Asylum

di madsdreamsx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno. ***
Capitolo 3: *** Capitolo due. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

Richie Tozier era un adolescente normalissimo.. e grazie tante.

Aveva i capelli corvini e un po' mossi, quasi ricci, era mingherlino e magrolino per la sua età ed era una persona normalissima. Certo, non aveva molti amici, ma lui stava bene da solo, non c'era davvero nessun problema in questo o almeno il ragazzo si era convinto di questo molte volte durante gli anni e sapeva benissimo che non fosse la verità, ma doveva andare avanti perché i suoi genitori erano assenti e lui doveva fare come meglio poteva, ma la verità era che aveva dei problemi a scuola e la sua vita non era per nulla perfetta, ma doveva andare avanti come meglio poteva.

Era perseguitato da Henry Bowers e dalla sua banda di bulli, lo picchiavano, ma lui aveva imparato a difendersi e ora le cose erano un po' migliorate, bhe dopo la Tragedia le cose erano migliorate e peggiorate.

Migliorate perché non era più preso di mira da quei bulli e peggiorate perché dopo la Tragedia le persone lo evitano anche più di prima e lo chiamavano 'pazzo', ma lui era normale, lo era davvero: essere diverso era brutto, e lui voleva essere a tutti costi una persona normale. Voleva finire le scuole superiori e poi se ne sarebbe andato da quella cittadina del Maine, si sarebbe rifatto una vita New York, la città dei suoi sogni: doveva sopportare solamente altri due anni e non sapeva se poteva farcela, ma doveva tenere duro ed andare avanti.

 

“Richie”, disse una voce gentile, una voce di donna “è okay non stare bene, tu puoi dirmi tutto lo sai”.

“Solo perché i miei la pagano”, rispose Richie in tono strafottente “non credo che le interessi davvero sapere come sto”.

“Richie invece mi interessa”, rispose la donna con tono comprensivo “ti sentirai strano”.

“No”, rispose subito il ragazzo “io devo essere normale”.

“Devi?”, gli chiede la donna mettendosi più comoda sulla sedia.

“Per i miei genitori, per i miei compagni di scuola”.

“Per i tuoi amici no?”.

“Io non ho amici”, disse Richie “non gli ho mai avuti e non credo che gli avrà mai”.

“Dopo la Tragedia per te è stato difficile”, disse la donna “ ma sono sicura che con il tempo..”, disse e guardò l'orologio “è finita l'ora mi sa, ma devo parlare con i tuoi genitori”.

Il ragazzo si alzò, per una volta sua madre lo aveva accompagnato dalla psicologa e dal momento che lui era ancora minorenne la psicologa che lo seguiva da dopo la Tragedia voleva parlare con la madre.

“ Io aspetterò fuori”, disse Richie con tono piatto e aprì la porta, sua madre stava aspettando nella sala di aspetto.

“Madre”, disse Richie salutando la donna.

“Richard”, rispose lei con tono duro

“Signora Tozier?”, disse la sua psicologa rivolgendosi alla madre “Venga nel mio studio”.

Richie si sedette su una sedia nella sala d'aspetto vuota e aspettò che le due donne parlassero di quello che dovevano parlare.

Non ne poteva più, andava da quella psicologa da più di un anno, ma non serviva a nulla: le crisi non sparivano, i suoi pensieri erano sempre più cupi e non sapeva se ne sarebbe mai uscito, sapeva che la medicine erano importanti, ma non ne aveva più voglia, non aveva più voglia di fare nulla.

Odiava tutto, la sua famiglia, la scuola, i compiti, la sua vita. Perché restare al mondo quando a nessuno importa di te? Perché continuare a vivere questa vita che non poteva chiamarsi tale? Era stato bullizato per la maggior parte della sua vita e non aveva mai avuto amici, Henry Bowers aveva impedito che ciò accadesse. Per 16 anni della sua vita si era sentito chiamare nei modi più brutti come 'checca' 'frocio' 'femminuccia' 'poppante', ma ultimamente era solo ' Il Pazzo' e la gente lo evitava, avevano forse paura di lui? Richie si sentiva molto solo. Vedeva persone nella sua scuola che si baciavano, si innamoravano o semplicemente ridevano insieme e lui niente, stava sempre da solo, a scuola mangiava da solo e passava tutto il suo tempo libero da solo a volte faceva battute per mascherare il suo stato d'animo, ma la verità era che si sentiva solo. Richie voleva innamorarsi, voleva amare ed essere amato, ma sopratutto voleva degli amici, amici veri persone che si interessassero a lui. Forse al college in un posto dove nessuno lo conosceva si sarebbe fatto una nuova vita? Ma sarebbe riuscito a sopravvivere per altri due anni?

“Richie?”, lo chiamò la sua psicologa “vieni dobbiamo parlarti”.

Il ragazzo dai capelli corvini si alzò ed entrò di nuovo nell'ufficio da cui era uscito qualche minuto prima.

“Cosa c'è?”, chiese sedendosi su una sedia, la madre era seduta sull'altra.

“Ne ho parlato a lungo con la dottoressa”, parlò sua madre per la prima volta con più dolcezza “e siamo giunti alla conclusione...”, continuò la madre scambiandosi uno sguardo con la dottoressa “... che forse è meglio che tu ti faccia aiutare più seriamente”.

“Cosa volete dire?”, chiese Richie “ditemi la verità”.

“Pensiamo..”, intervenne la dottoressa “che forse è meglio che tu vada in una casa di cura per persone come te”.

“In un manicomio?”, disse Richie alzando la voce “IO NON SONO PAZZO, CAZZO”.

“Potresti farti qualche amico lì, ragazzi come te”, intervenne la madre “sai c' è questa clinica proprio fuori da Derry e sembra ottima”.

“IO NON CI VADO”, urlò Richie alzandosi e pestando i piedi per terra “io sto bene”.

“Richie”, intervenne la psicologa “tu non stai bene, devi farti aiutare in modo più serio”.

“M-ma...”, Richie voleva dire qualcosa, ribellarsi perché in quel posto non ci avrebbe messo piede ma vide la stanza girare, sentì caldo tremendo e poi cadde a terra svenuto.

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno. ***


Quando rinvenne non si trovava più nello studio della dottoressa, ma era coricato da quanto poteva percepire, su una superficie morbida, un letto molto comodo, ma non il suo.

Aprì gli occhi di scatto e vide annebbiato, qualcuno gli aveva tolto i suoi occhiali, senza i quali non vedeva assolutamente nulla. Aveva provato anche le lenti a contatto, ma gli davano fastidio agli occhi dopo pochi minuti e poi era affezionato ai suoi spessi occhiali neri e quadrati.

Si mise seduto sul letto, la camera non era camera sua: lo avevano messo in una camera singola e ovviamente aveva avuto una delle sue crisi, di nuovo. Quindi le medicine non facevano nessun effetto, fantastico.

Si coricò nuovamente sul letto appoggiando la testa sul cuscino, demoralizzato perché non ne poteva più anche se lui non ricordava nulla di quelle crisi e si svegliava solamente dopo. Era come se il suo cervello si spegnesse e poi si riaccendesse, ma lui non aveva ricordi o se li aveva sembravano come in un sogno, quasi irreali.

Ma cos'era successo prima della crisi? Chiuse gli occhi per qualche secondo, certo gli avevano parlato del manicomio o istituto psichiatrico, per lui restava un manicomio. Non voleva andare lì, davvero non voleva perché lui stava bene, davvero stava bene... sarebbe stato bene, ma anche dentro di se' sapeva che non fosse così. Era bullizzato, era chiamato pazzo praticamente da tutti, non aveva mai avuto un amico e non conosceva l'amore: questa non era vita. Valutò nella sua mente i pro dell'andare in quella struttura: forse si sarebbe fatto degli amici, forse sarebbe guarito da suoi problemi o perlomeno migliorato e poteva avere una tregua dai bulli e dalla sua vita in quella piccola cittadina. I contro? Bhe.. non voleva stare lontano da casa, non gli piacevano le cose nuove e faticava a farsi degli amici, anche se spesso le sue battute facevano ridere gli altri. Forse in un posto dove nessuno lo conosceva, avrebbe potuto ricominciare. Forse... le sue riflessioni furono interrotte da qualcuno che gli toccava il braccio.

“Richie? Richie?”. Era la voce di sua madre. Il ragazzo aprì gli occhi.

“Tesoro”, disse la donna con stupore di Richie toccandogli il braccio “come ti senti?”.

Il ragazzo aprì gli occhi e guardò la donna che poche volte lo aveva trattato con gentilezza e con amore.

“Si”, rispose lui guardando la madre negli occhi, i suoi stessi occhi. “Senti mamma, riguardo a quello che diceva la psicologa prima...”.

“Non devi preoccuparti ora, se non vuoi andare, sei libero di farlo”.

“No...”, rispose Richie “sarà strano non stare a casa e stare in un manicomio, ma voglio andarci”.

“Non è un manicomio, Richie”, lo corresse la madre “comunque sei sicuro?”.

“Per me lo è e si saranno altri ragazzi con problemi come me, quindi si mamma voglio andarci”.

“Sapevo che avresti detto così”, disse la madre e sembrava quasi contenta. “Dovrei chiamare la struttura ora e parlare con la dottoressa” e detto ciò uscì dalla stanza prendendo il suo telefono.

Richie chiuse gli occhi, gli faceva un po' male la testa.. voleva andare in quel posto, così sarebbe stato meglio.. e con quel pensiero cadde in un sonno profondo.

 

 

E così era tutto deciso, la mattina seguente dei dottori lo visitarono per accettarsi che stesse bene, il suo neurologo gli fece fare un esame per accertarsi che tutto andasse bene, ma tutto era perfetto, aveva avuto solamente quella crisi e con molto dispiacere di Richie gli aumentarono le pastiglie, perché la dose che prendeva sembrava non essere abbastanza e lo mandarono a casa.

La madre aveva telefonato alla struttura, lui voleva andarci il prima possibile, così il giorno seguente sarebbe stato già lì per cominciare una nuova vita e forse guarire e diventare un ragazzo normale.

Non aveva nessun amico da salutare o a cui dire addio, non gli sarebbe mancata la scuola che sua madre aveva avvertito, mise tutto ciò che gli serviva in un borsone e poi sua madre guidò fino all'istituto 'Heaven for Mental Health' che distava circa un'ora dalla cittadina di Derry e si trovava nei pressi di Bangor, la grande città che lui non aveva mai visitato.

Il manicomio, come Richie lo chiamava, si trovava però fuori Bangor ed era circondata dalla foresta, forse c'era persino una sorta di lago o forse era un ruscello? Poteva sentirne il rumore. Era una costruzione vecchio stile a quattro piani e aveva una giardino enorme, però il tempo non era dei migliori per essere aprile e quindi nessuno poteva sfruttare del bel tempo.

Sugli scalini che portavano alla porta principale c'era una signora di mezza età , forse era il capo di quel posto.

Richie scese dall'auto, il viaggio era stato silenzioso: era un po' agitato e sua madre non aveva parlato.

Prese la sua valigia e facendo un bel respiro si diresse dalla donna attraversando il giardino insieme alla madre.

“Salve, tu devi essere Richard Tozier”, disse la donna che aveva una voce un po' acuta.

“Solamente Richie”, disse il ragazzo allungando la mano alla donna che la strinse.

“Allora piacere Richie”, disse la donna guardando il ragazzo negli occhi “Benvenuto nel nostro Istituto”.

Istituto.. meglio manicomio.. pensò Richie.

“Salve signora”, disse la donna salutando la madre “lei può venire a trovare il ragazzo, ma non può entrare ora”.

“Molto bene”, disse la madre “Allora Richie verrò a trovarti una volta alla settimana, cerca di stare meglio”, disse la donna e gli dette una bacio sulla guancia.

Cercare di stare meglio? Come se tutto dipendesse da lui..

“Ciao mamma”, disse Richie e poi la donna si girò e tornò alla macchina. Richie non si voltò per guardarla.

“Allora”, disse la donna “io sono la Dottoressa Gates e sono la direttrice dell'istituto”, il ragazzo annuì “dormirai con altri due ragazzi della tua stessa età e parteciperai anche alle sedute di gruppo”.

“Sedute di gruppo?”, chiese Richie con un certo panico nella voce “che cazzata”, disse senza pensarci.

La dottoressa alzò un sopracciglio salendo le scale, quel posto era popolato da ragazzi di tutte le età, qualcuno faceva dei versi strani, altri fissavano il vuoto.

C'era una ragazza molto carina dai capelli rossi che rideva insieme ad un altro ragazzo dai capelli castani e alto. Richie superò queste persone e seguì la donna, portando il suo borsone.

“Qui non sono ammesse parolaccie o linguaggio scurrile”, disse la donna in tono severo “ condividerai la tua camera insieme ad altri due ragazzi, la camera numero 102”, disse la donna “ma prima devi compilare dei moduli”.

“Okay”, disse Richie ed entrò nell'ufficio della donna. Era una stanza al primo piano, sembrava quasi uno studio di un preside dell'università: c'erano diverse diplomi attaccati alle pareti, nessun effetto personale, ma c'erano molti libri. La donna si sedette alla sedia alla sua scrivania e prese dei fogli che il ragazzo compilò il silenzio scrivendo i suoi dati anagrafici, i suoi problemi, il motivo per cui era lì e da chi aveva sentito parlare della clinica. Richie compilò tutto in dieci minuti, poi riconsegnò i soldi alla donna.

“Bene”, disse la donna alzandosi “ti accompagno nella tua stanza”, disse lei e si alzò, il ragazzo fece lo stesso prendendo il suo borsone. La sua stanza era all'ultimo piano, in fondo al corridoio a destra.

“Bene, ci vediamo di sotto per la tua prima sessione di gruppo fra un'ora”, disse e se ne andò.

Richie fece due bei respiri e poi aprì la porta della camera 102.

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Capitolo 3
*** Capitolo due. ***


Quando aprì la porta vide che la stanza non era molto grande, ma era più grande di quella che aveva a casa sua. C'erano tre letti a baldacchino. C'erano due armadi abbastanza grandi, ma il pavimento era in rovina e l'intonaco veniva via dai muri: sembrava un lusso per essere in manicomio.

“Ehy tu, devi essere il nuovo arrivato”, disse un ragazzo parandosi davanti a lui. Era un ragazzo un po 'grassottello “io sono Ben” e poi dal nulla lo abbracciò, Richie pur riluttante ricambiò l'abbraccio.

“Lascialo respirare Ben”, disse un'altro ragazzo dai capelli ricci, castano chiaro coricato su un letto “e lascia che si ambienti”.

“Grazie”, disse Richie “comunque io sono Richie.. Richie Tozier”.

Il ragazzo grassottello si spostò e lui posò la borsa a terra nell'unico letto libero, quello vicino alla porta.

“Da dove vieni, Richie?”, chiese il ragazzo dai capelli ricci.

“Derry”, disse il corvino mettendo i suoi effetti personali nell'armadio piccolo che aveva di fianco al letto.

“Mai sentita”, disse Ben “e tu Stan?”.

“Nemmeno io”, disse l'altro ragazzo “comunque io sono Stanley Uris”, si presentò finalmente mentre Richie si sedette sul letto a baldacchino che era molto alto “ti stringerei la mano, ma sono germofobico e potresti avere cose strane”.

“Stai tranquillo”, rispose Richie “mi sono lavato”.

Il ragazzo che si chiamava Ben rise e Stan fece un piccolo sorriso.

“Allora cosa si fa qui esattamente?”, chiese Richie dopo qualche attimo di silenzio, “ cioè è tipo un manicomio qui, ma molto più bello”.

Stan rise.

“ Bhe fra poco dovrebbe esserci una sessione di gruppo dove si parla dei nostri problemi e poi ci fanno lavorare a gruppi”, spiegò Ben “poi ci sono le sessioni private con la psicologa e poi le ore dove si studia”.

“Che palle studiare”, disse Richie “ e direi che qui dovrò mettermi d'impegno”.

“Tu che problemi hai, Richie?”, chiese Stan “sembri normale”.

“Ho molti problemi”, disse Richie “ ma non penso che gli rivelerò molto presto”.

“Non è ora di scendere, Ben?”, chiese Stan all'altro ragazzo che guardò un orologio che portava al polso.

“Direi di si, sono quasi le undici e mezza”, disse “forza Richie”.

Il ragazzo con estrema riluttanza sì alzò dal letto e uscì dalla stanza insieme ai ragazzi.

“Qual'è la tua storia, Richie?”, chiese Ben.

“Non ho una storia, Ben”, disse Richie “sono un ragazzo come tanti”, i due risero a quella battuta del ragazzo, che però non voleva far ridere. I tre scesero le scale e andarono al primo piano, guidarono Richie dentro una stanza enorme con delle sedie disposte tutti a cerchio, che cazzo era? L'allegro falò? Mio dio...

Richie prese posto a fianco di Ben, e Stan si sedette al fianco dell'altro ragazzo lasciando il posto a fianco di Richie vuoto.

“Perché siamo tutti in cerchio? Cosa dobbiamo confessarci i nostri intimi segreti?”, chiese il ragazzo agli altri due.

“Non ti preoccupare”, disse Stan “non è difficile”.

“Ecco che arriva”, disse piano Ben, ma Richie sentì, era la ragazza rossa di prima, e il ragazzo di nome Ben diventò tutto rosso e distolse lo sguardo dalla ragazza che si sedette su una sedia al fianco di un ragazzo dai capelli castani.

Di fianco a lui si sedette un ragazzo di colore.

“Tu sei quello nuovo”, disse il ragazzo che avrà avuto la sua età.

“Esatto, sono Richie Tozier” e i due si strinsero la mano “piacere”.

“Mike Hanlon”, si presentò l'altro “è la tua prima seduta di gruppo?”.

“Si”, rispose Richie “ anche se sembra una riunione degli alcolisti anonimi” e Mike scoppiò a ridere.

“Bene”, disse una donna che il ragazzo non aveva mai visto, forse una dottoressa, perché portava una specie di divisa. “Abbiamo un volto nuovo qui, un nuovo arrivato”, disse e puntò il suo sguardo su Richie “tu saresti?”.

“Richie Tozier”, disse il ragazzo “ sono nuovo e non so bene cosa sia tutto questo”.

“Cosa intendi?”, chiese la dottoressa con tono gentile, sembrava giovane.

“Sembra una riunione degli alcolisti anonimi, sapete sono Richie Tozier e ora vi confesso il mio più grande segreto, e voi poi rispondete tipo ' ciao Richie' e cazzate varie”, qualcuno rise, mentre qualcuno rimase serio. Il ragazzo moro era seduto vicino alla rossa che piaceva a Ben, rimase serio e lo guardò come per valutarlo.

“E tu hai un segreto da raccontarci?”, disse la donna.

“Non un segreto che valga il vostro tempo”, disse il ragazzo. “comunque questa è una cazzata perché io non vengo a dire i miei problemi a degli sconosciuti”.

Qualcuno rise di nuovo.

“Benissimo”, disse la donna “grazie Richie, il prossimo”

“Qualcun altro?”, disse la dottoressa e un ragazzo seduto a tre sedie da Stanley alzò la mano. Era una ragazzo dai capelli castano chiaro e sembrava agitato.

“I-io”, disse il ragazzo balbettando. Anche uno che balbettava ora? Mio dio..

“Bene Bill, cosa vuoi dirci?”, disse la donna.

“H-ho sognato G-Georgie q-questa n-notte”, disse il ragazzo “e- e sono st-stato sveglio tutta la n-notte. M-mi sento strano in questo p-periodo”.

“Cosa intendi Bill?”.

“E' come s-se n-non potessi essere p-più felice dopo G-Georgie e poi sento delle voci strane nelle testa”.

Tutti si guardarono allarmati, Richie alzò gli occhi al cielo, ma non disse nulla.

“Ehm.. “, la dottoressa fece una piccola pausa “prendi ancora le tue medicine?”.

“S-si”, disse Bill “tutti i giorni”.

“Come se avessimo scelta”, bisbigliò qualcuno che Richie non riconobbe.

La seduta di gruppo dal punto di vista di Richie era una perdita di tempo, alla fine gli erano state poste alcune domande, lui aveva risposto, ma non ne aveva voglia di stare lì, lui sarebbe sempre stato pazzo e le medicine non sarebbero servite, ma doveva stare meglio.

Dopo la seduta che era durata un'ora c'era il pranzo e il pomeriggio c'erano delle lezioni e varie attività: lui voleva solamente restare da solo. C'erano anche le sedute individuali nel pomeriggio, odiava parlare con persone che non conosceva appieno, nonostante facesse sempre battute che a volte non facevano ridere nessuno.

Per il pranzo si sedette insieme a Stan, Ben e Mike- il ragazzo di colore-, non si prese moltissimo da mangiare. Ascoltò e mangiò quel poco che si era preso più che parlare, voleva sapere tutto su quel posto. Le infermiere passavano a dare le medicine a chi doveva prenderla, per fortuna lui doveva prenderle solo la sera e la mattina presto.

Ben continuava a guardare la ragazza dai capelli rossi che mangiava insieme al ragazzo che balbettava e che sentiva le voci nella testa e al ragazzo moro di cui non sapeva il nome.

“Allora ti sei proprio preso una bella cotta eh?”, chiese Richie dando una pacca sulla spalla a Ben che distolse lo sguardo dalla rossa.

“Non è niente”, disse Ben mentre gli altri due ridevano.

“Non è niente?”, disse Richie “te la stavi mangiando con gli occhi”.

Stan rise.

“Tanto lei e Bill stanno sempre insieme”, disse Mike alzando le spalle.

“Bill è quello strano vero?”, chiese Richie.

“Non è strano”, disse Stan alzando un po' la voce “lui è simpatico sai?”.

“Certo”, disse Richie trattenendo una risatina “ascoltate voi cosa volete fare dopo che saremo usciti da qui?”.

“Uhm..”, disse Ben “non saprei..”.

“Io me ne andrò in Florida”, disse Mike.

“E cosa c'è in Florida, Mike?”, gli chiese Stan alzando un sopracciglio “una fidanzata segreta?”.

Mike rise e in quel momento suonò una campanella.

“Ora cosa succede?”, chiese Richie.

“Abbiamo mezz'ora libera”, disse Ben alzandosi “venite in giardino?”.

“Si”, risposero all'unisono Mike e Stan.

“Io vado un attimo in camera ragazzi, ci vediamo”.

Mentre gli altri tre si diressero fuori dall'edifico, Richie salì le scale e si diresse verso il suo dormitorio. Non era un posto strano quello e lui si stava trovando bene. Le persone non lo giudicavano e quei tre sembravano simpatici. Era talmente perso nei suoi pensieri che al secondo piano andò a sbattere contro una persona e tutti e i due caddero a terra. La persona contro cui era andata a sbattere era un ragazzo più alto di lui e sembrava anche più grande di lui. Aveva i capelli castani e gli occhi scuri: era davvero molto bello. Era il ragazzo che alla sessione di gruppo lo aveva guardato male e che mangiava insieme alla rossa e a quello che balbettava.

“Oddio scusa”, disse Richie alzandosi subito dal momento che era finito sopra il ragazzo “vuoi una mano?”.

“No”, rispose l'altro con voce roca “tu sei quello nuovo giusto? Quello che oggi ha fatto battute tutto il tempo”.

“Esatto”, disse Richie e il ragazzo si alzò in piedi, era molto più alto di lui.

“Io sono Richie Tozier comunque”, si presentò lui.

“Lo so”, rispose l'altro guardandolo negli occhi e Richie si sentì arrossire

“Io sono Eddie”, disse il ragazzo dopo qualche secondo “Eddie Kaspbrak”.

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