When you look at me

di Melanto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - I - ***
Capitolo 2: *** - II - ***
Capitolo 3: *** - III - ***



Capitolo 1
*** - I - ***


When you look at me

Note Iniziali: Storia scritta per il Writober di Fanwriter.itDay 3 Prompt: Genderswap.

Per chi non lo sapesse, il ‘Genderswap’ consiste nell’invertire il sesso dei personaggi: da Donna a Uomo e viceversa.
Non. Dite. Niente. XD
Rileggiamoci nelle note finali.

 

Sapevo che prima o poi l’avrei fatto.
LO SAPEVO! XD

 

 

When you look at me

- I -

 

 

 

 

 

Teiko Kisugi arrivò con aria spavalda nel cortile della scuola, qualche minuto dopo che la campanella aveva sancito l’inizio della pausa pranzo.

Yuzuriha e Takeko la stavano aspettando, e avevano già disteso la coperta sull’erba per tutte. Mancava solo Shiho, ma lei se la prendeva sempre con calma.

Teiko aveva un sorriso sornione sulle labbra e i capelli ricci che creavano una nuvola di bronzo morbido attorno al viso. Tolse le scarpe, lasciandole sull’erba, e poi salì in piedi sulla coperta. Incrociò le caviglie e si lasciò cadere in un sol gesto; le balze della gonna crearono un effetto palloncino attorno alla sua figura, adesso seduta e che la guardava fisso. Sulla guancia le si era formata la solita, piccola fossetta.

Yuzuriha sbuffò, mentre Takeko Kishida osservava l’ultima arrivata da sopra lenti immaginarie, ma stava sghignazzando.

«Quando hai quell’espressione, Tei-chan, sappilo, non mi aspetto mai niente di buono.»

«Lascia perdere, tanto lo so io che ha», Yuzuriha agitò le bacchette e tornò a calare lo sguardo sul proprio bento, conferendo ben poca importanza alle chiacchiere della compagna di squadra.

«Ancora per quella storia di Izawa?» Takeko si fece attenta.

«Potrebbe essere altro?! Sono giorni che mi tormenta e-… piantala di guardarmi così, tu!» Morisaki le puntò contro le bacchette, minacciosa, mentre Teiko continuava a sorridere con puntiglio di superiorità e malizia.

«È lei che è sciocca e vuole ignorare l’evidenza!»

«L’evidenza quale?»

Shiho Takasugi aveva l’innata abilità di comparire all’improvviso e con un fare silenzioso come nemmeno i ninja. La sua altezza arrivò a creare un’ombra lunghissima su di loro.

Teiko le fece subito cenno di prendere posto. «MamaBear, ma quella più evidente delle ultime settimane: che Mamoru Izawa del Club di Calcio ha puntato la nostra Yu-chan!» concluse, con una strizzatina d’occhio alla diretta interessata.

Yuzuriha sbuffò di nuovo, abbandonando ogni idea di terminare il proprio pasto.

«Ma dai? Davvero?» Shiho le rivolse un’occhiata maliziosa e lei s’affrettò a scuotere il capo, le braccia messe a X davanti al viso.

«No! Per niente! È tutto nella testa di quella lì! Hai troppi ricci, Teicchin, ti ho sempre detto che ti annodano il cervello!»

«Nella mia testa un corno! Non è affatto un caso se Izawa spunta come unfunghettotrallalà praticamente ovunque! Dove c’è la nostra Yu-chan, ecco che il Raperonzolo Moro della Nankatsu compare per magia», Teiko accompagnò le proprie parole una serie di gesti rituali nemmeno stesse per lanciare un incantesimo.

Yuzuriha alzò gli occhi al cielo a fronte di cose ripetute milioni di volte in quegli ultimi giorni.

«La Nankatsu è questa, le nostre classi sono sullo stesso piano e il campo da calcio è proprio fuori della nostra palestra! Non è che lui si trova di proposito dove sono io, è che ci si trova per necessità!»

«Però è anche vero che lui e il suo gruppetto di soliti li ho visti fare spesso pranzo in cortile...» Takeko si portò un dito alle labbra, con fare pensieroso.

«L’avevo notato anch’io! Di solito mangiavano in classe, sono venuti spesso nella mia perché c’è quel cretino del loro capitano, Ishizaki, oppure sparivano sul tetto», Teiko era tutta un sorriso, mentre apriva il proprio bento e iniziava a pescare riso e verdura con le bacchette. «E invece adesso… funghetti! Funghetti ovunque!»

«Takeko, ti ci metti anche tu?! Non mi sei d’aiuto! E comunque hanno tutto il diritto di uscire in cortile! Inizia ad arrivare la bella stagione, saranno fatti loro...»

«Oh, e quindi è sempre un caso se adesso sono proprio poco distanti da noi e lui, guarda un po’!, è seduto rivolto da questa parte?» Teiko sbatté le lunghe ciglia.

«Chi se ne frega, tanto io non lo guardo!»

«Oh, non importa… l’importante è che lo abbia visto buttare l’occhio verso di noi un bel po’ di volte», si fece scivolare delicatamente in bocca un pezzetto di pollo, continuando a sorridere. Ormai era strasicura di aver visto giusto, Yuzuriha poteva dire quello che voleva o negare l’evidenza, ma Izawa l’aveva notata e lei ci avrebbe messo entrambe le mani sul fuoco che, presto o tardi, si sarebbe fatto avanti.

«Non è vero! E se non la pianti ti alzerò palle bruttissime all’allenamento di oggi, ne sono capace!»

«Uff, come sei noiosa!» intervenne Kishida. «Seppure fosse così, qual è il problema? Izawa è il ragazzo più figo della scuola, voglio dire! Ti attireresti l’invidia di tutte.»

«Sì, certo, bell’affare. Come se ne avessi bisogno, in questo periodo», lei ruotò gli occhi. «Tanto è chiaro che, se fosse vero, vorrebbe una sola cosa. Quella che vogliono tutti», e nel dire quell’ultima frase, incrociò le braccia al petto, coprendosi d’istinto il dono generoso che la natura e la genetica della sua famiglia le avevano regalato, e che non faceva che causarle problemi e prese in giro.

Takeko sospirò. «Ancora con questa storia?»

«Certo! Perché è sempre la stessa e pare che qui sia diventato lo sport nazionale: sfotti anche tu una Morisaki!» Yuzuriha scosse il capo, aggrottando le sopracciglia e piegando le labbra in una smorfia abbattuta. «Mi guardano in una maniera disgustosa. Grazie tante. Che periodo di merda, l’adolescenza.»

«Se fosse possibile, te ne ruberei volentieri una taglia...» sospirò Teiko.

«Se fosse possibile, te ne regalerei anche due!»

Takeko le si gettò praticamente tra le braccia, affondando il viso nella sua quarta abbondante, con espressione trasognata e soddisfatta. «Io le adoro! Sono così morbide!»

Un gesto che riuscì a strapparle una risatina divertita. Strinse di più la compagna e le spettinò i capelli a caschetto.

«Tanto lo sappiamo di chi è la colpa», sentenziò Shiho, storcendo la bocca. «Di quel coglione del capitano della squadra di baseball.»

«Non gli è proprio andato giù che tu l’abbia mollato, vero, Yu?» domandò Takeko, sciogliendo l’abbraccio e richiudendo il proprio bento ormai vuoto.

«Per niente.»

«Il fatto è che chi prova la nostra Yu-chan, poi non può più farne a meno», Teiko le strizzò l’occhio. “Però non è vero che solo perché hai incontrato un idiota come Naoji, allora anche gli altri siano come lui. Izawa è tanto carino… anche se ammetto di preferire il suo amico, quello con il ciuffo ribelle.»

«Maddai?!» Takeko le rivolse un’occhiata maliziosa e Teiko fece spallucce, torturando un riccio.

«Be’, sì, non è male. Oddio, forse un po’ troppo sciatto e un po’ troppo sboccato, ma non si può avere tutto dalla vita. Poi, nel caso, lo raddrizzerei io.»

Il gruppetto ridacchiò, quando due ragazzi passarono loro accanto, mollando un fischio e parlando a voce così alta che li sentirono tutti.

«Ehi, Morisaki! Perché non fai prendere un po’ d’aria a quel bel davanzale?!» disse uno di loro, ridendo poi in direzione del compagno. Si sentì sghignazzare anche da qualche altro gruppo, e borbottare.

Yuzuriha li riconobbe, perché li aveva visti con Naoji. Le guance le andarono a fuoco, mentre Shiho si alzava lentamente. «Ora li ammazzo io, tranquilla», disse con calma, ma prima che potesse fare qualcosa, Yu l’anticipò, balzando in piedi.

«Ehi!» l’attenzione del cortile fu tutta per lei, inviperita come una Gorgone. «Sai che c’è? C’è che le uniche bocce che vedrete nella vostra vita saranno le palle da baseball!»

Il cortile calò in un silenzio imbarazzato, mentre lei restava in piedi e adesso aveva a fuoco finanche le orecchie. Involontariamente, l’occhio le cadde sul gruppetto del Club di Calcio. Nemmeno a dirlo, aveva i loro occhi addosso. Anche quelli di Izawa. Soprattutto quelli di Izawa, dalle sopracciglia che formavano due archi perfetti sull’espressione sorpresa.

Ecco, se qualcuno le avesse passato una pala, si sarebbe scavata la fossa proprio lì, già che c’era.

Yuzuriha distolse in fretta lo sguardo, tossicchiò e si lisciò la gonna dell’uniforme. L’attimo dopo, proprio dal gruppo del Club di Calcio, partì un sonoro applauso, corredato di qualche ‘Brava!’ e un paio di fischi di approvazione. Lei sforzò un sorriso di circostanza e poi si volse, masticando un continuo ‘figuradimmerda, figuradimmerda, figuradimmerda’ tra le risate delle sue compagne che stavano raccogliendo le cose del pranzo ormai terminato, come agli sgoccioli era anche la pausa.

«Ma complimenti! Quanta classe ha il Club di Pallavolo!» Ryo Ishizaki le prese in giro, ma trovò il muro di Shiho Takasugi a dargli il benservito, con la sua voce profonda, da vera Mamma Orsa.

«Vuoi saggiarne un po’ anche tu, ciccino

Ryo sollevò le mani, scuotendo il capo e permettendo alle ragazze allontanarsi sull’ultimo bacio volante di Teiko, che si volse di proposito per vedere la reazione di Izawa e, come sempre d’altronde, poté constatare che aveva avuto ragione: perché stava sorridendo mentre le guardava andare via.

 

«Ah. Bad idea. Very bad

Mamoru spostò lo sguardo dalle ragazze ormai lontane all’amico Hajime, lì di fianco.

«Cosa?» sospirò.

«Quello che stai facendo e che stai pensando. Lascia perdere, prima che sia troppo tardi.»

«Io non sto facendo né pensando niente.»

«Davvero? Quindi me lo sono sognato che hai gli occhi incollati a Morisaki a ogni occasione?»

Mamoru si passò una mano nei capelli, tirandoli indietro e camuffando un sorriso. Hajime continuò.

«Quella è blindata come Fort Knox, te lo dico io! Non so se hai notato che non ha amiche, ma guardie del corpo. Voglio dire, hai visto la Takasugi, no? Vuoi rischiare la vita?»

«Cristo, la Takasugi mi mette i brividi!» Ryo si intromise non appena sentì nominare l’alto e forte centrale della squadra di pallavolo scolastica. «Quella ti spiaccica con una manata!»

Mamoru e Hajime ridacchiarono della smorfia del loro capitano, mentre Taro faceva capolino proprio tra centrocampista e trequartista, assieme a Sanae.

«Qualcuno ha un debole per Shiho Takasugi?» domandò, incuriosito.

«Non per lei», Hajime accennò a Mamoru con il mento. «Per Morisaki.»

«Oh! Izawa-kun!» Sanae giunse le mani con entusiasmo. «Lei sì che è carina! E per niente appariscente rispetto i tuoi standard.»

«E poi è molto intelligente», sottolineò Taro. «Lo sai che siamo in classe insieme, vero?»

«Sì, lo so», Mamoru rispose in tono accondiscendente, tanto Hajime l’aveva fatto scoprire, negare non sarebbe servito a niente.

«Lui sa tutto. Sono mesi, ormai, che le fa la posta.»

«Mesi?!» fece eco Sanae, sbalordita alla rivelazione di Taki. «E ancora non ti sei fatto avanti? Izawa-kun, sono felicemente colpita», in rapidi passi fece il giro, forzando i due giocatori a farle spazio. Era diventata curiosa da morire e si strinse di più a Mamoru, con occhi che brillavano. «E, dimmi, come l’hai notata?»

«Ah, ma manager...»

«No, niente ‘ma’! Sono cose che a una ragazza interessano. Sputa il rospo, voglio saperlo.»

«La vera domanda dovrebbe essere: ‘come puoi non notarla?’», Iwami intervenne, sollevando le spalle. «Insomma, difficile non vedere certe ‘qualità’», e accompagnò le ultime parole con dei gesti eloquenti.

Mamoru lo fulminò con un’occhiataccia. «Ehi! Non mancarle di rispetto!»

«Non è una mancanza di rispetto, ma una questione di ‘colpo d’occhio’», Iwami ridacchiò per la propria battuta, quando, provvidenziale, piovve il sonoro scappellotto di Ryo, che lo prese dritto dietro la nuca.

«E Kenichi ha vinto ben quindici giri di campo extra, oggi!»

«Cosa?! Ma-»

«Magari t’insegneranno a non dire stronzate, eh? Che ne pensi? Vieni, facciamo due passi, che ti spiego due o tre cosette, da uomo a uomo, vieni», e tenendogli stretto un braccio attorno al collo, Ryo se lo portò via, per poterlo rimproverare in tutta calma.

«A volte ha degli atteggiamenti così maturi che resto sconvolta», Yukari aveva una mano al petto e l’espressione ammirata.

«Quelle battute non rendono Iwami tanto diverso da quelli del Club di Baseball», fece notare Taro, mentre Hajime aggiungeva.

«Lei stava con il capitano, lo sapevate?»

«Sì», Mamoru guardava verso Ryo e Kenichi, più distanti, con Ishizaki che ammoniva il compagno con severità, e gli mollava l’ennesimo scappellotto. «E gli è roso il culo d’esser stato piantato, da quello che so.»

«Non le danno tregua», confermò Misaki, «l’intero Club l’ha presa di mira, e lei cerca di tener loro testa come può. Fortuna che ha delle ottime compagne di squadra. Neppure quelli di baseball sono tanto fessi da mettersi contro la Takasugi. Qualche volta mi è capitato di dover intervenire.»

«È stato anche per questo che l’ho notata», Mamoru ripensò alle prime voci sul conto di questa ex di Naoji, dipinta come una facile, che ci stava subito. Eppure una così, nella loro scuola, non l’aveva mai vista, e lui aveva avuto più ragazze di tutti, lì dentro. Quando aveva capito che parlavano di Morisaki del Club di Pallavolo, gli era bastata una mezza occhiata per realizzare che non era vero niente e che quelle che giravano erano solo voci messe in giro da uno che non accettava la sconfitta. Yuzuriha non era la puttana che descrivevano, non ci voleva un indovino per capirlo, glielo si leggeva in faccia. Ma le malelingue serpeggiavano in fretta, si moltiplicavano, si storcevano e facevano danno.

«Le hanno puntato addosso una sorta di riflettore.»

«Ma il primo motivo?» chiese Sanae, troppo curiosa di sapere di più, perché ci voleva un po’ di sano romanticismo in quella squadra che non le dava mai soddisfazioni, da quel punto di vista; sempre tutti troppo con la testa nel pallone.

Mamoru sorrise, sollevò le spalle. «L’altezza. Difficile non accorgersi di lei quando cammina per il corridoio e sovrasta le compagne. Avevo immaginato appartenesse a un Club, ma non sapevo quale. Poi un giorno l’ho vista mentre ci allenavamo e loro correvano all’aperto, attorno alla palestra», ma non disse che poi era stato stregato dal sorriso.

Yuzuriha Morisaki aveva un sorriso magnetico, catalizzava tutta l’attenzione come un buco nero in cui lui era caduto senza essere più in grado di uscirne. Delle sue forme generose se n’era accorto solo dopo, quando gli occhi nocciola, grandi e caldi, gli avevano dato un attimo di tregua, sciogliendo il loro continuo incantesimo. Mamoru l’aveva capito subito che non era come le altre ragazze di cui si era invaghito, però non avrebbe saputo spiegare in cosa consistesse questa ‘differenza’. Sentiva solo che era così, e che quando i suoi occhi la trovavano avvertiva appagamento e tensione allo stesso tempo, come se avesse raggiunto l’obiettivo, ma stesse ancora aspettando qualcosa. Lui la guardava e lei sembrava sempre più luminosa. Luminosa e bella. Con le sue gambe lunghe e atletiche, il fisico da sportiva, quei capelli corti forse poco femminili, ma che scoprivano perfettamente il suo viso e la bocca ben disegnata, che gli chiamava i baci come le sirene chiamavano i marinai. E, sì, l’aveva notato che aveva un seno prosperoso, e ipocrita sarebbe stato dire che non avrebbe voluto affondarci il viso, ma non si sarebbe mai permesso di prenderla in giro per questo.

«Aw, che carino», sospirò Sanae, con le mani alle guance. «E perché non le hai ancora detto niente? Almeno parlaci, fai conoscenza! Non è da te tirarti indietro quando ti piace qualcuna...»

«No, è che...» di nuovo, Mamoru affondò le mani nei capelli, con indecisione. «…è diversa dalle altre che ho corteggiato. Non saprei come avvicinarmi per non essere frainteso… Insomma, lei sembra stare un po’ sulle sue per la faccenda con Naoji.»

«Vuoi che ti aiutiamo?» si animò Sanae, e Taro aggiunse: «Se vuoi, te la presento.»

Mamoru s’affrettò a scuotere il capo. «Fa così old style, non è il mio genere. Grazie per la proposta, ma me la caverò da solo», aveva ancora abbastanza orgoglio per non farsi aiutare in una delle poche cose che era in grado di fare anche a occhi chiusi.

«Be’, ci dovessi riuscire», appoggiò Hajime, dandogli una decisa pacca sulla spalla, «metti una buona parola per me con la sua amica, quella riccia! Cazzo, quant’è carina!»

«Ah, ma allora il Club di Pallavolo fa proprio strage, eh?» ridacchiò Sanae, gesticolando animatamente, «alle vostre manager non avete mai detto che siamo carine! Che ingrati!»

Tra le risate generali, il suono della campanella sancì la fine della pausa. Era il momento di tornare in classe.

 

Mamoru non aveva fatto altro che pensarci per tutto il resto delle lezioni. Dopotutto, suonava assurdo anche a lui che non fosse mai riuscito a dire a Morisaki anche solo ‘ciao’ , quando si passavano accanto nei corridoi. Insomma, a volte si era anche affacciato nella sua classe per chiamare Taro, poteva dirsi che si conoscevano ‘di vista’. La scusa per attaccare bottone ce l’aveva. E invece, quando la vedeva nei corridoi, non riusciva mai neppure ad avvicinarsi, però non capiva se fosse lei a respingerlo allo stesso modo in cui l’attraeva o era solo lui a essere insicuro.

Dannazione, questa cosa non l’avrebbe fatto dormire la notte: lui insicuro. Sembrava un incubo. Eppure era così e il rientro in classe, dopo la pausa pranzo, gliene aveva dato conferma, perché aveva incrociato il gruppetto di giocatrici che si stavano salutando mentre loro stavano sopraggiungendo. Yuzuriha era fuori della porta e lui avrebbe semplicemente potuto approfittare della scusa di accompagnare Taro, salutarla e dirle qualcosa. Magari che aveva fatto bene a rispondere per le rime a quelli del Club di Baseball, e invece si era fermato davanti alla propria classe e aveva lasciato che Taro andasse da solo alla sua. Li aveva visti salutarsi con estrema confidenza e l’unica consolazione che aveva avuto era stato vederla sciogliersi in uno di quei bei sorrisi che lo mandavano fuori di testa. Lei aveva finito col mandarlo fuori di testa e non sapeva come risolvere la questione. Però, si disse ed era divenuta una questione d’amor proprio, quel giorno sarebbe riuscito a scambiare una parola con lei.

 

Yuzuriha tirò l’ennesimo, lungo sospiro della giornata, mentre raccoglieva i palloni lasciati nel campetto esterno alla palestra. La rete con gli altri già messi da parte era a qualche passo di distanza e lei ci stava impiegando più tempo del solito.

Non avrebbe dovuto essere una giornata tanto lunga, eppure aveva iniziato a sentirne il peso sulle spalle già da quella mattina, come ogni giorno. Da che aveva lasciato Naoji la sua vita scolastica era diventata un incubo, fin da quando metteva piede nel cortile. Quel giorno c’era stato l’ennesimo show da parte della squadra di baseball… e lei, forse, aveva pure peggiorato la situazione.

Mischiò il sospiro a uno sbuffo. Odiava stare al centro dell’attenzione, riusciva ad accettarlo solo quando si trattava della pallavolo, perché quando era in campo e aveva un pallone tra le mani, era capace di dimenticarsi del mondo intero per rifugiarsi in un altro in cui si sentiva padrona, sicura e determinata.

Ma lì, nella vita reale, era un disastro di proporzioni epiche. E poi ci si era messa anche Teiko con la faccenda di Izawa. Stava pensando anche a quello, mentre perdeva tempo a mettere via i palloni.

 

«Non mi hai ancora detto che ne pensi, comunque!»

«Di cosa?»

«Di Izawa, che domande! Se davvero ti facesse il filo… tu che faresti? A te piace?»

 

Teiko gliel’aveva domandato quando erano quasi arrivate davanti alla classe, lanciandole la solita occhiata maliziosa e quel sorriso che le metteva in risalto la fossetta.

Lei aveva tergiversato un po’. Sì, è carino, che avrebbe dovuto risponderle?

Si vergognava troppo a dirle che aveva una cotta per Izawa almeno dalle medie. Non lo aveva mai detto a nessuno, perché tutte se la prendevano, prima o poi. Ma Izawa era il classico irraggiungibile. Quello che puoi guardare e per cui struggerti da lontano, ma che non ti noterà mai, a meno di una figura di merda, tipo la sua. Ecco, se per caso non si fosse mai accorto della sua esistenza, adesso sì, che si era presentata alla grande. Per questo, quando Naoji le aveva iniziato a fare la corte, aveva accettato di uscirci: perché Izawa sarebbe rimasto solo un bel sogno a occhi aperti. E poi, Naoji non era male, era un bel ragazzo, atletico, peccato avesse un carattere odioso e fosse solo un prepotente. Era stato bravo a ingannarla, all’inizio, le era sembrato carino e gentile… per poi scoprire che aveva la piacevolezza di un riccio di mare sotto ai piedi.

Le scappò un sorriso mentre infilava l’ultimo pallone nella rete e realizzava che la vera fregatura, negli sbagli, stava nelle conseguenze che uno avrebbe dovuto pagare. Fece per incamminarsi verso l’ingresso della palestra, quando una voce fin troppo conosciuta la fermò.

«Yuzuriha!»

Lei strinse gli occhi, mentre liberava uno sbuffo seccato.

«Yuzuriha, andiamo! Dobbiamo parlare!»

«Non abbiamo niente da dirci, Naoji. Mi sembrava d’averlo chiarito.»

Il capitano della squadra di baseball era fermo alle sue spalle, con la divisa da allenamento e le mani ai fianchi che rendevano ancora più larghe le spalle. La superava di pochi centimetri, e la guardava con l’aria di chi non si divertisse per niente a stare lì a pregarla di avere un’altra chance, soprattutto se alla fine non gli sarebbe stata concessa.

«Ho sentito quello che è successo a pranzo.»

«Ecco, bravo, vogliamo parlare? Parliamo proprio di questo», Yuzuriha mollò la rete e fece due passi nella sua direzione, gli piazzò l’indice dritto in mezzo al petto. «Di’ a quei trogloditi dei tuoi amici di sciacquarsi la bocca col sapone! Ne ho abbastanza delle vostre stronzate!»

«Oh, andiamo! Io che c’entro?» Lui sollevò le spalle, rivolgendole un sorriso di falsa innocenza. «Mica posso controllare quello che fanno.»

«C’entri perché è da quando abbiamo rotto che non mi danno tregua.»

«Sono il loro capitano, cercano di difendermi.»

«Difenderti?!» Morisaki si portò le mani si fianchi. «Grande e grosso come sei hai bisogno dello stuolo di ‘amichetti’ per tenerti lo strascico? Ti prego. Almeno abbi un po’ di amor proprio. Vogliamo parlare di quello che è successo all’ultima partita del campionato?»

Naoji cercò di trattenere una risatina. «Dai. È stato divertente, quanto sei permalosa.»

«Divertente?» Yuzuriha strinse i denti. «Gridare ‘escile’ dagli spalti è stato divertente? Noi non abbiamo proprio niente da dirci, Naoji. Vedi di sparire.»

«E andiamo, Yu-chan», Naoji la prese per un braccio, costringendola a voltarsi di nuovo e ad arretrare, perché lui stava avanzando con il chiaro intento di chiuderla contro il muro. «Non fare la preziosa. Non ricordi che ci siamo anche divertiti?» si avvicinò, allusivo, e lei, d’istinto, si ritrasse. Cercò di divincolarsi con uno strattone.

«Hai la memoria corta, perché non ci siamo mai divertiti! E ora toglimi le mani di dosso!»

«Possiamo sempre cominciare adesso… magari capisci d’aver sbagliato e ci ripensi...»

La presa più stretta, fino a fare male, e dalla quale non riusciva a liberarsi. Il viso di Naoji più vicino, con quell’espressione lasciva e la chiara intenzione di volerla baciare anche contro la sua volontà. Per non parlare della mano che gli aveva arpionato un fianco coperto dalla maglia della tuta.

La pallonata arrivò con una precisione millimetrica, al limite del maniacale. Prese con violenza la faccia di Naoji e poi schizzò in alto. Seguì un’esclamazione di dolore e la presa che veniva mollata all’improvviso. Naoji indietreggiò di alcuni passi, e alla fine cadde in ginocchio, stordito, la mano a massaggiare guancia e tempia.

«Oh, scusa! Stamattina devo essermi svegliato con i piedi a banana. Fatto male?»

Yuzuriha vide Mamoru Izawa avvicinarsi lentamente: capelli legati in una bassa coda di cavallo e sorrisetto sfrontato di chi aveva tutta l’intenzione di prendere per il culo povero malcapitato.

Naoji cercò di rimettersi in piedi, ma la pallonata l’aveva intontito per bene e riuscì solo ad alzare il viso per inquadrare la figura con la divisa della squadra di calcio della scuola. Ci mise qualche secondo per riconoscerlo.

«…ma che diavolo? Non ti intromettere, Izawa!»

«Cosa?» si sporse, il calciatore. «Vuoi una mano a rialzarti? Ma certo! E magari ti do anche il resto. Eh? Lo vuoi? Non credo ti convenga.»

Naoji riuscì a mettersi in piedi da solo, ma barcollò di un paio di passi all’indietro. I suoi occhi scuri lanciarono fuoco prima in direzione di Mamoru e poi verso Yuzuriha.

«Non finisce qui, con te!» disse alla ragazza.

«Io, invece, credo proprio di sì», Mamoru si impose e questa volta non stava affatto scherzando. Naoji lo fissò, quasi segnando l’ipoteca per una sfida all’OK Corral, e poi se ne andò, con passo malfermo.

Una volta soli, Yuzuriha e Mamoru rimasero fermi e silenziosi. Lei ancora spalle al muro della palestra, e lui che le dava la schiena.

«Tutto a posto?»

Yuzuriha sollevò lo sguardo che aveva fermato a terra per incontrare quello di Izawa, ma lo distolse subito. Si massaggiò il braccio alla svelta, dove la presa di Naoji le aveva fatto male.

«Sì, è ok», affettò le parole e poi recuperò la rete senza guardarlo nemmeno per un istante, ma con il bisogno impellente di andarsene da lì, trovare rifugio nel suo piccolo tempio inviolabile: la palestra. «E comunque non c’era bisogno che intervenissi, me la sarei cavata da sola», mentì, in un moto d’orgoglio. Caricò la rete sulle spalle e si allontanò, salvo poi fermarsi dopo qualche passo, rivolgergli almeno il profilo quel tanto che bastava per permetterle di individuare la sua sagoma con la vista periferica. «…però grazie.»

Mamoru non ebbe modo di replicare e si limitò a osservarla sparire in fretta dietro l’angolo della struttura sportiva. Pessimo modo di rompere il ghiaccio, si disse, ma al momento lo impensieriva di più quell’imbecille di Naoji. Gli dava l’idea di uno che non avrebbe mollato tanto in fretta, e magari avrebbe finito col darle ancora più fastidio, ma ormai era chiaro che avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti anche per lei.

Recuperò il proprio pallone, indirizzandolo con la sola punta del piede. Per fortuna che si era accorto di lui, tutto trafelato, che cercava di raggiungere la palestra, quando il diamante era dalla parte opposta. Fin tanto che si era trattato di parole, era rimasto ad ascoltare senza intervenire, ma quando le aveva messo le mani addosso… Se non fossero stati a scuola, gli avrebbe mollato un pugno per direttissima, invece si era visto costretto a usare maniere più soft.

Fece per tornare indietro quando notò che c’era un pallone da pallavolo abbandonato verso il muro della struttura, doveva essere sfuggito alla rete di Morisaki. Mamoru si chinò a raccoglierlo e si diresse all’ingresso, calciando la propria sfera come sempre, nemmeno fosse un’estensione delle gambe. Fece capolino dalla porta aperta e la prima cosa a raggiungerlo fu l’eco dei palloni che rimbalzavano a terra, da una parte e dall’altra del campo. Con gli occhi, trovò Yuzuriha quasi subito, attorno alla cesta all’interno della quale stava svuotando la rete. Le sue compagne, le solite con cui la vedeva pranzare, le erano attorno e l’ascoltavano, discutendo animatamente. Una di loro, quella con i ricci che tanto piaceva ad Hajime, fece una battuta, lei sorrise e Mamoru si dimenticò di tutto il resto. Di Naoji, del pallone da restituire. Yuzuriha sorrideva, e andava bene così.

 

«Vorrai scherzare?!» Kishida la guardò con occhi spalancati e preoccupati. «Perché non ci hai chiamate? Ti avremmo sentito, saremmo arrivate di corsa!»

Shiho fece scrocchiare le dita con fare minaccioso. «Gli avrei dato volentieri una risistematina alle ossa.»

Yuzuriha accennò un sorriso di gratitudine, mentre infilava i palloni nella cesta.

«Non ce n’è stato bisogno… e poi è intervenuto Izawa.»

Teiko spalancò la bocca. «Izawa?!»

«Lo ha steso con una pallonata.»

«E lo dici così?!» l’amica non stava più nella pelle, mentre lei arrossiva e non la guardava negli occhi. «Che ci faceva Izawa lì, il campo è più in basso rispetto alla palestra!»

«I-io… non lo so. Non l’ho visto arrivare, è solo spuntato all’improvviso.»

«Oh, oh. Abbiamo un eroe», scherzò Shiho facendosi vento.

«Magari è solo capitato per caso.»

«Sì. Per caso. Certo.»

«Tei-chan, non iniziare...»

«Non ho bisogno di iniziare, la cosa va già avanti da sé. Tu che gli hai detto?!»

«Niente, che avrei dovuto dirgli?»

«Almeno un grazie?!»

«Certo che l’ho ringraziato...», si rigirò un pallone tra le mani, «…e poi gli ho detto che me la sarei anche cavata da sola.»

Teiko strabuzzò gli occhi. «Cioè, fammi capire: lui interviene per difenderti e tu gli dici di farsi i fatti suoi?!» guardò le compagne. «Ma che problemi ha questa ragazza?!»

Takeko si sporse, gomiti sul bordo della cesta. «Avresti potuto scambiarci due parole, era una buona occasione.»

«Non avrei saputo che dirgli! Era una situazione imbarazzante, io… mi sono vergognata di quello che ha visto. Avrei dovuto mollargli un calcio, a quel demente. Sono passata per una che non si sa difendere da sola. Lo detesto», Yuzuriha spinse con forza la sfera nel cesto.

«Vedila così», Teiko non si fece scoraggiare e non avrebbe permesso che lo facesse lei. «Almeno adesso non puoi negare che non ti stia ronzando attorno. Lì dietro non c’è finito per caso, lui ti sta chiaramente ‘mosconando’. Non senti? Bzzz, bzzzz, bzzzzzzzz

A quell’immagine di Izawa versione moscone, Yuzuriha si lasciò andare a una allegra risata che riuscì a farle mettere da parte, almeno un po’, la tensione e il fastidio di quanto accaduto con Naoji. E, magari, anche lasciarle un po’ di piacere nel pensare che forse, ma proprio foooooorse, Mamoru fosse arrivato di proposito nel momento del bisogno.

«E allora, voi quattro! Battiamo la fiacca?» tuonò l’allenatrice. «Morisaki a rete, proviamo qualche schema d’alzata!»

«Sì, mister!»

 

«Ah! Sono a pezzi! La Shiroyama ci ha distrutte, oggi! Che carogna», Takeko sospirò, con il borsone sulla spalla. Neppure la doccia era stata abbastanza ristoratrice da toglierle la stanchezza dai muscoli. «Oggi credo che crollerò a letto.»

«Oh, piccolina, vieni da MammaOrsa. Coccole», Shiho le circondò le spalle con il braccio muscoloso e se la tirò addosso. Takeko non protestò per niente.

Teiko e Yuzuriha venivano subito dietro, coda di quel quartetto nato nella selezione per la squadra della prefettura dell’ultimo anno delle elementari, e poi rinsaldatosi tra le medie e il liceo, sempre sotto la guida ferrea di Tadami Shiroyama, la strega d’acciaio, come la conoscevano nell’ambiente.

Fu la riccia Kisugi ad accorgersi che fuori della palestra c’era qualcuno ad aspettare e il sorriso le andò da un orecchio all’altro, mentre drizzava la schiena.

«Guardate un po’ chi abbiamo a ore tre.»

Yu seguì l’indicazione della compagna ed ebbe un sobbalzo; di spalle, di cuore. Si irrigidì come una statua di pietra.

«Uh, uh. Qui la cosa si fa spudorata», Shiho le strizzò l’occhio, spalleggiata dalla risatina di Takeko che sollevava le sopracciglia.

«Che diavolo ci fa qui?» domandò lei, invece. Teiko fece spallucce.

«Mah, chissà, magari si è fermato solo ‘per caaaaso’bzzz… il moscone.»

«La smetti?»

«Oh! Ma guarda! Sta venendo qui! Qualcosa mi dice che… è venuto per te!» canticchiò Kisugi, pungolandola con l’indice. Per tutta risposta ottenne una gomitata, ma nonostante gli sfottò, nemmeno Yuzuriha poté negarlo, questa volta: Mamoru stava andando proprio verso di loro, e lei sentiva di avere le mani sudatissime e di aver preso e perso, in sequenza, almeno tre o quattro tonalità di colore.

«Ragazze», salutò lui, per primo.

«Ciao, Izawa. Come mai da queste parti?» con il solito fare più smaliziato, Teiko rispose per tutte.

«Ah, ecco...» Mamoru spostò lo sguardo dalla schiacciatrice dai capelli ricci a lei.

Teiko non aveva aspettato altro. «Ok, allora noi leviamo il disturbo, vero, ragazze? Buona chiacchierata!»

Yuzuriha la fulminò con un’occhiata omicida di cui Teiko non si curò, impegnata ad agitare allegramente la mano.

Mamoru trattenne un sorriso. «Pare che ti hanno mollata.»

«Già...» lei lo masticò a denti stretti. «Amiche… quante sfumature di vaffanculo ha questa parola.»

«Non volevo interrompervi.»

«Ah, no no. Noi… avevamo finito», si tirò su il borsone sulla spalla e con l’altra mano teneva la cartella. Alzò e abbassò lo sguardo da quello di Mamoru che le stava davanti e non aveva mai avuto modo di vederlo da così vicino. Nonostante avessero frequentato le stesse scuole, non aveva mai avuto la fortuna di capitare nella sua classe. Accidenti… che occhi che aveva! Così scuri da sembrare neri, e la forma della mandorla era allungata, pareva disegnata.

«Che… che posso fare per te?» domandò, stentando un sorriso, giusto per non passare ancora di più da cretina.

«Volevo restituirti il pallone. Ti era caduto, oggi.»

Yuzuriha guardò la sfera gialla e blu senza nascondere la sorpresa. «Ma avresti potuto lasciarlo in palestra.»

«Vero, ma ti stavi allenando e io… Ecco, in realtà, il pallone è una scusa perché vorrei scambiare due parole con te», Mamoru lo buttò fuori tutto insieme, non senza qualche difficoltà. L’aveva detto, lui, che quella ragazza non era come le altre. Anche solo a dire una cosa simile sembrava non essere in grado di trovare le parole giuste, quando in differenti occasioni ci avrebbe messo un attimo. Uno. Contato. Rapido come uno schiocco di dita. Guadagnò un po’ più di coraggio solo quando la vide arrossire fino alle orecchie: non le era indifferente, buon segno.

«O-ok...» Yuzuriha rigirò il pallone e poi gli fece cenno di seguirlo. «Vieni, andiamo a posare questo, intanto.»

In palestra non era rimasto più nessuno delle giocatrici. Avevano pulito e messo in ordine ogni cosa, gironzolava solo qualche manager che definiva gli ultimi dettagli con il coach, ma erano nell’ufficio e non sul campo. Lì c’erano solo loro, al momento, e i fari erano accesi in sequenza alternata sulle loro teste.

Yuzuriha fece scivolare la palla nella cesta e si sfilò il borsone da palestra dalla spalla. Lo poggiò a terra, assieme alla cartella. Mamoru fece altrettanto con il proprio, fermo tra le caviglie. Rimasero così, uno davanti all’altra in silenzio per alcuni istanti. Entrambi in imbarazzo, anche se Mamoru sapeva dissimulare molto meglio di Morisaki, che la prima cosa che fece fu di incrociare le braccia al petto, per nasconderlo. Era un gesto istintivo che le aveva visto compiere spesso da che le voci erano iniziate a girare. Mamoru non trovava giusto che lei dovesse sentirsi a disagio anche solo a parlare con un ragazzo, e con la paranoia che qualcuno dovesse fare una battuta da un momento all’altro.

«Senti-»

«Grazie-»

Le loro voci si sovrapposero quando parlarono nello stesso momento.

«Prima tu», la invitò Mamoru con cavalleria.

«Volevo ringraziarti per prima e scusarmi se sono sembrata scontrosa. Ero… ero un po’ in difficoltà.»

Lui scosse il capo. «Figurati, nessun problema. Avevo visto quello del Club di Baseball venire dalla vostra parte, e so che non corre buon sangue tra voi...»

«Già… neanche un po’», Yuzuriha storse la bocca in una smorfia, seguitando a tenere gli occhi più distanti, verso le attrezzature. Mamoru avrebbe voluto che, invece, guardasse i suoi, perché erano caldi e grandi, e di un colore autunnale accogliente. E perché l’aveva visto che sapevano essere decisi e fermi, durante le partite.

Perché diavolo faceva così tanta fatica a chiederle anche solo di guardarlo? Se ci fosse stata un’altra, al suo posto, avrebbe sfoderato tutta la tecnica seduttiva, le sarebbe andato più vicino, le avrebbe toccato i capelli, fatto qualche battuta su quanto fosse carina e le avrebbe sorriso. E invece… invece non riusciva a fare un passo, perché lei gli piaceva. Gli piaceva più di chiunque altra.

«Senti, come la vedresti se ti chiedessi di uscire?»

«…come un invito?»

«E lo accetteresti?»

«Diciamo che in questo momento non sono molto propensa a uscire con dei ragazzi...», Yuzuriha era convinta che se Teiko l’avesse sentita l’avrebbe mangiata viva. Era piccola di statura, ma eccome se si sapeva imporre. Ma per quanto l’invito di Izawa pareva quasi un sogno a occhi aperti, era terrorizzata che anche il suo amore pluriennale finisse per rivelarsi un altro Naoji.

«Sì, lo capisco. Per le voci che girano-»

«Non sono vere!» s’affrettò ad aggiungere, stringendo le labbra in una smorfia infastidita.

Mamoru avrebbe voluto darle un colpetto di incoraggiamento, come faceva con i suoi compagni. Sfiorarle il mento con le nocche, perché lei non era la tipica ragazza cui regalare dei fiori o dei cioccolatini, aveva capito anche questo solo osservandola. Lei era orgogliosa, dolce sì, ma forte. Quasi come lui. Anche per questo si sentiva in difficoltà, perché sarebbe stata l’unica con cui avrebbe finito per essere sé stesso e questo un po’ lo spaventava.

«Lo so che non sono vere. Basta guardarti per capirlo.»

«Ah, sì? Peccato non funzioni con gli altri.»

«Perché gli altri non ti guardano come ti guardo io.»

«E come mi guarderesti, sentiamo?»

«Alza gli occhi e scoprilo.»

Yuzuriha si era messa in trappola da sola. Avrebbe dovuto semplicemente dirgli di no, senza stare lì a spiegare niente. Dirgli di no, evitare qualsiasi delusione e risolvere tutto. Invece si era incastrata, in un punto in cui una parte di sé non voleva in nessun modo alzare lo sguardo e l’altra invece non aspettava altro. E lei era… troppo maledettamente orgogliosa per dare ascolto alla parte codarda, non si era mai tirata indietro davanti a una sfida, che fossero recuperi e alzate in possibili in campo o fuori di esso. Lei non aveva mai rinunciato senza aver tentato l’impossibile.

Per la prima volta, Yuzuriha fermò lo sguardo in quello del ragazzo che aveva davanti e fu quasi uno shock per tutti e due perché sembravano divenuti incapaci, all’improvviso, di distoglierlo. Mamoru catturato da quelle nocciole d’autunno, e Yuzuriha avvolta nell’ardente carbone.

Scoprire che lo sguardo di Mamoru non la faceva sentire in difetto per come era né giudicata per ciò che non aveva fatto, le fece sciogliere la tensione nelle spalle, tanto che anche le braccia persero l’incrocio tenuto serrato. Gli occhi di Mamoru non si abbassarono nemmeno per un istante.

«Se dovessi accettare, chi mi dice che non ti rivelerai come gli altri?»

«Nessuno. Puoi solo darmi una possibilità», Mamoru sollevò le spalle. «Se dovesse andare male, non sono uno che fa una tragedia nel venire rifiutato, non mi chiamo Naoji e non gioco a baseball.»

Yu gli regalò un accenno divertito di sorriso che per lui fu un goal a porta vuota. «Mi stavi davvero ‘mosconando’, allora...»

«Cosa?»

Il sorriso divenne risata, mentre lei scuoteva il capo e agitava le mani. «No, no niente!»

«E comunque non hai tenuto in conto che potrebbe anche andare bene...»

Izawa aveva un dannato modo di fare così sicuro di sé che le era sempre piaciuto e la incuriosiva troppo per farle rifiutare. Teiko sarebbe stata fiera di lei, quando gliel’avrebbe detto.

«Colombelli!» il tuono della Shiroyama, però, arrivò a interrompere il lungo sguardo che non avevano mai distolto, facendoli sobbalzare. «Andate a tubare fuori della palestra. Grazie, prego, addio.»

«Sì, mister!» risposero in coro, scattando sull’attenti. Il tempo di recuperare borsoni e cartelle ed erano già schizzati via.

«Con te, poi, riprendiamo il discorso domani. Vero, Morisaki?»

«Sissignora!»

Tadami Shiroyama attese che chiudessero la porta alle loro spalle, prima di sospirare. «Ah, gioventù bruciata.»

Fuori della palestra, invece, loro si fermarono solo quando furono certi di aver messo il giusto spazio tra loro e l’allenatrice.

«È davvero la strega d’acciaio», affermò Mamoru, Yuzuriha ammiccò. Si scambiarono un’occhiata veloce. Si sorrisero. «E quindi, la tua risposta?»

«…ok.»

Mamoru volle esserne sicuro. «Esci con me?»

Lei si passò una mano tra i capelli corti, spettinandoli e poi risistemandoli in un solo gesto.

«Sì.»

Il centrocampista trattenne un sorriso di giubilo, ma glielo si lesse comunque attraverso lo sguardo. Yuzuriha se ne accorse, e arrossì.

«Hai impegni questo week end? Sabato.»

«Nessuno. Ma scegli tu: invito tuo, scelta tua.»

Lui strinse gli occhi, divertito. «Mi stai mettendo alla prova?»

«Mh… forse un po’. Sì.»

«D’accordo, ci sto. Mi piacciono le sfide.»

«…già, anche a me», affermò la giovane con naturalezza. Per Mamoru fu l’ennesima evidenza che in comune avevano tanto, forse troppo.

«Tu prendi l’autobus per tornare a Mizukoshi, vero? Ti accompagno alla fermata», Mamoru accennò verso i campi più distanti. «Anche quelli di baseball avranno finito, rischi di trovarteli tra i piedi.»

«So difendermi da sola», ed ecco che il puntiglio orgoglioso di Yuzuriha Morisaki tornava a farsi vedere. Come quelli dei bambini testardi, però a lui non dispiaceva, anzi, le dava carattere. E poi avevano già preso a camminare insieme, uno accanto all’altra.

«L’ho visto, ma se siamo in due almeno evitano di darti noia. Come la vedi?»

Lei ci pensò un po’ e poi fu costretta a capitolare. «Come una rottura in meno» …e una possibilità in più, perché alla fermata mancavano almeno altri dieci minuti di passeggiata.

Quante cose avrebbero potuto dirsi in dieci minuti?

 

 

 

Note Finali:…io pure col Writertober, notoriamente una sfida basata sulla BREVITA’, tiro fuori cose lunghe mannaggiammè. Questa storia… avrà tre capitoli. Spero di riuscire a scriverli sfruttando dei prompt e quindi unire utile e dilettevole, ma non credo che sarò tanto fortunata.

Ebbene, Genderswap, signori. Genderswap. Yuzo è una YuzA (o, meglio, una Yuzuriha) e non solo lui. :3 In questa avventura sarà affiancato da Shingo/Shiho MAMMAORSA, Takeshi/Takeko e Teppei/Teiko. Non ho resistito, e anche il Mister Shiroyama è diventato DONNA XDDDD

Sarà qualcosa di leggero, divertente, niente di trascendentale ma molto scolastico. E spero che gli altri capitoli siano molto più BREVI o il mio Writertober non arriverà neppure alla settimana XD LOL

Avevo deciso di fare una storia per i due prompt delle tabelle, ma in questo caso non sono riuscita a unire Genderswap con Insonnia. E credo che ci scapperà una drabblina a parte. Se ci riesco. XD Nel frattempo… io devo pensare alla storia di domani. CAZZO! O/

 

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Capitolo 2
*** - II - ***


When you look at me - II

Note Iniziali: : storia scritta per il Writober di Fanwriter.itDay 4 Prompt: Segreti.

Sono in ritardo, il prompt è quello di ieri, ma sono stata fuori tutta la serata e non sono riuscita a terminare in tempo.

Vi rimando alle note finali, perché questo sarà l’ultimo prompt che farò per il Writober. Ahimé, il mio finisce qui :D

 

When you look at me

- II -

 

 

 

 

 

«Ebbene, ragazze, il momento è cruciale.»

Teiko aveva l’attenzione delle compagne, sedute chi ai piedi del letto – come Shiho – e chi sopra di esso – come Takeko. Yuzuriha era alla scrivania, il mento affondato nella mano e un sopracciglio inarcato. Ma Teiko non si curava della sua riottosità a quel processo impossibile da evitare; era stato chiaro nel momento stesso in cui le aveva scritto, la sera che era rimasta da sola con Izawa in palestra, anzi, appena era salita sul bus.

 

‘Mi ha chiesto di uscire.’

‘Che hai risposto?!’

‘…sì?’

‘RISPOSTA ESATTAAAAAH!!!!’

‘E adesso che devo fare?!’

‘Mia cara, ma a quello penso io. È ovvio!’

 

Erano seguite una sfilza di cuori e stelline ed emoji con gli occhi a cuoricino, e risatine sataniche.

Quando Teiko diceva che ci ‘avrebbe pensato lei’ non si prospettava mai niente di buono. Yuzuriha avrebbe dovuto saperlo e, invece, da buona fessa qual era, s’era lasciata fregare dalla propria ansia di dover uscire con Mamoru. Per questo, in quel fatidico venerdì pomeriggio, il mitico quartetto della Nankatsu di Volley si era riunito in camera sua e restavano in attesa del verdetto di Teiko, in piedi, al centro della stanza e che guardava il suo armadio chiuso con la stessa aggressività con cui Heidi Klum guardava i poveri malcapitati di Project Runway.

Teiko si sfregò la punta delle dita per trovare la sensibilità del tocco magico, mentre Takeko si teneva stretta il cuscino al petto e aveva gli occhi spalancati, e MamaBear rivolgeva occhiatine di compassione a Yuzuriha che ogni tanto le mollava un calcetto per dirle di smetterla.

«Ci siamo», Teiko si soffiò sulle dita in segno scaramantico e afferrò le maniglie delle ante. Un’ultima occhiata alle proprie spalle. «Preghiamo», disse grave e poi le spalancò con un gesto deciso e teatrale.

Takeko trattenne il fiato, Yu ruotò gli occhi e Shiho bloccò una risata sgranocchiando una patatina.

Teiko le lanciò un’occhiataccia. «Mommy! Potresti evitare di mangiucchiare?! Devo concentrarmi!»

Con sguardo di sfida, fissò l’interno dell’armadio: le grucce sistemate, sì, in maniera ordinata ma gli abiti che vi pendevano non avevano alcuna gerarchia interna. Orrore! Per colore? Per tipo? Per stile? Macché! C’era più metodica in una bancarella del mercato. Però, nonostante cercasse di trovare una quadra, guardare e riguardare, qualcosa di ancora più pauroso e sconvolgente stava emergendo.

«Dove sono?» chiese, all’improvviso, lasciandosi sfuggire una nota allarmata. «Dove sono?!»

«Cosa?» sospirò Yuzuriha.

«I vestiti!»

«Come sarebbe ‘dove sono?’? E quelli che hai davanti che sarebbero?»

«Pantaloni!» esclamò con un diavolo per riccio. «Lunghi, coprenti e sobri pantaloni!»

Yuzuriha sollevò le spalle, rivolgendo i palmi in alto, senza riuscire a capire il motivo di tante proteste. Teiko era sull’orlo di una crisi di nervi.

«Io voglio i vestiti! Le gonne! Sai, quelle cose un po’ corte, sotto cui passa aria e puoi metterci le autoreggenti!»

«Io non porto gonne. L’unica che ho è quella della divisa scolastica.»

«Ah! Mi sanguinano le orecchie, cosa sono costretta a sentire!» Teiko si portò le mani al petto, ferita a morte. «Ma perché ho delle amiche così sciatte?! Cos’è, una punizione divina per essere nata ricca?!»

«Non farla tanto lunga, Tei-chan.»

«Tu zitta, Shiho!» Teiko l’additò con fare inquisitorio. «Sei un’altra che non ho mai visto con un abito! Sappi che la prossima ad avere una perquisizione del guardaroba sarai tu!» poi si portò le mani al viso, sconsolata dalla situazione. In quel modo e a quelle condizioni era impossibile che lavorasse e, nella sua visione delle cose, Yuzuriha non avrebbe dovuto essere meno che perfetta per il suo appuntamento col Raperonzolo Moro. «Houston, abbiamo un problema. Temo che dovrò ricorrere all’artiglieria pesante, sfoderare l’arma segreta…»

«Hai addirittura un’arma segreta?» Yuzuriha le lanciò un mezzo sorriso sarcastico. «E quale sarebbe? Di certo non puoi sognarti di prestarmi niente di tuo, tanto non mi entrerebbe. E di andare a fare shopping dell’ultimo momento non se ne parla.»

«Niente di tutto questo», Teiko scosse la testa, grave. «Qui ci vuole un intervento superiore, giocare d’esperienza», alzò il viso con solennità e poi piagnucolò a gran voce: «Ume-saaaaan

Il viso di Yu divenne terreo. «Mia madre?! Ma sei im-»

«Mi avete chiamato, ragazze?»

La signora Morisaki fece il suo ingresso, spalancando la porta e mandando avanti le doti di famiglia – cioè una quinta di reggiseno – di cui non si era mai vergognata, anzi. Aveva sempre sfoggiato le sue curve con grande coscienza di sé, affrontando a muso duro ogni presa in giro. Non per niente era attivista per i diritti delle donne. Sorriso smagliante, trucco impeccabile e sempre ottimo gusto nel vestire; Teiko vedeva in lei l’unica soluzione possibile a una situazione disperata.

«Mamma?! Eri dietro la porta?!»

«Ma no, stavo passando per caso, tesoro.»

Yuzuriha le rivolse un’occhiata eloquente prima di fulminare Teiko: «Questo è un colpo basso», le bisbigliò.

«A mali estremi, estremi rimedi.»

«Allora, mie care, di cosa avete bisogno?» strizzò loro l’occhio. «Cos’è questa piccola riunione qui dentro, vedo l’armadio aperto…»

Yuzuriha divenne bordeaux. Ci mancava solo che sua madre avesse saputo del-

«Sua figlia ha un appuntamento, domani, e il suo armadio è un disastro. La prego, ci aiuti!»

…ecco, appunto. Stava dicendo?

«Giuda…» borbottò, incrociando le braccia al petto.

«Oh, non parlarmene, Tei-chan. Ogni volta è una guerra», sospirò la donna. «Quando le dico di comprarsi qualcosa, lei torna con un paio di jeans uguale ai millemila che ha già, o una tuta o un paio di scarpe da ginnastica. Non c’è verso di farle prendere altro.»

«Fosse solo quello!» piagnucolò Teiko, disperata. «Ha solo t-shirt! Oversize, per giunta. Qualcosa di più aderente? Sembra quasi che tu non sia mai venuta a fare shopping con me, diavolo!»

«Sì, certo, aderente, e queste dove me le metto?» sbottò Yuzuriha, indicandosi il seno.

«Quanto sei noiosa! Si trova sempre una soluzione.»

Ume Morisaki batté le mani. «Ma ho sentito bene, si è parlato di ‘appuntamento’

«Sì! Esatto!» Takeko ci tenne a essere precisa. «Con il ragazzo più bello della scuola!»

«Ah. Davvero?» Ume era tutta un sorriso. Rivolse un’occhiata di approvazione a Yu e le strizzò l’occhio. «Brava, tesoro. Ti ho insegnato bene.»

«Oh, per favore…» sospirò la ragazza, spiaccicandosi la mano sul viso.

«Aspettate! Ma non sarà mica come quel bamboccio del baseball, vero?»

«Oh, no no no!» Teiko si affrettò a negare con vigore. «Assolutamente, Ume-san! Qui si va su un altro livello.»

«Foto? Suvvia, tiratele fuori, non ci credo che non ne avete. State sempre con quei cellulari in mano!»

Yu sbuffò. «Ma ti pare che andiamo a fotografar-»

«È questo qui.»

«Mommy?!» guardò Shiho con occhi pallati, ma la spessa Takasugi non si curò della sua disperazione mentre allungava il cellulare a sua madre. Le rivolse, invece, un’occhiata severa.

«Zitta, cucciolotta. È per il tuo bene, lascia fare alle mamme

Ume si illuminò alla vista di Mamoru. «Oh! Hai capito! Questo sì! Bel colpo, bambina.»

«Adesso gli scrivo e gli dico che salta tutto.»

«Non essere scema! E ascolta tua madre», Teiko la rimbeccò, mollandole anche uno scappellotto.

In tutto quello, la signora Morisaki aveva già preso il controllo della situazione. Restituì il cellulare a Shiho e batté ancora le mani per avere l’attenzione delle ragazze. Negli occhi scuri, in cui brillavano lampi di forte combattività e malizia, c’era tutta la sicurezza di chi aveva già il piano perfetto.

«Per un primo appuntamento speciale, ci vuole un vestito speciale. Seguitemi.»

Fece loro strada, invitandole a cambiare stanza. Il terzetto di amiche le tenne subito dietro, capeggiato da una Teiko su di giri, una Takeko curiosissima e una Shiho che ormai voleva proprio vedere dove sarebbero arrivate. A chiudere la fila, c’era invece una affranta Yuzuriha, che non faceva che sbuffare come una ciminiera e, più che camminare, si stava praticamente trascinando. L’intenzione di scrivere a Mamoru e dirgli che saltava tutto era fortissima, ma alla fine si limitò a sospirare quel rassegnato: «Ma perché non sono nata maschio?!»

La destinazione di quella strana fila indiana fu la camera dei genitori di Yu. Ume disse loro di prendere posto sul letto e le ragazze non se lo fecero ripetere. Teiko, ovviamente, si sedette in prima fila, perché doveva guardare tutto. Aveva la schiena dritta e attenta come nemmeno a scuola durante le lezioni, e le mani strette sulle ginocchia. Takeko aveva trovato un altro cuscino da stringere e Shiho aveva smesso di sgranocchiare patatine, solo per non sporcare la camera della signora Ume.

«Sapevo che prima o poi un momento simile sarebbe arrivato», stava dicendo quest’ultima. Alle sue spalle c’erano due grandi armadi: uno chiaramente quattro stagioni, e un altro diverso, più piccolo, che sembrava cozzare con l’intero arredamento della stanza. Era di tipo shabby, fintamente rustico, con un bello specchio sulla parte anteriore. E fu proprio verso quell’armadio che si fermò. «Li ho conservati apposta. A me, ormai, non vanno più, ma a te dovrebbero stare.»

Yuzuriha sgranò gli occhi, in un misto tra sorpresa e preoccupazione. «Ma quello è il tuo armadio vintage!»

«Lo so.»

«L’armadio vintage?» Teiko si illuminò d’immenso. «Il momento richiede della contemplazione speciale», con un sorriso amplissimo, si portò entrambe le mani al viso, appoggiando il mento nei palmi. E quando la signora Ume aprì il guardaroba gli occhi le brillarono tra tutti quei pois e tulle e gonne a ruota dalle fantasie più varie. «Oh, mio Dio. Questa è una autentica miniera d’oro!»

«Sappi che lunedì ti alzerò delle palle di merda. Contaci. Di merdissima», bofonchiò Yu, ma Teiko neppure l’ascoltava, si era già alzata e fiondata davanti a quella fila ordinatissima e coloratissima di tessuti e fantasie. Era nel suo mondo, ormai.

«Ma sono tutti suoi?! E originali dell’epoca?!» chiese, sfiorando con le mani il cotone e il tulle, la pelle con le borchie, la lana pettinata.

«Sì e sì. Diciamo che ho avuto un periodo un po’… turbolento, da ragazza. Ma quanto ci siamo divertiti io e Haru», sospirò, negli occhi di Ume brillava orgoglio per ogni istante che aveva vissuto e ogni follia che aveva compiuto. «Ormai quel tempo è passato, ma è perfetto per te, adesso», disse, guardando Yuzuriha.

«E vuoi che vada in giro vestita anni ’50?»

Ume sollevò una spalla, non si scompose. «Tesoro, non lo sai che il rockabilly non passa mai di moda?»

Teiko batté le mani, guardò Yu con occhio subdolo e pronto alla guerra. «È il momento di mettersi a lavoro.»

«Oh, mamma…» ma sua madre, in quel preciso momento, era proprio l’ultima persona cui potersi votare.

 

Mamoru era teso e per lui, quella, era una vera novità.

Teso a un appuntamento?! E quando mai? Nemmeno al primo in assoluto che aveva avuto si era sentito così, con lo stomaco che voleva divenire tutt’uno con l’esofago e la gola. Era fuori dal luogo d’incontro e non faceva che guardare l’ora, andare avanti e indietro e poi guardare di nuovo lo schermo del cellulare.

Yuzuriha aveva dieci minuti di ritardo, e lui l’aveva messo in conto né aveva preteso che fosse puntuale. Una volta, una ragazza l’aveva fatto aspettare mezz’ora e, a ripensarci, in quell’occasione neppure se n’era accorto del ritardo, preso com’era stato a chattare e ridacchiare con i suoi amici. Adesso, invece, ogni secondo in più che passava era una stilettata tra fianchi, ventre, schiena; il cuore gli doveva aver saltato qualche battito e il cellulare l’aveva guardato solo per vedere l’ora. Non aveva mai tolto neppure il blocco-tasti. Si sentiva sulle spine, con quell’idea di strano vuoto nello stomaco in cui sentiva fluttuare le budella. Provò quasi la tentazione di scrivere ad Hajime, così, per distrarsi, ma non lo fece perché voleva vederla arrivare. Poteva sembrare una cosa stupida e fin troppo romantica, ma voleva riconoscerla tra le persone che passavano di continuo davanti al Luna Park. Voleva sentire che effetto faceva vederla arrivare e sapere che stava arrivando per lui.

Quasi che qualcuno l’avesse ascoltato, scorse la sua testa zigzagare veloce tra tutte le altre, era di corsa. Era bellissima. La sensazione che aveva atteso non tardò a farsi sentire e tutto quello che fino a un attimo primo era stato accartocciato nel suo stomaco, si sciolse d’improvviso, diffondendo un calore che partiva dal ventre e arrivava fin nella testa e nella punta dei piedi.

Yuzuriha correva, tra la gente, agile con le sue gambe lunghe coperte da una gonna che arrivava al ginocchio e le cadeva morbida a ogni movimento. Sneakers ai piedi e una borsa a sacca tenuta stretta sul davanti. Al lobo penzolava un singolo orecchino a cerchio, grande, con una piuma colorata all’interno. Gli si fermò a un passo, piegandosi sulle ginocchia e riprendendo fiato.

«Ah! Scusa! Sono in ritardo!» disse tra un rifiato e l’altro. «Sai, i bus! La metro! Non ho calcolato bene i tempi!»

Lui sembrò per un attimo un pesce fuori di boccia: la bocca si aprì e chiuse un paio di volte senza dire niente, gli occhi rapiti dalle sue nocciole d’autunno messe in risalto da un po’ di matita e mascara. Sulle labbra, un gloss trasparente che le rendeva lucide come pesche.

Aveva il cuore che gli andava a singhiozzo e non riusciva a capire da che punto, di preciso, stesse battendo nel suo corpo. Se l’era perso nel miscuglio di roba sciolta che doveva esserci lì dentro, tra cassa toracica e stomaco. Poi si riscosse e sorrise.

«No, figurati! Nessun problema. Non c’era bisogno di correre, prendi fiato.»

«È che odio essere in ritardo…» a un appuntamento non lo disse, si vergognava anche solo a pensarlo. Yuzuriha si tirò su e si diede una sorta di risistemata. Fece scendere bene la borsa sulla spalla con un po’ di imbarazzo nello scoprire la camicetta chiara che Teiko aveva scelto tra le mille cose di sua madre. Per fortuna che l’aveva spuntata per tenere il golfino corto, di cui era riuscita a chiudere solo il primo bottone, quello giusto per nascondere un po’ il decolleté che sua madre, invece, le aveva detto di mettere in mostra. Se solo ripensava all’incubo del giorno precedente le venivano i brividi lungo la schiena.

 

«Aperto!»

«Chiuso!»

«Aperto!»

«Chiuso!»

«A-per-to!»

«Chiu-so!»

«Ume-san! Glielo dica anche lei che deve tenere il bottone del golfino aperto!»

«Tranquilla, Tei-chan, lo aprirà da sola, quanto ci scommetti?»

«Sì, contateci. Non ci penso nemmeno. Questo bottone resterà sigillato! Non posso andare in giro così, mi vergogno!»

«Non hai niente di cui vergognarti, bambina mia. Hai un fisico da urlo! Sei alta, sei atletica, hai le tette. Sai cosa diceva sempre tua nonna? Le cose belle si portano da fuori.»

 

Certo, averne avute leggermente di meno di quelle stesse tette, magari, sarebbe stato più apprezzato. Ma sua madre era sempre stata così, e un po’ le invidiava la sicurezza che aveva del suo corpo. La nonna glielo diceva di continuo che, anche da ragazzina, non si era mai fatta mettere i piedi in testa da chi provava a prenderla in giro, anzi, le suonava forte a tutti e di santa ragione. Era sempre stata un po’ maschiaccio nell’animo tanto quanto femminile nella cura di sé. E la nonna stessa l’aveva sempre appoggiata, cucendole di sua mano molti dei vestiti che aveva indossato da ragazza, comprese le minigonne. Erano altri tempi, si era detta, ma a volte le sembravano meno oscuri e morbosi di quanto fossero quelli attuali, dove bastava avere un minuscolo neo per finire alla gogna.

Un po’ come si sentiva adesso, che aveva lo sguardo di Mamoru addosso e si vergognava come una ladra. Quanto avrebbe pagato per avere i suoi comodissimi jeans, in quel momento, o una camicia a quadroni oversize. Invece doveva tenersi la gonna che, per carità, era bellissima davvero, ma che non era abituata a indossare, e quella camicia che sentiva troppo stretta addosso, anche se era così che andava indossata. Meno male che era riuscita a tenersi almeno le sneakers o sarebbe morta una intera giornata sui tacchi. Quell’altra pazza di Teiko non aveva fatto altro che ripeterle che ‘lì sotto ci starebbero benissimo le mie Jimmy Choo!’. Ma lei avrebbe dovuto camminare e le scarpe comode erano state approvate all’unanimità.

Un po’ in imbarazzo diede una lisciata alla gonna color navy a righe diagonali sottilissime, quasi psichedeliche, e giocherellò con la coda del foulard annodato al collo. Rockabilly fino alla fine, sua madre non aveva voluto sentire ragioni.

«Aspetti da molto?» chiese, giusto per rompere il ghiaccio e poi distogliere in fretta lo sguardo perché quello di Izawa era troppo penetrante e molto più deciso del suo; sentiva di averlo addosso e non era intenzionato a distoglierlo.

«Pochi minuti. Entriamo?»

Yuzuriha alzò la testa sul grande ingresso del Luna Park. La gente fluiva tra madri, figli e ragazzine in età scolare come lei o più piccole, ma anche studenti universitari. L’odore dello zucchero filato e delle mele caramellate arrivava fin lì.

«Sai che sono sorpresa?» disse con un sorriso. «Ti facevo più tipo da cinema. Sai, il classico film romantico da guardare mangiando pop corn dallo stesso cestello.»

Mamoru sentì d’aver fatto punto. «Mi sembrava un po’ troppo scontato.»

«Ti sembrava bene», ridacchiò. «Odio i film romantici.»

Punto numero due. Mamoru sentì d’avere molta più sicurezza di prima e ciò che si era sciolto per l’emozione iniziale stava piano piano tornando insieme, assumendo una forma definita e solida.

Entrarono nel Luna Park, camminando fianco a fianco e lasciando che la gente girasse loro intorno, li superasse, e corresse via con la fretta di raggiungere questa o quella giostra.

«Da cosa ti piacerebbe iniziare?»

Yuzuriha si guardò attorno con reale curiosità e interesse. «Non saprei, è da molto che non ci vengo. Tra gli allenamenti e lo studio, le occasioni per uscire e divertirsi si sono un po’ ridotte e, per lo più, quando siamo libere finiamo sempre per parlare di pallavolo e di campionato.»

Mamoru riconobbe molto di sé in quella che era una summa anche delle sue giornate. Ma usciva spesso di sera, rimediando compagnia dell’ultimo minuto da parte di qualche amica. Anche lui, doveva ammettere, era da parecchio che non usciva al pomeriggio per un appuntamento serio con una ragazza. Però quella che aveva accanto e si guardava attorno lo faceva sentire a suo agio, a prescindere dalla solita e strana sensazione di vuoto che ogni tanto lo coglieva quando riusciva a strapparle un sorriso o facevano incontrare i loro sguardi. Si sentiva a suo agio perché non doveva mantenere un determinato atteggiamento, sempre teso a darsi un tono, a essere perfetto. Sentiva che poteva rilassarsi e passare il tempo con lei anche solo facendo due passi, senza finire per forza a pomiciare in un vicolo più defilato.

«Ti capisco, anche noi non facciamo che parlare di calcio. Le nostre manager ce ne dicono di tutti i colori, per questo!»

Risero entrambi, e Yuzuriha fece per passarsi una mano sugli occhi quando si ricordò del trucco e si fermò. Anche quello insistenza di Teiko perché: ‘L’acqua e sapone non va più di moda, sei pazza?! Il trucco deve essere studiato! Niente mascheroni, ma poco ed efficace!’. E, sì, poco ne aveva poco, ma era ancora troppo per i suoi standard. Anche il gloss sulle labbra, con quel sapore di pesca che la nauseava.

«Senti, vengo subito. Ti spiacerebbe aspettarmi qualche minuto?»

«No, affatto. Anzi, prendo da bere. Cosa ti andrebbe?»

«Ah, una coca. Grazie.»

Yu corse via e si infilò nel primo bagno che trovò.

Appoggiò stancamente la borsa su uno dei lavandini mentre, in quello accanto, c’era una mamma che stava facendo lavare le mani alla figlia. Lei le guardò per un attimo, guardò le salviette profumate con cui si stavano rinfrescando e ci pensò solo per un istante prima di chiederne una. La madre gliela offrì, gentilmente, e lei ringraziò con un inchino. Attese che andassero via, salutò la bambina con la mano e poi si guardò allo specchio, mentre altre madri e figlie, altre ragazze e donne entravano e uscivano dandosi il cambio.

Teiko non aveva esagerato e quel trucco leggerissimo le stava anche bene… ma l’idea di mostrarsi a Izawa in quel modo non le piaceva. Insomma, lui l’aveva vista fuori dalla palestra, sudata e sporca di polvere. Chi voleva prendere in giro? E anche quell’orecchino… l’unico che era riuscita a infilarsi, di corsa, mentre cercava di prendere al volo la metropolitana.

Femminilità.

Si mangiava?

Incerta, si passò una mano sui capelli corti che non aveva mai voluto far crescere perché ‘mi darebbero impiccio, così sono più comodi!’ e ancora si domandò perché diavolo uno come Mamoru Izawa avesse chiesto proprio a lei di uscire, quando avrebbe potuto avere un sacco di ragazze più carine e più femminili.

Ma se c’era una cosa che non le era mai piaciuto fare era cercare a tutti i costi di ‘apparire’. Apparire diversa da quello che era. Forse aveva problemi con l’eredità fisica della sua famiglia, ma di certo con tutto il resto ci era scesa a patti da tempo, e se doveva essere qualcuno, lei avrebbe sempre scelto ‘sé stessa’. Con decisione eclissò l’orecchino solitario nella borsa, si ripulì dalla matita e dal mascara con la salvietta, tolse ogni traccia di gloss e si lavò il viso, asciugandosi con un paio di strappi di carta, gettati subito dopo nel cestino.

Ecco, adesso sì che si riconosceva un po’ di più, anche se aveva ancora quella gonna, quella camicia e la cinta con la fibbia grande che le sagomava la vita al punto giusto in modo da mettere in risalto il fisico slanciato e morbido.

«Scusami», una ragazza le si affiancò per lavarsi le mani. Le stava rivolgendo un’occhiata ammirata. «Volevo dirti che hai una gonna bellissima!»

«G-grazie…» rispose con titubanza, ma le scappò un sorriso nel momento in cui afferrò la borsa e uscì.

Mamoru la stava aspettando con due lattine e altrettante cannucce. Era davvero bello con i capelli sciolti. Va beh, era bello sempre, ma a lei i suoi capelli erano piaciuti fin dalla prima volta che li aveva visti. Neri, lucidi. Li trovava sexy, e un sacco di volte avrebbe voluto poterli toccare come vedeva fare spesso ai suoi amici o alle ragazze che gli ronzavano attorno e avevano abbastanza confidenza da poterselo permettere. E poi aveva un fisico che… Scrollò il capo quando sentì il viso andare a fuoco, ma l’immagine delle gambe muscolose che spuntavano da sotto i pantaloncini e si piegavano, agilissime, nel correre da una parte all’altra del campo da calcio, era difficile da togliersela dalla testa una volta che ci si piazzava.

Tossicchiò, si lisciò la gonna e raggiunse Izawa, cercando, per l’ennesima volta, di non pensare troppo al fatto che fossero lì, insieme, e che quello fosse un appuntamento.

«Scusa l’attesa.»

Mamoru stava per dirle qualcosa, ma si fermò, accorgendosi subito della leggera differenza.

Lei camuffò un sorriso, leggermente in imbarazzo. Si passò una mano nei capelli corti, spettinandoli.

«Il trucco, con me, dura sempre pochissimo. Non ci sono abituata, ma se non l’avessi messo, Teiko mi avrebbe uccisa.»

«Ti hanno dato il tormento?» chiese Mamoru, allungandole una lattina.

«Loro, mia madre.»

«Ahi. Suona male.»

«Non immagini quanto. Per dire, io volevo venire in jeans, loro hanno insistito per la gonna. Mia madre in testa!» fece un po’ di autoironia, la faceva sentire meglio, e le permetteva di non guardare Izawa negli occhi. «Voi maschi non avete di questi problemi. Infilate la prima cosa e via. Di certo non avete delle amiche che vi danno il tormento con ‘sei troppo sciatta, sei troppo snob, sei troppo coperta, sei troppo scoperta’

Mamoru pensò che forse l’avrebbe fatta ridere sapere che anche lui aveva avuto la sua dose di ‘che diavolo mi metto?’ per non passare troppo sicuro o troppo insicuro, troppo aggressivo, troppo dimesso. Ma invece sorrise, trovando adorabile il suo imbarazzo e ancora più belle le sue labbra che, per togliere il gloss, doveva aver sfregato e ora erano leggermente rosse. Avrebbe voluto baciarle subito.

«Invece sei molto carina.»

Sì. Decisamente avrebbe voluto baciarla subito, soprattutto ora che aveva alzato lo sguardo con una sorpresa ed era arrossita.

 

Nascosti dietro l’angolo del primo, grande botteghino di dolci di quel Luna Park, tre paia di occhi tenevano tutta la situazione sotto controllo.

«Direi che il primo approccio è andato bene», Takeko mise via il piccolo binocolo nello zainetto.

«Ah! Quella disgraziata!» sbottò invece Teiko. «L’avete vista?! Si è andata a struccare! Ma che le passa per la testa?! E ha tolto gli orecchini! Già si era presentata con uno sì e l’altro no! Ah! La solita sciattona!»

«Lasciala stare, Tei-chan, è il suo appuntamento», sospirò Shiho, cercando di sedare la piccola esagitata del gruppo. Ma Teiko scosse con vigore i riccioli.

«Ma non sarà perfetta!»

«Non deve essere perfetta. Deve essere Yuzuriha. Se fosse perfetta non sarebbe lei», convenne Takeko con un’alzata di spalle. «E poi sono carini. Li avete visti? Izawa ha iniziato bene, punto per lui.»

«Sì, ammetto che la scelta del posto è stata azzeccata», approvò Teiko con una certa riluttanza, mentre MammaOrsa le piazzava un sacchetto sotto al naso.

«Tieni, consolati con le caramelle, tu.»

La riccia Kisugi sbirciò all’interno dove c’era una piccola e colorata montagnola di orsetti gommosi alla cola. Ne afferrò un paio, ancora con una smorfia di disappunto per vedere il suo lavoro di trucco e parrucco mandato a ramengo. «Sono buone», masticò afferrandone altre. «Almeno non l’ha portata al cinema. Sai le risate nel momento in cui le avrebbe chiesto di scegliere il film?»

Takeko sghignazzò. «Izawa si sarebbe trovato a guardare ‘Il ritorno degli Zombie’ con lei che ride a tutto andare a ogni scena splatter! Addio romanticismo.»

Come si erano già risolte a fare fin dall’inizio, si misero a pedinare i due come delle perfette ninja, seguendo ovviamente Shiho, che aveva le abilità migliori. Li osservarono entrare e uscire dalla casa stregata, salire sulle macchine a scontro e fare un paio di giri sulle montagne russe. E poi l’Otto Volante, la Ballerina e la Nave. All’ennesima giostra più estrema, Teiko si sentì in dovere di sbottare: «Ma perché non fanno un giro nel tunnel dell’amore?!»

Poi si volse di scatto, perché qualcuno, al suo fianco, aveva detto la stessa identica cosa, addirittura con la stessa inflessione frustrata. E quale sorpresa scoprire che il co-proprietario di quel pensiero fosse proprio l’amico di Izawa, quello col ciuffo. Quello carino.

I due si scambiarono un’occhiata perplessa, colti impreparati entrambi, poi fu lei a riprendere per prima il controllo e a puntargli contro l’indice inquisitore.

«E voi che ci fate qui?!» domandò, notando che non era da solo, ma con Misaki – compagno di classe di Yuzuriha –, Ishizaki e quelle che erano le manager del Club di Calcio.

«Senti senti. Potrei farti la stessa domanda», Hajime incrociò le braccia al petto, pronto alla rissa.

«Facevamo un giro.»

«Anche noi.»

«Oh, ma davvero?» Teiko strinse minacciosamente lo sguardo; Hajime fece lo stesso.

«Davvero.»

Sanae e Shiho alzarono entrambe gli occhi al cielo e si misero di mezzo.

«È chiaro che siamo venuti tutti per lo stesso motivo», disse proprio Mamma Orsa. Sanae l’appoggiò subito.

«Appunto. Quindi perché non presentarsi per bene?» con un sorriso giunse le mani davanti alle labbra. «Voi siete le amiche di Morisaki, vero? Noi siamo del Club di Calcio. Eravamo un po’ preoccupati e volevamo vedere come se la sarebbe cavata Mamoru. Non che di solito abbia bisogno di qualcuno che lo tenga d’occhio, ma con Yuzuriha ci è sembrato più in difficoltà che con le altre», si avvicinò, in tono di confidenza. «Sono mesi che le sta dietro e non si era mai deciso.»

Gli occhi di Teiko si illuminarono. «Sentito, ragazze? Prendete nota: io avevo ragione, la stava ‘mosconando’

«Anche la nostra Yu-chan era tesissima», spiegò Takeko. «Non capita certo tutti i giorni di ricevere un invito da uno come Izawa.»

Sanae era tutta un pettegolezzo. «E le piace?»

«Uff, da anni», Teiko agitò una mano. «Ma a noi non ha mai detto niente, convinta che non ce ne fossimo accorte. Illusa.»

«Uhm, è per questo che l’hai fatta vestire come un gelataio?» sghignazzò Hajime. Teiko lo fulminò con un’occhiata truce.

«Ha parlato quello che non si saprebbe vestire nemmeno se avesse abiti di un solo colore. Guardati, la camicia fuori dai pantaloni e quei capelli hanno mai visto un pettine? Sciattone!»

«Snob!»

Lei girò il viso con fare altezzoso, lui sogghignò con un certo divertimento.

«Be’, visto che ormai siamo tutti insieme e con l’obiettivo in comune… che ne direste di unire le forze?» propose Taro.

Il trio di volley si scambiò un’occhiata veloce e alla fine Shiho ammiccò. Più sarebbero stati, meglio sarebbe stato.

«Ci sarà da divertirsi, allora», pungolò Hajime, rivolgendo a Teiko un’occhiata di sfida. Lei gli sfilò davanti, passando una mano tra i lucenti capelli ricci. La sfida accettata.

«Puoi contarci, carino

 

Mamoru dovette ammetterlo, ma era la prima volta che viveva il Luna Park in quel modo. Ci aveva portato qualche altra ragazza, in passato, ed era sempre stato… molto più noioso di quanto si stesse rivelando in quel momento. Yuzuriha si lanciava sulle attrazioni più assurde e poco femminili che c’erano. Sulle macchine a scontro aveva fatto strage, e sulle montagne russe aveva gridato e riso fino a sgolarsi. Aveva lanciato un’occhiata disgustata al tunnel dell’amore, che gli aveva strappato una sonora risata, e l’unica attrazione più tranquilla su cui erano saliti era stata quella delle tazze girevoli. Ma non era stato il continuo ruotare della giostra ad avergli lasciato il senso di vertigine che sentiva ancora adesso. Mamoru era convinto che appartenesse solo a Yuzuriha. Era l’ennesima sensazione nuova, che si sommava alle altre che stava conoscendo poco alla volta da che si era interessato a lei. Ed erano tantissime, erano come le montagne russe, e ogni volta si intensificavano quando sorrideva e poi guardava lui. Lo guardava con quel sorriso aperto, pieno di sole. E puntualmente la vertigine si faceva sentire e gli faceva perdere per un attimo l’orientamento, lo sbandava.

«Sei la prima ragazza che non vuole fare attrazioni da ragazza», disse a un tratto, mentre camminavano tra le bancarelle. Avevano mangiato un hot-dog preso a un chioschetto e anche quello era stato non convenzionale per i suoi appuntamenti standard, in cui si finiva sempre con una crêpes dolce, piena di panna e di fragole.

Yu sistemò la borsa sulla spalla. Infilò le mani nelle tasche della gonna e si imbarazzò un po’. «Ho sempre avuto gusti poco femminili.»

«La mia non era una critica. Mi sono sentito molto più a mio agio del solito. Ho potuto fare cose che con le altre ragazze non facevo mai. Tipo salire sulle montagne russe.»

«Ah, non avessi avuto la gonna, io avrei provato anche quelle!» Yuzuriha indicò le montagne russe che lasciavano i piedi liberi di penzolare nel vuoto.

«Vorrà dire che ci saliremo la prossima volta», Mamoru lo disse con una naturalezza che guardava già avanti, era proiettata al futuro. E questo futuro diceva ‘usciremo ancora’.

Yu arrossì, guardò a terra, mentre Mamoru si rendeva conto di quello che aveva detto e con quanta tranquillità lo avesse fatto. Perché, sì, lui con Yuzuriha ci sarebbe voluto uscire di nuovo, portarla da qualche altra parte, parlare: quello che contava era la sua compagnia.

«Questo però devi lasciarmelo fare», disse a un tratto, indicando il chioschetto del tiro al bersaglio. Mettendo in mostra un po’ di quella spavalderia che lo aveva sempre accompagnato, Mamoru sollevò il mento. «Voglio vincere qualcosa per te.»

«D’accordo.»

Era una caratteristica di Izawa che a Yu piaceva. Sfrontato, sicuro. Non era arrogante o prepotente come Naoji, sapeva, invece, far sentire protetti, come stretti da un abbraccio accogliente.

Mamoru… era diverso. Diverso dagli altri. Aveva detto di sentirsi a suo agio, ma questo valeva anche per lei, perché era rilassata in sua compagnia, a prescindere da un po’ di imbarazzo. E aveva quei modi di fare e di sorridere che la facevano sentire carina sul serio, e le facevano mancare anche l’aria, qualche volta. Soprattutto quando incontrava i suoi occhi o si passava le mani nei capelli.  Le facevano mancare l’aria dal petto e sentire un vuoto tutto strano nello stomaco, in cui qualcosa formicolava, svolazzava, ma non sapeva cosa fosse. Si era dimenticata in fretta del trucco o degli orecchini eclissati, si era dimenticata in fretta della camicia troppo stretta e della gonna. Stava solo pensando a divertirsi… e si stava divertendo tantissimo. In Mamoru stava trovando un complice per ogni follia le venisse in mente ed era certo che anche lui si stesse divertendo, non solo perché glielo aveva detto, ma perché glielo leggeva in viso. E non sapeva come, ma riusciva a capire che non stava mentendo.

Al chiosco del tiro a segno, Mamoru si fece dare il fucile. La sua aria sicura non lo abbandonava mai, lei lo guardò con un certo interesse e attese che sparasse. Al primo colpo mancato, trattenne una risatina.

«Pessima mira, Izawa?»

«Sfotti poco, Morisaki!»

Eppure cannò anche gli altri due, riuscendo a centrare solo gli ultimi. Mamoru si tirò su con disappunto. «Che pessima figura», fu costretto ad ammettere con una certa sorpresa. Di solito non falliva mai una prova come quella.

«Mi sa che sei più bravo con i piedi», Yuzuriha ridacchiò, appoggiata di spalle accanto a lui.

«Ah, se avessi usato quelli, non avrei sbagliato neppure un colpo.»

Lei allungò una mano. «Posso provare?»

Mamoru si mostrò sorpreso. «Vuoi vincere tu qualcosa per me?»

«E perché no?»

Yu aveva uno sguardo di sfida che gli ricordò i momenti in cui l’aveva vista giocare: concentrata, attenta, non era disposta a perdere senza averci provato. Era un fuoco vivo che conosceva bene, perché sapeva di averlo anche lui, negli occhi, quando scendeva in campo.

Troppo simili.

Terribilmente compatibili sotto ogni punto di vista.

«A te il fucile», Mamoru glielo passò senza distogliere lo sguardo dal suo fino a che non si scambiarono di posto.

«Cosa ti piacerebbe?»

«Oh, oh. Siamo spavaldi, Morisaki?»

«Io direi più sicuri.»

«E vada per la sicurezza», Mamoru la guardò prendere posizione, piegarsi leggermente in avanti e piantare bene le gambe. Alzò lo sguardo sui pupazzi di peluche che pendevano dal soffitto del chiosco e disse con solennità: «Il fenicottero.»

«Ti piace il gioco duro.»

«Sempre, quando si tratta di una sfida. Odio vincere facile.»

Lei lo inquadrò con la coda dell’occhio, accennò un sorriso. «Ci sto.»

«Sono almeno quattro centri», spiegò il proprietario del chioschetto, e la velocità delle paperelle che correvano sul fondo era aumentata.

Mamoru osservò come l’espressione del profilo di Yu cambiasse quando era concentrata. Desiderò avvicinarsi per darle fastidio, baciarle il collo leggermente piegato, stuzzicarla e farla arrabbiare, e invece rimase fermo dov’era con un leggero sorriso.

Il primo colpo andò a vuoto.

«Chi è che aveva la pessima mira?»

«Mi sto solo scaldando.»

E lui avrebbe voluto baciarla di nuovo, prenderle le mani e sentire se fossero fredde o calde quando la tensione la teneva sulla corda.

Il secondo, terzo, quarto e quinto centro andarono tutti a segno. Uno dietro l’altro.

«Wow!» sbottò, scostandosi da dove era poggiato e guardando le paperelle ribaltate, con incredulità.

«Dicevamo, Izawa?» Yuzuriha soffiò ironicamente sulla punta della canna del fucile.

«Sei per caso una serial killer?»

«No, ma adoro gli sparatutto!» lei strinse i pugni e i suoi occhi si illuminarono. «Quando andiamo in sala giochi, io e Shiho ci sfidiamo sempre! Non ce n’è per nessuno!»

Mamoru strabuzzò gli occhi e poi scoppiò a ridere. Una risata piena, a bocca spalancata.

«Allora, a chi va il premio?» l’uomo del chiosco reggeva il grande fenicottero fucsia tra le mani e stava per darlo a Yuzuriha quando lei indicò al suo fianco, con decisione.

«A lui!»

«Quindi dovrò portarmelo io in giro per tutto il Luna Park?»

«Certo», lei si calcò di nuovo la borsa sulla spalla. «L’ho vinto per te.»

Mamoru scosse il capo, stava ancora ridendo, e prese di buon grado il pupazzo, tenendolo con un solo braccio.

«Sei incredibile.»

Yu arrossì. «È un complimento?»

«Sì. È dannatamente un complimento.»

 

«Ma è scema?!» Teiko aveva le mani nei capelli. Non ci poteva credere: aveva appena fatto sfigurare il ragazzo con cui era uscita. «Addio. S’è giocata Izawa…» disse con un sospiro, afflosciando le spalle.

Mamma Orsa, invece, sghignazzava con orgoglio. «Brava, la mia ragazza, è così che si fa. Anni e anni a giocare con gli sparatutto hanno dato i loro frutti.»

«Avrebbero anche potuto aspettare, eh!»

Al suo fianco, il modo in cui Taki aveva appena sospirato quel: «Accidenti…» le piacque anche di meno. Lo guardò disperata, aggrappandosi al suo braccio.

«Ecco, lo sapevo. Ha fatto danno, vero? Ha ferito Izawa nel suo orgoglio, non è così? Diavolo!»

Ma Hajime si trovò a scuotere piano la testa e non sapeva se sorridere o preoccuparsi, perché adesso sì che la faccenda si sarebbe complicata.

«…ha fatto centro, invece. Ha fatto un gran bel centro.»

 

Camminarono tra le bancarelle per un po’ e infine decisero di sedersi fuori della piccola struttura coperta dove avevano quasi finito di allestire un complessino. Era già il tramonto e del tempo che era passato non se n’erano neppure accorti se non quando iniziarono ad accendersi le luci del Luna Park.

«Vuoi qualcosa da bere?» chiese Mamoru, ma lei scosse il capo.

«No, sono a posto.»

Rimasero in silenzio per un po’ a vedere la gente che passava e qualcuno lanciava più di un’occhiata incuriosita al fenicottero di peluche. Yuzuriha aveva allungato le gambe, intrecciato le caviglie. Mamoru aveva seguito il gesto con gli occhi e poi era tornato a guardare il suo profilo.

«Io gli darei un nome.»

Mamoru si riscosse. «In che senso?»

Yu si volse, accennò col mento al fenicottero. «È più grosso di un cane, ha diritto ad averne uno.»

«Tipo? Che suggeriresti?»

Yuzuriha si sporse per guardare meglio il pupazzo, mentre dal gazebo iniziarono ad arrivare i primi suoni del check degli strumenti e del microfono. Mamoru seguì i suoi movimenti, come piegasse il capo o si mordesse le labbra per concentrarsi, farsi venire un’idea.

«Ha il farfallino, secondo me è stato a una serata importante. Quindi deve essere un tipo facoltoso.»

Guardò il modo in cui faceva scivolare le mani sulle gambe, e le fermava sulle ginocchia. Mani dalle dita lunghe per poter alzare bene la palla e schiacciarla e murarla. Chissà com’era sentirle addosso, sul viso. Tra i suoi capelli, dita così, ci sarebbero state proprio bene…

«Quindi ha bisogno di un titolo un po’ più altisonante, magari straniero… tipo Mister?»

«Mister sta bene!»

«Mister come, però?»

Yuzuriha sistemò il farfallino del peluche. «Se ha un titolo straniero, magari è straniero anche lui…»

«Da Aruba», Mamoru sorrise, pensando che avrebbe voluto stringere quelle mani. «Lì c’è una spiaggia che si chiama proprio ‘Flamingo Beach’

«Allora è un Mr. Flamingo!»

Si sorrisero e sembrò tutta una sciocchezza quella del nome da dare a un semplice pupazzo, eppure ci si erano trovati lo stesso. Nelle cose più piccole, come in quelle più grandi c’era una sintonia che nessuno dei due aveva conosciuto fino a quel momento e li faceva sentire bene, faceva cercare gli occhi dell’altro anche se ogni volta c’era imbarazzo nel trovarli. Rimbalzavano, come una palla passata in palleggio o come un colpo di tacco. I loro sguardi facevano lo stesso: rimbalzavano sulle cose che avevano intorno, ma finivano per cercarsi sempre. E Yuzuriha fu di nuovo la prima a spostare il proprio, questa volta verso il gazebo dal quale la musica si faceva sempre più intensa.

L’orchestra aveva attaccato a suonare e non era giusto di intrattenimento. Mamoru e Yu videro un sacco di coppie ballare al ritmo di rock’n’roll anni ’50. Elvis, Chuck Berry, Chubby Checker. Signori di mezz’età si erano lanciati, facevano piroettare le loro partner per tutta la pista; avrebbero dato un paio di stacchi anche a gente molto più giovane.

Yuzuriha si mise con le ginocchia sulla panchina e i gomiti sul bordo, per guardarli e sorridere.

«Ma che belli!»

«Sbaglio o alcune delle signore sono vestite come te?» Mamoru aveva spostato Mr. Flamingo e si era messo nella stessa posizione di Yu.

Lei finse di non dare troppo peso a questa improvvisa vicinanza, né ai gomiti che si sfioravano.

«No, non sbagli… questo vestito è di mia madre.»

«Patita degli anni ’50?»

Lei nicchiò. «Più o meno… è una specie di segreto di famiglia.»

Mamoru tirò indietro il mento, incuriosito. «Addirittura?»

Yuzuriha lo guardò. Era davvero vicinissimo, e quando i loro occhi si incontravano a quella distanza, accadeva come quando si erano trovati in palestra: faticavano a distoglierli e nello stomaco quel formicolio si faceva più forte.

«Ecco… i miei sono stati yankee da giovani. Mamma si cotonava i capelli e papà era pieno di brillantina.»

«Maddai!»

«Sul serio. Però è un segreto, ok?»

«Sarò muto», Mamoru si portò l’indice alla bocca per suggellare la promessa di non dire niente.

«Papà mi ha insegnato a ballare un po’ di rockabilly. Lui e la mamma ne vanno matti.»

«Rockabilly?» Mamoru si incuriosì. «Non lo conosco, cos’è?»

«Be’… quello che stanno ballando loro», Yuzuriha indicò la pista e i vecchietti che scivolavano da una parte all’altra, velocissimi. Le loro gambe si muovevano ovunque e saltavano, facevano capriole a mezz’aria.

«Lo sai ballare sul serio?»

«Non così bene, però-… ehi! Cos-! Ehi! Aspetta!»

Mamoru non le diede nemmeno modo di terminare, si alzò e le prese un polso, tirandosela dietro.

«Andiamo!»

«Cosa?! Dove?!»

«A ballare!»

«Eh?!» Yu divenne bordeaux, fu costretta a mollare tutto sulla panchina e a seguirlo all’interno della pista.

«Ah! E mi devi insegnare, perché io non lo conosco il rockabilly, però ti assicuro che imparo in fretta, giuro!» si fece vicinissimo, così tanto che, nel movimento, i capelli le sfiorarono la spalla, e il fiato arrivò poggiarsi sulle labbra. Senza contare che le stava tenendo la mano. Le stava tenendo la mano. E gli occhi erano nerissimi, preziosi, ardenti. «Ti sfido. Ci stai?»

Il ‘no’ non era contemplato.

«O-okay… ecco… devi, allora…» Yuzuriha cercò di ripescare, da un angolo remoto del proprio cervello in blackout, le nozioni di suo padre e i passi di ballo che aveva imparato, e non pensare che erano le mani di Mamoru quelle che stava toccando e che ancora stringevano la sua. Non pensare che fosse lui così vicino e con cui ballare. Lei, che ballava pochissimo alle feste perché troppo alta e che, per questo, non veniva invitata molto spesso in pista. E se lo facevano, erano ragazze sue kohai. La guardavano sempre con troppa ammirazione e la mettevano in imbarazzo, vedendo in lei quasi più un cavaliere che una damigella.

«…ecco, devi mettere una mano qui…» se la poggiò sul fianco. «…e l’altra così…», stretta nella sua. Gli mostrò come muovere i piedi, il tempo da prendere e i passi che erano relativamente pochi e semplici, se non si facevano le acrobazie. Il difficile, era farli velocissimi, a tempo di musica e riuscire a mantenere la presa mentre ci si spostava da una parte all’altra, si piroettava. Le mani dovevano sempre trovarsi, tenersi strette e salde.

«Così?»

«Sì, ma attento a non pestarmi!»

Mamoru rise, lei scosse il capo.

«Meglio! Ehi, sei bravo!»

«Te l’avevo detto che imparo in fretta.»

Izawa le fece fare un mezzo giro, a velocità un po’ più alta, per prendere confidenza. E poi tirarla di nuovo a sé. Allontanarsi, e riavvicinarsi, fare un giro e poi un altro, allontanarsi di nuovo, le braccia tese fino a perdere la presa, ma le mani strette l’una all’altra.

«Esatto, così! Il trucco sta tutto nello scivolare un po’ quando s’accompagnano i passi e prendere velocità!»

E la velocità la presero, a un certo punto, tra le loro risate e quelle di chi ballava loro intorno. La gonna di Yuzuriha girava e si sollevava con le sue righe e il suo blu, scopriva le gambe e sembrava quasi che la ragazza volasse, tra le braccia di Mamoru che le furono sempre intorno, sempre pronte a riprenderla, a stringerla ogni volta un po’ di più senza che nessuno dei due se ne accorgesse, catturati dal ritmo, dalla gente, da Long Tall Sally.

Mamoru vedeva la gonna girare come una ruota, rimaneva ipnotizzato da quel movimento di linee e poi dal sorriso di Yu che cambiava ogni volta a seconda dell’angolazione e della luce. Restava ipnotizzato dalle mani strette alle sue, dalla vicinanza che diveniva distanza e poi vicinanza più stretta. Giravano come trottole, e non sembravano averne abbastanza. Tutti e due.

Anche Yuzuriha aveva troppe cose negli occhi, troppe emozioni nel petto e troppe risate tra le labbra. Aveva lo sguardo di Mamoru incollato su lei a ogni movimento, e il sorriso perfetto di chi si stava divertendo da matti. Non avrebbe mai pensato di poterlo vedere scatenato quanto lei, quando di solito si ammantava di un’aura un po’ più controllata, superiore a tutto il resto. Aveva le sue mani, ed erano bollenti e dalla presa salda. E lei aveva un caldo infernale, tanto che spuntò il famoso bottone del golfino senza preoccuparsi della camicia troppo stretta, delle forme troppo generose, dell’universomondo, tanto gli occhi di Mamoru finivano sempre e solo nei suoi occhi, alla fine di ogni piroetta. E lei gli teneva strette le spalle ampie senza alcuna vergogna, senza alcuna paura di trovarsi a ogni passo più vicina, perché era troppo bello e troppo divertente per tirarsi indietro. Perché il cuore stava volando alto per pensare alla paura di cadere, sarebbe voluto andare sempre più su e forse arrivò a toccare il tetto dell’infinito quando, alla fine di Lang Tall Sally, si ritrovò stretta nel suo abbraccio. La mano di Mamoru aperta sulla schiena, l’altra che teneva saldamente la sua. Il petto contro quello del ragazzo, entrambi che si alzavano e abbassavano in fretta per il fiatone. Stranamente, non percepì le proprie forme come ingombranti, forse perché aveva gli occhi di Mamoru nei suoi, affondati, come nocciole nel cioccolato fondente. E i sorrisi smaglianti si affievolirono nel ritrovarsi vicini di colpo, e così stretti.

«…ho vinto», Mamoru lo disse piano e nonostante il frastuono della musica che era ripartita e degli applausi, Yu lo sentì lo stesso.

«Uno pari.»

«E qual è il mio premio?»

Troppo vicini, tanto che i suoi capelli arrivarono a sfiorare di nuovo il suo viso. D’istinto, lei fece scivolare via la mano dalla spalla e sorrise. Mamoru, allo stesso modo e preda dello stesso istinto, sciolse un po’ la presa, fece un passo indietro.

«Da bere. Offro io.»

 

«Non l’ha baciata. Mamoru non l’ha baciata. Cazzo, non ci credo.»

Hajime era sconvolto, continuava a scuotere il capo, adagio. Se non l’avesse visto con i suoi occhi non ci avrebbe mai creduto, e invece… Altro che centro; quella gli aveva affondato tutta la flotta a battaglia navale in un colpo solo. Allungò la mano al suo fianco, pescando dal sacchetto di noccioline tostate che Teiko stava reggendo. A sbirciare i due piccioncini erano rimasti praticamente solo loro, mentre gli altri facevano comunella su tutt’altro e ridevano del fatto che Shiho Takasugi avesse battuto Ryo tre volte di fila al gioco del martello, giustificandosi con un serafico: ‘Questione di polso, ciccino’.

«Ha fatto bene», aggiunse la ragazza, altrettanto seria e pescando noccioline a sua volta. «Se l’avesse baciata, Yuzuriha sarebbe scappata a gambe levate, conoscendola.»

Hajime girò piano il viso nella sua direzione, con una smorfia. «Ma che problemi ha la tua amica?!»

«Che dirti, è un disastro in queste cose. È vergine.»

«E tu no?» le scoccò un’occhiata allusiva, che Teiko sostenne con una certa superiorità. Pescò un’altra nocciolina.

«Non è una cosa che si chiede a una donna, come con l’età. Mammina non te l’ha insegnato?»

Hajime la squadrò dalla testa ai piedi, con ancora più interesse di prima. Prese un paio di noccioline e tornò a guardare, verso il gazebo, Yu e Mamoru che lasciavano la pista per recuperare le loro cose, compreso l’enorme fenicottero.

«Buono a sapersi», disse, «preferisco le esperte a quelle di primo pelo.»

«Come se potesse mai interessarmi uno che parla in maniera tanto cafona.»

Lui non demorse, ma il sorriso si fece più ampio. «Staremo a vedere.»

E nessuno dei due voleva darla vinta all’altro, ma preferirono mettere da parte la loro piccola sfida per fare ancora gli angeli custodi dei loro migliori amici. Alla fine, fu Teiko a sospirare.

«Però devo ammettere che non avevo mai visto Yu così felice, in compagnia di un ragazzo…» e lo disse con un sorriso carico d’affetto sulle labbra piccole e a cuore.

«Già, anche Mamoru…», pure Hajime non poté fare a meno di sorridere, in maniera più storta e ironica. «Con un’altra si sarebbe comportato in maniera diversa, ma con lei… Sta facendo sul serio. Non l’aveva mai fatto prima; gli piace davvero.»

«Me lo auguro per lui, perché se poco poco prova a far soffrire Yuzuriha, gli sguinzaglio Mamma Orsa

«Questa sì che è una minaccia, cazzo!»

«E comunque mi devi delle scuse: avevi criticato l’abbigliamento scelto e invece si è dimostrato per-fet-to», Teiko scandì per bene l’ultima parola. «Ah, aveva ragione la madre di Yu: il rockabilly non passa mai di moda.»

«Ok, lo ammetto, abbiamo fatto un ottimo lavoro.»

«Abbiamo?! E cosa avresti fatto tu?»

Hajime si portò una mano al petto. «Gli ho suggerito io il Luna Park.»

Teiko sbatté le ciglia lunghe un paio di volte. «In questo caso… Allora c’è anche qualche buona idea sotto quei capelli spettinati.»

«C’è molto di più, ma tu sei troppo snob per vederlo.»

«Io non sono snob, io devo selezionare. Il mondo è pieno di pesci, ma non tutti sono degni di me.»

«Che modestina del cazzo», ma aveva un sorriso divertito e ancora più intrigato per quella sfida davvero assurda che era nata, involontaria, dal loro continuo rimbeccarsi. Oh, lui l’aveva detto che la riccia gli piaceva.

«Senti, che ne dici, possiamo mandarli in pace?» domandò a un tratto proprio Teiko, quella che era stata la più agguerrita tra tutti nel volerli seguire e controllare. Adesso, però, sentiva non fosse più tanto giusto star loro dietro a ogni passo.

«Sì, direi di sì. Se la sanno cavare da soli.»

«E sia. Il nostro dovere l’abbiamo fatto. Da buoni amici.»

«Da buoni amici.»

La brezza che annunciava l’arrivo della sera portò via qualche minuto alle loro parole.

«Quindi, che si fa?» Teiko si strinse nelle spalle. Si scambiarono un’occhiata.

«Io inizio ad avere fame. E scommetto anche Ishizaki», Hajime si volse a guardare gli altri. «Ehi! Ma se andassimo da qualche parte a mangiare qualcosa tutti insieme?»

Ryo allargò le braccia, rivolgendo lo sguardo al cielo. «Halleluja! Finalmente si comincia a ragionare! Io sto morendo di fame!» ma l’approvazione fu unanime e ad Hajime non rimase che sollevare le spalle, guardando Teiko.

«Quando uno conosce i suoi polli…»

 

Nella metropolitana, a quell’ora, la gente iniziava a scemare, tutti diretti verso casa o verso il centro, per iniziare la propria serata di libertà. Entrambi avrebbero dovuto prendere la stessa linea, ma in direzioni opposte perché Shutetsu e Mizukoshi erano quartieri che si trovavano ai capi opposti della città.

«Non mi ero mai divertito tanto in compagnia di qualcuno che non fosse uno dei miei amici», Mamoru era appoggiato alla colonna con la schiena, Mr Flamingo addossato alla stessa, accanto ai suoi piedi. Yu rivolse un sorriso alla punta delle sneakers, camuffando l’imbarazzo con le mani affondate nelle tasche della gonna. Era a un paio di passi di distanza, dal suo lato di binario, ma di metro ne avevano già fatte sfilare due o tre da che erano arrivati. Tanto passavano così spesso, c’era ancora tempo.

Dopo aver ballato avevano continuato a girare per il Luna Park, preferendo chiacchierare piuttosto che provare le attrazioni. Si erano seduti a un cafè e avevano preso dei frappè parlando dei rispettivi campionati, dell’impegno sportivo, di possibili convocazioni con la nazionale. Yuzuriha aveva già giocato un mondiale giovanile, proprio come lui, e all’orizzonte si prospettava la possibilità di accedere al World Youth per gli Under 19. Era un’occasione perfetta per poter aspirare al professionismo, ma al momento c’era il campionato studentesco in cui dare il meglio ed entrambi volevano vincere.

Poi, quando la brezza serale s’era fatta più insidiosa, avevano preso la via del ritorno, adagio. Molto adagio. Avevano trasformato la distanza in una lunga passeggiata; Yu aveva richiuso il bottone del golfino quando aveva sentito insinuarsi un refolo troppo freddo. Solo allora si era resa conto d’averlo tenuto aperto praticamente per tutta la serata, senza curarsene minimamente. Come aveva detto sua madre, sarebbe stata lei ad aprirlo e così era avvenuto, anche se non ricordava neppure quando, di preciso.

«E non mi ero mai divertito così tanto a ballare», Mamoru era rimasto incredibilmente entusiasta del rockabilly. «Sono andato spesso in discoteca con i ragazzi, ma… questo è stato davvero folle.»

«Tu sei il primo cui abbia mai insegnato qualche passo», Yuzuriha allargò il sorriso che stava rivolgendo alle scarpe. «Di solito l’ho sempre ballato solo con mio padre. È un genere un po’ retrò, non lo trovi in disco.»

«Però era divertente. Ricordi i vecchietti?»

Lei alzò finalmente lo sguardò nel suo, ridendo. «Erano incredibili! Hai visto che salti?»

«Già!»

«Noi siamo proprio principianti in confronto!»

Mamoru ne approfittò, ora che si guardavano. «E tu? Ti sei divertita?»

Lei infilò di nuovo le mani in tasca, quasi fosse una forma di difesa, ma non rifuggì i suoi occhi. «Sì. Grazie per la bella giornata.»

«Te l’avevo detto che sarebbe potuta anche andar bene», lui fece spallucce con un po’ di presunzione.

Il silenzio e il rumore dei treni in ripartenza si rubarono alcune delle loro parole. L’intervallo necessario in cui Mamoru si fece avanti.

«Ti ho preso una cosa. Dopotutto, avevo vinto la sfida, quindi toccava a me fare un regalo a te. Quando hai vinto tu, mi hai regalato Mr. Flamingo.»

Yu sentì le orecchie andare in fiamme. «Come? Ma non ce n’era bisogno!»

«Volevo che avessi un ricordo della serata. Così ho approfittato mentre eri tornata da quelli del rockabilly, per i biglietti da visita.»

«Ah, non ero andata solo per quello», dalla borsa, Yuzuriha estrasse una piccola busta rettangolare e si affiancò a Mamoru. Dall’interno estrasse due fotografie. Lo staff le aveva scattate mentre tutti stavano ballando, e avevano preso anche loro, più volte, ma queste le erano piaciute particolarmente.

«Una è mia!» Mamoru le sfilò dalle dita quella in cui si guardavano: lui le sorrideva, lei aveva la bocca aperta su un’espressione di sorpresa. La gonna di Yu era stata catturata nel suo movimento ipnotico, al termine di una piroetta ed era sollevata.

L’altra, che Yuzuriha tenne per sé, li vedeva vicini, ridevano entrambi senza guardarsi, ma era l’emblema di quanto si stessero divertendo. Mamoru le teneva la mano sulla schiena e bastava solo osservare quell’immagine per ricordare la sensazione del suo tocco addosso, e farle tornare la sensazione di sfarfallio nello stomaco.

«Siamo fotogenici», affermò Mamoru.

«Non abbiamo nemmeno visto che c’erano le macchine fotografiche.»

Risero entrambi, poi Mamoru estrasse un pacchetto dalla tasca della giacca e glielo porse. Era piccino, con l’adesivo del Luna Park a chiudere il packaging perfetto dal disegno colorato e kawaii.

«Non avresti dovuto», lei cercò di dissimulare l’imbarazzo per quel dono inaspettato. Lo prese dalle sue mani e fece saltare l’adesivo.

«L’ho vista e mi è piaciuta. E poi una sfida è una sfida.»

Yuzuriha fece scivolare il contenuto nel palmo ed era una catenina il cui ciondolo era composto da un fenicottero e un pallone da volley.

«Dopotutto, se io ho Mr. Flamingo…» aggiunse Mamoru con fare allusivo. Lei sorrise, guardandolo negli occhi.

«Che bella! Sai che non avevo ninnoli legati alla pallavolo? Cioè, ok, ho il portachiavi con il pallone, ma quello è un classico», si affrettò a togliere il foulard che aveva al collo e tentò di indossare la collanina, ma tra le dita aveva anche le foto e non riusciva a chiudere il gancio.

Le mani di Mamoru intervennero per aiutarla, sovrapponendosi alle sue in maniera inaspettata, tanto che ritrasse le proprie e lo lasciò fare. Le dita gli sfiorarono più volte la nuca scoperta, un contatto che non passò inosservato per entrambi. Perché Mamoru indugiò un po’ di più e di proposito su quel collo lungo; anche lì, in un’altra, maledetta occasione, ne avrebbe approfittato per lasciare un bacio, perché era un invito troppo facile, era un classico.

«Così va bene o è troppo stretta?»

«No, va benissimo.»

Suo malgrado, Mamoru si vide costretto a ritrarre le dita senza tentare nessun tipo di approccio, come aveva fatto per tutto il giorno.

Lei sfiorò la gola, dove il ciondolo scendeva arrivando all’inizio dello sterno.

«La lunghezza è perfetta, così non sprofonda», ironizzò, per togliersi dall’imbarazzo, ma la mano rimase lì, su quel semplice ninnolo.

La metropolitana arrivò, portando una folata di vento con sé. Mamoru guardò da dove sarebbe sbucata e pensò che c’erano alcune fermate prima della destinazione di Yu.

«Sei sicura che non vuoi che ti accompagni a casa?» il display del suo cellulare segnava le dieci in punto.

Lei scosse il capo. «Figurati, non mi rapiscono mica. Sono troppo alta.»

Il treno arrivò con il suo rumore di ferro su lamiere. Poi lo stridio dei freni durò pochi istanti in cui entrambi strinsero gli occhi.

«Mandami un messaggio quando sei a casa», Mamoru voleva essere certo che arrivasse senza intoppi e lei percepì di nuovo quella sensazione di protezione e sicurezza, di attenzione, che le piaceva.

«D’accordo.»

Le porte si aprirono, puntuali e precise. Yuzuriha salì sul treno ed erano di nuovo uno davanti all’altra. Li divideva solo lo stacco dal vagone alla pensilina, ma a Mamoru sarebbe bastato sporgersi solo un po’ per poterle rubare un bacio sulla chiusura di quella serata. E invece rimase fermo, non fece il passo in più, non la baciò, non ci provò neppure. Rimase solo a guardarla come uno stupido.

«Allora ci vediamo a scuola, Morisaki.»

«Okay», e neppure lei fece il passo definitivo, ma strinse di più il manico della borsa e poi sfiorò ancora il ciondolo. «A lunedì.»

Un solo maledetto passo che non arrivò da nessuno dei due, ma che entrambi desideravano più di qualsiasi cosa al mondo. Però i piedi erano come incollati al suolo e loro ancora troppo incastrati nei dubbi dell’adolescenza. Le porte si chiusero sull’ultimo sorriso che Yu gli rivolse e il cenno della mano. Lui rispose con uno uguale, ma il treno era già partito.

A Mamoru non rimase che osservarlo andare via, diretto a Mizukoshi, prima di tirare un pesante sospiro.

«Ma che diavolo mi è preso?» si chiese, nella speranza che il suo stesso cervello rispondesse, ma non accadde. Tra le mani la foto e, appoggiato alla colonna, Mr. Flamingo. Mamoru lo guardò, inarcò un sopracciglio. «E adesso come lo spiego a mio padre che una ragazza mi ha battuto al tiro a segno?»

L’attimo dopo sbottò a ridere.

 

 

 

 

 

 

Note Finali: …semplicemente non ce la faccio a starci dietro. :/ Volevo sfruttare l’iniziativa per allenarmi nella scrittura di qualcosa di breve e veloce, ma alla fine le idee prendono il sopravvento e resto fregata da me stessa. XD

 

Ammetto anche di aver preteso un po’ troppo, perché sono impegnatissima in mille altre cose, tra cui la stesura di Malerba (che avevo leggermente messo da parte per il Writober e NON VA BENE, non voglio!), l’Inktober per Mattoni Gialli, dove accompagno i disegni della mia ‘sociorella’ con dei brevissimi estratti di storie estemporanee, e il corso di scrittura.

Troppe cose.

Le giornate non sono di mille ore, quindi mi arrendo all’evidenza e per quest’anno dico STOP. Magari al prossimo andrà meglio :D

Quindi, il prossimo capitolo di “When you look at me” – che sarà anche l’ultimo – arriverà con un pochino di calma e senza farmi prendere dalla fretta compulsiva della scrittura a tempo. :3

 

Ah! E se qualcuno se lo stesse domandando, sì: mamma Ume è BAIKO XD ho switchato anche i suoi genitori! Dopotutto, 'ume' ha lo stesso significato di 'baiko' XD (quindi va da sé che papà Haru è Haruko XD ed è lui ad aver assunto il cognome 'Morisaki' adesso LOL)

 

Curiosità: non so se lo avevo già spiegato altre volte, ma gli 'yankee' sono un tipo di gang giovanile, in cui i membri si pettinano e abbigliano seguendo molto gli anni '50 americani. È una fase di transizione che prende soprattutto durante il periodo di liceo, quando la voglia di ribellione è al massimo. :3

 

Grazie a tutti coloro che stanno seguendo pure quest’altra follia non prevista :*

 

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Capitolo 3
*** - III - ***


When you look at me - III

Note Iniziali: : e finalmente, dopo TROPPO tempo, si arriva alla chiusura di questa piccola easylong.
Vi lascio subito alla lettura e ci ritroveremo alla fine con le note di chiusura :*

 

When you look at me

- III -

 

 

 

 

 

Giovedì.

Così vicino alla fine della settimana e alla partita di campionato che avrebbero disputato domenica e così vicino al terzo appuntamento che Mamoru avrebbe avuto con Yuzuriha, ma Hajime non riusciva a credere alle parole del suo migliore amico.

Seduti in una piccola caffetteria del centro di Nankatsu, dove si erano rifugiati dopo la scuola, Mamoru aveva le mani nei capelli e la faccia quasi affondata nel milkshake tripla panna che aveva davanti.

Hajime lo fissava sorreggendosi il capo con tre dita e tirando su sorsi piccoli e frequenti di frappuccino alla nocciola. La testa della cannuccia era stata tutta mordicchiata.

«Quindi ripeti,» disse solennemente. «Il sunto del discorso.»

«Non l’ho baciata… non l’ho baciata un’altra volta!» Mamoru sollevò la testa tirando in basso la pelle del viso; sembrava uscito da un horror di serie z. «Sono un deficiente!»

«Ci sei uscito due volte, con domani saranno tre, e non l’hai mai baciata. Non ci hai nemmeno provato.»

«No!» Mamoru era disperato. Perfino il milkshake con tripla panna sembrava non sortire alcun tipo di effetto, quando era sempre stato capace di far dimenticare ogni cosa. Questo la diceva lunga sulle conseguenze che la prosperosa Morisaki aveva sul suo migliore amico. «Io non ci riesco. Ce l’ho lì, a un passo… e non ci riesco.»

«Ma che diavolo ti prende?»

Per Hajime era solo una domanda di circostanza, perché tanto l’aveva capito; cercava di fare in modo che anche Mamoru ci arrivasse, ma non l’aveva mai visto così nel panico. Un po’ gli veniva da ridere, però scelse di non inferire e godersi lo spettacolo.

«Non lo so! Ho come la sensazione che rovinerei tutto, capisci? E io non voglio. Non voglio rovinare nulla!» Mamoru sospirò, rilassandosi contro lo schienale della sedia e dando finalmente un po’ di pace ai capelli in disordine. Li tirò indietro e poi incrociò le braccia. «Non mi era mai capitato… non così. Mi sento…»

«Idiota.»

«Tanto! Ma non quando sono con lei. Quando sono con lei è tutto naturale, come se l’avessi sempre fatto. E lei è…»

«Bella?»

«Bellissima! Ma non è solo quello.» Mamoru abbozzò un sorriso. «Martedì ha scelto dove andare e sai dove siamo finiti? In sala giochi. Io non ce l’avrei mai portata una ragazza in sala giochi… e invece mi ci ha portato Yu.» Erano già ai diminutivi: male, male, MALE! «Cazzo, se ci sa fare con gli sparatutto!»

Hajime si portò una mano al volto. Non era così che si rimorchiavano le ragazze o i ragazzi, ma sia Mamoru che Morisaki parevano quasi non volersi rimorchiare e rimanere indietro di un passo rispetto allo stadio successivo: quello in cui si parlava un po’ meno e si limonava di più. Per gli dèi, ma doveva insegnargli tutto lui?

«E domani che hai intenzione di fare? Progetti per la serata?»

Mamoru sollevò le spalle, si decise a bere un po’ di milkshake. «Si accettano suggerimenti.»

«Ecco, perfetto, allora ascoltami: tu e la tua bella andate sul lungo fiume, okay? Fate una passeggiata, crei l’atmosfera e poi metti in moto la lingua prima che ti si arrugginisca.»

Mamoru gli allungò un calcio da sotto al tavolo. «Non credo di riuscirci.»

«Oh, andiamo! Queste cose le hai sempre fatte anche a occhi bendati!»

«Non so come spiegartelo, ma quando sono con lei non è solo il contatto fisico che voglio.»

«Okay che non vuoi solo quello, ma se nemmeno provi a baciarla è grave!»

«D’accordo, d’accordo! Vada per il fiume e la passeggiata e… vediamo come va a finire.»

«Bravo. Impegnati!»

«M’impegnerò.»

Ma nell’osservarlo mentre di tanto in tanto guardava fuori e poi faceva cadere l’occhio sul cellulare, come se aspettasse di vederla passare per caso o di ricevere un messaggio, Hajime ebbe la riconferma di quanto aveva capito durante il famoso appuntamento al Luna Park: Yuzuriha Morisaki aveva fatto centro e Mamoru non se n’era ancora reso conto.

 

Yuzuriha aveva scoperto che il turno di aprire la palestra il mattino presto non le pesava più da quando aveva capito che le piaceva Mamoru Izawa.

Fino a prima di quell’istante, aveva sempre pensato che alzarsi prestissimo per andare ad aprire la struttura, con qualsiasi clima o intemperia, fosse una sorta di castigo che la Strega d’Acciaio infliggeva a tutte loro prima ancora che potessero fare qualcosa di male. Una sorta di punizione preventiva.

Ritrovarsi a scuola che il sole stava sorgendo, col caldo o col freddo, con la pioggia o la neve, non faceva differenza: andava fatto, mentre tutt’attorno regnava il silenzio. Le prime volte le aveva trasmesso inquietudine: non si sentiva niente, la scuola dormiva e solo pochi, sporadici alunni vi si aggiravano come spettri assonnati, assieme al custode; ragazzi dei club, come lei, che preparavano campi e attrezzature per le attività giornaliere e pomeridiane.

Poi aveva perso la testa per Izawa e le sue mattine erano state un camminare più piano per osservare il campo da calcio e immaginare il ragazzo mentre correva, con la nebbiolina che saliva e sembrava si potesse attraversare e toccare. La nebbiolina che correva attorno alle sue caviglie, mentre le gambe muscolose lo facevano muovere più veloce del vento, più leggero, e i suoi capelli erano seta e inchiostro.

Infine, una di quelle mattine i loro turni si erano incrociati e Izawa era stato lì, per aiutare le manager. Anche i loro sguardi si erano incrociati per caso. Un attimo solo, che lei aveva infranto svelta, girando la faccia, ma era stata la prima volta che aveva pensato che quella della Strega d’Acciaio non fosse una punizione.

La sensazione di piacere era rimasta e anche adesso, che lei con Mamoru ci era addirittura uscita, quel trovarsi a scuola all’alba non aveva perso il piacere legato a quel ricordo e la speranza di potersi ritrovare ancora.

Come sempre e con un atteggiamento diverso, guardò verso il campo da calcio, ma scorse solo una delle manager e Ishizaki che già faceva casino. Yu sorrise, ne invidiò la vitalità.

Quando raggiunse la palestra, le porte erano ancora chiuse e non se ne stupì: aveva turno con Teiko, ma quella pigrona della sua migliore amica non era mai puntuale e di sicuro si sarebbe presentata quando lei sarebbe stata già a metà del lavoro.

Non posso interrompere troppo bruscamente il mio sonno di bellezza, si era giustificata più volte, poi mi vengono le rughe!

Yuzuriha ridacchiò tra sé nell’immaginare, invece, come dormisse scomposta, con la bocca aperta e con i capelli intricati come un nido di piccione. Lasciò borsone e cartella accanto all’ingresso e avanzò per la struttura dando un’occhiata generale all’ambiente per verificare che fosse tutto in ordine come era stato lasciato la sera precedente.

Dagli alti lucernai entravano i primi raggi del sole. Fendevano gli aerosol sospesi nell’aria come spade di luce.

«Finalmente riesco a beccarti da sola.»

Yuzuriha si girò di scatto. Naoji avanzava con passo lento, emergendo dalla penombra dell’ingresso verso la luce. Le labbra erano storte, ma non nella solita presunzione, quanto in una brutta espressione di fastidio.

«Pare essere divenuto difficile, c’è sempre qualcuno che ti ronza intorno…» Calcò con una nota dispregiativa su ‘qualcuno’, e passò la mano sul bordo della cesta dove giacevano i palloni ammonticchiati. Quando si fermò, la strinse con forza.

«I miei amici non ronzano, e la questione non ti riguarda perché non abbiamo niente da dirci.»

«Invece il discorso mi sembrava fosse rimasto in sospeso.»

«Solo nella tua testa. Era stato chiuso dietro la scuola.»

«Ah, già. Izawa.»

Yuzuriha non aveva avuto dubbi che si fosse legato al dito la faccenda della pallonata, ma era stata così presa da Mamoru da dimenticarsene e abbassare la guardia.

«So che siete usciti più volte.»

«Sei diventato la pettegola della scuola?» ironizzò, mentre raggiungeva le due lavagne appese alla parete.

«Ne parlano tutti, sono solo informato.»

«Sugli affari che non ti riguardano, quindi sei una pettegola.»

Quando si girò per andare a recuperare i gessetti, si trovò Keigo davanti, con le spalle alla luce e il volto ancora più scuro. Yu non trattenne un sussulto, e a Naoji piacque; gli piaceva sempre avere il controllo sugli altri, fisico e mentale. Yu lo sapeva, perché ci aveva provato anche con lei in maniera subdola, ma quando aveva capito il gioco gli aveva sbattuto la porta in faccia e l’aveva mollato.

Sul guercio del capitano della squadra di baseball si aprì la piega d’un sorriso.

«Ci sei stata?»

«Figurati se lo vengo a dire a te!»

«Mh, secondo me no.» Naoji fece un passo avanti. Abbassò gli occhi sulla sua giacca della tuta e la piega divenne più profonda e rapace.

Yu incrociò le braccia per nascondere le forme: quel modo che aveva di guardarla le fece accapponare la pelle.

«Anche se Izawa ha la fama di essere uno che non bada troppo ai convenevoli, tu sai come fargli tenere a posto le mani.»

«Vuoi che lo ricordi anche a te?!»

«Me lo ricordo bene già da solo. Mi hai fatto aspettare due mesi prima di farti toccare un po’. Ho ancora un vantaggio su quel bell’imbusto. Scommetto che credeva che ci sarebbe affondato in un attimo in tutto quel ben di-»

Lo schiocco dello schiaffo riecheggiò per la palestra, e dopo cadde un silenzio rotto solo dal respiro pesante di Yuzuriha dalle labbra serrate. Strinse gli occhi mentre Naoji si portava le dita alla guancia e girava piano la testa; aveva due occhi pallati da psicopatico.

«Non azzardarti a paragonarlo a te! Mamoru è tutto quello che tu non potrai essere neppure pregando in ginocchio. Lui mi rispetta, tu non lo hai mai fatto. Mi fai schifo. E puoi star certo che le mani, addosso a me, non le metterai mai più.»

«Ah, davvero?» Naoji l’afferrò per un braccio non appena tentò di sgusciare via. La strinse contro il muro, infilando una gamba tra le sue per impedirle di muoversi o tirare calci.

«Lasciami subito! Ti ha dato di volta il cervello?! Naoji, lasciami!»

«Non sono più ‘Keigo’ per te? Mentre Izawa è subito diventato ‘Mamoru’, guarda un po’. Io non mi faccio scaricare da nessuno, Yu.»

Naoji le arpionò il viso, affondando le dita nelle guance e provocandole dolore fin nei denti; poi la baciò, e a nulla servì colpirlo al fianco con un pugno, perché il ragazzo le afferrò il polso e lo torse tanto da farle esalare un lamento. Naoji ne approfittò per approfondire il bacio.

Yuzuriha avvertì un misto tra vomito e paura arrivarle alla bocca, seguito da una vampata di collera che le fece serrare i denti d’istinto. Il sapore delle sangue aveva un retrogusto di ferro.

Il giocatore di baseball emise un verso di dolore e la lasciò, tirandosi indietro di un passo. Mano alle labbra per toccare lì dove i denti avevano lacerato la carne.

«Mi hai morso…» Lui era incredulo, lei spaventata a morte. «Stronza.»

Il manrovescio fu così forte che le fece perdere l’equilibrio. Yuzuriha si trovò seduta a terra, con la guancia che pulsava forte e quel sapore orribile ancora in bocca. Avrebbe vomitato anche la colazione del Tanabata Matsuri dell’anno precedente.

«Ehi! Che stai facendo?!»

La minuta figura di Teiko, con i suoi ricci da Gorgone spettinata, per Yu fu come un’apparizione celestiale. E, proprio come le Gorgoni, si scagliò contro Naoji.

«Vattene subito, hai capito?! Vattene o chiamo il custode e ti faccio fare il culo!»

Keigo sbuffò un sorriso di sdegno e poi lanciò a lei un’ultima occhiataccia. Infine, se ne andò, con Teiko che ancora gli inveiva dietro.

«E se ti sogni di mettere di nuovo piede in palestra o di avvicinarti a Yu-chan, dovrai vedertela con Takasugi!»

In un’altra circostanza, se la discussione tra lei e Naoji fosse rimasta solo sul limite delle parole, di sicuro avrebbe riso di come Teiko avesse mandato avanti Shiho come scudo-umano; invece era ancora a terra, la faccia le faceva male e quel maledetto sapore di ferro non voleva andarsene. Era stata costretta a buttarlo giù e ora aveva una nausea fortissima che le faceva girare la testa.

«Va tutto bene? Che ti ha fatto quel microcefalo?!»

L’amica le si accucciò davanti, mentre lei si prendeva qualche altro momento per recuperare fiato e buttare giù la sensazione di disgusto; per un attimo fu tentata di arrabbiarsi perché Teiko avrebbe dovuto essere lì, avrebbero dovuto aprire la palestra insieme e invece l’aveva lasciata da sola. L’aveva lasciata da sola con Naoji.

«Ma è sangue?!» Kisugi le sollevò il viso per vedere meglio e Yu si ripulì la bocca col dorso della mano.

«È suo…» mormorò, «l’ho morso.» E poi, poco alla volta, raccontò quello che era accaduto a una Teiko sempre più arrabbiata e sconvolta.

«Devi dirlo a Izawa,» sentenziò alla fine, come un giudice.

«Sei impazzita?!»

«Devi dirglielo, ci penserà lui.»

«No, invece! Non ho bisogno di qualcuno che mi difenda, posso farlo da sola!» Yu sentiva il viso caldo sulle guance. Era arrabbiata e cercò di alzarsi, ma Teiko la trattenne.

«Non si tratta di difendersi o meno: lui deve sapere cosa sta facendo quello stronzo! Insomma, è il tuo ragazzo o no?!»

«No che non è il mio ragazzo! Siamo usciti solo due volte…»

«Dettagli.»

«Promettimi che non ne farai parola con nessuno, men che meno con Mamoru e Shiho. Se Mamma Orsa dovesse venire a sapere cosa ha fatto Naoji, gli cambierebbe i connotati e domenica ci sono le partite, sono importanti! Anche Mamoru! Non devono distrarsi con nient’altro e pensare a giocare.»

«Chi se ne frega delle partite se-»

«Promettimelo!»

«E tu come glielo giustificherai quel segno? Non dovevi uscire con lui, stasera?»

Yu si portò la mano al viso. Aveva atteso quell’appuntamento con trepidazione, sarebbe toccato a Mamoru decidere dove andare e lei aveva creduto di poter sfruttare quel tempo insieme per lasciarsi caricare dalla sua presenza e affrontare meglio l’incontro di domenica. Adesso era tutto rovinato. Con quel segno in faccia, trovare una scusa sembrava impossibile.

«A quello penserò io. Adesso finiamo di preparare la palestra, tra un po’ cominceranno le lezioni.»

 

«Ed ecco il nostro Romeo!»

Hajime lo accolse in classe spalancando le braccia e con una svelta alzata di sopracciglia che gli fece trattenere un sorriso.

«Allora, pronto per stasera? Non ti sei voluto nemmeno far aiutare dal tuo bestie

«Piantala, idiota.»

Hajime gli diede di gomito appena prese posto nel banco dietro al suo. «Dai, dai! Condividi i segreti di quest’appuntamento ultraromantico e progettato ad arte per vincere il premio di Miglior Limone della storia!»

Mamoru mollò un calcio alla sedia dell’amico che rise forte, crollando sul banco.

«Tu sfotti, ma io stanotte non c’ho dormito.»

«Cazzo dici?»

«Sì, per il discorso che abbiamo fatto ieri. Vorrei fare qualcosa, ma non vorrei esagerare. Senti qua…» si sporse, tenendo le braccia conserte sul banco e guardando Hajime nell’occhio non coperto dal ciuffo ribelle. Poteva sembrare assurdo, ma il solo pensiero che quella sera avrebbe provato a baciarla l’aveva lasciato nel letto con gli occhi spalancati come bottoni a immaginare tutto e il contrario di tutto; e chissà perché il contrario era sempre peggio. «Ci incontriamo alla fine degli allenamenti, andiamo in centro e le offro qualcosa che possiamo mangiare passeggiando… che so, un gelato. E poi ce ne andiamo al parco Hikarigaoka-»

«Belvedere?»

«Belvedere.»

Hajime approvò con un cenno del capo.

«Poi andiamo sul lungo fiume.»

«Aspetta, puoi baciarla già sul belvedere, no?»

«No!» A momenti saltava dalla sedia, però fece girare mezza classe assonnata. Mamoru tossicchiò. «No. Non voglio affrettare.»

«Affrettare?! Sei al terzo appuntamento! Tu non affretti: hai spento il motore!»

«Non voglio che pensi che io sia interessata a lei solo per quello.»

«E quindi che vuoi fare?»

«Andremo al belvedere, poi cammineremo sul fiume e volevo portarla sulla ruota panoramica che c’è alla fine…»

Hajime annuì severamente. «E ci proverai lì.»

«No…»

«Cosa ‘no’?! Mamoru!» Hajime lo prese saldamente per le spalle. «Cazzo, ma ti senti bene, amico? Non ti ho mai visto così insicuro con una ragazza in vita mia.»

«Lo so… è solo che… vorrei che non sembri forzato.» Sospirò e si passò le mani nei capelli. Deviò lo sguardo alla finestra e tutti i dubbi della nottata tornarono a valanga. «Forse dovrei lasciare fare a Morisaki il primo passo. A ogni uscita mi sembra di capire un po’ di più le sue diffidenze verso i ragazzi.»

«Le ragazze si fanno un sacco di problemi, ma non siamo noi i complicati!»

Il telefono abbandonato sul banco vibrò prima che potesse replicare qualcosa. Mamoru vide solo l’espressione incredula di Hajime e poi mise mano al cellulare. Era arrivata una mail… da Yuzuriha.

Drizzò la schiena e la lesse in fretta.

«Ah.»

«Cosa?»

Sospirò di nuovo e non sapeva se esserne più deluso o sollevato, di sicuro ne rimase sorpreso. «Pare che le chiacchiere stanno a zero, perché Morisaki si è ricordata di avere un impegno con i suoi e quindi l’appuntamento è saltato.»

Hajime storse la bocca, mentre incrociava le braccia sulla sommità della spalliera della sedia.

«E se lo ricorda adesso?»

«Non so che dirti.»

Mamoru rilesse la mail. Non aveva nulla che non andava: Yu si scusava e parlava dell’impegno. Niente di più, niente di meno. Dopo la sorpresa, il sapore che aveva preso la notizia gli divenne più chiaro e tra delusione e sollievo vinse la prima. Poteva essere stato confuso e indeciso su come comportarsi, ma non sul fatto di volerla vedere. Quello era chiaro come il sole e aveva aspettato quel venerdì con una piacevole sensazione di formicolio sotto la pelle. Vedersi a scuola non era poi così ovvio, erano in classi separate e l’unico momento davvero buono – oltre alla pausa pranzo in cui si incrociavano per i corridoi e si scambiavano un sorriso e un saluto – era quando ognuno di loro raggiungeva gli allenamenti. Il campo da calcio era davanti alla palestra, ma più in basso, ed era una fortuna perché le ragazze della squadra di volley sarebbero dovute passare di lì.

«Non suona come un ‘due di picche’, vero?» Hajime affilò l’occhio scoperto e tese anche le labbra. Lui alzò la testa di scatto, colpito nel centro dell’orgoglio e qualcos’altro.

«Perché avrebbe dovuto?» Non aveva fatto nulla per meritarsi d’esser scaricato, non dopo il loro secondo appuntamento in cui avevano riso così tanto da trovarsi con le lacrime. Mamoru si era sentito come in compagnia di un amico d’infanzia che però gli scombussolava tutto: avevano una sintonia perfetta che li faceva capire al volo, bastava un cenno del capo o uno sguardo diverso e subito lui sapeva come reagire, cosa dire. Non pensava di aver sbagliato qualcosa, quella non era di sicuro una scusa per non vedersi.

«Magari a pranzo le chiedo che è successo.»

Hajime mugugnò e non si tolse dalla faccia l’espressione sospettosa che lui conosceva bene.

Ogni chiacchiera venne però interrotta dall’arrivo del professore, per una nuova giornata di scuola che Mamoru trascorse più con la testa immersa nei fatti suoi che non nelle lezioni. Durante gli stacchi tra le ore si affacciò nel corridoio, nella speranza di vedere Yuzuriha fare capolino dalla classe, ma la porta era rimasta chiusa, quasi che i tempismi gli remassero contro.

Si convinse a rimandare tutto per pranzo come da programma, ma si rivelò un buco nell’acqua altrettanto inaspettato.

«È corsa via per raggiungere le sue compagne.» Taro sollevò le spalle quando gli chiese di Morisaki. Con i bento si erano incamminati adagio, mantenendosi in coda al loro solito gruppetto per parlare con più tranquillità.

«Ma si comportava in maniera strana, sai?» Misaki lo disse con espressione tesa e sopracciglio inarcato. Si teneva il mento con due dita e guardava a terra.

«In che senso?»

«Ha evitato il contatto con gli altri per tutto il tempo, quando di solito è molto socievole. E poi… ho avuto l’impressione che si fosse fatta male: si è tenuta la guancia per l’intera durata delle lezioni. Pareva volesse nascondere il cerotto che c’era sotto.»

«Cerotto?!» Mamoru tirò indietro la testa. «Si è fatta male in allenamento?»

«Ah, non saprei. Quando ho provato a chiederle se fosse tutto okay, mi ha liquidato in un attimo con un sì e un sorriso tirato.» Misaki girò il capo per guardarlo in viso. «E quando le ragazze fanno così, significa che non va bene niente.»

 

Mamoru non faceva che ripensare alle parole di Taro e a quelle della mail. Si sommavano al comportamento evasivo di Yuzuriha, cui aveva mandato un paio di messaggi, ma senza ottenere risposta, come se lo stesse evitando, ma senza dirglielo chiaramente. O forse erano le paranoie di Hajime e Taro a influenzare il suo giudizio? Non ne aveva idea, l’unica cosa certa rimaneva che le lezioni erano terminate, lui era stato trattenuto nel sistemare la classe perché era il suo turno, e durante tutta la giornata non era riuscito a vedere Morisaki neppure di sfuggita.

L’ultima possibilità rimasta era quella di presentarsi in palestra, e lì si che non avrebbe potuto evitarlo, ma se ne sarebbe dovuto parlare dopo gli allenamenti perché era già in ritardo.

Mamoru guardò l’orologio al polso e sbuffò. Se non l’avessero trattenuto sarebbe riuscito ad arrivare in tempo per passare subito in palestra, ma se avesse tardato ancora il mister gli avrebbe fatto il culo a strisce.

Alzò gli occhi e l’immagine del campo da calcio con la palestra subito alle spalle scomparve nel giro di un attimo, quello necessario a venire strattonato per il colletto del gakuran e trascinato nello stretto spazio che separava il deposito degli attrezzi del club di atletica dall’ultima struttura scolastica.

Il commento pregnante che riuscì a emettere fu un decisivo: «Woah!» e poi un «Ouff!» quando venne sbattuto con le spalle al muro del deposito. Il borsone cadde a terra, lui non lo trattenne.

Mamoru si trovò davanti la faccia incazzata di Shiho ‘MamaBear’ Takasugi.

Avevano la stessa età, ma lei era più alta e con una struttura fisica che aveva sempre messo in soggezione un po’ tutti a scuola. Per la squadra di volley giocava come centrale e quando metteva le mani a rete, si diceva che alzasse un ‘muro di mattoni’.

Adesso aveva i suoi occhi, dal taglio molto sottile e stretto e l’iride scuro, che lo fissavano quasi avessero dovuto farne un solo boccone.

«Chiariamo subito, ciccino: io farò le domande e se non mi piaceranno le risposte, ti cambierò la faccia.»

«Possiamo anche discuterne con calma.»

«Io non discuto con chi alza le mani sulle mie ragazze.»

«…cosa?!»

Shiho lo strattonò ancora. «Che cosa hai fatto a Yu?!»

«A Yu?!»

«La bimba potrà anche averci messo un cerotto, ma i segni di una manata li so ancora riconoscere.»

«Non mi sognerei mai di fare una cosa del genere! Ma per chi mi hai-»

D’improvviso a Mamoru sembrò che tutti i pezzi di quella giornata strana andassero a posto o trovassero comunque un collegamento che li unisse. «…quindi è per questo che ha rimandato il nostro appuntamento.»

Shiho allentò la presa sulla divisa. «Dovevate vedervi?»

«Sì. Ma lei mi ha scritto stamattina dicendo di avere un impegno. E Taro mi ha detto che si teneva il viso ed era… strana…»

Tutto in ordine, come una partita a tetris in cui le fila di mattoncini venivano completate l’una dopo l’altra. La soluzione non gli piacque.

«Non sono stato io. Non l’avrei toccata neppure con un dito.» Mamoru guardò Shiho negli occhi, e lei lo valutò per una manciata d’istanti, poi lo lasciò andare del tutto e si tirò indietro.

«In pausa pranzo è stata evasiva quando le ho chiesto spiegazioni, ed è arrivata di corsa e più presto del solito.» Mamma Orsa incrociò le braccia al petto e iniziò a battere a terra la punta del piede.

«Pensa che io non sono riuscito a incrociarla per l’intera giornata, e le nostre classi sono vicine. Durante il pranzo non l’ho vista neppure di sfuggita. Credo mi stia evitando.»

Shiho ci pensò ancora un po’, poi mise mano al cellulare e iniziò a comporre un messaggio. «Ce li hai cinque minuti?»

«Sì.» L’allenamento era già passato in secondo piano. 

«Allora vediamo di risolvere la faccenda.»

 

Quando Teiko lesse il messaggio sul cellulare, che aveva vibrato mentre cercava di barcamenarsi tra la borsa scolastica e quella della palestra, alzò gli occhi al cielo.

«Orsa! Ma non possiamo vederci direttamente in palestra?!»

Affrettò il passo, perché aveva già fatto tardi e di sicuro la Strega d’Acciaio non gliel’avrebbe fatta passare liscia: per ogni minuto in più, un giro di campo di corsa. Li sentiva già tutti nell’aria i giri che avrebbe dovuto fare, l’aspettavano come i cerchi alla testa dopo una bevuta fuori programma.

‘Vediamoci in palestra’ dettò in fretta alla scrittura automatica.

‘No. Ti giustifico io con la Strega.’

Teiko prese un profondo respiro. Non aveva idea di cosa volesse Shiho, anche se un pochino avrebbe potuto immaginarlo: durante il pranzo aveva visto che occhiata penetrante avesse rivolto a Yuzuriha quando si era giustificata per il cerotto. Era stato lo sguardo di chi non ci aveva creduto neppure per mezzo secondo.

A lei sarebbe dovuto toccare sfoderare tutta la sua poker face per cercare di convincerla almeno ad aspettare fino a dopo le partite di domenica; mancavano solo due giorni, avrebbero potuto resistere. Yuzuriha, poi, le aveva assicurato di aver risolto con Izawa e di aver fatto di tutto per non vedersi, quindi almeno di quello non dovevano preoccuparsi.

Teiko aumentò il passo quando vide il campo da calcio e la palestra. I ragazzi del club erano già arrivati e si stavano riscaldando.

Costeggiò la struttura scolastica e girò nel piccolo vicoletto di separazione tra l’edificio principale e il capanno degli attrezzi, luogo dell’appuntamento. Arrivò spavalda, convinta di risolvere tutto in poco tempo, ma quando vide che Shiho non era da sola e, soprattutto, aveva un’espressione da guerra in viso, Teiko si fermò e perse tutta la propria confidenza.

«I-Izawa… ciao! Come mai anche tu qui?» Guardò Shiho, cercò di esibire il sorriso più convincente che potesse fare, ma i suoi passi erano rallentati allo stremo, nemmeno avesse paura ad avvicinarsi toppo a tutti e due: avevano l’aria di chi avrebbe voluto fare del mondo intero un banale antipasto. «Cos’è, una riunione segreta?» rise da sola, ma era l’unica, così finì col tossicchiare in una mano.

«Poche palle, cucciola, e dicci che succede. Perché lo sappiamo che c’è in ballo qualcosa.»

Teiko sentì il sudore scivolarle tra i seni come una formica e ghiacciarsi all’altezza della pancia. Sorrise ancora, perché non sapeva che fare. O, almeno, sperò che il suo capitano capisse che non era il caso parlarne davanti a Izawa, per questo guardò prima lei e poi lui con fare allusivo.

«Ma di cosa stai parlando? Quale faccenda-»

«Teiko, ho detto poche palle.»

Lei incassò il rimproverò e tenne stretta la tracolla della borsa della palestra. Spostò lo sguardo a terra e poi rivolse occhiate sbilenche a Mamoru: la sua espressione era caustica come quella di Shiho. Qui la faccenda non si metteva bene; Yuzuriha non aveva convinto proprio nessuno e adesso la patata bollente era stata smollata a lei.

«Kisugi, se è successo qualcosa ce lo devi dire,» disse proprio Izawa. «Misaki ha detto che Morisaki si comportava in maniera strana. Senza contare che mi ha evitato tutto il giorno.»

«E io gli ho quasi cambiato i connotati,» aggiunse Shiho, indicando Mamoru. «Ma sono sicura non sia stato lui a colpire la nostra Yu-chan.»

«E tu come-!» Teiko si coprì la bocca quando ormai era troppo tardi. Vide chiaramente Mamoru cambiare espressione: da tesa, gli occhi si spalancarono e disincrociò le braccia, la schiena dritta.

«Allora è vero?! Chi è stato?!»

Izawa era pronto a fare un balzo per afferrarla; Shiho, per quanto restasse a braccia conserte, aveva un’espressione che diceva tutto e rispondeva a ‘parla o ti faccio parlare io’.

Teiko rimbalzò lo sguardo dall’uno all’altro, non sapendo che fare, perché da una terza parte ancora c’era la promessa scambiata con Yu.

«Dillo, bimba.»

«Mi ha fatto promettere di non farne parola… per le partite… se ve lo dicessi lunedì? Lei non voleva che vi distraesse, bisogna pensare al campionato!»

«Te lo sto ordinando da capitano.»

E in questo caso era impossibile rifiutare, perché era in una posizione che non riguardava più solo Yuzuriha, ma tutta la squadra. Teiko alzò il viso al cielo.

«Non dite che ve l’ho detto io…»

«Stai tergiversando.»

«Rimandate a lunedì ogni discussione, okay?»

«Teiko!»

Strinse i denti. «È stato Naoji!»

«Quando?!» tuonò Izawa e lei serrò anche gli occhi per un attimo, facendosi ancora più piccola, con la testa affondata tra le spalle incurvate in avanti.

«Stamattina… È geloso di te.»

Mamoru accusò il colpo, perché si contrasse dalla testa ai piedi.

«Spiega,» incalzò Shiho con voce controllata e severa. «Voglio sapere tutto.»

«Quando io sono arrivata per aprire la palestra era già successo. Loro erano lì, Yuzuriha era a terra, lui l’aveva colpita. L’ho mandato via subito e Yu mi ha raccontato che Naoji aveva iniziato a straparlare così lei lo ha preso a schiaffi. Allora Naoji l’ha chiusa al muro e l’ha baciata, Yu lo ha morso… e lui l’ha colpita.»

Shiho e Mamoru presero entrambi un momento di silenzio a ciascuno e se sul volto del capitano, Teiko non vide guizzare nulla, su quello di Izawa ci fu un accavallarsi di espressioni che la intimorì: sembrava dovesse scattare da lì al secondo successivo per andare a prendere Naoji e batterlo come la pasta dei mochi.

«Quel bastardo-!»

Shiho fermò con un braccio lo scatto di Mamoru.

«Non adesso.»

«E fargliela passare liscia?!»

«Sei troppo arrabbiato, ti metteresti dalla parte del torto.» Poi il Capitano guardò lei. «Perché non siete andati dai professori? O almeno dal custode. Questa cosa non si deve ignorare.»

«Yu non ha voluto. Lo sai anche tu quanto sia testarda, certe volte. Si è impuntata che avrebbe creato problemi alla squadra e ha tirato ancora in mezzo le partite di domenica. Ci ho provato a convincerla, non ne ha voluto sapere.»

Mamoru sbuffò e girò il viso di lato, allontanandosi di qualche passo. Si era portato una mano ai fianchi e l’altra veniva passata tra i capelli per tirarli indietro. «E noi che dovremmo fare?»

«Aspettiamo, come ha voluto Yuzuriha. Aspettiamo la fine delle partite, ma lunedì…» concluse l’Orsa, trapassando Teiko con uno sguardo ridotto in spilli sottili. «…darò a quell’idiota una lezione su cosa significhi stare al mondo, e poi lo trascinerò dai professori.»

Teiko non ebbe dubbi sulla certezza che l’avrebbe fatto, ma la sua preoccupazione maggiore, al momento, era Izawa: perché se aveva accennato col capo alle parole di Shiho, sul suo viso, nei suoi occhi, c’era un’irrequietezza che diceva altro e non erano parole d’amore.

 

«Izawa, che diavolo stai facendo?! Vattene a bordo campo per qualche minuto e schiarisciti le idee!»

L’aspro richiamo del mister Furuoya confermò una volta di più che lui non ci stava dietro e quell’allenamento era un disastro.

Mamoru aveva la testa altrove, e la rabbia gli stava fottendo ogni capacità di ragionamento, piccola o grande che fosse stata. I suoi passaggi erano sbagliati, i tempi asincroni, le entrate fallose. Stava correndo come un disperato avanti e indietro e l’unica cosa che era riuscita a collezionare erano stati richiami e un paio di imprecazioni da parte dei suoi compagni che si erano trovati graffiati dai tacchetti o con una gomitata nella schiena.

Lui non c’era, semplicemente non c’era.

Non era lì perché ripensava alle parole della riccia e a quelle di Takasugi. Ripensava che avrebbe dovuto far passare due giorni e concentrarsi sulle partite, ma davanti riusciva a vedere solo sprazzi del campo e poi la faccia di quel bastardo alternata al viso di Yuzuriha.

Era in blackout.

Raggiunse la panchina di legno e Sanae gli allungò una fettina di limone e zucchero che però lui rifiutò, agguantando solo l’asciugamano con malagrazia. Ci si coprì la faccia e poi la passò sulla testa, mentre teneva lo sguardo in basso e le mani ai fianchi.

«Due minuti per dirmi che cazzo succede ancora.» Hajime comparve come un fantasma. «È da quando sei arrivato – in ritardo, per giunta! – che non spiccichi parola con nessuno e sembra che vorresti accoppare tutti.»

«Niente.»

«Puttanate.»

«Ho detto niente, Hajime. Non rompere.»

«Mi pare un po’ troppo essere tanto incazzato per il due di picche di una ragazza.»

Lui sbuffò e alzò la testa, togliendo l’asciugamano con un gesto infastidito. I capelli emersero tutti spettinati, in un codino mezzo sciolto.

«Naoji ha picchiato Morisaki,» disse di getto, guardandolo negli occhi. Li vide perdere l’ironia per aprirsi sulla sorpresa. «Quello stronzo l’ha presa a schiaffi, per questo ha cancellato il nostro appuntamento.»

«Scherzi?! Chi te l’ha detto?!»

«La sua amica con i capelli ricci. Ero con lei e Takasugi, per questo ho fatto tardi. L’Orsa credeva che l’avessi picchiata io…»

«Hai visto Kisugi?» Hajime accennò un sorriso malizioso. Mamoru alzò gli occhi al cielo e l’altro cambiò subito tono alla conversazione. «Non è andata dai professori?»

«Non ha voluto, per non creare casini con le partite…»

«Per questo ti ha evitato. Sapeva che ti saresti arrabbiato.»

«Già.»

«E quindi?»

«Niente, si vedrà lunedì.»

«E tu vorresti restare in questo stato fino a lunedì?! Ah, auguri,» ironizzò Taki, dandogli una pacca sulla spalla, ma il gesto riuscì a strappargli un accenno di sorriso. Hajime aveva ragione, fare finta di niente per due giorni interi non era possibile, la sua sanità mentale non sarebbe sopravvissuta e non sopportava quando le faccende rimanevano in sospeso. Soprattutto se di quella portata.

Mamoru raccontò per intero la vicenda, menzionando anche il bacio strappato con la forza e Hajime scosse il capo.

«Non ci si può passare sopra.»

«Lo so. Per questo ci parlerò.»

«Quando? Con chi?»

«Con Morisaki. Dopo gli allenamenti. Col cazzo che aspetto fino a lunedì.»

Mamoru gettò l’asciugamano sulla panchina e superò il compagno. Adesso che aveva preso la decisione, era pronto per tornare in campo e riuscì anche a completare l’allenamento senza più i problemi avuti fino a quel momento.

Una volta che aveva focalizzato cosa avrebbe dovuto fare, e se l’era fissato ben chiaro in mente, anche concentrarsi sul calcio gli era risultato più semplice. Aveva smesso di correre a caso per il campo, e i contrasti, più che duri, divennero decisi, ma perfettamente puliti e regolari.

«Tu sei posseduto.» Gli aveva detto Ishizaki a un certo punto, dopo che si era visto rubare palla con un tackle da manuale, e lui aveva sorriso dandogli una manata sulla spalla.

Anche il mister si era accertato che fosse tutto okay, prima che entrasse negli spogliatoi e lui aveva assicurato che era tutto a posto: i problemi personali non avrebbero dovuto interferire sulla sua tenuta in campo e non erano questioni che Furuoya avrebbe potuto risolvere al posto suo. Per questo si limitò a scusarsi e a rivolgere un inchino all’allenatore, prima di sparire negli spogliatoi e uscirne anche piuttosto in fretta: se Yuzuriha l’aveva evitato per tutta la giornata, di sicuro avrebbe tentato di farlo anche una volta finiti gli allenamenti di pallavolo e non voleva darle modo di fuggire. Dovevano invece parlare e affrontare il problema.

Voleva che si fidasse e che capisse che gli importava… gli importava veramente.

Per questo uscì quasi correndo dagli spogliatoi, rivolgendo ai compagni solo un saluto sommario. Qualcuno gli fischiò dietro, parlando di chissà quale appuntamento con chissà quale giocatrice della squadra di pallavolo.

«Ehi, scappi già?»

Hajime gli tenne dietro, Mamoru rallentò.

«Sì, prima che a scappare sia lei.» Poi assottigliò lo sguardo e abbozzò un sogghigno. «E tu perché mi segui? Hai qualcosa da dire a qualcuna della squadra di volley?»

Hajime fece vento con la mano. «Io? Figurati! E che dovrei dire? A chi? Venivo solo ad accertarmi che andasse bene. Tranquillo che non resto a fare il terzo incomodo.»

«Sai, credevo volessi parlare con la riccia. Com’è che si chiama?»

«Kisu-… merda.» Hajime prese tra i denti il labbro inferiore e gli lanciò un’occhiataccia. «Stronzo.»

«Fesso.» Mamoru ridacchiò. «Lei ti piace?»

«È carina. Un po’ snob, ma sono sicuro che troveremo modo di andare d’accordo. Ci siamo fatti un sacco di risate quando vi abbiamo seguito al Luna Park.»

«Voi avete fatto cosa?!» Mamoru strabuzzò gli occhi e Hajime si strinse nelle spalle.

«Ops

«Ma ops un corno! Ci avete seguito?!»

«Lo sai come sono Sanae e Yukari, dovevano ficcare il naso. Io le ho accompagnate per intervenire in caso di bisogno.»

«Sì, certo. L’altruismo, come no.»

«Lì abbiamo trovato le amiche di Morisaki… che, guarda caso, avevano avuto lo stesso pensiero di Sanae.» Hajime allargò le braccia. «Donne!»

Mamoru scosse il capo, e quel Giuda del suo migliore amico che non glielo aveva neppure detto. Il giorno dopo ne avrebbe dovute cantare quattro alle manager, questo era certo, ma quando vide le ragazze della squadra di pallavolo arrivare dalla palestra tutto il resto passò in secondo piano. Tra le teste filtrò subito quella di Yuzuriha, che camminava un po’ più arretrata proprio assieme alla riccia. Notò subito il cerotto sulla guancia e l’istinto collerico che era riuscito a reprimere con fatica tornò alla carica, come il rigurgito di un vulcano: salì fino all’esofago, gli invase la bocca con un sapore acido…

…perché Yuzuriha rideva con le sue compagne, parlava come se non fosse accaduto niente, come se non fosse importante. E invece era importante, per lui, importantissimo. Perché si sentiva responsabile di quello che era accaduto, perché magari avrebbe dovuto essere più chiaro con Naoji e fargli capire di starle alla larga, o perché avrebbe dovuto capirlo prima che si sarebbe vendicato per quanto accaduto dietro la scuola, ma aveva creduto che, nel caso, sarebbe andato da lui a battere cassa. L’aveva fatto più coraggioso di ciò che era. E adesso si sentiva responsabile perché non aveva dimostrato a Morisaki di potersi fidare, di credere che l’avrebbe aiutata o anche solo che avrebbe potuto essere di supporto.

Si sentì responsabile perché nel momento in cui Yuzuriha lo vide, lei si tirò subito sul viso il colletto della giacca della tuta, per coprirsi guancia e cerotto.

Nello stomaco, che si allargava verso il petto, Mamoru avvertì il formicolare di un desiderio troppo plateale: quello di raggiungerla di corsa e abbracciarla, chiederle se fosse tutto a posto, farsi raccontare cosa era accaduto e dirle di andare subito dai professori; ce l’avrebbe accompagnata lui di persona. Il desiderio di proteggerla, in qualche modo, ma Yuzuriha deviava i suoi sguardi e poi gliene rivolgeva qualcuno di sottecchi, si preparava a sfoggiare un sorriso di circostanza con cui avrebbe voluto fargli credere che era tutto a posto e che ‘oh, scusa, sai, un impegno improvviso. Cerotto? Ah! Pallonata agli allenamenti!’, e che ‘pensa alla partita di domenica! È importante’.

Al diavolo la partita.

Al diavolo qualsiasi cosa.

«Che devo dirvi? Non sa stare lontana da me!»

Mamoru si girò di scatto. Quella voce dal tono beffardo gli trapassò la testa da un orecchio all’altro.

«È tutta una tattica, capite? Ormai lo so come fanno le ragazze.» Naoji era attorniato da cinque dei suoi compagni di squadra, portavano le borse sulle spalle. Naoji parlava a voce alta; si faceva sentire, era quello che voleva: che lui ascoltasse, che lui sapesse.

«Vuole farmi ingelosire per questo esce con quello lì, ma insomma, è chiaro che vuole tornare con me. Me lo ha fatto capire stamattina, ehi! In palestra eravamo solo noi due, se capite che intendo…» Si passò un dito sulle labbra.

Mamoru vide un segno rosso, quello del morso. Naoji gli lanciò un’occhiata e un mezzo sorriso, mentre tutti attorno a lui starnazzavano come gallinacci, qualcuno fischiava.

«Capitano, ne sai una più del diavolo!»

«Ma è ovvio, andiamo!»

«Falla penare!»

Mamoru si fermò. Nella sua testa esplose l’immagine orribile di Naoji che metteva Yu al muro…

«Mamoru, lascia stare.»

…che le metteva le mani addosso…

«Lo sta dicendo per provocarti, non cagarlo.»

…che la baciava di prepotenza…

«È un idiota! Lui vuole solo…»

…che la colpiva.

«…Mamoru? Mi hai sentito?»

La voce di Hajime ronzava come un sottofondo fastidioso e senza significato. Mamoru poteva averlo sentito, ma non gli stava dando alcun peso, le sue parole erano suoni messi in fila.

Gli mollò il borsone con una spinta e partì di corsa; alle sue spalle sibilava l’eco di un ‘merda!’.

Pochi passi, i giocatori di baseball spostati come birilli e lui la palla da bowling lanciata a tutta velocità. Colpì Naoji in faccia con tutta la forza che aveva e la soddisfazione di vederlo andare a terra gli arrivò al cervello.

«Perché non lo fai capire a me, uh?! Forza! Fallo capire a me, se hai abbastanza fegato! O preferisci prendertela con le ragazze, stronzo?!»

«Mamoru! Mamoru, cazzo!»

Le braccia di Hajime lo agguantarono alle spalle, lo tirarono indietro, anche se oppose tutta la resistenza di cui era capace. Attorno grida confuse, qualcuno gli dava del pazzo e cercò di restituire il pugno, ma Ishizaki, spuntato da gli dèi solo sapevano dove, si mise di mezzo, spinse lui indietro con una mano e con l’altra teneva a bada il resto dei contendenti.

Non capiva bene cosa si stessero dicendo, aveva il cuore che gli pompava nelle orecchie, vedeva solo Naoji a terra, che si toccava il naso sanguinante e da sotto le mani sorrideva. Il bastardo sorrideva soddisfatto.

«Ma che diavolo t’è preso, Mamoru?! Non eri tu quello che mi ha impedito di fare a pugni con Kanda?! Che ti dice il cervello?! E voi, oh!, indietro, okay? Indietro!» Ryo cercava di parlare a lui e poi agli altri.

Mamoru si sentì tirare da altre braccia e i suoi compagni continuavano a inveire: Nitta era pronto per fare questioni con i giocatori di baseball, Sanae e Yukari cercavano di calmare tutti, ma solo una voce fece cadere il silenzio di schianto.

«Izawa!» Mister Furuoya arrivò che pareva una belva, tanto che anche lui si riscosse, tornò in sé. «Io non lo so che diavolo ti è preso oggi, ma questo è inaccettabile.»

«Mister-»

«Fa’ silenzio! Sei fuori dalla squadra, scordati la partita di domani.»

«Ma-»

«E ora andiamo dritti in presidenza. Un’espulsione non te la leva nessuno. Non tollero simili atteggiamenti nella mia squadra, sono stato chiaro?» Mamoru abbassò lo sguardo senza rispondere. Furuoya si rivolse agli altri. «Il discorso vale per tutti. Tornate a casa, voi. E tu vai in infermeria, ma poi passerai anche in presidenza, perché dovete spiegare che vi passa per la testa. Andiamo.»

Il mister si avviò a passo deciso verso la scuola, lasciando tutti gli altri dov’erano.

Mamoru si divincolò dalla presa di Hajime con uno strattone e fissò Naoji che si faceva aiutare a rialzarsi. Il ragazzo affrontò il suo sguardo e sorrise allo stesso modo di prima, con quella smorfia soddisfatta di chi non aveva aspettato altro. Si era preso la sua vendetta, l’aveva fatto estromettere dalla squadra e si sarebbe beccato anche un’espulsione. Perfetto. E lui c’era cascato come un fesso.

Poi si volse e le ragazze del volley erano ferme ad alcuni passi. Yuzuriha aveva le sopracciglia aggrottate e le labbra strette; muta tra il brusio delle compagne.

Mamoru raccolse la borsa da palestra, le volse le spalle e seguì l’allenatore.

 

Era stato tutto lento, dapprima, e poi tutto così veloce da rimanerne stordita.

Quando si era accorta di Mamoru, Yuzuriha aveva sentito il tempo fermarsi. Uno strappo nel fiato, un rallentamento nel battito che era precipitato in fondo alle caviglie. Si erano guardati, Mamoru aveva dato l’impressione di stare cerando proprio lei e la prima emozione che Yu aveva provato era stata di paura.

Paura che la bugia finisse per crollare subito, perché era così con Mamoru, non era capace di mentirgli guardandolo negli occhi. E allora si era tirata su il colletto della felpa per riflesso, in modo da nascondere il cerotto, mentre desiderava di andare via, voltare le spalle a tutti per non dover dare spiegazioni. Non dover dire, a denti stretti e un sorriso teso da fare male, che ‘era stato un incidente’ e che ‘avevo dimenticato l’impegno con i miei’.

Si era tenuta la tuta più su, fino quasi a coprire tutta la guancia, mentre la vergogna saliva come seconda emozione, sopravanzando la paura.

Vergogna di quello che era accaduto, di aver permesso a Naoji di arrivare a baciarla, vergogna di non essersi difesa abbastanza, di non essere stata forte abbastanza.

Vergogna di aver pensato di aver bisogno di aiuto. Il suo.

E non sapeva con che faccia mostrare tutta quella vergogna che le si sarebbe letta negli occhi, che Mamoru avrebbe capito… e che avrebbe pensato?

Per questo Yuzuriha si era nascosta, e aveva deviato il suo sguardo fisso. La sensazione che Mamoru sapesse l’aveva attraversata per un attimo ma era stata scacciata perché Teiko aveva promesso, e lei si fidava della sua migliore amica.

Poi tutto era precipitato.

La sensazione del vuoto prima della discesa folle sulle montagne russe.

Naoji, di cui non si era minimamente accorta perché talmente concentrata su Mamoru da non vedere né sentire altro, che straparlava come al solito si era intromesso nella loro discussione silenziosa. Pensare che l’avesse fatto di proposito era stato tanto naturale quanto ovvio, conoscendo il soggetto.

Dèi, come diavolo aveva permesso che uno come lui potesse toccarla? La vergogna verso Mamoru era anche quella, emersa prepotente quando si era trovata spalle al muro della palestra, e dopo le parole sbagliate, a sbagliare erano state le azioni. Mamoru era stato così veloce che tra il prima e il dopo aveva fatto solo in tempo a prendere fiato e poi l’aveva perso e non se n’era accorta, gelata sul posto.

Mamoru aveva già dato prova di preferire più un confronto ironico che fisico, non era un tipo facile a cadere nelle provocazioni e Yu non aveva capito perché, invece, fosse scattato come la molla di una penna rotta.

L’espressione, già tesa, trasfigurata in una così arrabbiata come non gliel’aveva mai vista; e lei sì che l’aveva osservato a lungo, ma quella smorfia lì, quelle labbra aperte a snudare i denti in un ringhio, quegli occhi bellissimi ma spalancati come quegli degli squali erano stati una novità.

«Che sta succedendo?»

«Quello non è Izawa della squadra di calcio?»

«Si stanno picchiando!»

«Yuzuriha, che significa?»

Il richiamo di Takeko fece da ponte alla realtà, riportandola nello scorrere normale del tempo che era davvero troppo veloce.

«Izawa! Io non lo so che diavolo ti è preso oggi, ma questo è inaccettabile.»

«Mister-»

«Fa’ silenzio! Sei fuori dalla squadra, scordati la partita di domani.»

«Ma-»

«E ora andiamo dritti in presidenza. Un’espulsione non te la leva nessuno. Non tollero simili atteggiamenti nel mio club, sono stato chiaro?»

Il gelo azzannò i fianchi di Yuzuriha. Mordevano voraci con brividi che le arrivavano alle ossa, fecero male e ancora peggio fece lo sguardo che Mamoru le lanciò prima di raccogliere il borsone e andarsene.

Lo sguardo della colpa, quella che le aveva appena scaricato addosso.

È colpa tua se è finita così.

È colpa tua se sono stato messo fuori.

È colpa tua se sarò espulso.

E con la colpa arrivò la certezza che Mamoru era a conoscenza di tutto. La reazione avuta era stata la conferma alla sensazione che aveva bollato come impossibile e che di colpo la fece sentire tradita.

«Glielo hai detto?»

«Yu…»

«Ti avevo chiesto di non farlo.» Serrò la mascella, sentì l’amaro sotto i denti.

«Non ho potuto-»

«Perché credi che te l’abbia fatto promettere?! Per evitare questo! Ma tu la lingua proprio non la sai tenere a freno, vero?! Brava, bell’amica sei… proprio una bella amica.»

«Fammi almeno-»

«Vai al diavolo!»

Yuzuriha si fece spazio tra le compagne e si allontanò, dapprima a passo svelto e testa bassa per non incrociare le occhiate di nessuno, ma quando sentì che a richiamarla fu l’Orsa, si mise a correre lasciando tutti indietro, amici e nemici.

 

Hajime calciò un sassetto lungo la strada che l’avrebbe portato a casa, era quella che costeggiava il fiume. Ci era passato tante volte, la conosceva come le sue tasche e ne conosceva il valore romantico, visto che l’aveva suggerita a Mamoru.

Ed era proprio da casa dell’amico che stava tornando, perché non era bastata l’espulsione dalla squadra e i tre giorni da scuola, ma con presenza: i suoi genitori l’avevano punito vietandogli di mettere il naso fuori per quel week-end. Ma Mamoru non era apparso tanto turbato per la breve reclusione, né per l’espulsione da scuola: era l’esclusione dalla squadra a pesargli di più. Per l’amico, ogni partita era importante allo stesso modo se volevano di nuovo trovarsi in finale per chiedere la rivincita alla Toho.

Questo valeva anche per lui, per tale motivo era andato a trovarlo in quel sabato pomeriggio, che ormai volgeva alla sera, e vedere come stava, dirgli che poteva stare tranquillo, che avrebbe lavorato il doppio per riuscire a coprire la sua assenza.

Mamoru aveva accennato un sorriso e si erano battuti un pugno d’intesa.

«Anche perché, se dovessi giocare una merda, lunedì ti farò il culo.»

Mamoru non era pentito del pugno mollato a Naoji. Glielo aveva detto tra una stronzata e l’altra, ma lo aveva ringraziato di averlo trattenuto, perché avrebbe finito col dargli anche il resto.

Hajime non aveva faticato a credergli e forse era stato questo a sorprenderlo. Anche senza dirlo a parole, Mamoru aveva segnato il confine tra la cotta stupida della loro età e qualcosa di più.

Morisaki era qualcosa di più.

Aveva un sapore che avresti ricordato tra tutti e che dalla bocca non si sarebbe mai tolto del tutto. Un sapore definitivo.

Con le altre ragazze Mamoru non era mai stato geloso, le provocazioni stavano a zero nella sua scala d’interesse e tutto si rivolveva con un’alzata di spalle e una risata. Con Naoji non ci aveva visto più, aveva assaggiato cosa significasse quando facevano del male a qualcuno d’importante. Hajime aveva pensato che avesse un sapore amaro come il veleno.

Con l’ennesimo calcetto mandò avanti il solito sassolino, come fosse un pallone.

Lui non ce l’aveva mai avuto qualcuno di simile, che gli facesse provare quel sapore tanto buono quanto persistente, che avrebbe finito per influenzare tutti gli altri; e forse una parte di sé stesso non avrebbe voluto provarlo mai.

Hajime era per il mordi e fuggi, per la libertà, per il rotoliamoci insieme dove vuoi, ma a ciascuno i suoi problemi. A ciascuno i suoi dolori, le sue solitudini. Insieme ci si poteva divertire, ma ancora non se la sentiva di avere a che fare con una cosa tanto grande da mandarti fuori di testa.

E poi c’era l’altra parte che, invece, gli borbottava che aveva solo paura di essere rifiutato. Che, sì, per un po’ di sesso andava bene, ma che per stare insieme noooo; mica era Mamoru, lui. Non aveva le sue stesse maniere, lo stesso appeal e il viso da idol. Lui era scarmigliato anche se si pettinava, dei modi non gli fregava niente e quegli incisivi troppo sporgenti per cui spesso l’avevano preso in giro erano il suo ‘diffidometro’.

Stare con qualcuno, qualcuno d’importante, significava anche cambiare un po’ e lui non voleva. Lui non sarebbe cambiato per nessuna ragazza.

Diede un ultimo calcio più forte e il sasso si allontanò di parecchio.

Hajime alzò la testa e gli occhi catturarono il movimento di capelli troppo mossi che negli sgoccioli del tramonto avevano luci di bronzo mentre si sollevavano e abbassavano a causa del vento.

Li fissò, fermandosi a qualche passo di distanza, quelli giusti per essere al contempo dentro e fuori delle percezioni delle persone. E da quelle di Teiko Kisugi era decisamente fuori, perché non diede alcun segno di aver notato di non essere più da sola a guardare la fine del tramonto e l’avanzare della sera.

Erano intrappolati in un equilibrio perfetto e fragilissimo.

Hajime si prese il suo tempo per rubare ogni riflesso di quei capelli.

Il suo nome era circolato spesso negli angoli più bui dei corridoi, quelli dove i ragazzi si raccontavano le conquiste, le sfoggiavano come trofei e poi si dicevano a vicenda come fare ad approcciare Tizia o Caia perché ci sarebbero state: se le passavano come figurine.

Kisugi era una che ci sapeva fare, aveva detto qualcuno, una che sapeva come divertirsi e far divertire. Pareva fosse stata con uno dell’università e poi? Com’era finita? Non lo sapeva, non si era mai interessato al passato, era una perdita di tempo.

Hajime l’aveva vista spesso e trovata carina subito. Tanto carina. Ma troppo in alto per lui, troppa puzza sotto al naso. Una che poteva permettersi parecchio e non ne faceva mistero.

Doveva ammetterlo, aveva un po’ fatto lo gnorri quando era venuto fuori che a Mamoru piaceva Morisaki, aveva finto di non sapere chi fosse, ci aveva girato intorno e l’aveva stuzzicata di proposito per osservare le reazioni, e poi aveva pensato avesse delle fossette deliziose e uno spirito pratico e schietto che la rendevano non così distante come creduto. Parlava in faccia con la scusa di fare la snob, sapeva rispondere per le rime ed era consapevole di sé stessa abbastanza da non aver paura ad ammettere che le piaceva divertirsi. Non temeva cosa avrebbero potuto pensare gli altri, perché avrebbe sempre avuto la risposta a portata di lingua.

Era carina.

Era troppo carina.

In quella maniera pericolosa che avrebbe potuto incastrarsi tra il sé che chiedeva un legame e quello che invece voleva rimanere libero.

E ora le scelte erano due: tirare dritto e fingere di non averla vista o domandarsi perché fosse lì da sola a guardare il tramonto con l’aria abbattuta. Dov’erano le sue amiche e le compagne di squadra? L’allenatrice Shiroyama era dura più di Furuoya e sapendo che il giorno dopo avevano anche loro la partita era strano che le permettesse di andare in giro invece di dirle di riposarsi e stare concentrata. Poi la brezza smosse i riccioli di bronzo e ne scoprì con maggiore chiarezza un profilo che sembrava perso a non guardare nulla; si ricordò di come Morisaki fosse scappata via il giorno prima lasciandola indietro con aria smarrita e colpevole.

Hajime la fissò per un momento più lungo, infine abbassò lo sguardo sulla punta delle scarpe e si ricordò anche di non essere un tipo che passava sulle cose fingendo di non vederle.

Infilò le mani nelle tasche e sorrise a sé stesso prima di raggiungerla e sedersi sul muretto al suo fianco, ma dando le spalle al fiume e al tramonto. Le loro braccia si sfiorarono e solo allora, quando era ormai dentro il suo spazio, Kisugi si accorse della sua presenza.

Lei si volse, lui se ne accorse con la coda dell’occhio perché ne stava ancora guardando i capelli.

«Non credevo che la Strega d’Acciaio fosse tanto buona da lasciarvi la libera uscita prima di una partita.»

«Sì, figurati.»

«Oh. Stai disertando?» Hajime la guardò, accennando un sorriso. «Mi piace.»

Teiko dondolò i piedi nel vuoto che li separava dall’erba del declivio. «Non avevo voglia di stare a casa.»

«E di cosa avevi voglia?»

«Di non avere ficcanaso intorno, sciattoni e spettinati.»

Hajime rise. Incrociò le braccia al petto e le diede una spallata. «Anche imbronciata non perdi l’occasione.»

«Non sono imbronciata.»

«Sì che lo sei.»

Teiko girò il viso dall’altra parte e ad Hajime non rimase che fissare le onde dei capelli, profumavano di mandorle.

«E anche se sono imbronciata che ti frega?»

Era una bella domanda, quella. Hajime era incerto sulla risposta.

«È stata una pessima giornata.»

«Puoi dirlo forte…»

«Hai fatto bene a dire a Mamoru cosa è accaduto.»

«Sì, certo. Lo pensi solo tu, mi sa.»

«Lo pensa anche Mamoru.»

«Di sicuro non Yuzuriha… Avrei dovuto farmi i fatti miei, è successo un casino. La mia migliore amica non mi parla più, Izawa è stato espulso. Perfetto.»

«Puoi vedere solo il risvolto negativo, ma lo sai anche tu che dirlo è stata la cosa migliore.» Dallo zainetto che aveva sulle spalle cavò una bottiglietta mignon con tappo svitabile in metallo. Gliel’allungò. «Fatti un goccio e tirati su.»

Kisugi guardò prima la bottiglia e poi lui; un sopracciglio le saettò in orbita sugli occhi che sembravano cioccolato fondente e lucido che Hajime rimase a fissare senza timore d’apparire molesto.

«Che roba è?»

«Sakè.»

«Il solito cafone! Non abbiamo l’età per questa roba!»

«Non farla tanto lunga e bevi. Non ci credo nemmeno se lo giuri in ginocchio che non hai mai toccato dell’alcool.»

Teiko gonfiò le guance e girò la faccia con un moto stizzito e un’arricciata di naso. Hajime trovò che fosse bella e fiera; la bilancia dei suoi desideri iniziò a pendere pericolosamente da una parte e per equilibrare le parti avrebbe dovuto lasciare un po’ la presa, ma poi Teiko si volse e gli tolse la bottiglietta dalle mani, bevendone quasi metà in un sorso prima di restituirgliela.

«Non è un Kokuryu,» sentenziò con una smorfia che accompagnò il forte dell’alcool.

Hajime sorrise, lasciò un dito di fondo alla bottiglietta, mentre la bilancia cadeva inesorabilmente e lui non fece niente per tornare a metterla in equilibrio.

«La solita snob.»

«Sì, un po’ lo sono.» Teiko si lasciò sfuggire un sorrisino. «Se non avessi detto nulla, voi non avreste perso uno dei vostri giocatori migliori per la partita di domani.»

«Ehi! E noi altri?!» Hajime allargò le braccia. «Non prendermi per scarso! Io sono una delle punte d’attacco! Ce la caveremo.»

Ma il sorriso di Kisugi venne divorato in un’altra smorfia, la stessa che le fece stringere gli occhi e girare altrove la faccia. In quel gesto, Hajime vi lesse tutte le lacrime che non gli aveva mostrato e allora distolse lo sguardo per rispetto nelle sue decisioni.

Tra le altre cose, Teiko era una che non ci stava a esibire le proprie debolezze. E anche quello gli piaceva. C’erano troppe cose che gli piacevano di lei e il ‘troppo’ era sempre pericoloso.

Avvertì il peso della sua testa sulla spalla e seppe che il piatto di uno dei bracci della bilancia era andato a fondo del tutto.

«Ti spiace se resto un po’ così?» chiese, la voce leggermente nasale e il profumo di mandorle che addolciva l’aria. «Solo un pochino…»

Ma per Hajime sarebbe potuta rimanere anche tutta la sera.

 

Mamoru guardava il soffitto, con le mani intrecciate sotto la testa. Era in quella posizione da che Hajime se n’era andato e almeno fino a che i suoi genitori non l’avessero chiamato per cena, non era intenzionato a muoversi.

Dell’espulsione, sua madre e suo padre non ne avevano fatta una tragedia, ma erano rimasti delusi, quello sì. Glielo aveva letto nelle espressioni e nelle parole asciutte.

«Non mi sembra d’averti mai insegnato a risolvere in questo modo i tuoi problemi, Mamoru.» Suo padre l’aveva detto con un sopracciglio inarcato e settato su rimprovero duro. «Cosa ti è venuto in mente?»

«Quello lì ha alzato le mani su un’altra persona.»

«Saresti dovuto andare dai professori, allora.»

«Non potevo, ero… ero arrabbiato.»

«E ora sei in punizione, perché il naso fuori di casa non ce lo metterai per tutto il week-end. Spero ti sia chiaro e ti aiuti a riflettere su quello che hai fatto.»

E a riflettere certo che ci aveva riflettuto, ma ogni volta che faceva scorrere le sequenze nella testa, la soluzione non cambiava mai, e neppure la sua reazione: perché quel pugno in faccia era l’unica cosa che era in grado di desiderare al momento e l’unica cosa che riusciva a dargli un senso di soddisfazione e giustizia. Che fosse sbagliato lo sapeva anche da solo, ma quel bastardo aveva messo le mani addosso a…

Mamoru emise uno sbuffo a le labbra serrate. Il cellulare l’aveva guardato distrattamente, ma non aveva ricevuto alcun messaggio da Morisaki, né telefonata. Nemmeno lui le aveva scritto e sapeva che non l’avrebbe fatto, in parte perché non avrebbe saputo che dire o come cominciare, e in parte perché il suo orgoglio lo faceva ancora sentire messo da parte.

Yuzuriha l’aveva guardato quasi fosse stato un mostro, anche quello lo frenava.

Quel venerdì aveva davvero toppato su tutta la linea, non ne aveva imbroccata una neppure pregando, e adesso era chiuso in casa a pensare a tutto, compresa la partita del giorno dopo, ma senza poter fare nient’altro. Solo pensare.

«Mamoru! Scendi!»

La voce di sua madre arrivò forte e chiara e lui si tirò a sedere. L’immobilità di restare a letto lo faceva sentire inquieto; almeno la cena sarebbe riuscito a distoglierlo da tutto il resto, mentre la domenica l’avrebbe passata in attesa di sapere il risultato della partita. Dal lunedì sarebbero iniziati i suoi tre giorni di sospensione con presenza scolastica: danno e beffa, neppure a casa se ne sarebbe potuto rimanere. Avrebbe visto quella faccia da bastardo di Naoji e non avrebbe potuto neppure mandarlo al diavolo, per non incorrere in un altro provvedimento.

«Eccomi!»

Mamoru scese le scale senza fretta, stropicciandosi i capelli schiacciati dal cuscino.

«Hai di nuovo visite.» Ai piedi della scalinata che portava ai piani superiori, sua madre lo aspettava appoggiata al caposcala con entrambe le mani. «Anche se non te le meriteresti, dopo quello che è successo, ma credo che restare a casa sia più che sufficiente.»

Mamoru accennò un sorriso e pensò che Hajime si fosse scordato qualcosa, o che fosse qualcun altro della squadra, ma quando passò accanto a sua madre, questa incurvò le labbra in un sorrisino malizioso.

«E poi non avrei mai rimandato a casa una così bella ragazza. E tanto alta!» mormorò, strizzandogli l’occhio e accennando col capo alla cucina.

Mamoru tirò indietro il mento e la seguì con lo sguardo mentre si allontanava verso il salotto.

Bella ragazza?

Ci mancava solo una di quelle che a scuola gli facevano il filo; proprio non aveva voglia di vederle. Ma la seconda parte della frase pronunciata da sua madre gli fece drizzare la schiena.

E tanto alta!

E di ragazze alte lui ne conosceva pochissime.

Mamoru raggiunse la cucina quasi correndo. La sensazione di attesa gli aveva fatto salire lo stomaco alla gola, dove lo sentì battere assieme al cuore quando riconobbe la figura di Yuzuriha, ferma con le mani nelle tasche della tuta e la fronte imperlata di sudore.

Ecco e ora lo stomaco e il cuore erano stati attorcigliati stretti stretti dalle budella.

Yuzuriha fece un passetto indietro e il sorriso a labbra chiuse venne diviso equamente tra lui e il pavimento.

«Ciao. Scusa l’ora…»

Mamoru avanzò del passo che Yu aveva fatto indietro, più altri due, ma poi si fermò di colpo. Le mani anche nelle sue tasche, come se tenerle appese lungo i fianchi potesse infrangere ogni equilibrio.

«Figurati.»

«Ho interrotto la cena? Ci ho messo un po’ ad arrivare…»

«Hai corso fin da Mizukoshi?»

«Non è tanto lontano, si può fare.»

«Ti stavi allenando?»

«Un pochino, anche se il mister dice che dovremmo riposarci, solo che… Non avevo tanta voglia di stare a casa.»

«Anche io prima di una partita faccio sempre una corsetta o qualche esercizio che non mi affatichi troppo e non mi faccia sentire ‘fermo’.» Si passò due dita sulla nuca, piegò un sorriso.

Erano ciascuno nel proprio spazio sicuro, anche se Mamoru sentiva il magnetismo attirarlo verso Yuzuriha, rendere più stretti quegli spazi che, sì, li tenevano protetti ma a distanza tra loro. Non gli piacevano tanto, lo infastidivano e lo rendevano inquieto.

«Mi dispiace per oggi. Lo so che sono l’ultima persona che vorresti vedere.» Yu non lo guardava in faccia. «Teiko non avrebbe dovuto dire niente, mi aveva fatto una promessa.»

«E pensavi che non me ne sarei accorto? Non è stata colpa di Kisugi: io e Takasugi avevamo capito che c’era qualcosa che non andava. La tua amica ci ha provato a tenere il segreto, ma non puoi dire di no a Takasugi quando si incazza. Dovresti saperlo.»

«Già…»

«Comunque, ha fatto bene a dircelo.»

«Come no.»

«E quindi credi che stare zitta sarebbe stato meglio?!»

«Almeno nessuno sarebbe finito fuori squadra!» Yuzuriha alzò la testa con decisione. «Ti hanno sospeso?»

«Tre giorni, con presenza.»

«Scommetto che a Naoji non hanno fatto niente,» sbuffò Yu. A lui non rimase che confermare e ricordare con quanta soddisfazione Naoji l’avesse fissato mentre gli veniva comunicata la sospensione, quanta sicurezza. Mamoru aveva desiderato fargliela mangiare fino a strozzarcisi, perché sapevano entrambi chi fosse davvero dalla parte del torto e chi meritava di essere sospeso.

«No.»

«Avete detto perché vi siete azzuffati?»

«No. Non spettava a me, e di sicuro quell’idiota non si sarebbe messo nei casini da solo.» Tenne le braccia conserte. «Saresti dovuta andare subito dai professori, o almeno dirlo a qualcuna delle tue compagne. Che ti è preso?! Quello ti ha picchiata!» e baciata. Cazzo, ti ha baciata contro la tua volontà!

Yu affrontò i suoi rimproveri a testa alta con occhi brillanti. Difendeva le proprie posizioni senza paura; si domandò se si fosse battuta allo stesso modo contro Naoji e quanto quell’infame dovesse esserci andato fisicamente duro per farla soccombere.

«So difendermi da sola, non ho bisogno del cavaliere che venga a salvarmi, mi pare di avertelo già detto una volta!»

«Sì, si vede come sai difenderti. Perché non sei andata dritto e di filato dal mister?! Ti avrebbe portato lei dal preside!»

«Certo, per te è tutto facile, vero?»

«Sì che lo è!»

«Ovvio, perché sei Mamoru Izawa. Per te non ci sono problemi.» Le labbra di Yu si piegarono, conferendole un’espressione di scherno, mentre indicava sé stessa. «Ti dimentichi che io sono solo Morisaki, e per una come me, dire di essere stata molestata da Naoji sai che risposta fa ottenere? ‘Ma non è che lo hai provocato?’. Dopotutto, noi stavamo insieme fino a poco tempo fa, quindi la colpa è anche un po’ mia, no? ‘Ma sì, uno screzio tra innamorati. Non c’è bisogno di fare tutto questo rumore, risolvetele fuori dalla scuola’. Continua a pensare per te stesso, bravo. Sarà sempre tutto più facile così.»

«Dovresti avere più fiducia negli altri.»

«Riparliamone quando lunedì sarò sulla bocca di tutti come quella che ti ha fatto espellere.»

Yu girò il capo con stizza e Mamoru si sentì pungere sul vivo.

«E poi perché diavolo ti sei scaldato tanto? Alla fine, io e te siamo solo amici. Siamo usciti un paio di volte, non ci siamo nemmeno mai baciati. Che ti importa se ho un problema con Naoji? Avresti dovuto pensare alla squadra e alla partita… ed è per questo che sono venuta. Mi spiace che dovrai saltare l’incontro di domani.»

Ma a Mamoru della partita fregava meno di zero, perché i pensieri si erano aggrappati a una frase in particolare che gli aveva battuto un gong nel petto senza prima avvisarlo.

Non ci siamo nemmeno mai baciati.

Già, dopotutto che cosa voleva da lei?

Erano amici… e nient’altro?

Non l’aveva mai baciata… non ci aveva provato e non perché non volesse, ma questo non riuscì a dirglielo, perché non avrebbe saputo spiegare il timore di poter passare per uno come gli altri. Uno come Naoji.

«Anche tu hai la partita. Dovresti tornare a casa, Mizukoshi è distante da qui e non posso accompagnarti… Punizione.»

Anche se non poteva riportarla fino al suo quartiere, Mamoru la scortò per il giardino di casa fermandosi davanti al cancelletto. Lo aprì e si fece da parte, aggrappandosi con la mano allo stipite di legno spesso che impediva di vedere l’interno.

Yuzuriha uscì dalla loro proprietà solo di un passo e si volse a guardarlo, stringendosi nelle spalle. «Non volevo che finissi in questo casino.»

«Ormai è andata.»

E anche lei stava per andarsene, per questo la fermò per un braccio prima che facesse quel passo con cui si sarebbe allontanata.

L’afferrò, senza stringere, solo per farle capire di non scappare, perché aveva ancora un’ultima cosa da dire e non era fatta di parole.

Mamoru avvicinò il viso, con gli occhioni di Yuzuriha pieni di sorpresa. Appoggiò le labbra contro la pelle morbida della guancia, affondarono appena e inspirò il suo odore. Chissà perché, aveva sempre creduto sapesse di zucchero filato, come quello del Luna Park in cui erano stati insieme la prima volta. Quell’odore gli si era piazzato nelle narici e lo associava a Morisaki per istinto in un gioco stupido di idee.

Contro la pelle appoggiò anche la punta del naso, poi la fronte contro la tempia e si godette il momento con il cuore che batteva nella gola e gli occhi chiusi. La testa di Yu pendette appena verso la sua, per quel secondo che si concessero insieme e poi entrambi tornarono a riprendere le distanze conosciute. Eppure, Mamoru sentì che andava bene così. Per una volta ne ebbe la certezza, stavano percorrendo la strada giusta, pur con gli imprevisti e i problemi che avevano nomi e cognomi e collera. Pur con le punizioni e le espulsioni, non stavano sbagliando nulla.

«Ci vediamo lunedì,» disse e Yu annuì e basta, deviando il suo sguardo ovunque, fino a nascondere mento e bocca dentro al colletto alto della felpa chiusa fino in cima, ma i suoi occhi avevano fatto in tempo a scorgere il fenicottero della collanina che le aveva regalato.

Trattenne un sorriso: una partita saltata e una punizione erano un buon prezzo per quel momento che avevano condiviso.

Poi lei si volse e riprese a correre lungo la strada illuminata dai lampioni, mangiandola con l’ampia falcata delle sue gambe lunghe.

 

Yuzuriha si asciugò il sudore dal mento con il dorso della mano.

Ancora non si capacitava come avessero fatto a vincere il primo set, visto quanto stavano giocando male: la squadra era disomogenea, come una vernice asciugata e poi crepata. Lei non c’era con la testa, sbagliando i tempi delle veloci una volta su tre e quello era l’ultimo set. Il tabellone segnava uno pari e un punteggio corrente di ventitré a venti per le avversarie. La vittoria era tanto vicina quanto lontana, anzi, più lontana in quel momento; fare due punti era un attimo, bastava l’ennesima distrazione, una palla alzata male, un attacco murato, una battuta sbagliata. La sicurezza che aveva in campo e le percezioni che l’avevano sempre ben indirizzata, che a volte le avevano anche fatto ‘sentire’ la sconfitta o la vittoria, non erano buone. Sentiva di camminare sulle uova e Teiko era in posto quattro, lei si era spostata in posto due appena le avversarie avevano battuto. Takeko ricevette la battuta in maniera impeccabile; la palla sarebbe caduta tra le sue mani quasi che qualcuno l’avesse accompagnata. In quel momento avvertì che non avrebbe voluto alzare per Teiko, non si sentiva a suo agio a farlo; nessuna delle due aveva tentato di chiarirsi, non si parlavano da venerdì e l’allenamento del sabato mattina era stato caratterizzato da un silenzio che aveva lasciato interdette compagne e allenatrice. La Strega d’Acciaio aveva blaterato di non far partire titolare una delle due e lei era stata sostituita dall’altra alzatrice all’inizio del secondo set, dopo la terza battuta sbagliata di fila. Era rientrata solo perché la sua compagna era meno esperta e aveva sentito la pressione della responsabilità. Con Teiko a stento si erano rivolte un saluto a inizio incontro o una parola di incoraggiamento; anche per questo non voleva alzare per lei, non ne aveva tirata su una come al solito, tutte imprecise, ma aveva già chiamato lo schema e cambiare all’ultimo momento avrebbe disorientato le compagne. Alzò comunque e si rese conto subito di averla spinta troppo; Teiko avrebbe potuto solo appoggiare per riuscire a mandarla almeno dall’altra parte del campo, magari con un pallonetto. Ma così come lei era distratta e sbagliava anche le cose più semplici, altrettanto Teiko era fuori fase e invece di accompagnare la palla provò a schiacciare comunque ottenendo solo di mandarla fuori sulla linea di fondo senza trovare il tocco del muro.

Ventiquattro a venti. Match point per le avversarie.

Teiko imprecò e poi le lanciò un’occhiataccia che incassò con sufficienza e un’alzata di mento.

Come diavolo me le alzi?!

Che vuoi? Sei tu ad aver schiacciato di merda!

La conversazione tra loro avrebbe potuto essere ridotta a questo sprezzante scambio di battute.

Yuzuriha non c’era. Teiko non c’era. E non c’era il loro legame che le aveva sempre viste lavorare in coppia con affiatamento e cooperazione: dove una sbagliava, l’altra metteva una pezza, ma adesso sembrava che ognuna giocasse una partita solitaria.

Entrambe tornarono in posizione senza degnarsi più di uno sguardo, chiuse nelle rispettive certezze che non sapevano comunicare.

Yuzuriha cercò di pensare a qualcosa di positivo che potesse farle trovare un minimo di concentrazione e la prima cosa che le venne in mente fu il bacio che Mamoru le aveva stampato sulla guancia la sera prima. Sentì di nuovo lo stesso calore risalire dal collo. Pochi attimi prima di quel momento aveva detto delle cose che non pensava sarebbero mai uscite dalla sua bocca e poi… non se l’era aspettato. Aveva sentito tutto il corpo bruciare per un semplice e casto bacetto sulla guancia. Quando era corsa via, ringraziando l’aria in viso per riuscire a sedare il calore, e aveva ripreso un po’ di lucidità, si era resa conto della differenza abissale tra i baci di Naoji e quello di Mamoru. La differenza che i due contatti le facevano.

Fin dall’inizio, con Naoji aveva sempre provato un certo fastidio che non aveva saputo spiegarsi se non con la propria inesperienza. Aveva creduto fosse normale e che dipendesse da lei. Invece era solo che Naoji le faceva ribrezzo e timore; l’esperienza nella palestra era stata illuminante per quanto terribile.

Con Mamoru… non sapeva che dire. Anche solo un bacio sulla guancia l’aveva fatta sentire sulla graticola, dalle piante dei piedi fino alla punta dei capelli. Aveva sentito il cuore batterle come non aveva mai fatto e le aveva ricordato i momenti al Luna Park, quando avevano ballato il rockabilly e alla fine si erano trovati stretti l’uno all’altra.

Era proprio Mamoru a farle questo effetto, perché le piaceva davvero, perché le piacevano i suoi modi e come sorrideva quando si divertiva. Innamorarsi, alla loro età, era facile, il difficile era far durare quel sentimento per una stessa persona per tanto tempo quando i cambi di scuola, di classe e di città facilitavano i distacchi e il formarsi di diverse compagnie. Lei aveva tenuto sempre nel cuore il sentimento che provava per Mamoru fin dalle medie. L’aveva tenuto conservato e non avrebbe mai pensato che le cose sarebbero potute andare così.

Takeko ricevette la nuova battuta e nel pensiero positivo di Mamoru che era riuscito a darle una punta piccina di sicurezza, balenò quello nefasto di Naoji: la sensazione di venire chiusa al muro, di non essere abbastanza forte, di sentirsi tradita da Teiko, Mamoru che veniva messo fuori squadra.

Alzò per Shiho, al centro, ma il passaggio fu troppo basso e venne murata.

Venticinque a venti.

Nemmeno la pallavolo era riuscita a creare una nuvola salvifica attorno a lei. La partita era finita, avevano perso e sapeva di averne almeno un settanta per cento di responsabilità: era l’alzatrice, le sue mani decidevano il buon fine di un’azione, l’impostazione; se lei sbagliava, allora anche le altre avrebbero sbagliato.

«Dannazione…»

«Non è una sconfitta importante.» Shiho le poggiò il palmo a metà schiena e poi strinse sulla nuca, nella presa da Mamma Orsa con i piccoli. «Ma scordati di continuare così con Teiko anche la prossima settimana. Chiaritela, o ve la faccio chiarire io. Siamo intesi, cucciola?»

L’ultima frase fu un mormorio che, a occhio esterno, avrebbe potuto sembrare un tentativo di consolazione, però lo sguardo severo di Shiho e le sue labbra dritte non lasciavano scampo: le aveva dato un ordine e un tempo entro cui eseguirlo, non c’era spazio per compromessi e contrattazioni.

Poi la lasciò indietro, e andò sotto rete per il passaggio dei saluti.

Yu trovò Teiko all’angolo opposto del campo, e con un broncio insoddisfatto tale e quale al suo. Quella partita avrebbero potuto vincerla in fretta, ma erano state egoiste e questo era il risultato. Eppure, saperlo servì a poco se nello sguardo che si scambiarono c’era accusa reciproca. Infine, anche loro si misero in coda per la stretta di mano alle avversarie, recuperarono le loro cose abbandonate in panchina e raggiunsero lo spogliatoio senza dire niente, né cercarsi più.

«Brave. Avete proprio dimenticato tutto quello che vi ho insegnato, giocando come non avreste dovuto. Brave davvero, ci vuole arte anche per involversi come avete fatto.» La Strega d’Acciaio non stava urlando come si era aspettata, e forse questo era peggio: guardò loro tutte con sufficienza e poi volse le spalle allo spogliatoio.

«Fatevi una doccia e rimettetevi in sesto. E meditate, nel frattempo, meditate.»

Se ne andò, lasciandole da sole a borbottare, tutte a bassa voce, tanto che lo spogliatoio venne riempito di brusii di cui a volte faticava a capire la pronuncia.

Yu rimase per un po’ con la schiena appoggiata al legno della panca e neppure le altre erano sveglie come al solito; la pigrizia da sconfitta regnava.

«Be’, a loro non è andata poi tanto meglio…»

Yu si volse, Takeko stava smanettando con il cellulare, scorreva qualcosa.

«Di che parli?» Shiho l’anticipò.

«Della maschile di calcio. Hanno pareggiato.»

Il senso di responsabilità si moltiplicò a dismisura. Yuzuriha nascose la testa tra le spalle e si alzò per dirigersi alle docce.

«Be’, con Izawa in panchina…»

«Non c’è mica solo Izawa in squadra.» Alla risposta aspra di Teiko, Yu si fermò e si volse. «Se hanno pareggiato è perché non si sono impegnati abbastanza.»

Che avrebbe dovuto risultare come un’accusa, ma detto da lei, quella che non arrivava mai puntuale alle aperture della palestra faceva un po’ ridere.

Yuzuriha tenne per sé qualsiasi commento, e raggiunse le docce: lunedì sarebbe stata una giornata d’inferno.

 

Per un attimo era stata tentata di non andare a scuola, far passare un paio di giorni e rimanere rintanata sotto le coperte, ma sua madre – che aveva capito fosse accaduto qualcosa di importante – sarebbe stata capace di trascinarla fin davanti ai cancelli. E più delle ragazze stupide a scuola, temeva sua madre quando si incazzava, perché ci avrebbe messo un attimo a farle fare figure di merda epocali per le quali sotterrarsi non sarebbe stato abbastanza.

E poi… e poi non voleva passare per una codarda oltre che debole. Di difficoltà, sfottò e stupidi scherzi ne aveva affrontati parecchi in passato e sempre a testa alta. Avrebbe superato anche quello.

Così, stringendo forte la tracolla della borsa, varcò i cancelli. I brusii le furono subito attorno, così come gli occhi degli altri che sentiva seguirla a ogni passo, ma lei tirò dritto e dritta era la schiena, dritta era la testa. Tentare di incurvarsi per passare inosservata nel suo caso era tanto inutile quanto grottesco. Nella testa e attraverso gli sguardi degli altri il senso di colpevolezza non voleva andarsene, sussurrava alle orecchie, pizzicava sotto la pelle.

Yuzuriha provò a essere sorda, continuò a camminare fino all’atrio della scuola. Raggiunse il proprio armadietto per cambiare le scarpe. Metà del lavoro era fatto, doveva solo arrivare in classe e sarebbe stata al ‘sicuro’. Avrebbe potuto chiedere a Misaki della partita e avrebbe potuto chiedere di Mamoru, ma poco poco, in maniera discreta. Chissà come aveva preso la notizia del pareggio…

…chissà se si fossero incrociati nei corridoi, avrebbe potuto affacciarsi, e…

Yu sospirò, riponendo le scarpe da ginnastica dopo aver estratto quelle per la scuola.

‘E’ cosa?

Metterlo ancora più in difficoltà?

Dare modo agli altri di parlare alle sue spalle più di quanto giù non stavano facendo?

Meglio tenersene alla larga, meglio non dargli altri problemi.

Yuzuriha batté al suolo la punta delle scarpe per farle calzare meglio, poi richiuse lo sportello dell’armadietto e si accorse di essere accerchiata: erano state così silenziose da sembrare giaguari.

Lei ebbe un leggero sussulto per la sorpresa, ma non si stupì affatto delle espressioni minacciose, tra rimprovero e fastidio.

«Eccola qui la star del momento. Non pensavo avessi tanto fegato da mettere la faccia fuori di casa.»

A capo del gruppo ben nutrito, Ritika aveva le braccia conserte sulla sua educata seconda di seno che veniva buttata in fuori come fosse un trofeo e potesse darle importanza.

Ritika era stata una fiamma di Mamoru durante il primo anno di liceo. Una fiamma che per Izawa si era spenta pure piuttosto in fretta, ma non per lei.

A Yuzuriha era capitato di ascoltare alcune conversazioni tra la ragazza e le sue amiche. La condizione di ex di Mamoru segnava uno stato sociale di una certa importanza: lei era una che ce l’aveva fatta, che aveva avuto le attenzioni di Izawa per più di un ciao ma meno di una settimana. Nel suo caso non erano arrivati a sei giorni, ma tra tutte le ragazze della scuola era durata di più.

Quando le aveva sentite parlare, discutevano di sesso. Argomento abituale quando in mezzo c’era Mamoru. Le era sempre sembrato che nessuna lo conoscesse davvero al di fuori di quello. Lei invece si era chiesta spesso cosa gli piacesse, che interessi avesse, come si comportasse con le amiche e gli amici. Come fosse, davvero, Mamoru Izawa. Osservandolo a distanza aveva solo potuto idealizzarlo, e quando era capitata in mezzo a discorsi come quelli di Ritika e le altre, era diventata bordeaux e si era allontanata in fretta.

«Che vuoi?» domandò, caricandosi la borsa sulla spalla e pronta a superare Ritika, ma la giovane le chiuse il passaggio.

«Che lo lasci in pace.»

«Non so di che parli e neppure mi interessa.»

«Per colpa tua Izawa-kun ha saltato la partita. Lo sai che hanno pareggiato senza di lui?»

«E noi abbiamo perso, quindi?»

Ritika sogghignò. «Ben ti sta. La prossima volta pensi a giocare invece di infastidire gli altri. O sono altri i giochi che ti interessano?» la ragazza assottigliò lo sguardo, accompagnando una squadrata che si focalizzò sul seno. «Non credevo che le voci che giravano su di te fossero vere, non ti facevo il tipo. Ma dopotutto, una col fisico volgarotto come il tuo non poteva essere altrimenti. Se vuoi un consiglio, smetti di tenere il piede in due scarpe. Quando si cerca di raggiungere qualcosa fuori dalla propria portata si rischia di fare brutte figure.»

«Oh, allora tu dovresti mollare il club di atletica. È dall’inizio dell’anno che stai a scaldare la panchina, ma forse è quello che vuoi così non ti si rovina la french

Teiko, due armadietti più avanti, richiuse lo sportellino con forza. Yu, più alta di tutte, sgranò gli occhi. Un po’ perché non si era accorta di lei e un po’ perché non si era aspettata un suo intervento.

«E per quanto riguarda Izawa, cos’è che davvero ti rode? Il fatto che lui abbia difeso Morisaki da un idiota o il fatto che per te non l’avrebbe fatto nemmeno tra un paio di secoli?»

Con un sorrisino, Teiko si appoggiò con la spalla agli armadietti e incrociò le braccia.

«Pensa agli affari tuoi, Kisugi. Nessuno ti ha interpellata.»

«Questi sono affari miei, perché ero presente. Parlo con cognizione di causa, tu per dare aria alla bocca.»

Ritika sollevò il mento. «E tu su come si usa la bocca ne sai parecchio.»

«Che dirti, nessuno si è mai lamentato. Non posso dire lo stesso di te, però. Mi spiace, Ritika, sarai sempre seconda, o anche terza, quarta…»

«Sei solo una-»

«Ehi!» Yuzuriha afferrò Ritika per il braccio che la giovane aveva sollevato, con fare minaccioso. La strattonò indietro e si frappose tra lei e Teiko. «Era con me che stavi parlando. Hai qualcos’altro da dire?» con la schiena dritta e senza nascondersi come al solito, Yuzuriha mandò avanti le curve, tanto da respingere Ritika di un paio di passi. «Altrimenti gira al largo, secca. E lo stesso vale per voi.» Concluse, con un’occhiataccia circolare di monito.

Ritika si allontanò con un’imprecazione tra i denti, seguita dalle compagne. Yuzuriha le osservò andare via per l’atrio e solo quando imboccarono le scale sgonfiò il petto, incurvando le spalle.

Solitamente lasciava che le altre avessero sempre l’ultima parola, ma quando avevano quasi insultato Teiko non ci aveva visto più: passi prendersela con lei, ma le sue amiche doveva essere lasciate stare, senza contare che Teiko ne aveva passate pure troppe per le dicerie. La gente non aveva proprio niente di meglio da fare che giudicare gli altri.

«‘Secca’

Kisugi alzò un sopracciglio e Yu si grattò la nuca.

«Be’, è un chiodo in confronto a me.»

Si guardarono, sorrisero. Le ultime parole che si erano scambiate erano state solo per recriminarsi gli errori di gara. Yuzuriha aveva avuto modo di pensare a quanto fosse stata ingiusta, anche perché Shiho le aveva spiegato per bene cosa era accaduto: Teiko aveva cercato di coprirla e Mamoru aveva ragione, ma la paura e la vergogna l’avevano frenata.

«Andiamo? Altrimenti facciamo tardi. Ho storia alla prima ora, chi se lo vuole sentire il prof?»

«Io ho matematica, che è la stessa cosa.»

«E buon lunedì.»

Si avviarono fianco a fianco, pronte a separarsi una volta raggiunto il piano.

«Grazie…»

Teiko ravviò i ricci. «Grazie a te: si fosse avvicinata di un altro passo le avrei strappato i capelli. Insomma, l’hai sentita? Voleva sminuire le mie capacità orali! Che ingenua!»

Si guardarono di nuovo e stavolta risero come avevano sempre fatto.

 

«E quindi ci siamo scoperti troppo all’inizio del secondo tempo e loro ne hanno approfittato. È stato un errore da fessi, gli avversari non erano stupidi, ma abbiamo contenuto il danno. Un pareggio non è male.»

Fuori dalla porta della classe, mentre aspettava che anche Teiko uscisse per andare a mangiare insieme, Yu ne aveva approfittato per scambiare due parole con Misaki.

«Mi spiace non siate riusciti a vincere.»

«Spiace di più a me per voi. Avete perso. Che è successo?»

Yu strinse il laccio del sacchetto che conteneva il bento e sollevò le spalle. «Non eravamo molto sincronizzate. Colpa mia.»

«Ti ho vista di sfuggita questa mattina con Kota Ritika. Tutto a posto?»

«Niente che io e Kisugi non abbiamo saputo risolvere,» rispose accennando un sorriso e Misaki annuì. Lei distolse lo sguardo per un attimo, le sembrò che fosse il momento migliore. «E Izawa come l’ha presa? Il pareggio, dico.»

Taro aprì le labbra, ma non rispose. I suoi occhi saettarono oltre la spalla.

«Perché non glielo chiedi di persona?»

Yu fece solo in tempo a girarsi: Mamou era già lì. La mattina, appena entrati in classe, non lo aveva visto neppure di sfuggita e trovarsi ora i suoi occhi addosso le fece salire un calore al petto che arrivò a stringere la gola. Ricordò l’effetto delle labbra sulla guancia.

«Chiedermi cosa?»

Anche la sua voce le fece effetto, forte, allo stomaco.

«Ah, no. Niente, non importa, io… devo andare. Le mie compagne mi aspettano. Scusate.»

Yuzuriha si infilò nello spazio tra i due calciatori e scappò prima di poter essere fermata. Per sua fortuna, Teiko uscì in quel momento dall’aula e lei la travolse prendendola per un braccio.

«Pranzo. Subito.»

«Ehi! Cos’è sta fretta?» Kisugi si guardò attorno e poi guardò alle loro spalle. Yu glielo lesse negli occhi che aveva fatto due-più- due nel vedere Izawa. Non ebbe quindi bisogno di aggiungere altro allo sguardo supplichevole che le rivolse e che diceva: ‘andiamo, non ti fermare, fammi scappare perché non so che dire e non so che fare’.

 

«Oh, ma su che pianeta sei? Mandami una cartolina o almeno dimmi se le ragazze sono carine.»

Hajime gli diede di gomito in maniera decisa all’ennesima volta che si estraniava da un discorso.

Aveva pastrocchiato solo con metà pranzo e di certo non l’avrebbe terminato.

La testa di Mamoru era ancora un discorso non pervenuto.

«No, niente ragazze, qui. È un pianeta di merda.»

«E allora come non detto, ma vedi tornare in tempo per l’allenamento del pomeriggio.»

Mamoru sorrise e mise via quello che restava del proprio pranzo.

Morisaki lo stava evitando e lui non aveva fatto molto per cercare di accorciare la distanza. Aveva saputo fin dalla domenica che avevano perso e non aveva neppure tentato di chiederle come era andata, anche se avrebbe voluto farlo. Taro gli aveva accennato che aveva avuto problemi con una delle sue ex.

Yu glielo aveva detto che sarebbe accaduto e lui non ci aveva dato peso. Non aveva dato peso a un sacco di cose; il mondo delle ragazze era più complesso e delicato di quanto creduto.

«Avete intenzione di restare a ponente e levante ancora per molto?»

«Di che parli?»

«Me lo stai chiedendo davvero?»

«È venuta da me sabato sera…»

«Questa non me l’aspettavo.»

«Nemmeno io,» sorrise Mamoru. «Abbiamo discusso.»

«Non mi sembra ne sia nato qualcosa di buono.»

«Ci ho ripensato per due giorni interi.»

«Ecco perché sei su un pianeta di merda: quelle mentali, di seghe, non portano mai a un cazzo. Te l’avrò detto mille volte.»

Mamoru rise, si diedero una spallata.

«Ho capito qual è il problema che ho con lei, perché non sono riuscito a baciarla.»

«È un problema che si può risolvere?»

«Dipende. Come la vedi se le soluzioni sono tra starci male e combinare un casino

«La vedo di merda.»

«Appunto.»

«Per quale delle due ti senti preparato?»

Quella era l’unica cui Mamoru non era riuscito a darsi una risposta; le opzioni avevano implicazioni diverse e definitive e lui temeva di non essere pronto per nessuna delle due, di non essere certo di voler rischiare tanto visto che non aveva messo in conto di arrivare a questo punto. Credeva sarebbe stato come con le altre, più o meno, e solo adesso aveva capito che non avrebbe mai potuto esserlo. Fin dall’inizio la forza che lo aveva spinto verso Morisaki era stata differente e durava da più di quanto immaginato. I suoi occhi avevano trovato Yuzuriha da tempo, ne avevano apprezzato l’atletismo, le forme generose, le gambe lunghe, lo spirito sportivo. Aveva percepito l’affinità, ma aveva continuato a circondarsi di altro che durava poco, ed era senza impegno. Uscire con lei l’aveva messo davanti a una situazione che aveva ignorato e minimizzato, fino a che non l’aveva invitata fuori, e che non aveva più potuto mettere da parte quando si era scoperto a provare una certa ansia nell’aspettarla. Mamoru l’aveva capito da subito che Morisaki era diversa, ma non si sarebbe aspettato che anche tutto il resto sarebbe cambiato nell’avvicinarsi a lei. Quando lo aveva fatto, le percezioni e i dubbi erano aumentati tanto da non poter più fare finta di nulla. E ora anche Hajime gli aveva posto la domanda che richiedeva una sola risposta: scegli.

Teiko Kisugi piombò tra loro prima che potesse tentare di rispondere. In una diversa occasione l’avrebbe vista come un’ancora di salvezza, ma l’espressione scura che la ragazza portava con sé, unita alle mani piazzate sui fianchi, parlò di tutt’altro.

«Chiariamo una cosa, moscone, non ho la minima idea di cosa tu voglia fare con Yu-chan, se ci tieni sul serio o se è solo il passatempo dei prossimi giorni, ma vedi di essere chiaro, perché se fai poco poco lo stronzo, Shiho Takasugi ti sembrerà la cosa migliore che possa capitarti.»

Mamoru aggrottò le sopracciglia, ignorò l’appellativo di ‘moscone’ che non aveva capito e fissò intensamente il modo in cui la ragazza stringesse le labbra e poi guardasse in giro, quasi con paura di venire scoperta a vederli parlare.

«Non lo sa che mi stai dicendo questo, vero?»

«Figurati! Se lo sapesse mi ucciderebbe! E questa volta per davvero! Abbiamo già passato un week-end del cavolo…» Teiko lanciò un’occhiata fugace ad Hajime e poi sospirò. «Abbiamo perso la partita.»

«Lo so. E tu sai che mi sono preso un’espulsione per lei.»

«Sì, ma continuate a girarci intorno senza dire le cose come stanno. E da lei tutta questa timidezza me l’aspetto pure, ma non da te!»

Mamoru abbassò lo sguardo alle proprie scarpe.

«Quindi deciditi. Perché lei stravede per te, ma si sente responsabile di quanto accaduto e non vuole causarti altri problemi. Si terrà alla larga, e finirà che vi perderete.»

Tra lo stare male e il combinare un casino, il perdersi era forse la soluzione accettabile?

Mamoru la valutò, con gli occhi ancora fermi alle scarpe.

Perdersi e lasciare tutto come era stato, ma un po’ peggio. Magari non parlarsi più.

Ma la sensazione della guancia contro le sue labbra poteva dimenticarla come niente fosse? Il modo in cui avevano riso e si erano divertiti, avevano parlato come si fossero sempre conosciuti, poteva dimenticare anche quello?

O forse anche perdersi scivolava sempre di più verso la sfumatura dello ‘stare male’?

«Se lei non si facesse tutte quelle paranoie del cavolo la sua decisione l’avrebbe già presa. Ma visto che è dura come i muli…»

Kisugi gli stava chiedendo di farlo lui, prendersi la responsabilità per entrambi.

Alzò lo sguardo e la sentì imprecare tra i denti.

«Uuuh, che linguaggio poco snob.»

«Pensa ai fatti tuoi, carino!» Teiko rimbeccò Hajime.

«Oh! È la seconda volta che mi dai del ‘carino’. Devo forse iniziare a illudermi?»

«Non ho tempo di stare a battibeccare con te! Yu mi sta cercando, devo andare! Pensaci, Izawa. E deciditi!»

Scappò in fretta, cercando di non farsi vedere dalle compagne di squadra che si guardavano attorno per vedere dove fosse finita.

Il suo sguardo incontrò quello di Morisaki, ma lei lo distolse subito e poi si girò di spalle.

Prendersi la responsabilità… non era una cosa che poteva fare da solo, in quel caso, ma poteva scegliere, quello sì, e poi fare in modo che anche lei scegliesse.

Lei che non aveva bisogno di cavalieri a difenderla e lui che aveva paura di compiere il primo vero casino della sua vita.

 

La Strega d’Acciaio le aveva fatto una parte che sembrava non volesse finire più.

Lunga, dettagliata, affilata e definitiva, ma tra le cui righe era riuscita a leggere una certa preoccupazione per un comportamento anomalo da parte sua: lei, che era sempre stata ligia e concentrata quando si trattava della pallavolo, sembrava persa in altro. I sottili – nemmeno tanto – riferimenti ai ragazzi, Yuzuriha li aveva colti come stilettate date con precisione chirurgica.

Per un attimo era stata quasi tentata di dirle cosa stava accadendo, ma si era sentita una vigliacca a dover ricorrere all’aiuto del mister: il danno a Mamoru era già stato fatto, lei doveva risolverla da sola. E di certo non l’aveva risolta durante l’allenamento, in cui aveva giocato male, nonostante la riappacificazione con Teiko. Era proprio Yuzuriha a essere fuori fase; la sua mente rincorreva Mamoru in pensieri in cui non riusciva ad afferrarlo, ma che lo vedevano allontanarsi sempre di più. Sentiva già il sapore del rassegnato ‘è stato un bel sogno’.

Un sogno in cui aveva avuto molto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare: la sua compagnia, le sue risate, la sua gentilezza, quel bacio sulla guancia. Non aveva smesso di bruciare sotto la pelle e non sapeva spiegarsi come potesse riuscirci ancora. Passandosi la mano sul viso, si disse che era solo questione di tempo prima che si affievolisse fino a sparire, e di quel bacio non sarebbe rimasto che un dolce ricordo e nulla più.

Tra l’atteggiamento molesto di Ritika e la sensazione di panico che le era presa quando Mamoru si era avvicinato mentre parlava con Misaki, restare separati le era sembrata la soluzione migliore per tutti.

Non proprio una scelta da cuor di leone, come le aveva fatto presente anche Teiko, ma Yuzuriha non ne aveva trovata un’altra accettabile, anche se avrebbe significato darla vinta a Naoji. Ma qui non si trattava più di vincere o perdere, ne andava della serenità di terze persone che non dovevano finire in quella specie di guerra sull’onore ferito che il Capitano della squadra di baseball stava portando avanti.

La ramanzina e poi la sistemazione della palestra le avevano rubato molto più tempo del previsto, ma tutta la squadra era rimasta per darle una mano, tra sorrisi complici e abbracci estemporanei. Le avevano fatto sentire la vicinanza e la compattezza del gruppo.

La Nankatsu di pallavolo era unita, anche se non tutte conoscevano la faccenda nel dettaglio, ma era sufficiente sapere che una delle compagne aveva bisogno di aiuto e supporto per fare cerchio e tenerla al sicuro. Shiho, nel ruolo di Capitano, aveva battuto molto su questo spirito di unità, aveva dato l’esempio, per questo la chiamavano Mamma Orsa.

Yuzuriha vide lei, Takeko e Teiko sulla soglia della palestra che la aspettavano per tornare a casa insieme, mentre le altre erano sparse per le scalette e facevano confusione. Si sentì fortunata, nonostante Naoji cercasse di farle attorno terra bruciata: le sue compagne si fidavano e non stavano a sentire le chiacchiere.

Uscì, col borsone sulle spalle, e tutte insieme si mossero per allontanarsi dalla palestra e dalla scuola. Chi proponeva di andare a mangiare qualcosa in centro, chi cercava di farsi spiegare matematica, chi si organizzava per il prossimo weekend. I club stavano a poco a poco terminando le attività a quell’ora, e lei aveva sperato di essere tra gli ultimi a lasciare il cortile, ma di lontano scorse che anche quelli della squadra di calcio avevano tardato.

Il gruppetto di giocatori e manager era nelle loro condizioni: borsoni sulle spalle, rumorosi e uniti. Avevano uno spirito di squadra che le era sempre piaciuto, le ricordava il loro ed era uno spirito vincente, visti i risultati. I suoi occhi trovarono Mamoru quasi subito, l’avevano cercato senza dire niente alla sua testa, perché mossi dal cuore, e l’avevano trovato sorridente, rilassato.

«Non sarebbe il caso di parlarci?» borbottò Teiko.

«Se lo meriterebbe,» aggiunse Shiho, dietro di loro assieme a Takeko di un paio di passi.

Yu ne fissò intensamente il profilo, la luce del sole che brillava sui capelli neri e il sorriso che gli apriva le labbra mentre dava una spinta a Ishizaki.

«No. Lasciamo che le cose muoiano così, un po’ alla volta.» Proprio come erano nate.

«Non devono morire per forza. Si possono sempre sistemare.»

Yuzuriha sorrise alle parole di Kishida, di solito la più pratica e pessimista del loro quartetto, ma che cercava di incoraggiarla comunque. In un’altra occasione avrebbe ascoltato le sue amiche o, meglio, si sarebbe fatta trascinare da loro che prendevano sempre il timone con prepotenza quando lei tentennava. Ma quella volta era sicura di cosa fare, e non c’era spazio per slanci romantici dell’ultimo momento e finali da film. Semplicemente, ci si faceva da parte in silenzio, nella normalità di tutti i giorni che li avrebbe visti di nuovo nei ruoli che avevano sempre ricoperto, da liceali quali erano. Gli impegni quotidiani li avrebbero assorbiti e si sarebbero dimenticati in fretta di quella fugace parentesi.

Questo fino a che non comparve Naoji. Di nuovo.

«Possibile che quello lì stia sempre tra i piedi?! Cazzo, fa?! Ti stalkera?!»

Teiko parve leggerle nella mente, perché lo pensò nel momento in cui lo vide fermo a parlare con alcune ragazze e i suoi compagni di squadra. I team sportivi della scuola Nankatsu erano molto popolari in città, grazie agli ottimi risultati raggiunti nei vari campionati, e non era una novità trovarli spesso a intrattenersi con gli studenti che facevano parte delle tifoserie. Anche la loro squadra femminile ne aveva una, e la maschile di calcio. Figurarsi quella di baseball, tra le più premiate nella storia della scuola. Tra le ragazze, Yu riconobbe anche alcune che erano amiche di Ritika. La sua solita fortuna.

«Non calcolate quell’ameba, e tirate dritto. Gli darò una lezione quando lo beccherò da solo.»

«Non ne vale la pena, Orsa

«Questo lascialo decidere alle mie mani,» soggiunse Takasugi lasciandosi sfuggire una sottile nota di piacere al monito di Kishida.

Yu cercò di concentrarsi solo sulla propria strada, si trattava di quanti? Venti, cinquanta metri? Un centinaio per raggiungere i cancelli ed essere fuori? Le parvero i più lunghi della sua vita.

Naoji si accorse di lei, le rivolse un sorriso divertito e viscido. Lei lo fulminò con la peggiore occhiataccia che aveva in repertorio, corredata da una smorfia di disgusto, in cui però avvertì anche il dolce della soddisfazione nel vedere il chiaro segno violaceo lasciato dal pugno di Mamoru: faceva bella mostra tra zigomo, guancia e naso e a nulla serviva il cerotto con cui aveva cercato di nasconderlo, l’alone fuggiva da tutte le parti. Distolse lo sguardo e quasi d’istinto andò a cercare proprio quello di Izawa che trovò imperscrutabile, tanto da farla sentire in difetto. L’intero gruppo di calcio si era fermato al lato opposto rispetto quello di baseball in una sfida all’O.K. Corral in cui lei si sentì protagonista pur senza volerlo, perché era nel mezzo della faida. Ne era la causa, e avrebbe dovuto vedersela da sola per risolverla, come avrebbe dovuto fare fin dall’inizio.

«Ti fa molto male, Naoji-senpai?» chiese una kohai del primo anno.

Keigo sollevò il mento e svirgolò le labbra in alto, gonfiando il petto. Quelle attenzioni lo facevano gongolare, alimentavano l’ego spropositato che si ritrovava. E ne aveva tanto, Yu lo sapeva: era un tipo che voleva essere idolatrato, centro universale della sua cerchia che tendeva ad allargare il più possibile.

«Ma no! È solo un graffietto. Sarà pure bravo con i piedi, ma con le mani… Sempre detto che il calcio non è uno sport vero, tira fuori solo gente piena di boria. Noi di baseball portiamo avanti una tradizione molto più nobile e virile. E poi ci sono persone che non sanno proprio perdere,» aggiunse, con sottile compiacenza, guardando Mamoru. L’attimo dopo, però, gli occhi furono su di lei. «E persone che non sanno quanto sia sbagliato mettersi contro di me.»

Le ragazzine squittirono e ne acclamarono la dimostrazione di forza quasi fosse eroica e romantica, spregiudicata come i romanzetti che tanto andavano di moda, e non si rendevano conto, non riuscivano a vedere quanto quell’atteggiamento fosse pericoloso e nascondesse lati orribili. Lei ne aveva avuto un assaggio che era stata brava a gettare via in fretta. Le altre, invece, lo idealizzavano come ogni ragazzina del liceo era abituata a fare. Vivevano di questo. Di ideali e storie d’amore che sembravano esistere solo nei telefilm e nei manga. Vivevano di attimi e dovevano brillare come fuochi d’artificio.

Ma quello lì aveva cercato di mettere in pericolo la sua libertà, aveva minato i rapporti con le sue amiche, distrutto ciò che forse avrebbe potuto costruire con Mamoru.

Quello lì aveva fatto la mossa sbagliata.

«Vero, Morisaki?» Naoji cercò proprio il suo appoggio, avvicinandosi a passo deciso. Aveva una sicurezza di sé che l’espulsione a Izawa aveva alimentato come carbonella. «Tu ormai mi conosci bene, diglielo, Yuzuriha.»

Mamma Orsa avanzò di un passo, ma lei la fermò con la mano: che avrebbe saputo cavarsela da sola non valeva solo per Mamoru, e i piedi in testa se li era fatti mettere anche troppo.

Keigo le si fermò davanti con sorriso smagliante e l’intenzione di allungarle una mano sul fianco, nell’atteggiamento confidente per cui lo aveva già ammonito. Yu fece un passo indietro preventivo e chiaro, tanto che la mano di Naoji rimase a metà strada.

«Certo. Ed esistono anche persone che non capiscono quando uno dice ‘No’. Ti ricorda qualcosa?» sorrise, incrociò le braccia al petto senza nasconderlo. «Vedo che hai ancora il segno del mio ‘bacetto’. Chissà che non ti insegni il significato del ‘non voglio’ quando ti viene detto. Magari prima di gonfiarti l’ego, dovresti sturare le orecchie.»

Keigo inarcò un sopracciglio e sbuffò un sogghigno. «La solita, tenace Yuzuriha Morisaki. Con te una lezione non è mai sufficiente,» sussurrò quell’ultima frase, abbassando il capo affinché potesse sentirla solo lei. Poi drizzò la schiena mettendo in mostra la propria solidità. «Devo averti sopravvalutato, ti facevo molto più intelligente, ma si vede che preferisci perdere tempo con gente terra terra. Perché non chiami Izawa per farti difendere? Oh, ma è già qui! Chissà che non ci scappi una nuova espulsione.»

Yu guardò Mamoru, sempre fermo tra i compagni di squadra, con il borsone in mezzo ai piedi e le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa scolastica.

Mamoru rispose allo sguardo nella stessa maniera imperscrutabile di poco prima e poi fissò Naoji. Alla fine, sollevò le spalle e si aprì in un sorriso che avrebbe oscurato anche il sole.

«Naaah. La mia ragazza sa cantartele anche da sola, ma se vuoi noi te le possiamo suonare. Giusto, ragazzi?» Con le mani mimò il gesto di una sviolinata.

Un coro di fischi e assensi si levò sia tra le fila della squadra di calcio, che da quella di pallavolo.

«Kawaii, Izawa-kun!» esclamò una delle manager, dai capelli a caschetto, alzando un pugno al cielo.

Mamma Orsa, invece, le diede di gomito. «Mi piace,» disse, annuendo con un sorriso che la sapeva più lunga di tutte. Teiko fu più spudorata: «E porta a casa un po’ di classe, Naoji.»

Yuzuriha si era persa gli ultimi trenta secondi di vita. Guardò Mamoru con gli occhi spalancati, mimando un esasperato: ‘cosa diavolo stai dicendo?!’. Ma tutto ciò che ottenne fu una strizzata d’occhio che la mandò ancora più in confusione con la faccia in fiamme.

I mormorii di chi aveva accompagnato Keigo correvano velocissimi.

«La sua ragazza?»

«Ma stanno insieme?»

«E da quando?»

«A Ritika non piacerà per niente.»

Yu pensò d’essere finita dalla padella dritta nella brace, ma tirò su la schiena e cercò di darsi un tono qualunque.

Keigo aveva un’espressione che avrebbe voluto fotografare: rosso di collera, gli occhi da Oni e la bocca deformata. Dov’era adesso il supermaschio alfa? Qualcuno l’aveva presa proprio male.

«Ah, allora è così?» sputò tra i denti. «Non hai proprio imparato niente. Be’, peggio per te. Tanto lo so che tornerai strisciando non appena Izawa ti pianterà per qualcun’altra.»

«Mi pare che l’unico ad aver strisciato per avere una seconda occasione sia stato solo tu. E ti è andata male.» Yu sollevò le spalle e si portò un dito al mento.

Non aveva prezzo. Tutto quello non aveva prezzo. E Mamoru fu la ciliegina sulla torta: le si fermò accanto, sentì che erano spalla a spalla.

«Così è la vita, Naoji. Chi erano quelli boriosi che non sapevano perdere?»

Gli occhi di Keigo saettarono al ragazzo; Yu temette che ad alzare le mani sarebbe stato proprio Naoji questa volta, ma si risolse che era troppo vigliacco per confrontarsi ad armi pari, lui preferiva vincere facile.

«Non vali niente, Morisaki. Di puttanelle come te ne trovo a bizzeffe.»

Yu strinse gli occhi a fessura e uno strano istinto di autoconservazione le risalì lungo la spina dorsale come petrolio da una trivellazione.

«Io a questo punto uno glielo mollerei.»

Alle parole di Izawa, il pugno le partì in automatico, dritto in faccia, dove Mamoru l’aveva già colpito due giorni prima. Per la seconda volta, Naoji finì steso, mentre lei ululava un ‘ahiiiiii!’ e si teneva al petto la mano vendicatrice.

«Cazzo, ma fa male!» esclamò, lanciando un’occhiata a Mamoru.

«Certo che sì! Che credevi?!»

«E che ne so?! Tu non hai fatto una piega!»

«Ma è diverso!»

«Ah, e da cosa?! Cos’hai, la mano bionica?!»

Mamoru le regalò una di quelle risate che le avevano fatto battere il cuore più in fretta, ma al momento era troppo impegnata a soffrire per rendersene conto.

«Comunque, bel diretto!» Izawa indicò Keigo seduto sulle proprie chiappe che si teneva la faccia con entrambe le mani e latrava come un cane cui avevano pestato la coda. «Che dirti, Naoji? La mia ragazza sa anche suonarle.» E alzò il pollice. Lei gli diede una spinta.

«Non c’è niente di divertente! Fa malissimo!»

«Dai, ti accompagno in infermeria. Vediamo di trovare del ghiaccio.»

«Maledetti maschi è tutta colpa vostra!»

«E io che c’entro?!»

«Tu c’entri! Sei maschio anche tu, il vostro testosterone è una piaga!»

Il ragazzo rideva, la indirizzò verso l’edificio principale per raggiungere l’infermeria e il resto era indietro, non poteva nemmeno più sentirlo, c’era solo Mamoru che camminava al suo fianco e non smetteva di ridere.

 

A Keigo la faccia faceva male in tutti i punti, anche se era stato centrato solo in uno.

Quella stronza!

Quella stronza di Morisaki l’aveva colpito sul serio!

Quella grandissima stronza!

Gliel’avrebbe fatta pagare. Cara. A lei, a quel bastardo di Izawa.

La sua ragazza?!

Ah!

Morisaki era una sua proprietà. Ci aveva messo le mani per primo ed era lui che scaricava la roba quando non gli serviva più, non viceversa! Ma avrebbe trovato il modo, uno subdolo, il peggiore che gli sarebbe mai potuto venire in mente e gliel’avrebbe fatta scontare a entrambi, perché una simile figura di merda davanti a tutti non sarebbe mai passata impunita. Potevano metterci le mani sul fuoco.

Keigo non ebbe il coraggio di alzare la testa, ma sarebbe andato dritto e di filato da un professore o dal preside in persona. Avrebbe smosso mari e monti, l’avrebbe detto a suo padre. Lui era ricco tanto quanto Izawa, quindi i soldi non erano un problema. Ah! Solo questione di tempo e orgoglio, e di quest’ultimo ne aveva da vendere a peso d’oro.

Fece per alzarsi, ma si sentì tirare giù e strattonare per il retro del colletto della maglia. Il cotone arrivò quasi a strozzarlo. Quando alzò la testa per vedere chi diavolo fosse, sentì il sangue sparire dalle vene.

Shiho Takasugi era la torre del gigante e faceva una paura fottuta, con il suo sguardo affilato che recapitava un solo messaggio breve e diretto: ‘sei fottuto’.

«Con loro hai finito, ma con me non hai neanche cominciato,» sogghignò, «ciccino

 

Percorsero tutto il tragitto fino all’infermeria battibeccando, con Yu che gliene diceva di tutti i colori e lui che tra una risata e l’altra riusciva anche a replicare a tono. E più replicava, più lei si arrabbiava, ed era così divertente che non sapeva smettere.

«E domani credo che il giro in presidenza toccherà a me. Penso ti farò compagnia nell’espulsione… Oh, ma chi se ne frega.»

«Son certo che toccherà di nuovo anche a Naoji, ma questa volta di’ le cose come stanno.» Mamoru si fermò davanti alla porta dell’infermeria. «Anzi, dille prima alla tua allenatrice.»

«La Strega mi ucciderà appena lo saprà…» Yu parve più spaventata dalla Shiroyama che nemmeno dal preside. Entrarono in infermeria, ma la dottoressa scolastica era già andata via. «Mi sa che dovremo fare da soli. Vatti a sedere, prendo del ghiaccio.»

«E se mi sono rotta qualcosa?!»

«Non ti sei rotta niente.»

«Oh, parli facile tu! Cos’è, hai gli occhi a raggi x?!

Mamoru abbandonò entrambi i borsoni accanto alla porta si mise a cercare in quale armadietto fosse il ghiaccio in busta. Quando lo trovò e si volse, rise ancora più forte.

«Ma che fai?! Soffi?! Mica ti sei ustionata!»

«E che vuoi che faccia?! Fa male!»

«Non ti facevo così piagnucolona.»

«Io non sono piagnucolona! Per chi mi hai preso?! Ma ho appena dato un pugno in faccia a un tizio, permetti che sia un po’ sclerata?!»

Mamoru trascinò la sedia con le ruote e prese posto davanti a lei, schiacciando la busta del ghiaccio. Il freddo fu istantaneo. Prese piano la mano di Yuzuriha, cercando di aprirle le dita che teneva richiuse e lei mugugnò a labbra strette.

«Vedrai che non è niente,» la incoraggiò, poggiando il sacchetto e dandole sollievo immediato perché la sentì rilassarsi.

«Davvero secondo te non mi sono rotta nulla? Che so, una falange?»

«Naaah.»

Yu sbuffò, Mamoru ne catturò l’espressione imbronciata attraverso i capelli che gli erano calati un po’ sugli occhi. Di nuovo vicini e in contatto. Non erano passati che due giorni, eppure gli erano sembrati tantissimi. E lui ci aveva rimuginato anche troppo, perché la verità era molto più semplice.

«Però è stato soddisfacente?»

«Cosa?»

«Dargli un pugno.»

«Un po’... Quello stronzo ha creato solo problemi…»

«Ma li abbiamo risolti. Non ti darà più fastidio. La Takasugi era sul piede di guerra da giorni, non penso sia più disposta a passarci sopra. Cioè, a passare sopra ai fatti, ma secondo me è pronta a passare sopra a Naoji.»

Yu lo guardò con occhi sgranati, poi scoppiarono a ridere tutti e due. Oh, del ‘povero’ Naoji non avrebbero più sentito parlare, quella entrava di diritto in una delle poche certezze della vita che avevano.

Mamoru continuò a pressarle piano il ghiaccio, le loro risate si affievolirono nel silenzio generale della scuola. Presto il custode sarebbe passato per un giro di controllo e li avrebbe mandati via. La giornata era finita, ma loro avevano un appuntamento da recuperare e occasioni per stare ancora vicini, e risate come quelle. Avevano tempo da recuperare che non avevano potuto condividere.

«Grazie per non essere intervenuto.»

«Mi è costato, perché avrei voluto spaccargli la faccia, ma ehi!, avevi detto di volertela cavare da sola…»

«E a te che è venuto in mente di dire?! Che sono la tua ragazza?! Non è stata una grande mossa, le altre che penseranno?»

«Sì, ma la faccia che ha fatto Naoji era da incorniciare! E poi non mi interessa delle altre, è con te che sto uscendo.»

«Solo due volte,» s’impuntò Yuzuriha, «e ne abbiamo già parlato, mi sembra.»

«Sarebbero state tre se non ti fossi incaponita a fare di testa tua. E comunque nemmeno tu hai mai cercato di baciare me, e allora?»

«Di solito è il ragazzo che fa la prima mossa.»

«Ma come? Non vuoi che ti difenda e puoi vuoi che sia io a baciarti? E la parità? E il ‘ce la faccio da sola’

«Che c’entra!» Yu lo guardava negli occhi, mostrando lo spirito battagliero e coraggioso che le aveva sempre visto quando si trovava sul campo da pallavolo. E a lui piaceva guardare quelle nocciole d’autunno da così vicino. Gli piaceva come non avrebbe mai creduto d’ammettere. «A me piace quando è il ragazzo a fare il primo passo… io poi potrei fare il secondo.»

«Quindi se io ti baciassi adesso, poi tu baceresti me?» chiese, stringendo lo sguardo. Lei lo sostenne, anche se aveva le guance come ciliegie.

«Vuoi sfidarmi, forse?»

Magari sì. Magari voleva.

Mamoru sollevò il ghiaccio. Le nocche erano rosse, ma non gonfie. «Fa ancora male?»

«Meno di prima…»

«Non ti ho baciata perché sapevo sarebbe stato un casino.»

«È perché ho un seno troppo ingombrante e non credevi di arrivare alla faccia?»

«È perché ho paura che mi possa piacere così tanto da non voler baciare più nessun’altra.»

Mamoru aveva il cuore spaccato: lo sentiva in parte nello stomaco e in parte nella gola. Da un lato gli acidi lo digerivano, e dall’altro l’epiglottide non riusciva a deglutirlo.

Yuzuriha girò il viso. «Non penso di valere tanto. Sono una qualunque.»

«Non per me.»

«Facile dirlo, ma la verità è che non so che pensi quando mi guardi. Sono una delle tante? Sono la novità del momento? Vado bene come sono?»

«Cosa penso? Che una come te non l’ho mai incontrata, che l’effetto che mi fai non l’ho mai provato. Che con te è come conoscerti da sempre… Che vorrei conoscerti di più.»

«Questo è essere sleali.»

«Perché?»

«Perché sono un po’ credulona…» accennò un sorriso senza guardarlo. «…poi finisco per prenderti sul serio.»

Mamoru strinse la presa sulla mano di Yuzuriha quel tanto che bastava ad attirarsi di nuovo i suoi occhi: dentro vi lesse quel fondo di sfiducia che la giovane nutriva verso i ragazzi e la paura delle delusioni, delle insicurezze.

«E se ci provassi a prendermi sul serio?» Mamoru si avvicinò. Gli occhi di Yu, le sue labbra erano calamite che l’avevano intrappolato nel loro campo fin dalla prima volta, ma era sempre riuscito a resistere, grazie alla paura. Adesso non ne aveva più e si sentiva attirare, poco alla volta, in quella lentezza di movimenti dove tutto era calibrato al millimetro e che conosceva bene. Ma il vuoto gravitazionale che aveva nello stomaco, dove il cuore era stato digerito in polvere di stelle non l’aveva mai provato.

«Se provassi davvero a sfidarti? Se vincessi… tu che mi daresti?»

Yu non si tirò indietro, ma la voce era solo sussurro. Così vicini non c’era bisogno di parlare forte. Forse non c’era bisogno di parlare affatto.

«Che… divento la tua ragazza non va bene?»

«Ma sei già la mia ragazza…»

Nel momento in cui le loro labbra si toccarono, Mamoru si ricordò che una parte di cuore gli era rimasta dove batteva anche quello di Yuzuriha. Poteva sentirlo sotto la bocca che si schiudeva poco alla volta per permettere alle labbra di conoscersi meglio, prendersi le misure. Il vuoto gravitazionale si riempì all’improvviso, ma il tutto continuava a fluttuare. Lo faceva sentire stordito, con la testa leggera e le gambe piantate a terra, piene di piombi.

Era nuovo.

Era diverso.

Era bellissimo.

«Lo sapevo che sarebbe stato un casino…» sorrise, prima che Yuzuriha si prendesse il secondo bacio.

Un casino, sì, uno vero, e il più incredibile che potesse capitare.

 

 

 

 

 

 

FINE

- When you look at me -

 

 

 

 

Note Finali: L’ho finita. Alleluja, alleluja!

Vi ho fatto aspettare quasi un anno… deh! UN ANNO?! O_O e chi si è reso conto che è passato così tanto tempo dall’ultimo aggiornamento di WYLAM?!
Porca miseria! Ero talmente infognata nella scrittura di Malerba che ero convinta di avere tempo, di non essere troppo in ritardo… e invece pensavo malissimo. XD

Scusate!

Ma veniamo alla storia: un’altra fine da flaggare e io sono già pronta per tornare dalla mia erbaccia preferita! XD Ho troppo da scrivere per poter tergiversare, ma sono davvero felice d’essere arrivata alla conclusione di questa easylong nata davvero per caso, ma che mi ha fatto togliere uno sfizio che avevo da tempo: quello di scrivere di Yuzo femmina XD

Ora che l’ho fatto, apriamo una nuova pagina bianca e facciamoci trascinare dalla prossima avventura! (e magari, questa volta, la femmina potrebbe essere Mamoru! Oh, tette a turno, è equo! XD) 😉

 

Grazie a tutti voi che avete avuto la pazienza infinita di attendere questo ultimo aggiornamento!

Scusate ç_ç sono imperdonabile! ç_ç

 

Fun-fact: se un po’ avete imparato a conoscere le mie manie da fanwriter, sapete che la musica è una delle fonti maxime di ispirazione, per me. E quando ho trovato il titolo per questa storia, una canzone mi si è piazzata in testa fin dall’inizio. XD Ogni volta che penso a questa fic, penso a When you look at me – Christina Milian’. Early 2000s XD

 

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