Se questo è amore

di ellephedre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pensavo di sapere tutto sull'amore ***
Capitolo 2: *** Oh Lara, perché sei tu Lara? ***
Capitolo 3: *** La scema senza banco ***
Capitolo 4: *** Coso nuovo o coso Zanin ***
Capitolo 5: *** Cosa successe ad Halloween ***
Capitolo 6: *** Grazie a un paio di leggins ***
Capitolo 7: *** Amore ***
Capitolo 8: *** Il lato oscuro ***
Capitolo 9: *** La mamma ***



Capitolo 1
*** Pensavo di sapere tutto sull'amore ***


SE QUESTO È AMORE
 
Amore. Pensavo di sapere tutto sull’amore.
Amore è quando inizi a sudare ed agitarti perché il ragazzo che ti piace sta salendo per le scale della scuola, tu stai scendendo e non sai se cambiare strada o tirare dritto e provare a sorridere, sperando che si accorga di te, pregando che si accorga di te.
Amore è quando lui ti rivolge la parola e tutti i sogni che hai fatto ad occhi aperti diventano realtà. Non hai il coraggio di guardarlo, non sai che dire, ma lui è tanto carino e paziente, ti aspetta. Ti ascolta, ti guarda e nelle sue iridi blu tu vedi le stelle.
Amore.
Amore è quando il primo bacio ti fa tremare come su una sedia elettrica – o almeno questo è quello che hai fatto tu e per fortuna lui ha riso e non ti ha trovato ridicola.
Amore è quando ti svegli frugando nel letto alla ricerca del cellulare per il saluto del primo mattino . Senti di avere la sua voce nell’orecchio, nel cuore. E sai che la vita è perfetta, il mondo è perfetto.
Questo era quello che sapevo io sull’amore.
Quello che credevo di sapere e che ora mi confonde.
Forse amore è anche continuare a tornare da un ragazzo che ti sta antipatico, che ti stuzzica e ti prende in giro, ma ti parla come se fossi una persona adulta invece di una bambina.
Lui non ti fa i complimenti, non ti riempie di attenzioni, ma a volte senti che con uno sguardo sfuggente ti ha dato così tanto di se stesso che hai voglia di fare due passi in avanti per parlargli da vicino, per chiedergli chi è, che cosa desidera, per cosa soffre, cosa vuole diventare da grande.
È una connessione folle, assurda. Il tuo cuore invece di correre come un pazzo si calma e nella tua pelle ti sembra di stare meglio – di non essere solo una ragazzina di sedici anni che nemmeno il suo ragazzo prende sul serio.
È amore? Se lo è questo, non lo era quello di prima?
Con le tue amiche ne parli ma loro sono più confuse di te. Alla nonna non osi dire niente perché darebbe di matto se sapesse che ti sei fatta un fidanzato. Ha avuto brutte esperienze la tua povera nonnina. Colpa di mamma, a cui ovviamente non chiederesti mai consiglio perché è rimasta incinta a quindici anni, ha avuto te, e tuttora, a trentadue anni suonati, non sa stare insieme ad un uomo per più di sei mesi.
Sai che se sei tanto incasinata è merito suo.
Sei sola nell’amore – in questi amori - o forse no.
Forse puoi chiedere aiuto al tuo fidanzato – o a quell’altro ragazzo con cui vuoi passare sempre più tempo.
Ma sai bene quale tra i due sarà l’unico ad ascoltarti.
 
Una coda pelosa mi si struscia contro la faccia e metto giù la penna.
“Oh, King!”
Il mio gatto è il mio migliore amico sin da quando avevo otto anni, l’unico che mi è sempre stato vicino. Lo abbraccio,  lo stringo al petto.
“Non so cosa fare, King.” Strofino la punta del naso contro il suo nasino rosa, cercando risposte nei suoi enormi occhi verdi. “Non sono strana a scrivere un diario? Lo fa ancora qualcuno?”
King inizia a farmi le fusa.
Raccolgo le gambe per farlo sdraiare sulle mie ginocchia. Gli impasto la pancia e lui si stiracchia.
“Chi devo scegliere, hm? Chi ti piacerebbe di più?”
La domanda è proprio stupida, mi dico.
Solo Teo verrebbe a casa mia, se mai arrivassi  a presentargli i miei nonni. Lui - l’innominabile altro – magari nemmeno pensa a me in quel modo. Forse è tutto un film che mi sono costruita da sola nella mia testa. Sto qui a scervellarmi come se ci fosse una scelta e magari Lui da qualche parte ha una ragazza stupenda che salterà fuori proprio quando io gli farò capire che mi interessa.
Se lo farò mai. Se avrò il coraggio di capire cosa provo rischiando di restare senza alcun fidanzato, cosa che non voglio assolutamente.
Affondo la faccia nel collo di King.
“Sono pessima, pessima!”
Mi viene da piangere.

NdElle: una originale che sto scrivendo con l'intenzione di trasformarla in un libro. Vengo dal fandom Sailor Moon e se lo conoscete lì c'è un certo triangolo, a cui mi sto ispirando per le relazioni che descriverò in questa storia. Avete capito chi è chi? :) Che pensate di questa breve introduzione?

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Capitolo 2
*** Oh Lara, perché sei tu Lara? ***


Sono appoggiata sul davanzale della finestra della classe, con le braccia incrociate. Guardo il cielo sconsolata.

Forse queste settimane della mia vita sono come una lunga giornata piena di nuvole? Il sole è dietro quella coltre fitta, si intravede, ma non può brillare finché è così coperto. Basta aspettare e i raggi della felicità torneranno ad illuminarmi, indicandomi con chiarezza la via.

"Lara, oh Lara, perché sei tu Lara? Rinnega tuo padre e rifiuta il tuo nome!"

Arrossisco e mi giro verso la mia amica Claudine. "Perché sei così scema?"

Quelli che sono rimasti in classe durante l'intervallo ci guardano tutti, ridendo, ma a Claudine non interessa. Sogna di fare l'attrice e ama stare al centro dell'attenzione.

Abbassa il braccio con cui mi ha decantato la sua ode. "Scusa, ma eri così teatrale mentre osservavi il cielo pensosa. Eri troppo drammatica e Shakespeare mi è uscito da dentro."

Mi domando quando finirà la sua fissa col teatro. L'ha scoperto di recente, dopo che ha letto che alcuni divi del cinema hanno iniziato la loro carriera recitando in produzioni teatrali alle superiori, o al college. Da allora non fa che lamentarsi perché nelle nostre scuole non c'è niente di simile, figurarsi all'università.

Ieri sognava di andare a fare la cameriera a Hollywood, tentando la fortuna. Oggi vuole esercitarsi in recite sempre più importanti, di qualunque tipo, per farsi ammettere all'Actors Studio di non so dove.

Claudine è esagerata in tutto, ma la invidio. Almeno lei ha in mente una strada per realizzare il suo sogno.

Io che voglio vivere scrivendo non ho nemmeno una storia da raccontare e passo il mio tempo scrivendo frasi pseudo-profonde sui quaderni. Se qualcuno le leggesse scoppierebbe a ridere - con l'eccezione delle mie amiche, ma loro non contano.

Clò si è appoggiata contro il muro accanto a me. "Pensi sempre al tuo dilemma? Oh, amore, cos'è l'amore e chi sarà mai per me?"

Non lo fa apposta a parlarmi come se mi stesse prendendo in giro. Su questa cosa non mi capisce. "Se non sei carina non ti racconto niente."

"Perché, c'è qualche novità?"

Curiosa che non è altro. "Ieri Teo mi ha scritto, forse oggi ci vediamo."

"Forse?"

"Mi ha detto che magari esce coi suoi amici, sai com'è in questo periodo. È un po' strano."

"Tu sei strana, ad accettare che ti tratti così."

Claudine non è mai stata dalla mia parte quando si tratta di Teo, ma più lo critica più io insisto a difenderlo. "Non capita a tutte le coppie un periodo basso? Non può essere sempre come all'inizio. Poi lui magari mi sente lontana con la testa e... non so, forse vuole che sia io a cercarlo di più." Solo che io non me la sento.

Claudine ha roteato gli occhi al cielo, piegando la testa all'indietro. "I ragazzi non si fanno queste menate mentali, Là! Se non ti sta addosso è perché non ti vuole più come prima."

Ho imparato a lasciarla perdere quando fa queste uscite. "Tua mamma ti ha fatto guardare troppi film romantici."

"Alcuni descrivono bene la realtà. 'La verità è che non gli piaci abbastanza' è un motto che mi ha salvato da tante cotte stupide."

Clò si è salvata da sola dalle cotte. A volte mi chiedo se si sia mai innamorata.

"Comunque" le dico, "non mi sento di incolpare Teo di nulla. Anche io non sto pensando a lui come dovrei."

Clò è esasperata. "Allora lascialo!"

Qualcuno in classe si è voltato. Fortuna che non ci sono quelle pettegola di Lisa ed Elena.

"Shh, vuoi stare zitta? Così lo saprà tutta la scuola!"

"Pff! Il tuo ragazzo sa da sempre che non mi piace, non sarebbe una novità per lui."

"Però un po' di discrezione non farebbe male."

Mi giro verso Mari, che è appena tornata dal bagno. Come sempre lei prende le mie parti e io le voglio un sacco di bene.

"È tutto quello che chiedo" dico a Claudine. "Discrezione. Se mai lascerò Teo, voglio che lui lo sappia da me."

"Ah! Allora ci stai pensando!"

Clò è troppo trionfante. "Non lo so! Non so niente!" Non capisce che così mi fa sentire ancora più confusa?

"Per me sei già persa di quell'altro, non capisco perché non rompi e basta."

Mari - Marilena, ma preferisce non essere chiamata così - parla per me. "Per Lara Teo è ancora importante. Non ha smesso di amarlo, lui rappresenta troppe cose per lei. Il primo amore."

"Già" le faccio eco.

"Il primo batticuore, il primo ragazzo. Il primo bacio."

Mi invadono una marea di ricordi meravigliosi. Il mio primo bacio è stato magico e se ci ripenso ho ancora voglia di gettarmi tra le braccia di Teo. "Esatto. Matteo è stato fantastico, non si merita che lo lasci."

Claudine si morde le labbra. Ha una carattere passionale, ereditato dalla mamma francese - anzi, parigina, come specifica la signora Duval.

"Non siete sposati, non devi rimanere con lui per tutta la vita."

Mari mi mette un braccio intorno al collo. "Dài, Claudine, lasciala stare. Lara prenderà una decisione quando se la sentirà."

Abbraccio Mari di rimando, regalando una piccola linguaccia a Clò.

Lei finge di prendersela, poi io la afferro per il gomito e abbraccio anche lei.

"So che mi dici queste cose per il mio bene. Sto pensando a tutto, solo che sono così indecisa."

"E insicura. Se ti fossi già buttata con l'altro Lui, secondo me ora avresti già detto addio a Matteo."

"Non voglio tradirlo."

Claudine si stacca. "Tsk. Lui non ne morirebbe."

La campanella che suona ci interrompe, impedendomi di chiederle cosa intende.

Faccio solo due passi per tornare a sedermi, dato che sono in prima fila. Mari è la mia compagna di banco - una secchiona, a differenza mia.

Io sarei andata volentieri in fondo alla classe - stavo nell'ultima fila con Clò in quarta ginnasio - ma quel noioso del prof di italiano ci ha divise. Secondo lui insieme ci distraevamo troppo insieme. È così che ho conosciuto meglio Mari, facendola poi amare a Clò. 

Ho pregato Claudine di venire almeno in seconda fila quest'anno, dietro di noi, ma lei è stata categorica. "Non vi voglio così bene."
Nonostante tutta la sua baldanza, teme le interrogazioni come la peste.

Mari si è seduta e tira fuori il quaderno per l'ora di latino. "Gli esercizi per oggi erano difficili, vero? Come mai ieri non mi hai chiamato? Ti è venuta la frase cinque?"

Mi pietrifico sul posto. Deglutisco e non so come riesco a parlare. "Per oggi c'erano dei compiti?"

Mari sbatte le palpebre, una volta sola. "Oh, Lara."

Cribbio.

 

Ovviamente quel giorno la prof mi interroga e mi becco un bel 4.

Questa crisi amorosa mi farà bocciare.

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Capitolo 3
*** La scema senza banco ***


Il primo ricordo che ho di Teo dura come una piccola stories di Instagram, un video di dieci secondi che rimarrà per sempre scolpito nella mia memoria.
Se solo lo avessi filmato, ,oggi potrei guardarlo e riguardarlo, ma allora sarei apparsa ancora più cretina di quanto non sembrai poi ai miei compagni di classe quel primo giorno di scuola, in quarta ginnasio.
Per l’occasione mi ero alzata presto. Allo specchio avevo provato a fare qualcosa coi capelli per dieci minuti, poi li avevo lasciati sciolti, cercando di sedare col pettine le onde che si erano create nella notte. Non era un brutto look, lo shampoo aveva accentuato i riflessi chiari della mia chioma castana, lunga fino a metà delle spalle. Avevo messo jeans e maglietta nuovi – non ero mai stata tipa da marchi e loghi, ma avevo scelto un liceo classico frequentato da gente fighetta. Non volevo fare brutta figura. Così sulla mia maglia bianca campeggiava la scritta ‘Levi’s’ e avevo indosso le mie sneakers rosa più carine, consumate dall’uso. Col jeans nero pensavo di essere a posto – non sembravo ricca, ma nemmeno una stracciona.
In casa viviamo dello stipendio da operai dei miei nonni, che non sono ancora abbastanza vecchi da essere andati in pensione ma ci sono quasi.
È per loro che ho scelto un liceo che va oltre le mie possibilità. Le maestre delle medie mi avevano consigliato un liceo socio-psico-pedagogico o magari un istituto turistico, ma secondo i miei nonni quelle donne erano delle pessimiste che non avevano intuito le mie reali possibilità.
Insieme abbiamo scartato lo scientifico giusto perché arrancavo in matematica da sempre. È  toccato a me scegliere tra linguistico, artistico e classico.
Se possibile in inglese facevo ancora più schifo che in matematica e disegnavo come una bambina di cinque anni – avete presente gli omini con le braccia come due stecchini dalle cui estremità partono cinque bastoncini?
Eccomi, sono io, disegno così gli esseri umani – probabilmente ancora adesso, alla veneranda età di sedici anni. Non ritento da qualche tempo solo per la vergogna.
Quando ho optato per il classico i miei nonni hanno esultato e solo per questo ho capito di aver fatto la scelta giusta. Loro sognano di vedermi frequentare l’università e non fare come mia madre, che si è fermata alla terza media dopo anni passati a cercare di agguantare un diploma professionale alla scuola serale.
Alla fine a me piaceva leggere e pure scrivere. Il liceo classico era per gente come me, no?
Non sapevo ancora quanto mi sbagliavo. Stavo andando verso un ambiente in cui sarei stata come una gazzella assettata in mezzo a branchi di professori coccodrilli nascosti nelle pozze d’acqua, pronti a saltare fuori azzannandomi con le loro interrogazioni.
Forse avrei almeno dovuto scegliere un istituto poco prestigioso, in cui andassero un numero minore di figli di papà, ma scuole come quella si trovavano troppo lontano da casa mia.
Riesco ad arrivare al mio liceo in trenta minuti esatti dal momento in cui mi alzo dal letto - se sono in ritardo e non faccio colazione. Mi è sembrato un buon criterio di scelta: sono troppe le volte che non sento la sveglia.
In sostanza, ho lasciato che fosse la mia voglia di dormire a scegliere.
Quel primo giorno il nonno mi ha accompagnato fino al cancello in macchina, fiero di veder andare al liceo la sua unica nipotina.
“Dài, nonno, andrò tutti i giorni coi mezzi. Perché vuoi farmi fare brutta figura? Alle medie non mi hai mai accompagnato!”
“Perché ci andavi a piedi. Non ti accompagnerò certo all’università, ma quest’ultima volta voglio farlo. Su, niente storie, Larettina, monta in macchina!”
Non sono riuscita a negargli un bacio sulla guancia in cortile quel giorno, ma mi sono accorta che fra i primini non ero l’unica che si era portata dietro i genitori.
Il nonno, coi suoi capelli biondi appena striati da bianco, riusciva a passare per un papà un po’ attempato.
L’ho salutato un po’ timorosa, entrando a scuola dopo aver controllato sui fogli appesi al cancello dov’era la classe a cui ero stata assegnata. Salendo velocemente i due piani di scale mi sono scoperta nervosa ma decisa a dare l’idea di una che era a suo agio, figa nei modi se non nell’aspetto.
Non camminare come una papera e tieni la cartella su una sola spalla, come fanno i grandi.
Volevo fare amicizia, era ciò a cui tenevo di più in quella prima settimana.
Quando sono arrivata in classe c’era già un po’ di gente – più ragazze che ragazzi. Ho abbozzato sorrisi a destra e a manca, dirigendomi subito verso il fondo dell’aula.
Dei sei banchi nell’ultima fila orizzontale, quattro erano già occupati da giacche. Gli ultimi due erano vuoti, ma sulla parete vicina c’erano due zaini. Non capivo se erano un modo per segnare il territorio.
Mi sono appoggiata alla finestra accanto, per reclamare il posto senza troppa arroganza e andarmene velocemente se per caso avevo sbagliato.
Gli unici altri posti liberi erano nelle due file davanti e io ci tenevo davvero davvero tanto a non stare seduta così in vista.
«Uè, Teo!»
Un biondino magro alza il braccio al cielo, per salutare un ragazzo che è appena entrato dalla porta.
Mi ricordo il momento come in un film: lui che attraversa la soglia con un sorriso che illumina tutta l’aula – coi denti drittissimi, perfetti. Ha capelli neri che mi hanno tolto il fiato per quanto sono lunghi in un ragazzo. Gli arrivano fino alle spalle e con un gesto naturale lui li raccoglie in una mano. Si aiuta con la bocca a sistemare sulle dita l’elastico con cui li lega in una coda.
«Uhei, Giorgio!»
I due si danno il cinque.
Lui e quel Giorgio sembrano gli unici a conoscersi in classe. Il ragazzo appena arrivato supera il suo amico di tutta una testa. È altissimo, bellissimo e simpaticissimo. Sapete quando si capisce il carattere di una persona fin dalla prima occhiata? Lui non mi delude.
Allunga il braccio per toccare i compagni vicini, altri ragazzi.
«Io sono Zanin. Matteo, ma chiamatemi Teo, altrimenti non vi rispondo.»
Si mostra allegro con tutti, disponibile e interessato a conoscere i loro nomi.
Lo osservo dal mio angolino, persa nei suoi occhi blu, così vividi sotto le sopracciglia nere… Non mi accorgo che due ragazze hanno recuperato la cartella ai piedi della parete, sedendosi nei posti che cercavo di prenotare.
In classe entra la professoressa, una donna bassa con un tailleur marrone. «Buongiorno a tutti!»
Mi unisco al coro di saluto, cercando disperatamente dove sedermi.
«Mi chiamo Elisabetta Caruso, sono la vostra professoressa di latino e la referente della classe. Se vi siete già sistemati, facciamo l’appello.»
Mi nota in piedi in fondo all’aula, con le mani strette intorno alle bretelle della cartella. Tutti si girano verso di me, la scema che è rimasta senza banco.
Mi sento avvampare e so che ogni mio singolo compagno di classe sta scoprendo quanto arrossisco facilmente.
«Manca un posto?» La prof si abbassa a guardare il registro, poi la sua attenzione viene attratta da un movimento alla porta. “Due posti. Lei è la signorina?”
«Io?» Claudine è trafelata dalla corsa che ha appena fatto. «Mi chiamo Claudine Giraudo.»
«Le pare il caso di arrivare in ritardo il primo giorno?»
Claudine si incassa nelle spalle, ridacchiando. «Scusi.» Guarda la classe senza vergogna e so che li ha già conquistati.
«Sentite, ragazze, andate dal bidello all’inizio del corridoio e chiedete di far portare due banchi. Che disorganizzazione. Qui dobbiamo fare spazio. Voi alla finestra, tutta la fila. Spostatevi in avanti, fate posto.»
Scappo fuori dall’aula insieme a Claudine, non prima di aver visto la risatina che ho suscitato nel viso di Zanin, Teo.
Non è una risata cattiva – è una risata tenera, di quelle che si rivolgono al cuccioletto appena adottato che ha rovesciato la ciotola di cibo sul pavimento.
Non dovrei sentirmene lusingata, ma il cuore mi batte lo stesso fin nelle orecchie.
In corridoio Claudine si presenta. «Colpite dalla stessa sfiga, eh? Piacere, io sono Clò!»
«Io…» I nervi della figuraccia e quelli che mi ha regalato il sorriso di Teo mi impediscono di trovare le parole.  Mi ripiglio. «Io sono Lara Biondi.»
«Infatti sei bionda!»
Normalmente me la prendo per la battuta, ma Claudine ride di me in maniera troppo gentile per racimolare un broncio. «Ci sono biondi più biondi di me. Io sono quasi castana.»
«Ci sono castani molto più castani di te. Posso chiamarti Là?»
«Là come lì o qua?»
Claudine scoppia a ridere mentre camminiamo svelte in corridoio.
«Quando mi andrà sarai Là!»
Dopo aver parlato col bidello torniamo in classe e ce ne stiamo appoggiate al davanzale della finestra, in piedi, mentre la prof fa il primo appello.
Accanto a Claudine, così sicura di sé, non mi sento più un’imbranata. Teo non mi presa più attenzione più ma quel suo primo sguardo mi ha già rischiarato la giornata.

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Capitolo 4
*** Coso nuovo o coso Zanin ***


Sono passati due anni da quel primo incontro con Matteo.
Sono dieci mesi che stiamo insieme ed è da questa estate che nutro dei dubbi su di noi.
Mi domanderei com’è potuto succedere se non fossi stata presente a ogni singola ripetizione di matematica che mi è stata data da Lui.
Non riesco nemmeno a chiamarlo col suo nome. Mi si intreccia la lingua mentale appena gli dedico mezzo pensiero.
Sarebbe accaduto lo stesso se fosse rimasto il ragazzo che vedevo solo di tanto in tanto? Se non gli avessi parlato quasi ogni giorno, se non avessimo passato tanto tempo a meno di un metro di distanza l’uno dall’altra?
La risposta mi fa paura: non riesco a immaginare una vita senza quei pomeriggi, senza le sue battute caustiche, senza di lui che dopo l’ennesima equazione sbagliata sospira e mi dice, ‘Non ce la fai proprio, Biondina.’
Biondina.
Voglio sentirlo dire ancora, dalla sua voce.
Mi infilo le mani nei capelli.
Sono una traditrice! Non importa che non mi sia fatta nemmeno abbracciare, non faccio che pensare a un ragazzo che non è il mio fidanzato!
«Ancora?»
Claudine non mi aiuta, ma io le getto lo stesso le braccia al collo. «Sìì! Vi prego, ditemi cosa devo fare!»
Stiamo camminando in mezzo al parco. Striscio le ballerine sul selciato, aggrappandomi alla mia amica.
Claudine mi trascina verso una panchina mentre Mari ci segue serafica, assaggiando l’ultimo cono gelato della stagione. A inizio ottobre ci dirigiamo verso Halloween, ma io non sono ancora pronta a salutare il mio dolce estivo preferito e le ragazze mi hanno accontentata.
Claudine si siede, cercando di non farsi schiacciare dal mio peso. «Ricomponiti, Là! Io ti ho già detto quello che penso, il problema è che tu non mi vuoi mai ascoltar- ahia!”
I mie capelli si sono impigliati nelle cuffie che Clò porta alle orecchie – anzi, no, nel suo orecchino.
 «Lara!»
 «Scusa!» Provo a districare la ciocca, ma più tiro per guardare la forma del nodo, più ci attorcigliamo.
Mari allunga il suo cono a Claudine. «Tieni. Siete una causa persa, lasciate fare a me.»
Stiamo con le tre teste vicine.
«Mari, non sei stufa anche tu di questa situazione?» Claudine le offre il collo per agevolare l’operazione. «Ormai quando usciamo insieme non parliamo d’altro.»
«Per Lara è un momento di crisi. Che amiche saremmo se non l’ascoltassimo?»
«I love you, Mari.»
Lei si mangia le labbra nude, su cui non mette mai neppure un velo di colore. «Dovresti dirlo a uno dei tuoi ragazzi, mica a me.»
«Non sono i miei ragazzi. Voglio dire, uno solo di loro lo è, mentre l’altro…»
Mari stringe gli occhi scuri, grandi e lievemente sporgenti. È concentrata, sta cercando di non strappare via il lobo a  Clò. «Fossi in te io partirei da Teo. È con lui che hai una relazione, è su di lui che dovresti concentrarti. Hai avuto i tuoi giorni di confusione…»
«Giorni? Saranno almeno due mesi.»
Claudine è spietata.
«I tuoi giorni di confusione» ribadisce Mari, abituata a ignorare le sue interruzioni. Quando sta dando vita a un ragionamento, non esiste nessun altro. «Adesso è arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza. Perché non riprendi a frequentarlo come prima? Le vacanze sono finite. Non state più nella stessa scuola ma lui non si è mica trasferito in un’altra città. Tieni ancora a Teo, no? Non vuoi che il vostro rapporto si spezzi come se non fosse stato importante. Questo ti farebbe ancora più male, non so se te lo perdoneresti.»
Ogni sua parola emana saggezza. «È proprio così!»
«Allora torna a vederlo e a scrivergli come l’anno scorso. Magari ti sei lasciata incantare dal tuo insegnante di ripetizioni perché Teo era lontano.»
Temo che la faccenda non sia così semplice.
Con un sospiro di sollievo Claudine si scosta appena veniamo separate. Massaggia l’orecchio, infilando le dita nel caschetto rosso ciliegia. È la sua tinta del momento, a Natale sarà già passata ad un altro colore.
«Solo io vedo quanto Coso nuovo sia infinitamente meglio di Coso Zanin?»
Anche se la situazione è disperata, rido.
Claudine elenca con le dita le sue motivazioni. «Coso nuovo non è stato bocciato, a differenza di Teo. Coso nuovo piace alla tua famiglia, a differenza di Teo.»
«I miei nonni sono vecchio stampo, per forza preferiscono un ragazzo più serio.»
Claudine prosegue. «Coso nuovo – Lui - sembra una persona quadrata da come lo descrivi, il tuo esatto opposto. Ti ci vuole uno così.»
Non è per forza vero. «Io e Teo ci somigliamo in tante cose che contano. Mi sono divertita tantissimo uscendo con lui, mi ha fatto sentire speciale.»
Clò schiocca la lingua verso il palato. «Vedi? Io cerco di far pendere l’ago della bilancia da un lato e tu viri subito verso l’altro.  Là, secondo me il punto di una relazione non è sentirsi speciali ogni giorno. Non è possibile. Con quest’altro ragazzo tu ti senti normale – in senso buonissimo. Mi sembra che ti capisca per tutte quelle cose per cui Teo se la prendeva. Coso nuovo sa come trattarti.»
Non posso darle torto.
Mari sta terminando di masticare il suo cono. «Le parole non serviranno a convincerti, Lara. Torna da Teo. Standogli vicino capirai se tutte le emozioni che provavi prima sono ancora forti. Vedrai che deciderai in un attimo.»
Claudine solleva un sopracciglio.  «Tu credi?»
Mari solleva le spalle, pettinandosi con una mano i capelli crespi che odia tanto. Io trovo i suoi ricci neri così carini. «Lara segue sempre il suo cuore. Deve solo imparare ad ascoltarlo meglio.»
Rilascio un sospiro carico di rassegnazione. «Il mio cuore batte sia quando Teo mi manda un messaggio sia quando penso a Lui.»
«Ma almeno ti cerca ancora?»
«Chi?»
«Coso nuovo. Comunque questa storia è ridicola. Quando ti deciderai a dirci come si chiama?»
«Quando non sarò più tentata da lui. O quando mi ci metterò insieme.» Avvampo.
Clò e Mari si fanno una risatina.
«Finché non dico il suo nome è come se non fosse vero, capite? Mi riferisco al modo scorretto in cui mi sto comportando.»
Claudine sbatte una mano in aria. «Va bene, dicevi?»
«Hm? Ah, se Lui mi cerca ancora? No. Lo incrocio ogni tanto…»
Mari è preoccupata per me. «Sicura che ci fosse interesse da parte sua?»
«No! Per questo sono in crisi, altrimenti…»
«Altrimenti ti saresti fiondata tra le sue braccia?» Claudine ne è piuttosto sicura.
Guardo la ghiaia sotto i miei piedi, sentendomi meschina.
Il silenzio mi fa capire che le mie amiche hanno compreso il mio disagio.
Clò si alza dalla panchina, mettendomi una mano sulla spalla. Mi supera in altezza di dieci centimetri e quando fa così la sento come una sorella maggiore.
«Non sei tipa da restare sola, Lara. Magari è questo che dovresti risolvere prima di qualunque altra cosa.»
«La paura di non avere un fidanzato?» Cerco la verità nell’azzurro dei suoi occhi chiari.
Lei scuota la testa. «Mi riferisco alla paura di sentire che senza qualcuno accanto vali poco.»
Una dichiarazione che mi pesa come un macigno.
 
Claudine si separa da me e Mari in metropolitana, cambiando linea per tornare a casa sua, in una parte della città in cui io e Marilena ci sentiremmo fuori posto se non fosse per lei.
La zona è talmente chic che in vita mia ci ho messo piede solo per andare a trovare Clò. Non è recintata, c’è libero accesso, ma la barriera mentale è forte.
Cosa ci si va a fare in un quartiere del genere se costa troppo persino sedersi in un bar? Almeno credo.
La famiglia del padre di Claudine è altolocata; possiedono tre o quattro appartamenti in un condominio in cui i miei nonni non riuscirebbero nemmeno a comprare una cantina.
Non è mai stato motivo di divisione tra noi ragazze, perché Clò non si vanta dell’ambiente da cui proviene e noi non proviamo alcuna invidia verso la sua vita.
Non scambierei mai la casa piena di calore in cui mi hanno cresciuta i miei nonni col mausoleo di marmo in cui è venuta su lei.
Nel corridoio di casa sua potevo sentire l’eco della mia voce. Finora, quando siamo andati a trovarla, non abbiamo visto i suoi genitori. Non sono mai presenti. Al loro posto c’è una governante – una signora straniera gentile che parla un italiano stentato e si comporta con troppa deferenza verso Claudine. Le dà del lei, capite a che livello siamo?
Clò è sola e non posso fare a meno di pensare che il suo continuo sperimentare coi capelli sia un modo per attirare l’attenzione. L’ho trovata bellissima la volta che ha dovuto tenere la chioma a riposo per tre settimane, tornando a un biondo rosato molto chiaro che la faceva apparire tremendamente fragile.
E osa chiamare me bionda.
«Clò è molto diretta» esordisce Mari, tentando di dare un contesto all’ultima affermazione che abbiamo udito.
Scuoto la testa. «Mi serve sentirmi dire cose dure. Tu non lo farai mai, sei troppo buona. Anche a casa i miei nonni mi coccolano sempre.»
«Non quando si tratta di Teo.»
«Almeno non mi hanno impedito di vederlo. Temevano che facessi gli stessi errori di mamma…»
«Però non ti hanno parlato di contraccezione.»
Mari non approva, ma non conosce la nonna. «Hanno preferito ripetermi che a una brava ragazza basta poco per rovinarsi la vita. Sanno quanto ne sono consapevole. Comunque la nonna ha parlato con mamma. Sai, è stato per questo che è stata lei a farmi il discorsetto. La nonna non se la sentiva.»
Mari è a disagio al posto mio. «Povera Lara. Non possono sapere che con Teo tu non hai mai pensato di…»
Le sfuggo con lo sguardo.
Lei strabuzza gli occhi. «Davvero?»
«Ci ho solo pensato, solo quello. A giugno, quando stava finendo la scuola. Non è successo niente, non me la sentivo. Poi ho iniziato le ripetizioni…»
Mari è preoccupata. «Non pensi che sia per questo che Teo si è allontanato, vero?»
«No, no.  Ti ho fatto vedere i suoi messaggi. Ci scrivevamo ogni giorno…»
Faccio silenzio mentre penso a quello che sta ricordando anche lei: intere schermate di Whatsapp condite di ‘Buongiorno!” e ‘Buongiorno anche a te!’ - con cuoricini allegati, a volte qualche meme e un paio di battute.
Luglio è stato il mese più strano. Ci siamo chiamati e siamo stati più affettuosi che coi messaggi, ma qualcosa era cambiato tra noi.
Per quanto mi riguarda, sapevo la ragione: stavo incontrando almeno tre volte a settimana l’altro Lui.
Parlando di Teo invece… Penso che la bocciatura in quinta ginnasio l’abbia colpito duramente, soprattutto per come l’hanno presa i suoi genitori. Sono stati loro a mandarlo via per l’estate, senza che lui potesse farci nulla.
È difficile avere sedici anni e non potersi opporre.
Inspiro, tenendomi al palo di ferro della cabina della metropolitana.  «Hai ragione tu, devo vedere Teo più spesso. Magari organizzo una serata speciale, come a San Valentino.»
A Mari piace il mio ottimismo. «Brava.»
È così tenera nel supporto che mi dà. «Quando potrò condividere con te le mie idee romantiche per un appuntamento? Devi trovarti un ragazzo!»
Mari deglutisce. «Per me è presto. Non ci penso, sto bene per conto mio.»
«Cavolate! Non puoi sapere quant’è bello essere amate finché non lo provi!»
Metà vagone ha sentito la mia esclamazione. Io e Mari ridacchiamo, avvicinando la testa per nasconderci meglio dalla gente.
In momenti come questo penso che, quasi quasi, non mi serve essere innamorata.
Ho le mie amiche, sono felice. Sono in pace, non mi faccio paranoie.
Era questo che intendeva Claudine?
È questo che significa stare bene da sola?

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Capitolo 5
*** Cosa successe ad Halloween ***


Ho preso in mano la penna e ho davanti il mio diario.
Io e Teo questa sera ci rivediamo e non voglio che sia come le altre volte, quando sembrava che fossimo due che non sapevano più cosa dirsi. L’estate ha scavato un solco profondo tra noi.
Se ripenso agli inizi, credo che avrò più chiaro perché voglio stare ancora insieme a lui.
Appoggio la punta della biro sul foglio.
 
Siamo ad Halloween. Nelle ultime sette settimane ho trascorso il mio tempo in classe a guardare la schiena di Teo, ringraziando il cielo che lui stia in terza fila e non nell’ultima.
Se fosse stato seduto più indietro mi avrebbe visto mentre sospiravo per quel ciuffo di capelli corvini che gli incornicia un orecchio.
Claudine si è accorta della mia cotta dal terzo giorno di scuola. «Ti piace Zanin?»
Non è la prima volta che mi innamoro, ma è la prima volta che sento che si tratta di una cotta seria. Vorrei non parlarne; sento di portarmi sfortuna da sola dando voce a questo sentimento.
Claudine non ha bisogno della mia risposta. «Sei in buona compagnia, sai? Zanin piace anche a Ferretti e Togni. Secondo me Togni si butta per prima.»
Gaia Togni infatti aveva parlato con Teo sin dal primo giorno. Era sicura di sé, alla moda coi pantaloni a zampa d’elefante e il top attillato rosso fuoco. Sembrava avere almeno sedici anni, come Teo. Erano come due magneti di polo opposto che si attiravano naturalmente nel quarto d’ora d’intervallo.
Io mi rodevo dalla gelosia.
«Secondo me tu piaci a Monti.»
Mi era sfuggito un lamento schifato. Gabriele Monti? Il troll coi brufoli che non riusciva a tenere la schiena dritta e faticava a guardare i professori negli occhi?
Il mio orrore aveva divertito Claudine. «C’è sempre una ragazza a cui tocca essere la preferita dello sfigato della classe. Rallegrati, non devi parlargli.»
«Non voglio nemmeno pensarci.»
Claudine era riuscita a farmi aprire con una strategia precisa. «Allora… Zanin, hm? È carino ma non mi sembra adatto a te.»
«Perché?» Che ne sapeva lei? Manco mi conosceva.
«Non so, vi vedo come il gatto e il topo. Tu saresti il topo, ovviamente. Sai cosa fanno i gatti coi topolini? Non li mangiano subito: loro ci giocano, li stuzzicano. Si nutrono della loro paura. Li usano per divertirsi, poi li azzannano alla gola, a volte nemmeno per sfamarsi. Ho visto un documentario. Il gatto caccia per il puro gusto di cacciare, anche quando ha lo stomaco pieno.»
Quel giorno mi ero convinta di avere come compagna di banco una svitata. «Non siamo animali.»
«Tu ricorda quello che ho detto. Vedrai.»
Erano passate le settimane. All’inizio di ottobre Teo e Togni avevano cominciato a toccarsi in pubblico in maniera più intima: una volta, prima delle lezioni, lui le aveva stretto una mano intorno alla vita, baciandola sulla tempia e stringendola come se fosse il suo peluche preferito, con lei che lo guardava adorante.
Il mio cuore si era spezzato.
Claudine aveva infierito. «Visto?»
Due settimane dopo Teo si era già stancato di Togni. La loro storia era nata e morta fuori dalla classe. Avevamo capito che non erano più in buoni rapporti perché Togni aveva cambiato banco, offesa, per stare il più lontano possibile da Teo.
Io avevo ricominciato a sognare.
Ed eccomi qui, ad Halloween, che mi tormento al pensiero che da noi nessuno faccia feste casalinghe, come nei film americani. Sarebbe un’occasione unica per farmi notare da Teo.
Fino a questo momento le uniche interazioni che abbiamo avuto si riducono a un paio di sorrisi, più miei che suoi. Non me la sono presa: dopotutto, per gran parte del tempo Teo era fidanzato. É da persona seria non sorridere ad altre ragazze.
Le mie orecchie sono sempre bene aperte quando si tratta di captare le conversazioni che provengono dalla direzione in cui lui sosta, così non mi sfugge il discorso che fa con Colombo, Giorgio, il suo migliore amico.
«Stasera andiamo a vedere IT? Il remake.»
Teo sta mangiando la merenda, una sfogliatina del bar. «È già uscito?»
«Sì, hai visto il trailer? Ne parlano bene, voglio vederlo.»
«Chi ne parla bene?»
«I giornali, i critici.»
«Cazzo, Giorgio, sai che non sono mai d’accordo con quelli.»
Nel loro discorso si intromette Villa, un altro nostro compagno di classe. «Io sono andato a vederlo. Non fa così tanta paura.»
«Visto?» fa Teo al suo amico.
Colombo non demorde. «Non sarebbe mai stato un horror splatter. Il libro punta su altre armi per far saltare sulla sedia. Dài, stiamo parlando di Stephen King!»
Teo lo guarda come un pappagallino che si agita troppo dentro la gabbia.
«E che merda, Teo, non lasciarmi solo ad Halloween! O hai altro da fare?»
«No, okay. Poi ho visto tutti i buoni horror in circolazione, quindi non avrebbe senso nemmeno invitarti a casa mia per una serata a tema. Va bene, vengo. Ma offri tu il pop-corn.»
Colombo è trionfante. Si mettono d’accordo sul cinema a cui andare, poi sull’orario.
Il cuore mi batte forte. «Claudine.»
Mi giro verso la mia amica.
Lei si distrae dai compiti di matematica. Sta confrontando i nostri quaderni nella speranza di scovare errori, non rendendosi conto che probabilmente ne ho fatti più di lei. «Che c’è?» mi domanda.
«Stasera andiamo al cinema a vedere un film dell’orrore?»
È la prima volta che la invito fuori. Claudine solleva entrambe le sopracciglia. «Eh?»
 
Convincere i nonni a farmi tornare a casa per mezzanotte è un’impresa. Devo giurare su Gesù Bambino che li chiamerò appena sarà finito il film. Per evitare che il nonno venga a prenderci mento e dichiaro che sarà il padre di Clò a riportarci indietro con la macchina.
È la prima bugia grossa che dico al nonno, ma mi sembra innocente. Non sto rischiando la mia sicurezza: è Halloween, per strada sarà pieno di gente. Clò mi ha detto che se ho troppa paura di girare da sole di notte possiamo pagare un taxi per riportarci a casa. Credo che farò così alla fine, a costo di passare per una bambina piccola.
«Tu poi non avrai paura di stare sul taxi da sola?» le domando.
«E perché? Ci vado da quando ho dieci anni.»
Il pensiero mi fa tristezza.
Come mai ho insistito tanto perché il nonno non venga a prenderci? Be’, dopo il film c’è la possibilità che incontriamo Teo e il suo amico. Incrociarli è il motivo per cui mi sto trascinando a vedere un film dell’orrore – io che quando ho provato a vedere The Ring ho spento dopo venti minuti di streaming, rintanandomi nelle coperte del mio letto e maledicendomi per l’idea. Per non avere incubi quella notte mi sono messa a vedere degli episodi di Card Captor Sakura prima di addormentarmi.
Ma per Teo resisterò. Poi hanno detto che il film non fa così paura…
Quella sera Claudine si è abbigliata con un cappello da strega sulla testa. «Cos’è che speri di ottenere oggi?»
«Ma niente… Magari ci vedono e li salutiamo, tutto lì.»
«Certo, certo. Perché non mi dici la verità, Là? Speri di incrociarli alla cassa prima dell’inizio del film. Immagini che andrà così.» Inizia a recitare. «Oh ciao, Zanin! Ciao, ciao, Biondi.»
Il modo in cui ha abbassato il tono della voce, imitando quella di Teo, mi fa ridacchiare.
Clò continua con l’interpretazione del ragazzo che mi piace.
«Che fate da queste parti? Oh, vedete IT? Anche noi! Sediamoci insieme, tutti e quattro. Come sei carina stasera, Biondi. Posso chiamarti Lara? Come, i film dell’orrore ti fanno paura? Dài, vieni vicino a me, se vuoi ti abbraccio.»
Sto avvampando da capo a piedi. «Smettila!»
«Ti ho letto nel pensiero, lo so. Secondo me è già tanto se vedrai la testa di Zanin nella folla. Guarda quanta gente.»
Siamo andate in un locale sotto al cinema a mangiare qualcosa prima della proiezione, ma oramai è chiaro che dobbiamo darci una mossa se non vogliamo perdere il posto in sala.
Nella fretta di raggiungere le casse quasi mi dimentico la borsa sul tavolo del ristorante.
«Lara, aspetta! Non correre, tanto cosa vuoi che succeda?»
«E se non troviamo il biglietto?»
«Secondo me non lo troveranno nemmeno loro con tutta questa gente. Ti sembrano tipi così previdenti da arrivare in anticipo?»
«Teo no, Colombo sì. Magari ha pure comprato i biglietti online!»
«Oh, che idea.»
Mentre prendiamo posto nella fila a serpente che conduce alla cassa, composta da non meno di duecento persone, Clò smanetta col cellulare. In ansia, cerco Teo tra la gente in coda. «Cosa fai?»
«Compro i biglietti su internet.»
«Non ci vuole una carta di credito? Ah no, aspetta, vuoi ritirarli alla biglietteria?»
«Non so se si può, comunque non mi interessa. Li sto comprando online con la carta che mi ha dato mia madre.»
«Hai una carta di credito?» Strabuzzo gli occhi. «Una prepagata, giusto? Si può fare a quattordici anni?»
«Non ne ho idea. Questa è una carta vera, la Mastercard di mia madre.  Ma è come se fosse mia, l’ha fatta solo per darmela.»
In quel momento mi rendo conto che apparteniamo a universi differenti. «Ah.»
Per Clò non è nulla di che. «In questa situazione è comoda, no? Oh, guarda, c’è il tuo bello.»
Fatico a non urlare. «DOVE?!»
«Shh, Là, mantieni un po’ di mistero. Alle tue spalle, non girarti troppo.»
Con la coda dell’occhio riesco a beccare Teo mentre termina di scendere dalla scala mobile che porta al piano, seguito da Colombo. Chiacchierano, dirigendosi subito verso il bar.
«Ohi, sembra che abbiano compagnia.»
Con un secondo di ritardo noto la ragazza che li segue. Mi casca la faccia.
Claudine si indigna per me. «E quella chi è?»
Non lo so. Ma vedo sin da qui, a dieci metri di distanza, che lei è magra, sorridente, truccata, carinissima. Ride sia con Teo che con Colombo, posizionandosi davanti a loro nella fila.
Sono devastata.
Accanto a me Clò rumina il suo chewing-gum alla menta, osservando la scena. «Non noti niente?»
«Cosa?»
Non ho più voglia di esistere. Voglio andarmene.
«Guarda bene la ragazza e Colombo. Non vedi quanto si somigliano?»
Senza capire, provo a controllare. Oh, è vero. Si somigliano tanto, come se fossero parenti.
In testa mi si accende una lampadina, assieme a una minuscola speranza. «Sarà sua sorella?»
«Sembra di sì. Una sorella maggiore, immagino.»
«Li avrà accompagnati come amica.»
Claudine mi mostra tutti i suoi dubbi con un’unica occhiata. «Io non uscirei col mio fratellino e il suo amico ad Halloween. Comunque inutile fare congetture. Siamo qui per uno scopo, no? Andiamo!»
«Cosa-? Aspetta!»
Claudine mi ha già presa per il polso, trascinandomi verso il bar. «Non dobbiamo fare la coda per i biglietti, ormai li ho comprati. Ora non ci resta che farci vedere.»
«Nononono!»
«Invece sì, Lara! L’incontro che sognavi non avverrà per magia se non diamo una mano al caso. Fai finta di niente, fai la faccia noncurante. Siamo qui solo per vedere un film, ricorda.»
Ci posizioniamo nella fila del bar, a due metri due da Teo. Lui non può vederci perché è girato di spalle. Io tremo come gelatina.
Si sta come ad Halloween una Lara in coda al bar.
Ecco, sono blasfema a paragonarmi ad Ungaretti, ma mi serve a distrarmi.
Claudine comincia ad essere preoccupata per me. «Respira» mi sussurra.
Passa un minuto interminabile, poi la fila avanza e Teo devia verso sinistra, seguendola. Si gira per vedere un espositore di patatine e incrocia il mio sguardo.
«Biondi!»
Oddio, conosce il mio nome!
Mi sono paralizzata dalla felicità. Claudine mi tira con discrezione i capelli sulla schiena, per farmi muovere le labbra.
«Teo! Voglio dire, Zanin!»
Voglio morire! Se adesso mi cade un’incudine sopra la testa, crepo felice.
Lui ride – gli occhi blu che brillano. «Sì, sono Teo. Tu sei Lara, giusto? E tu Claudine Giraudo. Giorgio, guarda chi c’è.»
Colombo ci guarda stranito, senza capire la ragione della nostra presenza. «Ehi.»
Teo è curioso. «Che film andate a vedere?»
«IT» dice per me Claudine. Io sono così imbarazzata che non ho più il dono della parola.
«Anche noi! Avete già preso il biglietto, vero?»
«Già.» Sempre Claudine.
«Peccato, altrimenti avremmo potuto sederci insieme. Ma sarebbe stato difficile, è pieno stasera. Ti piacciono i film dell’orrore, Biondi? Cioè, Lara?»
Io sto dando vita a una serie di smorfie da robottino guasto.
Claudine scioglie la tensione con una risata. «Lara ha deciso di sfidarsi per Halloween. È la prima volta che viene al cinema a guardare un film dell’orrore.»
Teo è estasiato. «Davvero? Grande!»
I muscoli della bocca tornano a funzionarmi. Abbozzo un sorriso.
La fila avanza di nuovo. Andando avanti Teo continua a restare concentrato su di me. «Mi raccomando, non avere paura.» Mi lancia un occhiolino. «I mostri non esistono, è fatto tutto al computer.»
«Scemo» sento all’orecchio, dalla voce di Claudine. La percepisco solo con una minuscola parte del mio cervello. L’altra è andata in cortocircuito, a maggior ragione perché Teo si è voltato ed è tornato a parlare con la sorella di Colombo.
Ora che lui non mi guarda più, posso crogiolarmi nella bellezza di quello che è appena accaduto.
Teo mi ha guardato!
Mi ha chiamata per nome!
Mi ha fatto l’occhiolino!
Sono in paradiso.
Quando lui e il suo gruppo arrivano alla cassa, succede un’altra magia. Acquistano un doppio menù popcorn gigante, più un chupa chups.
É Teo a stringere il bastoncino bianco nella mano. Penso che lo voglia offrire alla sorella di Colombo, che ogni tanto mi getta occhiate guardinghe. Ma quando escono dalla fila, lui allunga il braccio verso di me. «Tieni. Per consolarti, se ti viene da scappare. Forza e coraggio, okay?»
Io ascendo al cielo tra i beati.
Ridacchio come una cretina. «Grazie.»
La mia vocina gli provoca un’ultima risata dolce. Va verso l’entrata delle sale coi suoi amici.
Clò mi mette una mano sulla spalla. «Be’, Lara. Più successo di così.»
Io ho appoggiato sulle labbra il lecca lecca. Sto ad occhi chiusi.
«Scema, vuoi che ti veda?»
Non mi importa più di niente, di nulla.
Io, Lara Biondi, ho appena ricevuto un regalo da Matteo Zanin, il ragazzo di cui sono innamorata sin dal primissimo giorno di scuola.
La vita è meravigliosa.
 
Quella sera il fato volle che non rivedessi più Teo. In sala, al buio, non riuscii nemmeno a capire dove fossero seduti lui e gli altri. All’uscita c’era una tale bolgia umana che fu già tanto arrivare alle scale mobili senza venire calpestate.
Io e Claudine prendemmo un taxi per tornare a casa – con lei che si offrì di pagare l’intera corsa. Io mi sentivo come Cenerentola che tornava dal ballo – col chupa-chups alla fragola intatto. Non lo avrei mai mangiato, sarebbe rimasto eternamente custodito nel cassetto del mio comodino.
 
Poso la penna. Ho scritto parecchio e non sono arrivata nemmeno vicina al momento in cui io e Teo ci siamo messi insieme
 Il giorno dopo quella serata al cinema, a scuola, lui mi ha fermata solo per chiedermi se alla fine sono morta di paura durante la visione del film.
Ricordo di aver balbettato qualcosa di incomprensibile, che lui ha trovato tenero. Lo so perché poi me l’ha raccontato. Gli sono piaciuta – e ancora gli piaccio – perché mi trova dolce.
Guardo l’ora. È arrivato il momento di andare ad incontrarlo nel presente.

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Capitolo 6
*** Grazie a un paio di leggins ***


Ho già detto che vivo a Milano?
A Milano Milano, come si dice qui, in un quartiere popolare a nord della città che fino a dieci anni fa non era nemmeno collegato alla metropolitana.
I miei nonni continuano a decantare i cambiamenti che hanno trasformato la loro amata piccola Affori in una zona sempre più viva e moderna – il nuovo supermercato, la stazione ferroviaria rimodernata, il grattacielo in legno d’autore, il Maciachini Center, con la palestra gigante e tutti quei begli uffici dai vetri colorati. Ecco, quest’ultimo posto, come suggerisce il nome, sta a Maciachini, che è praticamente un altro quartiere, e la stessa cosa vale per la stazione ferroviaria, che sfiora quell’area dimenticata da Dio che è Comasina.
Ma per i miei nonni da Via Imbonati in su è tutto Affori – nel cuore, se non nel nome – e non passa giorno che non si congratulino l’un l’altra per aver comprato casa in zona negli anni ’90, prima dell’entrata in vigore dell’euro, che ha raddoppiato i prezzi di tutti gli immobili e bla bla bla.
Hanno appena sessant’anni ma quando parlano così sembrano novantenni.
Mi fa particolarmente male sentirli parlare del valore della casa in cui sono cresciuta. Sono sereni all’idea che, alla loro morte, gli ottantacinque metri quadrati che hanno comprato dovrebbero valere un bel gruzzoletto, da lasciare in eredità più a me che a mia madre.
Non voglio pensare a quando non ci saranno più. Poi io questa casa non la venderò mai!
Il futuro mi rattrista, perciò preferisco sentirli parlare del passato. Entrambi i miei nonni vengono dalla Toscana – il nonno da fuori Lucca e la nonna da Pisa.
Quando ne parlano a tavola dicono sempre che se si fossero incontrati nella loro regione si sarebbero odiati a prima vista.
«Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio!» La risata del nonno è tuonante quando ripete il detto. «Ma tua nonna io me la sono sposata, coi nostri avi che si rivoltavano nelle tombe. Il matrimonio lo abbiamo dovuto celebrare qui a Milano per non far scannare i nostri genitori. Ricordi, tesoro? Era il 1985 e il giorno delle nozze...»
«C’era la nebbia! I primi di ottobre. Mamma e papà sono rimasti così traumatizzati che sono scappati subito a casa!»
Questi sono i ricordi che mi piacciono. Ho la Toscana nel cuore,  anche se quando ci vado mi sento una piccola milanese fuori da tutto.
Colpa del fatto che dai cinque anni in su ci ho trascorso solo poche settimane della mia vita. Prima erano vivi i miei bisnonni e la mamma veniva costretta ad andare da loro in estate – ‘per far prendere un po’ d’aria alla bambina’.
Poi sono morti il bisnonno Duccio, seguito tre mesi dopo dalla bisnonna Maria – i nonni preferiti di mia madre. La mamma della nonna – bisnonna Lorenza – l’ha sempre criticata e dopo che è rimasta solo lei in Toscana, mia madre non ha voluto saperne di mettere piede su un treno per Firenze.
«Per farmi rinfacciare ancora una volta quando mi deciderò a crescere? O se mi deciderò mai a sposarmi, invece di andare a uomini come una zoccola? No, grazie.»
Su questo non posso darle torto, ma mi è dispiaciuto non poter più correre per i prati da giugno fino a settembre. I nonni lavorano ancora e hanno solo tre settimane di vacanze all’anno. Finora a due anni fa abbiamo trascorso una settimana a Pisa, una settimana al mare e una settimana in giro per l’Europa, per farmi conoscere il mondo.
Quest’anno, dopo che sono stata rimandata in matematica e inglese, non mi hanno premiato col viaggio a Londra, che desideravo con tutta l’anima.
C’è da dire che, mentre stavo seduta sulla scrivania di fianco a Lui, nel caldo afoso di agosto, di Londra non me ne fregava più una cippa.
Ho ancora in mente l’immagine dei suoi denti che mordono un ghiacciolo al limone. Il luccichio delle sue labbra, la lingua che esce ad asciugarle… Il pomo d’Adamo che sale e scende mentre deglutisce, come il mio stomaco che non sa stare fermo mentre lo guardo, sbavando.
Chiudo gli occhi e premo la fronte contro la barra metallica del tram.
Sto per incontrare Teo, il mio fidanzato. Devo piantarla.
Sto ancora cercando di venire a capo della domanda che mi assilla da settimane. Com’è possibile provare simili sensazioni in presenza di un altro ragazzo se si è ancora innamorate?
Io ancora lo sono, lo so. Non più come prima, purtroppo, ma non ho smesso di amare Teo.
Non posso dare la colpa solo al nostro allontanamento estivo. Conoscevo Lui già da mesi, quando con Teo andava ancora tutto bene, e anche se lo trovavo irritante e superbo, ora non posso più negare che fin dall’inizio mi abbia suscitato… qualcosa.
Al pensiero di lanciargli una frecciatina mi sono accesa da subito – sin dal primissimo giorno che l’ho incontrato.
Teo, Teo, Teo.
Me lo ripeto come un mantra, cercando di stamparmi il suo nome nel cuore, con lo stesso inchiostro indelebile con cui lo scrivevo all’inizio della nostra storia.
Il sole mi arriva sugli occhi a tratti, scorrendo tra le foglie del viale alberato che il tram sta percorrendo. Scendo appena si aprono le porte. Arriverò con dieci minuti di ritardo, ma ho bisogno di camminare.
Per strada mi colpisce un venticello gelido, che si insinua nella giacchetta aperta che che ho indossato. Provo a chiuderla – già immaginando i rimproveri della nonna se mi ammalo – e mi assale un ricordo. Un ricordo giusto, di Teo.
Fine novembre, quarta ginnasio, all’uscita dalla scuola. Io e Teo andavamo in direzioni opposte lasciando l’edificio – casa sua e a casa mia si trovano in due mondi diversi, come noi fino a quel momento.
Qualche volta ho provato a seguirlo per metà via, si capisce, ma lui stava sempre con Colombo e cercando di non farmi notare mi sentivo troppo cretina a deviare a metà percorso, senza sapere poi dove andare.
Quel giorno fuori dalla scuola non avevo secondi fini. Stavo andando a comprarmi dei leggins in centro, a Cairoli. Erano i miei pantaloni da casa, che King adorava distruggere con le sue unghiette. Nonna era così stufa di rammendare un tessuto elastico che non teneva che aveva giurato di non comprarmi più quel tipo di indumento, ma io non avevo bisogno della sua approvazione. La paghetta mi bastava per cinque euro di leggins da Decathlon – siano lodati i negozi economici a portata di ATM.
Cammino tutta tranquilla, con le cuffie nelle orecchie e lo zaino in spalla, percorrendo il ponte sopra la ferrovia a duecento metri dalla scuola, quando sento un brivido lungo la schiena e mi giro.
A cinque metri da me, tutto solo e sorridente, c’è Teo Zanin.
Allarga la bocca, come se il solo vedermi in faccia lo divertisse. «Ciao.»
Il mio cervello decide di andare in vacanza in quel preciso istante. «Ciao, come stai?»
La vampata di vergogna mi arriva fino alle orecchie.
‘Come stai?’ Ma se siamo stati insieme in classe tutto il giorno! Che siamo, comari a un circolo di bocce?
La risata che gli sfugge di bocca mi mortifica così tanto da farmi voltare.
Lui mi raggiunge con pochi passi larghi. «Credo di stare bene. Tu che fai su questa strada?»
«Io… Ehm… Dei leggins.»
«Cosa?»
Mi sto iperventilando. «Da Decathlon. Li vendono.»
Mi guarda.
Lo guardo.
Lui scoppia in una risata che riempie tutta la via.
Io comincio a correre.
«No, dài, aspetta!»
Mi insegue, perché mi insegue?
Per fermarmi mi sfiora un braccio e la scossa che si propaga per tutto il mio corpo mi fa sussultare.
Teo si mette davanti a me, camminando a gambero. «Vai a comprare dei leggins da Decathlon?»
Io ormai guardo solo le sue scarpe, senza smettere di avanzare. «Ah-ha.»
«Dài, capita a tutti di parlare in maniera strana. Biondi, guardami. Non farmi pregare.»
Di fronte a una frase del genere rimango priva di difese e alzo gli occhi. Ci fermiamo.
Teo ha in faccia una smorfia colpevole. «Non volevo prenderti in giro. Ti ho vista e volevo chiederti se avevi visto altri film horror. Poi tu hai parlato dei leggins.»
Ho il cuore in gola ma provo a dire qualcosa che abbia senso. «Stavo pensando a… Ero distratta dalla canzone che stavo ascoltando.» Mi tolgo le cuffie dalle orecchie. «Era una canzone rap e parlano così veloce che… niente, mi si sono confuse le parole.»
Non penso che se la beva, ma percepisco il momento in cui decide di credermi, per togliermi dall’imbarazzo. «Sì, parlano velocissimo. Quando provo a studiare col rap nelle orecchie non mi ricordo nemmeno mezzo paragrafo.»
Sono colpita da un lampo di genio. «Devi rileggere più volte la stessa frase?»
Lui annuisce. «Eh già. Forse per questo finora ho preso a stento la sufficienza in latino. A te com’è andata?»
Sento che abbiamo trovato un terreno comune e questa stabilità mi fa sciogliere la lingua. «Come a te. Non pensavo che il liceo sarebbe stato così difficile.»
Teo rilascia un lungo sospiro e lo sento più vicino che mai. «A chi lo dici. I miei hanno già sclerato per i voti di queste prime verifiche.»
«Mi chiedo perché si studi ancora latino.»
Ho detto la cosa giusta. «Esatto! Dio, che perdita di tempo! Visto che è inutile potrebbero rendercela più facile, ma niente.»
Ora che ho qualcosa di cui parlare, respiro di nuovo. «Come mai hai scelto il classico?»
La domanda genera un lungo silenzio. La sicurezza che ho acquisito se ne va subito.
«Vorrei dire che non l’ho scelto io» comincia Teo. «Ma non mi sono opposto e non ho pensato di andare da nessun’altra parte. Tanto non me l’avrebbero lasciato fare. Era il classico o lo scientifico e io in matematica…» Finge di sgozzarsi con la mano e mi esce una risatina.
«Sono uguale!»
È contento di sentirmelo dire. «Lo avevo capito. Quando la Ragazzoni ti ha chiamato alla lavagna non sapevi cosa scrivere.»
«Non è colpa mia, io avevo studiato.»
«Non preoccuparti, quella non sa spiegare. La vedo dura nei prossimi anni.»
Siamo arrivati alle fermate e purtroppo sta arrivando un tram. «Prendi quello?» chiedo.
«No, vado dalla tua stessa parte. Abito vicino a Cadorna.»
«Oh.» Mi giro per non fargli vedere che sto arrossendo dalla contentezza. Faremo il viaggio insieme!
«Allora, Biondi? O posso chiamarti Lara in pianta stabile?»
«Lara!» esulto, ma il mio entusiasmo gli piace.
«Lara sia, allora. Tanto per te sono già Teo.»
Oddio, se lo ricorda.
Lui sorride soddisfatto. «Hai poi provato con altri film horror, Lara? Io sono un appassionato, posso consigliartene qualcuno.»
Non mento più. «Mi fanno troppa paura.»
Teo rilascia uno sbuffo di delusione. «Proprio tutti?»
«Ho provato a vedere Stranger Things…»
Gli si apre la bocca. «Quello non è horror!»
«Ma la prima puntata è tremenda!»
Lui ride ancora, ma non mi sta prendendo in giro. Vorrei tanto dirgli che se ci fosse lui accanto a me, ad abbracciarmi forte, guarderei felicemente tutta la serie.
«Stranger Things non è horror, è una serie carina. Nella seconda stagione c’è una ragazza che mi ricorda te.»
Nel petto mi salta un battito. «Sì?»
«Ha i capelli rossi.» Solleva la mano, come per sfiorarmi la chioma. Tocca solo l’aria ma io mi sollevo di dieci centimetri da terra.
«Non sono del tuo stesso colore, ma sono mossi come i tuoi. Un po’.» Teo mi osserva in volto e quello che vede gli piace – anche se non sono carina come Togni e spesso mi sento più come una bambolina mal riuscita, graziosa solo se riesci a passare sopra tutti i difetti.
Lui ci riesce. «Ha gli occhi azzurri mentre i tuoi sono castani, ma…  non so, avete la stessa espressione. Ad esempio quando sei concentrata a capire qualcosa di greco.»
Mi ha guardata. Mi ha guardata.
Teo riporta la mano in tasca, scrollando le spalle, come se si vergognasse di quello che ha appena detto. Già lo adoravo, ma in quel momento lo adoro ancora di più.
«Fai uno sforzo, guardalo. È una di quelle serie piene di buoni sentimenti. Tu cosa guardi di solito? Serie per ragazze, tipo Revenge? O magari i reality?»
Me la prendo. «Io preferisco le cose drammatiche.» Comunque chi guarda i reality, come mia nonna, non è per forza ignorante. «Mi piacciono anche i film d'azione e quelli Marvel.»
Non mi crede neanche un po' e in quell'istante lo trovo sessista da matti.
«Non ho mai incontrato ragazze a cui piacciano.»
«Non ne hai conosciute abbastanza.»
Fa per dire qualcosa che suona tanto come 'Non ne hai idea', poi si zittisce. «Forse sì.»
Mi guarda. Lo guardo. E questa volta non sono più solo una ragazzina stupida che non sa biascicare una parola in sua presenza.
Sono appena diventata vera davanti a lui - più ai miei occhi che ai suoi.
Forse sono sempre stata vera per Teo.
Nel presente intravedo una figura in lontananza, appoggiata a un semaforo, mezza via prima del punto in cui dovevamo incontrarci.
Semplicemente perché lui sa che arrivo da questa direzione.
Teo alza gli occhi, mi sorride.
E moltissimi miei dubbi spariscono.

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Capitolo 7
*** Amore ***


Teo ha i capelli neri come pece, lievemente mossi.
Durante l'estate li ha tagliati - credo per la sensazione di fallimento che lo ha travolto - ma gli sono già ricresciuti fino al collo. Ha una chioma setosa, morbida, e il sorriso più bello che Dio abbia donato a una creatura umana su questa terra.
A essere onesta Teo se la gioca con Lui e un paio di attori ventenni per cui vado pazza, ma in questo momento esiste solo il mio Teo per me.
Lui allunga le braccia e mi invita a schiacciarmi contro il suo petto. La mia guancia fredda trova il calore della stoffa della sua maglietta e non vuole più staccarsi.
Lui mi stringe forte. «Ehi! Adesso mi fai aspettare?»
So esattamente come rispondergli. «Senti chi parla. E tu, che mi trascuri per i tuoi amici?»
Dall'inizio delle lezioni ci siamo già rivisti due volte - all'ingresso del suo nuovo istituto e poi un pomeriggio, in centro. Non siamo mai stati soli: Teo ne ha approfittato per farmi conoscere i suoi nuovi compagni di classe. Alla fine, abbiamo parlato pochissimo tra noi.
Non gliene ho fatto una colpa grossa solo perché non me ne sono lamentata a dovere sul momento, come se mi andasse bene. Una parte di me era sollevata nell'avere un gruppo di estranei a farci da barriera.
Se fossimo stati soli sin da subito, forse guardandolo negli occhi non sarei riuscita a mentirgli. Gli avrei detto tutto di Lui, fin dal primo batticuore che mi ha suscitato, terminando con la quasi lacrima che ho versato durante l'ultima ora di ripetizione. Per messaggio e al telefono è più facile sorvolare, fare finta di nulla.
Diciamo che queste tre settimane sono servite a raccapezzarmi. Man mano che si sono allontanate le vacanze, è diventato meno nitido il ricordo delle giornate trascorse in compagnia di Lui. O almeno questo è quello che cerco di dirmi.
In ogni caso ora ho la mente più sgombra e sono capace di concentrarmi solo su Teo.
Sollevo lo sguardo, stretta al suo petto. Gli arrivo appena alla spalla, anche col rialzo delle scarpe, ma adoro sentirmi piccolina contro il suo corpo lungo e snello.
Teo mi libera il viso dai capelli, incorniciandolo con le mani, e si china per coinvolgermi in uno dei baci più romantici che mi abbia mai dato. È un bacio che sa di amore sincero, di nostalgia. Un bacio da 'riecco la mia amata principessa'.
Come ho potuto dimenticarlo?
Staccandosi, Teo sorride a pochi centimetri dal mio viso. «Scusa. Sono stato un cattivo fidanzato?»
«Cattivissimo. Oggi saremo solo noi due, vero?»
«Promesso. Ti ho fatto conoscere abbastanza amici.»
Non è stato così terribile. «Sono simpatici. Li stai frequentando spesso?» Ci appoggiamo contro il muro di un edificio per parlare.
Teo infila le mani nelle tasche dei jeans. «È anche per questo che non ho avuto tempo di rivederti. Sto parecchio coi miei nuovi compagni. Cerco di mettermi in pari col programma e di capire come funzionano le cose in questo nuovo posto.»
«Ti trovi davvero meglio?» È una domanda che tengo a ripetergli a voce. Per messaggio Teo è sempre più allegro e tranquillo che dal vivo, almeno di solito.
«La gente è più alla mano, Là. Nella classe di prima andavo d'accordo con tutti, ma consideravo amico solo Giorgio. Qui ci sono ragazzi con cui… mi trovo di più - non so come altro dirlo. Mi sembrano più grandi di testa.»
«In che senso?»
«Si ribellano di più ai genitori, se ne fregano dei buoni voti...»
Mi esce una smorfia.
«Vedi? Tu sei ancora troppo una signorina del classico, come lo ero io. Non è che i miei nuovi compagni vogliano farsi bocciare. Ma se si impegnano lo fanno per se stessi, non per far felici i genitori. La maggior parte dei loro vecchi se ne frega di quello che fanno i figli e loro hanno una vita più libera. Avrei dovuto frequentare un professionale fin da subito.»
Mi dispiace sentirlo parlare così. «Io e te non ci saremmo mai conosciuti.»
Teo mi prende un braccio e mi stampa un bacio sulla fronte. «Hai ragione, scusa. La mia vita sarebbe stata peggiore senza di te.»
Riesce a dirmi cose così carine... Mi sento vicina a lui come non mai, soprattutto ora che vedo che per me prova gli stessi sentimenti di un tempo. Anche la preoccupazione per la nuova vita che sta intraprendendo aumenta il mio interesse nei suoi confronti.
«Riusciremo a vederci almeno un paio di volte la settimana?» gli domando. «Vengo io da te se vuoi.»
Il suggerimento non gli dispiace. «Ci incontriamo a metà strada, okay? Anche io voglio rivederti. Come sta andando ora che sei in prima liceo? Il nuovo prof di greco e latino è davvero meno severo?»
«Sembra di sì. È un tipo po' strano, uno che vuole fare il giovane. Lo troviamo tutti abbastanza patetico. Ma quando mi ha interrogato, mi ha fatto un paio di domande e mi ha dato sette.»
«Ehi, altro che la Caruso!»
«Già. Ha detto se fossi stata impreparata lo avrebbe capito già da quelle due risposte. Forse è servita a qualcosa la tortura della Caruso, con tutti quei compiti e i voti bassi così bastardi. Magari ora la strada sarà in discesa. Se solo avessero promosso anche te...»
Teo scuote la testa. «Non lo avrei voluto. Solo quando mi sono liberato mi sono reso conto che lì dentro morivo. Non studiavo per me, Là, era tutto per i miei genitori.»
«Questo non significa che non fossi abbastanza bravo per stare al classico.»
«Forse, ma mi trovo meglio dove sono. Sai, anche l'idea di frequentare l'università non mi andava tanto a genio. Col diploma di questa scuola potrò farlo, se proprio voglio, ma non lo sento più come un obbligo. Penso che andrò subito a lavorare.»
Al Teo di un tempo non avrei mai sentito fare discorsi simili. «Veramente?»
«Certo. Prima guadagno qualcosa, prima potrò andarmene di casa.»
«Ma non è facile trovare lavoro senza una laurea...» Sento di ripetere le parole dei miei nonni.
Non scoraggio Teo. «Solo se ti focalizzi su certi lavori. A me andrà bene qualsiasi cosa.»
Mi sembra troppo ottimista. «È dura, sai? Il mio insegnante di ripetizioni...» Chino la testa quando lo menziono, per nascondere il colore che mi è salito alle guance. «Lui ha appena iniziato la quinta al liceo scientifico, ma lavora già. Quest'estate è riuscito a farsi assumere come aiutante in biblioteca, per quella cosa dell'alternanza scuola-lavoro. Ma tramite un amico di suo nonno, da qualche anno, dà già una mano in un'officina di riparazione auto. Dice che si guadagna bene, ma che è un lavoro che fa penare. Forse la pensa così perché vuole frequentare medicina...»
«È un secchione» dichiara lapidario Teo. «Non c'entra niente con me. A me andrebbe bene lavorare anche come meccanico.»
Non riesco a vedere Teo in un'officina - Teo dalla faccia pulita, coi vestiti di marca ben curati, col suo Iphone dell'ultima generazione, che si sporca le mani col grasso del motore? Nah.
Non sa di cosa sta parlando e d'improvviso, se lo confronto con Lui, mi sembra così... piccolo.
Come me.
Per questo io e Teo siamo una buona coppia. Con Lui non avrebbe mai potuto funzionare.
«Lara?»
«Hm?»
«Stavo pensando che al cinema è uscito da poco il sequel di IT.»
Urlando, ridacchio e mi aggrappo alla sua giacca. «No!»
«No, cosa?»
Non mi incanta con quegli occhioni da innocente. «Non voglio andare al cinema a vederlo!»
«Dài, sarà una specie di anniversario del nostro primo incontro.»
Mi indigno. «Ci eravamo incontrati in classe da prima!»
«Ma non ci eravamo ancora parlati. Dài, Là, amore, potrai nascondere la faccia nel mio petto tutte le volte che vorrai.»
Il nomignolo mi ha allentato le ginocchia. «Tu ci godi a vedermi provare paura.»
«Però poi ti abbraccio.»
Vero. «Da te voglio la solita promessa.»
«Tanto non siamo mai usciti dalla sala a metà film.»
«Voglio che me lo prometti comunque! Ci tengo.»
«Sei la mia ragazza e ti prometterò tutto quello che vuoi, ma sono convinto che riuscirò a farti sentire abbastanza protetta da non voler scappare.»
La mia ragazza.
Come ho potuto dubitarne? Non importa quali sentimenti io abbia provato, sono la ragazza di Teo.
Lui mi ha sempre considerata tale, è stato folle dimenticarlo.
In estate non mi ha prestato tanta attenzione, ma con la lontananza è normale.
Per il resto Teo è perfetto: mi bacia, è dolce, mi stuzzica. Vuole passare del tempo con me, ci tiene a farmi sentire protetta...
Cosa posso volere di più?
Biondina.
Scuoto la testa, per cancellarmi dalla testa un timbro estraneo che devo dimenticare.
La prossima volta che rivedrò Lui...
«Lara? Allora, sei d'accordo?»
La prossima volta penserò al mio ragazzo. «Certo. Teo, mi chiami di nuovo ‘amore’?»
«Cosa?»
«Per favore.»
«Ma guarda cosa mi tocca dire...» La sua esasperazione è pura finzione. Mi stringe di nuovo a sé e ride. «Amore, amore, amore.»
I suoi occhi blu guardano solo me. È il ragazzo migliore del mondo ed è solo mio.

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Capitolo 8
*** Il lato oscuro ***


«Ci siamo baciati sette volte!»
Se sei riuscita a contarle, non eri coinvolta.»
Ho voglia di uccidere Claudine. «Sei una guastafeste!» Sto cercando di raccontare alle mie amiche quanto sia andata bene con Teo, ma qualunque cosa dica, per Claudine con lui c'è sempre un problema.
«Ho contato i baci dopo, okay? Non facevo che pensare e ripensare a quanto fosse stato bello il nostro pomeriggio!»
Clò ha capito di avermi esasperata e non ribatte.
Ancora prima che Mari parli, so che sta per mediare tra noi. « Sei riuscita a contare i baci perché ti eri stampata in testa i momenti del vostro incontro, vero?»
«Già.» Sbatto il sedere sulla prima sedia che trovo, in fondo alla classe, dove ci siamo sistemate per la nostra chiacchierata. Manca poco che incroci le braccia tanto sono irritata.
Claudine ha voglia di farsi perdonare. «Okay. Sono contenta per te.»
«Non è vero. Perché non riesci a credere che io sia felice?»
Clò si mangia le labbra e non parla.
Quello che resta della mia contentezza sguscia via come acqua piovana dentro un tombino. «Pensi che mi stia illudendo?»
«Dovresti rivedere l'altro tizio prima di impegnarti tanto con Teo.»
«Sono già impegnata con Teo, è il mio ragazzo.»
Claudine non riesce più a stare zitta. «Non ti sei chiesta perché ti abbia cercata poco in estate, Là? Prima eravate 'amore' di qui, 'amore' di là. Chattavate tutto il giorno fino a che non sono arrivate le vacanze estive.»
«Non era così già in primavera! È normale.»
Per Clò è come se non avessi parlato. «D'improvviso, appena non vi vedete più, lui ti scrive solo il giusto indispensabile.  Te ne saresti accorta se non fossi stata presa da un altro. Ti saresti fatta venire dei sospetti.»
Mi sale un nodo alla gola. «Che cosa stai dicendo?»
«Niente di preciso. Ma meriti più di un ragazzo che si dimentica di te appena vi allontanate di qualche chilometro.»
«L'hanno spedito in Trentino!»
«E chissà cos'ha fatto là tutto solo.»
Tremo di rabbia. «Se non parli male di lui non sei contenta!» Mi alzo e me ne vado verso il mio banco, facendo stridere la sedia mentre la sposto per piantarmici sopra.
Mari mi raggiunge dopo qualche secondo, chinandosi verso di me. «Sai com'è fatta.»
«Non mi importa! Che amica è una che mi critica per tutto?»
«Esagera, ma è preoccupata per te.»
«Non voglio la sua preoccupazione. Perché non può ascoltarmi e basta, come te?»
Marilena è d'accordo su questo. «Claudine ce l'ha con Teo da sempre e magari un giorno ci dirà il motivo. Ma adesso... stai un po' da sola per smaltire il nervoso, poi però non tenerle il broncio per sempre, okay?»
Tu prenderai mai posizione, tanto per cambiare?
i sento ingiusta all'idea di parlare così a Mari. Sbuffo forte, per mandare via il mostro verde che si è impossessato di me.
So che la ragione per cui sono arrabbiata è che le parole di Claudine hanno colto nel segno da qualche parte dentro di me.
Mi rivolgo all'amica che non mi giudica. «Ho fatto come mi hai detto tu, Mari. L'ho rivisto ed è stato come se... come se non fosse cambiato nulla tra noi. Lui era dolce come sempre. Era un po' diverso per via di tutto quello che gli è successo, ma... mi ama come prima, me l'ha fatto sentire. Se per me alla fine non è stato un problema stare separati durante l'estate, perché deve esserlo per Claudine?»
Mari annuisce. «Fatica a fidarsi delle relazioni e tiene a te.»
Cerco di crederci e perdonarla, ma ancora non ce la faccio. «Per oggi non voglio più parlarle.»
«Tanto sta per finire l'intervallo...»
Il mormorio di Mari è stato più chiaro di quello che intendeva.
«Cosa?» domando.
Colta sul fatto, lei distoglie rapidamente gli occhi dalla lavagna. «Niente. Dopo la scuola potrai raccontarmi meglio del tuo appuntamento con Teo, va bene?»
«Okay...»
Forse sto iniziando a erodere anche la sua pazienza.
Torniamo. Se ricordate, Marilena Russo è diventata mia amica quando il prof Giunti mi ha cambiato di posto, dopo aver deciso che facevo troppo casino in fondo all'aula.
Prima di quel fatidico giorno io e Claudine osservavamo i capelli ricci di Mari dai banchi dell'ultima fila, ridendo dei vestiti assurdi che indossava. Maglioni coloratissimi, pantaloni larghi che le rendevano tozze le gambe...
La povera Mari non ha un gran gusto per la moda: è un po' in carne e tende a scegliere magliette sformate che pensa le nascondano la pancia; in realtà gli indumenti larghi la fanno apparire più grossa. Non è enorme come crede e la nostra vicinanza le ha dato il coraggio di mettere vestiti della sua taglia. Grazie a noi porta anche le lenti a contatto. Fino all'anno scorso indossava gli occhiali in pianta stabile, aderendo ancora di più all'immagine della perfetta secchiona.
Avete presente Anne Hathaway in The Princess Diaries? Ecco, l'aspetto è più o meno quello, anche se Mari non ha una bocca così larga, né le sopracciglia così spesse.
 il tipo di ragazza che alza la mano per prima quando il professore fa una domanda alla classe e non ne sbaglia una le volte che viene interrogata.
Durante le lezioni, a metà mattina, la vedevo mezza addormentata sul banco. All'intervallo Mari si faceva veri e propri pisolini. Per lei io e Clò avevamo coniato il nomignolo 'Bella addormentata', ritenendola tutt'altro che avvenente. Ora mi pento di quell'ironia cattiva.
Quando Giunti mi ha spostato accanto a lei, mi sono disperata: le mie giornate a scuola sarebbero state infinite senza le chiacchierate che facevo con Clò sui fogli del quaderno. Per non parlare del fatto che accanto alla cervellona della classe mi sarei sentita più scema di quanto non fossi già. Lei non mi avrebbe fatto copiare, né mi avrebbe suggerito all'orecchio. Almeno Claudine era solidale quando mi trovavo in difficoltà. Poi non mi dava la risposta giusta, ma almeno ci provava. Senza di lei al mio fianco mi sentivo già monca.
Per i primi giorni io e Mari abbiamo interagito il minimo indispensabile.
«Ciao.»
«Chiudi la finestra?»
«Scusa.» Per la mia giacca che finiva sulla sua cartella.
Un lunedì è capitato che mi dimenticassi a casa il libro di latino. Vedendomi sperduta, col banco vuoto, Mari si è fatta sentire alle mie spalle.
«Ehm...»
Mi sono voltata a guardarla.
Lei ha messo tra i nostri due banchi la sua copia. «Possiamo guardarlo insieme.»
In quel momento mi sono resa conto di averla giudicata antipatica ingiustamente. Stava sulle sue, ma non significava che non fosse disponibile.
«Grazie!»
Al cambio d'ora ho tentato di rimediare all'atteggiamento freddo che avevo tenuto con lei fino ad allora. «Sono negata per un sacco di materie. Non giudicarmi troppo male, okay?»
Lei aveva alzato le spalle. «Capita di non riuscire bene a scuola. Se hai bisogno di una mano, ti aiuto.»
Ricordo di aver riso. «Mi passeresti i compiti?»
Senza battere ciglio, lei aveva tirato fuori un quaderno. «Ti servono quelli di matematica?»
Avevo guardato il piccolo raccoglitore a occhi sgranati. Sotto il sole brillava come una pepita d'oro. «Veramente?»
«Non lo so, dimmelo tu. Ti serve?»
Lo avevo afferrato prima che potesse riprenderselo. «Certo! Non ti dispiace se copio tutto?»
«Uhm, non so quanto ti convenga. Se la prof ti chiama a fare gli esercizi alla lavagna, poi non saprai spiegare i passaggi e capirà che hai copiato.»
Il ragionamento non faceva una grinza. «Allora li guardo e cerco di capire.»
«Come vuoi, ma mi sa che è tardi.»
La Regazzoni aveva fatto il suo ingresso in aula, quasi cogliendomi sul fatto. Ero diventata di un bianco cadaverico, tanto che la prof aveva strizzato gli occhi, incerta sul mio stato di salute.
«Biondi, tutto a posto? Hai un calo di pressione?»
«Ehm, sì. Non sto benissimo.» Magari così non mi avrebbe interrogato.
«Per l'amor del cielo, vai a prenderti una cioccolata o qualcos'altro con lo zucchero. Russo, accompagnala prima che svenga in corridoio.»
«Certo, prof.»
Fuori dall'aula eravamo scoppiate a ridere in tandem.
Mi ero ricreduta completamente su Mari: era divertente!
«Perché hai reagito così?»
«Cercavo di nascondere il tuo quaderno!»
«Non avrebbe capito che era mio!»
Doveva sapere una cosa su di me. «Io mi vergogno per tutto. Sulla mia faccia si vede subito quando mi sento in colpa.»
Mari non mi aveva presa in giro. In viso le era comparsa una consapevolezza che al tempo non avevo compreso. «È una qualità.»
«Non saper nascondere quello che provo?»
«Sì. Dice che sei onesta.»
L'onestà è importante per Marilena. Vive una situazione difficile a casa, con due genitori divorziati da poco. I suoi litigano spesso, anche ora che vivono lontani. È tutto ciò che so su di loro. Mari non ne parla quasi mai e si sfoga a stento. Lei non si confida, lei ascolta. Penso che sia abituata così perché ha due fratelli minori – una sorella che va in terza media e un fratellino che frequenta ancora l'ultimo anno delle elementari.
Magari anche io vengo vista come una specie di sorella minore – una ragazzina da sostenere e ascoltare. Vorrei essere di sostegno a Mari almeno quanto lei lo è per me, ma forse lei non ne ha bisogno. Si interessa tanto dei miei drammi non solo perché è buona, ma perché la distraggono dai suoi.
All'uscita da scuola Claudine si unisce a noi, impettita e indispettita. «Se non vuoi che commenti la tua vita amorosa, non dirò più una parola.»
Sono sul piede di guerra almeno quanto lei. «A me sta bene così.»
«Perfetto. Ciao.» Se ne va verso casa sdegnata, dandoci le spalle.
Mari osserva il mio broncio, ridacchiando.
«Che c'è? Guarda che sono seria!»
«Per domani avrete già fatto pace.»
Non mi interessa.
«Vedrai che Clò arriverà con un nuovo colore di capelli. L'hai ferita.»
Mi si stringe un pochino il petto. «Lei ha ferito me!»
«La esasperi, Là. Al tuo posto avrebbe preso una decisione da tempo.»
In quelle parole c'è una critica personale che non appartiene a Claudine. «Io sto cercando di decidere» piagnucolo.
«Lo so. È che tutto l'entusiasmo che mostri per Teo sembra forzato. Comunque i sentimenti funzionano anche in questo modo: qualche volta bisogna indirizzarli. Se ti concentri su quanto ami una persona, finisci per amarla davvero. Per questo non sono così d'accordo sull'idea di rivedere l'altro ragazzo... A meno che tu non ne abbia ancora voglia.»
Abbasso gli occhi sul marciapiede.
Mari si insospettisce. «Ma quelle volte che l'hai rivisto in queste settimane... tra voi c'è stato davvero solo un salutino rapido?»
Sì, non era una bugia. «Giuro, non più di due parole.» Ho tralasciato qualche dettaglio però. «Solo che poi pensavo a quei due secondi tutto il giorno.»
«Oh.»
Sono pessima! «Capisci perché non devo più rivederlo?!»
«Lontano dagli occhi, lontano dal cuore?»
«Esatto! Adesso, dopo aver riabbracciato come si deve Teo, mi sentirei ancora di più una traditrice! A proposito, secondo te Claudine parlava di questo? Di Teo che magari in estate si era interessato a un'altra ragazza?»
«Erano solo sue idee. Adesso non metterti a controllare il telefono di Teo o a cercare indizi dappertutto.» È dura mentre lo dice, come se questo comportamento fosse per lei abominevole. «Se proprio hai dei dubbi, chiediglielo direttamente. Capirai se mente guardandolo in faccia.»
Mi sta salendo l'ansia. «Allora anche tu pensi che ci sia stata un'altra ragazza?»
Mari è più seria del solito mentre si gira verso di me. «Potresti criticarlo, dopo quello hai sentito tu per queste settimane?»
Ammutolisco.
Lei si pente della sua durezza, ma non di quello che ha detto. «È tornato da te, Lara. Se mai si è distratto – ed è un'ipotesi del cavolo – ha preso una decisione. Hai detto tu che ieri ti sei sentita amata come prima. Devi essere giusta con lui. Continui a criticarti da sola per quello che stai provando, ma intanto i tuoi sentimenti per Teo sono sinceri e non lo hai mai tradito. Non hai fatto nulla di male. Saresti gelosa se lui avesse pensato ad un'altra ragazza come tu pensi a quel tipo?»
Mi vergogno di quello che mi esce di bocca. «Sì...»
«Allora tienilo a mente la prossima volta che rivedi la tua cotta estiva. Devi fare una scelta. Andava bene essere indecisi finché non c'era il tuo ragazzo... Voglio dire, mica siete sposati, non gli devi il tuo amore per l'eternità. Ti stava trascurando e per questo tu hai iniziato a guardare un altro. Non c'era niente di male se magari capivi di non amare più Teo, ma ora che ti senti innamorata come prima... Non so, non mi sembra più corretto tenere il piede in due scarpe.»
Ha ragione. Ha ragionissima, ma più di quello che mi sta dicendo, mi colpisce che forse l'abbia sempre pensata a questo modo sul mio atteggiamento. Ha solo avuto pazienza evitando di dirmelo? La pensava come Claudine, che però a differenza sua parlava.
Entrambe le mie amiche mi ritengono frivola e immatura.
La fiamma negli occhi di Mari si è spenta. «Ascolta... mi sono immedesimata troppo. Tu sei tu, okay? Non riesci a essere cattiva nemmeno volendo.»
«Ma lo sono se non decido chi amare. Così è un amore a metà.»
«Io parlo dall'alto del mio non saperne nulla. Non ho mai avuto un ragazzo, Là. Per me è facile dire 'se stai con lui, ama lui e nessun altro'.»
«Dovrebbe essere così.»
«Sì, però... oddio, non so più che consiglio darti.»
La abbraccio. «Mi metto in situazioni impossibili. Tu ci provi, ma io sono una casinista.»
Mari è timida mentre mi fa una confessione. «Ti vogliamo tutti bene, sai? Io, Claudine... Teo sicuramente e forse anche l'altro ragazzo. Tu sei così limpida che attiri le persone; ti ruotiamo tutti intorno. A volte può sembrare che io tifi per Teo, ma è solo perché lo conosco e so quanto tiene a farti felice. L'altro tipo...»
Le dico il suo nome, sussurrandolo.
Mari sbatte le palpebre, sorpresa e onorata. «Lui... non so come sia fatto. La gente può essere dura, Lara, specie quando cresce. A quanto mi hai detto questo ragazzo ne ha già passate tante. Non voglio vederti soffrire.»
Ho solo una cosa da dirle. «Ti voglio bene anche io.»
Mari si imbarazza un po' e vuole staccarsi dal mio abbraccio. «Cercherò di non rimproverarti più.»
«Ma se non lo fai mai!» Ormai mi sento leggera. «Ogni tanto mi serve. Io... cercherò di prendere una decisione il prima possibile, così tu e Clò tornerete a pensare bene di me.»
«Penseremo bene di te in ogni caso. Alla fine, tu sei più coraggiosa sia di me che di lei. Se ti capiterà di sbagliare, è solo perché ti sei messa in gioco.»
Resto ammirata da ogni cosa che le esce di bocca. «Tu devi fare la psicologa da grande.»
«Per ascoltare tutto il giorno gente che mi parla di problemi che non riesce a risolvere? Mai e poi mai.»
Rido.
 
Nel tratto finale verso casa sono sola e cerco di decidere cosa fare. Ho fame, ma mi è arrivata una notifica sul cellulare: è pronto il libro che ho ordinato alla biblioteca comunale. È il terzo capitolo di una saga young adult che sto amando. Una lei avventurosa, un co-protagonista maschile fighissimo, un mondo pieno di misteri... smanio di leggere il seguito da giorni. Ma per raggiungere la sede di Villa Litta devo passare per il parco e nelle vicinanze c'è... Lui. O meglio, l'officina in cui ogni tanto lavora.
Pesto i piedi per terra. È ora di smettere di fare la banderuola: se non voglio averlo in testa, non devo rivederlo, tutto qui. Andrò a prendere il libro facendo un giro lungo, per evitare di passargli vicino.
Soddisfatta della mia decisione, aderisco al mio proposito anche se lo stomaco mi brontola. Cammino volentieri per il parco, dirigendomi verso la villa ottocentesca che fa da sede alla biblioteca di quartiere. Potrebbe fare da scenografia a un libro di Jane Austen tanto è bella. Ha sale ampie, una scalinata alta... quante volte, scendendo per quei gradini, mi sono immaginata con un lungo abito, mentre di sotto mi aspettava il mio Mister Darcy?
Il problema è che Darcy non aveva la faccia di Teo. Come avrebbe potuto essere altrimenti, se l'anno scorso Lui ha iniziato a lavorare in biblioteca?
Quest'anno per fortuna non c'è di sicuro, ormai il suo stage sarà terminato.
Sta frequentando l'ultimo anno dello scientifico adesso. Starà passando il suo tempo a studiare per la maturità - o forse già per l'esame di ammissione a medicina.
Oltrepasso l'ingresso, spingendo la porta, e mi ritrovo nelle sale silenziose della biblioteca.
Per prendere il mio libro basterebbe andare al banco, ma non riesco a resistere e mi faccio un giretto tra gli scaffali. Magari è arrivata qualche altra novità: io mi lascio attirare dalle copertine per poi leggere la trama.
Vado verso la sezione dedicata ai romanzi d'amore. Mari e Clò mi prendono in giro, ma a me non importa: dopo tanti libri in cui le relazioni romantiche non vengono esplorate abbastanza per i miei gusti, mi ci sto appassionando.
Mi fermo davanti allo scaffale principale.
Sento come una brezza sulla schiena, che mi fa rizzare i peletti sul retro del collo.
«Sei passata al lato oscuro?»
Col brivido che mi attraversa il corpo si potrebbe ricongelare il circolo polare artico - se la vampata che mi arriva fino alla punta delle orecchie non lo avesse già fatto sciogliere tutto.
Questa voce non dovrebbe essere qui. Lui non dovrebbe essere qui.
Resto girata. «I-il lato oscuro?»
«Sogni già abbastanza, senza leggere storie romantiche.» Una pausa. «Non mi guardi più?»
Balbetto un paio di sillabe che non diventano suoni.
«Biondina.»
Oddiodiodio!
Me lo ritrovo davanti, un metro e ottantamila centimetri di camicia bianca ben stirata aperta sul collo, spalle larghe, capelli neri corti, occhi blu notte e un mezzo sorriso che non sa se ridere di me o essere felice di rivedermi.
«Ciao» mormoro.
«Ciao.»
È lui, il mio Lui.
Alan Hughes.
Il suo nome sembra appartenere al protagonista di qualche romanzo inglese, ma Alan è totalmente italiano e totalmente reale.
Totalmente Lui - il mio insegnante di ripetizioni e un sogno proibito che non potrò mai dimenticare finché mi riappare davanti.
Mentre lo guardo, spariscono il mio buon senso, i consigli di Mari... persino Teo.
Resta lui, solo Lui.

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Capitolo 9
*** La mamma ***


A casa sono la bambina della famiglia. Sono la luce negli occhi dei miei nonni e una specie di sorellina minore per mia madre.

Da che ricordo, lei non si è imposta quasi mai sui nonni per decidere per me. Le faceva comodo stare sotto il tetto dei suoi genitori continuando a fare la figlia - un ruolo che mal si coniugava con quello di madre di una bambina delle elementari.

Se n'è andata di casa per la prima volta quando avevo sei anni, ma io non l'ho vissuto come un abbandono. Per me era come se si stesse trasferendo una zia, o una sorella maggiore molto più grande con cui avevo poco in comune.

Quando stava con me, mia madre mi lasciava a me stessa, davanti alla tv. Era come una babysitter svogliata.

I nonni sono stati i miei veri genitori: si preoccupavano di portarmi al parco, di farmi mangiare agli orari giusti, di parlare con le maestre. Mia madre faceva queste cose solo su loro indicazione, spesso di malavoglia.

Verso la fine dei miei anni di asilo ha preso consapevolezza di sé - o meglio, si è stufata di un ruolo che le veniva imposto e che lei non aveva mai gradito.

Ricordo di averla sentita litigare coi nonni dalla mia stanza. Ero già andata a dormire ma il suo tono concitato mi aveva svegliato. Era una voce graffiante, nervosa, che mi faceva sentire una bambina cattiva ogni volta che la udivo. Come se avessi fatto qualcosa di così terribile da non farmi più amare da lei.

«Cioè, volete che vada all'open day della scuola elementare? Ma è alle cinque, io sarò fuori.»

«A fare cosa?» La più grande oppositrice di mamma è sempre stata la nonna.

A mia madre era sfuggito un suono di scherno. «Mi sto cercando un lavoro. Non è quello che continuate a dirmi di fare?»

«Lo cerchi da settimane, non usarla come scusa. Puoi prenderti un'ora libera per tua figlia.»

«Ma a che serve? Non saprò cosa chiedere, poi una scuola vale l'altra. Questa è la più vicina, no? Mandiamola lì.»

Mia nonna aveva perso le staffe. «Sei impossibile! Ti importa qualcosa di Lara? È una tua responsabilità, quando te ne renderai conto?»

«Se è una mia responsabilità facciamo come dico io. Andrà in questa scuola, tanto poi sarò io a dovermi svegliare la mattina per portarcela.»

«Quando mai lo fai di tua iniziativa? Devo buttarti giù dal letto! Hai ventun anni, signorina, ti deciderai mai a crescere? Devi fare la madre!»

«Tanto ci sei già tu a farlo al posto mio! Non fare quella faccia, appena provo a dire qualcosa mi dici di stare zitta!»

«Se la porti fuori con te fino alle dieci di sera, per forza!»

«Ieri dovevo starmene chiusa in questa casa? Che hai da lamentarti, Lara si è divertita!»

Mio nonno era intervenuto, probabilmente per non far esplodere la nonna. «La piccola poi era stanca morta. Carlotta, non divaghiamo: non c'è motivo per te di mancare alla visita della scuola. Anche se alla fine iscriveremo Lara lì, almeno tu interessati della sua istruzione.»

«Volete che menta se vi dico che mi interessa. Non perché non voglia bene a Lara, ma sapete quanto poco conta la scuola nella vita secondo me.»

Era seguito un attimo di silenzio. Col senno di poi immagino che i miei nonni stessero guardando sconsolati il soffitto.

Mia madre aveva ripreso a parlare con più decisione. «Sentite, voglio farla finita. Così non sta funzionando.»

«Che cosa?» le aveva chiesto la nonna, rassegnata a sopportare l'ennesima tirata.

«Non funzioniamo io e Lara come madre e figlia. Io come madre. Non so fare la mamma. Fin da quando è nata Lara, siete sempre stati voi a dirmi come comportarmi.»

«Perché non ti impegni, Carlotta.»

«Mi lasci terminare una frase? Sappiamo tutti che, se non fossi stata tanto stupida a quindici anni, mi sarei accorta prima della gravidanza e ora Lara non sarebbe qui.»

«Mio dio. Ma c'è!»

«E io non voglio farle da madre! Perché non lo capite, me la state facendo odiare!»

Il nonno aveva fatto stridere una sedia sul pavimento. «Smettila di dire bestialità in questa casa!»

Mia madre si era ridotta sull'orlo del pianto. «Preferite che continui così, fingendo che un giorno cambierò? Sapete che non voglio più figli? Lara sarà la prima e l'unica!»

«Oddio. Oddio.»

«Mamma, piantala di rifugiarti nel tuo caro Signore. Ascolta me: sono una casinista e una madre indegna, ma penso che sia importante che io dica per la prima volta la verità. Essere una madre non mi piace!»

«A nessuno piacerebbe se lo diventasse a sedici anni!»

«Lo sono diventata solo perché ho partorito! Il resto del tempo tu hai fatto da madre a Lara! Io ho deciso che voglio vivere la mia vita!»

Il nonno si era insospettito. «Cosa vuol dire?»

«Ho conosciuto un tipo. Prima che parliate, sappiate che è una cosa seria. Però rischia di non andare da nessuna parte se devo trascinarmi una bambina dietro. Lui si è annoiato a stare con Lara.»

«Gliel'hai fatta conoscere?» La nonna si era indignata. «È un estraneo! Non osare mai più presentare un uomo alla bambina senza averlo prima fatto conoscere a noi!»

«Vedi? Vedi? Ti preoccupi come una madre. Non ho messo in pericolo Lara, ma se volete saperlo, tra lui e lei, io preferisco stare con lui. C'è la possibilità che andiamo a convivere.»

Sentivo che i nonni erano esasperati mentre mi rannicchiavo nelle coperte del mio lettino.

«Chi è questo tizio? Da quanto lo conosci?»

«Da un po', sono fatti miei. Ormai sono maggiorenne.»

«Sentila! Altro che maggiorenne, se non ti prendi le tue responsabilità. Non ci hai nemmeno informato di quello che facevi!»

«Ma lo sto facendo, ecco! Voglio che Lara resti con voi. Io mi toglierò dai piedi.»

«Carlotta! Non sai quello che dici!»

«Invece lo so, mamma. Vi sto informando così potrete prepararvi. Non è la cosa migliore per Lara? Starà meglio con voi che con me.»

«Tu non vai da nessuna parte.» Quando ci si metteva, la nonna aveva la testa di coccio.

«Come me lo impedirai?» Mia madre era uguale a lei in quanto a testardaggine. «Mi rinchiuderai nella torre? Niente mi impedirebbe di prendere Lara e andarmene mentre non ci siete.»

«Basta con le minacce!» La voce tuonante di mio nonno le aveva zittite entrambe. «Lara non si muove da questa casa. Se tu vuoi andare, va'! Fa' la tua vita, come dici, ma non coinvolgere la bambina.»

«È tutto quello che chiedo.»

La nonna aveva abbassato la voce, risentita ma rispettosa dell'autorità di mio nonno. «Tornerai a casa nel giro di un mese, me lo sento. E noi dovremmo riaccoglierti senza dire nulla?»

«Perché pensi sempre che fallirò in tutto quello che faccio?» Mamma  era esplosa in un singhiozzo. «Sbaglio tutto perché non avete fiducia in me! Mai una volta che mi abbiate incoraggiato, ma una volta che-»

«Oggi hai parlato abbastanza, Carlotta.»

Il tono del nonno non ammetteva repliche e mia madre si era diretta alla porta. «Voi ascoltate solo quello che vi pare! Me ne vado!» Non aveva avuto abbastanza ardire da sbattere l'uscio, ma il rimbombo quieto dell'anta di ferro e legno si era lasciato dietro un silenzio di tomba.

I miei nonni erano rimasti soli.

«Dove abbiamo sbagliato?»

Mio nonno aveva rimesso a posto la sedia. «Non lo so, ma non sbaglieremo due volte. Non possiamo permettere che Carlotta coinvolga Lara nei suoi errori.»

«Non capisci che è un ricatto? Vuole vivere come se fosse una ragazza libera, addossandoci tutte le sue responsabilità.»

«Non ha forse fatto così fin dall'inizio? Magari ha senso che la situazione sia più chiara. Lasciala andare, sarà una figlia  in meno da mantenere.»

«Ti illudi. Tornerà indietro.»

«Forse così imparerà dai suoi errori. Nel frattempo la bambina non ne avrà sofferto. Lara viene prima di ogni altra cosa.»

Ricordo bene perché le dichiarazioni di mia madre, quella sera, non mi avessero ferita indelebilmente. C'erano il nonno e la nonna a pensare a me, a farmi sentire la cosa più importante del mondo.
Non mi importava di non avere una mamma e un papà. Una mamma come mia madre, poi, non la volevo, se per lei ero solo un fastidio.
Io avevo i miei nonni. Mi bastavano loro due.

Come aveva previsto la nonna, mamma era tornata indietro nel giro di un paio di mesi. In quel periodo non si era del tutto allontanata, con la scusa di vedermi perché un po' le mancavo.

Io l'avevo preferita durante quelle settimane. Nei due o tre incontri che aveva richiesto mi era parsa più allegra e meno scocciata del solito. Soprattutto, non mi aveva sgridato più, si era fatta più paziente.

Dopo quel primo trasferimento e il successivo ritorno, la mamma e i nonni avevano ripreso a litigare per chi doveva farmi da genitore.
Alla fine i nonni si erano rassegnati definitivamente. La mamma aveva cominciato a vedere un uomo nuovo e mi era parso che quasi quasi entrambi non vedessero l'ora di vederla andare via. Più lei stava fuori casa, più c'era serenità in famiglia.

Mamma era così, non la si poteva cambiare.

Non era nata per fare la madre e col tempo ringrazio sempre più spesso Dio per averla resa così sciocca, alla mia stessa età, da non accorgersi di essere incinta prima dei tre mesi.
Non sono sicura che avrebbe abortito, ma solo perché, probabilmente, non avrebbe avuto il coraggio di andare in ospedale o dire la verità ai suoi.
I nonni avevano scoperto di me un mese dopo di lei, quando ormai ero di venti settimane.

All'ecografia avevano visto che ero una bambina e si erano commossi. La nonna me lo racconta ancora.

«E' stata come una rivelazione. Eri una piccola principessa. In un qualche modo ce la saremmo cavata. Anche tua madre era contenta: diceva che eri la sua bambina, tutta sua.»

Mi accontento di quel primo impeto d'amore. Ritengo che sia stato il più genuino che mia madre abbia provato nei miei confronti e forse l'unico possibile per una ragazzina di sedici anni.

Ora che ho la sua stessa età, la capisco meglio.
Non so come abbia fatto a restare incinta, ad andare a scuola con la pancia, con tutti che commentavano e sparlavano di lei. Non so come abbia fatto a partorire e poi ad avere una bambina piangente che le impediva di uscire con gli amici e la teneva in casa tutto il giorno.

Io sarei impazzita.

Mi chiedo se sia per questo che non ho voluto fare l'amore con Teo quel giorno, all'inizio dell'estate, dopo la fine della scuola.

Ci sono andata così vicina... Poi mi sono tirata indietro e temevo che Teo se la sarebbe presa, ma per fortuna ha capito.

O forse no e sotto sotto è per questo che si è allontanato.

No, non è da Teo, non è lui!

A dargli una mazzata è stata la bocciatura. Poi i suoi genitori non facevano che assillarlo. Immagino che siano un po' come mia madre e i nonni. Certe persone vivrebbero meglio separate, ma Teo è ancora troppo giovane per andare via di casa.

Squilla il telefono che ho posato sulla scrivania.

Poso la penna con cui stavo scrivendo il mio diario e rispondo alla protagonista della pagina di oggi: mia madre.

«Ciao, mamma.»

«Ciao, Lara. Che fai, sei fuori col tuo ragazzo? Ti disturbo?»

«No, no. Sono a casa.»

«Bene, senti, hai voglia di uscire? Voglio andare al cinema a vedere un film romantico e quell'antipatico di Renzo si rifiuta di venire con me. Se continua così mi sa che tra poco lo lascio.»

Oddio. Più che un'uscita al cinema sarà una serata in cui subirò lo sfogo di mia madre sul suo ultimo uomo. «Non so, mamma. Ho un po' di compiti...»

«Dài, vivi un po'! Ti porto a mangiare fuori! Ti vanno gli gnocchi fritti?»

Così è scorretto. Come posso rifiutarmi se mi prende per la gola?

Mia madre mi conosce. «Non vuoi gustare il dessert, con gli gnocchi fritti alla Nutella? Hmm, che buoni, li sento già sulla lingua!»

Mi fa ridere anche al telefono. «Smettila, che suoni fai?»

«Cosa ci posso fare se sono deliziosi? Dài, mangiamoli! Passiamo una serata tra ragazze!»

Non riesco a dirle di no. Io e mamma siamo amiche. Non voglio perdere questo rapporto con lei. «Dove ti raggiungo?»

«Ti vengo a prendere io, stasera ho la macchina! Yu-huu, ci divertiremo!»

Mamma tradisce la sua età solo quando dice 'Yu-huu', come la trentenne che è. «In quel film non ci sono scene di letto, vero?»

«'Di letto'? Come sei puritana!»

«Mi vergogno a vedere quelle cose insieme a te!»

«Maddài, meglio guardarle che farle. Alla tua età, almeno. E se avrai domande, la qui presente Carlotta sarà pronta a rispondere a tutte le tue curiosità!»

«Mamma!»

«Stavo scherzando, è una commedia pulita, senza cosacce poco adatte alle bambine!»

Non sono una bambina. Se lo dico però mi contraddico e corro dei rischi. Mai provocare mia madre. «Mi fido solo per mangiare gli gnocchi. Ti aspetto.»

«A prestissimo!»

Riattacco il telefono.

Non sono riuscita a dirle di no. Sospiro.

In fondo, anche per me, la mamma è sempre la mamma.

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NdElle: scusate la lunga pausa, è stato un mese convulso, in cui ho sconvolto i miei ritmi. Ora mi sono un po' sistemata, conto di tornare ad aggiornare in maniera più stabile :)

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