quella bevanda era dieci volte più forte del normale liquore a cui era abituato, facendolo tossire e lacrimare.

“Ti sbagli.” sussurrò sorridendo l'Anbu, ingollando senza problemi metà della propria ordinazione. “Tu non hai la più pallida idea di cosa significhi essere cattivo.”

“Cosa diavolo è questa roba?” chiese con voce strozzata il Jinchuuriki, respirando a fatica.

“Non ho idea del suo nome.” fu la risposta di lei, terminandolo e chiedendone subito un secondo. “So solo che è sakè, fatto fermentare con alcune erbe. Che io sappia, lo sa fare solo Sacha qui a Konoha.”

Naruto tornò a fissare il proprio bicchiere con sospetto, centellinandolo. Dopo un primo impatto alquanto difficile, lo trovò di suo gradimento, nonostante gli lasciasse un sapore aspro e duro in bocca.

Bevvero in silenzio per i successivi dieci minuti, durante i quali Hanabi si scolò altri due bicchieri di liquore. Sembrava non trovare alcun problema nel buttare giù quella roba come se fosse acqua, causando in Naruto un fastidiosissimo senso di inferiorità.

“Come mai mi hai chiesto di farti compagnia?” domandò infine, ordinando un secondo bicchiere. “Voi Anbu siete poco loquaci con chi non fa parte del vostro Ordine.”

“Avevo voglia di vederti.” rispose la Hyuga, solcando con l'indice il bordo del proprio bicchiere. “Negli ultimi tempi... ci siamo distanziati troppo, e la cosa non mi andava più bene.”

Naruto non replicò, osservandola di sottecchi. Si chiese se fosse una conseguenza di quella strana bevanda, ma improvvisamente sentì di trovare Hanabi desiderabile. C'era qualcosa in quella figura minuta che gli scaldava il sangue, qualcosa che non era legata all'alcool, non del tutto almeno. Forse era la sua armatura, il suo apparire così forte e misteriosa. Una guerriera nel pieno della sua maturità, sensuale e letale come una pantera.

“Il mio fratellino come sta?” domandò, deciso a lasciar perdere quei pensieri, figli di una giornata stressante. Hanabi non rispose subito, gli occhi persi nel fondo del proprio bicchiere.

“Saru sta bene.” mormorò, ingollando un nuovo sorso. “Anche troppo, direi.” l'ombra di un sorriso gli comparve sul volto, rischiarandole le sguardo. “A volte mi chiedo se abbia compreso fino in fondo in che guaio si sia cacciato.”

“In che senso?”

“Mi domando sempre come hai fatto a diventare quello che sei con il cervello che ti ritrovi.” replicò acidamente la kunoichi. “Negli ultimi sette anni ho commesso così tanti crimini in nome di Konoha che ho perso il conto.” terminò l'ordinazione, facendo cenno a Sacha di volerne un quinto. “Omicidi, complotti, finte identità, furti... in nome di questo villaggio ho compiuto ogni azione spregevole che l'essere umano è in grado di concepire.” lanciò un'occhiata alla maschera appoggiata sul bancone, mostrandosi improvvisamente stanca. “Certe volte, ho come l'impressione che quella maschera pesi una tonnellata, e che non potrò mai più togliermela.”

Naruto non disse nulla, sorseggiando il proprio sakè. Era uno dei motivi per cui aveva sempre trovato ripugnante il lavoro degli Anbu. Sapeva che era necessario, ma trovava inumana l'idea di far giurare a delle persone di compiere i più efferati crimini in nome della pace. Molti non sopravvivevano, ma quelli che rimanevano in vita alla lunga si spegnevano, diventando morti dentro. Kakashi-Sensei era stato un caso più unico che raro, ma Hanabi non sembrava possedere la stessa tempra morale del Sesto Hokage.

“Un Anbu può ottenere un congedo.” osservò dopo un po', buttando quella frase come se niente fosse.

“Non è quello il punto.” Hanabi sbuffò, quasi scocciata dall'ingenuità del compagno di bevute. “E comunque non posso farlo. Se tornassi ad essere un comune ninja, la posizione di mia sorella diventerebbe precaria.” bevve nuovamente, un rivolo le colò lungo il collo, scomparendo sotto l'armatura. “Ci sono ancora molti membri del mio clan che non vedono di buon occhio la carica d'erede di tua moglie. Se tornassi ad essere candidabile per la guida del clan, è probabile che gli Hyuga si spaccherebbero, e non è ciò che voglio.”

L'Uzumaki sospirò, maledicendo dentro di sé lo spirito guerriero degli Hyuga, incapace di placarsi anche dopo anni di pace. Era difficile convincerli che anche Hinata, priva di poteri particolari, potesse essere un grande capo. Dare torto alla cupa previsione di Hanabi da quel punto di vista non era facile, dato che non erano stati pochi i membri del suo clan che non vedevano di buon occhio la sua presenza tra gli Anbu.

“E in tutto questo come ci entra Konohamaru?” mormorò, ingollando sakè.

“Saru è un idiota.” biascicò Hanabi, le gote imporporate dall'alcool. “Ma forse è per questo che mi piace... da un tocco di normalità alla mia vita.” terminò il quinto drink, ordinandone subito un sesto. “Lui sottovaluta tutto questo.” sussurrò, le iridi pallide rivolte verso il basso. “Non comprende che per me ogni giorno potrebbe essere l'ultimo. Parla tanto di costruire una famiglia, ma che possibilità ho? Come potrei mai essere un genitore io, un'assassina che ha preferito perdere ogni onore che assumersi le proprie responsabilità per il suo clan?” rialzò gli occhi, piantandoli in quelli del compagno di bevute. “Hinata dice sempre che mi invidia, ma non capisce che tra noi due è lei quella fortunata, quella capace di superare ogni ostacolo. Dopotutto, cosa sono io?” sbuffò, ricevendo da Sacha l'ennesimo bicchiere. “Una ragazzina che non ha ancora capito cosa significhi essere una donna.”

Naruto non replicò. Capiva cosa provava l'amica: il perenne senso di non sentirsi nel posto giusto, il terrore di perdere le poche persone in cui aveva fiducia, l'invidia verso coloro che vivevano una vita normale. Erano sensazioni che lui stesso aveva vissuto da piccolo, ed ora rivederle sul viso della Hyuga fu per lui come un orrido déjà-vu. 

“Ti porto a casa.” borbottò, quando la vide in procinto di ordinare l'ennesimo bicchiere. “Hai bevuto abbastanza per stasera.”

La kunoichi scrollò le spalle, quasi la cosa le fosse indifferente. Si alzò, barcollando fino all'uscita, sorretta da un paziente Naruto.

“Ohi... Baka.” la voce della mora ruppe il silenzio della gelida notte. “Ti devo chiedere un favore.”

L'Uzumaki non rispose, proseguendo a sorreggerla.

“Non dire nulla... a Saru.” Hanabi teneva gli occhi bassi, quasi si vergognasse di ciò che stava dicendo. “Devo essere io... a farlo... quando sarà il momento.”

Il Jinchuuriki fece un profondo respiro, proseguendo a tenere lo sguardo fisso innanzi a sé. C'era molto in quelle parole, la rassegnazione all'idea di non poter possedere una vita normale. Naruto pensò a lungo su cosa fare, se accettare di lasciare ad Hanabi di decidere del proprio futuro. Fosse accaduto dieci anni prima, non ci avrebbe pensato un istante su che risposta dare, ma crescendo aveva capito che certe battaglie bisognava combatterle da soli, e quella di Hanabi era una di queste.

“D'accordo.” mormorò, stringendola vicino a sé. “Non gli dirò nulla.”

E nonostante tutto, Hanabi si sentì sollevata e felice per la prima volta dall'inizio della serata.

“Grazie.”

 

 

I giorni seguente furono i peggiori che Hanabi ricordasse a memoria d'uomo. Neanche quando era morto suo cugino Neji si era sentita così schifosamente impotente.

Konohamaru sembrava vivere in un mondo tutto suo, incapace di vedere la sofferenza che attanagliava la fidanzata. Continuava a parlare di cercare una casa più grande, di un possibile figlio, di prendersi magari un animale domestico. D'innanzi a quei discorsi così 'normali', la kunoichi non riusciva a fare altro che sorridere, mentre dentro di sé si sentiva un mostro ad ingannarlo in maniera così meschina.

L'unico suo modo di sfogarsi erano diventati gli allenamenti della divisione Rho. In qualità di capitano della squadra, Hanabi imponeva ai propri sottoposti allenamenti quotidiani durissimi, quando non erano impegnati in missione. Durante quelle ore, lontana dalle missioni e dalle parole di Konohamaru, la Hyuga si sentiva rinascere. Poteva illudersi di essere solo un ninja tra i tanti, senza maschere, Shinobigatana e tanti, troppi, omicidi sulle spalle. Era solo una kunoichi come tante altre, una persona normale.

Ma alla fine anche quei momenti finivano, riportandola in una realtà che sentiva ormai intollerabile.

“Sensei?”

La voce di Kabera, una sua sottoposta, la riscosse dai propri pensieri. Era una ragazza giovane, sui sedici anni, con lunghi capelli biondi ed un viso acqua e sapone che sapeva trarre perfettamente in inganno, essendo una delle migliori manipolatrici di veleni di tutto l'Ordine.

“Sensei, va tutto bene?” per un istante Hanabi ebbe l'impulso fortissimo di confidarsi, di dirle che non riusciva più a sopportare quel peso, quella maschera, quel compito, ma poi si ricordò per quale motivo era ancora dentro gli Anbu, il perché fosse giusto che sacrificasse la propria umanità. Se fosse tornata un ninja normale, Hinata sarebbe stata in pericolo.

“Sì.” osservò bruscamente, riponendo la propria arma nel fodero. “Sono solo... un po' stanca.”

Kabera la fissò a lungo in faccia, gli occhi cerulei che riuscivano a scavare dentro di lei con facilità disarmante. Era sempre stata una ragazza perspicace, forse persino troppo, ed Hanabi non aveva dubbi che avrebbe fatto rapidamente carriera dentro l'Ordine.

“Ultimamente sembra abbiate la testa da un'altra parte.” esordì candidamente, sistemandosi una ciocca dorata. “Forse dovreste prendersi un periodo di riposo.”

No, forse non avrebbe fatto carriera in fretta. Per quanto sadica ed abile, era ancora troppa ingenua riguardo la natura umana. Per Kabera il mondo si divideva in cavie su cui testare i propri veleni e persone che le servivano per procurarsi le cavie. Con il tempo, Hanabi aveva capito di appartenere a questa seconda categoria, ma per sicurezza si era sempre guardata bene dall'accettare qualcosa dalla ragazza, fosse anche un innocente biscotto.

“Non è qualcosa che si risolve con il riposo.” borbottò la Hyuga, incamminandosi verso l'uscita del campo d'addestramento. La kunoichi più giovane prese a seguirla come un cagnolino.

“E con cosa si potrebbe risolvere?” tirò fuori un sorriso immacolato. “Se le serve qualche sostanza che le concili il sonno non ha che chiedere. Ho giusto qualcosa di fresco, preparato l'altro giorno!”

“Il giorno in cui desidererò il riposo eterno, verrò da te.” replicò acidamente la mora. “Fino ad allora, continua a lavarti bene le mani prima di venire agli allenamenti.”

“Lo so!” sbuffò Kabera, facendo spallucce. “E' solo che la vedo giù di morale, e mi piacerebbe aiutarla.”

Hanabi sospirò. Le piaceva Kabera. Era furba e sadica, ma riusciva ad essere dolce e gentile con coloro che non chiamava 'cavie'. Il suo dono più grande, tuttavia, era vivere la vita con leggerezza, senza soffermarsi troppo sulle cose, il che era l'ideale per un Anbu. Un dono che Hanabi aveva smarrito da tempo.

“Vai a casa.” borbottò, mettendosi la maschera sul viso. “Vedrai che mi basterà una buona dormita.” avrebbe desiderato crederci anche lei a ciò che stava dicendo, ma sentiva che era giusto così. Kabera era giovane, e non meritava di venire assillata con i suoi problemi. Per quello c'era qualcun altro.

 

 

“Per tutti gli dei, Hanabi!” esclamò Naruto, lievemente esasperato. “È la quinta sera di seguito che mi costringi a vederti ubriaca!”

“Qual è il problema?” biascicò la mora, gonfia di alcool. “Quando bevo poi faccio delle scopate meravigliose con Saru, te l'ho mai detto?”

“Preferivo rimanerne all'oscuro.” borbottò il Jinchuuriki, rabbrividendo al pensiero.

“Oh, stai zitto!” replicò la kunoichi. “Lasciami bere in pace... almeno poi riesco a sopportare le stupidaggini di Saru.”

“E' proprio questo il problema.” l'Uzumaki sospirò, sorseggiando la propria consumazione, immerso nel chiacchiericcio del bar di Sacha, pieno fino a scoppiare di Anbu assetati. “Dovresti parlare con Konohamaru, non ubriacarti per poi portartelo a letto!”

“Cos'è, sei geloso? La mia Sorellona è un po' troppo frigida per i tuoi gusti?”

“Certo che no, anche se... ma non è questo il punto!” si inalberò il biondo. “Se hai un problema devi parlarne con mio fratello, e lo devi fare subito! Altrimenti quando questa storia uscirà fuori, la situazione sarà cento volte peggio.”

Hanabi non replicò, fissando il fondo del proprio bicchiere. Da una parte riconosceva che c'era del giusto nelle parole del compagno di bevute, dall'altra però non aveva la più pallida idea di come cominciare quel genere di discorso con il proprio ragazzo.

“Hanabi, mi stai ascoltando?”

“Sì, certo.” borbottò la kunoichi, gettando un mazzetto di banconote sul bancone, con tanto di mancia per Sacha, ed alzandosi. “Io vado… ci vediamo!”

Uscì all'aria aperta prima che lo shinobi potesse fermarla, rabbrividendo al contatto con il gelo della notte invernale. Avanzò a passo rapido lungo le vie della città, immersa nei propri pensieri, alla ricerca di un coraggio che dubitava di possedere. Non si era mai definita una vigliacca, ma in quel momento se la stava letteralmente facendo sotto al pensiero di affrontare il fidanzato.

Stupido Saru! Si nascose il volto con la maschera, alla ricerca di un po' di tepore. È tutta colpa sua se sto così male!

Entrò in casa, notandone come al solito il terribile disordine. Konohamaru era un casinista di prima categoria, ed essendo lei sempre fuori a causa del suo lavoro, era difficile trovare l'appartamento che condividevano in condizioni umane.

“Ah, sei qui!” la massa arruffata di capelli castani del Sarutobi fece capolino dalla cucina, di cui, miracolosamente, se ne stava occupando. “Non essendo tornata per cena, ho pensato di dare una sistemata alla cucina.”

“Hai fatto bene.” con un sospiro, Hanabi buttò con malagrazia mantello e maschera sul divano, seguendo il fidanzato in cucina. Si sedette davanti al tavolo, osservandolo occuparsi del piano cottura. Nonostante tutto, lo trovò buffo: il ninja che tutti chiamavano 'Genio della Foglia' aveva un talento innato con detergenti e strofinacci.

“Posso chiedere da dove salta fuori questo gesto altruistico verso l'igiene della casa? Perché potrei mettermi a piangere.” osservò sarcastica la mora, causando uno sbuffo da parte dello shinobi.

“Se tu mi aiutassi a pulire quando sei in casa non ci sarebbero problemi eccessivi.”

“Sono la tua ragazza, non una donna delle pulizie.” replicò piccata la mora. “Scusa se quando torno a casa dopo una giornata infernale non ho voglia di prendere scopa e strofinaccio.”

“Sentila la principessina!” Konohamaru ridacchiò, osservando con soddisfazione il proprio riflesso sul fondo lucido di una padella. “Guarda che se andiamo a vivere in una casa più grande dovrai dare una mano anche tu, volente o nolente!”

Hanabi non rispose. Si mordicchiò l'interno della guancia, mentre la sensazione sgradevole tornava alla carica, artigliandole lo stomaco. Nonostante avesse bevuto, si sentiva lucida, abbastanza per ripensare ad ogni azione spregevole che aveva compiuto in nome di Konoha. Era entrata negli Anbu giovanissima, con la convinzione che quello fosse il modo più giusto per continuare a servire il proprio clan, ed allo stesso tempo permettere a sua sorella di avere l'eredità che le spettava di diritto, senza dimenticare il suo spasmodico desiderio di diventare la Hyuga più forte di sempre. Ci era riuscita, facendo carriera all'interno dell'Ordine, e raggiungendo un livello di abilità pari, se non superiore, a quello di suo padre. Eppure, mai come in quell'istante, si sentiva debole, sporca e miserabile, oltre che in colpa per l'illusione che stava facendo vivere al compagno.

“Saru...” la voce oltrepassò la barriera delle labbra di sua spontanea volontà, rendendola impreparata. “Dobbiamo parlare.” il suo tono era basso, roco, quasi spaventato, facendo così capire a Konohamaru che si trattava di una faccenda importante.

“Va bene.” mise via gli ultimi utensili lavati, sedendosi successivamente sul piano cottura. “Ti ascolto.”

La kunoichi fece un profondo respiro, cercando disperatamente le parole giuste. Ora che era giunto il momento, desiderò spasmodicamente tornare indietro nel tempo di qualche minuto, per tenere la bocca ben chiusa riguardo quella particolare questione.

“Io... credo che...” deglutì a vuoto, sentendosi un groppo alla gola. “Questa storia sia durata anche troppo.”

Il Sarutobi corrugò le sopracciglia, perplesso da quelle parole.

“In che senso?”

“Saru... io sono un Anbu.” prese a torcersi una ciocca di capelli, le iridi perlacee rivolte verso il pavimento. “Ogni volta che vado in missione... le mie mani ritornano sporche di sangue...” fece un profondo respiro. Era come se stesse per buttarsi giù da un dirupo, senza sapere se esistesse un modo per salvarsi. “E simili mani non possono toccare un bambino innocente.”

Nella stanza scese un silenzio teso, rotto solo dal ronzio degli elettrodomestici. Il volto di Konohamaru si oscurò, diventando una maschera di ghiaccio, spaventando, per la prima volta in assoluto, Hanabi.

“Quello che tu hai fatto per me... è stato magnifico.” proseguì la Hyuga, appellandosi agli ultimi brandelli di coraggio che possedeva. “Dico davvero! Ti sono grata dal profondo del cuore, ma ora... forse è meglio se le nostre strade si...”

“Una volta non eri così.” la interruppe lo shinobi, il volto ancora inespressivo. Solo gli occhi erano vivi, ribollendo di rabbia e frustrazione. “Una volta mi dicesti che tenevi a me, e che non te ne saresti mai andata.” pianto le proprie iridi scure in quelle chiare della fidanzata, la quale non riuscì a reggere quello sguardo accusatorio. “Me l'avevi promesso... non ricordi?”

Era vero. All'inizio di quella relazione era stata lei, e solo lei, a promettergli che non l'avrebbe mai abbandonato. Che lei ci sarebbe sempre stata, nel bene e nel male. Erano passati solo tre anni da allora, ma in quel momento alla kunoichi parve fossero trascorsi secoli da quelle parole cariche di sentimento. Tre anni in cui era cambiata, troppo forse, aprendo gli occhi su tutto il marcio che infettava, purulento, la loro società.

“Ero un'altra persona.” rispose, alzando finalmente lo sguardo. “I miei sentimenti non sono cambiati da allora, ma...”

“Ma cosa?” la voce di Konohamaru assunse una sfumatura rabbiosa. “Se devi usare qualche patetica scusa per lasciarmi, risparmiatela e dimmelo in faccia!”

“Lasciarti?” Hanabi si irritò, sentendosi presa in giro. Come poteva il suo ragazzo essere così ottuso da non capire?

Si alzò, gli occhi che bruciavano di rabbia. In quegli istanti sembrava una vera guerriera, oscura e spaventosa.

“Pensi veramente questo di me?” sibilò, le labbra contratte. “Che potrei mollarti da un momento all'altro così, senza un motivo?”

“Dimmelo tu!” replicò il moro, allargando le braccia con fare spazientito. “Perché il tuo atteggiamento dice questo! Dichiari di non volermi lasciare, ma quando ti propongo di costruire qualcosa di serio, tu tiri fuori delle patetiche scuse!”

“Patetiche scuse?!” Hanabi sbatté i palmi sul tavolo, il sangue che ribolliva come magma dalla rabbia. In quel preciso istante, il suo unico desiderio era fare a pezzi quell'idiota che si era scelto come compagno.

“Sono sette anni che compio gli atti più efferati che possono esistere...” le parole le uscirono con tonalità bassa dalle labbra, ormai completamente preda della sua furia. “Ho ucciso, mentito, rubato e squarciato in nome di questo dannato paese!” digrignò i denti. “E tu mi vieni a dire che queste sarebbero patetiche scuse?! Credi davvero che potrei costruirmi una famiglia dopo tutto quello che ho fatto? Che potrei avere un figlio, guardarlo negli occhi, e non ripensare a tutti gli sguardi dei bambini che ho dovuto sopprimere in nome di questo villaggio?! Rispondi!”

Konohamaru rimase in silenzio. Fissò il viso contratto dalla rabbia della kunoichi, leggendoci dentro rabbia, frustrazione e rimorso.

“Dunque è questo che ti frena...” mormorò, la mente invasa dal sorriso insanguinato di Udon, una ferita mai guarita. “Il rimorso.”

“Sì, rimorso! Il rimorso per tutto quello che ho dovuto fare!” la voce di Hanabi divenne tagliente come l'acciaio. “Ho ucciso per questo paese, e continuerò a farlo, per proteggere le persone che amo, ma non puoi chiedermi di fare finta di essere una persona normale!”

“Tu sei normale, Hanabi!” ringhiò il Sarutobi. “Sei stata tu ad insegnarmi a non abbandonarmi al dolore ed alla disperazione! Non posso credere che la stessa persona che mi ha fatto tornare alla vita si sia arresa in questo modo vergognoso! Mi rifiuto di accettarlo!”

“Una persona normale non uccide ed avvelena per mestiere, idiota!” replicò la kunoichi, alzando il tono della voce. “Come puoi desiderare che la madre dei tuoi figli sia una figura del genere? Non hai un minimo di amor proprio?!”

“Dunque quale sarebbe la tua soluzione? Lasciare tutto? Nasconderti nell'ombra, fino a quando non sarai morta dentro? È questo il tuo modo di affrontare le conseguenze delle tue azioni?!”

Hanabi scoppiò in una risata fredda, priva di gioia.

“Non si tratta di avere una soluzione, è così e basta. Se lo accetti, andando avanti per la tua strada, sarà un bene per tutti, altrimenti ti distruggerai, inseguendo una mera illusione.”

Konohamaru non rispose. Chiuse gli occhi per un istante, mentre tutti i momenti meravigliosi trascorsi assieme ad Hanabi gli passavano innanzi agli occhi. Era stata lei il suo barlume di luce, la sua ancora di salvezza dopo la morte di Udon. Il pensiero che fosse stato tutto solo un'illusione lo distrusse, mentre sentiva il sangue scaldarsi di una sostanza acida e corrosiva.

“Perché?” mormorò infine, riaprendo gli occhi, fissando le iridi pallide della ragazza. “Perché mi hai mentito? Cosa ti ha spinto a prenderti gioco di me in questo modo?”

“Non era mia intenz...”

“Piantala con le stronzate!” l'urlo del moro scosse la cucina, mentre l'acido rancore prese a sgorgare fuori, quasi fosse un vaso troppo pieno. “Io ti ho creduto! Non ho mai dubitato delle tue parole, di come avessimo una speranza, e tu ora mi dici che è stata tutta una menzogna! Che per te tutto questo era solo uno schifoso gioco per far finta di essere una persona normale!” la sua voce si abbassò, fino a tornare ad essere un roco sussurro. “Che razza di persona sei, Hanabi?”

La kunoichi non disse nulla, anche perché non esistevano parole capaci di poter replicare alle accuse del Sarutobi. Ci aveva creduto all'inizio, ma con il tempo aveva compreso come per lei e Konohamaru non ci fosse alcun futuro. Eppure, i momenti trascorsi assieme erano stati così dolci da farla cadere nella tentazione di crederci a quel sogno, solo per svegliarsi bruscamente in un mondo grigio e cupo, schiacciata sotto il peso di troppi morti.

Naruto aveva ragione... non avrei dovuto lasciare questa cosa in sospeso. Ammetterlo non le diede alcuna gioia, riempiendole la bocca di un sapore amaro, quasi avesse ingoiato cenere.

Vide Konohamaru attendere una sua risposta con fare trepidante, quasi disperato, nel vano tentativo di scacciare quell'orrenda realtà che si era impossessata di loro, trascinandoli in un baratro di sofferenza e solitudine.

“Non sono il genere di persona che pensavi.” mormorò infine la Hyuga. “Mi dispiace, credimi. Anche io desideravo un futuro diverso per noi, ma...”

“Ma cosa?”

Hanabi deglutì a vuoto, percependo le prime lacrime premere sotto la palpebra. Le scacciò con forza, rifiutandole con odio. Aveva sempre detestato piangere e non avrebbe ceduto proprio in quell'istante.

“È meglio chiuderla qui, Saru...” le parole le morirono in gola, costringendola a dirigersi verso il salotto, dove recuperò il proprio mantello. “Io... non sono la persona giusta per te.”

Uscì, decisa a mettere più metri possibili dall'uomo che amava, da colui che per anni era stato la sua speranza di diventare una persona normale, di poter assaggiare quella quotidianità a lungo agognata. Lo fece con passo pesante, mordendosi a sangue il labbro inferiore, mentre secchi singhiozzi le scuotevano la gola. Eppure, nonostante tutto, si rifiutò di piangere, lasciando i propri occhi duri e ricolmi di disperazione.

È stato bello...

Konohamaru non la inseguì. Rimase immobile, a fissarla uscire dalla propria vita con sguardo impassibile, gli occhi due pozzi di magma indecifrabile. Deglutì a vuoto quando udì la porta chiudersi, sancendo, con fare tombale, la sua solitudine.

Perché Hanabi...

Andò a dormire, in stato di tranche, quasi sperasse di essere immerso in un brutto sogno, che tutto quello fosse solo uno squallido incubo, capace, una volta giunto alla fine, di farlo tornare dalla donna che amava.

Eppure, quando si sdraiò sul letto a due piazze, la solitudine gli piombò addosso come un maglio, spezzando la sua resistenza in piccole schegge argentante.

Hanabi...

Un singhiozzo gli uscì dalla gola, lungo e lamentoso, portatore di tutto il suo dolore. Rimase a lungo a fissare il soffitto della propria camera, incapace di darsi pace, preda inerme dei propri incubi.

Perché?

Quella notte sognò Udon. Ne vide il volto rilassato, come mai era apparso in vita. Gli sorrideva, quasi a cercare di infondergli pace, quella pace che, per quanto la cercasse, da sempre gli sfuggiva.

Amico mio.

Non fu un buon sonno. E quando infine si alzò, il viso baciato dal pallido sole invernale, percepì la propria solitudine più viva che mai, facendogli capire che Hanabi, la sua Hanabi, se ne era andata.

Per sempre.

 

 

Sakura fece un profondo respiro, maledicendosi subito dopo. L'aria gelida le era entrata nei polmoni come tante schegge di vetro, facendole patire l'inferno.

“Mamma?” in braccio, stretta contro il suo corpo magro, c'era Sarada, la quale assomigliava vagamente ad un grasso castoro, imbacuccata dentro il suo giaccone. “Ho freddo.”

“Porta pazienza, tesoro.” sussurrò la kunoichi, il fiato che le si condensava davanti alla bocca. “Tra poco siamo arrivati.”

Era lunedì mattina, e le strade di Konoha erano traboccanti di gente di tutte le età. Bambini correvano a piccoli gruppi verso l'Accademia, insensibili al freddo di gennaio, sgusciando in mezzo a solitari adulti che, sbadigliando, si dirigevano verso il posto di lavoro, l'alito ancora puzzolente di caffè.

Sakura non era abituata a muoversi a quell'ora, e lo dimostrò il fatto che più volte fu costretta ad imprecare sottovoce contro il traffico cittadino. Il lunedì era la sua giornata libera, il giorno in cui si disintossicava dagli estenuanti turni notturni del weekend. Alzarsi così presto ed uscire di casa, con gli ultimi banchi di nebbia gelida che viaggiavano sopra la sua testa, in mezzo a tutta quella folla rasentava un vero e proprio incubo, reso ancora peggiore dal peso di Sarada che le gravava sulle braccia.

Tuttavia, alla fine, quando giunse a destinazione, fu quasi tentata di tornare subito a casa, lasciandosi quella storia alle spalle.

Stupido Baka! Si morse la lingua, desiderando insultare l'amico a voce alta, ma si trattenne a causa della presenza della figlia. Colpa sua e delle sue ridicole parole!

L'edificio che aveva innanzi a sé lo conosceva piuttosto bene, visto che ci aveva vissuto per oltre sedici anni. Poi, un anno dopo la fine della Grande Guerra, Sakura aveva messo tutti i propri averi in una sacca e si era trasferita in un appartamento nei nuovi quartieri, costruiti dopo il conflitto bellico. Tuttavia, presto avrebbe dovuto cercarsi una nuova casa, dato che non era pensabile crescere una bambina in uno spazio che comprendeva poco più di tre stanze, tutto ciò che i suoi risparmi di ninja potevano acquistare all'epoca. Eppure, se si concentrava, poteva ancora rimembrare la sensazione di orgoglio che aveva provato nel possedere uno spazio proprio, da condividere solo con la persona che amava.

Sasuke-kun.

Il suo sguardo si adombrò nel ricordare Sasuke. Erano passati quasi tre anni dall'ultima volta che l'aveva visto, ed anche se sporadicamente l'Uchiha mandava sue notizie al Villaggio, queste ultime erano sempre scarne, prive di alcuna parola d'affetto verso lei o la figlia.

 

“Non posso essere un padre per lei.”

 

La sua voce le suonò limpida come la campana del tempio, mentre la trasportava lontana da quella gelida stradina di periferia, oltre i confini del Paese del Fuoco, nel luogo dove aveva visto per l'ultima volta il suo amato.

 

 

Sasuke si rimise lentamente la camicia, lo sguardo color ossidiana perso nel vuoto. Dietro di lui, intenta a cercare un abito per coprirsi, c'era Sakura, il volto ancora imporporato per gli ultimi eventi.

“Sasuke-kun...” una volta trovato qualcosa per coprirsi, la Sannin si affiancò al marito, aiutandolo a vestirsi. Provò come sempre una fitta al cuore nel vedere la manica sinistra afflosciarsi lungo il fianco del ninja, ma Sasuke non sembrava fare alcun caso alla sua infermità, comportandosi come se l'assenza del braccio sinistro fosse irrilevante.

“Devo andare.” la voce dell'Uchiha risuonò fredda, ma non gelida, nel silenzio della stanza di pietra dove si erano appartati. “Sono rimasto troppo a lungo, e Naruto avrà bisogno di me per sedare questa guerra civile.”

“Sasuke-kun...” la voce di Sakura ebbe un fremito, mentre ripensava a chi riposava nella stanza accanto. “Quando questa rivolta sarà finita... potremmo diventare... una famiglia, non trovi?”

Sasuke non rispose, infilandosi il mantello ed afferrando il fodero della katana. Pareva quasi non avesse udito le ultime parole della moglie.

“Sasuke-kun...?”

“Conosci la mia posizione.” una volta sull'uscio, il moro si voltò, fissando la moglie dritta negli occhi. “A Konoha non c'è posto per uno come me.”

“Non è vero.” replicò subito la kunoichi. “A Konoha ci sarà sempre posto per un uomo che ha deciso di fare ammenda dei propri errori, e tu lo sai!”

“Non mentire a te stessa, Sakura.” fu la secca replica di lui, gli occhi scuri piantati in quelli smeraldini della donna. “Per quello che ho compiuto... non può esserci perdono, e lo sai meglio di me.”

“Dunque è questo il tuo destino?” mormorò la donna, abbassando lo sguardo e le spalle. “Un eterno vagare, lontano da ogni affetto... lontano da tua moglie e da tua figlia?”

“Quando ho intrapreso questa strada sapevo cosa avrebbe comportato.” rispose il moro, la voce di nuovo calma. “Così come lo sapevi anche tu…”

“Ma siamo sposati ora! Questo non significa davvero nulla?”

“Essere sposati non cambia i miei sentimenti nei tuoi confronti, così come non cambia i tuoi.” Sasuke si voltò, avviandosi verso l’uscita. “L’ho fatto solo per evitare un futuro da bastarda alla piccola. Ora è un’Uchiha…” si voltò a fissare la moglie, ma il suo era uno sguardo diverso, più profondo e caldo. “Così come lo sei tu.”

In un altro momento quelle parole avrebbero fatto traboccare di gioia il cuore di Sakura, ma in quell’istante lei vedeva solo l’uomo che amava sparire per l’ennesima volta dalla sua vita, e ancora una volta lei non poteva fare nulla per impedirlo.

“Lei ti odierà.” la voce della Sannin divenne un roco sussurro. “Ti odierà, ed io non potrò fare nulla per impedirlo.” si morse il labbro inferiore, odiando quella situazione, già vista troppe volte per essere sopportabile. “E’ questo che vuoi, Uchiha Sasuke? Che tua figlia, la tua unica figlia, conosca il significato dell’odio per causa tua?”

“Deve farlo.” senza farsi notare, lo shinobi era tornato indietro, afferrando le mani della moglie con l’unica rimastagli. “Se vorrà sopravvivere a questo mondo dovrà imparare ad odiare.” Nella stanza cadde un profondo silenzio, che si protrasse fino a diventare insostenibile. “Ma confido in te che quel momento avvenga il più tardi possibile.”

“Come?”

“Io ho fiducia in te, Sakura.” la Sannin alzò gli occhi di colpo, sorprendendosi di udire quelle parole. “So che riuscirai a crescerla forte, a farla diventare una donna fiera e degna del suo sangue… e so che tutto questo la renderà migliore di me.”

“Perché dici questo?” balbettò la donna. “Tu sei un eroe di guerra, Sasuke!”

“No, io sono un criminale.” l’Uchiha non lasciò le mani della consorte, ma il suo volto si irrigidì. “Sono un uomo che ha ucciso il proprio fratello, che ha condotto una faida illegale contro la propria patria. Sarada non deve saperlo, fino a quando non sarà pronta, ma non affiderei questo compito a nessuno, neanche a Naruto.” avvicinò la fronte a quella della kunoichi, rivolgendole un flebile sorriso. “Solo a te.”

Sakura deglutì, percependo il cuore battere in modo compulsivo in un punto imprecisato del collo. Nonostante il trascorrere del tempo, ogni volta che il suo uomo le sorrideva, arrossiva come fosse la prima volta. Ino l’avrebbe presa in giro fino allo sfinimento, ma non le importava, perché in quegli istanti si sentiva bene, una sensazione quasi estranea per lei.

“Ora devi andare.” mormorò, sentendosi orgogliosa di ciò che aveva appena fatto Sasuke: le aveva dato la sua fiducia, il suo cuore e la sua discendenza. Qualcosa che valeva più di mille notti passate assieme. “Farò del mio meglio per renderla degna figlia di suo padre.”

“Non posso essere un padre per lei.” il moro si staccò, voltandosi ed uscendo dalla stanza. “Non ancora…”

 

 

Sasuke…

“Mamma?” la manina di Sarada la riportò bruscamente alla realtà, in mezzo al freddo gelido di gennaio. “Ho freddo!”

“Stai tranquilla!” la Sannin fece un profondo respiro, rischiarendosi le idee con l’aria fredda. “Siamo arrivate!”

Fece due rapidi passi, scuotendo la testa per eliminare l’ultimo ricordo che aveva del marito dalla testa. Una volta giunta innanzi alla porta fece un profondo respiro, ripetendosi mentalmente tutti i motivi che l’avevano portata a quella scelta. Infine, desiderosa più che altro ad abbandonare quel gelo infame, bussò sonoramente alla porta, decisa a chiudere quella faccenda il più rapidamente possibile.

Per lunghi secondi non accadde nulla, mentre osservava il proprio fiato condensarsi in nuvolette sempre più fiacche. Nonostante fosse ben coperta, sentiva freddo ovunque, domandandosi se fosse stata una buona idea acquistare il proprio cappotto in saldo. Infine, quando ormai era convinta che sarebbe morta surgelata come un pesce al bancone del pescatore, sentì dei passi, ai quali seguì una zaffata di calore portato dal volto arcigno di sua madre. Per la prima volta dopo dieci anni, Sakura fu felice di vedere quel cipiglio brusco.

“Sakura?” il volto di Mebuki Haruno si distese leggermente, lasciando posto ad un lieve stupore. “Cosa ci fai qui? Non ti aspettavamo!”

“Ciao… mamma.” borbottò la Sannin, le braccia ormai indolenzite dal peso della figlia. “Scusa per il mancato preavviso, ma devo parlarti.”

Per un attimo sembrò che la kunoichi più anziana non seppe cosa dire. Poi, con un gesto rapido, prese la nipote in braccio, lasciando entrare la figlia.

“Questo clima non è adatto per le chiacchiere.” fu il suo secco commento, permettendo successivamente ad un caldo sorriso di prendere posto sulla sua faccia, rivolgendosi ad una infreddolita Sarada. Il tutto mentre Sakura ringraziava mentalmente le capacità organizzative della genitrice, le quali sembravano incapaci di essere prese alla sprovvista.

Percorsero un corridoio assai familiare alla Sannin, ascoltando pigramente i vezzeggiativi con cui la madre coccolava la nipote. Quelle mura racchiudevano così tanti ricordi della sua infanzia e adolescenza che ad un certo punto venne colta da un vago senso di vertigine, rimpiangendo le giornate in cui la sua preoccupazione maggiore era la spaziosità della sua fronte.

Giunsero in cucina. Lì, avvolto da una vestaglia verde acido ed un forte odore di caffè, stava seduto Kizashi Haruno, pacifico come al solito, intento a leggere il giornale canticchiando un motivetto allegro. Sakura lo riconobbe subito come quello della colazione. Suo padre adorava cantare, ed aveva una canzone per ogni evento, a suo dire, particolarmente importante o gioioso della giornata, che spaziavano dalla colazione alla sigaretta prima di addormentarsi la sera. Nel udire le stesse note che avevano accompagnato per anni le sue mattine, le sue labbra si incurvarono in una smorfia. Odiava quelle canzoni.

“Allora? Chi era?” domandò gioiosamente il capofamiglia, svoltando pigramente una pagina del quotidiano. “Abbiamo ricevuto un invito per qualche cena importante, Tesoro?”

“Nonno!” con un balzo, Sarada saltò dalle braccia della nonna addosso al vecchio shinobi. Quest’ultimo, preso in controtempo, cadde rovinosamente al suolo, rialzandosi subito dopo con una fragorosa risata, la nipote ben stretta in braccio.

“Ma guarda un po’! Aspettavamo un invito, ed invece abbiamo ricevuto la nostra nipote preferita!”

“Ne hai solo una, papà!” borbottò Sakura, ancora troppo intirizzita per sopportare il pessimo umorismo del genitore.

“Sei troppo fredda, Sakura!” esclamò Kizashi, facendo il solletico alla nipote. “Cos’è, in ospedale non tenete il riscaldamento?” scoppiò a ridere, divertito dalla propria battuta, mentre madre e figlia preferirono chiudere lentamente gli occhi, evitando commenti.

“Piantala di restare lì impalato a ridere come un vecchio scemo!” borbottò Mebuki, andando a pulire le tazze usate per il primo pasto della giornata. “Offri del latte alla piccola! Vuoi un po’ di caffè, Sakura? Ne abbiamo ancora un goccio.”

“No… per me niente caffè.” rispose la kunoichi, ripensando con una smorfia ai litri di caffeina che ingurgitava durante i turni in ospedale. L’ennesimo difetto di una lunga lista.

Si sedette, preferendo godersi il tepore dell’ambiente prima di parlare del motivo di quella inaspettata visita. Osservò i propri genitori, trovandoli sempre i soliti. Tuttavia, dopo qualche minuto, notò dei peli bianchi tra i baffi del padre, mentre gli splendidi occhi azzurri di sua madre era contornati da un sottile intrico di rughe che, ne era sicura, era assente fino a qualche tempo prima.

“Dunque!” venne riscossa dalle sue elucubrazioni dalla voce forte del padre, il quale era intento a fissarla con occhi benevoli. “A cosa dobbiamo questa visita improvvisa? Ormai sei diventata sfuggente quanto il tuo tenebroso marito!”

“Lavoro in ospedale, papà.” sbuffò la donna, arricciandosi una ciocca di capelli rosa con l’indice sinistro. “Non è facile avere tempo libero per me.”

“Che lavoratrice ammirevole! E’ proprio vero, hai preso tutto da tua madre!”

“Smettila con le tue battute!” lo rimbeccò la moglie, sedendosi di fronte alla figlia, servendo una tazza di latte caldo alla nipote. Mentre Sarada ringraziava educatamente, le iridi pallide di Mebuki non abbandonarono per un istante il viso della figlia. Quest’ultima resse per alcuni secondi lo sguardo, ma alla fine preferì spostarli verso la piccola Uchiha.

“Ti vedo amareggiata, Sakura.” esordì improvvisamente la donna più anziana, lo sguardo cupo nel constata l’evasività della figlia. “Qual è il tuo problema?”

Ci siamo… Facendo appello al proprio autocontrollo, la Sannin smosse i muscoli facciali, dando vita ad un misero tentativo di sorridere.

“Nella mia vita non c’è niente che non va, madre.” rispose, facendo attenzione a calcare attentamente sulle parole, quasi volesse convincere se stessa prima che la genitrice, ma quest’ultima era troppo smaliziata per cascarci.

“Ne dubito.” fu la sua secca replica. “Hai un marito disperso chissà dove, una figlia da accudire, un lavoro massacrante e dei genitori che eviti come la peste.”

Nella stanza la temperatura scese di botto, lasciando spazio ad una gelida tensione. Sakura irrigidì la propria espressione, rifiutandosi di concedere il minimo appiglio alla madre, il tutto mentre Kizashi si premurava di portare Sarada lontano dalla disputa tra madre e figlia.

“Andiamo Tesoro, ora il nonno ti porta nel suo studio.” dichiarò con tono gioviale alla piccola Uchiha, soddisfatta di avere lo stomaco pieno di latte caldo. Fu solo quando il capofamiglia si chiuse la porta di cucina alle spalle che Sakura ribatté.

“E’ tipico tuo, mamma… inventarti storie dove non esistono.” incurvò le labbra in un sorriso di derisione, concentrando ogni singola goccia di determinazione che possedeva in quel gesto. “Adesso ti metti a fare sceneggiate davanti a tua nipote… il prossimo passo sarà coinvolgerla nei nostri battibecchi?”

“Io non faccio sceneggiate.” fu il brusco commento di Mebuki. “E’ forse fare una sceneggiata dire il vero? Da quando sei andata via da questa casa sei come scomparsa dalla nostra vita, ricomparendo solo quando ti faceva più comodo. Non ti sei neppure presa il disturbo di comunicarci le tue nozze ed il fatto che siamo diventati nonni… è forse una polemica?”

“Mi sono sposata lontano da qui, in piena guerra civile.” fu il gelido commento della Sannin. “Avresti preferito che ti chiedessi di attraversare un intero paese insanguinato solo per farmi le congratulazioni?”

“Sei partita che eri incinta di tre mesi, non negarlo.”

“Non lo faccio.”

“E ti sei mai chiesta cosa ne pensassi io? Di quale fosse il mio pensiero in merito?” fu il turno della kunoichi più anziana di assumere un tono più duro. “Hai preferito tenermi all’oscuro di tutto, mettendomi al corrente della situazione quando sei tornata con una bambina in braccio ed una fede al dito.”

Sakura non aprì bocca. In cuor suo, la donna sapeva che la madre aveva ragione, anche se non del tutto. Era sempre stata fredda nei confronti dei suoi parenti più stretti da quando era finita la Grande Guerra, ma questo atteggiamento non era dovuto a cattiveria o odio ma solo al bisogno spasmodico di non dipendere dagli altri. Aveva passato diciassette anni a nascondersi dietro l’ombra delle persone a lei più care e non poteva tollerare di continuare a farlo. Avere superato la propria maestra era solo una magra consolazione, se comparata a cosa aveva fatto di concreto per riportare Sasuke al Villaggio.

“Hai ragione.” ammise all’improvviso, sorprendendo se stessa quasi quanto la madre. “Vi ho tagliati fuori dalla mia vita. Non ci sono scuse per questo, anche se…” fece un profondo sospiro, scuotendo i capelli rosati, tratto ereditato dal padre. “Vorrei che tu capissi che non l’ho fatto per una ripicca nei vostri confronti o chissà cos’altro! Io… volevo solo prendere in mano la mia vita… una volta per tutte.”

Nella cucina calò il silenzio. Sua madre non aveva ingentilito i propri tratti innanzi a quell’ammissione, né Sakura si aspettava altro. Conosceva bene la propria genitrice, e sapeva che non era incline ad un rapido perdono.

“Ti daremo una mano con la bambina.”

“Cosa?” la Sannin rimase sorpresa da quella frase. Si era aspettata chissà quali rimbrotti o taglienti commenti che rimase letteralmente a bocca aperta, facendo sorridere sua madre Mebuki.

“Pensavi che non me l’aspettassi? Ci hai messo un po’ di più di quanto prevedessi, ma alla fine hai deciso di fare la cosa giusta.” il volto dell’anziana kunoichi si ingentilì per la prima volta da quando quella discussione era iniziata. “Hai capito cosa significhi essere un genitore responsabile, Sakura, e ne sono felice. Ora so che mia nipote è in buone mani.”

Essere responsabili. Era quello dunque il significato reale, concreto, di quella parola? Sakura si era sempre definita una donna responsabile, a differenza di due folli senza cervello come Naruto e Sasuke, ma improvvisamente si rese conto di non esserlo stata nei confronti di sua figlia, preferendo il suo orgoglio al futuro di Sarada.

Sono stata un’idiota!

“Io…” le mancarono le parole. Si rese conto di avere ancora molto da imparare da sua madre nonostante tutto. Poteva anche essere una Sannin, ma ciò non le aveva impedito di cadere preda dell’orgoglio e della superbia, convinta di non dover più necessitare dell’aiuto degli altri.

“Non scusarti.” fu il secco commento di Mebuki. “Capisco ed accetto, ma evita di balbettarmi addosso schiocche parole.”

Non lo fece. Si limitò ad alzarsi, inchinandosi rispettosamente davanti alla madre, la quale sembrò lievemente imbarazzata da quella manifestazione di profondo rispetto.

Sasuke le aveva dato un compito prima di ripartire. Le aveva chiesto di prendersi cura di Sarada, loro figlia, la cosa più preziosa che possedessero. Si rese conto solo allora, mentre si immergeva nuovamente nel gelido vento di gennaio quanto fosse veramente difficile quel compito. Non si spaventò, ma giurò a sé stessa che mai più avrebbe anteposto il proprio bene a quello di sua figlia, anche a costo di rimetterci la sua stessa vita.

Costerà sacrifici… forse più di quanti possa sopportarne… si strinse meglio la sciarpa al volto, sorridendo sotto lo spesso strato di lana. Ma non importa. L’importante è che Sarada cresca bene, diventando l’orgoglio del suo clan!

Forse era quello essere un genitore responsabile. Mettere tutto se stessa affinché la propria figlia intraprendesse il suo cammino, qualunque esso fosse, e sorreggerla fino a quando non fosse pronta a prendere la propria vita tra le mani.

Non sentì il freddo mentre tornava a casa. Si sentiva leggera dopo tanto, troppo, tempo, canticchiando uno dei motivetti di suo padre che tanto aveva detestato in passato.

Quando Sasuke sarebbe tornato, sarebbe diventato padre di una splendida figlia, ne era sicura, una figlia di cui un Uchiha sarebbe andato orgoglioso.

Te l’ho promesso: non deluderò la tua fiducia.

E così sarebbe stato.

 

 

Angolo dell’Autore:

 

 

Ehm… salve!

Allora, so benissimo che sono ormai quasi due mesi che non mi faccio vivo, MA ho avuto delle buone giustificazioni per questo. Come ad esempio un pc in riparazione (che grazie alle vacanze se lo sono tenuti oltre un mese, maledetti…), una sessione d’esami da incubo (e che non è ancora finita… grazie sciopero dei professori universitari), ed un lavoro di ricerca sulla tesi che definire estenuante sarebbe un vergognoso eufemismo (dovrò anch’io laurearmi un giorno, no?)

Vi domanderete perché diavolo pubblico ora, in piena sessione? Perché l’ultimo esame sarà tra 20 giorni, e siccome questo capitolo è ormai due mesi che me lo trascino, a spizzichi e bocconi, ho deciso di mettermici su seriamente e chiuderlo una buona volta. Non saranno due ore a fare la differenza… spero.

Bene, ma passiamo al capitolo che è più interessante.

Innanzitutto, chiarisco subito perché ho lasciato in disparte Naruto ed Hinata, con gravidanza di quest’ultima compresa. Innanzitutto volevo evitare di essere ripetitivo, visto che di gravidanze e ho già parlato a iosa, e secondo, come promesso, ho deciso di dedicarmi a qualche coppia che in passato ho escluso. Ammetto che su Sakura e Sasuke non ho descritto proprio un momento ‘romantico’ ma mi viene proprio difficile descriverli in certe cose… penso che sia dovuto al fatto che Sasuke in 700 capitoli di manga ha tenuto sempre la stessa espressione…

Su Konohamaru e Hanabi ci tornerò sopra nel prossimo capitolo. Konohamaru, in particolare, tornerà spesso in gioco nei prossimi capitoli, ma per ora evito qualsiasi anticipazione!

Bene, anche stavolta è tutto! Non ho idea se riuscirò prima della fine della sessione a pubblicare altro (anzi, quasi certamente no), ma spero che vi possa consolare che non ho abbandonato questa raccolta, e che ho tutte le intenzioni di portarla fino all’ultimo capitolo. Come sempre ricordo che recensioni e commenti, anche se negativi, sono ben accetti!

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 25
*** Atto di Fede ***


The Biggest Challenge
 

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Atto di Fede
 
 
 

Hiashi Hyuga percorse con passo lieve la strada innanzi a sé, trattenendosi dal lanciare occhiate disgustate attorno. Nugoli di grandi edifici abitativi, di cemento grezzo, lo circondavano, risultato delle politiche di costruzione del Sesto Hokage, dando vita ad un paesaggio grigio e spoglio, assai diverso dal severo, ma maestoso, quartiere del suo clan, costruito con i metodi del passato feudale del Continente. In realtà, Hiashi si era chiesto più volte come mai sua figlia avesse deciso di vivere lì, invece di tornare da lui, una volta lasciato il giovane Sarutobi, ma Hanabi era sempre stata una creatura misteriosa ai suoi occhi, forse anche più di sua sorella maggiore.

Quando giunse al luogo che gli era stato indicato, l’anziano ninja esitò per un istante, chiedendosi come fosse stato possibile che un suo familiare si riducesse a vivere in quel luogo. Era un grigio appartamento, dalla pittura giallo sporco, con oltre dieci ordini di finestre che svettavano tristemente verso il cielo. Il portone d’ingresso era provvisto di una vetrata, ma qualche vandalo l’aveva coperta con una scritta volgare. Emettendo un sospiro, Hiashi entrò, domandandosi cosa avrebbe pensato sua moglie del suo operato. Se lo chiedeva ogni giorno da quando era scomparsa, morta nel dare alla luce Hanabi, e puntualmente la risposta arrivava. Il capoclan degli Hyuga non poteva mostrare debolezza o incertezza innanzi agli altri, ma con se stesso poteva tranquillamente ammettere di non essere stato un buon genitore per le figlie.

Percorse alcune rampe di scale, odorando forti odori di disinfettanti, giungendo infine al quarto piano. Lì c’erano due porte di legno rinforzato, abbellite con scintillanti pomelli d’ottone. Per un istante Hiashi rimase indeciso su quale porta bussare, ma gli bastò leggere il nome che cercava su una delle targhette per decidersi verso quella alla sua destra.

Bussò, rimanendo alcuni secondi in attesa. Quando la porta si aprì, rimase stupito di trovarsi di fronte una ragazzina. Doveva avere al massimo sedici anni, benché i tratti ancora infantili del viso ponevano molti dubbi sulla sua reale età. Aveva lunghi capelli biondi, occhi di un azzurro chiarissimo, ed un’espressione di infantile curiosità sul volto, quasi avesse appena visto uno strano animale.

“Devi essere il papà della Sensei.” esclamò, facendosi da parte per lasciare entrare un perplesso Hiashi.

“Accomodati, intanto io vado a chiamarla, ma mi raccomando non toccare nulla!”

Si dileguò, rapida come un serpente, senza emettere il minimo rumore, lasciando Hiashi in una specie di grosso erbaio. Vasi di piante esotiche era accatastati ovunque, quasi tutte dall’aspetto malsano e trascurato. In mezzo a quell’esplosione di verde stava un tavolo traballante, ricolmo mortai, pestelli, bilance e provette. Nell’aria c’era un odore pungente e acido, come di cipolla marcia.

“Io non mi avvicinerei.” la voce di Hanabi lo distolse dalle ciotole ricolme di poltiglia verde, portando il suo sguardo su sua figlia.

La prima cosa che Hiashi notò fu che sua figlia stava bene. Il viso sembrava rilassato, e la perenne tensione che l’animava da quando era entrata negli Anbu pareva dissolta, nascosta sotto strati di felpe. Solo gli occhi mantenevano un’ombra di apprensione e nervosismo, ma era così rada che l’anziano capoclan preferì non soffermarcisi.

“Hanabi…”

“Andiamo in cucina.” la giovane Anbu rivolse le spalle al genitore, bloccando sul nascere qualsiasi saluto affettuoso. “Sei capitato nel giorno sbagliato padre, oggi Kabera sta rinnovando la propria scorta.” Hiashi collegò quel nome alla ragazzina bionda vista prima, la quale entrò nella stanza proprio nell’istante in cui padre e figlia l’abbandonavano, canticchiando un allegro motivetto.

“Posso chiederti per quale motivo convivi con questa… Kabera?”

“E’ una mia compagna.” la Hyuga rivolse al padre un’occhiata divertita. “Per quanto le apparenze ingannino, Kabera è la migliore manipolatrice di veleni di tutta Konoha. Dubito che esista una pianta di cui non conosca l’utilizzo o i possibili effetti. È divertente vivere con lei, benché bisogna sempre stare attenti a dove si mettono le mani.”

Giunsero in cucina. A differenza della stanza di prima, il nuovo ambiente era pulito in un modo quasi maniacale, e l’anziano Hyuga dubitava di poter intravedere anche il più minuscolo granello di polvere o di sporco. Sembrava quasi di essere entrati in un appartamento appena costruito.

“Allora…” Hanabi porse una sedia al genitore, iniziando a preparare del té. “Cosa ti porta a trovarmi?”

Per alcuni istanti Hiashi titubò. In cuor suo sperava di poter discutere semplicemente con sua figlia, magari cercando di capire come si sentisse dopo aver rotto con il giovane Konohamaru Sarutobi. Tuttavia, il suo senso del dovere ebbe infine la meglio sui suoi sentimenti di genitore.

Con un leggero fruscio, l’anziano Hyuga si sedette, tirando fuori una busta sigillata con il simbolo del proprio clan, deponendola sul tavolo.

Per lunghi secondi padre e figlia rimasero in silenzio, rotto solamente dal rimestare allegro di Kabera nella stanza affianco. Hanabi non staccava gli occhi di dosso dalla busta, mentre Hiashi studiava attentamente i lineamenti del viso di lei.

“Chi la manda?” fu infine la secca domanda di quest’ultima.

“Hazuba.”

L’aria nella stanza divenne subito carica di tensione. La kunoichi rimase impassibile nell’udire quel nome, ma al capoclan non sfuggì il lampo di rabbia che aveva preso a divampare nei suoi occhi.

“Cosa vuole?”

“Osi insinuare che io l’abbia letta?”

“Oh, smettila padre.” lo redarguì con tono stanco la mora. “Sappiamo entrambi che ogni mossa compiuta da quella donna malefica ti è subito riferita, quindi dimmi cosa c’è scritto e non farla troppo lunga.”

Normalmente, Hiashi si sarebbe infuriato per quel tono indisponente nei suoi confronti. Tuttavia, aveva dovuto accettare da tempo che Hanabi, pur senza mai mancargli apertamente di rispetto, non perdeva occasione per fare sfoggio della propria lingua, capace di spaccare una lastra d’acciaio solamente parlandole.

“È un invito.” spiegò, facendo un profondo respiro per contenere il rimprovero che gli aveva premuto sulle labbra. “Per un tè.”

“E da quando Hazuba Hyuga invita la sottoscritta per un tè?” il sarcasmo nella voce della kunoichi era lampante. “Non ho mai fatto mistero di disprezzarla.”

L’anziano ninja chiuse per un istante gli occhi, ripensando a tutto ciò che quel nome significava per lui. Gli anni potevano passare, ma il nome di Hazuba Hyuga era ancora sufficientemente temuto da ogni membro del suo clan che possedesse un minimo di buonsenso, il che ovviamente escludeva sua figlia minore.

“Ritengo che ciò abbia a che fare con tua sorella.” osservò con voce fredda e bassa. “Hinata sta male, e neanche la Sannin Sakura Uchiha ha potuto darmi certezze a proposito di un buon esito della gravidanza.”

Hanabi fece un brusco cenno d’assenso, ritendendo sensato il ragionamento del genitore. Le ultime settimane di gravidanza erano diventate un vero tormento per sua sorella, che ormai era alla fine dell’ottavo mese. Per precauzione, Sakura aveva deciso di ricoverarla fino alla fine della gravidanza, in modo da tenerla sotto controllo, ma cosa di preciso stesse mettendo a rischio sia la vita della madre che della bambina ancora in grembo era un mistero. La Sannin non l’aveva rivelato a nessuno a parte Naruto, e quest’ultimo passava tutto il suo tempo a fare la spola tra l’ospedale e l’ufficio. Aveva addirittura affidato Boruto a Hiashi, chiedendogli di tenerlo all’oscuro di quella storia. Il piccolo Uzumaki avrebbe compiuto tre anni tra un paio di mesi, ed era ancora decisamente troppo irruento ed infantile per vedere sua madre febbricitante delirare su un letto d’ospedale.

Hanabi rivolse un’occhiata cupa alla busta di fronte a lei. Sembrava quasi irradiare malvagità, proprio come la sua autrice. Non erano state semplici le ultime settimane, tra la vita di Hinata appesa ad un filo e il suo tentativo di raccogliere i cocci della sua esistenza, ormai priva di Konohamaru. I primi giorni senza di lui erano stati duri, ma Kabera le era stata affianco continuamente, come la più fedele delle amiche. Gli mancava ancora molto, ma ormai le giornate trascorse sul divano a deprimersi e mangiare gelato erano definitivamente alle spalle.

Ed ora, proprio quando sembrava essere riuscita ad iniziare una nuova esistenza, interamente dedicata agli Anbu, Hazuba Hyuga chiedeva di vederla. Sarebbe stato quasi comico, benché la mora non ci trovasse nulla di divertente.

“Ritieni che abbia a che fare con mia sorella?” domandò, interrompendo così il flusso dei propri pensieri.

“Non vedo altre soluzioni.” replicò Hiashi. “Le ho sempre chiesto di stare alla larga da te e Hinata, ma sospetto che sogni ormai di vedermi morto, in modo da poter decidere lei il mio successore.”

“Dunque quella baldracca sta facendo quello che le riesce meglio: impicciarsi di affari che non la riguardano.” Hiashi avrebbe dovuto rimproverare quel tono dispregiativo, ma riteneva che non fosse quello il momento giusto per un ripasso su quale fosse un linguaggio appropriato. “Quando sarebbe questo tè?”

“Oggi pomeriggio. Dovrai presentarti alle cinque in punto, vestita in modo adeguato.” Hanabi inarcò un sopracciglio, chiedendosi quale fosse il vero significato dietro quella richiesta. In ogni caso, non aveva intenzione di assecondarla: che Hazuba fosse irritata o meno dal suo modo di vestire, la cosa non le interessava.

“D’accordo.” dichiarò. “Andrò da lei, ed ascolterò ciò che avrà da dirmi, benché mi immagino già di cosa si tratta.”

“E cioè?”

“Vorrà sapere se sono disposta a diventare il suo fantoccio, in modo che possa mettermi al tuo posto e governarmi da dietro come un burattinaio.” fu la spiegazione della mora, mentre buttava le foglie di infuso nel bollitore.

Hiashi accettò con un cenno del capo la tazza fumante. I successivi minuti li trascorse a rimuginare in silenzio, sorseggiando la bevanda calda, il tutto mentre Hanabi rivolgeva lo sguardo alla finestra, le iridi pallide perse tra le nuvole di una fredda mattinata di fine marzo.

“Lasciamo stare questa storia.” concluse improvvisamente l’anziano capoclan, chiedendo con un cenno del capo dell’altro tè. “Non ti vedo da quasi un mese, e sarebbe crudele dedicare questa occasione solo per simili discorsi.”

“La mia vita non è così interessante da dover essere monitorata costantemente, padre.” osservò la kunoichi, versando altro tè nella tazza del genitore. “Negli ultimi tempi le missioni di noi Anbu sono diminuite, e pertanto ci troviamo con molto tempo libero… forse addirittura troppo.”

“Ed è un bene?”

“Da una parte sì, ma dall’altra…” la mora scrollò le spalle, sedendosi di fronte al genitore. “Rimanere in ozio troppo a lungo non fa per me.”

“Eppure ho saputo che raramente hai avuto tempo per riposare in questi giorni.” osservò Hiashi, soffiando dolcemente sopra la propria bevanda. “Naruto mi ha detto che passi quasi ogni notte da Hinata.”

Hanabi non rispose, scura in volto al sentire nominare la sorella. Odiava quella situazione, ed era giunta anche ad odiare la piccola che Hinata teneva in grembo, la quale rischiava di diventare la causa della sua morte.

“Hinata è mia sorella… checché ne possa pensare Hazuba, io non abbandonerò mai mia sorella.”

“Sarà dunque questa la tua risposta alla sua richiesta di sostegno?” il capoclan avrebbe preferito smetterla di nominare quella donna, ma purtroppo sembrava che per Hanabi quell’incontro avesse priorità su tutto in quel momento.

“Farò di meglio, padre.” un sorrisetto impertinente prese vita sul viso della Hyuga, ma gli occhi rimasero freddi come ghiaccio. “Farò in modo che Hazuba Hyuga maledica il momento in cui io sono venuta al mondo.”

“Hanabi.” la voce di Hiashi divenne pesante, mentre constatava come i suoi timori peggiori si stessero avverando. “Hazuba è probabilmente la donna più pericolosa di tutta Konoha. Sono poche le persone che possono avvicinarsi a lei, e tra queste solo pochissime avrebbero la forza di sopravvivere al suo odio. Tu sei forte, Hanabi, e non faccio fatica ad ammettere che sei la più abile di tutti gli Hyuga, ma ti stai per imbarcare in una lotta dove il tuo Juken sarà inutile.”

“Cosa dovrei fare?” chiese la mora. “Chinare la testa al suo volere? Osservarla mentre tenta di distruggere le persone che amo?”

“Ti chiedo solamente di essere prudente. Ascoltala, prendi tempo, non offenderla od impegnarti in alcun modo. Hazuba potrà essere anche più vecchia di me, ma la sua influenza sul nostro clan è ancora molto forte, e sospetto che l’abbia estesa anche su molti altri clan in questi anni di pace sonnacchiosa.”

La giovane kunoichi scosse la testa.

“E’ un serpente, padre. Lo è sempre stato. Se la lasci in pace, lei continuerà a deporre uova ed ingrassare, soffocando con le sue spire la nostra gente. È giunto il momento che capisca che esiste uno Hyuga capace di schiacciarle la testa.”

“E quando lo capirà, farà in modo che tu muoia avvelenata, tenendo al sicuro la sua testa nella tana.” replicò gelido il genitore. “Hazuba sa già che tu rappresenti una minaccia per lei, altrimenti non ti avrebbe chiesto un incontro. Se la affronti apertamente, con parole cariche di minaccia, non farai altro che il suo gioco, perché a quel punto comprenderà da che parte stai, e studierà il modo con cui distruggerti. Ma se la lasci nell’incertezza… lei non potrà fare altro che aspettare, lasciando a noi l’iniziativa.”

“Noi?”

“Non credere di essere stata l’unica a combattere in questi anni di pace.” spiegò con tono brusco Hiashi. “Mentre tu eliminavi i nemici di Konoha, io ho dovuto lottare strenuamente per non perdere la fiducia della mia gente. Avrei desiderato che Hinata mi affiancasse in questa lotta, ma le sue due gravidanze mi hanno fatto optare per lasciarla fuori da questa storia, uno sbaglio che rimpiango amaramente. Ora sono vecchio, la mia erede sta lottando contro la morte in un letto d’ospedale, ed Hazuba si sta preparando per una trionfale entrata in scena.” l’anziano Hyuga afferrò una mano della figlia, fissandola dritta negli occhi. “L’unico ostacolo che le rimane da abbattere sei tu, Hanabi. Sei tu l’unica cosa che le impedisce di distruggere tutto quello che ho creato assieme al Quinto e Sesto Hokage in questi lunghi anni.”

“Io sono un Anbu.” replicò la kunoichi, a disagio sotto quello sguardo. “Non ho più alcun potere all’interno del clan dall’età di quindici anni.”

“Eppure sei una Hyuga, sei una guerriera e sei temuta e rispettata da tutti all’interno del nostro clan.” la stretta di Hiashi si fece più forte sul suo polso. “Se tu appoggerai e combatterai per Hinata, la nostra gente seguirà tua sorella e non Hazuba. Nessuno oserebbe mettersi contro di te, non contro il capitano degli Anbu, Hanabi Hyuga.”

La ragazza esitò. Era sempre stato quello il problema fondamentale del suo ingresso negli Anbu. Non era più una Hyuga, ma allo stesso tempo era fondamentale che non abbandonasse sua sorella e suo padre, per impedire che la loro vita fosse messa in pericolo da vecchi ambiziosi come Hazuba.

“Tenterò di mantenere il controllo.” capitolò, capendo quali fossero le preoccupazioni del padre. Hiashi sapeva di star scrivendo le ultime pagine della sua vita, e tutto quello che desiderava era lasciare un clan unito e compatto sotto il controllo delle sue figlie. Aveva dedicato ogni sforzo degli ultimi anni alla realizzazione di quel sogno, ed era indispensabile che Hanabi ne facesse parte. Senza di lei, avrebbero perso tutto, forse la loro stessa vita.

“Me lo prometti?” nella voce dell’anziano capoclan si poteva percepire una nota di sollievo nel sentire finalmente la figlia parlare in modo ragionevole, ma i suoi timori riaffiorarono quando la vide sfoderare il suo classico sorrisetto.

“Avanti padre…” lo redarguì. “Credi veramente che non sia capace di incontrare la mia cara nonnina e mantenere l’autocontrollo?”

Hiashi non disse nulla, limitandosi a pregare dentro di sé i suoi antenati di donare parte della loro saggezza a sua figlia, in vista di quell’incontro con la donna che aveva smesso da tempo di chiamare madre.

Mi auguro che tu abbia ragione, figlia mia.

 

 

Con uno sbuffo, Moegi terminò il proprio resoconto, sistemandosi una ciocca di capelli castani con un gesto stizzito. Odiava redigere quei noiosissimi riassunti al termine di una missione, ma in quanto Jonin, e Sensei, era suo preciso dovere farlo il prima possibile, in modo che l’Hokage, o più probabilmente i suoi assistenti, avessero una memoria scritta di quella missione da cui attingere in casi di necessità.

Sinceramente, la kunoichi dubitava che un resoconto di una missione di livello D potesse essere particolarmente utile. Per quanto trovasse stimolante il proprio ruolo di insegnante, certe volte si faceva prendere dallo sconforto nel vedere la goffaggine dei propri allievi, tutti ancora Genin nonostante fosse già trascorso un anno da quando erano usciti dall’Accademia. In linea di principio non era un male, ma il fatto che si reputassero già dei provetti ninja rendeva il tutto molto più difficile, costringendola a ripetuti tentativi di autocontrollo per non prenderli a calci tutto il giorno.

Noi alla loro età non eravamo così arroganti… pensò con un sospiro, mordicchiando la cima della propria penna. A parte forse quel Baka di Konohamaru.

Quasi l’avesse sentita, l’amico mugugno qualcosa di indefinito dal letto alle sue spalle, proseguendo successivamente a ronfare con la bocca leggermente aperta, causando una smorfia di disgusto sul bel volto della kunoichi.

Ma tu guarda questo… io lo ospito, e lui mi riempie il letto di bava! Era stata dura dire di no all’amico, quando si era presentato davanti alla sua porta ubriaco fradicio, chiedendole di poter stare da lei per un po’. Tuttavia, con il passare dei giorni, Konohamaru non si era minimamente ripreso dalla fine della sua storia con Hanabi. Aveva trascorso febbraio e marzo chiuso in casa dell’amica, ignorando i propri doveri, e barricandosi in un mutismo che scompariva solo per chiederle altre patatine o una nuova vaschetta di gelato. Moegi si sentiva sinceramente dispiaciuta per l’ennesimo colpo basso che la vita aveva rifilato all’amico, ma credeva che lasciargli saccheggiare la propria dispensa, alla lunga, avrebbe servito solo a farlo diventare grasso, oltre che portarla sull’orlo di una crisi isterica.

In quell’istante, Konohamaru si rigirò nel sonno, grugnendo in modo assai poco signorile. La ragazza emise un sospiro, terminò con un elegante firma il proprio resoconto sull’ultima missione, aspettò che l’inchiostro si asciugasse, chiuse il messaggio, ripose la penna ed andò a svegliare l’amico con un violento calcio nel fondoschiena.

“Cosa diavolo…” il Sarutobi si ritrovò sdraiato sul pavimento, con il sedere in fiamme, ed un pessimo mal di testa dovuto alla sbornia della sera prima. Emettendo un gemito penoso, l’onorevole nipote del Terzo Hokage provò ad alzarsi, fallendo miseramente nel suo tentativo.

“Ben svegliato.” lo salutò con voce soave Moegi, andando a riporre i propri strumenti. “Vai a lavarti e vedi di prepararti qualcosa da mangiare, visto che sono ormai le tre del pomeriggio e di sicuro non mi metto a cucinare a quest’ora.”

“Moegi… cosa cazzo mi svegli con un calcio in culo?!” ringhiò l’amico, riuscendo ad alzarsi al secondo tentativo, anche se fu costretto subito a sedersi a causa delle vertigini.

“Ti conviene risparmiare il fiato.” borbottò la Jonin, chiudendo l’astuccio con un colpo secco. “Altrimenti la prossima volta il calcio te lo tiro sulle palle.”

Konohamaru emise un profondo sospiro, mentre aspettava che la stanza smettesse di girargli attorno. Quando fu abbastanza sicuro del proprio equilibrio, il Sarutobi provò ad alzarsi, fallendo però miseramente. Tuttavia, un istante prima che ricadesse al suolo, Moegi lo afferrò, tirandolo su bruscamente e ributtandolo sul letto sfatto.

“Grazie.” biascicò il moro, passandosi una mano sui capelli ritti.

“Quanto pensi di andare avanti con questa storia?” gli chiese a denti stretti la ragazza, squadrandolo con severità.

“Dammi dieci minuti e riuscirò a finire dentro la doccia.”

“Sai di cosa sto parlando, Konohamaru.”

Già, lo sapeva fin troppo bene.

La verità era che Konohamaru si rifiutava di accettare la realtà. Non era uno stupido, sapeva che le storie potevano finire, e che moltissime persone si innamoravano più volte nella propria vita. La stessa Moegi aveva già cambiato tre fidanzati, e viveva senza alcun rimorso quei fallimenti perché era naturale che una storia potesse non funzionare. Eppure, lui non riusciva ad accettare che anche Hanabi l’avesse lasciato solo, dopo tutte quelle volte in cui lei gli aveva promesso di non abbandonarlo mai. Si sentiva tradito, specie perché non riusciva a comprendere dove avesse sbagliato con lei, quale fosse stato il suo errore in tutta quella storia. Era sempre stato convinto delle proprie capacità, Konohamaru, sempre sicuro di cosa dover fare della propria vita, tranne che in quel caso, dove Hanabi l’aveva prima cullato in un mare di bugie e poi colpito alle spalle a tradimento.

Moegi rimase ferma a fissare l’amico depresso per alcuni minuti, mentre la sua mente lavorava a tutto regime. Se voleva riavere il suo migliore amico, e la propria casa, doveva trovare lei il modo di risollevare l’umore di Konohamaru, visto che quest’ultimo sembrava incapace di fare qualsiasi cosa ormai, a parte bere alcolici e mangiare schifezze.

E l’idea venne improvvisa, proprio mentre il suo sguardo cadeva sul rapporto che doveva consegnare quello stesso pomeriggio.

“Avanti, alzati e fila in doccia!” esclamò bruscamente, sollevando di peso l’amico e trascinandolo in bagno, sorda alle sue proteste.

“Moegi! Si può sapere cosa diavolo stai combinando?! Lasciami, riesco ancora a camminare!”

“Lavati in fretta, e vedi di darti una sistemata. Dobbiamo andare dall’Hokage.”

“E perché mai dovrei andarci?”

Moegi si fermò di colpo, scrutando con cipiglio bellicoso l’amico, tentando di apparire il più minacciosa possibile.

“Perché, se voglio tornare ad essere padrona di casa mia, dovrò darti una mano ad uscire da questa situazione! E l’ho già trovata.” il Sarutobi la fissò con perplessità, cercando di capire se stesse dicendo la verità oppure fosse solo un modo per convincerlo ad uscire dall’apatia in cui era caduto, ma la Jonin non gli diede troppo tempo per riflettere. Con uno spintone, la ragazza lo buttò in bagno. minacciando di chiuderlo dentro se non si fosse dato una mossa.

“Ma ti sei bevuta il cervello?!”

“Se non ti dai una mossa, berrò il tuo sangue!” ringhiò la kunoichi, buttandogli addosso un asciugamano. “Quindi sbrigati!”

“Se almeno mi spiegassi cosa ti sta passando per la testa…” azzardò titubante il moro, mentre entrava in doccia, leggermente seccato che l’amica restasse lì dentro a ‘cronometrarlo’.

Moegi però, si limitò a sogghignare, sistemandosi per l’ennesima volta il ciuffo ribelle che le cadeva in fronte.

“Un modo molto carino per dare una famiglia ad Hanabi Hyuga.”

 

 

Hazuba Hyuga…

Hanabi non riusciva a togliersi quel nome dalla mente, mentre percorreva con passo lento il quartiere del suo clan, passando le tra eleganti costruzioni in legno scuro. Nonostante la bella giornata, erano poche le persone in giro, cosicché furono rade le occhiate incuriosite che ricevette. Aveva deciso di presentarsi all’incontro con sua nonna vestita da Anbu. L’armatura scintillava freddamente sotto il tiepido sole di marzo, mentre i suoi occhi, gelidi come il ghiaccio, brillavano di rabbia sotto la maschera, una rabbia che solo il familiare peso della shinobigatana sulla schiena riusciva a contenere.

Non era stata una decisione sua quella di presentarsi per quel tè vestita come se dovesse scendere in battaglia. Paradossalmente, era stata Kabera, con la sua mente contorta, a suggerirle quel vestiario. Hazuba poteva anche essere una donna infida e pericolosa, ma era bene che non si dimenticasse mai chi era sua nipote, e di cosa fosse capace.

Mentre si avvicinava al luogo dell’incontro, la mente di Hanabi venne risucchiata dai ricordi. Non possedeva neanche uno di piacevole a riguardo di sua nonna, una donna severa e distaccata, che l’aveva trattata con freddezza fin da quando era piccola. Freddezza che, nei confronti di Hinata e Neji, si era tramutata in puro disprezzo, a tal punto che l’anziana kunoichi si era pura rifiutata di presenziare al funerale del nipote, dichiarando che un membro della casata cadetta non fosse degno neanche da morto di un simile onore. Da allora, l’odio di Hanabi nei suoi confronti era cresciuto a dismisura. La riteneva una donna avida di potere in modo sfacciato, un’intrigante senza alcuno scrupolo, ancorata con le unghie alle vecchie tradizioni, pronta a bollare qualsiasi novità come un’idiozia senza alcun futuro.

Giunse infine innanzi alla casa di lei. Era una costruzione elegante, sobria e priva di qualsiasi elemento che potesse ostentare ricchezza. Il legno scuro aveva un’aria cupa, e perfino il giardino curatissimo pareva ostile. La giovane kunoichi fece un profondo respiro, ripetendosi per la milionesima volta di mantenere la calma, indipendentemente da quello che sarebbe successo. Poi, scrollandosi le spalle per bilanciare il peso della sua fida arma, fece il suo ingresso nella tenuta, bussando con forza alla porta.

Venne ad aprirle un giovane uomo, appartenente al suo clan. Teneva i lunghi capelli scuri raccolti in una coda, mentre sulla fronte brillava sinistro il sigillo maledetto, il quale indicava che apparteneva alla casata cadetta. Nascosta dalla maschera, il volto di Hanabi si contrasse in una smorfia: solo una donna arrogante come Hazuba poteva impiegare i membri del suo stesso clan come servitori.

Venne fatta entrare senza domande, a parte la richiesta di consegnare le proprie armi e la maschera. Dopo qualche istante di esitazione, la ragazza acconsentì, sentendosi pericolosamente nuda senza shinobigatana. Successivamente, venne accompagnata dal giovane uomo lungo una serie di corridoi spartani, illuminati da severe vetrate in legno. Ogni aspetto di quell’abitazione era stato studiato per intimidire ed incutere rispetto, ma gli occhi della giovane Hyuga rimasero freddi e duri. Stava per incontrare la donna più potente e pericolosa di Konoha, e se voleva sopravvivere doveva mostrarsi sicura di sé.

Dopo circa un paio di minuti, venne introdotta al giardino interno della villa, curatissimo, al cui centro si trovava un placido laghetto. In fondo a quest’ultimo, si stagliava un fusuma scuro, su cui si stagliava nitido l’emblema degli Hyuga. Dopo aver indicato ad Hanabi quest’ultimo, il servitore si congedò con un inchino, scomparendo silenziosamente. Senza perdere ulteriore tempo, Hanabi entrò, convinta che il suo arrivo fosse già stato annunciato alla parente.

La stanza all’interno era sobria e spoglia come il resto della casa. Al centro svettava un tavolo basso, su cui erano appoggiate tre tazze. Sul lato opposto all’entrata, sedevano alla maniera tradizionale due persone, le quali, non appena la kunoichi fece il suo ingresso nell’ambiente, la studiarono con le proprie pupille chiare e fredde. La prima che riconobbe fu Hazuba. Nonostante avesse superato le ottanta primavere, l’anziana kunoichi non aveva praticamente nessuna ruga sul viso. Teneva la schiena dritta, e vestiva con abiti tradizionali, i quali nascondevano le forme del suo corpo. Hanabi aveva sentito molte storie sulla sua bellezza giovanile. Si diceva che perfino Tsunade Senju non avrebbe potuto reggere il confronto con lei in passato. Ora i capelli erano grigi, ma li teneva raccolti solo in parte, lasciandoli cadere con una morbida piega sulla sinistra. I suoi occhi chiari erano glaciali ed impenetrabili, donando un senso di disagio a chiunque le rivolgesse la parola. L’uomo alla sua destra era calvo e magro, con un’espressione cupa sul volto. La giovane kunoichi lo identificò come Himori Hyuga, uno dei più fidati consiglieri di Hazuba. Non era anziano, ma innanzi alla forza di volontà che emanava sua nonna, Himori appariva come un vecchio decrepito.

“Siediti.” Hazuba parlò seccamente, con il tono di chi è abituato ad imporre agli altri la propria volontà. Studiò rapidamente la figura della nipote mentre le obbediva, ma sul suo viso non trasparì alcun segno di disappunto per l’armatura degli Anbu. Se non fosse stato per lo sguardo glaciale, si sarebbe potuto definire un bel volto quello dell’anziana Hyuga. Aveva le labbra ben definite, seppure strette in una piega inespressiva, un naso grazioso e lineamenti che, in passato, dovevano aver fatto girare la testa a più di un uomo. Hanabi rimaneva sempre sorpresa di come sua nonna fosse capace di nascondere l’avanzare dell’età. Aveva più di ottant’anni, ma esteriormente ne dimostrava almeno venti di meno, se non di più.

“Ti trovo bene, Hanabi-sama.” esordì Himori, con voce greve, ma la mora lo ignorò, continuando a fissare Hazuba, la quale ricambiò lo sguardo con occhi da serpente.

“Ho saputo che la tua storia con Konohamaru Sarutobi ha avuto fine.” dichiarò quest’ultima. “Me ne congratulo. Quel ragazzo ha nobili natali, ma all’interno del suo clan non ha potere, essendo i suoi parenti prossimi ormai defunti. Mescolare il nostro sangue con il suo sarebbe stato stupido.”

“Qual è il motivo di questa convocazione, nonna?” domandò Hanabi, ignorando volutamente l’accenno all’ex fidanzato.

Hazuba non rispose, limitandosi a fare un cenno. Immediatamente, dalle ombre della sala comparvero due giovani ragazze, entrambe appartenenti alla casata cadetta, le quali riempirono in religioso silenzio le tre tazze sul tavolo di infuso bollente.

“Questo infuso è molto forte.” osservò l’anziana donna con tono annoiato, quasi fosse costretta a discutere di argomenti così futili e banali. “Ti consiglio di berlo il prima possibile.”

Hanabi non sfiorò la propria tazza. Fin da quando si era seduta, non aveva spostato gli occhi da quelli di sua nonna, il volto freddo e duro come quello di quest’ultima.

“Qual è il motivo di questa convocazione?” ripeté con voce leggermente più aspra.

L’anziana kunoichi irrigidì lievemente i lineamenti del viso. Successivamente, senza dire una parola, estrasse una busta e la spinse verso la nipote.

“Devi firmarla.”

“Cosa contiene?”

“Una tua richiesta di congedo permanente dall’ordine degli Anbu.” le parole uscirono pesanti come piombo dalle labbra di Hazuba, facendo calare una profonda tensione all’interno della stanza. “Una volta firmata la porterai all’Hokage. In questo modo, avrai finalmente modo di adempiere al tuo dovere nei confronti del tuo clan.”

Hanabi abbassò lo sguardo per un istante verso la busta, senza sfiorarla neanche con un dito. Stranamente, si sentiva sollevata. Stava accadendo esattamente quello che aveva previsto quella mattina con suo padre.

“No.” rispose, scuotendo la testa. “Non ho interesse ad abbandonare gli Anbu.”

“Qui non si tratta degli interessi di una singola persona, ma di ciò che è giusto per la nostra famiglia.” replicò Hazuba. “Quando tuo padre morirà, avremo bisogno di un nuovo capo, e la figura più adatta sei tu, Hanabi.”

“Abbiamo già un’erede, se non erro.”

“Tua sorella è in punto di morte, quindi la questione non si discute.”

“E se sopravvisse al parto? Cosa farò, tornerò negli Anbu?” la provocazione nelle parole della mora era palese, ma l’anziana kunoichi decise di prendere la questione di petto.

“Tua sorella Hinata non è un candidato adatto.” osservò bruscamente. “Se tuo padre avesse il cuore meno tenero, avrebbe capito da molto tempo che l’idea di lasciare la nostra famiglia nelle mani di quella sciocca è pura follia.”

“Ma essendo mio padre capo del clan, è la sua volontà che conta, non la tua.” osservò con voce soave l’Anbu.

“Il Concilio degli Anziani esiste appunto per consigliare il capoclan, e per impedirgli di compiere sciocchezze, proprio come questa.” Hazuba si stava spazientendo, come dimostrava il suo tono di voce secco. “Hinata è una creatura sciocca, ingenua e priva di qualsiasi tipo di volontà. Mettere un clan antico e potente come il nostro nelle mani di quella debole sarebbe un disastro senza precedenti.”

“Mia sorella non è una debole.” replicò con voce bassa Hanabi. “È una donna in gamba, ed ha sposato il ninja più forte di tutto il continente.”

Hazuba rimase in silenzio per alcuni istanti. Il volto rimase inespressivo, ma i suoi occhi bruciavano di gelida collera.

“Io non permetterò che la mia gente venga guidata da una sgualdrina, capace solo di farsi sbattere da uno schifoso Jinchuuriki mezzosangue.”

Hanabi chiuse lentamente gli occhi, sentendo la collera premere con violenza per uscire. Si sentiva come un vulcano in procinto di esplodere. Comprendeva che sarebbe stato deleterio se avesse aggredito con frasi violente, o minacce, quella donna spregevole, ma quelle parole pronunciate con odio erano troppo.

Riaprì gli occhi, sfoderando il sorriso più terrificante del suo vasto repertorio, mentre le iridi chiare si contraevano come per attivare il Byakugan.

“Quando tutti voi dovrete inginocchiarvi a mia sorella, e giurarle fedeltà come nuovo capo degli Hyuga, io sarò lì, a godermi lo spettacolo.” la voce le uscì morbida e calma dalle labbra, ma sembrò colpire con la violenza di una sferzata i due anziani. “E se oserete farle del male, se anche solo oserete sfiorare lei, i suoi figli o suo marito, io vi ucciderò.” nonostante tutti gli ammonimenti di suo padre, alla fine aveva ceduto al proprio carattere impulsivo, facendo il gioco di Hazuba, la quale infatti, le sorrise con fare velenoso.

“Dunque è questa la tua decisione? Tradire la tua stessa famiglia?”

“Mia sorella è la mia famiglia.” fu la secca replica della giovane kunoichi. “Assieme a nostro padre, allo sporco Jinchuuriki di suo marito ed ai suoi figli.” si alzò, il volto pervaso dalla collera che le scorreva nelle vene, incandescente come lava. “Osa fare loro del male e te la dovrai vedere con me, Hanabi degli Anbu.”

Se ne andò a passo rapido, tracimante di rabbia, sbattendo con violenza il fusuma dietro di sé. Hazuba proseguì a fissare la tazza intonsa di fronte. Aveva smesso di sorridere, ma nei suoi freddi e chiari occhi brillava del divertimento, quasi la minaccia della nipote le causasse ilarità.

“A quanto sembra, è stato un incontro inutile.” mormorò Himori, scuotendo la lucida pelata.

“Al contrario, caro Himori.” rispose con voce vellutata l’anziana kunoichi, iniziando a sorseggiare il proprio tè. “È stato un buon investimento di tempo, seppure non eccelso.”

“Eppure quella ragazza può diventare un problema.” insistette l’altro. “È un vero peccato che non sia capace di discernere la politica dal sentimento.”

“È tutta colpa di suo padre.” fu la secca spiegazione della donna. “E’ sempre stato un debole. Avrei dovuto capirlo prima che la sua progenie avrebbe ereditato tale debolezza, anche un essere dal sangue puro come Hanabi.”

“Quindi cosa facciamo? Proseguiamo come d’accordi?”

Le labbra di Hazuba Hyuga si distesero in un morbido sorriso.

“Dì ai nostri amici di proseguire nei preparativi.” dichiarò, assaporando l’infuso caldo che le scaldava lo stomaco. “Le minacce di una sciocca ragazzina non saranno certo un problema.”

“Il Sesto potrebbe però essere un ostacolo più ostico.”

“Il Sesto Hokage non rimarrà in carica in eterno, e quando questo accadrà, noi dovremo essere pronti.” il suo sorriso divenne più marcato. “Per Konoha.”

“Per Konoha.” fu la doverosa replica del compagno, siglando così il loro patto per il futuro del villaggio.

Perché c’era solo una cosa che contava realmente, ed era il potere e come fare per ottenerlo.

 

 

Quando Hiashi vide sua figlia percorrere il corridoio d’ospedale con passo rapido, comprese subito che i suoi peggiori timori si erano avverati. Non gli fu necessario ascoltare il racconto della secondogenita per capire le conseguenze di quell’incontro. Hazuba aveva giocato con Hanabi come un marionettista gioca con le proprie creazioni, obbligando la giovane Anbu ad affrontarla a viso aperto, ovvero la peggiore delle ipotesi da lui ventilate riguardo quell’incontro.

“Sai che d’ora in avanti dovrai guardarti da lei, vero?” osservò lo shinobi. “L’hai minacciata apertamente, e non potrà ignorarti, o rischia di perdere la nomea di donna micidiale che si è costruita durante tutta la vita.”

Hanabi non rispose subito. Sapeva che suo padre aveva ragione, che era stata un’idiota a comportarsi in quel modo, ma lei non era mai stata una politica, ma una guerriera, con un proprio orgoglio. Hazuba l’aveva colpita su quel punto con forza, con il chiaro intento di provocarla, e lei non aveva resistito, perché nessun guerriero sopravvive se non è orgoglioso. Suo padre l’aveva sopravvalutata, pensando che gli anni passati a combattere dentro gli Anbu non l’avessero cambiata profondamente.

“In questo momento preferisco concentrarmi su Hinata, padre.” rispose, cercando di ostentare una sicurezza che non possedeva. “A quel serpente ci penserò quando questa storia sarà finita.”

Hiashi annuì, anche se la sua espressione non si distese. Tornò a rivolgere gli occhi alla porta di fronte a sé, al cui interno la sua primogenita lottava per la propria vita e per quella di sua figlia.

Nello stesso istante, dall’altra parte del villaggio, Naruto terminava di salire la scalinata che portava al tempio, le spalle curve sotto il peso di un’angoscia che pareva non avere fine.

Ormai non posso fare altro…

Naruto non era mai stato un uomo religioso. Credeva nel soprannaturale, ma era sempre stato fermamente convinto che il destino di ogni persona fosse saldamente nelle proprie mani, piuttosto che nelle mani di qualche antico ed irrazionale antenato. Eppure, l’Uzumaki era così disperato per le condizioni della moglie che non riusciva a restare semplicemente fermo, al suo fianco, ad osservarla combattere tra la vita e la morte. Doveva fare qualcosa, qualsiasi, altrimenti sarebbe impazzito, e pregare era rimasta l’ultima cosa che potesse fare.

Si inginocchiò innanzi alla statua raffigurante lo Spirito del Fuoco, l’entità che vigilava e proteggeva tutti gli abitanti della nazione. Sapeva che anche i suoi genitori, così come Neji, Himawari e il suo Sensei, erano parte di lui, e sperò che questo fosse sufficiente a non rendere vane le sue preghiere.

Eppure, una volta lì, non ebbe la più pallida idea di cosa dire o fare. Si sentiva la testa vuota, circondato dal silenzio del tempio. Alcuni dicevano che quell’ambiente ascetico e silenzioso fosse l’ideale per connettersi con le entità che governano il mondo spirituale, ma lo shinobi era troppo materialista per riuscire a trovare l’ispirazione con quell’atmosfera.

Eppure era l’unica cosa che gli restava da fare. Pregare affinché sua moglie e la bambina che teneva in grembo riuscissero a sopravvivere. Non chiedeva altro.

Fece un profondo sospiro, chiudendo gli occhi, e cercò di trovare le parole giuste all’interno della sua mente. Percepiva Kurama che lo osservava con una punta di fastidio, ma lo ignorò. Non era dell’umore giusto per stare agli scherzi del Bijuu.

Padre… madre… esordì timidamente. Sono riuscito finalmente ad avere una famiglia… una bellissima famiglia. Deglutì, sentendosi improvvisamente ridicolo, ma era talmente disperato che scelse di proseguire. Voi sapete quanto è bello averne una, la gioia di essere genitori… la sua mente prese a sciogliersi, dando vita ad un dibattito lungo e punteggiato con i propri genitori. Il Jinchuuriki provò a fare leva sul loro amore per lui, su quanto fosse magnifico essere dei genitori, e chiese vita e speranza per sua moglie incinta. Nonostante non ricevette altro che silenzio, Naruto non demorse, proseguendo in quella silenziosa preghiera per oltre un’ora, fino a quando comprese che non avrebbe ricevuto alcuna risposta restando lì dentro, e decise di tornare da Hinata.

Si sentiva abbattuto, vinto. Era da quando aveva ucciso Himawari che non si sentiva così impotente. Da quando, tre settimane prima, Hinata aveva cominciato ad avere febbre alta, sanguinamenti vaginali, e nausee continue, il suo mondo era andato in mille pezzi, lasciandolo stordito e distrutto, incapace di reagire. Sakura aveva prognosticato un distacco della placenta, la quale aveva causato un’infezione piuttosto grave al fisico di Hinata, già provato dalla lunga gravidanza. Da allora, era stato una lotta continua contro la febbre e le emorragie interne, tentando di mantenere in vita sia la madre che la bambina. L’inizio delle doglie sarebbe dovuto arrivare a giorni, ma fino ad allora, l’unica cosa che Sakura poteva fare era abbassare la febbre dell’amica con alcune erbe, e sperare che il fisico della Hyuga fosse sufficientemente robusto da reggere gli sforzi del parto anche da febbricitante.

Naruto…” lo shinobi poteva percepire l’alito caldo del demone scompigliargli i capelli, riempiendogli le narici di un odore penetrante. “Naruto…

“Lasciami in pace!” borbottò il biondo. Non aveva nessuna voglia di ascoltare il caratteraccio dell’amico.

“Naruto!” la voce di Kurama scosse le ossa del Jinchuuriki, facendogli battere i denti.

“Cosa vuoi? Se si tratta di qualche stupido scherzo, o di una partita di Jaanken, sappi che non ho nessuna…” la volpe lo zittì schioccando le fauci a pochi centimetri dal suo volto, causandogli un involontario brivido. Nonostante tutto, Kurama incazzato era sempre una visione terrificante.

“Tu!” la voce ringhiosa del Bijuu gli frastornò le orecchie, costringendolo ad indietreggiare. Si chiese cosa diavolo passasse per la testa del Kyuubi, visto che non ricordava motivi per i quali dovesse essere furibondo, ma quando un gigantesco occhio scarlatto della volpe gli si avvicinò, smise di pensare, intimidito da quella pupilla ribollente di collera.

“Mi hai davvero seccato con le tue lagne, schifoso poppante!” ringhiò Kurama, i canini che scintillavano minacciosi. “O la pianti di piangerti addosso, e decidi di intervenire, oppure lo farò io! E ti assicuro che i miei metodi sono piuttosto drastici e radicali!”

“E che cosa dovrei fare?” ribatté lo shinobi. “Non posso fare nulla per Hinata. Lo sai bene che in campo medico le mie conoscenze sono nulle.”

“Non si tratta di jutsu o altre idiozie simili.” la voce del Bijuu parve acquietarsi, ma il suo occhio era ancora ardente di rabbia. “Vai da tuo figlio, portalo da lei, invece di borbottare idiozie senza senso ad uno stupido idolo. Non hai bisogno di chiedere aiuto a qualche spirito morto da anni, perché l’unico aiuto che potrai ricevere sarà solo quello dei vivi. Quindi smettila di piangerti addosso e muovi il culo, moccioso!”

Naruto rimase in silenzio, immobile, il volto di pietra. Kurama cercò di scrutare il volto del proprio Jinchuuriki, alla ricerca di un segno che le sue parole erano riuscite a smuoverlo, ma il biondo continuò a rimanere impenetrabile al suo sguardo.

Poi, improvvisamente, volse le spalle all’amico, mentre iniziava ad incamminarsi verso una destinazione che il demone conosceva molto bene.

E ben nascosto allo sguardo dello shinobi, Kurama sorrise.

 

 

Passarono parecchie ore dall’inizio delle contrazioni prima che Naruto si facesse vivo in ospedale portando, con somma sorpresa di Hiashi e Hanabi, Boruto con sé. Il piccolo Uzumaki sembrava spaventato, ma perfettamente lucido. Aveva passato le ultime ore in compagnia di suo padre, che si era finalmente deciso, pur con molti giri di parole, a spiegargli per quale motivo sua mamma non poteva ancora uscire dall’ospedale. Ed ora, dopo aver trascorso molte notti a desiderarlo, avrebbe potuto finalmente rivederla.

Vide suo padre discutere con il nonno e la zia. Apparentemente, sembravano pesantemente arrabbiati, anche se, stranamente, l’obbiettivo della loro furia non era lui a causa di qualche marachella, ma il suo papà.

“Si può sapere cosa diavolo ti è saltato in mente, Baka?!” ringhiò Hanabi, le iridi chiari lampeggianti di rabbia. “E’ un bambino, idiota! Questo è l’ultimo posto dove dovrebbe stare!”

“Silenzio, Hanabi!” la rimproverò il padre con voce dura. “Contieni quella lingua almeno davanti a mio nipote!” la ragazza si morse le labbra, ma fulminò il cognato con un’occhiata che, se avesse avuto il potere di lanciare fiamme, l’avrebbe già incenerito.

“Boruto non è uno stupido.” rispose con tono pacato, ma fermo, l’Uzumaki. “Ha tutto il diritto di sapere cosa sta succedendo.”

Hanabi non sembrava convinta, ma Hiashi le mise una mano sulla spalla, facendole capire che in quel momento sarebbe stato inutile continuare a lamentarsi.

“Come sta andando?” chiese successivamente Naruto, una volta accertatosi che la cognata non avrebbe tentato di ucciderlo.

Hiashi fece per rispondere quando, improvvisamente, da dentro la stanza giunse un urlo disumano, qualcosa che non poteva essere uscito dalle labbra di una persona. Successivamente, udirono Sakura imprecare sonoramente.

“Merda, la perdita non si arresta! Kurenai-Sensei, mi porti quelle garze, subito!” Naruto non sentì la risposta della Yuhi, sommersa dall’ennesimo strillo di dolore della moglie.

“Non dovremmo…” fece cenno di entrare, ma il capoclan degli Hyuga lo fermò, scuotendo la testa. Sakura era stata tassativa, dichiarando che nessuno doveva entrare fino a quando non l’avesse detto lei.

“Chi è che fa tutto quel rumore?” chiese Boruto, fissando il padre. “È la mamma?”

Naruto fece un profondo respiro prima di rispondere. Poi, appellandosi a tutto il suo autocontrollo, si rivolse al figlio con un sorriso.

“No, la mamma ora… sta riposando.” dichiarò, prendendo per mano il piccolo e portandolo verso l’ingresso, con l’intento di comprargli un dolcetto ai distributori. “Ti ho mai detto di quella volta che la mamma ed io…”

“Non avrebbe dovuto portarlo.” fu il secco commento di Hanabi, una volta visto padre e figlio svoltare l’angolo. “Boruto non dovrebbe sentire la propria madre singhiozzare ed invocare la morte.”

“Tuttavia, non mi sento di biasimarlo.” fu la replica del genitore. “Naruto avrà pensato che in questo momento, l’unica cosa che può fare è restare affianco al figlio, ed è ciò che sta facendo.” rivolse un’occhiata penetrante alla figlia. “C’è ancora dentro di te un minimo di rispetto per ciò che è sacro a questo mondo?”

“Sai benissimo che la risposta è no.”

“Beh, prega lo stesso.” Hiashi rivolse i propri occhi alla porta dietro la quale la sua primogenita lottava ad un passo dalla morte. “Stanotte non potremo fare altro.”

 

 

Le ore passarono lente. Naruto prese a raccontare al figlio tutte le proprie avventure avvenute in gioventù al fianco di Hinata, con la speranza di riuscire a distrarlo, oltre che non pensare troppo a ciò che stava accadendo a pochi metri di distanza da lui. Boruto fu catturato inizialmente da quei racconti pieni di pericoli, sfide ed avventure, ma ben presto si stancò, chiudendo gli occhi ed appisolandosi su una seggiola, la testolina appoggiata sulle gambe del padre.

Poi, a notte fonda, quando anche lo shinobi sonnecchiava con il mento appoggiato al petto, giunse Hiashi, il quale lo svegliò bruscamente.

“C-cosa diavolo…”

“La bambina è nata.” esordì con voce brusca l’anziano capoclan. “Respira, sta bene e non è in pericolo di vita.”

Naruto emise un sospiro di sollievo enorme, mentre percepiva il proprio cuore diventare leggero come un palloncino. Probabilmente, se non fosse stato per il corpicino caldo di Boruto al suo fianco, si sarebbe messo a saltellare in giro per l’ospedale dalla gioia. Tuttavia, l’espressione seria sul volto di Hiashi interruppe bruscamente il suo entusiasmo, dando vita al tarlo di un dubbio atroce.

“Cosa è successo?” chiese a bassa voce, quasi desiderasse non conoscere la risposta.

“Hinata non è ancora fuori pericolo.” lo Hyuga tentò di tenere la propria voce salda e ferma, ma era chiaro che stava fallendo miseramente. “Ha perso molto sangue e… Sakura-hime non ha voluto dirmi di più.” con passo malfermo, Hiashi andò a sedersi affianco al genero, le mani strette sulle ginocchia, nel tentativo di fermare il tremore che lo scuoteva. “Hanabi è dentro. Hinata ha chiesto di lei.”

Naruto non disse nulla. Rimase lì, immobile, su quella seggiola di plastica maledettamente scomoda, mentre la paura e l’orrore presero a divampare dentro di lui. Chiuse gli occhi, stringendo a sé il figlio, iniziando mentalmente a pregare, con la speranza che, chiunque fosse in ascolto, potesse esaudire il suo desiderio: di non portarle via sua moglie, la cosa che, assieme ai suoi bambini, amava di più al mondo.

Non fatelo… vi scongiuro, non fatelo! 

In quegli istanti febbrili, il suo pensiero andò ad Himawari, la ragazza dolce e gentile che tanto gli aveva insegnato anni prima. Le rivolse una muta preghiera, chiedendole di salvare sua moglie e la bambina, persone senza colpa, che non meritavano di finire in quel modo i propri giorni. Pregò con tutto il fervore di cui era capace, infischiandosene di ciò che ne pensava Kurama. Gli era rimasta solo la fede, la convinzione che tutto si sarebbe aggiustato, che avrebbe riavuto la propria famiglia sana e salva.

Non giunse alcuna risposta mentre l’alba prendeva il posto della notte.

Ma non smise di pregare.

 

 

Non appena fece il suo ingresso nella stanza, l’odore di sangue, feci e sudore colpì con violenza Hanabi, la quale dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per riuscire a trattenere i conati. Vide Sakura e Shizune affannarsi a praticare jutsu medici sopra il grembo di sua sorella, la quale aveva il volto terreo e sfatto, madido di sudore, le lenzuola su cui era stesa intrise di sangue, muco e feci. In un angolo, quasi ignorata, stava Kurenai, con un fagottino piangente tra le braccia.

“Hanabi…” Hinata chiamò con un filo di voce la sorella, la quale accorse subito al capezzale. Teneva gli occhi chiusi, tastando alla cieca alla sua sinistra, alla ricerca della mano della kunoichi più giovane. La sorella l’afferrò con entrambe le mani, cercando di incitarla a resistere, che il più era ormai fatto, ma Hinata la interruppe subito.

“Hanabi…” mormorò. “Ho bisogno che tu mi prometta una cosa…”

La giovane Anbu si sentì le viscere strizzate in una gelida morsa. Posò lo sguardo sul sangue che impregnava i vestiti, le mani di Sakura e Shizune, le lenzuola, il materasso. Si chiese come fosse possibile che sua sorella riuscisse ancora a respirare, e la paura di ciò che poteva accadere gli chiuse lo stomaco in una morsa d’acciaio.

“Hanabi… sei ancora qui?”

“Sì, Sorellona.” dichiarò la mora più giovane. “Sono qui… ma non devi preoccuparti, tu guarirai! Tornerai da tuo marito e da tuo figlio.”

“Naruto-kun…” quel nome sembrò ridare un minimo di vitalità alla donna, ma successivamente contrasse le labbra in una smorfia di dolore, mentre Sakura tentava con ogni jutsu medico che conosceva per ripristinare gli organi interni danneggiati. “Lui… non voglio che mi veda ora… soffrirebbe…”

“È un Baka…” mormorò Hanabi. “Non capirebbe che ormai sei praticamente guarita!”

“Hanabi… devi promettermi una cosa…” con uno scatto che la sorprese, Hinata la portò vicino al suo viso, sussurrandole con voce flebile e rotta. “Loro saranno in pericolo… sempre… fino a quando Hazuba sarà viva.”

“Hazuba è una vecchia schifosa con un piede nella fossa.”

“Ma io potrei morire da un momento all’altro.”

“Tu non morirai!” esclamò con tono stridulo la giovane Anbu, rifiutandosi solamente di pensarlo.

“Promettimelo, Hanabi.” proseguì Hinata. “Promettimi che proteggerai i miei figli… promettimi che non permetterai mai ad Hazuba di fare loro del male.”

Hanabi non rispose. Volse lo sguardo alla piccola che Kurenai teneva in braccio, rispecchiandosi in due splendidi zaffiri, impegnati a fissarla con sguardo fin troppo serioso per un neonato. I tratti del volto però erano quelli di sua sorella. I suoi occhi divennero lucidi, mentre tentata in qualunque modo di mantenere il proprio autocontrollo.

“Promettimelo… promettimelo…”

La giovane kunoichi si morse il labbro inferiore, stringendo con rinnovato vigore la mano della sorella, la gola otturata da un orrendo nodo. Hinata sembrò capire, perché sorrise, riacquisendo colore sulle guance.

“Promettimelo…” la sua voce si spense in un soffio così tenue che per un istante la mora pensò il peggio, prima che Shizune la spingesse via.

“Ha perso conoscenza… necessita di una trasfusione immediata.” dichiarò con voce fredda, guardando la Sannin, la quale annuì.

“La trasfusione non basterà.” dichiarò, allontanandosi verso un citofono sul muro, subito sostituita dalla kunoichi mora nel proseguire il jutsu medico. “Dovrò usare il Sigillo per ripristinare i danni interni, e avrò bisogno del maggiore supporto possibile.”

Shizune annui, proseguendo nelle terapie intensive per mantenere stabile la Hyuga. Sakura chiamò una barella d’emergenza per il trasferimento in sala operatoria, oltre ad un’infermiera che si occupasse della piccola. Hanabi rimase a fissare come un’automa la sorella che veniva trasportata via rapidamente, fino a quando, con un tocco leggero, Kurenai la riscosse.

“Dobbiamo andare dagli altri.” mormorò la Jonin. Non aveva fatto storie quando le avevano tolto la bimba dalle mani, anche se il suo volto era bianco come un lenzuolo, le sue iridi scarlatte ricolme di paura. “Hanno diritto di sapere come stanno andando le cose.”

La kunoichi annuì, anche se non dichiarò nulla, neanche quando Naruto e suo padre la tempestarono di domande. Lasciò alla Yuhi il compito di placare la loro curiosità, mentre non riusciva a smettere di pensare a sua sorella, chiedendosi come avesse fatto a sapere dei piani di quell’intrigante donna, chiusa a delirare in ospedale da più di venti giorni ormai. Anche l’incontro avuto con Hazuba sembrava accaduto in un’altra vita in quegli istanti, momenti in cui si chiedeva se davvero per sua sorella fosse giunta la fine, se davvero Hazuba avrebbe avuto la strada spianata verso la conquista del loro clan.

E se ciò accadesse, i bambini sarebbero spacciati. Era facile capire il perché: ufficialmente sarebbero stati loro gli eredi in caso di morte di Hinata, e se c’era qualcosa che Hazuba disprezzava più dei membri della casata cadetta, quelli erano i mezzosangue, coloro che avevano mescolato la ‘purezza’ degli Hyuga con clan ritenuti inferiori.

La ragazza rivolse lo sguardo al cognato, il quale sembrava preda di una violenta lotta interiore. Naruto sarebbe stato capace di proteggere i suoi figli dalle grinfie di Hazuba? A livello di forza non si discuteva, ma l’Uzumaki peccava della sottigliezza di pensiero su cui fondava la propria potenza l’astuta anziana. Sarebbe stato capace di vegliare costantemente, su ogni singolo aspetto quotidiano, della vita dei suoi figli? Di dubitare di ogni dettaglio, anche il più innocuo a prima vista? Hanabi credeva di no.

Un sorriso stanco le spunto sul volto. Era fregata. Suo padre e sua sorella l’avevano riportata ad essere una Hyuga proprio nell’istante in cui aveva accettato l’idea di non esserlo più. Come avrebbe potuto continuare a restare negli Anbu dopo tutto quello che era accaduto? Le sue missioni spesso duravano mesi interi, come avrebbe fatto a proteggere i suoi nipoti lontana dal Villaggio? Dunque era quello il suo destino, abbandonare l’ordine a cui aveva votato anima e corpo negli ultimi otto anni?

Era senza vie d’uscita. E tutto questo a causa di una vecchia megera che non accettava di perdere il proprio controllo sulla loro famiglia. L’unica era che Hinata sopravvivesse, che si occupasse lei di proteggere i suoi figli e la sua famiglia, ma ne avrebbe avuto la forza? Hanabi non riteneva sua sorella una debole, ma sicuramente era troppo buona per poter agire con il giusto grado di spietatezza necessario. Hazuba non meritava alcuna pietà, ma Hinata sarebbe stata capace di resistere agli impulsi del proprio animo gentile ed altruista?

Non lo sapeva.

Sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Da qualsiasi punto la osservasse, quella situazione era un guazzabuglio tremendo, la cui soluzione al momento gli sfuggiva.

Che situazione di merda…

Le ore passarono lente, mentre la luce del mattino illuminava i loro volti stanchi. Boruto si svegliò, chiedendo subito di sua madre, ma Naruto, con tono gentile, asserì che Hinata stava venendo visitata e che bisognava avere ancora un po’ di pazienza. Subito dopo, l’Uzumaki portò il figlio alla caffetteria dell’ospedale per fare colazione, il tutto sotto lo sguardo corrucciato della cognata.

“Glielo avevo detto che non doveva portarlo.” borbottò, sentendo il sangue scorrergli acido nelle vene a causa della mancanza di sonno. “Stupido idiota.”

Hiashi non la rimproverò. Il capoclan degli Hyuga pareva profondamente immerso nei propri pensieri, il volto di pietra, indifferente ad ogni cosa che accadeva attorno a lui.

La mattina avanzò, accrescendo il cattivo umore della kunoichi. Hinata era in sala operatoria da ore ormai, e per quanto non fosse un’esperta di arti mediche, capiva che quello non era un buon segno. Ad una certa ora Kurenai chiamò Shikamaru per avere notizie della figlia, lasciando padre e figlia soli ad attendere, osservando la lancetta dei secondi dell’orologio sul muro scorrere con lentezza insopportabile. Naruto giunse poco dopo, sedendosi con il figlio affianco, il volto duro e teso come se fosse in battaglia.

Poi, quando ormai Hinata era in sala operatoria da circa cinque ore, la porta si aprì, facendo comparire Sakura. Nel vederla, Naruto sentì una mano gelida strizzargli lo stomaco, facendogli rischiare di rigettare il poco che aveva mangiato a colazione. L’Haruno sembrava invecchiata di dieci anni, il simbolo romboidale sulla fronte che scintillava come un diamante. Aveva un’espressione cupa, ed il camice verde che indossava era sporco di sangue all’inverosimile.

“Allora?” la voce di Naruto sembrò tremare mentre chiedeva quale fosse il destino di sua moglie, mentre Hanabi, Hiashi e Kurenai si alzarono di scatto, i volti tesi come se fossero in procinto di vomitare.

Sakura sospirò.

“Ora è stabile.” mormorò con voce sfinita. “Ho dovuto usare tutto il mio potere per riparare i danni che il suo fisico aveva subito; è ancora debole, ma se la caverà.”

Naruto si accasciò sulla sedia, gli occhi lucidi, sotto lo sguardo perplesso del figlio. Hiashi chiuse gli occhi in una muta preghiera di ringraziamento, mentre Kurenai trattenne a stento un singhiozzo. Solo Hanabi non reagì in alcun modo a quella notizia, chiedendosi quale sarebbe stato quindi il suo destino, ora che sua sorella aveva vinto la propria battaglia contro la morte.

“Possiamo… vederla?” chiese lo shinobi biondo, cercando di nascondere la propria commozione al figlio.

Sakura fece per rispondere quando, barcollando, fu costretta ad appoggiarsi al muro per non cadere.

“Stai bene?” chiese Hanabi, porgendogli una mano che fu rifiutata.

“Sì… niente di grave.” la voce della Sannin riacquisì tono, mentre si rialzava in piedi. “Ora Hinata sta riposando, c’è un’infermiera con lei. Tornate questo pomeriggio.” fece per andarsene, quando si ricordò di una cosa, voltandosi verso l’Uzumaki. “Intanto dovresti andare a conoscere tua figlia, Naruto.”

 

 

Pareva piccola, forse addirittura troppo, sdraiata in una delle culle del reparto maternità.

Naruto guardò con occhio meravigliato la sua secondogenita. Pareva impossibile che un essere così minuscolo avesse portato ad un passo dalla morte sua moglie. La piccola era immersa nel suo primo sonno, gli occhietti chiusi, ma ad appena un giorno di vita la somiglianza con la madre era incredibile, qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto mettere in dubbio.

“È meravigliosa.” mormorò Hiashi. Hanabi non disse nulla, limitandosi a sfiorare con l’indice la fronte della neonata, la quale si svegliò di colpo, anche se non pianse, rivolgendo i suoi occhi cerulei verso il padre, il quale, nel vedere quello sguardo così chiaro, non riuscì a non commuoversi.

Ha i suoi stessi occhi… gli sembrava di rivedere la stessa fiamma bruciare in essa, la stessa forza di volontà. Gli pareva assurdo vedere quello sguardo in un volto così simile a quello della moglie, ma ciò lo aiutò a capire quale sarebbe stato il nome della bambina, quale eredità avrebbe portato sulle spalle durante tutto il corso della sua esistenza.

“Himawari.” dichiarò con tono fermo, anche se non riuscì a trattenere le lacrime. “Il suo nome sarà Himawari.”

Gli altri non replicarono, capendo che l’Uzumaki non avrebbe mai ceduto sul quello strano nome. Solo Hanabi sembrò comprendere le reali motivazioni dietro quella scelta, poiché aggrottò le sopracciglia, ma preferì evitare una discussione in quel frangente.

“Papà…” Boruto scosse la mano sana del genitore come una corda di campana, nel tentativo di attirare la sua attenzione. “Cos’è quella cosa grinzosa?”

“È la tua sorellina.” rispose Hiashi, notando come il genero fosse incapace di spiccare parola. “E d’ora in avanti, toccherà a te prenderti cura di lei, caro il mio nipote.”

“Perché?” chiese con sincero stupore il bambino, non comprendendo per quale ragione dovesse toccare a lui occuparsi di quel fagotto. “Non può farlo la mamma?”

“Certo, la mamma lo farà.” proseguì suo nonno, mettendo una mano sulla spalla del nipote. “Ma vedi, tu sei suo fratello. Ed un bravo fratello maggiore si prende cura della propria sorellina.”

Boruto tornò a fissare la sua nuova sorellina. Non gli pareva niente di che, tutta infagottata, con quella testolina grinzosa che spuntava fuori dalle coperte. Fece un sospiro, chiedendosi se prendersi cura di lei sarebbe stato così impegnativo da impedirgli di guardare i suoi cartoni preferiti.

“Spero solo che sia simpatica.” sospirò. “Altrimenti sarà una vera noia.”

Hiashi scoppiò a ridere.

“Lo sarà, Boruto.” dichiarò, scompigliando i capelli biondi del nipote. “Vedrai che imparerai a volerle bene.” tornò anche lui a fissare la sua seconda nipote, cercando di non commuoversi come il genero, ringraziando i propri antenati per quel autentico miracolo.

Grazie.

 

 

Nello stesso istante, con uno sbadiglio, Kurama diedi un’occhiata alla nuova Uzumaki. Aveva gli stessi occhi di quel baka del suo Jinchuuriki, mentre il viso era identico a quello della mocciosa Hyuga. La volpe inclinò la testa, cercando di capire, pur fallendo miseramente, per quale motivo il suo unico amico fosse così felice di avere un’altra creatura maleodorante in casa. Onestamente, non sarebbe mai riuscito a comprendere del tutto gli essere umani. Erano troppo strani, irrazionali e sciocchi dal suo punto di vista.

Ispezionò con il proprio occhio interiore la piccola e, proprio in quell’istante, Himawari iniziò a sorridere, mostrando le nude gengive, provocando un calore insolito dentro il Bijuu.

“Tutte idiozie.” brontolò, dando le spalle a quella disgustosa visione, ed accingendosi a schiacciare il primo pisolino della giornata.

Eppure, nonostante i suoi sforzi, il terrificante Kyuubi non riuscì a dimenticare quel sorriso, così come colei che l’aveva compiuto.

Emise un sospiro.

Forse si stava davvero rammollendo.

E la cosa non gli andava neanche un po’.

“Stupidi mocciosi…”

 

 

Quando Hanabi fece il suo ingresso nell’ufficio dell’Hokage, si accorse di non essere l’unica a non aver dormito molto negli ultimi giorni. Lunghe occhiaie si stendevano sotto gli occhi attenti di Kakashi, anche se la sua espressione rilassata era la stessa di sempre.

“Hokage-sama.” dichiarò la ragazza, inginocchiandosi di fronte alla scrivania. “Quali sono i vostri ordini?”

Kakashi non rispose subito, studiando la kunoichi. Nonostante la maschera le coprisse il volto, l’albino capì come la mora apparisse spossata, quasi portasse sulle proprie spalle troppo peso. Eppure, il suo tono della voce era freddo e duro come sempre. L’orgoglio degli Hyuga scorreva puro nelle sue vene.

“Alzati pure.” esordì lo shinobi, riordinando distrattamente le proprie carte. “E togliti pure la maschera.”

Hanabi obbedì, anche se rimase perplessa da quei comandi.

“Ti ho fatta chiamare…” proseguì il Sesto, rivolgendo i propri occhi sul volto della kunoichi. “Perché devo chiederti una cosa.”

La Hyuga corrucciò le sopracciglia, vagamente perplessa da quell’esordio.

“Riguardo cosa, signore?”

Kakashi si alzò, voltandole le spalle, ed osservando Konoha stendersi sotto di lui, come un gigantesco tappeto multiforme.

“Ormai sei da otto anni negli Anbu, Hanabi.” proseguì l’Hokage. “Hai accumulato una notevole esperienza, e ritengo che tale esperienza debba essere impiegata in maniera differente rispetto a quanto hai fatto fino ad oggi.”

La ragazza rimase impassibile, anche se dentro di sé credette di capire a cosa si stesse riferendo l’Hokage: intendeva darle una nuova promozione. La cosa in sé non le dispiaceva; avrebbe dovuto fare molte più scartoffie, ma almeno non si sarebbe allontanata troppo spesso da Konoha, dove Hazuba continuava imperterrita a tessere nuove trame contro la sua famiglia.

“Pertanto, dopo aver riflettuto a lungo, ho deciso di congedarti a tempo indeterminato dagli Anbu.”

Hanabi credette di essere stata colpita da un sacco pieno di mattoni in testa. Era ovvio che doveva aver sentito male, non c’erano altre spiegazioni.

“Temo di non aver compreso, signore.” osservò con tono accondiscendente.

L’Hatake si voltò di scatto, squadrandola con occhio severo. Sembrava infastidito dal tono della ragazza, quasi lo considerasse un vecchio rimbambito.

“Ti ho appena detto che sei congedata.” rispose, tornando a sedersi. “D’ora in avanti tu sarai considerata a tutti gli effetti una semplice Jonin del nostro villaggio.”

“Cosa?!” la kunoichi era semplicemente esterrefatta. Si chiese per quale motivo venisse buttata fuori dal proprio ordine, al quale aveva dedicato anima e corpo per tutti quegli anni. “Ma perché?! Ho commesso qualche errore?!”

“Niente di tutto questo.”

“Allora io non capisco! Gli Anbu sono tutto per me, non potete buttarmi fuori!”

“Posso e lo sai benissimo.” l’Hokage prese una busta sigillata dal mucchio di carte alla sua destra, avvicinandola alla mora. “Ho deciso di farlo perché ritengo che il tuo compito all’interno dell’ordine sia concluso. Rimanerci ancora non sarebbe di alcun beneficio per nessuno, neanche per te.”

La ragazza non replicò, ma era ovvio che non fosse d’accordo.

“E quindi quale saranno i miei compiti, d’ora in avanti?” sibilò.

“Farai da insegnante alle nuove generazioni.” Kakashi non le diede tempo di replicare a quella risposta. “Nei giorni scorsi si sono tenuti gli esami finali all’Accademia, ed ora abbiamo una nuova generazione di Genin che necessitano di abili insegnanti. La tua esperienza sarà fondamentale per la loro crescita.”

Hanabi era senza parole. Lei che faceva da Sensei a dei marmocchi petulanti? Non era nuova all’insegnamento, ma un conto era addestrare le nuove reclute degli Anbu, ninja geniali con abilità fuori dal comune, un altro era dover fare da balia ad un mucchio di mocciosi arroganti, convinti che essere Genin li ritenesse automaticamente dei ninja degni di rispetto.

“Non ho nessuna intenzione di fare una cosa così…”

“La mia non è una richiesta.” la interruppe con voce gelida l’Hatake. “Il mio è un ordine, e mi aspetto che tu lo esegua.”

La kunoichi non replicò. Tuttavia, il suo sguardo stava a testimoniare che, se avesse potuto, avrebbe incenerito all’istante l’Hokage, reo di averle messo sottosopra l’esistenza nel giro di un paio di minuti.

“Prendi la lettera.” ordinò l’albino. “Lì dentro ci sono i nomi della tua nuova squadra, gli orari nei quali dovrai presenziare all’Accademia e tutte le istruzioni che il tuo nuovo ruolo richiede.”

Hanabi obbedì. Poi, senza aspettare un congedo, se ne andò, sbattendo con violenza la porta dietro di sé.

Lo shinobi sospirò, abbandonando la maschera rigida che era stato costretto ad indossare durante quel colloquio. Nonostante tutto, era convinto che quella fosse la scelta giusta per tutti. Era probabile che l’avrebbe fatta anche senza il suggerimento del giovane Sarutobi, anche se all’inizio gli era sembrata una vera idiozia.

Beh… caro Konohamaru… pensò, mentre tornava a lavorare al proprio portatile. Mi auguro che tu abbia ereditato la capacità di giudizio di tuo nonno.

Si mise per un istante a ripensare alla squadra che aveva assegnato alla Hyuga, chiedendosi se sarebbe riuscita quest’ultima a legare con i propri allievi. Poi ripensò a tutti i guai che Hazuba Hyuga stava causando, e si convinse che, allievi o meno, era indispensabile che Hanabi restasse a Konoha nei prossimi anni, pronta ad intervenire se quella donna intrigante avesse provocato qualche guaio. Una pedina così importante come lei non poteva più restare nell’ombra, nascosta sotto la maschera degli Anbu. La kunoichi l’avrebbe capito e, ne era sicuro, un giorno l’avrebbe ringraziato per quella decisione.

Chissà… magari si affezionerà pure ai quei ragazzi. Per quanto Hanabi fosse orgogliosa e cocciuta, da quel punto di vista non nutriva alcun dubbio: avrebbe amato i propri studenti, fino a farli diventare la propria famiglia e a morire per loro.

 

 

Con un gesto secco, Hanabi mise i pezzi della propria armatura nella scatola, assieme alla maschera, alla shinobigatana ed a tutto ciò che l’aveva legata agli Anbu negli ultimi otto anni.

Era furiosa. Poteva comprendere che allontanarla dagli Anbu fosse un modo per tenere a bada Hazuba, ma allo stesso tempo non capiva perché metterla a fare il Sensei di un branco di marmocchi. Era assurdo, stupido e folle pensare che avrebbe avuto la pazienza di insegnare le basi ad un branco di ragazzini con il moccio al naso. Non aveva mai avuto molta pazienza, e raramente la manteneva quando si trattava di addestrare i membri dell’Ordine. Come avrebbe fatto a mantenerla con gente piagnucolosa, arrogante ed incapace proprio non lo sapeva.

Soprattutto, anche se non l’avrebbe mai ammesso con nessuno, le dispiaceva andarsene. Con gli Anbu aveva perso la propria umanità era vero, ma aveva trovato anche un senso di famiglia che solo con suo padre ed Hinata aveva assaporato. Allenare e guidare la squadra Rho le era piaciuto, ed il pensiero di lasciare Kabera, Yugao-Sensei e tutti gli altri suoi compagni la riempì di tristezza.

In quell’istante, entrò nella sua stanza Kabera. La ragazza bionda sembrava avesse preso con gentile indifferenza la notizia che il suo Sensei se ne stava andando, dato che mantenne la propria espressione vagamente sognante.

“Coraggio Sensei.” dichiarò con tono gentile, regalandole pacche sulla spalla destra. “Dopotutto, noi continueremo a vivere assieme, no?”

Era vero, lei e Kabera avrebbero continuato a vedersi tutti i giorni, ma con gli altri suoi compagni non sarebbe successo, senza contare che non sarebbe stata più la stessa cosa.

Si alzò, afferrando il proprio scatolone, lo sguardo cupo, uscendo dalla stanza senza dire nulla. Kabera non si scompose innanzi a quel malumore, ma iniziò a canticchiare, tornandosene a preparare veleni nella sua stanza.

Stasera preparerò una buonissima cenetta a base di erbe alla Sensei… sono sicura che riacquisterà il buon umore!

A volte la vita era davvero semplice secondo Kabera. Era il motivo per cui non lo fosse anche per gli altri che le sfuggiva.

Quando giunse alla sede dell’Ordine per quella che, in teoria, era l’ultima volta, Hanabi si sentiva strana. Da una parte fu costretta ad ammettere, a mente fredda, che era una liberazione dover smettere di uccidere in nome di Konoha. Dall’altra però avrebbe odiato per sempre il Sesto di averla costretta a lasciare le vesti del guerriero per indossare quelle da balia.

Entrò a passo di marcia, avvicinandosi all’ufficio del magazzino, dove venivano ritirate le armi e le protezioni. Consegnò senza troppe cerimonie la propria roba, voltandosi subito per andarsene, quando il tipo del magazzino la richiamò.

“Capitano Hanabi… c’è stato un errore.”

Sollevando gli occhi al cielo, la kunoichi si voltò con un ringhio. Non aveva nessuna voglia di mettersi a discutere di qualche stramaledetto problema burocratico.

Tuttavia, ciò che l’uomo in maschera fece fu qualcosa di completamente diverso.

Le ridiede la sua spada.

“Il Generale Yugao ha detto che la può tenere.”

Hanabi afferrò delicatamente la sobria impugnatura, sorprendendosi di poterlo fare ancora una volta. Probabilmente, di tutti gli oggetti che avrebbe dovuto abbandonare con la sua nuova esistenza, quello era il più difficile da lasciare.

Rimase immobile per alcuni istanti, chiedendosi per quale motivo Yugao, quella donna severa e fredda, le permettesse di tenere quell’arma, qualcosa che solo un Anbu poteva portare in battaglia.

Io sarò sempre una di loro…

Forse era quello che intendeva il suo Sensei, colei che l’aveva resa la guerriera che era ora. Nonostante tutto, lei sarebbe sempre rimasta una di loro, un Anbu, un guerriero dell’ombra.

E lei non l’avrebbe mai dimenticato quell’atto di fede nei suoi confronti.

“Dica al Generale Yugao che la ringrazio profondamente.” rispose con voce ferma, stringendo al petto la sua fidata shinobigatana.

Lei era una Hyuga, ed ora era un insegnante.

Ma sarebbe sempre rimasta un Anbu. Un atto di fede splendido e meraviglioso che l’avrebbe legata, fino alla sua morte, all’Ordine dei guerrieri d’elite di Konoha.

 

 

 

Note dell’Autore:

 

 

Dunque, ed eccoci arrivati anche stavolta alla fine.

Lo ammetto, in questo capitolo ho deliberatamente ignorato Hinata, ed anche Naruto è comparso veramente poco. Il che, se consideriamo che nasce la loro secondogenita, può sembrare strano. Tuttavia, ho scelto come protagonista Hanabi per una ragione ben precisa.

Come aveva già accennato in estate, sarebbe mia intenzione dare vita ad una nuova storia a più capitoli, visto che la prima è piaciuta parecchio. In questo caso, è probabile che sia anche la storia conclusiva della raccolta. Per questo motivo, e per evitare di inserire troppi personaggi nuovi nel giro di un paio di capitoli, ho deciso di inserirli poco alla volta, evolvendo i personaggi nei capitoli precedenti in modo da adattarsi subito alla storia. Hanabi sarà, contrariamente che nella prima storia, molto importante nella seconda, ecco perché ho deciso di soffermarmi così tanto su di lei. Anche il personaggio di Hazuba avrà un ruolo importante, quindi ho deciso di introdurlo adesso, provando a spiegarne il carattere e le motivazioni che stanno alla base dei suoi comportamenti. Per dare vita a questo personaggio, mi sono ispirato un po’ a Meryl Streep nel ‘Diavolo veste Prada’, commedia che ho sempre apprezzato. Una vecchia cazzuta insomma xD affascinante e che desidera comandare ogni cosa. Ho pensato di legarla con una parentela ad Hanabi e Hinata per rendere la cosa più ‘intensa’ e sentita da parte delle due sorelle, che dovranno quindi affrontare, di fatto, la loro stessa famiglia.

Riguardo il parto di Hinata beh… mi serviva un’espediente per costringere Hanabi ad accettare l’idea di abbandonare gli Anbu, qualcosa che le impedisse di dare fuoco all’ufficio di Kakashi quando quest’ultimo le ordina di andare a fare l’insegnante ai nuovi Genin xD È anche il motivo per cui, per ora, lei e Konohamaru rimarranno ancora distanti, benché l’idea di Moegi, come si sarà capito, fosse quella di costringere Hanabi a legare con qualche ‘innocente’ ragazzino.

E a proposito, occhio ai Genin che darò ad Hanabi perché avranno anche loro un ruolo importante nella storia a più capitoli che inizierà appena avrò sistemato i 4-5 capitoli precedenti.

Bene, anche questo capitolo è arrivato alla fine. Come al solito ringrazio chiunque legga o segue questa raccolta, e ricordo che qualsiasi recensione (negativa o meno) è ben accetta.

Un saluto!

 

Giambo

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Capitolo 26
*** Croci, parte prima ***


The Biggest Challenge
 

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Croci

parte prima

 
 

La musica le rimbombava violentemente sui timpani, imponendole un ritmo frenetico al corpo. Percepiva il sangue ribollire nelle vene, carico di ormoni, mentre lo stomaco bruciava per l’alcool che continuava ad ingurgitare, creandole davanti agli occhi un vortice pieno di colori, odori e rumori.

Hanabi sentiva la testa meravigliosamente vuota. Era come se il suo cervello si fosse preso una vacanza, lasciando tutto in mano al suo istinto, guidato dall’alcool e dalle continue incitazioni di Kabera, che la spingevano a buttarsi in mezzo alla folla del locale con sempre più convinzione.

Era stata un’idea dell’Anbu bionda quella rimpatriata con la divisione Rho, la sera prima della sua nuova vita come Sensei. La cena era stata molto piacevole, ma quando l’alcool aveva abbassato a sufficienza il loro raziocino, finire invischiati in quella baraonda, in uno dei nuovi locali aperti nella periferia di Konoha, era stato un attimo. Era strano per loro comportarsi normalmente per una sera, apparire come persone qualsiasi, ma era il miglior modo per dire addio a colei che li aveva guidati ed addestrati negli ultimi tre anni.

Ma per quanto tentassero di controllarsi, fu per loro impossibile tenere a bada Hanabi. La giovane Hyuga bevve fino a star male, limonò con due ragazzi diversi e tentò di farlo anche con Kabera; litigò furiosamente con un gruppetto di giovani ninja della Nuvola in visita a Konoha e sulla strada del ritorno, appoggiata di peso sulla spalla della coinquilina, vomitò per cinque minuti ininterrotti. Quando infine si buttò a letto cadde in un sonno profondissimo, puzzolente di vomito, alcool e sudore.

La mattina dopo il risveglio fu un trauma. La sveglia suonò fin troppo presto, facendola gemere di dolore. Aveva un mal di testa orrendo, la bocca impastata e quando tentò di aprire gli occhi il mondo prese a girarle attorno, facendole montare la nausea.

“Ben svegliata, Sensei.” cinguettò Kabera. “Dovreste sbrigarvi, siete in ritardo per il vostro nuovo lavoro.”

“Si fottano quei marmocchi.” gemette la kunoichi, percependo la nausea salire sempre di più. Era come se qualcuno le strizzasse le budella dal basso, spingendo affinché le uscissero dalla bocca.

“Ti prego…” rantolò, trattenendo a stento un conato acido. “Dimmi che hai qualcosa per farmi stare in piedi.”

Mmm…” la kunoichi bionda si dondolò sui talloni, apparentemente pensierosa. “Ma se lo facessi, poi lei non imparerebbe nulla da quello che è accaduto. Non le sembra ingiusto?”

“Kabera… se non vuoi che ti riempia di vomito la casa, prepara uno stramaledetto intruglio che mi faccia sparire la nausea!” ringhiò a denti stretti la mora, nel tentativo di evitare di riempire il letto di acida bile.

Dieci minuti dopo, Kabera tornò con una tazza ricolma di una brodaglia verdastra, il cui odore ricordava il finocchio lesso. Hanabi la ingurgitò a grandi sorsate, insensibile alle vesciche che la bevanda bollente gli causò in gola. Rimase stupita nel sentire la nausea scomparire quasi subito, mentre il mal di testa si attenuava fortemente, permettendole di alzarsi con le proprie gambe.

“Purtroppo non ho potuto far bollire quanto volevo le foglie di valeriana, e inoltre…”

“Non ho intenzione di sapere cosa di preciso ho appena bevuto.” borbottò la Hyuga, chiudendosi in bagno. “Grazie mille, ma preferisco rimanere nella mia sacra ignoranza.”

Mezzora dopo, lavata e vestita, Hanabi si accingeva a compiere il primo passo della sua nuova vita. Il fatto che fosse in un ritardo mostruoso le era indifferente, così come che si fosse rifiutata di vestirsi come un normale Jonin. Benché non appartenesse formalmente più agli Anbu, lei continuava a sentirsi una di loro.

“Pronta?” Kabera fece capolino dalla porta della stanza, le iridi cerulee che fissavano con allegria la figura della Hyuga, così diversa dal solito.

Hanabi si legò il copri fronte di Konoha sul braccio sinistro con un nodo stretto, coprendo così il tatuaggio degli Anbu, odiandosi per quello che stava facendo.

“Per niente.”

 

 

Mirai Sarutobi non sapeva di preciso come sentirsi. Da quando le avevano comunicato che aveva superato gli esami finali dell’Accademia, rendendola a tutti gli effetti un ninja di Konoha, le era sembrato di vivere in un limbo, lontana dalla quotidianità che aveva scandito la sua vita negli ultimi anni.

La prima emozione che sentiva era sicuramente l’eccitazione. Da quando aveva ricevuto il proprio copri fonte due giorni prima non era più riuscita a prendere sonno. Continuava a pensare a chi sarebbe stato il suo Sensei, quali prodigiose tecniche le avrebbe insegnato e se sarebbe stata capace di portare a termine le missioni che le avrebbero assegnato d’ora in avanti. Quando rifletteva su questi argomenti, il più delle volte sopraggiungeva la paura, che le strizzava le viscere, bloccandole il respiro. Nonostante le rassicurazioni di sua madre, che continuava a ripeterle che sarebbe stato qualcosa di tranquillo e normale, Mirai continuava ad essere nervosa. D’ora in avanti sarebbe stata sotto la supervisione di un Sensei sconosciuto, diverso da tutti quelli che aveva imparato a conoscere, e a prendere in giro, durante i suoi anni all’Accademia. Una figura che avrebbe cambiato, inevitabilmente, la sua vita.

A volte provava ad immaginarselo, seppure con scarso successo. A parte sua mamma, erano pochi i ninja adulti che conosceva. C’erano suo zio Shikamaru e sua moglie Temari, così come gli zii Kiba e Shino, ma erano tutti così eccentrici che faticava ad immaginarsi qualcuno di anche solo vagamente simile a loro. Ovviamente anche i suoi vecchi maestri dell’Accademia erano dei ninja, ma erano sempre apparsi così tranquilli e pazienti che veniva difficile immaginarseli nelle vesti di pericolosi e letali guerrieri. Se si concentrava, le veniva in mente solo una figura scura, altissima, con il volto coperto, dagli occhi fiammeggianti. Era una fantasia sciocca, lo sapeva, ma la giovane Sarutobi pensava che sarebbe stato veramente figo apprendere le tecniche ninja più letali da un simile figuro.

La sera prima di conoscere il suo nuovo Sensei vennero a trovarla i suoi zii Kiba e Shino, i quali le portarono dei regali per festeggiare la sua promozione a Genin. Kiba le regalò un paio di mezziguanti in pelle, perfetti per avere una presa salda durante un combattimento. Shino aveva invece optato per una borsa da ninja nera, ricolma di rotoli di filo d’acciaio, file di shuriken lucenti e bombe fumogene, oltre ad una discreta quantità di carte bombe.

“Un vero ninja deve sempre essere provvisto di simili strumenti. Non sai mai cosa potrebbe accaderti.” dichiarò l’Aburame mentre le consegnava il tutto.

“Sono bellissimi!” esclamò la mora, abbracciando di scatto i propri zii adottivi, il tutto sotto lo sguardo divertito di Kurenai. “Grazie mille, zii!”

Nonostante fosse cresciuta senza il padre, morto prima che nascesse, Mirai non aveva sofferto l’assenza di figure maschili durante la sua infanzia. Una volta alla settimana si fermava a dormire dal suo padrino Shikamaru, che lei amava chiamare zio Shika, mentre Kiba e Shino, suo zii adottivi ed ex allievi di sua madre, l’andavano a trovare minimo due volte a settimana, se non di più, riempiendola di regali, e spesso aiutandola con i suoi esercizi. L’Inuzuka si era proposto anche di addestrarla, ma la ragazzina aveva preferito allenarsi con Temari-san. C’era qualcosa che l’attirava in quel miscuglio di autorità e sarcasmo che era la moglie del suo padrino. Nonostante fosse estremamente severa e rigida con lei, aveva imparato molto negli ultimi due anni dalla kunoichi di Suna, tra cui l’utilizzo della Futon, nella quale Temari non aveva eguali.

Nonostante questo, Mirai era profondamente legata alla figura del padre. Con il passare degli anni, tramite i racconti di sua madre e di Shikamaru, la piccola Sarutobi aveva iniziato a mitizzarlo, prendendolo come esempio del ninja perfetto. Il suo sogno era di diventare esattamente come lui: un grande ninja, rispettato da tutti, degno erede del Terzo Hokage. Per questo aveva pregato Shikamaru di allenarla all’uso delle lame di chackra, segno distintivo del genitore defunto, ma il Nara non aveva voluto sentire ragioni in merito.

“Quando sarai diventata Chuunin potremo riparlarne, non prima.” Mirai aveva tentato di insistere, chiedendo aiuto anche a Temari-san, ma sull’argomento lo shinobi delle ombre era rimasto irremovibile, resistendo perfino innanzi al cipiglio incazzato della moglie.

Così, la giovane Sarutobi si era limitata ad omaggiare il padre tutte le volte che usciva di casa, oltre a andare a trovarlo una volta alla settimana al cimitero. Tuttavia, ora che era Genin, sentiva di aver compiuto un passo fondamentale per avvicinarsi al suo obbiettivo, quasi potesse avvicinarsi a quella figura che non aveva mai potuto conoscere.

Il giorno dopo il nervosismo ritornò a farsi vivo, chiudendole lo stomaco. La sera prima Kiba e Shino avevano fatto l’impossibile per tranquillizzarla in merito alla faccenda del nuovo Sensei e perfino Akamaru aveva dato fondo a tutto il proprio repertorio di tenerezza per farla sorridere. Eppure, ora che era sul punto di conoscere colui, o colei, che l’avrebbe avvicinata al suo obbiettivo, sentiva lo stomaco contrarsi, e la paura strisciare infida dentro di lei.

“Dovresti mangiare qualcosa.” osservò sua madre, notando con occhio critico il piatto intonso lasciato dalla figlia. “Oggi sarà una giornata impegnativa, avrai bisogno di energie.”

Mirai si limitò a scuotere la testa, i corti capelli scuri che si aggrovigliavano ulteriormente. Erano anni che Kurenai tentava di regolare i capelli della figlia con il pettine, ma alla fine aveva dovuto cedere, accettando il fatto che non sarebbero mai diventati lisci ed ordinati come i suoi.

“D’accordo, niente colazione.” sospirò la Yuhi, togliendo il piatto da sotto gli occhi della giovane Sarutobi. “Almeno portati dietro qualcosa, in caso più tardi ti venga fame.”

Mirai annuì, desiderosa di uscire di casa. Sentiva che se fosse rimasta ancora un minuto seduta senza muoversi, sarebbe impazzita. Raccolse le proprie cose, si mise qualche merendina in tasca per accontentare il genitore, salutò il padre con un rapido inchino ed infine uscì, dirigendosi a passo rapido verso l’Accademia, il cuore in gola per l’eccitazione.

Tra un’ora conoscerò il mio nuovo Sensei… non le era mai parsa così breve un’ora come in quel momento.

Il percorso abituale verso l’Accademia finì fin troppo presto per i suoi gusti. Fu strano rivedersi con tutti i propri compagni di classe, nella loro vecchia aula, per quella che sarebbe stata l’ultima volta. Era probabile che il loro prossimo incontro tutti insieme sarebbe stato agli esami dei Chuunin, sei mesi dopo, rendendoli non più compagni ma rivali. Era una mutazione terribile se ci si pensava un istante, ma Mirai non poté rimuginare troppo sull’argomento. Non appena mise piede in classe, un tornado di capelli dorati le si parò di fronte, mentre due occhi celesti presero a fissarla con disprezzo.

“Dunque sei venuta!” borbottò la nuova arrivata a denti stretti. Era una bella ragazzina, nel pieno del suo sviluppo, alta e sinuosa, con le prime forme da donna che premevano da sotto la tunica viola che indossava. Aveva lunghi capelli biondi che teneva legati in una coda che le arrivava alle scapole, occhi di un azzurro chiarissimo, ed un viso dai tratti delicati e pallidi, quasi fosse fatta di porcellana.

“Sì, sono venuta.” replicò con tono altrettanto astioso Mirai. “Benché non provo alcuna gioia a dover stare in squadra con te, Aimi.”

Aimi Yogonuchi scosse la coda con fare altezzoso, squadrando dall’alto verso il basso la sua nuova compagna di team. Il disprezzo che l’una nutriva per l’altra era palpabile nell’aria ed era chiaro che nessuna di loro aveva la minima intenzione di sotterrare l’ascia da guerra che insanguinava il loro rapporto da quattro anni a questa parte. Premunendosi di urtare la rivale con una spallata, Mirai andò verso il suo banco, sentendo lo stomaco ribollire di rabbia all’idea di dover lavorare con quella smorfiosa per chissà quanto tempo.

Mirai ed Aimi erano rivali acerrime fin dal primo anno in Accademia, quando erano soltanto due bambine. Aimi proveniva da una famiglia di ricchi proprietari terrieri, i quali si erano trasferiti a Konoha dopo la Grande Guerra. Questo rendeva la ragazza bionda altezzosa, arrogante ma anche prepotente e battagliera, disposta a dimostrare al mondo la propria superiorità. Benché fosse solo la prima della famiglia che si cimentava negli studi per diventare un ninja, Aimi era convinta di avere grande talento e di essere la migliore kunoichi di tutta l’Accademia. Il contrasto con l’irrequieta e vulcanica Mirai, sempre pronta a menare le mani se necessario, era stato inevitabile, considerando anche come Mirai, benché appartenesse ad un clan antico e potente come quello dei Sarutobi, fosse cresciuta lontana dalla famiglia paterna, in un modesto appartamento assieme alla madre, il cui clan era invece di umili origini. Aimi la definiva con disprezzo una ‘nobile impoverita’ ed una volta aveva pure deriso Asuma, definendolo uno scemo a sposare una donna di umili origini, e dichiarando malignamente che la morte era stata la giusta punizione per i suoi errori. A quel punto, la Sarutobi non ci aveva visto più e le era saltata semplicemente addosso, dando vita alla migliore rissa che l’Accademia avesse mai visto dai tempi di Uzumaki Naruto e Uchiha Sasuke. Il risultato finale era stato un pareggio, ma da allora non era passato giorno che le due ragazzine non si fissassero in cagnesco, promettendosi di chiudere definitivamente, in un futuro prossimo, la questione rimasta in sospeso.

Il pensiero di dover collaborare con colei che aveva offeso suo padre, il ninja a cui si ispirava con tutta se stessa, era tremendo. Si chiese per quale motivo i loro insegnanti avessero permesso una cosa simile, dopo tutto quello che era accaduto durante il loro percorso in Accademia.

Forse vogliono farci fare pace… il pensiero fu così stomachevole che storse la bocca in un conato immaginario. Preferiva pulire il sedere per un anno di fila al suo fratellino Shikadai, piuttosto che fare pace con quella smorfiosa. La rabbia era così forte che le tornò fame, costringendola a scartare la prima merendina, che finì in modo poco signorile nella sua bocca in un sol boccone.

“Non dovresti abbuffarti in questo modo di dolciumi.” osservò una voce bassa e monotona alla sua sinistra. “È un modo sicuro per avere qualche carie.”

Ci mancava solo lui! Mirai sbuffò, impegnata ad inghiottire l’enorme pezzo di cioccolata e pan di spagna. Il proprietario della voce, un ragazzino minuto, infagottato in una giacca grigia, si limitò a sistemarsi delle lenti scure sugli occhi, preferendo non fare ulteriori commenti in merito alla dieta della compagna.

Shigeru Aburame… la Sarutobi si cacciò in bocca una seconda merendina, spostando la propria rabbia dall’arrogante Aimi al silenzioso Shigeru, il ragazzo intabarrato, il terzo elemento della sua squadra.

Shigeru non era un ragazzo antipatico, ma come tutti gli Aburame possedeva una personalità particolare. Poco disposto a dare confidenza, Shigeru era stato per anni una figura inquietante della classe di Mirai, preferendo dare la caccia agli insetti nella foresta piuttosto che socializzare con i propri compagni. La Sarutobi aveva appreso da suo zio Shino che il clan Aburame era diverso dagli altri, in quanto i suoi membri erano amanti delle foreste, e tolleravano poco la rumorosità del complesso urbano di Konoha. Tuttavia, il maleducato silenzio di Shigeru era distante anni luce dalla gentilezza e dall’amore che Shino riversava sulla nipote adottiva, la quale era incapace di comprendere come due persone appartenenti allo stesso clan potessero essere così diverse.

Aimi Yogonuchi e Shigeru Aburame. Neanche nei suoi peggiori incubi Mirai aveva pensato di fare team con i due elementi peggiori della sua classe e l’idea di dover collaborare con loro per superare l’esame dei Chuunin le appariva come una chimera. Era più facile che vedesse suo zio Shika uscire dall’ufficio in mutande, mentre cantava serenate d’amore alla moglie.

Con il sopraggiungere del primo Sensei, nell’aula venne un silenzio di tomba, ognuno con il cuore in gola nel cercare di capire chi sarebbe stato il proprio insegnante. Anche Mirai le prime volte divenne nervosa, ma con il passare del tempo, quando una alla volta tutte le squadre venivano assegnate, il nervosismo fece spazio all’irritazione. Se il proprio Sensei era una persona così ritardataria, non poteva essere niente di buono.

“Bella roba!” borbottò Aimi, quando ormai erano rimasta solo la loro squadra in un’aula deserta. “Un Sensei insulso e una stracciona! Non poteva capitarmi sciagura peggiore!”

Mirai socchiuse gli occhi, cercando di contenersi. Non sarebbe stato il massimo dare vita ad una rissa in quel preciso istante, tanto più che sua madre era stata molto chiara sull’argomento: se avesse di nuovo fatto a botte con qualcuno, doveva aspettarsi come minimo una punizione di sei mesi.

“Del resto, non c’è da sorprendersi.” proseguì la kunoichi bionda, lanciando un’occhiata malevola nei confronti della sua rivale. “Avranno voluto assegnarci qualcuno che non facesse sfigurare la figlia di un morto.”

Ora basta! con le orecchie fumanti di rabbia, Mirai si alzò, in procinto di gonfiare di botte quell’arrogante figlia di papà, quando la porta si aprì di colpo, bloccando sul nascere i suoi propositi di omicidio violento.

La figura che entrò era diversa da tutte quelle venuta fino a quel momento, distante anni luce dalle fantasie degli ultimi giorni della Sarutobi, la quale non seppe assolutamente cosa pensare.

La donna che era appena entrata era bassa e minuta. Teneva lunghi capelli neri raccolti in una coda che le arrivava fino a metà schiena. Aveva un bel volto, seppure contratto in un’espressione gelida, con due occhi di un colore chiarissimo, quasi trasparenti, che mettevano i brividi solo a fissarli per qualche secondo. Indossava degli stivali neri dalla suola rialzata, pantaloni mimetici, mezziguanti scuri ed una maglietta bianca senza maniche. Sul braccio sinistro, vicino alla spalla, brillava il simbolo di Konoha.

Nel silenzio dell’ambiente, la kunoichi raggiunse con passo indolente la cattedra, fissando il foglio delle presenze dove mancava solo la sua firma. Le sue labbra divennero una piega inespressiva mentre firmava con rapidità, per poi piantare il proprio sguardo di ghiaccio sui tre ragazzini che la fissavano nervosi, in attesa che dicesse qualcosa.

“Seguitemi.” ordinò con voce fredda, lasciando a passo svelto l’aula, insinuando nei propri studenti un senso di vago disagio. Nessuno di loro, neppure il freddo Shigeru poteva infatti negare che, come primo incontro, era stato una delusione tremenda.

 

 

Hanabi era di pessimo umore. Il fatto che il mal di testa avesse ricominciato a rintronarle il cervello non l’aiutava a calarsi nel suo nuovo ruolo. Ruolo che sentiva di detestare caldamente, fin dal primo momento.

Alla Hyuga era bastata un’occhiata per capire il carattere dei tre elementi a cui avrebbe dovuto fare da balia da quel giorno in avanti. Le due ragazzine erano arroganti e impulsive, gente che sarebbe morta nella missione più semplice se non si fosse data una calmata, mentre l’altro moccioso non sembrava nulla di che. Il classico Aburame cupo e scontroso, deciso più che mai a muoversi da solo piuttosto che fare squadra con le altre due galline. Un comportamento che, sotto molti aspetti, Hanabi capiva e comprendeva.

Cosa dovrei fare con questi pivelli? rimuginò, una volta fermatasi sulle rive del fiume ad osservarli. Dannato Kakashi!

“Dunque, vediamo come potrei dirlo…” esordì, incrociando le braccia. “Usare un termine banale come odio non sarebbe capace di abbracciare appieno la mia attuale sfera emotiva. Quindi ho deciso di inventare una nuova parola.” rivolse i propri occhi verso i tre ragazzini, sfoderando l’espressione più seria che possedeva. “Io vi megaodio.”

Il silenzio che seguì fu tremendamente imbarazzante.

“Dunque, messe in chiaro come stanno le cose, passiamo alle baggianate.” proseguì la kunoichi. “Il mio nome è Hanabi Hyuga, e mi hanno assegnata come vostro insegnante dato che, a quanto pare, voi sareste dei ninja adesso…” prese a sorridere sarcasticamente. “Tutte stronzate.”

“Voi non siete ninja, siete bambocci che sanno appena sciorinare quel poco di teoria sufficiente a rendere felici i professori dell’Accademia. Ora come ora non riuscireste neanche a compiere la missione più semplice, a meno che tale missione non consista nel fallire la missione.”

Mirai prese ad agitarsi sul posto. La sorpresa stava lasciando posto alla delusione, mista però a rabbia. Come si permetteva quella donnina striminzita di definirla una bamboccia? Fece per ribattere, ma Hanabi era troppo smaliziata per farsi prendere in contropiede.

“So quello che stai per dire: come si permette di definirci bambocci?” la Hyuga tramutò il sorriso di derisione in un ghigno mefistofelico, le iridi che brillavano di malizia. “Vi darò la dimostrazione di ciò domani. Voglio che vi presentiate all’alba al campo di addestramento numero otto, con tutte le armi che possedete. Sarà un piccolo test che ci consentirà di conoscerci meglio.” la mora fece per andarsene quando sembrò ricordarsi di una cosa. “Ah, quasi dimenticavo. Vi è severamente proibito fare colazione prima di venire al campo. E fidatevi se vi dico che lo saprò se addenterete anche solo una briciola di pane.”

Se ne andò a passo svelto, desiderosa solamente di mettersi a letto per cercare di dimenticare il mal di testa che l’affliggeva. Mentre si dirigeva verso casa, il suo sguardo cadde sui nomi dei suoi tre allievi. Conosceva abbastanza bene il clan Aburame, in quanto molti suoi membri erano elementi rinomati dentro gli Anbu. Gli Yogonuchi le erano noti solo per sentito dire, dato che si diceva fossero una delle famiglie più ricche di tutto il villaggio, benché non annoverassero tra le loro fila ninja degni di nota. Tuttavia, il suo pensiero rimase molto più a lungo sul terzo nome della lista, un nome che aveva già sentito e che si era legato alla sua vita in maniera molto più intensa di quanto desiderasse ammettere.

Mirai Sarutobi… quando giunse a casa si accorse di non avere più male alla testa, persa com’era nel rimembrare tutti i momenti piacevoli passati con il suo ex fidanzato, riuscendo perfino a sbollire la propria rabbia. Si chiese quale fottuto scherzo del destino avesse deciso che toccasse a lei prendersi cura di sua cugina, e perché la cosa le provocasse un simile rimescolamento di emozioni dentro lo stomaco.

“Già di ritorno?” la voce allegra di Kabera la riscosse dai propri pensieri. “Com’è andata?”

Hanabi si sciolse il copri fronte dal braccio, sedendosi con un profondo respiro su una sedia in cucina.

“Non male.” rispose infine, tornando a fissare il nome di Mirai sulla lista. “Chissà… domani potrei rimanere sorpresa.”

E nonostante tutto, lo sperava veramente.

 

 

Caldo. Percepiva un profondo caldo attorno a sé, quasi esistesse un morbido velo che gli permettesse di rimanere isolato dal resto del mondo. Una sensazione che desiderava fin troppo spesso negli ultimi anni.

Dovrei essere al lavoro in questo istante. 

Quel pensiero gli diede la forza di alzarsi. Si passò le mani sul viso, mentre l’occhio gli cadeva alla sua destra, dove riposava la sua donna. Era strano vederla così rilassata e pacifica, come se nessuno dei suoi incubi potesse più toccarla. Le sfiorò il volto con l’indice, sentendosi improvvisamente vecchio, chiedendosi quanto potesse essere ridicolo lasciarsi a simili cose alla sua età, o se tutto ciò fosse dovuto al fatto che la sua giovinezza era volata via fin troppo presto, in un vortice di dolore e sangue.

Scosse la testa, decidendosi infine di uscire dal letto, quando la voce di lei lo bloccò.

“Kakashi…” Anko miagolò come una gatta, soffocando uno sbadiglio. La kunoichi aprì gli occhi, mentre il primo sorriso beffardo della giornata le si dipingeva sul viso. “Dove stai andando?”

L’albino sospirò. Erano ormai rare le serate in cui poteva dimenticarsi di essere l’Hokage, dove poteva lasciare da parte mantello e cappello per essere solo Kakashi Hatake, ninja e uomo di Konoha. Un piacere peccaminoso a cui faceva sempre più fatica a rinunciarci.

“Sono l’Hokage.” mormorò, rimettendosi la maschera. Era raro che si scoprisse il volto, ma lui per primo trovava fastidioso tenerla quando usava il letto per qualcosa di diverso dal sonno. “Non posso passare la mattinata a dormire.”

“Mmm…” due dita birichine presero a solleticargli la spina dorsale, accarezzando dolcemente le cunette create dalle vertebre. “Preferire delle scartoffie noiose a del buon sesso con la tua donna… potrei diventare gelosa.”

“E quando mai non lo sei?” percepì le unghie scavargli nella carne, mentre i denti di lei presero a marchiargli il collo.

“Dì la verità…” la voce della kunoichi era un caldo sussurro nelle sue orecchie, un dolce richiamo verso una pace che, in fondo, sapeva di non meritarsi. “Tu non vuoi tornare in quell’ufficio polveroso per lavorare… vuoi altro, non è vero?”

“Ci sono molte cose che mi piacerebbe fare.” mormorò Kakashi. “Ma poche di queste sono realizzabili.”

L’amarezza della sua voce fermò Anko dai suoi propositi. Non c’era dolore o disperazione nella figura dell’Hokage, quanto più una sordida rassegnazione. I suoi cari erano tutti morti, e l’unico amico che gli era rimasto era un allegro infermo con cui trascorreva le poche serate libere che il suo lavoro gli concedeva. A volte, l’Hatake si domandava chi glielo facesse fare di continuare a rimanere in carica. Aveva alle spalle già parecchi anni di onorato servizio, e nessuno l’avrebbe accusato di codardia se si fosse tolto il cappello dalla testa, consegnandolo a Naruto e avesse iniziato a trascorrere le proprie giornate in compagnia di Gai, rimembrando la loro giovinezza e i loro amici defunti, bevendo assieme una coppa di saké in loro onore.

Era il corso della vita, qualcosa a cui Kakashi non poteva, né voleva, opporsi.

“Kakashi…” Anko appoggiò la testa sull’incavo del collo del suo uomo, lo sguardo perso in ricordi lontani. L’albino le afferrò la mano, capendo cosa avevano risvegliato le sue parole in lei. Qualcosa che forse non sarebbe mai sparito, neanche dopo cent’anni.

“Avresti mai detto che sarebbe finita così?” mormorò la Mitarashi. “Due vecchi ruderi che si supportano a vicenda?”

L’Hokage non rispose subito. Ripensò ad Obito, Rin, Minato, suo padre, Asuma e tutti gli altri che nel corso della sua vita aveva visto svanire, uno dopo l’altro. Rivide davanti a sé, come se fosse avvenuto pochi istanti prima, il sorriso di Gai quando aveva deciso di dare la propria vita per salvare tutti loro. Si chiese, come sempre, quale fosse stato il motivo che aveva spinto lui così lontano rispetto agli altri. Perché proprio lui? Colui che più di tutti aveva sbagliato nella propria vita? Cos’era che gli aveva permesso di sopravvivere?

Ho incontrato Naruto. Quel pensiero lo colpì con la potenza di un tornado, facendogli comprendere che era stato il suo vecchio allievo a salvarlo, a permettergli di diventare ciò che era. Un mero capriccio del destino che non aveva risparmiato invece Asuma, a suo vedere un uomo, ed un insegnante, migliore di lui sotto tutti i punti di vista.

A volte basta un semplice incontro a cambiare tutto. 

“La storia non ha mai fine, Anko.” rispose infine. “Sono solo i protagonisti a cambiare.”

E dentro di sé, l’Hatake sperava ardentemente che quel giorno un nuovo Naruto ed un nuovo Kakashi si stessero incontrando, permettendo alla nuova generazione di iniziare a scrivere la storia del loro paese con le proprie mani.

 

 

Mirai era delusa. Nel giro di qualche ora era passata dall’eccitazione più intensa alla delusione più atroce. Scoprire che il suo Sensei altri non era che una donnina acida e scortese l’aveva riempita di dubbi sul suo futuro. Si chiese se fosse possibile cambiare insegnante e se Hanabi fosse realmente capace di renderla un ninja migliore, permettendole di raggiungere il suo obiettivo. Le risposte a cui giungeva, per quanto si lambiccasse, erano sempre pessimiste, guastandole ulteriormente l’umore.

Fantastico… proprio fantastico! La mia squadra comprende lo strambo dell’Accademia, l’egocentrica odiosa e un’insopportabile donnetta acida.

Tirò un calcio ad un sasso, cercando di sfogare la propria rabbia. Per un istante pensò di andarsi ad allenare in vista del test del giorno dopo, ma era troppo arrabbiata, presa com’era ad insultare mentalmente Hanabi Hyuga ed i suoi modi sgarbati e freddi.

Dopo essere passata per casa, dove Kurenai scoppiò a ridere nel sentire chi fosse l’insegnante della figlia aumentando ulteriormente il fastidio di quest’ultima, Mirai decise di andare a trovare il suo fratellino. La sua idea iniziale di allenarsi in vista del test era stata subito smontata dalla madre, la quale le aveva detto che sarebbe stato del tutto inutile.

“Ma allora tu sai in cosa consiste?”

“Chissà!” le aveva risposto con un sorriso enigmatico la genitrice. “Lo vedrai domattina. Ora fila subito a fare la brava sorella maggiore!”

Dieci minuti dopo, con la sgradevole sensazione di star buttando via la giornata, Mirai bussò alla porta di casa Nara, preparandosi a passare un po’ di tempo con il piccolo Shikadai.

Quando la porta si aprì, una lama si mosse rapida come un serpente, cogliendola totalmente impreparata, fermandosi soltanto ad un centimetro dalla sua gola.

“Ah…” borbottò Temari, ritraendo il coltello con un guizzo del polso. “Sei tu.”

“B-buongiorno Temari-san.” balbettò la ragazza, ancora convinta di essere sul punto di navigare lungo il fiume Stige.

“Perdonami.” proseguì con tono secco la kunoichi, lasciandola entrare. “Ero convinta che fossi uno di quei stramaledetti venditori ambulanti.”

“Capisco.” Mirai provò a calmare la propria tremarella, fallendo miseramente. Per quanto fosse abituata ai modi bruschi della moglie del padrino, certe cose la riducevano sempre ad un fascio di nervi palpitante.

“Se sei venuta in cerca della Disgrazia, è in salotto che dorme… tanto per cambiare.” borbottò la kunoichi di Suna.

Mirai si tolse subito le scarpe, correndo nella stanza affianco, alla ricerca del suo fratellino. Shikadai Nara era seduto sul divano, la schiena stranamente rigida, il volto rivolto verso il televisore acceso su un ridicolo programma di satira. Teneva gli occhi socchiusi, il pollice destro ben stretto tra le labbra, lo sguardo perso e sognante. A prima vista poteva sembrare annoiato, ma la ragazzina sapeva che il bambino stava solo cercando di capire se quel programma in tv fosse di suo gusto oppure no.

“Buh!” con un balzo, Mirai afferrò il fratello, iniziando a girare su se stessa, fino a quando non cadde a terra, godendosi l’espressione infastidita del piccolo Nara.

“Seccatura.” borbottò il bambino. “Lascia in pace!”

“Non sono una seccatura.” lo redarguì la Sarutobi, facendo toccare i loro nasi. “Per te sono Mirai-oneesan.”

“Seccatura.”

“No, ti ho appena detto che sono Mirai-oneesan!”

“Sei seccatura per me.”

Mirai si mise a sedere, tenendo stretto il fratello tra le braccia il quale, pur non apprezzando quel gesto, non tentò minimamente di divincolarsi. Era il bambino più pigro che la giovane kunoichi avesse mai incontrato, e spesso potevano passare ore prima di vederlo muovere anche un solo dito.

“Sei proprio un cattivo fratellino!” esclamò la mora, iniziando a fargli il solletico dappertutto. “E i fratelli minori cattivi vanno puniti!”

“No!” Shikadai tentò di divincolarsi, ma il pigiama azzurro che indossava non lo aiutava, senza contare che la presa della Genin era dura come l’acciaio. Il Nara iniziò a ridere, mentre le dita birichine della sorella non gli davano tregua, fino a quando Mirai non decise che la punizione era stata sufficiente.

“Allora!” esclamò la ragazzina, dando un bacio sulla fronte del bambino. “Chi sono io?”

“Seccatura.” borbottò l’altro, per nulla felice di essere stato costretto ad una dose massiccia di solletico.

“Sei proprio cocciuto! Cosa devo fare per farmi chiamare Oneesan?!”

“Lasciarmi in pace… seccatura!”

Mirai gli fece una linguaccia, mentre riprendeva a fargli il solletico, interrompendosi ogni tanto per rifargli la stessa domanda, ma la risposta del bambino non cambiava mai.

“Sei una seccatura.”

“E tu un testone!” esclamò alla fine la Sarutobi, sospirando. “Noi siamo fratelli, quindi mettitela via, capito?”

Shikadai non replicò, ormai sfinito dalla lunga lotta di solletico. Sbadigliando, il piccolo Nara si accasciò sul petto della sorella maggiore, cadendo subito in un sonno profondo.

“Seccatura…” borbottò nel dormiveglia.

E nonostante tutto, Mirai sorrise. Stare con il suo fratellino riusciva a donarle una splendida calma, permettendole di dimenticare la delusione dell’incontro con il suo Sensei.

Un giorno mi chiamerà Oneesan… ne sono convinta.

 

 

Ore dopo, quando ormai stava calando la notte e Temari aveva iniziato a preparare la cena, uno sfatto Shikamaru fece il suo ingresso in casa, annunciato dall’odore di nicotina dell’onnipresente sigaretta che teneva mollemente tra le labbra.

“Sono a casa…” borbottò. Strascicò i piedi fino al salotto, gettò sul divano la giacca e si lasciò cadere in maniera scomposta sulla propria poltrona preferita, emettendo un sospiro di piacere.

“Zio!” Mirai giunse di corsa in salotto, andando a mettere un braccio attorno alle spalle del padrino, un sorriso gioioso sul volto. Aveva passato le ultime ore a giocare con Shikadai, per poi aiutare Temari in cucina con il piccolo, ma il ritorno del capofamiglia Nara significava solo una cosa: quella sera avrebbero giocato a Shogi.

“Ti vedo in forma, Mirai.” esordì Shikamaru, soffocando a stento uno sbadiglio. “Come è andato il primo giorno da Genin? Hanabi vi ha ridotto in mucchietti di ossa doloranti?”

Il sorriso svanì dal volto della kunoichi, dando spazio ad un’espressione offesa.

“Tu lo sapevi!” accusò il padrino. “Sapevi che mi avrebbero dato come insegnante quella donna orrenda e non hai mosso un dito!”

“A volte sospetto che tu mi sopravvaluti…”

“Perché hai permesso che fosse lei il mio Sensei? Con lei non riuscirò mai a diventare un grande ninja!”

“Deduco che il vostro primo incontro non sia andato bene.”

“Finalmente l’hai capito!” proseguì la mora, sempre più frustrata ed arrabbiata nel ricordare il deludente incontro di quella mattina. “È arrogante, dispotica, antipatica, scontrosa e…”

“Frena la tua dolce lingua.” la prese in giro il Nara, soffiando fumo dalle narici. “Tieni questa rabbia per dopo. Mi auguro che stasera riuscirai ad usare una tattica quantomeno interessante…”

“Ho avuto gli esami nei giorni scorsi.” si difese la Sarutobi, consapevole di non essersi mai esercitata nell’ultima settimana. Raramente quelle scuse funzionavano con Shikamaru, ma quella sera lo shinobi delle ombre pareva troppo stanco per mettersi a rimproverare la figlioccia.

“Vedremo dopo cena.” con un gemito, il moro si alzò dalla poltrona, buttando il mozzicone in un posacenere lì vicino. “Adesso vediamo cosa ha preparato la mia dolce metà…”

Durante la cena, Mirai si divertì un mondo, come sempre, nel vedere il padrino e sua moglie beccarsi in continuazione su ogni cosa. Sembrava impossibile che due persone così diverse, che apparentemente non si sopportavano minimamente, avessero deciso di mettere su famiglia.

“Potevi almeno lavarti la faccia prima di venire a mangiare.” lo redarguì seccamente la kunoichi, le iridi cerulee che bruciavano di rabbia. “Puzzi di sigaretta da fare schifo.”

“Cerco solo di assomigliare alla tua alitosi mattutina.” replicò serafico l’uomo, cacciandosi pigramente in bocca un grosso pezzo di trota affumicata.

“È il mio metodo per tenerti lontano almeno quando mi sveglio.”

“Non serve. Mi basta guardarti in faccia per scappare a gambe levate.”

“Si può essere più stronzi di te?”

“Si può avere un culo più grosso del tuo?”

Successivamente, Temari colpì con un pugno in faccia il marito, scaraventandolo al suolo, il tutto mentre Mirai cercava di soffocare le risate nella purea di funghi.

“Ho fatto dei dolcetti oggi, ne vuoi uno?” domandò subito dopo la kunoichi bionda al marito, ignorando il fatto che quest’ultimo stesse ancora contorcendosi al suolo per il dolore.

“Sarebbe meraviglioso…” gracchiò cupamente quest’ultimo, rialzandosi, sul volto un grosso livido violaceo.

“Ottimo.”

 

 

“Zio Shika…”

“Sì?” borbottò il Nara, ancora intento a massaggiarsi la parte lesa.

“Perché hai deciso di diventare un ninja?”

Era un quesito che l’assillava da settimane ormai. Come mai Shikamaru, l’uomo più pigro che conoscesse, aveva deciso di diventare uno shinobi, un guerriero? Mirai aveva letto centinaia di volte le storie riguardanti le imprese del padrino durante la Grande Guerra, ma faceva davvero fatica a collegare quel sarcastico fumatore alla figura del geniale tattico, capace di mantenere unito l’esercito dei ninja durante lo scontro con il Juubi.

“Per pagarmi gli antidepressivi che mi tengono così allegro.” fu la risposta sarcastica dello shinobi delle ombre, mentre decideva di accendersi l’ennesima sigaretta della giornata.

“Zio…”

Shikamaru sospirò. Si trovavano nel suo studio, seduti per terra, intenti a giocare a Shogi, come ogni mercoledì sera. Tuttavia, quella volta la giovane Sarutobi non era veramente interessata alle pedine ed alle tattiche che si celavano dietro. Il suo padrino sembrò capirlo, visto che anche lui non si impegnava eccessivamente, comprendendo che quell’incontro sarebbe servito a parlare, piuttosto che a giocare.

“Non c’è un vero motivo.” borbottò, muovendo intenzionalmente un pedone in modo da lasciare un varco per l’alfiere avversario. “Le persone cambiano… e ciò che ti spinge a studiare ed allenarti ogni giorno a vent’anni può non essere ciò che ti spingeva a farlo a dodici.”

Mirai non rispose. Mosse l’alfiere nel varco appena apertosi, ma si accorse, con un istante di ritardo, la trappola che si celava dietro: il re di Shikamaru non ebbe alcuna pietà nel catturare la sua pedina.

“Quindi ora è qualcosa di diverso che ti spinge a fare il tuo lavoro?” domandò. “Qualcosa di diverso rispetto a quando avevi dodici anni?”

Il Nara aspirò silenziosamente una boccata di fumo, la mente invasa da ricordi frammentati della propria infanzia, un mondo che ormai non esisteva più. Si sentì terribilmente vecchio, nonostante continuasse a ripetersi che non aveva neanche trent’anni.

“Sì.” fu la sua laconica risposta. “Sono poche le persone che riescono a rimanere coerenti, e questo perché il più delle volte le loro convinzioni poggiano su basi errate.” il sorriso gioioso di Naruto riempì la sua mente, facendolo sorridere amaramente. “Per fortuna… esistono le eccezioni.”

La kunoichi mora lanciò un’occhiata perplessa in direzione del tutore. Era sempre così quando parlava con Shikamaru: enigmatico, sarcastico, irritante… pareva odiasse parlare chiaro, quasi trovasse tremendamente faticoso spiegare nei dettagli il significato dei propri discorsi.

“Credi che le mie motivazioni cambieranno in futuro?” mormorò, quasi sperasse di non ricevere risposta. Aveva spesso la sensazione che il suo padrino la considerasse ancora una bambina, e il fatto che si rifiutasse di spiegarle molte sue affermazioni rafforzavano questa convinzione.

“Dipende da te.” il Nara mosse un cavallo, mettendo pressione alle difese nemiche. Era deciso a vedere se la figlioccia avrebbe puntato sull’evitare lo scontro, oppure se avrebbe caricato a testa bassa per riguadagnare il terreno perduto. “Ho sempre preferito evitare di inculcarti stupide ideologie, perché voglio che tu ragioni con la tua testa.” osservò la mossa della ragazzina in silenzio, il volto che non lasciava trasparire alcune emozione. “Non mi importa niente che tu decida di dedicare la tua vita a quella o quest’altra causa, ma voglio che tu possa viverla senza alcun rimpianto, in modo da poterti guardare sempre allo specchio a testa alta.”

“Vorrei essere come mio padre.” sussurrò lei, sentendosi il cuore in gola. “Mi piacerebbe diventare come lui.”

Shikamaru si grattò la testa, effettuando uno sbadiglio. Quella sera la strategia languiva sulla scacchiera, pertanto gli era difficile rimanere concentrato per più di qualche secondo.

“Se vuoi diventare come lui, allora significa che per prima cosa dovrai capire veramente che persona era.” replicò, muovendo un Generale D’oro. “E comprendere se è questo ciò che veramente vuoi.”

“Come faccio a capirlo? Lui non c’è più…”

“Puoi capire moltissimo di persone che ormai non sono più in vita.” un’altra mossa, una delle ultime di una partita piuttosto deludente. “Non vedo perché tuo padre dovrebbe essere un’eccezione.”

La kunoichi ebbe un moto di rabbia nel sentire l’ennesima frase criptica del tutore. Mosse con stizza il cavallo, attaccando ferocemente, decisa a sfogarsi attraverso le pedine.

“Tanto è inutile parlarne.” borbottò acidamente. “Con i compagni che ho, e l’insegnante che mi avete dato, non riuscirò mai a diventare un vero ninja.”

Shikamaru si fermò di colpo, nell’intento di mettere fine alla partita con un’ultima mossa. Tenne sospesa la propria pedina a mezz’aria, mentre i suoi occhi si spostarono dalla scacchiera al volto della figlioccia, scrutandola freddamente.

“Non osare dire mai più una cosa del genere.”

“Perché non dovrei? Quella donna non sarà mai capace di insegnarmi qualcosa! Senza contare che i miei compagni sono dei presuntuosi incapaci! Come posso diventare Chuunin se sono in squadra con gente come…”

“Mirai!” il Nara alzò il proprio tono di voce, facendolo diventare freddo e minaccioso. “Se non diventerai un Chuunin la colpa sarà soltanto tua. Non osare mai incolpare gli altri dei tuoi insuccessi, mi sono spiegato?”

La ragazza rimase immobile, intimidita da quello sguardo di ghiaccio. Era la prima volta che sentiva il suo padrino alzare la voce e fu qualcosa di sconvolgente. Era come se Shikamaru avesse alzato la propria maschera per un istante, mostrandole il volto del freddo e spietato tattico militare.

“Se desideri diventare una vera donna, dovrai sempre farti carico delle tue colpe.” proseguì con tono più dolce lo shinobi. “Tutti hanno le proprie croci, Mirai… non essere così vigliacca da gettarle addosso agli altri.”

Mise giù la pedina, sancendo così la fine della partita.

“Vai a letto, domani devi alzarti presto.” il Nara la salutò arruffandole i capelli, lasciandola successivamente sola con i propri pensieri, incapace di trovare requie dopo le ultime parole del tutore.

 

 

Le solleticò il volto con l’indice, godendosi del calore che percepiva da quel corpicino caldo, incapace di smettere di fissarla.

“Guarda che non scappa mica.” la prese in giro Naruto.

Hinata strinse al petto la piccola Himawari, fissando trucemente il marito.

“È mia.” dichiarò con voce fintamente severa. “L’ho fatta io, e quindi decido io quando metterla giù.”

“Dovresti riposarti, piuttosto.” la rimproverò dolcemente l’Uzumaki. “La piccola starà bene anche quando ti risveglierai.”

“Te l’ho già detto.” rispose la mora, sorridendogli. “Ogni giorno va meglio. La migliore medicina è restare in vostra compagnia.”

“Non credo che Sakura-chan sarebbe d’accordo.” borbottò il biondo.

Hinata scoppiò a ridere, subito imitata dal compagno.

Era passata una settimana da quando Himawari era nata. Hinata si trovava ancora in ospedale, ma la data del suo congedo si avvicinava sempre di più. In quei giorni, la Hyuga aveva iniziato ad avere un attaccamento morboso verso la piccola, come avevano potuto notare Naruto ed Hanabi. Sembrava che tutte le sofferenze patite avessero unito madre e figlia, tramite un legame che nessun’altro poteva comprendere. Nonostante le giornate frenetiche, passate tra l’ufficio, casa ed ospedale, Naruto si sentiva leggero e felice come non accadeva da tempo. Sua moglie e la sua bambina stavano bene e presto sarebbero tornate a casa da lui e dal piccolo Boruto. Onestamente, anche desiderandolo, lo shinobi non avrebbe saputo cosa fare per essere più felice.

“Mi auguro che quando tornerete a casa riuscirai a staccarti da lei per qualche secondo.” la prese in giro, osservando la moglie cullare la figlia con tutta la delicatezza possibile.

“Ed io mi auguro di tornare in una casa pulita.” replicò la mora.

“L’altra volta era pulita!” si difese Naruto, parlando della prima gravidanza.

“Ah sì? E allora cos’erano tutte quelle ragnatele sul soffitto?”

“Servivano da sostegno per evitare che il tetto crollasse.”

Hinata sbuffò ma preferì proseguire ad accarezzare la figlia, piuttosto che dare retta agli scherzi del marito. C’era qualcosa di meraviglioso nello stare lì, immobile, a fissarla dormire. Riusciva a farla stare meglio, alleviandole i dolori e la fatica accumulata nei mesi precedenti. Himawari era poi una bambina strana, diversa dal fratello maggiore: era raro che piangesse, e il più delle volte dormiva anche otto ore di fila, senza interrompersi per bisogni fisiologici o per mangiare. Anche il nome che il marito le aveva dato suonava strano, quasi straniero. Hinata aveva chiesto un paio di volte il perché dietro a quel nome, ma l’Uzumaki si era sempre difeso definendolo un nome come un altro e la kunoichi aveva preferito credergli, piuttosto che dare vita ad un litigio che sapeva non avere la forza di sorreggere.

Naruto scosse la testa, sorridendo, mentre vedeva la moglie proseguire nelle coccole ad Himawari. Si alzò, con l’intento di fare due passi per il corridoio quando, aprendo la porta, si trovò di fronte Hazuba Hyuga.

“Sto cercando mia nipote.” nessun saluto o sorriso. Il bel volto della kunoichi rimase impassibile, i freddi occhi chiari che squadravano con disgusto l’uomo che aveva di fronte.

Naruto non seppe cosa dire. Aveva sentito parlare della terribile nonna di sua moglie, una donna capace di mettere in buona luce un elemento sgradevole come Danzo, ma trovarsela di fronte, senza alcun preavviso, lo prese in contropiede.

“Ti ho fatto una domanda… Jinchuuriki.” il disprezzo era intriso in ogni singola sillaba che gli rivolgeva. Non c’era alcun dubbio che quella donna gli avrebbe conficcato un pugnale nella gola alla prima occasione.

“Kurama.” percepì l’amico sollevare la testa, gli occhi scarlatti vigili, teso come prima di uno scontro. “Tieniti pronto.”

“Io sono sempre pronto, moccioso.”

“Si accomodi.” lo shinobi si fece da parte, permettendo all’anziana Hyuga di entrare nella stanza. Non appena Hinata la vide, i suoi occhi si spalancarono, percependo uno spiacevole groppo in fondo alla gola. Da quando si era fidanzata con Naruto, Hazuba si era rifiutata di rivolgerle la parola, ritenendola indegna di essere sua parente. Ora, dopo oltre cinque anni, era lì, di fronte a lei, le iridi glaciali che per anni avevano popolato i suoi incubi erano di nuovo dentro la sua vita.

“Hazuba-sama…” mormorò. “E’… una sorpresa. Non l’aspettavo.”

Hazuba si sedette, la schiena perfettamente dritta. Non disse nulla, limitandosi a rivolgere uno sguardo glaciale in direzione di Naruto, quasi si aspettasse che quest’ultimo uscisse.

“Mi dispiace, ma se ha intenzione di parlare con mia moglie, io resto.” fu la secca replica dello shinobi, incrociando le braccia con fare bellicoso.

“Naruto-kun.” la voce della moglie lo colpì come una sferzata, pur rimanendo estremamente bassa. “Esci, per favore.”

“Ma…”

“Ti prego… vai fuori.” il tono della kunoichi non ammetteva repliche.

Riluttante, Naruto uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Tuttavia, una volta fuori, non esitò ad appiccicare l’orecchio alla serratura, guadagnandosi più di un’occhiataccia da parte delle infermiere di passaggio.

“Dunque…” Hinata strinse inconsapevolmente con maggiore forza al petto la figlia, tentando di riordinare le idee. “Di cosa voleva parlarmi?”

“Desideravo vederti.” rispose Hazuba. “Dopo cinque anni, credo che sia giunto il momento di porre fine a questo sciocco dissapore che ci divide.”

“Sono lieta che siate giunta a questa conclusione…” nonostante la kunoichi continuasse a ripetersi che lei era un’adulta, c’era qualcosa in Hazuba che la faceva tornare una bambina piccola, sola e profondamente indifesa, accusata da tutti di essere nient’altro che un fallimento del clan Hyuga.

“Io e te, Hinata, abbiamo idee profondamente diverse.” proseguì con tono secco l’anziana kunoichi. “Posso capirlo. Dopotutto, siamo cresciute in contesti differenti, ed è normale che la nostra società cambi, per restare al passo con i tempi.” il volto stranamente giovanile di Hazuba si contrasse, quasi non credesse neanche lei a ciò che stava dicendo. “Tuttavia, io penso che senza solide basi… ogni cambiamento possa alla lunga essere dannoso.”

“Quindi… quali sarebbero le basi che lei considera imprescindibili?”

Un sorriso di rara dolcezza si dipinse sulle carnose labbra di Hazuba, rendendola ancora più affascinante.

“Sono lieta di sentirti parlare in questo modo, mia cara.” continuò con tono leggermente più caldo. “Vedi… io credo che sia indispensabile, per mantenere l’ordine sociale, dare una guida forte alla nostra comunità. Una guida che possa occuparsi a tempo pieno dei problemi del nostro popolo, non sei d’accordo?”

“Sì.” sospirò la Hyuga più giovane, iniziando a capire dove intendesse andare a parare la parente. “Penso che ci sia saggezza in queste parole, ma sarebbero molto più convincenti se lei ci credesse veramente, Hazuba-sama.”

Il sorriso della donna si incrinò, mentre una fiamma prese a brillare nei suoi occhi.

“Vedo che tuo padre ti ha cresciuta con troppi pregiudizi nei miei confronti.”

“Non è stato mio padre.” rispose con tono calmo, ma fermo, la mora. “Sono stati i miei amici. Gente che lei disprezza in quanto ‘impuri’.”

Il sorriso sparì del tutto dal volto di Hazuba.

“Fedele fino in fondo al proprio padrone...” sibilò con tono velenoso, gli occhi brucianti di collera.

“No, Hazuba-sama.” replicò nuovamente Hinata, lo sguardo duro quanto quello della parente. “Io non ho padroni, ed è questo che la disturba così profondamente da portarla addirittura qui da me dopo cinque anni: il desiderio di farmi diventare il suo cagnolino.” anche la voce della kunoichi più giovane diventò fredda e spietata. “Non lascerò la mia eredità nelle mani di una persona come lei, qualcuno che giudica le persone dal sangue che possiedono piuttosto che dalle azioni che compiono.”

Hazuba chiuse gli occhi per un istante, tracimando rabbia. Poi, improvvisamente, si rilassò, riacquisendo la propria arrogante sicurezza.

“Sei davvero tenera, mia cara.” sussurrò, sorridendole velenosamente. “Tu e quella bestia che chiami marito siete convinti di poter giocare questa partita ad armi pari.” si alzò. “Pensa ai tuoi bambini, piccola. Dubito che vogliano crescere senza genitori, non trovi?”

“E’ una minaccia?”

“No, un semplice consiglio… per ora.”

Se ne andò, spalancando la porta di botto, solo per trovarsi di fronte Naruto. Storse la bocca, faticando a reprimere il proprio disgusto per ciò che aveva di fronte.

“Spostati… bestia.” ordinò con tono glaciale.

“E se io non mi spostassi?” la provocò l’Uzumaki, irritato dall’arroganza della donna. “Oserebbe sporcarsi le mani, dandomi una spinta?”

“Ritieniti fortunato che a governarci ci sia un debole come Kakashi Hatake, Jinchuuriki.” fu la risposta di Hazuba. “Qualsiasi persona degna di essere chiamata ninja ti avrebbe sepolto vivo nelle prigioni del Villaggio già da tempo, bastardo mezzosangue.”

Naruto percepì il sangue premergli sulle tempie, spazzando via ogni raziocino ‘umano’ dentro di lui. Le sue iridi azzurre assunsero una tonalità rossastra, mentre il desiderio di squarciare la gola di quella spregevole donna cresceva in lui ogni secondo che passava.

“Lascia perdere.”

“Kurama?” sentì la propria rabbia svanire innanzi alla mente gelida dell’amico, il quale era tornato a sonnecchiare tranquillo da qualche minuto.

“Sprecheresti tempo.” borbottò il demone, sbadigliando. “Lasciala andare per la sua strada.”

 Con uno sforzo immane, lo shinobi si fece da parte, permettendo ad Hazuba di incamminarsi verso l’uscita dell’ospedale.

“Le consiglio di rinunciarci.” esordì improvvisamente il biondo, ancora troppo infuriato per tenere la bocca chiusa. “Non lo sa che i mostri non vanno mai provocati?”

La kunoichi si voltò, tornando rapidamente di fronte all’Uzumaki.

“E cosa ne sai tu dei mostri, Jinchuuriki?” sussurrò velenosa la donna, un sorrisetto maligno sulle morbide labbra. “Credi veramente di conoscerli? Tutto quello che hai visto sono stati uomini amareggiati e deboli, schiacciati dai loro stessi fallimenti, ma i mostri… sono ben altro.” il sorriso divenne inquietante. “Qualcosa che va oltre Madara Uchiha ed il suo patetico clan.”

Se ne andò, lasciando a Naruto una sensazione sgradevole nello stomaco. Un sentimento che riuscì solo dopo alcuni secondi ad identificare: paura.

“Avresti dovuto lasciarmela fare fuori.” brontolò, mentre rientrava nella stanza della moglie.

“Era indifesa. Da quando uccidi qualcuno solo perché ti insulta o minaccia?”

“E da quando tu sei così diplomatico?! Non sei sempre stato quello che prima uccideva e poi parlava?!”

“Mi stai dando del codardo?” la volpe aprì un occhio, scrutando trucemente l’amico.

“Diciamo che gli ultimi anni di pace ti hanno rammollito! Dov’è finito il demone con cui ho combattuto per sedici anni?! Tira fuori le palle, perché quella vecchia può diventare una fonte di guai!”

“Non insultarmi!” un ringhio tremendo uscì dalla gola del demone, facendo vibrare le ossa dello shinobi. “Conosco quanto te la pericolosità di quella donna! E proprio per questo sono convinto che l’ultima cosa da fare sia dare vita ad una miserevole scazzottata con essa!” l’iride scarlatta di Kurama fissò con fare accusatorio l’amico, mettendolo a disagio. “Quando verrà il momento la combatteremo, ma ora avresti solo fatto il suo gioco rispondendo alle sue provocazioni. Dimostrati superiore.”

“Dillo alle vittime di lei.” borbottò Naruto, ancora di cattivo umore. “Se lasciamo quella donna libera di agire, avremo una montagna di guai.”

“I processi alle intenzioni li facevano uomini come Madara… vedi di non prendere esempio da lui.”

Pure la lezione di filosofia mi fa… volpe del cavolo!

Il suo malumore fu percepito anche dalla moglie, la quale gli fece cenno di avvicinarsi.

“Non avresti dovuto provocarla in quel modo.” lo rimproverò subito Hinata. “Lei è una donna che gioca sulle emozioni degli altri. Se vuoi riuscire a parlarle, devi essere capace di rimanere freddo e controllato.”

Lo shinobi si sedette al suo fianco, sospirando. La rabbia stava svanendo lasciando il posto ad un’amara consapevolezza di aver sbagliato.

Sempre la solita testa calda… idiota!

“Scusami.” borbottò. “Lo sai che mantenere il sangue freddo non è il mio forte.”

La donna gli afferrò la mano destra, pur tenendo stretta al petto la figlia.

“Cosa facciamo, ora?”

“In che senso?”

“Hazuba non si fermerà fino a quando non avrà messo le mani sul mio clan. Se vogliamo che ciò non accada, dovremo combatterla.”

“È solo una vecchia ancorata al passato!” replicò Naruto, desiderando tranquillizzare la compagna. “Cosa potrebbe mai fare? Scatenare una guerra da sola?”

Il volto di Hinata rimase serio.

“Non la conosci, Naruto-kun.” osservò a voce bassa. “Non sei cresciuto con la sensazione che lei fosse onnipresente, con la consapevolezza che niente di ciò che fai o dici sfugge al suo sguardo.” si morse il labbro inferiore, gli occhi divenuti freddi nel rimembrare il passato. “Lei è pericolosa… troppo.” tornò a rivolgere lo sguardo verso il compagno. “Dovremo combatterla se vogliamo che i nostri figli abbiano un futuro a Konoha.”

L’Uzumaki fece un profondo respiro, chiedendosi per quale motivo doveva esserci sempre qualcuno nella sua vita che lo voleva far fuori. Era snervante sotto un certo senso, e si chiese se quella situazione sarebbe mai cambiata.

“Quindi cosa facciamo?” chiese.

Hinata tornò a fissare Himawari, rimanendo incantata nel vederla dormire pacifica, priva di ogni preoccupazione. Il pensiero che lei e Boruto potessero venirle strappati dalle mani la terrorizzò, facendole scorrere un brivido lungo il filo della schiena. Hazuba voleva morti i suoi figli, tutto ciò che aveva costruito con fatica e sofferenza in quegli anni. Ma soprattutto voleva distruggere il sacrificio di Neji, qualcosa che non poteva permettere per niente al mondo.

“Non possiamo parlarne con nessuno.” rispose, stringendo con maggiore forza la mano del marito. “Non servirebbe a niente, ora come ora. Tutto quello che possiamo fare è tenere gli occhi aperti e… prepararsi a controbattere colpo su colpo ad ogni sua mossa.”

Naruto comprese ciò che voleva dire la kunoichi. Quello che avevano deciso di fare, anni prima, era di cambiare il mondo, rifiutandosi di vivere la propria vita nella diffidenza e nel pregiudizio. Tuttavia, quel cambiamento non era arrivato in un giorno. Era stato un percorso da compiere giorno dopo giorno, vincendo le resistenze di chi era cresciuto e vissuto dentro un mondo che ora loro volevano relegare ai libri di storia. Ed ora, quelle resistenze si erano raccolte attorno alla figura di Hazuba, astuta e calcolatrice, che sembrava disposta a sacrificare qualsiasi cosa, anche la sua famiglia, per poter distruggere quel cambiamento.

Non possiamo perdere.

“Lo faremo.” dichiarò. “Riusciremo a vincere anche questa sfida.” baciò sulla fronte la moglie, sfiorando una manina di Himawari. “Wari e Boruto cresceranno in un mondo migliore… te lo prometto.”

Non permetterò che il tuo sacrificio sia stato vano, Wari…

Era il loro peso, la loro croce da portare in silenzio, nascosta a tutti. Avrebbero combattuto l’ennesima battaglia della loro vita per loro, ma soprattutto per i loro figli, affinché ciò che avevano vissuto non si ripetesse mai più.

E Hinata ne era convinta. Avrebbero vinto.

“Così sia.”

 

 

CONTINUA

 

 

Ehm… salve!

Dunque, cosa dire dopo mesi e mesi di silenzio colpevolissimo?

Beh… diciamo che sono in dirittura d’arrivo con la laurea, e questo comporta che, tra tirocinio, tesi ed ultimi esami da preparare, il mio tempo libero è diventato una chimera.

Comunque, problemi personali a parte, volevo subito dire che questo capitolo all’inizio era nato come unico. Solo che alla fine ho deciso di spezzarlo in due per dare maggiore spazio a Mirai ed Hanabi, il cui rapporto sarà analizzato nella seconda parte del capitolo. E sì, so bene che Naruto e Hinata negli ultimi capitolo sono comparsi poco, ma vi prometto che dopo questo capitolo torneranno padroni indiscussi della scena (o almeno lo spero).

Il motivo per cui ho scelto di legare Mirai ad Hanabi è essenzialmente questo: ritengo la figlia di Asuma un personaggio non facente parte della generazione di Boruto. Pertanto ho scelto di analizzare la sua crescita in questa storia, legandola ad uno dei personaggi con pochi legami rimasti, appunto Hanabi. Il loro rapporto, tuttavia, sarà molto diverso sia da quello di Naruto con Kakashi che di quello con Shikamaru e Asuma. Sarà una cosa diversa, che cercherò di iniziare ad introdurre già nella seconda metà di questo capitolo.

Bene… direi che è tutto. Cercherò di pubblicare la seconda parte il prima possibile, ma purtroppo non ho tempi certi, anche se posso assicurarvi che questa specie di raccolta (chiamiamola così va!) non sarà abbandonata a se stessa.

Un saluto! E grazie in anticipo a chiunque voglia lasciarmi una sua impressione, positiva o meno.


Giambo

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Capitolo 27
*** Croci, parte seconda ***


The Biggest Challenge

 

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Croci

parte seconda

 

 

Mirai pestò i piedi nel tentativo di riscaldarsi, percependo lo stomaco brontolare dalla fame. Era l’alba e banchi limacciosi di nebbia si alzavano dal terreno, riempiendo l’aria di fredda umidità. Al suo fianco, ingobbiti per il freddo, c’erano Aimi e Shigeru, entrambi cupi a causa del freddo e del digiuno forzato.

Il tempo passò lentamente, mentre i primi raggi di sole si aprivano faticosamente la strada attraverso la nebbia. Mirai iniziò a sfregarsi le braccia nervosamente, le mani gelide nonostante indossasse i guanti regalategli da Kiba, incapace di rimanere ferma. Le parole di Shikamaru la sera prima l’avevano irritata oltre ogni misura. Era come se il suo padrino vedesse in lei una bambina immatura, ignorando tutti i progressi compiuti negli ultimi tempi. Un qualcosa che non riusciva a tollerare minimamente. Shikamaru era stato una figura fondamentale per lei, fin da quando era nata. Ogni ricordo bello che possedeva era in qualche modo collegato allo shinobi. Sentirsi rimproverare come una mocciosa viziata da lui le aveva acceso un fuoco dentro, qualcosa di acido, cattivo, bruciante. Un miscuglio di sensazioni che le donavano il desiderio impellente di fare a pezzi qualsiasi cosa le si parasse di fronte.

Rivolse un’occhiata ai suoi compagni, reprimendo a stento un moto di stizza. Poteva anche accettare il fatto che accusare gli altri dei propri fallimenti fosse sbagliato, ma le rimaneva ancora poco chiaro come avrebbe fatto a collaborare con quei due.

Non mi importa niente di loro. Se voglio raggiungere il mio obbiettivo dovrò dare il massimo. Non mi farò fermare da quell’arrogante di Aimi.

La comparsa della figura di Hanabi interruppe i suoi pensieri bellicosi. Quest’ultima indossava gli stessi vestiti del giorno prima, con l’aggiunta di una sacca da ninja legata alla vita. Un dettaglio che fece capire ai tre Genin come quel giorno avrebbero visto la loro Sensei in azione.

“Probabilmente vi starete domandando in cosa consisterà questo test.” esordì senza preamboli la kunoichi. “La risposta è semplice: un’esercitazione sul campo.”

I tre ragazzini inclinarono la testa, perplessi da quella definizione. Sorridendo, Hanabi estrasse dalla tasca due campanelli d’argento, accrescendo la loro confusione.

“Fino ad ora, vuoi avete lavorato soprattutto sulla teoria.” la Jonin prese a scuotere i campanelli, diffondendo un rumore argentino nell’aria. “In Accademia avete sempre appreso ogni cosa in un ambiente protetto, dove sbagliare era considerata una cosa accettabile. Tuttavia, ora non siamo più in Accademia, anche se entro la fine di questa giornata, uno di voi ci tornerà.”

Quelle parole ebbero l’effetto di abbassare ulteriormente la temperatura nella zona circostante. L’aria divenne carica di tensione, mentre una goccia di sudore freddo prese a scendere lungo la schiena dei tre novelli ninja.

Cosa significa?! E’ uno scherzo?!

“Vedete questi campanelli? Avete tempo fino a mezzogiorno per provare a sfilarmeli dalla cintura. Potete usare il terreno circostante come preferite, ed ogni strategia sarà ritenuta valida. Chi ci riuscirà potrà mangiare, oltre ad avere il permesso di rimanere. Se invece fallirete, verrete rispediti subito in Accademia, e dovrete ripetere l’ultimo anno.”

In quell’istante Aimi parlò, dando voce all’atroce dubbio che stava prendendo vita dentro ognuno di loro.

“Ma… i campanelli sono solo due. Questo significa che…”

Gli occhi di Hanabi brillarono di crudele divertimento.

“Che uno di voi, indipendentemente da come andranno oggi le cose, sarà costretto a tornare in Accademia.” la sua voce risuonò velenosamente dolce, cadendo però con la violenza di un tsunami sopra le teste dei ragazzini. “Domande?”

Mirai deglutì, il volto ricoperto da una patina di sudore. Aveva il cervello completamente vuoto, mentre le parole appena pronunciate da Hanabi le rimbombavano dentro, lasciandola svuotata dalla paura.

Potrei tornare in Accademia?

Era un pensiero intollerabile. Avrebbe significato fallire, essere un fallimento, incapace di rendere realtà i propri sogni. Ma soprattutto, avrebbe visto Aimi avere successo dove lei non ci era riuscita e questo le era impossibile da accettare.

Non importa… non fallirò!

Strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, contraendo ogni muscolo che possedeva. Non avrebbe mai perso, non arrivata a quel punto.

“Molto bene… potete cominciare!”

 

 

Circa un’ora e mezza dopo, Hanabi poteva tranquillamente ammettere di essere profondamente delusa da ciò che aveva appena visto. Certo, esisteva del potenziale, ma l’idea di doverlo tirare fuori da quei tre lattanti era sfibrante.

Da quello che aveva osservato, ognuno dei tre giovani Genin era profondamente diverso come carattere e punti di forza. Shigeru possedeva una capacità di leggere il territorio circostante incredibile, così come la sua capacità di sfruttare l’abilità innata del suo clan era notevole in rapporto alla sua età. Per due volte Hanabi era stata sul punto di cadere in una trappola preparata con cura maniacale da parte del giovane Aburame, e la cosa l’aveva colpita. Tuttavia, in entrambi i casi, Shigeru era apparso troppo prudente, preferendo rimanere nascosto piuttosto che osare un assalto una volta che la Hyuga l’aveva scoperto. Questo limitava di gran lunga le sue abilità, ma era un difetto che si poteva limare con discreta facilità.

Con Aimi le cose erano diverse. La Yogonuchi aveva tentato un paio di volte un assalto, fruttando le condizioni ambientali a lei favorevoli, quali un banco di nebbia particolarmente fitto. Hanabi però non aveva riscontrato alcuna difficoltà a prevedere il metodo d’attacco di quest’ultima, troppo scolastico e banale. Era sicuramente una ragazza che sapeva usare il cervello, oltre che possedere una padronanza del chakra molto superiore a quella di un novello Genin, ma era ancora troppo ancorata agli schemi che l’Accademia le aveva inculcato in testa. Lavorarci sopra non sarebbe stato per niente facile.

Mirai invece era una testa calda, irruente e rumorosa. I suoi assalti non erano solo banali, ma anche stupidi e privi di qualsiasi tattica alle spalle. Tuttavia, per quanto fosse irritante, Hanabi non aveva potuto fare a meno di notare quanto la mocciosa fosse portata per il corpo a corpo, con quale facilità modificava il proprio stile di lotta in una frazione di secondo. La sua non era improvvisazione e neanche fortuna. L’unica parola per definire il sangue caldo della Sarutobi era talento. Era una combattente nata, che si faceva guidare dal proprio istinto in battaglia. Sfortunatamente, quello era anche il suo punto debole.

“Rumorosa, priva di inventiva, banale e prevedibile.” osservò la Hyuga, subito dopo averle regalato un occhio nero. “Dire che sei un disastro sarebbe estremamente riduttivo.”

Mirai si rialzò subito, ferita nell’orgoglio. Non era mai stata brava ad aspettare il momento giusto per un assalto, dato che la sua pazienza si esauriva quasi subito. Da quel punto di vista, aveva preso molto da Temari.

Ora basta!

Hanabi spalancò gli occhi quando vide qualcosa che non poteva essere vero: un Genin che formava i segni per una tecnica di livello superiore.

Come può essere?! La Katon superiore è roba da Jonin!

“Katon: Drago di Fuoco!” una gigantesca fiammata rossa uscì dalle labbra di Mirai, investendo Hanabi e l’intera radura circostante per circa una trentina di secondi. Quando il fumo si dissolse, Mirai rimase sorpresa nel vedere l’area completamente deserta.

“Niente male, pivella.” la Sarutobi si voltò di scatto, osservando Hanabi a testa in giù sul ramo di un albero poco distante. “Sei riuscita a prendermi alla sprovvista, ti faccio i miei complimenti.”

Subito dopo, la kunoichi scomparve, ricomparendo dopo un istante di fronte alla ragazzina, tirandole un tremendo calcio al mento.

“Ma se non sfrutti l’istante dove abbasso la guardia, la tua tecnica diventa solo uno spreco di energie.” il colpo spedì a parecchi metri di distanza la Genin, lasciandola intontita al suolo.

Subito dopo, il corpo di Mirai svanì, lasciando al suo posto un ciocco di legno annerito.

Si è sostituita… prevedibile, ma è un buon diversivo.

Nell’ora successiva, Hanabi riuscì ad individuare ognuno dei membri del team, costringendoli a rapide fughe. Tuttavia, con il passare dei minuti, la Hyuga divenne sempre più nervosa: era palese che quell’esercitazione non stesse sortendo i frutti sperati. Decise di porvi fine prima di mezzogiorno, ormai stufa di gironzolare per il boschetto del campo di addestramento.

Dovrò usare le maniere forti per farmi capire da questi mocciosi.

Il primo a cadere fu Shigeru. Le sue copie di insetti erano ingegnose, ma la kunoichi era troppo esperta per lasciarsi ingannare. Finse di cadere preda di uno dei suoi sciami, solamente per sostituirsi e colpire alla nuca con un colpo secco il giovane Aburame, lasciandolo stordito.

E uno…

Aimi fu meno dura da sconfiggere. La ragazza tentò invano di moltiplicarsi per darsi alla fuga, ma Hanabi la intercettò, colpendola con un violento pugno allo stomaco.

E due…

Rimaneva solo Mirai, la quale dopo il fallimento della tecnica di fuoco si era tenuta in disparte, cercando di pensare ad un’idea per rubare uno dei campanelli.

E’ velocissima e per quanto arrogante non abbassa mai la guardia… il suo stomaco brontolò per il digiuno forzato, mettendole difficoltà a riordinare i propri pensieri. E quegli occhi sono inquietanti… pare che veda ogni cosa.

Per quanto odiasse ammetterlo, Mirai non sapeva cosa fare. La tecnica di prima l’aveva privata di quasi tutto il chakra, lasciandola in debito di ossigeno. Uno sfogo di rabbia che aveva pagato caro. Poteva reggere soltanto un altro attacco, e pertanto non poteva assolutamente fallire.

“Deve avere un punto debole…” borbottò a bassa voce, passandosi una mano tra i capelli.

“Certo che ce l’ho.” esordì una voce alle sue spalle. “Sono allergica alle pivelle incapaci.”

Mirai reagì allontanandosi di scatto, iniziando a formare i segni, seguendo il proprio istinto, ma Hanabi non aveva voglia di perdere altro tempo. Con un movimento inumano, la kunoichi si portò alle spalle della Sarutobi, la quale fu troppo lenta nel voltarsi.

“Buh!” la Hyuga la spedì lontano tramite un tremendo montante. La Genin precipitò ad alta velocità al suolo, schiantandosi violentemente con il tronco di un albero distante, dove rimase a boccheggiare senz’aria.

Hanabi si sistemò i capelli con un gesto meccanico, sbuffando per la noia.

“Fine dell’esercitazione.”

 

 

Una secchiata di acqua gelata fece rinvenire di colpo Mirai, la quale tossì violentemente. Si sentiva il corpo bloccato ed indolenzito, oltre ad avere un mal di testa atroce. Provò a muoversi, ma si accorse di essere fissata ad un tronco tramite delle corde.

Cosa è successo? tentò di divincolarsi, ma non ottenne alcun risultato di sorta. Ai suoi lati, su due tronchi simili, Shigeru ed Aimi erano nella sua stessa identica situazione.

“Ben svegliati.” Hanabi si trovava di fronte a loro, le braccia incrociate, mentre il caldo sole primaverile aveva preso ad illuminare la radura. “Avete dormito proprio bene, pivelli.”

“Cosa significa tutto questo?!” borbottò Aimi, tentando di divincolarsi con scarso successo. “Se i miei lo venissero a sapere…”

“Terranno la bocca chiusa, visto che decido io come si svolgono gli allenamenti, mocciosa!” la redarguì la Hyuga. “Vi ho legati perché avete tutti fallito miseramente la prova. Se avessi un minimo di buonsenso vi rispedirei in Accademia con un calcio così forte che non potreste sedervi sulle vostre chiappe per un anno intero.”

“Era un test impossibile!” si difese Mirai, senza smettere di lottare contro i nodi che la bloccavano. “Lei è un Jonin esperto, mentre noi siamo soltanto dei Genin!”

“Credi che questa scusa sia sufficiente per spiegare il vostro fallimento?” replicò Hanabi. “Se durante una missione incontraste un ninja più abile di voi vi arrendereste subito?! Mettereste in pericolo il vostro villaggio solo perché avete la spina dorsale di una lumaca? E’ questo il tuo Nindo, pivella?!”

Le parole sferzanti della kunoichi chiusero la bocca alla Sarutobi. Questi sentiva che, sotto il tono acido e sarcastico della sua insegnante, c’era del vero. La stessa verità racchiusa nelle parole del suo padrino.

Quando si fallisce non esistono scuse…

“Non avete fallito perché non avete afferrato i campanelli. Ad essere sincera, sarei rimasta stupita del contrario.” proseguì Hanabi. “Vi siete mai soffermati su come potermi affrontare? Avete mai riflettuto sul fatto che singolarmente non avete mai avuto una vera possibilità di battermi?” Aimi corrugò le sopracciglia, mentre Shigeru proseguì nel suo silenzio stoico. Tuttavia, era palese come anche lui fosse a disagio nel sentire quelle parole.

“Il motivo per cui dovrei farvi tornare subito in Accademia è solo questo: siete degli individualisti. Ed un ninja che ragiona solo per sé non andrà da nessuna parte. Ora siete una squadra, maledizione! E questo significa che dovete iniziare a comportarvi come tale, che si tratti di rubare un campanello o di sacrificarsi per i propri compagni, dovete ragionare sempre come team, come se faceste tutti parte di qualcosa di più importante.” Hanabi scosse la testa, emettendo un sospiro. Nonostante si aspettasse un simile risultato, era delusa dalla mancanza di collaborazione tra i tre.

“Ecco... questo era il vero test: scoprire il lavoro di squadra!” concluse con tono stanco. Li slegò, rimanendo soddisfatta nel vederli pensierosi: era segno che le sue parole erano entrate nelle loro piccole testoline.

“Domani vi voglio qui all’alba.” proseguì, lanciandoli addosso due cestini del pranzo. “Inizieremo con gli allenamenti, ma se non vedrò dello spirito di gruppo entro tre giorni, giuro sui miei antenati che vi riporterò tra i banchi a litigarvi i dolcetti, è chiaro?!”

“Sissignore.” fu la laconica risposta dei tre.

“Ora prendete quei cestini e sparite dalla mia vista!”

Mirai, Shigeru e Aimi obbedirono senza fiatare, tutti tenendo la testa bassa. Sapevano di aver fallito. Mirai non provava solamente delusione ma anche rabbia. L’idea di essere stata definita una debole priva di volontà l’aveva ferita nel profondo, molto più di quanto desiderasse ammettere. Si era sempre considerata una buona studentessa, abile ed in gamba. Ma nel giro di qualche ora sia il suo padrino che la sua Sensei l’avevano definita una debole, priva della forza per andare avanti. Era qualcosa che non riusciva ad accettare, per quanto capisse che c’era del vero in quelle parole.

Giunsero in silenzio ad una panchina, ognuno immerso nei propri pensieri. Mirai si sedette con uno sbuffo, infuriata con il mondo. Era così arrabbiata che non batté ciglio quando Aimi le si sedette affianco.

I loro stomaci ruppero il silenzio, brontolando all’unisono. Nel corso delle ultime ore la fame era aumentata in modo esponenziale.

Tre paia di occhi fissarono famelici i due cestini che Hanabi aveva loro lanciato. Era palese che qualcuno sarebbe dovuto rimanere a bocca asciutta alla fine.

“Mangiate voi!” sbottò Mirai, incrociando le braccia con fare stoico. “Questa storia mi ha fatto passare la fame.”

Era una bugia, ma i rimproveri subiti nelle ultime ore l’avevano ferita, donandogli il desiderio di mostrare al mondo che non era una debole, anche se ciò significava restare a digiuno.

Aimi non replicò alla compagna. Si limitò ad aprire uno dei cestini, afferrare un onigiri con le bacchette e portarlo davanti alla bocca della Sarutobi.

“Mangia.”

“Cosa?!”

“Hai sentito, stupida. Mangia e piantala di fare la dura.” borbottò la Yogonuchi a disagio. Era chiaro che fare un favore alla sua acerrima nemica le stava costando moltissimo.

“Non ho bisogno della tua carità!” rispose Mirai digrignando i denti. “Posso restare benissimo senza mangiare fino a stasera.”

“Senti Mirai, tu non mi piaci ed io non piaccio a te.” dichiarò con tono minaccioso Aimi. “Ma ora siamo nella stessa squadra. Questo non significa che ho smesso di detestarti, ma se voglio raggiungere il mio obbiettivo mi serve collaborare con te. Quindi mangia, altrimenti ti ficco il cibo in gola con la forza.”

Per un istante Mirai fu tentata di rifiutare, ma quando vide Shigeru accettare l’onigiri di Aimi, aprendo anche il secondo cestino, decise di deporre le armi, iniziando a mangiare assieme ai due compagni.

“Questo non cambia un bel niente, mettitelo in testa.” sibilò la figlia di Asuma, assaporando il cibo come se non mangiasse da una settimana.

“Lo so meglio di te!” replicò l’altra.

A pochi metri di distanza, nascosta dietro un albero, Hanabi osservò la scena a braccia conserte, sbuffando.

“Finalmente l’hanno capito.” borbottò, incamminandosi verso casa. “Stupidi mocciosi!”

 

 

Dieci minuti dopo, Hanabi giunse innanzi al portone del condominio dove abitava. La Jonin era di discreto umore dopo quello che aveva osservato nel parco. Nonostante tutto, quella mattina non era stata sprecata, dato che quei tre mocciosi avevano capito finalmente cosa significasse collaborare. Il prossimo passo sarebbe stato farli diventare una vera squadra, che capisse l’importanza del lavoro di gruppo.

I suoi pensieri tuttavia, sviarono subito dai suoi studenti quando vide una figura a lei familiare vicino al portone.

Konohamaru.

Saru...

Era sorpresa. Ormai erano passati più di due mesi da quando si erano lasciati e da allora non aveva più avuto sue notizie. Da un certo punto di vista le era andato bene: quella era una ferita ancora fresca e rivederlo rischiava soltanto di farla sanguinare nuovamente. Era per questo motivo che non aveva dato a nessuno, tolto suo padre e sua sorella, il suo nuovo indirizzo, in modo da evitare di rivedere il suo ex fidanzato.

Eppure, nonostante i suoi sforzi, Konohamaru era lì, che l’attendeva, sul viso un’espressione di nervosismo, quasi fosse a disagio in quel posto. Disagio che, nel suo caso, era moltiplicato all’inverosimile, fino a farlo diventare puro terrore.

Ora cosa vuole…

Si avvicinò, irrigidendo ogni muscolo, per evitare di darsela a gambe. Dopo quello che si erano detti l’ultima volta, le era difficile anche solo pensare di rivolgergli la parola.

Lui la vide. Sobbalzò, quasi anche lui fosse tentato di fuggire da quel confronto. Hanabi si chiese cosa diavolo fosse venuto a fare, visto che entrambi sembravano terrorizzati all’idea di parlarsi.

“Ciao.” fu il Sarutobi a rompere per primo il silenzio, osservandola nel tentativo di capire cosa le passasse per la testa.

“Come hai fatto a scoprire dove abito?” fu la domanda secca della kunoichi, sempre più irritata e spaventata da quell’incontro.

Konohamaru fece un sorriso amaro. Era preparato ad una simile accoglienza.

“Desideravo vederti… così ho chiesto in giro.”

“Un desiderio che non condivido.” sbottò la ragazza. Il Sarutobi fece un sospiro, cercando le parole giuste.

“Non desideravo darti fastidio. Solo che… ho saputo che hai lasciato gli Anbu e quindi…”

“Come fai a saperlo?” lo interruppe subito, la mente che acquistava freddezza, mista ad un atroce sospetto. Qualcosa di così assurdo che si diede dell’imbecille ad averlo solo pensato. Il fatto che gli occhi del Sarutobi cercassero di evitarla tuttavia non faceva che rafforzarlo.

“L’ho saputo dall’Hokage.” fu la risposta di lui, ma il tono appariva falso alle sue orecchie. Conosceva bene Konohamaru e sapeva quando mentiva.

“E perché l’Hokage avrebbe dovuto dirti una cosa così riservata?”

Scese un silenzio teso per alcuni secondi. Una goccia di sudore scese dalla fronte di Konohamaru, il quale rimase in silenzio fino a quando non cadde sul selciato.

“Perché sono stato io… a suggerirgli di affidarti una squadra di Genin.”

Niente. Non sentì assolutamente nulla. Non percepì rabbia, dolore, sorpresa… la sua mente rimase calma e fredda come una lastra di ghiaccio, il cuore che pompava tranquillamente il sangue.

Ne ebbe paura.

Il colpo arrivò improvviso, secco. Un montante tremendo al mento, che lasciò stordito il Jonin. Questi barcollò all’indietro, portandosi una mano sulla zona lesa, gli occhi fissi sul volto gelido della sua ex.

“Prima di ammazzarti vorrei sapere una cosa.” esordì Hanabi, il tono tranquillo. Pareva quasi stesse discutendo in maniera disinteressata. “Quale ragione ti ha spinto a rovinarmi l’esistenza?”

Il Sarutobi sollevò il volto, gli occhi scuri che si specchiavano in quelli perlacei della donna. Dentro di lui provava soltanto amarezza nell’osservare quel viso ricolmo di risentimento nei suoi confronti.

“Perché volevo aiutarti.”

“Nessuno ti ha chiesto nulla!” ringhiò la Hyuga con tono furioso. La rabbia stava montando ora, incagliandosi nello stomaco. “Non avevi nessun diritto di intrometterti nella mia vita!”

“Invece sì!” fu la secca replica di Konohamaru. “Stavi male, te lo si leggeva chiaramente in faccia. Non potevo lasciarti sprofondare senza tentare nulla, non è nel mio carattere abbandonare una persona a me cara al suo destino.”

Lei gli rise in faccia.

“Persona a te cara?!” il suo bel viso si contrasse in una smorfia di pura collera. “Soltanto perché siamo stati assieme per qualche tempo non significa che io ti debba qualcosa, così come tu non devi nulla a me. Finiscila con quest’ossessione, Konohamaru. Sei soltanto patetico.”

Entrò nel condominio, superandolo con una spallata, furiosa con il mondo intero per ciò che aveva appena udito. Ignorò le domande di Kabera, chiudendosi in camera. Sentiva la rabbia bollirle nello stomaco come magma incandescente. Era furiosa per ciò che Konohamaru le aveva fatto, forse troppo dal momento che rimase spaventata nello scoprire che, sotto la rabbia, covava un altro sentimento, più profondo, ma sufficientemente blando da poter essere sommerso e dimenticato dal suo orgoglio.

Non aveva alcun diritto! Maledetto stupido!

Nello stesso istante, in strada, Konohamaru Sarutobi si riscosse lentamente, distogliendo lo sguardo dalla porta che la Hyuga gli aveva sbattuto in faccia.

Non mi importa di apparire patetico…

Perché c’era una crepa nella corazza di rabbia e di disprezzo di Hanabi Hyuga, qualcosa che non aveva mai visto prima in lei e che gli fece comprendere, nonostante tutto, di aver fatto la scelta giusta.

Con il carattere che si ritrova… quando mai ha avuto gli occhi lucidi in quel modo?

Annui, emettendo un sospiro. La sua parte l’aveva fatta, proprio come gli aveva ordinato Moegi. Adesso doveva attendere, sia che la cosa funzionasse sia che Hanabi proseguisse a vivere lontano da lui.

Stupida orgogliosa.

 

 

Nelle tre settimane successive, il tempo scorse fin troppo rapidamente per Mirai, trasformandola più di quanto volesse ammettere.

Hanabi era diventata semplicemente il loro incubo. Ogni giorno, indipendentemente dal tempo, costringeva i tre Genin a sedute di corsa, esercizi fisici, ginnastica e palestra. Non contenta, dopo una breve pausa per il pranzo, la Hyuga li sottoponeva a lunghe esercitazioni, obbligandoli a collaborare per affrontarla in uno combattimento, lasciandoli liberi di tornare a casa solo verso ora di cena.

“Voi mi odierete.” dichiarava sempre la kunoichi quando li vedeva sul punto di crollare. “Arriverete al punto di odiarmi, ma la cosa non mi interessa. Sputate sangue, urlate dalla rabbia, imprecate, desiderate pure la mia morte… ma non osate mollare o vi rispedisco subito in Accademia, chiaro?”

La tentazione era forte, molto forte. Ogni giorno diventava sempre più difficile per Mirai trovare la motivazione per scendere dal letto. Si rendeva conto che non era quella la vita che si era aspettata dopo il diploma. Hanabi era dura, fredda e sempre piena di rabbia e risentimento nei loro confronti. Non faceva compiere loro alcun tipo di missione, limitandosi a sfinirli per inculcare loro il lavoro di squadra e la fatica.

Potrei sempre tornare in Accademia, rifare l’ultimo anno e ripartire con una squadra nuova ed un Sensei migliore…

Era il suo primo pensiero la mattina, quando cercava di trovare la forza di scendere dal letto. Invariabilmente lo scacciava, ma si accorse che ogni volta ci voleva maggiore forza mentale per farlo. Capì infine che lo scopo ultimo di Hanabi non era quello di insegnare loro qualcosa, ma solo quello di spezzarli dentro.

 Eppure, non si arrese. Le parole di Shikamaru bruciavano come fuoco nella sua mente, e si accorse che non sarebbe mai riuscita ad accettare l’idea di fallire, non dopo che il suo padrino le aveva dato della vigliacca.

Che spezzi pure il mio fisico… continuerò a lottare con la mente.

In quei giorni, seppur controvoglia, iniziò ad entrare in confidenza con Aimi e Shigeru. Si accorse che l’Aburame, per quanto silenzioso e sgarbato, pareva comprenderla molto bene. Ogni volta che i suoi muscoli la tradivano per la stanchezza, lui era lì, ad aiutarla, sorreggendola se necessario. Non diceva una parola, ma la Sarutobi iniziò a chiedersi se non fosse stata frettolosa nel definirlo uno strambo fissato con gli insetti.

Aimi invece l’aveva colpita. Aveva sempre pensato a lei come ad un’arrogante egocentrica, incapace di passare dalle parole ai fatti. Eppure, nonostante Hanabi la torchiasse e la umiliasse continuamente, urlandole contro ogni insulto possibile, la Yogonuchi non protestò mai, proseguendo imperterrita nei propri esercizi. Sembrava semplicemente non accusare la fatica, e più Hanabi si impegnava per farla cedere, più quest’ultima appariva inscalfibile nella propria volontà.

Come fa ad avere tutta quell’energia?

Era un quesito che attanagliava spesso la mente di Mirai, incapace di dargli una risposta. Tuttavia, se con Shigeru era stato relativamente facile ricredersi, la sola idea di cambiare giudizio su Aimi Yogonuchi la faceva inorridire.

Eppure, poco alla volta, fu proprio l’esempio della rivale a spronarla ogni giorno, a trovare le energie per non arrendersi. Senza accorgersene, la Sarutobi e la Yogonuchi avevano iniziato a fissarsi non più con disprezzo, ma con riluttante rispetto. Entrambe comprendevano che i motivi d’attrito tra loro erano nient’altro che futili bambinate innanzi a ciò a cui li stava sottoponendo Hanabi. Se volevano sopravvivere, erano costrette a sostenersi a vicenda.

Era quando scendeva la sera però che l’astio tra di loro diventava più sfumato, quasi impercettibile. La stanchezza le rendeva più vulnerabili, più disposte a vedere la rivale come a qualcuno con cui condividere un legame. Un legame forgiato da sudore e sangue, qualcosa per cui valeva la pena provare a superare il disprezzo che le divideva. Sarebbe bastata una parola, un segno, per far crollare definitivamente anni di inimicizia.

Ma nessuna lo fece.

 

 

Kabera inclinò la testa verso destra, le iridi celesti fisse verso la parete di fronte a sé, un’espressione di irritante beatitudine sui tratti infantili del viso. Era difficile capire cosa passasse per la mente della giovane Anbu, quale astruso pensiero stesse focalizzando la sua concentrazione.

L’ingresso irruento di Hanabi in casa la riscosse dal suo torpore. Annuì scioccamente un paio di volte, osservando con blando interesse la sua coinquilina aprire il frigorifero, afferrare una bottiglia di birra e correre a sdraiarsi scompostamente sul divano dove prese a bere lunghe sorsate della bevanda.

Lentamente, come se la cosa non risvegliasse in lei che un blando interesse, Kabera si alzò, avvicinandosi con passo indolente alla Hyuga, osservandola sbottonarsi i pantaloni con un sospiro di sollievo.

“Buonasera, Senpai.” mormorò dolcemente la ragazza. “Come è andata la sua giornata?”

La risposta di Hanabi fu un assai poco signorile rutto. Normalmente, la Jonin si guardava bene dal comportarsi in quella maniera, ma Kabera la conosceva da troppo tempo per non capire che c’era qualcosa che non andava.

“Qual è il problema, Senpai?” domandò con tono sognante, sedendosi a gambe incrociate sul pavimento. “I vostri allievi sono dispettosi?”

“I miei allievi…” esclamò sarcasticamente la Hyuga. “Sono tre maledetti marmocchi che dopo venti giorni non hanno ancora capito cosa diavolo significa collaborare. Perfino un Baka come Naruto avrebbe afferrato il concetto dopo tutto questo tempo!”

“Capisco. Immagino che questo vi renda triste.”

Hanabi ingollò un nuovo sorso di birra, lanciando un’occhiata all’amica assai distante dal concetto comune di tristezza.

“Sono solo degli incapaci!” sbottò infine. “Dovrei rispedirli a calci in Accademia. In questo modo questa ridicola storia dell’insegnamento avrebbe fine e potrei tornare negli Anbu con te.”

“Eppure non lo fate.” replicò dolcemente l’Anbu. “Perché?”

Non rispose. Non aveva una risposta ben precisa da dare. Da quando aveva parlato con Konohamaru una sola idea le aveva preso possesso del suo cervello: tornare negli Anbu, il suo posto, la sua vera casa. Aveva stilato un programma di allenamento disumano per i suoi allievi con il chiaro intento di farli mollare, ma finora li aveva visti sopportare le peggiori angherie del suo repertorio senza battere ciglio. Era rimasta sorpresa da tanta determinazione, ma questo non faceva che frustrare le sue speranze di tornare ad impugnare la Shinobigatana, lasciandola sempre più cupa e di malumore.

Sentì lo sguardo di Kabera su di sé e la cosa la irritò. Con un gesto improvviso si alzò, scaraventando la bottiglia contro il muro, gli occhi contratti nel Byakugan.

“Piantala di fissarmi! Non ho nessun motivo per spiegarti le mie decisioni, è chiaro?!”

La sua voce risuonò furiosa nel salotto, seguita subito da un silenzio carico di tensione. Kabera sembrò stupita da tanto astio nei suoi confronti, ma le sue successive parole furono pronunciate con tono dolce e gentile.

“Avete ragione… vi chiedo scusa.” si alzò, dirigendosi verso camera sua. “Ma dovreste stare attenta. Non vi fa bene stare così male.”

Digrignò i denti, osservando la coinquilina andarsene con passo lento. Fu solo quando sentì la porta in fondo al corridoio chiudersi con uno scatto che la sua ira esplose.

“Non c’è niente che non va in me, hai capito?! NIENTE!”

Non udì nessuna risposta. Non che la desiderasse. Tutto quello che voleva era lasciarsi alle spalle quella storia ridicola, ma non vedeva nessuna via d’uscita. Era in trappola, costretta ad un ruolo per il quale non si sentiva assolutamente tagliata.

Io sono un’omicida a sangue freddo, un’assassina, non una stramaledetta balia per dei marmocchi! Questo non è il mio posto!

Chiuse gli occhi, disattivando la propria abilità oculare, la mente bombardata dalle parole di Konohamaru, poche frasi che la perseguitavano da settimane, facendola sentire furiosa con il mondo intero.

Maledetto bastardo…

Voleva una maschera, una lama, una persona da uccidere nel buio, una vita passata da omicidio ad omicidio, qualcosa che la rendesse morta dentro, che le donasse la capacità di piantare un coltello nella gola di Hazuba, permettendole di adempiere al proprio dovere di Anbu e di Hyuga. Invece tutto quello che aveva erano tre marmocchi, un ex fidanzato cocciuto ed una coinquilina fastidiosamente perspicace, che la metteva maledettamente in difficoltà nell’accettare i propri sentimenti.

Cosa ci faccio qui?

Non dormì quella notte. Trascorse le ore che la separavano dall’alba bevendo ogni bevanda alcolica che trovò in casa, riempiendo successivamente di vomito il lavabo in cucina. Quando decise di strisciare in doccia era già in ritardo per l’allenamento del mattino, facendola uscire di casa, poco dopo, in uno stato di profonda ira, furiosa con il mondo intero.

Oggi giuro che mi libererò di loro.

Sogghignò, il volto magro e sciupato deturpato dalla rabbia. Una collera pronta a riversarsi contro tre inesperti Genin.

Stamattina mi diverto…

 

 

Quella mattina Mirai fece fatica a trattenersi dallo sbottare. Hanabi era più irritante e sadica del solito e, come al solito, stava prendendo di mira Aimi, insultandola in tutte le maniere possibili.

“E tu saresti la figlia di un ricco proprietario terriero?” ringhiò la Hyuga, osservandola fare piegamenti sotto l’ennesimo acquazzone d’aprile. “Come ti senti ora a mangiare fango? Come ci si sente ad essere una nullità, principessina?!” le sue parole si persero sotto il rombo dei tuoni, mentre la Yogonuchi proseguiva imperterrita nel proprio esercizio, lasciando la Sarutobi sempre più arrabbiata e perplessa. Perché non reagiva? Cosa c’era che la bloccava? Possibile che avesse paura di Hanabi Hyuga?

“Non rispondi? Del resto non mi sorprende.” la Jonin le voltò le spalle, un sorrisetto maligno sulle labbra. “Sei solo una fallita.”

Fu un istante, un attimo così veloce che Mirai non fu certa di averlo veramente visto. Il corpo di Aimi ebbe un fremito, quasi si stesse trattenendo. Era difficile capire la sua espressione sotto la patina di fango, ma la Sarutobi udì distinto il rumore di un singhiozzo trattenuto a stento.

Fu troppo per lei.

Digrignò i denti, affondando le dita nella melma sotto di sé, il corpo pieno di rabbia. Non sapeva neanche lei il perché di quella reazione. Aveva sognato per anni di vedere la sua rivale umiliata, ma ora che era successo sotto i suoi occhi provava solo un cieco desiderio di farla pagare ad Hanabi per le sue parole sprezzanti.

Ha passato il segno…

Si alzò di scatto, lo sguardo puntato contro la Hyuga, la quale socchiuse gli occhi, un sogghigno ad incorniciarle il volto.

“Non ti ho detto di fermarti, Sarutobi.”

Mirai rimase immobile, le iridi color ossidiana fisse in quelle pallide della sua Sensei. Per un istante si chiese se fosse giusto quello che voleva fare, ma i singhiozzi di Aimi le rimbombavano ancora in testa, scaldandole il sangue.

Con un gesto deciso afferrò il proprio copri-fronte, scaraventandolo a terra.

“Non intendo più darle ascolto!” esclamò. “Non rimarrò qui a farmi umiliare da lei!”

“Allora tornatene in Accademia.” fu la secca replica della Jonin. “Vai a frignare tra i banchi. Evidentemente, è quello il tuo posto.”

“Sempre meglio che obbedire ai comandi di una vigliacca!”

Il sorriso svanì dalle labbra di Hanabi, le unghie che penetravano lentamente nella carne dei palmi, gli occhi stretti in uno sguardo glaciale. Aimi e Shigeru si alzarono, fissando sbalorditi il comportamento della loro compagna.

“Cosa hai detto?!” sibilò la Hyuga, avvicinandosi lentamente verso la Genin. “Cosa sarei io… piccola mocciosa sputasentenze?!”

“Lo sa benissimo!” Mirai sentì le viscere contrarsi per la paura, ma non indietreggiò, resa ebbra dalla rabbia che le circolava in corpo. “Noi siamo qui per imparare, per diventare qualcuno su cui la nostra gente possa contare un giorno. E lei cosa ha fatto? Nient’altro che offenderci ed umiliarci, sfogando su di noi i problemi della sua vita privata!”

“Zitta.” schiaffeggiò la ragazzina, scottata da quelle parole. “Cosa sai tu di me, mocciosa? Chi ti credi di essere per venire qui a farmi la predica? Sei solo una stupida bamboccia che ha sempre vissuto nella bambagia.”

Con uno scatto, Mirai si rialzò, sorprendendo tutti. Successivamente, afferrò per il bavero la sua insegnante, sfogando tutta la frustrazione accumulatasi nelle ultime settimane.

“E’ lei che non sa niente di me! Non ha la minima idea di tutti i sacrifici che ho fatto per arrivare a questo punto, di quanta fatica ho impiegato per provare a raggiungere il mio sogno! E adesso lei arriva qui, dal nulla, a dirmi che sono solo una stupida bambina buona a nulla?! Cosa sa di noi tre per giudicarci così?! Per buttarci addosso le sue croci?! Niente, lei non sa niente! Proprio come quello che può insegnarci!”

Lasciò di scatto la presa, quasi si fosse scottata, il fiato corto per tutto ciò che aveva urlato. Si sentiva leggera, quasi capace di volare. Finalmente aveva detto tutto ciò che pensava di Hanabi Hyuga, ed era una percezione magnifica.

Hanabi sembrò recuperare il proprio autocontrollo. Per un lunghissimo minuto rimase immobile, l’espressione sul volto glaciale. Tuttavia, quando parlò, la sua voce apparve tremendamente fragile.

“L’allenamento per oggi è finito.”

Non disse altro. Diede loro le spalle, incamminandosi verso casa, la schiena dritta. I suoi occhi però, apparivano sperduti, quasi spaventati.

Mirai recuperò lentamente il fiato, sentendosi sfinita, la pelle che bruciava dove era stata colpita. Fece per raccogliere il proprio copri-fronte quando Aimi la precedette, consegnandoglielo con un’espressione strana sul volto: un misto tra sorpresa e gratitudine.

“Grazie.”

La figlioccia di Shikamaru non disse nulla, accettandolo con un gesto secco. Ora che la rabbia stava svanendo, si accorse dell’enormità del suo gesto. Non solo si era condannata ad un inglorioso ritorno tra i banchi dell’Accademia, ma aveva costretto Shigeru ed Aimi allo stesso destino.

“Non dovresti ringraziarmi.” esordì, i capelli pregni d’acqua appiccicati sulla fronte. “Per causa mia tornerete in Accademia anche voi.”

Sul volto della Yogonuchi si dipinse una smorfia di insofferenza al pensiero, ma non aprì bocca.

“Hai scelto di fare ciò che pensi sia giusto.” mormorò Shigeru. “Questo non è mai un male, Mirai.”

Le iridi scure della Sarutobi si soffermarono sui volti dei suoi compagni. Ci vide stanchezza, delusione, forse dolore, ma entrambi non tentarono minimamente di accusarla di quella situazione, nonostante ne avessero il diritto. Erano una squadra, e come tale avrebbero vissuto quell’insuccesso assieme, condividendone la vergogna.

Grazie…

 

 

Sentiva la pioggia battere sul vetro, ma non la vedeva. Ogni cosa attorno a lei era scura, immersa in un silenzio rotto solo da quel ticchettare monotono. Ogni tanto, un lampo illuminava a giorno l’ambiente, facendolo sprofondare subito dopo nell’oscurità.

 

“Non avevi nessun diritto di intrometterti nella mia vita!”

“Invece sì!... Stavi male, te lo si leggeva chiaramente in faccia. Non potevo lasciarti sprofondare senza tentare nulla, non è nel mio carattere abbandonare una persona a me cara al suo destino.”

 

Digrignò i denti, conficcandosi le unghie nel tatuaggio sulla spalla. Percepiva una sordida collera bruciarle nello stomaco, rivolta indistintamente contro tutti. Odiava tutti, compresa se stessa.

Il mio destino…

 

“Gli Anbu sono tutto per me, non potete buttarmi fuori!”

 “Ho deciso di farlo perché ritengo che il tuo compito all’interno dell’ordine sia concluso. Rimanerci ancora non sarebbe di alcun beneficio per nessuno, neanche per te.”

 

Qual era il suo compito? Il suo destino? Perché non riusciva a comprenderlo? Com’era possibile che chiunque fosse riuscito a trovare il suo posto nel mondo, mentre lei era ancora lì, a brancolare nell’oscurità?

La collera prese a gorgogliare nel suo stomaco, inacidendosi, otturandole la gola. Scavò nella pelle della spalla, facendola sanguinare. Un odore, quello del sangue, che conosceva fin troppo bene.

Non sono altro che un’assassina… il mio posto non è tra le persone normali.

 

“Cosa sa di noi tre per giudicarci così?! Per buttarci addosso le sue croci?! Niente, lei non sa niente! Proprio come quello che può insegnarci!”

 

Si Incastrò la testa tra le ginocchia, sentendosi confusa. Era stanca. Stufa di tutta quella sofferenza. Fin da quando era una bambina aveva dovuto convivere con il dolore, specialmente quello di sua sorella. Aveva creduto che fuggire, nascondersi dietro una maschera, dietro una sciocca ambizione di diventare più forte, potesse salvarla da quel dolore, da tutta quella sofferenza umana che la schiacciava. Un modo per staccarsi da quel nome che aveva cominciato ad odiare con tutta se stessa: Hanabi Hyuga, l’erede del potente clan Hyuga.

Ma si era sbagliata.

Il dolore non aveva smesso di perseguitarla, di schiacciarla sotto il suo atroce peso. Sua sorella aveva ancora bisogno del suo aiuto, così come il suo clan ed il suo villaggio. Non era cambiato niente da prima e allo stesso tempo era cambiato tutto, sotto i colpi di una guerra civile, capace di sommergendola sotto una montagna di cadaveri, i suoi morti, uccisi per una patria che mai come in quell’istante sentiva di detestare.

Digrignò i denti con tanta forza da farli scricchiolare, le unghie incastrate tra i palmi delle mani. Era stanca, tremendamente stanca di quella vita, ma allo stesso tempo si sentiva inadatta a qualsiasi alternativa. Era giunta ad odiare ed amare quella vita, proprio come amava ed odiava se stessa. La speranza di salvezza, di redenzione, che il Sesto Hokage le aveva concesso non era altro che una futile illusione, che si sarebbe infranta presto.

Quando sono diventata così? Rialzò la testa di scatto, le iridi color lavanda perse nell’oscurità della sua stanza. Quando ho perso ogni speranza per il futuro?

Forse era stato alla fine della guerra civile. Vedere con mano la vera essenza del dolore era stata un’esperienza terribile, che inconsciamente l’aveva cambiata nel profondo, facendola a poco a poco allontanare da ogni affetto che si era costruita nel tempo, salvando solo sua sorella e quell’idiota di suo marito. Neanche Konohamaru era stato risparmiato da quella fuga ossessiva da ogni cosa, convinta che annullarsi per il proprio dovere fosse l’unico modo per smettere di soffrire.

E poi era arrivato Kakashi e quel suo maledetto incarico. Un lavoro che aveva odiato, osteggiato e detestato fin dal primo istante… almeno fino a quando una ragazzina infuriata non le aveva sbattuto in faccia frasi che scottavano troppo per liquidarle come farneticazioni infantili.

Fece un sospiro, chiudendo gli occhi, desiderando ardentemente che qualcosa, un segno, l’aiutasse a capire. Comprendere cosa dovesse fare della sua vita. Per la prima volta, Hanabi non sapeva cosa fare.

 

“Noi siamo qui per imparare, per diventare qualcuno su cui la nostra gente possa contare un giorno. E lei cosa ha fatto? Nient’altro che offenderci ed umiliarci, sfogando su di noi i problemi della sua vita privata!”

 

Non chiuse occhio quella notte. Rimase tutto il tempo seduta sul letto, lo sguardo perso nel vuoto, in testa solo le parole urlatele contro da una ragazzina arrabbiata.

I miei allievi…

 

 

La mattina dopo, Mirai giunse al campo d’addestramento con la sensazione che fosse l’ultima volta. Ci aveva pensato a lungo durante la notte, ed era giunta alla conclusione che fosse giusto così. Era palese che Hanabi Hyuga non avesse alcuna intenzione di insegnare loro alcunché.

Speriamo solo che mamma non si arrabbi troppo. Non aveva avuto il coraggio di dire nulla al genitore, temendo una lavata di capo. Kurenai non era un genitore abituato ad alzare la voce, ma possedeva un’autorità innata, capace di averla spesso vinta anche con una testarda come sua figlia.

Sopraggiunsero Aimi e Shigeru, entrambi con un’espressione cupa in volto. Ciò che la colpì più di tutto furono gli occhi della Yogonuchi: due pallidi pozzi chiari, ricolmi di qualcosa di molto simile alla disperazione. Era evidente che per lei ciò che stava per accadere sarebbe stata un’onta difficilmente dimenticabile.

La mattina avanzò, lasciando i tre Genin sempre più perplessi. Ad eccezione del loro primo incontro, Hanabi non aveva mai fatto tardi ad un allenamento.

“Forse è andata in Accademia dal preside, chiedendogli di riprenderci.” ipotizzò all’improvviso Shigeru, dando voce alle preoccupazioni delle due ragazze.

“Forse…” la voce di Aimi era così bassa che fecero fatica ad udirla. “Forse anche noi dovremmo andare… in Accademia.”

Mirai non aprì bocca. Vedeva la realtà davanti a lei, tremendamente chiara: aveva fallito. Nonostante tutto quello che si era ripromesso in merito a quella sfida, alla fine aveva ceduto alla sua irruenza, perdendo tutto. C’erano molte attenuanti, ma il solo pensarci la disgustò. Il suo padrino era stato ben chiaro su quel concetto, e non aveva alcuna intenzione di perderlo.

Infine, quando ormai si stavano decidendo a dirigersi verso l’Accademia, Hanabi comparve con passo lento, il volto inespressivo, gli occhi gelidi. Sembrava quasi avesse dimenticato la sceneggiata del giorno prima.

Una volta arrivata innanzi ai propri allievi, la kunoichi li guardò a lungo, mettendoli a disagio. Si soffermò in particolare su Mirai, la quale non riuscì a reggere quello sguardo freddo, sentendosi ancora in colpa per le azioni compiute il giorno precedente.

Un vento freddo si sollevò improvvisamente, facendoli rabbrividire. Nonostante quella mattina splendesse il sole, l’aria era ancora fredda, risentendo della pioggia caduta durante la notte.

“Seguitemi.”

Un comando secco, come al solito. Tuttavia, il tono di voce lasciò i tre compagni perplessi. Non c’era più alcuna traccia di arroganza o di cattiveria nella voce della kunoichi, quanto più una grande stanchezza.

“Vi ho detto di seguirmi.”

Scelsero di obbedirle, sempre più confusi quando la videro imboccare la direzione opposta rispetto all’Accademia. Mirai non riusciva a formulare una sola ipotesi riguardo ciò che stava accadendo, incapace di comprendere perché non avesse ancora stracciato i loro diplomi di fronte a loro.

Non sembra neanche lei… rimuginò, osservandone la camminata. A prima vista appariva rapida e sicura come sempre, ma la Sarutobi notò un tremito impercettibile nelle spalle della Jonin, quasi fosse sconvolta da sensazioni contrastanti.

Forse ha qualche rimorso per il suo comportamento. Non ci credeva molto, ma avrebbe spiegato in parte il comportamento anomalo della Hyuga.

Improvvisamente, Hanabi si fermò innanzi ad un piccolo negozio. I Genin si limitarono a notare che fosse uno studio fotografico quando la Hyuga li spinse rudemente dentro.

“Venite.”

“Cosa ci facciamo qui?” borbottò Aimi, squadrando con un’occhiata guardinga la Jonin, la quale però rimase impassibile.

“Lo vedrai.”

Quello che avvenne nei successivi dieci minuti fu qualcosa di così assurdo che Mirai non l’avrebbe mai dimenticato.

Una foto. Hanabi Hyuga li aveva portati a fare una foto tutti assieme.

Era un gesto così assurdo che per un istante la ragazza fu convinta di stare ancora dormendo, immersa in un bizzarro sogno.

Percepì la mano di Hanabi sulla sua spalla. Un tocco delicato, niente a che vedere con l’arroganza e il sadismo messi in mostra nelle ultime settimane. La scrutò con la coda dell’occhio, notando come sembrasse calma, priva di quella tensione che le aveva incarognito il volto nei giorni precedenti.

“Di solito nelle foto si guarda l’obbiettivo e si sorride, mocciosa.” osservò la Jonin senza spostare lo sguardo. Colta in fragrante, Mirai non poté far altro che riportare gli occhi innanzi a sé, ancora troppo confusa dagli ultimi avvenimenti per riordinare il miscuglio di sensazioni che le si agitava nel petto.

Forse fu quello il motivo per cui non riuscì più di tanto a sorridere innanzi all’obbiettivo. La sua figura lievemente sorridente si stagliava alla desta di Hanabi. In mezzo, con un immenso sorriso di sollievo sulle labbra, c’era Aimi, mentre alla sinistra della Hyuga, con le mani in tasca, c’era Shigeru, apparentemente indifferente a ciò che stavano facendo.

E proprio dietro di loro, con un sorriso furbo sulle labbra, c’era Hanabi Hyuga, apparentemente di nuovo in pace con se stessa.

La mocciosa ha ragione… non devo scaricare su di loro i miei problemi… era giunta alla conclusione che, qualsiasi cosa sarebbe accaduta, non era giusto prendersela con quei tre Genin. Nonostante fosse un compito che non amasse, per ora non poteva fare altro che compierlo, in attesa di vedere cosa il futuro le riservasse di preciso.

Forse dovrei iniziare a fare come Saru: non pensare.

Il pensiero del suo ex le procurò una fitta. Non era stata giusta con Konohamaru, infischiandosene dei suoi sentimenti e preoccupandosi soltanto di essere un buon Anbu. Lo stesso compito che ora si trovava tra le mani era un gesto, per quanto non desiderato, del suo affetto nei suoi confronti.

Sono stata troppo dura.

Chiuse gli occhi, un istante dopo il flash, sentendosi incredibilmente più leggera nell’averlo ammesso. Era incredibile quanto fosse difficile ammettere per lei le sue colpe. Eppure, la sensazione di benessere che le riempì lo sterno, all’altezza dello stomaco, era magnifica, qualcosa che non assaporava da troppo tempo ormai.

Riaprì gli occhi, rivolgendo un sorriso sincero ai suoi allievi.

Forse non era troppo tardi per ricominciare.

 

 

Subito dopo la foto di gruppo, Hanabi riportò i suoi allievi al campo di addestramento. Qui li squadrò uno ad uno, cercando di capire cosa stessero provando in quegli istanti. Lesse sollievo e riconoscenza sul viso delicato di Aimi, indifferenza su quella glaciale di Shigeru e profonda confusione in quello magro di Mirai.

In un certo senso, le loro reazioni erano lo specchio del loro carattere.

Fece un profondo respiro. Ora toccava a lei rimediare alla sua stupidità.

“Ieri c’è stato… un comportamento disdicevole.” esordì con voce atona. “Ho riflettuto a lungo su ciò che è successo, e sono giunta alla conclusione che la colpa è stata solo mia.” notò gli occhi della Sarutobi diventare grandi come piattini da tè e la cosa la divertì. “Pertanto, se voi siete d’accordo, direi di modificare i nostri programmi quotidiani d’ora in avanti, in modo che tali comportamenti non si ripetano più.”

Tirò fuori un rotolo, motivo del suo ritardo quella mattina. Se si concentrava, poteva ancora vedere il sorriso nascosto dalla maschera di quello stronzo di Kakashi, quando gli aveva chiesto una missione per la sua squadra.

“Se nelle prossime ore riuscirete a completare tutti gli esercizi dell’allenamento, questo pomeriggio inizieremo la nostra prima missione come Team.” non ricevette alcuna risposta, sentendosi incredibilmente stupida, ma ormai non poteva più tornare indietro. “Siamo d’accordo?”

Per alcuni secondi non si udì alcun suono. Poi, con un movimento secco del volto, Shigeru annuì. Subito seguito a ruota da Aimi e da una finalmente sorridente Mirai.

Sul volto della Jonin comparve un sorriso.

“Allora cominciate subito a fare un centinaio di piegamenti! Al lavoro!”

E questa volta ottenne una risposta inequivocabile.

“Sì, Sensei!”

 

 

Nei tre giorni successivi, le cose mutarono rapidamente.

Hanabi prese le redini della squadra. La mattina li sfiniva ancora con allenamenti durissimi, ma nel pomeriggio li portava sempre a compiere qualche missione di livello D. Anche il suo atteggiamento nei confronti degli allievi mutò: era ancora molto severa e brusca, ma aveva smesso di trattarli male, cercando di essere più comprensibile, in modo da guadagnarsi la loro fiducia. Non era facile, specie per una come lei dal carattere più adatto al battibecco che al dialogo, ma era convita che, se si impegnava al massimo, sarebbe riuscita a guadagnarsi il loro rispetto.

“Sensei?” la voce di Aimi ruppe il silenzio attorno a loro, richiamando l’attenzione di tutti. “Posso farle una domanda?”

Si trovavano fuori dai confini del Villaggio. Gli ultimi acquazzoni avevano danneggiato molte fattorie nelle zone circostanti, e la loro ultima missione consisteva nel riparare il tetto di una di queste. A causa dell’ora tarda in cui finirono il lavoro, Hanabi aveva deciso di farli dormire nel fienile, piuttosto che rischiare di portare a spasso tre dodicenni nel cuore della notte.

“Dimmi.” la kunoichi non distolse gli occhi dal fuoco, le gambe strette al petto. Pareva una gatta che si rilassava dopo una lunga giornata.

“Mi chiedevo… quando ci insegnerà qualche nuova tecnica?” la Yogonuchi parlò con una punta di timore nella voce, ma non appena udirono la domanda Mirai e Shigeru aguzzarono le orecchie, curiosi di conoscere la risposta della Hyuga in merito.

“Non devi avere fretta.” quest’ultima rispose con voce bassa, senza spostare lo sguardo. “Non avrebbe senso insegnarvi tutti i jutsu di questo mondo, se non imparate a muovervi come una vera squadra.”

“Capisco…”

“Comunque sia, è importante che voi capiate una cosa.” prese a ravvivare il fuoco con un bastoncino, la voce sempre bassa. “Non potrò insegnarvi nulla del mio stile di lotta, visto che si basa su un’abilità oculare.”

“Intende il Byakugan?”

“Esatto. Pertanto, io non sarò in grado di insegnarvi molto sotto questo punto di vista.” vide la delusione montare sui loro volti e la cosa la divertì. “Questo significa che spetterà a voi trovare il vostro stile di combattimento più adatto. Io posso aiutarvi a rinforzare le vostre basi, ma dopo toccherà a voi capire quali sono i vostri punti forti e come sfruttarli per creare uno stile tutto vostro.”

“Quindi… non ci insegnerà alcuna tecnica?” la delusione nella voce di Aimi era palpabile.

“Non ho detto questo.” ribatté la Jonin, un sorrisetto sulle labbra. “Nei prossimi giorni vedrò di cominciare a rendervi meno incapaci.”

Andarono a dormire, sdraiandosi attorno al fuoco. Il respiro di Shigeru e Aimi divenne ben presto pesante, mentre Mirai non riuscì a chiudere occhio. Continuò a rigirarsi, cercando di capire il motivo per il quale quella nuova Hanabi la mettesse a disagio. Era diversa, forse troppo. Si chiese se avesse a che fare con la loro sfuriata, o se invece ci fosse sotto qualcos’altro che non conosceva.

“Non riesci a dormire?”

La voce di lei la fece sobbalzare.

“No.” si rimise seduta, cercando di non dare a vedere il suo nervosismo.

“Dovresti farlo.” la voce della Hyuga assunse una tonalità bassa e morbida, simile alle fusa di un gatto. “Domani non ci andrò leggera con voi.”

La Genin si morse il labbro inferiore fino a spaccarselo. Sentiva il bisogno irrefrenabile di chiederglielo, di sapere il motivo dietro a quel cambiamento.

“Perché?” Hanabi volse la testa, fissandola perplessa. “Perché non ci ha rispediti in Accademia dopo… quello che le ho detto?”

Per alcuni secondi nella cascina si udì solo il rumore del fuoco. La kunoichi riportò le proprie iridi verso le fiamme, il volto scavato dai giochi di ombre e luci di queste ultime.

“Non ho mai voluto questo compito.” dichiarò con voce bassa. “Non era mia intenzione diventare un Sensei.” un sorriso amaro le si dipinse sulle labbra. “Ma non è giusto che questo mio problema ricada su di voi.”

Riportò lo sguardo sulla sua allieva, sorridendo con sicurezza stavolta.

“Una vera donna si fa sempre carico delle proprie croci.”

Mirai spalancò gli occhi, incredula. Quelle parole erano le stesse che settimane prima gli aveva detto Shikamaru. Era una coincidenza troppo assurda per ritenerla tale.

Farsi carico delle proprie croci…

Avrebbe portato nel cuore per tutta la vita quel primo insegnamento della sua Sensei.

“Grazie…” mormorò con voce talmente flebile che non credeva di poter essere udita. “Hanabi-Sensei.”

Quest’ultima chiuse gli occhi nell’udire quell’appellativo. Una strana sensazione, bollente come lava, le scese nello stomaco, stringendoglielo con forza. Era qualcosa che non aveva mai percepito prima, ma che la fece stare meravigliosamente bene dopo tanto, troppo tempo.

No…

Ore dopo, quando ormai anche il fuoco era morto, si mosse, spinta da quella sensazione irrefrenabile, una forza a cui non poteva resistere in alcun modo.

Le sue dita sfiorarono i morbidi capelli scuri della Sarutobi, ormai immersa nel proprio mondo onirico. Un tocco così leggero da sembrare solo una delicata brezza estiva, eppure intriso di quel sentimento a lei sconosciuto, di cui però ormai era vittima.

Grazie a te… Mirai.

Lo comprese solo in quell’istante, e lo accettò per quello che era: il suo destino.

Non li avrebbe mai abbandonati.

Mai.

 

 

Konohamaru Sarutobi emise uno sbadiglio, scacciando via dall’occhio destro una lacrima rappresa. Quando andava a trovare Udon e suo nonno al cimitero, ritornava a casa sempre di umore labile.

Quasi quasi vado a schiacciare un pisolino… in quei giorni non aveva nessuna missione tra le mani, e si ritrovava ad avere una montagna di tempo libero, forse addirittura troppo.

Sono diventato schiavo del lavoro.

C’era un bel sole, dopo giorni di tempo incostante, benché l’aria fosse ancora frizzante. I feroci acquazzoni primaverili erano ormai un ricordo e nel clima si poteva avvertire i primi segnali di un’estate calda. Il ninja sollevò il viso verso l’alto, godendosi la bella giornata.

Il suo ritrovato buon umore si interruppe di colpo nell’istante in cui vide Hanabi innanzi alla sua porta di casa.

Hanabi…

Contrasse le sopracciglia, la gola improvvisamente secca. Erano passate settimane da quando si erano visti per l’ultima volta, e le parole della kunoichi non avevano lasciato molte speranze che la situazione potesse risolversi.

Eppure ora lei era lì, davanti a lui, il volto contratto in un’espressione di profondo imbarazzo.

Il suo corpo proseguì a muoversi come se nulla fosse, avvicinandosi a lei meccanicamente. Più la distanza tra loro si accorciava e più i dettagli e le sfaccettature del suo viso gli entrarono nel cervello come schegge impazzite, facendogli comprendere quanto fosse ancora pazzo di lei.

“Ehi.”

La voce di lei risuonò morbida. Incerta forse, ma lontana dalla durezza del loro ultimo controllo.

“Ciao.”

Silenzio. L’ennesimo silenzio ricolmo di imbarazzo degli ultimi tempi. Konohamaru si chiese da quando il muro di casa sua fosse così interessante, mentre Hanabi si promise di andare in giro d’ora in avanti con una trombetta per evitare quegli istanti penosi.

“Ti stavo cercavo.” la sua lingua sembrò muoversi di propria volontà, permettendole di uscire da quello stallo. “Volevo… chiederti una cosa.”

Il Sarutobi le lanciò un’occhiata di sottecchi. Era nervosa, lo poteva vedere da come la sua lingua guizzava tra le labbra secche, alla ricerca di aria e di coraggio.

“Cosa?”

Silenzio. Ancora una volta quel maledetto silenzio.

“Tu…” si conficcò le unghie nei palmi delle mani, percependo la scarica di dolore come un torrente di energia, capace di farla uscire da quel penoso balbettio. “Tu… cosa intendevi l’altra volta?”

Sguardo vacuo da parte sua. L’aveva previsto. In fondo, era pur sempre un Baka colossale.

Il mio…

“In… che senso?”

Nuovo silenzio, nuovo guizzo della lingua sulle labbra secche, nuovo desiderio spasmodico di seppellirsi con una pala all’istante.

Maledizione! Non sono una ragazzina, che diavolo mi sta succedendo?!

“Quando… hai detto che io sono per te una persona cara.”

Fu seriamente tentata di prenderlo a pugni quando lo vide comprendere quel significato con spaventosa lentezza.

“Tu…” Konohamaru sembrava incapace di compiere un ragionamento. “Intendevo dire… quello che ho detto.” deglutì, radunando tutto il proprio coraggio. “Mi sei cara, Hanabi… come un tempo.”

La kunoichi non disse nulla per un istante interminabile. Poi, dalla sua bocca uscì una frase, così fioca che fece fatica a sentirla lei stessa.

“Vuoi riprovarci?”

“Come?”

Una vena si delineò sulla fronte della Hyuga. Odiava quel genere di situazioni e la dabbenaggine del Sarutobi non l’aiutava a porre fine a quella scenetta tremendamente imbarazzante.

“Ti ho chiesto se vuoi riprovarci.” ripeté con voce più forte. “Vuoi tentare… nuovamente? Intendo… noi due?”

Il colorito sul volto di Konohamaru furono, in sequenza: un pallore mortale, seguito da un verde peste per evolversi subito in un rosso infuocato.

“Tu… vorresti uscire con me?!” balbettò. “Intendi come coppia?”

Hanabi fece un profondo respiro. Ripensò a tutto ciò che aveva passato negli ultimi mesi, al malessere accumulato fino a farla diventare pazza. Forse era un rischio, Hazuba non si sarebbe fatta scrupolo ad usare persone a lei care per ferirla, ma non poteva rinnegare la sua umanità, il suo desiderio di avere una vita normale come tutti. Aveva passato anni ad osservare sua sorella combattere le piccole battaglie di una vita di coppia e non vedeva l’ora di poterlo fare anche lei.

Basta con la disperazione…

“Esatto.” riuscì a contrarre le labbra in un sorriso. Nonostante tutto, desiderava davvero riprovarci con quell’idiota di proporzioni gigantesche. “So che di solito è l’uomo ad invitare… ma che ne dici se domani sera ci andassimo a mangiare un boccone assieme?”

Lo stupore di Konohamaru lasciò spazio ben presto ad una gioia immensa.

“Sei seria?!” esclamò. “Non è… uno scherzo?”

La kunoichi lo guardò in cagnesco.

“Se non mi dai una risposta subito, giuro che ti ammazzo.”

“Ok…” si grattò la nuca, imbarazzato per la figuraccia. “Per la cena va bene… nessun problema!”

Si misero d’accordo per il posto e l’ora. Parlarono un po’ delle ultime novità, ma era palese che Hanabi desiderasse chiuderla lì. Tuttavia, dopo essersi salutati, lei esitò per un lungo istante, prima di dargli un rapido bacio all’angolo sinistro della bocca.

“A domani.” gli diede le spalle, allontanandosi rapidamente, lasciando lo shinobi semplicemente paralizzato sul posto.

Mi ha baciato… prima di andarsene mi ha baciato.

Stette immobile ancora per qualche secondo. Poi, con un ruggito di gioia, si buttò in ginocchio, sollevando la propria sciarpa al cielo.

Era felice, solo quello. Per la prima volta, la sua battaglia per non perdere un legame aveva avuto successo. Sapeva che non sarebbe stato facile ricominciare da zero con Hanabi, ma quella vittoria l’aveva reso euforico come mai prima d’ora era stato.

Prese a correre come un pazzo, verso i campi di addestramento, un sorriso gigantesco sul volto. Quando infine vide Moegi, impegnata a spiegare l’utilizzo dei vari tipi di chackra ai suoi allievi, la abbracciò di scatto, urlando come un matto, lanciandole in aria tutti i rotoli che aveva in mano e riprendendo a correre come un ossesso, lasciando l’amica semplicemente attonita.

“Sensei…”

“Ragazzi… l’avete visto bene?”

I tre Genin annuirono.

“Non imitatelo mai.” sospirò la Jonin, riprendendo in mano i propri documenti. “Mai.”

Eppure, mentre si chinava, osservò la schiena dell’amico con la coda dell’occhio, non riuscendo a trattenere un sorriso.

Era ora, Baka! Finalmente potrò riavere casa mia!

 

 

Camminava lentamente verso casa, il volto incandescente a contatto con la fresca brezza primaverile. Più ripensava alla situazione precedente, più il suo imbarazzo cresceva, facendole sperare di potersi nascondere in casa per i successivi sei anni.

Eppure non era mai stata così bene come in quell’istante.

E’ questo che provi, sorella? E’ questo… il sentimento che ti ha animato per tutti questi anni?

Non sapeva darsi una risposta. Era confusa, in balia di sensazioni contrastanti, alla disperata ricerca di un antidoto al veleno dell’odio e degli ultimi mesi.

Sono solo un’idiota.

Forse stava sbagliando ogni cosa, forse la sua era solo un’illusione, una chimera da cui si sarebbe risvegliata bruscamente da un momento all’altro.

Ma quando vedeva l’espressione determinata di Aimi, i sorrisi appena accennati di Shigeru, la gioia di vivere di Mirai, ogni cosa svaniva. C’erano solo loro, i suoi allievi, e lei, la loro Sensei.

Kakashi… entrò in casa con passo leggero, accolta da sorriso ingenuo di Kabera. Sei un bastardo...

“Come è andata oggi, Senpai?”

Hanabi sorrise, un sorriso sincero, privo di doppi sensi o di sarcasmo. Uno squarcio luminoso su un dipinto che per troppo tempo aveva vissuto nell’oscurità.

“Molto bene.” si tolse il copri-fronte, ignorando il tatuaggio scarlatto per la prima volta dopo anni. “Meravigliosamente direi!”

Era la Sensei di tre ragazzini imbranati e goffi.

Ed era la cosa più meravigliosa del mondo.

Ma ti sarò grata per sempre di questo regalo.

 

 

 

Angolo dell’Autore:

 

 

Ed ecco che anche la seconda parte di questa digressione su Mirai ed Hanabi è finita!

Lo ammetto, sono stato forse un po’ prolisso con loro, ma il fatto è che fin da quando ho deciso di usare il personaggio di Hanabi volevo creare un rapporto con Mirai, per tutta una serie di motivi che verranno fuori più avanti. Sulla Sarutobi posso dichiarare, senza alcuna esitazione, che sarà molto diversa da Asuma come carattere, come penso si possa già intuire da questi ultimi due capitoli.

E lo so, Naruto ed Hinata negli ultimi capitoli sono stati messi vergognosamente da parte. Tuttavia, posso giustificarmi con due motivi: il primo è che fin dall’inizio avevo specificato che mi piace spaziare anche su altri personaggi ed il secondo è che il prossimo capitolo sarà interamente dedicato a loro due, con in aggiunta un po’ di pepe e problemi (tanto per cambiare, eh?).

Ho anche approfittato per chiudere, per ora, la faccenda tra Konohamaru ed Hanabi. Dopotutto, succede a molte coppie di riprovarci dopo che la prima volta è andata male. A loro andrà bene? Chissà xD

Bene, ed anche stavolta ho finito. Tenterò di aggiornare prima della fine dell’anno con il capitolo numero 28, posto che questa raccolta si sta avvicinando alla fine (non vorrei sforare i 40 capitoli ma ora vedrò).

Come sempre ringrazio chiunque legga e segue questa storia, e ricordo che qualsiasi recensione (anche critiche) sono ben accette.

Un saluto!

 

Giambo

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Capitolo 28
*** Perdono, parte prima ***


The Biggest Challenge

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Perdono

parte prima

 

 

 

Sakura portò una mano agli occhi, sfregandoseli. Era stanca, e non desiderava altro che un letto ed una doccia che nascondesse il fatto che non si dedicava ai propri capelli da una settimana. L’aver effettuato la bellezza di sette interventi negli ultimi giorni l’aveva sfiancata, impedendole di occuparsi anche delle faccende più banali della sua vita, tipo rimuovere qualche pelo indesiderato dell’interno coscia.

Eppure, per quanto si sentisse sciatta e sfinita, non poteva fare a meno di essere felice di osservare Hinata attorniata dai suoi amici più cari, venuti a casa Uzumaki per festeggiare il suo ritorno a casa.

“Bella, vero?” osservò Tenten al suo fianco, sorseggiando un bicchiere di vino, gli occhi scuri che fissavano la figura della Hyuga. “Quanto tempo è passato dal parto?”

“Un mese circa.”

“Ed ha già smaltito quasi tutti i chili presi!” dichiarò con una punta d’invidia la kunoichi. “Quando è nato Metal, ci avrò messo minimo un anno a perdere tutto ciò che avevo preso, per non parlare di quelle maledette smagliature! E lei è là, fresca come una rosa, ad appena un mese dalla sua seconda gravidanza!” l’allieva di Gai sorseggiò nuovamente dal proprio bicchiere, bisbigliando un insulto così colorito che Sakura non poté fare a meno di ridere.

“E questo dove l’hai imparato?!” chiese, le lacrime agli occhi. “Non ti facevo così sboccata, Ten!”

La madre di Metal si toccò il naso con l’indice, venendo contagiata dalla risata della Sannin.

“Hai ragione, sono stata scortese.” ammise, sospirando nel vedere il marito in un angolo che eseguiva i consueti tremila piegamenti serali. “A parlare è stato il vino… o almeno lo spero! Non sopporterei di essere così orribile!”

“Tutti hanno i propri lati nascosti.” Sakura rivolse le iridi verdi verso la figura di Naruto, impegnato a discutere con Sai sul divano del salotto. “Anche i più insospettabili.”

Tenten le lanciò una strana occhiata. Aveva la netta sensazione che l’Haruno stesse cercando di nasconderle qualcosa con quella frase criptica.

“Dunque tu pensi che tutti noi, che ci conosciamo da quando siamo ragazzini, ci teniamo nascosti segreti impronunciabili l’uno con l’altro?” domandò sorseggiando nuovamente dal proprio bicchiere, un leggero sorriso sulle labbra.

“Oh, ci puoi giurare.” Sakura contraccambiò il sorriso, lo sguardo smeraldino che brillò di una luce strana. “In fondo, abbiamo tutti i nostri difetti, per quanto non amiamo esporli.”

“Stasera ti piace giocare agli enigmi.” ribatté l’amica. “Cos’è, fare il medico non ti basta più? Punti a diventare un’investigatrice?”

La Sannin scoppiò a ridere, ma le sue iridi rimasero puntate sulla figura di Naruto.

“Neanche per sogno!” e cambiò argomento, chiedendole di suo figlio Metal Lee.

Eppure, Tenten non fu per niente convinta. Quei discorsi a riguardo di segreti non erano tipici di Sakura, e dopo qualche minuto tornò alla carica, decisa a capire cosa le stesse nascondendo l’amica.

“Mettiamola così.” esordì l’Haruno, alzando una mano per interrompere la domanda di quest’ultima. “Stasera sono stanca e la mia lingua lavora troppo rapidamente per la mia testa affaticata. Ho detto cose che sarebbe stato meglio che tenessi per me.”

“Ciò non mi tranquillizza affatto.” osservò Tenten. “Ma deduco che questa risposta sia un gentile invito a non insistere con le spiegazioni, giusto?”

“Precisamente.”

“E c’è un modo con cui io possa estorcerti la verità?”

“Potresti minacciarmi di farmi baciare Naruto.” il tono era scherzoso, ma lo sguardo del ninja-medico era fin troppo serio.

La kunoichi mora non insistette, leggendoci, tra le righe, ciò a cui alludeva fin dall’inizio della serata la Sannin.

“Sai, forse hai ragione.” riprese a sorseggiare il vino, lanciando un’occhiata ad Hinata, impegnata a conversare con la sorella. “Forse non è una buona idea parlare di certe cose.”

“Concordo perfettamente.”

Non toccarono più la questione, ma più di una volta Tenten beccò l’amica a squadrare Naruto con sguardo fiammeggiante, comprendendo come quel segreto, dopotutto, non era più tale già da molto tempo.

 

 

Hinata fece un sospiro, asciugandosi la fronte madida di sudore. Nonostante fosse tornata a casa da due settimane, si stancava ancora con facilità e quella festicciola organizzata dal marito, per quanto fosse un pensiero dolce, rientrava sicuramente negli sforzi che la lasciavano senza energie. A complicare le cose, il pensiero della sua secondogenita la riempì di un senso di nervoso ed ansia orribile. Sapere che Himawari fosse al piano di sopra, profondamente addormentata, non riusciva a tranquillizzarla, facendole montare l’angoscia di cosa sarebbe potuto accadere mentre lei era al piano di sotto.

Non accadrà nulla… nulla. Fece un profondo respiro, cercando di scacciare via l’ansia che le divorava la mente. Non si era mai sentita così quando era nato Boruto e neanche ora che il primogenito era da suo padre le procurava sensazioni così intense come quelle che le nascevano nel petto quando stava lontana da Himawari.

Himawari… che nome strano ha scelto Naruto-kun…

 “Ohi.” Hanabi la riscosse dai suoi pensieri, le mandibole che lavoravano a pieno regime. “Sei sicura di stare bene? Ti vedo ancora un po’ pallida.”

“Non sono una bambina, Hanabi.” replicò la sorella, un sorriso sulle labbra. “Credo di poter sopravvivere fino al momento in cui andrò a dormire.”

“Se lo dici tu…” la Jonin scosse le spalle, impegnata ad addentare il quinto stuzzichino della serata. “Dicevi lo stesso quando eri incinta…”

“Hanabi!” la voce della sorella maggiore si tinse di nervosismo. “Non essere invadente, per favore.”

La kunoichi più piccola la squadrò con un’occhiata strana, che mise a dura prova i nervi stressati di Hinata.

“Dov’è la bambina?” chiese la Jonin, cambiando improvvisamente argomento, con sommo sollievo di quest’ultima. “Sei riuscita a staccarti da lei per qualche ora? Mi sorprendi.”

“Da come parli sembra quasi che io sia malata…” ribatté la Hyuga.

“Se per te questo è comportarsi normalmente…” Hinata trovava estremamente irritante il continuo ruminare della sorella, ma quest’ultima non parve accorgersi di questo. “Quando nacque Boruto-chan non ti comportasti così.”

“Himawari è diversa.” il tono della Hyuga iniziò ad incrinarsi, aggiungendo un goccio di freddezza.

“Diversa… già, è vero.” un sorrisetto spuntò sulle labbra della minore, mentre buttava giù il boccone con un lungo sorso di birra. “Un nome così strano… adatto alle bionde, non trovi?”

“Cosa…” Hinata distinse nitidamente la fiamma dell’alcool nelle iridi chiare della sorella, ma la voce continuava a risultare tremendamente chiara. “Di cosa stai parlando?”

L’ennesima occhiata di Hanabi le donò l’impulso fortissimo di strozzarla.

“Non te l’ha ancora detto?” il sorriso divenne più marcato, mentre la voce iniziò ad impastarsi a causa della birra. “Che stronzo… ha la faccia tosta di chiamare la figlia così e di non spiegarti nulla?”

“Sei ubriaca.” la kunoichi emise un sospiro, cercando di radunare la poca pazienza rimastale in corpo. “Dovresti smetterla di dire sciocchezze, Imoto.”

La Jonin emise un verso strano, un misto tra un singhiozzo ed una risata.

“Io sarò anche ubriaca, Neechan, ma di sicuro tuo marito è un enorme Baka.” proseguì nella sua risata, terminando la propria birra con un lungo sorso, lasciando la mente della sorella nel caos completo.

“Solo lui poteva decidere di chiamare la propria figlia, sangue del suo sangue, con lo stesso nome della donna che diede vita alla guerra civile!”

Nulla. La mente di Hinata non percepì nulla di insolito dopo che quelle parole sguaiate raggiunsero le sue orecchie. Il cielo era ancora al suo posto, il suo cuore pulsava regolarmente, le chiacchiere e le risate dei suoi amici si spargevano nell’aria come prima. I suoi occhi fissarono con placido disappunto la sorella minore che correva in giardino per rigettare il contenuto del proprio stomaco. Perfino il suo stesso sangue proseguiva a scorrerle tranquillo nelle vene, invece di seccarsi e farla urlare disperatamente, mostrando al mondo il germe della follia che si era appena radicato dentro di sé.

Naruto-kun… rivolse lo sguardo verso il marito, impegnato a ridere assieme a Sai. Naruto-kun ha fatto questo?

Doveva essere un errore, una sciocchezza dettata dall’alcool ingerito da Hanabi. Accettare che quel fatto fosse vero implicava una cosa orrenda, inaccettabile: che suo marito aveva sviluppato un qualche tipo di legame con quella donna. Un legame che aveva ben pensato di tenere nascosto a lei, sua moglie, per tre anni.

E se l’ha fatto significa solo una cosa…

Scosse la testa, rifiutando con ogni fibra del suo essere quel pensiero. Era orrendo, meschino, qualcosa che lei non doveva in alcun modo pensare di suo marito, di cui aveva la massima fiducia.

Ma perché non me ne ha mai parlato?

Non aveva una risposta, o almeno nessuna che riuscisse a tranquillizzarla.

E’ solo una mia suggestione… queste ultime settimane mi hanno scossa… volle crederci disperatamente, aggrappandosi a quella speranza, l’unica capace di sorreggerla sopra il baratro che le parole di Hanabi avevano aperto dentro di lei.

Perché, Naruto-kun? Perché?

Il seme iniziò a mettere radici profonde.

 

 

Naruto chiuse la porta di casa con un sospiro di soddisfazione. Quella piccola festicciola, la cui organizzazione gli aveva rubato parecchio del suo tempo nei giorni scorsi, l’aveva lasciato stanco ma felice. Specie per il fatto che quella peste di Boruto avrebbe passato la notte da Hiashi, lasciando a lui ed Hinata una notte tranquilla, sfuriate di Himawari permettendo.

Era stanco, anche se non fisicamente. Da molto tempo non riusciva più a dedicarsi ai propri allenamenti, occupato nel gestire una famiglia sempre più complessa ed un lavoro che non conosceva pause. Sentiva la mente galleggiare in un limbo, pronta a sprofondare nel sonno, mentre un velo di stanchezza gli appannava la vista.

“Chi era Himawari?”

Non rispose, non lo poteva fare. Registrò quella domanda con esasperante lentezza, mentre la consapevolezza di ciò che stava dietro a quelle parole lo investì, facendogli male, molto più male di un pugno di Sasuke.

Volse lo sguardo, fissando la moglie. Rabbrividì nell’osservare quegli occhi, quelle iridi chiare e fredde, così simili allo sguardo del cugino defunto. Naruto lo comprese, capì che dietro a quella barriera di ghiaccio si celava rabbia e dubbio, pronti a cedere il posto ad un inarrestabile furore.

Merda.

“Cos’hai detto?” mossa patetica, ma aveva bisogno di tempo, incapace di capire come avesse fatto la moglie a scoprire quell’aspetto del suo passato. Quest’ultima però non era della stessa opinione.

“Ti ho chiesto chi era Himawari.” si avvicinò, il volto sfigurato da una collera glaciale. “Voglio sapere chi era, Naruto-kun… adesso.”

Dentro di lui, Kurama ridacchiò, irritandolo tremendamente. Per un istante fu tentato di urlargli di stare zitto, ma l’occhiata della moglie lo dissuase dal distrarsi, facendogli percepire un brivido di paura lungo la schiena.

Era nei guai.

“Beh…” deglutì la compatta matassa di saliva che gli si era formata in gola, cercando le parole giuste per uscire da quella situazione. “Era… un’avversaria, con cui ho combattuto tempo fa.”

“Questo lo sapevo.” fu la secca replica della Hyuga. “Quello che voglio sapere è per quale motivo hai scelto proprio quel nome per nostra figlia. Qual era il tuo legame con questa donna?”

Fece un sospiro. Era stanco, e quelle domande improvvise gli pesavano come sbarre di ferro nella testa, facendogli desiderare più che mai un letto.

“La rispettavo.” evitò gli occhi della moglie, quasi temesse che gli leggesse in faccia ciò che desiderava occultare. “Era una donna che amava molto la sua patria… e mi è dispiaciuto doverla combattere.”

Per alcuni istanti ci fu silenzio. Hinata non mutò la propria espressione, ma i suoi lineamenti, se possibile, si indurirono ulteriormente.

Lo schiaffo risuonò con violenza nel salotto della casa.

“Bugiardo.” la voce della donna era affilata come un kunai. “Tu non la rispettavi soltanto. Non puoi spiegare così il nome di nostra figlia.” lo costrinse a fissarla dritta negli occhi, occhi che lui amava, e che soffriva nel vederli così ricolmi di rabbia.

“Tu…” un esile sospiro, quasi una disperata richiesta di negare tutto, di rassicurarla, di dirle che le fondamenta costruite anni fa erano ancora là, solide, a sorreggere tutto ciò che avevano costruito assieme. “Tu avevi… una relazione con questa donna, non è vero?”

Abbassò lo sguardo, sentendo le labbra bruciare al ricordo di quell’unico bacio, ricolmo di una passione troppo ardente per poterla liquidare. Era esistita, potente ed inarrestabile come solo il desiderio per una persona può esserlo. Ora doveva pagare lo scotto di aver ceduto a quella passione.

“Lei mi amava…” la voce gli uscì rauca, quasi si rifiutasse di ammettere la propria colpa. “Io… non sapevo più chi ero…”

Gli occhi di Hinata si spalancarono, le labbra socchiuse in un lungo urlo silenzioso, incapace di trovare parole per il dolore che aveva iniziato piantarsi nel suo petto, penetrandole nel cuore come una lama incandescente.

“Tu mi hai tradita…”

“Non c’è stato nulla, Hinata… devi credermi.” Naruto provò ad indietreggiare, ma la corvina gli afferrò la protesi con tanta forza da procurargli dolore.

“Io mi dolevo per te… e tu mi hai tradita con un’altra donna.” una lacrima percorse l’ovale della kunoichi, mentre il dolore si mescolava alla rabbia che montava furiosa, lasciandola preda di una furia incontenibile. “Io mi prendevo cura di nostro figlio… e tu ti portavi a letto un’altra donna.”

“No! Non è vero!” il Jinchuuriki si liberò della presa. “Non ti ho tradita, questo mai!”

“E allora cosa ci fu? Hai detto che eri confuso, che lei ti amava, cosa ci fu tra di voi? Per quale motivo hai scelto di dare il nome di una donna che ti amava a nostra figlia?!”

Nuovo silenzio, un silenzio che pesava come la più schiacciante delle prove. Un istante in cui ogni bugia e gioco di parole si dissolsero, mettendo a nudo la cruda verità.

“Rispondimi!”

“Un bacio…” l’Uzumaki si passò la protesi tra i capelli, nel tentativo di nascondere la faccia alla consorte. “Ci fu un bacio prima che io… le togliessi la vita…”

Hinata inspirò bruscamente, quasi un coltello le avesse lacerato la carne. Rimase immobile per lunghissimi secondi, la frangia a coprirle il volto di un pallore mortale.

“Hinata…”

“Vattene.” la voce suonò debole, le mani colte da un tremore incontrollabile.

“Hina-chan…”

“Vattene da questa casa, Uzumaki Naruto.” si morse il labbro inferiore fino a spaccarselo, nel tentativo disperato di trattenere le lacrime. “Vattene e non tornare mai più.”

Naruto rimase immobile, le parole fredde e ricolme di dolore della moglie l’avevano ferito profondamente, più internamente di qualsiasi colpo subito in passato. Provò a sfiorarle la mano, ma lei si ritrasse di scatto, quasi disgustata da quel tocco.

“Ti ho detto di andartene.” alzò lo sguardo, le guance bagnate da lacrime cariche di rancore ed odio. “Vattene da qui… ti prego.”

Avrebbe potuto rimanere, far valere le sue ragioni, insistere in quella discussione per convincere Hinata della propria innocenza. Tutto quello che fece fu obbedirle, incapace di spiccare una sola parola innanzi a tanto odio e disprezzo nei suoi confronti, provenienti da colei che amava con tutto se stesso.

Si chiuse la porta di casa alle spalle, le ultime parole della kunoichi ancora nelle orecchie.

Hina-chan…

Avanzò nella strada ormai buia, lo sguardo vitreo, vuoto, prosciugato di qualsiasi volontà. Ogni passo gli ricordava Himawari, ogni respiro gli portava alla mente la voce di colei che un tempo lo amava, di colei che aveva ucciso con le sue stesse mani.

E subito dopo sopraggiungeva lo sguardo pieno di livore ed odio di Hinata, capace di ferirlo come nient’altro.

Sono un idiota.

Nel frattempo, in un salotto ormai invaso dall’oscurità, Hinata diede libero sfogo al suo dolore, accasciandosi in mezzo alle rovine della sua vita. Una vita perfetta ed ordinata che crollò miseramente su se stessa, come un castello di carte, sotto il peso di una menzogna.

 

 

Sakura uscì dalla doccia con un sospiro, sentendo la stanchezza scivolare via assieme all’acqua calda. Si guardò allo specchio, deprimendosi come sempre nel notare come il suo seno non fosse cresciuto neanche dopo l’allattamento di Sarada. Aveva appena finito di indossare l’intimo per la notte quando udì squillare il campanello di casa.

Chi diavolo è che rompe a quest’ora?! Sbuffò, decisa a non andare ad aprire. Sarada era a letto, e per la prima volta in tutta la settimana poteva dedicarsi un po’ a se stessa. Gli scocciatori serali avrebbe dovuto tentare un’altra volta.

Peccato che il campanello non smise di squillare.

Una vena iniziò a pulsare sinistramente sulla fronte della Sannin. Se c’era qualcosa che trovava più fastidioso di Naruto era qualcuno che la scocciava nei momenti sbagliati, e quello era uno di quei momenti.

Ora commetto un omicidio.

Alla quarta scampanellata, la kunoichi decise di andare ad aprire, solo per il gusto di poter spaccare la faccia all’esecrabile individuo che aveva deciso di rovinarle quel piccolo momento di pace, una colpa imperdonabile ai suoi occhi.

“Si può sapere cosa diavolo vole…” la voce le si strozzò in gola quando comprese chi le si parava di fronte.

“Ciao…” Naruto sorrise stancamente, i capelli umidi a causa dell’acquazzone appena scoppiato. “Sakura-chan, posso entrare?”

L’Haruno rimase immobile per un lunghissimo istante, le iridi smeraldine imbambolate. Fu con un secondo di ritardo che si accorse di essere in intimo all’ingresso del suo appartamento, in compagnia del suo migliore amico ad un orario troppo indecente per non pensare male.

“Entra.” borbottò, facendosi rapidamente da parte. “Sciagura umana.”

Lo shinobi non poté che essere d’accordo.

“Grazie.”

 

 

Dieci minuti dopo, Sakura porse una tazza di infuso caldo all’amico, il quale la accettò con riconoscenza, rabbrividendo nei suoi vestiti bagnati. Con un sospiro, la Sannin andò a trafficare nell’armadio del corridoio, ritornando dopo alcuni minuti con una coperta di lana.

“Tieni.” borbottò, lanciandola all’amico e terminando di vestirsi in cucina. “Ti terrà caldo.”

Naruto accettò con un cenno del capo l’indumento, avvolgendosi con gratitudine. Prese a sorseggiare il suo infuso, mentre la Sannin si sedette di fronte a lui sul tavolo di cucina, le iridi smeraldine fisse sul volto di quest’ultimo.

“Dunque Hinata ti ha dato il benservito, dico bene?” non ci aveva messo molto a capire il motivo di quella visita serale, specie osservando l’espressione mortificata sul viso dell’Uzumaki.

“Già.” non era in vena di chiacchiere, visto come aveva faticato per dare uno straccio di spiegazione all’amica.

Sakura sospirò, appoggiando il mento sulla mano sinistra.

“Solo tu potevi far arrivare all’esasperazione una donna paziente come Hinata.” mormorò, toccandolo sulla fronte con l’indice sinistro. “Baka!” Naruto non reagì alle parole di lei, proseguendo nel suo mutismo, lo sguardo perso nel vuoto. Non le era mai parso tanto fragile, potendo finalmente constatare quanto sottile fosse l’aura di invincibilità che lo circondava da anni.

“Ascolta, Naruto.” gli sollevò il viso con due dita, costringendolo a guardarla. “Puoi rimanere qui con me e Sarada anche dieci anni se lo desideri… lo sai che sarò in debito con te per tutta la vita.” indurì lo sguardo, preparando accuratamente le parole, nel tentativo di spronarlo. “Ma se vuoi davvero salvare ciò che resta del tuo matrimonio, ti consiglio di cominciare subito a pensare a qualche idea, perché stavolta l’hai combinata davvero grossa.”

“Non preoccuparti.” borbottò il Jinchuuriki. “Domani vado a recuperare le mie cose e andrò da Iruka-Sensei. Stasera era troppo tardi per disturbarlo.”

“Non hai risposto alla mia domanda.”

Rimase in silenzio, lo sguardo nuovamente basso. In verità, lo shinobi non aveva la più pallida idea di cosa fare con Hinata. Non sapeva come fosse venuta in possesso della verità, ma era un aspetto irrilevante in confronto a ciò che aveva visto. Vedere il dolore e la rabbia scolpirsi sul viso della moglie era stato orribile, facendogli comprendere fino in fondo il baratro in cui la consorte era caduta per causa sua.

Solo colpa mia…

Si passò la protesi sul volto, la mente che galleggiò verso ricordi più dolci del presente. Rivide Hinata davanti a sé il giorno del loro matrimonio, la mattina che aveva rischiato la vita per salvarlo da Pain, la notte in cui l’aveva sorretto quando Neji era morto tra le sue braccia. Ogni volta che aveva avuto bisogno di un appoggio, di un aiuto, Hinata era sempre stata pronta a darglielo, senza esitare, convinta che lui fosse una persona meravigliosa ed importante, una persona con la quale si potesse costruire un futuro.

Lei per me c’è sempre stata… ma io?

Sentì un sapore amaro sulla lingua, quasi avesse ingoiato cenere nel rimembrare il suo fallimento come marito e compagno. L’aveva sempre lasciata sola, a crescere Boruto, impegnato in un lavoro soffocante. Le aveva nascosto per mesi la verità su ciò che era accaduto durante la Guerra Civile, tradendo la sua fiducia, ed alla prima occasione aveva ceduto al desiderio per un’altra donna, una guerriera forte e selvaggia, capace di toccare corde del suo cuore che Hinata, gentile e volenterosa, non era mai riuscita a sfiorare.

Non mi merito un’altra occasione. Era un pensiero orribile, ma vero. Lui, che non si era mai arreso, che aveva sempre lottato per i propri sogni, aveva perso ogni voglia di combattere, di lottare per quel legame ormai sfilacciato, in procinto di spezzarsi del tutto.

Sentì lo sguardo di Sakura su di sé, in attesa di una sua risposta. Ebbe paura. Sakura non l’aveva mai abbandonato, neanche nei suoi momenti peggiori, ma ne temeva il giudizio, di osservare la delusione contorcere i lineamenti del suo viso, mentre osservava la sua aura di ninja invincibile che si spaccava in mille schegge.

“Io… non so cosa farò.” mormorò, lanciandole un’occhiata di sottecchi. “Dubito che Hina-chan mi voglia riprendere dopo… una simile cosa.”

La Sannin corrugò le sopracciglia, stringendo le labbra fino a formare una linea inespressiva. Il suo primo impulso fu quello di prendere a schiaffi l’amico, ma si controllò, convinta che in quel caso servissero di più le parole dei pugni.

“Immagino che tu sappia il motivo per il quale Hinata è arrabbiata con te.” esordì, nel tentativo di far ragionare il Jinchuuriki.

“Non mi sembra difficile.” replicò sarcastico quest’ultimo. “Anch’io sarei furioso se mia moglie baciasse un altro uomo.”

“Naruto, se in questo istante io ti baciassi, e tu domani spiegassi ad Hinata la faccenda, sono sicura che lei si arrabbierebbe, ma non ti caccerebbe di casa come invece ha fatto.”

Un’espressione beota fu l’unica risposta che ottenne.

“E perché dovremmo baciarci?”

“Il mio era un esempio.” fece un profondo respiro, cercando di radunare con esso anche qualche quintale di santa pazienza. Si era dimenticata quanto tardo potesse essere il cervello di Naruto. “Il punto è un altro: Hinata non è arrabbiata con te perché hai baciato un’altra donna. O meglio, non solo.” picchiettò l’indice sinistro sulla fronte dello shinobi. “Il motivo principale è che tu non glielo hai detto, facendoglielo scoprire nel peggiore dei modi, senza contare che hai chiamato tua figlia con lo stesso nome della donna con cui hai pomiciato a sua insaputa.”

L’Uzumaki si umettò le labbra, lo sguardo basso. Le parole di Sakura gli caddero addosso con la violenza di uno tsunami. Era vero, tutto maledettamente vero.

“Ho tradito la sua fiducia.” sussurrò. “Ora lei… non sa più se può fidarsi di me.”

La Sannin chiuse gli occhi per un istante, ringraziando mentalmente ogni divinità esistente per aver permesso a Naruto di comprendere il nocciolo della questione in tempi straordinariamente rapidi.

“Ora che hai capito, puoi comprendere quanto profondo e devastante sia il dolore di Hinata.” dichiarò. “Lei ti ha amato fin da quando era una ragazzina. Sei stato per anni il suo modello, il suo punto di riferimento… ed ora ha scoperto che tutto quello che credeva di sapere su di te era solo una menzogna.”

“Non è vero!” la voce di Naruto si tinse di orgoglio, deciso a rigettare quelle affermazioni infami. “Non ho mai ingannato Hinata, e tu lo sai! Ho solo avuto… un istante di debolezza.”

“Io lo so… ma lei? Chi le può assicurare che tu non le abbia taciuto altro?”

Nella cucina scese un silenzio pesante. Il Jinchuuriki si sentiva la testa scoppiare: nel giro di un paio d’ore, il suo intero mondo era stato distrutto, e non poteva fare altro che raccoglierne i cocci, osservando la desolazione attorno a sé.

“E’ una questione di fiducia, Naruto.” ora il tono della kunoichi divenne più morbido. “Spetta a te decidere se far ricredere Hinata, o gettare la spugna e perdere definitivamente il rispetto di tua moglie.”

Già, fiducia. Quella cosa misteriosa che per anni Hinata gli aveva chiesto, mentre lui si trincerava dietro un muro di bugie, alla disperata ricerca di seppellire quel momento di debolezza, ripetendosi che non era mai accaduto quando invece ogni singolo dettaglio era impresso a fuoco nella sua mente.

“Ti preparo un letto sul divano.” Sakura si alzò. Sull’uscio della cucina, pianto le proprie iridi smeraldine sulla schiena ingobbita del suo migliore amico. Fece per sfiorargli la spalla, ma poi ci ripensò, uscendo a passo rapido, lasciandolo solo con i suoi pensieri.

Wari… si toccò le labbra, mentre il ricordo della sensazione della lingua della Nukenin sulla sua gli riempì la bocca di un sapore amaro, di colpa.

Sono proprio un Baka.

 

 

La mattina dopo Hinata non c’era, così come Himawari. Naruto ipotizzò che la consorte fosse andata a recuperare Boruto dal padre e la cosa gli andava bene: non si sentiva pronto ad affrontarla dopo gli avvenimenti della sera prima.

Ci mise poco a farsi una borsa, mettendoci dentro solo lo stretto indispensabile. Non era la convinzione di ritornare a farlo agire in questo modo, quanto il disperato bisogno di uscire da quella casa il prima possibile, troppo carica di ricordi per non fargli male.

Tuttavia, quando fu sul punto di uscire, l’occhio gli cadde su una foto, racchiusa in una cornice rossa. Raffigurava Hinata con in braccio un Boruto ancora formato bebè. Il Jinchuuriki l’afferrò, osservando il volto sorridente della moglie, lo sguardo radioso di gioia, i lineamenti rilassati. In quell’istante, Hinata Hyuga rifulgeva vivida come una stella.

Il primo compleanno di Boruto… Sentì le viscere strizzarsi in una morsa d’acciaio, mentre un dolore sordo iniziò a farsi strada dentro di lui. Si rese conto solo in quell’istante come i suoi errori non si erano limitati a ferire Hinata, ma anche i suoi figli avrebbero dovuto pagarne lo scotto.

Che razza di padre sono?

“Moccioso…” sentì Kurama chiamarlo, ma non lo volle ascoltare: era stanco di rimproveri.

Si mise la foto in tasca, uscendo di casa con una borsa in mano e tanti rimpianti sulle spalle. La sua memoria andò ai giorni prima del matrimonio, quando si chiedeva se sarebbe stato capace di diventare un buon padre e marito. Si accorse che, alla fine, la risposta era giunta da sola, in tutta la sua tremenda chiarezza.

 

 

Mirai scrutò da dietro le fronde di un albero la figura minuta della propria Sensei. Strinse il kunai con maggiore forza, mentre contraeva i muscoli delle gambe, pronta a scattare in qualsiasi momento.

Ci siamo! Le iridi scarlatte della Genin scintillarono come quelle di un felino quando notarono i piedi di Hanabi raggiungere la posizione giusta. Non riuscì a trattenere un sorriso: quella volta l’avevano in pugno.

Stavolta la spuntiamo noi, Hanabi-Sensei!

Si lanciarono all’attacco, partendo ognuno dei tre da una direzione diversa. Shigeru evocò subito i propri insetti, i quali assunsero una posizione di cuneo, dirigendosi verso Hanabi. All’ultimo però, si divisero in due gruppi, colpendo ai lati la Jonin, la quale fu costretta a saltare verso l’alto.

“Prevedibile, mio caro.” subito dopo, alle spalle della Hyuga, comparve Aimi, kunai in mano, ma i movimenti della Sensei furono troppi rapidi per la Yogonuchi, la quale fu immobilizzata a mezz’aria con un braccio dietro la schiena dopo uno scambio di soli due colpi.

“Quindi ora manca solo la terza…” Hanabi sorrise, facendo cadere al suolo la propria allieva, un piede premuto sulla sua nuca. “Fatti sotto, Mirai!”

La Sarutobi non si fece attendere. Con un urlo di guerra, Mirai si lanciò verso la Hyuga, le mani impegnate a formare i segni per un ninjutsu di vento. Le iridi chiare della Hyuga brillarono, mentre si preparava a respingere l’attacco tramite il proprio Juken.

Prevedibile…

In quel preciso istante però, il corpo di Aimi si contrasse, quasi fosse stato colpito. La Yogonuchi svanì in uno sbuffo di fumo, mentre dal sottosuolo emerse nello stesso punto una seconda Mirai, le mani impegnate a formare dei segni che Hanabi non conosceva.

Ma cosa…

Subito dopo, robusti rami di legno comparvero dal terreno sottostante, intrappolandola con forza sempre più crescente. Hanabi percepì la gola stringersi dolorosamente, mentre il chackra scorreva strano dentro di lei, intorpidendole la mente.

Un genjutsu…

Non passarono più di cinque secondi da quando Mirai aveva lanciato la propria tecnica, che Hanabi reagì. Il suo corpo svanì in una nuvola di polvere, lasciando la Sarutobi sconvolta. Un istante dopo, kunoichi la colpì con una violenta ginocchiata sulla schiena, facendola schiantare al suolo.

“Fine dell’esercitazione.” la Sensei sorrise, aiutando un’indolenzita Mirai a rialzarsi, la quale non sembrò particolarmente entusiasta del risultato appena ottenuto.

“Potrebbe andarci più leggera, Sensei…” borbottò la ragazzina, massaggiandosi il fondoschiena. “Non passa giorno che non mi regala un nuovo livido.”

“Ti donano molto, Mirai… lo faccio per il tuo aspetto.”

Quest’ultima preferì non controbattere.

 

 

Ore dopo, Mirai si asciugò il sudore dalla fronte, il respiro pesante. Anche quel giorno Hanabi era stata di parola, lasciandoli senza fiato. Quest’ultima scrutò i propri allievi tenersi sulle ginocchia con sguardo fintamente severo, facendo fatica a trattenere un sorriso davanti a tanta determinazione.

“Bene, l’allenamento di oggi è concluso.” appoggiò le mani sulle spalle di Aimi e Shigeru, dando vita al sorriso che covava da qualche minuto dentro di sé. “Che ne dite di rendervi presentabili e poi di andare a mangiare qualcosa assieme? Offro io!”

Fu una cena strana. Hanabi tentò più volte di imbastire una conversazione, ma fu costretta ad infrangersi davanti al mutismo di Shigeru ed Aimi. Solo un’assonnata Mirai tentò di seguirla durante i racconti delle sue esperienze da Anbu. Quest’ultima tuttavia, per quanto non fosse sorpresa del silenzio dell’Aburame, rimase perplessa nell’osservare l’espressione cupa sul volto della Yogonuchi, impegnata a rimestare mestamente dentro il suo piatto.

“Ohi…” Mirai le diede un colpetto, tentando di ricevere segnali di vita, approfittando del fatto che Hanabi fosse andata a pagare. “Si può sapere cos’hai? Stasera sei più scontrosa del solito.”

“Vai al diavolo, Sarutobi!” borbottò l’altra, lanciandole un’occhiata incenerente. “Non ho voglia di vederti gonfiare il petto come un tacchino.”

“Ma di cosa stai parlando?”

“Cosa credi, che sia cieca? Ho visto benissimo quanto ti è piaciuto ricevere complimenti da Hanabi-Sensei riguardo al tuo genjutsu. Immagino fosse fin da subito la tua idea: usarlo per fare colpo su di lei.”

“Stai vaneggiando.” replicò Mirai, sorpresa da quel tono velenoso, reminiscenza dell’Accademia. “Figurati se mi metto a fare lezioni extra con mia madre solo per fare colpo sulla Sensei!”

“Piantala di fare la finta modesta!” Aimi sembrava fuori di sé, il volto contorto in un’espressione di pura sofferenza riguardo a ciò che stava per dire. “La verità è… che tu… tu… tu sei più brava di me!” strinse così forte le bacchette da romperle, mentre Mirai percepiva la parte più malvagia ed infida di sé ballare la conga nell’udire la sua rivale pronunciare simili parole. “Ogni giorno che passa… tu diventi sempre più abile. Kami, riesci addirittura a fare un genjutsu! Io invece… non riesco a fare nulla. Ho cervello… ma a quanto pare non è sufficiente per essere un ninja.”

“Non lo trovo corretto.” fu Shigeru ad intromettersi, con la sua voce bassa e modulata. “Penso che tu abbia un’ottima preparazione. L’intelligenza è solo una delle tue qualità.”

La Yogonuchi sbuffò.

“Per favore, Shigeru! Tu hai un’abilità innata fenomenale! Io non ho nulla. All’Accademia ero brava perché me la cavavo con lo studio, ma qui, nella vita reale, i libri non servono a nulla.” Abbassò lo sguardo turchese, un lampo di malinconica rassegnazione sul viso. “Forse aveva ragione mio padre… non avrei mai dovuto intraprendere questa strada.”

Mirai non seppe cosa dire. Non aveva mai visto la sua rivale così debole ed indifesa. Aveva sempre trovato ammirevole la determinazione e l’intelligenza che la Yogonuchi metteva in tutto quello che faceva. Sapere che quest’ultima la invidiasse e la trovasse più in gamba le procurava una sensazione nuova, diversa dalla gioia maligna che il suo io interiore aveva espresso pochi istanti prima.

Aimi… provò a dire qualcosa ma si accorse che le parole non le uscivano di bocca, incapace di formulare una frase di senso compiuto. Tutto quello che fece fu di rimanere seduta, osservandola alzarsi di scatto.

“Bella serata.” mormorò quest’ultima con voce tremante. “Ringraziate la Sensei da parte mia.”

“Aimi.” Shigeru tentò di fermarla, ma la ragazza fu più rapida, uscendo rapidamente dal locale.

Nel frattempo, ad un tavolo di distanza, Hanabi, apparentemente impegnatissima a lodare la pettinatura della cameriera, si mordicchiò una guancia, sorpresa di ciò che aveva appena udito e visto.

Aimi, dunque è questa la tua determinazione?

 

 

Iruka era un uomo che difficilmente si sorprendeva. Dopo una vita passata ad insegnare, era convinto di averle viste veramente tutte. Tuttavia, il neo preside dell’Accademia, fu costretto ad ammettere che convivere con un proprio ex allievo buttato fuori di casa dalla moglie, dopo decenni da scapolo felice e donnaiolo, gli mancava nella lista delle cose che ‘non conosco e che non dovrei mai provare nella mia vita’.

Nella realtà, Naruto non era un coinquilino tremendo. Stava poco in casa, ed il più delle volte tornava solo per lavarsi e dormire. Iruka sospettava che il suo ex allievo non passasse tutto il proprio tempo in ufficio, e più di una volta lo sentì ritornare a notte fonda con addosso un forte sentore di alcool, facendolo riempire di rabbia.

Naruto non è questo.

Non era così che doveva andare. Sapeva che Naruto non sarebbe mai stato un uomo perfetto, ma era fiero di vedere quanto impegno ci aveva sempre messo per combattere i propri difetti, per migliorare come ninja, ma principalmente come persona. Invece ora il Jinchuuriki pareva vinto, deciso a smettere di lottare per la propria famiglia, incapace di accettare i propri errori e tentare di provi rimedio. Naruto si era arreso. Ed una persona così rinunciataria e immersa nell’autocommiserazione non meritava il suo rispetto ed il suo affetto.

Doveva intervenire, ancora una volta, per evitare che il suo fratellino distruggesse tutto ciò che aveva costruito in quegli anni con tanta fatica.

Sciocco di un Baka…

Non andò a letto quella sera, attendendo il suo ritorno. Era passata da poco mezzanotte quando udì il girare di una chiave nella serratura, assieme ai passi strascicati dell’Uzumaki.

“Bentornato.” esordì, una volta che quest’ultimo entrò in cucina. Lo shinobi rimase sorpreso di trovare il suo vecchio insegnante ancora sveglio, ma non si scompose eccessivamente.

“Non dovreste rimanere alzato così tanto, Iruka-Sensei.” borbottò, versandosi dell’acqua. Iruka poteva sentire distintamente anche a quella distanza il fetore di alcool stantio. “Domani dovrete alzarvi presto.”

“Ritengo di essere sufficientemente adulto per valutare questo aspetto della mia vita.” il preside gli lanciò un’occhiata penetrante, le labbra strette a formare una linea piatta. “Lo stesso non posso dire di te, Naruto.”

Nell’ambiente scese un silenzio teso, rotto solo dal rumore degli elettrodomestici. L’Uzumaki fece un profondo respiro, la faccia sfatta di uno che dormiva troppo poco.

“E’ un po’ tardi per farmi la ramanzina.” mormorò, ingollando il proprio bicchiere. “Vada a letto, Iruka-Sensei.”

“Siediti.” la voce di quest’ultimo risuonò gelida, mentre spingeva la sedia di fronte verso il fratello minore. “Questo è un ordine non da insegnante, ma da fratello maggiore, Naruto.”

Per un istante il Jinchuuriki sembrò deciso ad ignorarlo. Tuttavia, dopo qualche secondo, si sedette con uno sbuffo, appoggiando i gomiti sulla superficie liscia, gli occhi cerulei spenti.

“Veda di fare in fretta.” borbottò. “Domani devo lavorare.”

Per un istante il Chuunin valutò l’ipotesi di picchiarlo, ma si contenne, convinto che non fosse quella la strada giusta per aiutare il suo fratellino.

“Naruto…” emise un sospiro, alla ricerca delle parole giuste. “Si può sapere cosa intendi fare? Intendi mollare tutto, lasciare che gli sforzi di tutti questi anni vadano in fumo?”

“Non è una decisione che ho preso io.”

“Sì, invece.” Iruka lo guardò con cipiglio gelido. “E’ stata una tua scelta quella di tradire la fiducia di Hinata, così come è una tua scelta quella di lasciarti andare in questo modo pietoso.”

Per lunghi secondi, lo shinobi più giovane non rispose, lo sguardo perso tra i ricordi.

“Non può sapere cosa ho vissuto in quel periodo, Iruka-Sensei.” mormorò infine. “Non ha idea di quanto dolore ho dovuto combattere a causa delle conseguenze delle mie azioni.” un sorriso amaro gli deturpò i lineamenti del viso, invecchiandolo. “Ad un certo punto, ho pensato pure di lasciare Hinata. Dopotutto… non mi ero comportato in maniera corretta nei suoi confronti.” alzò gli occhi, dirigendoli verso il suo vecchio insegnante. “Vuole sapere cosa mi ha permesso di non sprofondare nella pazzia?”

Iruka si limitò ad annuire lentamente.

“La consapevolezza che se mi fossi lasciato andare, i morti che mi pesano sulle spalle sarebbero tornati a tormentarmi.”

 

“Naruto… sono felice che tu sia qui… prima della fine.”

 

“E’ la pura verità.” non c’era dolore nella voce del Jinchuuriki, quanto più una sordida rassegnazione. “Compresi che il mio ruolo era accanto ad Hinata, ma non per lei, ma per a mio figlio. Un figlio che non meritava di pagare, di assaporare la solitudine per le colpe di suo padre.”

“Eppure è proprio quello che stai facendo ora.”

“Non capisce.” il sorriso non sparì dalle labbra dello shinobi biondo. “Quando Hinata mi ha rinfacciato ciò che ho fatto, ho sentito dolore, un dolore tremendo… ma non rimorso.” smise di sorridere, umettandosi le labbra, alla ricerca delle parole giuste. “Fu in quel momento che capii: non posso chiedere il perdono di Hinata per qualcosa di cui non mi pento. Significherebbe ingannarla di nuovo, e sarebbe peggio di ogni cosa… anche della fine del nostro matrimonio.”

Iruka scosse la testa.

“No, non puoi cavartela in questo modo.” replicò. “Posso capire che tu non ti senti di ritornare con Hinata dopo quello che è accaduto, ma questa volta non si tratta solo di te, così come non si tratta solo di Hinata.” si sporse in avanti, lo sguardo di ghiaccio. “Questa volta ci sono di mezzo due bambini; e se tu li farai soffrire, proprio come abbiamo sofferto noi, sappi che non ti perdonerò mai.”

Non rispose, incapace di trovare la soluzione. Si sentiva come spaccato in due, diviso tra ciò che desiderava e ciò che credeva fosse giusto. Chiedere ad Hinata il perdono per ciò che aveva fatto, senza aver neanche provato del rimorso, lo riteneva abominevole, ma non poteva neppure abbandonare in quel modo i suoi figli, la cosa più cara che possedeva.

Cosa devo fare… avrebbe desiderato avere una risposta, un segno che lo indirizzasse verso una scelta. Invece si sentiva la testa scoppiare, la mente che ritornava perennemente a quell’istante di tre anni prima, quando le sue labbra si erano incollate a quelle di Himawari, creando una crepa tra lui ed Hinata, cresciuta fino a diventare una voragine.

“Avete ragione.” mormorò. “Non posso far soffrire i miei figli.” strinse le mani a pugno, sentendosi semplicemente impotente. “Ma non ho idea di come fare per… risolvere tutto questo.”

L’espressione sul volto di Iruka si ingentilì. Improvvisamente, ciò che vide fu solamente un uomo separato dalla sua famiglia, che non riusciva a trovare la serenità per ricongiungersi con essa.

“Purtroppo in questo non posso aiutarti.” esordì il preside. “Tuttavia, sappi una cosa: non mi hai mai deluso da quando ti conosco.” gli sorrise, cercando di infonderci tutto il proprio affetto in quel semplice gesto. “E sono convinto che neanche stavolta lo farai.”

Naruto non rispose. Ripensò a tutto ciò che aveva compiuto, a quanta strada era riuscito a compiere dal giorno in cui aveva conosciuto Iruka. Non era una strada perfetta, e spesso era caduto ed aveva fallito, ma era la sua strada, la sua vita. Una vita di cui ora facevano parte non solo Hinata e tutti i suoi amici, ma anche Boruto ed Himawari.

E il suo Nindo era di non arrendersi mai.

Questo non sono io.

Forse poteva tentare ancora una volta. Provare di nuovo a cambiare le cose, impedire che i propri figli soffrissero l’assenza di un padre. Non era sicuro di riuscirci, ma doveva tentare di conquistarsi il perdono di Hinata, indipendentemente che ne fosse degno o meno.

Iruka-Sensei ha ragione… non si tratta di me, non più.

Sapeva bene che per un genitore nessun sacrificio era troppo grande nei confronti di un figlio, e voleva anche lui tenere fede a quella regola, la quale aveva portato i suoi a dare la vita per lui.

Ancora una volta.

Rispose al sorriso di Iruka. Un sorriso stanco, ma di nuovo vivo, capace di contenere tutta la determinazione del mondo.

Boruto… Himawari…

I suoi figli erano meritevoli di un simile sacrificio. Non aveva idea di come avrebbe fatto, ma era sicuro che, se non si fosse mai arreso, alla fine ce l’avrebbe fatta.

Lo faccio per voi.

Era pronto per tornare a combattere.

 

 

Shikadai squadrò sua sorella con occhio critico. Quest’ultima agitava davanti al viso del bambino un giocattolo colorato con scarso entusiasmo, le iridi scarlatte perse in un punto fisso davanti a sé.

“Seccatura…” il piccolo Nara tentò di arrampicarsi sul petto della sorella, ma il suo fu un tentativo misero, testimoniato dal leggero tonfo con cui ricadde sulle gambe di quest’ultima. Il tutto sotto lo sguardo di Kurenai.

“Mirai, se sei stanca puoi lasciare Shikadai a me.” esordì la Jonin, uno strofinaccio tra le mani. “Non hai una bella cera.”

Mirai sussultò, ritornando alla realtà. Si sistemò meglio il fratellino sulle ginocchia, accasciandosi nell’angolino di divano da lei prediletto, rivolgendo un sorriso stanco alla genitrice.

“Vai tranquilla, mamma.” esordì con voce sicura. “Ci penso io a questo pigro!”

La Yuhi non fu molto convinta, ma quando abbassò lo sguardo non poté fare a meno di sorridere: tenendo fede al suo nome, Shikadai Nara si era appisolato profondamente, la testolina appoggiata sul petto della sorella.

“Cerca almeno di non disturbarlo troppo.” mormorò a bassa voce Kurenai, allontanandosi dal salotto. “Presto Shikamaru e Temari dovrebbero tornare.”

Come accadeva ogni anno, Shikamaru aveva tentato di evitare la cosa che più lo terrorizzava al mondo dopo sua madre: il suo anniversario di matrimonio. Ovviamente anche questa volta aveva fallito miseramente nel suo intento e Temari l’aveva costretto a pigiarsi in un abito tanto elegante quanto scomodo, costringendolo a portarla in giro ed esibendola come moglie trofeo, il tutto accompagnato dai suoi tentativi di suicidio. Kurenai aveva accettato con piacere di occuparsi di Shikadai, convinta che qualche ora assieme al piccolo Nara avrebbe tirato su di morale la figlia, apparsale ultimamente molto stanca.

Mirai appoggiò la testa allo schienale imbottito, sospirando. Si sentiva dolorante a causa dell’allenamento, ma era un dolore dolce e pulsante, che gli regalava una vaga sensazione di benessere. Sistemò meglio il fratello, chiedendosi come fosse possibile che un esserino tanto piccolo fosse così pesante, mentre i pensieri negativi di prima tornarono alla carica, costringendola a deviare la propria attenzione dal bambino che teneva sulle ginocchia.

Aimi. Mirai era fortemente indecisa se incazzarsi a morte con la compagna per averla costretta a pensarla anche durante i suoi momenti con il fratello, oppure essere preoccupata per lei. Quel giorno, infatti, per la prima volta da quando la conosceva, Aimi non si era presentata all’allenamento. Fin dai tempi dell’Accademia, la Yogonuchi non aveva mai saltato una singola lezione, neanche quando era stata sul punto di infettare tutta la classe con il suo raffreddore infernale. Eppure quel giorno, per la prima volta, Aimi aveva rinunciato ad allenarsi.

Non è da lei fare una cosa simile. Onestamente, la Sarutobi dubitava che avrebbe vissuto così a lungo per vedere qualcosa del genere. Era ai limiti del sovrannaturale. Eppure, tale avvenimento non l’aveva riempita di una gioia perversa, quanto più di una forte preoccupazione: soltanto qualcosa di così grave da spingerla ad un passo dalla morte avrebbe potuto portare Aimi a quel gesto estremo.

Al diavolo! Adesso mi preoccupo anche di quella smorfiosa! Scosse la testa, sospirando. C’era una parte di lei, quella più maligna, che continuava a suggerirle di infischiarsene dei problemi della rivale, e di approfittarne per festeggiare delle sue disgrazie. Ma erano ormai passate molte settimane da quando avevano cominciato a lavorare fianco a fianco, e un nuovo sentimento si era fatto strada dentro di lei: il rispetto, misto però a qualcosa di molto più profondo, su cui aveva troppa paura per riuscire ad indagare.

Cosa è diventata Aimi per me?

Shikadai si mosse nel sonno, borbottando qualcosa di indefinito. Prese ad accarezzargli distrattamente i capelli, calmandolo, lo sguardo perso nel vuoto, incapace di trovare una risposta a quella domanda. Poteva tranquillamente ammettere di essersi sbagliata sul conto della rivale, e di ritenerla un’abile compagna. Tuttavia, la sua coscienza si bloccava lì, sull’emergere quella nuova sensazione. Qualcosa di molto più profondo e complesso, con cui faticava a convivere.

Possibile che io e lei… siamo diventate… il solo pensare alla parola successiva le costò uno sforzo non indifferente. Amiche?

Erano amiche loro? Non lo sapeva. Shigeru, pur con tutte le sue stranezze, aveva imparato a conoscerlo e rispettarlo, arrivando a considerarlo un amico, qualcuno su cui avrebbe sempre potuto contare. Aimi no. Non riusciva a capire cosa provasse per lei, quali sensazioni e sentimenti si agitassero nel suo stomaco quando pensava al suo viso delicato e pallido, ai profondi occhi cerulei ed alla matassa d’oro che le scendeva lungo la schiena.

La sua mente le inviò, a tradimento, un’immagine di poche settimane prima: un’Aimi piangente nel fango, che scatenava in lei una furia sufficiente per scontrarsi con Hanabi-Sensei.

Quella volta, io l’ho protetta. Percepì una manina del fratellino pizzicarle un seno, ma era troppo immersa nelle proprie elucubrazioni per allontanare quel contatto scomodo. Ho messo il suo bene prima del mio…

Non era una frase del tutto onesta: anche lei aveva sofferto della situazione che si era venuta a creare con la Hyuga. Tuttavia, nessuno l’aveva costretta a difenderla e proteggerla. Eppure l’aveva fatto. Si era presa il dolore della Yogonuchi sulle spalle, facendolo suo e vendicandolo, come solo un’amica avrebbe fatto.

E un’amica non poteva restare indifferente a ciò che aveva mostrato Aimi con la sua assenza: un dolore forse più profondo di quello dell’ultima volta.

Ieri sera sono stata una stupida. rifletté amaramente, proseguendo ad ignorare il pastrocchiare di Shikadai sulle sue zone erogene. Avrei dovuto fermarla, dirle qualcosa… invece non ho fatto nulla.

Improvvisamente tutto andò a suo posto, come i pezzi di un puzzle dalla trama elaborata. Non era sicura che ciò che sentiva verso la compagna fosse amicizia, ma non poteva più liquidarlo come riluttante rispetto. Era diventato qualcosa di più. Capì che doveva agire, il prima possibile, o avrebbe rischiato di troncare di netto quel legame appena formatosi.

E di sicuro non era questo ciò che voleva.

Dopo sennò con chi litigo? Un fievole sorriso le illuminò il viso: aveva trovato una risposta alle sue preoccupazioni.

Dovrò trovare un modo per farmi perdonare.

“Allora la vuoi smettere?!” tirò un pugno in testa al fratello, il quale, immerso nel suo mondo onirico, le aveva stretto così forte il seno da farle male. “Cosa sono diventata, il tuo peluche?!”

Shikadai si tirò su di scatto, gli occhietti cisposi ed assonnati. Portò una mano alla testa, massaggiandosi la parte lesa, emettendo contemporaneamente un gigantesco sbadiglio.

“Perché mi hai svegliato?” borbottò, apparentemente indifferente al colpo appena subito. “Stavo facendo un bel sogno.”

Senza volerlo, la Sarutobi arrossì.

“Piantala di fare sogni indecenti, marmocchio!” esclamò, tirandogli un secondo pugno. “Hai solo tre anni, sogna cose da bambino!”

“Sei una seccatura…”

“E tu un fratellino indisponente.” Mirai sogghignò, schioccandosi le nocche delle mani. “E sai cosa accade ai bambini che fanno arrabbiare le sorelle maggiori?”

“No! Non voglio il solletico!”

“Oh, sì!” il sorriso della Genin divenne spietato, mentre si avventava sull’inerme Nara. “Così impari a stritolarmi le tette!”

“Basta, smettila!” Shikadai tentò di liberarsi, senza successo, mentre le dita della sorella adottiva si intrufolavano dappertutto, facendolo sobbalzare in continuazione. “Sei proprio una seccatura.”

“Ti sbagli.” improvvisamente, Mirai interruppe la sua tortura, iniziando a riempire di baci il bambino, lasciandolo perplesso e leggermente schifato. “Io per te sono Mirai-Oneesan.” Era troppo di buon umore per prendersela con il suo fratellino. Aveva finalmente capito cosa sentiva per Aimi e non vedeva l’ora di farsi perdonare, in modo da tornare ad essere un’unica squadra assieme a quest’ultima e Shigeru.

Ho un’amica… il suo sorriso si ingentilì, mentre regalava un enorme bacio sulla fronte del Nara. Possiedo due amici magnifici!

E si sarebbe fatta perdonare, ne era sicura.

Anche se tutto quello interessava relativamente al povero Shikadai.

“Le femmine sono tutte seccature.” borbottò, subendo l’ennesimo bacio della sorella.

 

 

Sakura si mise a sedere sul bordo del letto della figlia con un sospiro, i piedi doloranti per le dieci ore di turno appena finite.

“Allora…” esordì con un sorriso, rimboccando le coperte a Sarada. “Che storia vuoi che ti racconti questa sera?”

La piccola Uchiha la scrutò con il suo sguardo penetrante, tremendamente simile a quello del padre. Era incredibile quanto si somigliassero, perfino nelle sfumature più leggere. Due pozzi color ossidiana capaci di riportare indietro nel tempo la Sannin, quando era solo una ragazzina che non comprendeva il dolore del ragazzo di cui si era innamorata. Gli occhi di Sarada erano ancora puri, privi del baratro di odio e follia che per anni aveva alimentato quelli di Sasuke, ma per il resto erano gli occhi di una vera Uchiha.

“Mi piacerebbe sentire qualche storia su papà.” mormorò la bambina, il volto serio. Benché avesse ereditato la sensibilità della madre, era raro vederla sorridere.

“Di nuovo?” il sorriso di Sakura si tinse di malinconia, un dettaglio che non sfuggì agli occhi della piccola. “Ti piacciono proprio tanto le storie su papà, eh?”

“Sì!” esclamò l’Uchiha, gli occhi ricolmi di una fiamma piena di avida curiosità. “Anche se mi piacerebbe sapere cosa sta facendo in questo momento. Perché non torna mai per cena?”

La donna chiuse gli occhi per un istante, sentendosi tremendamente stanca. Mentire alla figlia era l’ultima cosa che avrebbe desiderato fare, ma raccontarle la verità significava metterla innanzi a qualcosa più grande di lei.

“Papà fa un lavoro super segreto.” tornò a sorridere, accarezzandole i capelli. “Purtroppo questo gli impedisce di tornare a casa per cena, ma ti assicuro che siamo sempre nei suoi pensieri.” le diede un bacio sulla fronte, cercando di infondere tutto l’amore che provava per lei, la sua bambina. “E vedrai che un giorno ci sarà anche lui a cena.”

Gli occhi di Sarada brillavano come fuochi fatui.

“E’ una promessa?” mormorò.

Sakura le diede un colpetto sulla fronte con la mano destra.

“Sì.” rispose con un sorriso materno. “E’ una promessa.”

Mezzora dopo, quando infine Sarada si addormentò, la Haruno uscì dalla stanza di quest’ultima con un sospiro. Fece per andare a farsi una doccia quando, improvvisamente, suonò il campanello.

Ma allora è un vizio!

Andò ad aprire a passo di marcia, fermamente decisa a picchiare chiunque fosse. Stavolta Naruto avrebbe dovuto trovare qualcosa di più grave della rottura del suo matrimonio per spingerla alla compassione.

“Mi vuoi spiegare perché devi sempre venire ad un orario indece…” la sua voce si spense, nuovamente, nello stesso istante in cui aprì la porta dell’appartamento, rivelandole la figura dell’ultima persona al mondo che si aspettava in quel momento.

Davanti a lei c’era Hanabi.

“Ciao.” esordì la Hyuga, un’espressione nervosa sul volto. “Devo parlarti, posso entrare?”

Per un lunghissimo istante la Sannin fu tentata di sbattergli la porta in faccia.

“Basta che fai in fretta.” sbuffò, lasciandola passare.

Hanabi tirò fuori il suo sorrisetto beffardo, irritando ulteriormente l’Haruno.

“Grazie.”

 

 

Sakura si sedette sul suo divano preferito, un calice di vino rosso in mano. Hanabi optò invece per una poltrona, anche lei con un bicchiere pieno.

“Spero per te che questa visita serale abbia una motivazione valida, oltre a quella di scroccarmi una bevuta.” esordì la kunoichi più anziana, sorseggiando dal proprio bicchiere. “Ultimamente casa mia sta diventando lo studio di uno psicologo.

“Il Baka è stato qui?” chiese la Hyuga, bevendo a grosse sorsate.

“Tre sere fa.” fu la risposta dell’Haruno. “A quanto pare, tua sorella e lui sono ai ferri corti.”

“Lo so.” Hanabi corrugò le sopracciglia. “Se fossi stata meno pettegola, a quest’ora questo casino non sarebbe successo.”

“Prima o poi Hinata l’avrebbe scoperto comunque. Non è colpa tua se Naruto si è comportato in quel modo.” liquidò la questione l’altra, sdraiandosi per dare riposo ai piedi stanchi. “Ma immagino che tu non sia venuta da me per confessare le tue colpe.”

La Jonin fece un profondo respiro, svuotando il proprio bicchiere. Ora che era arrivata fino a quel punto si sentiva un’emerita idiota. L’assenza di Aimi di quella mattina però l’aveva spinta a considerare anche quell’opzione, nonostante all’inizio l’avesse catalogata nella voce ‘cazzata gigantesca’.

Stupidi mocciosi.

“Effettivamente hai ragione.” prese tempo, versandosi altro vino. “Sono qui per farti una richiesta.”

Sakura attese pazientemente che l’altra trovasse il coraggio per parlare.

“Vorresti prenderti un’allieva?”

“Eh?!” per la prima volta dall’inizio della conversazione, la Sannin perse il controllo. Spalancò la bocca, gli occhi grandi come piattini da tè, convinta di non aver sentito bene. “Io dovrei fare… cosa?!”

“Prenderti un’allieva.” ora che si era sbloccata, parlare era semplice. “Sei una Sannin, non dovrebbe essere difficile per te addestrare una marmocchia nelle arti mediche.”

Sakura trincò il proprio calice in un colpo solo, nel tentativo di mettere ordine nella sua mente.

“Non so se te ne sei resa conto, ma la mia vita è già abbastanza incasinata così com’è.” borbottò, servendosi subito altro vino. “Non ho tempo per questo. Cercati un altro ninja-medico. A Konoha c’è ne sono di ottimi e posso passarti qualche nome se lo desideri.”

“No.” la Jonin scosse la testa. “Solo tu possiedi le capacità per aiutarla.”

“Mi sopravvaluti. Guardati attorno: vivo in un appartamento minuscolo, ho una figlia a carico, e lavoro come uno che spacca sassi, venendo pagata una miseria.”

“Sai benissimo che sono solo scuse. Quando tu diventasti allieva del Quinto, quest’ultima era un’Hokage.”

Nel salotto scese un silenzio di tomba. Sakura si prese la testa tra le mani, massaggiandosi lentamente le tempie. Si chiese per quale fottuto motivo quelle situazioni capitassero sempre a lei.

“E sentiamo: chi sarebbe questa mocciosa?” borbottò, tentando di guadagnare tempo.

“Aimi Yogonuchi.”

“Stai parlando della celebre famiglia Yogonuchi?” rimase sorpresa. “Non sapevo che si abbassassero a fare i ninja. Se le voci sono vere, hanno abbastanza soldi per comprarsi l’intera nazione.”

Hanabi chiuse gli occhi, rimembrando la discussione del giorno prima.

 

“Forse aveva ragione mio padre… non avrei mai dovuto intraprendere questa strada.”

 

La voce tremante, il volto contratto per evitare di piangere. Ogni cosa le ricordava con vividezza terribile la sua infanzia, quando era costretta a sopportare anche il dolore della sorella.

“Da quello che so, la sua scelta non è stata appoggiata dalla famiglia.” rispose con voce monocorde, ben decisa a non mescolare il suo passato con quella faccenda.

“E tu vorresti che me la prendessi come allieva.” la Haruno fece un sospiro, proseguendo a massaggiarsi le tempie, le quali stavano inviando un dolore sordo e costante al suo cervello. “Fa parte della tua squadra, giusto?”

Hanabi si irrigidì impercettibilmente.

“Sì.”

“E si può sapere perché desideri così tanto che la avvii alle arti mediche? Studiare medicina non è uno scherzo, tantomeno una cosa da nulla.”

“Sono ormai sette settimane che la vedo ogni giorno.” fu la risposta della Hyuga. “E’ una ragazza intelligente, con spirito di sacrificio e dotata di ottimo cervello.”

“Doti ammirevoli, ma non bastano per convincermi.”

La Jonin si appoggiò meglio contro lo schienale, riprendendo a bere.

“Sa controllare il chackra a livello di un Chuunin.” aggiunse con noncuranza, quasi fosse un dettaglio di poco conto. “L’ho vista con i miei occhi manipolare gli elementi dell’Acqua e della Terra senza problema alcuno.”

Sakura corrugò le sopracciglia, la mente che lavorava a pieno regime. Le parole che le aveva appena detto Hanabi erano qualcosa a cui era difficile credere.

“Da quanto tempo è una Genin?” domandò, pur sapendo benissimo la risposta.

La Hyuga sogghignò.

“Sette settimane.”

“E tu vorresti farmi credere che una novellina, fresca di diploma, è capace di utilizzare gli elementi del chackra con la maestria di un Chuunin?”

“Precisamente.” Hanabi gli lanciò un’occhiata penetrante. “Ora capisci perché mi sto rivolgendo a te?”

Sì, Sakura lo comprendeva. Una simile abilità, per quanto grezza, era più unica che rara. Lei stessa aveva dovuto esercitarsi sotto la guida brusca di Tsunade per due anni prima di raggiungere una simile maestria con il chackra. Si trattava solo di indirizzarla verso il giusto percorso. Se Hanabi non mentiva, e non aveva motivo di crederlo, era di fronte a qualcuno di veramente in gamba.

“Immagino che possa chiedere una mano a Tsunade-hime.” capitolò con un sospiro. “Ora che è in pensione, non credo le dispiacerà aiutarmi nell’allenare la tua ragazza.”

“Quindi accetti?”

“Ad una condizione.” la Sannin sorrise. “Dovrai convincerla tu a chiedermelo.”

Hanabi rimase perplessa innanzi ad una simile richiesta.

“E perché? Dubito che rifiuterà se glielo proporrai tu. Dopotutto, sei uno dei tre ninja leggendari.”

“Studiare medicina non è uno scherzo.” replicò seccamente Sakura. “Se andassi a proporglielo di persona, lei si sentirebbe in dovere di accettare. Io invece voglio che senta sua questa scelta, in modo che quando dovrà affrontare delle difficoltà, possa trovare la forza per superarle.” sorrise, sorseggiando dal calice. “E’ una tua allieva, quindi tocca a te prenderti questa responsabilità.”

Già, era una sua allieva. Forse l’aveva sempre saputo che sarebbe finita così. Eppure, Hanabi non poté fare a meno di sentirsi irritata all’idea. Provare a convincere una ragazzina depressa a studiare le arti mediche non era un compito dei più semplici.

“Deduco di non avere scelta.” appoggiò il proprio calice, alzandosi. “Lo farò, ma sappi che non ho intenzione di implorarla o chissà che altro.”

“Non te l’ho mai chiesto.” il sorriso non scomparve dalle labbra della Sannin. “Come ti ho già detto: deve essere convinta di intraprendere questo percorso.”

“Ti farò avere notizie il prima possibile.” si girò per andarsene, ma quando stava per aprire la porta dell’appartamento, la voce di Sakura la bloccò sul posto.

“Le vuoi bene, non è vero?” anche quest’ultima si era alzata, le iridi smeraldine fisse sulla schiena della Hyuga.

“Cosa te lo fa pensare?” replicò seccamente la Jonin, ma non riuscì a dare un tono sufficientemente duro al suo timbro di voce.

“Ti conosco, Hanabi. So che non sei tipo da aiutare facilmente il prossimo.” Sakura smise di sorridere, in attesa di una risposta che tardò ad arrivare, gli occhi fissi sul tremito che colpì la mano della kunoichi bruna appoggiata al pomello della porta.

Aimi.

Ripensò a tutti gli insulti che le aveva rivolto nelle prime settimane, all’odio ed al livore che aveva riversato addosso ai suoi studenti, infischiandosene dei loro sentimenti. Le parole della sera prima l’avevano colpita profondamente: Aimi poteva essere una Yogonuchi, ma quella frase mormorata tra singhiozzi aveva rivelato come quel cognome le pesasse tanto, forse troppo per una ragazzina di dodici anni.

Proprio come Neechan…

Digrignò i denti, nel tentativo di controllare il rimorso che aveva preso a bruciarle all’altezza dello stomaco. Un rimorso nato dalla sua stupidità e dal suo essere stata cieca nei confronti dei suoi allievi.

Sono stata crudele con te, Aimi…

“Ti sarei grata se la piantassi di dire stronzate.” dichiarò infine con voce monocorde, uscendo rapidamente dall’appartamento.

Sakura sospirò, scuotendo la testa, le labbra nuovamente stirate in un dolce sorriso di comprensione.

“L’orgoglio è una brutta bestia…” sussurrò, mettendo via i bicchieri usati. “Ma sono felice che tu stia crescendo così, Hanabi.”

Nel frattempo, in strada, una donna camminava a passo svelto. Teneva il volto basso, ma era facilmente individuabile un sorriso spuntare nell’oscurità della notte, così gioioso da illuminarle il viso, rendendola più bella che mai.

E’ tempo che mi faccia perdonare.

 

 

CONTINUA

 

 

Oh oh oh! Buon Natale (in ritardo) e felice Anno Nuovo!

Già… di solito in questo periodo si parla di amore, famiglia e carità… io invece parlo di tradimento. XD

Sì, lo so. Ultimamente sto dividendo troppe storie in più parti. Il fatto è che in questo capitolo iniziò ad affrontare una tematica difficile: il perdono. Quante volte chiediamo scusa ad una persona senza pensarci troppo? A volte però invece chiedere scusa, e soprattutto accettare le scuse, non è semplice. E questa volta voglio proprio parlare di questo.

Come avete potuto notare, in questa prima parte mi sono soffermato maggiormente su Naruto, e su cosa provasse. Nella seconda invece mi concentrerò di più su Hinata, che rappresenta colei che dovrà decidere se concedere il proprio perdono o meno.

Riguardo alla faccenda di Aimi, Mirai ed Hanabi vi dico solo questo: Aimi non sarà l’erede di Sakura. Il resto nei prossimi capitoli xD

Bene, direi che è tutto. Questo è l’ultimo capitolo del 2017. Un anno dove, purtroppo, ho ridotto molto la frequenza di pubblicazione, ma sono soddisfatto dei progressi compiuti, nonostante tutto. Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno letto, recensito, seguito questa raccolta durante tutto l’anno. Grazie davvero di cuore!

Un saluto! E ancora tanti auguri!

 

Giambo

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Capitolo 29
*** Perdono, parte seconda ***


The Biggest Challenge

 

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Perdono

parte seconda

 

 

 

Sakura strinse le labbra fino a formare una linea inespressiva, la fronte normalmente liscia increspata da una singola ruga obliqua. Le iridi smeraldine si piantarono sui volti delle sue amiche, scrutandole e chiedendosi per quale diavolo di motivo Ino e Tenten apparissero così rilassate.

Non sanno mai prendere le cose con serietà.

Si trovavano in casa Uzumaki. Normalmente, quella sarebbe stata una serata come tante altre, dedicate al passare del tempo assieme, in compagnia di qualche bottiglia di vino. Tuttavia, considerando che Hinata cinque giorni prima aveva buttato fuori di casa il marito, Sakura non era sicura che ridere e scherzare fosse il comportamento più adatto da tenere.

In quell’istante, Hinata raggiunse le amiche al tavolo del salotto, in mano un vassoio con tè e dolcetti. La Sannin accettò con un cenno del capo la bevanda calda, approfittandone per osservare da vicino l’amica. Hinata si comportava normalmente, ma il suo occhio, ben allenato a riconoscere sintomi negli ammalati, notò una tensione latente nei tratti della Hyuga, un malessere interiore che la kunoichi cercava di nascondere dietro un caldo sorriso.

“Allora!” Ino si sgranchì le spalle, fissando con un sorriso Hinata. “Pronta a festeggiare la tua ritrovata libertà?”

“A volte mi chiedo come mai tuo figlio non si sia ancora suicidato…” borbottò Sakura, rivolgendole un’occhiata di rimprovero. “Siamo qui per aiutare un’amica, non per dire stupidaggini!”

“Appunto! E cosa c’è di meglio di un locale pieno di manzi per dimenticare le proprie pene d’amore?” replicò la Yamanaka.

Hinata si trincerò dietro un sorriso diplomatico.

“Ti ringrazio per l’offerta, Ino.” mormorò, sorseggiando la propria tazza. “Ma non posso uscire, di sopra ci sono i bambini.”

“E ti pareva…”

“Non dobbiamo per forza impicciarci dei problemi di Hinata.” dichiarò la Haruno. “E’ vero che vuoi aprire un negozio di armi ninja, Tenten?”

L’allieva di Gai sorrise.

“Diciamo che con Metal in casa non posso più assentarmi per le missioni come facevo prima.” spiegò, addentando un dolcetto. “Quindi sarei tentata di provare ad aprire un negozio tutto mio di armi ninja. Sarebbe bello poter sfruttare questa mia passione.”

“Sì, tutto magnifico!” Ino agitò una mano con impazienza. “Perdonami Ten, ma in questo momento sono molto più interessata alla vita sentimentale della nostra cara Hinata!”

“Ino…” Sakura sospirò, esasperata. “Hai la sensibilità di un cucchiaino!”

“Cosa c’è di male nel voler consolare un’amica, scambiandosi nel frattempo qualche pettegolezzo piccante?” con fare cospiratorio, la kunoichi bionda si avvicinò ad Hinata. “Quanto lungo c’è l’ha, Hinata?”

“Ino!” le gote della Hyuga si tinsero di rosso, vergognandosi a morte della domanda impudica dell’amica.

“Dai, ora che vi siete lasciati puoi dircelo! E’ formato Bijuu, oppure mignon?”

“Dacci un taglio!” Sakura zittì l’amica appena in tempo: il volto di Hinata si era tinto di un intenso rosso tizzone, come se qualcuno le stesse riempiendo la testa di acqua bollente. “Siamo qui per aiutarla, non per spettegolare come le peggiori oche!”

“D’accordo!” Ino sbuffò, chiaramente contrariata all’idea di non poter spettegolare su quanto fossero stronzi i maschi. Afferrò un paio di dolcetti, e si mise tranquilla a sorseggiare il proprio tè.

“Non dovete pensare che io stia male, o altro.” osservò Hinata, ritornando a sorridere diplomaticamente. “Sto bene, dico davvero.”

“No che non stai bene.” ribatté subito Tenten. “Nessuna donna potrebbe stare bene quando il proprio matrimonio è appeso ad un filo.”

“Parla per te…”

“Ino, mangia e stai zitta!” ringhiò la Sannin, passandole l’intero vassoio dei biscotti.

“Sei pazza?! Guarda che non sono come te, che mangi addirittura i carboidrati!”

Hinata non rispose, osservando con fare vagamente interessato l’ennesimo battibecco tra Sakura ed Ino. La sua mente volò distante da quella casa, tornando a soffermarsi su ciò che negli ultimi giorni aveva disturbato il suo sonno.

La prima domanda che si era posta era perché. Perché Naruto aveva tenuto un simile comportamento? Per quale motivo si era rifiutato di rivelarle di aver stretto un simile legame con un’altra donna? Davvero suo marito aveva scelto di non riporre fiducia in lei, dopo tutto quello che avevano affrontato assieme?

Forse è colpa mia. Aveva riflettuto molto anche su di sé, domandandosi se la nascita di quel legame fosse da attribuire anche a lei. Era stata una cattiva compagna? Possibile che Himawari possedesse qualcosa che lei non aveva, qualcosa che aveva attratto Naruto, suo marito?

Himawari… il solo pensiero che sua figlia tenesse lo stesso nome di quella donna sconosciuta la riempiva di disgusto. Naruto poteva avere una motivazione per nasconderle il suo legame con un’altra donna, ma darne il nome alla loro bambina lo trovava ingiustificabile, un gesto che non si sarebbe mai aspettato dalla persona che più ammirava e rispettava al mondo.

No, non è colpa mia. La rabbia per il nome incriminante della figlia le diede la forza di respingere ogni accusa sulle spalle del marito. Era colpa di Naruto se aveva perso la testa per un’altra donna, era colpa sua se aveva deciso di non rivelarle nulla, scegliendo di dare a loro figlia il nome della persona con la quale aveva tradito la sua fiducia ed infranto i loro voti coniugali.

Eppure, nonostante tutto, sentì di provare altro oltre alla rabbia. Era qualcosa di profondo, che si agitava in sordina, malmostoso e cupo. Tentò di ignorarlo, ma cominciò a capire che non avrebbe potuto farlo per sempre. Dovette affrontare il pensiero di una lontana missione segreta, tenuta nascosta al suo fidanzato dell’epoca per sei lunghi anni.

Forse io…

“Hinata?” la voce di Tenten la riscosse di colpo, facendola ripiombare bruscamente nel suo salotto. Vide tre paia di occhi squadrarla con scrupolosa attenzione, alla ricerca di un indizio su cosa stesse pensando, donandole la sgradevole sensazione di essere esposta in una vetrina.

“Perdonatemi.” mormorò, sfoderando nuovamente il suo sorriso più diplomatico. “Ero sovrappensiero.”

“E a cosa stavi pensando?” chiese Ino. “A come farla pagare a tuo marito?”

Sakura sospirò, chiedendosi se non fosse il caso di prendere a pugni la Yamanaka, ma decise di contenersi. Non erano lì per litigare ma per aiutare un’amica in difficoltà.

“Non stavo pensando a nulla in particolare.” rispose la Hyuga, scuotendo la testa. “Con due bambini da badare, arrivo alla sera sempre sfinita.”

“Hinata, piantala di fare l’indifferente!” sbottò Ino. “Non sei mai stata brava a mentire. E’ palese che stai male per Naruto, non devi vergognarti di questo con noi.”

La Hyuga non rispose. Strinse le mani, le iridi lilla oscurate da un velo di tristezza. In cuor suo, sapeva che Ino aveva ragione, che non aveva senso nascondersi dietro un dito innanzi a loro, le sue amiche di sempre. Eppure, una parte di lei respingeva l’idea di sfogare il suo malessere, di metterle al corrente di ciò che le corrodeva la mente come il più letale dei veleni. Probabilmente era l’orgoglio a frenarla, la malsana invidia che la portava a domandarsi come mai solo lei avesse un marito che aveva tradito in quel modo la sua fiducia, tornando a chiedersi se non fosse dovuto in parte anche al suo comportamento.

Il tocco di Sakura sulla sua spalla la fece sussultare, riscuotendola nuovamente dai propri pensieri.

“Ci conosciamo da quando siamo bambine.” dichiarò sorridendo la Sannin. “Non devi pensare che ti giudicheremo o altro, lo sai. Tenerti dentro tutto il malessere che provi ti avvelenerà la mente e basta.”

“Immagino di no.” sospirò la bruna, scuotendo la testa. “Ma il punto è che non ho proprio idea di cosa fare.” si morse le labbra, alla ricerca delle parole giuste. “Io e Naruto-kun… conviviamo da anni.” tacque per un istante, sentendo una fitta al petto nel nominare il marito. “Ma dopo… quello che è accaduto, non so più cosa debbo fare, cosa voglio, cosa sia giusto.” rivolse una muta richiesta d’aiuto alle altre, le quali cercarono in fretta le parole giuste da dire.

“Io credo che sia solo questione di tempo.” esordì Tenten. “Posso capire che in questo momento ti senti sperduta, ma non è la fine del mondo. Devi solo lasciare correre qualche tempo. Se tra qualche mese sentirai ancora di provare un sentimento per Naruto, e lui ricambia, allora vuol dire che il vostro legame è forte, che non verrà rotto da un errore vecchio di anni.”

“E come faccio ad essere sicura che lui provi ancora qualcosa per me?”

La madre di Metal tacque. Era chiaro che nessuno poteva avere quella certezza, a parte Naruto.

“Secondo me, la cosa più importante adesso è un’altra.” fu Sakura questa volta a parlare. “Prima di prendere una decisione, qualsiasi decisione, devi capire cosa provi per Naruto, se sei ancora innamorata di lui. Senza questa risposta, qualsiasi altro discorso è superfluo.”

Hinata tacque. Era ancora innamorata di suo marito? Non si era mai posta questa domanda, forse per timore di ricevere una risposta per la quale non si sentiva assolutamente pronta. Naruto era stato il suo punto di riferimento, colui che le aveva permesso di diventare una donna forte e sicura di sé. Aveva imparato a conoscerlo, comprendendo come dietro quel sorriso caldo, che portava sempre sulle labbra, si nascondevano dubbi, dolore e paure. Naruto era un uomo intimamente fragile, che si era temprato attraverso molte perdite ed un dolore ai limiti dell’umana sopportazione. Non era perfetto, non era invincibile e dietro la corazza dorata che si portava appresso da più di dieci anni c’era tutto tranne che l’eroe sicuro di sé a cui tutta la nazione era abituata a vedere.

Forse era stata proprio quella fragilità, il peso del dover essere a tutti i costi un eroe che l’aveva spinto tra le braccia di un’altra donna, capace di poter comprendere quel fardello.

La rabbia riprese a divampare dentro il suo stomaco, inacidendogli il sangue. Continuava a non accettare l’idea che suo marito non si fosse fidato di lei, chiedendosi cosa l’avesse spinto a legarsi così tanto ad un’altra donna e se tutto ciò che avevano costruito negli ultimi anni assieme non fosse altro che frutto dell’ipocrisia, di aver voluto nascondere il proprio tradimento dietro una montagna di bugie e sorrisi, di gesti premurosi e di dichiarazioni d’amore.

Tradimento, un sentimento che Hinata aveva imparato a conoscere bene, fin da quando era una bambina. Si era sentita tradita da sua madre, da una genitrice che l’aveva abbandonata in mezzo ad un mucchio di parenti altezzosi che la disprezzavano, con una sorella minore a cui badare ed un cugino che la odiava per tutto ciò che rappresentava. Non aveva mai avuto il coraggio di pensarlo veramente, ma una parte di lei, la sua essenza più nascosta, era convinta che la sua genitrice fosse morta di proposito, che avesse deciso di sua spontanea volontà di non proseguire a vivere. Con il tempo quel pensiero era scomparso, trasformando la rabbia ed il dolore in una sordida amarezza, ma ora le sembrava che il tempo fosse scivolato indietro. Era di nuovo una bambina di otto anni che non capiva per quale motivo la persona a cui era più legata l’avesse lasciata sola.

Chiuse gli occhi. Rivide il volto sconvolto di Naruto, la sua voce bisbigliare la propria colpa. Non aveva provato a scusarsi, non era rimasto per tentare di dissuaderla. Si era assunto tutta la colpa, come sempre, deciso a non rinnegare il gesto alla base della loro rottura.

E’ solo colpa sua… l’essenza più nascosta di lei emerse rapida, ricolma di acido rancore. Lo amavo, ho fatto il possibile per essere una buona compagna e lui mi ha tradita alla prima occasione.

No! La sua mente si ribellò all’idea di scaricare solo sull’Uzumaki le colpe del fallimento del loro rapporto. Come posso accusarlo di avermi tenuto all’oscuro di tutto? L’ho spiato a sua insaputa per sei anni. Gli ho detto che l’amavo, che volevo costruirmi una famiglia con lui, sono andata a letto con lui… ed ogni volta che l’ho detto, io gli stavo nascondendo ogni cosa.

La rabbia svanì, lasciando il posto ad una sensazione diversa: acida, che le entrò sotto la pelle, procurandole l’amaro in bocca. Come poteva accusare Naruto di non voler condividere un simile segreto se lei per prima aveva fatto lo stesso? Da quale pulpito poteva rinfacciargli le sue colpe? Accusarlo di essere l’unico responsabile dell’ennesima crisi del loro matrimonio?

No… si morse il labbro inferiore fino a spaccarselo, mescolando il sapore ferroso del sangue con quello amaro del senso di colpa. Non ho nessun diritto per poterlo criticare. Io non sono meglio di lui.

Sentì la presa sul proprio stomaco affievolirsi, come se ammettere le proprie colpe la facesse sentire meglio. Non sapeva ancora se ciò che provava per Naruto fosse lo stesso sentimento di prima, e neanche se voleva averlo di nuovo nella sua vita. Ma per la prima volta da quando aveva scacciato di casa suo marito, Hinata capì che quella situazione era anche colpa sua e la cosa stranamente la rinfrancò: era sicuramente più facile comprendere sé stessa di qualsiasi altra persona, anche il suo compagno.

Riaprì gli occhi, constatando come le sue amiche la stessero fissando, in attesa di un responso.

“Io…” strinse le mani, cercando di farsi forza. “Non so se amo ancora Naruto-kun.” esordì infine. “Ma so che questa situazione è figlia delle colpe di entrambi.” vide Sakura annuire e ciò la rinfrancò. “Lui non è il solo colpevole e quindi… credo che dovremo parlarne. In modo da capire… cosa fare del nostro matrimonio.”

“Questa è esattamente la risposta che mi aspettavo.” la Sannin sorrise all’amica, stringendole la mano. “Mettersi in discussione, accettando il confronto con l’altro, sono il primo passo per risolvere questa situazione.”

“Io avevo proposto la castrazione…”

“Ino!”

“Che c’è? Se proprio non vuoi usare il martello puoi anche usare la castrazione chimica! Due pasticche al giorno nascoste nel cibo per due settimane e ciao ciao mascolinità!”

Tenten scoppiò a ridere, soffocandosi con il tè, mentre Sakura ed Hinata non sapevano se imitarla o rimproverare la Yamanaka per i suoi propositi attentatori nei confronti della virilità dell’Uzumaki.

“Comunque…” l’Haruno tentò di riportare la conversazione su un piano più serio. “Il mio consiglio finale è questo: parla con Naruto, spiegatevi, e solo allora prendi una decisione definitiva.”

“Immagino che sia la scelta migliore.” Hinata sorseggiò dalla tazza, sentendo un calore nello stomaco che con il tè aveva poco a che fare. Non aveva fatto chiarezza riguardo i propri sentimenti nei confronti di Naruto, ma aveva compreso meglio ciò che sentiva e soprattutto ora sapeva cosa doveva fare. “Nei prossimi giorni cercherò di contattarlo.”

“Comunque, nel caso parlare non funzioni, io continuo a sostenere l’idea del martello.”

“La possiamo piantare, Ino?” domandò esasperata Sakura. “Non serve che istighi Hinata alla violenza, lei è magnifica così com’è.”

“Scempiaggini! Una donna che si rispetti deve essere violenta, altrimenti poi gli uomini si sentono in diritto di fare le peggio porcate!”

“Solo perché tu sei pazza, non significa che tutte dobbiamo prendere esempio da te.”

“Non accetto critiche da una persona con la fronte così ampia da ospitare le facce di pietra…”

Hinata si sforzò con tutte le proprie forze, ma alla fine cedette. Si mise a ridere assieme a Tenten, osservando Sakura ed Ino bisticciare. Per la prima volta dopo molto tempo, si sentì bene, priva di pensieri e preoccupazioni, libera da Naruto, Himawari o Hazuba. Era una sensazione magnifica, e fu grata alle sue amiche per questo.

Grazie… scostò gli occhi dal tavolo, rivolgendoli verso la finestra del salotto, la mente che continuava a fluttuare lontano dai suoi problemi, finalmente libera.

Ora so cosa fare.

 

 

Con un elegante ghirigoro, Shikamaru terminò di compilare l’ennesimo documento della giornata. Lo shinobi si stiracchiò le spalle, pensando di farsi il quinto caffè della mattina, quando una pronta Mei glielo porse caldo e fumante.

“Ecco a lei, Senpai.” il Nara accettò con un sorriso. Negli ultimi anni la ragazza era cresciuta molto di carattere, rivelandosi un’inaspettata spalla per lo shinobi, il quale ormai la riteneva indispensabile.

“Grazie.” Shikamaru buttò via il mozzicone che stringeva tra le labbra, accettando il bicchierino fumante con un cenno del capo. “Novità?”

“Prima ha chiamato sua moglie.” rispose prontamente con voce sicura la giovane kunoichi. “Chiedeva di lei.”

“Spero tu le abbia risposto come sempre.”

“Certamente.” il sorriso della ragazza si intensificò, sciorinando a memoria ciò che il Nara le aveva inculcato fin dall’inizio della loro collaborazione. “Shikamaru-Senpai è attualmente impegnato con una donna più bella di lei.”

“Quante volte devo dirtelo? Non sono il tuo Senpai.”

“A me piace chiamarla così.” Shikamaru non fece in tempo a finire il caffè che la kunoichi aveva già afferrato il bicchierino. “Tutto quello che so lo devo solo a lei.”

“Mi mancava il fan club…” lo shinobi emise un sospiro, massaggiandosi lentamente le tempie. “Porta questi documenti all’Hokage. Deve firmarli entro stasera.”

Mei afferrò rapida il fascicolo, dirigendosi all’uscita. Non fece in tempo ad aprire la porta che andò a sbattere contro un perplesso Naruto, il quale si domandò per quale motivo la sua appendice nasale sembrava fosse stata appena colpita da un’incudine d’acciaio.

“M-mi perdoni!” Mei si affrettò a raccogliere i fogli sfuggiteli, sparsi un po’ ovunque. Malgrado il suo rapporto con Shikamaru, la giovane kunoichi appariva ancora intimidita innanzi all’eroe di tutti gli shinobi. “Le chiedo scusa, Naruto-sama!”

“Va tutto bene, Mei.” borbottò l’Uzumaki, massaggiandosi vigorosamente il naso dolorante. “E chiamami solo Naruto, mi fai sentire vecchio.”

“Ah… ok. Allora, ora vado, Naruto-sa… Naruto.” con un ultimo, tremulo, sorriso, la kunoichi sparì con i fogli stretti al petto, il tutto sotto lo sguardo divertito di Shikamaru.

“Complimenti.” esordì quest’ultimo, accendendosi una sigaretta senza smettere di scrivere. “Hai fatto colpo, in tutti i sensi.”

“Ti ricordo che sono sposato, Shika.” borbottò il biondo, stravaccandosi sulla seggiola innanzi alla scrivania del Nara.

“Sono già partite le scommesse in ufficio su quando Hinata chiederà il divorzio.” lo shinobi delle ombre lanciò un’occhiata divertita all’amico. “A sentire gli allibratori, ti conviene cominciare a guardarti in giro.”

“Shikamaru, possiamo finirla con questi giochetti?”

“Rilassati, sei ancora molto popolare tra le ragazze. Non appena si saprà che sei di nuovo in pista scoppierà l’inferno, ci puoi giurare.”

Naruto lo fissò in cagnesco.

“Quanto ti stai divertendo?”

“A vedere per una volta che non è la mia relazione ad essere con la merda al collo?” l’assistente dell’Hokage soffiò fumo grigiastro dalle labbra, un’espressione irritante sul viso. “Non hai idea quanto.”

“Siamo in due.”

“Kurama!” Naruto lanciò un’occhiata esasperata all’amico il quale si era comodamente spaparanzato, un ghigno da vero stronzo sul muso. “Dovresti aiutarmi. Gli amici servono a questo!”

“Può essere, ma vederti in difficoltà è sempre un passatempo piacevole.”

L’Uzumaki preferì evitare di rispondergli per una questione di principio, tornando a dedicare la propria attenzione a Shikamaru, il quale aveva proseguito il proprio lavoro come se l’amico fosse invisibile. Quando fece per aprire bocca però, il Nara lo precedette.

“A cosa devo questa visita?” borbottò, la penna che scorreva stancamente tra i fogli.

Naruto incrociò le braccia, percependo lo stomaco contrarsi per il nervoso. Ora che era lì non aveva la più pallida idea di come impostare il discorso.

“Sono venuto...” dichiarò infine, cercando rapidamente di mettere ordine nella sua mente, operazione non delle più semplici. “Per un consiglio.”

Lo shinobi delle ombre sbuffò una nuvoletta di fumo dall’angolo sinistro della bocca, lo sguardo fisso verso le proprie pratiche.

“Un consiglio riguardo…?”

Fece un profondo respiro, preparando accuratamente le parole da dire.

“Su Hinata.”

La penna proseguì nel proprio tragitto, imperterrita.

“Quando tu e Temari… avete litigato per la faccenda di Ino…” respirò nuovamente a pieni polmoni. Era più difficile di quanto credesse, non fosse altro per l’imbarazzo di rivangare quella vecchia storia. “Sì, insomma… come vi siete rappacificati?”

Lo shinobi delle ombre interruppe di colpo il proprio scrivere. Alzò lentamente lo sguardo, il volto impassibile. Per un istante, Naruto fu convinto che l’amico l’avrebbe scacciato dall’ufficio a calci.

“Un anno e mezzo di lavori domestici, molte parolacce e diversi pugni in faccia.” Shikamaru tornò a scrivere, lasciando il Jinchuuriki più confuso di prima.

“In che senso?”

Sospirando, il Nara appoggiò la penna, comprendendo che quella mattina non era destino che potesse lavorare in pace.

“Nel senso che per rappacificarmi con lei ci ho impiegato un anno e mezzo di lavori domestici, ho ricevuto parecchi insulti contro e per finire mi ha spaccato la faccia.” lo guardò con il suo sguardo penetrante. “Immagino che non fosse questa la risposta che volevi.”

Naruto non rispose. L’idea che Hinata potesse prenderlo a pugni era ridicola. Tuttavia, era anche vero che fino a qualche anno prima avrebbe trovato ridicolo il pensiero di lui e sua moglie in crisi, cosa che invece era puntualmente accaduta.

“Beh… ma immagino che ci sia stato qualche segnale…”

“Naruto.” Shikamaru parlò con tono secco, facendo intendere all’amico che non desiderava rinvangare quell’episodio del suo passato. “E’ inutile che cerchi di risolvere questa faccenda chiedendo consiglio agli altri. Tu hai fatto questo casino, conosci meglio di tutti tua moglie e quindi spetta a te trovare una soluzione.” riprese a scrivere, facendo intendere come quella discussione fosse chiusa. Tuttavia, il successivo borbottio dell’Uzumaki lo costrinse ad interrompere nuovamente la sua relazione.

“Dite tutti la stessa cosa…” il Jinchuuriki scrutò con sguardo torvo lo shinobi delle ombre, quasi gli avesse fatto un torto. “Come se per me fosse facile capire cosa passa per la testa di Hinata in questo momento.”

“E’ tua moglie. Chi dovrebbe capirla?”

Naruto fece un versaccio d’irritazione.

“Sono anni che Hinata faccio sempre più fatica a comprenderla, Shika! Tu lo sai, te l’ho già detto tre anni fa: amo la mia famiglia, ma a volte non capisco più gli atteggiamenti di mia moglie! Ha passato anni ad accusarmi di non avere fiducia in lei, di non credere appieno nel nostro legame. Ti sembro forse un uomo che non si fida della propria compagna? Avrei accettato l’idea di un lavoro mostruoso, di comprare una casa a debito, di fare due figli, di uccidere per lei se fossi solo un porco interessato alle sue tette?!”

“Hinata sa benissimo queste cose.” replicò pacatamente Shikamaru, in contrasto con il tono amaro dell’amico. “Ma proprio perché conosce tutto questo, non si capacita del fatto che tu le abbia nascosto una cosa così importante come aver dato a tua figlia il nome di una donna con cui te la intendevi.”

“Io…” allo shinobi mancò la voce per un istante. “Io non me la intendevo con nessuna!”

“Hai dato il suo nome a tua figlia, non puoi negarlo.”

“Non è stata una mia scelta, va bene? Non del tutto!” senza volerlo, Naruto aveva iniziato ad alzare la voce, frustrato nel vedere come nessuno riuscisse a comprendere il motivo di quella decisione. “Tu non eri lì, Shika. Non puoi capire cosa significa avere tra le mani il cadavere di una persona che rispettavi e sapere che l’hai uccisa tu, che è solo colpa tua se ora è morta e marcisce in una tomba!”

“E perché non l’hai detto ad Hinata? Perché non le hai spiegato tutto questo anni fa? A quest’ora non saresti qui a lagnarti con il sottoscritto.”

L’Uzumaki non replicò, ma la vena ingrossata che pompava sul suo collo era un chiaro indice di come il sistema nervoso dell’eroe di tutti gli shinobi fosse in procinto di crollare

“E’ inutile che te la prendi con me.” proseguì Shikamaru, imperturbabile innanzi alla rabbia repressa a fatica dell’amico. “Se tu avessi spiegato ad Hinata queste cose anni fa, se avessi cercato di farle comprendere come questa persona fosse così importante per te, sono sicuro che non avrebbe avuto nulla da ridire sulla scelta del nome per tua figlia.”

“La fai facile tu.”

Il Nara sollevò un sopracciglio con fare polemico.

“Voglio ricordarti con che razza di persona condivido la mia casa. Credi davvero di poterti lamentare di Hinata Hyuga innanzi a me? A colui che ha sposato Subaku no Temari?”

“Vorrà dire che nella prossima vita mi metterò con Sasuke.” borbottò lo shinobi biondo. “Almeno la finirai di fare lo stronzo.”

“Se Hinata chiede il divorzio lo potrai già fare. Anche se non sono sicuro che Sakura accetterebbe di dividere suo marito con te…”

“Non è divertente, Shika.”

“Sai cosa invece lo è?” replicò seccamente lo shinobi delle ombre, aspirando una boccata di fumo. “Trovo molto ilare il fatto che tu venga a chiedermi consiglio su una faccenda su cui sai già tutto, compresa la soluzione. Peccato che il tuo orgoglio ti frena dall’attuarla, e quindi resti qui come un idiota ad osservare il tuo matrimonio che va in pezzi.” soffiò fumo grigiastro dalle narici, osservando con sguardo annoiato il volto dell’amico contrarsi sulla difensiva. “Sai, non ti credevo così masochista. Ho sempre pensato che fosse Sasuke quello che tenta di sabotare la vostra coppia. Lui come l’ha presa?”

Non rispose, incapace di trovare la voce. Sentiva la pelle bruciare, come se le parole di Shikamaru l’avessero sferzato, mentre veniva costretto ad accettare il fatto che la soluzione era una sola.

Non che questo renda il tutto meno spiacevole.

Conosceva la risposta, l’aveva sempre saputa. Perché esitava? Qual era il motivo che gli incollava le chiappe a quella sedia, invece di andare fuori a tentare di salvare il proprio matrimonio? Era l’orgoglio? La convinzione che non avesse nulla di cui rimproverarsi? Era diventato arrogante come Madara, incapace di vedere la verità se questa andava contro ciò in cui credeva?

Forse era paura? Il terrore di vedere Hinata rifiutarlo definitivamente, di vederla ricostruirsi una vita senza di lui? Di osservarla ritrovare la serenità con affianco un altro uomo?

Sono un vigliacco. Chiuse gli occhi per un istante, disprezzandosi profondamente. Shika ha ragione: non riesco ad accettare i miei errori, ed ho paura che questo la allontani definitivamente da me.

Si alzò di scatto, uscendo a passi lenti, il tutto sotto lo sguardo impassibile di Shikamaru.

“Era ora che si desse una svegliata.” borbottò, tornando ai propri fascicoli.

 

 

Camminava lentamente, lo sguardo impassibile, i piedi che si muovevano verso una meta sconosciuta. Sentiva il bisogno di muoversi, di mettere in moto il proprio corpo, per evitare che rabbia, paura e frustrazione si mescolassero in un miscuglio letale.

Era arrabbiato. Con sé, con Hinata, con il mondo. Una furia che gli gorgogliava nel petto, inacidendogli il sangue, facendogli prudere le mani. Desiderava solamente qualcosa da fare a pezzi lentamente, con furia metodica, figlia di tutte le incomprensioni che aveva avuto negli anni con la Hyuga.

Perché? si conficcò le unghie nei palmi delle mani, la mascella contratta. Perché con lei deve essere tutto così maledettamente complicato?

Non lo sapeva. Non aveva memoria di quando il suo rapporto con Hinata aveva cominciato a complicarsi, a diventare qualcosa di più. Gli appuntamenti romantici avevano lasciato spazio a lunghe discussioni, le dichiarazioni ad accuse, i sorrisi a sospiri esasperati. Eppure, in mezzo a tutta quella fiele era esistito l’amore, il sentimento che li aveva uniti per più di dieci anni, ma l’Uzumaki era troppo furioso per scorgerlo.

Un nervo del suo collo si contrasse. Si sentiva un idiota: sapeva che Hinata aveva avuto ragione a prendersela con lui, ma sentiva di non meritarselo. Aveva commesso molti errori, ma si era sempre sforzato di migliorarsi, di applicarsi, di diventare un buon marito ed un buon genitore. La kunoichi non poteva aver dimenticato tutto ciò per un gesto avvenuto anni prima.

Oppure sì?

Devo calmarmi. Si fermò di colpo in mezzo al corridoio, facendo lunghi respiri. La rabbia lo stava portando a sragionare. Doveva evitare quella sensazione se voleva tornare dalla sua famiglia.

Sempre che Hinata mi voglia ancora… le budella gli si attorcigliarono al solo pensiero. L’idea che Hinata lo mollasse per mettersi con un altro era assurda, al limite del ridicolo. Eppure, la sua mente non poté fare a meno di inviargli l’immagine di sua moglie abbracciata ad un individuo sconosciuto, alto, moro e con una vaga somiglianza a Sasuke. Il solo vederli assieme gli provocò la nausea.

Calmati… devi stare calmo. Hinata è tua moglie, se saprai parlarle nel modo giusto, non succederà nulla di tutto questo.

“Parlare nel modo giusto? Tu? Più facile che io diventi mortale!”

“Non è il momento, Kurama! Non sono in vena di scherzare!”

“Certo che è il momento.” la volpe schioccò le fauci per il nervoso, squadrando il proprio Jinchuuriki con occhio critico. “Sai benissimo quello che devi fare. Quindi piantala di tergiversare e fallo!”

“Non è così semplice!” lo shinobi incrociò le braccia, stizzito dal tono saccente dell’amico. “Perché devo prendermi solo io le colpe di questo fallimento? Ho dimostrato più volte di non essere l’irresponsabile che Hinata dipinge!”

“Tua moglie non pensa proprio nulla del genere su di te.” la voce rombante del Bijju si tinse di una nota di esasperazione. “Sei stato tu a fare una cazzata, quindi è giusto che sia tu a fare il primo passo, che è quello di scusarti.”

“Sai benissimo che non potevo fare altrimenti.”

Kurama si erse in tutta la sua considerevole altezza, ruggendo a pieni polmoni contro l’Uzumaki.

“Smettila di cercare scuse!” ruggì, gli occhi scarlatti ricolmi di irritazione. “E’ stata una tua scelta quella di legarti a quella donna, così come quella di darne il nome alla tua mocciosa! Piantala di fare il codardo ed assumiti le tue responsabilità!”

Naruto non replicò. Percepì del giusto nelle parole del Bijuu, qualcosa che andava oltre il tono sferzante con cui l’aveva spronato. Era stata una sua scelta quella di baciare di Himawari, di darne il nome alla figlia, di nascondere tutto ad Hinata. Era stata una sua decisione, libera da condizionamenti o da costrizioni. Negare quel fatto, scaricando parte delle sue responsabilità sulla moglie era meschino, qualcosa che non gli apparteneva.

Kurama ha ragione… devo comportarmi come un uomo, non da vigliacco.

Riprese a muoversi, lasciandosi alle spalle l’ufficio. Per la prima volta dopo anni, aveva deciso di mettere qualcos’altro innanzi al lavoro.

Il Bijuu sogghignò.

 

 

Hanabi fissò l’immensa magione innanzi a sé con sguardo critico. Era una costruzione squadrata, con due ali laterali che si diramavano in forme rettangolari, immersa in un giardino dalle dimensioni faraoniche. Ogni cosa appariva lussuosa e sfarzosa in maniera quantomeno disdicevole. Hanabi discendeva da una famiglia molto ricca, ma per quanto anticonformista, anche lei sosteneva il motto degli Hyuga sulla frugalità e sul trattenersi dal mostrare apertamente la propria ricchezza.

Superò il cancello con un balzo, incamminandosi con passo tranquillo lungo il selciato lastricato in quarzo. Vide fontane e ruscelli artificiali gorgogliare allegramente, mentre insetti di vario tipo svolazzavano da pianta a pianta. Per un istante, la kunoichi fu sicura di aver intravisto un uccello esotico dal piumaggio coloratissimo. Ogni cosa in quel luogo sembrava essere stata posizionata con cura meticolosa, una muta testimonianza della ricchezza e del potere della famiglia Yogonuchi.

Hanabi non era una stupida. Conosceva di fama quella famiglia, ma il chiacchiericcio non era una fonte attendibile. Per quanto la parte di sé più arrogante le intimava di non temere nessuno, in quanto Hyuga, il suo cervello era consapevole che se voleva aiutare veramente Aimi, doveva mostrarsi diplomatica, evitando gesti che potessero offendere la sua potente famiglia.

Giunse infine innanzi al portone, in legno scuro, intarsiato con figure astratte di vario genere. La kunoichi si mise a studiarle dopo aver suonato il campanello, trovando strano osservare simili scene sulla porta di casa di una famiglia così opulente. Un secondo sguardo le fece comprendere come quelle che a prima vista apparivano come scenari fantastici erano in realtà la storia del Paese del Fuoco, raccontata dal punto di vista degli Yogonuchi, l’ennesimo richiamo di quest’ultimi alle proprie origini.

La porta venne aperta da un maggiordomo sulla quarantina, impeccabile nel proprio vestito scuro e con stampata sul volto una magnifica maschera di fredda indifferenza mista a disprezzo. Hanabi si chiese se non fosse finita dentro un romanzo poliziesco.

“Desidera?” domandò il servitore con voce strascicata.

“Sono qui per vedere Aimi.” fu la secca risposta della kunoichi.

“In questo momento, Aimi-sama è indisposta.” l’uomo squadrò con vago disgusto gli abiti da ninja consunti della donna. “Lei sarebbe…?”

“Hanabi Hyuga.” rimase sorpresa di non vederlo cambiare espressione innanzi al suo cognome. “Sono l’insegnante di Aimi e negli ultimi giorni è stata assente.”

“Capisco.” il maggiordomo sembrava irritato da quella visita. “Tuttavia, come le ho già spiegato, Aimi-sama è attualmente indisposta. La prego di ripassare un altro giorno.”

“In questo caso, sarebbe possibile parlare con uno dei genitori di Aimi?” domandò rapida la Hyuga, evitando che il servitore le sbattesse la porta in faccia.

“Katashi-sama è un uomo molto occupato e non ha tempo da perdere con un ninja.” fu la secca replica di quest’ultimo, sottolineando la parola ninja con il massimo disprezzo possibile. “La prego di prendere un appuntamento.”

Tentò di chiudere la porta, ma Hanabi glielo impedì con una mano.

“Forse non hai capito bene chi sono…” dichiarò quest’ultima con voce bassa, stanca di essere insultata da quella specie di pinguino altezzoso. “Quando uno Hyuga chiede qualcosa, non lo puoi liquidare con un insulto, non se ci tieni alla vita.” fu con piacere che vide finalmente una vaga preoccupazione negli occhi dell’uomo. “Quindi ora vai dal tuo padrone e digli che se non mi riceverà subito, sarà l’errore più grande che farà in tutta la sua vita.”

Per un istante, la kunoichi lesse sul volto dell’uomo la tentazione di buttarla fuori a calci, ma infine si fece, a malincuore, da parte.

“Seguitemi.”

Hanabi entrò nella villa trattenendo a stento una smorfia. Odiava far pesare il proprio cognome, la faceva sembrare una specie di ragazzina viziata, ma in quel momento il bene di Aimi veniva prima di ogni cosa.

Percorsero un lungo corridoio, ricco di sfarzo oltre il limite del buongusto. C’erano candelabri ricolmi di diamanti appesi sul soffitto a distanza regolare, quadri ad olio molto costosi alle pareti, e morbidi tappeti esotici a ricoprire un pavimento fatto interamente di marmo bianco, complementare con le pareti laccate in oro, con intarsi in argento. Era assurdo anche solo pensare quanto fosse costato erigere tutta quell’opulenza, il cui scopo era di intimidire chiunque osasse varcarne la soglia. Hanabi la trovava solamente pacchiana e di cattivo gusto, e si domandò come fosse possibile che una ragazza semplice e determinata come Aimi fosse cresciuta in un ambiente simile.

Giunsero innanzi ad una porta bianca, ai cui lati erano presenti due statue in marmo nero che raffiguravano i simboli del paese del Fuoco. Il maggiordomo bussò una volta prima di entrare, intimando ad Hanabi di attendere lì. Quest’ultima ne approfittò per osservare un grosso camino che si stagliava, quasi come una bocca oscura, a poca distanza. Aveva chiaramente lo scopo di riscaldare l’ambiente durante l’inverno, ma si chiese per quale motivo gli Yogonuchi si servissero di simili mezzi al posto del moderno riscaldamento elettrico. Dedusse che fossero una famiglia che amava mostrare le proprie origini e quella casa, in effetti, appariva come un enorme mausoleo, custode della ricchezza e dell’arroganza della famiglia.

La porta bianca si riaprì. Il maggiordomo ne riemerse con sguardo seccato, quasi fosse stato costretto ad ingoiare qualcosa di molto amaro.

“Katashi-sama la attende.”

L’ambiente in cui Hanabi entrò fu molto simile a ciò che aveva visto fino a quel momento. Era chiaramente un ufficio, ma così grande e sfarzoso da far apparire l’appartamento dove in cui viveva una minuscola topaia. Grandi librerie ricolme di testi di vario genere erano accatastate alle pareti, mentre un lungo tappetto rosso portava ad una scrivania di legno chiaro, dietro la quale era posta una poltrona di pelle nera, attualmente vuota. Sullo sfondo, un uomo era intento a fissare una gigantesca vetrata, che dava una visuale del giardino attorno alla villa.

Katashi Yogonuchi era diverso da come la Hyuga se l’era immaginato. Era un uomo alto, che doveva aver superato da poco i quarant’anni. Aveva un fisico atletico ed un viso affascinante e rasato, seppure indurito da un’espressione severa. Possedeva gli stessi capelli della figlia, di un biondo dorato, raccolti in una breve coda, mentre gli occhi erano color grigio ferro. Indossava un’impeccabile completo da uomo scuro, ingentilito da una cravatta blu notte, mentre le sue scarpe splendevano sotto la morbida luce del lampadario, dando l’idea di un uomo estremamente attento alla propria immagine.

“Si accomodi pure.” esordì con voce fredda ed informale, indicando una rigida sedia alla kunoichi, sedendosi sulla poltrona di pelle. “Gradisce qualcosa da bere?”

“No, grazie.”

“Da fumare?” Katashi aprì una scatola con dentro delle piccole sigarette.

“La ringrazio, ma non fumo.”

Lo Yogonuchi si accese una sigaretta, soffiò la prima boccata dal naso e rivolse il proprio sguardo freddo e calcolatore alla Hyuga.

“Prima che lei parli, desidero porgerle le mie scuse per il comportamento di Gombei.” dichiarò, interrompendo sul nascere ciò che aveva da dire Hanabi. “Conosco la sua famiglia, e nutro grande rispetto per coloro che difendono Konoha da così tante generazioni.”

“La ringrazio.” rispose Hanabi, indecisa sull’approccio da usare. Per quanto i modi del padrone di casa fossero gentili, la sua voce era rimasta fredda ed informale. “Come forse saprà, il motivo della mia presenza qui riguarda Aimi. Negli ultimi giorni è stata assente, e mi sono preoccupata.”

Il volto di Katashi si indurì ulteriormente, dando vita ad una maschera gelida.

“Aimi ha mancato a delle lezioni?” ripeté con voce bassa, aspirando una boccata di fumo.

“Precisamente. In quanto sua insegnante, ho pensato fosse corretto venire a sincerarmi del motivo di tale assenza.”

“Ha fatto benissimo.” fu la secca replica del padrone di casa, il quale pigiò un bottone posizionato sotto la sua scrivania. “Ma lascerò le spiegazioni ad Aimi stessa.”

il maggiordomo Gombei aprì la porta.

“Avete chiamato?”

“Gombei, porta qui mia figlia.” fu il comando secco di Katashi. “Dille che non tollererò più di due minuti di attesa.”

Il servitore non replicò, uscendo silenziosamente dall’ufficio. Hanabi sentì il proprio stomaco rivoltarsi per la rabbia: non aveva apprezzato per niente il tono freddo e sprezzante con il quale il suo anfitrione aveva definito la figlia.

“Posso chiederle qualche informazione in più riguardo Aimi?” domandò, nel tentativo di rompere il silenzio teso che si era creato. “Purtroppo, temo di non essere a conoscenza dell’intero quadro familiare.”

Katashi per un istante fu chiaramente tentato di non rispondere, ma infine rispose, seppure con tono vagamente irritato.

“Io e mia moglie ci trasferimmo a Konoha pochi mesi dopo la fine della Grande Guerra, come forse lei saprà già. All’epoca lei era incinta di Aimi. Nacque sei mesi dopo il nostro arrivo, ma durante il parto una complicanza portò alla morte di mia moglie. Da allora sono rimasto vedovo ed ho cresciuto da solo Aimi e suo fratello maggiore, Ichiro.”

“Aimi ha un fratello maggiore?” esclamò sorpresa Hanabi. “Non me l’aveva mai detto.”

“Ichiro è più grande di quattro anni, e lavora in un ramo dell’azienda di famiglia.” Takashi sbatté parte della cenere della propria sigaretta in un portacenere in avorio, chiaramente annoiato da quella discussione. “Da quello che so, hanno un discreto rapporto i due.”

La kunoichi trattenne a stento un gesto di disappunto, ma le sue sopracciglia si alzarono in un’espressione di incredulità. Non riusciva a credere che quell’uomo non conoscesse minimamente il rapporto che intercorreva tra i suoi figli.

In quell’istante, la porta si aprì, facendo entrare la figura di Aimi. Quest’ultima impallidì di colpo nel vedere la sua Sensei, facendo capire a quest’ultima come non avesse minimamente previsto una sua visita. I suoi occhi cerulei si spostavano febbrilmente da Hanabi al genitore

“Padre, mi avete fatta chiamare?” esordì con voce bassa e rispettosa.

“Vieni avanti.” Takashi indurì il proprio sguardo, ricomponendo la maschera di gelida collera. “Questo ninja ha dichiarato di essere il tuo insegnante, è corretto?”

Aimi si fermò di colpo una volta giunta affianco ad Hanabi. Sembrava incapace di fissare negli occhi il genitore.

“Ti ho fatto una domanda!”

“Sì, padre.” borbottò la ragazzina, tenendo gli occhi fissi sul pavimento. “Hanabi-Sensei è la mia insegnante.”

L’espressione sul volto di Takashi divenne, se possibile, ancora più dura, intrisa di disprezzo e rabbia.

“Saresti così gentile da spiegarmi per quale motivo hai saltato delle lezioni?” domandò.

Aimi non rispose. Sembrava incapace di proferire parola. Hanabi provò il desiderio spasmodico di proteggerla dalla furia del padre, il quale era palese che la terrorizzasse.

“Tu sei una delusione.” esclamò l’uomo, sputando la parola delusione con tanto disprezzo da colpire la figlia come se l’avesse schiaffeggiata. “Non solo rinneghi le tradizioni di famiglia, ma ora ti prendi pure il lusso di non mantenere gli impegni che ti sei assunta. Con quale coraggio osi ancora definirti mia figlia? Così infanghi il mio nome e quello della tua defunta madre, te ne rendi conto?”

“Non…” le parole uscirono a spezzoni dalle labbra della Genin. “Non è vero. Io… io…”

“Basta così.” Takashi alzò una mano, facendo tacere immediatamente la figlia. “Non intendo proseguire questa discussione davanti ad un’ospite. Ne riparleremo a cena, ma se desideri continuare a definirti mia figlia devi cambiare atteggiamento, e lo pretendo subito.”

La kunoichi percepì chiaramente le proprie viscere contorcersi per la furia. Aimi sembrava sul punto di mettersi a piangere, ma non cedette, come se avesse già vissuto una simile scena.

“Puoi andare.” Takashi riportò la sua attenzione alla sua ospite, degnando la figlia della stessa considerazione che avrebbe riservato ad un soprammobile di cattivo gusto. Quest’ultima si voltò, trattenendosi a stento di correre, il tutto mentre Hanabi si ripeteva che picchiare a sangue il padrone di casa non avrebbe portato alcun giovamento alla sua causa. La rabbia però era bruciante.

Tratta sua figlia come fosse spazzatura. Il pensiero di suo padre e di come aveva trattato per anni sua sorella la rese semplicemente furiosa, costringendola a richiamare tutto il proprio autocontrollo per non perdere la calma.

“Mi scuso per lo spettacolo disdicevole a cui avete assistito.” dichiarò Takashi, una volta che Aimi chiuse la porta dell’ufficio alle sue spalle. “Le prometto che mia figlia non salterà più alcuna lezione, ha la mia parola.”

La parola di uno stronzo. Contrasse i muscoli facciali, obbligandoli a stirarsi in un sorriso diplomatico. Le costò ogni oncia di energia mentale che possedeva.

“Ne sono lieta.” si alzò di colpo, presa da un’idea improvvisa. “Potrei parlare in privato con Aimi? Desidero informarla di quello che è avvenuto nei giorni in cui è stata assente.”

Il padrone di casa si limitò a richiamare il proprio maggiordomo.

“Gombei le mostrerà la strada.”

Hanabi seguì il distinto servitore fuori dall’ufficio. Un istante prima di chiudersi la porta alle spalle, si voltò, spinta da una curiosità irrefrenabile. Katashi era intento a leggere un documento dall’aria ufficiale, l’espressione del volto più rilassata. Per un istante, la Hyuga credette di vedere sua padre Hiashi, intento a denigrare sua sorella maggiore, provocandole un sorriso freddo e privo di gioia.

Certe cose non cambiano mai.

 

 

Entrare nella stanza di Aimi fu una sorpresa per Hanabi. Si aspettava qualcosa di pacchiano e vistoso, in linea con il resto della villa. La Hyuga invece fu fatta entrare in una stanza grande come il suo intero appartamento, ma dimensioni a parte possedeva una sobrietà ammirevole.

Carta da parati di un blu notte avvolgeva l’ambiente, dove a farla da padrone erano i libri. Erano presenti ovunque: sopra mensole, sulla scrivania, in vari ripiani, tutti in rigoroso ordine e ben tenuti. Il resto del mobilio comprendeva un grande letto matrimoniale, con lenzuola color oro, un comodino al suo fianco pieno di foto, e due grandi armadi ricolmi di vestiti il cui interno era il solo posto sfuggito all’ordine assillante che regnava nella stanza.

La ragazza era seduta sul letto, le ginocchia strette al petto, lo sguardo spento e privo della determinazione che l’aveva sempre contraddistinta. Quando vide la propria insegnante entrare, i suoi occhi cerulei si strinsero in due fessure, fissando con odio la nuova arrivata attraverso l’apertura delle gambe.

“Perché è venuta?”

Hanabi avanzò nella stanza, sedendosi al suo fianco. Nonostante mantenesse un’espressione impassibile, dentro di sé era vagamente divertita dall’espressione furiosa della sua allieva.

“Eri sparita, mi sembrava il minimo venire a sapere come stavi.”

“Perché è venuta?!” ripeté con voce stridula la Genin, voltandosi di scatto. “Non gliene è mai fregato nulla di me! Per quale motivo è dovuta venire fin qui?!”

“Ti sbagli.” Hanabi indurì il proprio sguardo, piantando le proprie iridi color lavanda in quelle celesti di Aimi. “Sei mia allieva.”

“Non più!” la ragazza abbassò lo sguardo verso il pavimento, l’ira che sfumava rapidamente in amarezza. “Non ho più intenzione di fare il ninja. E’ chiaro che non fa per me.”

Hanabi si trattenne dal colpirla. Il suo primo impulso fu quello di afferrarla per le spalle e scuoterla fino a quando non avesse capito che lei aveva tutte le carte in regola per diventare una grandissima kunoichi. Ricordandosi però della condizione impostale da Sakura, la Hyuga si alzò, alla ricerca delle parole giuste. La sua attenzione tuttavia, fu catturata dal volto di una giovane donna bionda, la quale capeggiava, in solitaria oppure in compagnia, in tutte le foto presenti nella stanza. La Jonin si avvicinò fino a prenderne una in mano, osservando come i suoi occhi fossero identici a quelli di Aimi.

“Era mia madre.” quest’ultima afferrò la foto dalle mani di Hanabi. “E’ morta due ore dopo che sono nata.”

Hanabi non seppe cosa dire: aveva conosciuto il dolore in passato, vedendo morire così tante persone che aveva perso il conto. Eppure, c’era qualcosa di malinconico nella voce della giovane Yogonuchi, una tristezza intrisa di un desiderio spasmodico, capace di smuovere anche il suo cuore ormai assuefatto alla violenza.

Io non sono diversa da lei. Quel pensiero la colpì con la violenza di un ceffone. Anche lei era stata la causa della morte di sua madre, anche lei per anni si era portata sulle spalle quel dolore disumano, immenso per le piccole spalle di una bambina. Eppure, a differenza della Yogonuchi, aveva avuto Hinata, che era stata capace di restarle sempre accanto, in ogni situazione, non accusandola neanche per un istante della morte della loro genitrice. Un conforto che ad Aimi era stato, molto probabilmente, negato.

“Mi dispiace.” le parole le apparvero vuote anche alle sue orecchie. “So cosa provi.”

Aimi sbuffò.

“Lei non sa un bel niente.”

“Ti sbagli.” La Jonin non mollò per un istante gli occhi della sua allieva. Questa volta decise di scavare più a fondo, di andare oltre la cortina di rabbia che li attanagliava. Ciò che vide era sfumato in molti modi diversi, ma era rappresentabile con una singola parola: dolore.

Il dolore di sentirsi responsabili della morte della propria madre, il dolore di non rendere orgoglioso il proprio padre, il dolore di avere un fratello scostante, immerso in un lavoro troppo arido per la sua giovane età… chiuse per un istante gli occhi, scavando nel proprio passato, percependo una sensazione molto simile venire a galla dai meandri più oscuri della sua anima.

Come ho fatto a non vederlo prima?

“Mia madre è morta per darmi alla luce.” riaprì gli occhi, scandendo le parole con voce bassa e lenta, simile alle fusa di un gatto. “Ho passato anni a chiedermi per quale motivo fosse successo tutto questo, se non sarebbe stato meglio per la mia famiglia che io non fossi mai nata.” osservò gli occhi di Aimi spalancarsi e capì di averle letto nel cuore, di aver compreso i pensieri più oscuri e cupi del suo essere. “Solo dopo molti anni, ho capito che quel dolore non mi apparteneva.”

Si avvicinò alla quella persona così simile a lei. Ciò che vide fu molto di più di un’allieva e comprese quali parole doveva usare.

Le appoggiò le mani sulle spalle, sorridendole dolcemente.

“Non è importante se tua madre fosse felice di dare la vita per te oppure no.” dichiarò con voce sicura. “Non portarti sulle spalle questo peso, perché non è tua la responsabilità. Essere al mondo non è mai una colpa, Aimi.”

Capì di aver detto le parole giuste osservando la sua reazione. Aimi strinse le mani con tanta forza da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani, gli occhi coperti da una patina liquida. Stava cercando in ogni modo di trattenere le lacrime, incapace di reggere una delle poche frasi di supporto ricevute nella sua breve vita.

“Non è così semplice!” le parole le uscirono di getto dalle labbra, desiderosa soltanto di scaricarsi, di liberare la frustrazione che covava da anni. “Lei ha visto… io non sono capace di essere… un ninja. Non sono come Mirai o come…”

“Me?” un sorriso freddo deturpò il volto della Hyuga. “Fidati Aimi: Non sono la persona più adatta ad essere presa d’esempio. Esistono moltissimi ninja a questo mondo migliori di me… anche come persone.”

“Me ne dica uno!” sbottò la Genin, tirando su con il naso. “E non mi parli di un Hokage!”

Il sorriso di Hanabi divenne caldo, quasi divertito.

“Sakura Haruno.”

Le sopracciglia chiare della Yogonuchi si sollevarono verso l’alto.

“La Sannin leggendaria?” il suo sguardo mutò rapidamente dal sorpreso all’irato. “Non è giusto! Sakura Haruno è praticamente al livello di un Hokage!”

“Lo so benissimo.” ora la Jonin sfoderava il suo classico sorrisetto, capace di irritare qualsiasi persona presente sulla faccia della Terra. “E la sai una cosa? La Sannin è in cerca di allievi…”

La parola allievi volteggiò per alcuni secondi sopra le loro teste. Aimi incassò quella frase come se la Hyuga le avesse tirato uno schiaffo. Rimase attonita, a fissare con occhi spalancati la sua Sensei, incapace di accettare che quelle parole fossero state pronunciate sul serio.

“Non fare quella faccia, Aimi.” la prese in giro quest’ultima, le labbra tese in un ghigno mefistofelico. “Non ti ho mica detto che devi andare a catturare un Bijuu.”

“Ma io…” la ragazza sembrava aver perso l’uso della voce. “Come può pensare… che io…”

“Tu hai tutte le capacità per poter diventare allieva di una Sannin.” proseguì la Jonin, continuando a sorridere. “Sei intelligente, determinata e molto capace. Non credo di sbagliare se dico che sei senza alcun dubbio il Genin migliore del tuo anno.”

“No!” la Yogonuchi scosse la testa. “Lei si sbaglia! Io… non sono brava a fare nulla. L’ha sentito mio padre… sono la vergogna della…”

Uno schiaffo echeggiò nella stanza. Aimi cadde al suolo, sorpresa dal bruciore penetrante che percepiva al livello della guancia sinistra. Si sfiorò il punto arrossato, alzando gli occhi, dove incrociò quelli lampeggianti di rabbia della sua Sensei.

“Non osare mai più dire una cosa del genere!” Hanabi sembrava spiritata, come se la ragazza l’avesse offesa in modo irreparabile. “Tu non sei una vergogna, Aimi! Hai grandi capacità e lo sai! Quindi smettila di trovare scuse ed affronta la vita!”

Aimi rimase immobile, lo sguardo fisso sul volto della sua insegnante. Era impossibile capire cosa le stesse passando per la testa, ma Hanabi non se ne preoccupò.

“Domani mattina ti aspetterò davanti all’ospedale.” le ordinò, rialzandola da terra con facilità irrisoria. “Ti presenterò Sakura Haruno e le chiederai di diventare sua apprendista.”

“Io…” la Yogonuchi sembrava voler dire qualcosa, ma la Hyuga la precedette, scompigliandole dolcemente i capelli dorati.

“Credimi, Aimi.” tornò a sorriderle. “Hai grandi capacità, devi solo avere maggiore fiducia in te stessa.”

Si diresse verso l’uscita. Non era sicura che Aimi il giorno dopo si sarebbe presentata in ospedale, ma la cosa era relativa. L’avrebbe trascinata di forza se costretta. Ormai aveva deciso: rendere quella ragazza una grandissima kunoichi sarebbe stato il suo modo di farsi perdonare per la sua cecità, la sua incapacità di capire quanto fosse simile a sé.

E Aimi lo sarebbe diventata, ne era convinta.

Non intendo lasciarti sprofondare nel dolore, Aimi.

E’ una promessa.

 

 

Stava lì, immobile innanzi alla porta di casa, chiedendosi per quale diavolo di motivo non riuscisse a suonare il campanello, entrare e spiegare ogni cosa con sua moglie.

Sono un perfetto idiota.

Si passò la protesi tra i capelli, sospirando. Si era ripetuto dentro di sé talmente tante volte le parole da dire che Kurama aveva minacciato di strappargli la lingua. Eppure, nonostante sapesse che non aveva senso indugiare ulteriormente, rimaneva con i piedi incollati al pianerottolo, quasi sperando che le cose si potessero risolvere da sole.

Chissà se rideresti nel vedermi ora, Wari. Pensò con amarezza. L’eroe di tutti gli shinobi che se la fa sotto ad affrontare sua moglie.

Pensare a lei lo riempì di una sensazione contrastante, un misto tra amarezza e fastidio. Non desiderava rovinare i ricordi di Himawari, ma allo stesso tempo non poteva negare che erano stati proprio quei ricordi ad aver portato sull’orlo della rottura il suo matrimonio.

Sono solo un egoista! Là dentro c’è la mia famiglia ed io sono qua a crogiolarmi nel passato!

Forse fu il pensiero di Himawari, la sua incapacità di uscire da quello stallo, ma improvvisamente sentì come una mano calda sostenere la sua protesi, portandola a suonare il campanello dolcemente, mentre una risata che non udiva da anni gli soffiò dolcemente nelle orecchie, troppo impercettibile per essere sicuro di averla percepita sul serio.

Wari?! Si voltò di scatto, quasi si aspettasse di trovarsela davanti, con i suoi vestiti da uomo, pronta a sorreggerlo ed aiutarlo come sempre, il sorriso dolce impresso nei suoi lineamenti. I suoi occhi scrutarono il buio attorno a sé febbrilmente, mentre un ricordo venne lentamente a galla dentro di lui, riportandogli parole che aveva ormai dimenticato.

 

 

“Io ti proteggerò… proprio come tu farai con il nostro popolo.”

 

 

Wari…

Si rigirò, osservando il volto di sua moglie, splendido come sempre, riempirsi di sorpresa nel ritrovarselo davanti. La trovò bellissima, mentre comprendeva finalmente cosa doveva fare.

Ti sono debitore.

“Ciao.” provò a sorridere, cercando di vedere la fiamma dell’amore negli occhi della consorte. “Posso entrare?”

Hinata rimase immobile per alcuni istanti, apparentemente paralizzata dalla sorpresa. Sembrava aver perso la capacità di parlare, proprio come quando da piccola si trovava di fronte l’Uzumaki.

“Non ci vorrà molto, te lo prometto.” insistette con dolcezza il Jinchuuriki, riuscendo a convincere la Hyuga a farlo entrare.

Comunque vada a finire.

Era pronto a lottare per la sua famiglia.

 

 

CONTINUA

 

 

Chiamatemi Giambo… Dottor Giambo!

Bene, dopo un mese e mezzo di inscusabile ritardo, eccomi a voi con il primo capitolo del 2018. Dopo aver concluso il mio percorso universitario triennale *Inno alla Gioia di Beethoven, fuochi d’artificio in aria, bandiere sventolano gioiose al vento* ed aver iniziato già con un bel lavoro in attesa della magistrale *Dies Irae di Mozart, cielo plumbeo, occhi disperati al cielo in attesa della morte* ecco a voi il nuovo capitolo!

Dunque, all’inizio la mia idea era di chiudere questa faccenda del perdono con questo capitolo, ma la complessità dei rapporti in gioco (Hinata-Naruto, Mirai-Aimi, Aimi-Hanabi) mi ha convinto a dividere in due parti questo capitolo che rischiava di diventare abnormemente lungo. Spero che la faccenda non vi dispiaccia troppo, ma vorrei evitare di fare qualcosa di eccessivamente sbrigativo o poco convincente.

Se vi state domandando a quale missione segreta Hinata faccia riferimento vi consiglio di andare a rileggervi i capitoli 4 e 5 di questa raccolta, dove avevo lasciato questa faccenda un po’ in sospeso, ed ero desideroso di rimetterla in gioco.

Bene, anche questo capitolo è giusto alla fine. Come al solito ringrazio chiunque legga o segue questa raccolta e ricordo che qualsiasi recensione, negativa o positiva, è ben accetta. Se avete critiche, suggerimenti, consigli o correzioni fatevi sotto che non mordo mica!

Un saluto!

 

 

Giambo

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Capitolo 30
*** Perdono, parte terza ***


The Biggest Challenge

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Perdono

parte terza

 

 

 

Hinata si sentiva strana, come sospesa in una bolla, distante da tutto. Vedere Naruto davanti alla porta di casa che le sorrideva, chiedendole di parlare, era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata. Parlare con lui era ciò che desiderava fare, ma non immaginava che ciò accadesse a mezzanotte passata nella loro cucina.

Invece erano lì, seduti uno di fronte all’altro, incapaci di guardarsi in faccia per l’imbarazzo, il silenzio rotto solo dal ronzio degli elettrodomestici.

“Scusa per l’orario.” esordì il biondo, alzando gli occhi per cercare quelli di lei. “Ma non volevo che i bambini fossero svegli. Sarebbe meglio evitare di…” usare la parola ‘discutere’ non gli sembrava una buona idea, quasi temesse di incanalare quell’incontro sui binari sbagliati, ma Hinata non sembrava ancora capace di spiccare parola, intenta com’era ad osservarsi le mani.

“Stanno bene?” a parlare fu nuovamente lui, spinto dal desiderio spasmodico di salire ad abbracciare i suoi figli, la cosa più preziosa che possedeva. “Boruto e… Himawari?”

Udire quel nome sembrò riscuotere la kunoichi, la quale alzò di scatto lo sguardo, irrigidendo l’espressione sul proprio volto.

“Stanno bene.” la voce di quest’ultima era bassa, quasi un sussurro. “Boruto ha chiesto molto di te. Ho dovuto dirgli che eri occupato con il lavoro.”

L’Uzumaki sentì una fitta allo stomaco al pensiero del suo primogenito che chiedeva di lui, obbligando la madre a mentirgli.

“Mi dispiace.” osservò. “Non era mia intenzione che questo acc…”

“Eppure è accaduto.” non c’era alcun tono accusatorio nella voce di Hinata, quanto più rassegnazione.

Cadde nuovamente un silenzio teso tra i due. Naruto non riusciva più a ricordarsi le parole che si era ripetuto fino alla nausea. Percepiva il proprio cervello come un lenzuolo bianco, piatto, incapace di ragionare, limitandosi a fissare Hinata con espressione imbarazzata.

Che figura di merda.

“E tu… tu come stai?” domandò d’impulso, sentendo il bisogno di rompere il silenzio che si era venuto a creare. Si pentì un istante dopo di averlo fatto: era ovvio che Hinata non avesse passato giorni sereni.

“Vorrei risponderti che sto bene, ma sarebbe una bugia.” lo sguardo chiaro della donna si tinse di tristezza, rivelando al marito un’enorme stanchezza. “Ultimamente ne ho dette troppe.”

“Hina-chan… io…”

“Naruto.” la kunoichi lo bloccò subito, proseguendo a guardarlo dritto negli occhi. “Sono felice che tu abbia deciso di venire qui, dico davvero.” il suo sguardo tornò duro, le labbra strette in una linea inespressiva sottile. “Ma prima che tu parli, devo dirti una cosa.”

Naruto sentì le proprie budella liquefarsi dal terrore. Nei secondi successivi, la sua mente fu bombardata dalle ipotesi peggiori: Hinata che lo lasciava, Hinata che era incinta di qualcun altro, Hinata che voleva sposarsi con Kurama. Era arrivato all’orribile momento in cui il demone gli chiedeva di fargli da testimone di nozze, quando la Hyuga parlò nuovamente, pronunciando una singola parola.

“Scusami.”

Naruto fu sicuro di non aver sentito bene. Si limitò a guardare con sguardo da pesce lesso la consorte, gli occhi grandi come piattini da tè, mentre il significato di quella singola parola lo frastornava come un cazzotto in faccia.

“C-come?”

Hinata fece un profondo respiro. Anche per lei non era facile affrontare quell’argomento. La sua mente volò indietro nel tempo, trasportata dall’amarezza e dal senso di colpa, trascinandola a quel giorno maledetto.

 

 

“Missione zero uno otto cinque: Controllo dei movimenti e delle azioni del Jinchuuriki Uzumaki Naruto.”

Hinata era certa di aver capito male. Rimase rigida, lo sguardo fisso sui Consiglieri che la fissavano con fare impassibile.

“Io… io temo di non aver compreso.” mormorò, muovendo appena le labbra. “Perché dovrei spiare Naruto-kun?”

Koharu le lanciò un’occhiata talmente fredda da causarle un brivido incontrollato lungo il filo della schiena.

“Si tratta di una missione estremamente importante per la sicurezza del Villaggio.” esordì l’anziana kunoichi. “Benché tutti noi riconosciamo i meriti del Jinchuuriki Uzumaki nella guerra appena conclusasi, non possiamo dimenticare ciò che vive dentro di lui.”

“Ma il Kyuubi non è un nemico… non più.” ribatté titubante la Hyuga. “E poi… Naruto-kun non ci farebbe mai del male.”

“Il Kyuubi è una creatura violenta, mentalmente instabile e piena di rancore contro la Foglia.” replicò seccamente Koharu. “Se venisse a sapere gli effetti che la guerra ha avuto su tutti noi… la sua pazzia potrebbe incanalarsi attraverso il dolore del suo Jinchuuriki.” la consigliera si sistemò gli occhiali, fissando con fermezza la ragazza. “Non possiamo correre questo rischio. Contro Pain siamo stati fortunati, sarebbe da sciocchi pensare di esserlo una seconda volta.”

Hinata volse lentamente lo sguardo, alla ricerca di un volto amico, di qualcuno che fosse d’accordo con lei sul fermare quella pazzia. Saltò il volto di Homura, il quale aveva fino a quel momento annuito alle parole della collega, cercando aiuto negli sguardi di Tsunade e Shikamaru. Il Quinto Hokage aveva un’espressione corrucciata sul viso, ma non sembrava decisa a dare battaglia su quel punto, mentre il Nara teneva gli occhi chiusi, quasi fosse addormentato.

Disperata, la kunoichi indirizzò il proprio sguardo su quello del Sesto Hokage, il quale ricambiò con fare impassibile.

“Kakashi-Sensei… lei non può… non può essere d’accordo, vero?”

“Naruto ha sofferto molto, e non solo da un punto di vista fisico negli ultimi tempi.” rispose Kakashi con voce calma e profonda. “Non si è ancora ripreso del tutto, e credo che sia meglio per lui rimanere fuori da ciò che accadrà a Konoha nei prossimi mesi. Non possiamo chiedere altro a Naruto.”

Hinata si morse il labbro inferiore. Sentiva il bisogno spasmodico di parlare, di urlare che Naruto era forte, che non aveva bisogno di essere circondato da un mare di bugie, che tutto questo non avrebbe fatto altro che ferirlo, causandogli nuovo dolore. Eppure la voce le rimase incastrata in gola, bloccata dai muscoli contratti del collo, soffocata dalla logica implacabile dell’Hokage e dei suoi consiglieri.

“Se non lo farai tu, lo chiederemo a qualcun altro.” osservò con voce inflessibile Homura. “Ovviamente, dovrai giurare che non una parola di ciò che abbiamo detto uscirà da questa stanza.”

Era pronta a mentire per Naruto? A dare via la propria integrità morale per il ragazzo che amava? La mente di Hinata fu colpita dal ricordo di Neji in punto di morte, capace di dare la vita per salvarla. Lei era forse da meno? Avrebbe continuato a vivere nell’ombra di suo cugino anche ora che non c’era più?
Deglutì a vuoto, ripetendosi che tutto quello era solo per il suo bene, per proteggere il ragazzo che amava.

“Come desiderate.”

Le parole le uscirono in un roco sussurro, facendola sentire sporca, meschina, una persona indegna di poter rivolgere di nuovo la parola a Naruto, al quale chiese mentalmente perdono.

Non sarebbe stata la prima volta.

 

 

Tenne lo sguardo basso, mordendosi il labbro inferiore. Anche a distanza di così tanto tempo, il ricordo della sua vergogna più grande bruciava come un tizzone dentro di lei. L’aveva tenuta nascosta per anni, tentando di rimuoverla dalla mente, ma in quei giorni non aveva potuto fare a meno di pensarci. Quando Naruto aveva scoperto che era stato ingannato per sei anni non l’aveva accusata di nulla, non le aveva rinfacciato le sue colpe. Lei invece l’aveva fatto. Poteva davvero definirsi una persona migliore di lui?

“Quando io ti mentii… riguardo alla mia missione di spiarti, tu non hai mai osato accusarmi di ciò.” gli spiegò con voce bassa. “Mi hai perdonato subito, senza mai farmelo pesare.” strinse le mani, decisa a liberarsi di quelle parole. “In fondo, io non sono migliore di te… e per questo voglio chiederti scusa.”

“Sono cose completamente diverse! Come puoi pensare che…”

“Sono la stessa cosa invece!” lo bloccò la Hyuga. “Tu avevi fiducia in me, proprio come io ne avevo in te, ma la differenza è che tu sei stato capace di perdonarmi senza pensarci due volte.” si morse il labbro inferiore, faticando da morire nel tenere lo sguardo alto, fisso su di lui. “Io no.”

“No!” il monosillabo fu pronunciato con forza dal Jinchuuriki. “Non accetto queste scuse! Tu l’hai fatto per proteggermi, è stato un gesto altruista. Io invece… ho solo pensato a me, senza chiedermi se fosse giusto o meno, decidendo addirittura il nome di nostra figlia senza interpellarti!”

“Ma non capisci?! È proprio questo il punto!” ribatté Hinata. “Non è importante cosa abbiamo compiuto ai danni dell’altro, e neanche le motivazioni che vi stavano dietro. Mi piacerebbe sapere il motivo per il quale hai baciato questa donna, ma cosa cambierebbe nella nostra relazione? Sarebbe davvero così fondamentale che tu mi informassi di ciò? Modificherebbe forse il passato?”

“No, ma penso che…”

“Il punto è che abbiamo entrambi rotto il patto di fiducia che ci eravamo fatti.” proseguì la Hyuga, non permettendogli di finire. “La vera differenza che conta non è cosa ci ha portato a compiere quei gesti, ma la nostra reazione nello scoprirli. Tu sei stato capace di accettare l’idea che io ti abbia spiato per sei anni, mentre io ho trovato intollerabile che tu abbia avuto un momento di debolezza, nonostante in questi anni ti sia dimostrato un padre eccezionale, mostrandomi con i fatti il tuo desiderio di costruirti una famiglia assieme a me.”

Naruto fu costretto a richiamare tutto il proprio autocontrollo per non spalancare la bocca come un idiota, ancora una volta incredulo di quanto Hinata fosse incredibile. Aveva sempre saputo che era una donna intelligente e determinata, ma fare sfoggia di un simile ragionamento era sinonimo di qualcosa molto più profondo: saggezza.

“Io…” si passò la protesi tra i capelli, nel tentativo di riordinare i pensieri, spiazzato dalla piega che la conversazione aveva preso. “Posso capire quello che intendi… ma davvero possiamo liquidare così la mia colpa? Davvero non ti senti ferita dal mio comportamento? Ho infranto le nostre promesse di matrimonio, ho donato un nome a mia figlia che per te significa solo tradimento ed umiliazione. Come puoi passare sopra tutto questo, giustificandolo con ciò che hai commesso anni fa?”

“Perché le conseguenze del mio gesto furono molto più tragiche.” rispose con semplicità Hinata. “Hai forse dimenticato che andai in coma per oltre un mese? Quando ero già incinta di Boruto? Ho rischiato di non far venire mai alla luce nessuno dei nostri figli. Davvero credi che la mia decisione di tenerti all’oscuro di tutto ciò che accadeva attorno a te sia migliore della tua? Tu stavi lottando per la tua famiglia, io ho rischiato che quest’ultima non venisse mai creata.”

“Ma quello sarebbe accaduto lo stesso!”

Hinata sorrise, ma il suo fu un sorriso nostalgico, dettato dai ricordi.

“Dubito che mi avresti fatto partecipare a missioni così pericolose se ne fossi stato informato. Avresti fatto fuoco e fiamme per proteggermi.”

Naruto non osò ribattere, punto nel vivo. Era vero, non avrebbe mai acconsentito che Hinata rischiasse la vita in quel modo.

“Io…” per l’ennesima volta, l’Uzumaki non fu capace di riordinare la propria mente, sconvolto dall’atteggiamento della moglie. Era quasi ridicolo che ora fosse lui ad accusarsi e lei a scagionarlo, ma aveva imparato da tempo ad aspettarsi di tutto da sua moglie, anche che gli perdonasse senza battere ciglio il suo inqualificabile comportamento.

“Cosa ti aspetti da me, Hinata?” mormorò infine. “Vuoi davvero chiudere questa faccenda così? Tornare alla normalità come se niente fosse accaduto?”

“Non ho mai detto questo.” rispose la Hyuga. “Sono ancora molto arrabbiata, e sicuramente non sarà facile per me accettare l’idea che mia figlia porti il nome della donna che ti ha indotto ad infrangere la nostra promessa di matrimonio.” Naruto sembrò sul punto di parlare, ma preferì rimanere in silenzio. “Quello che intendo dire è che non avrei mai dovuto cacciarti di casa in quel modo.”

“Quindi cosa proponi?”

Hinata chiuse per un istante gli occhi, indecisa per la prima volta da quando aveva cominciato quella discussione. Era davvero convinta di quello che stava per proporre? Il suo matrimonio con Naruto-kun era così forte da superare anche quella prova?

Sì.  Aprì di scatto gli occhi, decisa ad andare fino in fondo. Ne sono convinta.

“Io credo… che la soluzione migliore sia che torni qui, con la tua famiglia.” le parole uscirono pesanti come macigni dentro la cucina, colpendo con la violenza di uno tsunami l’Uzumaki. “Non sono ancora sicura di volerti perdonare, ma credo che l’unico modo per scoprirlo sia tentare di ricostruire… la nostra quotidianità.”

Naruto non rispose. Ritornare a casa dalla sua famiglia, con la possibilità di ripartire da zero era magnifico, ciò che neanche nei suoi sogni più intimi avrebbe sperato. Sarebbe bastato dire di sì, annuire, e tutto sarebbe tornato alla normalità. Hinata avrebbe ricominciato ad essere sua moglie, sarebbe tornato a passare le serate con Boruto e Himawari e la notte con la donna che amava. Gli ultimi cinque giorni sarebbero svaniti nell’oblio dei brutti ricordi, qualcosa che non sarebbe mai più emerso.

Allora perché non parlava? Perché non riusciva a trovare la forza di pronunciare quel semplice monosillabo?

No. inspirò lentamente, accettando l’idea di non poter rispondere affermativamente alla moglie. Non potremo mai tornare alla normalità in questo modo. Rimarrà sempre questo ricordo a perseguitarci, ed alla fine ci distruggerà.

Scosse la testa, tenendo lo sguardo fisso sulla compagna. Quest’ultima rimase stupita da quella risposta, spalancando i propri occhi.

“Non posso accettare, Hinata.” mormorò. “Non posso tornare qui senza aver fatto prima ammenda dei miei errori.”

“Ti ho già detto che non mi importa!”

“Importa a me.” replicò con voce amara l’Uzumaki. “So che stai mentendo. Potrai sforzarti quanto vuoi, ma alla fine il dubbio ti corroderà, fino a distruggere definitivamente la nostra famiglia.” sorrise, un sorriso freddo, privo di gioia. “E non è quello che voglio.”

“Cosa proponi, allora?”

Naruto tacque, alla ricerca delle parole giuste. Alla fine, era riuscito a portare la discussione dove voleva. Doveva solo tirare fuori il coraggio e chiudere quella faccenda definitivamente.

“Voglio raccontarti di Himawari.” dichiarò con voce bassa ma convinta di ciò che diceva. “Ti dirò ogni cosa, ogni sensazione che ho vissuto, tutto quello che è accaduto. Non ti nasconderò nulla, te lo prometto.” non vide nessuna reazione nel volto della moglie, e non seppe se esserne preoccupato o felice. “Se alla fine del mio racconto… mi vorrai ancora nella tua vita, non muoverò più alcuna obiezione.”

Cadde il silenzio. Hinata teneva lo sguardo fisso sul volto dello shinobi, quasi cercasse di capire se le sue parole fossero sincere. Quest’ultimo accettò quel contatto quasi con gioia, perdendosi nelle iridi pallide della moglie, desiderando ardentemente rimanere così per ore, a guardarla in faccia, lasciandosi alle spalle tutte le preoccupazioni che gli avvelenavano la mente.

“Ti ascolto.” le parole uscirono flebili dalle labbra della Hyuga, quasi un sospiro. Naruto comprese che era il momento di dire quella verità che aveva tenuto nascosto per tre anni.

Era destino che finisse così.

Le parlò di Himawari. Le raccontò dei suoi ideali, del suo passato difficile, di come si fosse sentito compreso dalle sue parole, dal suo desiderio di aiutare coloro che avevano perso così tanto a causa della Grande Guerra. Non nascose nulla, elencandole i dubbi che lo avevano afferrato in quella lunga estate passata tra i ribelli, di come sentisse il rispetto e l’affetto per loro crescere giorno dopo giorno, fino a spaccarlo in due, rendendolo incapace di prendere una decisione.

Quando fu il momento di narrare del bacio, Naruto non cercò scuse. Fu sincero, quasi brutale nel dire come in quegli istanti era stata una sua scelta quella di baciarla, così come lo fu quella di tradirli tutti, per il bene del Villaggio e della sua famiglia.

“Non è stato bello.” concluse dopo aver parlato di come Himawari fosse spirata tra le sue braccia. “Non ne vado fiero e non mi considero un eroe, o un uomo che ha fatto solo il suo dovere.” contrasse le labbra. Con l’avanzare della sua storia si era reso conto che gli ci era voluta molta più forza di quanto si era immaginato. Desiderava solo qualcosa che gli facesse passare la nausea ed un letto dove dimenticare i suoi problemi per qualche ora. “In questi anni, mi sono sempre ripetuto che è stato per Boruto che ho trovato la forza di fare quello che ho fatto. Con quale coraggio potevo dire di averlo fatto per te, dopo aver tradito in questo modo la tua fiducia? Sarebbe stato da ipocriti affermare una cosa simile.”

Hinata non replicò. Da quando Naruto aveva iniziato a parlare non aveva mosso un muscolo, osservando in silenzio suo marito confessarle il proprio tradimento. All’inizio lo shinobi si era trovato a disagio di fronte ad una simile assenza di emozioni, ma alla fine aveva deciso che non gliene importava nulla. Sarebbe arrivato alla fine, liberandosi di quel dannato macigno.

“Mi piacerebbe dire che mi dispiace, che tutto questo è stato un errore, che ti amo e non succederà mai più.” ora la voce del Jinchuuriki era talmente carica di amarezza da fare spavento. “Ma ti mentirei. Non ho mai rinnegato ciò che c’è stato tra me ed Himawari, non ho mai smesso di rispettarla e non mi sono mai pentito di quel bacio. Potrai chiamarmi folle, idiota, imbecille che pensa solo con il suo pene; ma la cosa più assurda è che in tutti questi anni, io non ho mai smesso di amarti. Ecco, ora sai chi è veramente tuo marito: uno schifoso doppiogiochista, talmente ipocrita da non essere capace di capire ciò che gli passa per la testa, così vigliacco che si è ben guardato dal dirti tutto ciò tre anni fa, ingannandoti come un vero stronzo.”

Di nuovo silenzio. Naruto si chiese se sua moglie non avesse per caso perso la voce. Si ripromise di portarsi un tamburo la prossima volta che avesse dovuto affrontare Hinata in una discussione. Trovava intollerabile che l’unico rumore nella stanza fosse il ronzio degli elettrodomestici, impegnato com’era a fare in modo che il suo matrimonio non finisse a rotoli.

“Era bella?”

L’Uzumaki ci mise qualche istante a capire che era stata la kunoichi a parlare.

“Sì.” non indorò la pillola. “Aveva i capelli dorati, gli occhi azzurri ed un sorriso magnetico.”

L’aveva sparata grossa, ne era consapevole. Si aspettava che Hinata lo cacciasse di casa a calci, che gli urlasse addosso che non voleva più avere nulla a che fare con un porco come lui, che poteva scordarsi di rivedere i suoi figli. Lo trovava anche corretto. In fondo, lui le aveva appena detto che suo marito era una merda, perché mai lei avrebbe dovuto essere felice di aver sposato un simile individuo?

Tuttavia, la Hyuga non fece nulla di tutto ciò. Si limitò a sospirare, massaggiandosi le tempie, un’espressione di stanchezza a tracciarle i tratti del viso.

“Perché deve essere tutto così difficile, Naruto?” mormorò. “Per quale motivo hai dovuto complicare le cose in questo modo?”

Non rispose. Probabilmente, trovava quasi normale che la sua vita fosse perennemente complicata da cose di questo genere, se considerava che nel suo primo giorno di vita gli avevano impiantato un demone assassino dentro di sé.

“Tu capisci quello che hai appena fatto, non è vero?” riprese a parlare la kunoichi, sul viso un’espressione combattuta tra rabbia e stanchezza. “Mi hai appena detto che ho sposato un fallito.”

“Hinata, se non mi vuoi più vedere lo capisco. Anzi, posso già cominciare a prendere le mie cose e…”

“No, non stai capendo nulla, stupido!”

Naruto richiuse la bocca, sconvolto. Era la prima volta che sentiva parlare la moglie in quel modo.

“Perché devi sempre giustificarti, per quale motivo vuoi sempre apparire perfetto ai miei occhi?! Lo vuoi capire che non mi interessa che tu sia un eroe?! Quello che voglio al mio fianco è un uomo ed un padre, non un manichino da vetrina!” Hinata sembrava aver perso il controllo. Teneva gli occhi contratti per la rabbia, mentre le parole fluivano libere, come un torrente in piena. “Non mi importa nulla che tu sia un traditore, un assassino, oppure un porco. Io non sono da meno: sono la vergogna della mia famiglia, ho passato anni su anni a piangermi addosso, non sono mai stata capace di uscire dall’ombra di mio cugino e ho rischiato di morire per non aver avuto il coraggio di rivelarti che ti stavo spiando! Cosa vuoi che me ne faccia di un eroe?! Io voglio un uomo che mi ami e che ami i suoi figli, che si impegni sempre per migliorarsi ogni giorno. Il resto non mi interessa!”

Smise di colpo di parlare, facendo un profondo respiro, come se cercasse di riprendere il proprio autocontrollo. Naruto rimase immobile, attonito. Aveva sempre pensato ad Hinata come ad una persona determinata, gentile e profondamente controllata, incapace di lasciarsi andare in quel modo. Ora aveva appena visto sua moglie vomitargli addosso un fiume di parole cariche di amarezza e sollievo, come se non avesse desiderato altro per anni.

E lui cosa desiderava? Forse non lo sapeva più. Sentiva il bisogno di dormire per giorni, di svegliarsi finalmente senza occhiaie e vedere la sua famiglia che lo accoglieva con gioia. Era stanco di litigi, di dubbi, di preoccupazioni; era stanco di una vita che lo prosciugava lentamente, lasciandolo arido e vuoto, come un guscio abbandonato sulla battigia.

“Cosa vuoi, Hinata?” mormorò, passandosi la protesi tra i capelli. “Vuoi che torni a stare con te ed i bambini?”

La kunoichi annuì.

“Sì, voglio questo.” gli afferrò la mano sana, stringendola con forza. “Voglio riprovarci. Voglio potermi alzare la mattina e vedere che al mio fianco c’è un uomo, qualcuno consapevole di dover migliorare ogni giorno. E voglio che tu la smetta di farti del male con certi pensieri.”

C’erano molte cose che Naruto avrebbe voluto dire in quel preciso istante: che amava Hinata, che le sarebbe stato sempre grato per quell’amore incondizionato, che non si sarebbe risparmiato per migliorare ancora come compagno e come genitore. Tutto quello che riuscì a fare fu un sorriso, ricambiando la stretta. In quel preciso istante, dopo più di dieci anni, finalmente capì perché si era innamorato di Hinata Hyuga. Non era per la sua bellezza, e neanche per la bontà e la gentilezza che la caratterizzavano. L’amava perché era come lui: tremendamente imperfetta, una persona con alle spalle più errori di quanti volesse ammettere, ma costantemente decisa a migliorarsi per raggiungere finalmente un equilibrio con le persone che amava. Si chiese se sarebbe stato ancora a sognare di diventare Hokage senza di lei, comprendendo quale fosse la risposta con un guizzo di amara consapevolezza nelle iridi celesti.

“D’accordo.” sospirò, grattandosi la nuca. “Proviamoci.”

Forse era quello sapere perdonare: accettare di dover sacrificare qualcosa per l’altro. Hinata aveva sacrificato parte del proprio orgoglio di donna per lui, capendo di non essere migliore. Aveva accettato di avere un marito imperfetto, così come aveva riconosciuto di essere imperfetta come moglie. Naruto non sapeva se questo avrebbe permesso loro di andare avanti come coppia o se ciò invece avrebbe causato la fine della loro relazione. Aveva deciso di ingoiare il proprio onore di uomo, di togliersi quella maledetta maschera da eroe, stanco di giocare ad essere quello capace di salvare il mondo con uno schiocco di dita. Era molto più simile a Sasuke ed ormai l’aveva capito. Sapere che tutto ciò era stato compreso anche da Hinata era un sollievo, perché gli permetteva di essere di nuovo umano. Potevano riprovarci, tornare a sostenersi come due vecchie stampelle imperfette, vedere come sarebbe andata a finire questa loro imperfetta, sciocca, stupida storia.

Proviamoci ancora una volta.

 

 

Guardava quegli occhi chiari, simili ai suoi, chiedendosi cosa pensasse di lei, se avesse mai provato amore, affetto, odio, disprezzo, disgusto. Un sentimento che testimoniasse che per lei era stata qualcuno.

Ne sfiorò l’immagine con l’indice destro, desiderando potersi immergere dentro, lasciandosi ogni cosa alle spalle. Aveva tante domande da rivolgerle, oltre ad un vuoto che solo quella figura era in grado di riempire.

Mamma…

Si era sempre chiesta che persona fosse. Con suo padre il rapporto era ormai cessato da anni, ed anche Ichigo con gli anni si era allontanato, impegnato a prepararsi a ricevere la propria eredità. La disperata ricerca di un legame famigliare puro, incontaminato dall’arroganza della sua famiglia, l’aveva fatta cadere in una spirale di nostalgia e rimpianto, chiedendosi se le cose sarebbero potute andare diversamente con la genitrice viva al suo fianco.

Forse la sto idealizzando. Fissava il soffitto affrescato della sua stanza, indifferente all’avanzare dell’oscurità, le iridi color zaffiro perse nel magma dei propri pensieri. Non riesco proprio a vedere papà che sposa una persona gentile. Forse era anche lei una nobile arrogante.

Stava diventando pericolosamente facile per lei cadere preda di quelle domande, di quei dubbi. Era a conoscenza che sapere che persona fosse sua madre non avrebbe significato nulla di concreto, ma l’assenza di un vero legame famigliare era così forte da portarla ad arrovellarsi in simili quesiti. Della genitrice sapeva solo che era originaria del Paese del Fulmine, dove aveva dei parenti ancora in vita, ma suo padre non menzionava mai la famiglia della defunta moglie e per lei quegli individui erano al pari di qualsiasi sconosciuto.

E la domanda tornava, ciclica e maligna: che persona era sua madre? Era una brava persona? Una buona madre? Un’altezzosa snob? Chi era veramente Koi Yogonuchi?

Avrebbe dato qualsiasi cosa per saperlo. Ricordava ancora quando da piccola tempestava di domande Ichigo, ma quest’ultimo le aveva sempre risposto che non voleva parlare della genitrice.

Forse era una persona magnifica, e il ricordo gli costava troppo dolore. Smosse con un calcetto un cuscino, la stanza ormai preda della totale oscurità. Oppure era un genitore orribile, ed il ricordo lo sconvolge ancora oggi.

Quel dubbio la tormentava. Era a conoscenza che non sarebbe mai riuscita a risolverlo, ma lei voleva sapere. Voleva sapere chi era sua madre perché l’idea di essere figlia di due persone miserabili l’annientava. Avrebbe significato che tutto quello che aveva fatto in quegli anni era stato solo uno spreco di tempo, una futile rincorsa vuota. Sarebbe stata la fine di ogni cosa, la prova che entrare in Accademia non era servito a niente.

Il pensiero dell’Accademia le deturpò i lineamenti del viso, facendo nascere un sorriso amaro. Ricordava benissimo cosa l’aveva spinta a quella scelta, andando contro il volere di suo padre. Per Katashi era umiliante che sua figlia si abbassasse a fare il ninja, nient’altro che carne da macello in mano ai Kage. Lei l’ha pensava diversamente in merito. Era giovane, ma sapeva che quello non era il suo mondo. Era stanca di vivere in mezzo a gente altezzosa ed arrogante, di dover vedere le persone fissarla con timore reverenziale. Non voleva essere una nobile, non voleva passare la vita in una gabbia dorata. Diventare un ninja era la chiave per aprirla.

E il coraggio per fare quella scelta, per andare contro il volere di suo padre, era nato solamente grazie al ricordo della madre che non aveva mai potuto incontrare. Pensare a lei che scappava dalla Terra dei Fulmini, per sposare il suo vero amore, le faceva venire il desiderio di emularla, indipendentemente che quella storia fosse vera o solo frutto della sua fantasia.

Ma ora non era più sicura di poter aprire quella gabbia. Nessuno della sua famiglia era mai stato un ninja, e la mancanza di secoli di conoscenza alle spalle la metteva in una condizione di inferiorità. Aveva studiato febbrilmente ogni libro che le era capitato tra le mani, cercando in quella marea di carta la conoscenza necessaria a colmare quella distanza. Ma più passava il tempo, e più si rendeva conto che non sarebbe bastata l’intera conoscenza dell’universo a farle raggiungere il livello dei suoi compagni, gente nelle cui vene scorreva il sangue di ninja vissuti centinaia di anni prima. Come poteva lei competere con Mirai o Shigeru?

Si girò di scatto, affondando la faccia dentro un cuscino. Non voleva pensare ai suoi compagni. Non si sentiva pronta a farlo, così come non riusciva a pensare alla proposta ricevuta poche ore prima da Hanabi-Sensei. Era semplicemente troppo pensare che potesse diventare allieva di una kunoichi del livello di Sakura Haruno. Aveva letto molto di lei, imparandosi praticamente a memoria tutte le sue imprese durante la Grande Guerra, e questo non faceva che crearle una stretta allo stomaco, causandole nausea ed una bruciante paura. Lei non possedeva alcuna abilità particolare, nessun talento ereditario. Cosa poteva mai trovarci in lei una combattente leggendaria? No, avrebbe rifiutato. Non desiderava ricoprirsi di ridicolo, e presentarsi davanti a Sakura Haruno, chiedendole di prenderla come allieva, era un buon metodo per farlo.

Chiuse gli occhi, desiderando il sonno, di immergersi nell’oblio e dimenticare tutto e tutti.

Un colpo secco ruppe il silenzio nella stanza con la violenza di uno scoppio. Aimi si alzò di scatto, le iridi chiare che guizzavano da una parte all’altra della stanza, il cuore che batteva all’impazzata. Non sapeva neanche lei il perché di quella reazione spropositata. Poteva essere caduto un libro mal posto su una mensola, oppure una gruccia penzolante dentro l’armadio, ma la genin aveva ben appreso i martellanti insegnamenti di Hanabi sul non abbassare mai la guardia e quel rumore sospetto glieli aveva fatti ricordare.

Cosa… non fece in tempo a formulare il pensiero che udì il rumore di prima provenire dalla finestra. Si voltò di scatto, solo per ritrovarsi la figura sorridente di Mirai dietro il vetro.

“Mirai?! Cosa diavolo…” La Sarutobi la interruppe, facendole il cenno di aprire. Aimi obbedì prontamente.

 “Sei impazzita?!” esclamò la Yogonuchi. “Cosa ci fai qui?!”

“Ti cercavo.” Mirai sorrise. “Perché non mi hai mai detto che vivi in una reggia?”

“Che cosa vuoi? Se gli addetti alla sicurezza di mio padre ti beccassero finiresti in guai seri!”

“Ti devo parlare.”

“E vieni a farlo nel cuore della notte?!”

“Che alternative avevo? Negli ultimi giorni sei scomparsa.”

“Io…” Aimi sospirò, indecisa se sentirsi sollevata o arrabbiata nel vedere la compagna di Team. “D’accordo, ma non qui. Andiamo nel giardino.”

Poco dopo, le due ragazze erano sedute su una panchina adiacente ad un piccolo laghetto immoto, dove ninfee e altre piante acquatiche galleggiavano pigramente. Mirai sembrava incantata dalla visuale, ma Aimi la richiamò bruscamente.

“Che cosa vuoi?”

la Sarutobi sembrò per un attimo perdere la sua baldanza, ma successivamente riprese a sorridere.

“Non posso avere il desiderio di vedere una compagna?”

“Non girare intorno alle cose, Mirai.” replicò la Yogonuchi. “Dimmi cosa vuoi dirmi e sbrigati! Se ci beccano, passeresti guai seri.”

“Non importa.” la kunoichi bruna alzò lo sguardo scarlatto al cielo, il sorriso di prima sempre impresso nei lineamenti del viso. “Sono venuta perché voglio che tu ritorni ad allenarti come me e Shigeru.”

“Non vi servo. Potete cavarvela benissimo anche senza di me.”

Mirai abbassò le iridi, fissando in volto Aimi.

“Non posso raggiungere i miei obbiettivi senza di te.” il sorriso divenne più accentuato. “Siamo una squadra, ricordi? Dobbiamo affrontare assieme le difficoltà della vita, proprio come dice sempre Hanabi-Sensei.”

Aimi tacque. La menzione ad Hanabi-Sensei le aveva fatto tornare in mente la proposta di quest’ultima. Nel giro di poche ore, due persone a cui era convinta non interessasse nulla di lei le avevano mostrato il contrario.

Forse… mi sono sbagliata.

“Io… ti ho sempre invidiato.” il sussurro della Yogonuchi fu udibile solo grazie al silenzio che vigeva nel parco. “          Quando eravamo all’Accademia… tu eri sempre piena di vita, di gioia, pronta a giocare ed a scherzare su ogni cosa. E mi chiedevo… come fosse possibile. Quale fosse il tuo segreto.”

Mirai non parlò, lasciando alla compagna il tempo di radunare il coraggio necessario a proseguire. Era sorpresa che Aimi avesse deciso di parlarle in questo modo. La vide turbata, come se ci fosse altro oltre alla sua visita improvvisa a preoccuparla.

“Sai, anche io… sono cresciuta senza un genitore.” le parole uscivano dalla sua bocca lente, una dopo l’altra, soppesate. “Ma ogni volta che ti guardavo… non sembravi soffrire di questo. Avevi un’energia che non avevo mai provato, qualcosa che mi mancava.” sbuffò, soffocando a stento una risata amara. “Forse è per questo che ti ho preso in antipatia. Non trovavo giusto che tu riuscissi a coesistere con questo dolore tanto facilmente. Ero invidiosa della tua voglia di vivere.”

“E’ per questo motivo che mi hai offeso e denigrato per tutti questi anni?”

La Yogonuchi scoppiò in una risata amara.

“Ho sempre odiato essere una nobile.” smise di ridere, le labbra incurvate in una smorfia carica di amarezza. “Eppure… trovavo più insopportabile vederti sempre così ottimista, piena di vita e di gioia. Non sapevo se invidiarti od odiarti. Offenderti era diventata la mia arma contro di te, l’unico modo che avevo per evitare di vedere quanto miserabile ero.” abbassò lo sguardo, portandolo sullo specchio d’acqua di fronte. “Dopotutto… non sono tanto diversa da mio padre. Troppo orgogliosa ed arrogante per ammettere il mio essere una debole.”

Mirai non rispose. Rimase in silenzio, a riflettere su ciò che aveva appena sentito. Negli ultimi mesi aveva imparato a conoscere Aimi, passando dal detestarla ad un riluttante rispetto, per infine giungere all’amicizia che le univa. Ora, tuttavia, si rese conto che lei, di Aimi, sapeva ben poco e che quelle parole confessate a fatica le conferivano una persona diversa da quella che credeva, molto più tormentata di ciò che si fosse aspettato. La tragedia che le univa, l’assenza fin dalla nascita di un genitore, aveva preso due vie diverse con il passare degli anni; Mirai aveva avuto sua madre, Shikamaru, Temari, Kiba, Shino, Shikadai. Persone capaci di riempire quel vuoto dentro il suo cuore. Aimi non aveva avuto la stessa fortuna, eppure ora era quest’ultima a scusarsi, quasi fosse colpa sua se non era stata capace da sola di vincere quel vuoto dentro di sé.

“Io non credo che tu sia debole.” la Sarutobi mormorò quelle parole d’impulso, senza pensarci. “Non importa cosa hai detto, o pensato, fino ad ora. Siamo arrivate fin qui insieme, no?” le sorrise, un sorriso sincero, scevro da rancore o derisione. “Possiamo andare avanti, e diventare più forti! Come… amiche.”

La Yogonuchi non disse nulla. Rimase imbambolata a fissare la ragazza bruna, il cervello inceppato. Era la prima volta che qualcuno le parlava in maniera così spontanea, priva di referenza per il sangue che le scorreva nelle vene. Mirai era stata sincera, lo percepiva, e voleva essere amica di Aimi, ninja di Konoha, perché lo desiderava e non per reverenza verso il suo cognome.

Era una sensazione magnifica.

Digrignò i denti, sentendo le lacrime premere per uscire. Improvvisamente, tutti i quesiti che si era posta su sua madre le sembrarono futili, nient’altro che una sciocchezza. Che importanza aveva se sua madre l’aveva amata o meno? Aveva un’amica, una persona che voleva che lei vivesse la sua vita libera, al suo fianco. Qualcuno desiderava la sua esistenza.

“Non ti metterai mica a piangere, eh?” la prese in giro Mirai, osservando la Yogonuchi voltarsi di scatto.

“Non dire assurdità!” replicò quest’ultima, tirando su pesantemente con il naso. “Io non sto piangendo.”

“In effetti… sarebbe strano piangere quando uno ti definisce suo amico.” esordì una voce bassa alle loro spalle.

“Shigeru!” la Sarutobi sobbalzò, strillando quando vide l’amico sbucare all’improvviso dalle tenebre della notte. “Volevi farmi morire di paura?!”

L’Aburame scese da un albero vicino, le lenti scure a coprire il volto nonostante fosse notte fonda ormai.

“Ti ho vista muoverti di notte ed volevo sincerarmi che non ti fossi cacciata nei guai.” spiegò lo shinobi a Mirai.

“Oppure eri preoccupato per Aimi ed anche tu eri venuto per convincerla a tornare?” azzardò quest’ultima, sorridendo nel vedere il volto dell’amico tingersi di un bel rosso porpora.

“Ti sbagli… io…”

“Eri davvero preoccupato per me, Shigeru?” la Yogonuchi sorrise dolcemente quando vide il compagno di squadra balbettare nel tentativo di giustificare la sua presenza.

“Ecco… io, veramente…”

“Urra!” Con uno scatto, Mirai mise le braccia al collo dei compagni, strozzandoli in un abbraccio spaccaossa. “Finalmente Aimi è tornata!”

“Non urlare! Se vi scoprono, siete nei guai!”

Ma Mirai non ascoltò il consiglio dell’amica. Cosa importava se venivano scoperti? Aveva trovato due amici, Aimi avrebbe nuovamente fatto parte della sua vita e stavolta nessuno gliela avrebbe portata via.

Rimarremo insieme per sempre.

Nel frattempo, nascosti nell’ombra della notte, due figure osservavano dal muro di cinta quello strambo trio.

“Hai visto? E’ solo andata a trovare un’amica.” esordì la prima, in equilibrio sulle proprie mani. “A volte sei troppo apprensivo, Kakashi!”

Il Sesto Hokage non spostò gli occhi dalla figlia del suo defunto amico, ma le sue labbra si distesero in un sorriso, ben nascoste dalla maschera.

“Forse hai ragione tu, Gai.” mormorò il Copia Ninja. “Ma sai… ora che sono l’Hokage, mi piace ancorarmi ai ricordi quando mi concedo una pausa.” nell’aria si udì il suono argentino della risata di Mirai. “E lei ne riporta di dolci.”

Gai non replicò, sentendosi in dovere di rispettare quel silenzio, per non oltraggiare la memoria di Asuma.

“Ehi, Kakashi!” la Bestia Verde di Konoha si illuminò in viso, come colto da un’idea geniale. “Visto che ci siamo… che ne dici di una sfida? In ricordo dei vecchi tempi!”

Kakashi non rispose subito, quasi non avesse prestato ascolto all’amico, ma quest’ultimo lo conosceva bene e sapeva che stava solo riflettendo su quale risposta dare.

“Avanti!” insistette il Jonin infermo. “Siamo rivali, no?! Non crederai mica di essere avvantaggiato per via della mia gamba?!”

L’Hatake proseguì nel suo silenzio, gli occhi persi nel vuoto, immersi in un ricordo assai più amaro di quelli riguardanti l’amico Asuma. Era una memoria che sapeva di polvere, di sangue, di lacrime e di impotenza. E poi c’era lui, il suo sorriso, che svettava sopra tutto, anche quando scelse di morire per salvare tutti loro.

 

“Io Madara, ti proclamo il più forte di tutti!”

 

Gai…

“Non posso più essere il tuo rivale, Gai.” mormorò il Copia Ninja. “Per poter ambire a quel titolo, dovrei prima diventare l’Hokage più grande della storia di Konoha, e non lo sono.”

Gai rimase sorpreso da quella frase. Con un’abile spinta, si mise a sedere, tenendo la gamba inferma rigida davanti a sé, gli occhi piantati sul volto del suo rivale.

“Kakashi.” il suo volto era stranamente serio. “Non dirlo più, per favore.”

“Cosa? Che sei più forte di me?”

“No.” la Bestia Verde tornò a rivolgere lo sguardo ai tre giovani sotto di loro, ignari di essere osservati. “Non dire più che non puoi essere il mio rivale.” sfoderò il suo sorriso abbagliante. “Noi siamo rivali, Kakashi! E questo non cambierà mai, chiaro?!”

Il Sesto si mise le mani in tasca, non modificando minimamente la sua espressione facciale. Era abituato alle esagerazioni melodrammatiche dell’amico, e gli andava bene così, che gli mostrasse apertamente quanto tenesse a lui. Era il suo ultimo amico, l’unico che era sopravvissuto a ben due Guerre Mondiali come lui. Gai gli stava chiedendo di non lasciarlo solo con i ricordi, come se in due reggere quel peso fosse più semplice.

Sto invecchiando. Non c’era amarezza in quella constatazione, quanto più rassegnazione. Aveva trascorso gli ultimi dodici anni chiuso in un ufficio, a ricostruire un continente raso al suolo, con Anko e Gai come ultimi, veri compagni. Gli unici che potevano comprendere come si sentisse. Eppure, solo dopo più di dieci anni di onorato servizio, cominciava a pensare a se stesso come un vecchio, e capì che presto avrebbe dovuto lasciare il testimone.

“D’accordo Gai.” rispose, dando le spalle alla nuova generazione, a coloro che erano cresciuti tra le macerie dell’ultima guerra. “Ma niente sfide.” le labbra gli si distesero sotto la maschera. “Sto diventando vecchio per queste cose.”

“Che discorsi sarebbero, Kakashi?! Noi siamo nel pieno della nostra estate! Abbiamo ancora moltissime energie da spendere!”

“Chissà, forse hai ragione.” lo shinobi albino sospirò. “Ma personalmente, credo che presto mi prenderò una vacanza.”

“Potremmo farne una. Stavo giusto pensando a qualcosa del genere!”

“Dubito che mi riposerei molto se mi accompagnassi.” replicò il Copia Ninja, scoppiando in una delle sue rare risate, subito seguito dall’amico.

Perché in fondo, era quello che facevano gli amici.

Si perdonavano a vicenda le colpe del passato.

 

 

Entrare alla luce del giorno in casa sua fu magnifico, una sensazione così abituale che rimase sorpreso di scoprire quanto gli fosse mancata.

“Papà!” con un urlo, Boruto si lanciò addosso al padre, aggrappandosi a lui con tutta la forza che aveva. Intenerito, Naruto fece per accarezzarlo, quando quest’ultimo gli tirò una scarica di pugni.

“Sei stato via per cinque giorni!” lo accusò il piccolo Uzumaki, le iridi cerulee ricolme di rabbia e risentimento. “Avevi promesso che giocavamo insieme!”

Lo shinobi tacque, rendendosi pienamente conto per la prima volta del dolore causato ai suoi figli. Si ripromise di migliorare in futuro, per loro e per Hinata.

Sono la mia famiglia… non posso farli soffrire così.

“Hai ragione.” mise a terra il figlio, inginocchiandosi per poterlo guardare negli occhi. “E ti prometto che mi farò perdonare.”

Boruto sembrò sul punto di scoppiare di gioia. Il sorriso sul suo faccino paffuto fece per allargarsi, ma poi si trattenne, quasi non volesse mostrarsi troppo soddisfatto di quella risposta.

“D’accordo…” borbottò, cercando di darsi un’aria di importanza.

Ridacchiando, Naruto scompigliò i capelli del primogenito, solo per accorgersi che, nel frattempo, Hinata era giunta nell’ingresso, con in braccio la piccola Himawari. Lo shinobi si perse per alcuni istanti negli occhi chiari della moglie. Ci lesse rabbia, ma anche tanta determinazione: la convinzione che avrebbero superato anche quella sfida.

Hinata…

Non fece nulla. Non la ringraziò, né fece promesse che erano state già pronunciate. Si limitò ad abbassare lo sguardo sul volto paffuto di Himawari, la quale lo guardava con i suoi occhi chiari, limpidi come la superficie di un lago, facendolo commuovere. Rivedeva Lei in ogni gioco di luce, ma era un ricordo dolce, non più ottenebrato dal dolore o dal senso di colpa.

“Sono tornato.”

Hinata sorrise, ma il suo non fu un sorriso gioioso, quanto più di fredda determinazione. Naruto comprendeva come si sentiva, perché anche lui provava le stesse emozioni. Sapeva che quella riunificazione non sarebbe stata semplice, ma aveva tutte le intenzioni di vincere anche questa volta. Per se stesso, e per i suoi figli.

“Visto che sei tornato, puoi cominciare con il pulire i piatti della colazione.”

Naruto sospirò, tuttavia invece di sentirsi triste percepì una sensazione diversa. Era… felice. Felice di poter lavare i piatti nella sua cucina, in mezzo alla sua famiglia. Felice di poter finalmente accettato i propri errori, di averli compresi e lasciati alle spalle.

Ma soprattutto, era felice della donna che aveva sposato.

La migliore al mondo.

 

 

Non era sicura di quello che stava per fare, affatto. Eppure non si fermò. Proseguiva, muovendo un piede davanti all’altro, chiedendosi però se non fosse diventata semplicemente pazza.

Eppure il ricordo dell’altra sera era ancora così vivido dentro di lei, così dolce. Capace di cancellare ogni dubbio, ogni titubanza. Era ebbra di incoscienza, e non era ancora sicura se tutta quella sicurezza la galvanizzasse oppure la terrorizzasse.

Se avessi un minimo di cervello, me ne tornerei a casa.

I suoi passi non smisero di muoversi verso la destinazione prefissata. Era stanca. Stanca di litigi, di domande a cui non poteva rispondere, di non piacersi. Voleva cambiare, voleva spiccare il volo, voleva potersi guardare in uno specchio e vedere ciò che desiderava: Aimi Yogonuchi, kunoichi di Konoha.

E per farlo doveva andare avanti.

Vide l’ospedale di Konoha stagliarsi davanti a lei, imponente e immenso. La sua spavalderia ebbe un fremito, bloccandola di colpo. Si chiese se davvero avesse le capacità di diventare allieva di uno dei Ninja Leggendari, un ruolo per il quale moltissime persone avrebbero dato qualsiasi cosa. Cosa aveva lei di più di tutti gli altri? Determinazione? Forse, ma non era convinta che fosse sufficiente.

E poi li vide.

Vide Hanabi-Sensei aspettarla davanti all’ingresso, il volto rilassato e l’espressione sicura. Era convinta che la sua allieva sarebbe giunta, aveva piena fiducia in lei.

Fiducia…

Non riuscì a trattenere il sorriso che le piegò le labbra quando vide al suo fianco Mirai e Shigeru, anche loro convinti che sarebbe venuta, che avrebbe afferrato il suo destino a piene mani assieme a loro.

Ora sapeva cosa aveva più degli altri.

I suoi piedi ripresero a muoversi, animati da una nuova sensazione calda, che le riscaldava il petto come l’abbraccio di qualcuno giunto dopo tanto, troppo tempo.

Aimi ne era sicura: fino a quando fosse rimasta con la sua nuova famiglia, quel calore non sarebbe mai scomparso.

Grazie.

Era pronta a spiccare il volo.

 

 

Angolo dell’Autore:

 

 

Ehm… salve! Qualcuno si ricorda di me? Nessuno? Proprio nessuno? Ah beh, pace xD Diciamo che è comprensibile, dato che sono sparito da questo sito per circa un anno, causato da lavoro, studio e crisi del foglio bianco. Tuttavia, negli ultimi 2 mesi sembrerebbe che tale crisi sia passata, e posso riprendere questa storia/raccolta (per chi vuole ancora leggerla xD).

Detto questo, ringrazio in anticipo chiunque mi darà una chance dopo questo lunghissimo lasso di tempo, e chiunque vorrà scrivere un parere, positivo o meno, sul capitolo.

Un saluto!

 

Giambo

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Capitolo 31
*** Promesse di sangue, parte prima ***


The Biggest Challenge

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Promesse di sangue

parte prima

 

 

 

 

Kakashi osservò con occhio attento i volti attorno lui. Fu con una punta di ironico piacere che notò come fossero tutti particolarmente impegnati a mantenersi composti nelle proprie reazioni, e tuttavia incapaci di mascherare la loro sorpresa nell’udire quelle parole.

“Sesto Hokage…” a prendere la parola fu l’anziano Homura, gli occhi intelligenti che brillavano dietro le lenti degli occhiali. “Ne siete sicuro?”

“Non vedo perché tutta questa sorpresa, mio caro Homura.” replicò pacifico l’Hatake. “Sono ormai quindici anni che detengo il ruolo di Hokage, e ritengo che possano bastare. E’ giunto il momento che sia qualcun altro a guidare il nostro Villaggio in futuro, qualcuno di più giovane, capace e intraprendente di me.”

“Ma sei convinto che sia la scelta giusta?” a parlare stavolta fu Tsunade, le dita laccate di rosso che ticchettavano nervosamente sulla lucida superficie del tavolo. “Non capisco perché tu voglia lasciare ora. Siamo in pace da molti anni, e il tuo lavoro è ottimo.”

Koharu tossicchiò polemicamente, ma non prese la parola. Il Sesto Hokage decise di ignorarla, preferendo occuparsi dei dubbi della Sannin.

“Ritengo che ormai il Villaggio sia entrato in una nuova fase della sua vita.” dichiarò con voce pacata, la schiena perfettamente appoggiata allo schienale. Sembrava stesse discorrendo del tempo. “All’epoca delle tue dimissioni Quinto, accettai il posto perché capivo che dovevamo ricostruire un intero Continente, un’opera che andava al di là delle tue forze.” Tsunade fece per ribattere, ma con un cenno della mano lo shinobi albino le chiese di lasciarlo terminare. “Konoha all’epoca aveva bisogno di un capo giovane, qualcuno che potesse guidare quell’opera di ricostruzione ed ammodernamento non più rimandabile. Ora i tempi sono cambiati, io stesso sono cambiato, e ritengo che una guida più energica e giovane della mia possa permettere alla Foglia di raggiungere gli obiettivi che ci prefisseremo.”

La Senju non sembrava ancora convinto del tutto.

“Le sue preoccupazioni sono comprensibili, Quinto Hokage.” esordì Shikamaru, gli occhi socchiusi come se stesse dormendo. “Ma ritengo che i tempi siano maturi. Il Sesto è stata una guida forte e carismatica in questi anni, ma credo anch’io che un cambio possa portare maggiori benefici al nostro Villaggio.”

In quel momento, Koharu tossicchiò nuovamente, attirando l’attenzione dei restanti membri.

“Avete delle rimostranze a proposito di questa decisione, Koharu-san?” chiese educatamente Shikamaru.

“Se l’onorevole Sesto Hokage ha deciso di dare le dimissioni, non posso certo fermarlo.” esordì seccamente l’anziana kunoichi. “Avrei tuttavia alcune domande da porre, dato che sembrate tutti evitare una questione fondamentale: chi sarà il successore del Sesto? Avete già un candidato?”

Tsunade non riuscì a trattenere un sorrisetto nell’udire quella domanda.

“Per rispondere alla sua domanda, sì. Abbiamo già un nome.” replicò con voce monocorde il Nara. “L’eroe di guerra Naruto Uzumaki.”

“Il Jinchuuriki del Kyuubi…” mormorò Homura. “Dunque avete davvero in mente di renderlo Hokage della Foglia?”

“Non comprendo tutta questa reticenza.” osservò Kakashi. “Naruto ha dimostrato più volte di avere le qualità per diventare un ottimo leader e capo.”

L’anziano consigliere fece per ribattere, ma venne bloccato da Koharu.

“E come facciamo a sapere che Naruto Uzumaki ha il sostegno dei clan della Foglia?” chiese con tono sospettoso.

“Che razza di domanda!” esclamò Tsunade, il sorrisetto di scherno sempre presente sulle labbra carnose. “Nessuna persona sana di mente potrebbe trovare Naruto non idoneo alla carica di Hokage, non dopo che ha salvato l’intero Continente.”

“Essere un grande combattente non è l’unica caratteristica necessaria per un Hokage.” replicò la kunoichi più anziana. “Mi sorprendo che proprio lei, Quinto, sostenga una simile tesi, quando a suo tempo fu preferita a Jiraiya come successore del Terzo per le stesse motivazioni.”

“Questa polemica è inutile.” dichiarò improvvisamente Shikamaru, bloccando sul nascere la ripicca furiosa della Senju. “L’appoggio dei clan a Naruto è così palese e ovvio che sarebbe inutile pretenderlo, e non penso che abbiate voglia di andare da ogni capoclan del Villaggio a porgergli questa domanda, Koharu.”

“Sono felice che abbiate riportato la questione sui corretti binari.” replicò la kunoichi. Con un gesto secco, mise sul tavolo tre rotoli, chiusi da sigilli ufficiali. “Eppure, ho qui tre lettere provenienti dai capi dei clan Senju, Shimura e Sarutobi, i quali ritengono il Jinchuuriki Uzumaki inadatto al ruolo di Hokage, e propongono un nome alternativo.”

“Ora basta!” Tsunade si alzò di scatto, le iridi ribollenti di ira. Sembrava sul punto di saltare addosso ai due Consiglieri Anziani. “Per quanto ancora questo Villaggio dovrà subire le vostre sporche trame?! Quanto oro avete versato nelle casse dei clan, per ottenere simili lettere di raccomandazione?! La vostra epoca è morta, eppure continuate ad avvelenarci tutti!”

“Tsunade-hime!” a parlare fu il Sesto Hokage. “La prego di mantenere un tono corretto, o sarò costretto a chiederle di andarsene.”

Il Quinto Hokage si risedette con stizza, sotto lo sguardo soddisfatto di Koharu.

“Se ovviamente i clan non sono d’accordo con la nostra scelta, dovremo ascoltarli.” proseguì Shikamaru, la voce ora però meno tranquilla di prima. “Quale sarebbe il nome da loro proposto?”

I due Consiglieri Anziani si guardarono per un istante negli occhi. Era palese che avevano atteso a lungo quel momento, e volevano assaporarlo.

“Konohamaru Sarutobi.”

Con un rumore stridulo, Tsunade rovesciò la propria sedia, uscendo a grandi passi dalla Sala del Consiglio, sotto lo sguardo trionfante di Koharu. Il tutto mentre Kakashi indurì i lineamenti del proprio volto, prevedendo una tempesta all’orizzonte.

 

 

“E’ una stronzata!”

Kabera alzò distrattamente la testa dal proprio lavoro, osservando con occhio pigro la propria coinquilina sputacchiare insulti con voce ringhiosa ad un esasperato Shikamaru. Per un istante sembrò mostrare un vago interesse alla questione, ma poi decise che stillare linfa di bruco reale fosse molto più appassionante.

Hanabi in quel momento però, aveva altro per la testa che gli intrugli dell’amica.

“Si può sapere cosa diavolo state combinando?!” proseguì con la sua invettiva rabbiosa, le iridi perlacee che brillavano furiose. “Come avete potuto avallare una decisione così folle? Vi siete bevuti il cervello?!”

Lo shinobi delle ombre emise uno sbuffo di fumo dalle labbra, ma la sua espressione annoiata non cambiò minimamente, benché fosse chiaro che l’ultima cosa che voleva era sentirsi vomitare insulti dalla Jonin.

“La situazione è questa, e difficilmente cambierà.” dichiarò con voce monocorde, aspirando una boccata di fumo. “Naruto e Konohamaru saranno entrambi convocati dal Consiglio del Villaggio, i quali comunicheranno loro le condizioni.”

“Di quali condizioni stai parlando?” Hanabi prese a muoversi avanti e indietro per il salotto del suo appartamento, incapace di restare ferma, guadagnandosi un sospiro esasperato da parte del Nara.

“Generalmente, affinché qualcuno possa ricevere la carica di Hokage, non basta il consenso del Consiglio, serve l’appoggio dei clan.” gli occhi intelligenti dello shinobi si piantarono in quelli della Hyuga, bloccandola. “Tutti i clan.”

“E vuoi dirmi che Naruto, dopo tutto quello che ha fatto, non ha il pieno appoggio dei clan?” domandò con tono incredulo la kunoichi.

“A quanto pare no.” Shikamaru sospirò nuovamente, mentre Hanabi riprese a camminare come una fiera in gabbia. “E in casi come questi, esiste una sola soluzione.”

“Un duello eccitante, per il ninja esultante…” canticchiò Kabera, sezionando con fare allegro un viscido bruco giallastro. Le sue parole furono recepite da parte della coinquilina con la violenza di un maglio.

“Dovranno battersi?” chiese, bloccandosi nuovamente.

Shikamaru si grattò la testa, masticando con amarezza il mozzicone stretto tra le labbra. Improvvisamente, sentiva il bisogno spasmodico di dormire, per risvegliarsi a faccenda conclusa.

“Sì, dovranno battersi.” dichiarò infine. “A meno che, ovviamente, uno dei due non rinunci al duello, lasciando così all’altro il titolo di Hokage.”

Hanabi si sentì morire nell’udire quelle parole. L’unica speranza che si evitasse quel duello era che uno dei due rinunciasse al sogno della loro vita, l’unica cosa che aveva loro permesso di superare così tanti ostacoli? Onestamente, la kunoichi trovava più facile che il sole cominciasse a sorgere da occidente.

“Siamo nella merda.” borbottò, lo stomaco improvvisamente attorcigliato da qualcosa di gelido, molto simile a paura.

Shimakaru non poté che concordare.

“E di quella che puzza, per di più…”

 

 

Himawari guardò, con fare perplesso, ciò che stava combinando il suo fratellone. Inclinando la testolina, coperta da soffici capelli neri, la piccola Uzumaki scrutò la figura del fratello che, con fare eccitato, si muoveva trafelato per la sua stanza.

“Dove si trova…” borbottò Boruto, spostando freneticamente gli oggetti, dando vita casualmente ad un magnifico esempio di disordine ordinato. “Eppure era qui, ne sono sicuro...”

Improvvisamente, le sue ricerche ebbero successo.

“Evviva!” con un urlo di gioia, l’Uzumaki sollevò al cielo una fila di shuriken lucenti, lo sguardo ricolmo di soddisfazione.

“Hai trovato quello che cercavi, fratellone?” mormorò Himawari, ficcandosi il pollice in bocca.

“Certo, mia cara Hima!” esclamò Boruto. “Adesso ti mostro come si comporta un vero ninja!”

E con un gesto improvviso lanciò uno shuriken contro la porta. Con suo sommo orrore però, la porta in quell’istante si aprì, mostrando il volto di suo padre che veniva minacciosamente sfiorato dallo shuriken appuntito.

“Hima! E’ ora della meren…” nello stesso istante in cui vide la sua vita attentata, Naruto osservò due cose, una buona e una cattiva. La buona era che aveva finalmente capito chi gli aveva rubato gli shuriken, la cattiva era che era stato proprio colui che aveva sperato non lo facesse.

“Boruto…” il ragazzino si fece piccolo, mentre osservava le iridi chiare del padre stringersi minacciosamente.

Ops…

 

“Boruto! Quante volte ti ho detto di non toccare le mie armi?! In presenza di tua sorella, per di più!”

Naruto camminava nervosamente per il salotto, osservando con la coda dell’occhio il suo primogenito. Fu con profonda irritazione che lo vide lanciargli un’occhiata storta, quasi fosse lui quello che aveva torto, come se attentare alla vita di Himawari fosse cosa buona e giusta.

“Volevo solo allenarmi un po’…” borbottò il ragazzino, fissando scontroso il padre. “Non ci vedo nulla di male.”

“Nulla di male? Hai sei anni! Cosa pensi, che siano giocattoli questi?! Che lanciare shuriken sia solo un divertimento?! Ti rendi conto che avresti potuto fare del male a tua sorella, ferirla?!”

“Non ho mirato a lei, miravo al bersaglio sulla porta!” replicò piccato Boruto.

“Sei un bambino, Boruto! Avresti potuto sbagliare, inciampare, farti del male da solo!”

“Non sono così imbranato!” rispose con tono sfrontato il piccolo Uzumaki. “E se tu mi allenassi, invece di lavorare sempre, di sicuro non dovrei prenderti le armi di nascosto!”

Naruto si bloccò di colpo, lo sguardo torvo puntato sul figlio. Sentì improvvisamente qualcosa di acido scorrergli nelle vene, qualcosa di simile a rabbia. Suo figlio che lo accusava di fregarsene del benessere della sua famiglia era troppo. Per un istante, fu tentato di schiaffeggiarlo.

“Hai usato delle armi pericolose in presenza di tua sorella, una bambina di appena tre anni, Boruto!” notò che i lineamenti del primogenito imbronciarsi ulteriormente, e la cosa non gli piacque. “Devi smetterla di comportarti come un irresponsabile, chiaro?”

“Non sono stupido, piantala con le lavate di capo.” borbottò Boruto, gli occhi rivolti verso il pavimento.

“Allora dimostramelo!” con un sospiro, Naruto si passò la protesi sul volto, chiedendosi quante altre volte avrebbe dovuto fare la parte del padre severo. Lui amava i suoi figli, perché Boruto sembrava non volerlo capire?

“Finiamola qui.” dichiarò con voce meno alterata. “Voglio però che rifletti attentamente su ciò che hai fatto. Sei un bambino intelligente, e proprio per questo so che capirai ciò che ti ho detto.”

“Va bene va bene…” con una scrollata di spalle, Boruto se ne tornò di sopra, sbattendosi alle spalle la porta di camera. Fu solo allora che il Jinchuuriki si sedette con un sospiro in poltrona, chiedendosi perché diamine il suo giorno libero doveva passarlo a litigare con suo figlio.

Stupido idiota… rifletté amaramente, passandosi la protesi tra i capelli. Non sono portato a fare il padre.

Erano trascorsi tre anni da quando aveva finalmente messo una pietra sopra alla faccenda di Himawari, dando vita ad un periodo di tempo meravigliosamente tranquillo e noioso. Naruto all’inizio era sembrato quasi spaventato dall’idea di non avere nessuna preoccupazione mortale tra le mani, ma lentamente, quasi senza accorgersene, aveva cominciato ad abituarsi a quella sensazione, alla possibilità di vivere una vita normale, assieme alle persone che amava. L’unico suo cruccio era Boruto. Crescendo, il piccolo Uzumaki era diventato sempre più irrequieto, rendendo impossibile per Naruto tenerlo a bada con appena un giorno libero a settimana.

E’ come me… quando lo vedo guardarmi storto, mi sembra di rivedermi alla sua età. Naruto si era promesso mille volte di non far passare ai suoi figli il suo stesso dolore, ma in qualche modo Boruto sembrava sempre cercare lo scontro. Lavate di capo e sgridate sembravano sortire l’effetto contrario su di lui, aumentandone la disubbidienza. Che cosa volesse dimostrare, o cosa cercasse di fare con quell’atteggiamento era un mistero per il Jinchuuriki, anche se una vocina nella sua testa cominciava a ripetergli insistentemente la stessa frase ogni volta che rimuginava sulla questione.

Vuole attirare la mia attenzione. Teme di non essere degno di suo padre.

Scosse la testa, rigettando quell’ipotesi con forza. Trovava difficile pensare che Boruto si sentisse inadeguato in sua presenza, considerando che non gli aveva mai fatto pesare il cognome che portava. Rendere i propri figli degli stupidi rampolli con il petto gonfio era il suo ultimo desiderio.

E’ ancora piccolo, crescendo sono sicuro che maturerà. Trovava decisamente più rassicurante quest’idea, che Boruto fosse ancora troppo piccolo per comprendere quale fosse l’atteggiamento corretto da mantenere. Collimava con le sue idee in merito, e riusciva a tranquillizzarlo. Per una volta in vita sua, Naruto non voleva pensare al peggio.

In quell’istante, il campanello suonò.

 

 

Silenzio. Non un silenzio pacifico, ma denso e disagiante, capace di attaccarsi alla pelle come la più infida delle colle.

Naruto si risedette lentamente in poltrona, gli occhi cerulei piantati sul pavimento, vuoti e privi di volontà.

Ancora non riusciva a crederci.

Non possono essere così folli.

“Ne sei sicuro?” domandò.

Davanti a lui, Shikamaru scosse la testa, rassegnato.

“Sì.” mormorò, tirando fuori la fiaschetta ed ingollandone un sorso. “Le regole sono queste, e neppure Kakashi ha il potere di modificarle.”

L’Uzumaki strinse le mani con tanta forza da conficcarsi le unghie nella carne. L’idea di dover affrontare suo fratello minore per raggiungere il suo sogno era qualcosa di mostruoso, un incubo che gli si era materializzato davanti con la rapidità di un fulmine. Come poteva farlo? Come avrebbe potuto indossare la cappa di Hokage con le mani sporche del sangue di Konohamaru? Era follia pura, un rigurgito del loro passato maledetto che non si rassegnava a scomparire.

Perché? Sangue scuro prese a gocciolargli dalla mano sana, la rabbia e l’amarezza che prendevano possesso di lui. Perché devo combattere anche lui?

In quel momento sentì di odiare gli dei. Come potevano esistere divinità così crudeli al mondo? Non era loro bastato il sangue versato? Davvero non erano sazi di morte?

“Sono stati loro.” mormorò a voce bassa. “I consiglieri anziani… dico bene?”

Shikamaru non rispose, osservando con sguardo scontroso la propria fiaschetta ormai vuota.

“Non possono che essere stati loro.” proseguì il Jinchuuriki, lo sguardo sempre rivolto al pavimento. “Mi odiano.”

Questa volta il Nara fu costretto a rispondere.

“Può essere.” ammise a malincuore, sedendosi sul divano, grattandosi la nuca con fare svogliato. “Ma a quanto pare non sono gli unici. Da soli il loro malessere non conta nulla, ma con l’appoggio dei Senju…”

“Non provare a difenderli, Shika!” borbottò lo shinobi biondo. “Sono anni che sognano di vedermi morto, da quando ho salvato il Villaggio durante il Quarto Conflitto, non desiderano altro.” Alzò gli occhi, puntandoli su quelli scuri dell’amico. “Ma non avrei mai pensato che sarebbero giunti a questo… mettermi contro mio fratello.”

“Non è detto che Konohamaru accetti.” replicò lo shinobi delle ombre. “Può darsi che rifiuti… in quel caso, nessuno potrebbe dire più nulla contro di te.”

Naruto scosse la testa. Conosceva da anni Konohamaru, e sapeva cosa sarebbe accaduto.

“Lui combatterà.” lo dichiarò con un tono di voce smorto, quasi privo di energia. “Non è tipo da tirarsi indietro, non quando si tratta del suo sogno.”

Shikamaru non replicò, desiderando ardentemente che la sua fiaschetta non fosse vuota per poterci annegare dentro l’amarezza di quella frase.

Sapeva che era vera.

Konohamaru avrebbe combattuto contro Naruto.

Fino alla morte.

 

 

Il sole brillava dolcemente tra le fronde degli alberi, illuminando con un caleidoscopio di luci diverse il sottobosco. L’aria era satura del canto degli uccelli, mischiati al fruscio delle foglie, mosse da una gentile brezza primaverile, mentre nel cielo soffici nuvole bianche si rincorrevano pigramente.

Emna si muoveva lentamente, quasi restio a rompere la pace della foresta. Con fare solenne, il re dei primati si spostava di ramo in ramo, gli occhi dorati fissi su una lontana collina, che svettava sulla foresta come una brulla altura, scevra dagli alberi, le cui rocce brillavano come diamanti sotto il caldo sole primaverile.

Una volta giunto alla base di quest’ultima, la scimmia prese a scalare, saggiando attentamente con i piedi il percorso lungo le infide lastre di ardesia che ricoprivano il terreno. Ci mise molto più del previsto a raggiungere la cima, ma una volta lì, i suoi occhi si soffermarono sulla figura di una persona seduta a gambe incrociate.

Konohamaru…

Da quando aveva saputo di essere stato candidato per la successione del Sesto Hokage, Konohamaru si era rifugiato nella foresta di Shinseina, la foresta ancestrale delle scimmie. Lì, il giovane Sarutobi passava le giornate seduto in cima a quella piccola collina circondata dagli alberi, insensibile allo scorrere del tempo. Emna comprendeva ciò che turbava l’amico, ma sapeva che il tempo dell’indecisione stava per terminare, e che molto presto lo shinobi avrebbe dovuto prendere una scelta definitiva: ritirarsi dalla competizione, o affrontare colui che era come un fratello per lui.

“Emna.” la voce del Sarutobi era roca, quasi non fosse stata usata per troppo tempo. “Cosa sei venuto a fare quassù?”

La scimmia raggiunse l’amico, sedendosi a gambe incrociate al suo fianco, gli occhi dorati persi nel mare verde che li circondava.

“Desideravo godermi un po’ di aria.” borbottò. “A volte la foresta risulta pesante pure per uno come me.”

“Bugiardo.” Konohamaru lanciò un’occhiata obliqua all’amico, quasi fosse deluso che tergiversasse sulla questione. “Sei venuto a sapere cosa voglio fare, dico bene?”

“Sei un uomo, Konohamaru.” replicò il re dei primati. “Non spetta a me dirti cosa devi fare.”

“Già…” lo shinobi tornò a fissare l’orizzonte. “Non spetta a te.”

Per lunghi minuti l’unico rumore fu portato dal vento fresco. Emna non mise fretta all’amico, né lo incalzo. Conosceva bene Konohamaru, e sapeva anche quale sarebbe stata la decisione che alla fine avrebbe preso. Ciò che davvero premeva al sovrano delle scimmie era di comprendere come mai ci stesse mettendo così tanto tempo.

“Ho paura.”

Quella frase cadde tra di loro lentamente, viscosa, come colla troppo densa. Emna tornò a fissare lo shinobi, osservando come dietro la maschera di impassibilità che si sforzava di tenere, Konohamaru fosse davvero spaventato.

“Per tutta la vita ho sognato di poter indossare la cappa di Hokage.” il Sarutobi faceva fatica a trovare le parole, quasi gli si fosse annodata la lingua. “Da bambino vedevo mio nonno, e sognavo di poter diventare come lui un giorno: potente, rispettato, saggio…” scoppiò a ridere, una risata amara, priva di gioia. Non poteva essere più distante da quella visione.

“Konohamaru.” Enma parlò lentamente, quasi stesse cercando le parole giuste. “Non sei costretto a combattere. Se ti ritirerai, nessuno oserà accusarti di essere un vigliacco.”

Il Jonin non rispose. Vigliaccheria? Era quello che lo frenava dal ritirarsi? La paura di essere chiamato codardo? Di non potersi più guardare allo specchio? Era davvero quello che lo spingeva ad accettare quel folle duello?

Non ho paura di quella parola… abbassò lo sguardo, fissandosi i palmi delle mani. Erano mani segnate, mani di un guerriero, ma Konohamaru non ci vide questo. Ci vide un liquido viscoso e denso colargli sopra, un liquido vermiglio che lo riportò indietro nel tempo, al momento in cui era morta una parte di lui.

Udon…

Lo poteva sentire, quasi fosse materiale. Il peso che portava sulle spalle. Quando Udon si era messo tra lui e la morte l’aveva fatto per un motivo per preciso: per proteggere il suo sogno. Udon era morto convinto che fosse lui la scelta migliore per il futuro del loro Villaggio, un futuro dove i ninja non sarebbero stati costretti a seppellire i loro amici e parenti, dove i figli non sarebbero cresciuti soli.

Amico mio. Il dolore di quella scomparsa non era mai sparito del tutto, e lo senti sotto la pelle, ricordandogli come ogni respiro che compiva era un dono di Udon.

“Non ho paura di morire.” dichiarò infine, vedendo le tenebre del dubbio dissolversi come nebbia mattutina nella sua mente. “Ho paura di non poter mantenere una promessa.”

 

“Un giorno io diventerò un grandissimo Hokage!”

“Smettila, Konohamaru.” borbottò Moegi, agitando le trecce nello scuotere la testa. “Tanto è impossibile che diventi più forte del Terzo. Lui è davvero il numero uno.”

“Invece io diventerò più forte di tutti! Anche di mio nonno!”

“Io credo che possa farcela.” Konohamaru si girò di scatto, osservando Udon tirare su con il naso, quasi in imbarazzo per aver partecipato alla discussione. “Io ho fiducia in te, amico. Se dici che diventerai più forte del Terzo, allora lo farai.”

“Udon! Non dargli corda nelle sue follie!”

Un sorriso si aprì sul volto del giovane Sarutobi. In quel momento, per lui non esisteva niente, se non le parole d’incoraggiamento del suo migliore amico.

 

Fece un profondo respiro, tentando di buttare fuori tutta la negatività degli ultimi giorni. Il pensiero di Udon era ancora lì, dentro di lui, che sanguinava con l’intensità di sempre. Un dolore con cui aveva imparato a convivere, ma che non sarebbe mai scomparso.

Devo farlo. Si batté le mani sulle cosce, scacciando via così tutte le paure e le indecisioni.

Per lui.

Sorrise, un sorriso amaro ma pieno di determinazione.

Diventerò Hokage anche per te, Udon.

E’ una promessa.

 

 

Non sentì nulla, né paura o altro, quando varcò la soglia della sala delle riunioni. Aveva riflettuto anche troppo su quella scelta, ed ormai non poteva più tirarsi indietro. Avrebbe combattuto fino alla morte per il suo sogno, andando oltre anche quell’ostacolo.

Nella sala erano già presenti l’Hokage con i suoi consiglieri. Konohamaru poteva vedere sul volto di loro espressioni contrastanti, simbolo di ciò che provavano. Non approfondì la questione, non gli interessava. Era lì solo per una cosa ed una sola.

Sorrise quando lo sentì arrivare.

Naruto entrò con passo pesante, quasi stanco. Il volto dell’Uzumaki in quegli istanti sembrava trasparire più anni di quanti ne avesse in realtà, quasi che quell’ennesima lotta lo stesse consumando dentro. Tuttavia, le iridi chiare erano colme di fredda e cieca determinazione, mentre si affiancava al Sarutobi in attesa.

Kakashi fissò per lunghi istanti i due shinobi, i quali emanavano reazioni contrastanti. Ribollente e pronto all’azione Konohamaru, freddo e determinato Naruto.

Socchiuse gli occhi, notando improvvisamente quanto Konohamaru avesse ereditato dal suo amico Asuma. Poteva quasi vederlo, giovane e smanioso di metterti in mostra, alla ricerca di liberarsi dell’ombra ingombrante del Terzo Hokage.

La storia adora tornare sui propri passi.

“Naruto Uzumaki… Konohamaru Sarutobi.” esordì infine, sollevando le spalle e dando alla propria voce un timbro ufficiale. “Siete stati convocati innanzi a questo consiglio per un motivo.”

Tsunade prese a battere nervosamente sul tavolo laccato, il tutto mentre gli occhi di Koharu brillavano di trionfo.

“Entrambi siete stati scelti per il titolo di Hokage.” proseguì il Sesto. “Tuttavia, solo uno di voi potrà ambire a questo nobile e gravoso incarico.” i freddi occhi dell’Hatake si spostarono sul più giovane dei due. “Intendi tu rinunciare alla tua candidatura, Konohamaru Sarutobi?”

“No.” rispose seccamente lo shinobi moro.

“E tu… Naruto?” la voce di Kakashi sembrò ammorbidirsi per un istante nel nominare il suo vecchio allievo. “Intendi ritirare la tua candidatura?”

Naruto non rispose subito. Il suo sguardo, da freddo e duro, si sciolse, mentre un sorriso amaro gli increspò le labbra.

“Non pensavo che sarebbe finita così.” esordì lanciando un’occhiata al fratello adottivo. “Ho sempre creduto che saresti diventato Hokage dopo di me… Konohamaru.”

Konohamaru non rispose, ma per un istante sembrò a disagio.

“Come desideri.” con un sospiro, l’Uzumaki ritornò freddo e duro con lo sguardo, mentre annunciava che non aveva intenzione di ritirare la propria candidatura.

“Capisco.” Kakashi fece un profondo respiro. Per la prima volta dopo anni, sentì nuovamente il senso di colpa graffiargli l’anima e lo spirito. Non desiderava quel combattimento, ma non aveva idea di come fare per impedirlo.

“Dunque è deciso che tra tre giorni, all’alba, vi scontriate in una località che vi sarà mostrata solo il giorno del combattimento.” Shikamaru fece un profondo respiro, soffiando fuori fumo grigiastro dalle labbra, un’espressione contrariata sul volto. “Una volta giunti a destinazione, potrete iniziare a combattere.” gli occhi intelligenti dell’Hokage brillarono sinistramente. “Potrete usare qualsiasi tattica, nessuna regola, nessun limite di tempo. Vince chi costringe l’avversario ad arrendersi… o lo uccide.”

I due shinobi annuirono.

“Allora andate… e buona fortuna ad entrambi.”

 

 

Prima di uscire, una mano dura come l’acciaio lo afferrò per la collottola, sbattendolo contro il muro.

“Cosa dia…”

“Si può sapere cosa vuoi fare, moccioso?!” a sibilargli a pochi centimetri dal volto era Tsunade, livida in volto. “Hai la più vaga idea di cosa stai facendo?!”

Konohamaru tentò di liberarsi, ma la presa della Senju era inscalfibile.

“La cosa non la riguarda.” osservò, scornato dal non riuscire a liberarsi. “Il tempo in cui poteva dirmi cosa fare è finito da un pezzo.”

“Stupido! Ti stanno usando come una marionetta!” le iridi smeraldine del Quinto Hokage sembravano in procinto di incenerire il giovane shinobi. “Credi davvero di stare realizzando il tuo sogno? E’ così che vuoi diventare Hokage? Con la cappa sporca del sangue di Naruto?!”

“Lei è come mio nonno!” replicò il Sarutobi, riuscendo infine a liberarsi. “Pensate tutti di sapere quale sia la strada migliore per me! Ma sono io, io soltanto che la decido!” le iridi scure brillavano al pari di quelle di Tsunade. “Ho già le mani sporche di sangue, e non mi importa se dovrò sporcarle di nuovo.”

Le labbra della kunoichi si torsero in una smorfia di disprezzo.

“I morti non pretendono nulla, Konohamaru. Prima lo capirai, meglio sarà per te e per i tuoi cari.”

“Sono già tutti morti.” ora la voce dello shinobi divenne velenosa. “Morti per questo Villaggio… che differenza fa se uso la mia vita per realizzare il mio sogno, invece che darla a Konoha? Cambierebbe davvero qualcosa?”

Lo schiaffo risuonò violento. Sorpreso, il moro cadde al suolo. Si rialzò subito, rimanendo sconvolto nel vedere gli occhi di Tsunade diventare lucidi.

“Il solo fatto che parli così prova che non sei degno di quel titolo!” esclamò la Senju. “Cosa credi che sia per te tutto questo?! Un gioco? La vita per te è solo un oggetto da sacrificare per la tua ambizione?! Hai mai pensato ai tuoi amici? A tutto ciò che ti resta ancora di caro in questo posto?! Saresti pronto a gettare tutti loro nel dolore solo per un capriccio?!”

Konohamaru non rispose. Sentì dentro di sé qualcosa di simile a rimorso, ma lo seppellì sotto tutto ciò che aveva costruito in quei giorni dentro di sé. La sua determinazione non sarebbe crollata per così poco.

“Volevo bene a tuo nonno.” proseguì con tono più calmo la kunoichi. “Ed è solo per il rispetto che provavo per lui che non ti spacco la faccia.” ora anche il suo sguardo era tornato freddo. “Vai a morire, se così desideri. Ma sappi che non combatterai per Udon… ma solo per la tua ambizione.”

Se ne andò. I suoi passi suonarono duri e secchi lungo i corridori dell’edificio, rimbombando nella testa dello shinobi come tanti aghi. Non l’avrebbe mai ammesso, ma la parte più profonda del suo inconscio era turbata.

 

 

Hinata non era solita intromettersi nelle decisioni del marito riguardo al lavoro. Con gli anni aveva imparato a fidarsi di lui, a capire come l’istinto dell’Uzumaki, per quanto a volte grezzo, raramente sbagliava.

Ma ora, dopo tre anni meravigliosamente monotoni e privi di conflitti, quella scelta proprio non la capiva. O meglio, comprendeva le ragioni che stavano dietro, ma si rifiutava di accettare l’idea che non esistesse altra soluzione a quel duello all’ultimo sangue.

La sera prima del duello, Naruto aveva cercato di comportarsi come sempre, non volendo preoccupare la sua famiglia. A cena scherzò con Himawari, diede un paio di buffetti per provocare Boruto per gioco, e strinse più volte la mano alla moglie, quasi quella fosse una normale serata di fine aprile. Hinata però notò più volte come il sorriso del marito raramente sfiorava gli occhi, e più di una volta avrebbe giurato di vederlo colto da un lieve tremore, quasi si aspettasse che il duello cominciasse da un momento all’altro.

Fu solo quando i bambini stavano dormendo, che vide Naruto uscire di casa con passo lento, sedendosi in veranda con un sospiro.

“A cosa pensi?” mormorò una volta raggiunto con un lieve fruscio.

L’Uzumaki alzò la testa, le iridi chiare che si specchiavano nelle stelle fredde e pallide.

“Che questa potrebbe la mia ultima notte da vivo.” osservò infine.

“Non dirlo neanche per scherzo.” replicò la Hyuga, sentendo il cuore subito strizzato in una morsa di ghiaccio. “Non sono cose da dire, specie da chi ha superato mille avversità.”

“Nessuno sa come un duello può finire, per quanto squilibrato possa essere.” lo shinobi sospirò, tornando a fissare il vialetto curato. “Mi ero giurato che non avrei mai più combattuto contro un mio caro… non dopo Sasuke… non dopo Himawari…”

Hinata gli strinse la mano, portandosela al viso. Per quel tormento non esistevano parole capaci di alleviarlo. Tutto quello che poteva fare era rimanere al suo fianco, facendogli capire che aveva fiducia in lui e che niente avrebbe mai cambiato quel fatto. Naruto sembrò capirlo, sorridendole dolcemente, scostandole una ciocca di capelli corvini dal volto.

Sono fortunato a poterti stare accanto, Hina-chan.

Nessuno dei due parlò più per quella sera. Rimasero seduti a fissare le stelle fino a quando la notte non diventò vecchia, assaporando quei momenti di pace prima della tempesta.

 

 

Moegi fece un profondo respiro, alla ricerca di ogni oncia di pazienza che le fosse rimasta in corpo. In quegli istanti, Konohamaru stava riuscendo a prosciugargliela con fastidiosa velocità.

“Per l’ultima volta, Konohamaru…” esordì la kunoichi, ma il Sarutobi la bloccò sul nascere.

“Risparmia il fiato, Moegi.” dichiarò con voce ferma. “Ho preso una decisione, e non tornerò indietro per niente al mondo.”

“Certo, perché questa storia mi puzza di stronzata lontano un miglio?” la kunoichi strinse le labbra fino a formare una linea sottile. “Tu non devi dimostrare un cazzo a nessuno, possibile che non lo capisci?”

Si trovavano nel salotto di lui, spoglio e spartano, seduti su un divano troppo vecchio per risultare comodo. Konohamaru teneva gli occhi fissi su un televisore che sparava notiziari insulsi da più di un’ora. Nessuno aveva accennato al duello del giorno seguente. Kakashi si era premurato che rimanesse segreto, per evitare folle di curiosi e crisi diplomatiche con gli altri Villaggi.

“Perché non mi vuoi ascoltare?” vedendo l’amico rimanere apatico, Moegi sbuffò. “Ogni fottuta volta che ti sei messo nella merda, io ti ho aiutato, te lo ricordi almeno questo? Ogni singola volta.” si sistemò meglio, facendo cigolare le molle arrugginite sotto di lei. “Ma domani, quando sarai con il culo per terra, non potrò farlo, lo capisci?”

“E chi ti dice che finirò a terra?”

“Cazzo, Konohamaru! Cresci una buona volta!” la kunoichi si passò le mani tra i capelli, sentendo improvviso il desiderio di pestare a sangue l’amico. “Non sei più un ragazzino, quindi dovresti arrivarci da solo. Lui… lui ha affrontato cose che neanche nei tuoi sogni più oscuri puoi immaginare. E… ha un fottuto demone dentro di sé! Può incenerirti con uno schiocco di dita, e tutto quello che potrai fare sarà la figura del coglione.”

Il Sarutobi si alzò di scatto, quasi fosse stato attraversato dalla corrente elettrica. Si voltò verso l’amica con il volto pallido, le iridi scure che brillavano di rabbia.

“Tu non sai niente di me!” ringhiò, il viso ad un centimetro da quello di lei. “Mentre tu ti dilettavi ad allenare marmocchi, io mi sono spaccato le ossa! Mi sono allenato ogni giorno, ogni singolo, fottuto giorno, da quando Udon è morto, il tutto mentre Naruto ammuffiva dentro un ufficio!”

“Quindi è questo il tuo piano? Sperare che in tutti questi anni, Naruto si sia ammosciato? Cazzo, fai prima a piantarti un kunai in gola, soffriresti meno.”

“Tu sei come tutti gli altri. Siete convinti che Naruto sia invincibile solo per ciò che ha fatto in passato. Ma Naruto non è imbattibile, rifletti! Anche nel suo più grande trionfo è uscito menomato, perdendo il braccio destro.”

“Ma l’ha perso contro Sasuke Uchiha! Credi davvero di essere a quel livello?!” Anche Moegi si alzò, per nulla intimorita dall’atteggiamento dell’amico. “Sei davvero più stupido di quanto pensassi. Ti butti a capofitto in un’impresa suicida solo per… cosa?! Per dimostrare che hai il cazzo? Per fare un favore a chi è sottoterra da anni?”

“Chiudi la bocca…”

“Lo farei se tu fossi disposto ad aprire gli occhi!” la kunoichi alzò la voce, in preda alla rabbia. “Udon è morto! I tuoi genitori sono morti! Tuo nonno, tuo zio… ogni singolo membro della tua famiglia marcisce sotto una tomba! E tu come pensi di ripagare questo? Con un duello all’ultimo sangue, stupido e insensato?!”

“TI HO DETTO DI CHIUDERE LA BOCCA!”

Nel salotto scese un silenzio denso, quasi solido, rotto solo dal ronzio del televisore in un angolo. Moegi sgranò gli occhi, quasi incredula di cosa fosse diventato Konohamaru. Del suo amico ormai non era rimasto più nulla, lo capì dai suoi occhi gelidi, sepolto sotto quintali di cieca determinazione.

“E Hanabi?” le parole le uscirono fioche, quasi un sussurro. “Lei cosa dice? Anche a lei urli di stare zitta?”

Il Sarutobi rimase in silenzio, lo sguardo improvvisamente perso in ricordi troppo recenti perché non ferissero. Ricordava bene la reazione di Hanabi quando le aveva detto del duello.

 

“Ti farai ammazzare, Saru! E io non potrò impedirlo… morirai solo per mantenere la promessa fatta ad un morto!”

 

Lui non è un morto… lui è Udon, cazzo!

Il suo sguardo tornò freddo, sepolto sotto tutto ciò che aveva deciso di portare a compimento, anche a costo della sua morte.

“Lasciami.”

Si voltò, facendole intendere che per lui quella conversazione era finita. Che il dolore che si portava dentro da troppi anni non poteva essere celato ancora. Udon era morto, lui aveva giurato che sarebbe diventato Hokage, e avrebbe portato a termine quel giuramento.

Anche a costo di uccidere, anche a costo di morire.

Moegi fece un profondo respiro, tentando di trattenersi. Sentiva le lacrime premere per uscire, ma non voleva dargli anche questa soddisfazione.

“Hai provato a seppellire il tuo senso di colpa per anni dietro questa promessa infame.” una lacrima le sfuggì, ma lei la asciugò con un gesto stizzito. “Vai a morire allora, idiota.”

Se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle, lasciandolo solo.

Solo con il fantasma di Udon.

Udon…

Perché nessuno capiva? Perché nessuno di loro riusciva a comprendere ciò che lo spingeva ad accettare quella sfida? Non era la lotta per il potere ad interessargli, non gliene fregava nulla di essere manipolato, non se ciò gli avrebbe permesso di ottenere ciò che voleva.

Ma allora perché?

Perché nessuno di loro ha visto il proprio migliore amico morire tra le sue braccia. Nessuno di loro lo ha visto morire come un cane solo per salvarti la vita. A nessuno frega un cazzo di Udon ormai, gli interessa solo andare avanti con le loro vite di merda.

Strinse i pugni fino a sanguinarsi i palmi. Si accovacciò per terra, gli occhi chiusi, mentre una rabbia fredda lo consumava dentro, un pozzo senza fondo dove affondare senza speranza di riemergere.

Udon non doveva morire.

Ed era solo colpa sua se era morto.

Quella promessa non l’avrebbe riportato indietro, ma mantenerla avrebbe significato mantenere viva la sua memoria. Avrebbe mostrato al mondo che Udon non era ancora morto, che viveva in lui, e che l’avrebbe aiutato a diventare l’Hokage più forte di tutti.

Naruto… aprì gli occhi, il respiro di nuovo calmo. Domani combatteremo.

E sarò io a vincere!

 

 

Naruto scrutò il cielo limpido sopra di lui. Era una giornata calda ed afosa, con solo poche nubi sfilacciate che solcavano pigre il cielo. Gli agenti atmosferici non l’avrebbero ostacolato per quel duello.

Le iridi chiare dell’Uzumaki si abbassarono, scrutando ciò che lo circondava. Si trovava in un’ampia depressione rocciosa, ricca di macigni di ogni forma e dimensione, spesso striati di venatura rossastre. Nessun arbusto, nessun possibile nascondiglio, nessuna fonte d’acqua. Un terreno aspro e aperto, dove le arti ninja sarebbero state assai poco utili.

Sorrise, aspirando una boccata d’aria calda. Comprendeva perché Kakashi avesse scelto un simile campo di battaglia: neanche l’Hokage voleva allungare troppo quel duello. Sarebbe stato uno scontro aperto, privo di trucchetti o imbrogli. Nel complesso, assai poco da ninja.

Sentì arrivare Konohamaru con un frusciò. Il suo sorriso aumentò, diventando amaro, nel constatare come il Sarutobi paresse perfettamente calmo e posato. Sembrava davvero sicuro di sé.

“Alla fine hai ottenuto ciò che volevi.” esordì l’Uzumaki, la voce calma e fredda. “Mi auguro che accetterai anche tutte le conseguenze.”

Konohamaru inclinò la testa verso sinistra, le iridi scure incredibilmente fredde e cariche di determinazione. Naruto lo riconobbe subito per quello che era: lo sguardo di un uomo pronto ad uccidere.

Siamo arrivati a questo… fratello?

Era una follia, lo capiva fin troppo bene. Una follia che si ripeteva con agghiacciante ciclicità: Madara e Hashirama, Jiraiya e Orochimaru, Kakashi e Obito, lui e Sasuke… ed ora Konohamaru. Sembrava che Konoha stessa si divertisse a mettere gli amici l’uno contro l’altro, ma lui non sentiva altro che stanchezza e rabbia per quella situazione.

“Mi sono allenato a lungo, Fratello.” replicò lentamente il Jonin più giovane. “Mi sono preparato per anni a questo momento, e ho già un piano in mente per sconfiggerti.” strinse i pugni, irrigidendo le spalle. Era pronto a scattare. “Oggi perderai tu.”

Anche Naruto irrigidì ogni muscolo, pronto a scattare.

Era pronto.

“Mostrami.”

Si mossero all’unisono, due meccanismi di morte perfettamente sincronizzati. Il colpo del pugno destro di Konohamaru si infranse con violenza contro il gomito sinistro di Naruto, i loro sguardi freddi che si scrutavano con gelida collera.

Il duello per il titolo di Hokage era cominciato.

 

 

CONTINUA

 

 

Note dell’Autore:

 

Ehm… salve! Dopo mesi di assenza (dovuti ad impegni extra tipo lavoro, studio, ecc), ritorno finalmente su questa raccolta, con la seria idea di concluderla. Qui infatti inizia l’ultimo filone narrativo che ho in mente per questa storia, dove avverrà un po’ di tutto. Spero che possa piacervi, e intanto vi lascio questo capitolo. Come sempre ricordo che qualsiasi recensione (positiva o negativa) è ben accetta, così come consigli o suggerimenti.

Un saluto!

 

Giambo

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