'Magari le cose sarebbero andate in modo diverso...'

di Doux_Ange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solo andata ***
Capitolo 2: *** Il potere del perdono ***
Capitolo 3: *** La crepa ***
Capitolo 4: *** Il bambino di Natale - versione 1 ***
Capitolo 5: *** Dimmi chi sei ***
Capitolo 6: *** Il bambino di Natale - parte 2 - versione 2 ***
Capitolo 7: *** Premonizioni ***
Capitolo 8: *** Una questione personale + Una di quelle ***
Capitolo 9: *** Arriverà il giorno ***
Capitolo 10: *** Il bambino di Natale - versione 3 ***
Capitolo 11: *** Scegli me! ***
Capitolo 12: *** Pene d'amore ***
Capitolo 13: *** Una famiglia normale ***
Capitolo 14: *** La notte dell'anima ***
Capitolo 15: *** La crepa - versione 2 ***
Capitolo 16: *** Premonizioni - versione 2 ***
Capitolo 17: *** Dimmi chi sei - versione 2 ***
Capitolo 18: *** Tutta la vita ***
Capitolo 19: *** Le favole del Maresciallo C. - Acquasparta ***
Capitolo 20: *** Il potere del perdono - versione 2 ***
Capitolo 21: *** La crepa - versione 3 ***
Capitolo 22: *** Una questione personale - versione 2 ***
Capitolo 23: *** L'amore sbagliato ***
Capitolo 24: *** Premonizioni - versione 3 ***
Capitolo 25: *** Ancora bambina ***
Capitolo 26: *** Una di quelle - versione 2 ***
Capitolo 27: *** Le favole del Maresciallo C. - Val Tiberina ***
Capitolo 28: *** Scene da un matrimonio ***



Capitolo 1
*** Solo andata ***


SOLO ANDATA

 

 

Marco's pov

 

Stamattina Chiara mi ha mandato un messaggio proponendomi di fare colazione insieme al bar della piazza. Accetto senza pensarci troppo, in fondo è solo un'uscita.

 

Poco dopo quando salgo in caserma, noto che Anna non c'è.

“Ehi, ma il Capitano?” chiedo all'appuntato Zappavigna, interrompendolo mentre sistema dei documenti.

“Ha accompagnato il Maresciallo da un medico,” mi informa. “Si sentiva poco bene, sua moglie e sua figlia non ci sono, così lo ha portato lei.”

“Ah... d'accordo, grazie.”

Nonostante i battibecchi iniziali, è sempre più evidente che quei due si sono affezionati l'uno all'altra. Un po' come te, no? La detestavi all'inizio, e adesso...

Adesso niente. Vacci piano, sai quello che ti ha detto. Solo amici. Ma tu non vuoi essere solo un amico, e fra l'altro, visto che siamo in argomento, non ti stai comportando nella maniera giusta.

 

Scuoto la testa scacciando via questi pensieri. Mi informano di un tentato omicidio, e viene convocato il ragazzo che è stato trovato sul posto accanto alla ragazza aggredita.

Nel frattempo arriva anche Anna, un po' preoccupata. Mi saluta in fretta e ci dirigiamo nel suo ufficio, dove mi aggiorna su quello che hanno scoperto.

Quando il ragazzo arriva, scopriamo che era diretto in Svizzera per un suicidio assistito. I soldi per la clinica ne fanno un buon movente per un tentato assassinio. Come ogni volta che si affronta questo argomento però, Anna cambia atteggiamento. È quasi impercettibile agli occhi di chi non sa, ma non ai miei. Posso a mala pena immaginare come ci si sente, solo a udire quella parola. I ricordi che porta con sé. Il dolore.

Non capisco se mettere quel ragazzo in stato di fermo mi faccia sentire meglio o no, l'unica cosa che so è che Anna si è chiusa nel suo silenzio, e so che non riuscirò a scavalcare quel muro se lei non vuole. Al momento, è impenetrabile.

 

***

 

Anna's pov

 

A giudicare da quello che ha detto la dottoressa a Cecchini, bisogna fare una disinfestazione a casa per eliminare i tarli, e conviene farla pure da me. Quindi poco fa ho mandato un messaggio a Chiara dicendole di venire qui per informarla della situazione, così almeno mi dà una mano e cerca una sistemazione temporanea.

Mentre il ragazzo sospettato viene portato via, ecco che entra lei con fare trafelato.

“Anna, perché mi hai chiamata?”

“Abbiamo i tarli in casa,” le dico subito.

Lei si porta le mani alla bocca. “Oddio, i miei maglioni di cachemire umbro! Me li bucano tutti!”

Mi trattengo dall'alzare gli occhi al cielo.”Sì... a parte i tuoi maglioni, devono entrare per fare la disinfestazione, quindi dobbiamo andare via per qualche giorno. Non so, prova a cercare una stanza d'albergo, qualcosa...” Spiego, notando che non mi sta nemmeno guardando, un'espressione di quelle che stanno progettando qualcosa.

“Perché non ci facciamo ospitare da Marco?” Mi chiede dopo qualche secondo.

“Da chi?” Non sto capendo.

“Marco!” Mi fa segno verso Marco Nardi, nel mio ufficio intento a visionare dei documenti.

Una strana sensazione si fa strada nel mio stomaco.

“Che dici, è un collega! E poi perché ci dovrebbe ospitare?” Domando debolmente. No, per favore. Non scherziamo. Non glielo chiederei nemmeno sotto tortura.

“Anna, è un uomo! È l'istinto! Non può evitare di salvare due ragazze in difficoltà.” Mi spiega con convinzione. Ah sì? “Così risparmiamo sull'albergo... e io lo conosco meglio.” Conclude, di nuovo con quello sguardo che le ho visto centinaia di volte.

No, ti prego. Tutti ma non lui.

“Ma che, davvero ti piace Marco?... ehm, Nardi?” Correggo il tiro, anche se non ha tanto senso perché lei sa che ci diamo del tu.

Lei mi guarda come se fossi pazza. “Certo! È alto, è simpatico, fa un lavoro importante, ha quarant'anni, non ha figli, non è divorziato... è come un panda! In via d'estinzione.”

Stavolta non mi trattengo e alzo gli occhi al cielo. Ma che motivazioni sono?! Un panda? Sul serio?

Anche perché ci sarebbe da rettificare su qualcosa, e dare spiegazioni per altre. Tipo del perché non abbia figli e non sia divorziato. E di anni ne ha 35.

“Ma perché, piace anche a te?” Mi chiede, e io mi sento arrossire.

“A me? Ma che sei matta?” Provo a negare.

Chiara resta a fissarmi per qualche secondo. “Ti piace.” Conclude poi con un sorrisetto soddisfatto. “Non provare a dire di no perché ti si legge chiaro in faccia. Sei rossissima.”

Se possibile, mi sento avvampare ancora di più. “Sì, in effetti le lezioni di cucina, le serate insieme... chiaro, che ti piace. Come ho fatto a non capirlo prima!” Si porta una mano alla fronte con una risatina. Io abbasso lo sguardo, con l'unico desiderio di sparire. Non riesco nemmeno a ribattere, sarebbe inutile con lei.

“Bene... ci penso io, vedrai che cadrà ai tuoi piedi! Ho in mente un piano per-fe-tto!” Asserisce, superandomi e dirigendosi spedita verso il mio ufficio prima che possa fermarla.

“No, aspetta Chiara...” Provo a dirle, senza ovviamente successo, seguendola.

Apre la porta di scatto, per poi esclamare, “Marco! Perché non ci ospiti tu, eh?”

Io tengo lo sguardo basso, imbarazzata da morire. Come fa mia sorella ad avere questa sicurezza?

Marco alza lo sguardo dai fogli, spostandolo da Chiara a me, interdetto.

“Ospitarvi?” Chiede, senza capire.

“Sì, abbiamo i tarli in casa. Dobbiamo andare via per qualche giorno...” mormoro io.

Lui naturalmente esita. Ovvio, che non vuole. Mi sarei potuta risparmiare l'imbarazzo.

Le prendo un braccio. “Chiara, te l'ho detto, che era una-”

“Una bellissima idea!” Sento strillare Cecchini che, come al solito, deve aver origliato. “Bellissima idea, sono disperato! Sapete che faccio? Prendo la roba a casa mia e vengo da Lei!” Dice tutto d'un fiato.

“Come viene da...?” No, io non ci vado a dormire da Marco con Cecchini al seguito. Mia sorella è già complicata di suo da gestire.

“E che faccio? Io rischio la vita, non posso stare solo! Guardate! Guardate, guardate!” Continua lui, sollevando le mani, coperte di puntini rossi. “Non mi invento niente, guardate!”

“È stato morso dai tarli, non è niente di grave!” Minimizzo, infastidita. Ho capito che è ipocondriaco, ma qui si esagera!

“Come, non è grave? È una malattia gravissima! Lo sa che cosa c'ho io, sotto la pelle? C'ho le uova! Uova di tarli! C'è un tarlo con una tarla che si accoppiano. E poi si moltiplicano, si quadruplicano, centuplicano...”

Marco mi lancio uno sguardo dubbioso, che io ricambio, esasperata. Magari lo aiuta a impuntarsi e dire di no.

“Ho capito, ma io non so dove mettervi, veramente!” Cerca di frenarlo, infatti.

“Ho capito, che fa come Ponzio Pilato, che si lava le mani? Dai, io vengo a casa Sua. Ma a casa sua non è che c'è il legno, no? No, a casa sua è tutta pura plastica vergine! Tutta, al cento per cento! Bravissimo, intelligente!”

A queste parole di Cecchini, io mi trattengo dallo sbuffare.

Benissimo, ora sì che sono nei guai! Non oso immaginare cos'ha in mente Chiara, e Cecchini così peggiora le cose, non posso controllare lui e mia sorella insieme, è un compito impossibile, peggio che gestire la caserma da sola. Qualcuno mi aiuti.

 

***

 

Marco è stato costretto ad accettare di ospitarci, così restiamo di vederci a casa sua dopo cena, cosicché noi possiamo prendere il necessario da portare per questi pochi giorni.

A me già viene l'ansia al pensiero, e io non sono un tipo ansioso.

Così adesso sono a casa, il trolley sul letto per capire cosa devo portarmi dietro oltre la divisa, che naturalmente finisce dentro per prima.

Chiara va avanti e indietro infilando roba su roba in una valigia grande quasi il doppio della mia.

“Ah, comunque,” esordisce all'improvviso, “com'è che non mi hai detto niente, che ti piace Marco? Nemmeno dopo che sono uscita con lui per la partita?”

Io non rispondo, mantenendo lo sguardo sui vestiti da piegare.

“Anna!”

“... non pensavo fosse importante!” esclamo alla fine, esasperata.

“Come no? Certo che è importante! Se piace a te, non si tocca. Non mi metto in mezzo, anzi. Semmai ti do una mano!”

Già tremo.

“No, non ce n'è bisogno.”

Chiara alza gli occhi al cielo. “Ho qualche dubbio in proposito... non penserai mica di conquistarlo durante le lezioni di cucina, no? Cioè, okay che gli stai dando modo di dimostrare che sa fare bene qualcosa e può insegnartela, questa cosa agli uomini piace un sacco, però pure tu ci devi mettere del tuo! Se no facciamo Natale. Dell'anno prossimo.”

Io fingo di ignorarla. Non è da me avere un approccio diretto, morirei di imbarazzo.

“Lascia stare per favore, ho già fatto abbastanza casini, non voglio rischiare.” Sospiro, senza riflettere su quello che ho detto.

Ma naturalmente a lei non sfugge.

“Casini di che?” Chiede subito, curiosa. Io mi pento di aver aperto bocca.

“... Niente, dicevo così...”

“Sicuro, guarda. Sei arrossita di nuovo.” Molla il maglione che aveva in mano senza tante cerimonie e mi costringe a sedermi accanto a lei sul letto. “Ora tu mi racconti tutto.” Dice perentoria. “Con quella faccia che hai fatto, qualcosa è successo SICURO.”

Io provo a minimizzare ma non c'è verso, così faccio un bel respiro e glielo dico.

“... ci siamo baciati.” Mormoro con un filo di voce.

“CHE COSA?!” Strilla invece lei, tanto che devo tapparmi le orecchie. “Come, vi siete baciati e non state insieme?! Che-hai-fatto? Ora veramente voglio sapere ogni minimo dettaglio, e guai a te se trascuri qualcosa!”

Così sono costretta a raccontarle quasi tutto, dalla frase che mi ha detto Marco di ritorno dal monastero, al gelato in ufficio, alle parole con nostra madre, allo show di Cosimo, passando per il reality show e, ovviamente, il bacio qui a casa e la mia fantastica uscita che fosse stato un 'errore'. Le racconto anche ci come siamo arrivati alle lezioni di cucina, dei posti che siamo andati a visitare insieme, di quando è sparita lei e della veterinaria. Naturalmente ometto le cose private che Marco mi ha raccontato di sé, quelle sono cose personali.

Chiara si porta le mani ai capelli.

“Fammi capire: lui viene qui a casa per ringraziarti, dopo che tu gli hai raccontato di papà – tu non racconti mai di papà, l'hai sempre considerata una cosa troppo personale, quindi già questo vuol dire parecchio – vi guardate negli occhi, lui ti bacia e tu... non solo ti tiri indietro, ma gli dici pure che è stato un errore? Ma come?! Come! Quand'è chiaro come il sole che sei cotta!”

“Ho avuto paura, okay? È stata una cosa inaspettata, mi ha presa alla sprovvista, e poi lui è stato il primo a chiedermi scusa e andare via!” Spiego, sconsolata.

“Ho capito, ma se tu hai interrotto il bacio, lui che doveva pensare? Però pure tu, va, quando ha cercato di parlarti e affrontare il discorso, a dirgli che siete colleghi e basta...” Chiara scuote la testa, esasperata. “E nemmeno a farti avanti dopo! Hai avuto tutto il tempo con le lezioni di cucina! O quando siete usciti assieme! Ti ha pure consolata quando io ho combinato quel casino con Sasà... e ancora giocate a fare i 'colleghi e basta'?”

“Chiara, siamo amici! Quel bacio è stato una cosa dovuta al momento.” Provo a spiegarle. Come al solito non mi dà ascolto.

“Forse, ma il resto? Non penso proprio. Quello 'per la scena' te lo ha dato di proposito, è evidente che volesse baciarti! Quando hai fatto quella cosa del reality show ti ha detto che ti trova bella, cosa che già si era notata quando ci siamo incrociati sul pianerottolo, ti ha lasciato gli occhi addosso praticamente. Ti è stato vicino quando tu e Giovanni vi siete lasciati, quando eri preoccupata me... siete usciti insieme, ti dà lezioni di cucina che in certi casi a me sono sembrate una scusa per passare del tempo con te, ora che ci penso... e tu ancora aspetti? Ora tu ascolti me, e così vedrai se gli passa la paura a chiederti di uscire seriamente!”

Beh, forse, vista così...

“E che dovrei fare, sentiamo?” Domando cautamente.

Lei mi osserva un istante con occhio critico, getta uno sguardo ai vestiti che stavo piegando fino a poco fa – qualche camicia, della magliette, jeans e poi ovviamente canotta e pantaloni del pigiama – per poi alzarsi e frugare in un cassetto. Poco dopo tira fuori una camicia da notte in pizzo e seta.

Resto a fissare l'indumento per qualche secondo, poi guardo mia sorella con occhi sbarrati.

“Che dovrei farci, con quella, io?”

Chiara sbuffa. “Secondo te? Te la metti stasera, vai da lui con una scusa qualsiasi e ti dai una mossa! Tranquilla, è la tua taglia, l'ho presa tempo fa per te nella speranza che venisse il momento adatto per dartela, meno male che ci penso io!”

“Scordatelo, io quella non me la metto.” Rifiuto.

“Ma dai, non è nemmeno così provocante! Ce ne sarebbe un'altra, ma forse è da rimandare per un altro momento...”

“No, grazie,” la blocco prima che possa prenderla. Non la voglio nemmeno vedere.

“Tu te la porti e poi vediamo, se non te la metti.”

 

***

 

La sera, dopo cena, io, Chiara e il Maresciallo arriviamo da Marco all'orario stabilito.

Non riesco a nascondere del tutto il mio nervosismo. Non so cos'ha in mente mia sorella, e la cosa mi preoccupa alquanto, considerando i presupposti.

Quando busso – Chiara insiste perché lo faccia io – Marco apre la porta rivolgendomi un sorriso e invitandoci a entrare.

Chiara mi dà una gomitata e strizza l'occhio.

Ci fermiamo davanti al divano mentre lui cerca di capire come dividerci.

“Allora... io posso dormire sul divano, Chiara e il Capitano nella stanza dei bambini-”

“Tu... hai una stanza per i bambini?” Lo interrompo io prima di riuscire a fermarmi, esterrefatta. No, questa dei bambini ancora mi mancava. Sapevo dei quadri osceni che Marco sta cercando di eliminare man mano, ma questa...

“Sì, è la mia ex che... aveva pianificato tutto,” mi spiega lui in tono cupo, “dovevano essere due e... un maschio e una femmina.”

Annuisco, comprendendo perfettamente dove vuole andare a parare senza commentare oltre. Quella è completamente fuori di testa.

Chiara, d'altro canto, è molto curiosa.

“Un po' stranina, la tua ex fidanzata.”

“Io direi qualcosa in più di stranina, ma...” Marco lascia cadere il discorso con un mezzo sorriso senza dilungarsi in dettagli. Questa cosa mi fa gioire internamente, perché è chiaro che non vuole condividerli con gli altri ma non gli dispiaccia che io sappia il retroscena.

“Maresciallo, Lei può dormire in camera mia.”

“Per me va benissimo,” commento io.

“Va bene pure per me,” accetta Cecchini, e io tiro un sospiro di sollievo. Almeno si sta calmando. Forse. “Prima però mi devo mettere la pomata, e ci sono questi effetti indesiderati: vomito, capogiri, eruzioni cutanee con croste e rigonfiamenti sottopelle, ittero, abbassamento di voce, lingua nera che appare ricoperta di peli...”

“Ewww, oh ma c'è scritto veramente 'lingua nera'!” Ci dice Marco, che si è avvicinato a Cecchini per leggere con lui il foglietto. Che schifo.

“A posto?” Controlla un'ultima volta Marco per le sistemazioni, prima di prendere la valigia del maresciallo per dargli una mano e accompagnandolo su per le scale. “Il tempo di aiutare lui e torno a prendere le vostre valigie,” ci dice a metà strada, rivolgendomi un'occhiata di sbieco.

“Visto? Sta funzionando!” Mi sussurra Chiara quando lui sparisce dalla nostra vista.

“Macché, cosa?” Fingo di non capire.

“Hai visto come ti ha guardata quando siamo entrati? E poco fa sulle scale? Ce la puoi fare! Lascia fare a me.”

 

***

 

Una volta in stanza, temo già qualsiasi idea Chiara abbia in mente, è evidente dal suo sguardo che sta tramando qualcosa. E infatti...

“Allora,” esordisce, sedendosi sul sul letto, “tu adesso metti quella camicia da notte che-”

“Scordatelo,” la interrompo subito io, arrossendo, “tutto ma quella no.”

Lei sospira scuotendo la testa. “Va bene, per questa volta te lo concedo, mettiti quello che vuoi, d'altronde nelle 'lezioni di cucina' non guardi nemmeno cosa hai addosso, se gli piaci in quel modo, andrai bene pure così.” Sentenzia, e non so se prenderla come complimento o alzare gli occhi al cielo. “Comunque, adesso puntiamo una bella sveglia alle tre.”

“Che devi fare alle tre?” Chiedo ingenuamente senza capire, afferrando i pantaloni del pigiama.

Stavolta è Chiara a lanciarmi un'occhiata esasperata. “Io proprio niente. Tu invece ti alzi, scendi giù da Marco con una scusa qualunque, fai la carina così lo invogli a parlare un po' con te visto che sarete soli, nel cuore della notte, e poi ti dai una mossa e lo baci. Come minimo.”

“Che?! No, che sei matta? Non ci penso neanche!” Affermo perentoria infilandomi la canotta. Non avrei mai il coraggio di fare niente del genere.

“Non è che ti sto dando la scelta, lo fai e basta. Ti spingo giù dalle scale a forza, se devo. Sai che lo faccio.”

Io la ignoro, mettendomi a letto. Tutta questa cosa è fuori discussione. Non esiste proprio.

 

Il mio sonno è agitato dall'ansia che Chiara combini davvero qualcosa. Un suono fastidioso mi fa saltare in aria, seguito dalla voce di mia sorella che mi scuote per farmi svegliare.

“Anna, forza, su, muoviti, scendi,” sussurra tirandomi a sedere e dandomi una riordinata ai capelli. Io ci metto qualche secondo a capire di che sta parlando, poi mi tiro indietro subito.

“No, Chiara! Io non ci vado, giù! Scordatelo!” mormoro terrorizzata, tirandomi il lenzuolo contro il petto.

Ovviamente lei mi ignora e mi obbliga ad alzarmi, spingendomi fuori dalla stanza fino alla rampa di scale che porta al pianterreno. “Sì che ci vai. Scendi, lo svegli, gli chiedi un bicchiere d'acqua, quello che vuoi, gli dici che non riuscivi a dormire per... che ne so, il caso che state seguendo per ora, qualsiasi cosa, e poi te la vedi tu ma visto che già vi siete baciati una volta magari prendi spunto da quella per ricreare la situazione. Fai come ti pare, come ti viene meglio, ma BACIALO.” Mi intima, spingendomi letteralmente giù per le scale.

Faccio un respiro profondo dandomi della scema per questa paura irrazionale. Sono un Capitano dei Carabinieri, cavolo! E poi posso sempre dirle che non si è svegliato. Mi giro a guardare, e ovviamente lei è accovacciata a metà scalinata che mi fa segno di procedere. Non ho scampo.

 

Mi dirigo allora in cucina, intravedendo Marco dormire beato sul divano, con lo scopo di prendere l'acqua prima, visto che la gola si è asciugata improvvisamente e non riuscirei a parlare nemmeno se volessi. Oltretutto, Chiara mi ha fatto passare il sonno per davvero, mi ha fatto tornare in mente quel ragazzo e la sua volontà di andare in Svizzera per un suicidio assistito, e adesso che ci sto ripensando non riesco a togliermelo dalla testa.

Prendo un bicchiere dal lavello, e mando giù l'acqua versata tutta d'un sorso. Quando faccio per posare il bicchiere, però, urto inavvertitamente un cucchiaino che non avevo notato vista la penombra, e che cade nel lavello d'acciaio facendo ovviamente rumore. Io mi blocco, paralizzata. Ho pregato mentalmente fino all'ultimo di riuscire a tornarmene in camera senza problemi e invece... sul lavoro sarai anche brava a non farti sentire, ma senza divisa sei un disastro.

Vedo Marco alzarsi di scatto dal divano e lanciare un'occhiata confusa nella mia direzione.

“... Anna?” Chiede con la voce impastata di sonno.

“Ehm... sì,” biascico, imbarazzata, “scusa... avevo sete e sono scesa a prendere un bicchiere d'acqua ma... ho fatto cadere un cucchiaino, credo...”

Lo vedo accendere un'altra luce nella zona del piano cottura prima di avvicinarsi a me.

“Tutto bene?” Mi chiede, un po' preoccupato dalla mia espressione tesa, probabilmente.

“Sì, sì... è che... mi dispiace di averti svegliato... io non riuscivo a dormire e adesso non sto facendo riposare nemmeno te.” Dico, esitante. Non è proprio la realtà, ma ho dormito male comunque e il resto è vero.

Ora però che faccio?

 

Marco's pov

 

“Ma no, figurati...” Le dico per tranquillizzarla. Quando ho sentito quel rumore mi sono preoccupato pensando fosse Cecchini, e invece con mia sorpresa mi sono ritrovato in cucina Anna, in pigiama e con un'espressione terrorizzata.

Accendendo la luce, mi sono anche accorto che per l'imbarazzo è arrossita. “Non preoccuparti, davvero. Piuttosto, come mai non riuscivi a dormire?” Le chiedo poi, un po' per effettiva preoccupazione, un po' per prendere tempo. Di' la verità, adesso che è scesa il sonno ti è passato completamente. Guarda quant'è carina in pigiama... falla restare un po', tanto l'ha detto lei stessa che non riesce a dormire.

Per una volta ho deciso di seguire la vocina nella mia testa.

Lei sospira. “Pensavo a quel ragazzo, in caserma... al fatto che voglia... andare a morire,” mi spiega con un breve tremito nella voce.

Io resto ad osservarla per qualche secondo. Avevo visto già nel suo ufficio che le parole di quel ragazzo avevano avuto un impatto forte su di lei, e mi rendo conto di quanto possa pesare la parola 'suicidio' per lei, vista la sua esperienza con suo padre.

“Che ne dici di una bella camomilla? Magari ti tranquillizzi un po',” propongo allora, rincuorato nel vederla annuire.

Mi adopero immediatamente, mettendo a bollire l'acqua e prendendo due filtri per entrambi, così le faccio compagnia. Sì, e la tieni qui con te ancora per un po'.

Anna si appoggia al piano cottura, più rilassata.

“Ah, comunque... scusa per l'invasione,” mormora con un piccolo sorriso, “avere tre persone in giro per casa senza molto preavviso non è il massimo.”

Io ridacchio alla sua osservazione, versando l'acqua bollente nelle tazze. “No, dai, tranquilla. È stato inaspettato, questo sì, ma non è che sia la fine del mondo. Anzi, in quel caso non avrei avuto il piacere di questa chiacchierata notturna,” aggiungo, sornione. Con mia soddisfazione, vedo che arrossisce di nuovo. “E poi, Cecchini terrorizzato dai tarli e gli effetti collaterali improbabili di una pomata è da morir dal ridere, se non altro vale la pena per questo. Zucchero?” Chiedo nel mentre.

“Due,” risponde lei, “e sì, adesso è divertente, ma allo studio ti assicuro che lo è stato molto meno.”

Io le passo la tazza, che Anna prende con un piccolo sorriso di ringraziamento. “A proposito, raccontami. Sono curioso, ho capito che è ipocondriaco, quindi non oso immaginare cos'abbia combinato alla visita.”

Lei fa una risatina. “Beh, ovviamente si è fatto prendere dal panico, ha chiesto alla dottoressa se stesse morendo prima di qualsiasi altra cosa. Anche quando lei gli ha detto che non era nulla di grave e sarebbe bastata una disinfestazione, non ne ha voluto sapere. Quando ho ricevuto la chiamata per andare sul luogo dell'aggressione della ragazza, non voleva farmi andare via. Al mio consiglio di riposarsi mi ha risposto che sarebbe stato un 'riposo eterno'.”

Io scoppio a ridere, mettendomi una mano davanti alla bocca per evitare di svegliare gli altri. “Certo che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, Cecchini. Il 'riposo eterno'...” Scuoto la testa. “E per casa tua, che avete intenzione di fare?”

“Ha detto che avrebbe chiamato lui qualcuno per fare tutto il lavoro, suppongo che domani saprò dirti di più,” fa spallucce lei.

“Okay... potete restare per tutto il tempo che vi serve, comunque, non ti preoccupare.”

“Sicuro? Cioè, stasera è stata una cosa improvvisa, ma posso cercare un hotel, o-” Farfuglia Anna, ma io la interrompo.

“Tranquilla, mica mi date fastidio! Anche perché noi siamo tutto il giorno a lavoro insieme, anche il Maresciallo, e tua sorella sta studiando per gli esami all'università, hai detto, no? Almeno qui non la disturba nessuno.” La rassicuro. Anche perché non mi dispiace averti qui anche la sera. Fosse per me, ti direi di restare qui e basta.

“Grazie...” fa lei con un sorriso che mi scioglie e fa tornare lo sciame di farfalle nel mio stomaco.

Cerco di ignorarle mentre posiamo le tazze ormai vuote nel lavello.

Anna fa un passo indietro, calcolando male le distanze della zona cottura senza accorgersi del gradino e perdendo l'equilibrio.

Io la afferro appena in tempo, cingendole la vita e afferrandole il braccio, e per un attimo mi balena davanti il flashback di una scena simile, sulla strada di ritorno dal monastero.

Mi rendo conto con qualche istante di ritardo di quanto siamo vicini stavolta: evitandole la caduta, l'ho involontariamente stretta contro di me, e adesso i nostri volti sono appena a qualche centimetro di distanza. Io mi perdo immediatamente in quelle iridi verdi rese cupe dalla penombra.

Senza pensarci troppo, mi avvicino ancora di più, avvertendo il suo respiro sulla pelle.

Con un tuffo al cuore registro che non solo non si sta allontanando al mio chiaro intento, ma che anche lei sta azzerando le distanze.

Ormai ci separano solo pochi millimetri.

 

Un urlo improvviso ci fa separare di scatto. Ci voltiamo entrambi in direzione delle scale: Cecchini.

Dopo una rapida occhiata, ci affrettiamo a correre al piano superiore, dove incrociamo pure Chiara in corridoio. Entriamo nella mia stanza, trovando il Maresciallo seduto sul bordo del letto, ansimante.

“Che succede?” Chiede subito Anna, preoccupata, avvicinandosi a lui.

“Stavo sognando che non respiravo, poi mi sono svegliato e non capivo dov'ero...” Farfuglia.

Mi ci vuole un autocontrollo dell'altro mondo per non dirgliene quattro.

Stavo per baciare di nuovo Anna. Finalmente, ci stavo riuscendo, e invece...

Quando lui si tranquillizza e torna a letto, noi usciamo dalla stanza. Chiara ci saluta con uno sbadiglio, tornando nella stanza dei bambini e lasciando me e Anna in corridoio, in totale imbarazzo.

 

Anna's pov

 

Io e Marco restiamo in silenzio, incerti su cosa fare dopo il nostro bacio mancato.

È lui a prendere la parola dopo qualche istante. “Beh... allora... se Cecchini adesso sta bene, possiamo... possiamo tornare a dormire?” Balbetta lui, a disagio quanto me. È ovvio che entrambi abbiamo in mente la stessa scena di qualche mese fa.

“Sì... penso sia... meglio?” Rispondo io con il suo stesso tono incerto. I nostri occhi si incrociano per un istante e se non ci fosse il Maresciallo a un passo e mia sorella nella stanza accanto, forse...

Distolgo lo sguardo, sentendo di nuovo il rossore farsi strada sulle mie guance.

“Sì... allora io... scendo. Buonanotte...” Mi saluta allora avviandosi verso le scale.

“Anche a te...” ricambio io senza muovermi dal corridoio, rivolgendogli un piccolo sorriso quando lui si volta verso di me a metà scalinata.

Torno in stanza dove trovo mia sorella seduta sul suo letto a gambe incrociate, in attesa.

“Allora?” Mi chiede subito.

Io sospiro, sedendomi sul bordo del mio letto. “Allora niente.”

“Come, niente? Stava procedendo tutto a meraviglia!”

“Hai origliato?” Le chiedo in tono leggermente accusatorio.

“No, sono rimasta solo fino a quando l'ho visto venire da te, poi sono tornata qui, tanto i dettagli me li avresti raccontati tu, naturalmente. Che è successo, quindi?”

Evito di commentare perché ha ragione. “Abbiamo parlato un po', mi ha preparato una camomilla.”

“Oh, che carino, si è messo a perdere tempo per stare con te.”

“Ma no...” mi schernisco, anche se spero abbia ragione anche stavolta, e lei scuote la testa.

“Ma sì! Avrebbe potuto solo dirti che andava tutto bene e liquidarti, e invece no, ti ha preparato pure la camomilla. Come hai fatto a farti scappare quest'occasione?”

“In realtà... stavamo per baciarci...” mormoro a voce bassissima.

Chiara spalanca gli occhi e viene a sedersi subito accanto a me, giusto per mettermi più in soggezione.

“E perché ora sei qui mogia mogia con niente di fatto? Raccontami che è successo.”

“Beh... sono inciampata nel gradino della zona cottura, e lui mi ha presa al volo. E ci siamo ritrovati vicinissimi...”

“E?” Incalza lei.

“Ed eravamo a due centimetri quando Cecchini s'è messo a urlare!” Confesso, esasperata. E infastidita dal risvolto della nottata. Contro tutte le mie aspettative, stava succedendo in maniera assolutamente casuale e meravigliosa, e invece ora non riuscirò nemmeno a guardarlo in faccia.

Chiara fa un sospiro sconfitto, delusa anche lei. “Ma dai... cavolo. Ma si può avere più sfiga di te? E ora?”

“E ora niente. Domani mattina non so con che coraggio mi devo presentare in cucina.”

“Oh, non esagerare! Non potete far finta che non sia successo niente, anche perché com'è capitato ora, stai sicura che ricapiterà.”

“Sì, come no. Dormiamo?” La prego, sconsolata. Voglio solo provare a chiudere occhio e dimenticarmi dell'ennesimo momento di destino contrario.

 

Chiara's pov

 

Mia sorella è sfigata proprio, ma è ovvio che io non desisto.

Stiamo facendo tutti colazione e c'è un'aria di imbarazzo tra loro due che si percepisce da un chilometro. Con mio estremo interesse noto che Cecchini non sembra sorpreso da questa cosa, e ripenso alla storia della veterinaria che mi ha raccontato Anna, e di come io sia finita a cena per sbaglio con Marco. Pensandoci meglio, mi sembra ovvio che l'invito a questo punto fosse destinato a lei, e che il mittente fosse il Maresciallo, a giudicare anche dalla sua espressione quando ci ha visti tornare insieme.

Decido che mi serve come alleato, 'sti due non si muoveranno mai di questo passo.

Ho visto con che espressione sognante Marco ha osservato mia sorella scendere le scale, poco fa. Mi rendo conto che se per me è un'immagine familiare, per lui vederla in divisa, senza giacca e con i capelli ancora sciolti sulle spalle è un qualcosa di inedito ma con un sapore di quotidianità che di certo non passa inosservato.

Così colgo al volo l'occasione quando Cecchini ci informa che prima di andare in ufficio deve passare da casa a prendere non so nemmeno cosa, non ho prestato attenzione, ma mi aggiungo al coro dicendo che anch'io devo tornare in appartamento perché ho dimenticato un libro per l'università, offrendomi di accompagnarlo.

 

Così i due piccioncini passando ancora qualche minuto soli soletti nell'imbarazzo più totale, e io elaboro il mio piano perfetto.

Una volta a casa, seguo Cecchini fino al soggiorno.

“Maresciallo, ho bisogno del suo aiuto.” Esordisco, risoluta.

“Se posso...” fa lui, e io esulto mentalmente.

“Ho bisogno che mi dia una mano per combinare un appuntamento tra mia sorella e Marco. Lo so che ci ha già provato e io mi sono involontariamente messa in mezzo, ma ho capito che quei due hanno bisogno di una spinta.”

Lui spalanca gli occhi. “Gliel'ha detto Sua sorella?”

“Più o meno... l'ho capito da sola però il retroscena. Ma mi deve dare una mano. Che possiamo fare per costringerli a stare assieme abbastanza a lungo da farli dichiarare? Perché pure a lui mia sorella piace.”

Lui ci pensa su un momento. “C'è una partita a Roma, domani sera. Io gli posso proporre di andare assieme e poi gli dico che c'ho avuto un impegno e non ci posso andare, e gli dico di farsi accompagnare dal Capitano.”

“Mi piace. Però... dev'essere un impegno credibile. Se no mia sorella ci frega subito.”

“Ce l'ho! Domani mattina dovrebbero venire quelli della disinfestazione qui a casa mia, invece da voi vengono oggi pomeriggio. Io li chiamo, gli dico che per domani mattina non posso e li faccio venire di pomeriggio pure qua. Così io sono impegnato e non ci posso andare.”

“Bene! Io mi tiro fuori pure perché devo studiare e proprio non posso, così siamo a posto. Costringo mia sorella ad accettare. Lei si procuri i biglietti e organizzi tutto. Domani mattina dice questa cosa quando io passo a trovarvi davanti alla caserma, e li sistemiamo per bene.”

Lui annuisce, soddisfatto.

“Mi tenga informata.”

 

***

 

Il piano elaborato con il Maresciallo va a meraviglia. Proprio ora sto passando davanti alla caserma per avvertire Anna che ho un pranzo con un'amica, fortunata coincidenza che mi ha garantito la scusa perfetta per andare da lei, e trovo Cecchini, mia sorella e Marco davanti alla porta della caserma.

 

“Ehi, Anna!” La chiamo, avvicinandomi. I tre mi salutano. “Senti, ti volevo dire che oggi vado a pranzo con una mia collega di corso, quindi non ci sono a casa.”

“Ah, sì, a proposito,” interviene Cecchini, “Dottore, io purtroppo alla partita stasera non ci posso venire. Mi hanno chiamato poco fa quelli della ditta della disinfestazione per spostare a pomeriggio, ché stamattina non ci arrivano,” fa in tono dispiaciuto, allargando le braccia.

“Ah, che peccato...” risponde Marco.

“Sì, vabbè però Lei ci può andare lo stesso!”

“No, da solo non c'è sfizio, no, e poi i biglietti son due...”

Restiamo qualche secondo a pensare, poi intervengo io con la mia carta.

“Guarda, ci verrei io ma purtroppo devo studiare necessariamente, non mi posso permettere di lasciare mezza giornata... può venire Anna con te!” Propongo spudoratamente.

Lei spalanca gli occhi, capendo dove voglio arrivare, e la cosa bella è che non mi può contraddire.

Incrocio le dita dietro la schiena.

“Beh... se vuoi, perché no...” mormora Marco, chiaramente in imbarazzo ma ovviamente non contro l'idea. Obiettivo uno: colpito!

“... Io... Non so se...” Inizia lei, e io le do un calcetto per bloccarla.

“Ultimamente hai lavorato come una pazza, magari ti svaghi un po'!” Le dico con un'occhiata eloquente. La vedo rivolgere uno sguardo timido a Marco.

“Sì, forse hai ragione... allora... Okay...” Accetta, rossa in viso, e io mi trattengo dall'esultare, anche a vedere l'espressione sollevata di Marco. Obiettivo due: colpito! Entrambi gli obiettivi sono stati colpiti e affondati!

“Bene allora, tutto risolto! Ci vediamo a casa più tardi!” La saluto, andando via e strizzando l'occhio a mia sorella.

 

Quando pomeriggio rientra, il rossore sembra ormai aver preso sede stabile sulle sue guance.

“Posso sapere che stai combinando?” Mi dice appena chiude la porta d'ingresso.

“Ciao anche a te,” la saluto, sistemando i suoi jeans sul mio letto. “Ti ho preparato quello che ti devi mettere.”

Lei si lascia cadere sul divano. “Ancora mi sembra impossibile questa cosa. Io e lui alla partita?” Fa con espressione sconvolta.

“Beh? Ringrazia la tua buona stella, invece di lamentarti. Su! Vai a farti una bella doccia e poi ci penso io.”

Anna mi ignora, dirigendosi comunque verso il bagno.

 

Trenta minuti più tardi, l'ho convinta a indossare un paio di jeans attillati, stivaletti e un maglioncino carino che le ho preso appositamente questo pomeriggio.

Giubbotto in pelle, e l'outfit è completo. La costringo a mettere un filo di eyeliner e poco mascara, più un gloss e finalmente la lascio andare.

Ammiro il mio lavoro.

“Hai detto che andate in moto, quindi considerando la temperatura al rientro, questi vestiti andranno più che bene.”

Anna solleva gli occhi al cielo. “Non so se ho fatto bene a darti ascolto.”

“Infatti. Hai fatto benissimo. Così restate da soli senza nessuno a interrompervi, e almeno vi date una mossa.”

 

Marco arriva puntualissimo a prenderla, e li osservo con soddisfazione salire insieme in moto, con mia sorella al culmine dell'imbarazzo obbligata com'è a stringersi a lui così tanto. Li saluto entusiasta, con Cecchini che fa lo stesso dalla finestra di casa.

Rientro, riprendendo i libri.

Non era una bugia, comunque. Devo studiare davvero.

 

Marco's pov

 

Mi sembra tutto così surreale.

Sono davvero uscendo con Anna. A vedere la partita, per giunta, che a lei non piace ma che ha accettato comunque di guardare, ovviamente col mio stesso intento a quel punto: passare una serata insieme. L'imbarazzo iniziale si è sciolto in fretta, per fortuna. Abbiamo cenato al volo con un panino e una birra prima di dirigerci allo stadio.

Per la prima volta nella mia vita, mi distraggo in continuazione dal gioco in campo per guardarla o parlare con lei.

Mentre usciamo dallo stadio una volta finita la partita, mi viene da sorridere pensando che in fondo si è divertita anche lei. Questa cosa promette bene. Una volta fuori, però, ci rendiamo conto che le previsioni hanno toppato alla grande, perché si scorgono lampi all'orizzonte e tuoni non troppo lontani. E noi siamo in moto.

“Che dici, proviamo comunque a tornare? Magari non ci becca la pioggia.” Propongo, e lei accetta.

 

Peccato che non riusciamo nemmeno a entrare in autostrada, perché ci coglie il diluvio universale e siamo costretti a fermare. Per nostra fortuna incontriamo un b&b sulla strada, e ci entriamo in fretta. Siamo completamente zuppi.

“Salve,” saluto la signora alla reception, che ci accoglie un po' sorpresa di vedere clienti con questo tempo.

“Buonasera...”

Le spiego un po' la situazione mentre Anna si avvicina a me, rabbrividendo.

“Siete fortunati, ho giusto una matrimoniale libera per voi! Un'altra coppia ha disdetto qualche ora fa.”

“Ah.” Rispondo, la gola improvvisamente arida all'allusione della signora.

“Già! Io vi consiglio di prenderla, con questa pioggia... e poi con la partita c'è tutto pieno in zona, difficile che troviate altre stanze disponibili a quest'ora! E poi vi conviene asciugarvi, la sua fidanzata sta morendo di freddo.”

Io mi giro verso Anna con gli occhi spalancati alla dichiarazione della receptionist riguardo alla 'mia fidanzata'. Mi aspetto che lei rettifichi, invece vedo solo che arrossisce, abbassando lo sguardo e stringendosi di più nella giacca di pelle.

“Restiamo?” Chiedo, più per dire qualcosa che altro. Se lei non l'ha corretta, non vedo perché dovrei farlo io.

“Sì... conviene, non sarebbe il massimo tornare fuori con questo tempo...” mormora.

Accettiamo, ancora imbarazzati, porgendo alla signora le carte d'identità.

 

Anna's pov

 

Mentre la signora alla reception registra i nostri dati, io ne approfitto per chiamare Chiara per informarla che non torno stanotte. È una cosa stranissima da dirle, considerando i presupposti.

Mi allontano leggermente in modo che Marco non possa sentirmi, dicendogli però che sto informando mia sorella per non preoccuparla.

Ehi! Mi devo preoccupare?” Mi chiede lei infatti non appena prende la chiamata.

“Ciao... no, ti volevo solo dire che ci siamo dovuti fermare perché ci ha beccati la pioggia,” mormoro.

Veramente? Dove siete?”

“In un b&b qui a Roma, abbiamo trovato... una stanza libera.”

Una? Quindi dormite insieme?”

“... sì.” Lo strillo che fa mi costringe ad allontanare il cellulare dall'orecchio.

Anna! È la tua occasione! Stavolta ti devi giocare il tutto per tutto!” Mi impone, estasiata. Io mi sento arrossire alle implicazioni di quella frase.

“Senti, è già abbastanza complicato così,” sussurro, “non mi ci far pensare.”

Non è che ci devi andare a letto per forza, eh,” risponde, come se io avessi eventualmente davvero valutato la cosa, “però se ti bacia non ti azzardare a tirarti indietro!”

“Certo che no... Devo staccare, ciao, ci vediamo domani.” Chiudo la chiamata prima che lei possa replicare proprio quando Marco mi raggiunge.

“Tutto okay? Andiamo?” Chiede, porgendomi la mia carta d'identità.

Io annuisco, seguendolo poi in corridoio.

 

Quando ci chiudiamo la porta della camera alle spalle, però, mi rendo conto davvero in che guaio mi sono cacciata.

L'aria si fa subito tesa.

Marco si schiarisce la gola, poi mi lascia il bagno libero per prima. Prego che siano disponibili almeno gli accappatoi, è fuori discussione che io resti in intimo soltanto. Sarebbe troppo imbarazzante.

Per fortuna ci sono, così mi affretto a fare una doccia veloce, appendendo i vestiti bagnati allo scaldasalviette, lasciando lo spazio anche per quelli di Marco.

Quando anche lui esce, sempre in accappatoio, io sono seduta sul letto, incerta su cosa fare. La tv non funziona con questo tempo, e il cellulare l'ho spento per evitare che si scarichi del tutto.

Lui si siede dall'altro lato, leggermente a disagio.

“Chi l'avrebbe detto, che ci sarebbe stato questo diluvio, eh? Le previsioni portavano sereno...” Butta lì, giusto per dire qualcosa.

“In effetti... ci è andata bene, tutto sommato.”

“Già... fortuna che abbiamo trovato questo posto.”

 

Di nuovo, dopo qualche momento di imbarazzo, la conversazione si avvia senza troppi problemi.

A un certo punto vedo che si fa serio. Inspira a fondo prima di tornare a parlare.

“Posso chiederti una cosa?” Domanda esitante, e io mi limito ad annuire, incerta. “Anche l'altra notte sarebbe stato un errore?”

Non ho bisogno che aggiunga dettagli. Ovviamente parla del bacio mancato a casa sua.

Temevo che avrebbe aperto l'argomento, e so bene che non posso sottrarmi, non stavolta. Non voglio rovinare tutto.

“No.” Prendo un bel respiro, cercando di farmi coraggio. “Non lo è stato nemmeno la prima volta.” Aggiungo, sollevando lo sguardo per incrociare il suo.

Nei suoi occhi leggo chiaramente lo stupore alle mie parole. Decido di essere sincera. Ho già combinato troppi casini, non voglio peggiorare le cose.

“Ho avuto paura,” confesso semplicemente, abbassando però lo sguardo, “anche se ho capito che la mia storia con Giovanni era chiusa da tempo, da prima di quanto pensassi, non ero ancora disposta ad ammettere di...” Esito, però, rendendomi conto di cosa effettivamente sto per dirgli. Ma se siamo qui, insieme, deve pur significare qualcosa, no?

“Di...?” Mi incoraggia lui obbligandomi a sollevare lo sguardo, e noto un piccolo sorriso baluginare sul suo volto.

“Di aver iniziato a provare qualcosa per te.”

Alle mie parole, il sorriso non lo nasconde più. La sua mano sale ad accarezzarmi una guancia.

“E io non sarei dovuto scappare, quella sera. Anch'io ho avuto paura, quando ti sei tirata indietro. Mi sono detto che avevo sbagliato tutto, avevo rovinato tutto con te. E quando mi hai detto che era stato un errore... avrei voluto sparire. Non avevo capito niente... ma ho capito di essere completamente fregato quando non vedevo l'ora di passare qualche momento con te, con la scusa delle lezioni di cucina. Ho capito che mi stavo innamorando sul serio, proprio di te... e pensare che all'inizio non ti sopportavo nemmeno... Non sai quante ne ho mandate a Cecchini l'altra notte, per averci interrotto!”

Ride, e non posso fare a meno di fare lo stesso. Sento il cuore battere all'impazzata, così tanto che sembra sul punto di scoppiare.

 

La nostra risata si spegne lentamente, facendo largo alla consapevolezza di quanto sta per succedere.

Stavolta, quando Marco prende il mio viso tra le mani e mi bacia, l'unica cosa che riesco a fare è ricambiare, mettendo in quel bacio tutto quello che provo per lui.

Quando ci separiamo, non riusciamo a smettere di sorridere.

Ci scambiamo ancora qualche coccola mentre fuori la pioggia infuria, poi ci addormentiamo abbracciati, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

 

***

 

La mattina dopo, quando usciamo dal b&b dopo aver riconsegnato le chiavi e ringraziato la signora, il cielo è terso. Sentire il calore del sole sul viso e la mano di Marco che stringe la mia è meraviglioso, ma mai quanto il bacio che mi dà all'improvviso, cogliendomi alla sprovvista.

Ricambio il suo gesto con trasporto, ancora incredula.

Ci affrettiamo a salire sulla sua moto per tornare a casa. Per mia fortuna avevo già pensato di spostare il mio turno a pomeriggio, considerando che comunque avremmo fatto tardi.

Quando arriviamo, a Spoleto splende il sole. Marco mi accompagna fin davanti casa.

“Allora... ci vediamo più tardi?” Chiede, anche se ovviamente conosce già la mia risposta.

“Certo!”

Mi lascia un delicato bacio sulle labbra prima di lasciarmi entrare nel palazzo.

 

Non appena apro la porta di casa, mia sorella si fionda addosso a me, abbracciandomi di getto.

“Chiara! Si può sapere che hai?” Le chiedo, senza capire.

Lei mi libera dalla stretta. “Come, che ho? Ho sentito il rumore della moto e vi ho visti dalla finestra! Ti ha baciata! Quanto sono felice per te!!” Esclama, tornando ad abbracciarmi.

Io stavolta ricambio la stretta.

 

Poco dopo, il mio telefono suona avvisandomi dell'arrivo di un messaggio.

Marco.

So che ci vedremo di nuovo tra poco, ma volevo dirtelo comunque adesso. Cena a casa mia, stasera?”

Sorrido.

Non vedo l'ora.”

 

 

 

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Capitolo 2
*** Il potere del perdono ***


IL POTERE DEL PERDONO

 

N/A La parte compresa tra i tre asterischi (***) è la copia del capitolo 'Il potere del perdono' nell'altra mia fanfiction 'Life-changing frenzy', che ho inserito perché procede regolarmente come in puntata. Oltre gli asterischi, la parte alternativa. Buona lettura!

 

 

*** In queste settimane stiamo avendo una tregua al lavoro. È stato un periodo più calmo, almeno dal punto di vista di casi da risolvere.

 

Se poi dobbiamo parlare del clima lavorativo, e anche privato, al contrario, è un'altalena continua. Naturalmente mi riferisco alla mia esperienza personale.

Già, perché ultimamente, specie da quando è tornato il pretino, con Anna non sto capendo più nulla. Un giorno ci ignoriamo, l'altro ci insultiamo, quello dopo ancora ci comportiamo come fossimo fidanzati.

E intendo soprattutto fuori dalla caserma.

Poi, quando c'è Chiara, la situazione sta diventando sempre più complicata da gestire.

Qualche giorno fa proprio Chiara, per cercare di distrarre sua sorella che ultimamente è sempre nervosa, ha proposto di fare una bella gita fuori porta trascinandoci tutti e due al castello medievale di Val Tiberina. Pur se con qualche esitazione, Anna alla fine si è convinta, così loro due sono andate in auto, insieme, e io le ho raggiunte in moto con un po' di ritardo.

Al mio arrivo, erano già lì ad ascoltare la guida spiegare del castello.

Anna era attentissima, Chiara un po' meno.

“...e un giardino all'italiana che è suddiviso in sette spazi, con limonaie, lecci, aiuole, giochi d'acqua e anche un labirinto di siepi di bosso...” Sento dire alla guida.

“Ragazzi, ragazzi, ragazzi,” sussurra Chiara all'improvviso, “ma se andassimo nel labirinto?”

Non è male.

“Chiara, non stiamo a casa nostra, dobbiamo seguire la guida.” La contraddice immediatamente Anna, sempre prudente.

Io invece sono attratto dall'idea, anche per metterla alla prova.

“A me il labirinto sembra più interessante,” dico quindi.

Anna allarga le braccia, sconfitta. “La gita del liceo,” commenta, sarcastica, “andiamo a giocare, dai.”

Io ridacchio, imitato da Chiara, e tutti e tre ci avviamo verso il labirinto, seguendo le indicazioni sui cartelli poco più avanti.

Chiara apre la fila guardandosi intorno con curiosità, mentre io e Anna restiamo più indietro a parlare. Visto che sono arrivato in ritardo, mi racconta un po' la storia di questo posto.

“La guida ci ha detto che questa prima era una fortezza, e nel Rinascimento è stata trasformata in villa dal Vasari,” mi spiega con un tono appassionato che ormai so distinguere senza difficoltà.

“Quindi... anche nella fortezza più inespugnabile può nascondersi un giardino incantato,” commento, riferendomi a ben altro che questo castello. Lei lo intuisce immediatamente, e abbassa lo sguardo, le guance che si tingono di rosso.

Chiara sceglie quel momento per interromperci, e spezzare la magia. “Ragazzi, ecco il labirinto!” Ci fa notare, e io spero che non si sia accorta dello scambio appena avuto con sua sorella.

“Wow,” sussurra Anna, “sembra di essere in una fiaba!”

“Facciamo un gioco,” interviene Chiara, “entriamo, ci sparpagliamo e poi torniamo qua. L'ultimo che arriva perde, okay?”

“Io ci sto!” Accetto immediatamente, lanciando uno sguardo di sfida ad Anna, che ricambia senza esitare. “Io vado di qua.” Affermo, scegliendo la strada di fronte a me. Una rapida occhiata dietro le spalle mi indica che le due sorelle hanno appena imboccato altre due direzioni diverse.

Decido allora di lasciare alla sorte la mia scelta: se non so come comportarmi con loro, sarà questa occasione a scegliere per me. Se riesco a vincere in questo intreccio di siepi, la prima che mi raggiunge sarà colei che destino avrà deciso di pormi accanto. Allora mi comporterò di conseguenza.

Con un tuffo al cuore, quando torno all'inizio non c'è nessuno.

“Primo!” dico allora a voce alta.

“Anna, muoviti, se no arrivi ultima!” Sento Chiara replicare.

“No, io non perdo mai!” È la risposta di Anna. Significa che sono entrambe vicine.

Resto lì in attesa per qualche minuto, prima di sentire un rumore dietro l'angolo.

Il fiato mi si blocca in gola.

 

Il destino è proprio strano. Non ho ancora capito se sia a mio favore o meno.

 

Spero solo significhi che sto agendo nel modo giusto.

 

***

 

Oggi alle 13.30 ho un appuntamento con Anna in caserma per discutere di faccende burocratiche relative a un sequestro di qualche giorno fa.

Quando arrivo, con qualche minuto di anticipo, lei non c'è ancora, così decido di aspettarla nel suo ufficio.

Passano una ventina di minuti e di lei ancora nessuna traccia. Questo suo ritardo mi mette ansia.

Ad un tratto entra Cecchini con un fascicolo, che mi porge. “Il signor Capitano mi ha detto di darle questi.”

“Ah... grazie. Ma... lei dov'è?” Chiedo, sedendomi davanti alla scrivania.

“Non lo so... magari aveva qualche appuntamento e... arriverà.”

“No, che appuntamento,” obbietto, infastidito. “Ce l'aveva qua con me, l'appuntamento, e lei non è mai in ritardo.”

“Si vede che stanotte avrà fatto tardi... sa com'è.”

Io spalanco gli occhi, interdetto, e mi giro a fissarlo. “No, non lo so com'è.”

“È che c'è... Giò, Giovanni, il suo ex. È tornato alla carica. Magari hanno fatto... tardi, hanno fatto le ore piccole...” Insinua il Maresciallo.

Io cerco di mostrarmi indifferente, tenendo gli occhi sul fascicolo. “Buon per loro...” mormoro.

Buon per loro un cavolo.

“'Buon per loro'?” Mi provoca lui. “Voglio vedere se si rimettono insieme, se dice ancora 'buon per loro'.”

Pure lui ci mancava. Queste allusioni da dove vengono? Sono davvero così semplice da leggere?

“Maresciallo, posso ricordarle che io sono felicemente fidanzato con Chiara?” Provo a rettificare, forse in maniera eccessiva.

“Felicemente?” Mi istiga ancora Cecchini. Ma allora la fa apposta! … come l'ha capito?

“Sì, felicemente, e se il Capitano vuol rimettersi con... don Giovanni, io sono più che contento per lei.” Ribatto, una nota ironica nella mia voce che sfugge al mio controllo. Ma allora te le cerchi. 'Don Giovanni'... bah.

Cecchini sta per dire qualcosa ma viene interrotto da Zappavigna, che entra spedito in ufficio.

“Senti, ma nessuno t'ha insegnato a bussare?” Gli chiede il Maresciallo. Che ironia.

“Scusate, ma è un'urgenza. Hanno ritrovato un uomo morto in via Machiavelli. Si tratta di omicidio.”

Io mi alzo. “Maresciallo, andiamo io e Lei. Zappavigna, chiama la Dottoressa Olivieri per avvisarla, va bene?” Chiedo all'appuntato, leggermente irritato del fatto che lei mi abbia dato buca così.

Sì, semmai sei irritato per le insinuazioni del Maresciallo. Per quello che ne sai, potrebbe aver ragione. Dopotutto, quando sei stato a cena da Cecchini, quella volta, lei era effettivamente a casa di Giovanni, che ha traslocato letteralmente a due passi da casa sua.

 

È strano trovarmi sulla scena del crimine senza Anna e le sue acute osservazioni. È come se mancasse qualcosa.

Provo a pensare a cosa farebbe lei, quando parlo con la moglie dell'ucciso, e a comportarmi di conseguenza. Poi provo a chiamare Anna, ma il suo cellulare è sempre irraggiungibile. Cecchini commenta che è strano che non si veda Don Matteo nei paraggi, e per quanto lo rimproveri per l'osservazione (sì, come farebbe Anna... mi ha contagiato), non posso non notarlo anch'io. È decisamente strano.

 

***

 

Quando rientro in caserma dopo il sopralluogo, verso le 15, vado dritto nell'ufficio di Anna, tentando di nuovo di chiamarla. Inutilmente. A questo punto sono preoccupato.

Cerco di non pensare al peggio, ma non abbiamo notizie di lei da stamattina, e non riusciamo a rintracciarla. Ho dovuto per forza chiamare Chiara a un certo punto, sperando che Anna si fosse... non so, solo sentita poco bene, magari, e aveva dimenticato di comunicarlo, e invece niente. Naturalmente lei è entrata in panico, dicendomi che era uscita la mattina presto, non sapeva dove dovesse andare, ma che non le aveva lasciato detto nulla. Ho cercato di tranquillizzarla al meglio, con la promessa di darle notizie non appena avrei saputo qualcosa.

Ormai è pomeriggio inoltrato, e il groppo in gola aumenta ogni istante di più. Provo ancora a chiamarla. Niente.

Cecchini arriva dopo qualche istante, agitatissimo, spiegandomi che è andato in canonica per avere notizie di Don Matteo, e Pippo gli ha detto che anche lui è uscito quella mattina presto ma non è ancora rientrato, benché avesse detto che non avrebbe ritardato oltre le 15. Sono già passate le 16.

“Sono tutti e due insieme, non può essere un caso.” Fa, iniziando a camminare avanti e indietro, nervoso. “Sono spariti tutti e due, e tutti e due hanno il cellulare irraggiungibile.”

“Oh, Maresciallo, io sono preoccupato come Lei, va bene?” Gli faccio notare. Se davvero ha intuito qualcosa di quello che c'è tra me e Anna, lo capirà. “Però stia fermo, per cortesia.” Mi sta facendo venire il mal di testa.

“Non possiamo stare mani nelle mani!”

“Non stiamo mani nelle mani, Maresciallo, stiamo avviando le procedure del caso e le ricerche.” Gli ricordo, tentando di mantenere la calma, anche se dentro lo stomaco si attanaglia di più ogni secondo che passa. “Abbiamo anche un omicidio da risolvere, giusto? Abbiamo novità?” Chiedo, cercando di distrarlo per un attimo.

“No, non abbiamo novità perché non ci sono telecamere in zona. Poi la moglie non può essere stata perché dalla banca hanno detto che lei è uscita dal lavoro alle ore 13.30, il medico legale dice che il marito, Dario Corsi, è morto alle ore 12, quindi non può essere stata lei.”

Sospiro, cercando di pensare a una nuova pista, quando Zappavigna spalanca la porta dell'ufficio, un'espressione tesa in volto. “Hanno ritrovato la macchina del Capitano.”

Io e Cecchini ci scambiamo uno sguardo terrorizzato, e mi alzo di scatto. Il mio cellulare squilla, ma la conversazione con Chiara dura pochi istanti, il tempo di dirle che non ho novità.

Salgo in auto con il cuore in gola, senza riuscire a parlare.

Non può essere. No. Mi rifiuto di crederci.

 

Arriviamo sul posto, un luogo isolato, e la macchina è posizionata come se fosse andata a sbattere contro un albero.

Mentre io mi guardo intorno, Cecchini si avvicina, e dentro il cofano scopre... la bicicletta di Don Matteo.

“È la sua, sicuro?” Chiedo, più per dire qualcosa che altro.

“Sì... li hanno rapiti, o forse peggio...” mi risponde con voce rotta, appoggiandosi alla macchina per sostenersi. “Non ci posso pensare...”

Cerco di tranquillizzarlo, e tranquillizzare anche me. “Magari sono venuti qua insieme, e sono ancora qua intorno, Maresciallo...” dico, senza crederci.

“No, no, ma il Capitano non l'avrebbe mai lasciata la macchina qui... Qualcuno l'ha presa e l'ha abbandonata...”

“Lo so, Maresciallo...” Lo blocco, senza voler sentire altro. Apro lo sportello dal lato passeggero, dando un'occhiata all'interno alla ricerca di qualcosa. Qualsiasi cosa che mi dica dov'è Anna. Apro il cruscotto, e ci trovo dentro un fascio di carpette, fogli e documenti vari tenuti insieme da un elastico.

Io questi documenti li ho già visti.

Li tiro fuori, mostrandoli a Cecchini.

 

Torniamo in fretta in caserma, e chiamo Chiara affinché ci raggiunga il prima possibile.

Mentre aspettiamo, io do un'occhiata al contenuto delle carpette, e noto subito un nome ricorrente: Claudio Lisi.

L'uomo che ha truffato suo padre fino a portarlo al suicidio.

Che cosa ci facevano tutti questi documenti in macchina di Anna? Anzi, che ci facevano a casa sua, prima? Sono sicurissimo di averglieli visti in giro in più di un'occasione, ora che ci penso.

Continuo a controllare, quando arriva Chiara accompagnata da Cecchini. Siamo solo noi tre nell'ufficio del Capitano. Lei scoppia immediatamente a piangere quando la informiamo di aver trovato la sua macchina abbandonata e nessuna traccia di lei, ma io non riesco a fare nulla, nemmeno ad abbracciarla. Non riesco nemmeno a pensare in maniera lucida.

Le indico le carte che continuo a sfogliare. “Sono tutti riguardanti Claudio Lisi, questi documenti.” Spiego, senza esitare ma con voce roca.

“Cosa?!” Domanda lei, subito. È chiaro che quel nome fa male anche a lei.

“Sì, è qui a Spoleto e lavora in un'azienda vinicola.”

“Ma chi è questo Claudio Lisi?” Chiede Cecchini, ma prima che possiamo rispondergli, la porta si apre ed entra Giovanni, teso.

“Maresciallo... dov'è Anna? È tutto il giorno che la cerco...” Fa, esitante, rendendosi subito conto che qualcosa non va.

“Purtroppo anche noi la stiamo cercando ma non siamo riusciti a trovarla,” risponde lui. Io non riesco ancora a dire nulla. “Abbiamo trovato la sua auto abbandonata.”

Lui spalanca gli occhi, girandosi verso Chiara, che ricomincia a piangere. “Cioè, che volete dire? Che è stata rapita?”

“Temiamo di sì.” Ammette Cecchini, e Giovanni si lascia cadere sulla sedia libera, una mano davanti alla bocca.

Per quanto io possa detestarlo, in questo momento posso solo provare empatia per lui. So perfettamente come si sente.

“Aveva un appuntamento con qualcuno o-”

“No no no, ufficialmente no,” rispondo io, ritrovando la voce, “però nella sua macchina abbiamo trovato questo fascicolo. Ci sono appunti, documenti, e sono tutti riguardanti... Claudio Lisi.”

Lui solleva lo sguardo, incrociando il mio per la prima volta da quando è entrato. “Claudio Lisi?”

Dalla sua espressione e dal tono capisco che sa di chi sto parlando.

Certo che lo sa. È comunque l'ex di Anna, sono stati insieme per cinque anni. È ovvio che lo sappia.

“Ma esattamente chi è questo Claudio Lisi?” Torna a chiedere il Maresciallo, l'unico adesso a non capire questa connessione.

Lasciamo che sia Chiara a rispondere. “È... è l'uomo che ha causato la morte di nostro padre.” Dice soltanto, la voce rotta.

Cecchini spalanca gli occhi, poi li abbassa, e noto che diventano lucidi.

Io scambio uno sguardo con Giovanni, e dalla sua espressione intuisco che ha capito che anch'io so benissimo chi sia Lisi, e cosa c'entri con Anna.

 

Lascio che si occupi lui di Chiara, mentre io e il Maresciallo ci dirigiamo immediatamente all'azienda vinicola presso cui lavora quel... quell'uomo, se così si può definirlo. In auto, gli spiego in breve il legame di Lisi con le sorelle Olivieri, omettendo però tutti i dettagli personali che Anna mi ha raccontato.

Incontriamo i fratelli Bonetti, i proprietari, proprio all'ingresso della villa. Chiediamo dove sia Lisi, e l'uomo che sta camminando dietro di loro si ferma di colpo.

È lui. L'uomo che ha causato così tanta sofferenza ad Anna.

Claudio Lisi.

Entriamo all'interno per potergli parlare in privato, ma mentre lui e Cecchini si avvicinano al divano posto in un angolo, io preferisco appoggiarmi al bancone del bar, più distante. Meglio stare lontano, non si sa mai cosa potrebbe succedere.

Il maresciallo gli chiede subito se conosce il Capitano, usando però le sue generalità.

“Anna Olivieri. Sì, certo che la conosco. Suo padre era un mio vecchio amico.”

Mi trattengo dal fare una risata sprezzante alla sua osservazione, obbligandomi a tacere e lasciando che sia lui a fare le domande.

“Un vecchio amico... che si è suicidato quando Lei l'ha truffato e l'ha mandato in carcere.” Ribatte il Maresciallo.

Quello ha anche il coraggio di replicare. “Maresciallo, sono passati tanti anni, e se il reato c'è stato penso che oggi sia caduto in prescrizione.”

“Certo, è per questo che Lei è tornato qua in Italia!”

“E anche se fosse? Scusate, io non capisco di che cosa mi si sta accusando.”

“Il Capitano Olivieri e un mio vecchio amico sono scomparsi da stamattina, e Lei ne sa qualcosa!”

“Mh. Anna è scomparsa? No, no che non lo sapevo, perché dovevo saperlo?”

Basta. Mi ha stancato con queste storie. Deve dirmi dov'è.

“Adesso però la faccia finita,” esclamo infine, avvicinandomi a passo svelto, “perché Lei sa benissimo perché. Anna Olivieri stava conducendo un'indagine su di Lei, e io scommetto che vi siete incontrati. Vero o no?”

È per questo che Anna era così nervosa in questi giorni. Giovanni non ha mai avuto niente a che fare con questa storia.

“Sì, ci siamo incontrati l'altro ieri. Non la vedevo da più di dieci anni.” Ammette.

“Di cosa avete parlato?”

Lui esita un momento. “Del suicidio di suo padre. Sentite, che voi ci crediate o no, non mi importa.”

Al sentire questa affermazione, sento la bile risalire in gola. Lui si siede sul divano prima di continuare. “Quando ho saputo che Carlo Olivieri si era tolto la vita, ho pensato di ammazzarmi anch'io.”

Io gli lancio un'occhiata di sprezzante. “Però non l'ha fatto.”

“No, non ho avuto il coraggio.” Risponde arrogantemente, guardandomi dritto negli occhi. Avrei solo voglia di prenderlo a pugni.

“Una storia veramente straziante, sa? Mi sta colpendo un sacco.” Ribatto, sarcastico, ignorando l'occhiata di Cecchini. “Adesso mi dice dov'è Anna?” Chiedo, facendola finita con i giochetti.

Devi dirmi dov'è. Ho bisogno di sapere dov'è.

“Non lo so,” nega però lui, “vi giuro che non lo so.”

Non gliela faccio passare liscia, sta mentendo di sicuro. Lo sa. Deve saperlo.

“Dov'è stato oggi tutto il giorno?”

“Qui al casale con me, dalle nove di stamattina,” ci informa la proprietaria, entrata in quel momento nella stanza. “Sì, abbiamo lavorato tutto il giorno sui conti dell'azienda. Mio padre è morto due mesi fa e ci ha lasciati in una situazione finanziaria disastrosa, e Claudio ci sta aiutando ad evitare il fallimento.” Ci spiega, ma io non riesco a crederci, quantomeno non all'ultima parte. Non dopo quello che ha fatto al padre di Anna.

Gli lancio un'occhiata gelida. “Si tenga a disposizione.” Mi limito a dire, prima di uscire con il Maresciallo al seguito.

 

Una volta in auto, lui cerca di capire il mio comportamento.

“Quindi Lei sapeva di Lisi?” Mi domanda cautamente.

Io deglutisco. “Sì, Anna me l'ha raccontato tempo fa, del suicidio di suo padre e... tutto il resto.” Dico soltanto.

Chiudo gli occhi, massaggiandomi le tempie.

Anna sta bene. Deve stare bene. E devo trovarla.

 

Torniamo in caserma a mani vuote, giusto per verbalizzare quanto abbiamo scoperto, poi chiamo Chiara per aggiornarla e torno a casa.

So che probabilmente dovrei stare con lei, starle accanto e consolarla, ma la verità è che non ce la faccio.

Non posso starle accanto senza perdere il controllo. Senza rendere evidente che sto come, o forse peggio, di lei. Perché lei è sua sorella, e ha tutto il diritto di esprimere la sua paura, io invece non posso. Non nel modo che sento. L'unica cosa che vorrei è correre a cercarla, anche se non so minimamente dove andare, da dove cominciare perché non abbiamo indizi su dove possa essere. Mi sento totalmente impotente, e non poter far nulla mi fa impazzire. Vorrei urlare, vorrei prendere a pugni il muro, vorrei piangere... e invece sono paralizzato. Non so più nemmeno che ore sono. Sono seduto sul divano da un sacco di tempo, non ho trovato nemmeno la forza di salire al piano di sopra.

 

Provo a pensare a qualche indizio, qualcosa che magari mi è sfuggita, o al momento ho ignorato, qualsiasi cosa, ma niente.

Ho visto Anna con quei documenti praticamente tutti i giorni, ma non ho pensato a chiederle cosa fossero, pensavo fosse comune roba di lavoro... Non le ho chiesto perché fosse così tesa, nervosa... ho dato per scontato che fosse per il ritorno di Giovanni, ma anche lì non ho indagato, per pura gelosia.

Sì, lo ammetto, non ho domandato nulla per gelosia. Perché dopo tutto quello che è successo tra noi in questi mesi, e soprattutto nell'ultimo periodo, il fatto di ritrovarmelo tra i piedi mi ha infuriato, e il comportamento di Anna non ha fatto che alimentare le mie paure.

E adesso lei non c'è... Adesso è chissà dove, e non so se sta bene, e solo l'idea che possano averle fatto qualcosa mi fa andare fuori di testa.

Non ci posso pensare.

 

Non le ho mai detto che l'amo.

 

Forse non riuscirò mai a dirglielo.

 

Un rumore di qualcosa che si rompe mi fa tornare alla realtà, e mi accorgo di aver lasciato scivolare a terra il bicchiere d'acqua che avevo in mano senza rendermene conto. Recupero uno straccio e asciugo l'acqua, poi raccolgo i pezzi di vetro sparsi sul pavimento come un automa, prima di tornare a sedermi sul divano nel punto in cui stavo prima.

 

No. Non devo nemmeno pensarci. Anna sta bene. Deve stare bene. Deve.

E io riuscirò a dirle che l'amo.

Devo trovarla.

 

***

 

Il mattino dopo mi sforzo di andare in ufficio. Non ho praticamente chiuso occhio.

Arrivo presto, perché non vedo ragione di restare a casa e perdere tempo che potrei invece impiegare per darmi da fare.

L'atmosfera in caserma è decisamente cupa, sono tutti preoccupati per Anna e Don Matteo.

Faccio un breve cenno salutando tutti, e mi chiudo nell'ufficio di Anna, sedendomi al solito posto davanti alla sua scrivania. Abbasso lo sguardo su una foto poggiata lì: la sua, il giorno che ha ricevuto la nomina a Capitano. Mi ricordo di averle chiesto perché accidenti tenesse una foto di se stessa, e come al solito la sua risposta mi ha spiazzato: 'Per ricordarmi ogni momento chi sono. Il Capitano, ma anche la figlia di mio padre'. Sì, la sua vita gira attorno al suo ricordo, l'ho capito pian piano, e riesco a mala pena a immaginare quanto si sia concentrata su quest'indagine, quando tempo vi abbia dedicato per raccogliere tutto quel materiale. Osservo il suo sguardo fiero, e il groppo in gola torna, prepotente, a togliermi il respiro.

 

Sento la porta aprirsi e poso in fretta il portafoto al suo posto. È il Maresciallo.

“È riuscito a dormire?” Mi chiede, anche se probabilmente conosce già la risposta.

“Un'oretta, credo. Nemmeno di fila.” Biascico. Mi sono sforzato per cercare di riposare, ma ogni volta che chiudevo gli occhi il viso di Anna compariva dietro le palpebre, insieme a ogni tipo di scenario in cui poteva trovarsi in quell'istante, e allora li aprivo di scatto rifiutandomi di chiuderli di nuovo. “Lei?”

“Zero.” Poi si mette a spiegarmi che Corsi non è stato ucciso dove l'abbiamo trovato, ma nella sua officina, come risulta dal GPS. Mi alzo per andare proprio lì col Maresciallo, quando Giovanni entra in stanza.

“Ci sono novità?” Domanda dopo un breve saluto, ed è chiaro che nemmeno lui ha dormito stanotte.

“No, per il momento no, abbiamo però delimitato tutta la zona dove potrebbero essere. Quella è l'ultima cella a cui si sono attaccati i cellulare.” Spiego, indicando il plico di fogli sulla scrivania dietro di noi. “Però adesso noi dobbiamo occuparci di un altro caso.”

Lui fa un'espressione scandalizzata. “Come? E le ricerche chi le fa?”

“Tutti gli altri nostri uomini, perché dobbiamo occuparci di un caso di omicidio, che non è una cosa da poco.” Tento di mantenere la calma.

“Anna è scomparsa da ventiquattr'ore e questo per Lei è una cosa da poco?” Mi accusa.

Devo trattenermi per non insultarlo. Io vorrei fare solo quello, idiota. Ma non posso.

“Avvocato, Lei sa che stiam facendo tutto il possibile per trovarla!” Urlo quasi.

“Evidentemente da soli non ce la fate.” Mi contraddice, riuscendo meglio di me a tenere a bada la rabbia. “Per favore, mi dica come posso rendermi utile.”

“Ad ognuno il suo lavoro. La ringrazio, ma-”

“No, facciamo una cosa, facciamo una cosa,” mi interrompe Cecchini, “magari lui potrebbe studiare questi documenti, magari salta fuori qualcosa che a noi ci è sfuggito. In questo momento qualsiasi cosa è utile per noi!” Suggerisce, e sono costretto ad ammettere che ha ragione.

Io e Giovanni ci scambiamo uno sguardo di sfida, e per questa volta l'ha avuta vinta lui.

Mi sbrigo a uscire, non riuscendo a stare in quella stanza un minuto di più.

 

***

 

Arriviamo all'autofficina poco dopo, sequestrando il locale e fermando la gru che sistema i veicoli nella pressa per demolirli.

Troviamo la scena del crimine e la probabile arma del delitto: l'ufficio di Corsi e un cacciavite.

Spiego al maresciallo e Zappavigna che l'autofficina per me è solo una copertura, e chiedo all'appuntato di occuparsi del computer di Corsi, magari dentro c'è qualcosa di utile.

Speriamo almeno qui di riuscire a trovare qualcosa.

 

Una volta in caserma, Zappavigna scopre delle mail sospette, dove vengono nominati i Bonetti, i proprietari dell'azienda vinicola.

“Che c'entrano con Corsi, questi?” Mi chiedo. “Il mittente chi è?”

“L'indirizzo è anonimo, ma posso risalire all'IP.”

In quel momento Giovanni emerge dall'ufficio di Anna con una carpetta in mano.

“Forse ho scoperto qualcosa.” Ci informa. “Non è stato facile perché gli appunti di Anna sono scritti con quella sua calligrafia terribile... Qui parla di un conto off-shore, cointestato tra Claudio Lisi e... un certo Dario Corsi...”

Io spalanco gli occhi. Non è possibile. Gli prendo immediatamente i documenti dalle mani. “Il rapimento e l'omicidio sono collegati, allora. Corsi e Lisi si conoscevano e scommetto che la mail arriva proprio da lui. Bene, convochiamoli subito.” Ordino al Maresciallo, che si mette subito in moto.

“Grazie Giovanni, grazie, forse ci siamo.” Mi congratulo sinceramente, dandogli una pacca sulla spalla, poi entro nell'ufficio di Anna per posare quella carpetta e dare un'occhiata al resto, adesso che abbiamo una pista magari sarà più semplice mettere insieme i pezzi.

“Sei davvero preoccupato per Anna,” commenta Giovanni, che deve avermi seguito senza che me ne accorgessi. “Non pensavo.”

Io mi volto ad osservarlo. “Beh... è una collega, è normale, no?” Cerco di giustificarmi. Devo aver mostrato molto più di quanto intendessi, se anche lui l'ha notato così tanto. Anche se Anna non è solo una collega per me.

Lui si sbottona i polsini della camicia che aveva arrotolato fino ai gomiti.

Lo vedo esitare. “Ha raccontato anche a te la storia di Lisi?” Mi chiede, guardingo.

Io mi mantengo sulla difensiva. “Sì... perché?” Fingo di non capire.

“No, niente. Pensavo fosse una cosa sua personale, e invece...”

Faccio del mio meglio per non cambiare espressione.

E invece niente. È una cosa sua personale, e me l'ha raccontata lei stessa mesi fa. Non puoi prendertela perché hai scoperto che si è confidata anche con me.

“No, beh, stiamo insieme tutto il giorno, non è che parliamo di lavoro, lavoro, lavoro...” Mi limito a dire, senza dilungarmi in dettagli. Non c'è bisogno che sappia altro.

No, decisamente non hai bisogno di sapere che, con Anna, abbiamo parlato dei nostri desideri da bambini, di come il rapporto con i nostri genitori ci abbia segnato. Di come per amore si sia disposti a fingere, di quanto faccia male soffrire in silenzio. Abbiamo riso fino alle lacrime. Abbiamo pianto fino a scoppiare a ridere. Ci siamo odiati, ma ci siamo anche amati. L'ho trattata male, ma l'ho anche baciata.

“No, certo... Non capisco perché non mi abbia mai detto che aveva continuato ad indagare. Avrei potuto aiutarla.” Mi dice in tono un po' deluso.

“Beh, sai com'è fatta lei, no? Deve risolvere sempre tutto da sola...” Mormoro soltanto.

“Sì, lo so com'è fatta.” Risponde, risentito, oltrepassandomi per prendere la giacca, che ha lasciato appesa a una sedia.

Io mi volto a guardarlo, facendogli solo un cenno quando esce.

Ho tanto cercato di nascondere il mio legame con Anna, e ho finito per tradirmi con una frase apparentemente banale, ma che è stata sufficiente a fargli capire quanto in realtà la conosca bene.

Perché so che l'ha intuito, almeno in buona parte.

Mi rendo conto di aver usato un modo talmente naturale da aver lasciato trasparire la nostra vicinanza.

 

Questa conversazione con Giovanni mi dà un sacco da pensare. E capisco all'improvviso quando Anna mi abbia donato di sé in così poco tempo.

Ti ha rivelato qualcosa di estremamente personale. Ti ha fatto entrare nel suo mondo privato, lasciandoti vedere ciò che vede lei.

Giovanni l'ha intuito, e se già prima tra noi c'era attrito, adesso le cose possono solo peggiorare.

 

***

 

Quando più tardi convochiamo Lisi, il Maresciallo si siede al posto di Anna, io mi appoggio al mobile poco dietro di lui. Preferisco darmi un margine di distanza, quando c'è quell'uomo, perché temo che non potrei rispondere di me. Ma anche per trattenere Cecchini, che è già molto teso.

Quando inizio l'interrogatorio, però, faccio un passo avanti.

“Che rapporto c'è tra lei e Dario Corsi?” Domando subito, andando dritto al punto.

“E chi è?” Ha la faccia tosta di rispondere.

Io e il Maresciallo ci scambiamo un'occhiata basita.

“Quello che stato ucciso e uno con cui lei ha un conto cointestato. Sicuro che non lo conosce?” Lo provoco.

Lui nega ancora, così io continuo. “E questa mail, che Lei ha inviato a Corsi? 'Non calcare troppo la mano coi Bonetti', cosa significa?”

“Boh.”

“Boh? Allora provo io,” dico, trattenendomi dal fare cose che non vorrei, “i Bonetti avevano bisogno di liquidi, le banche non glieli concedevano, arriva Dario Corsi, il salvatore, e gli offre dei finanziamenti.”

“Sì, Corsi è uno strozzino d'accordo con Lei!” Si infiamma subito Cecchini. “E volevate rovinare i Bonetti dandogli i soldi a usura. Poi magari Lei ha cambiato idea, è successo qualcosa, avete litigato e l'ha ucciso!”

“Io? Io non ho ucciso nessuno!” Ride Lisi.

Stavolta perdo completamente la pazienza.

“Lei è nei guai fino al collo! E ha solo una possibilità di dirci dove sono Anna Olivieri e Don Matteo!” Gli urlo in faccia.

“Ancora con questa storia? Io non ne so nulla. Nulla, nulla, nulla!” Si ostina a dire quello.

Anche il Maresciallo si alza in piedi. “Senti, che cosa vorresti dire, che è un caso, che quando hanno ucciso Corsi è stato lo stesso giorno in cui è scomparsa Anna?”

È la prima volta che lo sento chiamare Anna per nome. Forse non è preoccupato solo per Don Matteo, allora... Forse ho sottovalutato la sua posizione.

“Sì, è un caso! E allora?”

Vorrei solo prendere Lisi per il bavero della giacca e togliergli quel sorrisetto dalla faccia. Come osa continuare a mentire, dopo tutto il male che ha già fatto? Non so come faccio a trattenermi.

“Dicci dov'è Don Matteo! E Anna!” Gli chiede Cecchini in tono disperato. Cerco di calmarlo mettendogli una mano sulla spalla.

Mi accorgo di un'ombra che passa sul volto di Lisi, come se si fosse reso conto solo in questo istante che le persone di cui lui dice di non sapere nulla, sono persone che noi amiamo profondamente, e che il non sapere dove siano ha fatto perdere il controllo anche a noi. Però non dice nulla.

“Portalo via, forza, portalo via... Guarda che è meglio per te se non gli succede nulla!” Lo minaccia ancora Cecchini, ma Lisi non fa niente per impedirglielo, con la stessa espressione di qualche istante fa.

Mentre lo portano fuori, dall'ingresso entrano Chiara e Giovanni, trovandosi faccia a faccia con Lisi.

Vedo Chiara fermarsi di colpo. “Mi riconosci?” Sussurra. “Sono Chiara. Eri il migliore amico di mio padre, eri il mio padrino... Almeno una volta nella tua vita dovresti fare una cosa giusta e dirmi dov'è Anna, adesso...” Lo implora con voce rotta. Lui però continua a non fiatare, prima di continuare verso l'uscita. Lei fa per seguirlo ma Giovanni la trattiene, facendola poi sedere su una sedia lì accanto e raggiungendo spedito l'ufficio del Capitano.

“Posso sapere perché l'avete lasciato andare?” Chiede.

“Perché non abbiamo nulla di concreto contro di lui, e perché ha un alibi, è stato tutto il giorno all'azienda vinicola.” Spiego, cercando di mantenere la pazienza.

“E quindi? Qualcosa sa, potevate comunque arrestarlo!” Si scalda lui.

“Sì, fai l'avvocato e ti stupisci perché arrestiamo un uomo senza una prova?” Rispondo con lo stesso tono.

“Sì,” mi risponde, guardandomi dritto negli occhi, “se quell'uomo è coinvolto nella scomparsa della donna che amo.”

Il mio sguardo di rimando è di puro odio. Non osare. Non provocarmi.

“E allora lasciaci fare il nostro lavoro, mh? Lo stiam facendo seguire, magari ci porterà da Anna.” Rispondo, sprezzante.

Lui esce senza dire altro.

Non ci provare, Giovanni. Sto facendo di tutto, di tutto per trovarla. Perché anch'io l'amo, e il pensiero di perderla non riesco nemmeno a tollerarlo.

Cecchini si alza. “Vado a parlare coi Bonetti,” sospira.

Io mi limito a un cenno d'assenso, afferrando il telefono e ricominciando il giro di telefonate per intensificare ulteriormente le ricerche.

 

***

 

Quando torna, mi riferisce che forse ha intuito qualcosa. Un legame diverso tra Raffaella Bonetti e Claudio Lisi, non solo lavorativo, che forse è la chiave per venire a capo di questo caos.

Chiediamo agli altri agenti di fare un controllo sui tabulati, nel frattempo noi torniamo nell'ufficio di Anna.

Si siede sul divanetto, e io faccio lo stesso.

“Secondo Lei sta bene? Il Capitano, dico.” Mi domanda a voce bassa.

“Spero di sì, Maresciallo... la conosce anche Lei, è una testa dura.” Dico, per tentare di alleggerire la tensione.

Lui fa una piccola risata. “Sì... è che...” Sospira. “Io ho già perso una figlia nella mia vita. Non ne voglio perdere un'altra.” Confessa.

Io sento risalire il groppo in gola.

“All'inizio non la potevo vedere, facevo pure gli incubi perché pensavo che non mi sopportava e che la faceva apposta a contraddirmi. E invece poi ho capito che è una furba, una capace di tenere testa pure a Don Matteo. Ma pure che è una ragazza che ha sofferto tanto nella sua vita, anche se non m'immaginavo niente di questa storia. E se le è successo qualcosa e noi non riusciamo a trovarla...” Lascia in sospeso la frase, prendendosi la testa tra le mani.

“La troveremo, Maresciallo. Vedrà che starà bene. Abbiamo tutti bisogno di lei, qui.” Aggiungo. Lui alza finalmente lo sguardo, forse capendo fino in fondo ciò che voglio dire. Annuisce soltanto, prima di darmi una pacca sulla spalla e alzarsi, andando a controllare per qualche novità. ***

 

 

Io resto seduto lì ancora qualche minuto. Ho detto quelle cose a Cecchini per tentare di tranquillizzarlo, ma io stesso fatico a crederci. Vorrei riuscirci, ho bisogno di sapere che Anna sta bene, però non posso averne la certezza, e questa cosa mi fa impazzire.

Sento la porta dell'ufficio aprirsi di nuovo, e quando alzo lo sguardo vedo che è Chiara.

“Ciao...” mi dice con voce roca. Noto gli occhi arrossati, e capisco che deve aver pianto. Mi sento uno schifo perché non riesco a starle accanto come dovrei, ma proprio non ce la faccio. “Non riuscivo a stare a casa, così ho pensato di venire qui, almeno se avete novità posso saperle subito anch'io...”

Io annuisco soltanto mentre lei si siede accanto a me, appoggiando la giacca e la borsa su una sedia libera.

“Come stai?” Mi chiede, e io mi giro di scatto a guardarla per la sorpresa.

“Dovrei essere io a chiedertelo...” Rispondo, amareggiato.

Chiara abbassa il capo, e noto un breve sorriso aleggiare sulle sue labbra per un istante, prima che torni a guardarmi anche lei.

“Sì, forse sì, però... L'ho capito, sai? Che sei innamorato di Anna.”

Io resto a fissarla senza parole. Tutto mi sarei aspettato tranne questo.

“Se prima avevo avuto qualche dubbio, adesso sono sicura... non avrebbe senso tutta la tua preoccupazione, se fosse solo una collega di lavoro o un'amica per te. L'ho visto, quello che stai facendo per ritrovarla, quanto impegno ci stai mettendo... Si vede che non hai dormito nemmeno tu in questi giorni, ma non sei mai venuto da me per consolarmi o altro... Come è successo qui in ufficio quando mi avete detto che avevate trovato la sua auto. Eri come... pietrificato. Continuavi a rigirare quei fogli come se potessero dirti dov'era Anna... E quando è arrivato Giovanni e gli hai detto che i documenti riguardavano Lisi, ho capito che sapevi chi è. E non perché l'avevi letto lì, ma perché conoscevi la storia. Te l'ha raccontata lei, vero?”

Decido che non servirebbe a niente mentire, e comunque adesso non ne avrei la forza.

“Sì... diverso tempo fa. Mi ha raccontato di vostro padre,” spiego, la gola arida, “di Lisi, e del perché sia diventata un Carabiniere... Io... non ci posso pensare-”

Mi interrompo, portandomi le mani sul volto. Anna sta bene. Andrà tutto bene.

Chiara mi appoggia una mano sulla spalla, asciugando le ennesime lacrime che versa in questi giorni. È una situazione talmente surreale che non sono sicuro di essere davvero sveglio.

“Se te l'ha raccontato, significa che sei davvero importante per lei. Non ne parla mai, di papà, con nessuno. Ci ha messo un sacco prima di raccontarlo a Giovanni, invece con te per qualche motivo ha scelto di aprirsi subito. E so che tu l'hai capito pure, quanto questa storia conti per lei.” Sospira, prima di riprendere a parlare. “Avevo intuito che ci fosse qualcosa tra voi che cercavate di reprimere, ma... Ora lo so. È di lei che hai bisogno. Mi dispiace di non aver capito prima... Ma forse succede tutto per un motivo, e sono contenta di aver fatto una parte di strada insieme a te. Ma quando torna, perché Anna torna... devi dirglielo.”

La osservo per un momento, scioccato dalle sue parole. Annuisco lentamente.

“Grazie,” mormoro, senza riuscire a dar voce alla gratitudine che provo nei suoi confronti. Per aver capito, per essersi messa da parte in modo così maturo e in una circostanza così terribile.

 

***

 

Chiara resta seduta in silenzio sul divanetto mentre io continuo a lavorare.

Quando convochiamo Raffaella Bonetti, dopo molta esitazione lei confessa di aver ucciso Corsi perché lui non voleva restituirle i soldi del prestito. Lisi a quanto pare si era pentito di aver organizzato una nuova truffa, e le aveva confessato tutto. Poi l'aveva aiutata a portare il cadavere di Corsi davanti casa sua, dove lo abbiamo trovato, e aveva procurato un alibi per entrambi.

 

Il maresciallo parte immediatamente per l'azienda vinicola dove ci è stato segnalato si stia dirigendo Lisi, insieme a Zappavigna. Ci chiamano però poco dopo per dirci che Lisi è scappato per andare in direzione dell'autorimessa, e che la loro auto è fuori uso, quindi hanno bisogno di rinforzi. Ghisoni parte immediatamente per andarli a riprendere e dirigersi alla rimessa, sperando di trovarci lì anche Anna, mentre io mi occupo di tutta la parte burocratica, anche se vorrei solo andare con loro. Chiara informa Giovanni delle novità, e io non glielo impedisco. Nonostante tutto, anche lui merita di sapere. Arriva qualche minuto dopo, e si siede con noi, in attesa.

Passa un'ora, ma le lancette sembrano scorrere all'indietro, o troppo lentamente.

 

All'improvviso il mio cellulare suona, indicandomi che è arrivato un messaggio.

Quando vedo il nome sul display il mio cuore accelera, non so se per la paura o altro, e le parole che leggo mi fanno mancare il respiro.

Anna.

Ho finalmente capito tutto di noi...ma forse non potrò mai dirtelo. Anche se sei l'uomo più impossibile che conosco e fai un pessimo brasato... IO TI AMO!!

 

Le mie mani tremano, e non riesco a decifrare pienamente il contenuto di quelle frasi. Che significa, che forse non potrà mai dirmelo?

Mi ama.

Che sta succedendo?

 

Scatto in piedi quasi senza rendermene conto e spaventando Chiara e Giovanni, ma è l'ultimo dei miei pensieri in questo momento. Avvio la chiamata ad Anna, ma il suo cellulare risulta spento, rinviandomi alla segreteria.

“Marco, che succede? Cos'hai?” Tenta di domandare Chiara, ma io non riesco a risponderle.

Riprovo a chiamare. Spento.

Poi un pensiero mi balena in mente.

L'autofficina. La pressa.

No.

“Marco!” Prova ancora Chiara, e mi rendo conto di essere seduto. Non so nemmeno come, so solo che non riesco a respirare, e avverto forte un senso di nausea invadermi la bocca. Anche Giovanni è accanto a me, un'espressione spaventata in volto.

Non può essere.

Anna.

 

Nel momento in cui finalmente sentiamo arrivare l'auto appena qualche minuto dopo, mi precipito giù senza dire una parola. Sento vagamente i passi di Chiara e Giovanni dietro di me.

Quando vedo Anna scendere dalla macchina, sana e salva... penso di non aver provato mai tanto sollievo in vita mia.

“Anna...” sussurro, andandole incontro. “Anna...”

“Marco...”

Il mio nome, pronunciato da lei in questo istante, è il suono più bello che sia mai giunto alle mie orecchie. Le prendo il viso tra le mani, accarezzandole le guance con i polpastrelli, le mie dita che tremano.

“Ho avuto paura che... che... la pressa... il messaggio...” Non riesco nemmeno a parlare in modo coerente.

Lei spalanca gli occhi. “Ti è arrivato?” Sussurra, e leggo l'incertezza nel suo sguardo.

Io annuisco. Non so come, ma trovo il coraggio di alleggerire la tensione, adesso che so che sta bene.

“Solo su una cosa non sono d'accordo... Il mio brasato è buonissimo.”

Anna mi guarda sconvolta per un secondo prima di accennare una risata.

“Ti amo anch'io,” mormoro, azzerando poi la distanza tra noi due e posando le labbra sulle sue.

Avverto le sue mani salire a stringere il bavero della mia giacca lasciandomi approfondire il bacio, che sa di paura, sollievo e... amore.

Hai dovuto rischiare di perderla per capire che senza di lei niente avrebbe avuto più senso.

 

Quando ci separiamo, solo allora mi rendo conto che ci siamo baciati davanti alla Caserma, davanti ai suoi uomini, dove tutti hanno visto. Sinceramente, però, non mi importa.

Pensavo di averla persa.

Lei sorride, e capisco che nemmeno a lei importa di dove siamo. L'unica cosa importante è che sia qui. Con me.

 

Dopo qualche istante, notiamo Chiara avvicinarsi. Vedo Anna sbiancare.

È vero, lei non sa che sua sorella ha capito tutto.

Chiara intuisce il problema, e la abbraccia di slancio.

La sento sussurrarle qualcosa all'orecchio, probabilmente per tranquillizzarla su noi due, prima di farsi da parte e lasciare spazio a Giovanni.

Mi ero dimenticato che ci fosse anche lui.

Non so cos'ha pensato, ma il nostro bacio avrà di sicuro fugato ogni dubbio sui nostri sentimenti.

Si limita ad abbracciarla, dicendole soltanto che è felice che stia bene, prima di voltarsi e andare via.

 

“Capirà,” le dice Chiara prendendole una mano, Anna ricambia la stretta, mettendoci dentro tutto quello che a parole non è ancora riuscita a dire.

Anche Chiara va via poco dopo, e dopo che anche gli altri agenti salutano il rientro del loro Capitano, io e Anna restiamo soli davanti alla Caserma.

“Pensavo che il messaggio non ti fosse arrivato... il cellulare si è spento mentre cercavo di inviarlo...” Mi dice a voce bassa.

Le accarezzo piano i capelli.

“Invece è arrivato... mi sono sentito morire quando ho capito cosa intendessi con 'forse non potrò mai dirtelo'... Poi ho sentito l'auto arrivare, ed è stato come tornare a respirare. Non so cosa avrei fatto se...”

Anna prende la mia mano libera tra le sue. “Volevo che lo sapessi comunque, anche se non avrei potuto dirtelo direttamente... ma in quel furgone ho avuto tempo e modo di riflettere, e quando ho pensato di stare per morire non ho avuto più dubbi. Voglio bene a Giovanni, ma... amo te. Mi sono innamorata di te.” Ammette, arrossendo appena, e sentirle dire quelle parole mi riempie il cuore di gioia, se solo penso che ho rischiato di non poter sentire più la sua voce.

Torno a baciarla, prima di prenderla per mano e salire insieme le scale interne della Caserma.

Dobbiamo concludere il lavoro, anche se vorrei pensare a tutt'altro in questo momento, ma è necessario.

 

Avremo tutto il tempo del mondo per parlare. Chiarirci, spiegare, cancellare ogni incomprensione.

Per il momento, mi basta la certezza che sia viva, al mio fianco.

E la consapevolezza del nostro amore.

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Capitolo 3
*** La crepa ***


 

LA CREPA

N/A La parte compresa tra i tre asterischi (***) è la copia del capitolo "La crepa" nell'altra mia fanfiction 'Life-changing frenzy', che ho inserito perché procede regolarmente come in puntata. Oltre gli asterischi, la parte alternativa. Buona lettura!

*** Quando il maresciallo mi chiama per informarmi di un ragazzo aggredito, mi sveglio di soprassalto.

Devo aver staccato la sveglia senza nemmeno sentirla, non mi ricordo, e sono decisamente in ritardo.

Arrivo in caserma mezz'ora dopo, passando prima di tutto dall'ufficio di Anna.

“Ciao ciao... arrivo, eh!”

“Abbiamo fatto le ore piccole!” Scherza Cecchini.

“Lavorato?” Gli fa eco Anna con un sorriso.

“No no, sono andato al Gran Premio di Formula 1... ma te l'ha detto tua sorella?” Domando, perplesso.

“No... non ci siamo viste.”

“È la prima volta che conosco una donna patita di Formula 1...” Commento. “Caffè e arrivo, va bene?”

Lei annuisce prima di tornare ai documenti che ha davanti.

 

Ho un sonno da non stare in piedi.

 

***

 

Poco dopo convochiamo la ragazza che è coinvolta nel gioco di ruolo di cui faceva parte il ragazzo aggredito. Io sono davvero scioccato dalle sue affermazioni: davvero lo ritiene solo un gioco?

La mia pazienza è decisamente al limite, e le sue lacrime non mi incantano. Ha portato quel ragazzo quasi ad ammazzarsi, e questa cosa che sia stato un altro a dirle di scrivere quei messaggi non me la bevo.

Anna mi lancia un'occhiataccia intimandomi di smetterla, ma come? Come può essere così calma?

Quando la ragazzina viene portata via, Anna mi ferma mentre sto uscendo.

“Comunque potevi andarci piano, è una ragazzina.”

Io mi blocco. “Che ha fatto quasi ammazzare un suo coetaneo, però.”

“Questo non lo sappiamo. Potrebbe essere stata la persona che le ha mandato i soldi per posta.”

“Credi veramente alla storia che ha detto?!”

“Sì! Credo anche che Sveva sia innamorata di Giacomo.”

“Se era innamorata perché non è andata da lui a dirglielo?” Andiamo, tutti questi sotterfugi? Sono solo bugie.

“Paura? Non lo so! Non è facile dire a una persona che ti interessa!” Sul serio? Stiamo facendo questa conversazione per davvero?

“Soprattutto a quell'età...” conclude.

“Gli mente, lo tormenta, lo manda bendato su un ponte... bel modo di amare, veramente!” Le dico, ormai arrabbiato anche con lei. Come può fare quelle affermazioni? Però ha ragione sul fatto che non sia facile... non è che tu hai fatto di meglio.

“Marco, per amore si possono fare le cose più assurde!” Mi apostrofa.

“Come per esempio, guardare la Formula 1...” Mormora Cecchini, sbucato dal nulla accanto a noi. Io gli lancio un'occhiata perplessa: in che senso? “L'ho detto tanto per dire... dovevo prendere questi, scusate.” Afferra dei fogli e si allontana.

“Allora verificate questa storia della lettera e tenetemi aggiornato, va bene?” Dico freddamente ad Anna, senza degnarla di uno sguardo mentre esco.

 

***

 

Più tardi, però, le mando un messaggio chiedendole scusa. Forse ho esagerato, d'altronde è tutto da vedere. E poi non dovevo prendermela con lei, mi ha solo esposto dei dubbi che in effetti non sono così improbabili, pensandoci a mente più serena.

Intanto chiedo a Chiara se le va di andare all'Umbria Jazz Spring Festival, lei accetta e mi dice che proporrà anche a sua sorella di venire, visto che è un genere che le piace. Le rispondo che per me non ci sono problemi, cercando di non mostrarmi troppo entusiasta dell'idea.

Hai chiesto a sua sorella, non a lei. Se viene, non lo fa per te perché non sei stato tu a invitarla.

 

Quando mi presento a casa Olivieri, è lei ad aprire. Noto con disappunto che indossa un semplice maglioncino e un paio di jeans. Quindi non viene.

“Entra,” mi accoglie con un sorriso. Avanzo nel soggiorno, e mi accorgo che la tavola è apparecchiata.

“Fai una serata casalinga?” Chiedo, fingendomi incurante.

Lei mi supera, tornando a sistemare i piatti. “Aspetto una persona.”

“Ah.” Mi trattengo a stento dal commentare oltre. Che significa, che aspetta una persona? Chi sarebbe? Non è uscita con nessuno, ultimamente. Lo saprei, se si vedesse con qualcuno, me ne sarei accorto. Non se sei impegnato ad andartene in giro con sua sorella. E poi non deve mica raccontarti tutto per forza. L'hai detto anche tu, no? Non avete firmato un contratto, e lei è libera di fare quello che vuole.

Mando giù a forza la vaga sensazione di gelosia che sento salire in gola, e butto lì qualcosa per farla pentire della sua scelta di non venire. Cioè, per dirle che mi spiace non venga.

“Peccato, c'è l'Umbria Jazz Spring Festival a teatro...”

“Ah, peccato perderselo.” Mi risponde, indifferente. Ma davvero non le interessa?

“Sai che è lo stesso che ha detto Chiara?”

“Dai? Incredibile.”

“Con la mia ex era tutto un litigio...” Continuo, un po' per raccontarle qualcosa in più rispetto a quello che già sa, un po' per cercare di provocarla. “Chiara è... tipo come avere un amico uomo... vabbè, poi sa che cos'è il fuorigioco, quindi...”

“Mh-mh...” No, non le importa niente di quello che le sto dicendo, glielo si legge in faccia che mi sta ascoltando solo per cortesia.

In quel momento arriva Chiara dalla stanza accanto. È molto carina, quel vestito nero le dona molto.

Si avvicina, abbracciandomi prima di rivolgersi ad Anna.

“Sicura che non vuoi venire?”

“Tranquilli,” conferma lei, “aspetto un amico per una serata speciale.”

“Perfetto, allora noi usciamo!” Le risponde la sorella, avviandosi verso la porta.

Io resto indietro per qualche istante, mentre una vocina in testa mi urla di mandare a quel paese la serata a teatro e restare qui a casa con lei. Poi mi do' finalmente una svegliata, la saluto un'ultima volta ed esco anch'io.

 

Nonostante la bella serata che passo con Chiara, che ammetto essere molto divertente e piacevole, ho un pensiero fisso che mi ronza per la mente. Spero di non incontrare mai questo amico della serata speciale. Deve sparire prima che ci riesca.

 

***

 

Il giorno dopo, mi chiamano in caserma perché hanno trovato due possibili sospettati: il fratello del ragazzino e un suo amico. Durante l'interrogatorio, anche questi due mi fanno perdere la pazienza, e Anna come al solito resta impassibile. Ammetto che aveva ragione lei sulla questione di Sveva, la ragazzina, però questi due c'entrano di sicuro.

Una volta terminato, sto per salire in moto quando il maresciallo e Anna mi fermano.

“Dottor Nardi?” Mi chiama lei. Non ho mai capito perché facciamo questa cosa di chiamarci per nome quando siamo soli e di darci del 'lei' in pubblico, ma so per certo che viene istintivo anche a me. Quasi a voler tenere questa familiarità solo per noi. “Stavo pensando, dato lo stato delle indagini, che potremmo fare un ragionamento ulteriore...” Si volta a guardare Cecchini, e noto che è leggermente tesa. “Magari stasera... a cena, a casa Sua.”

Come? Ho capito bene? Non me lo sto immaginando, vero?

“...Okay. Ma... perché da me? La moglie del Maresciallo cucina benissimo!” Marco, finiscila subito! Va bene a casa tua, dille che non ci sono problemi!

“Mia moglie è impegnatissima, c'ha un raduno, un raduno degli alpini, c'ha il raduno del club del tartufo nero di Norcia...” Spiega lui.

“Possiamo far da lei, forse...” Suggerisco, indicando Anna.

“Eh no, da lei, dopo quello che è successo...” Fa Cecchini.

“Che è successo?” Mi preoccupo. C'entra l'amico di ieri? Che ha combinato? Chi è questo tizio?

“Che è successo... a mezzanotte è scoppiata la fogna, e la puzza...” Anna fa una faccia strana. Non ci sto capendo niente. “Facciamo da Lei, venti e trenta.” Decide da sé il Maresciallo. “Va bene? Vada, fatto.”

Va via, portandosi dietro Anna mentre io salgo in moto, ancora un po' perplesso.

Non che mi dispiaccia, anzi. Ultimamente non abbiamo più fatto nemmeno lezioni di cucina. E magari mi informo su questo tizio di ieri, così forse capisco perché lei era così distante.

 

***

 

La sera, all'orario stabilito, suonano alla porta. Sarà Anna di sicuro, lei è sempre puntualissima.

Corro ad aprire, e mi trovo davanti una visione.

Capelli sciolti, tacchi alti e un vestitino verde di pizzo con un effetto vedo non vedo che mi fa quasi venire un colpo.

Non era lei quella che si sentiva poco femminile? Farebbe convertire pure un santo, vestita così...

“Ammazza, che eleganza...” Riesco a biascicare dopo averla osservata a bocca aperta per qualche istante..

“Ho fatto una cosetta...” Mi dice, porgendomi il vassoio che ha in mano. Ammetto che non l'avevo notato, ero un tantino impegnato a guardare il resto. Posso sbirciare ancora un po'?

“Grazie, ma non dovevi!” Mormoro, ancora ammaliato.

Lo porto fino al bancone davanti ai fornelli, chiedendo se posso aprire. Sono decisamente curioso, sono a un passo dallo scoprire se ha imparato bene o no.

Al suo assenso, tolgo il coperchio.

“Hai fatto lo stracotto al barolo? Ma ci voglion tre ore per marinare la carne!” Esclamo, decisamente colpito. È una ricetta abbastanza complicata, ma dall'aspetto sono convinto che se la sia cavata benissimo. “Il profumo è stupendo...”

“Ho avuto un grande maestro...” Si schernisce lei, timidamente. Giusto, dimentico sempre che i complimenti la mettono in imbarazzo.

Cerco un modo per rimetterla a suo agio. “Vino? Senti, ho... Sagrantino di Montefalco oppure Rosso di Torgiano?” Le domando, sapendo che in genere ne capisce più di me.

“Sagrantino di Montefalco,” suggerisce senza esitare.

“Okay...” Sto per stappare la bottiglia quando mi ricordo che dovremmo essere in tre, stasera. Purtroppo. “Ah, aspettiamo il Maresciallo, che dici?”

“No no, versa pure... mi ha tra l'altro chiamato, ero proprio qui fuori, e... ha avuto un'emergenza, non ho capito. Non viene...” Mi spiega, esitante.

“Ah!” Mi soffermo a guardarla per un attimo. Non so se sia tutta una scusa o la pura verità, conoscendo il maresciallo, ma ammetto senza ritegno alcuno che non mi dispiace affatto che non ci sia. Dillo, che ci speravi che lui vi desse buca. Per una volta le tue preghiere sono state esaudite. Siete da soli e lei è bellissima. Stavolta non devi sbagliare.

Prendo i calici di vino e la raggiungo davanti al bancone per un brindisi. “Allora, a una piacevole riunione di lavoro... e anche a una elegantissima cuoca di stracotto.”

Anna abbassa lo sguardo, e io riesco solo a pensare a quanto sia pazzo di lei, e a quanto vorrei che questa fosse una cena con ben altro proposito.

“Beh.. allora siamo in due! Pazienza, eh...” Dico, per stemperare la tensione. E per abbassare la temperatura. Non senti caldo, tu?

“...Preparo la tavola.” Suggerisce.

“Io... prendo i piatti.” Svegliati, non è che puoi stare tutta la sera a fissarla, però.

Mentre recupero i piatti dalla credenza, sento che mi fa una domanda.

“Che cos'è questo sacco pieno di polvere?”

“Quale?” Chiedo. Sacco? Che ho lasciato in giro?

“Lo sposto, ti spiace? Lo metto qui che dà meno fastidio.”

Con mio profondo orrore, mi rendo conto che sta parlando del pouf.

 

Prima che me ne renda conto, un piatto mi scivola dalle mani, che scopro tremare forte.

Calmati. Non è successo nulla. Lo ha solo spostato, l'hai lasciato in mezzo alla stanza e non si poteva passare. Respira.

“Tolgo due posate in più...” Sussurra lei, chiaramente confusa dal mio comportamento.

Io non riesco nemmeno a parlare.

“Che c'è?” Prova a chiedere, ma il mio cervello sembra non recepire più i comandi.

Marco, no. Non fare quello che stai pensando. Non ha fatto niente di male, non lo sa, non gliel'hai raccontata questa parte della storia. Non c'entra niente lei.

“Niente, è che...” Sei ancora in tempo per stare zitto. O meglio ancora, per spiegare. Capirà, lo sai che lo farà. Diglielo! “Mi sono ricordato che avevo un altro impegno. Ho un appuntamento, devo andare, scusa.”

La mia voce trema, e non so nemmeno io quello che sto dicendo.

“Con chi? … nel senso, dovevamo...” Lascia in sospeso la frase. So che ha intuito che non le sto dicendo la verità, ma non riesco a fare altro.

Non è vero, puoi! Diglielo! Dille perché hai reagito così! Ora!

Ha fatto l'unica cosa che non doveva, rimbecca una vocina diversa dal solito che non capisco da quale parte della mia testa venga, e nonostante sappia benissimo che non lo ha fatto di proposito, la mia paura è troppo grande, e il mio meccanismo di autodifesa si è messo in atto da solo. E adesso continua a dirmi, prepotentemente, come comportarmi.

No! Non lo fare!

“...con tua sorella.”

Sono queste le sole parole che dico, ma so benissimo che l'ho ferita. Lo leggo dal suo sguardo, ma era esattamente questo il mio scopo. Farle male come lei ne ha appena fatto a me.

 

Anna abbassa lo sguardo, e io sento risalire la bile in gola.

“Dovrei andare, sì...” Continuo, imperterrito, cacciandola letteralmente fuori.

“Sì... io vado allora... scusa...” Mormora, inciampando. Io l'aiuto appena, ancora paralizzato dalle mie stesse parole.

Devo essere andato completamente fuori controllo, perché come se non le avessi già fatto male abbastanza, infierisco ancora. “Ah, senti... lo stracotto però prenditelo...”

“Ma no, tienilo...”

“No, l'hai fatto, è un peccato... dai, per favore...”

“Fai quello che vuoi.” Dice soltanto, e per un attimo, vedendo un velo di lacrime luccicare in quegli occhi verdi che tanto mi hanno ammaliato, prima di andare via di corsa.

“Anna...” Provo a chiamarla prima che esca, senza alcuna convinzione o reale voglia di trattenerla. ***

 

Ancora rabbioso, afferro il pouf per rimetterlo dov'era, lanciando uno sguardo cattivo verso la porta.

 

Quando mi lascio cadere sul divano, come una mazzata mi crolla addosso il casino che ho combinato stasera.

Ho cacciato via Anna.

 

E tutto per quel pouf. Ho accusato Anna di una colpa che non ha, lo so che lei non c'entra, ma è stato più forte di me.

Perché? Perché l'ho fatto?

 

Codardo.

 

Cerco di calmarmi.

Forse è così che doveva andare. Forse è stata la cosa migliore, in fondo.

Forse è stato davvero un errore.

 

Sai bene che non è così, torna a tormentarmi la vocina familiare, la verità è che hai paura. Paura di avere di nuovo stravolta la vita. Paura di star male di nuovo. Paura che una storia con lei non sia come immagini. Ma lei non è Federica. Anna non è Federica. Lo sai, questo. Non ti farebbe mai quello che ti ha fatto lei. Anna non è lei.

 

Non lo è, lo so. Ma so anche che, pur non avendolo fatto intenzionalmente, ha toccato l'unica cosa che non doveva. Qualunque cosa, ma non quella. Quel pouf è stato l'inizio della fine, e me ne sono accorto tardi. E ora non voglio succeda lo stesso.

 

Ma lei non lo sapeva. E l'ha solo spostato. Se solo le avessi spiegato, invece di perdere la testa...

 

Spiegare cosa? Che ho avuto paura? E poi, dirle che saresti uscito con sua sorella? Proprio con lei?

 

Se volevi spezzarle il cuore ci sei riuscito. Adesso sì che non hai più possibilità con lei.

 

Non ne avevo nemmeno prima, mi auto-convinco. La mancata cena di stasera non vuol dir niente. Ha detto che il nostro bacio è stato un errore. Un maledetto errore.

 

È meglio così, mi dico ancora. Sarebbe stato troppo complicato stare con lei, lo è già così senza essere niente di più che colleghi. Pensa che disastro sarebbe se decidessimo di provarci. Salterebbe tutto. Lei non è una che cede e che si fa mettere i piedi in testa, lo so bene.

Forse non accetterebbe nemmeno uno che ha queste paure assurde come le ho io.

 

 

Con Anna è sempre difficile. Lei non lascia mai nulla al caso, non si lascia andare se non in casi particolari, e leggerla è sempre complicato, soprattutto se decide di chiudersi in se stessa. E ultimamente con me lo fa spesso. Tanto che non riesco più a capirla come prima, e non so perché.

Non funzionerebbe mai.

 

Devo dimenticarla.

 

È la cosa migliore per tutti a questo punto.

 

Anna's pov

 

Torno a casa, aprendo la porta nervosamente.

 

Fino all'ultimo istante cerco di mantenere la calma sperando che Chiara sia in casa ma, ovviamente, di lei nessuna traccia.

Che ti aspettavi, Anna? Che fosse tutta una montatura? O che magari se fossi arrivata in tempo ad incrociare Chiara, magari lei avrebbe capito? Figuriamoci.

Una lacrima sfugge al mio controllo solitamente ferreo scivolandomi lungo la guancia, e io mi affretto ad asciugarla con un misto di rabbia e delusione.

Rabbia, per essermi fatta convincere ad espormi così tanto, a fare una cosa che non è assolutamente da me e che mi ha messa estremamente a disagio.

Delusione, per aver anche solo creduto di avere una possibilità con Marco. Come ho potuto anche solo pensarlo? Ho visto la sua ex... nonostante quello che gli ha fatto, ho visto che tipo è: bella, femminile, sicura di sé e del proprio fascino. Tutte qualità che ha evidentemente saputo sfruttare a suo vantaggio, con la consapevolezza di farlo. Dopotutto, Marco ha scoperto per caso che lo tradiva, ha saputo rigirarselo alla perfezione senza fargli sospettare nulla per chissà quanto, convincendolo a fare ciò che voleva. E Chiara viaggia sulla stessa lunghezza d'onda. Non arriverebbe a tradire l'uomo che ama, almeno spero, ma per il resto è assolutamente capace di fare le stesse cose che ha fatto la sua ex. È esattamente quello che sta facendo con Marco. La strategia della geisha, la chiama lei... Più semplicemente, è un'opera di seduzione.

Io non sarei capace di farlo, sono un disastro in queste cose. Sono l'antitesi della femminilità: odio truccarmi, adoro la mia divisa e mi imbarazzano i vestiti sexy, anche se potrei indossarli senza problemi. Non sono capace di 'sedurre' nessuno come fa mia sorella con uno sguardo ammiccante e subito ha gli uomini ai suoi piedi, io proprio non ho idea di come faccia. Solo l'idea di baciare qualcuno per ripicca come fa lei spesso mi fa venire la nausea. Non riuscirei a obbligare un uomo a fare quello che voglio io, ed è un dato di fatto visto che con Giovanni non ho avuto fortuna – e lui era innamorato di me, sapeva come sono fatta – e non sono riuscita a tenermelo. Con Marco sembrava stesse funzionando, mi ha baciata quella volta... Sì, sono stata io a dirgli che avevamo commesso un errore, ma è pur vero che ha accettato in fretta l'etichetta di 'solo amici' che io ho dato a noi due. E il suo rifiuto di poco fa ha confermato lo status. Io sono l'amica, mia sorella quella che ha scelto.

 

Come sempre, fin da quando eravamo ragazzine.

 

Sono stata una stupida a pensare di avere una possibilità con lui, soprattutto quand'è subentrata Chiara.

 

Ho fatto una cosa stupida ad andare da lui stasera, avrei dovuto capirlo. Soprattutto vestita così.

Mi sfilo velocemente questo vestito, con il proposito di buttarlo via il prima possibile perché continuerei ad associarlo sempre a stasera, gettando i tacchi da una parte e togliendo via il trucco, ormai sbavato perché nonostante la mia volontà di non piangere, l'ho fatto comunque.

 

Io, l'inflessibile Capitano Olivieri, che piange così per essere stata rifiutata.

Ma quanto fa male?

 

Infilo un paio di shorts e una canotta, restando a piedi scalzi. Voglio un barlume di tranquillità e familiarità dopo questa serata da dimenticare.

E una vaschetta di gelato al cioccolato. È sempre stato il cibo delle emergenze, quindi non lo collego necessariamente a lui.

 

Ho bisogno di sfogarmi e accettare l'imbarazzo e l'umiliazione che proverò domani nel rivederlo.

 

Marco's pov

 

Saranno passati dieci minuti da quando Anna è andata via, e nonostante i miei propositi di vederla come la scelta migliore, l'espressione sul suo viso continua a tormentarmi.

L'ho ferita più di quanto avrei mai pensato di fare, per il motivo sbagliato. Le ho mentito, con l'intenzione di ferirla, addirittura. L'ho trattata male per una colpa che non ha, senza ragionare, senza riflettere e provare a spiegare.

 

Quando l'ho vista entrare dalla porta così elegante, così bella... ho intuito ci fosse un motivo di fondo. Quando mi ha detto che il maresciallo non sarebbe venuto, ho capito che ci avevo visto giusto, che quella serata doveva essere per noi due, che Cecchini le ha dato una scusa per farci restare soli.

Ormai la conosco, soprattutto dopo quella sera del ballo al reality so quanto detesti quei canoni in cui ci si aspetta che una donna rientri, dal modo di vestire al comportamento. Quanto non si senta a suo agio con i tacchi e gli abiti eleganti, quanto non si senta all'altezza in questioni private dove ci si aspetterebbe che una donna abbassasse la testa a tutto e si lasciasse sottomettere, cosa che lei non fa. Eppure, stasera, ha accettato il compromesso... per me.

Sperando che io capissi. E io invece ho solo combinato un disastro. Non solo ho avuto paura di un suo giudizio, ma le ho anche mentito cacciandola via. Senza un filo di logica.

 

Decido di voler provare a rimediare.

Prendo la bottiglia che avevo stappato per noi, rimettendo il tappo alla meno peggio, insieme alla teglia di stracotto che aveva preparato per noi, poi afferro le chiavi, il cellulare e il casco e mi metto in sella, diretto verso casa sua sperando che mi dia la possibilità di parlare.

 

Anna's pov

 

Ho appena affondato il cucchiaio nel gelato quando il campanello suona.

Non aspetto nessuno, ovviamente, quindi penso che possa essere il maresciallo, magari mi ha vista rientrare e vorrà sapere. Oppure no, non lo so. Potrebbe essere importante.

Anche se controvoglia, mi alzo per andare ad aprire la porta.

 

Marco.

 

Ricaccio indietro l'umiliazione cercando di mettere su un'espressione che non tradisca come mi senta. Poi noto che tra le mani tiene la mia teglia con lo stracotto, e sento un vago senso di nausea salire in bocca.

 

“Ciao...” mormora lui. “Posso... posso entrare?”

 

Quindi oltre al danno la beffa. Ha pure pensato di riportami la cena prima di andare da mia sorella. Ma che pensiero gentile.

Poteva anche risparmiarsela questa.

 

Non gli rispondo, ma dopo qualche istante di esitazione mi sposto per farlo entrare senza però chiudere la porta, facendogli capire che non è il benvenuto.

Lui posa la teglia sul tavolo, ma non accenna minimamente ad uscire, restando in piedi dall'altra parte della stanza con lo sguardo piantato a terra.

“Anna, senti...” esordisce poi, ma io non ho intenzione di sentire oltre.

“Posso sapere cosa vuoi ancora?” Chiedo stancamente. “Non avevi premura? Non dovevi uscire con mia sorella?”

Lui finalmente solleva lo sguardo, un'espressione colpevole sul volto.

“No. Non avevo un appuntamento con tua sorella, stasera. Non era vero, quello che ti ho detto.” Dice, e sinceramente avrei preferito un pugno allo stomaco che questo.

Chiudo in fretta la porta per evitare che Cecchini possa inavvertitamente sentire se dovessimo alzare la voce, e mi avvicino. Sento le mani tremare.

“Mi hai mentito!” Sussurro, senza capire bene cosa io stia provando in questo momento, le mie emozioni sono talmente ingarbugliate che non riesco a distinguerle.

“Mi dispiace!” Cerca di giustificarsi. “Io... Lo so che ho sbagliato, non avrei dovuto, ma... ma c'è un motivo-”

“Un motivo? Sul serio? Mi hai cacciata via senza farti troppi problemi, mi pare. Non vedo quale spiegazione potrebbe esserci se non di essere... stata rifiutata.” Dico, obbligandomi a dire quella parola che fa un male terribile anche solo a pronunciarla.

Lui spalanca gli occhi. “No! No, Anna... Ti giuro, non è così... Ti ho trattata malissimo, e non ho scusanti per questo, lo so. Ma una spiegazione sul perché io abbia reagito così sì. Posso... mi permetti di spiegare?” Mi domanda in tono supplichevole.

Io mi limito ad annuire, rigida, mantenendomi a distanza.

“È stato per via di quel pouf.”

“Quale pouf?”

“Il... sacco che hai spostato. Quello in mezzo alla stanza.”

Giuro, questa è bella. Ancora mi mancava tra le scuse assurde. Perfino quella del mio primo fidanzatino, che mi lasciò perché non gli piacevano gli occhi verdi, mi disse, aveva più senso.

“Come no...”

Marco sospira pesantemente prima di riprendere a parlare dopo qualche secondo. “Io, quando stavo con la mia ex fidanzata, la prima cosa che mi ha buttato via è quel pouf su cui guardavo le partite. Poi ha buttato via le mie uscite allo stadio, la moto, i grassi idrogenati, poi i miei amici, ha buttato via...” elenca, con un tremito nella voce che mi dimostra quanto la cosa gli stia a cuore. “Alla fine è riuscita a cambiarmi perfettamente. E sai cos'ha fatto? Ha buttato via anche me! 'Eh, non eri più quello di prima'...” Finisce, citando probabilmente le parole della ex.

Rimango in silenzio per qualche secondo, cercando di metabolizzare quanto mi ha detto. Per qualche motivo, però, queste rivelazioni mi lasciano solo un senso di delusione, che mi invade perfino più della rabbia.

“Allora hai sbagliato due volte,” gli dico poi, freddamente. “Proprio per questo motivo avresti dovuto dirmi la verità! Avrei capito! Non potevo immaginare che un pouf spostato avrebbe causato tutti questi danni, ma tu non hai nemmeno pensato a spiegarmi cosa fosse successo. Io so solo che, da che stava andando tutto bene, hai alzato un muro tra di noi dicendomi che avevi dimenticato di avere un appuntamento con mia sorella. Mia sorella! Hai idea di quanto male mi abbia fatto questa cosa? E adesso, sapere che era tutta una scusa, che mi hai mentito...” Mi porto le mani alle tempie, cercando di calmarmi. “Mi hai detto più volte di come la tua ex ti abbia mentito, di quante bugie si sia inventata... adesso mi hai detto di come lei ti abbia manipolato per avere quello che voleva solo per ferirti, e tu adesso che fai? Usi la stessa arma contro di me, pur sapendo cosa si prova? Sapendo che io non ti avrei mai giudicato! Hai preferito mentirmi piuttosto che dirmi la verità, pur sapendo che io non ti farei mai quello che ti ha fatto la tua ex...”

Lui non fiata durante il mio sfogo, l'espressione affranta che non lo ha abbandonato per un istante. Forse le mie parole potrebbero sembrare dure, ma non posso accettare che mi tratti così. Non dopo che io gli ho raccontato tutte quelle cose di me, dopo che mi sono fidata di lui perché sapevo che mi avrebbe capita. Lui non ha avuto il fegato di fare lo stesso con me. Paura sì, ma fino a questo punto?

 

“Lo so che ho sbagliato... me ne sono reso conto subito. Non avrei dovuto mentirti. Avrei dovuto ragionare un momento e dirti perché stavo reagendo in quel modo. Soprattutto perché tu non potevi saperlo e non c'entri niente. Tu non sei Federica, lo so! E mi sento uno schifo per averti trattata così. Hai ragione, proprio io non avrei dovuto farlo. Perché so come ci si sente ad essere presi in giro. Ma non ci ho pensato-”

“E questa ti sembra una giustificazione valida? Non ci hai pensato?” Chiedo, trattenendo stavolta la rabbia.

Lui alza le mani per tentare di calmarmi.

“No, non lo è, assolutamente. Ho sbagliato, ho combinato un disastro, ma ti assicuro che non è quello che avrei voluto. Potessi tornare indietro, non lo rifarei.”

“Ma non si può tornare indietro, Marco. Quel che è fatto, è fatto.”

Lui abbassa la testa prima di rivolgermi un altro sguardo supplichevole.

“Anna, ti prego. Perdonami. Scusami, ho sbagliato con te... avrei dovuto spiegarti prima... ma adesso lo sai. Non sei mai stata tu il problema, non è stata colpa tua. Ho avuto paura!”

Questa sua ammissione mi fa tentennare un attimo, ma non riesco ad accettarlo.

“Io... posso dirti che ci penserò. Accetto le tue scuse, perché ho capito che c'è un motivo valido dietro il tuo comportamento, ma... non posso perdonarti, non adesso. Mi hai trattata in modo orribile perché non ti sei fidato di me, dopo che io ti avevo confidato le mie questioni più intime... io mi sono fidata di te. Ma tu non sei riuscito a fare lo stesso alla prima prova. Ho bisogno di tempo per capire se posso tornare a crederti. Ma non adesso.” Asserisco piano, guardandolo dritto negli occhi.

Mi fa male dirgli queste cose, ma non me la sento di fare altro. Non ce la faccio. Non posso abbassare la testa, non quando è caduto così in basso dove non avrebbe dovuto.

Marco annuisce lentamente, sconfitto. “Va bene... me lo merito, in fondo, ne sono consapevole. Però... pensaci, ti prego. Prenditi tutto il tempo che ti serve... ma pensaci. Per quel che vale, eri bellissima con quel vestito... avrei tanto voluto che questa serata fosse per noi, come avevi voluto tu... Buonanotte.” Mi dice a voce bassa prima di farsi strada da sé, chiudendosi piano la porta alle spalle.

 

Io resto da sola in soggiorno, e dopo qualche istante decido che è meglio che mi sieda. Non posso nemmeno recuperare il gelato perché nel frattempo si è pure sciolto e sono costretta a rimetterlo in freezer. Contro la mia volontà riprendono anche le lacrime. Ho cercato di impedirmi di piangere, ma niente da fare. Non mi è bastato piangere per Giovanni, ora pure per Marco.

 

Quasi a peggiorare le cose, dopo non so quanto, sento la porta di casa aprirsi e Chiara rientrare. L'ultima cosa che vorrei è farmi vedere da lei in questo stato, ma ormai è tardi per una ritirata.

“Ehi, sei ancora sveglia?” Mi chiede, notandomi sul divano.

“Sì,” rispondo cercando di mantenere la voce ferma senza successo.

Lei si avvicina, incerta.

“Che hai?”

“Niente...”

“Anna, che hai?” Torna a chiedere sedendosi accanto a me. “E non osare dire di nuovo 'niente' perché se fosse così non saresti qua a piangere.”

“... ho litigato con Marco.” Rispondo infine.

“Marco... Nardi?” Io annuisco. “Ma... al lavoro? O...?” Cerca di farmi parlare lei, senza capire.

Le racconto alla meglio quello che è successo, omettendo i dettagli personali di Marco.

“Cioè, fammi capire: mi ha messa in mezzo per... cosa, farti ingelosire? O arrabbiare?” Si sistema meglio, prendendomi per mano. “Vabbè, lasciamo stare questa cosa. Comunque... sì, si è comportato malissimo con te, ma l'ha fatto per un motivo che tu stessa hai detto che è valido! Io ora non so cos'è, ma se lo dici tu allora sarà così, non sei una che se la prende per niente. Ti ha trattata male, ci siamo, però poi è venuto qui a spiegarti e scusarsi! Ha corso il rischio! Non dico che non hai fatto bene a rimproverarlo,” rettifica alla mia espressione non proprio convinta, “ma magari, se ci pensi un attimo... Ti ha detto che ha avuto paura. Non lo avrebbe ammesso se non fosse la verità. Se te lo ha detto, significa che a te ci tiene! E poi... la paura fa fare cose assurde e senza senso, a volte. Ci fa comportare e dire cose che non penseremmo mai di associare a noi. Però succede di farsi prendere dal panico! E se lui ha avuto un motivo serio come hai detto tu, forse a maggior ragione è da capire! Gli hai detto che ci avresti pensato, e hai fatto bene. Riflettici su questa cosa, mh?”

“Va bene... forse hai ragione tu...”

“Almeno una volta ogni tanto!” Ridacchia Chiara, strappandomi un sorriso.

“Grazie...” le dico, alzandomi e abbracciandola. Sono felice che mi abbia trovato sveglia.

“E di che? Ah, a proposito... ero a cena con alcuni amici, è stata una cosa all'improvviso, per questo non te l'ho detto. Gli è andata bene a inventarsi quella scusa... o male, dipende dai punti di vista. E comunque, se mi avessi detto che ti piaceva fin da subito, non avremmo fatto tutto questo casino. Che dici, andiamo a nanna adesso?”

Io annuisco. Una bella dormita non potrà che farmi bene. Spero.

 

Marco's pov

 

Il mattino dopo appena sveglio dopo una nottata agitata, mi dico che forse, per me ed Anna non è destino, visto che ogni volta va così per un motivo o per l'altro.

E forse devo anche rassegnarmi all'idea che, comunque, dopo la scenata di ieri sera e per come sono andate le cose a casa sua, ho perso qualunque speranza che avrei potuto avere con lei. Ho sbagliato, è vero, sarebbe bastato respirare un attimo e spiegare. So che proprio lei avrebbe capito. E invece no, mi sono fatto prendere dal panico e ho combinato un casino. Ha accettato le mie scuse, questo sì, ma a me non basta. Voglio che mi perdoni, voglio che ci sia una possibilità per noi due. Mi ha chiesto del tempo, e io sono disposto ad aspettare. Ma se dovesse scegliere di tagliarmi fuori dalla sua vita, in quel caso non so cosa farei. Ci penserò a tempo debito, credo.

Adesso il problema è il lavoro... dobbiamo continuare a stare a stretto contatto, e non so con che coraggio entrerò in caserma, oggi.

 

Quando poco dopo il mio cellulare squilla e vedo il numero della caserma lampeggiare sul display, mi dico solo che avranno novità, senza pensarci più di tanto.

 

Così, quando a rispondermi dall'altro capo del telefono è la voce di Anna, per un attimo le parole mi vengono meno.

“Sì... dimmi pure.” Le dico, incerto, tentando di suonare normale.

Volevo solo avvisarti che abbiamo trovato il colpevole, la persona che stava dietro alle buste con i soldi, le minacce e il resto. Si tratta del marito della donna rimasta uccisa durante il terremoto. Potrai verificare i dettagli una volta in caserma.” Spiega, e il suo tono incerto mi fa male, più di quanto pensassi.

“Va bene...” Le rispondo cautamente, ma prima che possa riattaccare la sua voce mi ferma.

Marco, senti, io... Volevo... Che ne dici di un caffè, pomeriggio, dopo la partita del maresciallo? Così magari parliamo un po'...” Domanda, esitante.

Avverto un barlume di speranza accendersi in me. “Certo, mi farebbe piacere... Ma... che partita?” Chiedo io, senza capire di cosa stia parlando.

Una partita a scacchi contro Don Matteo... ha accettato una scommessa, e deve riuscire a batterlo. Gli ho promesso che sarei andata, e ci verranno anche alcuni degli altri, Ghisoni, Barba e Zappavigna, probabilmente...”

Non ne sapevo niente, di questa cosa. Com'è che me la sono persa? “D'accordo, magari mi spieghi meglio dopo di questa partita, mh? Ci vediamo lì?”

Certo... A più tardi.” Mi saluta, riattaccando, e io non posso che sentirmi sollevato. Almeno so che non è più arrabbiata con me.

 

Forse non è tutto perduto.

 

***

 

Quel pomeriggio, Cecchini ha la sua partita di scacchi con Don Matteo. A quanto pare, Anna gli ha dato qualche suggerimento in merito, in questi giorni. E io non mi sono accorto nemmeno di questo.

Le piacciono gli scacchi, te l'ha detto quella volta in macchina.

Scendo quindi al bar della piazza, dove trovo già Anna, in piedi di fronte al Maresciallo, come una sorta di sostegno morale.

C'è un sacco di gente venuta ad assistere alla partita tra Cecchini e Don Matteo, la voce deve essersi sparsa in fretta. Prendo posto accanto ad Anna, salutandola con un sorriso che lei, con mio enorme sollievo, ricambia. Il Maresciallo, per la prima volta, incredibilmente vince la partita a scacchi, e si affretta a chiedere la colazione, evidentemente parte della scommessa. Anche gli altri presenti festeggiano.

Io e Anna ci spostiamo in un tavolino accanto, chiedendo due caffè al cameriere.

Prima però che lei possa aprir bocca, intervengo io.

“Senti, pensavo prima che... qui s'è creata più confusione del previsto, che ne dici di parlare con più calma stasera? Magari a cena, da me...? Così siamo più tranquilli, nessuno ci disturba... e magari nemmeno Cecchini sa niente,” biascico, ma vedo che le sfugge un sorriso alla mia osservazione. “E magari così assaggiamo quello stracotto che aveva un profumo fantastico... se... se vuoi, non devi venire per forza, voglio dire, pos-”

“Marco,” mi blocca lei, “va bene. Forse è meglio, almeno nessuno ci interromperà. Non ti garantisco che lo stracotto sarà un granché, però, visto che l'ho cucinato ieri...”

Io le sorrido di rimando, grato che abbia accettato il tentativo di alleggerire la tensione. “Sono sicuro che sarà ottimo lo stesso. Ci vediamo più tardi da me, allora?”

Lei annuisce, prima di seguire Cecchini verso la caserma.

 

***

 

Ho cercato di darmi da fare e preparare qualcosa per stasera – optando poi per il risotto di Città della Pieve, quello che abbiamo assaggiato insieme in una delle uscite fatte tempo fa – e adesso sto sistemando la tavola. Stavolta so che è una cena per noi due, anche se niente di 'formale', ma voglio lo stesso che abbia l'atmosfera giusta. Sistemo i fiori e i calici, quando sento bussare.

Mi sento stranamente agitato.

Mi affretto ad aprire, invitando Anna ad accomodarsi e prendendole la teglia dalle mani per posarla sul bancone. Non posso fare a meno di notare che per stasera ha optato per un abbigliamento più informale, e per quanto io l'abbia trovata bellissima ieri, ammetto di preferirla così. Semplicemente perché a suo agio.

Dopo qualche istante di imbarazzo, ricordando la sera scorsa alla stessa ora, la invito a sedersi mentre io servo i piatti.

Dopo aver scambiato qualche parola di circostanza, Anna assume un tono più serio. “Io... volevo chiederti scusa.”

“Scusa? Per cosa?” Le chiedo, interdetto. Non dovrei essere io a farlo?

“Anch'io ho esagerato ieri sera, quando sei venuto a casa mia. Tu... hai provato a spiegarmi i tuoi motivi, ma non ho voluto capire. Non volevo ammettere che almeno tu il coraggio di dirmi come stavano le cose l'hai avuto, mentre io invece no.” Sospira, prima di continuare. “Ci ho pensato, e mi sono resa conto che a volte la paura ci porta a fare o a dire cose che magari non pensiamo, a comportarci in maniera irrazionale. E che ci vuole coraggio per tornare sui propri passi e ammettere di aver sbagliato... tu ci sei riuscito, e io non ho saputo apprezzarlo per orgoglio. E perché me la sono presa più di quanto avrei immaginato quando hai detto di dover uscire con Chiara.” Ammette, arrossendo appena.

Io non riesco a credere alle mie orecchie. Quindi l'ha fatto per... gelosia?

“Lo so, è stato un colpo basso... però anche lì c'è stato un motivo, parecchio più banale però. Sapevo che ti avrebbe dato fastidio, come ne ha dato a me sapere che stai vedendo qualcuno...” È il mio turno ammettere fino in fondo le cose, adesso. Il suo sguardo confuso però mi dice che non ha capito.

“Io? Non sto vedendo nessuno. Cioè, nessun altro...” Afferma perplessa.

“Come no? Me l'hai detto tu stessa, qualche sera fa... Quando io e Chiara siamo andati a quel festival di jazz, e tu mi hai detto di aspettare una persona... la cena... la serata speciale...” Spiego, cercando di tenere a bada il fastidio.

Con mio stupore, Anna si mette a ridere. “Mi fa piacere sapere che il trucco ha funzionato... La cena c'era, aspettavo davvero qualcuno per una serata 'speciale', ma non nel senso che pensi tu. Aspettavo Cecchini, e visto che c'era gli ho detto di cenare direttamente da me, per aiutarlo per la partita a scacchi...”

Io la guardo scioccato. “Cioè, tu hai... l'hai fatto apposta!”

“In effetti... sì. Volevo vedere come avresti reagito. Avevo intuito già quella volta, ma adesso...”

Mi lancia uno sguardo di sbieco che mi fa arrossire come un ragazzino.

“Beh, sì, okay... ero geloso! E qualcosa mi fa pensare che sotto sotto lo sei anche tu, e non solo per tua sorella...” La punzecchio. È il suo turno, di essere imbarazzata. “Ad esempio, per la veterinaria...”

Con mia soddisfazione, arrossisce. “Che c'entra la veterinaria?” Chiede in tono incerto.

“Ripensando all'episodio, mi sa che quelle cose non le hai dette per Patatino... o meglio dire non solo. Più che per riprendere il cane, l'hai fatto per convincerla che non facevo per lei, mh? Mi hai descritto con così tanta sicurezza che mi sa che ha pensato che, più che essere scaricata, aveva invaso la 'proprietà altrui', non so se mi spiego...” Ridacchio. “A proposito... non mi hai detto poi, perché eri convinta che stessi con lei.” Le domando, sinceramente curioso. Quando me l'ha chiesto in piazza sembrava convinta, e non capisco perché.

“Beh... eri praticamente sempre con lei, anche al telefono, costantemente... e poi vi ho... visti baciarvi. Per caso, sotto casa mia, una sera...”

Spalanco gli occhi. “No, no, no! Devi aver beccato il momento sbagliato... mi ha praticamente assalito! Mi ha preso alla sprovvista, ma ti giuro che non ho ricambiato, figuriamoci! Come avrei potuto, se mi sono innamorato di te, non avevo nessuna int-”

“Cos'hai detto?” Mi interrompe Anna, gli occhi che brillano, e solo in quell'istante mi rendo conto di cosa ho ammesso.

Sospiro, raccogliendo il coraggio. “... Che mi sono innamorato di te. Ed è con te che vorrei stare, se... se tu lo vuoi, ovviamente.” Confesso, con un'agitazione che non provavo da tempo.

Lei abbassa lo sguardo, un piccolo sorriso a incresparle le labbra. “Certo che sì... ma solo se mi prometti che proverai a fidarti di più di me, in futuro. Che se dovesse esserci qualcosa che ci fa venire in mente brutti ricordi, nessuno dei due darà di matto. Con questo non voglio dire che non dobbiamo litigare, perché i dissidi capitano, però se riuscissimo a evitare incomprensioni così... Giuro, il pouf non lo toccherò più.” Dice, portandosi una mano al cuore con fare scherzoso.

Io non posso che annuire. “Prometto che ci proverò. Nemmeno io voglio che succedano più casini di questo tipo.” Poi le lancio un'occhiata tra l'imbarazzato e il malizioso. “Anna?”

“Sì?” Chiede, curiosa, inclinando la testa da una parte.

“... Posso baciarti?”

Lei fa una risatina, per poi afferrare il colletto della mia camicia e premere le labbra sulle mie.

“Un passo alla volta, okay?” Mi dice poi con dolcezza.

Io annuisco, tornando a stringerla a me.

So che abbiamo molta strada da fare e altrettante cose da chiarire, ma ci sarà tempo. Voglio fidarmi di lei, so che posso farlo.

Il fatto che adesso, in questo momento, siamo qui insieme lo dimostra.

Solo ieri sera sembrava tutto perduto, invece abbiamo trovato entrambi il coraggio di ammettere che la nostra era stata soltanto paura, ma adesso non voglio più averne.

Procederemo lungo questa strada un passo alla volta, come ha detto Anna.

 

E io sono pronto a percorrerla insieme a lei.

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Capitolo 4
*** Il bambino di Natale - versione 1 ***


IL BAMBINO DI NATALE - versione 1

N/A La parte compresa tra i tre asterischi (***) è la copia del capitolo "Il bambino di Natale - parte 1" nell'altra mia fanfiction 'Life-changing frenzy', che ho inserito perché procede regolarmente come in puntata. Oltre gli asterischi, la parte alternativa. Buona lettura!

 

*** Ormai sono passati un paio di giorni dal ritorno di Anna.

Chiara avrebbe voluto che restasse a casa almeno il giorno successivo, ma lei non ne ha voluto sapere, tornano immediatamente a lavoro.

Stamattina hanno mandato Ghisoni a dirmi di recarmi al piccolo museo per un furto di un'opera di valore perché il mio cellulare dà i numeri. Sono due giorni che non funziona, non riceve niente. Non è nemmeno problema dell'operatore, quindi aspetto che si decida a sistemarsi da solo, non mi va di cambiarlo.

Arrivo sul posto in ritardo rispetto agli altri, ancora cercando di convincere il cellulare a collaborare. Niente.

 

All'ingresso trovo Anna.

“Ehi, ciao,” la saluto. Lei ricambia, un po' nervosa. “Com'è la situazione?”

“Sono appena arrivata... tutto bene?”

“Sì sì sì, tutto bene, qua però sono due giorni che ho il telefono impallato e non mi prende le chiamate.” Le spiego, almeno sapranno per certo perché non mi avevano rintracciato.

“Ah. E i messaggi?”

“No, neanche quelli.” Sono praticamente irreperibile.

“Bene... andiamo.”

La seguo su per la scalinata, ancora a smanettare con quell'aggeggio.

“Ma perché non lo butti? È vecchio... Io lo butterei.” Fa lei a un certo punto, probabilmente già seccata di vedermi uscire pazzo con sto coso. Però no, non c'è bisogno.

“Ma che, me lo aggiustano.”

“Guarda, te lo compro io, non ti si può vedere con questo telefono!”

“Pensi che possiamo andare a lavorare o apriamo un dibattito sulla telefonia?” Le chiedo, ridacchiando. Che ha oggi, contro il mio telefono?

Le si limita a lanciarmi uno sguardo di sbieco prima di proseguire, presentandosi al direttore del museo.

“Ha chiamato Lei il prete?” Domanda. È vero, ho notato anch'io la bicicletta, giù nell'atrio.

“Sì, sono stato io,” conferma Dotti, “seguitemi.”

Lui si avvia e Cecchini che era già lì ne approfitta per commentare. “Lei è fissata che sono io...”

“Sì, ma che c'entra, Don Matteo? Che c'entra?” Ribatte Anna esasperata, seguendo poi il Direttore. Trattengo una risata, incamminandomi dietro di lei.

Il direttore ci spiega che hanno rubato solo la statua del Bambinello, di enorme valore e proprietà della Curia.

Cerchiamo indizi su come possa essere avvenuto il furto, indagando però anche sulla ragazza che è stata colpita durante il tentativo di furto.

Parliamo con il guardiano, padre della giovane, e il suo racconto ci sembra strano, così decidiamo di andare più a fondo.

 

Tornati in commissariato, mi occupo delle questioni burocratiche relative al caso, prima di entrare nell'ufficio di Anna, intenta a parlare con il Maresciallo, per chiederle un chiarimento.

“Scusi... che ci fai col mio telefono?” Chiedo, vedendoglielo in mano.

“Squillava e glielo stava portando,” mi risponde Cecchini.

“Ah... grazie. ma... non c'è nessuna chiamata qua.”

“Strano, 'sti telefoni...”

“Sta dando i numeri 'sto coso, mi arrivano le mail della settimana scorsa. 'Sto coso è rotto.”

“Bene...” Mormora Anna. Come, bene?

La fisso, interdetto.

“No, bene... che ti arrivano le mail, così non le perdi!” Risponde con ovvietà.

Giusto, in effetti.

“Senta Maresciallo, stasera andiamo al Duke a vedere la partita con Chiara. Viene anche Lei, Maresciallo?”

“No, non posso, stasera c'è l'ultima puntata di una fiction, devo vedere chi muore per ultimo.”

“Veniamo io e Giovanni,” esclama Anna.

No, il pretino no. Tutti ma non lui.

Tu vieni a vedere la partita?!” Chiedo, sarcastico. Ma se odia il calcio! È proprio forse la sola cosa che ci fa divergere completamente, questa.

“Allargo i miei orizzonti.” Si limita a ribattere lei. Sì, okay, ma il mezzo prete che c'entra?

Mi informo meglio. “Ah, come va con Giovanni? Ci state riprovando?” Di' di no.

“Perché?”

Che risposta è? Io volevo un sì o un no.

“Beh, non lo so, forse mi sono sbagliato nella prospettiva, ma... no, ho visto che...”

“Cosa?” Chiede lei con un cipiglio confuso.

“Vi stavate baciando! No?” Altro che sbaglio di prospettiva. Sbaglio di persona.

“Ma no... Siamo solo amici.”

Non 'solo amici' come noi due, vero? Vero?

Bussano alla porta dell'ufficio, ed entra Zappavigna con un fascio di rose rosse.

“Capitano, questi sono per Lei,” spiega, consegnandoglieli.

“Che è, il suo compleanno?” Si informa Cecchini, curioso come sempre.

“Veramente... no.”

Io osservo con tanto d'occhi. Non mi dire che il mittente è chi penso io.

“Ah... Giovanni.” Dice infatti Anna in tono piatto, leggendo il bigliettino annesso.

Io tento con tutte le mie forze di mostrarmi indifferente. Tengo gli occhi bassi sul cellulare, ma prima che possa impedirmelo, le parole mi escono di bocca senza che riesca trattenerle.

“Originale... attenta che tra un po' arriva là sotto col mandolino a farti la serenata.”

Bravo, Marco, non si vede che la cosa ti dà fastidio. Proprio per niente. Tu e la discrezione siete cose diverse, non c'è verso.

Dovresti darti una mossa invece di fare lo spiritoso.

Anna non ribatte, comunque non può perché Zappavigna ci comunica che tra i dipendenti del museo, c'è anche Remo Farina.

Il padre di Cosimo, ancora latitante per rapimento.

Ci mettiamo immediatamente in moto per tentare di rintracciarlo, chissà che non sia coinvolto anche in questa storia.

 

***

 

La sera, ecco che arriva il momento della partita.

Partita che, so già guarderò con scarsissima attenzione vista la presenza, più che di Chiara, di Anna e l'ex, Giovanni.

Come cavolo ci siamo finiti qui tutti e quattro non me lo spiego.

Già è difficile per me se ci sono entrambe le sorelle Olivieri, ma se si aggiunge il mezzo prete sono fregato. Ormai ho capito che è ancora innamorato di Anna e chiaramente sta provando a riprendersela, ma non ho ancora capito la posizione di lei al riguardo.

Cioè, appurato che il suo nervosismo delle ultime settimane fosse dovuto al ritorno di Lisi a Spoleto, sono a mani vuote rispetto alla sua ex relazione. In fondo non so davvero se si siano incontrati altre volte, magari mentre io non c'ero, visto che sono pure vicini di casa, ora.

Vero, lei mi ha detto che sono 'solo amici' in ufficio, ma questo non significa che sotto sotto non ci sia altro, magari un ritorno di fiamma. Non lo so, non riesco a decifrarla. Si tiene sempre sulla difensiva quando entriamo in argomento.

Non è che tu abbia tanto diritto di parlare, torna a farsi sentire la vocina ironica, anche se sei innamorato di lei e gliel'hai fatto in qualche modo capire, stai ancora con sua sorella. Lei è libera e può fare quello che vuole. Non le stai dando segni poi così concreti che vorresti stare con lei, visto che ti ostini a non voler lasciare Chiara.

Metto a tacere la vocina-grillo parlante che sinceramente a volte preferirei non avere giusto per non sentire il rimorso a ogni minima cosa, e cerco di dedicarmi alla partita, sorseggiando la mia birra.

Con mio enorme scorno, a un certo punto è proprio Giò a prendere la parola.

“Quando Anna mi ha invitato alla partita, non potevo crederci,” esclama con un sorrisetto soddisfatto.

Io le lancio uno sguardo seccato e godo nel vedere che lei sembra in imbarazzo.

Nemmeno io ci credevo quando me l'ha detto, in ufficio. Indifferente, e poi? Me lo ritrovo davanti e mi devo pure trattenere.

“Sì, in effetti tu odi il calcio...” commenta Chiara. In effetti, quindi che ci facciamo qui tutti e quattro, qualcuno me lo spiega?

“Uno non può cambiare idea?” È la risposta acida di Anna. Va bene se stiamo parlando di calcio. Se parliamo di quello seduto accanto a te, allora no.

“Vabbè, se l'ha cambiata lui, voglio dire...” Proprio non riesco a trattenermi. Tanto convinto prima, e ora torna e pretende che sia tutto come prima? No, mi rifiuto di lasciargli il campo vuoto così. “Giovanni, tu adesso sei convinto? Non è che fai avanti e indietro come Sant'Agostino?” Chiudi. Quella. Bocca. Marco. E che cavolo! Sempre a sproposito.

Chiara fa una risatina, ma capisco che è solo per reggermi il gioco, considerata la faccia tetra dei due colombi.

“No, sono sicuro.” Mi dice lui, guardandomi fisso negli occhi. Poi, con mio profondo orrore la sua mano scivola sulla coscia di Anna in un gesto così naturale che mi fa montare la gelosia a livelli inimmaginabili. “Ho capito che avrei rinunciato a qualcosa di molto più importante.” Afferma poi, rivolto verso Anna, che solleva lo sguardo incrociando il suo.

Non riesco a capire cosa provi lei in questo momento: sembra in imbarazzo, ma potrebbe esserlo per mille motivi diversi. Ma poi, questo qua, proprio ora se ne doveva uscire con le frasi da conquista alla Baci Perugina? Non se ne poteva stare a fare l'eremita in montagna, quella volta?

Io non riesco più a guardarli, così fingo di tornare a vedere la partita. “Ci hai messo un po' a capirlo, però...” Commento, fissando la tv posta in alto.

Te ne dovevi accorgere prima quanto lei fosse importante, Giò.

“Oh!” Tenta di bloccarmi Chiara, ma ormai la mia bocca agisce per conto suo.

“Con cose importanti dici la birra e il calcio? Là, non avete la parabola in seminario, no?” Sì, Marco, complimenti! Guarda che il discorso valeva pure per te! Guarda in che situazione siete per la tua mancanza di coraggio!

“Marco, basta.” Mi dice stavolta Chiara con un tono serio che non le avevo mai sentito prima.

Guardo di sfuggita Anna, e mi rendo conto che forse dovrei provare a tenere più a freno la lingua, perché è evidente che le mie parole hanno ferito più lei che altro. E poi non hai il diritto di comportarti così.

“Io direi che l'importante è che sia tornato. No?” Continua Chiara, cercando di arginare la cosa.

“Giusto,” concorda Giovanni.

Anna non fiata, ma mi lancia un'occhiata che, di nuovo, non riesco a interpretare.

È un misto tra rabbia e soddisfazione che mi fa capire che mi sono legato le mani da solo.

“Facciamo un brindisi,” propone Chiara. “Ai ritorni!”

Sì, possibilmente al ritorno dei miei neuroni. E del mio coraggio che sembra essersene andato in vacanza da quella sera in ufficio per via dell' “errore”.

Avvicino il bicchiere a quello di Chiara, mi trattengo dal dare un colpo secco a quello di Giovanni per farglielo finire addosso, ma quando arriva il turno con Anna siamo talmente distratti, oltre che nervosi per la scenetta di qualche istante fa, che lei si lascia scivolare il bicchiere. Versando però il suo drink sul mio cellulare.

La guardo malissimo.

“Non l'ho fatto apposta,” si giustifica lei, “guarda, te lo ricompro.” Per quanto sia perfettamente vero che è stato un incidente perché eravamo più impegnati a guardarci male che a controllare i bicchieri, la mia rabbia si scarica automaticamente nella risposta acida che le riservo.

“No, ancora, che ricompri! Dammelo, qui c'è tutta la mia vita.”

“Volevo essere gentile,” mormora lei.

Continuiamo a lanciarci occhiatacce per un po', e per la prima volta non riesco nemmeno a godermi la partita come si deve.

Non so nemmeno che hanno pensato Chiara e quell'altro su quella scenata, che per noi aveva assolutamente senso ma per loro no.

Cambiamo argomento, e io mi pento un pochino per come mi sono comportato. In effetti il cellulare non è che funzioni molto, me lo porto appresso per abitudine, ma se non si riprende sarò costretto a ricomprarlo davvero. Non è che l'innaffiatina abbia poi causato chissà quali danni ulteriori.

Rivolgo uno sguardo di scuse ad Anna non appena ne ho l'occasione, e dopo una breve esitazione, lei ricambia con un mezzo sorriso.

Non mi ha perdonato completamente, ma almeno adesso possiamo tornare a rivolgerci la parola e partecipare alla conversazione come due persone ragionevoli.

Lo so, ho esagerato. E non solo per il cellulare. Ma è più forte di me.

 

***

 

Il giorno dopo, quando passo in caserma per vedere se hanno novità, non trovo né Anna né il Maresciallo.

Chiedo come mai non ci siano, pensando che abbiano ricevuto novità sul caso, e invece la risposta che mi danno mi gela dentro: ieri sera il piccolo Cosimo si è sentito male, a quanto sembra è stato colpito da una forma aggressiva di leucemia e non ha molte speranze di sopravvivere; Anna e Cecchini sono all'ospedale da lui.

Torno a casa come uno zombie.

Mi sono affezionato a quel bambino, lo abbiamo fatto un po' tutti vista la sua storia, ma anche per il suo carattere vivace. Per quanto mi riguarda, ho cominciato a volergli bene davvero quando ci ha coinvolti per lo show con Carlo Conti.

Il maresciallo, poi, lo ha preso a cuore e per lui è una sorta di nipotino. Posso solo immaginare come possa sentirsi, dopo aver ricevuto una notizia del genere.

Capisco anche perché Anna sia rimasta con lui: così come Cecchini ha imparato a vederla come una figlia, come mi ha confessato lui stesso appena pochi giorni fa, anche lei lo considera un padre. Come se a entrambi fosse stata data una seconda possibilità. Anna ha perso suo padre, Cecchini ha perso sua figlia. Forse il destino ha voluto far loro un regalo.

È normale che adesso non abbia voluto lasciarlo da solo. ***

 

Mi do da fare nel pomeriggio per la cena di stasera con Chiara, qui a casa mia.

Ormai è quasi ora. Do un'occhiata al cellulare giusto per, ma niente, è ancora morto.

Vado a recuperare i calici per il vino e il piccolo vaso di fiori che avevo preparato poco fa per poggiarli sulla tavola già apparecchiata.

Ho appena terminato di sistemarli quando sento qualcuno bussare alla porta. Sarà Chiara, quindi mi affretto ad aprire.

 

Quando spalanco la porta di casa, però, non è lei che mi trovo davanti.

 

Anna.

 

“Ciao...” Mi saluta. “Posso?”

“Certo, certo, vieni pure...” la invito ad entrare, incerto sul perché possa essere qui a quest'ora. “Ah, ho saputo di Cosimo... Mi dispiace un sacco.” Aggiungo, ricordandomi di quanto mi hanno detto oggi in caserma, per cercare di darle il mio sostegno.

Anna abbassa lo sguardo, avanzando fino al soggiorno. Camminiamo vicinissimi, senza che nessuno dei due faccia niente per allontanarsi.

“Sì, stiamo cercando Farina. È l'unico modo per salvarlo...” Spiega con voce triste. Gli vuole molto bene, dev'essere stata una mazzata anche per lei, questa notizia. Nota la tavola apparecchiata. “Aspetti Chiara?”

“Sì... ma ti va mica di fermarti? Ho fatto il risotto di Città della Pieve, ti ricordi?” Tento, rendendomi conto di quanto vorrei che restasse. Anzi, vorrei che la cena fosse solo per noi due.

Di' di sì.

“Non posso. Sono venuta solo...” Lascia cadere la frase abbassando lo sguardo.

Solo...?

“Che c'è?” Le domando d'istinto, stringendole piano il braccio.

Lei sospira profondamente e io ritiro la mano, chiedendole scusa e temendo di aver oltrepassato un limite che ci siamo silenziosamente imposti da quella sera dopo il drive-in.

Dopo qualche istante solleva lo sguardo. “Ho fatto una cosa stupida,” esordisce, “e volevo dirtelo.”

Io mi limito a ricambiare il suo sguardo. Di cosa sta parlando?

“Ero chiusa in quel furgone... pensavo di morire. E ti ho mandato un messaggio. Un messaggio inutile, stupido, idiota, e non avrei dovuto farlo.”

Io esito un istante, incerto su come comportarmi. “Che messaggio?” Chiedo poi, cedendo alla tentazione di sapere. Cosa può avermi detto mentre... mentre credeva di stare per morire?

Il solo pensiero di quello che stava per accadere mi attanaglia lo stomaco.

Lei non risponde subito, evitando il mio sguardo.

“Non ha importanza. Volevo solo che lo sapessi, che non ho riflettuto prima di inviarlo e che puoi non dargli peso, se dovessi riceverlo... solo questo.” Dice, ma non posso non notare un leggero tremito nella sua voce.

Per qualche motivo, le sue parole non mi bastano. Ho bisogno di sapere.

La conosco bene, ormai, e se mi ha mandato un messaggio in un frangente come quello, sarà tutto tranne che stupido o senza valore.

“Anna,” presso allora, stringendole piano le spalle e obbligandola a guardarmi, impedendole quel passo indietro che so già avrebbe fatto per mantenere la distanza tra noi, “che messaggio?”

Lei fa per divincolarsi. “Te l'ho già detto, non ha impo-”

“Io penso che ce l'abbia,” la interrompo, tenendo salda la presa. Non le permetterò di fuggire adesso.

 

Sto capendo pian piano il motivo per cui ce l'avesse tanto col mio cellulare in questi due giorni, e nonostante quello che mi ha detto cercando di convincermi dell'inutilità del suo messaggio, adesso sono certo che deve aver scritto qualcosa di importante.

 

“Se così non fosse, non saresti venuta a dirmi di ignorarlo.”

Finalmente solleva lo sguardo, e quei suoi magnetici occhi verdi incontrano di nuovo i miei. Le mie parole devono averla colta alla sprovvista, e questo momento di distrazione mi consente di leggere nelle sue iridi quello che non vuole dirmi a voce alta.

“Io...”

Non la lascio continuare, non ce n'è bisogno, così la bacio.

Lei perde appena l'equilibrio al mio gesto inaspettato ma io mi affretto a passarle le braccia intorno alla vita, e dopo un attimo di esitazione la sento rilassarsi e ricambiare il mio gesto, le sue mani che salgono leggere sulle mie spalle aggrappandosi ad esse.

È un bacio intenso, dolce e meraviglioso. Ha un sapore diverso dal primo, è più consapevole, voluto. Desiderato. E c'è dentro tutto quello che c'è stato tra noi in questi mesi passati a obbligarci a stare lontani l'uno dall'altra.

Quando ci separiamo, le accarezzo una guancia arrossata con la punta delle dita. Lei chiude gli occhi, assaporando quel contatto.

Vorrei dirle tante di quelle cose che non so da dove cominciare. E nonostante abbia intuito il contenuto del suo messaggio, vorrei tanto sapere le parole che mi ha scritto.

Sto per aprir bocca quando la vedo spalancare gli occhi e allontanarsi di qualche passo da me, portandosi una mano alle labbra.

“Che cosa abbiamo fatto...” mormora, un'espressione sgomenta sul suo viso diventato di colpo pallido. “Chiara!”

All'improvviso l'intera faccenda mi piomba addosso come un macigno. Da quando Anna è entrata dalla porta di casa, non ho pensato a nient'altro se non a lei. Come succede ogni volta che siamo da soli. Come quella volta dopo il drive-in.

Eppure non riesco a sentirmi completamente in colpa. So di essere egoista, ma tornassi indietro lo rifarei senza ombra di dubbio. Anna però evidentemente non è del mio stesso avviso, per ovvie ragioni. Vederla farsi prendere dal panico non è una cosa a cui sono abituato, ma tento comunque di calmarla.

“Anna...” provo a dire facendo un passo verso di lei, che però alza le mani impedendomi di avanzare oltre.

“No... non posso, io... Non avremmo dovuto... Mi dispiace...” Farfuglia, e prima che io possa far altro, lei gira i tacchi e va via, uscendo da casa mia in tutta fretta e lasciandomi impalato da solo in soggiorno, la mente in subbuglio.

 

E adesso?

 

Chiara's pov

 

Questa sera sono a cena da Marco.

A dire il vero sono un po' incerta su come comportarmi con lui, vista la sua palese gelosia di ieri sera per mia sorella alle parole di Giovanni.

Non sono stupida, l'ho intuito che prova qualcosa per Anna.

E anche lui non le è indifferente.

Quello che non capisco è il perché ci troviamo in questa situazione, perché sto io con lui e non lei.

Ma ci penserò a tempo debito, per il momento decido di godermi la serata.

Sto per svoltare l'angolo del vicolo che porta a casa sua quando sono costretta a fermarmi di botto, e appena in tempo.

 

Anna.

 

Mia sorella si è appena chiusa il cancello di casa di Marco alle spalle, un'espressione sconvolta sul suo viso. La vedo restare un momento immobile mentre si sfiora le labbra con le dita, prima di inspirare a fondo e riprendere a camminare a passo svelto nella direzione opposta alla mia.

Resto a fissarla ancora qualche istante, senza accettare completamente quello che ho appena visto.

Che ci faceva qui, lei? E perché era così scossa? Lei non perde mai il controllo, eppure poco fa lo ha fatto.

L'unico modo per capirci qualcosa in più è entrare. Dal comportamento di Marco posso intuire cos'è successo tra loro per turbare Anna così tanto. Se è accaduto quello che sospetto.

Prendo un bel respiro e busso, cercando di essere più naturale possibile e di comportarmi come sempre.

 

“Ciao!” Saluto Marco quando mi apre, abbracciandolo con trasporto come faccio ogni volta, ma lui sembra paralizzato e non ricambia come fa di solito.

“Qualcosa non va?” Gli chiedo, guardandolo fisso negli occhi.

“No, no, è che... stavo pensando a Cosimo, sai, il bambino che sta da Don Matteo...” Si affretta a negare lui, ma è chiaro che si tratta di una scusa, almeno in parte.

“Ah, sì, ho saputo, me l'ha detto mia sorella... povero piccolo, che cosa terribile...”

Vedo un'ombra attraversargli il volto quando nomino Anna, e mi rendo conto che la cosa dev'essere seria.

Mi invita ad accomodarmi ma è distratto, sembra avere la mente altrove.

Iniziamo a cenare e chiacchierare senza che io riesca a coinvolgerlo più di tanto. So benissimo che non ha ascoltato quasi una parola di quello che ho detto, quindi ne approfitto per girare il discorso verso un senso ben preciso: mia sorella.

“...e sai, pensavo che se Anna ha invitato Giovanni a uscire con noi, ieri sera, forse si è finalmente decisa a dargli un'altra possibilità.”

Al solo sentire quel nome lui solleva la testa di scatto.

“Dici?” Biascica, tentando di suonare indifferente ma fallendo miseramente.

“Sì... poi dopo quella cosa che le ha detto lui ieri sera... sai che ho scoperto che, subito dopo essere tornato, Anna gli aveva chiesto perché avesse cambiato idea? Lui inizialmente aveva dato una risposta vaga, poi a quanto pare ci aveva ripensato e si è presentato alla porta di casa di mia sorella dicendole che in realtà era tornato per lei, che aveva capito di aver commesso un errore perché stare senza di lei lo rendeva incompleto e che si era reso conto di amarla ancora. E che avrebbe fatto di tutto per lei.”

“Non... non lo sapevo, no.” Mormora con voce roca. Ed è solo l'inizio.

“Per questo dico che forse finalmente si è convinta. C'è stata malissimo quando lui le ha detto che voleva entrare in seminario, e sinceramente ha tentato di tutto per fargli cambiare idea, pure cose che non sono affatto da lei, tipo indossare quei vestiti... Ti ricordi, quello nero quando è venuta a cena con te? O quell'altro rosa di quella mattina?” Gli domando spudoratamente, e vedo il panico invaderlo quando capisce che mi aspetto una risposta.

“Sì, me lo ricordo.” Si limita a dirmi con lo stesso tono di prima.

“Eh! Però Giovanni sembrava convinto... Invece a quanto pare non lo era così tanto. Ora che è tornato, magari anche lei si renderà conto che ci possono riprovare. Che è stata una specie di pausa. Sanno qual è stato il problema la prima volta, no? Possono evitare di fare lo stesso errore.” Infierisco.

“Mh...” mormora lui senza convinzione, giusto per partecipare. Ma io non ho ancora finito, voglio che abbia una qualche tipo di reazione che mi permetta di capire bene.

“Dopotutto, sono stati insieme cinque anni, mica un giorno. Si conoscono dalle superiori ma erano in classi diverse, hanno iniziato a legare di più all'università perché si sono iscritti allo stesso corso. Hanno iniziato a frequentarsi solo al terzo anno, e si sono messi insieme dopo che Anna è entrata all'Accademia. Anche se per poco hanno vissuto insieme, nemmeno mia madre lo sa, e poi hanno superato una relazione a distanza visto che lui ha continuato per diventare avvocato e lei ha intrapreso il percorso per diventare Capitano... certo, ci sono state incomprensioni, ma ora vivono nella stessa città. Funzionerebbe senza problemi secondo me. Anna era davvero innamorata di Giovanni, e mia sorella non è una che ammette di amare qualcuno tanto facilmente, anzi praticamente 'ti amo' lo ha detto solo a lui finora...” Faccio una pausa, prima di dargli il colpo di grazia, “Gli ha dato praticamente tutto... è solo questione di tempo, ma sono sicura che torneranno insieme. Mi sembra veramente deciso, lui, stavolta.” Marco è diventato bianco come un cencio al sapere queste cose, ma non ho ancora terminato il mio discorso. “Magari può sembrare scontrosa con lui, far credere che non le importi nulla di quello che le ha detto, ma mia sorella è fatta così, non dimostra mai niente di quello che prova davvero. Magari ha anche involontariamente dato corda a qualcuno in questo periodo, ma probabilmente l'ha fatto per evitare di pensare a lui...”

A questo punto lui non resiste e posa la forchetta sul tavolo con forza.

“Tu che ne dici?” Gli domando innocentemente, fingendo di non aver notato il suo gesto.

“Anna non ha intenzione di tornare con lui,” mormora senza guardarmi, “non dopo esserci stata così male, e poi mi ha detto che sono solo amici.”

Davvero? Quando?

“Sì, beh, forse... però si sono baciati quand'è tornata dopo il rapimento. Non mi sembrava un gesto 'da amici'.” Infierisco. Poi decido che voglio sapere. “Come mai mia sorella è venuta qui, prima?”

Marco solleva lo sguardo, interdetto. Non si aspettava un'uscita del genere. “E non dirmi che si trattava di lavoro, perché Anna aveva una faccia sconvolta.”

Lui non risponde. È chiaro che non sa come giustificarsi, così continuo, perché voglio che lo ammetta. “Lei non si scompone facilmente, ma quell'espressione lasciava poco spazio al dubbio. Vi siete baciati, vero?”

Non può che essere questo il motivo. Spiegherebbe il suo gesto fuori dal cancello, e la distrazione di Marco. E il fatto che lei sia corsa via in quello stato.

“... sì.” Ammette infine lui. “Non devi prendertela con lei, però. È colpa mia, sono stato io a baciarla. Lei ha subito pensato a te, ed è andata via.”

Io sospiro pesantemente, cercando di trattenere le lacrime. Avevo capito che c'era qualcosa, ma sentirmelo dire così è tutto un altro discorso.

“Perché non me l'hai detto prima, che sei innamorato di Anna? Sì, lo so che ami lei, l'ho capito da un po'... Ma avreste potuto essere sinceri, tutti e due! È venuta qui per questo, no? Per parlare del tuo comportamento di ieri sera! Anche lei si sarà accorta che eri geloso, ed è venuta a dirtelo. E vi siete baciati.”

“In realtà non proprio, ma... Chiara, mi dispiace. Non ho mai avuto intenzione di prenderti in giro. Mi sono comportato male, hai ragione, ho cercato di dimenticare tua sorella, ma... sono successe troppe cose. E troppe incomprensioni che ci hanno portati a questo punto...”

“Avreste potuto dirmelo. Sia lei che tu. Capisco che tu possa aver avuto le migliori intenzioni, ma resta il fatto che stai con me ma ami lei. E lei lo sa.”

“Mi dispiace. Davvero...”

“Lo so. Avevo capito che tra noi non sarebbe durata, ma non pensavo di chiuderla così.”

Marco abbassa lo sguardo. Sentirsi in colpa è il minimo che può fare. Voglio dire, non mi ha mai trattata male, non mi ha trattata da stupida, ha cercato seriamente di impegnarsi con me. Ma l'amore è un'altra cosa.

“Io... è meglio se la cena la chiudiamo qui. Non posso dirti che non ci vedremo più perché non penso a questo punto sarai così idiota da farti scappare mia sorella, ma ho bisogno di un po' di tempo per accettare la cosa.”

“Certo... allora, ciao...” Mormora lui con un ultimo sguardo di scuse.

 

Mi affretto ad uscire, consapevole che adesso mi aspetta la parte più difficile: affrontare Anna.

Anche lei mi deve delle spiegazioni. Per quanto Marco continuasse ad assumersi tutte le responsabilità della cosa, anche lei qualche colpa ce l'ha. Non è stata sincera con me.

 

Quando apro la porta di casa, prendo un bel respiro. Litigare con lei è l'ultima cosa che voglio, ma è necessario.

“Ehi! Come mai già a casa?” Mi chiede non appena mi vede entrare. La sua espressione non tradisce nulla. Per un attimo sono tentata di inventare una balla e rimandare la discussione a domani.

Solo che io sono stanca di continuare a fare finta di niente con tutti e due, quindi decido di tirar fuori tutto in una volta.

“Perché non mi hai detto che sei innamorata di Marco?”

Anna spalanca gli occhi.

“... Cosa?”

“Non provare a negare, per favore. Io e Marco ci siamo lasciati. Anche lui è innamorato di te, e tu lo sai.”

“Mi dispiace...” Mormora anche lei, remissiva.

Io scuoto la testa. “Perché non me l'hai detto? Se fossi stata sincera con me tutto questo non sarebbe successo!” Dico in tono accusatorio.

Noto un'ombra passare sul volto di mia sorella, e capisco che per qualche motivo si sta arrabbiando.

“Forse se tu avessi prestato un minimo di attenzione, l'avresti capito da sola.” Risponde, la voce che trema appena.

Io mi trovo costretta ad abbassare lo sguardo.

In effetti, se ci penso, troppo spesso Anna mi ha fatto domande sulle mie uscite con lui, e su cosa stessi combinando. E poi non ho tenuto in conto le loro serate insieme, e anche quando siamo usciti tutti e tre loro avevano la tendenza a starsene attaccati.

“E poi, proprio tu non puoi parlarmi di sincerità in questo contesto. Non mi sembra che tu lo sia stata molto con lui, o sbaglio? Perché da quello che mi risulta, a te il calcio non piace, come non piace a me, e non sai cucinare, tra le altre cose. A Marco hai detto il contrario di tutto. Quindi non venirmi a dire che io ti ho mentito. Non sai cos'è successo. E io mi ero messa da parte per te.”

“Sì, certo. Perché una che si mette da parte bacia il fidanzato di sua sorella.” Ribatto, incrociando le braccia. “E e va da lui per fargli notare quanto la sua gelosia fosse palese ieri sera? Non mi sembra proprio. Ti ho vista uscire dal cancello di casa sua. E che vi siete baciati me l'ha confermato lui.”

Lei chiude gli occhi come per calmarsi.

“Sì, è vero. Ci siamo baciati. Ma non per il motivo che credi tu, non sono andata per quello che è successo ieri sera.”

Fa un sospiro prima di tornare a guardarmi, gli occhi un po' lucidi.

“Quando... quando mi hanno rapita, quando ero chiusa in quel furgone... la gru lo aveva afferrato per metterlo nella pressa. Pensavo che sarei morta. Sapevo che il cellulare non prendeva, ma è stato più forte di me. Gli ho mandato un messaggio. Gli ho scritto che lo amo.”

Stavolta è il mio turno, di sbarrare gli occhi. “Cosa...?”

“Solo che poi, con tutto quel trambusto me ne sono dimenticata. Me lo sono ricordata ieri mattina, e ho scoperto che, nonostante nel furgone il cellulare si fosse scaricato, il messaggio si è inviato da solo quando l'ho messo a caricare. Ma a Marco non è arrivato perché il suo telefono sta dando i numeri. E io non volevo rovinare le cose tra voi. Così ho deciso di andare da lui e dirgli di ignorarlo, nel caso lo dovesse ricevere. Non gli ho detto cosa avevo scritto, se è questo che stai pensando,” precisa nel notare la mia espressione incerta, “gli ho detto che era un messaggio stupido. Ma non mi ha creduta. E poi mi ha baciata.”

“E perché non ti avrebbe creduto?”

“Perché non avrei potuto mandargli un messaggio stupido in punto di morte, non dopo tutto quello che è successo tra noi.”

Sotto il mio sguardo incredulo, mi racconta di come lui le sia stato accanto quando la sua storia con Giovanni è finita, del gelato in ufficio, dell'episodio con la sua ex, del bacio una sera qui a casa. Di come lei abbia avuto paura, etichettandolo come un 'errore', delle lezioni di cucina e le uscite. La cena andata male. Il drive-in. Di come, quando io le ho fatto capire di essermi innamorata di Marco, lei abbia deciso di farsi da parte perché io ero felice. Del fatto che non abbia voluto dare altre possibilità a Giovanni perché non lo ama più. Della riflessione con Don Matteo nel furgone. Della reazione di Marco alle affermazioni di Giovanni di volerla riconquistare.

Tutta la storia, dall'inizio alla fine.

Io sono senza parole. Come ho fatto a non accorgermi di niente?

“Io... non avevo capito. Anna... mi dispiace.”

“Non importa. Non più. Ormai è andata.” Mormora, lo sguardo a terra.

“Cosa, 'è andata'? Perché credi che ci siamo lasciati? Io non posso stare con un uomo che non prova nulla per me, e che ama mia sorella. Dopo tutte le cose che mi hai raccontato... Anch'io ho sbagliato, sia con lui che con te. Con lui, perché ho finto di essere ciò che non sono, gli ho fatto piacere l'idea di me. E con te perché non mi sono accorta di niente. Avrei dovuto capirlo, ti conosco, eppure...”

Anna scuote piano la testa. “Lascia stare. Mi dispiace di averlo baciato. Non volevo tradire la tua fiducia.”

“Sì, ma sei andata via. Marco è stato chiaro al riguardo, gli hai detto che non potevate. Mi ha detto più volte che non era colpa tua, che non c'entravi. Non voleva che litigassimo.”

Lei fa un mezzo sorriso. “Ognuno di noi ha la propria parte di colpa, per i propri motivi... Vedi, che anche io so combinare casini?”

“Pure belli grossi...” Ridacchio anch'io. “Mi sa che ci vuole un po' di gelato, mh? Cioccolato e panna. Me ne occupo io.”

 

Vado a prendere la vaschetta di gelato in freezer, e penso che non sarà facile accettare questa situazione. Ora che so come stanno le cose, non mi metterei mai in mezzo. So che si amano, ma sarà difficile vederli insieme. Ma mi abituerò, e col tempo passerà. Anna per me l'ha fatto. Adesso tocca a me.

 

Marco's pov

 

Per tutta la notte non ho potuto far altro che pensare a quanto successo. Al bacio con Anna, la rottura con Chiara, e il loro probabile litigio per causa mia.

Se solo quella sera non mi fossi fatto prendere dal panico per quel maledetto pouf, tutto questo non sarebbe mai successo.

Ripenso al messaggio.

Ho bisogno di sapere cos'ha scritto. Devo, a questo punto, ma so che lei non me lo farebbe leggere mai.

Quando arrivo in caserma, sono incerto su come comportarmi.

Per mia fortuna, non la trovo in ufficio e mi dicono sia dovuta scendere giù agli archivi per non so quale motivo.

Noto il suo cellulare sulla scrivania.

Esito per qualche istante, poi mi avvicino e lo afferro, guardingo. So che non dovrei, ma ho bisogno di sapere. Scorro tra i messaggi inviati alla ricerca di quello destinato a me.

“Che sta facendo?” Sento chiedere, e per poco non mi faccio scivolare il telefono dalle mani.

Cecchini. E ti pareva. E ora che gli dico?

“No, nulla, io...”

“Che fa, legge i messaggi al Capitano?”

“No, stavo...” Esito. Poi rifletto un secondo: è chiaro che lui ha capito tutto, a giudicare dalle battute che spesso e volentieri mi ha rivolto. Quindi decido di optare per la verità.

“E va bene. Anna mi ha detto di avermi mandato un messaggio, quand'era chiusa nel furgone, ma non mi è arrivato perché il mio cellulare non funziona. Mi ha detto che si tratta di un messaggio stupido, ma io non le credo. Ho bisogno di sapere cosa c'è scritto.”

Lui mi fissa con un'espressione consapevole. “E perché ci tiene così tanto, se lei ha detto che è stupido?”

“Non può essere stupido, un messaggio mandato in punto di morte. Maresciallo...” confesso, infine, “per me Anna non è solo una collega, o un'amica... io... provo qualcosa per lei.”

Cecchini accenna un sorriso. “L'avevo capito, sa? Però, pure Lei, che si mette con la sorella del Capitano...”

“Ci siam lasciati. L'ha capito anche lei. Solo che adesso non so cosa fare.”

“Glielo dice, no? Quello che prova per lei!”

“Sì, ma... se loro due dovessero aver litigato per colpa mia? Se non mi volesse più vedere?”

“Se non prova non lo sa... Facciamo così: intanto Lei viene con me a cercare un abete, e poi ci pensiamo.”

 

Mi trascina con lui nell'improbabile impresa, che ovviamente va male. Come si fa, a trovare un abete ad agosto? Siamo costretti a prendere una palma.

Già mi immagino i commenti in caserma.

Quando arriviamo lì davanti, chiamo Ghisoni e Barba per farmi dare una mano a portarla su. Loro la posizionano temporaneamente nell'ufficio di Anna mentre io mi fermo a prendere un bicchiere d'acqua. Alzando lo sguardo, vedo arrivare Anna con un fascio di carpette in mano.

“Ehi...” la saluto, in imbarazzo, considerando il modo in cui ci siamo lasciati ieri sera.

“Ciao...” Mormora lei di rimando, arrossendo.

Bene, e ora? Non potete comportarvi come due adolescenti! Trova il modo per parlare con lei di quanto successo, da soli. Per adesso però c'è un dettaglio ingombrante nel suo ufficio, di cui dovresti informarla.

“Ehm... Stamattina quando sono arrivato non c'eri, mi hanno detto che eri giù... e Cecchini mi ha trascinato a cercare l'abete. Solo che... forse è meglio che vieni a vedere...” Biascico, indicando il suo ufficio. La sua espressione si fa incuriosita. “Mi devo preoccupare?” Chiede, ma io mi limito a fare strada: capirà da sola.

 

Infatti, quando apre la porta del suo ufficio, la sua battuta è inevitabile.

“Bella. Fa tanto Natale ai Caraibi.”

“Sì, beh, l'ha pensato pure il tizio al vivaio. Ci ha presi in giro alla grande, quando gli abbiamo chiesto un abete...”

“Il fatto è che... può sembrare una situazione assurda finché non ne conosci il motivo.”

Questa sua frase mi fa pensare, e decido di cogliere al volo l'occasione.

“Anna, senti, riguardo a ieri sera... Immagino che Chiara ti avrà detto tutto. Io... era arrabbiata, e spero che non abbiate litigato, perché non ha motivo di prendersela con te. E riguardo quello che è successo tra noi-”

“Il rapporto del RIS,” ci interrompe Cecchini, entrando senza bussare. “Ma... disturbo...?” Chiede, lanciandomi uno sguardo di sbieco.

Noi ci affrettiamo a negare, rimandando la conversazione a un'altra volta. Spero non troppo lontana, stavolta non voglio rischiare altre incomprensioni.

 

Quando Anna legge quel documento, risulta evidente che in questo caso c'è qualcosa che non va: un finto scasso, un depistaggio.

Arriviamo alla conclusione che dev'essere stato il custode ad aprire a Farina. Viene fuori che anche sua figlia era complice, non era lì per cenare come aveva detto inizialmente.

 

Se è vero che una parte del caso è stata risolta, resta da trovare Farina e recuperare la statua del Bambinello.

 

***

 

Riusciamo a rintracciare Farina, e ci affrettiamo a convocarlo in ufficio per l'interrogatorio.

Cerca di mentire facendo l'evasivo, ma stavolta è Anna la prima a stancarsi. Confermiamo il fermo intanto per il rapimento per il quale era ricercato, promettendogli che il resto non verrà lasciato impunito.

Prima che possa andare via, però, Anna si incarica di raccontargli della situazione di Cosimo.

Con nostro enorme shock, lui si rifiuta di presentarsi per la donazione del midollo, dicendo che tanto sarebbe stato inutile dare una speranza inesistente. Siamo costretti a lasciarlo andare con grande disperazione del maresciallo, che non si arrende e lo segue di sotto.

“Anna... non possiamo far niente, noi,” le dico tentando di consolarla, quando anche lei si alza.

“Non è per Farina, ma per Cecchini... c'è anche altro che lo coinvolge in questa storia.” Mi confessa senza però entrare nei dettagli, affrettandosi a correre dietro al Maresciallo.

Uno sguardo dalla finestra mi fa notare di come alla fine si occupi lei di lasciare Farina all'auto dell'Arma cosicché venga portato in carcere, dopo che il maresciallo aveva ceduto ai nervi.

Qualunque cosa sia, mi dà un'ulteriore conferma del forte legame che si è venuto a creare tra loro.

 

***

 

Quella sera stessa, Cecchini convoca me, Ghisoni e Barba in canonica, dove al mio arrivo sono già tutti presenti. Oltre noi, ci sono sua figlia Assuntina con Zappavigna – tornati insieme dopo il malinteso del bambino – Sofia e Seba, e naturalmente Natalina e Pippo. Anna non è venuta perché stasera era di turno e staccherà più tardi quando noi avremo di sicuro terminato, ma anche lei ha dato la sua disponibilità a collaborare a qualsiasi cosa.

Cecchini inizia a spiegarci il piano per il “C-Day”, ovvero il tentativo di far arrivare Cosimo dall'ospedale alla chiesa in Piazza Duomo facendo addobbare le vetrine con lucine e oggetti di Natale, con le luminarie per le strade e la gente vestita come se fosse inverno. Tutto per continuare a far sì che il bambino pensi di essere a dicembre. Per me continua ad essere una pazzia, e ho l'impressione che nessuno accetterà. Spero di sbagliarmi.

 

Comunque sia, il maresciallo mi obbliga ad accompagnarlo dal Sindaco il giorno dopo per far mettere le luminarie.

Gira e rigira, mi mette sempre in mezzo.

 

Accetto distrattamente, perché proprio in quel momento il mio cellulare inizia a squillare: a quanto pare sta riprendendo a funzionare, e i messaggi, le chiamate e le mail dell'ultima settimana stanno arrivando tutti insieme.

I messaggi.

Il messaggio di Anna.

Mi affretto a cercarlo tra quelli non letti, senza più prestare attenzione a quanto stanno dicendo gli altri attorno al tavolo o a qualcuno che sta salutando per andare via.

Quello che leggo mi fa fermare il cuore.

Ho finalmente capito tutto di noi...ma forse non potrò mai dirtelo. Anche se sei l'uomo più impossibile che conosco e fai un pessimo brasato... IO TI AMO!!

 

Mi ama.

Ha scritto che mi ama!

 

Ecco perché mi ha detto di ignorare il messaggio se l'avessi ricevuto...

 

Mi ama.

 

A questo punto non resisto, devo andare da lei.

Mi scuso con tutti, dicendo di aver avuto un imprevisto ma che darò una mano per il Natale di Cosimo, promettendo a Cecchini di andare con lui dal Sindaco domani mattina, poi vado di corsa da Anna.

 

Passa qualche istante prima che lei apra, e sembra che questo tempo sia infinito.

Quando spalanca la porta, capisco che è sorpresa di trovarmi lì. Dev'essere rientrata da poco, ha ancora i capelli attorcigliati sulle punte, li avrà slegati adesso. Mi rivolge uno sguardo incerto.

“Marco... ciao. Non sei andato in canonica col Maresciallo?”

“Sì, ma sono andato via prima. Posso?” Le chiedo, visto che siamo ancora fermi all'ingresso. Mi lascia entrare subito, nervosa.

“È... è successo qualcosa?”

“In un certo senso... sì.”

Ora o mai più.

“Il mio brasato è buonissimo,” Anna spalanca gli occhi, intuendo immediatamente a cosa mi riferisco, “e... all'inizio ti odiavo, mi stavi antipatica, ma tanto...” Le sembra sbloccarsi e ride alle mie parole, e per me è solo uno stimolo ulteriore per continuare. “E poi ho capito... che tu sei una intelligente, sei tosta, sei determinata... ma sei anche sensibile, emotiva...” continuo, accennando alle lacrime che vedo luccicare nei suoi occhi verdi che adesso brillano più che mai, “e sei una che davanti al male si sa ancora commuovere. ...E ti amo anch'io.”

“Se mi ami, perché... per-... Quella sera...”

Io le lancio uno sguardo divertito. Lo sapevo che saremmo andati a parare là, ma stavolta le spiegherò ogni cosa. Non ha più senso nascondersi. Non sarebbe stata lei se non avesse chiesto.

“Ti ho preparato la cena... io,” sottolinea con un sorrisetto, “sono venuta a casa tua, eravamo da soli... perché te ne sei andato?

Le prendo il viso tra le mani continuando a guardarla negli occhi, colmi di dolcezza nonostante la domanda. “Non sarei dovuto scappare, quella sera. Ho avuto paura quando hai spostato quel pouf in mezzo alla stanza, perché la mia ex ha iniziato a distruggermi buttando quello e finendo per buttare anche me perché ero cambiato, ma è stato un gesto insensato da parte mia. È stata una paura stupida, quella di cambiare di nuovo. Io sono già cambiato, per merito tuo, e insieme a te. E vorrei continuare su questa strada, se... se non è troppo tardi?”

Mi affretto ad asciugare una lacrima che le sfugge al controllo, ma il suo sorriso dice tutto. Annuisce, senza riuscire a parlare.

Ma non c'è bisogno di altre parole, adesso.

Così mi avvicino, posando le labbra sulle sue.

Stavolta è un bacio che può esprimere tutto l'amore che proviamo l'uno per l'altra.

Senza limiti, paure o incomprensioni.

Solo amore.

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Capitolo 5
*** Dimmi chi sei ***


 

DIMMI CHI SEI


N/A La parte compresa tra i tre asterischi (***) è la copia del capitolo 'Dimmi chi sei' nell'altra mia fanfiction 'Life-changing frenzy', che ho inserito perché procede regolarmente come in puntata. Oltre gli asterischi, la parte alternativa. Buona lettura! 

*** Questa settimana con Anna abbiamo fatto un po' un cambio di programma, e le lezioni di cucina le abbiamo fatte a casa mia. Mi seccavo ad uscire, sinceramente, ormai ero comodo con i miei bermuda già in versione estiva, così ho convinto lei a venire. Per farmi perdonare però una di queste sere ho cucinato io per lei, mettendo la lezione in stand-by. Visto che avevo il pomeriggio libero, ho preparato il brasato, con la promessa di insegnarglielo.

 

Anche per questo, mi chiedo che ho fatto di male.

Sono giorni che Diana, la veterinaria di Patatino mi chiama ogni due e tre per darmi dei consigli su come accudirlo meglio, ma ho la netta sensazione che più che altro mi chiami perché si è fissata con me, più che col mio cane.

Cosa molto simpatica, il maresciallo me l'ha appena fatto notare che secondo lui è una 'spasimante'.

Maresciallo, la prego. Quando si mette in mezzo lei succedono sempre casini. Io non voglio avere niente a che fare con questa donna, non da quel punto di vista.

Se proprio vuole aiutarmi, mi lasci più spesso da solo con Anna. Non che glielo chiederei mai, eh.

Eccola che chiama un'altra volta. Ma se se n'è andata tre secondi fa? Forse non dovrei rispondere.

 

Sto sbrigando alcune faccende quando mi avvisano di un omicidio. So che Anna e gli altri sono già andati a fare i rilevamenti del caso, quindi decido di chiamare direttamente lei per vedere se ci sono novità urgenti.

E perché vuoi una scusa solo per chiamarla.

Zittisco questa voce e aspetto che risponda.

Marco? Pronto?”

“Ehi, Anna, ciao. Mi hanno appena chiamato per informarmi del caso. Tutto ok? Siete già stati sul posto?”

Sì,” mi risponde, “appena arrivi in caserma ti aggiorno...”

“Perfetto, allora a dopo!”

Ciao!” mi saluta, la voce quasi un sussurro.

 

Una parte di me è tentata di correre lì, ma mi trattengo e continuo a fare quello che stavo facendo prima.

Quando arrivo in caserma, saluto velocemente gli altri carabinieri e la raggiungo in ufficio, portandole un caffè.

“Ehilà,” le dico con un sorriso.

“Ehi, eccoti... grazie, ne avevo bisogno,” risponde lei quando le porgo il bicchiere.

“Figurati... quindi che è successo?”

Mi relaziona sul caso, e stiamo proprio uscendo dal suo ufficio quando mi chiama Diana. Ignoro la chiamata, riprendendo la discussione con Anna, nuovamente interrotta dal cellulare.

“Dottore, risponda, no? Non si fanno attendere le donne!” S'intromette Cecchini. E quando mai. Non davanti ad Anna!

Mi rassegno a rispondere, cercando di farla breve dicendole che sono a lavoro, ma niente. Mi dice anzi che la visita per Patatino possiamo fissarla al pomeriggio successivo, e io le suggerisco di fargli il trattamento completo di quella terapia di cui mi aveva parlato, così magari mi lascia in pace per un po'. Peccato che poi ci aggiunga un 'trattamento per me' che non mi convince molto. Dopo dieci minuti buoni finalmente mi molla, e tornando in ufficio scopro che hanno trovato una sospettata, che hanno già convocato e che arriverà a breve.

 

Quando la interroghiamo, Anna le si siede vicina. Ancora una volta, dimostra di avere un grande intuito e molta sensibilità verso ciò che potrebbe aver spinto una madre a cercare vendetta verso il potenziale assassino della figlia data per scomparsa dieci anni prima. Così la donna ci racconta tutto, e purtroppo ci sono tutti gli elementi per accusarla dell'omicidio dello chef.

Mentre Cecchini afferma, malinconico, che è impossibile superare la scomparsa di un figlio, entra in caserma nientemeno che Diana con Patatino al guinzaglio.

Non capisco perché me lo abbia riportato lei quando sarei potuto passarlo a prendere io più tardi, e mi dice decisamente per vedermi, prima di aggiungere che era in giro per un'emergenza con una cavalla e lanciandosi in dettagli che sinceramente avrei preferito non sentire. Poi mi trascina giù per parlare del trattamento che dovrei fare al cane.

Come se già non fosse abbastanza, ci raggiunge pure il maresciallo che infierisce e quella mi trascina con lei per delle presunte coliche che avrebbe in corso Patatino.

Ma che sono, io, un giocattolo, che mi sballottate di qua e di là? Ma non me ne potevo stare tranquillo con Anna? Ehm, cioè, in caserma?

 

La sera, sto facendo la mia consueta passeggiata con Patatino quando spunta fuori dal nulla proprio Diana, guarda caso pure lei a fare una passeggiata serale.

Questa cosa inizia ad essere inquietante.

Poi comincia a farfugliare cose senza senso, e prima che capisca cosa stia succedendo, quella mi bacia.

Io mi tiro immediatamente indietro.

“No, scusa, eh, abbi pazienza... io credo che ci sia un fraintendimento, però...” Cerco di allontanarla con più gentilezza possibile. “Io ti apprezzo un sacco come donna, come professionista non ne parliamo, una grandissima... ma io non ti vedo... in quella maniera, insomma...” Vedo già un'altra, in quella maniera... “Mi dispiace...” Tento di metterle una mano sulla spalla quando quella si ritrae, e mi dà l'impressione di un animale selvatico.

“Non mi toccare! Tu mi hai illuso, ma io non mi faccio trattare così, è chiaro?” Mi dice, con un tono che non minaccia nulla di buono, prima di andare via.

Io sono troppo scioccato, e ammetto di avere un po' paura.

“Vieni, Patatino, facciamo il giro di qua, va,” me lo tiro dall'altra strada, ancora esterrefatto.

 

***

 

La mattina dopo, faccio per uscire con la moto quando mi rendo conto che è ricoperta di... sterco di mucca. Oltre che inciso sul sedile “è solo l'inizio.”

Mi affretto a pulirla meglio che posso, prima di correre in caserma, furioso.

“È una stalker, questa!” faccio, col maresciallo a cercare di calmarmi. “Legga queste parole! 'Non ti libererai di me! Me la pagherai, io ti vedo!' Come faceva questa ieri sera a sapere che io sarei passato di là?”

“Perché Spoleto è piccola!” Si giustifica.

“Vado dal meccanico a far aggiustare la moto e poi a farla disinfettare, se ci sono novità sul caso avvisatemi, eh?” Faccio a voce alta, notando Anna uscire dal suo ufficio. Non l'ho nemmeno salutata, spero non se la sia presa.

Le spiegherò, ora devo pensare alla mia moto.

Quando più tardi interroghiamo una ragazza che è stata licenziata dal ristorante dopo una finta promessa di lavoro. Scopriamo che faceva uso di droga. Lei sembra stupita del fatto che noi ne siamo sorpresi, anche se noto che Anna la guarda in un modo che non riesco a decifrare.

“Ma voi ci siete mai stati nelle cucine di un ristorante di quel livello? Si lavora a ritmi disumani! Puoi farcela solo se tiri di cocaina, cosa che nella cucina di Rocco era all'ordine del giorno.”

“Quindi anche Lei ne fa uso?” Domanda Cecchini.

“Non avevo scelta. Comunque ora ho smesso.”

Anna prende improvvisamente la parola. “Non dev'essere stato facile... ho sentito dire che le cucine dei grandi ristoranti sono un ambiente un po' maschilista.”

La ragazza le rivolge uno sguardo complice.

“Non è detto,” sussurra il maresciallo.

“E anche l'esercito non scherza.” Continua lei, rivolgendogli uno sguardo di sottecchi.

“Non mi risulta,” mormora ancora lui.

“Ne so qualcosa.” Conclude Anna in tono cupo, scambiando un'occhiata comprensiva con la ragazza. Hanno entrambe un'espressione di chi sa cosa vuol dire essere trattate male e umiliate a favore di colleghi uomini. Di cosa voglia dire sopportare in silenzio.

È per questo probabilmente che lei poi ci dice tutto.

Ma mentre io e il maresciallo la accusiamo di avere un ottimo movente per aver ucciso lo chef, Anna non fiata quasi più, a parte qualche osservazione.

Quando la mettiamo in stato di fermo, la ragazza e il Capitano restano a fissarsi per qualche secondo. Leggo chiaramente le scuse e il dispiacere negli occhi di Anna, che tuttavia non può fare niente per aiutarla.

Scendiamo insieme poco dopo davanti agli scalini della caserma.

Decido di indagare sulle sue parole.

“Cosa intendevi poco fa? Con 'anche l'esercito non scherza'?” Domando in tono pacato.

Anna si ferma. “Esattamente quello che ho detto. A parte l'uso di droghe, il resto è uguale a quello che ha detto lei.” Mormora, rigida.

“Nel senso che... anche tu...?” Lascio in sospeso la frase, temendo la risposta.

Lei si gira a guardarmi, un sorriso sarcastico sulle labbra. “Cosa, sono stata scavalcata da colleghi uomini? O trattata male senza motivo? Umiliata per sciocchezze quando ai cadetti uomini le stesse cose venivano abbonate?” Scoppia in una risata senza allegria. “Certo... tutte abbiamo subito quei tipi di trattamento. Chi più, chi meno, ma nessuna esclusa. Capirai che una volta ottenuto l'incarico, non facciamo passare sottogamba nemmeno un errore, specialmente se qualcuno ha la bella idea di sottovalutarci.”

Prima che possa rispondere, arriva il maresciallo insieme a Don Matteo, impegnati a chiacchierare. Anna va loro incontro.

“Maresciallo, ha finito di confessarsi?” Lo ammonisce. Il mio cellulare squilla, e leggo sul display il nome di quella pazza.

Che mi minaccia di nuovo!

“Cosa?! Ma io ti faccio rinchiudere! Oh!” Mi stacca pure la chiamata in faccia.

“Ma che è, un'interferenza?” Mi chiede Cecchini.

“Ma che interferenza, maresciallo! Diana m'ha rapito il cane!”

“Ma come.. perché ti ha rapito il cane?” Mi domanda stavolta Anna. Eh beh, vorrei saperlo anch'io.

“È per vendicarsi! Perché ce l'ha ancora con me perché io l'ho rifiutata!” Le spiego, cercando di minimizzare la cosa. Non voglio che ti sembri importante. Chi se ne importa della veterinaria.

Lei sembra confusa. “Scusa, ma... non state insieme?”

Io spalanco gli occhi. “Cosa dici? È una pazza, questa! Ma perché pensi così?” Le domando stavolta io, preoccupato. No no no, quale insieme. A lei? A lei no di sicuro! Non voglio lei, io voglio te! Diglielo! Dai!

“Perché... perché?” commenta enigmatica, guardando Cecchini, poi se ne va senza dire altro, infastidita. Che ha combinato, maresciallo? Giuro, se ha detto ad Anna che io stavo con quella lì e per colpa sua la perdo, me la paga.

“Comunque, dai, una cosa momentanea! Questa cosa si 'ricucisce' subito!” fa lui.

“M'ha rapito il cane, che momentanea! Risolviamo sta cosa! Andiamo a prendere sto cane, forza!”

 

Richiamo Anna, pregandola di venire con noi.

Una volta a casa di Diana, lei non ne vuole sapere. “Patatino starà molto meglio qui con me. Tu non lo meriti, un cane così!”

“Ma mi spieghi cosa t'ho fatto?”

“Cosa mi hai fatto? Mi hai illuso! Mi hai fatto credere di essere interessato a me e poi mi hai scaricato!”

“Ma non è vero, lo giuro!” Sussurro, rivolto più che altro ad Anna. “È una pazza, questa!”

“Tanto non la passi liscia! Io so tutto di te! So dove lasci le chiavi di casa, so dove andrai in vacanza, e so anche dove abita la tua ex che voleva castrare Patatino!”

“Ma come fa questa a sapere tutte 'ste cose?”

“Gli stalker si informano di tutto,” mormora Cecchini.

“Maresciallo, si era sbagliato! Altro che timido...” Commenta Diana. Eh?

“Ma perché dice 'maresciallo'?”

“È pazza, che ne so io!”

“Che cosa le ha detto?” Interviene Anna, a voce bassa.

“Io? Io le avrò detto... 'bi', e lei ha capito 'ba'!”

“Ma perché le ha parlato! Che l'ha fomentata, 'sta pazza!”

“Lei ha combinato questo casino, Lei lo va a risolvere!” Gli intima Anna. Ma veramente è colpa sua, allora!

Lui cerca di tirarsi indietro, ma Anna è più furba e lo spinge dentro al cancelletto.

Lui sparisce in casa con Diana e Patatino.

Okay, mi sa che forse non è una buona idea, quella è folle.

“Ma secondo te, non è che è in pericolo, lì dentro?” Chiedo ad Anna, che sembra furiosa.

“Me lo auguro.” È la sua risposta acida.

Qualche istante dopo, Cecchini esce, senza cane e senza volerci dire cosa gli abbia detto Diana. Io non so più che fare.

“Marco, ci penso io,” mi tranquillizza Anna, dirigendosi a passo spedito verso la porta.

Non mi fare preoccupare pure per te.

“Diana... senti, io lo so che cosa vuol dire essere illuse...” Esordisce, e a me viene un groppo in gola. “Dover cambiare per una persona, dover cambiare abitudini, taglio di capelli... e poi essere rifiutate... Succede a tutte noi! Però bisogna andare avanti... Magari non è lui, sarà... l'altro che verrà dopo, o quello che verrà dopo ancora, però arriverà l'uomo giusto per noi!”

“...Io pensavo che fosse lui, l'uomo giusto per me.” Sentiamo rispondere da dentro.

“Ma chi, Marco? Ma perché non lo conosce bene! Io lo conosco bene,” continua a spiegarle. “È... pigro, vuole sempre avere ragione, crede di essere simpatico anche quando non lo è, e se fosse per lui girerebbe sempre in bermuda e ciabatte.”

Elenca senza esitazione, e io mi rendo conto che mi conosce davvero bene. Anche in un dettaglio stupido come il mio abbigliamento preferito. Li ha detti quasi foste una coppia da anni e conoscesse le tue abitudini a memoria. Come tu conosci le sue.

“È davvero uno come lui che vuoi al tuo fianco?”

Tu cosa risponderesti?

Diana alla fine le apre la porta consegnandole il cane, che io corro a riprendere.

“Grazie!” le sussurro piano, prima di continuare a fare le feste a Patatino.

“Grazie, Maresciallo!” Dico anche a lui, scendendo i gradini.

“'Grazie, Maresciallo' di cosa?” Borbotta Anna.

“Vabè, ha collaborato! Ah, e comunque, scusami, eh,” le dico, fermandomi e girandomi a guardarla, “io non sono pigro, sono uno che ottimizza le energie. E poi, un po' simpatico lo sono, no?”

Lei mi rivolge un'espressione crucciata prima di mormorare, “L'ho fatto per Patatino, ho detto quelle cose per Patatino... Bastava dire, 'Grazie, Anna', 'Di niente, Marco'.” Ribatte, piccata.

“Okay, però sembrava che lo dicessi proprio...”

“L'ho fatto solo per il cane!”

Apro la portiera dell'auto, facendo salire Patatino.

“...quindi se hai detto quelle cose per il cane, allora significa che mi trovi simpatico?” La punzecchio.

Lei mi rivolge un'occhiata di sbieco. “Lo vedi, che vuoi avere sempre ragione?”

“Sì o no?”

“Cos'hai, cinque anni? Sì, contento ora? Andiamo!” Mi rimbecca, mentre io scoppio a ridere.

“Su, dai, non ti arrabbiare, scherzavo...”

Alza gli occhi al cielo. “Andiamo, prima che ritratti tutto.”

 

Il maresciallo, appena salito, mette in moto, e insieme torniamo al commissariato.

 

***

 

Nel pomeriggio, quando rientro a casa, controllo per vedere nella cassetta se durante la mia assenza è arrivata posta, e trovo un biglietto. 'Ho bisogno di vederti. Ti aspetto alle 20.30 al ristorante Corallo.', c'è scritto.

Mi guardo intorno, incerto su chi possa averla portata.

Chi può volermi vedere? Spero non la veterinaria pazza, ma non avrebbe avuto il tempo.

Decido di andare, tanto mal che vada fingo di non aver ricevuto nulla. ***

 

Chiara's pov

 

È pomeriggio, e sono a casa (di mia sorella) a studiare. Cioè, a ripassare perché tra due giorni ho un esame. Certo che queste cose si rifiutano di entrarmi in testa.

Sento suonare il campanello all'improvviso, ma quando apro non trovo nessuno. Faccio per chiudere quando noto qualcosa per terra: una busta.

La raccolgo, e dentro c'è un biglietto con scritto 'Ho bisogno di vederti. Ti aspetto alle 20.30 al ristorante Corallo.'

Chi può essere, ad avermi mandato una lettera del genere?

Poi rifletto un secondo e mi rendo conto che probabilmente non è per me, ma per Anna. È casa sua questa.

La domanda però resta: chi può essere il mittente?

C'è un solo modo per scoprirlo: convincere mia sorella ad andare al ristorante.

Non sarà facile, conoscendola, mi dirà che non si sente a suo agio e bla bla bla.

Facciamo che la obbligherò.

Dovrebbe rientrare a momenti, di solito arriva quasi in contemporanea al Maresciallo, che è arrivato adesso.

 

Passano dieci minuti e di lei nessuna traccia quindi opto per chiamarla, stasera non è la sera adatta per fare uno straordinario. Aspetto che risponda incrociando le dita, sperando che con un buon esito mi perdonerà per la piccola bugia che sto per dirle.

Pronto, Chiara?”

“Ehi, Anna! Senti, a che ora torni?”

Non lo so, ho del lavoro da finire, probabilmente tardi.”

Appunto. È fuori discussione. “Dovresti venire adesso, è successa una cosa.”

Già da qui intuisco che si allarma. “Che è successo? Stai bene?”

“Sì, sì, non è questo. Ma è una cosa importante. Non puoi finire queste cose domani?” Chiedo, incrociando di più le dita.

Penso di sì... Dieci minuti e sono a casa.”

“Okay, a dopo!” La saluto.

Mi metterei a saltare per l'entusiasmo. Mi diverte tantissimo organizzare queste cose per lei, sempre così cauta e previdente. Inizio a dare un'occhiata nel suo armadio per farmi un'idea dell'outfit da farle indossare.

 

Poco dopo sento la porta aprirsi, così torno in soggiorno.

“Ehi!”

“Chiara! Allora?”

Io afferro la busta con fare teatrale. “È arrivata questa per te,” dico, porgendogliela.

Lei la afferra con un'espressione incerta, poi spalanca gli occhi leggendo il contenuto del biglietto.

“Che ne sai, che è per me?”

Io alzo gli occhi al cielo. “Beh, è casa tua questa, tu che dici?”

“Sì, ma in ogni caso non ci penso nemmeno ad andarci.”

Ecco che comincia la battaglia.

“E perché no?”

“Come, perché? Potrebbe essere chiunque!”

Sbuffo all'osservazione. “Certo che no! Di sicuro è qualcuno che conosci.”

“E perché non lo avrebbero scritto sulla busta?”

“Perché magari leggendo il nome avresti potuto rifiutare l'invito a priori?” Rispondo con ovvietà. “Suvvia, che male può fare? Almeno ti godi una serata diversa!”

“Davvero mi hai chiamata per questo?” Si infastidisce lei, e io la prendo sottobraccio trascinandola verso la sua stanza.

“Certo! Da quanto tempo è che non esci? L'ho fatto per te! E se scopri che il mittente di quella lettera non ti piace, gli dici che in realtà sei lì perché aspetti me, mi mandi un messaggio e io arrivo al volo e ceniamo noi due! Ma almeno vacci!” La prego.

“Sì, ma non ho idea di chi potrebbe essere!” Cerca di obiettare Anna, ma io non mi lascio impietosire.

“Facciamo mente locale: chi è che potrebbe avertelo mandato? Ci sarà qualcuno che si è dimostrato interessato a te in questo ultimo periodo, no?” Tento, tirandola a sedere accanto a me sul suo letto.

“Non lo so... no...”

Scuoto la testa, esasperata. “Tu non ti accorgeresti di un uomo che ti fa la corte manco se si mettesse a strillartelo davanti. Quel biglietto è la prova che qualcuno c'è. Hai uno spasimante!”

“Sembri Cecchini, uno 'spasimante'...”

Io la ignoro. “Vediamo... C'è quel tipo del reality! Il principe! Come hai detto che si chiamava?”

“Lupo Dossi. Ma che c'entra lui?”

“Come, che c'entra? Mi hai detto tu stessa che ci ha provato con te!”

“Ero sotto copertura in un reality, per forza! Ci avrebbe provato anche se gli avessi fatto schifo.”

“Hai detto che non era scritto sul copione, che doveva invitare te al ballo. Gli piacevi.”

“Come no...”

“Che ne sai? Magari è lui davvero, e visto come si è comportato in quel caso pensa che non accetteresti di vederlo.”

“Ho i miei dubbi.”

“Se non è lui, allora...” Rifletto un attimo, poi mi viene l'illuminazione. “Marco!”

“Che c'entra adesso Marco?”

“Ma sì! Hai detto che vi state conoscendo meglio, no? Con le lezioni di cucina, e quella sera che ti ha invitata a cena a casa sua... le uscite che avete fatto insieme qualche volta... Potrebbe essere.”

“No, che non potrebbe... noi... siamo solo amici.” Nega mia sorella un po' troppo in fretta, così mi giro a guardarla e scopro che è arrossita un sacco.

Questo può significare solo una cosa: altro che 'solo amici'... le piace!

“Guarda, dalla tua faccia ti credo tantissimo,” la prendo in giro. “Proprio, si vede che è un 'amico'... Da quant'è che ti sei presa una cotta per lui, eh?”

“Ma no, che stai dicendo?” Riprova cercando di alzarsi, ma io la trattengo. Non mi scappi, sorellina.

“Dove pensi di andare? Ora tu mi racconti tutto, e non pensare di tralasciare dettagli perché lo scopro.”

Dopo molta esitazione si arrende, con mia grande gioia.

E scopro un sacco di cosucce interessanti, come la volta che hanno finto di essere i genitori del piccolo Cosimo per farlo partecipare allo spettacolo con Carlo Conti, alle cose che lui le ha detto mentre era sotto copertura al reality, al discorso di Marco a nostra madre. E ovviamente, il bacio.

“Solo tu potevi baciarlo e poi dirgli che era stato un errore,” dico sconsolata. “Mi fa piacere sapere però che Marco non si è arreso con te, è un tipo perseverante. Bene.”

“Si può sapere di che stai parlando?” Chiede debolmente Anna, ancora rossa in viso.

“Uno che ti invita a cena e accetta di darti lezioni di cucina e ti porta in giro con la scusa di conoscere posti e tradizioni nuove può solo essere cotto di te. E lui mi sembra cotto a puntino. Se ha rifiutato le avance di questa veterinaria così palesemente interessata, dev'essere proprio perso. Non mi sorprenderebbe scoprire che dietro al messaggio c'è lui,” concludo, soddisfatta.

“Avrebbe potuto invitarmi direttamente senza sotterfugi,” si ostina a dire lei.

“Non necessariamente. Comunque, adesso spicciati, fai una bella doccia che ai vestiti ci penso io.”

“Ma io non vado da nessuna par-”

“Certo che ci vai,” la contraddico spingendola verso il bagno. “E se non dovesse essere Marco il mittente, ti godi lo stesso la cena col tuo spasimante misterioso e poi la usi come arma per far ingelosire il tuo PM. Su, muoviti.”

 

Quando esce, le consegno quella camicetta blu che l'ho convinta a comprare tempo fa e che le sta da dio abbinata a dei semplici jeans attillati. “Questi andranno benissimo. Ti valorizzano senza osare troppo.” La convinco a mettere almeno un po' di eyeliner e poi la mando via, spingendola fuori dalla porta. Abbiamo deciso che andrà a piedi: se il mittente è affidabile può farsi riaccompagnare da lui, in caso contrario chiamerà me e ceneremo assieme, come avevo proposto all'inizio. “Ci vediamo più tardi!” Le auguro, prima di tornarmene dentro. Non vedo l'ora di sapere com'è andata.

 

Anna's pov

 

Non so come ho fatto a lasciarmi convincere.

Potrebbe davvero nascondersi chiunque dietro quel biglietto, e non necessariamente con intenzioni positive. Oppure potrebbe essere uno scherzo.

Posso sempre battere in ritirata se capisco chi è senza farmi notare e tornarmene a casa.

Arrivata al ristorante, do un'occhiata in giro per capire se c'è qualcuno che conosco che potrebbe aver mandato l'invito anonimo. Inizialmente non vedo nessuno, poi sento dietro di me una voce familiare.

“Anna?”

Mi giro, e il mio cuore salta un battito.

“Marco! Che... che ci fai qua?”

“Beh, in realtà non lo so di preciso... ho ricevuto un biglietto strano e ho deciso di venire a vedere chi lo avesse mandato.”

Quindi anche lui ne ha ricevuto uno. Non lo ha mandato lui, ma qualcuno ha combinato questo appuntamento per noi.

“Un biglietto... come questo?” Chiedo, tirando fuori il mio dalla borsa per mostrarglielo.

“Sì, esatto! Identico!”

Faccio un ragionamento veloce e la soluzione arriva senza dubbio alcuno: Cecchini.

Sono giorni che mi stuzzica perché ha intuito che provo qualcosa per Marco. Considerato il casino con la veterinaria, e che non è la prima volta che si mette in mezzo, dev'essere stato lui per forza.

“Chissà chi li ha mandati...” Si chiede lui. Io non rispondo, meglio che non sospetti nulla. Mi preparo psicologicamente all'idea che mi dirà che venire è stato stupido e che è meglio tornarsene a casa, perché è ovvio che finirà così.

“Beh, visto che ormai siamo qua... che ne dici se ceniamo insieme?” Mi domanda allora con un sorriso, e io temo di aver sentito male. Davvero? Quindi restiamo?

“Sì, se... se ti va...”

Sorride di nuovo, annuendo, e io mi sento mancare il fiato.

Anna, datti una calmata. Non sei un'adolescente alla prima cotta. Ed è solo una cena. Avete cenato insieme altre volte, ricordi? Respira.

Marco chiede un tavolo per due al cameriere, che ci guida verso un angolo appartato della sala.

Da gentiluomo qual è, sposa la sedia per farmi accomodare.

 

Senza che me ne renda conto davvero, iniziamo a parlare tranquillamente come al solito, senza nessun tipo di imbarazzo per la situazione assurda in cui ci siamo trovati.

Non riesco a credere di dover ringraziare Cecchini per aver organizzato questa cosa. E Chiara per avermi costretta a venire.

“Hai sistemato con la moto, poi?” Gli chiedo a un certo punto, riferendomi al danno procurato da Diana sul sedile in pelle.

Marco manda giù il boccone prima di rispondere. “Sì, ho dovuto cambiare la tappezzeria praticamente, ma pazienza... Ehi, guarda che non me le son scordate le cose che hai detto a Diana, eh,” rimbecca, e io mi sento arrossire.

“Ancora con questa storia? L'ho detto solo per Patatino!”

“Sarà, ma a me sembravi convinta... però una cosa vera l'hai detta,” fa, e io alzo gli occhi al cielo.

“Solo una?”

“Che mi conosci bene.”

Torno a guardarlo per un attimo, e quel sorriso rivolto a me mi obbliga ad abbassare lo sguardo.

“Posso chiederti perché sembravi convinta anche che stessi con lei?”

La piega che sta prendendo la discussione non mi piace per niente.

Esito un attimo, poi devo rispondere. “Beh, è che... l'altra sera vi ho visti per caso dalla finestra, e... e vi stavate baciando... E Cecchini continuava a ripetere che fosse la tua nuova fidanzata, stavi sempre al telefono con lei, veniva a trovarti a lavoro... Pensavo fosse vero, insomma.” Ammetto, in imbarazzo, spostando una ciocca di capelli via dagli occhi.

Marco sembra esterrefatto. “No no no, mi si è buttata addosso quella sera, non so nemmeno che ci facesse là. L'ho rifiutata, te l'ho detto... Figuriamoci, non fa per me! Si era fissata con me e mi sembrava brutto non risponderle, e a ripensarci avrei fatto meglio... Cecchini fa sempre casini, s'è inventato un sacco di sciocchezze...” scuote la testa, poi mi rivolge un'occhiata maliziosa. “In effetti, ora che ci penso, non sembravi troppo contenta ogni volta che c'era lei... e il tuo discorsetto sembrava mirato, più che a riprendere il cane, a sottrarle me...”

Sento le guance avvampare alle sue parole. “Ma no, che dici...” Mormoro, ma lui non demorde.

“Non è che sei gelosa, mh?”

Ah, io sarei gelosa!

“Disse quello che ha insultato il 'principe' al reality dicendogli di girare al largo solo perché mi aveva presa per mano...”

Stavolta è lui ad essere in imbarazzo.

“Che c'entra... Non è che doveva prendersi tutte quelle libertà solo perché poteva... Si vedeva che a te il suo comportamento dava fastidio e lui non lo recepiva.”

“Mh mh, certo...” Lo prendo in giro io, gli crederei se non fosse che sta evitando il mio sguardo a tutti i costi. “Anche durante il ballo...”

“Ha allungato le mani, t'ha toccata senza il tuo consenso e non doveva permettersi.”

“Questo sicuramente, e sai che ho apprezzato molto le tue parole e quello che hai fatto per me... ma io intendevo prima, quando mi ha invitata a ballare.”

Lui abbassa lo sguardo, torturandosi le dita e arrossendo. Evidentemente non pensava che l'avessi visto, quella volta, ma l'ho notato eccome. E pure Dossi, tanto che mi ha chiesto se fosse il mio ragazzo. Adesso, è chiaro che Marco non sa come uscire da questa situazione, e la cosa mi diverte molto.

“Ci stava provando con te...” Borbotta a voce così bassa che quasi fatico a sentire. Quasi.

“Decisamente non è il mio tipo,” spiego, affondando il cucchiaino nel dessert, “mi sembrava chiaro. Non capisco perché fai tanto il geloso.”

“Io non sono geloso,” salta su con un tono poco convinto che mi fa sorridere. “Tu non lo sei della veterinaria, e a me di quello lì non importa proprio niente. L'hai detto tu, no, che non è il tuo tipo.”

“E la veterinaria non fa per te, quindi...”

Ci scambiamo una lunga occhiata indagatrice.

Il paragone decisamente regge, ma al contrario. Perché sì, sono gelosa di quella pazza! Quantomeno lei ha avuto il coraggio di farsi avanti, e io sono stata capace solo a dirgli che quel bacio è stato un errore.

E di Dossi, un po' geloso lo è anche lui. Mi ha presa in giro un sacco per questa cosa, ma adesso il tono con cui ha cercato di giustificarsi è molto diverso. Più... possessivo.

Lasciamo correre l'argomento, riprendendo a parlare di altro fino a quando, vista l'ora, decidiamo di tornare a casa. Marco insiste a voler pagare il conto, e niente di quello che dico lo fa desistere.

Ti prego, se ti comporti così mi sembra davvero un appuntamento.

Quando usciamo dal ristorante, lui si guarda intorno.

“Ma... sei venuta in macchina o...?”

“No, in realtà ho fatto una passeggiata. Non è poi così lontano da casa mia.”

“Allora ti accompagno io, ho la moto.”

 

Quando salgo, mi rendo conto che dovrò stargli molto, molto attaccata.

Quando siamo andati da qualche parte, finora, abbiamo sempre preso la mia macchina.

Stavolta, invece, mi ritrovo praticamente abbracciata a lui senza poterlo evitare.

Deve aver notato il mio imbarazzo dal mio riflesso nello specchietto, perché si mette a ridacchiare. Io faccio finta di niente, stringendomi di più a lui quando mette in moto.

 

Arrivati davanti casa mia, spegne il motore e io ne approfitto per scendere. Lui fa lo stesso, prima di sistemare il mio casco al suo posto sotto la sella, e appoggiando il suo sul sedile.

“Devo dire che mi sono divertito, stasera. Non sapevo che aspettarmi da quell'invito, e invece... sono contento di aver trovato te, lì.”

Io arrossisco per l'ennesima volta.

“Anche per me vale lo stesso... e pensare che non ci volevo venire,” ammetto.

“Meno male che hai cambiato idea, allora.” Sorride lui. “Chiunque sia stato l'organizzatore di questo 'appuntamento al buio', devo ringraziarlo. Di sicuro ci ha... visto bene.” Mormora Marco, guardandomi dritto negli occhi.

Io trattengo il fiato e mi accorgo che si è avvicinato a me di qualche passo.

Ma stavolta non scapperò.

 

Mi sembra di sognare.

Ieri ero convinta che avrei dovuto metterci una pietra sopra, e stasera mi ritrovo sotto casa mia tra le sue braccia, mentre ci baciamo come se non aspettassimo altro da sempre.

E forse è così, mi dico mentre la sua mano si infila tra i miei capelli facendomi istintivamente avvicinare di più, è da quella sera che non desideri altro. Probabilmente anche lui, a giudicare dal bacio mozzafiato che mi sta dando.

Se è un sogno, non voglio svegliarmi mai più.

Quando ci separiamo – saranno passati due minuti, dieci, un'ora, non lo so più – restiamo a guardarci per qualche attimo prima di riuscire a dire qualcosa. Io di sicuro sono senza parole.

“Ero geloso, sì,”, esordisce lui a un certo punto, “mi dava fastidio che quel tipo ti girasse intorno senza che io potessi far niente. E pure il produttore, Luca. Ero geloso e no-”

Interrompo il suo farfugliare con un altro bacio.

“Per me era solo lavoro. E anch'io ero gelosa di Diana, hai ragione. Quando le ho detto quelle cose... mi sono resa conto che per quanto mi riguarda, nonostante le tue pessime abitudini, è te che vorrei avere al mio fianco...”

“Anche se sono pigro?” Mi provoca, tornando a stringermi a sé. Questa cosa inizia a piacermi.

“Anche se sei pigro.”

“E penso di essere simpatico anche quando non lo sono?”

“Sì, anche se staresti sempre in bermuda e ciabatte e il tuo brasato è terribile.”

“Il mio brasato è buonissimo.”

“E vuoi sempre avere ragione.”

“Non è vero,” afferma, prima di bloccare la mia protesta posando le labbra sulle mie.

Mi abbandono immediatamente a quel contatto.

Che stavo dicendo? Qualsiasi cosa fosse, ha ragione lui...

Siamo ancora abbracciati quando sentiamo un rumore alle nostre spalle.

Cecchini è appena uscito dal portone del palazzo con un sacco di spazzatura in mano.

Da quanto è là?

Ci affrettiamo ad allontanarci.

“Buonasera!” Ci saluta lui, fingendosi sorpreso di vederci insieme.

Noi ricambiamo, imbarazzati.

“Tutto bene?” Si informa con fare indifferente, ma non mi frega. Per mia sfortuna è Marco a rispondere.

“Sì, sì, fra l'altro è successa una cosa stranissima... ci siam trovati insieme nello stesso ristorante,” gli spiega, come se il maresciallo non ne sapesse nulla.

“Ah, ma che coincidenza!” Fa lui, e non so se vorrei dirgliene quattro o lasciarlo fare, dopotutto. “Mi è successo pure a me con mia moglie tanti anni fa...” ci informa, e io mi sento arrossire di più.

Cioè, lui avrebbe incontrato per caso ad un ristorante la donna che poi è diventata sua moglie? Nel senso che... noi...?

“Ah...” commenta Marco, “allora magari è un buon segno,” afferma, rivolgendomi un sorriso che mi scioglie.

“Magari,” fa Cecchini, divertito. “Con permesso, io vado a buttare la spazza...” Ci saluta poi, allontanandosi.

“Che ne dici se... una di queste sere usciamo di nuovo? Scegliamo noi dove andare, però...” Scherza dopo, Marco.

Io mi trattengo dal gridare di gioia.

“Sì, okay...” mormoro, timidamente.

“Allora ci pensiamo e scegliamo insieme domani, va bene?”

“Sarebbe perfetto.”

“Allora ciao, ci vediamo domattina in ufficio.”

Mi saluta con un ultimo, dolcissimo bacio prima di risalire in moto e andare via.

 

Io sono ancora in estasi per riuscire a parlare e pensare coerentemente.

Salgo su senza smettere di sorridere.

Quando apro la porta, mia sorella è sul divano ma scatta in piedi quando mi vede.

“Ho sentito il rumore di una moto... allora?” Mi chiede, impaziente. “Dalla tua faccia deduco che sia andata più che bene. Chi era?”

“Lunga storia, ma... Marco,” mormoro senza entrare nei dettagli.

“E...?”

“E bacia decisamente bene.”

Chiara mi abbraccia di slancio quasi rischiando di farmi finire a terra.

“Avevo ragione, avevo ragione! Ahhh!”

“Grazie per avermi costretta ad andare.”

“Ehi, perché ci sono, io, allora?”

 

Quando vado a dormire, non riesco a smettere di pensare a stasera.

Mi sfioro le labbra, il sapore dei suoi baci ancora impresso su di esse.

Non vedo l'ora che arrivi domani.

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Capitolo 6
*** Il bambino di Natale - parte 2 - versione 2 ***


IL BAMBINO DI NATALE – PARTE 2

A/N Per una migliore comprensione, consiglio di leggere ‘Il bambino di Natale - parte 1’ nella mia fanfiction ‘Life-changing frenzy ‘, poiché quella parte procede regolarmente come in puntata. Questa seconda parte, invece, è la versione alternativa. Buona lettura!
 

Per un po' dimentico la mia situazione con Anna, ma tutto mi torna prepotentemente alla mente una volta tornato a casa, in serata.

 

Ancora non riesco a crederci. Come può avergli detto di sì? Dopo il messaggio che mi ha mandato?

Afferro il cellulare che avevo posato sul tavolo per rileggerlo, il groppo in gola che torna a farsi sentire.

Però dopo quello che mi ha detto Chiara avrebbe senso... è venuta da me solo per non pensare a lui, e ora che è tornato alla carica, deciso, con l'intenzione di sposarla, è naturale che lei gli abbia detto di sì.

Però poi ripenso alle parole di Anna, a quello che mi ha detto quand'è venuta qui a casa mia, qualche giorno fa.

Pensavo di morire... e ti ho mandato un messaggio.

Torno a leggere probabilmente per la milionesima volta quelle frasi, e sento gli occhi pizzicare. 

È stata a un passo dalla morte... e il suo ultimo pensiero sono stato io.

Ha pensato a me. Non a lui. Fra tutto quello che avrebbe potuto scegliere di fare in un momento come quello, ha pensato a me e mi ha mandato un messaggio per confessarmi quello che ad alta voce forse non avrebbe mai avuto la possibilità di dirmi.

Mi ha scritto che mi ama... e stando alle informazioni di Chiara, sempre a cena l'altra sera, Anna non è  una che dice quelle due parole con tanta facilità, tutt'altro. Non che mi aspetterei niente di diverso, conoscendola.

Certo, Giovanni ha avuto una parte importante nella sua vita, non lo metterei mai in dubbio, ma nessuno dei due può negare che le cose siano cambiate molto negli ultimi mesi.

Quasi inconsapevolmente, io e Anna ci siamo avvicinati più di quanto avrei mai potuto immaginare... Mi sono innamorato di lei senza accorgermene, e adesso so che anche lei mi ama.

… E io l'ho trattata in quel modo. 

Ho lasciato che la mia gelosia prendesse il sopravvento nel modo sbagliato, insieme all'insicurezza che tutto fosse troppo bello per essere vero.

Sento le lacrime scendere, ma non le asciugo. Non mi importa di piangere, anzi. Ha scritto delle cose bellissime, e mi si stringe il cuore pensando alla ragione per cui io adesso le sto leggendo.

 

Mi dico che è meglio berci su.

 

Mi alzo, dando un'occhiata alla piccola riserva di vino che tengo da parte, e l'occhio mi cade su una bottiglia in particolare: il Sagrantino di Montefalco. Come quello che avresti bevuto con Anna quella sera se non avessi mandato tutto all'aria.

Quale scelta migliore se non questa, mi dico, per brindare alla mia stupidità? Perfetto. 

Prendo un calice, stappo e ne verso un po' appoggiando poi la bottiglia sul tavolino davanti al divano. Lo mando giù quasi tutto in un sorso.

 

In men che non si dica, la bottiglia è già a metà.

E io non ho smesso di pensare un secondo al casino che sono riuscito a combinare.

 

Come? Come ho potuto farmela scivolare dalle mani così? Era fatta, cavolo! Era praticamente fatta! 

Okay, forse non all'inizio, quando ci siamo baciati quella volta a casa sua, ma dopo quell'episodio abbiamo imparato a conoscerci meglio, abbiamo passato un sacco di tempo insieme... praticamente ogni momento libero dopo il lavoro... Non solo per le lezioni di cucina, abbiamo anche visitato qualcuna delle bellezze dell'Umbria, insieme. E avevo intuito anche un certo interesse da parte sua... ero deciso ad agire... e poi mi sono ritrovato a quel ristorante con sua sorella, e le cose hanno cominciato ad andare per il verso sbagliato. 

Altra cosa che ancora non mi spiego è perché io abbia iniziato a uscire con Chiara. Sì, è carina, simpatica e tutto... ma non è Anna. E il mio cervello non perde occasione per ricordarmelo. Ogni dannata volta che sento il rumore dei suoi passi, so già che non è Anna che sta arrivando perché lei non indossa i tacchi quasi mai. Quando parlo con Chiara, so che alcuni argomenti sono tabù perché non voglio che li sappia, mentre con Anna so di poter discutere di qualsiasi cosa senza problemi... anche per quei dettagli strettamente personali per cui chiunque altro mi giudicherebbe, ma Anna no, so che a lei posso dire tutto perché non si fermerà alla superficie. Quando incrocio lo sguardo di Chiara, mi trovo davanti dei begli occhi marroni... ma che non hanno niente di quel verde che mi ha attratto fin dal primissimo istante, apparentemente freddo all'inizio ma che ho imparato a leggere a volte fin troppo bene in questi mesi. Andando un po' più a fondo, ci trovo dentro tutto quello che di lei ho imparato ad amare: la sua determinazione, la forza di carattere, la passione che mette in ogni cosa, la sua capacità di non lasciarsi sfuggire nemmeno un dettaglio... E ancora un passo oltre, ci sono quei tratti che mostra solo di rado: la fragilità per un passato difficile, talvolta l'insicurezza di essere donna e non sentirsi all'altezza, una sensibilità spiccata verso chi ha bisogno di una mano d'aiuto, e una dolcezza ben celata che si rivela soltanto in momenti speciali ma che sa rubare il cuore. E lei ha rubato il mio senza che me ne rendessi conto, e senza che sentissi il bisogno di riaverlo indietro.

Io ho avuto la fortuna di vivere ogni sfaccettatura del suo carattere, anche quelle meglio nascoste e invisibili ai più.

 

Ed è stata lei a lasciarmelo fare, però io non ho saputo comprenderlo quando avrei dovuto. 

Ho scoperto quel giardino incantato, ma non ho saputo apprezzarlo appieno nella sua celata bellezza.

E adesso ho smarrito la strada che mi conduceva lì. Ho perso lei.

 

Mando giù l'ennesimo bicchiere e sento la testa farsi più leggera, tanto che inizio a non avere più totalmente controllo dei miei pensieri.

 

La mia mente inizia a portarmi dove non vorrei. 

Dietro alle mie palpebre adesso chiuse cominciano a scorrere immagini di Anna, radiosa accanto a lui, Giovanni, che alla fine è riuscito a riconquistarla, al suo anulare sinistro un anello di fidanzamento che brilla in tutto il suo splendore, accecandomi, ma dal quale non riesco a distogliere lo sguardo, mentre loro due danno a tutti la bella notizia del loro imminente matrimonio.

 

Mi sforzo di scacciare via questi pensieri assurdi, ma il mio cervello ha evidentemente intenzioni diverse.

Me la ritrovo nuovamente davanti, vestita di bianco, a dirmi che è la donna più felice del mondo perché sta per sposare l'uomo della sua vita – un uomo che non sono io, ma lui – che ha capito di amare ancora nonostante tutto, mentre torna a ripetermi che il nostro bacio è stato un errore, insieme a tutto quello che abbiamo condiviso.

 

Sento risalire la bile in gola solo all'idea di essere obbligato a guardare una scena così.

Mando giù un altro bicchiere. Altra immagine nella mia testa.

Loro due, insieme a casa di lei, dopo una cena a lume di candela che lei ha preparato, e un bacio come quello che li ho visti scambiarsi fuori dalla caserma qualche giorno fa, poi lui che lascia scivolare le mani sui suoi fianchi, prima di tirare lentamente giù la zip del vestito verde che lei aveva indossato per me tempo addietro...

 

Mi alzo di scatto, il bicchiere che finisce a terra in mille pezzi.

No. Non posso permetterlo. Non posso.

Non posso accettare che Anna sposi Giovanni senza far niente, senza nemmeno tentare di impedirlo.

Ha detto che mi ama. Mi ama. Non può sposare luiNon può.

Non posso lasciarglielo fare, non mi posso arrendere così.

Anche se ha già accettato la sua proposta di matrimonio – il mio cuore si stringe all'idea che sia già troppo tardi – forse vale la pena fare un tentativo.

Devo provare... devo dirle che l'amo, devo spiegarle perché ho reagito in quel modo quella sera e dirle che lei non ha fatto niente di male e non è colpa sua.

Le chiederò perdono in ginocchio, farò qualsiasi cosa, se questo servirà a darmi un barlume di speranza per noi due.

Ho commesso uno sbaglio dopo l'altro. Non la posso perdere così. Il solo pensiero mi fa impazzire.

 

Per la prima volta dopo mesi il mio cervello ha un'idea brillante, aiutato probabilmente dall'alcol che mi scorre nelle vene in questo momento: vai da lei e confessale il tuo amore. Tanto, peggio di così non può andare. Se ti rifiuta, almeno potrai dire di aver tentato sul serio, non come hai fatto finora. Forse gli ha detto di sì solo perché pensava che con te non ci fosse più niente da fare. Non è detto che sia tutto perduto.

È la serata perfetta: so già che Chiara non è a casa, quindi Anna sarà da sola.

Spero.

Mi blocco un istante. E se c'è lui? 

Non cercare scuse. Tanto meglio se c'è pure lui, almeno si renderà conto che non sei stato solo tu a combinare casini. Anzi, grazie al suo, di casino, tu e Anna vi siete avvicinati più di quanto avresti mai immaginato. Più di quanto lui sappia. Errore o no, vi siete baciati. Vai, ora!

 

Afferro le chiavi e il cellulare, avviandomi a passo spedito verso casa di Anna. Meglio a piedi, non mi fido di prendere la moto. E poi è meglio schiarirmi le idee nel frattempo, la bottiglia era ormai quasi vuota.

 

Sono passate le nove di sera quando arrivo al portone del palazzo, trovandolo fortunatamente aperto.

Salgo le scale più in fretta che posso e quando sono finalmente davanti alla porta del suo appartamento, prendo un bel respiro e suono il campanello.

È proprio Anna ad aprirmi, un'espressione sorpresa in viso che però dura solo un istante.

“Ciao... Chiara è andata a fare pilates,” mi informa, convinta che io stia cercando lei. 

“Sì, sì, lo so, infatti io sono qui per te,” le dico a voce bassa, entrando senza aspettare che lei mi inviti dentro e sbattendo appena contro la porta. Avanzo nel soggiorno, cercando di raccogliere il coraggio per dirle quello che provo.

Avverto il suo sguardo confuso su di me. “Tutto bene?” Mi chiede, perplessa.

Io riesco solo ad annuire e biascicare un 'Sì', ma non devo averla convinta. “Marco, hai bevuto!” Comprende immediatamente, sbarrando gli occhi.

“Un pochino sì, se no credo che non sarei qua,” ammetto con un mezzo sorriso incerto, che lei ricambia senza però capire che cavolo ci faccio a quest'ora mezzo ubriaco a casa sua.

Faccio un passo avanti, poi raccolgo tutto il coraggio che riesco a mettere insieme e finalmente glielo dico.

“... Non ti sposare.” La prego. La mia voce trema.

La sua espressione sconcertata mi dice che si starà chiedendo come l'ho saputo, visto che lei non mi ha detto nulla.

“... Sposarmi? Non-”

“No, però fammi finire, ti prego, perché non ce la faccio...” Lei tenta di dirmi qualcosa ma io non la lascio parlare, se mi interrompe è la fine. “... È difficile, ti prego...” 

Lei si arrende. “Vai.” Concede, incrociando le braccia in attesa.

Adoro quando mette su quel finto cipiglio infastidito.

Inspiro profondamente prima di proseguire.

“Io ti amo,” ammetto subito, e lei spalanca gli occhi accennando un sorriso che mi incoraggia ad andare avanti, “e il messaggio che mi hai mandato mi ha fatto quasi piangere... anzi, leva il quasi. Io all'inizio ti odiavo, mi stavi antipatica, ma tanto...” Le ride alle mie parole, e per me è solo uno stimolo ulteriore per continuare. “E poi ho capito... che tu sei una intelligente, sei tosta, sei determinata... ma sei anche sensibile, emotiva...” le dico, accennando alle lacrime che vedo luccicare nei suoi occhi verdi che adesso brillano più che mai, “e sei una che davanti al male si sa ancora commuovere. ...E ti amo.” Concludo, la gola che torna a stringersi immaginando tutti i possibili scenari che potrebbero delinearsi da questo momento in poi.

Lei esita un istante, anche se il suo sguardo resta pieno di dolcezza, poi finalmente prende la parola.

“Se mi ami, perché... per-... Quella sera...”

Io le lancio uno sguardo divertito. Lo sapevo che saremmo andati a parare là, ma stavolta le spiegherò ogni cosa. Non ha più senso nascondersi. Non sarebbe stata lei se non avesse chiesto.

“Ti ho preparato la cena... io,” sottolinea con un sorrisetto, “sono venuta a casa tua, eravamo da soli... perché te ne sei andato? E quella sera ti sei messo insieme a mia sorella!” 

Chiudo gli occhi per un istante prima di tornare a guardarla. 

“Perché ho avuto paura quando hai spostato quel... pouf,” confesso, finalmente.

Lei però ha uno sguardo perso. Non si ricorda, ovvio che non ha capito che il problema è stato quello, come poteva? L'hai cacciata via subito dopo!

“Che pouf?” chiede infatti, confusa.

Io sospiro allontanandomi di qualche passo, più che altro per scaricare la tensione, poi inizio a spiegarle tutto.

“Io, quando stavo con la mia ex fidanzata, la prima cosa che mi ha buttato via è quel pouf su cui guardavo le partite. Poi ha buttato via le mie uscite allo stadio, la moto, i grassi idrogenati, poi i miei amici, ha buttato via...” elenco, mentre lei cerca di stare al seguito del mio discorso, chiudendo gli occhi e spostando i capelli su un lato, comprendendo finalmente qual è stato il tassello che ha fatto saltare tutto. “Alla fine è riuscita a cambiarmi perfettamente. E sai cos'ha fatto? Ha buttato via anche me! 'Eh, non eri più quello di prima'...” Finisco, citando le parole della mia ex al primo confronto dopo aver scoperto che mi tradiva.

Lei resta un attimo a soppesare le mie parole, poi si avvicina, un lampo di preoccupazione passa nelle sue iridi verdi. “Tu hai paura che io... voglia cambiarti.” Sussurra.

“No!” nego subito, stringendole le spalle per rassicurarla. “No, no, no, beh, tu non sei Federica! Tu non vorrai mai cambiarmi, lo so... E so che ci potremo amare... senza cambiarci. Ti prego,” la imploro stavolta, prendendole il viso fra le mani e obbligandola a guardarmi di nuovo, “non sposare Giovanni. Lo so che gli hai già detto di-”

“No.” Mi interrompe Anna con un sorrisetto, alzando per un istante gli occhi al cielo. 

Ammetto di essere confuso. No... cosa?

“Gli ho detto di no, Marco. Non posso... non lo amo più.” Ammette, prima di raddrizzare le spalle e aprirsi in un sorriso.

Allora è questo che tentava di dirmi all'inizio, quando l'ho pregata di non sposarsi. Avevo ragione... ama me! Ama me!

Resto a guardarla ancora per un istante, il sollievo evidente sul mio volto, e faccio per baciarla quando lei gira il viso, sollevando una mano per impedirmi di fare altro, lanciandomi però uno sguardo di scuse.

“Co- ma è per Chiara?” Penso al volo. “Scusa... io... ho sbagliato con lei-” le confesso, sperando che capisca.

“No, non è per Chiara... cioè, anche per Chiara però non solo...” Mi spiega con gli occhi bassi, prima di stringermi le mani tra le sue. Io non so che aspettarmi a questo punto. Cosa ci potrebbe essere, adesso, che ci impedisce di stare insieme, se non è sua sorella? “Marco, è che io... non posso promettertelo...”

“Cosa?” Chiedo, senza capire.

Lei solleva lo sguardo, un velo di dispiacere ad offuscarlo. “Che ci ameremo senza cambiarci.”

“Ma perché?” Il mio è un sussurro disperato. Lei mi guarda come a dirmi che la mia è una richiesta impossibile per ovvi motivi, ma io non riesco a capire. Non voglio capire. Perché non possiamo? Non andiamo bene, così?

Anna deve averlo intuito, perché decide di continuare.

“Io sono cambiata in questi mesi,” spiega. “Ho imparato ad avere più fiducia in me stessa, ho accettato la mia femminilità... ho anche messo il push-up,” aggiunge con espressione seria che, se da un lato mi fa ridere, dall'altro non posso dire che si riferisca a una cosa passata inosservata. “L'ho notato, sì...” Ammetto con un po' di imbarazzo.

“Eh sì, lo so.” Commenta lei con la stessa espressione di prima.

“... Cosa?!” Chiedo d'istinto, arrossendo da matti. Cioè, pensavo di essere stato discreto e invece mi sono fatto beccare per bene a fissarla... praticamente sempre, se se n'è accorta con tanta facilità? 

Lei ride, divertita dal mio imbarazzo crescente, ma poi riprende il discorso, tornando di nuovo davvero seria. “Sono cresciuta... anche grazie a te. Però è inevitabile che si cambi. Io... io cambierò te, e tu cambierai me... e questo è stare insieme...” Tenta di spiegarmi. Alla mia espressione dubbiosa, prova ancora a farmi recepire il messaggio. “È un viaggio, non lo sai dove ci porta... Si perdono delle cose, se ne prendono altre.... si cambia! È bello cambiare, è bellissimo cambiare... insieme.” Sussurra, stringendomi più forte le mani.

 

Io esito un istante, riflettendo sulle sue parole senza smettere di guardarla negli occhi.

E mi rendo conto che quello che sta dicendo è semplicemente la realtà dei fatti.

Dopotutto, l'ho già ammesso un sacco di volte, di essere già cambiato per merito suo, almeno con me stesso.

La sua vicinanza mi ha permesso di vedere molte cose in modo diverso, di non dare per scontato ciò che vedo, di andare più a fondo nelle situazioni senza fermarmi alla superficie. 

Mi ha fatto comprendere che a volte il proprio posto lo si trova nel luogo più inaspettato possibile, dove non andremmo mai a cercare.

Quando l'ho conosciuta, mai avrei pensato che mi sarei potuto innamorare di lei. Mi ero ripromesso di mantenere le distanze perché convinto che non saremmo mai andati d'accordo, e invece...

Guardatevi, ora.

 

“Se è un viaggio da fare insieme, allora... avremo bisogno di spazio. È arrivato il momento di buttare via tutte quelle cose del passato che servono soltanto a far peso... Conta solo ciò che ci aspetta da ora in avanti.”

Alle mie parole, Anna torna ad aprirsi in un sorriso di sollievo.

“Per un attimo ho pensato che te ne saresti andato di nuovo...” Ammette.

Le accarezzo delicatamente una guancia. “Per un attimo l'ho pensato anch'io, ma... ho capito che non ero quello che volevo davvero. Non voglio avere paura. E so che insieme a te posso superarla.”

Lei chiude gli occhi al contatto delle mie dita sulla sua pelle.

“Ti amo...” sussurra, e potrei giurare che lei riesca a sentire il mio cuore battere impazzito.

La bacio senza riuscire ad aspettare oltre. 

Ho bisogno di sentirla, di sapere che non sto sognando.

 

Solo adesso mi rendo conto di quanto mi sia mancato sentire le sue labbra sulle mie. 

Anche se è successo sul serio soltanto una volta, in questo stesso posto, mesi fa, non ho mai smesso di pensarci. 

Come allora, le sue mani salgono a stringere le mie che le accarezzano il viso, ma stavolta non si allontana. 

Anzi, il nostro bacio si fa ancora più intenso mentre le sue braccia si stringono attorno al mio collo mentre io le cingo la vita, avvicinandola di più a me.

Nella mia mente soltanto lei, il sapore delle sue labbra sulle mie e il suo profumo a invadermi i sensi.

Non so come sarebbe andata a finire se lo squillo del suo cellulare non ci avesse interrotti.

Le guance arrossate, Anna si schiarisce la voce prima di rispondere.

“Sì, Maresciallo...” 

Cecchini? Cosa può volere a quest'ora? Chiamandola sul cellulare, poi?

Vedo l'espressione di Anna mutare di colpo e farsi tesa, il rossore che scivola via in fretta.

“Che cosa significa, scappato?!” Esclama, alzando la voce.

Scappato...? 

Farina!

“Va bene, va bene... torni immediatamente in caserma, ci vediamo lì.”

Chiude la chiamata, la preoccupazione ormai visibile. Non c'è bisogno che dica niente, ho intuito il problema.

Corre a mettere la divisa, legando i capelli in fretta mentre scendiamo le scale e torniamo spediti nel suo ufficio.

Mi spiega brevemente che Cecchini a quanto pare ha accompagnato Farina da Cosimo, pensandoche se solo l'avesse visto, si sarebbe convinto. E quel vigliacco ne ha approfittato per scappare.

Dopo aver diramato la segnalazione dell'auto in fuga col fuggitivo a bordo, aspettiamo il maresciallo nel suo ufficio.

Anna si appoggia alla scrivania, lo sguardo cupo. “Avrei dovuto immaginarlo, che l'avrebbe fatto... Come ho fatto a non capirlo?” Si rimprovera.

Io le accarezzo la schiena, cercando di tranquillizzarla. “Non è colpa tua... C'ero anch'io quando l'ha detto. È stato un gesto dettato dalla disperazione. E lo capisco... sono stato tentato di fare qualcosa di simile anch'io, quando hanno rapito te.” Confesso, e noto i suoi occhi farsi ancora più lucidi.

In quel momento arriva Cecchini, lo sguardo basso e il capo chino.

“Capitano...” Si accorge di me solo dopo qualche istante. “Dottore, c'è anche Lei...!”

“Sì, ero da Anna quando ha chiamato. Perché non ci ha avvertiti di quello che voleva fare?” Gli chiedo cautamente ma con gentilezza. 

Lui sembra spiazzato dal mio tono, capisco che si aspettava una reazione diversa, almeno da me.

“Io... pensavo che non eravate d'accordo...” Mormora.

Stavolta è Anna a prendere la parola. “Avremmo comunque potuto aiutarla... quando le ho detto che poteva contare su di me, intendevo per tutto... se solo me l'avesse detto...”

Sembra esitare un momento, poi lo abbraccia di slancio. 

Cecchini ricambia la stretta, e la scena non può che commuovermi.

Gli metto una mano sulla spalla quando lei si allontana, portandosi al mio fianco.

“Abbiamo diramato la segnalazione... l'abbiamo fatta subito, speriamo di avere qualche risultato, altrimenti continueremo con le ricerche domani mattina.” 

 

Cecchini si calma, anche se poco. 

Sono da poco passate le 23 quando il cellulare di Anna squilla.

Lei spalanca gli occhi. Io sono seduto sul divanetto accanto a lei, quindi riesco a vedere il nome sul display. 

 

Chiara.

 

Anna esita un attimo prima di rispondere, lanciandomi un'occhiata incerta.

“Ehi... scusa, ho dimenticato di avvisarti, è successa una cosa in caserma e sono dovuta andare... Sì, non ti preoccupare... Tra un po' rientro... Non c'è bisogno che mi aspetti... va bene, fa' come vuoi...  A dopo.”

 

Quando chiude la chiamata, ci scambiamo un'altra occhiata tesa.

In tutta sincerità non ci avevo più pensato, ma è ovvio che è un problema – grave – che va affrontato il prima possibile.

Questo scambio silenzioso evidentemente non passa inosservato.

“Qualcosa non va?” Chiede Cecchini. 

“No, no, tutto a posto.” Minimizza lei, ma capisco che non l'ha convinto.

“Se c'è qualcosa che posso fare...”

“Grazie, Maresciallo.” Gli dice Anna, e io gli sorrio di rimando, grato del suo appoggio nonostante il momento. 

Passa quasi un'ora, senza risultati soddisfacenti. Per stanotte dobbiamo arrenderci.

“Riprenderemo con le ricerche domani mattina, magari nel frattempo si muove qualcosa,” sospira Anna. “Maresciallo, si vada a riposare.”

Lui china la testa, abbattuto. “Pure voi, però.”

“Non si preoccupi, restiamo solo qualche altro minuto,” lo rassicuro io lanciando uno sguardo di sbieco ad Anna, che afferra al volo l'allusione.

“Allora buonanotte.” Ci saluta Cecchini, prendendo il cappello e andando via.

 

Anna torna ad appoggiarsi alla scrivania con un sospiro.

L'ultima cosa che vorrei è preoccuparla ulteriormente, ma non possiamo rimandare.

“Anna,” esordisco, cauto, “dobbiamo dirlo a tua sorella.”

Lei solleva lo sguardo. “Lo so...”

Mi avvicino, posizionandomi davanti a lei. “Gran parte di questo casino è colpa mia, e tocca a me tentare di risolverlo. Anche perché non riuscirei a fare finta di niente, non dopo stasera. Anzi, non voglio fare finta di niente.” Le accarezzo una guancia prima di continuare. “Voglio stare con te, e per farlo devo essere prima onesto con Chiara.”

“Nemmeno io sarei capace di fingere, non dopo la tua meravigliosa dichiarazione,” ammette con un sorriso, facendomi arrossire, “ma non sarà facile. È mia sorella... e io per prima l'ho tradita. Vorrei che ci fosse un modo per evitare di litigare, ma lo so che non c'è. Sarà un brutto colpo per lei, lepiaci davvero e io mi ero ripromessa di tirarmi fuori e lasciare che fosse felice.”

“E tu? La tua felicità conta quanto la sua. E poi, non sarebbe continuata comunque con lei, e lo sai. Io amo te.”

Le poso un delicato bacio sulle labbra prima di prenderla per mano e uscire dalla caserma.

Ho un groppo in gola che non accenna a diminuire, e riesco appena a immaginare come possa sentirsi lei davanti a quello che stiamo per fare.

 

Chiara's pov

 

Ho sentito il Maresciallo rientrare qualche minuto fa, quindi suppongo che Anna tornerà a breve. 

Aveva un tono strano al telefono, e non è da lei dimenticarsi di avvertirmi se deve uscire, quindi suppongo si sia trattato di una cosa abbastanza grave.

E poi, mentre ero a pilates ho avuto modo di riflettere su un po' di cose. La mia storia con Marco e i suoi sentimenti per mia sorella in primis. Ho capito che tra loro c'è qualcosa, ma che si ostinano a negarlo e che sta diventando sempre più difficile farlo. Quindi avrei voluto parlarle in ogni caso ma non so se adesso sia un buon momento, dipende dallo stato in cui torna.

 

Quando sento girare la chiave nella serratura e la porta aprirsi, non vedo ciò che mi aspettavo.

C'è Marco con lei, e hanno entrambi un'espressione strana in volto.

“Ehi, ciao,” li saluto, tentando di suonare indifferente, “che è successo? Come mai siete dovuti andare in caserma a quest'ora?”

Anna posa il cappello sul tavolo, togliendosi la giacca e slacciando la cravatta. Tiene gli occhi bassi, e non è un buon segno. 

“Farina, il prigioniero, è riuscito a scappare con un tranello. Abbiamo avviato le ricerche, ma... finora non lo abbiamo trovato.” Sospira.

“Il padre di Cosimo?”

“Sì.”

Quindi adesso che è fuggito il bambino ha ancora meno speranze di salvarsi.

Torno a guardare mia sorella. Non ha incrociato il mio sguardo nemmeno una volta da quando è entrata, e non capisco che ci faccia Marco qui. Intuisco che abbiano dovuto avvertire anche lui, ma perché è venuto qui a casa insieme a lei adesso?

Li vedo scambiarsi un'occhiata tesa.

Poi è Marco a parlare. “C'è... c'è un'altra cosa...” mormora, guardandomi per un istante prima di girarsi di nuovo verso Anna.

Io rimango in silenzio, mentre il mio cervello ha già fatto i suoi calcoli.

“Io... ero già qui quando Cecchini ci ha avvisati. E non per questioni di lavoro, ma...” Inspira a fondo come per raccogliere il coraggio per proseguire ma io non lo faccio continuare, non ce n'è bisogno e fa già male così.

“Ami lei, vero? L'ho capito da un po',” dico con un mezzo sorriso amaro, rivolta a mia sorella che solleva lo sguardo, come se non riuscisse a credere alle mie parole. “Solo che avrei preferito che mi diceste la verità prima di fare qualsiasi cosa, perché mi sembra chiaro dal vostro comportamento che qualcosa è successo. Per carità, ognuno di noi ha commesso errori in questa storia, anch'io, ma voi avreste dovuto essere sinceri!” Alzo la voce senza quasi accorgermene. Mi rivolgo prima ad Anna. “Tu avresti dovuto dirmi che ti eri innamorata di Marco quando ho iniziato a uscirci insieme, mi sarei messa da parte! E anche tu,” dico poi rivolta a lui, “non avresti dovuto iniziare una storia con me se ami lei.”

“Hai ragione,” interviene allora mia sorella, “è vero, abbiamo sbagliato. Il fatto è che... tu lo sai come sono io, non ho mai avuto la tua sicurezza in queste cose. All'inizio pensavo che per te fosse una di quelle relazioni temporanee come al solito, ma poi ho capito che invece stavolta era una cosa seria... Non volevo rovinare le cose tra voi, e non ho più detto nulla. Avevo già avuto la mia occasione e l'ho buttata al vento, quindi ho preferito lasciar stare.”

Non capisco.

“Di che occasione parli?”

Anna si volta verso Marco con un sorriso che lui ricambia. 

“È successo mesi fa. Dopo una... situazione abbastanza delicata. Noi... ci siamo baciati. Solo che io ho avuto paura e gli ho detto che era stato un errore.”

“E io ho fatto anche peggio, se è per questo...” interviene Marco. “Una sera mentre ero con Anna è successa una cosa che mi ha mandato in panico. E il passato è tornato a farsi sentire. Anch'io ho avuto paura, e ho preferito scappare piuttosto che affrontarla. Mi ero ripromesso di metterci una pietra sopra, e pensavo di starci riuscendo quando è tornato Giovanni che ha scombussolato tutto e mi ha messo davanti all'evidenza che ogni sforzo da parte mia era stato inutile. Quando ho saputo della proposta di matrimonio... ho capito che non avrei potuto continuare a mentire a me stesso. Non potevo più fingere... Per questo sono venuto qui, stasera, per pregarla di non sposarsi. E scoprire che aveva... detto di no.”

Io non riesco a crederci. Tutte queste cose... perché io non mi sono accorta di nulla? 

“Giovanni ti ha... chiesto di sposarlo?” Chiedo debolmente ad Anna.

Lei abbassa lo sguardo.

“Immagino che abbiate bisogno di parlare, voi due...” Comprende Marco. Dopo aver stretto la mano di mia sorella in un gesto così intimo e dolce da obbligarmi a distogliere lo sguardo, si avvicina a me. 

“Chiara, mi dispiace, davvero. Spero potrai perdonarmi... E Anna ti vuole profondamente bene... Capirai.” Mi dice a voce bassa, prima di lasciarmi un bacio in fronte e andare via, chiudendo piano la porta.

 

Tra me e Anna cala il silenzio per qualche minuto.

 

“Perché non mi hai detto di Giovanni?” Chiedo poi io in un sussurro.

“Se l'avessi fatto, avrei anche dovuto spiegarti perché gli ho detto di no...” 

“E adesso puoi dirmelo?”

Lei accenna un sorriso. “Adesso sì... Non potevo accettare la sua proposta semplicemente perché non lo amo più. Forse non lo amavo più nemmeno quando mi ha detto di voler entrare in seminario, ma non me ne ero resa conto. Mi hai detto che era come se si fosse preso una pausa... lui sì, ma non io. Quando se n'è andato, ho capito che faceva male, ma non quanto mi sarei aspettata... Quando mamma ha frainteso con la storia del matrimonio, quella volta, io... L'idea di sposarlo non m faceva più effetto, non era quello che volevo, e solo dopo ho capito perché.” Torna a guardarmi, e capisco che quello che mi sta dicendo le sta costando molto. “Mi stavo innamorando di un uomo che all'inizio nemmeno sopportavo, ma che avevo iniziato a conoscere davvero... per scoprire che quella sua arroganza era solo una facciata dovuta a una ferita profonda e non del tutto rimarginata. Che in realtà era un uomo sensibile, premuroso... che aveva imparato a conoscermi talmente bene che spesso non aveva bisogno nemmeno di chiedere. E questa cosa mi ha fatto paura, perché non mi ero resa conto di avergli dato così tanto di me. E per lui è stato lo stesso. È così che ci siamo ritrovati in quella situazione assurda.”

Fa una pausa, sciogliendo i capelli e sedendosi sul divano. “Quando mi hai detto di volerci provare con lui, mi sono sentita terribilmente insicura. Tu sei sempre stata a tuo agio con gli uomini mentre io sono un disastro, e pensavo che sarebbe stato inutile perfino provare. Quella sera di cui parlava Marco... penso di aver lasciato un po' di dignità a casa sua, perché la sua reazione è stata talmente tragica da convincermi che mi avesse rifiutata per te. Vi siete messi insieme, e tu mi hai detto che eri felice con lui, e... anche lui sembrava esserlo con te. Non volevo rovinare tutto. Avevo lasciato stare, mi sarei fatta da parte, avrei sotterrato i miei sentimenti fino a farli sparire. Il ritorno di Giovanni ha fatto saltare gli equilibri un'altra volta, però, perché non mi sarei mai aspettata tanta gelosia da parte di Marco, e di certo non in modo così evidente. Anche con Giovanni, la sera della partita... Però continuava a stare con te, e io non sapevo che fare. Ma ero sicura di non voler tornare con Giovanni, e il bacio davanti alla caserma era stato davvero un errore dovuto al momento. Così quando si è presentato qui a casa, con l'anello di fidanzamento a chiedermi di sposarlo... Mi ha spiazzata. Non l'avevo incoraggiato da quando era tornato, anzi avevo tentato di fargli capire che per me la storia era chiusa e al massimo potevamo essere amici. E invece... Per quanto bene gli continui a volere, però, non potevo dire di sì. Non me la sono sentita... Non potevo sposarlo. Anche se Marco continuava a stare con te e rifiutare la proposta di Giovanni significava continuare a soffrire... me ne sarei fatta una ragione.”

“Devi amare Marco davvero tanto per accettare di stare così male consapevolmente... per rifiutare Giovanni, che si è reso conto di essere ancora innamorato di te...”

“Accettare la proposta di Giovanni significava mentire, non solo a lui ma anche a me stessa, a te e a tutti gli altri... Io amo Marco,” mi confessa, guardandomi dritta negli occhi, “e se insieme eravate felici, lo avrei accettato. Non pensavo sarebbe venuto a conoscenza della proposta.”

“Come lo ha saputo, se non gliel'hai detto tu?”

“Cecchini,” risponde semplicemente, “ogni tanto origlia... ma in quel caso l'ha fatto nel momento sbagliato, perché pensava che gli avessi detto di sì, ed è corso a dirlo a Marco. Aveva già capito tutto, il Maresciallo...” ridacchia. “E quando mi sono ritrovata Marco davanti alla porta, qualche ora fa, pensavo cercasse te. Non che mi chiedesse di non sposarmi perché mi ama.”

“Non potevi non baciarlo, in questo caso...” mormoro con una mezza risata. Fa male, certo, ma in parte è anche colpa mia. Non mi sono accorta di nulla, nei mesi passati, e i segnali c'erano tutti. “Dai, così siamo pari con Marco Ginami,” dico, per spezzare la tensione. Non mi piace litigare con Anna. Le voglio troppo bene. Dalla sua faccia però mi sembra evidente che non si ricorda. “Quello della 5^B che ti ho fregato quando stavamo al liceo,” spiego, alludendo al ragazzo per cui si era presa una cotta tremenda e che, fra l'altro, la ricambiava, ma io mi ero scoperta gelosa di lei perché aveva conquistato senza saperlo il ragazzo che piaceva anche a me e glielo avevo soffiato via sotto il naso di proposito.

“Ah...” mormora, facendo mente locale. Poi però ridacchia anche se ha appena scoperto che l'avevo fatto apposta all'epoca, e io ricambio il sorriso.

Faccio un respiro profondo. “Mi sa che ci vuole un po' di gelato..” propongo poi.

“Cioccolato e panna,” diciamo all'unisono, e per un attimo mi ritrovo catapultata a quand'eravamo piccole e litigavamo o eravamo tristi, e allora prendevamo una vaschetta di gelato con questi due gusti e la condividevamo per far pace e tirarci su. Adesso naturalmente la questione è più grave, ma non significa che non possiamo superarla.

Siamo sorelle, e non permetterei mai a nessuno di dividerci, neanche a un uomo. 

Marco, poi, so che la ama veramente, quindi so di lasciarla in buone mani anche se significa che per un po' dovrò convivere con la sofferenza di vederli insieme. Lei per me l'ha fatto. Ora tocca a me.

 

Marco's pov

 

Il mattino dopo, non resisto alla tentazione e aspetto Anna sotto casa sua, un po' per essere sicuro che abbia chiarito con sua sorella, un po' perché in caserma non potrei salutarla come voglio.

“Marco!” Esclama lei nel trovarmi lì, e la sua espressione felice mi tranquillizza.

“Buongiorno,” le dico prima di stringerla a me e baciarla come avrei voluto fare da mesi ogni mattina.

Ed è bellissimo sentirla rispondere al mio bacio con lo stesso desiderio che provo io, bellissimo sentire il calore delle sue guance arrossate sotto le dita, il suo sorriso contro le mie labbra.

“Anche a te,” risponde senza fiato quando ci separiamo.

Mentre ci avviamo verso la caserma, mi spiega di aver sistemato tutto con Chiara, che ci vorrà un po' di tempo perché tutto torni com'era, ma che ha capito. Non poteva darmi notizia migliore. 

Una volta su, ci dicono che non ci sono ancora notizie di Farina, sembra scomparso nel nulla. Intensifichiamo le ricerche.

Mentre siamo nel suo ufficio, seduti dalla stessa parte della scrivania a lavorare su alcuni documenti, Cecchini bussa per poi entrare con un'espressione curiosa.

“Capitano, Dottore...” ci saluta. “Dovrei chiedervi un favore... lo so che vi ho chiesto tanto in questo periodo, però c'è un'ultima cosa...”

“Dica pure, Maresciallo,” lo tranquillizza Anna con un sorriso.

“Sapete che con Don Matteo abbiamo pensato di fare il Presepe vivente davanti al Duomo... Ghisoni, Barba e Zappavigna fanno i Re Magi, Sofia, Seba e Assuntina faranno i pastorelli, e l'infermiera di Cosimo ha accettato di fare l'angelo... solo che ci mancano Giuseppe e Maria...”

Ah. Capisco perché fosse un po' restio a chiedere...

“Pippo e Natalina?” Tento.

“Sono sulla slitta con me, fanno gli elfi di Babbo Natale, andiamo a prendere Cosimo con quella e lo portiamo fino alla piazza. Che dite, li fate voi?”

Scambio un'occhiata incerta con Anna. È una cosa impegnativa... però ci siamo ripromessi di dare una mano. E capisco che lei è della stessa idea.

“Se è per il bene di Cosimo, allora d'accordo.” Accetto per tutti e due.

“Veramente?” Chiede Cecchini, sbalordito.

“Sì... le abbiamo detto che l'avremmo aiutata. Con lo spettacolo non è andata male, no? Se è per il bambino, dopo aver fatto quello... ” Scherza Anna, facendo ridere anche noi.

“Grazie,” ci dice lui, commosso, voltandosi per tornare a lavoro asciugandosi gli occhi. Prima di uscire, però, torna a guardarci per un attimo.

“Volevo dirvi pure che... sono contento per voi.”

Noi lo guardiamo basiti, incerti su come faccia a sapere già di noi due.

Lui deve averlo intuito, perché precisa. “Dalla finestra del mio soggiorno si vede bene la strada... e quando mi sono affacciato, stamattina prima di venire qui in caserma, vi ho visti. Involontariamente.”

Penso di essere arrossito almeno quanto Anna, che però gli regala un piccolo sorriso.

“Grazie, Maresciallo,” gli dice poi in tono affettuoso, e io faccio lo stesso.

So che ci vuole bene, e ha sempre avuto le migliori intenzioni per noi. In fondo, è anche un po' merito suo se adesso stiamo insieme. 

 

“Mi fa piacere vedere che questo Natale non lo consideri più una cosa assurda...” Mi confessa lei, una volta soli.

“Non l'ho mai pensato davvero, in realtà... solo che avevo altro per la testa e non riuscivo a ragionarci con calma. Quello che Cecchini sta facendo è un gesto d'amore bellissimo. Se serve a far felice Cosimo, allora ne vale la pena.”

Alle mie parole, Anna mi afferra per il bavero della giacca, per attirarmi a sé e baciarmi, cogliendomi alla sprovvista per poi ridere alla mia espressione a metà tra il sorpreso e l'estasiato.

“Le tendine sono chiuse, non ha visto niente nessuno... e anche se fosse, prima o poi dobbiamo dirglielo. Se non lo sanno già, considerando che al Maresciallo piace fare gossip...”

“Non lo escluderei...” 

Ci rimettiamo a lavorare, un'aria diversa tra noi.

Una nuova felicità.

 

Nel pomeriggio, una volta a casa di Anna, Cecchini ci consegna gli abiti di scena per farceli provare, poi va da Don Matteo, per trovare un po' di consolazione agli ostacoli per il Natale di Cosimo. Anche se noi abbiamo accettato di aiutarlo, resta il fatto che probabilmente domani sera non ci sarà nessun altro in piazza oltre noi, Farina non è stato trovato e la possibilità del trapianto diminuisce sempre di più.

Chiara è tornata a Perugia per qualche giorno, per rivedere le sue colleghe di università ma anche per cercare di far calmare le acque dopo quanto successo ieri.

Siamo seduti sul suo divano a parlare quando l'omelia di Don Matteo alla radio parrocchiale inizia. Abbiamo deciso di ascoltarla perché tutti abbiamo bisogno di un po' di sollievo in questo periodo.

Con nostra enorme sorpresa, però, non è il parroco a prendere la parola, ma Cecchini. 

“Buongiorno. Io sono il maresciallo Cecchini. Io sono qui perché c'è un bambino, si chiama Cosimo, che soffre. Però ha un sogno, una speranza: di rivedere suo padre il giorno di Natale. Però questo bambino forse non arriverà a Natale. E allora sono qui perché vi prego di aiutarmi a realizzare questo suo sogno, si... di trasformare questo mese di agosto in Natale. E lo so che voi ad agosto volete andare in ferie... aspettate tutto l'anno questo mese, volete andare in vacanza, al mare... Però vi chiedo di farlo per il bambino. Io questo bambino, quando l'ho conosciuto, lo odiavo. Cioè, odiavo il padre perché pensavo che avesse lasciato morire mia figlia... Però l'amore per questo bambino adesso mi ha cambiato, io per lui farei qualsiasi cosa... E penso che l'amore può trasformare, e noi possiamo trasformare il mese di agosto in Natale... Sì, possiamo, perché il Natale è dentro di noi. Per noi è sempre Natale, quindi vi prego, aiutatemi. Io non so cos'altro dire, ma... grazie a tutti.”

Quando il Maresciallo termina il suo discorso, mi ritrovo a stringere Anna che piange silenziosa tra le mie braccia, e anch'io sono commosso per le parole che abbiamo sentito.

Mi ci ritrovo in ognuna di esse... E capisco fino in fondo perché ad Anna stia tanto a cuore la gioia di Cosimo. Lei ha perso suo padre quand'era piccola senza poter scegliere, e per lo stesso motivo il rapporto con sua madre ha iniziato a deteriorarsi. Cosimo ha perso sua madre, ma ha ancora la possibilità di avere suo padre nella speranza che lui capisca in tempo.

Per il resto, personalmente anche con Anna è stata una situazione simile: all'inizio la detestavo per il semplice fatto che riuscisse a tenermi testa, e perché non mi fidavo del genere femminile dopo la batosta che avevo preso. Col tempo invece, ho capito che mi ero sbagliato su di lei, e me ne sono innamorato. È vero che l'amore può trasformare, io l'ho fatto... con lei. Anch'io, per lei, farei qualsiasi cosa. So che ne vale la pena.

 

Restiamo abbracciati così per non so quanto, senza dire nulla, a goderci questo momento per noi.

Adesso che siamo liberi di farlo, non voglio perdermi nemmeno un istante.

Resto a cena da lei, mentre chiariamo tutto ciò che ancora era rimasto sospeso insieme. 

Per il momento basta questo. Abbiamo tutto il tempo del mondo per sistemare il resto e crearenuovi ricordi, insieme.

 

Anna's pov

 

Il mattino dopo mi sveglio sul divano, sdraiata e abbracciata a Marco. Dev'essere abbastanza presto, a giudicare dalla luce. Evidentemente a un certo punto ieri notte ci siamo addormentati qui, non ricordo. Non importa. 

Svegliarsi così è una sensazione meravigliosa. 

Lo osservo dormire, un'espressione serena sul volto.

Se penso a quante ne abbiamo passate... e quanto sia bello trovarsi qui, adesso.

Rivivrei ogni singolo istante solo per questo.

Non avrei mai pensato di riuscire ad amare così tanto.

Lui, poi. Con cui mi sono scontrata praticamente dal primo istante.

Lui, che con quelle sue battute irriverenti e i suoi modi dolci è riuscito a fare breccia nella corazza che mi ero costruita intorno fino ad arrivare al mio cuore, che gli ho consegnato senza esitazione.

E lo rifarei mille volte.

 

Passo le dita tra quei riccioli che adoro da impazzire ma lui non accenna a svegliarsi, per cui cambio sistema.

Mi metto a cavalcioni sulle sue gambe, poi avvicino il mio viso al suo.

È un bacio delicato il mio all'inizio, appena uno sfiorarsi di labbra che però si trasforma molto presto quando lo sento rispondere e intensificare le cose, le sue braccia a stringermi tanto da farmi praticamente sdraiare su di lui.

Decisamente non mi lamento, è un risveglio migliore del previsto.

“Se partiamo con questi presupposti, mi sa che mi conviene addormentarmi con te,” mormora con voce roca Marco. “Buongiorno!”

Io arrossisco, cercando di alzarmi dalla mia posizione senza incidenti. “Buongiorno anche a te...” biascico poi una volta in piedi, spostando una ciocca dietro l'orecchio.

Si alza anche lui tornando a baciarmi, stavolta molto più dolcemente. Potrei farci l'abitudine, a queste mattine.

 

Dopo una colazione veloce, con estrema riluttanza lo lascio andare a casa a cambiarsi.

Mi rendo conto che per tutto il tempo che passo a preparami per andare in caserma, non smetto di sorridere un attimo.

Mentre lego i capelli nel solito chignon, noto le mie guance tornare a tingersi di rosso al solo pensiero dei baci di stamattina.

Resistere in ufficio sarà una tortura.

 

Quando ci rivediamo lì, mezz'ora dopo, devo accontentarmi delle sue dita che sfiorano le mie ogni volta che ne ha la possibilità.

Ma le implicazioni di quel semplice gesto bastano a farmi battere il cuore.

 

Purtroppo non riusciamo a rintracciare Farina, quindi Cosimo dovrà fare a meno di suo padre, stasera. Ce l'abbiamo messa tutta, ma sembra davvero sparito nel nulla.

Mentre ci avviamo verso la piazza con i costumi di scena già addosso (e con cui fa  un caldo terribile, ma resisteremo), ci rendiamo immediatamente conto che le parole di Cecchini alla radio hanno fatto il loro effetto.

Un sacco di gente si è già radunata vicino all'abete e alla capanna, e altrettante ce ne sono per la via principale addobbata di luci, tutti con abiti pesanti addosso a fingere che sia dicembre.

Per amore di un bambino.

 

Quando Cosimo arriva in piazza insieme a Cecchini, tutti si commuovono nel vederlo, e non c'è volto che non sia bagnato di lacrime quando il piccolo afferma che non gli importa se suo padre non sia venuto, e che gli basta che ci sia il Maresciallo.

 

E poi succede.

 

Marco mi fa un cenno, e resto basita ad osservare Remo Farina fare il suo ingresso in piazza, prendendo in braccio Cosimo, al colmo della felicità.

Io mi avvicino, con Marco al mio fianco. Se è qui, so che non scapperà, ma devo esserne certa. 

Quando ci vede ci riconosce subito, e si arrende subito.

“Adesso potete anche portarmi con voi,” dice semplicemente.

Ma io non toglierei mai questa gioia a Cosimo, e nemmeno la speranza di salvargli la vita anche se lui non lo sa.

“Vada a messa,” mormoro, “si goda il Natale con suo figlio.”

Marco mi guarda, probabilmente incredulo per quello che ho fatto, ma sono certa che andrà tutto bene. Anche lui lo capisce, perché mi stringe forte a sé per qualche istante prima di avviarci verso la chiesa.

 

All'improvviso, accade un'altra cosa che ci lascia davvero senza parole.

 

Nevica.

 

Non crederei ai miei occhi se non fosse per la sensazione dei piccoli cristalli di ghiaccio che si posano lievi sulle mie mani prima di sciogliersi. 

Marco si avvicina a Cecchini.

“Maresciallo, ma come ha fatto?” Gli chiede. 

“Ma... ma io non ho fatto niente!” Replica lui, più sconcertato di noi.

“Ma è agosto, è...” Mormora debolmente Marco, tenendo lo sguardo in su.

Poi Don Matteo si avvicina a noi.

“Ha visto, Maresciallo?” Chiede con voce gentile. “I miracoli esistono!”

 

Non potrei essere più d'accordo. L'arrivo del padre di Cosimo, la neve... possono essere spiegati solo così.

 

Mi avvicino a Marco con un sorriso, e quando lui mi bacia con la neve che continua a cadere lentamente su di noi penso che non potrei desiderare niente di più.

Anche noi abbiamo avuto il nostro piccolo miracolo: l'amore, quell'amore a cui pensavamo di dover rinunciare e che non avremmo mai potuto vivere, e che invece sento crescere dentro ogni istante di più.

Il nostro amore.

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Capitolo 7
*** Premonizioni ***


 

PREMONIZIONI


N/A La parte compresa tra i tre asterischi (***) è la copia del capitolo 'Premonizioni' nell'altra mia fanfiction 'Life-changing frenzy', che ho inserito perché procede regolarmente come in puntata. Oltre gli asterischi, la parte alternativa. Buona lettura! 

*** Per qualche settimana, le cose tra me e Anna restano tese.

È difficile lavorare in questo clima, con lei. E strano.

Ci sforziamo però di comportarci almeno civilmente, e piano piano le cose iniziano a spianarsi un'altra volta.

Non c'è l'agio di prima, questo è palese, ma almeno adesso parliamo di nuovo.

Ormai va così, ce ne faremo una ragione entrambi.

 

Oggi mi hanno chiamato in caserma per un caso di omicidio. Ad essere convocata è la futura sposa dell'uomo ucciso, e quando arrivo è già in lacrime.

Anna non pressa, anzi si limita a cercare di consolare la ragazza, così intervengo io chiedendole di raccontarci cosa sia successo il giorno prima, lanciando un'occhiata di sbieco al Capitano. Non mi va di perdere tempo, così insisto, cercando di tirar fuori qualcosa da questa donna che sembra raccontare le cose a metà. Anna mi guarda male, e inizia a porre lei le domande con un tono però molto più gentile, alle quali la ragazza risponde senza problemi. Per qualche motivo la cosa mi dà fastidio. Le mie osservazioni sulle sue storielle la mettono di nuovo in crisi, e Anna torna a bloccarmi dicendomi, con parole diverse, che la signorina soffre di depressione.

Modero i toni, sentendomi un po' in colpa, accordando poi i domiciliari.

Quando la accompagnano fuori, Anna le rivolge uno sguardo comprensivo che mi fa vacillare un attimo.

 

Non riesco a capirla, quando fa così.

O forse non fai attenzione. Siete di nuovo distanti, e tu hai iniziato di nuovo a comportarti da stronzo con tutti, come facevi prima di conoscere meglio lei.

 

***

 

In questi giorni, è venuto in visita il Colonnello, per cui Anna è spesso fuori con lui per vari impegni. Per questo quando Chiara entra nel suo ufficio in lacrime, lei non c'è.

“Ehi,” le dico, facendola sedere sul divanetto, “che succede?”

“Cercavo mia sorella...” mi risponde, incerta.

“Credo sia ancora in giro col Colonnello. Cos'hai? È successo qualcosa?”

“Mia madre si è scordata della mia laurea, la settimana prossima. Ha prenotato un viaggio e non ci sarà.” Mi spiega, tornando a piangere.

Io la abbraccio, incredulo. È sua madre, come fa a dimenticarsi una cosa del genere?

Poi mi ricordo le parole di Anna, che mi ha raccontato in più occasioni come la madre, dopo il suicidio di suo padre, sia diventata ancora più incostante nei confronti delle figlie, e di come spesso le abbia lasciate sole.

Cerco di calmarla come posso, anche se non ci riesco granché.

Perché in fondo non la conosci. Non sai niente di lei. Con Anna invece è diverso, con lei hai saputo fin da subito cosa fare quando ha avuto bisogno di conforto, hai capito senza esitazione come approcciarti e consolarla nel modo migliore.

Spingo a forza quella voce nell'angolo più remoto della mia mente. Non. Devo. Fare. Paragoni.

Devo smetterla di pensare ad Anna, soprattutto quando sono con Chiara.

 

Poco dopo, la porta dell'ufficio si apre. Anna.

Quando ci vede, abbassa di colpo lo sguardo, scusandosi per averci interrotto.

Io mi sento all'improvviso in imbarazzo, senza capire bene perché. Non stiamo facendo niente di male.

Sì, che bravo, a cercare di convincerti da solo.

Lei però sembra ripensarci, e rientra.

“Che c'è, Chiara?” Le domanda, preoccupata, notando l'espressione della sorella.

“Mi ha appena chiamata mamma. Domani parte per Hanoi, credo sia in Vietnam.” Le spiega, tetra.

Anna sembra sconvolta. Di più, furiosa.

“La settimana prossima ti laurei!”

“Se l'è dimenticato! Però ormai aveva fatto i biglietti e quindi...”

“Non te la devi prendere,” cerca di calmarla, allora. “è fatta così, lo sappiamo.”

“Lo so, però sarebbe stato carino che venisse. Invece continua a considerarmi una cretina e... e probabilmente lo sono davvero.”

“Non sei una cretina!” Si arrabbia ancora di più Anna.

“Ed è lo stesso che dico anch'io,” intervengo. “E se lei pensa il contrario, con tutto il rispetto, eh... la cretina è lei.”

Chiara accenna un sorriso, mentre Anna le lancia uno sguardo comprensivo.

Quindi è così che funziona? Sua madre si dimentica di loro, Chiara ci resta male e Anna la consola, anche se di sicuro lei non sta meglio?

“Grazie...”

“Di che?” Le chiedo. “Tu hai fatto una cosa bellissima. Sai cosa facciamo? Organizziamo una festa, così lei si pente di non essere venuta! Eh?” Suggerisco, e Chiara annuisce, felice, con l'aria di una bambina a cui hanno appena promesso il regalo che voleva.

Mi volto a guardare Anna, sperando che sia d'accordo con me.

“Sì, una festa di laurea! Che dici?” Concorda con un piccolo sorriso per la sorella.

Chiara annuisce. “Vi voglio bene.”

“Ah, anche noi!” Rispondo, dandole un bacio in fronte, prima di tornare a guardare Anna, che nel frattempo ha distolto lo sguardo. Io mi sento arrossire, come se avessi appena fatto qualcosa che non dovevo. Di nuovo.

Chiara si alza dal divano. “Okay, ma io non voglio sapere niente. Festa a sorpresa, okay?”

“Sì...” Acconsente Anna, con un tono che sembra rimarcare involontariamente la familiarità della situazione.

Dopo averci ringraziati di nuovo e salutati, Chiara va via più contenta.

 

Una volta soli, tra me e Anna cala di nuovo l'imbarazzo.

“Grazie... per Chiara.” Mi dice poi.

Io ne approfitto per tirarmi fuori dai guai. “Per la festa mi dai una mano tu, eh.” Affermo, filandomela prima che possa ribattere.

 

***

 

A casa, mentre preparo il pranzo, ripenso alla scena di prima.

Al tono materno di Anna con la sorella, al suo tentativo di ridimensionare il gesto della madre. Alla sua rabbia evidente nel sapere che di nuovo le aveva lasciate sole.

A come ha accordato l'idea della festa come... come una madre farebbe con sua figlia. Come quando un compagnetto di scuola prende in giro la bambina, e la mamma per consolarla la porta alle giostre per farle tornare il sorriso.

Tu non ti sei comportato da meno, però. Sei tu ad aver proposto la festa. Per consolarla, per non farla piangere. Un dono in cambio di un sorriso. Non le parole, come hai fatto con Anna, perché non sapresti che dire. Un regalo per mostrarle che non ha niente di meno delle altre, come farebbe un padre.

Tu e Anna vi siete comportati come due genitori nei confronti di Chiara. Questo ti dovrebbe far riflettere.

 

Scaccio a forza questi pensieri.

Ultimamente lo faccio un po' troppo spesso.

 

***

 

Chiara è tornata a Perugia per verificare le ultime questioni burocratiche prima della laurea, per cui quella sera stessa mi metto d'accordo con Anna per vederci dopo cena a casa sua e iniziare a organizzare la festa.

Quando arrivo, lei mi accoglie con un sorriso, offrendomi un bicchiere di birra.

Io nel frattempo mi siedo comodamente sul divano, allungando le gambe quasi involontariamente, a mio agio dopo aver passato tante sere qui con lei per le lezioni di cucina.

Lei si avvicina porgendomi il bicchiere, prima di lanciarmi uno sguardo eloquente per indicarmi di sedermi in maniera più composta.

Come ogni volta. E tu, come al solito, te lo scordi e lei deve ricordartelo.

Si siede all'altro capo del divano, sul bracciolo, nel punto più distante da me.

Non scervellarti troppo. E poi questa distanza l'hai voluta tu.

 

“Allora? Che hai pensato per la festa?” Mi chiede, accavallando le gambe e appoggiandosi sui gomiti.

“Ah... veramente io ho fatto il figo proponendola, ma speravo avessi qualche idea tu. Cos'è che piace a Chiara?” Domando senza riflettere.

“Dovresti saperlo, state insieme.” È la sua risposta piccata, un velo di sarcasmo nella sua voce.

Non infierire anche tu, ti prego.

Cerco di giustificarmi. “Sì, ma... a lei piace tutto quello che piace a me, cioè il calcio, la cucina, birra... fantastico... eh.”

Anna abbassa lo sguardo, come se le mie parole le dessero fastidio, poi torna a guardarmi, seria.

“È per questo che stai con lei?” Mi chiede.

Quella nota vagamente triste l'hai sentita davvero, o l'hai solo immaginata?

“...no. Sto con lei perché...” Mi sforzo di trovare delle ragioni, ammetto che è una cosa a cui non ho pensato finora. “è divertente, perché prende le cose con leggerezza, e poi perché... le vado bene come sono, e non fa niente per cambiarmi. Anche se so che lei è molto più insicura di quello che vuol far credere.”

E quindi stai con lei per compassione? Perché non ti contraddice mai e fa quello che vuoi tu? Perché il senso del discorso ha tutta l'aria di essere questo.

Quando hai elencato le ragioni per cui ti saresti 'innamorato' di Anna, per lo show di Cosimo, non hai avuto esitazioni. Ed erano motivazioni profonde. Non come queste. Senza contare che all'epoca tra voi due non era ancora successo nulla.

“... e perciò vorrei che tu m'aiutassi, perché nessuno la conosce come te.”

Cerco di giustificarmi così. Se è lei a suggerirmi, so di non sbagliare, perché riconosco di non sapere niente di Chiara oltre quello che abbiamo in comune.

Anna ci riflette su, poi le viene in mente qualcosa e si avvicina scendendo dal bracciolo e sedendosi su uno dei cuscini, ma sempre quello lontano.

“Quand'eravamo piccole giocavamo al drive-in.”

Questa cosa mi intriga. “Spiega.” La incito, avvicinandomi.

Lei fa altrettanto, fino a che finiamo per essere seduti uno accanto all'altra, quasi in un gioco inconsapevole di due calamite che si attraggono inesorabilmente.

“Allora, praticamente prendevamo due sedie, spegnevamo la luce davanti alla tv e facevamo finta di essere in macchina.” Racconta, gli occhi che si illuminano. “Può essere un'idea.” Aggiunge, incerta.

“Un drive-in? Bello.” Commento, e sono sincero. Può essere un ottimo spunto, è una cosa carina. Una festa a tema.

Resto ancora un po' con lei a concordare il resto, lasciando a Chiara stessa gli inviti.

 

Quando vado via, penso che in effetti io non ho idea di chi ci sarà a questa festa, e in linea generale credo nemmeno Anna, considerando che ha detto a sua sorella di occuparsi lei degli invitati, probabilmente amici e colleghi dell'università.

Chiara sarà impegnata a pensare agli ospiti, e voi due finirete per passare tutta la festa assieme.

Scuoto la testa, obbligandomi a dormire.

 

***

 

La mattina dopo, do' un'occhiata a qualche drive-in e ne trovo uno perfetto che è disponibile per la data che serve a noi.

Però dobbiamo capire se va bene, e il sito non è granché, per cui chiedo il favore di aprire anche se è giorno di chiusura, cosicché possa vedere insieme ad Anna se come location può andar bene e definire i dettagli.

 

In ufficio nel pomeriggio, convochiamo la signora Moira, che ha ospitato la ragazza depressa, scoprendo che si tratta di una truffatrice, pagata dall'ex di Gabriella affinché la convincesse a lasciare il fidanzato perché ancora innamorato di lei.

Anna si indigna parecchio a questa cosa, e anch'io. È stato un inganno bello e buono, altro che amore.

Hanno approfittato di una ragazza instabile per raggirarla.

Quando lui e Moira vanno via, io e Anna scendiamo in piazza.

“Controlliamo le celle telefoniche e vediamo se erano veramente insieme,” le dico.

Lei fa un sospiro profondo.

“Ehi, che c'è?” Le chiedo istintivamente. Non riesci a non preoccuparti se la vedi stare anche solo vagamente male, e ti viene spontaneo cercare di fare qualcosa per lei.

Anna mi guarda un attimo, probabilmente sorpresa che io sia tornato a farle una domanda così... personale, prima di rispondere. “Stavo pensando a Gabriella, a come si è fatta manipolare da quei due...”

“Purtroppo è facile fare leva sulle debolezze delle persone che abbiamo accanto... e alle volte nemmeno ce ne accorgiamo.” Le dico semplicemente.

Lei abbassa lo sguardo, pensierosa. “Ti riferisci a Chiara e mia madre...”

Io annuisco appena. In realtà non solo a loro due, ma anche a lei, che fa tanto la forte ma è evidente che ci sta altrettanto male. L'hai visto anche tu, sua madre ha infierito sul suo lavoro, da sempre motivo di discussione, senza pensare alla ragione per cui l'ha scelto. Sul suo desiderio di non darle un dispiacere, per accusarla di averla delusa. Sull'amore per la divisa, per rinfacciarle di non comportarsi da donna.

Poi mi ricordo di questa sera.

“Ah, ho trovato il drive-in!” Esclamo, cambiando discorso in modo repentino. “E stasera aprono apposta per noi.” Aggiungo, con un sorriso.

Lei sembra sollevata. “Bene... allora mandami l'indirizzo, ci vediamo lì.”

“Va bene... ciao.” La saluto andando via, e per un attimo ho l'impressione di essere tornato a qualche settimana fa, quando tra noi era tutto normale.

 

Più tardi, ho appena scritto un messaggio con l'indirizzo e sto per inviarlo ad Anna quando cambio idea. Cancello tutto e riformulo la frase.

Ehi, ciao. Passo a prenderti io in moto, non vale la pena andare separati. Per le 20 sono da te.

Invio prima di pentirmene, sperando che non dica di no.

La sua risposta non si fa attendere molto.

D'accordo. Ci vediamo dopo, allora.

Rilascio il respiro che non mi ero reso conto di stare trattenendo.

Cerco di calmarmi. Tutta questa agitazione non ha senso. Non sono un adolescente al primo appuntamento con la ragazza che gli piace.

E poi questo non è un appuntamento.

Non le ho chiesto di uscire per questo.

 

Forse no, ma non è che ci fosse poi tutto questo bisogno di andare insieme al drive-in, soprattutto con questa fretta. Potevi andarci anche domani mattina, o domani pomeriggio, da solo a controllare che fosse tutto a posto.

E invece no, l'hai detto ad Anna perché in fondo vuoi ritagliarti del tempo da solo con lei. Perché ti mancano le serate insieme, ti manca parlare con lei come prima, e hai colto questa occasione al volo senza nemmeno rendertene conto.

Puoi negarlo quanto vuoi, ma sei ancora innamorato di lei, anche se cerchi di sforzarti di dimenticarla. Il tuo cuore non te lo permetterà.

 

Quando arrivo sotto casa sua, alle 20 in punto, lei esce chiudendosi il portone alle spalle. Sicuramente mi avrà sentito arrivare.

“Ehi,” la saluto con un sorriso, con le farfalle che tornano a presentarsi nel mio stomaco dopo parecchio tempo.

“Ciao,” ricambia lei, “grazie per essere venuto...”

“E di che? Tanto casa tua è sulla strada...” Le dico, porgendole il casco.

Lei si affretta ad allacciarlo e salire in sella dietro di me. Da uno dei due specchietti noto la sua espressione imbarazzata.

“Ti conviene tenerti...” Suggerisco a voce bassa, e quando sento le sue braccia stringersi attorno al mio busto, provo una sensazione strana e familiare insieme.

Come quella volta quando l'hai ospitata a casa tua insieme a sua sorella e al maresciallo, e l'hai vista scendere le scale la mattina. Come la prima volta che ha cenato a casa tua per una coincidenza. Come il gelato in ufficio la sera tardi.

 

Arrivati lì, salutiamo e ringraziamo per il favore, poi io mi avvio verso una delle auto lasciando Anna ad occuparsi del film da vedere per la festa, ma non prima di averle detto di portare i popcorn. Non è un vero drive-in senza.

Questo posto non è niente male, penso tra me guardandomi intorno. E queste lucine rendono l'atmosfera romantica, perfetta per un appuntamento.

Sì, ma questo non è un appuntamento. Affatto. Anche se siamo da soli, proprio soli soli considerando che hanno aperto per noi. Scelgo l'auto più centrale e mi accomodo al posto dell'autista.

Anna mi raggiunge cinque minuti dopo, quando il film – Cenerentola – è già iniziato.

Io, da gentiluomo quale cerco di essere ogni tanto, le apro la portiera.

“Madame,” mormoro.

“Grazie,” sussurra lei di rimando, posizionando i popcorn in mezzo a noi due.

“Stavo pensando,” prende la parola dopo qualche minuto, “che potremmo fare una festa anni '60...”

“Mh-mh, okay... Ma... Cenerentola no.” Obbietto, con un'occhiata eloquente. È pur sempre una festa di laurea, su.

“Ho chiesto, ce l'hanno,” si giustifica lei. “è il film preferito di Chiara, l'ha visto duecento volte.” Non ne avevo idea. Aspetta, però una cosa me la ricordo, e non perché me l'abbia raccontata Chiara.

“È vero, lei da piccola voleva fare la principessa, vero... e tu Zorro.”

Lei sembra sorpresa.

“Me l'hai detto, no? Non è che...” Mi giustifico, leggermente in imbarazzo. Hai appena ammesso di ricordarti praticamente ogni cosa che dice. Bravo, almeno una cosa giusta ogni tanto la fai.

“Vabbè... tu che volevi fare da piccolo? Mh?” Mi domanda, curiosa.

Io esito un attimo, poi mi butto. Lei me l'ha detto, no? “L'attore...” Rispondo senza guardarla.

“Ohh, l'attore,” mormora con voce roca, ridacchiando.

“Cosa? Che cosa ridi?” Chiedo, ma rido anch'io.

“No, vabbè... e poi?”

“Con 'sto naso dove vuoi che vada...”

“Non è così male.”

Mi giro a guardarla, stavolta sono io ad essere sorpreso. Anna è chiaramente in imbarazzo, ma regge il mio sguardo senza esitazioni.

“Grazie...” Mormoro infine, lusingato, e lei mi fa un piccolo sorriso.

È più forte di me, sento il bisogno di spiegarmi meglio. Di aprirmi. Sai che con lei puoi farlo. La battutina l'ha fatta solo per punzecchiarti, non per prendersi il gioco di te. Non lo farebbe mai, non l'ha mai fatto.

“Poi però mio padre ha detto, 'No no. Tu ora fai un lavoro serio, stop'.” Le confesso, abbassando le mani un po' abbattuto.

“Marco, tutti ci lasciamo condizionare...” Mi dice dopo qualche istante, e guardandola vedo che nel suo sguardo c'è comprensione. E qualcos'altro che non riesco a decifrare bene.

Sta alludendo alla discussione di oggi pomeriggio, quando io le ho detto quella cosa su sua madre e sua sorella come se a me la faccenda non toccasse, e invece ecco qui che con due parole lei ha intuito tutto. Tu magari ultimamente hai qualche problema a capirla, ma di sicuro lei non ne ha nel capire al volo te. Fa un respiro profondo prima di continuare. “Credo che la cosa importante sia... non so, trovare il proprio posto nel mondo. E io penso di averlo trovato.” Confessa, guardandomi dritto negli occhi.

Io non riesco a distogliere i miei da quel verde magnetico che mi attrae come nient'altro.

“Credo anch'io, mi sa.” Ammetto, senza staccare gli occhi dai suoi.

Il mio posto è accanto a te, ovunque tu sia.

E quando sorride alle mie parole, so per certo che sta pensando la stessa cosa.

Vi siete detti di amarvi, anche se con un'espressione differente.

Nonostante tutto.

 

Non ti odia, nemmeno dopo che l'altra sera l'hai trattata malissimo e cacciata via quando sai che era venuta per te.

Nemmeno se stai con sua sorella.

E tu la ami anche per questo.

 

“Eh...” mormoro, più per fare qualcosa che altro, così lei abbassa lo sguardo, ma io continuo ad osservarla ancora per qualche istante.

Non ho capito male, non stavolta.

Lancio una breve occhiata allo schermo gigante davanti a noi, senza la minima idea di quello che stia succedendo nel film.“Secondo te qua dobbiamo guardarlo tutto questo, o...?” Commento, giusto per alleggerire un po' la tensione.

“Fino a quando non scatta la mezzanotte.” Sussurra Anna.

Ancora una volta, i nostri occhi restano incatenati per quella che sembra un'eternità, senza che nessuno dei due faccia niente per impedirlo.

 

Dopo qualche minuto, lei si schiarisce la gola.

“Quindi... da piccolo facevi teatro?” Domanda in tono esitante.

La osservo un attimo prima di rispondere. “Sì... avevo iniziato per gioco, con qualche recita a scuola. Mi piaceva, le maestre dicevano che ero anche portato, così mia madre mi iscrisse a un corso al teatro del paese. Ho continuato per anni, fino alla fine delle superiori. Poi a mio padre non è andato più bene, diceva che finché andavo a scuola ci poteva anche stare, ma una volta terminata dovevo mettermi la testa a posto e smetterla di dire scemenze in costume su un palco. Ho provato a ribellarmi, poi ho visto che era una battaglia persa, non volevo deluderlo, e ho lasciato perdere. Mi sono iscritto all'università, e com'è andata a finire lo vedi anche tu.”

“Mi dispiace... ora capisco perché eri tanto a tuo agio sul palco per la performance con Cosimo...” Commenta con un mezzo sorriso. “E hai smesso completamente? Nemmeno per hobby?”

“Beh, se escludiamo qualche scenetta per gli amici, o quando mi metto a fare monologhi da solo a casa giusto per fare qualcosa... no, nemmeno per hobby.”

“... in che senso, 'monologhi da solo a casa'?” Chiede, estremamente curiosa. Eh, ormai hai lanciato il sasso... Glielo devi raccontare.

“Sì, beh... anche solo per vedere se mi ricordo ancora qualche parte... Ehm,” mi schiarisco la voce, e declamo, “'Se non ricordi che Amore t’abbia mai fatto commettere la più piccola follia, allora non hai amato.'

“Shakespeare!” Esclama Anna, elettrizzata.

“... hai letto Shakespeare?”

“Scherzi? È uno dei miei autori preferiti. Amo i suoi sonetti alla follia.”

Da quel momento in poi, passiamo il resto del tempo a parlare di letteratura e teatro, ormai dimentichi del film, che continua a scorrere solitario sullo schermo.

 

Quando la pellicola finisce, ce ne accorgiamo solo perché la luce del proiettore si spegne all'improvviso.

Con molta calma, scendiamo dalla macchina, ringraziamo i proprietari per il favore – ovviamente impedendo ad Anna di pagare, e non con poche difficoltà – e saliamo in moto.

Stavolta lei è molto più a suo agio, e non esita a stringersi a me una volta in sella.

Per il tragitto di ritorno, non riesco a smettere di pensare a quanto questa serata sia stata perfetta. A quanto naturale sia passare del tempo con lei. Come se le settimane scorse non ci fossero mai state.

 

Venti minuti dopo arriviamo in piazza. Ammetto di essermela presa comoda. Non volevo che finisse.

Prendo l'ultima curva un po' male, accelerando involontariamente.

“Piano, piano,” ridacchia Anna.

“Ho frenato, ho frenato, scusa! Che cosa devo fare?” La punzecchio, mentre lei scende togliendo il casco. Io la imito, facendo lo stesso. “Però la prossima volta il film lo scelgo io,” metto in chiaro senza pensarci. “Cenerentola no, dai, su.”

“Che film sceglieresti?” Mi domanda, e in quel momento mi rendo conto di quello che ho detto.

Hai praticamente dato per scontato che uscirete di nuovo insieme. Da soli. E che tornerete al drive-in.

Il mio cuore salta un battito elaborando le sue parole.

E Anna non ha detto di no, anzi.

Ti ha chiesto cosa vorresti vedere, insieme a lei.

I nostri sguardi tornano a incrociarsi per l'ennesima volta stasera, e io, quasi inconsapevolmente, mi avvicino.

Non si sta allontanando. Non ti sta respingendo. Hai capito bene, quand'eravate al drive-in.

I nostri volti sono ormai a pochi millimetri, e mi accorgo che lei ha chiuso gli occhi.

Marco, fallo! Baciala! ***

 

Prima che riesca davvero a rendermene conto, ci stiamo baciando.

È un bacio dolce, senza pretese, ma vero. È il bacio che ho desiderato da quella sera a casa sua, quello che nonostante tutto non riesco a togliermi dalla testa.

Risentire le sue labbra sulle mie è un qualcosa di magico, potrei giurare di aver sentito scintille quando si sono posate su quelle morbide di lei, che hanno scatenato il me il consueto sciame di farfalle che si presenta ogni volta che siamo insieme.

Sembra troppo bello per essere vero, come Cenerentola.

 

Un rumore improvviso ci fa allontanare bruscamente: il mio cellulare che squilla.

“No...” mormoro. Quando leggo il nome sul display, sento un vago senso di nausea farsi strada in me: Chiara.

“No, è Chiara che...” Esito, senza riuscire a parlare come si deve. “Rispondo, okay?” Biascico, e Anna si limita ad annuire, lo sguardo basso.

“Pronto?... Ciao!... sì, Chia', abbiamo organizzato tutto e... no no no, niente, non dico niente, ché è... sorpresa. Arrivo tra due minuti a casa, posso chiamarti da lì? … grazie, ciao, buonanotte.” Chiudo in fretta la chiamata, senza nessuna voglia di ritelefonarle.

Non adesso. Non ora che...

L'imbarazzo torna a insinuarsi prepotentemente tra noi due.

Ma non posso fare finta di niente, non stavolta, non così.

“Anna...” Tento, ma lei tiene lo sguardo basso. Provo a prenderla per mano per cercare di calmarla e insieme impedirle di scappare, ma la ritrae. Di poco, ma quanto basta a farmi capire di non avvicinarmi.

Ma non è la fuga ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento.

Decido di ignorare la sua ritrosia e la afferro per le spalle. Lei spalanca gli occhi al mio gesto inatteso.

“Non puoi dirmi che anche stavolta è stato un errore. Non ti crederei.” Le dico serio, guardandola dritto in quegli occhi verdi che in questo momento sono solo molto confusi.

“Marco-”

“No. Lo so che non lo è, lo so che lo volevi anche tu. Dopo quello che è successo prima al drive-in... Ho capito cosa volevi dirmi, e tu hai capito me. E poco fa quando ci siamo baciati non era un momento particolare, non eravamo scossi, né nient'altro. Era solo il finale giusto per una serata così. Perché anche se non volevo ammetterlo, sì, stasera ti ho chiesto di venire a quel drive-in perché volevo uscire con te, perché mi mancano le nostre serate insieme, le lezioni di cucina e perfino il lavoro a casa. Erano una scusa come un'altra per poter passare del tempo assieme. E lo so che è colpa mia, ho combinato un casino... ma io ti amo. Ti amo come non avrei mai pensato di fare, e non ce la faccio più a cercare di dimenticarti, è impossibile.”

Anna, che fino a questo momento ha mantenuto gli occhi fissi nei miei colmi sorpresa ma con un sorriso a danzarle sulle labbra, quando smetto di parlare abbassa il capo.

“Io... Non è stato un errore. Nemmeno quella volta. Ma ho avuto paura! Avevo appena chiuso la storia con Giovanni e non riuscivo ad accettare l'idea di essermi già innamorata di te! Pensavo di essermi sbagliata su tutto, quando ti ho detto che eravamo solo amici e poi ti sei messo con mia sorella...”

“Ho sbagliato, lo so, anch'io ho avuto paura, perché mi rendevo conto che quella con te non sarebbe stata una cosa passeggera... lo sapevo, lo sentivo, e questa cosa mi terrorizzava. Ho sbagliato con Chiara, non avrei dovuto, ma...”

“Non possiamo dirglielo adesso, però,” mi frena lei, intuendo quello che stavo per dire, “con questa situazione con mia madre... e la laurea... non posso rovinarle questo momento,” tenta di spiegarmi, gli occhi lucidi alle luci aranciate dei lampioni.

“Possiamo aspettare, allora. Sono solo pochi giorni. Facciamo passare la festa, e le diciamo tutto.”

Lei annuisce. Vorrei baciarla ma so che non me lo permetterebbe, così mi limito ad accarezzarle una guancia.

“Ci vediamo domani, allora?”

“Sì...” Mi risponde in un sussurro. “Devo svegliarmi presto, devo accompagnare Chiara a comprare il vestito per la laurea...”

“Sì, m'ha detto che sareste andate,” Mormoro con il suo stesso tono.

Non sarà facile dire la verità, stavolta.

“Ciao...” mi saluta porgendomi il casco che ancora teneva in mano, avviandosi verso casa.

 

Anna's pov

 

Chiudo piano la porta di casa, appoggiandomi poi con la schiena contro di essa e sospirando il più silenziosamente possibile. Chiara è nella sua stanza, e devo riacquistare la calma prima che la veda. Non voglio che si accorga che qualcosa non va.

 

Entro in bagno per sciacquarmi il viso.

Quando Marco mi ha detto di aver trovato il drive-in e che avrebbero aperto apposta per noi, quell'implicito invito mi ha destabilizzata un attimo, prima di ricordarmi che non era affatto un'uscita per noi due ma per organizzare la festa per Chiara, o almeno così pensavo.

Deglutisco a forza.

I miei tentativi di rimanere distante con lui sono andati a farsi benedire quasi subito, col suo messaggio in cui diceva che sarebbe passato lui a prendermi, e non di vederci lì come avevo suggerito io. In mia difesa, posso dire che io ci avevo provato.

Sì, e si è rivelato inutile, perché non appena mi sono trovata in moto con lui, non ho potuto fare a meno di pensare a quanto mi piacesse quella cosa, e che avrei voluto diventasse un'abitudine.

 

Al drive-in, poi, è stato come se le settimane di tensione tra noi non ci fossero mai state. È bastato poco perché tornasse tutto come prima, perché riprendessimo a parlare... di noi.

Quando si è ricordato quella cosa di Zorro ho avuto un tuffo al cuore. Sono passati mesi da quando gliel'ho raccontata, e non abbiamo più toccato l'argomento da allora.

Eppure si ricorda.

Conoscendo quant'è restio a parlare di sé, non pensavo mi avrebbe risposto quando gli ho chiesto cosa voleva fare lui da bambino, e invece, ancora, mi ha spiazzata.

Sì, e già che siamo nel discorso, tu gli hai detto che ti piace.

Avrei voluto sotterrarmi dall'imbarazzo, non so come ho fatto a non abbassare lo sguardo quando lui mi ha rivolto quell'occhiata sorpresa.

Quando poi mi ha raccontato di suo padre... Non mi aveva mai parlato della sua famiglia.

E di come anche lui abbia dovuto accettare di fare qualcosa che inizialmente non voleva per amore di qualcuno.

Io ho scelto di fare il carabiniere per dare giustizia alla memoria di mio padre. Lui ha barattato il suo sogno per una carriera con cui rendere orgoglioso il suo.

Volevo solo cercare un modo per consolarlo, come lui ha fatto tante volte con me.

Quella frase mi è uscita di bocca senza che riuscissi a fermarla.

E la sua risposta è stata incredibilmente inaspettata... ma ha tolto in me ogni dubbio.

So che lui ha capito cosa intendessi, e le sue parole l'hanno confermato.

Quelle, e il fatto che non riuscissimo a staccare gli occhi l'uno dall'altra subito dopo.

 

Gli hai praticamente detto che il tuo posto è accanto a lui.

E Marco ha detto lo stesso per te.

 

Gli ho chiesto del teatro soprattutto per togliermi dal quella situazione imbarazzante.

E ho scoperto un'altra cosa che abbiamo in comune, una che mi fa impazzire.

Sì, in fondo anch'io adoro il romanticismo, e mi sono innamorata di Shakespeare alle superiori.

Sentirglielo recitare è stato solo un ulteriore motivo per dirmi che sono stata una stupida, quella volta, a dirgli che è stato un errore.

Non avrebbe potuto scegliere citazione più azzeccata.

 

Avrei voluto che questa sera non finisse mai, nemmeno allo scoccare della mezzanotte.

E l'incantesimo sembrava davvero non avere fine, perché quando siamo tornati è stato tutto così naturale tra noi che senza rendercene conto ci siamo dati appuntamento per un'altra volta.

E poi Marco ha iniziato ad avvicinarsi.

E io credevo di stare sognando, perché voleva dire che avevo davvero capito bene al drive-in, e adesso mi stava per baciare di nuovo. Stavolta non mi sarei tirata indietro.

 

E non l'ho fatto, ho lasciato che l'istinto prendesse il sopravvento. E ho risposto al suo bacio senza nemmeno pensarci.

È stato tutto così dolce, così... magico da darmi davvero l'impressione di essere in una fiaba.

Avevo desiderato, sognato quel bacio da quella sera a casa mia. E stasera, contro ogni previsione, è successo. E mi ha detto di amarmi.

Ma ovviamente il rintocco della mezzanotte è arrivato, puntualissimo, attraverso lo squillo del suo cellulare.

Chiara.

Ovviamente.

Mi ha fatto rendere conto di cosa avevamo appena fatto.

E non so se riuscirò a perdonarmi per aver ceduto così facilmente, anche se quel bacio l'ho desiderato con tutta me stessa, e se tornassi indietro so che non cambierebbe nulla e che non lo fermerei.

 

Marco's pov

 

Il mio primo pensiero stamattina, appena sveglio, è quel bacio.

Quel bacio.

Mi do dello stupido per tutto il caos che ho combinato, soprattutto adesso che so che anche lei prova qualcosa per me. Perché finora ho sbagliato tutto con lei, non ho capito il suo comportamento perché non volevo vedere. Se solo avessi trovato il coraggio prima...

Io e la mia dannata paura.

 

Avevo cercato con tutte le mie forze di convincermi che non provassi più niente per lei. Che non l'amassi più. Che avevo accettato l'idea che saremmo stati solo amici, al massimo.

Ce l'avevo quasi fatta.

E invece è bastato pochissimo per riaccendere quel fuoco che forse in realtà non si era mai spento.

È bastato poco perché tornasse, prepotente, il desiderio di baciarla.

La voglia di stringerla tra le braccia e non lasciarla più.

 

E per una volta ho lasciato che fosse il cuore a decidere.

Adesso sarà difficile. Non voglio far soffrire Chiara, in fondo le voglio bene anche se non la amo, ma non posso ignorare l'amore per Anna.

Ho già causato troppi danni per paura.

 

Quando salgo in moto, ripensando ancora a ieri e realizzo una cosa che fino ad ora mi era sfuggita.

Quando Anna mi ha proposto l'idea del drive-in, ha detto che da piccola ci giocava insieme a sua sorella.

È una cosa che piace anche a lei.

Senza rendertene conto, hai fatto un dono anche a lei. Uno molto più personale.

 

E mi ha detto che mi ama.

 

***

 

In ufficio, io e Anna cerchiamo di comportarci come se niente fosse, anche se c'è una certa tensione tra noi. Torno a casa prima della pausa pranzo, e nel pomeriggio mi avvio insieme a Chiara alla premiazione della gara di ciclismo che ha vinto il Maresciallo. Glielo avevo promesso, non posso tirarmi indietro.

Anna mi fa appena un cenno prima di raggiungere il resto dei Carabinieri in prima fila mentre noi restiamo in fondo.

Questa cosa mi fa sentire, se possibile, ancora peggio. Perché comunque non posso evitare di sentirmi in colpa.

Cerco di mettere da parte tutti i pensieri che la riguardano, provando a concentrarmi su Chiara.

Alla fine scopriamo che il Maresciallo non aveva vinto la corsa, ma che per un incidente si era ritrovato a tagliare il percorso fino ad arrivare al traguardo senza rendersene conto. Lì era pure svenuto, e quando si era ripreso, il Colonnello aveva già combinato più casino di lui.

È ammirevole, però, che abbia detto la verità.

So che ci vuole parecchio coraggio, per ammettere di aver sbagliato, di aver mentito.

“Che ne dici, potremmo andare a cenare fuori, stasera! Che ne pensi?” Mi domanda Chiara all'improvviso.

“Ehm... Non so, ho un bel po' di lavoro da fare, penso di staccare tardi.”

“E non puoi proprio finire domani?” Chiede, aggiustandomi la cravatta.

“Domani avrò cose in più da fare, se rimando...” Rispondo, cercando di assumere un tono neutro.

Noto che poco distante da noi stanno passando Anna e il Maresciallo, quindi mi volto a salutarli.

“Ehi...” Dico, più ad Anna che a lui.

Non so come farò, non riesco a distogliere lo sguardo da lei, è più forte di me.

Non riesco a sentire di cosa stiano parlando, ma lei ha un'espressione cupa in volto.

Torno ad ascoltare Chiara, ma la mia mente mi obbliga a voltarmi, e quello che vedo mi paralizza.

 

Giovanni.

 

Anche Chiara li ha notati, ma io sono troppo occupato a fissare la scena poco distante da noi.

Che ci fa qui? Non era in seminario?

Ditemi che è solo una visita. Ditemi che non è quello che penso.

Non può essere tornato.

 

“Ma quello è Giovanni!” Esclama Chiara, che deve averlo appena notato. “Andiamo a salutarlo!”

Prima che possa impedirglielo, mi trascina da loro.

“Ciao!” Lo saluta in maniera entusiastica. “Che fai qua?”

Lui risponde con un po' d'esitazione e un sorriso. “Sono... sono tornato a Spoleto.”

Io deglutisco a forza, lanciando uno sguardo di sbieco ad Anna: tiene gli occhi bassi, e le sue mani tremano appena.

“Noi dobbiamo tornare in Caserma,” afferma, dopo qualche istante. “Andiamo, Maresciallo? Buona giornata.”

Si allontana insieme a Cecchini, io la seguo con lo sguardo per un tratto, incrociando lo sguardo di Anna per un attimo – un gesto di scuse silenzioso – poi torno a osservare Giovanni.

“Devo andare anch'io,” ci dice poi lui, che non sembra essersi accorto di nulla. “Ci... vediamo in giro.”

Chiara lo saluta, io non apro bocca.

 

***

 

La festa di laurea di Chiara sta andando nel migliore dei modi.

Lei apprezza tantissimo l'idea, adora il drive-in, Cenerentola e tutto quello che abbiamo preparato per lei. Sembra estasiata. Dopo averci ringraziati in fretta, sparisce insieme ad alcune colleghe di università.

Come previsto, e comunque come era normale che succedesse a questo punto, io e Anna rimaniamo da soli perché a parte qualche amico in comune, nemmeno lei conosce gli invitati.

Anna che, a proposito, è molto elegante ed estremamente attraente in questo suo tubino blu notte che le dona da morire.

“Sei bellissima con questo vestito...” Mormoro, dopo esserci accomodati su una delle panchine disposte in giro, e soprattutto una volta lontani da orecchie indiscrete. Anna arrossisce sussurrandomi un leggero 'grazie' e abbassando lo sguardo timidamente, lasciando che qualche ciocca di capelli le nasconda il viso. Sorrido al suo imbarazzo, anch'io in un certo senso mi sento come un ragazzino alla prima uscita con la sua fidanzatina e che ha paura di dire troppo o essere scoperto. Voglio dire, il mio è stato solo un complimento, e non è la prima volta che gliene faccio, ma all'apparenza sono ancora il fidanzato di sua sorella, anche se Chiara in effetti non ha detto nulla al riguardo e la cosa mi sembra strana, ma magari è troppo presa dalla festa.

Per buona parte del tempo resto in quell'angolo con Anna a parlare, fingendo di non pensare ogni istante a quello che è successo in questo stesso posto pochi giorni prima.

Ho un'ulteriore conferma dei miei sentimenti per lei quando riaffiora improvvisamente la gelosia.

Finiti i nostri drink, mi offro di andare a posare i bicchieri vuoti su uno dei tavolini appositi poco distante da dove siamo noi. Quando mi giro per tornare indietro, noto un tizio avvicinarsi ad Anna. Se non erro è uno dei colleghi di corso di Chiara, un classico belloccio che non sfigurerebbe in una rivista di moda o robe simili. Mi passano per la mente il reality, il principe e tutto quel contesto poco congeniale.

Mi avvicino lentamente cercando di captare qualche parola, e capisco che le sta dicendo che sa che lei è la sorella di Chiara che parla sempre di lei, e che lui era curioso di conoscerla, visto che una ragazza che di mestiere fa il Capitano dei Carabinieri non la si incontra tutti i giorni e lei dev'essere una in gamba e bla bla bla. Per cortesia. Levati di torno.

Anna sembra leggermente infastidita, e quando lui cerca di avvicinarsi lei si sposta, appoggiando la mano che lui aveva cercato di prendere all'auto lì accanto.

Direi che è abbastanza.

So che non ha bisogno di aiuto né di essere difesa, ma questo tizio deve girare al largo perché sembra non recepire il messaggio e poi perché lei è mia.

La raggiungo in pochi passi, tendendole la mano.

“Balliamo?” Le chiedo semplicemente.

Lei mi rivolge uno sguardo sorpreso ma grato, accettando il mio invito con un sorriso e un vago rossore sulle guance.

Non resisto alla tentazione di lanciare al tipo un'occhiata vittoriosa, e lui se ne va via abbacchiato.

Quando arriviamo sulla pista, il brano in corso si conclude per lasciare spazio a un lento.

Perfetto, meglio di così non si poteva fare.

Non so se fare dell'ironia o no.

Da un lato, mi do dello stupido perché mi ero ripromesso di mantenere le distanze il più possibile almeno fino a stasera e invece ho già ceduto alla gelosia rendendola anche piuttosto palese; dall'altro vorrei esultare perché ho sperato di poterla invitare a ballare da quella sera del reality.

Sentirla di nuovo così vicina a me è una sensazione indescrivibile.

Restiamo stretti l'uno all'altra per tutta la durata della canzone, riesco a sentire il suo respiro sulla pelle e il calore delle sue mani attraverso la giacca.

È dura allontanarsi quando le ultime note sfumano, ma sapevamo l'incantesimo sarebbe finito presto.

Ci sforziamo di comportarci normalmente per il resto della festa e quando Chiara taglia la torta, anche se al momento delle foto sembra tesa.

Allo stappo dello spumante, Anna applaude con uno sguardo preoccupato.

“Speriamo non esageri...” mormora, “mia sorella non hai mai retto granché l'alcol... se beve diventa difficile da gestire.”

“Mh... sì, mi ricordo,” commento, riferendomi alla situazione con Sasà. Il caprone camosciato delle Alpi mi è rimasto particolarmente impresso.

Dopo un po' molti iniziano ad andare via, ma Chiara sembra ancora instancabile. Anna resta all'erta per tutto il tempo, conoscendola teme che combinerà qualcosa visto che ha mandato giù un paio di bicchieri di spumante, che per il suo standard sono più che sufficienti a mandarla su di giri.

A un certo punto sembra guardare noi che ce ne stiamo in disparte, ma forse si è solo girata in questa direzione. Quello che fa dopo però è abbastanza chiaro, perché inizia a flirtare con un tipo standogli praticamente appiccicata addosso. Quello ovviamente non si lamenta, ma io non riesco ad essere geloso. Ritorno con l'attenzione ad Anna senza pensarci troppo.

Dopo un po' ci avviciniamo di più a lei senza però immischiarci nella sua conversazione con due colleghe.

Lei però dopo qualche istante ci nota, e non sembra particolarmente contenta.

Si gira completamente a guardarci, un'espressione strana in volto.

“Non ha funzionato proprio, eh?” Biascica, rivolta a me. Corrugo le sopracciglia senza capire.

“Massì... Non te ne importa granché. Vi ho visti, voi due, ve ne siete stati attaccati tutta la sera. Appiccicati...” Stringe gli occhi.

Io mi sento come quando, da bambino, qualcuno mi beccava con le mani dentro al barattolo delle caramelle che mi era stato vietato di prendere.

Anna non è da meno.

“Veramente, non capisco perché fai così con me,” continua Chiara, sotto l'evidente effetto dell'alcol, “io ci ho provato in tutti i modi a compiacerti... mi sono sforzata a farmi piacere quello che piace a te, sono venuta alle partite pure se il calcio lo detesto peggio di lei,” dice indicando Anna, e io sento un vago senso di fastidio farsi strada dentro, “e nemmeno cucinare mi piace, anzi non so cucinare per niente, io...” ammette, e stavolta mi sento tradito davvero. Significa che mi ha mentito su tutto! Io mi sento in colpa perché sono innamorato di sua sorella, e lei mi ha preso in giro!

“Marco...” sussurra Anna accanto a me, sfiorandomi il braccio per tentare di calmarmi. Mi accorgo solo ora che le mie mani tremano.

“Avrebbe dovuto funzionare, pensavo che avresti potuto provare qualcosa per me, e invece... Invece per qualche motivo continui a preferire mia sorella. Lei diceva che eri antipatico, insopportabile, e vi ho visti litigare un sacco di volte io stessa... che eri solo un collega...” Barcolla appena, e una sua collega si affretta a sostenerla, sconvolta quanto noi per questo suo sfogo. Anna, al mio fianco, sembra terrorizzata ma cerca di farla smettere.

“Chiara, dai, basta adesso, hai bevuto, non-”

Lei però la interrompe con un gesto della mano continuando a parlare.

“Le lezioni di cucina, le domeniche in giro... Pensavo ci aveste dato un taglio quando ho iniziato a uscire con lui, ma mi sa che non è bastato, no...” Fa una risatina prima di riprendere in tono ancora più strascicato. “Vi siete divertiti stasera, a ballare insieme, mh? A starvene per conto vostro tutto il tempo... E vi siete divertiti pure a organizzare la festa, la settimana scorsa... carina, la conclusione di serata. Mi ha fatto piacere vedere mia sorella baciare il mio ragazzo dalla finestra... ”

 

Ora sì che le mie emozioni sono in contrasto.

Sono furioso per il fatto che mi abbia mentito, che mi abbia fatto di credere di essere una persona che non è. È la terza donna che mi prende in giro, dopo la mia ex Federica e la signora Amanda che ha finto di credere che io fossi suo marito.

Però sono anche dispiaciuto, perché comunque ci tengo a lei e le voglio bene nonostante tutto, e non volevo che lo scoprisse in questo modo.

Lancio un'occhiata di sbieco ad Anna, e posso giurare che sta cercando in tutti i modi di trattenersi dal piangere. Una scenata così non è certo quello che volevamo.

“E non avete nemmeno avuto il coraggio di venirmelo a dire... non ci credo che sia finita là. Anzi, chissà, magari c'era già da prima...”

“Ora basta, ne parliamo a casa, okay? Hai bevuto, e non mi sembra né il posto né il momento adatto per affrontare l'argomento,” la blocca Anna, stavolta in tono deciso. Chiara sembra darle ascolto improvvisamente, abbandonandosi alla sua presa quando lei le si avvicina per sostenerla. È rossa in viso, ma cerca di fare finta di niente.

La sento scusarsi brevemente con le due colleghe di Chiara che hanno assistito alla scenetta – fortunatamente per noi la maggior parte degli ospiti è andata via, i pochi rimasti sono dall'altro lato del piazzale e Chiara non ha usato un tono di voce tale da attirare l'attenzione.

Le do una mano ad accompagnare Chiara in macchina, e lei chiude gli occhi non appena si siede. Restiamo di vederci a casa sua, anche per capire come comportarci.

 

 

Meno di mezz'ora dopo, siamo già nel suo appartamento. Chiara è seduta sul divano con la testa appoggiata allo schienale e gli occhi ancora chiusi.

Non ha bevuto poi tantissimo, saranno stati al massimo tre calici di spumante. Anna non scherzava quando ha detto che sua sorella l'alcol non lo regge affatto.

Lasciamo che smaltisca un po'. Anna cerca di farle bere dell'acqua, con estrema pazienza. Sembra abbastanza tranquilla in questa situazione, chiaramente non è la prima volta.

Dopo un'ora circa, Chiara sembra tornare un po' in sé, ma è evidente che non ha intenzione di rimandare nulla.

“Che non vi venga in mente di andarvene,” mormora a un certo punto.

Noi ci scambiamo uno sguardo incerto ma non ci muoviamo dalla nostra posizione.

“Vi ho visti veramente, l'altra sera. Ho sentito il rumore della moto e mi sono avvicinata alla finestra. Stavo per aprirla e farvi segno quando vi siete baciati. Sono rimasta bloccata lì per qualche secondo, poi sono andata a prendere il cellulare che avevo lasciato nella stanza e ti ho chiamato. Vi siete separati, ma pensavo che proprio per quello me lo avreste detto, se non subito l'indomani... e invece niente, nemmeno una parola. Ma diventava sempre più evidente che tu fossi innamorato di lei. E lei di te. Non sbagliavo, quando ho detto che mamma aveva ragione a considerarmi una cretina se non mi sono accorta di niente.”

“Non è così...” Sussurra Anna. “Non lo sei, e non era successo niente, prima. Non da quando stava con te, io... Volevamo aspettare per dirtelo, ma l'avremmo fatto!”

“Immagino, dopo la laurea... bel regalo.”

“Chiara, mi dispiace,” intervengo io. Mi fa male vedere Anna piangere, e Chiara soffrire. “Questo casino è colpa mia, se avessi avuto meno paura dei miei fantasmi del passato, e dei miei sentimenti, tutto questo non sarebbe successo. Ma ti giuro che non c'è stato altro, oltre quel bacio.”

“Non state negando di esservi innamorati, però.”

“A che servirebbe mentire?”

Chiara resta in silenzio per un po', ma dopo averci pensato, riprende. “Io domani me ne torno a Perugia, per una settimana o giù di lì. Ho bisogno di metabolizzare questa cosa.”

Anna abbassa lo sguardo. Non riesco a immaginare come possa sentirsi in questo momento.

“Ti voglio ancora bene, sai,” la rassicura la sorella, e lei torna a guardarla, incerta. “Almeno ora so come devi esserti sentita tu quando ti ho fregato Marco Ginami.”

Chi?

Anna sembra perplessa.

“Quello della 5^B della festa al liceo... quello che ti piaceva. Piaceva anche a me, ma a lui piacevi tu. E a me questa cosa non andava, così ho deciso di fregartelo.”

“Ah.”

“Ammetto che mi sento uno schifo. E tu, so che al contrario di me non l'hai fatto di proposito.”

È bello vederle abbracciate nonostante il momento.

“E comunque le mie colleghe di corso pensavano che lui fosse il tuo fidanzato già a prescindere,” conclude Chiara alzandosi e dirigendosi verso la sua stanza senza aggiungere altro e lasciandoci soli.

 

Dopo qualche minuto di silenzio, vado a sedermi accanto a lei. Per tutta risposta, Anna si sfila velocemente i tacchi sollevando le gambe sul divano per accoccolarsi contro di me.

La naturalezza del suo gesto mi fa sorridere e ricambiare il suo abbraccio.

“Scomode?” Chiedo, alludendo alle scarpe.

“Da morire. Così è molto meglio.”

Mi sfugge una risatina.

Lei mi fissa, confusa.

“Mi ricordo una discussione simile a bordo piscina, ma in quel caso anche il vestito era scomodo.”

“Parecchio.”

“Avrei voluto chiederti di ballare anche quella sera.”

Lei giocherella per un po' con le mie dita prima di intrecciarle alle sue.

“Perché non l'hai fatto?” Domanda poi.

Osservo le nostre mani per un lungo istante.

“Quello aveva fatto il cretino con te, e dopo quel breve sfogo ho avuto l'impressione che volessi essere lasciata da sola, e io non volevo essere invadente.”

“Non lo saresti stato, anche se è vero, non avevo molta voglia di parlare. Dossi mi aveva fatto venire in mente idee strane che in un certo modo si incastravano con quello che avevi detto tu. Avevo bisogno di riflettere.”

“Che idee?”

“Beh... sai che non l'ho trattato molto bene, era presuntuoso e pretendeva che pendessi dalle sue labbra senza neanche conoscerlo, mi ha indotto a rispondergli a tono. So essere parecchio scontrosa, se mi fanno innervosire.”

“Sì, ho notato, eri decisamente antipatica all'inizio.”

Lei mi dà un colpetto sul braccio.

“Ehi, mi provocavi tu, che vuoi? Comunque... quando mi ha invitata a ballare – e ti giuro che sono stata tentata di rifiutare – mi ha detto che gli sono sempre piaciute le ragazze determinate che gli tengono testa come avevo fatto io. Poi ha allungato le mani e io l'ho steso. E poi tu mi hai detto che non vale la pena cambiare per gli altri e che è meglio restare se stessi... Vero, ma a quale prezzo? Magari per un po' può anche andar bene, ma poi... Giovanni probabilmente ha scelto il seminario per questo, perché io non sono il tipo che accetta tutto a occhi chiusi. Devo capire, devo essere sicura di quello che viene detto o fatto. Se c'è una cosa che ho imparato dalla morte di mio padre, è proprio non dare per scontato ciò che vedo e sento. E magari lui si era stancato di questa mia testa dura. E il 'principe' avrebbe fatto lo stesso subito.” Anna abbassa lo sguardo, allontanandosi appena da me. “La mia paura è che ti stancherai anche tu, che col carattere che mi ritrovo farò scappare anche te.”

Io resto ad osservarla per qualche istante prima di sollevarle il mento con le dita.

“Anna, guardami,” le chiedo piano quando lei continua a tenere gli occhi bassi. Alla mia richiesta, mi ritrovo di nuovo incatenato a quel verde magnetico che non smette di attrarmi dal primo momento.

“Direi che siamo un po' oltre quella fase, no? Prima l'ho detto per scherzare, ma è vero che all'inizio mi stavi antipatica, e proprio perché eri la prima donna capace di darmi del filo da torcere senza impegnarti più di tanto, e non solo sul lavoro. Il mio orgoglio maschile ne ha risentito un tantino, questo sì, ma solo fino a quando ho smesso di fare il cinico e ho capito che quella che io avevo scambiato per presunzione in realtà era competenza, che anche a causa del mio comportamento avevi dovuto dimostrare con più forza del dovuto. E che quella rigidità che sembravi portarti dietro anche nella vita privata era solo un muro di protezione, oltre al quale c'era molto da scoprire. Hai la testa dura e su questo non c'è dubbio, ci ho battuto più volte contro anche io, e guarda caso la maggior parte delle volte hai avuto la meglio tu. E a ragione, perché dietro quella testardaggine c'è un animo sensibile che raramente si sbaglia.” Le sposto con delicatezza una ciocca ramata dietro l'orecchio. “Se poi devo dirla tutta, mi piace provocarti. Sono sempre curioso di sapere come reagirai, perché non è mai scontato. E poi è divertente perché anche se battibecchiamo, dopo possiamo sempre far pace.”

Le sue gote si tingono di rosso alle nuove implicazioni che questa frase assume da stasera in poi.

“Allora tieni in conto che hai già qualcosa da farti perdonare.”

Io corrugo le sopracciglia, interdetto. Che ho fatto?

“Perdona la domanda, ma cosa? Ho detto qualcosa di sbagliato?”

Lei scuote la testa, divertita, prima di tornare a guardarmi di sottecchi con un'espressione innocente sul viso che mi scioglie. “Non mi hai ancora baciata.”

La osservo con tanto d'occhi per un attimo prima di rimediare alla mia imperdonabile mancanza.

 

Mi sa che farò in modo da farmi perdonare spesso, d'ora in poi.

 

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Capitolo 8
*** Una questione personale + Una di quelle ***


UNA QUESTIONE PERSONALE

 

N/A La parte compresa tra i tre asterischi (***) è la copia del capitolo 'Una questione personale' nell'altra mia fanfiction 'Life-changing Frenzy', che ho inserito perché procede regolarmente come in puntata. Oltre gli asterischi, la parte alternativa che stavolta si estende anche all'episodio successivo, 'Una di quelle'. Buona lettura

 

*** La mia mattinata, cominciata in modo tranquillo come tutte le altre, ha avuto un risvolto che al solo sentirlo mi ha fatto venire un groppo in gola che non credo riuscirò a togliermi tanto presto, insieme al vago senso di nausea che il mio corpo ha istintivamente messo in atto alla notizia che mi hanno appena dato.

Mi hanno telefonato dalla Caserma per informarmi che un ingegnere edile, teoricamente ai domiciliari per il crollo di un palazzo da lui progettato, è stato trovato morto nello studio del suo avvocato. E l'avvocato è il mio ex-migliore amico. Sì, proprio quello che si è portato a letto la mia futura sposa.

Non so con che spirito mi sto recando allo studio, ma di certo devo mostrarmi impassibile. Anna e il Maresciallo non devono sapere. Nessuno sa di questa storia, fa ancora terribilmente male e l'idea di dover rivedere Simone mi fa ribrezzo, ma so che non posso tirarmi indietro.

Arrivato sul posto, raggiungo il Capitano, impegnata a parlare con Cecchini e Don Matteo. Mi volto brevemente verso la targhetta affissa fuori dalla porta con su scritto 'Studio Legale Castagnati', deglutisco e chiedo subito informazioni su come si siano svolti i fatti, senza salutare nessuno.

È Anna a rispondermi. “Don Matteo ha trovato l'evaso nello stanzino delle scope. Riteniamo che si stato aggredito e poi spinto giù dalle scale, morto sul colpo, poi il corpo è stato trascinato nello stanzino. Il tutto dovrebbe essere successo tra le dieci e mezzanotte.” Mi spiega con precisione.

“Simone Castagnati l'avete avvisato?” Domando, con la speranza che non debba essere io a farlo.

“No, non ancora perché non era in studio, stiamo andando nel suo ufficio.” Nega lei, prima di corrugare le sopracciglia e tornare a guardarmi, confusa. “Come fai a sapere che si chiama Simone? Il nome non c'è scritto, lo conosci?”

Mi rendo conto con le sue parole di essermi già tradito da solo. Volevo far finta di nulla, e invece ho già fatto un passo falso, e lei è troppo attenta per non accorgersene. Tu non vuoi che lei lo sappia, quindi vedi di fare attenzione.

Evito completamente di risponderle, optando per entrare nello studio. Gli altri mi seguono immediatamente.

 

Entrare lì mi fa venire un'altra ondata di nausea che trattengo a stento.

Ignoro Anna, che mi lancia un'occhiata indagatrice, spostandomi per la stanza cercando di lasciar fuori le questioni personali e concentrarmi sull'omicidio, quando un portafoto su un mobile attira la mia attenzione: è rivolto verso il basso, probabilmente caduto durante qualsiasi cosa sia successa qua dentro, così prendo un fazzoletto e lo sollevo.

La bile torna prepotentemente in bocca alla vista della mia ex fidanzata e del mio ex migliore amico abbracciati e felici, protagonisti di quell'immagine recente.

La rimetto giù con astio, prima di rivolgermi ad Anna.

“Convochiamo Castagnati.” Le dico, asciutto.

“Io avverto la famiglia,” risponde a voce bassa, incerta.

Dimmi che non hai già capito che c'è qualcosa che non va. Fai finta di non aver notato niente di strano. Ti prego.

 

Quando Simone arriva in caserma, lascio che sia Ghisoni a farlo accomodare in ufficio. Io aspetto che rientri Anna: anche se non deve sapere niente, voglio comunque che sia lì con me. Non voglio restare solo con lui, e magari la sua presenza riuscirà a calmarmi come le altre volte.

Lei finalmente arriva, una strana espressione in viso, e insieme a me e Cecchini si dirige dietro la sua scrivania.

“Avvocato Simone Castagnati,” si presenta lui, alzandosi e porgendo loro la mano.

“Capitano Anna Olivieri,” risponde Anna in tono cortese, “il Maresciallo Cecchini... PM Nardi.” Quando lui fa per stringermi la mano, io non mi muovo dalla mia posizione, in piedi a braccia conserte accanto al tavolo. Lui ha almeno la decenza di abbassare lo sguardo.

“Si sieda,” gli dico soltanto.

Anna è perplessa, lo so, e io per primo non mi sto controllando come mi ero ripromesso di fare, ma è più forte di me.

“Allora, Lei è... l'avvocato di David Guarini... Micol Guarini però ci ha detto che ultimamente non andavate molto d'accordo.” Inizia l'interrogatorio il Capitano.

“Un momento... Lui voleva dichiararsi innocente e rischiava di farsi quindici anni. Io l'ho convinto a patteggiare e... alla fine abbiamo discusso, è vero, però poi lui si è reso conto che la mia era la strategia migliore-”

“Eh no, se era innocente no,” lo contraddico io freddamente. Non è una cosa strana, quella che ha detto, però per me potrebbe dire la qualunque ed essere in torto a prescindere. Non posso passargliela, non dopo quello che ha fatto.

Anna mi guarda, cercando di capire che sto facendo, ma io resto impassibile. Non mi importa se pensi che stia esagerando, tu non sai come stanno le cose.

“Beh... con una scossa del terzo grado quel centro commerciale non avrebbe dovuto avere nemmeno una crepa, invece è crollato completamente, e infatti si sono resi conto che mancava la gran parte del ferro dal cemento armato. E l'unico responsabile del cantiere era David Guarini.”

“Si può sapere di quanti soldi stiamo parlando?” Domanda Cecchini.

“Duecentomila euro, più o meno, l'appalto era intestato alla ditta della moglie di David e al suo socio.”

“Ludovico Foti, noi l'abbiamo incontrato,” ricorda il maresciallo ad Anna, che annuisce.

“Perché quella sera David, un evaso, è venuto nel suo ufficio?” Chiedo io con lo stesso tono di prima.

Lui fa un gesto nervoso, esitando a rispondere,

“Cos'ha fatto alla mano?” Indaga allora Anna, che ha notato una cosa che anche a me era sfuggita: una fasciatura alla mano sinistra.

“...Avevo dimenticato i documenti in studio... e l'ho trovato lì,” ammette con riluttanza. “Gli ho dato gli incartamenti del processo e lui se n'è andato.”

“Perché non ci ha avvertiti subito?”

“Perché mi aveva minacciato! Ho avuto paura.”

“Oppure perché l'ha seguito e ucciso.” Ribatto io. Paura, certo.

Lui si riscalda subito. “Ma cosa dici, Marco? Non puoi pensarlo veramente!” Mi domanda, stupito. Non osare chiamarmi più per nome. Siamo sconosciuti, ormai.

Lancio un'occhiata di sbieco ad Anna, e capisco immediatamente che ogni dubbio sul mio eventuale coinvolgimento è svanito di fronte a quelle parole.

“Lei è in stato di fermo.” Dico, rivolto a Castagnati con una nota di macabra soddisfazione nella voce.

Lui ride amaramente, ma non mi smuove dalle mie convinzioni. “Sarai contento, adesso.”

“Maresciallo, se ne occupa Lei? Grazie...” Lo prega Anna con un filo di voce.

Non farlo. Non farmi rimanere da solo con te. Non voglio trattarti male, per favore.

Simone si alza, lanciandomi uno sguardo sprezzante, che io ricambio con tutto l'odio che riesco a concentrare, notando che anche Cecchini è confuso dal mio comportamento.

Voi non potete capire.

 

Non appena escono chiudendo la porta, Anna non attende un altro istante, ma la sua voce è gentile.

“Mi vuoi spiegare?” Domanda, cauta. “Chi è quell'uomo? Perché ti chiama per nome?”

Io mi rifiuto di guardarla. Mantengo gli occhi bassi, perché so che se li alzassi e incontrassi i suoi adesso, finirei per dirle tutto. Ma lei non deve sapere. Non deve. Fa troppo male perfino pensarci.

“È un sospettato di omicidio,” replico freddamente. “Il resto non ti riguarda.”

L'ufficio diventa improvvisamente troppo stretto, mi sento come se mi mancasse l'aria, perciò vado via immediatamente senza voltarmi indietro.

So che ho sbagliato, che lei ha chiesto solo perché preoccupata dal mio comportamento, ma io resto fermo sulla mia idea.

Non ce la faccio, ad aprirmi. Dalla mia bocca non uscirà una parola.

Anche a costo di farmi odiare di nuovo.

 

Non appena mi lascio alle spalle il portone della caserma, le cose non migliorano, anzi.

Federica è lì e sta aspettando me, ne sono sicuro. Ha appena visto portar via Simone, e sarei disposto a giurare che vorrà qualche tipo di aiuto.

Dopo quello che mi avete fatto, per me non esistete più.

Lei si volta, e si avvicina a me in tutta fretta. “Simone non ha fatto niente e tu lo sai bene!” Esordisce con prepotenza.

“Io sto facendo solo il mio lavoro-”

“No, tu così gli stai distruggendo la vita!”

Mi fermo immediatamente, girandomi a guardarla. Come ti permetti, di dirmi una cosa del genere? Io gli starei distruggendo la vita?

“Voi non vi siete fatti grandi problemi, non è vero?” Le dico, la mia voce intrisa di disprezzo.

“Marco, per favore...” Fa allora lei in tono di supplica. È finito il tempo in cui bastava una tua occhiata a farmi cedere. Una parola a farmi cambiare idea. Le preghiere non servono a niente.

Fa per prendermi il braccio, ma io mi ritraggo immediatamente, come scottato.

“No! Non mi toccare!” Rispondo con rabbia.

“Marco, per favore, ascoltami... Marco, la nostra storia non c'entra niente... Ti prego...”

No. non implorare il mio perdono per voi dopo che mi avete pugnalato alle spalle.

“Io non posso fare niente per lui.” Chiudo la conversazione aspramente, sperando che capisca una volta per tutte che deve sparire dalla mia vita, e andandomene via.

Ho bisogno di stare solo, e di scaricare la rabbia che provo.

 

Vorrei solo smettere di stare così male.

 

***

 

Più tardi ricevo una chiamata da parte di Anna, che si rifiuta di dirmi cosa vuole per telefono. Io sto ancora uno schifo per ieri, e la sua telefonata non mi aiuta. Le rispondo seccato che la raggiungerò in ufficio appena possibile.

Dopo una mezz'ora mi presento lì.

Entro senza bussare, e senza mascherare il mio fastidio. “Beh? Cosa c'è di così importante che non potevi dirmi al telefono?”

“Vieni...” mi invita lei, schiarendosi la voce. “Ho fatto delle ricerche su Castagnati. So che eravate compagni di corso all'università e che andavate a calcetto insieme.”

Non ci posso credere. Cos'hai fatto?! Come hai potuto? Ti ho detto che non erano affari tuoi.

“Ah! Ma stai indagando su di me?” Le chiedo, incredulo.

“Ti ho visto prima con la tua ex! Non so cosa sia successo ma io credo che c'entri Castagnati!” Spiega, una vaga nota di rimprovero nella sua voce. Quindi mi hai anche spiato? Non ti devi intromettere, Anna. Non provocarmi.

“Quindi stai insinuando che io l'ho messo in stato di fermo per un fatto personale!”
“No, sto dicendo che forse questo è un caso che ti coinvolge un po' troppo!” Alza il tono lei.

“Io so distinguere i fatti dalla vita privata, e sei tu quella che si lascia coinvolgere!” Rispondo furioso. Io so mettere da parte il personale, lei invece si lascia sempre influenzare, e la sua insinuazione assurda mi fa arrabbiare.

Oppure la tua rabbia è dovuta al fatto che sai che in fondo ragione. E che l'hai messo in stato di fermo per vendicarti. Che ti sei lasciato trascinare dal dolore. Che hai lasciato che i tuoi tormenti avessero la meglio sul buonsenso.

Non voglio sentire altro, non sopporto di sentirmi dire quelle cose, e mi dirigo a passo spedito verso la porta, mentre lei mi fa una domanda che gela dentro. “Sì, ma io cerco la giustizia e la verità! Tu che cerchi?”

Sbatto violentemente la porta andando via.

Non ci provare, Anna. Non è una cosa che puoi capire. Non voglio dirti che hai ragione perché ammetterlo significherebbe essere sconfitto di nuovo. E lui è colpevole. Lasciami in pace.

 

***

 

Il mattino dopo ho un pensiero fisso in mente: andare a trovare Simone in carcere, e non per discutere del caso.

Quando arrivo, mostro il mio tesserino alle guardie, che mi danno il permesso di entrare e incontrarlo senza problemi.

Lui è sorpreso, ma si siede comunque di fronte a me.

“Non credevo che saresti arrivato a tanto.” Dice dopo qualche istante.

Io faccio un verso sprezzante. “Detto da te mi fa veramente ridere, sai.”

“Marco, ti ho fatto una bastardata, lo so... ti chiedo scusa.”

Sapessi che me ne faccio delle scuse.

“Quando giocavamo a pallone e io ero davanti alla porta e tu non me la passavi... Quella è una bastardata. Sei il mio testimone di nozze e la sera prima vai a letto con la mia fidanzata... Capisci, ho difficoltà, a chiamarla bastardata.” Gli dico con il mio miglior tono sarcastico.

“Avevamo bevuto...” Cerca di spiegarsi lui, come se bastasse quello.

“Ah, scusami, io non avevo capito! Potevi dirmelo subito!” Gli dico, sempre con ironia dilagante, e lui finalmente cede.

“Io la amo! Va bene, io la amo! È per questo che devo stare qui dentro?”

“No, è perché tu sei sospettato e potresti inquinare le prove.” Gli spiego, come se fosse un bambino di cinque anni un po' duro di comprendonio.

“Ma quali prove?! Perché avrei dovuto ucciderlo?” Ma che bella recita.

“Provo, eh? Forse perché il PM che ha seguito le indagini era una tale Flaminia Vanzetti... ti dice qualcosa, questo?”

“Siamo stati insieme soltanto per due mesi!”

“Magari per farle un piacere... magari avete bevuto anche con lei, non so, hai convinto il tuo cliente a patteggiare così tutti contenti. Tranne il tuo cliente, che l'ha scoperto, s'è incazzato e tu l'hai buttato giù dalle scale.”

“Non è andata così... non è andata così!”

“Va bene, sentiamo cosa dice il giudice.” Rispondo, alzandomi e andando via, se possibile più arrabbiato di prima.

 

***

 

Vorrei andare via ma mi chiamano per andare in caserma, perché avrebbero scoperto qualcosa. Metto da parte per un attimo i miei sentimenti, ho bisogno di fare il mio lavoro come si deve.

Entro nell'ufficio di Anna e con molta riluttanza mi siedo e ascolto. Lei apre un computer portatile.

“Sono le telecamere del cantiere,” mi spiega, “un'altra intuizione notturna del Maresciallo.”

“David Guarini, 22:07,” continua lui ignorando l'occhiataccia. Avviano il filmato che mostra l'uomo scavalcare la recinzione del cantiere, fino a quando torna indietro.

“Ha sfruttato il cantiere per togliersi le manette,” commento, “lui lo conosceva, sapeva che lì avrebbe trovato gli strumenti adatti.”

“Sì, ma c'è dell'altro,” spiega il Capitano. “è rimasto dentro quaranta minuti, poi è uscito con questa.” Precisa, indicando una borsa visibile nel video. “Che c'è dentro? Cosa cercava al cantiere?”

Quando io non rispondo, lei continua, alzandosi in piedi e mettendosi a camminare avanti e indietro per l'ufficio. “Ragioniamo: invece di scappare, lui torna al cantiere, ed è un rischio. Dopodiché è andato dal suo avvocato, altro rischio. Per me c'è solo una spiegazione: lui stava indagando, e se indagava vuol dire che non era il colpevole del crollo!” Esclama, ma io non la vedo come ragione possibile. “Questo è un altro motivo per avercela col suo avvocato, che poi l'ha ucciso per coprire un suo errore.”

“Quale errore?” Domanda allora lei con un tono freddo che non riesco a non notare.

“Castagnati e la PM che stava lavorando sul caso hanno avuto una storia insieme. PM e avvocato difensore non possono lavorare sullo stesso caso se si frequentano abitualmente, tantomeno se hanno avuto una storia insieme, ma Lei forse dovrebbe saperlo.” Spiego io indispettito ad Anna, e sì, è una frecciatina alla sua relazione col pretino-avvocato.

Lei non è contenta della mia osservazione. “Sì, si chiama infedele patrocinio, ma non è grave, Castagnati al massimo avrebbe avuto un richiamo.” Mi contraddice, ed è la goccia che fa traboccare il vaso. Non sopporto che anche lei mi vada contro.

Mi alzo in piedi, al limite della collera. “Sì, ma è un movente o no? Ma io ti devo ricordare forse che è il PM che deve dettare la linea d'indagine?” Le dico guardandola dritta negli occhi. Lei non si ritrae né abbassa lo sguardo, ed è una cosa che mi fa innervosire ulteriormente.

“Io sto seguendo gli indizi, solo quelli.” Mi risponde a tono.

Non mi contraddire. Non te lo lascerò fare. Devono pagare per quello che hanno fatto.

“Va bene, hai due giorni di tempo e poi la fase istruttoria è chiusa. Continua a perder tempo, brava!” Sibilo con astio, prima di andare via furioso.

Simone è colpevole. Lo è.

 

***

 

Passo tutto il giorno a cercare di sbollire la rabbia.

Rabbia nei confronti di Federica, che aveva detto di amarmi e poi mi ha tradito.

Nei confronti di Simone, il mio migliore amico che mi ha pugnalato alle spalle.

E nei confronti di Anna, che mi ha sbattuto la verità in faccia sul mio desiderio di vendetta.

Lei fra tutti, che non ha nessuna colpa reale, è la fonte principale del mio astio in questo momento. Ne ho fatto un capro espiatorio, sì, perché detesto l'idea che abbia intuito qualcosa. Che abbia cercato di capire perché ce l'ho tanto con Simone.

 

Non può capire cosa significhi, trovarsi faccia a faccia con le persone che amavi di più e che invece ti hanno fatto più male in assoluto. È impossibile non lasciarsi condizionare, se qualcosa ti riguarda in prima persona. Come per quel ragazzino tradito dal suo migliore amico diventato un bullo... mi sono rivisto in quel tradimento, e ho agito di conseguenza anche se ho provato a non farlo.

Pensaci un attimo, però. In passato non ti sarebbe importato di nulla, ti saresti limitato a fare il tuo lavoro senza vederci niente dietro. È Anna che ti ha portato a riflettere, che ti ha fatto capire che a volte la sensibilità aiuta molto di più del rigore. Forse dovresti usarla anche stavolta.

Scuoto la testa. Non va così. Anche se questo fosse vero, lei ha comunque sbagliato a indagare su di me e non rispettare quello che le avevo detto, di non impicciarsi.

E non potrà mai capire cosa voglia dire trovarsi davanti a un caso che ti riguarda così da vicino.

 

Ho appena finito di sparecchiare a casa quando qualcuno bussa alla porta.

Chi può essere, alle dieci di sera passate?

“Arrivo,” dico, e quando apro mi ritrovo davanti proprio la persona che non vorrei vedere in questo momento: Anna.

Lei mi saluta con un sorriso incerto, che io non ricambio. Anzi, cerco di farle intendere che la sua presenza non è gradita, visto che è più brava a capire i sottotesti che le richieste esplicite.

“Posso entrare?” mi chiede dopo qualche secondo.

Io le rivolgo un'occhiata gelida. “Se è per il caso, guarda, non abbiam niente da dirci, nessuna prov-”

“Non devo parlarti del caso,” mi interrompe. “Mi fai entrare?”

Bene, quindi non capisce nemmeno i no. Mi sposto per farla passare, senza nascondere il mio sdegno.

Si ferma all'ingresso, senza procedere oltre, posizionandosi di fronte a me.

“Posso fare qualcosa per te? Vuoi sederti, vuoi un bicchiere di vino? Dimmi.” Le chiedo, con finta cortesia che so non essere passata inosservata.

“No, resto in piedi, faccio subito.” Rifiuta. Io annuisco, in attesa che mi dica cosa vuole e vada via.

Marco, smettila. Non ha senso che tu la stia trattando così solo perché ha capito e cercato di aiutarti.

Abbassa lo sguardo. “Volevo raccontarti perché... ho scelto di fare il carabiniere.”

Cosa...? Sul serio? Con tutto il rispetto, cosa vuoi che me ne importi? Ora meno che mai.

“Adesso?” le chiedo freddamente, senza celare il mio disinteresse.

“Sì, Marco. Adesso.” Il suo tono è grave, e mi rendo conto immediatamente che ci dev'essere un motivo. Abbiamo aperto l'argomento tante volte, ma non mi ha mai detto nulla al riguardo. Se ha scelto di farlo adesso, deve avere una spiegazione più che valida, non è una che dice cose a caso. Basta questo pensiero a farmi calmare all'istante. “Okay... ti ascolto.” Rispondo, stavolta più pacato.

Anna incrocia le braccia e inspira a fondo, prima di iniziare.

“Mio padre aveva una piccola fabbrica di scarpe, e un giorno venne accusato di evasione e appropriazione indebita. Avevo dieci anni...”

Il suo sguardo si fa distante, la voce incrinata. Io non so che pensare, restando ad ascoltare senza dire nulla.

“Ma mi ricordo... mi ricordo i poliziotti che entrano in casa alle cinque di mattina, che aprono tutti i cassetti e che si portano via tutto, i documenti, i computer...” Solleva lo sguardo, e il dolore che ci vedo dentro mi fa venire l'ennesimo groppo in gola. “Mi ricordo gli sguardi della gente quando uscivamo di strada... le paroline sussurrate, i mezzi sorrisi... C'erano anche quelli che ci chiamavano ladri.” Ladri. Come hanno detto alla ragazzina figlia dell'uomo morto e a sua moglie. “Alla fine mio padre non è più uscito di casa. Se ne stava tappato in camera a guardare fuori dalla finestra...” continua, e capisco che sta cercando di trattenere le lacrime a tutti i costi, il suo tono di voce è inconfondibile. “Poi un giorno è uscito... e non è tornato più. Si è... si è buttato dal tetto della fabbrica.”

Adesso sì che mi sento davvero uno schifo, sento la bile risalire crudelmente in bocca. Per tutto questo tempo l'ho accusata di non sapere cosa volesse dire sentirsi direttamente coinvolti come credevo di essere io, e invece lei in questi giorni ha dovuto rivivere la stessa situazione di quand'era bambina. Ha rivisto suo padre morire negli occhi di quella ragazza. Ha risentito le accuse false della gente dalla bocca di altri.

Ma ha fatto comunque il suo lavoro. Non ha lasciato trasparire nulla. Invece io ho combinato un casino senza pensare a niente se non a me stesso.

“Mi dispiace, io non ne avevo idea, scusami...” provo a dirle, la mia voce che si incrina, anche se so che le mie scuse, dopo che l'ho trattata in quel modo, non servono a nulla. “È una cosa terribile... scusami, non-”

“Sai qual è la cosa più brutta?” Mi interrompe, e stavolta il suo dolore si percepisce forte come un pugno allo stomaco. “Era innocente. Solo che se ne sono accorti troppo tardi.”

Quelle parole restano sospese nell'aria per qualche istante, ma fanno il loro effetto dentro di me come una bomba.

Poi riprende la parola, il suo tono torna ad essere normale, senza increspature di nessun genere. “Ecco, volevo dirti questo. Grazie per avermi ascoltato.” Mi dice, come se mi avesse raccontato semplicemente cos'ha fatto ieri e non il suo dolore più profondo.

“Okay...” riesco solo a rispondere, mentre lei mi rivolge un ultimo sguardo prima di riprendere la borsa e andare via, lasciando la porta socchiusa alle sue spalle.

Mentre vado a richiuderla, l'unica cosa che riesco a pensare è che sono un egoista. Che non ho capito niente. E che il mio problema, rispetto al suo, in un caso del genere è insignificante.

 

Mi lascio cadere a peso morto sul divano, ancora troppo sconvolto da quello che ho appena saputo.

Mai, mai avrei immaginato che dietro una decisione lavorativa del genere si nascondesse un motivo tanto grave. Avevo intuito che al padre di Anna fosse accaduto qualcosa, ma adesso le parole di Giovanni quella volta in ufficio acquistano tutto un altro significato. 'Non mi stupisce che proprio tu voglia farmi suggerire a un innocente di autoaccusarsi... dopo quello che è successo a tuo padre.' Mi ricordo lo sguardo ferito di Anna, e il suo 'niente' quando le chiesi cosa intendesse dire lui.

Giovanni lì non aveva capito nulla sul suo comportamento, pur sapendo del suo passato.

Io ho sbagliato senza sapere, e possibilmente è anche peggio.

Non riesco nemmeno ad immaginare quanto possa esserle costato raccontarmi quella storia. Doverla rivivere per l'ennesima volta nel giro di pochi giorni. E mi rendo conto di essere ancora più idiota, perché lei stava passando l'inferno ma ha pensato ad aiutare me e cercare di farmi ragionare, e io l'ho trattata malissimo solo per paura.

Non so nemmeno paura di cosa, a questo punto, visto che proprio lei non mi ha mai giudicato. Anzi, con me ha avuto il coraggio di mostrarsi fragile, anche poco fa, e io continuo a non riuscire a raccontarle di me.

 

Adesso capisco perché mi ha detto quelle cose. Un uomo innocente è stato ucciso proprio perché tentava di difendersi da un'accusa sbagliata. Il suo avvocato aveva cercato per lui il male minore, ma non riusciva ad accettarlo e ha reagito, indagando per conto suo e finendo comunque per essere ammazzato da qualcuno che ancora non sappiamo.

Quello che suo padre non ha avuto modo, o il coraggio, di fare. Si è chiuso in casa quando non è riuscito più a sopportare le ingiustizie della gente, senza potersi difendere. Si è tolto la vita quando non ha più trovato vie d'uscita per dimostrare la sua innocenza.

Non posso pensarci, a quello che ha passato Anna. Era così piccola quando le è accaduto tutto questo. L'irruzione delle forze dell'ordine in casa è già orribile per una persona adulta, figuriamoci per una bambina di quell'età. Senza contare l'arresto del padre e la gente che mormora senza poi nascondersi tanto, senza sapere dove stia la verità.

E poi il suicidio... come si fa, a dare una notizia del genere? Presentarsi e dire che un marito, un padre si è ucciso per un errore giudiziario?

 

Se c'è una cosa che non voglio, è quella di rovinare la vita alla gente.

Nemmeno quella di Simone, se è vero che è innocente. E la famiglia di quell'uomo ha bisogno di giustizia. Abbiamo accertato la sua innocenza dall'accusa che aveva portato alla sua incarcerazione, ma adesso bisogna capire cosa lui avesse scoperto che ne ha provocato la morte. Dobbiamo trovare il colpevole, quello vero.

E in fondo so già che non è Simone.

Mi metto immediatamente al lavoro.

 

***

 

Il mattino seguente mi presento in commissariato alle 9.30 in punto. Mi dirigo spedito verso l'ufficio di Anna ed entro come al solito senza bussare, tanto la porta è già aperta.

Lei è seduta davanti alla scrivania, intenta a leggere dei documenti.

“Buongiorno!” La saluto in tono allegro sedendomi accanto a lei, che non ha ancora detto una parola. Vedo che è sorpresa, e ha tutte le ragioni per esserlo: fino a ieri l'ho trattata da schifo senza che lei avesse alcuna colpa, oggi mi comporto come se non fosse successo nulla. Ma capirà, ne sono sicuro. È merito suo.

“Ci sono novità.” La informo sorridendo.

Anna è ancora impassibile. “Di che parli?”

“Del caso Guardini, che altro? Ho ripensato alla tua linea d'indagine... Devo dire che ci sono degli spunti interessanti.” Le confesso, e lei sorride compiaciuta.

“Grazie.” Posa la matita che aveva in mano, in attesa.

“Mi sono chiesto: perché David ha rubato dei documenti che erano già stati esaminati dal tribunale? Perché voleva fare un confronto!”

“Un confronto con cosa?”

Appoggio sul tavolo la cartella di documenti che mi sono portato dietro, lei sposta il portamatite per farmi spazio.

Le mostro alcuni fogli. “Queste sono le bolle di acquisto del ferro, regolarmente firmate da David - quelle che lui ha rubato – per un totale di duecentomila euro. Queste sono le bolle di uscita della ditta fornitrice del ferro, anche queste per un totale di duecentomila euro.”

Vedo che è confusa. “Quindi? Qual è il problema?”

“Il problema è che la ditta fornitrice ha comprato il ferro per solo cinquantamila euro.” Spiego.

“Quindi tu mi stai dicendo che il ferro che veniva sottratto dal cantiere tornava indietro alla ditta, che lo rivendeva allo stesso cantiere?” Vedo che ha capito perfettamente il punto. “E perché nessuno si è accorto di questa cosa?”

Prendo un altro blocco di fogli, porgendoglielo. “Guarda chi ha rilevato la ditta fornitrice...”

Lei dà una rapida occhiata, prima di lanciarmi uno sguardo divertito. “Vedo che ti sei dato da fare.” Commenta, e un inaspettato senso di orgoglio si fa strada in me.

Ho capito il mio errore, e ho cercato di rimediare. Grazie a te.

...e per te.

 

***

 

È uno spasso vederla spiegare a Don Matteo come per una volta siamo arrivati prima noi ad arrestare il colpevole del furto.

La colpevole dell'omicidio, invece è la responsabile del cantiere subentrata a David. È stato un incidente, dovuto alla paura di perdere il lavoro che le avrebbe garantito la copertura per le sue spese mediche. Un incidente terribile, ma che ha lasciato una famiglia senza un padre, e un altro bambino senza sua madre. ***

 

La sera resto in giro a pensare. Abbiamo rilasciato Simone, che non c'entrava davvero nulla.

Gli ho anche rivolto le mie scuse per averlo creduto colpevole.

Non significa che siamo di nuovo amici, tutt'altro, ma non volevo avere questo peso sulla coscienza. E quel che è giusto, è giusto.

 

C'è un'altra persona a cui devo delle scuse, però, prima di andare a casa. E che devo soprattutto ringraziare.

So che è un po' tardi, ma spero non le dispiaccia se faccio una capatina a casa sua.

Non ci sono mai stato, in effetti.

Salgo le scale del palazzo e una volta davanti alla porta di casa sua, prendo un bel respiro e suono il campanello.

Glielo devi, Marco. Sai che non è arrabbiata con te, ti ha aiutato anche se tu l'hai trattata male senza un motivo. È il minimo che puoi fare.

La sento rispondere a voce alta dall'interno, “Sì, Maresciallo, la caldaia è a posto!” immaginando che sia Cecchini, evidentemente a conoscenza del guasto.

Quando Anna apre, è chiaro che non si aspettava di certo la mia visita.

“Ehi... ciao.” La saluto con un leggero imbarazzo. È strano vederla in una tenuta così... casalinga. Una semplice canotta, pantaloncini corti e piedi scalzi. Decisamente l'ho colta alla sprovvista.

“Ciao,” Ricambia ad occhi sbarrati.

“Ciao... stavo tornando a casa e allora son passato di qua. Vuoi una mano?” le chiedo, riferendomi alla caldaia.

“No, ho fatto... però se vuoi entrare...” Mi chiede, esitante.

“Sì, un minuto.”

Lei si sposta per farmi passare, appoggiando la mia borsa a terra all'ingresso.

Io ne approfitto per dare un'occhiata intorno.

“Questa è casa...” mi dice timidamente. Noto un cartone di pizza e una birra sul tavolino davanti al divano, le luci basse. Probabilmente stava guardando qualcosa in tv prima del guasto.

“Fatto seratona, vedo, eh...”

“...Sì...”

Quando mi fermo, lei si gira a guardarmi incrociando le braccia, ancora confusa sul perché io sia lì.

Dopo qualche istante mi decido a parlare. “Io volevo ringraziarti... davvero. Stavo per fare una di quelle cazzate mondiali...”

Lei alza le spalle, minimizzando la cosa. “Non ti preoccupare, capita a tutti di sbagliare.”

“Eh...” Non proprio quanto ho sbagliato io, però. Io ho combinato un casino perché accecato dal dolore, senza vedere che anche tu stavi male, perfino peggio, eppure non hai mai perso la luce della ragione.

Quando torno a guardarla, noto una traccia di sporco sullo zigomo, probabile capriccio della caldaia.

Le faccio un cenno per indicargliela, con un sorriso. Lei recepisce al volo, immaginandoselo, con un po' di imbarazzo.

“Ho qualcosa... ho qualcosa qua...” Fa per pulirlo, senza successo.

Le vado in aiuto. “Posso?”

“Sì, grazie...”

Porto una mano sulla sua guancia, ma quando lei alza lo sguardo per incrociare il mio, tutto il resto svanisce.

 

Non esiste nient'altro, all'improvviso è come se ci fossimo solo noi.

Non so cosa sia successo, so solo che la mia mano a contatto con la sua pelle trema mentre mi perdo in quei suoi magnetici occhi verdi. Nessuno dei due riesce a distogliere lo sguardo, e senza pensare a quello che sto facendo, la bacio.

In quel momento il tempo sembra fermarsi, e l'unica cosa che conta sono le sue labbra morbide a contatto con le mie, la sua mano che sale a sfiorare la mia, abbandonandosi anche lei a quel gesto che mai avrei pensato di fare.

Ho lasciato che l'istinto prendesse il sopravvento, realizzando consapevolmente ciò che il mio cuore voleva fare da un pezzo. È tutto così inaspettato, ma meravigliosamente perfetto.

Poi tutto svanisce di colpo quando lei si allontana di scatto, lo sguardo basso, come se si fosse appena resa conto di quanto stesse accadendo.

Resto per qualche istante a guardarla, cercando di elaborare anch'io quanto accaduto.

“Scusa...” sussurro, ignorando il senso di vuoto che mi ha invaso quando lei si è tirata indietro.

Sei un idiota! Non puoi baciarla e poi chiederle scusa! È stato inaspettato per te quanto per lei.

“No, è colpa mia...” mormora Anna, le guance arrossate.

“No, ho sbagliato io... Vado, scusami...” Riesco solo a farfugliare, andando via di corsa e lasciandola lì in piedi in mezzo al soggiorno, chiudendomi la porta di casa sua alle spalle. Solo dopo qualche gradino mi rendo conto di aver lasciato la borsa dentro, e che devo andare a riprenderla.

In pochi istanti il mio cervello e il cuore instaurano una battaglia su chi debba averla vinta.

Non puoi tornare là, fa il cervello, ragionevole, se torni e la guardi negli occhi finirai per baciarla di nuovo e stare male di nuovo.

Non è vero, risponde il cuore, tu l'ami, e quale occasione migliore per dirglielo?

Non posso dirglielo. Non posso. La amo, è vero. Ormai è inutile nasconderlo perfino a me stesso.

Ma lei non ha voluto, ha interrotto quel bacio, interviene il cervello. Si è tirata indietro. È ancora innamorata di Giovanni, per questo ti ha rifiutato.

Non era un rifiuto, contraddice il cuore, forse ha solo avuto paura, non se lo aspettava. Forse non è tutto perduto. ***

 

Torno alla sua porta, incerto su cosa fare. Busso, e quando lei apre vorrei solo mandare al diavolo il raziocinio e baciarla fino a lasciarla senza fiato. Cerco di evitare di guardarla a tutti i costi.

“Sì?” domanda, nel suo tono colgo una nota di speranza, ed è qui che commetto un errore.

È più forte di me, e sollevo lo sguardo incrociando il suo.

Qualsiasi proposito di scappare si dissolve nella mia mente, e senza nemmeno riflettere, per la seconda volta in pochi minuti prendo il suo viso tra le mani e la bacio, lì sulla porta di casa sua, con l'unico pensiero di assaporare quelle labbra fino a farci restare completamente senza fiato.

 

Quando ci separiamo, restiamo a pochi millimetri di distanza, e mi incanto ad osservare i dettagli del suo viso: le lunghe ciglia scure abbassate a sfiorare le guance colorate di rosso, la leggera spruzzata di lentiggini sul naso, le labbra schiuse. Avverto il suo respiro affannoso sulla pelle, il petto che si alza e si abbassa al ritmo di quel fiato che sta cercando di recuperare.

 

Dopo un tempo indefinito in cui restiamo in silenzio e immobili, ancora fermi sulla soglia, lei alza lo sguardo, tentando di incrociare il mio, senza successo.

“Marco...” Prova a dire, ma io mi blocco.

L'ho baciata di nuovo. Sono tornato indietro e l'ho baciata di nuovo.

E ora che faccio?

Cerco una via di fuga, e poi mi ricordo perché in effetti ho suonato il campanello di casa sua la seconda volta.

“La borsa,” mormoro. “L'ho dimenticata.”

Lei sembra ridestarsi e si affretta a porgermela. Io vado via senza dire altro. Nemmeno lei fiata.

Quando si dice una situazione imbarazzante.

 

Torno a casa ancora confuso da tutta la questione.

Marco, sei uno stupido, ufficialmente. Un idiota, un cretino.

Non puoi baciarla, andartene, tornare indietro, baciarla di nuovo e scappare. Senza dire neanche una parola, per giunta!

Sono uno scemo, assolutamente d'accordo.

In realtà volevo che succedesse da un po' ma non avevo trovato il momento adatto, e l'unica volta in cui non ci ho nemmeno pensato, ecco che è capitato. Due volte. E io ho fatto esattamente l'opposto di quello che avrei voluto.

 

So che mi sono innamorato di lei. L'ho capito da un pezzo, ormai, non provo nemmeno più a negarlo, sarebbe inutile.

Lei, che all'inizio odiavo. Che mi faceva uscire fuori dai gangheri perché riusciva a tenermi testa e rispondermi a tono come nessuno aveva mai fatto prima. Che provocavo solo per il gusto di farla arrabbiare.

Lei, che piano piano mi ha lasciato entrare nel suo mondo, mi ha mostrato come la sua apparente durezza altro non sia che uno scudo di protezione. Da un mondo maschilista che la sottovaluta perché donna a capo di un comando di uomini. Da una delusione d'amore che ha fatto crollare una delle poche cose belle della sua vita, la sua storia con Giovanni. Da una madre che pur conoscendo i motivi della sua decisione di diventare Carabiniere, non li condivide e la critica soltanto. Dal dolore per la morte di un padre che doveva amare moltissimo e che le ha segnato l'esistenza come poche cose riescono a fare.

Lei, che mi ha insegnato come la gentilezza possa aiutare più della fermezza. Che soffrire non significa volere il male degli altri. Che le follie, se fatte per amore di qualcuno, non sono poi così sbagliate.

Lei, che mi ha lasciato vedere la donna sotto la divisa. Che mi ha fatto capire come la sua forza più grande derivi proprio dal dolore più grande.

 

Lei, che amo.

 

Domani glielo dirò.

Non posso lasciarmi scappare una come lei.

Non posso essere stato il solo a sentire quelle emozioni, quando i nostri sguardi si sono incrociati. Quando le nostre labbra si sono sfiorate. Ha risposto ai miei baci, ha ricambiato. L'ho confusa col mio comportamento: prima le ho chiesto scusa dopo averla baciata la prima volta e sono andata via, poi l'ho baciata di nuovo e non ho detto una parola, e sono scappato quando lei ha tentato di parlare.

Forse anche lei ha solo avuto paura, all'inizio.

 

Deve pur significare qualcosa, che abbia scelto di aprirsi con me per una cosa così personale.

Non può avermi raccontato la sua storia solo per compassione. Lo so che non è così, come per tutte le cose che mi ha detto di sé finora.

Anch'io le ho dato molto di me, molto più di quanto intendessi all'inizio. E ora so che voglio spiegarle tutto. Perché ho reagito in quel modo, perché ho sempre fatto certe osservazioni. Merita di saperlo. Voglio essere onesto fino in fondo, e so che potremmo provarci, a stare insieme.

Lei non è Federica. Non vorrà mai cambiarmi a forza a suo piacimento. Non mi tradirebbe mai come ha fatto lei, lo so.

 

Domani le dirò la verità.

 

 


 

UNA DI QUELLE

 

Inutile dire che quella notte ho dormito poco. Non riuscivo a togliermi dalla testa quei baci.

 

Dopo la volta allo spettacolo con Cosimo, avevo iniziato a farci seriamente un pensiero. Magari di invitarla a cena qualche volta, o andare da qualche parte insieme, non so... Sapevo però che si stava creando qualcosa, un'alchimia senza precedenti per me.

Sì, perché nemmeno con la mia futura sposa mi ero mai sentito davvero così, come quando sono con lei. Non mi ero mai sentito così libero di essere me stesso, senza la paura di essere giudicato e cambiato.

Alcuni argomenti non li avevo mai affrontati nemmeno con Federica, se non altro non seriamente, come quello dei figli, per quanto possa sembrare paradossale. Figuriamoci lasciarmi coinvolgere in cose come quel festival.

Eppure con Anna è stato tutto molto naturale. Dopo una esitazione iniziale, quando lei ha detto che avrebbe partecipato non c'è voluto molto a far cedere pure me. Ha un ruolo istituzionale da difendere anche lei, ma per amore di quel bambino ha tralasciato la forma e reagito col cuore.

È stata una delle tante cose di lei che mi ha conquistato.

Una delle tante cose che vorrei dirle.

 

Peccato che però dal giorno dopo ne siano successe di tutti i colori, e quindi non sono ancora riuscito a parlarle in privato. Adesso è passato qualche giorno, e ancora niente. Ma io ho bisogno di parlarle.

Ormai è sera, si è fatto pure tardi e noi siamo ancora in ufficio. Stiamo per andar via quando si presenta una donna, sicuramente dell'Est, per denunciare un'aggressione.

Anna la riceve nella sua stanza, e io resto con lei.

La facciamo accomodare, poi Anna si appoggia alla scrivania, restando in piedi di fronte alla donna, in maniera più informale per metterla a suo agio. Poi inizia a farle delle domande con estrema delicatezza.

“Come ti chiami?”

“Oksana.” Risponde la donna, piangendo.

“Chi ti ha ridotto così?”

“Un cliente... Sono una prostituta. Lavoro sola per me, forse è per questo che se n'è approfittato.”

“Ma... era la prima volta che lo vedeva, quindi?” Domando io, cercando di usare un tono simile a quello di Anna. L'ultima cosa che voglio è spaventare ulteriormente questa ragazza.

“No... ma era già da un poco che... che non pagava. Allora io gli ho detto, 'se non paga io non lavoro', e lui mi ha picchiata.” Fa per prendere un fazzoletto nella sua borsetta, facendosi sfuggire un libro, che Anna si affretta a raccogliere da terra. Lei glielo riprende immediatamente dalle mani. “So che è più facile giudicarmi che credermi, ma io ho paura!”

Anna la guarda per un attimo, poi si abbassa al suo livello per poterla guardare direttamente negli occhi.

“Oksana, io ti credo.”

Non posso non ammirarla in questo momento. Posso solo immaginare vagamente cosa significhi, da donna, trovarsi in una situazione così.

“Sapresti descrivermelo?”

“All'inizio era una persona gentile, poi è cambiato. Diceva che se non facevo quello che voleva, poteva farmi del male. Fa un lavoro importante.”

“Ti ricordi quale?”

“Il carabiniere.” risponde, spiazzandoci. “È lui.” Aggiunge, guardando l'appuntato scelto Barba oltre la vetrata.

Noi non riusciamo a crederci.

 

Quando lei si alza per andare a formalizzare la denuncia da un altro agente, Anna convoca Barba nel suo ufficio. È chiaro che è a disagio, ma che vuole prima di tutto cercare di capire.

Lui si rifiuta di dirci alcunché se non di non averle fatto nulla, Anna cerca di insistere.

“Barba, tu sei un mio uomo, e io ti voglio aiutare,” gli dice. “ma mi devi dire la verità.”

Quando lui continua a non fiatare, lei continua. “Prenditi qualche giorno, il tempo di fare chiarezza su questa storia.” Poi gli fa segno di consegnarle la sua pistola d'ordinanza, che lei scarica immediatamente prima di alzarsi e farlo uscire dal suo ufficio con un saluto militare. Un gesto di rispetto verso un carabiniere che ha sempre fatto un buon lavoro. Io la seguo fuori, proprio mentre arriva Cecchini, che ci domanda cosa sia successo, e perché Barba stia andando via.

“Una prostituta l'ha denunciato. Dice che l'ha picchiata.” Si limita a dire lei in tono grave. Lui è sconvolto quanto noi.

Tutti si mettono immediatamente in moto, e il Maresciallo si reca insieme a Ghisoni nel luogo dove lavora la ragazza di solito.

Noi due scendiamo giù dopo qualche momento, pregandoli di avvertirci per qualsiasi novità.

“Se non parla sta nascondendo qualcosa...” le dico, scendendo gli scalini che danno sulla piazza.

“Sì, e forse sta proteggendo qualcuno.”

“Sì, però in ogni caso io devo avvisare il Questore.” Le ricordo.

“Dammi stanotte per lavorarci su, sono sicura che domani mattina sarà tutto risolto.” Mi prega. Capisco la sua posizione, e accetto di fare un'eccezione per stavolta, chissà che non abbia ragione, eviteremmo un mare di guai a quel ragazzo.

“Va bene.”

“Grazie...”

All'improvviso mi rendo conto che siamo da soli per la prima volta nell'intera giornata, e decido di cogliere al volo l'opportunità.

“So che non è il momento più opportuno...” Esordisco con un mezzo sorriso.

“Sì...” Lei abbassa lo sguardo, intuendo cosa voglia dirle.

“Riguarda quello che è successo l'altra sera...”

“Dimmi...”

“Credo-”

Riesco a mala pena a iniziare la frase che arriva una volante dell'arma, e Cecchini e Ghisoni scendono per comunicarci che hanno recuperato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza della stazione di servizio posta dietro al luogo dove 'lavora' la donna.

“Ottimo lavoro! Vediamo se c'è qualcosa di utile.” Si complimenta lei, seguendoli immediatamente, prima di girarsi verso di me. “Scusa...” dice, riferendosi alla nostra conversazione interrotta.

Io cerco di ignorare il fastidio per il tempismo degli altri. “Fammi sapere se po-”

“Sì sì,” mi liquida, entrando a passo svelto in caserma.

“Va bene... Non si può comunicare, qui.”

Me ne torno a casa, demoralizzato. Ci stavo finalmente riuscendo, e il lavoro si è messo in mezzo.

Ma la prossima volta ci devo riuscire.

 

***

 

La mattina dopo, arriva una notizia come un fulmine a ciel sereno: hanno trovato Barba privo di sensi davanti a casa sua, pensano a un tentativo di suicidio. Mi reco lì più in fretta che posso, trovando già il Capitano col maresciallo, Ghisoni e Zappavigna.

“Ho appena saputo... Ciao...” Dico, principalmente ad Anna.

“Ancora non siamo sicuri di niente,” mi spiega Cecchini. “Il tentato suicidio è soltanto un'ipotesi.”

“Beh, ipotesi o no sapete già come uscirà sui giornali, no?”

“Certo,” risponde Anna, cupa. “Diranno che si è suicidato perché era colpevole.”

Come è successo con tuo padre. Che si è ucciso proprio perché innocente ma incapace a dimostrarlo.

Cecchini ribadisce l'assoluta fiducia in Barba, convinto che non sia stato lui. Io lo spero davvero, ma non posso non prepararli. Devono trovare le prove.

Anna non fiata.

 

***

 

Il mattino dopo riconvochiamo Oksana, convinti che non abbia detto la verità.

Lei sembra sconvolta alla notizia che Barba sia in coma per tentato suicidio. Va via dicendoci che non possiamo fare niente per lei, e Anna intuisce dal suo comportamento che ha un protettore, che probabilmente è stato lui a picchiarla e costringerla a accusare l'appuntato. Incarica Cecchini di intensificare le ricerche, e lui esce dall'ufficio per eseguire l'ordine.

“Anna, senti, avviso io il Questore, non ti preoccupare.” La tranquillizzo. È già abbastanza scossa così, non voglio metterle altra pressione addosso.

Ed ecco che siamo soli, ora o mai più.

“Ecco, io... riguardo a quello che è successo ieri sera...”

“Ah, sì...” Annuisce con una espressione vagamente imbarazzata.

“Io stavo per dirti, prima che ci interrompe-vabbé sì...”

Cecchini ha aperto la porta, rientrando. Ma cos'è, un complotto? È già difficile senza che vi impicciate tutti!

“Ehm... mi dimenticavo...” Fa, impacciato. Ci mancava che ci beccasse lui in atteggiamenti ambigui.

Cerco di far finta di niente. “Sì, ehm... mi tieni aggiornato?”

“Certo...”

No, ma non si nota che siete in imbarazzo.

“Bene...” Vado via senza guardare Cecchini, ma sento lo stesso cosa dice.

“Ma... che, ho interrotto?”

“No! Non ha interrotto... niente!” Sento rispondere Anna, a disagio anche se cerca di mascherarlo.

“No, è che mi sembrava un'atmosfera un po'...”

“Aveva dimenticato cosa?” Lo interrompe lei.

Accelero il passo.

Sì, Maresciallo. Ha interrotto il mio ennesimo tentativo di chiederle di uscire.

Almeno le avrei fatto capire che per me ha significato qualcosa.

E l'atmosfera era decisamente troppo intima per due semplici colleghi.

Ma io non voglio essere un semplice collega.

Riuscirò a dirglielo, anche a costo di dover creare un'occasione di proposito.

 

***

 

Quella sera stessa, vado a colpo sicuro. So che Anna non si darà pace finché non riuscirà a trovare il colpevole di questa storia, per cui sarà ancora in ufficio.

Sono le undici passate quando salgo gli scalini dell'interno della caserma con in mano il takeaway che sono passato a prenderle, perché di sicuro non ha ancora cenato.

E infatti, quando apro la porta del suo ufficio, lei è ancora lì sui documenti a cui sta lavorando da tutto il giorno.

“Ciao,” la saluto un po' in imbarazzo, come al solito in questi giorni.

“Ciao.” Mi risponde con espressione sorpresa. Lo so, la mia è una visita inaspettata.

“Beh, sapevo che ti avrei trovata ancora qui a quest'ora e allora... ho ordinato la cena.”

“Grazie, non... non dovevi.” Mormora, alzandosi. Ha già capito perché sono qui, lo capisco dal suo comportamento e dal suo sguardo teso.

“Senti... sperando che nessuno ci interrompa...”

“Eh, mi sembra un po' difficile a quest'ora della notte...” commenta lei, nervosa.

“Riguardo a quello che è successo l'altra sera, io volevo dirti che... io...”

La guardo, e sul suo viso leggo l'incertezza dell'attesa. Raccolgo il coraggio.

“Lo so che era un momento particolare, e che eravamo entrambi scossi perché ci eravamo trovati in un caso che ci coinvolgeva molto... E sì, è stato inaspettato, ma... bellissimo.

Lei spalanca gli occhi, colmi di sorpresa. Considerata la mia fuga, forse non pensava che le avrei detto questo. Decido di continuare.

“E so che tu magari stai ancora affrontando quella situazione con Giovanni, che non è una cosa da poco, lo capisco, e anch'io ho i miei fantasmi del passato da metabolizzare, e proprio per questo ero convinto che non mi sarei mai più sentito così... come quando sono con te. Pensavo che non sarei più riuscito a fidarmi, e che non avrei mai permesso che ci fosse niente più di un rapporto lavorativo con te, e invece tu... con te è diverso. Con te sto bene, so che posso essere me stesso... Hai saputo guardare oltre il mio cinismo, e non ti sei arresa quando ti ho trattata male senza motivo, anzi... mi hai dato più di quanto avrei mai potuto chiedere. E non solo per la storia di Simone, ma anche prima...”

Mi blocco un momento, cercando di capire cosa stia pensando Anna. So che il mio discorso probabilmente non se lo aspettava, ma ho bisogno di dirle tutto.

Lei abbassa lo sguardo per un attimo prima di tornare a fissarmi. Fa per dire qualcosa ma il telefono sceglie quel momento per squillare. Sbarra gli occhi.

“Scusami...” Mi passa accanto per andare a rispondere, e io approfitto di quei secondi in cui mi dà le spalle per cercare di mandare giù quel nodo alla gola improvviso che mi impedisce di respirare.

Ho bisogno di sapere cosa prova lei.

So che non sono stato l'unico tra noi due a provare quelle sensazioni. Quella volta di ritorno dal monastero, il gelato insieme in ufficio, la sera dello spettacolo in macchina, e quei baci a casa sua... Non posso aver immaginato tutto.

Mi volto verso di lei, e intuisco che si tratta di una chiamata che aspettava.

“Pronto? ...sì... Grazie!”

Abbassato il ricevitore, le chiedo silenziosamente chi fosse a quest'ora.

“La perizia balistica esclude l'ipotesi di suicidio. La traiettoria della caduta con la posizione del corpo richiedevano una spinta di un'altra persona.” Mi spiega con evidente sollievo riferendosi all'appuntato Barba, che lotta ancora tra la vita e la morte.

“Ah! Bene!... cioè, meglio così... No?”

“Assolutamente. Però bisogna capire chi è stato e perché.”

Finita la parentesi lavorativa però, l'imbarazzo si fa strada per un momento tra noi.

Entrambi abbassiamo lo sguardo.

“In questi giorni ho cercato mille scuse per non restare da sola con te,” mormora ad un certo punto lei, e io mi sento interdetto. La guardo senza capire, mentre lei fa un respiro profondo prima di continuare. “Anche quando hai cercato di parlarmi e affrontare l'argomento... avevo paura che mi avresti detto che si era trattato di un errore, e di dimenticare. Quando mi hai chiesto scusa e te ne sei andato... è colpa mia, lo so, e non avrei dovuto allontanarmi. Non so perché l'ho fatto, ma non era quello che in realtà volevo. E quando sei tornato indietro e mi hai baciata di nuovo sulla porta di casa, avrei voluto trattenerti, ma di nuovo sei andato via senza lasciarmi parlare. Pensavo che ti fossi lasciato prendere dal momento e... non so, te ne fossi pentito. Pensavo mi avresti detto che non aveva significato niente, e non volevo sentirtelo dire...”

Tiene lo sguardo basso, le guance colorate di rosso. “Non volevo dover affrontare il fatto che... che magari solo io avevo provato qualcosa...”

Mi avvicino di qualche passo, sollevandole il mento con due dita così che possa guardarla negli occhi.

“Allora siamo in due...” Sorrido, e lei fa lo stesso. “Abbiamo un bel po' di cose di cui parlare, credo... Potresti... venire a cena da me, domani sera. Se vuoi...”

Lei annuisce timidamente. Non immaginavo di riuscire a scovare questo lato di lei, ma mi intriga. Non sono poi così sorpreso, in fondo.

“A proposito di cena... mi sa che ho fatto freddare tutto,” commenta poi, riferendosi al takeaway che le avevo portato.

“Continua ad essere commestibile, però... e non hai ancora toccato niente.” La tiro di nuovo verso la scrivania, obbligandola a sedersi. “Tu mangia, e io ti do una mano con quei documenti, così magari per una sera riesci ad andare a dormire ad un orario decente.”

Lei arrossisce. “Ma no, non ti preoccupare. Posso finire anche da sola, non importa.”

“Insisto. Hai bisogno di riposarti. E poi magari insieme riusciamo a beccare qualcosa in quei fogli che magari da un'analisi singola può sfuggire.” E perché non me ne andrei da qui per niente al mondo, adesso.

“Va bene.” Cede infine. Io prendo posto accanto a lei.

 

È una scena che ha del surreale. Ma non cambierei una virgola.

 

***

 

La mattina dopo quando arrivo in caserma, Anna e il Maresciallo sono già nell'ufficio di lei a interrogare la proprietaria della stazione di servizio e il cugino/protettore di Oksana.

Apro la porta, e il mio primo istinto è guardare Anna. Per un momento cala nuovamente l'imbarazzo più totale ricordando quanto accaduto ieri notte, poi lei mi sorride e sento uno sfarfallio allo stomaco invadermi.

Finiamo per mettere in stato di fermo il ragazzo e a rilasciare temporaneamente la signora, anche se siamo convinti sia coinvolta in qualche misura.

Lei si occupa di aggiornare il questore, mentre io rivolgo per un momento l'attenzione a Cecchini: ha ricevuto una specie di eredità, e da giorni si porta dietro una borsa con all'interno quello che ha chiamato 'coleno', anche se non abbiamo ben capito che animale è. Mentre lui è impegnato a parlare col maggiordomo, io prendo questa borsa e la apro, troppo curioso. Solo per scoprire che all'interno c'è un coniglio di peluche. Giuro che non voglio sapere che sta combinando stavolta, anche se la cosa mi fa ancora ridere. Meno male che c'è lui.

 

***

 

La sera a casa, sto finendo di apparecchiare in attesa che arrivi Anna. In realtà avrebbe dovuto essere qui quindici minuti fa e non è da lei essere in ritardo, ma cerco di non preoccuparmi. Sto sistemando gli ultimi dettagli – raddrizzo il tovagliolo, sistemo la rosa nel vaso trasparente – quando sento bussare alla porta. Corro ad aprire.

 

Anna.

 

“Ehi! Eccoti,” la saluto con un sorriso.

“Ciao...” Ricambia con leggero imbarazzo. “Scusa il ritardo, ma il maresciallo ha avuto una delle sue intuizioni notturne.” Spiega in fretta. “Sono tornata a casa di Barba, e ho trovato questa.” Mi porge una bustina con qualcosa di verde all'interno.

“Che roba è?”

“Dovrebbe essere una collana. Potrebbe essersi rotta quando Barba, spinto giù, si è afferrato al collo del suo carnefice.”

“Una donna! Potrebbe essere la Moscato!”

“Beh sì, questo spiegherebbe il taglio sulla mano destra.”

“Se noi troviamo del DNA quassù la incastriamo!” Dico, sollevato di essere più vicini a una soluzione.

“L'indagine non è finita!” Mi risponde, compiaciuta, prendendomi la bustina dalle mani e rimettendola nella borsa.

D'un tratto cambia espressione.

“Hai cucinato tu?” Chiede, incredula. Seguo il suo sguardo, posato sul mio grembiule.

Ah già, ho dimenticato di toglierlo.

“... Sì!”

“Ah, non la ritieni una cosa da donne?” Fa con espressione divertita.

“No, perché? I migliori chef sono uomini, eh!” La prendo in giro, facendo un passo indietro verso la cucina. Lei fa altrettanto, avvicinandosi di nuovo.

“Sì, questo perché le loro mamme erano sicuramente delle ottime cuoche!”

Adoro quando fa la saccente. Faccio un sorrisetto fingendomi esasperato, per poi tornare a guardarla.

“Che dici, ci mettiamo a tavola?”

 

 

“Appoggia tutto dove ti pare,” le dico allegramente, prima di tornare ai fornelli per preparare i piatti. Lei si sfila il soprabito e lo sistema all'appendiabiti all'ingresso insieme alla borsa.

“Che profumino,” commenta. “Io non cucino mai quando sono sola. Anzi, in realtà non cucino mai, punto.”

“Io invece cucino solo per me, adesso.” Rispondo, assaggiando uno dei gamberi.

“Prima?” Chiede, curiosa.

“Prima no, cucinavo anche per la mia ex, Federica. Però adesso è tutto cambiato perché... posso usare i condimenti, grassi idrogenati, capito? Adesso ho svoltato.”

Lei ridacchia, divertita, un'adorabile espressione scioccata sul suo viso. “Ho capito il tipo... è per questo che non ti sei presentato al tuo matrimonio? Ti teneva a digiuno?” Domanda innocentemente.

Io esito solo un istante, il tempo di riordinare la mente e trovare le parole giuste.

“Per questo... e perché l'ho trovata a letto col mio migliore amico.”

Anna spalanca gli occhi, di certo non si aspettava questo tipo di risposta, e un vago rossore si fa largo sulle sue guance.

“Mi... mi dispiace... non credevo che...” Abbassa lo sguardo, in totale imbarazzo.

“No, ehi,” la rassicuro, facendole un cenno per lasciarle capire che non deve sentirsi in colpa per aver chiesto, anzi. Poi le faccio cenno di avvicinarsi, porgendole il cucchiaio di legno così che dia un assaggio al mio piatto forte.

“Occhio che scotta,” la avverto. Questa situazione sembra talmente naturale che potrei abituarmici. “Com'è?”

“Ma è buonissimo!” Si complimenta, estasiata. “Mi sa che mi devi insegnare a cucinare!”

“Sì,” accetto senza esitare, “ma solo se lo fai per te, e non perché una donna dev'essere brava in cucina.”

Lei annuisce con un sorriso, e non posso già non pensare che non vedo l'ora di iniziare solo per poter passare più tempo insieme. Una scusa come un'altra per vederci oltre il lavoro.

A prescindere, decido che ormai voglio che sappia tutto della mia vecchia relazione.

“Oh, comunque la mia ex ha fatto anche di peggio, eh. Ma tanto...” Butto lì.

Anna solleva lo sguardo, incredula. “Che ha fatto?”

“Fra le altre cose, ha voluto che facessimo un servizio fotografico prima del matrimonio. Per rompere il ghiaccio, diceva lei. Io dovevo rompere il ghiaccio mentre lei stava a letto col mio migliore amico.”

“Questa cosa è orribile, lo sai, vero?”

“Eh...” sospiro. “Sinceramente, sono contento che sia finita. Non è stata una passeggiata, ma è stato meglio così. Se così non fosse, non saremmo qui, adesso, e sarebbe un vero peccato.”

Lei arrossisce ma sostiene il mio sguardo. “Posso dire lo stesso per me.”

 

Dopo qualche altro istante ci mettiamo a tavola.

Le servo il suo piatto prima di sedermi anch'io.

“Buon appetito, allora!”

“Altrettanto,” risponde con un sorriso.

Mangiamo per qualche minuto senza dire nulla, godendoci semplicemente l'uno la presenza dell'altra, e con mio sommo piacere vedo che sta spazzolando tutto.

“Devo dedurre che ti sia piaciuto, quindi?”

“Scherzi? È una delle cose più buone che abbia mai mangiato.”

Faccio un piccolo inchino, a cui lei risponde con una risatina. “C'è anche da dire che a me piace mangiare in generale, quindi poco importa cosa ho davanti. Se poi è buono così, meglio ancora.”

Per qualche motivo questa informazione non mi sorprende. “Ottimo, essere una buona forchetta aiuta anche nella preparazione... basta che non mangi tutto nel processo.”

Mi lancia un'occhiataccia. “Tranquillo... mangerò tutto dopo.”

Scoppio a ridere. È veramente strano per me trovarmi accanto una donna che ammetta una cosa del genere. Con Federica era sempre un continuo di lamentele, non le andava bene niente di quello che le preparavo e prestava un'attenzione esagerata a calorie e simili. Anna a quanto pare è l'esatto opposto.

“Un po' come i libri, se ne hai uno davanti devi finirlo? Tratti il piatto allo stesso modo?”

“Ci puoi scommettere, è maleducazione lasciare il piatto pieno! A proposito, quando cominciamo?”

“Quando vuoi... facciamo tra un paio di giorni? Il tempo di pensare a qualcosa di adatto per cominciare.”

“Affare fatto.”

Una volta terminato, sparecchiamo insieme.

“Dai, ti aiuto a lavare queste due cose...”

E non c'è verso di farla desistere.

“Avevo pensato di preparare il dolce, ma poi ho optato per un'altra cosa...”

Alla sua occhiata curiosa rispondo tirando fuori dal freezer una vaschetta di gelato al cioccolato con le nocciole tritate sopra.

Le sue iridi si riempiono inaspettatamente di dolcezza. “Ti sei ricordato...” Mormora.

Questo suo cambiamento improvviso mi spiazza un po' ma mi lusinga allo stesso tempo, significa che ho fatto la scelta giusta, e la cosa non può che rendermi felice.

“Certo... il primo gelato in ufficio non si scorda mai.” Le porgo un cucchiaio, e lei ride prima di afferrarlo e sederci entrambi sul divano.

 

“Posso chiederti una cosa?” Le domando a un certo punto.

Anna mi rivolge un'occhiata incuriosita. “A patto che non sia per prendermi in giro, perché direi che per oggi l'hai già fatto abbastanza.”

“Questo non te lo posso promettere...”

“Ah, bene... Comunque dimmi, vedrò se è il caso di rispondere.”

La guardo di sottecchi un attimo. “Perché mi hai baciato, allo show con Carlo Conti?”

Lei arrossisce di botto. “E tu perché mi hai baciata, a casa di Cecchini?” Ribatte senza effettivamente darmi una risposta.

Mi faccio sfuggire una risatina. “Per la scena? Per rendere le cose più credibili.” Dico, usando la stessa scusa di allora.

“Considera che qualunque sia la tua risposta, la mia è uguale.” Asserisce con un'occhiata maliziosa.

Capisco che mi ha fregato. Anzi, che mi sono fregato da solo.

Se è così che vuoi giocare, adesso ti faccio vedere io.

Mi avvicino lentamente, costringendola ad arretrare sul divano fino al limite del bracciolo.

Le impedisco di scappare passandole un braccio intorno alla vita mentre appoggio l'altra mano al bracciolo per sostenere il mio peso senza gravarle addosso e per mantenere un minimo di distanza, almeno per il momento. Lei spalanca gli occhi ma non si muove, un guizzo divertito nello sguardo.

“E resta uguale anche se ti dico che la ragione è un'altra?” Mormoro, avvicinando il mio volto al suo.

“Quale sarebbe?” Chiede in un sussurro lei, reggendomi il gioco.

Resto per un attimo ipnotizzato dalle sue iridi verdi, poi mi avvicino ancora.

“Volevo baciarti. E voglio farlo anche adesso.” Affermo, annullando la distanza tra noi.

 

Aspettavo questo momento da tutta la sera.

Le circondo la vita con entrambe le braccia mentre le sue mani salgono a stringermi con delicatezza il volto.

Per la prima volta dopo non so più quanto tempo, mi sento bene.

Con lei stretta a me, mi sento a casa.

 

Anna's pov

 

Forse sto sognando.

O forse no.

È tutto talmente vivido che no, credo di essere completamente sveglia.

È tutto così nuovo... così inaspettato, eppure non ho paura a lasciarmi andare.

Normalmente non avrei mai permesso che le cose procedessero tanto in fretta come stanno andando adesso, ma non mi tirerei indietro per nessuna ragione al mondo.

Le sue labbra si muovono delicate sulle mie, e le sue mani che mi accarezzano la schiena avvicinandomi ancora di più a lui mi fanno rendere conto di quanto siamo vicini.

Sentire il suo corpo contro il mio mi sta regalando sensazioni mai provate prima, non così intensamente, e mentre mi bacia con una dolcezza tale da farmi sciogliere, ho l'impressione di aver trovato il mio pezzo di puzzle mancante, l'altra metà della mela, l'unica che combacia perfettamente.

La mia anima gemella.

Quando interrompe il contatto tra le nostre labbra, Marco appoggia la sua fronte alla mia senza smettere di stringermi con delicatezza tra le braccia, timoroso, come se avesse paura che con una presa maggiore potrei rompermi o svanire.

Sorrido passando una mano tra i suoi riccioli, il fiato corto.

 

Ripenso a quanto successo in questi giorni.

Era dalla mattina dopo che lui cercava invano di aprire il discorso, ma io ho avuto paura e ho cercato ogni minima scusa per non restare da sola con lui.

La verità è che quella sera, quando me lo sono ritrovata a casa, se all'inizio non sapevo che pensare, quando mi ha baciata non ho capito più niente. La mia mente è andata completamente in tilt.

Per un lungo istante ho solo pensato a quanto tutto fosse perfetto, alle sue mani sul mio viso, le sue labbra, il suo profumo, la dolcezza dei suoi gesti... e quell'amore che ormai avevo capito di provare per lui.

È stato questo che ha fatto scattare immediatamente il meccanismo di autodifesa, l'improvvisa consapevolezza di essermi effettivamente innamorata di Marco.

Prima che riuscissi a razionalizzare la cosa, però, mi ero già allontanata. E ho capito di aver combinato un casino quando lui mi ha chiesto scusa, come se avesse fatto qualcosa che io non volevo, quando invece era l'esatto contrario.

Solo che poi il mio cervello ha iniziato a pensare... troppo, come al solito, convincendomi che Marco non mi aveva baciata perché prova qualcosa per me, ma solo perché era ancora preso da tutta la situazione con la sua ex e il suo migliore amico, e per quello che io gli avevo raccontato, e l'aveva fatto più per istinto che altro. Che in un'occasione normale non sarebbe mai successo.

Quando è tornato indietro per baciarmi di nuovo, poi, non ho più saputo che pensare davvero.

E quando poi lui ha approfittato dei momenti da soli, ecco che di nuovo il mio cervello si metteva in moto, ogni volta facendomi partire prevenuta e a minimizzare la cosa, convinto dell'idea che lui stesse per dirmi di essersi sbagliato, che si era trattato di un incidente, e di non pensarci più.

 

E invece ieri sera in ufficio mi ha spiazzata. Non avrei mai e poi mai immaginato che potesse provare quelle cose per me, mi sembrava di sperare troppo.

Non sono mai stata così felice di essermi sbagliata su qualcosa.

 

“A cosa stai pensando?” Mi chiede dopo qualche minuto. Siamo ancora fermi nella stessa posizione di prima, e non abbiamo smesso di guardarci negli occhi nemmeno un istante.

Lo osservo ancora per qualche secondo prima di rispondere.

“La mia risposta alla tua domanda di prima non è cambiata. È identica alla tua.”

“Sì?”

L'intensità del suo sguardo in questo momento mi fa tornare le farfalle allo stomaco, che sembravano essersi temporaneamente assopite.

“Mh-mh...” Replico con un sorriso. “Volevo baciarti. E voglio farlo anche adesso.”

“Agli ordini, mio Capitano,” asserisce Marco, annullando di nuovo le distanze tra noi.

 

Mi abbandono un'altra volta alle sensazioni che mi dà, a questo amore che sta sbocciando piano piano tra noi, in un terreno che sembrava troppo arido per permettere a qualcosa di così bello di nascere, e che invece ha iniziato a germogliare senza preavviso.

 

Un amore nato contro ogni previsione, e che si è mostrato in un momento in cui nessuno dei due lo cercava.

 

E per qualche ragione ancora incomprensibile, ho deciso di fidarmi, di provare, e ci metterò tutta me stessa affinché duri. Capisco per istinto che per Marco è lo stesso.

 

C'è molta strada da fare, ma ho la sensazione che riusciremo a percorrerla tutta, insieme.

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Capitolo 9
*** Arriverà il giorno ***



ARRIVERÀ IL GIORNO*

Marco's pov
Il sole tiepido di oggi sta accompagnando me e Anna in questa visita a Orvieto.

Non capita spesso, che riusciamo ad andare da qualche parte per più di un giorno, ma fortunatamente stavolta lei è riuscita a organizzare i turni in caserma in modo da avere libero anche il sabato, così da poter passare il weekend fuori insieme.

Uno dei posti che volevamo visitare era proprio Orvieto, uno dei luoghi più belli dell'Umbria.

Mentre passeggiamo mano nella mano per una delle splendide vie del paese, ripenso alla faccia di Cecchini quando ha saputo che saremmo stati via per due giorni, e mi vien da ridere.

Ogni volta che passiamo qualche giorno fuori Spoleto, Anna lo informa che non ci sarà giusto per non preoccuparlo se non la vede rientrare – anche perché sarebbe capace di chiamarla, visto che lo ha fatto in precedenza – e lui si comporta in modo sempre più protettivo con lei.

Proprio come se fosse sua figlia.

Certo, non può farle la ramanzina né impedirle di uscire con me, ma ogni volta le raccomanda di fare attenzione e di divertirsi, e generalmente io mi becco l’occhiata minacciosa, specie se sa che passeremo la notte fuori.

Non la considera una ragazzina, questo sì, la conosce bene sia come capitano che come donna, ma è più forte di lui, e l’idea che dorma - anche in senso assolutamente innocente - con un uomo (che poi, sarei comunque il suo fidanzato...) proprio non gli va giù.

All’improvviso sento Anna ridacchiare.

“Che c’è?” Le chiedo, divertito.

“Stavo pensando a Cecchini quando gli abbiamo detto che saremmo rientrati domani sera,” mi spiega con un sorrisetto.

“Ci stavo pensando anch’io... mi ha guardato in un modo!”

“Lo fa sempre, si vede che si trattiene dal parlare...”

“Ti vuole bene e si preoccupa per te, anche se sa che sai badare a te stessa,” commento, dando voce ai miei pensieri di poco fa.

“Lo so... solo che è strano, non ci sono abituata... Non che mi dispiaccia, ma... ormai sono anni che non vivo più con mia madre e non devo giustificare le mie uscite. So che Cecchini ha le migliori intenzioni, ma in un certo senso è imbarazzante dirgli che non ci sono, soprattutto quando si comporta così.”

Io le rivolgo uno sguardo malizioso, avvicinandomi e abbassando la voce in modo che solo lei possa sentire.

“Ah, se sapesse...”

Anna arrossisce e mi rifila un colpetto col gomito. “Ti ritroveresti con un ordine restrittivo a carico,” mormora.

“Probabile,” rispondo, allegro. “Comunque, qual è la prossima tappa?”

Lei dà un’occhiata alla cartina. “Il Duomo,” mi informa. “Che dovrebbe essere... da quella parte.”

La prendo nuovamente per mano, dirigendomi con lei nella direzione che ha indicato.

[…]

Mentre osserviamo gli affreschi del presbiterio, mi estraneo un momento e la mia attenzione di posa su Anna, che guarda rapita quanto ha davanti. La luce che entra dalla vetrata dell'abside la avvolge quasi a voler creare attorno a lei una sorta di bagliore.

Non so per quale motivo, ma per un attimo nella mia mente appare l'immagine di lei vestita di bianco, in piedi davanti a me e con un sorriso radioso sul volto.

Sorrido tra me.

“Prima o poi ti ci porto, all'altare...” mormoro.

“Cos'hai detto?”

Spalanco gli occhi, rendendomi conto di aver detto quelle parole ad alta voce e di non essermi limitato a pensarle, e che Anna evidentemente ha sentito.

“Eh?” Cerco di far finta di niente, momentaneamente in panico.

“Ho sentito che hai detto...” Lascia la frase in sospeso, abbassando lo sguardo. “Probabilmente ho capito male, lascia stare.”

Prima che possa pensare a cosa dire, lei si sposta più avanti, continuando ad osservare gli affreschi. Stavolta però ha un'aria distratta, e so che è per via di quello che ho detto.

In questo momento però non riesco ad ammetterlo così direttamente... è stato un pensiero nato per caso. Vero, sì, ma non ci ho mai riflettuto seriamente fino ad ora, e poi non voglio correre troppo con lei.

Per quanto ne so, l'idea potrebbe anche spaventarla, anche se non c'è ancora niente di concreto dietro. Voglio dire, dopo la storia con Giovanni, magari è troppo presto anche solo per sfiorare l'argomento.

Io stesso non ci avevo pensato, come ho detto. Dopo la batosta con la mia ex, di certo non sarà una decisione che prenderò alla leggera, anche se so che con Anna è diverso.


 

La giornata prosegue senza troppi intoppi, e sono passate le 11 di sera quando rientriamo in hotel.

Mentre attendo che Anna esca dal bagno, io la aspetto sdraiato sul letto della nostra camera, a fissare la tv accesa senza realmente ascoltare.

So per certo che mi ha sentito e che ha lasciato correre, oggi al Duomo, ma forse si aspettava una risposta diversa. Ho notato una leggera malinconia sul suo viso mostrarsi a tratti durante il resto del pomeriggio.

Capisco di aver commesso un errore nel fingere indifferenza, e che magari in effetti non sono l'unico ad averci pensato, anche se in modo vago.

Inspiro a fondo, deciso ad affrontare la cosa, anche solo per capire la sua posizione. È un argomento spinoso per entrambi, ma prima o poi dobbiamo parlarne. Forse è meglio farlo adesso approfittando dell'occasione.

Dopotutto, abbiamo promesso di chiarire eventuali dubbi tra noi e di non lasciare che le nostre paure abbiano il sopravvento. Io sono deciso a mantenere la parola, perché accetterei di tutto dalla vita fuorché perderla per un errore stupido come questo.


 

La porta del bagno si apre e lei esce con il pigiama già addosso, e non posso fare a meno di sorridere alla familiarità della scena, e a quanto mi piacerebbe che fosse così ogni giorno.

Vacci piano, Marco, hai detto che non vuoi andare troppo veloce, no? Ecco.

Prende posto accanto a me, accoccolandosi tra le mie braccia.

“Qualcosa di interessante in tv?” Chiede.

Io la guardo per un attimo, accarezzandole distrattamente i capelli prima di rispondere.

“In realtà non stavo guardando, non saprei.” Inspiro per farmi coraggio. “Senti, riguardo a stamattina, al Duomo, per quella cosa che ho detto...”

Anna si scosta appena da me e distoglie lo sguardo. “Quale cosa?”

“Sei una pessima bugiarda,” la informo. “È solo che... non so nemmeno io perché l'ho detto. Mi è scappato, così, ma non dicevo sul serio.”

Stavolta lei si allontana davvero, e per un'istante i suoi occhi tradiscono un'espressione ferita. “Ah.”

Ma non hai imparato niente in questi mesi? Ma allora te le cerchi!

“Non nel senso che... Non ci ho pensato, non intendevo dirlo ad alta voce.”

Di male in peggio.

Se la vocina nella mia testa torna a farsi sentire non è un buon segno. Cerco di zittirla ma mi rendo conto che ha ragione, perché Anna si è seduta dall'altra parte del letto, lontana da me.

“Mi fa piacere sapere che hai detto una cosa che non pensavi. Bene.” Mormora con voce piatta prima di girarsi dalla parte opposta.

Dovresti pensare a quello che dici prima di aprire la bocca, certe volte.

“Anna...” Tento di prenderle la mano ma lei la scosta, stizzita. “Non è questo che intendevo, lo sai.”

Mi lancia un'occhiata infastidita. “No che non lo so, visto che non me lo spieghi!”

“Stiamo litigando sul serio per questa cosa?”

“Non stiamo litigando, stiamo discutendo. E comunque questa 'cosa' come l'hai chiamata tu, è una cosa seria.”

Per un istante sento riaffiorare le insicurezze del passato e cerco di correre ai ripari. “Era solo una frase...”

Stavolta vedo chiaramente che si sta arrabbiando. “Se per te dire di volermi portare all'altare è solo una frase, allora veramente non ho capito proprio niente di te.” Sibila, incrociando le braccia al petto.

“Perché dici così?”

“Se non erro, una volta mi hai detto che il matrimonio è importante, e va difeso. Se tu dici queste cose, allora scusa ma mi viene il dubbio di aver frainteso. Oppure hai cambiato idea?”

Facendo mente locale, credo si riferisca alla volta in cui pensavamo che Cecchini avesse un'amante.

“No, lo penso ancora... non saremmo qui se così non fosse. Ma non è questo, è che...” Lascio la frase in sospeso, incerto se continuare o meno. Continuare significa ammettere di aver paura, e non sempre ci riesco.

“Che...?”

Scuoto la testa tentando di far cadere il discorso.

Il mio gesto evidentemente fa innervosire ancora di più Anna, che si alza di scatto dal letto. Vedo le sue spalle tremare per un istante prima che torni a guardarmi.

I suoi occhi esprimono delusione.

“Perché continui a non fidarti di me?”

Rimango per un attimo interdetto. “Sì che mi fido di te.”

“E invece no,” obietta lei, “perché se così fosse mi diresti dove sta il problema.”

“Non c'è nessun problema,” mi ostino a negare, cercando di ignorare gli occhi adesso lucidi di Anna.

Mi do mentalmente dello stupido, ma certe volte è più forte di me comportarmi così.

Lei annuisce appena. “Certo...”

Si avvicina alla finestra restando a guardare fuori per un po' mentre io sono ancora seduto sul letto, incerto su cosa fare.

“Anche a me l'idea del matrimonio fa paura,” afferma Anna a un certo punto, voltandosi verso di me, “quando pensavo di stare per sposarmi il mio ex fidanzato mi ha detto di voler diventare prete, e quando me lo ha chiesto sul serio ero io a non volermi più sposare. Sono successe tante cose perché andasse così, però la possibilità di poter cambiare idea terrorizza anche me. Ho paura che... che un giorno non andiamo più d'accordo, o che tu ti stanchi di me perché ti rendi conto che non sono la donna che vorresti... però questo non significa che non voglia una vita con te. Che non ci abbia pensato... o che non voglia provarci. È normale pensarci, quando si ama una persona... è normale avere paura, però se non ti fidi abbastanza da dirmelo, allora c'è qualcosa che non va. Io ci provo a rispettare i tuoi tempi e non forzarti a parlare, ma quando fai così, io davvero non so come comportarmi. Penso sempre di fare la mossa sbagliata.”

Solleva lo sguardo per incrociare il mio. “Pensavo di aver capito male, stamattina, ma poi ho visto la tua espressione di panico, e ho preferito lasciar correre, pensando che magari avresti aspettato un momento più adatto per ripeterlo, e invece...”

Okay, ora che mi sento uno schifo. Perché non penso mai prima di parlare?

Mi alzo dal letto per avvicinarmi a lei, per prendere la sua mano sinistra e stringerla delicatamente tra le mie.

“No, hai capito bene, è solo che non pensavo avessi sentito, l'ho detto senza rifletterci. Ma lo penso davvero.” La rassicuro, e con immensa gioia vedo un piccolo sorriso farsi strada sulle sue labbra. “Hai ragione, l'idea mi fa paura, per via della mia ex e tutto il resto. Lo so che tu non sei lei,” preciso quando vedo che torna ad evitare il mio sguardo, “ma è stato più forte di me. Avrei dovuto dirtelo subito. L'ho detto senza riflettere, è vero, mi è sfuggito, e sinceramente fino ad ora non mi ero permesso di pensarci. Ma oggi è successo in modo così... naturale, che mi ha fatto paura. È stato così semplice immaginarci lì, che mi sono sentito colto alla sprovvista. E poco fa ti ho detto il contrario di quello che avrei voluto. Mi dispiace.” Ammetto, accarezzandole una guancia. Lei non me lo impedisce, e non oppone resistenza nemmeno quando la conduco di nuovo sul letto.

“Io mi fido di te, è solo che a volte devi ricordarmi che non devo aver paura di dirti quello che penso, di ammettere i miei dubbi... è di me stesso che non mi fido, finisco sempre per combinare casini quando si tratta di questo.”

Anna fa una piccola risata. Solleva quegli occhi verdi che amo tanto, e mi soffermo a scrutarli un attimo. L'amore che vi leggo dentro mi dà la forza di continuare e dirle quello che avrei dovuto dire fin da subito.

“So che è ancora presto, però... mi piace pensare che quel giorno arriverà anche per noi.”

Lei sorride, tornando ad abbracciarmi come prima che ci mettessimo a discutere.

“Non dobbiamo fare passi affrettati. Abbiamo tutto il tempo per decidere con calma,” mormora. “Per il momento mi basta sapere che mi ami.”

La bacio prima di rispondere. “Su questo non devi mai avere dubbi. Mai. Ho combinato un casino con te, ma non c'è stato un attimo in cui non ti abbia amato. Ho provato ad annullare i miei sentimenti per te, come sai benissimo, ma si è rivelata un'impresa impossibile.”

“Posso dire lo stesso,” risponde Anna con dolcezza. “Amare significa anche lasciare libero l'altro... e io non volevo obbligarti a fare qualcosa che non volevi. A stare con me se non te la sentivi, anche se faceva male. Sono felice che alla fine tu abbia scelto me, però,” aggiunge sottovoce, imbarazzata.

Io rido tornando a stringerla forte. Se mi avessero detto di questo suo lato insicuro all'inizio, quando l'ho conosciuta, non ci avrei mai creduto. Adesso so bene che fa parte di lei, un po' come la mia paura di rischiare. Ed è anche questo che ci fa stare bene insieme... ci completiamo. Siamo un incastro perfetto.

“Anch'io sono felice. E non ho dubbi di voler passare la mia vita con te.” Le accarezzo piano i capelli, spostando una ciocca ribelle dietro l'orecchio. “Arriverà... al momento giusto.”

Anna's pov

Le sue parole riescono a tranquillizzarmi, e le sento avvolgermi e riscaldarmi nel profondo come la sicurezza che provo ad essere tra le braccia di Marco in questo momento.

Lui si addormenta quasi subito, ma io rimango sveglia ancora un po' ad osservarlo dormire.

Ammetto di esserci rimasta male, oggi, quando ha sviato il discorso.

In genere non me la prendo mai, soprattutto non per le cose banali o per quelle che possono aspettare, e pensavo fosse così anche stavolta. Di certo non pensavo che avrebbe minimizzato la cosa, come è successo quella volta per il mio messaggio. Ero convinta che ormai avesse superato quella fase di paura estrema al minimo accenno di cambiamento, sembrava avesse fatto passi avanti. Sinceramente non credevo avrebbe aperto il discorso così in fretta, e di sicuro non in quel modo. Ho cercato di passarci sopra, ma quando ha detto che era un pensiero che non avrebbe voluto esprimere ad alta voce, mi sono sentita ferita. Cioè, sapevo che era solo un segnale di autodifesa, però mi ha fatto male lo stesso.

Era solo un fraintendimento dovuto alla sua paura di far saltare gli equilibri, e non volevo che una sciocchezza del genere si mettesse tra noi un'altra volta. Per questo ho deciso di parlare io, alla fine. E per fortuna Marco si è reso conto di cosa stava facendo – di nuovo – e ha ammesso come stavano realmente le cose.

Anch'io so benissimo che è presto per un passo così importante, stiamo insieme da poco e a nessuno dei due verrebbe in mente di fare mosse azzardate, non dopo quello che entrambi abbiamo passato. Ma è pur vero che un pensierino ce l'ho fatto, qualche volta.

Quando quel giorno insieme a mia madre ho provato quell'abito da sposa, davvero pensavo che sarebbe stata l'unica volta, che nella vita reale non l'avrei mai indossato perché non mi ci vedevo, a sposarmi. Non dopo essere stata così male per la fine della mia storia con Giovanni. E con Marco all'epoca eravamo appena diventati amici. L'idea del matrimonio era totalmente fuori dalle mie prospettive. Non avrei mai pensato che a distanza di qualche mese le cose sarebbero cambiate in modo così drastico.

E a dirla tutta mi ci vedo, a passare il resto della vita insieme a Marco.

So che non può essere tutto rose e fiori, e ci saranno anche discussioni più gravi di questa avuta oggi anche per motivi più stupidi, ma so anche che nessuno dei due rischierebbe di mandare tutto all'aria per... cosa, poi? Avere la meglio in una discussione? Dopo quello che ci siamo lasciati alle spalle, ci vorrebbe davvero qualcosa di irreparabile per non essere superato.

Gli ostacoli sulla strada capitano, come è successo oggi, ma io ho imparato la lezione. I problemi vanno affrontati e discussi, non ignorati. E anche Marco si sta impegnando in questa direzione. Non è sempre facile, ma in due tutto diventa più leggero.

Ci vorrà tempo ma, come ha detto lui, arriverà anche per noi quel momento. Se l'idea gli ha attraversato la mente, significa che un po' di paura gli è passata, e non posso che esserne felice perché significa che anche lui in fondo vuole condividere il suo futuro con me.

E quando quel giorno arriverà, so già che gli dirò di sì.

***

*Innanzitutto, un grazie speciale a Clarissa per avermi suggerito l'idea della storia! Spero che il risultato finale sia all'altezza!
Stavolta ho pensato di andare oltre la serie, scrivendo questo capitolo che si colloca in qualche momento indefinito e successivo alla fine di Don Matteo 11. Mi piace pensare che le cose tra Anna e Marco procedano bene, ed è meglio per gli autori continuare su questa strada per DM12 u_u Scherzi a parte, è stato divertente immaginare questa scenetta. 
Fatemi sapere cosa ne pensate! Ovviamente, se avete altre idee da propormi, sia che si tratti di momenti extra come questo o anche interni alla serie, o per finali alternativi, non esitate a suggerire!
A presto,

Doux_Ange

 

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Capitolo 10
*** Il bambino di Natale - versione 3 ***


IL BAMBINO DI NATALE - versione 3

 

N/A La parte compresa tra i tre asterischi (***) è la copia del capitolo 'Il bambino di Natale - parte 1' nell'altra mia fanfiction 'Life-changing frenzy', che ho inserito perché procede regolarmente come in puntata. Oltre gli asterischi, la parte alternativa. È piuttosto lunga, ma ho preferito lasciare il capitolo per intero, che arriva fino alla fine dell'episodio. Buona lettura!

 

*** Ormai sono passati un paio di giorni dal ritorno di Anna.

Chiara avrebbe voluto che restasse a casa almeno il giorno successivo, ma lei non ne ha voluto sapere, tornano immediatamente a lavoro.

Stamattina hanno mandato Ghisoni a dirmi di recarmi al piccolo museo per un furto di un'opera di valore perché il mio cellulare dà i numeri. Sono due giorni che non funziona, non riceve niente. Non è nemmeno problema dell'operatore, quindi aspetto che si decida a sistemarsi da solo, non mi va di cambiarlo.

Arrivo sul posto in ritardo rispetto agli altri, ancora cercando di convincere il cellulare a collaborare. Niente.

 

All'ingresso trovo Anna.

“Ehi, ciao,” la saluto. Lei ricambia, un po' nervosa. “Com'è la situazione?”

“Sono appena arrivata... tutto bene?”

“Sì sì sì, tutto bene, qua però sono due giorni che ho il telefono impallato e non mi prende le chiamate.” Le spiego, almeno sapranno per certo perché non mi avevano rintracciato.

“Ah. E i messaggi?”

“No, neanche quelli.” Sono praticamente irreperibile.

“Bene... andiamo.”

La seguo su per la scalinata, ancora a smanettare con quell'aggeggio.

“Ma perché non lo butti? È vecchio... Io lo butterei.” Fa lei a un certo punto, probabilmente già seccata di vedermi uscire pazzo con sto coso. Però no, non c'è bisogno.

“Ma che, me lo aggiustano.”

“Guarda, te lo compro io, non ti si può vedere con questo telefono!”

“Pensi che possiamo andare a lavorare o apriamo un dibattito sulla telefonia?” Le chiedo, ridacchiando. Che ha oggi, contro il mio telefono?

Le si limita a lanciarmi uno sguardo di sbieco prima di proseguire, presentandosi al direttore del museo.

“Ha chiamato Lei il prete?” Domanda. È vero, ho notato anch'io la bicicletta, giù nell'atrio.

“Sì, sono stato io,” conferma Dotti, “seguitemi.”

Lui si avvia e Cecchini che era già lì ne approfitta per commentare. “Lei è fissata che sono io...”

“Sì, ma che c'entra, Don Matteo? Che c'entra?” Ribatte Anna esasperata, seguendo poi il Direttore. Trattengo una risata, incamminandomi dietro di lei.

Il direttore ci spiega che hanno rubato solo la statua del Bambinello, di enorme valore e proprietà della Curia.

Cerchiamo indizi su come possa essere avvenuto il furto, indagando però anche sulla ragazza che è stata colpita durante il tentativo di furto.

Parliamo con il guardiano, padre della giovane, e il suo racconto ci sembra strano, così decidiamo di andare più a fondo.

 

Tornati in commissariato, mi occupo delle questioni burocratiche relative al caso, prima di entrare nell'ufficio di Anna, intenta a parlare con il Maresciallo, per chiederle un chiarimento.

“Scusi... che ci fai col mio telefono?” Chiedo, vedendoglielo in mano.

“Squillava e glielo stava portando,” mi risponde Cecchini.

“Ah... grazie. ma... non c'è nessuna chiamata qua.”

“Strano, 'sti telefoni...”

“Sta dando i numeri 'sto coso, mi arrivano le mail della settimana scorsa. 'Sto coso è rotto.”

“Bene...” Mormora Anna. Come, bene?

La fisso, interdetto.

“No, bene... che ti arrivano le mail, così non le perdi!” Risponde con ovvietà.

Giusto, in effetti.

“Senta Maresciallo, stasera andiamo al Duke a vedere la partita con Chiara. Viene anche Lei, Maresciallo?”

“No, non posso, stasera c'è l'ultima puntata di una fiction, devo vedere chi muore per ultimo.”

“Veniamo io e Giovanni,” esclama Anna.

No, il pretino no. Tutti ma non lui.

Tu vieni a vedere la partita?!” Chiedo, sarcastico. Ma se odia il calcio! È proprio forse la sola cosa che ci fa divergere completamente, questa.

“Allargo i miei orizzonti.” Si limita a ribattere lei. Sì, okay, ma il mezzo prete che c'entra?

Mi informo meglio. “Ah, come va con Giovanni? Ci state riprovando?” Di' di no.

“Perché?”

Che risposta è? Io volevo un sì o un no.

“Beh, non lo so, forse mi sono sbagliato nella prospettiva, ma... no, ho visto che...”

“Cosa?” Chiede lei con un cipiglio confuso.

“Vi stavate baciando! No?” Altro che sbaglio di prospettiva. Sbaglio di persona.

“Ma no... Siamo solo amici.”

Non 'solo amici' come noi due, vero? Vero?

Bussano alla porta dell'ufficio, ed entra Zappavigna con un fascio di rose rosse.

“Capitano, questi sono per Lei,” spiega, consegnandoglieli.

“Che è, il suo compleanno?” Si informa Cecchini, curioso come sempre.

“Veramente... no.”

Io osservo con tanto d'occhi. Non mi dire che il mittente è chi penso io.

“Ah... Giovanni.” Dice infatti Anna in tono piatto, leggendo il bigliettino annesso.

Io tento con tutte le mie forze di mostrarmi indifferente. Tengo gli occhi bassi sul cellulare, ma prima che possa impedirmelo, le parole mi escono di bocca senza che riesca trattenerle.

“Originale... attenta che tra un po' arriva là sotto col mandolino a farti la serenata.”

Bravo, Marco, non si vede che la cosa ti dà fastidio. Proprio per niente. Tu e la discrezione siete cose diverse, non c'è verso.

Dovresti darti una mossa invece di fare lo spiritoso.

Anna non ribatte, comunque non può perché Zappavigna ci comunica che tra i dipendenti del museo, c'è anche Remo Farina.

Il padre di Cosimo, ancora latitante per rapimento.

Ci mettiamo immediatamente in moto per tentare di rintracciarlo, chissà che non sia coinvolto anche in questa storia.

 

***

 

La sera, ecco che arriva il momento della partita.

Partita che, so già guarderò con scarsissima attenzione vista la presenza, più che di Chiara, di Anna e l'ex, Giovanni.

Come cavolo ci siamo finiti qui tutti e quattro non me lo spiego.

Già è difficile per me se ci sono entrambe le sorelle Olivieri, ma se si aggiunge il mezzo prete sono fregato. Ormai ho capito che è ancora innamorato di Anna e chiaramente sta provando a riprendersela, ma non ho ancora capito la posizione di lei al riguardo.

Cioè, appurato che il suo nervosismo delle ultime settimane fosse dovuto al ritorno di Lisi a Spoleto, sono a mani vuote rispetto alla sua ex relazione. In fondo non so davvero se si siano incontrati altre volte, magari mentre io non c'ero, visto che sono pure vicini di casa, ora.

Vero, lei mi ha detto che sono 'solo amici' in ufficio, ma questo non significa che sotto sotto non ci sia altro, magari un ritorno di fiamma. Non lo so, non riesco a decifrarla. Si tiene sempre sulla difensiva quando entriamo in argomento.

Non è che tu abbia tanto diritto di parlare, torna a farsi sentire la vocina ironica, anche se sei innamorato di lei e gliel'hai fatto in qualche modo capire, stai ancora con sua sorella. Lei è libera e può fare quello che vuole. Non le stai dando segni poi così concreti che vorresti stare con lei, visto che ti ostini a non voler lasciare Chiara.

Metto a tacere la vocina-grillo parlante che sinceramente a volte preferirei non avere giusto per non sentire il rimorso a ogni minima cosa, e cerco di dedicarmi alla partita, sorseggiando la mia birra.

Con mio enorme scorno, a un certo punto è proprio Giò a prendere la parola.

“Quando Anna mi ha invitato alla partita, non potevo crederci,” esclama con un sorrisetto soddisfatto.

Io le lancio uno sguardo seccato e godo nel vedere che lei sembra in imbarazzo.

Nemmeno io ci credevo quando me l'ha detto, in ufficio. Indifferente, e poi? Me lo ritrovo davanti e mi devo pure trattenere.

“Sì, in effetti tu odi il calcio...” commenta Chiara. In effetti, quindi che ci facciamo qui tutti e quattro, qualcuno me lo spiega?

“Uno non può cambiare idea?” È la risposta acida di Anna. Va bene se stiamo parlando di calcio. Se parliamo di quello seduto accanto a te, allora no.

“Vabbè, se l'ha cambiata lui, voglio dire...” Proprio non riesco a trattenermi. Tanto convinto prima, e ora torna e pretende che sia tutto come prima? No, mi rifiuto di lasciargli il campo vuoto così. “Giovanni, tu adesso sei convinto? Non è che fai avanti e indietro come Sant'Agostino?” Chiudi. Quella. Bocca. Marco. E che cavolo! Sempre a sproposito.

Chiara fa una risatina, ma capisco che è solo per reggermi il gioco, considerata la faccia tetra dei due colombi.

“No, sono sicuro.” Mi dice lui, guardandomi fisso negli occhi. Poi, con mio profondo orrore la sua mano scivola sulla coscia di Anna in un gesto così naturale che mi fa montare la gelosia a livelli inimmaginabili. “Ho capito che avrei rinunciato a qualcosa di molto più importante.” Afferma poi, rivolto verso Anna, che solleva lo sguardo incrociando il suo.

Non riesco a capire cosa provi lei in questo momento: sembra in imbarazzo, ma potrebbe esserlo per mille motivi diversi. Ma poi, questo qua, proprio ora se ne doveva uscire con le frasi da conquista alla Baci Perugina? Non se ne poteva stare a fare l'eremita in montagna, quella volta?

Io non riesco più a guardarli, così fingo di tornare a vedere la partita. “Ci hai messo un po' a capirlo, però...” Commento, fissando la tv posta in alto.

Te ne dovevi accorgere prima quanto lei fosse importante, Giò.

“Oh!” Tenta di bloccarmi Chiara, ma ormai la mia bocca agisce per conto suo.

“Con cose importanti dici la birra e il calcio? Là, non avete la parabola in seminario, no?” Sì, Marco, complimenti! Guarda che il discorso valeva pure per te! Guarda in che situazione siete per la tua mancanza di coraggio!

“Marco, basta.” Mi dice stavolta Chiara con un tono serio che non le avevo mai sentito prima.

Guardo di sfuggita Anna, e mi rendo conto che forse dovrei provare a tenere più a freno la lingua, perché è evidente che le mie parole hanno ferito più lei che altro. E poi non hai il diritto di comportarti così.

“Io direi che l'importante è che sia tornato. No?” Continua Chiara, cercando di arginare la cosa.

“Giusto,” concorda Giovanni.

Anna non fiata, ma mi lancia un'occhiata che, di nuovo, non riesco a interpretare.

È un misto tra rabbia e soddisfazione che mi fa capire che mi sono legato le mani da solo.

“Facciamo un brindisi,” propone Chiara. “Ai ritorni!”

Sì, possibilmente al ritorno dei miei neuroni. E del mio coraggio che sembra essersene andato in vacanza da quella sera in ufficio per via dell' “errore”.

Avvicino il bicchiere a quello di Chiara, mi trattengo dal dare un colpo secco a quello di Giovanni per farglielo finire addosso, ma quando arriva il turno con Anna siamo talmente distratti, oltre che nervosi per la scenetta di qualche istante fa, che lei si lascia scivolare il bicchiere. Versando però il suo drink sul mio cellulare.

La guardo malissimo.

“Non l'ho fatto apposta,” si giustifica lei, “guarda, te lo ricompro.” Per quanto sia perfettamente vero che è stato un incidente perché eravamo più impegnati a guardarci male che a controllare i bicchieri, la mia rabbia si scarica automaticamente nella risposta acida che le riservo.

“No, ancora, che ricompri! Dammelo, qui c'è tutta la mia vita.”

“Volevo essere gentile,” mormora lei.

Continuiamo a lanciarci occhiatacce per un po', e per la prima volta non riesco nemmeno a godermi la partita come si deve.

Non so nemmeno che hanno pensato Chiara e quell'altro su quella scenata, che per noi aveva assolutamente senso ma per loro no.

Cambiamo argomento, e io mi pento un pochino per come mi sono comportato. In effetti il cellulare non è che funzioni molto, me lo porto appresso per abitudine, ma se non si riprende sarò costretto a ricomprarlo davvero. Non è che l'innaffiatina abbia poi causato chissà quali danni ulteriori.

Rivolgo uno sguardo di scuse ad Anna non appena ne ho l'occasione, e dopo una breve esitazione, lei ricambia con un mezzo sorriso.

Non mi ha perdonato completamente, ma almeno adesso possiamo tornare a rivolgerci la parola e partecipare alla conversazione come due persone ragionevoli.

Lo so, ho esagerato. E non solo per il cellulare. Ma è più forte di me.***

 

Giovanni's pov

 

Poco dopo il termine della partita, ci salutiamo e Chiara e Marco vanno via visto le insistenze di lei di voler fare una passeggiata, così io e Anna torniamo verso casa con la mia auto. Il silenzio tra noi è qualcosa a cui non sono abituato, e c'è un chiaro disagio nell'aria che non riesco a identificare con chiarezza.

Ripenso alla serata appena trascorsa, e la mia mente si sofferma su alcuni momenti tra lei e Marco.

Ho cercato di osservarli più attentamente da quando lui ha mostrato tutta quella preoccupazione quando Anna è stata rapita, ma ancora non sono riuscito a capire che tipo di rapporto ci sia tra loro. Per quanto ne sapevo io non correva buon sangue, e lei mi aveva assicurato più volte che non ci fosse assolutamente nulla tra loro che andasse oltre un rapporto lavorativo formale. Certo, non sono stupido, ho notato che negli ultimi periodi prima che entrassi in seminario la formalità stava scemando, ma per il resto tutto sembrava confermare l'idea che fossero semplici colleghi. Al mio ritorno però ho avuto la conferma che non era più esattamente così, nonostante Marco avesse cercato di limitare la descrizione a questi termini. È stato chiaro dalle sue parole che si conoscono più di quanto siano disposti ad ammettere, e in tutta sincerità non ho ancora completamente digerito il fatto che Anna gli abbia raccontato di Lisi e suo padre. Con me c'è voluto un anno prima che si decidesse a parlarmene, e io qualcosa la sapevo già, invece con lui è bastato qualche mese perché lei si fidasse abbastanza da confidarsi.

È normale che io sia geloso. A prescindere dallo stato attuale della nostra storia, siamo stati insieme per cinque anni, quindi ho tutto il diritto di esserlo. E non ho nessuna intenzione di lasciargli fare insinuazioni, anche perché sta con Chiara quindi il suo comportamento non ha molto senso.

Decido di affrontare il discorso direttamente con Anna: ho bisogno di conoscere la sua posizione per capire come muovermi.

Faccio un respiro profondo. “Marco stasera si è divertito parecchio a prendermi in giro.” Esordisco a un certo punto, mantenendo lo sguardo sulla strada.

Con la coda dell'occhio noto Anna sgranare gli occhi.

“È fatto così, lui. Pensa di essere simpatico anche quando non lo è.” Mormora senza guardarmi.

Hai usato un'espressione simile a quella di Marco quella volta in ufficio. Come se fosse la cosa più naturale del mondo conoscere certi aspetti di una persona.

“Immagino si comporti allo stesso modo al lavoro.”

“Mh.” Si limita a rispondermi con una strana espressione in viso.

“Ancora non ho capito se andiate d'accordo o meno.” Butto lì con fare casuale, sperando che l'osservazione non risulti troppo mirata.

Anna si volta finalmente verso di me.

“In che senso?”

“Beh... vi siete comportati in maniera strana per tutta la serata. Tipo quando gli hai rovesciato per sbaglio il drink sul cellulare, se l'è presa più del dovuto, quando aveva detto lui stesso che non funzionava più bene... è stato un battibecco come quelli che mi hai raccontato altre volte. In altri momenti invece ho avuto l'impressione che volesse difenderti a tutti i costi.”

“Lui, difendere me? Ma quando mai...” Cerca di schernirsi, ma io insisto.

“Quando mi ha rimproverato per averci messo un po' a capire quali fossero le cose importanti a cui stavo rinunciando... era chiaro che si riferiva a te.”

“Io non credo. Siamo colleghi, che interesse avrebbe?” Chiede, ma evita il mio sguardo puntando gli occhi fuori dal finestrino per tentare di dissimulare il rossore sulle guance.

Non sei mai stata una gran bugiarda, Anna. E nemmeno Marco sa mentire così bene. Ti avrei anche creduto se non fosse che entrambi cercate di fingere di non conoscervi.

Decido di lasciar correre, almeno con lei.

“Sì, in effetti hai ragione. Magari voleva solo farmi capire che ho fatto bene a cambiare idea.”

Lei si limita ad annuire, lo sguardo perso davanti a sé.

 

I dubbi continuano a tormentarmi tutta la notte, così durante la mattina chiamo Chiara per chiederle di vederci da qualche parte perché ho bisogno di parlarle. Non so se immagina l'argomento della discussione, ma devo sapere. Il loro comportamento di ieri sera è stato troppo strano, senza contare le altre volte e le risposte di Anna. Magari sono io a farmi fantasie inesistenti e le osservazioni di Marco erano davvero guidate dalla stima che magari gode per Anna dal punto di vista lavorativo, e probabilmente per il resto la spiegazione è semplicemente qualche battibecco più pesante in ufficio.

 

Nel pomeriggio, ci vediamo per un caffè lontano dalla caserma. Non voglio che Anna lo sappia, anche se in ogni caso è ancora al lavoro, ma non voglio rischiare che ci incroci quando torna.

Chiara arriva all'appuntamento con qualche minuto di ritardo.

“Allora, di cosa volevi parlarmi?” Chiede, dopo esserci accomodati a un tavolino in un angolo in disparte.

Io esito un attimo, incerto su come formulare i miei dubbi.

“In realtà volevo chiederti... di Anna e Marco.”

Lei fa un'espressione sorpresa che non mi convince del tutto. “Perché? Qualcosa non va?”

“No, è solo che... Anna era strana quando siamo andati via, e visto quella discussione che hanno avuto al Duke, non so, magari hanno litigato prima e l'uscita a quattro di ieri non è stata una buona idea... volevo capire come comportarmi, ecco.”

Lei sembra pensarci su. “Se è per questo battibeccano di continuo... cioè, non sempre in senso negativo, ecco, diciamo che sono... amici... Sono sempre insieme al lavoro, devono pur andare d'accordo qualche volta... ” Dice con leggerezza, ma per qualche motivo cerca in tutti i modi di non incrociare il mio sguardo. Anche Anna fa così quando c'è qualcosa che non vuole dirmi, ma se con lei voglio andarci piano perché ho bisogno di riconquistare la sua fiducia, a Chiara posso chiedere senza troppi rimorsi.

“Io li ho visti diversi rispetto a come mi ricordavo. E Marco mi è sembrato fin troppo coinvolto in certi momenti.”

“Ma no, dai...”

“Per favore Chiara, non mentire anche tu. Sei stata tu stessa ieri a dargli una frenata perché aveva tutta l'aria di volermi umiliare per aver fatto star male Anna.”

Lei abbassa gli occhi, così ne approfitto per premere ancora.

“Due persone che non si sopportano non si comportano come loro. Ho visto alcuni sguardi che si sono scambiati, e voglio capire come interpretarli. Ho capito che sono cambiate molte cose in questi mesi tra loro, ma non riesco a capire in che modo.”

Chiara mi rivolge uno sguardo di scuse. “Hai ragione. Non è vero che non si sopportano, sono diventati amici. Anzi, è in un certo senso merito di Anna se io esco con Marco. Ci siamo visti spesso a casa di mia sorella quando veniva per darle lezioni di cucina, e una sera siamo usciti insieme. Sinceramente non pensavo si sarebbe fatto avanti con me, sembrava... preso da altro.”

Io inarco le sopracciglia. “Lezioni di cucina? Da lui? E da quando?”

“Questo non saprei dirtelo con certezza, io mi ci sono ritrovata in mezzo a cose fatte... non ne ho idea in effetti, non l'ho mai chiesto a mia sorella.”

“Quindi avranno passato molto tempo insieme.”

“Beh, sì, certo...” Ammette con un pizzico di riluttanza. “Infatti per certi versi mi dà fastidio che sembra conoscerlo più lei di me, però è pur vero che si vedono più spesso per via del lavoro...” Cerca di giustificarsi, ma non posso non notare la leggera nota di gelosia nelle sue parole.

“Sì, ho avuto anch'io l'impressione che si conoscano più di quanto siano disposti ad ammettere, e non capisco perché.”

“Se temi che ci sia qualcosa tra loro, puoi stare tranquillo. Al di fuori dal lavoro e le lezioni di cucina, non vanno poi così d'accordo. Sono sempre sul piede di guerra.”

“Dici?”

“L'hai visto anche tu ieri sera, no? L'avrà anche difesa all'inizio, ma poi è bastato un minimo perché tornassero a litigare.”

Questa sua osservazione mi tranquillizza abbastanza da permettermi di decidere il mio prossimo passo.

 

Quello che avrei dovuto fare mesi fa.

 

Anna's pov

 

Stamattina la mia mente è stata occupata dal piccolo Cosimo, che ieri pomeriggio si è sentito male durante una partita di calcio ed è stato portato d'urgenza all'ospedale. Lì, questa mattina hanno scoperto che è stato colpito da una forma di leucemia molto aggressiva e non ha molte speranze di sopravvivere. Io ero lì quando hanno dato a Don Matteo e gli altri la terribile notizia, e ho cercato di stare il più possibile vicino al maresciallo, che vuole profondamente bene a quel bambino come se fosse suo nipote. Vedere il dolore sul suo volto è stata una pugnalata. Io so bene come ci si sente, di fronte a notizie così sconvolgenti.

Spero solo riusciremo a trovare Farina in tempo, è forse l'unica speranza per Cosimo.

 

Quando torno a casa, però, mi torna in mente la scenetta di ieri sera al Duke. Al comportamento di Marco e le sue frecciatine. Perfino Giovanni si è accorto che c'era qualcosa di strano.

Solo che, a prescindere dai miei sentimenti per lui, Marco non ha nessun diritto di fare il geloso. Ha scelto Chiara, no? Che ne accetti le conseguenze.

Nonostante ci provi, l'idea di dirgliene quattro non mi abbandona, quindi decido di andargli a parlare, e chissà che non riesca a mettere le mani sul suo telefono nel frattempo. Il messaggio non deve leggerlo in nessun caso.

 

Quando mi decido a bussare, Marco è ovviamente sorpreso di vedermi lì ma mi invita subito ad entrare.

“Ah, ho saputo di Cosimo... mi dispiace un sacco.”

“Sì, stiamo cercando Farina, è l'unico modo per salvarlo...” Spiego, malinconica.

“Ma... come mai sei qui? Posso fare qualcosa per te?” Mi chiede con una dolcezza che mi spiazza e che mi fa quasi desistere dal mio intento.

Quasi.

“Volevo... capire perché hai detto quelle cose ieri sera.”

Lui mi rivolge uno sguardo confuso. “Quali cose?”

“Quelle su Giovanni.”

La sua espressione si fa strafottente. “Cos'è, l'avvocato non sa difendersi da solo?”

Questa sua risposta ha il potere di innervosirmi come poche altre volte, ma cerco di mantenermi calma. “No, non è per lui. Non puoi prima tirare il sasso e poi nascondere la mano, sai.”

“Io non ho fatto niente.”

“Certo... perché per 'cose importanti' intendevi davvero la birra e il calcio.” Dico infastidita, incrociando le braccia. È incredibile come riesca a farmi perdere la pazienza in così poco tempo.

“Magari no, è vero, ma è vero pure che lui ce ne ha messo di tempo per capirlo.”

Sostengo il suo sguardo di sfida senza esitare.

“Ammesso che sia così, non vedo perché la cosa ti turbi tanto.”

“Ti ha fatta stare male per mesi, quindi perché te la prendi tanto se gli ho detto la verità?”

“Non mi sembra siano affari tuoi.”

“Scusa, eh, ma c'ero io con te quella sera in ufficio quando ti ho trovata a piangere per lui, insieme a tutte le altre volte in cui stavi male per colpa sua,” si innervosisce lui, irritando me di conseguenza.

“Questo non c'entra niente.”

“No, certo... tanto è chiaro, ci stai ricascando di nuovo.” Mi dice sprezzante.

“È chiaro che tu non hai capito niente...” Rispondo, la mia voce che trema appena dalla delusione. Davvero crede che io sia ancora innamorata di Giovanni?

Lui sembra confuso per un attimo. “Cosa non ho capito?”

“Che io ti-” Mi blocco appena in tempo, prima che le parole mi sfuggano dalle labbra per rabbia inespressa. Non deve sapere. Scuoto la testa. “Lascia perdere. Non ha importanza.”

Faccio per andarmene, ma prima di uscire mi ricordo di un'ultima cosa.

“Ah, se dovesse arrivarti un messaggio da parte mia, ti prego di ignorarlo. È un messaggio stupido, idiota, e ho sbagliato a inviarlo. È stato un errore,” dico a voce bassa, per poi chiudermi la porta di casa sua alle spalle e tornare di corsa al mio appartamento.

 

Marco's pov

 

Riesco a mala pena a concentrarmi mentre mi preparo la cena, la mia mente è ancora ferma sulle parole di Anna.

La mia gelosia è stata evidente, lo so, ma non ce l'ho fatta proprio a trattenermi.

Ma non l'avrei mai ammesso con lei, oh no.

Torno a pensare a quel messaggio che ha detto di avermi inviato, pregando che il mio telefono torni a funzionare. Devo assolutamente leggere cos'ha scritto, ho l'impressione che sia la chiave dell'enigma di poco fa.

Mi ha accusato di non aver capito niente, e forse la soluzione sta lì.

Io so solo che non voglio che torni con lui, anche se non ho il diritto di intromettermi visto che sto con sua sorella perché sono un codardo.

 

Riesco a pensare solo a questo per tutta la sera, e stanotte non sono riuscito a dormire granché. Pensavo sempre alle parole di Anna, al messaggio misterioso che mi ha detto di ignorare perché è stato un errore. Di nuovo.

Mi chiedo come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto. Perché non sto con lei, adesso?

Perché hai paura e sei solo un codardo, ecco perché.

E ora l'hai persa, perché si sta nuovamente innamorando di Giovanni. Almeno lui il coraggio di ammettere di aver sbagliato l'ha avuto. Tornerà tra le sue braccia, e tu sarai costretto a soffrire in silenzio.

 

Con queste parole deliziose che mi tartassano la mente entro in caserma, dove se possibile la mia pazienza viene minata ancora di più.

Cecchini ha lasciato credere a Cosimo di essere prossimi al Natale per via di un cappello di Babbo Natale che ha trovato per una coincidenza. Lui ovviamente si è intenerito, e gli ha anche promesso che avrebbero fatto l'albero, così stamattina nell'ufficio di Anna è venuto a chiederci di aiutarlo.

“Maresciallo, ma dove lo trovo un abete ad agosto, eh? Non lo può prendere finto?” Tento di dirgli.

“Già il Natale è finto, l'albero deve essere vero.” Ribatte lui, cocciuto.

“A me dispiace per Cosimo, davvero, ma questa è una pazzia! Anna, però, ti prego, di' qualcosa anche tu!” La supplico, visto che finora è rimasta appoggiata alla scrivania assorta nei suoi pensieri senza fiatare.

“Sì sì... è una pazzia...” Concorda. Oh, almeno qualcuno che ragiona. “Però se questa cosa è per il bene di Cosimo... il Natale... magari ne vale la pena, Marco!” Tenta dopo di convincermi. Non pure tu. Qualcuno deve pur farlo rinsavire.

“Conti pure su di me, Maresciallo,” sussurra poi lei con voce dolce rivolta a Cecchini, e il volto grato di lui mi fa vacillare un attimo.

Zappavigna ci interrompe aprendo la porta. “Capitano, Remo Farina è stato ripreso dalle telecamere di un autogrill vicino Spoleto, il giorno dopo la rapina.” Ci informa.

“Allora è lui! È qui!” Salta su Cecchini.

“Dobbiamo trovarlo prima che consegni la statua, allora.” Affermo.

“Dobbiamo trovarlo per Cosimo!” Mi corregge il Maresciallo, teso.

“Lo troveremo, glielo prometto,” cerca di calmarlo Anna con lo stesso tono di prima.

Lui le fa un cenno di ringraziamento prima di precipitarsi fuori.

Con questo coinvolgimento emotivo di tutti nelle indagini, non so come ne usciremo.

 

***

 

Più tardi, Cecchini in qualche modo riesce a convincermi ad accompagnarlo a cercare l'abete.

Tentiamo direttamente al vivaio più grande di Spoleto: se non ne troviamo lì, non c'è ragione di cercare da altre parti. Ovviamente di abeti non c'è traccia, e il proprietario si diverte a prenderci in giro per la richiesta. Anzi, per essere precisi, ci sfotte alla grande.

Finiamo per prendere una palma, che fra l'altro devo pure caricare in macchina io perché lui dice di avere mal di schiena.

La portiamo in ufficio, e io temo già i commenti.

“Bella,” fa infatti Anna appena la vede, “fa tanto Natale ai Caraibi.”

Per qualche motivo la sua battuta mi infastidisce.

“Allora guarda, la prossima volta vacci tu a cercare un abete fuori, vai. C'è un vivaio qua con una persona squisita. E poi, scusami, sei tu che lo incoraggi.” Le faccio notare, indicando Cecchini seduto alla sua scrivania oltre il vetro.

Lei lo osserva, un po' abbattuta. “Marco, adesso più che mai il Maresciallo ha bisogno di incoraggiamento.”

“Sì, peccato che sia uno spostamento nevrotico,” spiego, indispettito, e lei chiude gli occhi, esasperata, “perché lui pensa al Natale per rimuovere la verità su Cosimo... Un po' come te con Giovanni, diciamo,” mi lascio scappare.

“Scusa?” Chiede allora Anna, con uno sguardo che non promette niente di buono.

“Sei ancora innamorata di lui.” Le dico, amareggiato. Tanto ormai non ha senso negarlo.

Si è rivolta a me per non pensare a lui. Non avrei avuto speranze comunque con lei, se è ancora innamorata del pretino.

Lei mi rivolge un'occhiata delusa. “Parlare con te non serve a niente.”

Sto per ribattere quando Cecchini entra.

“Il rapporto del RIS... ma... disturbo?” Ci chiede, notando probabilmente l'aria tesa.

Noi ci affrettiamo a negare, anche se è inutile. Io non riesco subito a concentrarmi sul lavoro, rivolgendole uno sguardo indispettito, poi finalmente mi decido ad ascoltare con più attenzione, ed è evidente che in questo caso c'è qualcosa che non va: un finto scasso, un depistaggio.

Arriviamo alla conclusione che dev'essere stato il custode ad aprire a Farina. Viene fuori che anche sua figlia era complice, non era lì per cenare come aveva detto inizialmente.

 

Se è vero che una parte del caso è stata risolta, resta da trovare Farina e recuperare la statua del Bambinello.

 

***

 

Riusciamo a rintracciare Farina, e ci affrettiamo a convocarlo in ufficio per l'interrogatorio.

Cerca di mentire facendo l'evasivo, ma stavolta è Anna la prima a stancarsi. Confermiamo il fermo intanto per il rapimento per il quale era ricercato, promettendogli che il resto non verrà lasciato impunito.

Prima che possa andare via, però, Anna si incarica di raccontargli della situazione di Cosimo.

Con nostro enorme shock, lui si rifiuta di presentarsi per la donazione del midollo, dicendo che tanto sarebbe stato inutile dare una speranza inesistente. Siamo costretti a lasciarlo andare con grande disperazione del maresciallo, che non si arrende e lo segue di sotto.

“Anna... non possiamo far niente, noi,” le dico, quando anche lei si alza.

“Non è per Farina, ma per Cecchini... c'è anche altro che lo coinvolge in questa storia.” Mi confessa senza però entrare nei dettagli, affrettandosi a correre dietro al Maresciallo.

Uno sguardo dalla finestra mi fa notare di come alla fine si occupi lei di lasciare Farina all'auto dell'Arma cosicché venga portato in carcere, dopo che il maresciallo aveva ceduto ai nervi.

Qualunque cosa sia, mi dà un'ulteriore conferma del forte legame che si è venuto a creare tra loro.

 

***

 

Quella sera stessa, Cecchini convoca me, Ghisoni e Barba in canonica, dove al mio arrivo sono già tutti presenti. Oltre noi, ci sono sua figlia Assuntina con Zappavigna – tornati insieme dopo il malinteso del bambino – Sofia e Seba, e naturalmente Natalina e Pippo. Anna non è venuta perché stasera era di turno, ma anche lei ha dato la sua disponibilità a collaborare a qualsiasi cosa.

Cecchini inizia a spiegarci il piano per il “C-Day”, ovvero il tentativo di far arrivare Cosimo dall'ospedale alla chiesa in Piazza Duomo facendo addobbare le vetrine con lucine e oggetti di Natale, con le luminarie per le strade e la gente vestita come se fosse inverno. Tutto per continuare a far sì che il bambino pensi di essere a dicembre. Per me continua ad essere una pazzia, e ho l'impressione che nessuno accetterà.

 

Comunque sia, mi obbliga ad andare con lui dal Sindaco il giorno dopo per far mettere le luminarie.

Gira e rigira, mi mette sempre in mezzo.

 

Giovanni's pov

 

Sono qui davanti alla porta di casa di Anna, intento a rigirarmi tra le mani la scatolina con l'anello che ho comprato per lei.

Ho deciso di chiederle di sposarmi.

Avrei dovuto chiederglielo mesi fa, invece di dirle che volevo diventare sacerdote. Avrei dovuto capirlo da allora, qual era la mia strada.

Infilo la scatolina nella tasca interna della giacca, e busso.

Lei mi accoglie con un sorriso, e io mi affretto ad entrare, un po' nervoso.

“Volevo farti vedere una cosa...” dico con voce incerta, tirando fuori dalla tasca una foto molto particolare. “Te lo ricordi?”

Le porgo il cartoncino: è una foto di noi due, subito dopo esserci lanciati col paracadute.

“Sì! Questo è il giorno più bello della mia vita! Credevo di averla persa, non ci posso credere... il mio primo lancio!” Esclama, emozionata, e io sento il cuore sprofondare un po'.

“Sì... è anche il giorno in cui ci siamo messi insieme...” aggiungo. Lei annuisce, e mi faccio coraggio per continuare. “Non lo dimenticherò mai... avevo una paura! Ma la verità è che l'ho fatto solo per te, ed è stato bellissimo.” Noto il suo sorriso luminoso alle mie parole, e mi dico che forse non è tutto perduto. Ma ho bisogno di esserne certo, prima. “Perché... è vero che a volte non ascolti e che metti sempre il tuo lavoro prima di tutto, ma tutto con... passione, impegno e forza di volontà...”

Anna abbassa lo sguardo, prima di tornare a guardarmi negli occhi. “Che mi vuoi dire?” Chiede, dopo un sospiro.

“Che quando sono con te, mi sento un uomo migliore... e l'ho capito quando ti ho lasciata.” Inspiro a fondo prima di continuare. “E mi rendo conto che, forse, me ne sono accorto troppo tardi.”

Lei abbassa appena il capo, nascondendo le iridi verdi al mio sguardo indagatore, cercando di non farmi leggere dentro quello che già so.

“Io non...” Mormora, senza però terminare la frase.

“Ho sperato fino all'ultimo di essermi sbagliato, ma... sono stato uno stupido a pensare di trovare tutto per come l'avevo lasciato, con te ancora ad aspettarmi.”

“Mi dispiace,” tenta, ma io scuoto la testa.

“Non hai niente di cui scusarti... anch'io ho le mie colpe, ho avuto paura a parlarti della decisione che ho finito per prendere senza ascoltarti davvero, e devo assumermene le responsabilità. E capisco che nel frattempo la tua vita è andata avanti, e che... è difficile accettarlo, ma dovevo mettere in conto che qualcuno sarebbe arrivato e si sarebbe portato via il tuo cuore mentre io non mi rendevo conto che l'unica cosa che mi importava era averti accanto.”

I suoi occhi verdi si fanno lucidi, e mi sembra così strano vederla così fragile, lei che si dimostra sempre così forte e a volte fin troppo cinica.

“Mi dispiace,” ripete, e io le accarezzo una guancia.

“Spero solo che Marco si renda conto di ciò che sta rischiando di perdere... Non voglio sapere come siete finiti in questa situazione e perché lui stia con Chiara pur provando qualcosa per te, ma spero si svegli in fretta. E spero che si meriti il tuo amore.”

Le lascio un delicato bacio sulle labbra, l'ultimo che posso permettermi di darle, poi vado via, lasciandola seduta sul divano con la foto di noi due ancora stretta tra le mani. La scatolina di velluto blu che pesa come un macigno dentro la tasca della mia giacca.

 

Marco's pov

 

Quando torno dalla canonica, mi affretto ad apparecchiare la tavola in attesa che arrivi Chiara.

Sono decisamente nervoso, perché non so davvero che fare. Non posso continuare a fingere che vada tutto bene, che la storia tra noi sia destinata a durare.

Però non voglio farla soffrire, le voglio bene e mi ci sono affezionato, sarebbe un gesto doppiamente orribile da parte mia continuarle a mentire così, senza mettere in conto che sto con lei come conseguenza di un gesto di rabbia, e non per reale volontà di voler iniziare qualcosa con lei.

Decido che devo dirle la verità il prima possibile, è il minimo che possa fare.

E poi, non ho nessuna voglia di lasciare campo libero a Giovanni. Anna ci starà pure ricascando, ma non significa che ciò che è successo tra noi in questi mesi non valga niente. Voglio ancora provare a giocare le mie carte.

 

Quando Chiara si presenta, dopo qualche minuto, noto che è un po' nervosa, e questo mi fa esitare un attimo.

Se già c'è qualcosa che non va, io peggiorerei tutto. Ma non posso scappare, non stavolta. Devo solo trovare il momento giusto.

La cena è stranamente molto silenziosa, ma io non oso chiederle cosa abbia.

Una volta terminato, ci sediamo sul divano con una partita in tv che non ho idea di come stia andando perché non la sto davvero seguendo, mentre cerco il modo adatto per dirle tutto.

A un certo punto è lei che prende la parola.

“Marco,” esordisce, mettendosi a sedere più dritta, “tu mi sposeresti?” Chiede candidamente con un sorriso.

Io mi blocco. Ho sentito bene?

“Co-... sposarti?” Ripeto, per essere sicuro di aver capito. Male, spero.

“Sì! … non dico adesso, dico anche fra due, tre anni, insomma... parlo ipoteticamente. Mi sposeresti? Onesto.”

La mia faccia deve esprimere puro panico, e non so come rispondere senza ferire i suoi sentimenti, anche se so che devo farlo. Di certo non immaginavo di doverle dire la verità così, mi ha completamente spiazzato.

“Sposarti è... è una cosa... importante, cavolo... Eh, una cosa così su due piedi...” Balbetto. Non voglio dirle un 'no' secco, non sono così insensibile. Sì, però se te l'avesse fatta Anna, una domanda così, sai bene che la tua risposta sarebbe stata completamente diversa. E senza esitazioni. Ma Anna non lo farebbe mai. Ecco la differenza principale tra loro: Anna mi conosce, Chiara in realtà no.

“Quindi non sono una tipa da sposare,” asserisce lei con un tono che mi stringe il cuore.

“Sì! Perché? Sei da sposare!” Cerco di rettificare, alzandomi in piedi. Non sarò io a farlo, ma non significa che non lo sia. Noto il suo sguardo incerto. “Sei bellissima, sei intelligente, mi fai divertire che non hai idea, e stare con te è stupendo...” elenco con sincerità, ma lei per qualche motivo non ha la reazione che mi sarei aspettato.

“Dai, Marco...” mi blocca, alzandosi a sua volta.

“Cosa?” Chiedo, sulla difensiva.

“Marco...” mi dice, con un tono leggermente esasperato, mettendosi di fronte a me e incrociando le braccia. “Tu non mi ami.” Mi dice con certezza assoluta, ma il resto non me lo sarei aspettato mai e poi mai. “Ami Anna, vero?” Chiede, ma capisco che non è una vera domanda. Sentire l'amarezza nella sua voce mi dispiace più di quanto pensassi. Io però non riesco a rispondere nulla, e il mio silenzio conferma ulteriormente le sue supposizioni. “Me ne sono accorta da un po'... E vabbè, peccato. Pensavo davvero saresti stato quello giusto,” ammette. “Tu e Anna siete gli unici che non mi avete mai trattata da scema.”

Finalmente riesco a recuperare la parola, e mi avvicino. “A me dispiace, davvero...” Le scuote la testa come a voler minimizzare, ma io mi sento in dovere di scusarmi, è il minimo che posso fare. “No, no, no, te lo giuro... io non volevo prenderti in giro...” Provo a spiegarle, sinceramente.

“Marco, ma che prendere in giro, ma che c'entra?” Mi contraddice lei, e so che ha capito che le mie intenzioni erano delle migliori. “Abbiamo semplicemente fatto un pezzetto di vita insieme, fine.”

“Okay...” riesco solo a dire, distogliendo lo sguardo.

“E comunque non ti avrei mai sposato, lo dicevo ipoteticamente.” Precisa, e mi rendo conto che anche lei stasera era alla ricerca di un modo per chiudere le cose tra noi con la minor sofferenza possibile. Capisco anche di non essere stato poi tanto sottile in sua presenza, specialmente quando c'era anche Anna. Non siamo mai riusciti davvero a nascondere l'attrazione tra di noi, per quanto ci impegnassimo era impossibile.

“Okay...” ripeto.

Mi guarda ancora per qualche istante, poi mi saluta con un leggero bacio sulla guancia, prima di prendere la borsa e dirigersi verso la porta.

Prima di uscire, però torna a voltarsi verso di me.

“Comunque,” dice, in un tono che non ammette scuse, “se ti fai scappare Anna sei un idiota.”

Dopo un ultimo sguardo, apre la porta sparendoci dietro e lasciandomi lì impalato ad annuire, sorridendo come uno stupido perché ha perfettamente ragione.

 

È arrivato il momento di lasciarsi alle spalle ogni paura, stavolta in modo definitivo.

 

Chiara's pov

 

Torno a casa a piedi, usando quei pochi minuti di tragitto per riordinare le idee e decidere come dirlo ad Anna.

 

L'ho capito da un pezzo, ormai, che Marco ama lei. E so perfettamente che lei lo ricambia.

L'ho capito da tanti piccoli dettagli che ho messo insieme come tessere di un puzzle, e che mi hanno fatto vedere il quadro completo con estrema chiarezza.

L'ho notato dai loro battibecchi, che poi battibecchi non erano mai ma si trattava di un puro e semplice flirtare, in modo anche decisamente consapevole. L'ho visto quando, quella volta che siamo stati tutti e tre al castello, loro due abbiano praticamente passato tutto il tempo a parlare per conto loro, escludendomi forse senza volerlo. Ho sentito la frase di Marco sul giardino incantato nascosto dentro a una fortezza apparentemente inespugnabile, e ho intuito subito che si riferiva a lei, era chiaro dallo sguardo completamente perso che le aveva rivolto, uno sguardo che per me non ha mai avuto.

L'ho capito alla mia festa di laurea (che hanno organizzato insieme dietro consiglio di Anna, visto che io non gli avevo mai raccontato né di Cenerentola né del drive-in a cui giocavamo da piccole), quando hanno passato tutta la serata insieme e io ho fatto finta di non accorgermene, così come ho finto di non sentire i commenti delle mie colleghe convinte che lui fosse il suo ragazzo, o di non vedere quando hanno ballato quel lento insieme, stretti sotto le luci basse della pista, a concedersi un momento per loro due prima di tornare alla realtà.

Ho avuto conferma che avevo intuito bene quando ho notato l'ombra sul volto di Marco alla vista di Giovanni che baciava Anna con passione sulla porta della caserma quando l'hanno riportata sana e salva dopo che l'avevano rapita.

Senza contare l'uscita a quattro la sera della partita. Ho finto di nuovo, ignorando la gelosia palese di Marco per la presenza di Giovanni e le sue parole per mia sorella. Il suo astio per il fatto che lui avesse lasciato il seminario perché ancora innamorato di Anna.

 

So che Anna è consapevole che Marco provi qualcosa per lei, e anche per lei vale lo stesso. Non so come ho fatto a crederle quella volta quando le ho chiesto se lui le piacesse e mi ha risposto di no. Ripensando a quell'episodio, mi è venuto in mente di quanto fosse restia a farci ospitare da lui, e non perché non lo sopportava, tutt'altro.

Non immagino come deve essersi sentita quando le ho detto che ci eravamo baciati. Quando ci vedeva insieme. Quando ha accettato di preparare la cena al posto mio lasciandomi casa libera. Quando abbiamo parlato al negozio quando mi ha aiutato a scegliere il mio vestito per la laurea.

Non ho fatto attenzione abbastanza da mettere insieme tutti i tasselli all'inizio, se solo me ne fossi accorta prima a quest'ora non saremmo in questo casino.

 

Mia sorella mi ha fregato l'uomo di cui mi stavo innamorando, è vero. È anche vero però che io di ragazzi, a lei, ne ho fregati parecchi negli anni, con la consapevolezza di farlo per giunta. In sua difesa devo dire che con Marco lei è arrivata prima, e nonostante i miei tentativi, lui ha continuato ad avere occhi solo per lei.

Sarebbe finita comunque tra noi due, mi sono comportata male con lui perché mi rendo conto di avergli mostrato solo cose non vere di me. Un motivo in più per farmi da parte.

Spero solo che a questo punto facciano la scelta giusta.

 

Una volta tornata a casa, faccio di tutto per trattenere le lacrime, perché comunque mi ha fatto male chiudere la nostra storia. Trovo Anna addormentata sul divano, alcuni documenti dall'aria ufficiale sparpagliati sul tavolino davanti a lei, una matita ancora stretta tra le dita.

Decido di rimandare la conversazione con lei a un'altra volta. Anzi, forse è meglio che sia Marco stesso a fare il primo passo, che sia lui a dirle che ci siamo lasciati. Dopotutto, è stato lui a voler uscire con me pur essendo innamorato di Anna. Un minimo di supplizio se lo merita.

Osservo mia sorella ancora un attimo, e capisco di aver fatto la scelta giusta mettendomi da parte a mia volta.

Ora spero solo che Marco non sbagli. O giuro che lo picchio, le lezioni di pilates servono anche a questo.

 

Marco's pov

 

Stamattina, come deciso (e imposto) da Cecchini, lo accompagno dal Sindaco per convincerla a partecipare al Natale di Cosimo. Dopo qualche tentativo per limitare le luminarie alla via principale e dopo che lui fa abilmente leva sulla sua sensibilità, il Sindaco accetta.

 

È pur sempre un piccolo passo in avanti, ma è il resto che manca.

 

Usciamo dal Comune.

“È andata bene! Bene, bene, son contento!” Esclama.

“Sì, ma Lei è convinto che riusciamo a convincere tutta Spoleto?”

“Che fa, l'uccello del malaugurio? Cerco che sono convinto.” Mi rimbecca per la seconda volta con quest'epiteto. “Piuttosto, Lei dovrebbe convincere... chi sa Lei.” Mi dice poi, enigmatico.

Ora di che stiamo parlando?

“Che vuol dire?”

“Eh, che vuol dire...” fa, in tono leggermente esasperato. “Io convincerò tutta Spoleto a fare Natale a Ferragosto... Lei dovrebbe convincere... la Capitana a non sposarsi.”

Io mi blocco immediatamente sui miei passi, rivolgendogli uno sguardo scioccato.

“Ma che, Anna si sposa?” Domando. Non è possibile. Fa che non sia vero, non adesso.

“Sì, si sposa, l'ho sentito io con le mie orecchie, ha detto 'sì'! Che cosa vuole fare?” Mi chiede in tono stavolta serio.

Io cerco di deviarlo. Ha già tentato altre volte di farmi ammettere cosa provo per Anna, non posso cedere ora. Soprattutto perché mi rifiuto di credere a quello che ho appena sentito.

“Io? Beh, io che devo fare, che c'entro? Se Anna... cioè, se il Capitano vuol sposarsi... beh... contenta lei...” Biascico. Bravo, rettificando col titolo invece del nome hai solo peggiorato le cose.

“E lei è contento?” Mi domanda allora Cecchini prendendomi alla sprovvista, tanto che non riesco nemmeno a rispondergli. Decido che preferisco riprendere a camminare senza dire nulla, non mi importa se così confermo i suoi dubbi, ma ho bisogno di pensare.

E di indagare.

 

Forse ha capito male... ma ha detto di averlo proprio sentito lui stesso...

Devo indagare. È l'unico modo. E la prima cosa da fare è verificare con i miei occhi: se davvero ha accettato la proposta di Giovanni – al solo pensiero sento montare la gelosia e lo sconforto più che mai – allora avrà l'anello di fidanzamento al dito.

Non riesco nemmeno a formulare l'idea... forse è davvero troppo tardi.

 

Continuiamo verso la caserma, mentre lui cambia discorso e mi informa sul presepe vivente che vuole realizzare davanti alla chiesa.

Quando entriamo, notiamo che anche gli altri sono tornati e stanno discutendo. Si zittiscono di colpo quando ci avviciniamo, e dalle loro facce capisco che non hanno avuto molto successo, nonostante a Cecchini dicano il contrario.

Quando lui va da Cosimo per scrivere la letterina a Babbo Natale, chiedo conferma dei miei sospetti ad Anna.

“Non ha accettato nessuno, vero?”

“No,” risponde tetra lei, con gli occhi lucidi.

“Vabbè, c'era da aspettarselo, no?” Lei non mi risponde, facendo marcia indietro verso il suo ufficio. Io faccio lo stesso. “Novità sul caso? No? Il papà di Cosimo non ha confessato il tentato omicidio?” Lei fa ancora segno di no con la testa. “Ma neanche il committente s'è trovato?”

“No, niente...”

“E tu?” Tento poi. Lei mi guarda stranita. “No, dico... novità?”

“Dovrei averne?” Ribatte, confusa.

“No no, dico così per dire, magari tra te e Giovanni...” Vacci piano, così altro che discrezione... tanto vale che glielo chiedi direttamente.

“No, nessuna novità.” Conferma.

“Okay...” Rispondo solo, approfittando per dare un'occhiata alla sua mano sinistra che in questo momento regge il cappello. Niente anello. Forse allora Cecchini si è sbagliato.

Evidentemente però il mio sguardo non passa inosservato. “Che c'è, perché mi guardi la mano?” Mi chiede infatti lei. Bene, e ora come glielo spieghi?

“No, stavo guardando il cappello, la forma...”

Dalla sua faccia, è ovvio che non mi crede ma non dice nulla, tornando in ufficio. Altrettanto stranamente, non ha detto nulla su me e Chiara.

Io però non mi arrendo. Decido di indagare oltre.

“Zappavigna, scusa,” lo chiamo sottovoce avvicinandomi alle scrivanie degli altri carabinieri. Lui è il più discreto tra tutti, mi posso fidare. “Tu hai mica visto se il Capitano ha degli anelli alle mani, tipo...” Mi guardo in giro per verificare che nessuno ascolti, e becco Ghisoni e Barba a origliare. “Che?” Faccio loro un cenno in modo che si facciano gli affari propri prima di tornare a rivolgermi a Zappavigna. “... di fidanzamento?”

“Assolutamente no,” risponde lui serio.

“Ah!” Commento allora, con un'espressione di sollievo che si fa subito strada sul mio volto.

“Anche perché non potrebbe,” aggiunge però lui, e mi sento crollare il mondo addosso un'altra volta. “A noi carabinieri non è concesso portare anelli in servizio, solo la fede matrimoniale perché, come noi, 'nei secoli fedele'.” Mi spiega.

Io mi volto a guardarla un attimo: come al solito è impegnata col lavoro e non lascia trasparire nulla.

“Grazie,” mormoro dandogli una pacca sulla spalla, ma a denti stretti.

Non poteva darmi notizia peggiore. Questa cosa degli anelli non la sapevo proprio.

 

Quindi Cecchini ha ragione, ha detto la verità. E di certo lei non è tenuta a raccontartela, è una cosa privata.

 

Rassegnati, ormai l'hai persa.

 

***

 

Cecchini ci raggiunge dopo qualche ora dicendoci che ha parlato con Farina, ed è convinto che se solo lui vedesse Cosimo cambierebbe idea sulla donazione di midollo. Ma io non posso lasciarglielo fare.

“Domani forse è troppo tardi!” Cerca di convincermi lui quando gli dico che comunque sia non posso fare niente nell'immediato.

“Ma io non posso!” Tento di spiegargli, guardando anche Anna nella speranza che almeno lei faccia qualcosa. Vedo che però anche lei è distrutta per questa cosa.

“Va bene, grazie! Grazie!” Fa allora Cecchini, arrabbiato. “Ho capito, ho capito! Lei se ne frega come tutti gli altri!” Mi dice, andando via sbattendo la porta e ignorando Anna che tenta di richiamarlo.

Io mi sento sprofondare.

“Scusalo...” sussurra lei, dispiaciuta.

“Ma lo capisco benissimo... che posso fare, io?” Le confesso con voce tremante.

Mi sto rendendo conto del perché lei lo abbia assecondato. Anche un piccolo gesto vale tanto, e l'impotenza in questi casi è terribile, perché davvero non c'è niente di concreto che possiamo fare per aiutarlo a stare meglio.

“Lo so... non è colpa tua.” Cerca di consolarmi. “La vita sa essere davvero ingiusta... non bastano le sofferenze che hanno già patito sia il Maresciallo che Cosimo... anche questa...”

Torno a sedermi di fronte a lei. Ci scambiamo un lungo sguardo demoralizzato, prima di rimetterci a lavoro.

 

***

 

Per un po' dimentico la mia situazione con Anna, ma tutto mi torna prepotentemente alla mente una volta tornato a casa, in serata.

 

Ancora non riesco a crederci. Come può avergli detto di sì? Mi prendo la testa tra le mani, sconsolato, il groppo in gola che torna a farsi sentire.

Però forse è vero, è venuta da me solo per non pensare a lui, e ora che è tornato alla carica, deciso, con l'intenzione di sposarla, è naturale che lei gli abbia detto di sì.

Poi ripenso alle parole di Anna, a quello che mi ha detto quand'è venuta qui a casa mia, qualche giorno fa, e al messaggio che ha detto di avermi inviato.

All'improvviso, come se qualcuno avesse ascoltato le mie preghiere, il mio cellulare prende a squillare, indicando che tutti i messaggi, le chiamate e le email di questa settimana stanno finalmente arrivando.

Mi affretto a prenderlo per controllare, cercando tra i messaggi non letti proprio quello di Anna.

Prima di aprire il suo, però, ne noto un altro arrivato stamattina da parte di Chiara.

Non ho detto ancora nulla di noi ad Anna. Credo tocchi a te. Buona fortuna.

Adesso capisco perché in caserma Anna non ha detto niente, non lo sa! E forse nemmeno Chiara sa della proposta di Giovanni...

Deglutisco a fatica, pensando che al di là di tutto è ormai tardi per noi e non ho più speranze, poi mi faccio coraggio e apro il messaggio di Anna.

Quello che leggo mi fa fermare il cuore.

Ho finalmente capito tutto di noi...ma forse non potrò mai dirtelo. Anche se sei l'uomo più impossibile che conosco e fai un pessimo brasato... IO TI AMO!!

Una rapida occhiata alla data e l'orario mi fa sapere che l'ha inviato il secondo giorno del rapimento.

Leggo e rileggo le parole sullo schermo.

Mi ama. Ha scritto che mi ama.

Il furgone in cui era chiusa era destinato alla pressa, ha detto che ci sono arrivati vicini, forse l'ha mandato in quel frangente.

Poi il mio cellulare ha iniziato a dare i numeri e non mi è arrivato. Ecco perché ha cercato di distruggermi il telefono in questi giorni.

 

Mi ama.

 

Mi ama, e io non l'ho capito.

 

Mi lascio cadere sul divano dandomi dello stupido quando noto davanti a me il pouf.

Quel maledetto pouf.

È per quello che l'ho persa. Per una paura legata a quello che in fondo è solo un oggetto.

Lo colpisco con quanta più forza riesco a mettere, calciando e facendolo sbattere contro la libreria dall'altro lato della stanza, buttando poi la testa all'indietro sulla spalliera del divano.

L'amo più di ogni altra cosa al mondo, eppure l'ho persa. Per la mia fottutissima paura. Anche se so che Anna non è la mia ex.

Che farò, adesso?

 

Torno a leggere quelle frasi, e sento gli occhi pizzicare.

È stata a un passo dalla morte... e il suo ultimo pensiero sono stato io.

Ha pensato a me. Non a lui. Fra tutto quello che avrebbe potuto scegliere di fare in un momento come quello, ha pensato a me e mi ha mandato un messaggio per confessarmi quello che ad alta voce forse non avrebbe mai avuto la possibilità di dirmi.

Mi ha scritto che mi ama...

Certo, Giovanni ha avuto una parte importante nella sua vita, non lo metterei mai in dubbio, ma nessuno dei due può negare che le cose siano cambiate molto negli ultimi mesi.

Quasi inconsapevolmente, io e Anna ci siamo avvicinati più di quanto avrei mai potuto immaginare... Mi sono innamorato di lei senza accorgermene, e adesso so che anche lei mi ama.

… E io l'ho trattata in quel modo.

Ho lasciato che la mia gelosia prendesse il sopravvento nel modo sbagliato, insieme all'insicurezza che tutto fosse troppo bello per essere vero.

Sento le lacrime scendere, ma non le asciugo. Non mi importa di piangere, anzi. Ha scritto delle cose bellissime, e mi si stringe il cuore pensando alla ragione per cui io adesso le sto leggendo.

 

La mia risoluzione torna prepotente, all'improvviso.

Non posso permettere che finisca tutto così. Non posso.

Non posso accettare che Anna sposi Giovanni senza far niente, senza nemmeno tentare di impedirlo.

Ha detto che mi ama. Mi ama. Non può sposare lui. Non può.

Non posso lasciarglielo fare, non mi posso arrendere così.

Anche se ha già accettato la sua proposta di matrimonio – il mio cuore si stringe all'idea che sia già troppo tardi – forse vale la pena fare un tentativo.

Devo provare... devo dirle che l'amo, devo spiegarle perché ho reagito in quel modo quella sera e dirle che lei non ha fatto niente di male e non è colpa sua.

Le chiederò perdono in ginocchio, farò qualsiasi cosa, se questo servirà a darmi un barlume di speranza per noi due.

Ho commesso uno sbaglio dopo l'altro. Non la posso perdere così. Il solo pensiero mi fa impazzire.

 

Vai da lei e confessale il tuo amore. Tanto, peggio di così non può andare. Se ti rifiuta, almeno potrai dire di aver tentato sul serio, non come hai fatto finora. Forse gli ha detto di sì solo perché pensava che con te non ci fosse più niente da fare. Non è detto che sia tutto perduto.

È la serata perfetta: so già che Chiara non è a casa, quindi Anna sarà da sola.

Spero.

Mi blocco un istante. E se c'è lui?

Non cercare scuse. Tanto meglio se c'è pure lui, almeno si renderà conto che non sei stato solo tu a combinare casini. Anzi, grazie al suo, di casino, tu e Anna vi siete avvicinati più di quanto avresti mai immaginato. Più di quanto lui sappia. Errore o no, vi siete baciati. Vai, ora!

 

Afferro le chiavi e il cellulare, salgo in moto e corro verso l'appartamento di Anna,

 

Sono passate le nove di sera quando arrivo al portone del palazzo, trovandolo fortunatamente aperto.

Salgo le scale più in fretta che posso e quando sono finalmente davanti alla porta del suo appartamento, prendo un bel respiro e suono il campanello.

È proprio Anna ad aprirmi, un'espressione sorpresa in viso che però dura solo un istante.

“Ciao... Chiara è andata a fare pilates,” mi informa, convinta che io stia cercando lei.

“Sì, sì, lo so, infatti io sono qui per te,” le dico a voce bassa, entrando senza aspettare che lei mi inviti dentro, terribilmente nervoso. Avanzo nel soggiorno, cercando di raccogliere il coraggio per dirle quello che provo.

Avverto il suo sguardo confuso su di me. “Tutto bene?” Mi chiede, perplessa.

Io riesco solo ad annuire e biascicare un 'Sì', ma non devo averla convinta. “Sei sicuro? Sei strano...” Tenta ancora con un'adorabile espressione preoccupata sul viso.

“Sì, tranquilla, è solo che...” non riesco a terminare la frase perché sento il groppo in gola tornare e bloccarmi il respiro. Alzo esitante lo sguardo per incrociare quello di lei, che ricambia con un piccolo sorriso di incoraggiamento, ancora incerta su cosa ci faccia io a quest'ora a casa sua senza un apparente motivo.

Faccio un passo avanti, poi raccolgo tutto il coraggio che riesco a mettere insieme e finalmente glielo dico.

“... Non ti sposare.” La prego. La mia voce trema.

La sua espressione sconcertata mi dice che si starà chiedendo come l'ho saputo, visto che lei non mi ha detto nulla.

“... Sposarmi? Non-”

“No, però fammi finire, ti prego, perché non ce la faccio...” Lei tenta di dirmi qualcosa ma io non la lascio parlare, se mi interrompe è la fine. “... È difficile, ti prego...”

Lei si arrende. “Vai.” Concede, incrociando le braccia in attesa.

Adoro quando mette su quel finto cipiglio infastidito.

Inspiro profondamente prima di proseguire.

“Io ti amo,” ammetto subito, e lei spalanca gli occhi accennando un sorriso che mi incoraggia ad andare avanti, “e il messaggio che mi hai mandato... l'ho ricevuto, poco fa mi ha fatto quasi piangere... anzi, leva il quasi. Io all'inizio ti odiavo, mi stavi antipatica, ma tanto...” Le ride alle mie parole, e per me è solo uno stimolo ulteriore per continuare. “E poi ho capito... che tu sei una intelligente, sei tosta, sei determinata... ma sei anche sensibile, emotiva...” le dico, accennando alle lacrime che vedo luccicare nei suoi occhi verdi che adesso brillano più che mai, “e sei una che davanti al male si sa ancora commuovere. ...E ti amo.” Concludo, la gola che torna a stringersi immaginando tutti i possibili scenari che potrebbero delinearsi da questo momento in poi.

Lei esita un istante, anche se il suo sguardo resta pieno di dolcezza, poi finalmente prende la parola.

“Se mi ami, perché... per-... Quella sera...”

Io le lancio uno sguardo divertito. Lo sapevo che saremmo andati a parare là, ma stavolta le spiegherò ogni cosa. Non ha più senso nascondersi. Non sarebbe stata lei se non avesse chiesto.

“Ti ho preparato la cena... io,” sottolinea con un sorrisetto, “sono venuta a casa tua, eravamo da soli... perché te ne sei andato? E quella sera ti sei messo insieme a mia sorella!”

Chiudo gli occhi per un istante prima di tornare a guardarla.

“Perché ho avuto paura quando hai spostato quel... pouf,” confesso, finalmente.

Lei però ha uno sguardo perso. Non si ricorda, ovvio che non ha capito che il problema è stato quello, come poteva? L'hai cacciata via subito dopo!

“Che pouf?” chiede infatti, confusa.

Io sospiro allontanandomi di qualche passo, più che altro per scaricare la tensione, poi inizio a spiegarle tutto.

“Io, quando stavo con la mia ex fidanzata, la prima cosa che mi ha buttato via è quel pouf su cui guardavo le partite. Poi ha buttato via le mie uscite allo stadio, la moto, i grassi idrogenati, poi i miei amici, ha buttato via...” elenco, mentre lei cerca di stare al seguito del mio discorso, chiudendo gli occhi e spostando i capelli su un lato, comprendendo finalmente qual è stato il tassello che ha fatto saltare tutto. “Alla fine è riuscita a cambiarmi perfettamente. E sai cos'ha fatto? Ha buttato via anche me! 'Eh, non eri più quello di prima'...” Finisco, citando le parole della mia ex al primo confronto dopo aver scoperto che mi tradiva.

Lei resta un attimo a soppesare le mie parole, poi si avvicina, un lampo di preoccupazione passa nelle sue iridi verdi. “Tu hai paura che io... voglia cambiarti.” Sussurra.

“No!” nego subito, stringendole le spalle per rassicurarla. “No, no, no, beh, tu non sei Federica! Tu non vorrai mai cambiarmi, lo so... E so che ci potremo amare... senza cambiarci. Ti prego,” la imploro stavolta, prendendole il viso fra le mani e obbligandola a guardarmi di nuovo, “non sposare Giovanni. Lo so che gli hai già detto di-”

“No.” Mi interrompe Anna con un sorrisetto, alzando per un istante gli occhi al cielo.

Ammetto di essere confuso. No... cosa?

“Gli ho detto di no, Marco. Non posso... non lo amo più.” Ammette, prima di raddrizzare le spalle e aprirsi in un sorriso.

Allora è questo che tentava di dirmi all'inizio, quando l'ho pregata di non sposarsi. Avevo ragione... ama me! Ama me!

Resto a guardarla ancora per un istante, il sollievo evidente sul mio volto, e faccio per baciarla quando lei gira il viso, sollevando una mano per impedirmi di fare altro, lanciandomi però uno sguardo di scuse.

“Co- ma è per Chiara?” Penso al volo. “Ci siamo lasciati... ha capito che amo te,” le confesso, sperando che il motivo della sua incertezza sia quello.

“No, non è per Chiara... cioè, anche per Chiara però non solo...” Mi spiega con gli occhi bassi, prima di stringermi le mani tra le sue. Io non so che aspettarmi a questo punto. Cosa ci potrebbe essere, adesso, che ci impedisce di stare insieme, se non è sua sorella? “Marco, è che io... non posso promettertelo...”

“Cosa?” Chiedo, senza capire.

Lei solleva lo sguardo, un velo di dispiacere ad offuscarlo. “Che ci ameremo senza cambiarci.”

“Ma perché?” Il mio è un sussurro disperato. Lei mi guarda come a dirmi che la mia è una richiesta impossibile per ovvi motivi, ma io non riesco a capire. Non voglio capire. Perché non possiamo? Non andiamo bene, così?

Anna deve averlo intuito, perché decide di continuare.

“Io sono cambiata in questi mesi,” spiega. “Ho imparato ad avere più fiducia in me stessa, ho accettato la mia femminilità... ho anche messo il push-up,” aggiunge con espressione seria che, se da un lato mi fa ridere, dall'altro non posso dire che si riferisca a una cosa passata inosservata. “L'ho notato, sì...” Ammetto con un po' di imbarazzo.

“Eh sì, lo so.” Commenta lei con la stessa espressione di prima.

“... Cosa?!” Chiedo d'istinto, arrossendo da matti. Cioè, pensavo di essere stato discreto e invece mi sono fatto beccare per bene a fissarla... praticamente sempre, se se n'è accorta con tanta facilità?

Lei ride, divertita dal mio imbarazzo crescente, ma poi riprende il discorso, tornando di nuovo davvero seria. “Sono cresciuta... anche grazie a te. Però è inevitabile che si cambi. Io... io cambierò te, e tu cambierai me... e questo è stare insieme...” Tenta di spiegarmi. Alla mia espressione dubbiosa, prova ancora a farmi recepire il messaggio. “È un viaggio, non lo sai dove ci porta... Si perdono delle cose, se ne prendono altre.... si cambia! È bello cambiare, è bellissimo cambiare... insieme.” Sussurra, stringendo più forte le mie mani, quasi a volermi impedire di scappare.

 

Mi fermo un attimo a soppesare le sue parole, e una nuova consapevolezza mi coglie.

“Anch'io sono cambiato, per merito tuo... Ho smesso di essere fin troppo cinico, ho capito, guardando te, che a volte basta solo ascoltare più attentamente per capire... Sono diventato un uomo migliore grazie a te.”

 

Prima che riesca ad aggiungere altro, Anna mi getta le braccia al collo e, cogliendomi quasi alla sprovvista per via del suo gesto inaspettato, mi bacia.

La mia sorpresa dura solo un istante.

Mi ritrovo a rispondere al suo bacio senza nemmeno rendermene conto, assaporando quel contatto tra le nostre bocche che tanto ho desiderato in questi mesi.

 

Mi trattengo dall'imprecare quando lo squillo del suo cellulare interrompe il nostro momento perfetto.

 

Anna si allontana da me con le guance in fiamme, schiarendosi la voce prima di rispondere.

 

“Sì, Maresciallo...” Vedo la sua espressione mutare, e farsi allarmata. “Che cosa significa, scappato?”

 

***

 

Viene fuori che Cecchini, convinto che Farina avrebbe accettato di collaborare se solo avesse visto suo figlio, lo ha accompagnato all'ospedale. Solo che il vigliacco ha approfittato dell'occasione per fuggire. Per quanto abbiamo agito immediatamente, non siamo riusciti a rintracciarlo. Sembra svanito nel nulla.

Cecchini è demoralizzato, non si dà pace per aver commesso un errore del genere, che avrà purtroppo ripercussioni sulla sua carriera. Posso cercare di aspettare prima di avvertire i loro superiori, ma sarò costretto a farlo a breve, e mi auguro con tutto il cuore che riusciamo a trovarlo in tempo.

 

***

 

Anna e Chiara hanno avuto modo di chiarirsi ieri sera, come mi ha spiegato la mia fidanzata stamattina. Non sarà facile, ma il loro legame è talmente forte che supereranno anche questa.

 

Incredibilmente, tutto si risolve per il meglio anche con Farina, che si presenta in piazza poco prima che la 'Messa di Natale' abbia inizio, facendo la felicità di Cosimo – e di tutti noi, perché ha anche accettato di sottoporsi al test per il midollo. Adesso non ci resta che pregare che sia compatibile.

 

Proprio mentre ci avviamo per entrare in Chiesa, accade un'altra cosa.

Inizia a nevicare.

 

Quando glielo chiediamo, il maresciallo afferma che non è opera sua, che lui non ha fatto niente.

E ci rendiamo tutti conto che quella che sta scendendo dal cielo è davvero neve.

Sembra impossibile, eppure...

Incrocio lo sguardo di Anna, e quando sento il calore della sua guancia sotto le dita sono certo che non sto sognando.

Decido che è meglio accertarsi che sia davvero tutto reale, così poso le labbra sulle sue.

 

Ecco, ora non ho più dubbi: un bacio così può esistere solo nella realtà.

Anche perché la mia, in questo momento, è più bella di qualsiasi sogno.

 

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Capitolo 11
*** Scegli me! ***


SCEGLI ME!

 Come sempre, la parte compresa tra i tre asterischi (***) procede secondo lo svolgimento regolare dell'episodio. Il resto è il finale alternativo. Buona lettura!

***Dopo qualche giorno di calma, mi hanno chiamato con urgenza dalla Caserma per un caso di minacce ai danni di due produttori tv. Sono arrivato più in fretta possibile, così salgo le scale quasi di corsa e dopo un saluto generale vado dritto verso l'ufficio di Anna, aprendo la porta senza bussare, come al solito.

“Buongiorno a tutti!”

I due presenti seduti davanti alla scrivania fanno per alzarsi.

“Comodi, comodi... Marco Nardi, PM.” Mi presento, e non posso fare a meno di cogliere di sfuggita l'espressione infastidita di Anna al mio ingresso. Che ho fatto, stavolta?

“Costanza Busto, produttrice creativa dello show, e lui è Arturo Vatti, produttore dello show.”

“Tutti e due produttori! Ma... che differenza c'è?” Si informa Cecchini.

“Diciamo che io metto i soldi e lei le idee.” Commenta Vatti.

Cecchini ridacchia. “Ahhh, come me e mia moglie: lei compra e io pago!”

“Ci hanno riferito che avete avuto delle minacce, dico bene?” Meglio tornare sull'argomento, mi sa.

“Sì... ho trovato questi nel mio camerino,” spiega la signora, “il primo risale a circa tre settimane fa, mentre invece il secondo è dell'altro ieri.”

Mi porge dei fogli, che io osservo prima di passarli ad Anna.

“Dopo il primo messaggio è bruciata un'auto di produzione, abbiamo pensato che fosse un incidente… ma oggi è bruciato il manichino con il vestito di una delle ragazze, Adelaide...”

“Avete pensato a un eventualità di... sospendere il programma?”

“Assolutamente no!” Arriva prontamente la risposta della signora Busto, “Potrebbe essere semplicemente lo scherzo di un mitomane, o uno psicopatico... magari qualcuno che ci vuole fare chiudere.”

“Alle ragazze, delle minacce non abbiamo ancora detto nulla,” ci informa il marito, “non c'è motivo di eccessivi allarmismi.”

Io non sono d'accordo, e nemmeno Anna è convinta.

“Capisco... quanto vi fermerete a Spoleto?” Chiede.

“Tre giorni, il tempo di girare questa puntata speciale... siamo all'Hotel San Francesco.”

“Va bene,” chiude lei, “farò mettere un'auto di pattuglia.”

“La prego, discrezione.”

“Certo!” Più che di discrezione, Anna ha l'espressione di una che vorrebbe mandare tutto all'aria e dirgliene quattro. “Lo spettacolo deve continuare...” fa con velato sarcasmo.

“The shos mast... go...” Evviva l'inglese del Maresciallo!

“...go on.” Conclude Anna per lui. Io mi trattengo dal ridere, almeno fino a quando i due produttori sono fuori dalla stanza, poi scoppio senza ritegno.

Anche il Capitano accenna un sorriso.

“Meno male che c'è Lei, Cecchini...” commento, ancora con le lacrime agli occhi. “Pure tu, avevi una faccia...” faccio, rivolto ad Anna, che si fa tetra in viso.

“Questi programmi sono stupidi, senza un minimo di dignità o morale... e poi mi chiedono 'discrezione'...” Scuote la testa, esterrefatta. “Ho bisogno di caffè.”

“Ci penso io,” mi offro, andando a prenderne uno anche per me, così da approfittare del momento per stare con lei- ehm, no, che dico... intendevo per farmi spiegare meglio la situazione.

 


 

La mattina dopo, veniamo avvisati che una delle ragazze è stata effettivamente aggredita ed è in gravi condizioni. Io e Anna stiamo discutendo sul da farsi nel suo ufficio quando entra Vatti. “Bella protezione, complimenti!” Ci accusa.

“Intanto non possiamo sorvegliare tutti ventiquattr'ore su ventiquattro, e se Lei avesse avvisato le ragazze forse Guia non se ne sarebbe andata in giro a quell'ora, no?” Lo rimetto in riga io. Questo prende pure avanti, ma si può? “Se non le dispiace, qui stiamo lavorando.”

“Sono a vostra disposizione,” si calma quello, “ma vi prego, non mi chiudete il programma, sarebbe come dar ragione a quel maniaco!”

“Ghisoni...” chiama il Capitano per far uscire l'ospite.

Io sono esterrefatto.

Quando Vatti va via, lei inizia a camminare avanti e indietro, preoccupata. Cerco di tranquillizzarla.

“Non potevi far altro, Anna...”

“Mi chiedo che cosa possiamo fare... Secondo te è un maniaco?” Mi domanda in tono agitato.

“No, troppi pochi elementi.” La rassicuro. Non c'è nessuna evidenza, e c'è qualcosa di strano, so che anche lei l'ha notato, per questo è tesa.

“Dobbiamo chiudere il programma,” dice infine.

“No, così sarebbe più difficile controllare le ragazze e arrestare il colpevole,” la contraddico in tono pacato. Ci serve una via alternativa. “Sempre che siano loro, il bersaglio...”

“C'ha ragione.” Concorda Cecchini.

“E quindi cosa proponi?”

Ci penso su un attimo. “Ci vorrebbe qualcuno che...” alzo lo sguardo verso di lei, e mi viene l'illuminazione, “potesse sorvegliare le ragazze dall'interno, senza dare troppo nell'occhio.”

“Una missione sotto copertura!” Brava, Anna, hai afferrato il concetto...

“Mh-mh,” asseriamo io e il Maresciallo all'unisono. Lei sposta lo sguardo avanti e indietro tra me e lui, e noto nei suoi occhi la consapevolezza di aver capito il sottotesto. Rido sotto i baffi. E... 3, 2, 1...

“Qualsiasi cosa voi stiate pensando, è no!” Afferma con un'espressione terrorizzata.

“Guardi, se ero donna lo facevo io... sono un uomo!” La consola Cecchini. “Poi noi le saremo vicini, eh!”

Lei abbassa lo sguardo, sconfortata, sistemandosi la divisa con fare protettivo.

“Anna, se è un maniaco, questo è l'unico modo per farlo uscire allo scoperto senza mettere in pericolo le ragazze.” Stavolta sono serio, è davvero l'unica cosa che possiamo fare.

“È una bella idea!” Conferma il Maresciallo.

Vedo che Anna sta pensando a una scappatoia, le si legge chiaramente in faccia l'avversione totale all'idea mista al rifiuto del programma in sé.

“Se, e dico se,” esordisce con fermezza, “dovessi... propormi per fare questa cosa... la produzione non accetterebbe mai.” Termina con voce incerta. È strano vederla così impacciata sul lavoro, ma ammetto che mi sto divertendo parecchio.

“Io dico che accetterà,” la contraddico con un sorrisetto, “se no, gli facciamo chiudere il programma!”

A vedere la sua espressione sconsolata anche Cecchini si mette a ridacchiare. “Dai,” tenta di consolarla ancora, “dai, magari vince!”

Discutiamo qualche minuto dei dettagli, contattiamo la produzione per avere la conferma che Vatti ci garantisce senza problemi, e poi vado via per farmi dare le autorizzazioni necessarie, lasciandola col Maresciallo a informare il resto della Caserma della sua temporanea assenza. Nonostante l'espressione risoluta, è chiaro che non è per niente contenta della piega che hanno preso gli eventi.

 

Devo ammettere però che quel faccino da cucciolo bastonato mi ha fatto tenerezza.


 

 

Il giorno dopo, quando Anna fa il suo ingresso al reality (non so cosa darei per essere lì presente a godermi la scena!), io resto in Caserma a ricevere il Professor Fanciullini, padre di Guia.

Lo accogliamo nell'ufficio di Anna. È strano vedere Cecchini seduto al suo posto, e devo constatare che non è una cosa che mi piace particolarmente.

“Professor Fanciullini, mi dispiace per le circostanze, ma è un vero piacere conoscerla!” Ammetto, stringendogli la mano.

Lui è perplesso riguardo alla sua convocazione lì, ma gli spieghiamo tutti i particolari relativi a dei messaggi scambiati con la figlia, e alcuni contatti dubbi con la moglie che ci hanno portati a sospettare di lui.

Quando lo lasciamo andare, io scendo giù insieme al Maresciallo.

“Controlliamo l'alibi di Fanciullini, per ora abbiamo solo un movente. Io provo ad aggiornare il Capitano.”

“Va bene... Arrivederci.” Mi saluta lui, un po' impacciato. Non è facile stare al posto di Anna, se ne sta rendendo conto.

Io mi avvio verso l'hotel dove avverranno le riprese, e sono proprio curioso di scoprire cosa troverò.

 


 

Dopo aver accennato un saluto alla 'produttrice creativa', mi affretto a raggiungere una delle stanze all'interno adibita a sala trucco, e mi trattengo dal ridere mentre vedo un'Anna a dir poco furibonda, con una maschera di un verde agghiacciante sul viso e un'espressione assassina mentre ascolta a labbra serrate il truccatore che le dice con fare paternalistico, “Tesoro, tu non ti vuoi bene!”

“Sa che glielo dico sempre anch'io?” Intervengo, senza riuscire a trattenermi. Oh, mi divertirò un sacco. La sua faccia quando mi nota è impagabile.

“Ehi, e tu chi sei? Non puoi stare qua!” Mi dice un tizio munito di auricolari.

“Ah, sono un amico,” spiego, “non potevo perdermi questo momento.” Il che non è esattamente una balla.

A venire in mio aiuto arriva la signora Busto. “Lui può stare... Facciamo pausa, cinque minuti e riprendiamo!”

Torno a guardare Anna attraverso il riflesso dello specchio. Ha tutta l'aria di una che vorrebbe mettersi a urlare, o sotterrarsi dalla vergogna.

“Non... dire niente, mh?” Mi avverte. Io sollevo una mano in segno di pace, trattenendo una risata. Poi mi abbasso affinché possa sentirmi solo lei. “Volevo solo aggiornarti sul caso.” Le sussurro, facendo un cenno verso fuori.

“Okay,” acconsente subito, affrettandosi a legare i capelli e seguirmi all'esterno.

 

La informo su quello che abbiamo scoperto su Fanciullini.

“Quindi potrebbe essere stato il padre! La posso finire con questa farsa?” Ha un entusiasmo allucinante per questa cosa, oh.

“No, le minacce sono cominciate prima che lui ricevesse la lettera,” preciso, “quando Fanciullini ancora non aveva un movente. Poi Fanciullini a me non sembra il tipo da minacciare le ragazze di un reality.”

“Quindi, o Fanciullini è innocente, o sono due reati diversi...” riflette lei.

“Mh... In ogni caso, devi mantenere la copertura.”

Lei si ferma, e io faccio lo stesso. Che succede? Che ho detto?

“Ti diverti, vero? A vedermi qui dentro?” Mi chiede con un'espressione che non promette niente di buono.

E in effetti un pochino sì, ma non mi sembra il caso di dirglielo in maniera così spudorata.

“Io? No, no... no, te lo giuro!” Certo che però se glielo dico ridendo mi tiro la zappa sui piedi da solo. “È che... il lavoro è sacrificio, capisci?” Se vi domandate se sto cercando di farmi linciare, sì.

Lei è furiosa. “Qui mi guardano con compassione! Sembra che mi hanno appena raccattato nella giungla!” Addirittura... beh, dalla frase di quel tizio non mi viene difficile crederlo, e sinceramente a me è sembrata un'esagerazione. Non mi sembra Anna sia messa così male, anzi... “E sì, io ho le occhiaie! Perché di notte lavoro!” Fa con tono più alto, tanto che le devo far segno di abbassare la voce.

“Lo so...” provo a calmarla, eccome se lo so. L'ho vista fare orari assurdi per settimane pur di portare a termine un caso e riuscire a fare giustizia.

“Sono due ore che c'ho... le alghe nel naso!” Continua, indispettita. “Tu non lo sai, che cos'è il sacrificio!”

Proprio in quell'istante arriva il tizio con gli auricolari di prima. “Tempo scaduto! Ti devi mettere questo! C'è il party in piscina!” Le spiega, indicando un costume da bagno con... beh, poca stoffa, diciamo.

Io non so se scoppiare a ridere o meno, ma di sicuro so che devo essere arrossito, a giudicare dal calore. E non sono nemmeno io quello che deve indossare quel costume. No, non fatemici pensare, perché già ho le mie fantasie strane quando ripenso a lei quella sera con quel vestitino nero super sexy, non mi potete aggiungere questo!

Lei è ancora meno entusiasta di me. “No, Luca, io questo non me lo metto.” Afferma in tono perentorio.

Non resisto a prenderla in giro. “Cos'è, hai paura della prova costume? No, scusami...!” La stuzzico, allontanandomi di qualche passo perché ho paura di finirci io, in piscina.

Anna mi rivolge uno sguardo a metà tra il furioso e di sfida, afferrando l'indumento con un'espressione che promette vendetta.

 

Mentre aspettiamo che si cambi, io mi metto accanto ai tecnici sotto il gazebo, osservando le altre concorrenti arrivare e sedersi sulle sdraio. Lancio un'occhiata al 'principe', che mi sta antipatico al solo vederlo. Sarà meglio che le giri alla larga, e lo dico anche per il suo bene. Dopotutto, Anna è cintura nera di judo, non so se gli conviene tanto infastidirla.

Faccio del mio meglio per non immaginarmela in costume, anche se so che non durerà perché a breve dovrebbe arrivare anche lei, a meno che non si tiri indietro. Ma non credo, non sarebbe da lei rinunciare a una sfida, se non altro per il solo gusto di non darmela vinta.

La produttrice sta appunto commentando come manchi solo lei all'appello quando Luca ci informa del suo ingresso.

Io spalanco gli occhi, osservandola scendere gli scalini che portano alla piscina, con un'aria tutt'altro che rilassata.

Mi obbligo a ritornare in me, anche se non è proprio semplice. Sapevo fosse... ehm, messa bene, ma non pensavo così bene.

Anche quel Luca è imbambolato a guardarla sul monitor con la bocca spalancata, tanto che la Busto deve richiamarlo all'ordine.

Cominciamo molto male.

Intanto Anna ha raggiunto le altre, e si vede lontano un miglio che non è a suo agio. Nonostante ciò il suo ruolo di Capitano non si assopisce nemmeno in questa situazione poco ideale, perché inizia a fare domande utilissime mascherandole da semplice curiosità.

Poi naturalmente lo show ha il sopravvento per cui la produttrice, con mio grande disappunto, impone senza mezzi termini al 'principe' di andarla ad accogliere.

L'ho già detto, che quello mi sta antipatico a vista? E no, non c'entra niente il fatto che possa stare a guardarla quanto gli pare perché è quello il suo compito in questo show. Non c'entra, non c'entra, non c'entra.

Quello intanto si siede sulla sdraio davanti a lei, porgendole una delle due birre che aveva preso dal secchiello col ghiaccio poco distante.

“Ciao,” la saluta.

“Ciao,” mormora Anna con scarso entusiasmo e un livello di socialità pari a zero. Mi fa morire quando fa così.

“Anna, giusto? Non pensavo avrebbero sostituito Guia... sei una sorpresa. E a me piacciono le sorprese.” Ci prova spudoratamente Lupo Dossi. Ma tu guarda che spirito da latin lover, proprio. Stai calmo, e distante da lei, possibilmente. Se voleva far colpo su di lei, ha sbagliato tattica. Noto con soddisfazione che Anna la pensa allo stesso modo, a giudicare da sorriso di compatimento che gli fa.

Beve un sorso dalla bottiglia, poi prova a indagare. “Sembra che non ti dispiaccia troppo per Guia...” butta lì con fare indifferente.

“Non abbiamo legato molto, poi lei se ne stava sempre sulle sue...” spiega il tizio, “era amica di Ade, però.”

“Adelaide?” si informa lei.

“Sì... ma non parliamo di lei, parliamo di noi.” Come, scusa? E da quant'è che vi conoscete?

Anna stavolta non si trattiene e fa una risatina sprezzante. Vedo che anche la produttrice è intrigata e attenta alla conversazione.

“Senti... non c'è nessun 'noi'.” Chiarisce con tono secco che non ammette repliche. “Tu non sei un principe, sei il figlio di uno che vende crackers!” Io ormai rido, e la Busto fa lo stesso, sorpresa di vedere che la concorrente in apparenza più fallimentare si è già rivelata quella più interessante. “Ah, la puoi smettere di contrarre gli addominali, puoi fare di meglio per impressionarmi, okay?” Conclude, dando il colpo di grazia all'ego di quello scemo.

“Oh, finalmente qualcuno che ci mette un po' di pepe!” Commenta la produttrice, interrompendo per il momento le registrazione quando vede sopraggiungere il Maresciallo, e congratulandosi con tutti.

Anna si alza e molla senza troppi problemi il tipo, lasciandolo seduto lì non appena sente lo 'Stop' delle riprese.

Io ridacchio e mi affretto a seguirla quando la vedo dirigersi al piccolo salotto all'aperto poco distante dalla piscina.

Mi siedo sul divanetto accanto alla poltrona su cui si accomoda lei, attenta a chiudere meglio la vestaglia blu che le hanno dato e sollevando le gambe, acciambellandosi come un gatto.

“Allora, hai scoperto qualcosa?” le chiedo.

“'Parliamo di noi'...” fa lei esterrefatta, ancora a pensare alla scenetta di poco fa. “Ma chi si crede di essere? Pensa che sto ad aspettare lui?”

“Beh, in teoria questo sarebbe lo spirito del programma...” obietto io, divertito. “Però stavo parlavo del caso io, Anna...”

Lei chiude gli occhi, realizzando l'equivoco. “Scusa...” mi dice, sconsolata, e a me vien da ridere. Fa per parlare quando si avvicina il Maresciallo.

“Posso fare qualche domanda pure a voi, come ho fatto con tutti gli altri?” Ci chiede in tono poco credibile.

Noi ci limitiamo ad annuire. Lui abbassa la voce, rivolgendosi prima ad Anna. “Signor Capitano, le stanno bene i capelli così.” Ah, hai capito che occhio fine ha Cecchini, ha notato il nuovo taglio.

Lei fa un gesto imbarazzato, e ho come l'impressione che non sia molto abituata a ricevere complimenti. “Lasci stare... dica.”

“Ci sono delle novità... Per quanto riguarda l'alibi di Fanciullini, pare che regga, perché lui come ha fatto ad arrivare all'una di notte a Spoleto? Come minimo doveva camminare a 190 chilometri all'ora!”

“Quindi probabilmente non c'entra niente.” Commento io. “Ma abbiam qualcos'altro?”

“Sì... questa Guia, pare che non era... una ragazza giusta per un reality. Era un po'... timida, un po' strana.”

“Questa cosa l'ha detta anche quel cretino del principe.” Conferma Anna.

“Pare che abbia detto che stava facendo del male a qualcuno!” Continua Cecchini.

Anna sbarra gli occhi. “E lei come l'ha saputo?”

“Voci...” minimizza lui, ma è chiaro che lei non gli crede.

“Beh, potrebbe essere qualcuna delle ragazze... Anna, tu potresti provare a farle parlare?” Suggerisco, e lei annuisce, pensierosa.

“Sì, Signor Capitano, Lei dovrebbe attaccare bottone con queste ragazze,” si intromette il Maresciallo, e temo già il seguito della frase. “parlare di... cose da donna, di... borsetta... il trucco, le unghie, rifacimento, rossetto... cose da donna...”

Anna è lì lì per dirgliene quattro. “Perché noi donne parliamo solo di quello.” Dice con un sorrisetto minaccioso. Io abbasso la testa per evitare di scoppiare a ridere.

“No... no, però.... vabbè, io adesso vado.” La fa breve lui, per tirarsi fuori dai guai. “Ehh... io me ne vado,” fa a voce più alta. “Grazie signorina, grazie giovanotto... se avete qualcosa da dirmi, voi non sapete come mi chiamo... mi chiamo Maresciallo Cecchini, va bene? Tante cose...” Ci saluta, facendo per andarsene.

“Mi aspetti, vengo con Lei, Maresciallo...” gli dico alzandomi e facendogli cenno di aspettarmi più avanti. Torno a rivolgere la mia attenzione ad Anna, cercando di ignorare la scollatura della vestaglia che si è allentata quando anche lei si è messa in piedi. È la tua collega, limitati a pensare a questo. “Io vado, allora. Cercherò di tenerti aggiornata il più possibile... per qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi. Terrò il cellulare sempre a portata di mano,” mormoro con un certo imbarazzo.

Lei accenna un sorriso. “Grazie...”

“Ciao,” la saluto, raggiungendo il maresciallo fuori dalla villa ma con la mente ancora al breve scambio di battute con Anna. Sono un uomo e certe cose le intuisco subito: senza volerlo ha già attirato l'attenzione del principe, le sue risposte a tono hanno evidentemente avuto l'effetto contrario a quello che lei sperava, e la cosa non mi tranquillizza. Non che lui rappresenti un pericolo reale, però considerando il contesto non si farebbe problemi a provarci sul serio, e Anna non è il tipo da lasciarsi coinvolgere così facilmente.

Sì, dai, prova a convincerti che il problema sia questo, e non che ti dà fastidio l'idea che per il bene dello show, lei dovrà comunque stare al gioco.

Scaccio questo pensiero assurdo dalla mente salendo in sella alla mia fidata moto, diretto al commissariato.


 

Mentre Anna continua ad indagare per conto suo e tenendoci informati di quanto scoperto su Adelaide, noi continuiamo con le ricerche. Appena posso, la raggiungo all'hotel.

Mi accorgo che ha un costume diverso, oggi. Ehi, non è colpa mia se è la prima cosa che ho notato. Sono pur sempre un uomo. Che ha davanti una donna molto attraente.

La aggiorno brevemente sullo stalker della ragazza bionda e di come le ha procurato quella cicatrice alla spalla. Lei sembra scossa dalla notizia, ma mi consiglia di continuare a indagare su Adelaide perché c'è qualcosa che non quadra su quello che racconta lei e quanto dicono gli altri.

Poi vedo il suo sguardo cambiare quando nota uno strano tizio con un berretto in testa e uno zaino, appostato al limitare della zona riprese.

“Daniele...” chiama piano uno dei tecnici. “Il tipo col cappello... è uno dei nostri?”

“No no, mai visto.” Nega il ragazzo con un'alzata di spalle.

Ecco che scatta lo spirito da Capitano, perché si mette subito in moto e si avvicina a quell'uomo.

“Ehi tu, scusa...”

Quello però evidentemente si sente minacciato, perché scappa.

Anna non ci pensa due volte, scalcia via le infradito e corre al suo inseguimento, raggiungendolo in pochi istanti e gettandolo a terra con una presa ferrea sulla sua mandibola, proprio mentre Cecchini e i due produttori arrivano in cima alla scalinata giusto lì davanti.

Io la raggiungo con qualche secondo di ritardo. Caspita, se è veloce. Devo ammettere che sono impressionato.

“È da ieri che ti vedo girare qui intorno! Chi sei?” Chiede lei in tono autoritario, mantenendolo bloccato.

“Sono un fotografo!” Si giustifica quello, terrorizzato. “Tu sei completamente matta! Lasciami!”

Non sono proprio d'accordo con questo aggettivo...

Luca arriva di corsa, sorpreso quanto noi. “Ma lo conosco, è un paparazzo!” Ci tranquillizza, e lei lascia la presa sulla mascella. A giudicare dal gemito del tizio, non deve avergli fatto esattamente una carezza.

“Signorina,” si complimenta Cecchini, “ha un bellissimo scatto! Potrebbe fare la Carabiniera!”

Lei si astiene dal commentare, sollevandosi da sopra il paparazzo che ancora teneva bloccato a terra, ma la sua espressione è impareggiabile.

 

Le indagini continuano, e Anna mi ha mandato un messaggio poco fa dicendomi di raggiungerla all'hotel quella sera stessa perché ha delle novità importanti.

Da quello che so, stasera ci sarà il ballo, dove il principe sceglierà una delle quattro per danzare con lui.

Mi auguro che abbia il buonsenso di lasciarla in pace, visto come lo ha trattato lei finora. Lo ha completamente ignorato, qualsiasi avance da parte sua è caduta nell'oblio davanti all'insofferenza di Anna. La cosa mi rallegra alquanto. Non ti avvicinare, principino, lei non è una principessa da salvare. E nemmeno un premio da vincere.

 

Come al solito, una volta giunto lì prendo il mio posto sotto il gazebo accanto ai tecnici, e sono proprio curioso di vedere il Capitano in abito da sera. Questa versione ancora mi manca, e non so che aspettarmi. Ogni volta mi ha sorpreso, quindi immagino che ora sarà lo stesso.

 

Ascolto la produttrice dare le direttive, facendo di tutto per non alzare gli occhi al cielo alle scemenze che dice, e solo quando sento la piccola orchestra di archi iniziare a suonare mi rendo conto che sono tutti lì e il 'principe' è appena uscito dalla sala per dirigersi sulla pista, così cerco Anna con lo sguardo, e spalanco gli occhi per lo stupore.

 

È davvero bellissima. Indossa un lungo vestito nero senza spalline, i capelli lasciati sciolti sulle spalle e un trucco leggero che ne risalta i lineamenti delicati e quei magnetici occhi verdi.

Bella da lasciare senza fiato.

Purtroppo per me, pure quel cretino del principe se ne accorge perché invita proprio lei a ballare, a quanto pare senza seguire le indicazioni che gli avevano dato i produttori. Sembra che non fosse previsto, che invitasse lei.

Anna accetta con evidente riluttanza. Quando lui le stringe un braccio intorno alla vita iniziando a danzare con lei, avverto una strana sensazione in fondo allo stomaco, e mi avvicino il più possibile al limitare della pista.

Sei solo preoccupato che quello faccia qualcosa che non deve, mi dico. È solo per questo. Non sei geloso. Non è gelosia. Tu e Anna siete amici, punto.

Noto che il principe fa un cenno verso di me, e anche lei si volta a guardarmi per un attimo. Colgo l'imbarazzo sul suo viso.

Poi succede qualcosa che richiede tutto il mio autocontrollo per impedirmi di andare lì e picchiarlo.

Lui le si avvicina pericolosamente con il chiaro intento di baciarla, mentre con mio estremo orrore vedo dal monitor che la sua mano destra, che prima le cingeva la vita, sta lentamente scendendo sempre più giù.

Eh no, eh. Non ti azzardare a toccarla. Tieni le mani a posto. Sto per mandare a quel paese il mio contegno quando lei lo ferma, girandogli il braccio e buttandolo a terra per difendersi da un gesto non voluto.

Sento vagamente la sua minaccia di non permettersi a rifarlo prima di girare i tacchi e lasciare la pista da ballo.

Mi accorgo a mala pena della frase della produttrice, estasiata dalla scenetta, mentre mi affretto a seguire Anna.

 

La trovo seduta sul bordo della piscina, a testa bassa.

“Oh, hai fatto colpo, eh!” Scherzo, sedendomi poco distante da lei, che non mi degna di uno sguardo. “No, secondo me puoi vincere!” Tento, cercando di stemperare la tensione.

Finalmente si volta, un'espressione tetra sul viso. “Marco, ho un vestito scomodo, non ti parlo neanche delle scarpe, stanotte non ho dormito e ho subito delle molestie! Non mi provocare!”

“Scusami, non volevo...”

Abbassa nuovamente lo sguardo, prima di continuare con voce cupa, “Questo posto tira fuori il peggio di me.”

Io la osservo per un attimo, e l'unica cosa che vedo è una donna estremamente bella... che si è difesa da attenzioni non gradite. Stasera, poi, non c'era storia per nessun'altra delle ragazze, che messe accanto a lei passavano assolutamente inosservate. Non mi sembra esattamente 'il peggio di lei', tutt'altro.

“... Io non direi!” Commento infatti con un sorriso eloquente.

Ma la sua reazione non è quella che immaginavo, perché chiude gli occhi inspirando a fondo, infastidita.

“Che...? Scusa, ho detto qualcosa di sbagliato?” Le domando, il mio era solo un complimento.

“No... non sei tu, sono io.” Mi dice, una nota di rabbia nella sua voce.

“Che c'è?” Le domando cautamente. Se non ho detto nulla di male, allora dove sta il problema?

Fissa un punto lontano per qualche istante, poi torna a guardarmi.

“Sai da che cosa mi vestivo a Carnevale?” Mi domanda con un cipiglio indispettito.

Non sto capendo. “No, da co-”

“Da Zorro.” Mi interrompe, senza attendere che io finisca la domanda. La mia espressione stupita parla da sé. “Mia madre voleva farmi vestire da principessa, come mia sorella, ma io niente... e dal costume di Zorro alla divisa da Carabiniere non è cambiato molto...”

Adesso inizio a capire.

Lei sospira, alzando gli occhi verso il cielo. “Se solo avessi dato retta a mia madre, forse... fossi stata un po' più principessa, magari...” Torna a guardarmi con un velo di tristezza nello sguardo. “Non lo so... Le cose sarebbero andate in modo diverso.”

“Diverso da cosa?” Le chiedo, sedendomi un po' più vicino a lei, che mi lancia un'occhiata eloquente. “Giovanni si sarebbe fatto prete anche se tu fossi Belen Rodriguez... Lascia stare,” le dico con dolcezza, “è meglio che tu resti come sei, e non vale la pena di cambiare per gli altri. È meglio restare se stessi, anche a costo di rimanere soli.” Lei accenna un sorriso, comprendendo appieno quello che sto cercando di dirle, così continuo, decidendo di essere un po' più chiaro riguardo alla mia frase di poco fa. “E comunque il vestito ti stava bene... Bene, bene, bene, bene...”

Sono tremendamente in imbarazzo, ma non importa perché è la verità, e il rossore sulle sue guance e il suo “Grazie” appena sussurrato valgono più di qualsiasi altra cosa.

“Però... non è per questo che mi hai chiamato, vero?” Le domando, anche se avrei desiderato non interrompere questo momento tra noi, non interrompere quello scambio di sguardi che ha riportato lo sciame di farfalle nel mio stomaco, e che ultimamente sembrano farsi sentire sempre più spesso quando sono con lei.

“No...” conferma con un piccolo sospiro prima di prendere la pochette che si è portata dietro. “Ho trovato queste...” spiega, riferendosi a una bottiglietta verde con delle pillole all'interno. “Erano in camera di Adelaide. Le prende sempre, ma a me sembra sempre più instabile. Facciamole analizzare.”

“Va bene.” Asserisco, e faccio per continuare ma lei si volta, tornando a guardare l'acqua della piscina con sguardo assente e inspirando profondamente, in una delicata ma chiara richiesta di essere lasciata sola.

Non vorrei andarmene, ma rispetto la sua scelta. ***

 

Sono quasi arrivato ai gradini d'ingresso della villa quando ci ripenso e torno indietro.

La trovo esattamente come l'avevo lasciata qualche istante fa, con lo sguardo basso a fissare l'acqua probabilmente senza vederla davvero. Mi schiarisco la voce e lei si volta di scatto con gli occhi spalancati: non mi aveva sentito arrivare.

“Pensavo te ne fossi andato,” mormora.

“Beh, ho cambiato idea. Ho pensato che... è un ballo questo, no? Mi chiedevo se ti andava di... ballare. Con me.”

Le porgo la mano, ma leggo l'incertezza sul suo viso e la mia convinzione vacilla. “Se... se vuoi... possiamo restare qui vicino alla piscina... Ma, voglio dire, se non ti va...”

Stavolta è lei a sorprendermi quando accetta il mio invito afferrando la mia mano, e non riesco a trattenere un sospiro di sollievo.

L'orchestra inizia a suonare in quel momento un nuovo brano, e quasi senza accorgermene ecco che mi ritrovo a danzare sulle note di un valzer con lei tra le braccia a un respiro di distanza.

Quando ho pensato di invitarla, ammetto di non aver tenuto in conto quanto saremmo stati vicini. Non ho riflettuto, e solo ora realizzo appieno che il capitano con cui lavoro tutti i giorni sia a tutti gli effetti una donna. E non solo per il vestito o per quelle forme che di solito cela sotto la divisa e che sembrano combaciare alla perfezione con il mio corpo come due pezzi di puzzle, ma per soprattutto l'inaspettata fragilità che sta mostrando. Se fino a qualche minuto fa avevo davanti la solita facciata rigida e composta a cui sono abituato, adesso c'è da parte sua una timidezza che non mi aspettavo, e quando la mia mano scivola dal fianco alla schiena per poterla sentire ancora più vicina, un delizioso rossore le tinge le guance, confermando che non sono l'unico ad aver avvertito qualcosa in più tra noi in questi istanti.

Sento che lei si irrigidisce appena al mio gesto e per un attimo mi ritrovo a chiedermi che cosa sto facendo. Che mi salta in mente? Non dovrei comportarmi così, siamo colleghi di lavoro, la nostra relazione dovrebbe essere strettamente professionale così come mi ero ripromesso fin dall'inizio. Questa mia decisione improvvisa era sembrata allettante al momento, ma adesso mi domando se in realtà non sia inappropriata. L'ho messa a disagio, e forse non...

I miei pensieri frenetici si interrompo quando la sento rilassarsi e – il respiro mi si blocca in gola per un attimo – appoggiare il capo sul mio petto, mentre la sua presa sulla mia spalla si fa più salda.

Continuiamo a ballare stretti così l'uno all'altra, ed io riesco a pensare solo a quanto perfetto sia questo momento, a quanto sembri giusto stare così con lei. A come, in questi mesi, il nostro rapporto sia mutato dalla formalità di Capitano e Dottore all'essere semplicemente Anna e Marco.

La mia lucidità svanisce nel momento in cui lei si stacca appena da me, quando solleva lo sguardo e i suoi occhi incontrano i miei.

Quegli occhi di un verde incredibile mi hanno sempre attratto come miele, ma mai come in questo momento ho sentito il bisogno di perdermici dentro.

Senza riflettere, senza capire quale strana magia ci sia stasera nell'aria, inizio ad avvicinarmi.

Anna sembra confusa quanto me, perché la sento chiedere in un sussurro, “Marco, che stiamo facendo?” prima che io le catturi le labbra in un bacio.

Lei esita appena, ma non mi arrendo e le circondo la vita con le braccia, stringendola di più contro di me. Il suo smarrimento svanisce in fretta, e fa scivolare le mani sul mio petto prima di intrecciarle dietro al mio collo, lasciandomi approfondire il bacio.

Se questo è un sogno, che nessuno si azzardi a svegliarmi.

Le sue labbra, il suo profumo, il contatto tra i nostri corpi mi stanno dando alla testa. Non avrei mai immaginato che l'inflessibile Capitano potesse mostrare tanta passione. Che si lasciasse trasportare dalle emozioni come sta avvenendo in questo istante.

Ci separiamo un istante per riprendere fiato, e appoggio la fronte alla sua.

La osservo di sottecchi: il viso rosso, le labbra schiuse a cercare il respiro che sembra non voler tornare, i capelli appena arruffati sulle punte, lo sguardo sognante. Questa magnifica visione è opera mia, e il mio orgoglio maschile non può che rinvigorirsi.

“Marco...” Tenta di dire lei non appena riesce a parlare, ma una voce ci interrompe mettendo fine all'incantesimo.

“Che succede qui?” Costanza Busto, poco distante, ci sta squadrando con disapprovazione.

Noi ci affrettiamo ad allontanarci l'uno dall'altra, e questa improvviso distacco mi provoca quasi un dolore fisico che mi sorprende non poco.

La donna si avvicina di qualche passo. “Lo so che non sei una concorrente ufficiale, ma devi stare alle regole del programma. È il principe che deve corteggiarti, chiaro?” Intima rivolta ad Anna a bassa voce. “E se un paparazzo vi avesse visti? Uno scandalo del genere può costarmi molto caro in questo momento!”

Anna le rivolge uno sguardo inquieto, ma non risponde.

“Mi va bene il tuo comportamento nello show, il carattere sfuggente e questa contesa tra te e Adelaide, ma devi limitare le tue... interazioni a Lupo Dossi. A lui e nessun altro,” precisa, lanciandomi un'occhiata di traverso. “Per quanto romantico potrebbe essere avere un vero amore sullo schermo... Non è quello che mi serve. La tv è spettacolo e sacrificio, e bisogna accettare anche quello che non si vuole. Fingi, se devi, ma la tua attenzione deve andare a Dossi.” Getta uno sguardo al resto della troupe: sembrano tutti impegnati a fare qualcosa, e nessuno ci guarda in questo momento.

“Salutatevi in fretta, e fate in modo di essere lontani dalle telecamere.”

La produttrice ci rivolge un'ultima occhiata indagatrice che non riesco a comprendere fino in fondo prima di allontanarsi e lasciarci di nuovo soli.


 

Noi rimaniamo immobili per qualche istante, incerti su cosa fare o cosa dire dopo il momento che abbiamo condiviso e l'interruzione.

Decido di farmi coraggio e così mi avvicino prendendole la mano, gesto che lei non mi nega. Vorrei tanto parlare subito di quello che è accaduto pochi minuti fa, ma ci accorgiamo che la Busto continua a tenerci d'occhio da lontano, così sono costretto a rimandare a un altro momento.

“Allora io vado...” Dico soltanto, sospirando.

“Va... va bene. Ti tengo aggiornato nel caso dovesse... succedere qualcosa.” Risponde Anna in un sussurro, in evidente imbarazzo.

“D'accordo. Buonanotte.”

Mi porto le sue dita alle labbra per un leggero baciamano prima di voltarmi e andare via.

Sarà una lunga notte.


 

Anna's pov


 

Per qualche attimo ancora non riesco a muovermi, quasi fossi inchiodata su quella striscia d'erba a bordo piscina, frastornata da quanto accaduto nel giro di pochi minuti.

Mi riprendo dal mio stato di trance quando sento uno dei tecnici urlare che le riprese per oggi sono terminate e possiamo andare tutti a dormire.

Torno nella mia camera di corsa, o almeno il più velocemente possibile considerati i tacchi, perché ho bisogno di restare da sola e pensare.

Ancora non mi rendo conto esattamente di come siamo finiti in quella situazione.

Quando Marco mi ha raggiunta a bordo piscina dopo l'incidente con il principe, quella sua battutina sarcastica è solo servita a esasperarmi ulteriormente. So che l'ha fatto solo per stemperare la tensione ma mi aveva infastidita lo stesso, prima che mi pentissi di avergli risposto a tono per via di quel suo complimento inaspettato. L'ha detto in modo così sincero da cogliermi alla sprovvista, e ho sentito lo stomaco sprofondare non so per quale ragione. Non so nemmeno il perché di quello sfogo improvviso, ma non era la prima volta che la sua sola presenza mi faceva fare cose senza senso. Da quando in qua raccontavo cose così personali ad un collega? La Anna che sono sempre stata abituata a mostrare agli altri non si sarebbe mai e poi mai esposta così tanto nemmeno sotto tortura, piuttosto avrebbe messo tutto a ferro e fuoco pur di non soccombere al dolore. Invece con Marco non sono mai riuscita a mantenere fino in fondo la mia solita rigidità di facciata, tutt'altro. Non riesco a trovare un motivo, ma fin dal primo momento è stato capace di abbassare le mie difese senza troppe difficoltà, e mai avrei pensato che gli avrei permesso di consolarmi dopo avermi vista piangere.

Sfioro appena il tulle nero del vestito che ancora indosso, ripensando alle sue parole.

Non ho mai pensato di essere particolarmente bella, mi sono sempre trascurata abbastanza e la scelta di diventare un Capitano dei Carabinieri mi ha imposto negli anni determinati obblighi che non ho mai visto come limiti, almeno non fino ad ora. E poi diciamo che con una sorella come Chiara, ormai è quasi un'abitudine essere messa in secondo piano, per quanto triste possa sembrare. Quando passa lei, non c'è uomo che non si volti a guardarla perché è sicura di sé e sa sfruttare il suo fascino. Quando passo io, gli uomini si girano solo perché è strano vedere una donna in divisa, e in genere si tratta di sguardi di sottecchi, quasi mettessi loro paura.

È stato strano per una volta sentirsi al centro dell'attenzione, e non solo quella di Marco. Per quanto sia stato fastidioso, devo aver davvero fatto colpo sul principe in qualche modo che non riesco a spiegarmi, perché in questi due giorni non ho fatto altro che trattarlo male, ma stasera è andato contro il copione e mi ha invitata a ballare. Poi ha allungato le mani, cosa che gli ha fatto perdere gli eventuali punti che poteva aver acquisito con me, per cui è fuori discussione che gli permetta di avvicinarsi a una distanza inferiore a un metro, ma ciò non toglie che senza volerlo ho perfino messo in ombra Adelaide.

Il complimento di Marco mi ha fatta arrossire non poco, e ho apprezzato il suo voler cambiare argomento ricordandomi il motivo per cui lo avevo chiamato.

Poi ero convinta se ne fosse andato.

E invece è tornato indietro per chiedermi di ballare.

Mi ci è voluto qualche istante per metabolizzare le sue parole, e mi sono davvero sentita come una principessa in quel momento, col mio improvvisato principe azzurro che mi invitava a danzare con lui.

Ho letto l'incertezza nel suo sguardo di fronte alla mia esitazione che ha di sicuro frainteso per un rifiuto, che poi si è trasformata in sollievo quando ho accettato la sua mano e mi sono alzata.

Non eravamo mai stati così vicini, così a contatto, e le sensazioni che mi trasmetteva mi elettrizzavano e terrorizzavano al contempo. Eppure sembrava tutto così naturale, così... magico.

La mia parte razionale continuava a dirmi che stavo facendo una sciocchezza, ma il mio cuore per qualche ragione mi diceva che non c'era cosa più giusta di quella, e che l'unica cosa che volevo era stringermi ancora di più a lui e lasciarmi andare. Quasi avesse sentito i miei pensieri, Marco aveva fatto proprio quello, e così avevo deciso di mandare al diavolo il raziocinio e abbandonarmi a lui. In quel momento ho sentito il suo cuore battere forte, convincendomi che non stavo sognando anche se in realtà lo sapevo già, le sensazioni erano troppo intense per essere frutto della mia immaginazione che non si era mai spinta così in là con lui.

In fondo cosa sapevo di Marco? Della sua storia precedente?

Nulla, a parte che aveva lasciato la sposa sull'altare senza presentarsi nemmeno in Chiesa. Non conoscevo i suoi motivi, e pensandoci adesso questo suo lato nascosto mi mette in allarme. Non voglio soffrire ancora.

Ho il terrore che sia stato tutto dovuto al momento, a quell'atmosfera di intimità che si è venuta a creare quando mi ha invitata a ballare. In una situazione normale non so se l'avrebbe fatto. Cavolo, non so se io l'avrei fatto. Sfogarmi è una cosa, ma baciarlo?

La mia mente torna immediatamente a quel bacio.

Basta il solo pensiero a farmi tremare le gambe e costringermi a sedermi sul letto.

Com'è possibile che sia bastato così poco a farmi perdere la testa? A farmi perdere il controllo delle mie azioni?

Eppure, in quel momento, mi è sembrata come la cosa più giusta da fare. Non mi sono resa conto di quanto lo volevo fino a quando non ho sentito la sensazione delle sue labbra sulle mie.

Non ho pensato a niente se non che fosse il bacio più bello che avessi mai ricevuto.

Avrei voluto non finisse mai.

E poi è arrivata Costanza Busto a interrompere tutto.

A ricordarmi perché ero lì in quel momento, e quale doveva essere il mio ruolo.

È stato come se mi avessero buttato addosso un secchio d'acqua gelida che mi ha risvegliata di botto dalla fiaba in cui mi ero immersa.

Quando si è allontanata, ho avuto l'impressione che Marco volesse dirmi qualcosa, ma lei continuava a fissarci da lontano, così è dovuto andare via.

La mia speranza che forse non è stata una cosa del momento si riaccende quando ripenso al modo in cui mi ha dato la buonanotte.

Un baciamano.

Mi sento arrossire di nuovo perché è un gesto davvero romantico, e non credo che l'avrebbe fatto se avesse voluto prendere le distanze da quanto era successo.

Solo che adesso non so quando avremo modo di affrontare l'argomento, se ci riusciremo. Non posso abbandonare la copertura finché non troviamo l'aggressore di Guia, quindi sono confinata qui fino ad allora.

E poi non sono sicura di volerne parlare, perché ho paura che nonostante tutto sia davvero stato un bacio dovuto al momento e niente più.

Mi decido a sfilare il vestito che ho ancora addosso e a mettermi sotto le coperte.

In tutto questo trambusto però non mi sono fatta la domanda principale: al di là di quali possano essere i sentimenti di Marco, io che cosa provo per lui?

Se già ieri notte non ho dormito, figuriamoci se ci riuscirò adesso.

*

Il mio primo pensiero quando apro gli occhi, dopo un sonno molto agitato e frammentato, è rivolto ancora al bacio di Marco.

È una sensazione strana quella che mi invade, mentre raggiungo le altre ragazze per la colazione, prima della 'solita' routine mattutina fatta di trucco, acconciatura e vestiario. Camilla e Francesca mi ignorano come hanno fatto il resto del tempo, Adelaide mi rivolge un sorriso e si siede al mio stesso tavolo.

“Interessante la scenetta di ieri sera col principe...” ridacchia. “Gli hai dato una bella batosta.”

Io mi limito a un'espressione vagamente colpevole, sforzandomi di attenermi alle direttive della Busto. “Forse ho esagerato un po'.”

“Ma no... Secondo me se l'è meritato in realtà. Non è che si può prendere tutte le libertà che vuole solo perché è il protagonista del programma.” Spiega, prima di lanciarmi un'occhiata divertita. “Anche perché, ho come l'impressione che alle avance di Lupo preferisci quelli di qualcun altro.”

Io mi ritrovo ad arrossire. Quindi ci ha visti?

“Io... è una cosa complicata.” Mormoro, cercando di capire come comportarmi. Voglio dire, se ha visto il bacio, sarebbe inutile negare l'evidenza, però dovrei stare alle regole del programma e inoltre non saprei nemmeno spiegarle come mi sento, perché in tutta sincerità non lo so nemmeno io.

“Verrà a trovarti oggi?”

“Non lo so... Dipende da un po' di cose.”

“Ho notato che passa tutto il tempo ad osservarti. In effetti mi è sempre sembrato un pochino geloso quando il principe ti si è avvicinato... E il bacio di ieri sera lasciava poco spazio al dubbio.”

Io le rivolgo uno sguardo incerto, che lei ricambia con fare ovvio. “Camy e Francy ti invidiano parecchio, a proposito. In due giorni hai avuto tutte le attenzioni del principe e un bacio da favola dal bel ragazzo misterioso che gira sul set. La Busto sarà entusiasta di sfruttare questa cosa per gli ascolti.”

“Io non credo fosse troppo contenta, ieri sera.” Replico. Ecco un'altra informazione discordante sulla quale vale la pena indagare più a fondo. “Mi ha vietato di vederlo, in realtà, va contro le regole dello show.”

“Beh, sai, forse so perché,” risponde lei pensierosa, “noi siamo concorrenti, quindi il nostro ruolo nel programma è sperare di essere scelte dal principe, e comportarci di conseguenza. La tua storia 'clandestina' sarebbe troppo vera, non un flirt passeggero, e credo che questa cosa un po' le dà fastidio. Qui lo sanno tutti, che suo marito la tradisce sempre con le stagiste, quindi magari vedere voi può... farle venire in mente brutti ricordi.”

“Mh...” sussurro. Questa sì che è una cosa interessante, che dovrò riferire agli altri non appena posso.

“Già... comunque tornando a te, direi di ignorare il divieto della Busto e continuare con la tua storia. Mi è sembrato molto preso. Ha faticato ad andare via.”

“Sì, beh, come ti ho detto ci ha vietato di vederci e lo ha obbligato ad andarsene, ieri sera. E quel bacio è stato inaspettato... molto. Ed è una situazione complicata, la nostra.”

“Ma lui ti piace?”

“È sempre stata una relazione di amore/odio con lui, ma... Penso di sì...” Ammetto, sorprendendo anche me stessa.

“Un 'penso di sì' detto da una donna è sempre una certezza, anche se magari all'inizio non sembra... In fondo non ti sei tirata indietro. Credo che l'unica cosa da fare adesso sia parlarne con lui, no? Capire cosa ha significato per lui quel bacio... Tu hai detto che è stato inaspettato, ma lo hai ricambiato. Vorrà pur dire qualcosa, considerando anche che quando Lupo ha tentato di fare lo stesso, lo hai respinto senza pensarci troppo.”

Prima che riesca a continuare, uno dei truccatori la chiama, per cui mi rivolge un ultimo sorriso prima di alzarsi e dirigersi verso la sala trucco.

Una volta sola, ripenso alle sue parole con lo sguardo basso, riflettendo. Ha ragione, non ho esitato a rifiutare Dossi sulla pista da ballo ma poco dopo ho baciato Marco d'istinto senza pensarci due volte. Nonostante i continui battibecchi e i contrasti, mentirei se dicessi che non mi ha attratto fin da subito. Certo, il suo look non era quello che avrei attribuito ad un PM sul posto di lavoro, ma in un altro contesto non avrei avuto niente da dire. Una volta superata la fase di attrito iniziale, ho iniziato ad attendere con ansia le sue battutine per il solo gusto di rispondergli a tono. Anche quelle a mie spese, perché significava che, almeno per qualche istante, ero l'oggetto della sua attenzione. Non me n'ero mai resa conto appieno fino ad ora.

Nel frattempo torno velocemente nella mia stanza, affrettandomi a chiamare Marco per dirgli quanto ho appena scoperto, e mi scopro ad essere nervosa mentre attendo che mi risponda.

Anna, ehi!” Mi accoglie la sua voce dall'altro capo del telefono. “Ciao... è successo qualcosa?” Chiede, preoccupato.

“Ciao... No, è tutto a posto,” mormoro, dandomi mentalmente della scema quando sento la mia voce tremare appena. “Volevo raccontarti di una cosa che ho saputo...” Spiego, raccontandogli velocemente quanto mi ha detto Ade poco fa.

“Mh, potrebbe essere un elemento utile su cui indagare. Faccio fare degli accertamenti subito.

“Va bene...” Dico soltanto, torturandomi una ciocca di capelli. Da quando sono così timida con lui?

Proverò ad aggiornarti più tardi... La Busto può impedirmi di venire per... altre questioni, ma non per quanto riguarda il lavoro.” Afferma, risoluto, e il mio cuore fa un balzo.

“Questo è vero,” ridacchio. “Allora ci vediamo dopo?”

“Certo... Ti mando un messaggio prima.”

Sento uno degli assistenti chiamare il mio nome, quindi sono costretta a salutarlo.

Lascio che il team di truccatori faccia quello che vuole, standomene docilmente seduta in questa sedia davanti allo specchio. Ho altro a cui pensare al momento, e poi non è che contestare servirebbe a qualcosa, qui. Sono già dovuta passare dal 'servizio completo', per cui niente può essere peggio a questo punto.

Quando il make-up artist termina il suo lavoro, dopo i soliti borbottii sulle mie occhiaie che mi sforzo di ignorare, mi indicano di recarmi in uno dei salottini interni della villa. Almeno oggi ci hanno lasciate indossare quello che vogliamo, quindi ho optato per la mia adorata camicia bianca e un paio di jeans, almeno mi sento un po' più me stessa. Mi lascio coinvolgere dalla conversazione delle altre ragazze, almeno fino a quando Lupo Dossi si avvicina e, con fare imbarazzato, chiede di poter parlare con me.

Ignoro di nuovo le occhiate di sbieco di Camy e Francy e accetto di seguirlo in un angolo più appartato.

“Senti, io... volevo chiederti scusa per ieri sera. Ho esagerato, e... beh, ho imparato la lezione.”

Non mi aspettavo che si scusasse, sinceramente. Dopo aver sentito i retroscena della sua storia, sulla sua 'scappatella' con la cognata, lo trovo veramente strano.

“Accetto le tue scuse, ma non ci provare di nuovo. Non ti andrà così bene come ieri.” Lo avverto, con un mezzo sorriso.

Lui ridacchia, e fa per dire altro quando il mio cellulare squilla avvisandomi dell'arrivo di un messaggio.

“Scusa, devo...” Mormoro, tirando fuori il telefonino dalla tasca. Come immaginavo, è Marco che mi avverte che il caso è stato risolto e che stanno per arrivare.

“È il tuo 'amico'?” Mi chiede, con un sorrisetto, enfatizzando l'ultimo termine.

Sento il rossore sulle guance, ripensando alla sua domanda prima della sua uscita poco galante, e abbasso lo sguardo.

“Digli che può smettere di essere geloso...” Ammicca. “Ciao.”

Gli faccio un cenno, prima di sentire le sirene dell'auto dei Carabinieri che si ferma nel cortile d'ingresso.

Le altre ragazze si alzano per andare a vedere cosa stia succedendo, e io le seguo, arrivando al corridoio centrale giusto in tempo per vedere i miei sottoposti portar via Costanza Busto. Al loro seguito, c'è Marco che mi si avvicina con il maresciallo al seguito.

“Ehi...” Sorride, e il mio stomaco fa una capriola. Saluto anche Cecchini, che sembra molto incuriosito dal nostro comportamento. Fingo di non farci caso.

“Ciao... Quindi è stata lei?” Chiedo, cercando di focalizzarmi sul lavoro almeno per qualche momento.

Cecchini si affretta a spiegarmi come sono arrivati a capire che fosse lei la colpevole, e poi si congeda tornando in caserma insieme agli altri carabinieri.

Rivolgo uno sguardo interrogativo a Marco.

“Pensavo che... avrei potuto riaccompagnarti io a casa.” Si giustifica.

Io ci rifletto un secondo. “Ma... sono venuta con la mia macchina.”

“Lo so... guido io.”

Scuoto la testa, divertita, e noto Adelaide e le altre ragazze avvicinarsi a noi.

“Che succede? Come mai stavi parlando con quel carabiniere?” Mi chiede Francy, scuotendo la lunga chioma rossa.

Scambio uno sguardo con Marco, che sorride incoraggiante. Mi sa che mi tocca dire chi sono.

“Perché mi ha riferito che il caso è stato chiuso.”

“E perché doveva dirlo a te?”

“Perché io sono il Capitano.”

Trattengo una risata quando le vedo spalancare gli occhi per la sorpresa.

“Bisognava capire chi ci fosse dietro alle minacce e all'aggressione di Guia, e il modo più adatto era infiltrare qualcuno senza crearvi altri fastidi. Chi meglio di una 'concorrente' che prendesse il posto di Guia stessa?” Spiega Marco.

“Ah... Ma almeno ti chiami Anna davvero, o...?” Chiede Camilla.

“È il mio vero nome, se è questo che vuoi sapere. E comunque ho indagato, ma non vi ho mai mentito. Questo mondo non fa per me, non era nelle mie intenzioni intralciarvi o altro. Il principe potete tenervelo.” Chiarisco con un'espressione eloquente.

“Anche perché il tuo ce l'hai già...” Infierisce Ade, facendo arrossire sia me che Marco. “Noi andiamo, bisognerà capire cosa succederà adesso. Magari ci rivediamo, qualche volta.”

Ci salutano, e colgo qualche parola che indica che noi due siamo diventati oggetto di gossip, e temo lo saremo per un po'.

“Andiamo?” Mi chiede lui dopo qualche istante. Io mi limito ad annuire, andando di corsa a prendere il leggero bagaglio che ho dovuto portare con me dopo aver fatto un saluto generale allo staff. Non ci metteranno molto a scoprire chi era in realtà Anna, la 'concorrente' più odiata dai truccatori.

Quando raggiungo Marco, lui mi aspetta già accanto alla mia macchina. Dopo un finto sospiro esasperato, gli lancio le chiavi che lui afferra al volo.


 

Marco's pov

Dopo qualche istante di silenzio, mi decido a prendere la parola.

“Quella battuta di Adelaide è casuale oppure...?”

“Ehm, no,” ammette Anna a bassa voce, “diciamo che, nonostante i propositi della Busto, un paio di spettatori ieri sera li abbiamo avuti.”

“Ah.” Ridacchio. “Comunque, a parte questo, io... Lo so che è passato poco tempo e che pensi ancora a Giovanni, però... Ecco...” Certo di trovare le parole adatte a spiegarmi ma lei mi interrompe, tenendo però lo sguardo basso mentre si tortura le dita con fare nervoso.

“Ho pensato a quello che mi hai detto ieri sera, e... credo che in fondo tu avessi ragione. Anche perché è quello che gli avevo detto anch'io al monastero. Il problema non è il mio carattere, ma solo il fatto che la nostra storia era semplicemente giunta al termine. Fa male, certo, ma è così, e qualsiasi cosa avessi fatto non sarebbe cambiato niente.”

Io la ascolto con attenzione, e non posso impedire a un leggero sorriso di farsi strada sulle mie labbra. Mi schiarisco la voce prima di parlare di nuovo.

“Quello che volevo dirti è... insomma... avrà contribuito l'atmosfera di ieri sera, ma... se tornassi indietro, lo rifarei.”

Lei mi rivolge uno sguardo timido, in attesa che io continui.

“Ammetto che quando ci siamo conosciuti, non ci avrei scommesso neanche una lira su di noi. Anzi, ero convinto che non saremmo mai andati d'accordo, non facevamo che litigare in continuazione. Invece ho dovuto ricredermi sull'idea che mi ero fatto di te, e... e mi sono reso conto che avevi tutte le carte in regola per conquistarmi. Solo che mi faceva paura la possibilità che andasse tutto male di nuovo.”

“... di nuovo?” Domanda lei, giustamente.

“Sì, beh, sai che nemmeno la mia relazione precedente è andata molto bene. Il fatto che non mi sia presentato in chiesa è diventato ormai di dominio pubblico.”

“Non mi hai mai detto il perché.” Mormora allora Anna, ed io mi vedo costretto a una decisione: se fare l'evasivo o raccontarle la verità. “So che l'hai lasciata ad aspettarti sull'altare e ho intuito che dev'essere successo qualcosa di grave, ma...”

Lascia la frase in sospeso, ma la mia esitazione a risponderle fa sì che torni ad abbassare lo sguardo, delusa.

“Anna...” tento, con un groppo in gola, “non fraintendermi, ti prego. Non è che non voglia dirtelo, è solo... difficile.”

Lei continua ad evitare di guardarmi. “No, lo capisco, cioè... non devi sentirti obbligato. Però... lo sai che puoi fidarti di me, vero?” Prova a spiegarmi, e l'incertezza che trapela dal suo tono mi stringe il cuore.

Capisco che è colpa mia.

Lei di me si è fidata a tal punto da mostrarsi fragile, da confessarmi i suoi timori e sentimenti e lasciare perfino che la vedessi piangere, mentre io non riesco a dirle il motivo per cui il mio matrimonio è saltato.

“So già che con te non potrebbe mai accadere quello che è successo con Federica. Tu sei diversa, lo so perché ho imparato a conoscerti abbastanza da poterne essere certo...” Mi decido a dire dopo qualche istante.

Anna mi lancia uno sguardo di traverso, a metà tra il dubbioso e il preoccupato.

Inspiro a fondo.

“Il motivo per cui non mi sono presentato in chiesa quel giorno è più scontato di quanto puoi immaginare, purtroppo. La sera prima del matrimonio ho trovato la mia ex a letto col mio migliore amico, fra l'altro anche mio testimone di nozze.” Confesso infine con una breve risata amara.

Anna spalanca gli occhi, non credo si aspettasse una risposta del genere.

“Io... non so che dire, davvero. È... è una cosa orribile... mi dispiace...”

“La cosa peggiore sai qual è? Mi ha detto che in fondo era anche colpa mia, perché ero cambiato, non ero più quello di prima. Peccato fosse stata lei a fare di tutto per rendermi diverso.”

“Adesso capisco... è per questo che quella volta mi hai detto che noi donne cerchiamo sempre di cambiare gli altri e poi ci stufiamo?”

“Sì, ma ti prego di non prenderla sul personale. Ero arrabbiato, ed era più facile sfogarmi su di te che spiegarti. Non c'è voluto molto per rendermi conto che mi sbagliavo, almeno su di te.”

“Non che oserei contraddirti, ma cosa te lo fa pensare?” Domanda allora, con un leggero sorriso.

“Al di là di com'è finita, è vero che hai cercato di far cambiare idea a Giovanni ma nei limiti del ragionevole. Non lo hai obbligato a scegliere, lo hai lasciato libero di decidere da solo cosa fosse meglio per lui. E sei stata onesta, anche se significava accettare che la vostra storia fosse finita,” le dico semplicemente, prima di accennare una risata. “E comunque ti conosco, non saresti mai in grado di mentire come ha fatto lei, tantomeno usare qualcuno prima di stancartene e buttarlo via come se niente fosse. Non sarebbe da te, sei troppo dolce.”

Il rossore sulle sue guance non va via fino a quando arriviamo sotto casa sua. Parcheggio l'auto e spengo il motore.

“Tu adesso come torni a casa?” Chiede.

“Ho lasciato la moto davanti alla caserma, farò quattro passi a piedi.”

Annuisce. “Quindi adesso... che succede tra noi?” Mi domanda allora con un filo di voce. Ammetto che questa timidezza mi sorprende, ma mi piace.

Stavolta mi volto verso di lei, e i nostri sguardi si fondono. Mi ci vuole tutta la forza di volontà di cui sono in possesso per trattenermi dal baciarla. Voglio che sia lei a scegliere.

“Beh... lo so che abbiamo un bel po' di strada da fare, ma... potremmo... provarci. Se... se vuoi.”

Con mio enorme sollievo, vedo il suo volto aprirsi in un sorriso.

“Cecchini me l'aveva detto fin da subito, che mi saresti piaciuto,” ridacchia, e sento il cuore farsi più leggero. “Chi l'avrebbe mai detto, che aveva ragione?”

Mi unisco alla sua risata, prima di prendere il suo viso tra le mani e, finalmente, baciarla.

L'atmosfera di ieri sera è servita solo a darci una spinta, perché le sensazioni che sto provando non sono cambiate. Anzi, se possibile sono ancora più intense.

“Sarà bello tornare a vedersi tutti i giorni come al solito, adesso che la tua missione sotto copertura è finita...” Commento quando ci separiamo, accarezzandole il dorso della mano con le dita.

Anna scoppia inaspettatamente a ridere. Alla mia espressione interrogativa, mi rivolge un'occhiata eloquente. “Come se in questi tre giorni non ci fossimo visti di continuo!”

Stavolta è il mio turno di arrossire.

Il suo sguardo si fa più dolce. “Però, a proposito... grazie di essermi stato accanto. Almeno la tua presenza ha reso tutto più sopportabile. Quel mondo proprio non fa per me.” La sua presa sulla mia mano si fa più salda.

“Ti offendi se ti dico che l'ho fatto per puro egoismo? Non volevo che quell'altro ti si avvicinasse troppo. Più che principe, per me era il cattivo della situazione.”

“Come ha detto Ade, io il mio principe ce l'ho già. Non me ne serve un altro.”

Quando mi lascia un delicato bacio sulle labbra prima di scendere dalla macchina, giuro che potrei morire adesso e sarei l'uomo più felice della Terra.

Scendo anch'io, e lei ha già preso il piccolo trolley che si era portata dietro al reality.

“Ho parcheggiato il mio destriero poco più avanti, devo andarlo a recuperare. Purtroppo non credo che daranno dei balli qui in zona, va bene lo stesso se ti porto fuori a cena, stasera?”

Lei ridacchia al mio tentativo di stemperare la tensione. “Direi che è perfetto... A patto che non debba mettermi né in abito da sera né portare i tacchi.”

“Penso di poter accettare il compromesso.”

Ci diamo appuntamento a più tardi, e per la prima volta dopo molto tempo mi sento felice, davvero felice.

Forse è davvero questo che fa il destino, aggiusta da sé quello che non va, nel modo in cui mai ci aspetteremmo. Bisogna solo dargli tempo.

********

Ciao a tutti! Eccomi tornata dopo la sessione invernale, con un nuovo finale alternativo. Inizialmente ero incerta su questo episodio, considerato che la storia tra Anna e Marco è solo agli inizi, però poi ho ripensato all'idea del ballo presente in un'altra fanfiction, "Il potere della chimica" di Tvlover24 e ho pensato di ampliarla un po' e modificarne l'esito. Spero di averle reso giustizia!
Grazie anche a Clarissa per il supporto e i consigli!
Se vi fa, lasciate un commento, mi farebbe piacere!
Alla prossima,

Doux_Ange

 


 

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Capitolo 12
*** Pene d'amore ***


 
 

PENE D'AMORE

 

La parte compresa fra i tre asterischi (***) segue lo svolgimento regolare della puntata, oltre gli asterischi la parte alternativa. Come sempre, grazie a Clarissa per il brainstorming. Buona lettura!

 

***Anna oggi mi sembra particolarmente agitata, e non capisco perché. Okay, il caso su cui stiamo iniziando ad indagare non è dei più semplici, ma lei non è una che si fa prendere dall'ansia per mancanza di indizi.

Incontro lei e il Maresciallo all'ingresso della Caserma dopo il loro sopralluogo all'ospedale dov'è ricoverato il bambino nato prematuro. Stiamo ancora discutendo quando Anna apre la porta del suo ufficio, ed esclama, “Mamma! Ancora qui?”

Io mi blocco sui miei passi.

 

“Certo! Dove vuoi che vada, tutta sola...!” Commenta una donna bionda e ben vestita, che deduco essere quindi sua madre, in tono che sottolinea l'ovvietà della cosa.

Ah. Ecco spiegato il motivo dell'agitazione, quindi. È bastata una frase per farmi capire che la signora è l'esatto opposto di Anna, in quanto a carattere. E pure per lo stile, decisamente.

“Non mi presenti i tuoi colleghi?”

Io entro lentamente in ufficio, trattenendo a stento un sorriso ironico. Ma sì, meglio cercare di fare una buona impressione e svignarmela.

“Certo...” risponde il Capitano, in imbarazzo. “Conosci già il Maresciallo Cecchini, e lui è... ehm...”

“Marco Nardi, il PM.” Mi presento da me, facendo il baciamano alla signora, che scopro chiamarsi Elisa.

Anna mi lancia un'occhiataccia, che mi diverte ulteriormente.

“Son venuta a fare un salutino ad Anna e Giovanni. ...Lo conosce, no, Giovanni?”

Annuisco, eccome se lo conosco.

“...Il suo fidanzato?”

Io spalanco gli occhi, interdetto. Fidanzato? Perché, si sono rimessi insieme e io non ne so niente?

Uno sguardo eloquente di Anna e Cecchini mi fa capire che devo reggere il gioco. Okay, ora ti sistemo io. Ti ho beccata a dire una bugia, ora vedi!

“Certo! Sì, sì, sì, sì, è... un grande!” A farsi sfuggire Anna, sì. Ehm. “È un ragazzo... d'oro! Anna è davvero una donna fortunata!” Rincaro la dose, girandomi ad osservarla e trattenendomi dallo scoppiare a ridere: sta facendo di tutto per non picchiarmi ma nella sua testa sono convinto me ne avrà dette di tutti i colori. Ma dai, come potevo non approfittarne? Quando mi ricapita, di poterla prendere in giro senza che lei possa reagire?

“Beh, io vi lascio perché immagino abbiate molto di cui parlare. Madame,” faccio un leggero inchino alla signora Elisa prima di svignarmela senza però smettere di tenere d'occhio Anna, che ha tutta l'aria di voler sparire.

Uscendo, colgo le parole della signora che mi elogia in un modo incredibile, e anche se il suo giudizio risponde relativamente alla realtà (perché se è vero che sul lavoro sono serio e realizzato, lei si riferiva a livello più personale e, beh, lì sono serio a seconda dei momenti, ma non questo), non capisco cosa c'entri il dovermi presentare a Chiara, che se non ricordo male dovrebbe essere la sorella di Anna. No, grazie. Sto bene così.

Anche perché, in quel caso, non potrei flirtare più con Anna.

Flirtare, hai detto, Marco? Quindi non sono solo battutine per prenderla in giro?

Mi blocco un secondo sulle scale, cercando di capire da dove sia venuta fuori questa vocina, adesso.

Scuoto la testa.

Meglio lasciar stare.

 

[…]

 

Più tardi, mi richiamano perché hanno trovato un possibile sospettato: una delle guardie ha avuto una relazione con la detenuta morta, mettendola incinta mentre era in carcere. Senza un alibi adeguato, ha tutte le carte in regola per essere l'assassino della ragazza.

Mentre Ghisoni lo porta via io rispondo a una chiamata, ma mi affretto a staccare sentendo la interessante conversazione tra Anna e Cecchini: a quanto pare sua madre, incontrando Giovanni per caso, ha capito erroneamente che lui le abbia chiesto di sposarlo. Lei sembra in preda al panico, e il Maresciallo tenta di tranquillizzarla dicendole di lasciar credere la storia alla madre, tanto si tratta solo di due giorni, e di fidarsi di lui. Mi rendo conto che, nonostante i dissidi iniziali, anche Cecchini si sta affezionando molto ad Anna, ed è una cosa che mi fa molto piacere.

“Va bene!” acconsente lei infine, chiaramente terrorizzata e portandosi una mano al petto come se le mancasse l'aria. “Non si abitui, perché non vedo altre possibilità...”

Io ne approfitto per avvicinarmi, e per dire la mia.

“E fu così che vissero tutti felici e in convento!” Dico in tono drammatico.

“L'interrogatorio è finito, non te ne dovevi andare?” Mi chiede Anna, inviperita.

“Sto andando, sto andando, mi scusi.” faccio, rivolto a Cecchini in modo che mi faccia passare.

“Ma che scherza, è una cosa seria!” Mi rimprovera lui.

Io non resisto. “Scusate, ma ho sentito, era un invito a nozze...” infierisco, passando in mezzo a loro due.

“Vai!” mormora rabbiosa lei, ormai al limite della sopportazione, con un chiaro gesto che mi indica la strada, e non quella d'uscita.

“Sto andando, non ti arrabbiare!”

“Ci gode!” Sento dire a Cecchini mentre esco, e non mi trattengo più dal ridere. Certo, non è stato carino da parte mia, però la tentazione era troppo forte.

E poi io adoro farla indispettire, è una cosa che mi piace da matti.

 

[…]

 

Dopo aver convocato il signor De Vitis, rimasto senza una gamba e vedovo nell'incidente provocato qualche anno prima dalla detenuta morta, la madre di Anna torna a presentarsi in ufficio convinta di doversi fare carico dell'organizzazione del matrimonio della figlia. Stiamo scendendo la scalinata d'ingresso quando la signora quasi inciampa, e io mio affretto a darle una mano, da perfetto gentiluomo.

“Confetti... allora, confetti...” elenca subito dopo aver riacquistato l'equilibrio, e con mio estremo divertimento vedo Anna tornare ad evitare il suo sguardo. “Poi bisogna prenotare la Chiesa e... Oh, Maresciallo, venga!” Lo chiama a voce alta non appena lo nota poco più avanti, intento a parlare con Don Matteo. Per una volta il Capitano non dice nulla, ha problemi peggiori a cui pensare. “Maresciallo, non ci siamo, ancora non ci siamo!”

“Non ci siamo, cioè... dove dovevamo essere?” Domanda lui, spaesato.

“Manca l'abito da sposa! Ci accompagni!”

Anna gli lancia uno sguardo supplichevole.

“Eh no, forse... a Spoleto non ci sono negozi che vendono abiti da sposa!”

Stavolta l'ha detta così grossa che scoppio a ridere senza pensarci, e perfino Anna scuote la testa, rassegnata.

“Ma non dica sciocchezze, lo so io dove si va, su!” Lo rimprovera la signora Elisa in tono pratico.

“Giusto, signora! Bisogna andarlo a comprare, quest'abito da sposa per il matrimonio con Giovanni, giusto?” Infierisco io girandomi a guardare Anna, che mi lancia uno sguardo che promette vendetta.

“Ehm... non ti preoccupare, mamma, non c'è bisogno che mi accompagni.” Tenta di sviarla lei, ovviamente senza successo.

“Non posso lasciarti andare da sola, saresti capace di sposarti in pantaloni! Muoviamoci,” continua, rivolta al Maresciallo.

“Ma che cosa c'entro io?” Chiede lui a ragione.

“Ma non vorrà lasciare due donne sole a fare un acquisto così importante!”

“È giusto!” Commento io. Se Anna non mi ammazza ora, non lo farà più in nessun caso.

“E poi ci vuole un uomo per... contrattare con le commesse...” Ho la netta sensazione che la signora non avrebbe bisogno di nessun aiuto, anche se lei sostiene il contrario. Queste sue affermazioni mi sembrano un tantino esagerate, come se una donna, da sola, non fosse capace di sbrigarsela. Anna di sicuro lo è, non ha bisogno della balia, al contrario di quello che a quanto pare crede sua madre.

“Pure lui è un uomo!” Tenta di svincolarsi Cecchini, indicando me. Io? No no, non scherziamo.

“No! No no no, Maresciallo, Lei è sposato!”

“Ma io sono sposato antico e i vestiti che andavano di moda una volta non vanno più di moda... ora...”

“No, ma... Lei ha proprio più dimestichezza in questo campo... Ha gusto!” Lo sto proprio buttando a capofitto in questa situazione di proposito, per vendicarmi delle volte che mi ha messo nei casini lui.***

 

“Sì, ma Lei è più giovane, il suo parere è più... fresco.” Ribatte Cecchini, con un tono a metà tra la supplica e la minaccia.

“Il maresciallo ha ragione, un suo parere sarà molto apprezzato. Forza, andiamo. Muoviamoci!” Ordina imperiosa la signora Elisa.

Anna e il Maresciallo la seguono, non prima di avermi rivolto uno sguardo disperato e, nel caso di Anna, rancoroso. Io mi trovo costretto ad accodarmi senza riuscire a pensare a una via d'uscita valida e, soprattutto, efficace.

Ma perché non tengo mai la bocca chiusa, io?

 

Durante il breve tragitto a piedi che dobbiamo fare, la signora Elisa si tira accanto Cecchini, iniziando a parlare ininterrottamente, con lui che cerca di assecondarla come può. Io ne approfitto per avvicinarmi ad Anna, che li segue a qualche passo di distanza.

“Sono pratico anche di inviti, se vuoi una mano...” La prendo in giro a bassa voce.

Lei mi rivolge uno sguardo furibondo. “Ma non avevi niente di meglio da fare, tu? Mi sa che sei tu quello che parla a sproposito, altro che Cecchini.” Mormora, cupa.

“No, avevo proprio voglia di venire con voi, guarda. Anzi, visto che siete ancora in alto mare con i preparativi, se vuoi mi propongo come testimone. O chierichetto...”

Mi salvo dalla sfuriata di Anna solo perché sua madre sceglie quel momento per girarsi verso di noi.

“Anna, tesoro, tutto bene?”

“Benissimo,” le risponde lei a denti stretti, prima di rivolgermi un'occhiata di fuoco che non promette nulla di buono. Nascondo una risata a testa bassa. Almeno per questa volta l'ho scampata.

 

Quando arriviamo all'atelier, si vede che le commesse sono un po' sorprese. Anna è l'immagine del disagio.

Una delle ragazze si fa avanti, e ci indica di seguirla.

“Questi sono i modelli più gettonati della nostra collezione. Avevate già qualcosa in mente?” Chiede.

“No... Cioè, a dire la verità non ci avevo ancora pensato, ecco...” Mormora Anna, esitante. Interviene sua madre.

“Corpetto con le stecche, pizzo francese Leavers, e la gonna a ruota, taglio unico, con lo strascico.” Snocciola tutto d'un fiato. Io non ci ho capito una parola, e a quanto pare neanche gli altri, a parte la commessa che sorride ed esclama: “Okay, torno subito!”

Lancio uno sguardo ad Anna, che ha un'espressione terrorizzata.

Forse non è stata una buona idea. Sembrava divertente prima, ma adesso...

“Senta signora,” interviene Cecchini, “questi vestiti gettonati costano un occhio della testa...” tenta di dissuaderla, ovviamente senza successo come al solito.

“Ho avuto modo di pensarci,” lo contraddice lei, estasiata, “Mi sembra un sogno!”

“Mamma, io ti devo dire una cosa importante...” prova di nuovo Anna, con la voce leggermente tremante. Forse inizio a capire i suoi timori.

La signora annuisce appena, prima di voltarsi e strillare “È lui!”, facendo saltare in aria tutti e tre. Cosa, è lui?

“Perché deve gridare sempre?” Mormora Anna, indispettita per essere stata interrotta.

Ci giriamo anche noi, e notiamo la commessa con un abito alla mano.

“È meraviglioso! Tesoro, provatelo!” Elisa incita la figlia, incoraggiandola a seguire la ragazza dell'atelier.

 

Io mi blocco per qualche istante.

'Provatelo'? Anna dovrà... indossare quell'abito?

Certo che deve, mi dico. Siamo qui apposta.

Sì, ma io non è che avevo detto sul serio. Era uno scherzo.

Non lo è più, così.

Diventa troppo vero, se lo indossa.

E io non dovrei essere qui.

 

Anna ci rivolge uno sguardo sconfitto. “Sì sì, mamma, adesso me lo provo,” si arrende, seguendo la ragazza in un'altra stanza.

“Che ne pensate?” Ci chiede allora Elisa.

“Di gusto, di gusto...” fa il Maresciallo.

“E lei?”

Lei, io?

“Ehm... molto bello.” Deglutisco. “Anna starà benissimo.”

“Sì, lo penso anch'io!” Concorda lei. “Oh, che bello!”

 

Non appena Anna sparisce dietro la porta socchiusa, la signora fa cenno a Cecchini di avvicinarsi.

Gli dà una sistemata alla giacca e alla cravatta, poi gli spiega. “Ho da dirle una cosa.”

Noto che il tono che sta usando adesso è diverso, sembra più serio. “Come Lei sa, Anna non ha più il padre, e... ecco, insomma... pensavo che potrebbe accompagnarla Lei all'altare.”

Io sento la gola farsi secca improvvisamente.

“Io?” Mormora allora il Maresciallo. “Per me sarebbe un vero onore.” Dice poi, commosso, e noto i suoi occhi diventare appena lucidi, come quelli di Elisa.

Mi sento improvvisamente di troppo.

All'inizio era un gioco, questo, fatto per prendere in giro Anna. Adesso mi rendo conto che forse ho esagerato.

L'idea di un matrimonio, anche se finto, è stata troppo azzardata. Forse porta con sé un bagaglio più pesante di quanto avessi sospettato.

Non conosco le circostanze della scomparsa del signor Olivieri, ma ho capito che Anna ci soffre molto. Avevo sottovalutato questo aspetto. Insieme a molti altri.

Non ho pensato che avrei potuto farle male.

Abbasso lo sguardo a terra.

Non ho pensato a come mi sono sentito io quando il mio matrimonio è saltato. E anche il suo è saltato, in un certo senso. Obbligarla a tutto questo è stato crudele, da parte mia. Solo ora me ne rendo conto.

 

Sono grato per il fatto che Elisa non mi chieda niente al riguardo, trepidante com'è nell'attesa di vedere sua figlia.

Dopo qualche altro istante, la commessa apre le porte della sala adibita a camerino e si scosta per far uscire Anna.

 

Il fiato mi si blocca in gola.

 

È... è una visione.

Con i capelli sciolti sulle spalle e quell'abito bianco, è di una bellezza mozzafiato.

Anzi, bellissima è dir poco. Un angelo.

 

La signora Elisa è chiaramente commossa, ma Anna è a disagio, e fa un respiro profondo.

“Mamma, volevo dirti che... cosa c'è? Perché piangi adesso?” Sussurra però, le guance arrossate e gli occhi vagamente lucidi. Noto una strana espressione sul suo viso, ma non ho tempo di indagare oltre. O meglio, non riesco a concentrarmi abbastanza. Non con lei.... così.

“Non... non hai mai voluto ascoltarmi... Guardati, ora... Sono così felice!” Esclama sua madre tra le lacrime, prendendole una mano. “Allora, non è una meraviglia?” Chiede, rivolta a me e Cecchini.

“Sì, è vero, le sta molto bene...” Sento dire al Maresciallo, ma per qualche strano motivo la sua voce mi arriva come attutita, distante. Io sono ancora troppo colpito per fare qualcosa.

“Lei che ne dice, Nardi?”

Sento fare il mio nome, ma temo di non aver ancora capito come fare a ricollegare bocca e cervello.

È davvero troppo, troppo bella.

“... Marco?” Mi chiama allora Anna, esitante. Incontro il suo sguardo incerto, e per qualche ragione a me sconosciuta sento le gambe tremare. Però mi basta sentire la sua voce chiamare il mio nome per riprendermi abbastanza da poter articolare qualche parola.

“...un incanto.” Mormoro, rapito, senza riuscire a staccare gli occhi da quelli di lei, che arrossisce vistosamente.

Sento Cecchini schiarirsi appena la gola, e mi riprendo di colpo da quella trance in cui sembravo essere caduto. Anna sbatte più volte le ciglia, come se anche lei si fosse “risvegliata” solo ora da quegli attimi in cui sembravamo esserci solo noi due, e nessun altro.

“Sono d'accordo,” commenta Elisa, che a quanto pare non si è accorta di nulla. “Cos'è che volevi dirmi, amore?” Chiede poi alla figlia con tono affettuoso, ricordandosi della frase appena accennata da Anna.

Lei rivolge per un istante uno sguardo a Cecchini e poi a me, prima di abbassarlo e ingoiare a vuoto.

“Grazie per avermi accompagnata...” Sussurra, ma capisco che non è quello che avrebbe voluto dirle.

Elisa sorride, mormorando ancora “Una dea!” Ecco, forse è questa la descrizione più adatta.

La commessa si avvicina. “Allora? È quello giusto?” Le chiede.

“Devo pensarci un attimo,” sorride Anna con fare gentile, ma intuisco dal suo sguardo che vorrebbe essere da tutt'altra parte.

La ragazza le consegna allora un catalogo, così che possa aver modo di vedere anche altre proposte.

Per i dieci minuti in cui la attendiamo mentre torna a indossare la divisa, restiamo tutti in silenzio. La madre di Anna è ancora presa dall'emozione del momento, Cecchini ha un'espressione incerta, ma sono convinto che sul mio ve ne sia stampata una colpevole.

Sulla strada del ritorno, Elisa è l'unica a parlare: Anna si limita ai monosillabi, così come Cecchini. La salutiamo mentre lei torna all'appartamento insieme al Maresciallo, che ha finito il suo turno, mentre io seguo Anna in caserma.

Ci dirigiamo dritti verso il suo ufficio. Io aspetto che lei chiuda la porta prima di dire qualsiasi cosa.

Quando sono certo che nessuno ci verrà a disturbare, mi avvicino di qualche passo e, con tutta la delicatezza che riesco a mettere insieme, le chiedo, “Tutto bene?”

Lei tiene gli occhi piantati a terra. “No.”

Respira a fondo prima di riprendere a parlare, con mia enorme sorpresa.

“Sono solo una vigliacca.”

Io provo a contraddirla, ma non me lo permette.

“Sì, lo sono!” continua, e il suo tono adesso si fa pieno di rabbia. “C'è sempre stata mia madre che mi assillava con le sue convinzioni! 'Se diventi un carabiniere, non sposerai mai un uomo', mi diceva, 'perché gli uomini non vogliono donne che comandano, vogliono donne che ascoltano... che gli stanno vicino, se no poi quelli prendono altre direzioni...'” Arrivata dietro alla sua scrivania, abbassa lo sguardo sul catalogo che ancora tiene in mano. “E c'aveva ragione... C'aveva ragione su tutto.” All'improvviso scaglia con forza il libro sul tavolo, facendomi sussultare. Poi torna a guardarmi, e nei suoi occhi vedo solo dolore e rammarico. “È che mi dà fastidio dover ammettere di aver fallito, di sentirmi dire di nuovo 'te l'avevo detto'...” Io non riesco a sostenere il suo sguardo luccicante di lacrime, ma mi sforzo di ingoiare il groppo in gola che sento e fare qualcosa per lei.

Per aiutarla, stavolta.

“Tua madre non aveva ragione, non su questo.” Mormoro, tentando di mantenere ferma la voce.

Questa situazione ha un qualcosa di fastidiosamente familiare, che fa male anche solo a pensarci, ma al contempo mi fa rendere conto di cosa io abbia fatto passare senza volerlo ad Anna.

Lei mi rivolge uno sguardo incerto, per cui prendo un bel respiro e decido di rivelarle qualcosa di mio.

“So che può sembrare cattivo da dire, ma è la verità. Sul serio, so di avertelo già detto, ma... io credo che avresti potuto essere chiunque, anche cercare di essere diversa da quello che sei, e non sarebbe cambiato nulla. Non prenderla come una cosa negativa, anzi...” preciso, quando noto che ha abbassato lo sguardo.

Mi rendo conto che siamo ancora in piedi. “Vieni,” le dico allora, invitandola a sedersi su uno dei due divanetti in un angolo della stanza. Lei annuisce, prendendo posto sul sedile opposto al mio prima di tornare a guardarmi, in attesa che io continui.

“Dicevo... non prenderla come una cosa negativa, perché... io credo che non ci dovrebbe essere bisogno di cambiare, di essere diversi, solo per compiacere gli altri. Si rischia solo di stare peggio. E di essere... buttati da parte quando si cerca di farsi sentire. Te lo dico perché ci sono passato. Con la mia ex. E ti assicuro che cercare di accontentarla nel mio caso non è servito affatto, anzi...” Rido senza allegria, pensando a come mi ha ripagato Federica. “Giovanni ha preso quella decisione a prescindere dal fatto che tu sia un carabiniere, e so che lo sai anche tu, che è così. Non sarà andata come immaginavi, non come voleva tua madre, magari, ma non significa che hai fallito. Anzi... forse doveva solo... andare così. Non devi fartene una colpa.”

Anna mi regala un piccolo sorriso, che vale più di mille parole, perché mi fa capire che ha accettato il mio tentativo di consolarla, la mia confessione e che, nonostante mi sia esposto abbastanza dicendole quelle cose, non mi sta giudicando.

“A proposito, ti chiedo scusa. Mi rendo conto di aver esagerato a dare manforte a tua madre così. Pensavo si sarebbe limitata a entusiasmarsi all'idea dei preparativi, ma... ho sottovalutato l'impatto che avrebbero avuto le mie parole, non pensavo mi avrebbe preso alla lettera. Volevo solo prenderti un po' in giro, nient'altro, giuro. Non intendevo metterti in questo casino.”

“Non importa, lo so, l'ho capito. Mi sarei preoccupata se non avessi approfittato della situazione per sfottermi, sai...” Ridacchia. Io incasso il colpo alzando le mani in segno di resa. “Ora che hai conosciuto mia madre per bene, però, mi auguro ci penserai meglio prima di provocarla, la prossima volta.”

“Prometto che conterò fino a mille prima di parlare.”

“Ora non esagerare.” Alza gli occhi al cielo Anna. “Ho deciso di non dirle niente alla fine per non dispiacerla. Hai visto anche tu, è al settimo cielo, e anche se per poco, vorrei che si godesse il momento. Le dirò tutto tra qualche giorno, in qualche modo.” Sospira profondamente. “Non la vedevo così felice da... non so quanto. Anche se so che dev'essere stato brutto per lei chiedere al maresciallo di accompagnarmi all'altare. Per me lo è stato.”

“L'hai... sentita?” Chiedo con un filo di voce. Non so mai fin dove spingermi con questo argomento, mi sembra sempre di chiedere troppo.

“Sì, la porta era socchiusa. Io... solo in quel momento mi sono resa conto che l'idea del matrimonio comprendeva anche quell'aspetto. Non ho mai voluto pensarci. Ero piccola quando mio padre si è... quando l'ho perso,” mormora, e io mi sento mancare il fiato. È la prima volta che me ne parla. “ma l'idea di... sposarmi, anche se per finta, o comunque non ora, e sapere che in ogni caso lui non ci sarà... Non lo so, pensavo di averci fatto l'abitudine, ormai, ma...”

Mi accorgo che i suoi occhi traboccano di lacrime che minacciano di cadere da un momento all'altro. Guidato da non so quale strano istinto che sembra aver improvvisamente preso possesso di me, la bacio.

Il contatto è incerto, all'inizio, e non so chi tra noi due sia più sorpreso, ma nonostante ciò non riesco a trovare un buon motivo per allontanarmi, e nemmeno Anna, evidentemente.

Quando ci separiamo, l'imbarazzo tra noi è comunque palpabile.

Di' qualcosa! Forza! Non vorrai far finta di niente, mi auguro!

Faccio per aprir bocca quando il suo cellulare squilla.

“Ehm... devo rispondere, è mia sorella...” mi spiega Anna con un filo di voce. Io mi limito ad annuire.

Faccio del mio meglio per non sembrare invadente e origliare la sua conversazione, anche se non esco dal suo ufficio, e lei non sembra infastidita dalla mia presenza.

Quando stacca dopo qualche minuto, sospira pesantemente.

“Tutto bene?” Le chiedo, per la seconda volta in poco tempo.

“Sì... mia sorella voleva sapere come procede con nostra madre. Stamattina prima di uscire l'aveva sentita parlare di abiti e atelier, e ha immaginato i suoi piani per oggi, solo che non è riuscita ad avvertirmi prima.” Torna a sospirare, prima di alzare lo sguardo su di me. Vi leggo dentro molta incertezza.

“Sai, credo che questa cosa del matrimonio stia sfuggendo di mano. Ho capito che devo dirle la verità, anzi avrei dovuto farlo prima. Darle speranza per una cosa che non esiste non è stata una buona idea, non so perché ho dato corda al maresciallo.”

“Sa essere convincente, anche se in genere finisce per combinare casini e farci finire dentro altri. Te lo dico per esperienza...” Ridacchio, e lei fa lo stesso.

“Sì, avrei dovuto prevederlo, in effetti. Comunque... non voglio che ci rimanga ancora più male. Ho visto la sua reazione, prima, quando mi ha vista con quell'abito addosso, e un po' mi ha sorpresa... Era di sicuro più felice lei di me, e non credo sia così che dovrebbe essere...”

Poi vedo un sorrisetto furbo farsi strada sulle sue labbra, e lo sguardo di chi la sa lunga posarsi su di me. Le rivolgo un'occhiata interrogativa.

“Ripensandoci, non è stata la sua reazione quella che mi ha sorpresa di più...”

Io mi sento arrossire.

“...Ecco, io... ti... ti stava bene, e... ehm...” Balbetto. Eddai, Marco! Dille quello che hai pensato! Non è mica la prima volta che le faresti un complimento, questa.

Deglutisco, prendendo il coraggio a due mani.

“Eri bellissima.”

Stavolta è il suo turno, di arrossire, mentre un leggero sorriso imbarazzato le appare sul viso.

“Grazie...” Mormora, abbassando lo sguardo timidamente.

La sua reazione mi incoraggia, ma qualsiasi tentativo di aggiungere altro viene interrotto da un rumore nella stanza antistante, e ci voltiamo di scatto: Ghisoni è tornato su e si è lasciato sfuggire una cartella di documenti mentre era probabilmente alla ricerca di qualcosa.

Anna si alza, lanciando un'occhiata all'orologio appeso al muro di fronte.

“È... tardi. Dovrei andare, adesso, non vorrei che mia madre prenda iniziativa per mettermi sottosopra la casa come ieri sera...”

Corrugo le sopracciglia, senza capire.

Lei scuote la testa. “Ha pensato che fosse una buona idea chiamare Cecchini per fargli appendere tutti i quadri che è riuscita a trovare... se non fossi rientrata, casa mia si sarebbe trasformata in una galleria d'arte.” Spiega.

“Ah... allora in questo caso è meglio che tu vada a controllare, mi sa.”

Scendiamo giù senza aggiungere altro. Vorrei tanto dirle qualcosa su quel bacio, ma ho paura di fare una mossa sbagliata.

“Allora ci... ci vediamo domani.” Mormora Anna, quando raggiungiamo la scalinata d'ingresso.

“A domani.” La saluto, mentre lei mi rivolge un timido sorriso, prima di voltarsi e andare via.

 

***

 

In tarda mattinata, il giorno dopo, sono appena uscito dalla caserma dopo aver preso dei documenti, quando proprio lì in piazza incontro un amico e mi fermo a scambiare due chiacchiere con lui. Dopo qualche minuto, con la coda dell'occhio noto arrivare il Maresciallo in compagnia del Capitano e di sua madre, e anche da lontano capisco che c'è qualcosa che non va. Vedo il Maresciallo entrare in caserma, anche se non mi sembra contento di lasciarle da sole, così saluto il mio amico e mi avvicino, cercando di capire cosa si stiano dicendo le due donne.

“...che gli uomini li avresti fatti scappare.”

Suppongo abbia quindi scoperto che si sono lasciati.

“Lo so che me l'avevi detto, continui a ripetermelo.” Mormora Anna, tenendo gli occhi bassi.

“E credi che mi diverta?” riprende sua madre in tono di rimprovero. “Lo faccio per te! Io ho dedicato la mia vita a te e a tua sorella, e tu che cosa fai? Mi seppellisci sotto una montagna di bugie!”

“Mi dispiace.” sussurra di nuovo Anna, e dalla sua voce capisco che sta cercando in tutti i modi di non piangere. Io non riesco a credere alla scena che si sta svolgendo davanti ai miei occhi. Davvero si sta scusando per una cosa del genere? Per aver cercato di non darle un dispiacere?

“È a me che dispiace,” la contraddice la signora, “sei riuscita a deludermi anche tu.”

Anna non fiata, ma torna ad abbassare lo sguardo e annuisce, sconfitta, prima di girarsi e incamminarsi verso la caserma.

Non ce la faccio, non sopporto di vederla stare così male. Di vederla incassare quelle parole così ingiuste senza far niente.

“Deluderla?” esclamo, esterrefatto, avvicinandomi a sua madre. Anna si ferma, e so che forse sto sbagliando a mettermi in mezzo, ma davvero ne ho abbastanza. Non ha nessun diritto di dirle quelle cose. “Lei dovrebbe essere orgogliosa di avere una figlia come Anna! Una figlia che ogni giorno viene a lavorare con passione, e che sa ascoltare le persone...” Scuoto la testa, incredulo, voltandomi a guardare la donna che, da quello che ho avuto modo di vedere, si è comportata al contrario di come dovrebbe fare una madre. “Come fa a non rendersene conto? Io sono solo un collega, eppure l'ho capito subito... Anna fa un lavoro da uomo, vero... È più donna di tutte quelle come voi! Voi volete incasellare gli altri, cambiarli, renderli migliori... migliori per chi?” Deglutisco a forza, trovandomi di nuovo, per l'ennesima volta nella stessa situazione. “Voi ci chiedete di cambiare, ma quando ci riuscite vi stancate...”

“Ma Lei come si permette?” Mi interrompe sua madre, probabilmente scioccata dalle mie parole. “Io amo mia figlia, non mi stancherei mai di lei!”

“E allora se la ama non le chieda di cambiare, e la ami per quello che è... perché non è niente male.”

Mi volto per un attimo a guardare Anna, ancora ferma a metà strada a darci le spalle, prima di salutare sua madre e andarmene.

Meglio non entrare in commissariato adesso, ho bisogno di riflettere, e anche lei avrà bisogno di pensare. Spero solo che domani non sarà troppo arrabbiata con me.

 

La sera, a casa, la mia mente è rivolta ad Anna.

So che ho sbagliato a intromettermi, la situazione non mi riguardava affatto, però non ce l'ho fatta, a resistere. Non me la sono sentita, di lasciarla lì a subire senza dire niente. Di vederla sull'orlo delle lacrime, ferita dalle parole della persona che dovrebbe amarla e sostenerla di più.

Ha già perso suo padre, anche se non ne conosco il motivo o i dettagli tranne quelli che mi ha raccontato ieri – e tanto mi basta per sapere che si tratta di una ferita ancora aperta, quindi a maggior ragione sua madre dovrebbe aiutarla, non buttarla giù in quel modo.

 

Ripenso anche a quello che le ho detto io.

Ho di nuovo fatto riferimento alla mia esperienza personale, per la seconda volta in due giorni, e so bene che Anna avrà collegato con le cose che le ho raccontato ieri. Mi accorgo che senza rendermene conto ho capito che lei non ha mai fatto niente per cambiare il mio comportamento. A parte qualche battuta sul mio abbigliamento, o la mia mania di scherzare anche a sproposito, non ha mai detto nulla. E comunque anche quelle osservazioni le ha sempre fatte senza malizia o secondi fini.

Anche il fatto che non sia niente male... lo pensavo davvero. Ho capito che è in gamba, che è determinata, ma che sa essere anche dolce e sensibile.

 

Deglutisco a vuoto, ripensando al bacio che ci siamo scambiati in caserma e di cui non abbiamo ancora avuto modo di parlare.

 

È stato un gesto dettato dall'istinto, ma mi rendo conto adesso che lo rifarei senza pensarci due volte.

 

Ho capito che... mi sto innamorando di lei.

 

Anna's pov

 

Il pomeriggio, quando torno a casa ho quasi paura di affrontare mia madre, dopo quello che è successo stamattina fuori dalla caserma.

No, non per il fatto che abbia scoperto la verità su me e Giovanni, quella ho tentato di dirgliela in tutti i modi, anche ieri sera, ma non mi stava mai ad ascoltare come al solito, quindi ero tornata al piano originale di dirglielo per telefono, senza considerare la questione della casa che pensavo avesse lasciato stare.

È stato abbastanza umiliante, a dire il vero, che lo venisse a sapere in quel modo, e ancor di più sentirmi dire che sono una delusione.

Non che sia la prima volta che mi dice di non essere contenta del mio comportamento, anzi a dirla tutta non ha mai accettato l'idea che facessi il carabiniere e non lo ha mai nascosto, però questo riguarda la mia vita, la persona con cui dovrei passarla, e sinceramente non avevo il minimo bisogno della sua delusione perché mi sono già considerata una fallita senza che si mettesse di mezzo lei. Però sono giunta alla conclusione che in fondo non la volevo nemmeno io, una storia passiva come lo era diventata la nostra. È chiaro che vogliamo cose diverse, ed è stato meglio così. Okay, avrei dovuto dirglielo prima, ma non c'era bisogno che facesse tanto la melodrammatica, anche se nel suo caso è un'abitudine.

 

Quando apro la porta, non la trovo in casa. Tiro momentaneamente un sospiro di sollievo e vado a cambiarmi in qualcosa di più casalingo.

Dopo una decina di minuti la sento rientrare.

Mi saluta appena, dicendomi che prepara i bagagli per andar via mentre scompare nell'altra stanza.

Mi trattengo dall'urlare per la frustrazione.

Detesto quando fa così.

 

Mentre lei prepara il trolley, io mi concedo di ripensare al bacio di Marco, ieri sera in ufficio.

Sento le farfalle invadermi lo stomaco.

Non è un gesto che mi sarei aspettata... non in quel contesto, e soprattutto non da lui. Forse.

Sinceramente non so come sentirmi di fronte a quello che è successo in questi due giorni.

So che le sue frecciatine e battute le ha fatte solo per prendermi un po' in giro, e paradossalmente è finito per trovarsi in mezzo anche lui con la faccenda dell'abito.

L'idea di doverne provare uno mi ha messo su un nervosismo che non provavo dal mio primo esame all'università, credo, ma non è stato niente in confronto a come mi sono sentita quando mamma ha imposto anche a Marco di venire con noi.

Mi ha già vista in abiti eleganti più di una volta, e anche con molto meno addosso, visto quegli assurdi costumi da bagno che mi hanno costretta a mettere al reality, ma un abito da sposa... è diverso.

E dentro di me, anche se non lo ammetterei ad alta voce nemmeno sotto tortura, pensavo che lui, lì con noi, non dovesse starci, perché... lo sposo non deve vedere l'abito della sposa prima del matrimonio.

Sì, lo so che è assurdo, perché: uno, io non devo sposarmi davvero; due, non è lui lo sposo, in ogni caso; tre, non c'è niente tra di noi.

O almeno, non c'era fino a quel momento. Non consapevolmente almeno da parte mia. Forse.

Perché se ho pensato quelle cose, forse...

Forse niente. È troppo presto.

Però... ho ricambiato il suo bacio, non mi sono tirata indietro.

Arrrgghh. Ma che mi prende?

Io non vado in giro a baciare la gente così, senza prima essere sicura che ci sia qualcosa.

Allora questo dovrebbe farti pensare.

 

Una strana sensazione si fa strada nel mio stomaco, e mi vedo costretta a sedermi. Le mie gambe non reggono.

Sono sicura che sul mio volto c'è solo sconcerto.

 

Mi... mi sto innamorando di Marco?

 

Un rumore mi fa momentaneamente distrarre: mia madre è appena tornata in cucina e ha appoggiato il trolley accanto al divano.

Cerco di ricompormi.

“Allora parti domani...”

“Sì, prendo il primo treno e tolgo il disturbo.” Fa lei, funerea.

Cerco di trattenermi dallo sbuffare, anche se con scarsi risultati. “Mamma, non dire così.”

“E invece è così,” mi contraddice lei, voltandosi finalmente a guardarmi. “Mi pare chiaro che non ho fatto altro che darti fastidio, e non solo in questi giorni.”

“Non è vero, tu hai sempre fatto tantissimo, sia per me che per Chiara...” Tento di spiegarle. “Hai sempre rinunciato a te stessa per noi-”

“E allora perché mi trattate così?” Mi chiede, rimettendosi a piangere. Ma il trucco non funzionerà, non stavolta.

“Perché non te l'ho mai chiesto, mamma!” Esclamo, sfogandomi, finalmente. “Non voglio che i tuoi sacrifici siano per me, non voglio che i tuoi desideri riguardino me... Voglio essere libera di sbagliare, di deludere me stessa... ed è troppo pensare di deludere anche te.” Ammetto. È ora che anche io viva la mia vita, senza dover pensare per forza alle sue reazioni.

“Ma... ma tutto quello che ho fatto, io l'ho fatto solo con amore, e per amore!”

“E io ti ringrazio per questo! Ma adesso basta... fai qualcosa per te! Realizza i tuoi sogni, non i miei...” Le dico, stavolta cercando di trattenere le mie, di lacrime. “Vuoi andare in India? Prendi i soldi e vai, vai! Guardami....” La obbligo, deve capire. “Sono un Capitano dei Carabinieri... Sono single, forse quell'abito da sposa non lo indosserò mai, però... Ma non ho più bisogno di te, anche se ti amo, immensamente.”

“Lo so...” Mormora lei, ma stavolta non le impedisco di piangere. So che finalmente si è resa conto di cosa volessi dirle. “È solo così difficile ammettere che tua figlia è diventata una donna...” Mi dice, abbracciandomi. Io non posso far altro che ricambiare.

Anche se mi fa diventare matta, a volte, è pur sempre mia madre, e le voglio bene.

 

Ci separiamo dopo qualche istante, e io mi affretto ad asciugarmi gli occhi. Non mi va di piangere ancora. Non per questo.

Mamma riprende a sistemare la valigia, e ce ne stiamo ognuna nei propri pensieri per diversi minuti. Poi noto che si ferma, pensierosa, prima di voltarsi verso di me con un'espressione dubbiosa in volto.

“Quel tuo collega, il Pubblico Ministero... com'è che si chiama? Non ricordo.”

Io corrugo le sopracciglia. “Marco... perché?”

Lei esita prima di rispondere: passano alcuni secondi, nei quali lei mi scruta, fissandomi dritta negli occhi.

Perché mi guardi così, mamma? Non avrai intuito i miei dubbi, vero?

“È curioso, che tu lo chiami per nome, sai? E, a tal proposito, mi è sembrato un po' troppo coinvolto, in questa storia.”

Deglutisco a vuoto.

“Ma no, che dici...”

“Dico solo quello che ho visto. Lui sapeva, vero, che tu e Giovanni vi eravate lasciati da tempo?”

“... Sì.” Non mi piace, questo discorso.

Mi rivolge uno sguardo indagatore.

“Non c'è niente che devi dirmi, su di lui?”

No no no, non scherziamo con queste cose.

“Non mi sembra...” Faccio, con una voce più acuta del normale. Anna, eddai!

“Io, invece, qualcosa da dire ce l'avrei. E ho come l'impressione di aver frainteso qualcosa.” Ribatte mia madre, con un tono che non riesco a identificare bene. In che senso, frainteso?

Cerco di pensare velocemente a qualcosa da replicare senza 'compromettere' la mia situazione, ma come al solito lei mi precede.

“Mi è sembrato molto... disponibile, a venire con noi all'atelier.”

“Gliel'hai detto tu, di venire...” borbotto a mezza voce. Non è che gli abbia lasciato molta scelta. Non si può mai dire di no, a lei.

“Ma non l'ho mica costretto. Avrebbe potuto benissimo opporsi con più forza, inventare un impegno, e invece non l'ha fatto. Ma non è questa la cosa che mi ha colpito di più, sai? Naturalmente senza contare l'episodio di stamattina.”

Abbasso lo sguardo, ripensando al momento in questione. In effetti, non ha protestato più di tanto...

Ma sai benissimo anche tu che, con tua madre, è inutile opporsi. L'ha solo assecondata.

“Quando sei uscita con l'abito addosso... non era l'espressione di un uomo che guarda una collega, la sua.” Afferma, rimarcando la parola 'collega'.

Sento il viso in fiamme di colpo. Allora se n'è accorta anche lei.

“Era una situazione strana... non è che in genere vado in giro in abito da sposa...” Cerco di minimizzare.

“Oh, andiamo!” Sbotta lei, all'improvviso, facendomi trasalire. “Capisco la sorpresa, ma lo sai benissimo anche tu, che il suo sguardo diceva altro.”

Punto gli occhi a terra.

Questo argomento mi mette a disagio, soprattutto con lei.

Non so nemmeno io cosa provo, e le parole di mia madre non fanno che confondermi ulteriormente. Vorrei riuscire a dire qualcosa, ma il fiato sembra essersi bloccato in gola, e la situazione non mi aiuta affatto. Lei quindi continua, approfittando del mio silenzio.

“E le parole di... 'Marco', stamattina, mi hanno dato ulteriore motivo per credere che ci sia del tenero, tra voi.”

Spalanco gli occhi, tornando a guardarla dopo diversi minuti.

...cosa?

“De-del... no, no, non... non c'è... niente tra di noi,” biascico, senza riuscire a impedire alla mia voce di tremare.

Perché la mia voce deve tremare ora?!

Perché, niente niente, forse, non è vero.

Quel bacio dove lo mettiamo?

Ti sembrava niente?

Proprio ora dovevo pensarci?!

Stringo gli occhi, portandomi le dita alle tempie, per cercare di placare la mia lotta interiore.

Mia madre, però, sembra aver frainteso.

“Non sarà mica lui la vera ragione per cui tu e Giovanni vi siete lasciati, vero?”

“Che c'entra Marco?” Chiedo, sinceramente perplessa.

“Non so, magari siete stati un po' troppo... vicini, ecco, e hai trascurato Giovanni... Agli uomini non piace, essere trascurati, soprattutto a favore di altri.” Mi spiazza, con un tono di rimprovero.

Non avevamo fatto pace cinque minuti fa, e deciso che la mia vita la vivo a modo mio?

Sento un leggero mal di testa minacciare di esplodere.

“Mamma, non c'è davvero niente tra me e Marco. Cioè, non stiamo insieme, se è questo che pensi.”

“Questo non vuol dire nulla. Forse niente di concreto, ma... certi sguardi, certe parole... si possono giustificare solo in un modo. Con i sentimenti. E non mi riferisco solo al suo comportamento.” Mi dice poi, con un'occhiata eloquente e severa.

Mi impongo di restare calma, anche se una vocina nella mia testa mi urla l'opposto.

“Mi sembrava che avessimo detto che si tratta della mia vita.”

“Buttare al vento la tua storia con Giovanni per una cotta da nulla non è una cosa da sottovalutare.”

“Chi dice che sia una cotta da nulla?!” Esplodo, rendendomi conto solo dopo di cosa ho detto.

Mia madre sembra spiazzata dalla mia risposta, ma non quanto me.

L'ho detto sul serio.

Cavolo, l'ho detto sul serio.

E ora?!

Cerco di correggere il tiro. “Ehm... volevo dire che... che non c'è nessuna cotta e, se anche fosse, non c'entrerebbe nulla con il mio rapporto con Giovanni,” rettifico, cercando di mantenere ferma la voce il più possibile.

Lei, però, mi rivolge un'occhiata che mi fa capire che non mi crede.

“No, certo... è molto più che una sbandata.” Fa un sospiro profondo, poi aggiunge. “Credo che solo il tempo potrà aiutarti a capire. Cerca solo di non metterci troppo.”

A questo proprio non so cosa rispondere, ma lei sembra non aspettarsi nulla, perché torna a sistemare i vestiti in valigia quasi come se niente fosse, lasciandomi in piedi a riflettere su quanto è appena successo.

 

Ho l'impressione che mi aspetti una nottata molto lunga.

 

 

Marco's pov

 

La mattina dopo, decido con molta riluttanza di andare da Anna, in ufficio. La devo affrontare prima o poi, e magari se lo faccio subito sarà meno difficile sopportarlo.

Così quando arrivo alla sua porta, stranamente aperta, la trovo seduta su una delle due sedie poste davanti alla sua scrivania, così che mi dà le spalle. Busso battendo piano il pugno contro lo stipite. Voglio darle la possibilità di ignorami o cacciarmi, se vuole. Dopo il mio sfogo di ieri mattina, ne avrebbe il diritto.

Anna si volta a guardarmi, e ho come l'impressione che mi stesse aspettando.

“Chiudi la porta, per favore.” si limita a mormorare lei, alzandosi e invitandomi ad entrare.

Io faccio quanto mi dice e poi mi avvicino, mantenendo lo sguardo basso.

“Per quanto riguarda ieri con mia madre...” esordisce, ma io la blocco. Non voglio che sia arrabbiata con me. Ci ho pensato, e non riesco nemmeno a sopportare l'idea che lo sia.

“Non dovevo intromettermi, lo so.”

“Grazie.” Mi dice invece lei, spiazzandomi. Alzo lo sguardo, e vedo che sorride. Non me lo aspettavo, questo.

“Di... di niente. Spero di non aver causato troppi danni,” azzardo. Avendo avuto a che fare con la signora, non sarebbe da escludere.

“No... Almeno, non quelli che credi tu.”

Sto per chiedere cosa intenda, quando la nostra conversazione viene interrotta da Zappavigna, che ci informa che abbiamo visite.

 

Torno a concentrarmi sul lavoro, ma so che abbiamo un argomento in sospeso, e non ho intenzione di lasciarlo tale.

 

La sera, raccolgo tutto il coraggio che posso, e vado a casa di Anna. Non ci sono mai stato prima, ma so che ha affittato l'appartamento di fronte a quello di Cecchini. Spero di non incrociarlo, a proposito. Inizierebbe con le domande, e non credo proprio sia il caso.

Giunto davanti alla porta, prendo un bel respiro e busso.

La porta si apre dopo qualche istante. Sento la gola farsi leggermente arida.

“Marco! Ciao!” Esclama Anna, sorpresa.

“Ehi... Stavo tornando a casa e... ho pensato di passare di qua.” Tento di spiegare.

È strano vederla in abiti così casalinghi.

“Ah... beh, entra, accomodati,” dice, con un piccolo sorriso.

Si scosta per lasciami passare. Do un'occhiata in giro, e decido che casa sua mi piace. La rappresenta bene. Colori che non ti aspetteresti, e libri su libri.

“Tua madre si è data davvero da fare con i quadri,” ridacchio, più per sdrammatizzare che altro. La mia battuta per fortuna funziona.

“Visto? Mi ha occupato tutte le pareti.” Commenta lei, ridendo. “Ma... non hai ancora cenato?” Mi chiede poi, corrugando lievemente le sopracciglia.

“Ehm, no, non ancora.”

“Beh, se ti va potresti... restare qui?” Fa, in tono incerto, arrossendo appena.

Più di così, cosa vuoi, Marco?

“Volentieri... ma non posso approfittare senza far niente: cucino io,” propongo di getto.

Lei sbarra gli occhi. “Tu? Perché, sai cucinare?”

“Già... perché questo tono sorpreso?” La prendo in giro.

“Non l'avrei mai sospettato... Beh, come rifiutare la proposta? Anche perché, sinceramente, io non sono tanto capace, a cucinare.” Ammette.

“Ho appena scoperto un punto debole del capitano?” Continuo a sfotterla, beccandomi un colpetto scherzoso sul braccio.

“Ora non ti allargare.” Mi rimbecca. “Non ho mai avuto molto tempo per imparare, ma nemmeno molta propensione, ecco.”

“Forse hai semplicemente sbagliato approccio.”

“Dici?”

“Mh-mh... ti insegno io.” Stasera sei particolarmente intraprendente, Marco. Continua.

“Lo faresti veramente?”

“Ancora con questo tono sorpreso.”

“Smettila... Affare fatto, comunque.” Accetta, con un sorriso che mi scioglie.

Mi do da fare a preparare una cosa veloce, sotto il suo sguardo attento, e in men che non si dica, ci ritroviamo a tavola, a parlare come se fosse una situazione normalissima e familiare.

Una volta terminato, ci spostiamo sul divano, a chiacchierare.

A un certo punto mi ricordo della discussione interrotta della mattina, per cui le chiedo: “Cosa intendevi stamattina, a proposito di tua madre?”

Anna mi lancia uno sguardo di traverso. “Riguardo a cosa?”

“Di... dei 'danni' causati dalla mia intromissione,” ammetto, schiarendomi la voce.

“Ah, quello...” mormora, e non posso fare a meno di notare che sia arrossita. Mi chiedo come mai. “Beh, abbiamo chiarito, più o meno. Credo abbia capito che è la mia vita, e alcune cose tocca a me deciderle senza avere la sua pressione addosso. Almeno spero, che lo abbia capito...”

“E...?” Incalzo, ho l'impressione che ci sia altro.

“E... diciamo che poi abbiamo avuto di nuovo una mezza discussione perché...”

Il resto della frase è un mormorio incomprensibile.

“Ehm... temo di non aver capito niente.”

Lei solleva appena lo sguardo, ma evita il mio.

“... pensa che ci sia qualcosa tra noi.”

“Ah.” Resto senza parole per diversi istanti. Sua madre pensa... beh. La osservo per qualche secondo, e mi rendo conto che non stavo così bene come sono stato stasera da un sacco di tempo. Qualcosa vorrà pur dire.

“Forse... non ha tutti i torti.” Mormoro.

Anna stavolta pianta gli occhi verdi nei miei, che mi rifiuto di abbassare.

So che è difficile, anche per me lo è.

Ma qualsiasi cosa ci sia tra noi, sento che ne vale la pena.

“No?” Chiede, incerta. Capisco che questa situazione è davvero poco chiara. Nemmeno io so bene come comportarmi, ma voglio tentare.

Prendo un bel respiro.

“Non mi sentivo così... bene, come sono stato stasera da... beh, da mesi. Non solo stasera, in realtà. Mi sono reso conto che succede ogni volta che siamo insieme. Non l'avrei mai creduto possibile, se me l'avessero detto, ma con te mi sento completamente a mio agio. E non mi capita così spesso, credimi. E...” Mi faccio coraggio, perché voglio andare fino in fondo. “E quel bacio, l'altro giorno... non ho smesso di pensarci un attimo. Ho... cercato di capire se fosse stato un caso, o il momento, o altro e... ho capito che la conversazione mi ha solo dato l'input giusto. Ho fatto solo quello che mi dettava il mio istinto, e ripensandoci, non cambierei una virgola.”

Anna trattiene il respiro, spalancando gli occhi: probabilmente non si aspettava le mie parole.

Cade il silenzio per qualche minuto, ma non è teso, né imbarazzato. Capisco che ha bisogno di riflettere.

È stato inaspettato per te quanto per lei.

Quando torna a guardarmi, i suoi occhi brillano, un lieve sorriso aleggia sulle sue labbra.

“Speravo lo dicessi, in realtà.” Confessa, stupendomi. “Non volevo illudermi, o rischiare di aver frainteso... Nemmeno io ho smesso di pensare a quel bacio. E hai ragione, è stato... inaspettato, questo sì, ma nemmeno io cambierei niente, se tornassi indietro. Ci ho pensato un po', a questa cosa, anche prima dei commenti di mia madre, e... in effetti, forse, qualcosa tra di noi c'è.”

La vedo rabbuiarsi improvvisamente.

“Ma...?”

“Niente, è solo... strano. È difficile accettare che le cose siano cambiate così, senza che me ne rendessi conto. Pensavo di non aver mandato giù del tutto la fine della storia con Giovanni, e invece in questi giorni, quando parlavo di lui, o quando l'ho incontrato... non mi fa più nessun effetto. Niente dolore.” Noto che si sta torturando le dita. “A volte mi sento in colpa e penso che sia troppo presto; altre mi dico che in realtà l'ho solo capito tardi, che era finita.”

Conosco il dilemma.

Rido senza allegria.

“Beh, in parte l'ho pensato anch'io. Stavo per sposarmi, in fondo. Ma visto il... regalo di nozze della mia ex e del mio testimone, l'unico sentimento che provo per lei adesso è l'odio.” Ammetto. Dalla sua espressione sconvolta, so che ha capito benissimo la metafora. Per il momento non scendo in ulteriori dettagli perché non me la sento, ma ci sarà tempo e so che Anna rispetterà il mio temporaneo silenzio. “Mi ero detto che avevo chiuso con l'amore, che non volevo più rischiare. Ma mi sa che certe cose non si possono decidere a priori.” Sorrido, stavolta in modo sincero, e lei ricambia.

“Mi sa che hai ragione.”

 

Restiamo un altro po' a chiacchierare, fino a quando notiamo l'orario.

Tardissimo.

Mi alzo, preparandomi ad andar via.

“Ci vediamo domani mattina in caserma, allora,” mormoro, incerto su come comportarmi. Vorrei salutarla come l'istinto mi dice di fare, però allo stesso tempo non voglio affrettare le cose e metterla magari a disagio.

“Certo,” risponde Anna, mentre oltrepasso la soglia di casa sua, ritrovandomi sul pianerottolo. I nostri occhi si incrociano per un istante, l'imbarazzo che si fa inaspettatamente strada tra noi. “Allora... Buonanotte.” Mi saluta, con un'esitazione che non riesco a fare a meno di notare, perché è la stessa che sto provando io nell'andare via. Fosse per me, resterei per sempre.

“... 'Notte.”

Faccio per scendere le scale, quando ci ripenso.

Non posso andare via così.

Torno indietro e la bacio.

A giudicare dal suo sorriso contro le mie labbra, è stata la decisione più giusta che avessi potuto prendere.

Adesso è una buonanotte.”

 

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Capitolo 13
*** Una famiglia normale ***


 
 

UNA FAMIGLIA NORMALE

 

Come sempre, la parte compresa tra i tre asterischi (***) segue lo svolgimento regolare dell'episodio. Dopo, inizia la parte alternativa. Buona lettura!

 

*** Questo aprile è iniziato da poco e già ci stiamo trovando di fronte a un caso particolarmente articolato.

Quella che sembrava un'aggressione conseguita alla scoperta di un tradimento si è rivelata nascondere ben altro, e in una misura ancora da definire: un atto di bullismo.

Il merito di questa rettifica va tutto ad Anna: poco fa quando abbiamo interrogato la signora e il cognato, entrambi coinvolti in uno scambio di sms di lei col marito che sembravano indicare chiaramente una storia clandestina tra i due, Anna si è resa conto che la donna era più interessata a utilizzare il cellulare che a rispondere alle nostre domande nonostante la gravità della situazione, e ha tratto le sue più che corrette conclusioni – non si trattava di un tradimento, ma di qualcosa in cui era coinvolto il figlio, l'effettivo autore dell'atto di bullismo, che in quel momento era fuori per un concerto e che avrebbe dovuto parlare con il padre la sera prima, quando questo era stato di fatto aggredito.

Tralasciando comunque i dovuti complimenti, devo dire che Anna si è particolarmente divertita a interrompermi ogni tre secondi in quell'interrogatorio, perennemente in disaccordo con quello che avevo da dire. Okay, ammetto che aveva ragione, ma magari un po' più di gentilezza invece di interrompermi in mezzo alla frase ogni volta che aprivo bocca?

Va bene, va bene. Ci ha capito più di me solo osservando il comportamento della signora, e le ha tirato fuori il vero problema con molta delicatezza. Sa ascoltare e capire gli altri utilizzando semplicemente il buonsenso. E io stavo per dire cavolate. Okay, mi arrendo.

D'altronde ha ragione di nuovo: meglio indagare su questo video, sembra essere la chiave per risolvere il mistero.

 

A un certo punto sentiamo un trambusto in piazza, così ci avviciniamo alla finestra, incuriositi: c'è Carlo Conti, e non appena scendiamo a capire che succede, scopriamo che Cecchini lo ha involontariamente spinto giù dal palco. Anna è mortificata e a dir poco furibonda, e cerca come può di arginare le conseguenze dell'accaduto.

“Signor Conti, le dispiace se parliamo un attimo nel mio ufficio? Prego.” Lo invita a salire su, lanciando in contemporanea un'occhiataccia al Maresciallo. Conti fortunatamente la segue.

Io resto un momento con Cecchini, per capire come sia riuscito a cacciarsi in un guaio simile.

“Ma che ha combinato?”

“Gli ho spaccato la testa,” mormora lui, prima di spiegarmi che in realtà lo ha fatto per Cosimo, che Sofia lo ha iscritto a questo concorso musicale per famiglie convinta che non lo avrebbero mai preso, e invece lo hanno selezionato. Solo che Cosimo, non avendo genitori non potrà ovviamente partecipare. È una cosa a cui però teneva particolarmente perché aveva sempre guardato i suoi programmi con la mamma, e per lui è una specie di mito. Così Cecchini ha tentato di parlare con Conti per convincerlo a fare un'eccezione, ma è andata a finire un tantino diversamente.

Io non so se ridere o meno, è una cosa abbastanza seria in realtà. Lo accompagno su e raggiungo Anna, che nel frattempo ha fatto accomodare nel suo ufficio l'avvocato e la segretaria di Carlo Conti, insieme a lui. Le spiego brevemente come stanno le cose ed entriamo anche noi a parlare con i tre, per tentare di limitare i danni. Raggiungiamo un compromesso, ma il Maresciallo dovrà fare attenzione. Quando escono dall'ufficio, Anna si posiziona davanti alla scrivania di Cecchini scura in volto, aspettando che vadano via. Una volta usciti, si incarica di informare il Maresciallo di quanto deciso.

“Mi ha denunciato?” Chiede immediatamente lui a voce bassa.

“No,” nega lei, ed è strano vederla così seria con lui. “Ma l'avvocato di Conti vuole che Lei stia alla larga da lui fino a quando sarà a Spoleto, e non l'ha chiesto come favore, ma come provvedimento restrittivo nei suoi confronti.”

“Un... Daspo, come un ultrà...” minimizza. “Va bene, va bene!”

Io ridacchio. Certo, la stessa cosa identica.

“Maresciallo, che le è saltato in mente?” Domanda Anna, indispettita.

“Però bisogna tenere presente che si trattava di accontentare un desiderio particolare di Cosimo... Su, dai!” Cerco di alleggerire la cosa io.

Lei mi guarda con la stessa espressione minacciosa. “Che fai, l'avvocato difensore?”

“No! Sto-”

Ed ecco che ci risiamo, mi interrompe e torna a rivolgersi a Cecchini. Ma che ha, oggi?

“Maresciallo, per favore stia lontano da Conti. È un ordine!” Precisa, prima di tornarsene in ufficio. Io la guardo un po' sorpreso.

“Non c'è problema... Meno male, io non l'ho fatto apposta,” si giustifica lui demoralizzato.

“Su, Maresciallo, sono convinto che Cosimo capirà... e sa come è fatta Anna, fa la scontrosa ma Le assicuro che ha cercato di difenderla in tutti i modi davanti all'avvocato.”

Anche se fa così, adesso, lo ha veramente difeso a spada tratta poco fa. Gli si è affezionata molto, anche se non lo ammette, e non lo metterebbe mai nei guai, non se può evitarlo.

Cecchini annuisce. Spero solo che non ne combini altre.

 

[…]

 

La mattina dopo finalmente il bulletto torna a scuola e noi lo convochiamo in ufficio. Del suo interrogatorio ci occupiamo direttamente io e Anna. Io sono allibito: mi trovo davanti un ragazzo terribilmente presuntuoso che sembra non rendersi conto della gravità delle sue azioni. Anzi si permette pure di fare battute. A me fa perdere la pazienza dopo neanche due minuti, e avrei anche fatto qualcosa in più che alzare solo la voce se Anna non mi avesse bloccato. Non so come abbia fatto a restare così calma e a non rispondere alle sue provocazioni.

Quando va via accompagnato dal padre, usciamo anche noi dall'ufficio. Io sono ancora esterrefatto, come può fingere così? Dire che un'azione di bullismo di cui lui è il diretto responsabile sia una 'cazzata'? Con quell'arroganza, poi.

Cecchini si alza e si unisce a noi due.

“Ti giuro, lo prenderei a schiaffoni,” commento, guardandolo uscire.

“Sì, bravo, così gli insegni meglio a fare il prepotente,” mi contraddice Anna. Forse ha ragione, ma almeno gli farei chiudere quella boccaccia per un po'.

“Comunque non penso che sia stato lui a tentare di uccidere il padre, dai,” dice Cecchini, dubbioso.

“No, no, non credo.” Concordo io. “L'unica cosa certa è che per fortuna non ho figli!”

 

Proprio in quel momento vediamo entrare saltellando il piccolo Cosimo, che tiene in mano una scatola colorata. Il maresciallo salta su, preoccupandosi all'istante.

“Cosimo! Che cosa fai qua? Hai attraversato la strada da solo?” Lo rimprovera.

“Sta' zitto, bugiardo!” dice il bambino in tono arrabbiato, che a me fa venire da ridere. “Sono venuto per loro due,” continua, indicando me ed Anna. Noi due? Per fare che? “So come andare allo spettacolo: mi serve una famiglia!” Esclama, tutto contento.

Famiglia, nel senso che noi dovremmo... ho capito male, vero?

“Mi fai tu da mamma?” Chiede ad Anna. “Sei gentile e hai un bel sorriso!”

Lei arrossisce, ma io non riesco a trattenermi dal commentare sarcasticamente, “Beh, come mamma forse puoi cercare qualcosa di meglio, credo...” Lei mi lancia un'occhiataccia.

“Però come pa-” Tenta ancora il maresciallo, interrotto di nuovo da Cosimo.

“Sta' zitto, bugiardo!” Dice di nuovo, facendo ridere tutti: ormai l'intera caserma si sta godendo la scenetta.

“Non mi fa parlare...” mormora Cecchini.

“E tu mi fai da papà? Anche se sei strano con quei capelli, ma... sembri bravo.” Dice, rivolto a me. Io? Fargli da papà? No... no?

Stavolta è Anna a ridacchiare, mi sa che ho parlato troppo presto.

“Vi pago se me lo fate!” Ci prega Cosimo, sollevando la scatola che suppongo contenga i suoi risparmi.

“Ehm... Cosimo, io non credo...” Fa Anna, esitante.

Intervengo in suo aiuto. “Io ti ringrazio per la proposta economica, veramente, ma l'idea no-”

“-è bellissima!” Ci interrompe Cecchini. Come bellissima? Maresciallo! “Siete una bella coppia, voi due, scusate!”

Okay, ora che sono in imbarazzo. Non ci mettete nella stessa frase con 'coppia' o qualsiasi cosa che abbia implicazioni simili. La situazione per quanto mi riguarda è già abbastanza complicata di suo senza allusioni esterne.

“Facciamo così,” propone Anna, abbassandosi all'altezza del bambino,“noi adesso andiamo a lavorare, e ne riparliamo più tardi!”

“Promesso?” chiede Cosimo.

“Promesso!” Risponde lei con voce dolce.

“Va bene, ora torni in canonica, ti accompagno io però! Devi stare attento, se vuoi venire qua mi chiami e io ti vengo a prendere!” Sentiamo dire a Cecchini mentre prende Cosimo per mano e lo conduce giù per le scale.

“Ehm...” esordisco io, ritrovando la voce. “Che dici, continuiamo a lavorare sul caso, magari scoviamo qualcosa di utile?”

Voglio ignorare quello che è appena successo. Il Maresciallo può inventarsi un'altra scusa, ma io non ne voglio sapere. Non voglio figli, non ho intenzione di averne, di sicuro non a breve termine e nemmeno per finta.

“Sì... certo...” concorda Anna, così ci affrettiamo a tornare nel suo ufficio, fingendo che non sia successo nulla.

 

[…]

 

Nel tardo pomeriggio finalmente emergiamo dalle carte sul caso. Usciamo dall'ufficio, per sentire Cecchini che termina di fretta una telefonata.

“...Do... Domenica, domenica! C'ho un impegno, domenica!”

“Cosa?” Chiede Anna, incuriosita.

“Domenica mi hanno invitato come giudice di gara... a una gara di cani!”

Cani?

“Di cani?”

“Corsa di cani...”

Mh, non è che mi suoni molto convincente. Vabbè.

“Ah, pensavo una cosa, lasciamo stare i cani... Filippo, quando ha saputo del padre, che stavano quasi per ucciderlo, è rimasto molto sorpreso. Poi un'altra cosa: non sarebbe il caso di indagare e scoprire chi è la vittima del bullismo?” Spiega in tono pratico il maresciallo.

“Certo... e comunque Lei tutte queste cose le ha pensate... da solo.” Fa il Capitano in tono scettico.

Ah, ecco cos'era il 'Do' della telefonata. Don Matteo.

“Perché, uno quando pensa, che pensa assieme a un altro? Da solo!”

“No, aspetti, però...” mi intrometto io, “questa cosa potrebbe aiutare!”

“Ancora a fare l'avvocato difensore!” Mi accusa lei. Ma perché? Che ho detto?

“No! Che c'ent-”

Mi interrompe di nuovo con un gesto della mano. Oggi non è proprio giornata.

“Senta, Maresciallo, Le volevo dire che io stasera sono libera... per quella cosa di Cosimo!”

Che?!

“Veramente?!” Chiede lui, alzandosi in piedi al colmo della felicità. “S'è decisa! Brava, brava, brava!”

“Tra l'altro, bisogna fare le prove perché la performance è tra due giorni!”

“Certo!”

No, ma di che stiamo parlando? No, no, io non ne voglio sapere niente!

“Però non contate su di me, io non me la sento!” Mi tiro fuori immediatamente alzando le mani e ignorando Anna che si gira a guardarmi con un'espressione da 'non-ci-provare-nemmeno', “Non me la sento, mi viene l'orticaria solo a pensarci! No, no, no, no, no!”

“Maresciallo, gli dica qualcosa!” Cambia tattica lei.

“No, no, Lei partecipa, Lei ha promesso!” Io?! Quando?

“Poi.. tu hai detto che sapevi suonare l'armonica a bocca...” Suggerisce Anna. Quindi se lo ricorda, che carina... No, ehi, che carina un cavolo. No! Non vale così!

“Che c'entra, so fare anche altre cose! Cosa vuol dire!” No, non mi lascio convincere.

“E che ci vuole! Si mette là, bemolle, re minore!” Mi rimprovera Cecchini. Ah, pure!

“Tra l'altro, non credo che Lei voglia far piangere un bambino! Eh?” Mormora Anna in tono suadente. No, ti prego, non mi guardare così. Non riesco a dire di no, con quegli occhioni da cerbiatta! Dai, Marco, di' di no! Di' di no!

Oh, al diavolo. Va bene.

“Ragazzi, io non ho questo repertorio infinito, però, eh!” Mi arrendo infine, mettendo però le cose bene in chiaro.

“Un pezzo forte lo troviamo, dai!” Assicura Cecchini mentre Anna si illumina.

 

Andiamo via quasi subito, rimanendo di vederci dopo cena a casa del Maresciallo insieme a Cosimo.

Non riesco a gustare in santa pace nemmeno questi spaghetti allo scoglio perché nonostante cerchi di cacciare via dalla mente l'intera faccenda, torno sempre a ripensarci.

L'hai fatto per fare felice Cosimo. Ti è dispiaciuto per lui, non vuoi farlo rimanere male conoscendo la sua storia. È tutto per il bene di Cosimo. Mi ripeto come un mantra. Anna non c'entra niente. Non hai accettato per lei. Non l'hai fatto per non deludere lei. Né perché l'idea di essere suo marito ti attrae, anche se per finta. Perché non ti attrae. Ovvio, che non ti attrae.

Non sei tu che l'hai immaginata in abito da sposa a percorrere una navata con te ad attenderla quando hai saputo che ne aveva provato uno per il presunto matrimonio col pretino. No, affatto.

 

Metto giù le posate. Mi è passato l'appetito.

 

In che razza di guaio mi sono cacciato?

 

[…]

 

Passo io quella sera dalla canonica a prendere il bambino con la promessa di non riportarlo troppo tardi, arrivando lo stesso con un bel po' di anticipo.

“Dottore, ha mangiato? Casomai mia moglie può preparare qualche cosa!” Mi propone il Maresciallo dopo avermi fatto entrare.

“No, non si preoccupi, ho già fatto. Ma grazie comunque.” Più o meno. “Ha già pensato a qualcosa che potremmo fare?”

“Dipende da cosa sa suonare Lei,” dice in tono ragionevole. Io gli faccio una breve lista dei brani che conosco. Di quei pochi che so, solo uno è vagamente decente. 'Vagamente' è la parola essenziale.

All'orario prestabilito, bussano alla porta.

Cecchini va ad aprire, e Anna fa il suo ingresso in soggiorno, munita di chitarra. La osservo cercando di non farmi notare. È bella pure in jeans e maglietta.

Scuoto la testa. Non ci siamo proprio. Se comincio così siamo a mare.

Saluta affettuosamente Cosimo, che come strumento ha per il momento un triangolo, poi ci chiede se abbiamo già pensato a qualche canzone adatta. Le rispondiamo di sì, e io mi appresto a suonare.

 

“Tu scendi dalle stelle.” Commenta in un tono inequivocabilmente contrario. “Questo è il pezzo forte?”

“Sì! Perché? Se noi lo facciamo bene, proviamo, viene un bel pezzo! Una famigliuola che canta 'sto pezzo, è una bella figura!” Spiega convinto il Maresciallo. Io ho qualche dubbio, in effetti, e le lancio uno sguardo di supplica. Siamo ancora in tempo per tirarci indietro. “Bisogna provare! Certamente, bisogna provare!”

Anna sospira rassegnata, poi si mette la chitarra a tracolla e prende posto accanto a me. “Proviamo...!”

Cecchini ci da 'i tempi', naturalmente sbagliati.

Cominciamo a suonare, e io mi ritrovo a non prestare minimamente attenzione a quello che faccio, troppo preso ad ascoltare Anna cantare. Questa sì che è una veste del tutto inedita del Capitano. Tanto rigida sul lavoro, ma tanto dolce con un bambino senza genitori.

Mi accorgo a mala pena che la canzone è finita.

Cecchini riprende a dare le direttive. “Ecco... poi prendete il bambino, lo mettete in mezzo, a quadretto, vi date un bacio, così la famigliuola è completa.”

No, aspetti. Non ha detto quello che penso abbia detto, vero?

 

Anna's pov

“Ecco... poi prendete il bambino, lo mettete in mezzo, a quadretto, vi date un bacio, così la famigliuola è completa.”

Sollevo la testa di scatto. Bacio? No, chi ha parlato di baci? Il patto era di far finta di essere i genitori di Cosimo, non di andare... oltre!

“...Ripetiamo!” Lo ignoro deliberatamente mentre mi sento arrossire.

“Vi dovete dare un bacio!” insiste il Maresciallo.

Marco è a disagio quanto me.

Conoscendo Cecchini, non la smetterà finché non avremo ceduto, quindi meglio farlo subito e scordarselo per il resto del tempo. Così mi avvicino esitante a Marco, prendendogli titubante il volto tra le mani... e lo bacio sulla fronte. Brava, Anna, sei ufficialmente scema!

“Ma che è, il bacio alla stazione? Sta partendo col treno?” Si indigna il Maresciallo.

“Ma lei è abituata in mezzo ai preti, sa...” commenta Marco. Mi verrebbe voglia di strangolarlo in questo momento. Ignoro pure lui.

“Un bacio! Carlo Conti sa che siete marito e moglie, no? Che è, un bacio? Un bacio!”

Sapesse, Cecchini...

“Vieni...” sussurra Marco, ma io non voglio causare incidenti, e non voglio nemmeno un bacio per finta, così non gli lascio condurre il gioco come sta provando a fare lui. Stavolta opto per un bacio sulla guancia, e mi affretto a riprendere la chitarra per mettere in chiaro che non ho intenzione di concedere altro.

“Commovente,” mormora allora lui al mio orecchio, e io arrossisco di nuovo mentre il Maresciallo ci incita a ricominciare a provare.

Io sono attenta solo per metà, la canzone è così semplice che non ho bisogno di concentrarmi per suonare.

 

La verità è che... non è che non volessi baciarlo, o fare la preziosa. Sono il modo e il contesto che non mi andavano. E poi non voglio che il nostro primo bacio sia per finta.

Primo bacio? Anna, che cosa stai pensando!

Cioè, volevo dire... Non voglio che... che...

Oh, accidenti! Ma a chi voglio darla a bere?

E va bene! Marco mi attrae. Anche se i suoi modi di fare sono l'esatto opposto del mio ideale di uomo e spesso mi fa innervosire da morire. C'è qualcosa in lui che mi intriga non poco.

Da quando abbiamo iniziato a comportarci da persone civili, ho scoperto una persona diversa da quella che credevo che fosse. Anche se succede spesso che mi faccia andare fuori di testa, ogni volta che ho avuto bisogno di sostegno, lui c'era. È stato gentile con me, dolce, e premuroso. Mi ha sempre trattata da pari e mai giudicata, nemmeno quando mi ha vista piangere.

 

Quanto mi sono vergognata quella sera, dopo aver cercato di fare la dura per tutto il tempo, a lasciarmi vedere in quello stato. Sentendolo entrare, mi sarei aspettata qualche battuta delle sue, oppure che se andasse direttamente, e invece non solo è rimasto con me ma mi ha anche consolata, e capita. Così come con la storia del reality. È vero, se n'è approfittato per sbizzarrirsi a prendermi in giro, però quando quello scemo ha allungato le mani, è subito venuto da me a cercare di farmi stare meglio.

Non so perché gli ho raccontato quella cosa di Zorro, quella volta. È una sciocchezza, però è una buona metafora per spiegare un po' il mio carattere, e tutto quello che di conseguenza non sono. Anche lì, accanto alle altre ragazze sicure di sé e della propria femminilità, io mi ero sentita fuori posto e inadeguata, come se il mio essere Carabiniere rappresentasse un ostacolo ai bikini o agli abiti da sera.

Invece Marco mi ha spiazzata. Sono arrossita più per la consapevolezza che ci fosse lui a guardarmi quei due giorni che non per le avance spudorate di quel cretino di Lupo Dossi. E i suoi complimenti la sera del ballo mi hanno lusingata molto, inaspettatamente. Non pensavo mi trovasse... bella. Non ho mai pensato di esserlo particolarmente, non tanto da attirare l'attenzione altrui comunque.

Cioè... apparentemente, anche Dossi si era interessato a me non solo per il mio fisico ma soprattutto per altre qualità, anche se poi aveva completamente sbagliato modo di approcciarsi.

Però Marco mi ha vista in situazioni personalmente più significative, e nonostante tutto non mi considera un disastro. Ne ho avuto la conferma con le parole che ha detto a mia madre qualche settimana fa.

 

Anche lì, all'inizio ha solo pensato a prendersi il gioco di me anche se in modo innocente, di questo sono sicura. Però non sapeva che per me sotto ci fosse ben altro.

Avevo dato corda a Cecchini perché, in fondo, non volevo far dispiacere mia madre che ha sempre adorato Giovanni. Ammetto che un po' di paura l'avevo, però più che altro pensavo che per due giorni ancora avrei potuto fingere che andasse tutto bene e dirle tutto in seguito per telefono, peccato che lui aveva deciso di gironzolare per Spoleto proprio quando non avrebbe dovuto, e si era creato un casino.

Quando ho indossato quell'abito da sposa mi sono sentita... strana. Soprattutto perché se la stessa situazione si fosse verificata qualche mese prima, sarei stata al settimo cielo, ma ora... non riesco a vedermi in quelle vesti, di sicuro non con Giovanni ad aspettarmi su un eventuale altare. Qualcuno c'è, lì in attesa, ma mi obbligo ogni volta a non volerlo vedere. È ancora troppo presto.

Perché non posso provare questi sentimenti quando ho chiuso una storia da così poco tempo, anche se so che era finita già da un pezzo e io non me ne ero resa conto.

Perché forse è solo la mia è solo suggestione dovuta alle sue belle parole. Perché quando ha detto senza mezzi termini a mia madre di amarmi per come sono, perché non sono niente male... io ho sentito il cuore fermarsi, e poi riprendere a battere furioso contro il petto.

Perché mi ha difesa a spada tratta da una persona che non conosce ma che ha capito e saputo far tacere e comprendere. È venuto in mio soccorso anche se avrebbe potuto fregarsene, e invece no.

Tra la sicurezza di farsi gli affari propri e il rischio, ha scelto di rischiare e difendere me, a costo di farsi prendere in antipatia da mia madre.

 

È stato allora che ho capito con maggiore certezza che dev'essere successo qualcosa di grave nel suo passato. Qualcosa che ha a che fare con la fine della sua storia e l'annullamento del suo matrimonio. Non era la prima volta che accennava al vizio delle donne di voler cambiare gli altri a forza. Gli ho fatto capire che ho intuito la natura personale di quelle parole, ma non ho voluto pressare troppo, non voglio che si senta obbligato a raccontarmi i suoi fatti personali. Anche se ci sei rimasta male quando ti ha detto di no.

 

“Inizia a uscire fuori qualcosa,” commenta Cecchini, e io abbandono i miei pensieri e torno a concentrarmi sulla stanza e su quello che stiamo facendo. Ormai stiamo provando da un po', ma comunque a me questa canzone fatta così non convince. E forse ho un'idea.

Metto giù la chitarra per un attimo. “Sentite,” esordisco, “e se provassimo a fare una versione... alternativa?”

Marco raddrizza le spalle. “Spiegati meglio.”

“Ehm,” mi schiarisco la gola. “Tu sai suonare anche il basso, no? E Cosimo a scuola al corso di musica suona il pianoforte... io me la cavo anche con l'elettrica... Potremmo provare a farla diventare un po' più rock.”

Vedo il Maresciallo annuire. “Può essere una buona idea! Quindi quando si prova, domani per la pausa pranzo?”

“Per me va bene! Mi piace questa cosa,” fa Marco con un sorriso, e io arrossisco.

Mentre Cosimo saluta la signora Cecchini, noi due usciamo sul pianerottolo.

“Devo ammettere che mi sto divertendo! Non dirlo al Maresciallo, però...” mi dice, ridacchiando.

Io mi porto una mano davanti alla bocca. “Promesso!”

In quel momento arriva il piccolo, pronto per tornare in canonica. Lo abbraccio, prima di tornare a guardare Marco.

“Bene, allora... ci vediamo domani mattina al lavoro?”

“Certo!” gli rispondo, un po' impacciata. “Buona...notte...”

“Anche a te,” mi augura.

Io aspetto che scendano le scale prima di rientrare nel mio appartamento, dandomi mentalmente della stupida per aver desiderato che non se ne andasse.

 

**

 

Marco's pov

In caserma, la mattina dopo la situazione è tesa: abbiamo scoperto l'identità della vittima dell'atto di bullismo, ma nonostante gli sforzi miei e di Anna di convincerlo a raccontarci la verità, Danilo ha troppa paura, così sono obbligato a disporre il fermo. È una delle cose peggiori che io abbia dovuto fare finora. Mandare in carcere un ragazzo che sappiamo essere innocente ma che non collabora quindi non può essere dimostrato. Oltre a questo, ciò che più mi fa rabbia è che in parte è una situazione in cui mi ritrovo: questo ragazzino è stato tradito da quello che fino a poco tempo fa aveva considerato come un fratello, il cugino con cui era cresciuto, e che lo aveva trattato nel peggiore dei modi solo per farsi forte davanti ai compagni. Mandando all'aria anni di amicizia. Nel mio caso, il mio migliore amico di sempre aveva ben pensato di andare a letto con la mia futura sposa.

Cerco di reprimere questi pensieri, perché proprio non ho bisogno di ulteriori drammi in una situazione così.

Quando lo vediamo andare via accompagnato dal padre, mortificato dalla propria ignoranza, Anna non si dà pace.

“Solleciti i RIS,” chiede a Cecchini, “devo capire se la dinamica dell'aggressione è compatibile con la fisionomia del ragazzo.”

“Comandi,” risponde lui. Prima di eseguire l'ordine però ci ripensa e torna indietro. “Ah, vi ricordo che stasera c'è il test!” Dice a me e ad Anna. Come?

“Che test?” Chiediamo all'unisono, infatti. Ecco, per la prima volta dopo giorni siamo d'accordo su qualcosa. Di che stiamo parlando?

“...Mi sa che mi sono scordato di darvi i libriccini, ieri sera, vero?”

“Che libriccini?” Chiedo. Non parliamo di studiare, no?

“Quelli con le cose da sapere su Cosimo... Tipo, cosa gli piace mangiare, i suoi giochi preferiti... cose così, che i genitori devono sapere! Se vi fanno qualche domanda, dovete essere preparati!” Spiega lui in tono pratico. A me viene l'ansia solo all'idea. Lancio di sottecchi un'occhiata ad Anna, che al contrario sembra tranquillissima. Ah, già. A lei piace leggere qualunque cosa le capiti tra le mani.

Prendiamo i due libretti che lui ci porge, con la promessa di vederci la sera stessa, sempre a casa Cecchini.

 

Inutile dire che io quel block notes non l'ho minimamente toccato. Dai, non può essere così difficile indovinare cosa piace a un bambino di sette anni, no? Almeno spero. In ogni caso non ho più tempo per leggerlo, devo sbrigarmi se non voglio arrivare in ritardo.

Quando salgo l'ultimo gradino della scalinata interna del palazzo, Anna sta chiudendo la porta del suo appartamento.

“Ehi,” la saluto. Lei sorride di rimando, prima di bussare alla porta del maresciallo. Ad aprirci è Cosimo, già prontissimo.

Dopo averci offerto due bicchieri di birra, Cecchini prende posto da un lato del tavolo del soggiorno con il bambino accanto, mentre noi due ci posizioniamo dal lato opposto, di fronte a loro.

“Allora... vediamo, qua, se 'papà e mamma' sono bravi e sono preparati.”

Sentire quei nomi riferiti a me ed Anna mi fa uno strano effetto, e non posso fare a meno di guardarla: ha uno sguardo determinato, che però abbassa non appena percepisce il mio su di lei.

“Qual è il gioco preferito di Cosimo?” Inizia con le domande.

“Macchinine,” è la mia risposta, mentre quella di Anna non coincide.

“Pallone,” mi contraddice.

“Pallone!” conferma il Maresciallo guardandomi male. Cominciamo bene.

“Qual è la vacanza preferita di Cosimo?”

“Mare,” dice lei, che naturalmente è l'opposto di quello che ho detto io, ossia “Montagna.”

“Non ne azzecca una,” si lamenta Cecchini.

“Non ha studiato niente!” Precisa Anna. E ti pareva, che non mi beccava subito.

“Così Carlo Conti se ne accorge subito, che non sono veri!” Piagnucola il bambino.

“Vabbè, non ti preoccupare, poi si mette a studiare...” lo rassicura lui, lanciandomi un'altra occhiata minacciosa.

Anna fa un'espressione sarcastica. Dai, almeno tu stai dalla mia parte!

“Qual è il piatto preferito di Cosimo?” Prosegue il maresciallo.

Questa è talmente ovvia che non ho dubbi.

“Questo lo so... posso dirne una, scusami?” Blocco Anna, che ha già aperto bocca per rispondere.

“Vai.” Mi concede.

“Pizza!”

“Sbagliato!” È l'esito sconsolato del maresciallo, senza contare Cosimo che mi manda a quel paese.

“Polpette al sugo!” Risponde ovviamente in modo corretto miss so-tutto. “Hai anche sbirciato, guarda. 'Piatto preferito di Cosimo', sono le 'polpette al sugo'.” Mi rimbecca, prendendomi il taccuino dalle mani per farmi notare ancora meglio quanto ho toppato.

“Tu sei una secchiona allucinante.” mi limito a dire, infastidito. Ma come ha fatto a imparare tutte queste cose in...quanto? Un'ora quando siamo rientrati da lavoro?

“Tu sì che mi potresti fare da mamma!” Esclama Cosimo battendo il cinque con lei, contentissimo.

“Tu invece come papà fa schifo!” Dice rivolto a me. Ah, bene, pure i complimenti del bambino.

“Grazie, ti assumo come mio motivatore personale.” Gli dico in tono funereo mentre Anna se la ride senza nascondersi poi tanto.

“Facciamo una cosa, dai...” si arrende Cecchini. “Allora, Carlo Conti pensa che voi siete marito e moglie, che siete innamorati, state insieme da tanto tempo, eccetera...”

Maresciallo, Lei non ha idea di quello che sta dicendo.

“Se lui vi fa questa domanda... non è scritto, non è scritto,” ci mette in guardia. Oh, bene, qualcosa su cui improvvisare. “Cos'è che vi ha fatto innamorare l'uno dell'altro? Cosa rispondete?”

Restiamo entrambi senza parole per qualche secondo.

No, Cecchini, non può chiedermi questa cosa. Non sono sicuro che sarebbe finzione, la mia risposta. Ma tanto io me ne sto zitto, non rispondo io, non-

“Rispondo io.” Sento me stesso dire, quasi che la mia bocca abbia un'autonomia propria e non sia collegata al cervello.

Mi giro verso Anna, già rivolta verso di me, in attesa, e mi perdo immediatamente in quelle iridi verdi che mi hanno catturato dal primo momento.

No, Marco, no, non lo dire!

“L'onestà, la fiducia... e poi il fatto che lei, quando ama, ama fino in fondo.”

Lei abbassa lo sguardo, imbarazzata. Hai descritto esattamente i motivi per cui ti sei già davvero innamorato di lei. E non provare a negare!

Poi mi viene un flash della sera prima, della richiesta di Cecchini e la sua reazione, così mando al diavolo quel minimo di lucidità mentale che ancora resisteva, e non so con che coraggio dico il resto.

“... E poi perché lei bacia benissimo!”

“C-”

Non le do il tempo di rispondere perché le mie labbra sono all'improvviso sulle sue.

 

Anna's pov

Mi sta baciando. Marco mi sta baciando. Dopo quelle sue parole, mi sta baciando, la sua mano a trattenere con dolcezza il mio viso così che non possa oppormi.

È un bacio innocente, appena uno sfiorarsi di labbra, ma basta a farmi perdere la testa.

Perché mi sta baciando? E chi è che si oppone?

Sento di essere arrossita, e quando lui si allontana continuando a guardarmi negli occhi per qualche istante, io sono ancora troppo sconvolta per fare qualsiasi cosa.

“Per la scena...” Sussurra lui, prima di girarsi verso il Maresciallo. “È credibile?” Domanda.

Io riacquisto qualche spiraglio di raziocinio e mi limito ad annuire debolmente.

“Credibilissimo!” Si complimenta Cecchini.

Sì, è credibile perché tutto mi sarei aspettata, tranne questo. Il mio rossore era vero, così come il mio imbarazzo. E il fatto che non mi è dispiaciuto per niente. E che per un folle attimo avrei voluto fargli vedere cosa significhi 'baciare benissimo'.

“Ce la facciamo?” Chiede ancora Marco, che sembra incredibilmente il più convinto di tutti. Io mi sveglio dal mio sogno a occhi aperti.

“E ce la facciamo, sì!” Concorda il maresciallo, sollevando il bicchiere. Noi facciamo lo stesso, per brindare (speriamo) al successo.

E alla mia mente definitivamente partita.***

 

“Bene, questa è fatta!” Sospira il maresciallo. “Però, pensandoci, c'è un'altra cosa, a proposito delle domande...”

Io sento un brivido correre lungo la schiena. Dopo l'interrogatorio appena passato, e soprattutto la risposta di Marco, ho il terrore di cosa potrebbe andare a dire Cecchini.

“Se vogliamo che tutto sembri vero, vi dovete inventare una storia su come vi siete conosciuti, da quanto siete sposati... Cose così. Se ve lo domandano, non è che potete dire cose diverse!” Esclama, e in effetti non ha tutti i torti.

Avverto lo sguardo di Marco su di me, e mi sento arrossire.

“È una giusta osservazione, Maresciallo,” commenta, e non posso fare a meno di notare la sfumatura divertita nella sua voce. “Sarebbe meglio concordare alcuni dettagli.”

Io resto in silenzio: capisco che lui si sta godendo il mio momento di disagio, perché non so davvero come uscirmene, stavolta. Per la seconda volta nel giro di mezz'ora, sono a corto di parole. Io! Che ho sempre avuto la risposta pronta!

Dillo, che sotto sotto non vuoi parlare perché rischieresti di dire la verità.

Ignoro la voce della coscienza, perché non è davvero il momento. È già difficile così.

“Esatto... per questo potete fare da soli. Potete decidere ora, anche perché domani c'è lo spettacolo!” Spiega Cecchini, lasciando intendere che dobbiamo parlarne ora per forza, visto l'esito tragico delle risposte che ha dato Marco alle domande su Cosimo.

“Va... va bene,” ritrovo la voce. “Possiamo... andare da me? Così lasciamo libero il maresciallo.” Suggerisco, un po' incerta. Cosimo deve comunque andare a dormire, per lui è già tardi.

Marco annuisce. “Per me va benissimo.”

Salutiamo Cosimo e attraversiamo il pianerottolo, ritrovandoci davanti alla porta di casa mia.

Confesso di essere un po' nervosa, e mi accorgo che le mie mani tremano mentre giro la chiave nella serratura.

Per un istante, l’immagine del bacio che mi ha dato poco fa si strada, prepotente, nella mia mente.

Scuoto la testa. Era per la scena, sottolineo, l’ha detto lui stesso.

Mi dico di smetterla perché il mio comportamento non ha senso, e invito Marco a entrare.

“Questa è casa mia...” Mormoro, ricordandomi che è la prima volta che lui ci mette piede.

“Direi che ti rispecchia bene,” fa lui con un sorriso, che ricambio.

Ci accomodiamo sul divano, per decidere cosa dire sulla nostra “storia”.

Ecco che sento tornare l'agitazione.

 

Ma perché ho detto di sì?!

 

Marco's pov

Noto le spalle di Anna irrigidirsi appena.

Non avrei mai immaginato che potesse essere così tanto in imbarazzo.

“Cecchini in effetti ha fatto una giusta osservazione. Non credo sarebbe il caso di inventare sul momento, rischiamo di dire cose troppo diverse, e se deve sembrare credibile...” Mormora.

Io annuisco.

“Già, meglio limitare l'improvvisazione,” commento, cercando di allontanare il pensiero del bacio di poco fa dalla mente. “Cominciamo.”

“Mh-mh. Vediamo... La prima cosa potrebbe essere... come ci siamo conosciuti... com'è iniziata.”

“Male, come vuoi che sia iniziata,” scherzo, con una breve risata. “Ci siamo conosciuti sul lavoro, e ci siamo detestati fin da subito.”

Anna mette su un cipiglio confuso. “Ma... è la verità.”

“Lo so,” sorrido. “Pensavo... nei limiti del possibile, sarebbe meglio mantenersi sulle cose reali, in modo da essere davvero sicuri di rispondere allo stesso modo.”

“Mi sa che hai ragione,” accetta lei. “Quindi, ad onor del vero, diciamo che dopo l'antipatia iniziale, abbiamo cominciato ad andare d'accordo dopo una certa cena...”

“Che un amico comune ha organizzato per noi per... nella speranza che, conoscendoci meglio al di fuori del lavoro, avremmo smesso di litigare.”

“In un certo senso, credo che lo scopo di Cecchini, quella volta, fosse anche quello,” commenta Anna, pensierosa. “A parte tutte le cose che si è inventato.”

“Può darsi,” annuisco. “Da qui in poi, è da inventare di sana pianta. Possiamo dire che, dopo quell'episodio... abbiamo iniziato a frequentarci, e dopo... un anno, ci siamo sposati.”

Noto che lei arrossisce.

In effetti, se ripensi a quello che hai detto, a parte il matrimonio, non è che sia poi così inventato...

“Sì,” fa Anna in risposta, cercando di mantenere la voce ferma. “E... abbiamo... avuto Cosimo... quasi subito. Ha 7 anni, non possiamo tirare troppo i tempi,” mi spiega.

“Hai ragione... è un aspetto vincolante, considerata anche la nostra età.”

Annuisce.

“Quindi... nove anni?”

“Cosa?”

“Dovremmo essere sposati da... circa nove anni, facendo due conti.”

“Ahh... beh, sì.” Stavolta sono io ad essere un po' in imbarazzo, senza un motivo preciso.

O forse, è proprio l'idea di questo matrimonio che in questo momento sembra così reale a destabilizzarmi tanto.

Cerchiamo di accordarci per qualche altro dettaglio, ma in men che non si dica ci ritroviamo a chiacchierare di altro, divagando dalla “storia” che dovremmo creare.

Stiamo ancora ridendo per l'episodio in cui il maresciallo cercò di darmi una mano quando la mia ex voleva riprendersi Patatino, finendo per nasconderlo nell'appartamento di Anna, e quanto lei – giustamente – si arrabbiò perché glielo aveva semidistrutto.

“Davvero assurdo,” commento, ridacchiando, “se avessi saputo prima cosa aveva combinato Cecchini, quella volta, avrei fatto meno lo stronzo con te.”

Lei ricambia la risata. “Tranquillo, non potevi saperlo. E comunque, nemmeno io mi sono comportata proprio benissimo... avrei potuto chiedere al maresciallo, in fondo mi aveva detto che un suo amico glielo aveva affidato per qualche giorno. Era la verità... molto semplificata, ma pur sempre la verità. Sono arrivata alla conclusione sbagliata senza nemmeno informarmi, prima. E non è stata la prima volta, in effetti... mi sa che non avevo ancora imparato la lezione.” Cerca di scusarsi.

“In effetti, all'inizio non è che fossi proprio simpatica,” la sfotto, beccandomi un'occhiataccia, che ignoro di proposito. “Non ti si poteva dir niente, che tu subito rispondevi per le rime.”

“Senti chi parla, quello che non accetta di aver torto,” ribatte infatti Anna, alzando gli occhi al cielo, mentre una ciocca di capelli le scivola davanti agli occhi, rendendo il suo rimprovero un po' meno efficace.

Incasso il colpo.

“Onestamente? La prima volta che ci siamo incontrati, più che altro, mi sono sentito in soggezione.”

Lei fa un'espressione confusa.

“Eh?”

“Ma sì... il maresciallo mi aveva accennato, che fossi un tipetto decisamente autoritario, ma non sapevo bene cosa aspettarmi. Non ero sicuro di potermi fidare del suo giudizio. È bastata un'occhiata per decidere che aveva ragione.”

“Stai dicendo sul serio?” Domanda, incredula. “Perché dal tuo comportamento non sembravi molto in difficoltà.”

“Sono stato un bravo attore, evidentemente,” ammetto. “Ma sì, è la verità. Sei stata parecchio intimidatoria. Però...” la mia voce si abbassa, quasi involontariamente, “al di là di questo, una cosa mi ha colpito più delle altre...”

Anna mi rivolge uno sguardo a metà tra l'interrogativo e l'incerto.

“I tuoi occhi...” mormoro, senza quasi rendermi conto di cosa sto dicendo. “Per quanto ci provassi, non riuscivo a distogliere lo sguardo. E non è stata l'unica volta.” continuo con lo stesso tono, la mia mano che sale a spostare la ciocca di capelli ribelle davanti alle sue iridi verdi, spalancate per la sorpresa, per permettermi di perdermici dentro per l'ennesima volta.

Restiamo così per non so quanto, a fissarci, il tempo che sembra sospeso.

L'incantesimo finisce bruscamente quando lei sbatte le ciglia, e io mi affretto ad allontanare la mano, ancora tra i suoi capelli.

Stavolta è impossibile non distinguere il rossore sulle sue guance, e non credo che la tonalità del mio volto sia molto diversa.

“Io...ehm... si è fatto tardi, mi sa che è meglio che vada,” biascico, in imbarazzo, senza rendermi conto appieno di cosa sia successo.

Non eri tu quello che, prima, l'ha baciata senza farsi troppi problemi? Si fa sentire la vocina nella mia mente. La ignoro, alzandomi, cercando di far finta di niente.

“Sì, hai... hai ragione.” Mormora Anna, più confusa di me.

Mi affretto a prendere la giacca.

Ci salutiamo con imbarazzo, dandoci appuntamento il mattino successivo in ufficio col Maresciallo. “Beh, allora... 'notte.”

“Buona notte.” Mi risponde lei con un sorriso timido e le guance ancora in fiamme.

Anna apre la porta di casa mentre io mi dirigo già verso le scale. Prima di riuscire a scendere il primo gradino, però, sento la sua voce richiamarmi.

“Marco?”

Mi volto verso di lei. Stavolta la sua espressione è inconfondibile, e colgo un lampo divertito nello sguardo. “Studia!”

Io mi faccio una risata, sollevato.

Non so bene cosa pensare, di quanto è accaduto poco fa, però cerco di mantenere il controllo.

Non darti false speranze. Sarà anche diversa dalle altre, ma non amerà mai te. È ancora innamorata di Giovanni, è a lui che pensa. Toglitela dalla testa.

 

***

 

La mattina dopo è impegnativa davvero. Scopriamo l'aggressore del padre del ragazzino, e Filippo finalmente si rende conto di rischiare davvero molto col suo comportamento. Mi auguro rinsavisca e cambi atteggiamento. Ha ancora il tempo di redimersi.

 

La sera, quando ci presentiamo all'ingresso per il programma, iniziano i veri problemi.

Già, perché se condizioni normali non riesco a staccare gli occhi da Anna, stasera è impossibile.

Mi fa impazzire quando indossa quegli abitini in pelle nera. Come se già non avessi abbastanza fantasie su di lei da non farmi dormire la notte.

Tecnicamente, però, in questo contesto è mia moglie, quindi agli occhi degli altri non sembrerà così strano. Consegniamo il modulo di Cosimo per attestare che la sua domanda era stata accettata, e ci uniamo alle altre famiglie.

Il bambino è al settimo cielo, ed è incredibile vedere con quanta tranquillità riesca a chiamarci papà e mamma. Io non riesco nemmeno ad afferrare l'idea del matrimonio, figuriamoci un figlio, anche se finto.

Anche Anna è a disagio, in certi istanti, ma me ne accorgo io perché la conosco, al di fuori potrebbe tranquillamente passare per tensione pre-spettacolo.

Quando arriva il nostro turno, l'esibizione va alla grande, il pubblico gradisce moltissimo, e oserei dire che potremmo pure aver vinto, ma lo sapremo dopo.

L'altro “problema” si pone quando Conti inizia con le domande, come ha fatto con tutte le altre famiglie.

Perché, comunque sia, non è che possiamo aver discusso di ogni dettaglio. E sono convinto che ci beccheranno quando Conti fa una domanda... a Cosimo!

“E dimmi, dimmi... qual è la cosa che ti piace fare di più insieme ai tuoi genitori?”

Io e Anna cerchiamo di non cambiare espressione, ma con la coda dell'occhio noto Cecchini in preda al panico.

“Mi piace tanto quando leggiamo le storie insieme, la sera. Ho un libro di favole, mi piace un sacco quando le leggiamo tutti e tre...” spiega inaspettatamente Cosimo, lasciandoci quasi a bocca aperta.

In effetti, è capitato qualche volta che, sia io che Anna, ci siamo trovati a passare insieme dalla canonica, e Cosimo ha insistito perché leggessimo per lui una favola dal suo libro.

E, altrettanto inaspettatamente, mi rendo conto che questa cosa mi fa commuovere.

Anche Anna ha gli occhi lucidi.

“Beh, è una cosa bellissima da fare in famiglia! Ritagliarsi qualche minuto per leggere tutti insieme!” Commenta Carlo Conti, sinceramente interessato. Poi vedo che rivolge il suo sguardo verso noi adulti.

“E per quanto riguarda mamma e papà... vediamo un po', cosa possiamo chiedere?” Ci riflette un attimo. “Cos'è che vi ha fatto innamorare l'uno dell'altra?”

Mi sento invadere da un senso di déjà-vu.

E sappiamo anche com'è andata a finire, con la mia risposta.

Ma prima che io possa aprir bocca, sento la voce di Anna precedermi.

Mi volto a guardarla, sorpreso.

“La battuta sempre pronta... E le sue parole... Dolci, quando non me l'aspetto e più ne ho bisogno...” La sento rispondere, lo sguardo perso e sognante.

Mi sento mancare il fiato.

Non mi aspettavo che potesse dire delle cose tanto belle su di me, e in modo così sincero – lo percepisco dalla sua voce.

Conti si complimenta e ci ringrazia, ed è in quel momento che Anna sembra rientrare in sé: spalanca appena gli occhi, evitando il mio sguardo mentre aiuta Cosimo a scendere le scale per tornare nel backstage.

Cerco in tutti i modi di chiederle spiegazioni su quanto ha detto poco fa, ma lei sembra determinata a non darmene la possibilità: con il bambino così vicino a lei, e la madre di una ragazzina che, dopo essersi avvicinata per farci i complimenti per l'esibizione, sembra non volerci scollare gli occhi di dosso, devo comportarmi come se niente fosse e rinviare la conversazione a più tardi.

Sentiamo Carlo Conti invitarci a salire nuovamente sul palco per la premiazione, e dopo aver dato una mano a Cosimo, che si avvia subito verso la parte opposta del palco, un po' più vuota, non resisto alla tentazione e prendo Anna per mano, tirandola gentilmente con me per raggiungere Cosimo. Inizialmente mi dico che non si sta tirando indietro perché non può, ma sono costretto a ricredermi quando sento le sue dita stringersi di più attorno alle mie.

Abbasso lo sguardo su di lei, che però mantiene forzatamente il suo su Cosimo.

“Bene, eccoci giunti alla fine di questo episodio di “Canta in famiglia,” inizia Conti con un sorriso, aprendo la busta che tiene in mano.

“Vince questa serata la famiglia di... Cosimo!”

Non so chi è più sconvolto da questa vittoria, se noi, il bambino o il Maresciallo, che salta immediatamente in piedi in mezzo al pubblico, mettendosi a urlare dalla gioia. Cosimo è al settimo cielo, in braccio a Carlo Conti, che consegna a lui il premio. In tutto questo caos sul palco, mi faccio prendere dall'entusiasmo e, senza pensarci due volte, attiro Anna a me.

E la bacio.

La sua esitazione dura solo una frazione di secondo, perché per un attimo sento la sua presa sul mio giubbino in pelle farsi più salda.

Tutto finisce in un istante, perché ci ritroviamo davanti, con Cosimo, a fare la foto di rito, e senza sapere come, il maresciallo ci viene incontro e quasi ci strangola per la contentezza, poi Don Matteo e altra gente che non sappiamo chi sia si congratula con noi.

Facciamo il tragitto dal teatro alla piazza a piedi, visto che è vicino, e Cosimo non la smette un attimo di parlare, contento com'è, con il primo premio ancora stretto tra le mani.

Quando arriviamo in piazza, ci fermiamo un attimo a parlare sotto i portici del Duomo.

“Il maresciallo ha fatto un buon lavoro con voi!” Si congratula Don Matteo, con un sorriso. “Se non avessi saputo che stavate tutti recitando, avrei giurato che foste davvero una famiglia! Siete stati molto 'realistici'!”

Cecchini ci rivolge un'occhiata indagatrice. “Già, molto...” Commenta.

Hanno entrambi l'aria di chi la sa lunga.

Evitiamo di aggiungere altro, salutiamo Don Matteo e il bambino, che ci abbraccia di slancio, e il maresciallo li segue in canonica, dopo un altro sguardo di traverso.

Quando mi volto di nuovo verso Anna, la trovo nuovamente con lo sguardo piantato a terra, chiaramente a disagio.

“Ehm... si è fatto tardi, io... dovrei andare.”

Direi che, dopo quello che è successo stasera, di lasciarti andare così non se ne parla proprio.

Fa per allontanarsi, ma io la blocco, trattenendola per un braccio.

“Aspetta,” dico, facendomi coraggio. “Te ne vai così?”

Leggo il panico farsi strada sul suo viso. “Come dovrei andarmene, scusa?”

“Direi che sarebbe meglio parlare di quello che è successo al teatro, non credi?” Presso, quando capisco che se ci vado troppo leggero, farà finta di non capire.

“Non mi sembra ci sia niente da dire...”

“No?” Chiedo, sarcastico. Noto la sua apparente sicurezza vacillare.

“Di cosa dovremmo parlare?” Fa, sulla difensiva. “Dovevamo far finta di essere i genitori di Cosimo. Storia e comportamenti compresi, no?”

Mi rifiuto di lasciare la presa e permetterle di scappare. “Così avrebbe dovuto essere, in teoria.”

Lei tenta nuovamente di allontanarsi. “Perché, non è stato così?” Chiede, sempre senza incrociare il mio sguardo. “Abbiamo finto per far felice Cosimo, ci siamo riusciti, abbiamo vinto, e fine della storia.”

Lo capisco, che ha paura di ammettere la verità, ma non possiamo continuare a giocare.

“Ah, sì?” Provo un'ultima volta ad andarci più cauto. “Sicura? Non c'era nient'altro? È stata tutta una messa in scena?”

“...Sì.” Afferma, ma è impossibile non cogliere la sua esitazione.

Decido di metterla alle strette.

“Adesso dimmelo di nuovo, che hai finto e basta,” dico, stavolta in tono serio. “Ma devi guardarmi negli occhi.”

Mi avvicino di un passo, intrappolandola tra me e una delle colonne del portico del Duomo.

“Guardami negli occhi e dimmi che non hai provato niente, quando ti ho baciata.”

Finalmente Anna alza lo sguardo, incatenandolo al mio. Fa per parlare, ma dalla sua bocca non esce alcun suono.

“Non posso...” Sussurra poi, dopo qualche attimo passato a fissarci intensamente.

Le accarezzo una guancia. “Lo so che hai paura, e ti assicuro che anch'io ne ho.” Cerco di tranquillizzarla.

“È la rapidità con cui è successo tutto, che mi fa paura,” tenta di spiegarmi Anna, dopo un istante. “Non poter controllare quello che provo... Io ho sempre tutto sotto controllo... sempre, tranne stavolta,” mormora, esitante.

“È lo stesso che provo io, anch'io ho preso la mia batosta, e accettare l'idea di... aver iniziato a provare qualcosa per te è tutto fuorché facile,” dico, e lei mi risponde con un mezzo sorriso, “però non possiamo controllare sempre tutto. A volte le cose succedono e basta. Anche se cerchiamo di combatterle e negare perché abbiamo paura di soffrire di nuovo.”

Torniamo a guardarci dritto negli occhi, mentre io tento di trovare in quelle iridi verdi un segno, qualcosa che mi suggerisca la prossima mossa da fare.

Vedo una strana scintilla attraversarle lo sguardo, prima di ritrovarmi le sue mani sulle guance mentre mi attira a sé, baciandomi.

Dire che sono sorpreso è poco.

L'incertezza però dura soltanto un attimo.

Torna in me la sensazione spaventosa e bellissima che ho provato meno di un'ora fa su quel palco, che mi dà l'impressione del terrore di un salto nel vuoto e l'euforia di riuscire a volare.

Il cuore in gola e i battiti impazziti.

Le mani che tremano e il calore di sentirla vicina come mai.

Incredibili, interminabili minuti dopo, ci allontaniamo.

Avevo dimenticato come ci sentisse, a restare senza fiato dopo un bacio.

“Ora non siamo più in scena, però...” Mormoro io, non appena mi riprendo abbastanza da riuscire ad articolare qualche suono.

“No...”

“Quindi non è finzione, adesso?” Incalzo.

“... No.”

“Hai intenzione di continuare a rispondere a monosillabi?” Ridacchio, allora.

“No,” ribatte Anna, abbassando lo sguardo timidamente. “solo che non so come spiegare quello che è appena successo.”

“A me è sembrato decisamente un bacio, e che bacio,” la prendo in giro.

Lei alza gli occhi al cielo, anche se arrossisce. “Sì, fino a questo dettaglio c'ero arrivata anch'io.” Torna a guardarmi, un po' più seria. “Non capisco se stiamo correndo troppo o no... Insomma, fino a un paio di giorni fa era tutto... diverso.”

“Forse perché non ci eravamo soffermati a pensare a cosa fossimo realmente io e te.”

Anna mi pianta addosso gli occhi verdi, fissandomi intensamente per qualche istante. “Quindi non credi che stiamo andando troppo veloce?”

Faccio una breve risata. “Beh, forse un pochino. Dopotutto, siamo sposati da nove anni con un figlio senza esserci mai frequentati prima. Abbiamo saltato giusto qualche tappa.”

Lei scoppia a ridere alla mia battuta, e quel suono scatena uno sciame di farfalle nel mio stomaco. È una sensazione piacevole.

“Giusto qualcuna,” sorride poi, gli occhi che brillano.

Mi faccio coraggio. “Siamo ancora in tempo per recuperare, che dici?”

Il sorriso di Anna si fa più dolce. “Penso proprio di sì.”

Alla sua affermazione, sento il cuore farsi più leggero. Non mi ero reso conto di sperare così tanto in una sua risposta positiva.

“Allora possiamo cominciare dall'inizio, dal primo appuntamento... Posso invitarti a cena?”

“Tecnicamente sarebbe il secondo, mi hai già invitata una volta.” Mi prende in giro lei, facendo riferimento a quella serata semi-disastrosa impostaci da Cecchini qualche mese fa. Serata che però ricordo con piacere, perché da quella volta abbiamo iniziato ad andare d'accordo.

“Sono già un passo avanti, allora.” Preciso. “Domani sera? Passo a prenderti io in moto.”

“Affare fatto,” accetta Anna con un sorriso, che io ricambio con entusiasmo.

La riaccompagno a casa, e non resisto a salutarla con un leggero bacio a fior di labbra.

Mentre salgo in sella alla mia moto, realizzo quante cose siano cambiate nel giro di qualche giorno.

E, per quanto possa sembrare strano, proprio io che detesto i cambiamenti, non mi fa poi così paura intraprendere questa nuova strada con lei.

È inaspettata, completamente, ma non vedo l'ora di scoprire cosa ci aspetta.

Ho l'impressione che questo viaggio varrà la pena di essere vissuto fino in fondo.

 

 

 

Grazie, ancora una volta, a Clarissa per il brainstorming, e a Martina, per il suggerimento!

 
 

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Capitolo 14
*** La notte dell'anima ***


LA NOTTE DELL'ANIMA

 

Marco's pov

 

Oggi è una splendida giornata di sole di metà marzo.

 

Una giornata perfetta per una gita a un monastero.

 

Ho saputo che Don Matteo aveva organizzato questo pellegrinaggio e Cecchini ha pensato di invitarmi, ma io ho accettato esclusivamente perché mi sono informato e ho scoperto che questi monaci fanno una birra artigianale fantastica, quindi il mio obiettivo è quello. Poi una bella passeggiata non fa mai male, e la compagnia è buona.

 

A proposito di monaci e simili, è tornato il pretino.

 

Stando a quello che mi ha detto Anna, Giovanni aveva bisogno di riflettere e se n'è andato per qualche settimana in montagna. Chissà che non decida di fare l'eremita, almeno la smette di ripensarci ogni due e tre e incasinare la vita degli altri. So che non sono affari miei, ma non è divertente vederla star male per quello che non si decide a capire cosa vuole dalla vita. Ora è tornato dall'isolamento, e chissà che novità porta.

 

Intanto per oggi io mi godo la camminata, così pure Patatino si sgranchisce le zampe.

Incontro i Cecchini al completo insieme a Cosimo al bar della piazza per fare uno spuntino prima di incamminarci, e quando usciamo troviamo una sorpresa: Giovanni e Anna.

Anche il Maresciallo non sapeva venissero, e a quanto pare don Giovanni ha omesso un particolare, perché dalla faccia di Anna di certo non si aspettava una gita tra colleghi, anzi.

Intanto arriva pure Zappavigna, cosa che non rallegra affatto Cecchini, e il gruppo inizia a camminare mentre io raggiungo Anna, che non si è mossa dal suo posto.

 

“Ehi!” La saluto.

Lei mi guarda, apatica. “E tu che c'entri con un pellegrinaggio? Pure il cane...”

“Ah, io assolutamente nulla!”

“Quindi che ci fai qua?”

“Io sono venuto per la birra,” le spiego, “questi monaci fanno una birra artigianale che è fortissima... Tu? Che ci fai qua?”

Lei non risponde, ma si volta verso il gruppo arrivato a metà salita, e Giovanni si è appena girato a guardare che stiamo facendo ancora piantati lì. Fatti gli affari tuoi e lasciaci chiacchierare in pace.

Decido di indagare, cercando di fare l'indifferente. “Ah, ma è per Giovanni! Ma si è riaccesa un po' di... fiammella? No?” Anna si limita a scuotere il capo, sconsolata. “Ti immaginavi di fare un'uscita romantica con lui?” La stuzzico, ridacchiando, ma vedo che si infastidisce. L'ha combinata grossa, mi sa, se non l'ha avvisata che non sarebbero stati soli. “Scusami... Speri che Giovanni non si faccia più prete?” Tento ancora, stavolta in tono più serio, ma vedo che la sua espressione triste non se n'è andata.

“Io non spero proprio niente.” Sussurra con sguardo basso. Ah, Giovanni, ma che combini? Proprio non ti rendi conto?

 

Cecchini sceglie proprio quel momento per attirare l'attenzione su noi due. “Signor Capitano!” La chiama, probabilmente incerto sul perché ancora siamo piantati lì.

“Vieni, Patatino!” Fa il piccolo Cosimo, e il cane inizia a tirare verso di lui. Okay, chiaccherata terminata.

“Dai, ragazzi, che don Matteo ci sta aspettando!” Io inizio a camminare, allargando le braccia in segno di resa. “E quando arriviamo su, Santa Messa per tutti!”

Getto un'occhiata alle mie spalle, e rido nel notare l'espressione di Anna. Se potesse, ho l'impressione che strangolerebbe tutti seduta stante.

 

 

Durante il tragitto, mi mantengo sempre qualche passo avanti alla coppietta in crisi. Lei non è entusiasta, e a ragione direi. Per carità, anche io ho combinato disastri nelle mie vecchie relazioni, ma come lui non credo. Se veramente ha deciso di farsi prete, ha anche scelto di farsi odiare, perché ha sbagliato in partenza modo di dirglielo. E anche nel caso in cui abbia cambiato idea e non andare in seminario, non doveva portarsi dietro la compagnia di gente esterna. Ma comunque... Cerco di non origliare, ma ogni tanto la tentazione è forte.

Tra un passo e l'altro, colgo una domanda di Giovanni che mi incuriosisce immediatamente.

“Sei arrabbiata?” Le chiede, una nota di timore nella voce.

“Ehm... un po', a dire il vero. È che mi aspettavo una cosa un po' diversa da un pellegrinaggio.” È la risposta piccata di Anna. E direi anche, è il minimo, che sia arrabbiata. Fosse stata la mia ex, sarebbe furibonda.

“Volevo che facessimo qualcosa di bello insieme, che la condividessimo...” cerca di giustificarsi lui. Un pellegrinaggio rientra nella categoria 'cose belle', quindi. Allora è vero che ce l'ha nel dna, questa cosa di farsi prete. “E poi volevo che conoscessi Don Matteo. Non è la persona che pensi... lui ci tiene a noi due.”

Giovanni, Giovanni... mettere in mezzo proprio Don Matteo non credo sia la mossa giusta. A giudicare dalla faccia di Anna, ho ragione.

“Sì, ma...” fa infatti spallucce lei, come a voler dire che il sacerdote non c'entra niente in questa storia.

“Hai ragione, lo so,” si ferma lui a un certo punto, cercando di rimediare, probabilmente, “ma credimi! La verità è che volevo stare un po' con te.” Ammette, e io sento uno strano fastidio allo stomaco.

Invitarla a un pellegrinaggio per passare un po' di tempo da soli, senza accertarti che lo foste realmente... mah.

Di sicuro, così, solo con lei non resti.

 

Prendo le distanze da loro, dicendomi che non sono affari miei, e che quella strana sensazione è solo dovuta al fatto che ho imparato a conoscere Anna in questi mesi e so quanto in questo momento ci sia male per questa storia, e sembra assurdo che Giovanni non se ne renda conto.

Patatino si ferma ad annusare un cespuglio di non so che, quindi i due mi sorpassano temporaneamente. Siamo tutti sovraccarichi perché Cecchini è caduto e si è fatto male a una caviglia, quindi ci siamo divisi gli zaini e il resto mentre il povero Zappavigna è costretto a portarsi il Maresciallo sulle spalle in quanto “colpevole di avergli causato il trauma”, quando cogliamo uno scorcio del monastero.

 

“Non pensavo fosse così grande!” Osserva Anna, ammirando la struttura che si erge, magnifica, davanti a noi. “Quanti frati ci sono?” Chiede, rivolgendosi a Giovanni.

“Sono monaci,” risponde lui, “e sono tre.”

Lei gli lancia un'occhiata stranita. “Solo tre?”

“Calo delle vocazioni.” Replica Giovanni prima di riprendere a camminare.

È più forte di me, e mi avvicino ad Anna. “Magari ci pensa il buon Giovanni a ripopolarlo, eh?”

Lei mi guarda male e se ne va, infastidita. Oh, ma ne valeva la pena, di fare quella battuta.

 

***

 

Più tardi, a cena, dopo aver dato le crocchette a Patatino, scopro che l'unico posto rimasto è proprio accanto ad Anna, mentre Giovanni è seduto all'angolo alla sua destra. Ma tu guarda che caso. Nel passarci i piatti, le nostre mani si sfiorano diverse volte, e non posso fare a meno di notare che lei arrossisce.

I monaci decidono di mostrarci le loro carte d'identità, per farci vedere com'erano prima di prendere i voti. Io osservo le foto da sopra la spalla di Anna. “Non dev'essere facile fare una scelta del genere, no? Abbandonare la vita che avevate prima...” Dice lei, senza però degnare di uno sguardo Giovanni, che non sembra apprezzare l'osservazione e le rivolge un'occhiata leggermente infastidita. Lei però continua a ignorarlo: sembra decisa a riservargli il trattamento silenzioso. La discussione si fa un po' più tesa, quando l'altra coppietta, quella formata da Zappavigna e la figlia di Cecchini, cerca di approfittare di un momento di distrazione generale per baciarsi, ma Cosimo ha altre idee. “Distanza, usurpatore! Ordini del Maresciallo!” Esclama, facendoci ridere tutti a spese dei due, ma almeno ha stemperato la tensione.

 

Cecchini torna subito dopo, preoccupato per don Matteo, ostinandosi nel volerlo andare a cercare nonostante il dolore alla caviglia, così decidiamo di dividerci in coppie per cercare meglio. Il maresciallo decide di andare con Giovanni, mettendo Anna in coppia con me (ad Assuntina e Zappavigna assegna anche Cosimo, per controllare che mantengano le distanze), mi aspetto quasi che lei si opponga per andare con il pretino, cosa che invece non fa.

“Va bene,” afferma, invece, secca, alzandosi in piedi. “Andiamo?” Mi chiede, poi, voltandosi verso di me, con uno sguardo che è impossibile non decifrare: non voglio restare qui un minuto di più.

“Certo,” mormoro io, alzandomi a mia volta. Noto Giovanni che tenta di parlare, probabilmente nel tentativo di richiamarla, ma lo vedo scuotere la testa e lasciar perdere.

Mi affretto a seguire Anna oltre la porta.

 

Dopo aver preso un paio di torce, giriamo un po' senza dire nulla e senza trovare niente, fino a ritrovarci in una specie di cripta.

Spegniamo le torce, vista la luce che filtra dalle finestrelle a vetri poste sui muri esterni.

“Sembra il luogo adatto per un giallo, no?” Scherzo, più per spezzare questo silenzio che altro.

Per fortuna, Anna risponde con una piccola risata. “Già, decisamente.”

Fa qualche passo in avanti, dandomi le spalle, che si alzano in un sospiro profondo.

“Ehi, che c'è?” Le chiedo, preoccupato.

Lei si volta a guardarmi, un'espressione mesta sul viso, gli occhi di un verde cupo.

“Niente, è solo che... in questo posto mi viene quasi da soffocare.”

Mi avvicino. “Questa stanza in particolare, o il monastero in generale ti sembra... troppo affollato?” Azzardo, alludendo ovviamente alla presenza di Giovanni. Per un attimo temo di essermi spinto troppo oltre.

Mi ritrovo i suoi occhi piantati addosso, a fissarmi, e ho come l'impressione che mi stia leggendo dentro.

Mi impongo di non interrompere il contatto.

Poi lei sbatte le ciglia, e il suo sguardo torna a incupirsi. “Direi che è facile, intuire la risposta, no?” Ammette.

“Come mai hai accettato di venire qui, allora?” Chiedo, sinceramente curioso. Certe scelte delle donne non le capirò mai.

Anna sbuffa. “Perché, come hai detto tu stesso stamattina, mi aspettavo un'uscita leggermente diversa. Di sicuro, pensavo che saremmo stati soli, non che mi sarei trovata mezza caserma appresso.” Fa, astiosa.

“Hai provato a dirglielo?” Dico, ma probabilmente è la frase sbagliata, perché mi lancia uno sguardo di quelli potenzialmente letali. Arretro istintivamente di un passo.

“Certe cose non ci sarebbe bisogno di dirle, Marco,” sbotta, una nota di rabbia nella voce. “Se voleva passare del tempo con me, avrebbe dovuto quantomeno essere sicuro che non ci sarebbe stata altra gente. Se non altro, per riuscire a parlare, cosa che così è impossibile fare.”

Scuote la testa, stizzita. “Voi uomini siete tutti uguali, fate tanto la morale a noi donne perché non ci va mai bene nulla, e poi siete i primi a non voler affrontare le situazioni in modo serio! Vi lamentate tanto che non siamo comprensive, però voi non fate mai lo sforzo di capirci. È più facile scappare che dire le cose come stanno, salvo poi accusarci di non ascoltare.” Si sfoga, cogliendomi alla sprovvista. “È impossibile ragionare con voi.”

Per qualche istante non so cosa rispondere.

È strano vedere le cose da questa prospettiva. In effetti, anch'io tendo a pensarla così il più delle volte, soprattutto dopo il matrimonio fallito. Ritenere che le donne siano tutte uguali, che a loro non importa nulla di cosa pensiamo, che se la vediamo diversamente, dobbiamo per forza cambiare idea e adeguarla alla loro. Che certe discussioni è meglio evitarle, perché è inutile parlare.

Forse è un modo di pensare troppo a senso unico.

Mi schiarisco la voce.

“In effetti, non hai tutti i torti, credo,” concedo, affondando le mani nelle tasche dei jeans.

Lei mi rivolge uno sguardo sconcertato, come se le avessi appena detto di aver visto un alieno.

Che situazione assurda, io che le do ragione.

“Non guardarmi così, su,” chiedo, con un mezzo sorriso. “È vero che noi uomini siamo cinici, delle volte. E ammetto che stavolta Giovanni non si è comportato proprio bene, con te. Ha proprio sbagliato approccio.”

“Lo stai dicendo per farmi piacere, o perché lo pensi davvero?” Mi domanda, dubbiosa.

Le rivolgo un sorriso di traverso. “No, sono serissimo. Se voleva parlare con te, avrebbe dovuto accertarsi che aveste almeno un po' di privacy. Secondo me, ha già tentato abbastanza di scappare, e questo mi sembra solo l'ennesimo tentativo di evitare l'argomento. Anche perché non si è sforzato più di tanto per cercare di parlarti, finora, mi pare. Cioè, tu non gli hai dato molte possibilità, però in questo caso hai tutte le ragioni per prendertela.”

Anna mi rivolge uno sguardo sorpreso, ma grato.

“... grazie? Non so che dirti, mi hai spiazzata, a essere onesta.” Ammette, ancora basita.

Ridacchio alla sua affermazione.

“Quindi, secondo te, cosa dovrei fare?” Mi chiede poi, in tono incerto. Capisco che vuole davvero la mia opinione.

Sospiro, riflettendoci un attimo su. “Magari abbassare l'ascia di guerra. Parla con lui, vedi cos'ha da dire. Probabilmente ha già preso una decisione sul suo futuro, e sta solo cercando il modo adatto di dirtelo, visto che ultimamente vi siete presi questa 'pausa'. A volte non è così facile ammettere come ci si sente, soprattutto con le persone che amiamo.”

Anna non mi interrompe, quindi decido di proseguire nel discorso. “Tu cosa vorresti fare? Non vuoi sapere cos'ha deciso?” Le domando, anche se immagino già la sua risposta.

Se c'è una persona che sa ascoltare e capire gli altri, questa è proprio Anna. È normale che sia restia, non è mai facile essere pronti davanti a queste situazioni, ma so che proprio lei ha bisogno di conoscere la verità.

Lei esita un attimo. “Sì, certo... è da un sacco che aspetto di sapere. Sono stanca, adesso, voglio capire cos'è rimasto tra noi... se è rimasto qualcosa.” Ammette, con estrema titubanza. Immagino che debba costarle molto, dirmi queste cose.

“Allora ascoltalo. Dagli modo di parlarti. Cerca solo di seguire quello che il tuo cuore ti dice di fare, non forzare comportamenti che non sono tuoi. So che non è da te fare così,” le dico, candidamente, e lei non obbietta, anche se abbassa lo sguardo. “E, per quanto possa essere difficile, cerca di accettare qualunque decisione abbia preso.”

“Io non voglio obbligarlo a fare qualcosa che non vuole,” mormora, “e se ha capito che la sua strada non è con me, non ho intenzione di trattenerlo.” Noto che la sua voce trema appena. “Ci ho provato, ma non sarebbe giusto continuare a farsi la guerra per qualcosa che forse non c'è più e basta.”

Davanti a questa sua ammissione, mi avvicino, accarezzandole un braccio per tentare di consolarla.

“Dai, non è detta l'ultima parola, no?” Dico, anche se ho l'impressione che Giovanni abbia fatto una scelta che non la coinvolge più.

“Mh.” Si limita a bisbigliare Anna.

Sentiamo il rumore di un tuono, fuori dalla cripta. Ci ridestiamo da quest'onda di confessioni che sembrava averci intrappolati qui dentro.

“Forse sarebbe il caso di cercare in un'altra stanza, che ne pensi?” Domando, ignorando lo strano imbarazzo che aveva iniziato a insinuarsi tra noi.

Lei annuisce nella penombra.

Facciamo qualche passo quando, con la coda dell'occhio, vedo Anna inciampare su qualcosa, e l'afferro al volo appena in tempo, stringendola quasi involontariamente a me per impedirle la caduta. È in quell'istante che succede una cosa che non avevo previsto.

 

Nel momento in cui me la ritrovo tra le braccia, e i nostri occhi si incrociano, mi sento mancare il fiato, e percepisco quell'assurda sensazione delle farfalle allo stomaco che ero convinto non avrei provato mai più. E ho il folle presentimento che per lei sia lo stesso, vedo lo stesso stupore nelle sue iridi verdi.

Il tempo sembra essersi fermato.

 

Giovanni's pov

 

Sono insieme al maresciallo Cecchini, alla ricerca di Don Matteo.

Non sono stato molto entusiasta della divisione che ha fatto, avrei preferito che Anna fosse in coppia con me per cercare di parlare con lei.

Invece no, è in coppia con il PM, e la cosa mi ha contrariato abbastanza. Non mi è mai stato particolarmente simpatico, e questa vicinanza che sembra aver acquisito con Anna mi infastidisce.

Certo, lei ha sempre detto che sono colleghi e basta e che si tollerano e basta, ma quando sono tornato dal periodo di isolamento in montagna, non ho potuto fare a meno di notare che il loro rapporto è senza dubbio cambiato. Non c'è più la stessa formalità di prima tra loro, ed è strano, perché Anna non è il tipo da avvicinarsi così in fretta a qualcuno.

Eppure, tutto questo attaccamento tra loro è evidente, e non mi piace.

Sì, ho preso una scelta ben precisa e non ho intenzione di tornare sui miei passi, ma ciò non toglie che la gelosia è un sentimento che sono ancora libero di provare.

“Qui non c'è, vediamo in un'altra stanza,” commenta il maresciallo, distraendomi dai miei pensieri.

All'improvviso vediamo il piccolo Cosimo arrivare di corsa, gli occhi sgranati.

Per un attimo temo che Assuntina e Zappavigna abbiano trovato don Matteo e che le notizie non siano buone.

“Maresciallo, maresciallo!” Fa il bambino, con voce acuta.

“Cosimo! Che c'è? Avete trovato qualcosa? Dov'è Assuntina?” Chiede lui in fretta, preoccupato.

“Non lo so, però ho visto che si stavano baciando e sono venuto qui!”

Trattengo una risata alla faccia sconvolta di Cecchini.

“Chi? Mia figlia e Zappavigna? Appena becco quell'usurpatore...!” Impreca lui, sul piede di guerra.

“Nooo, non Assuntina!” Nega però Cosimo, lasciandoci per un attimo interdetti. “Il Capitano!”

Sento la terra mancarmi sotto i piedi per qualche secondo.

Anna e... il PM?

Si stavano baciando.

Non è possibile.

“Ma no, che dici? Ti sei confuso!” Cerca di rettificare il maresciallo, lanciandomi un'occhiata di traverso. Credo di essere diventato pallido, a giudicare dal formicolio sul viso.

“No no, li ho visti! Erano abbracciati, sicuro che si baciavano pure loro! Una cosa schifosissima! Per questo sono venuto qua!” Continua lui, candidamente, senza sapere cosa le sue ingenue parole stiano scatenando in me.

“Vediamo dove sono, va,” Fa allora Cecchini, seguendo il bambino che ci indica allegramente la strada.

Io mi sforzo di seguirli.

Non sono sicuro di voler vedere.

Quando raggiungiamo il corridoio che conduce a una delle cripte, vediamo Anna e il PM venirci incontro, ridendo.

A me, è da ieri che tiene il broncio. Con lui, ride.

Allora è vero, quello che ha visto il bambino.

“Visto, maresciallo?” Esclama Cosimo, indicandoli con un dito.

Loro sembrano decisamente confusi.

“Cosa?” Fa Marco. Trattengo a stento l'istinto di mettergli le mani addosso.

È chiaro che Cecchini è a disagio almeno quanto me.

“No, niente, è che... il bambino ha detto di avervi visti, prima, mentre...” biascica, senza terminare la frase.

Anna aggrotta le sopracciglia, lo sguardo vagamente preoccupato. “Mentre...?”

Io abbasso lo sguardo a terra, ma poi decido di farmi coraggio e metterli di fronte all'evidenza.

“Ha detto che vi ha visti baciarvi,” affermo, guardando Anna.

Lei spalanca gli occhi, così come Marco.

“Ma no, che... Cosimo, che dici?” chiede nervosamente il PM.

“Ma io vi ho visti!” Si difende lui. “Eravate abbracciati!”

Li vedo scambiarsi uno sguardo incerto.

“Intendi quando... ah!” Esclama ancora lui, scuotendo la testa. “Mi sa che hai frainteso.”

“E allora cos'è che avrebbe visto?” Presso, incrociando le braccia.

Anna mi rivolge un sorriso imbarazzato, spostando una ciocca dietro l'orecchio. “Stavamo uscendo dalla cripta quando sono inciampata in una delle pietre per terra. Marco mi ha semplicemente evitato la caduta,” spiega, arrossendo appena.

Ah.

Getto uno sguardo a terra: in effetti, è pieno di frammenti di marmo e pietra più o meno grandi. Nella penombra, è facile inciampare.

Sento Cecchini tirare un sospiro di sollievo.

“Vedi? Non si dicono le cose in giro se non sei sicuro!” Rimprovera Cosimo.

“Va bene...” Accetta lui, “però sono sicuro che sua figlia con l'usurpatore si stava baciando. Loro li ho visti bene!” Afferma, sorridendo.

“Che?!” Fa il maresciallo, allarmato davvero, e noi scoppiamo a ridere. “Forza, andiamo! Cerchiamo!” Incalza, e io mi ritrovo costretto a seguirlo di nuovo, dopo un cenno e un'occhiata dubbiosa ad Anna e il PM.

Avranno anche detto la verità, ma non cambia nulla.

 

Marco's pov

 

Don Matteo alla fine lo trovano Giovanni e il Maresciallo, svenuto, ma hanno trovato pure il cadavere del professore che stava studiando un libro di inestimabile valore, che è sparito.

 

Cerchiamo di capirci qualcosa, e scopriamo che uno degli ospiti del monastero ha finto di essere morto per anni per sfuggire alla giustizia, e questo ne fa un buon indiziato per l'omicidio.

Io e Anna cerchiamo di fargli confessare il delitto, ma quando lui non collabora decidiamo di chiuderlo a chiave nella cella, in attesa che il tempo migliori per tornare in paese.

 

Quando usciamo, Anna sembra sconvolta. “Ruba e poi fa credere a sua moglie e sua figlia di essere morto... che razza di uomo fa una cosa del genere?” Si domanda basita, avvicinandosi a me.

“Un uomo che ha paura...” rispondo io a bassa voce. Capisco la sua reazione, ma a volte si possono fare cose assurde, quando si è terrorizzati e non si sa che fare. “Sai, ce ne sono tanti che scappano dalle proprie responsabilità... Poi però qualcuno magari... ci ripensa.” Le dico con un sorriso, alludendo a qualcuno alle sue spalle. È arrivato Giovanni, e non sembra troppo contento di vederci insieme.

“Posso... parlarti un attimo?” Fa lui, rivolto ad Anna. “Sempre se non disturbo...” Aggiunge, una nota sarcastica nella voce che mi infastidisce. Lei sospira, annuendo, tornando a rivolgere a me l'attenzione.

“Sì... Faccio piantonare la cella e verificare le condizioni meteo per capire quando possiamo rientrare...Scusa...” Mi dice tutto d'un fiato e leggermente in imbarazzo con uno sguardo di scuse, prima di andare via e seguirlo, anche se non sembra troppo contenta. Ma evitarlo adesso non sarebbe possibile senza essere un po' crudele, quindi non mi stupisce che sia andata da lui. Capisco anche che sta cercando di seguire il consiglio che le ho dato stamattina, e ripenso alle sensazioni che ho provato quando me la sono ritrovata incredibilmente vicina.

 

Mi rendo conto che, da quel momento in poi, la distanza tra noi sembra accorciarsi progressivamente, e non solo quella fisica.

E scopro che questa cosa mi riempie inaspettatamente di gioia.

 

***

 

Poco più tardi, scopriamo che il prigioniero è scappato chiudendo dentro la cella Zappavigna, accorso quando ha sentito urlare, e don Matteo, che a quanto pare aveva deciso di andare a parlare con lui. Dire che Anna è furiosa è poco, e non posso biasimarla stavolta. Non l'avevo mai vista così decisa, e minacciosa. Né io né il Maresciallo fiatiamo, perché anche se Don Matteo ha fatto delle osservazioni corrette, avrebbe anche potuto esporci i suoi dubbi senza agire direttamente. Ma dopo la sfuriata di Anna, nemmeno lui dice più nulla.

 

Di sicuro sa essere convincente.

 

 

Anna's pov

 

So di aver esagerato con Don Matteo, ma non sono riuscita a impedirmelo.

Non dopo quello che è successo con Giovanni.

Quando è venuto a chiamarmi, dopo che avevamo chiuso il prigioniero nella stanza, ci siamo ritrovati... vicini dopo non so quanto tempo.

È stato lui a prendere il discorso, a ricordare quanto eravamo felici prima, quando eravamo certi di voler stare insieme.

Erano mesi che non lo baciavo.

Non in quel modo.

C'era la pioggia, e c'era l'atmosfera, e c'eravamo noi.

Eppure... non c'era niente. Niente.

Ho provato soltanto un profondo senso di vuoto.

Niente scintille, niente batticuore, niente brividi.

Niente.

E il peggio è stato leggere la stessa sensazioni nei suoi occhi quando ci siamo separati.

Eravamo vicini, teneva il mio viso tra le mani, ma non credo siamo mai stati più distanti di così.

Quando Cecchini ci ha interrotti, ho sospirato di sollievo, perché davvero non avrei saputo come tirarmi fuori da quella situazione. L'ho seguito senza dire una parola.

Poi ho ritrovato il libro, ma ho scoperto che don Matteo aveva cercato di far confessare il prigioniero, finendo per farsi chiudere nella stanza insieme a Zappavigna e lasciandolo fuggire.

Ero già emotivamente instabile, mi mancava solo quello per farmi uscire definitivamente fuori dai gangheri.

Davvero, non volevo urlargli contro, ma avevo bisogno di sfogarmi, e lui me l'ha servita su un piatto d'argento.

Il mio orgoglio mi impedisce di scusarmi subito, ma di sicuro ho bisogno di pensare.

Ho bisogno di capire.

Fortuna ha voluto che mi portassi dietro un pacco di sigarette, quasi mi aspettassi lo stress che si sarebbe presentato con questa 'gita'.

Cioè, in realtà me lo aspettavo, ma per motivi opposti.

Fortuna, poi, relativamente. Fumavo nel periodo dell'Accademia, poi avevo smesso. Sono rare le occasioni in cui sento il bisogno di accenderne una. E purtroppo stasera è una di quelle.

Mi sento confusa anche per quello strano momento che ho condiviso nella cripta con Marco.

Non so cosa mi è preso, cosa mi ha convinta a sfogarmi in quel modo con lui.

In fondo siamo solo colleghi di lavoro. O almeno, lo eravamo. Adesso non lo so.

Non mi aspettavo che fosse così comprensivo con me, soprattutto dopo che avevo iniziato a trattarlo male senza motivo. Me la sono presa con lui perché era lì ed era un bersaglio facile.

Non mi ha risposto per le rime, come mi sarei aspettata, anzi: al contrario, ha cercato di consolarmi, ha lasciato che mi sfogassi e ha accolto la mia richiesta di aiuto.

È stato... dolce. Non avrei pensato che potesse esserlo, soprattutto non con me, non so nemmeno per quale motivo.

Poi, quando mi sono ritrovata tra le sue braccia, stretta contro il suo petto, mi sono sentita... protetta. Come se non mi avesse salvata solo dal cadere a terra, ma mi avesse impedito di andare molto più a fondo, in un baratro senza fine. Mi sono sentita al sicuro, come se niente in quel momento potesse ferirmi, ed è una sensazione che non riesco a spiegarmi razionalmente.

Io non mi lascio andare così con qualcuno che conosco appena.

Non l'ho mai fatto nemmeno con Giovanni, forse non fino a questo punto.

E la consapevolezza di ciò mi terrorizza.

Non so più cosa pensare.

 

A interrompere le mie riflessioni arriva proprio Giovanni.

“Pensavo avessi smesso,” dice, riferendosi alla sigaretta.

Sospiro. “Fumo ogni tanto. Quando devo riflettere,” mi limito a mormorare io, accennando un sorriso. Lo so perché è qui. Vorrei tanto evitarlo, ma so che sarebbe inutile.

Lui incrocia le braccia, teso. “Anch'io ho riflettuto e... volevo parlarti riguardo a quello che è successo. Il bacio...”

“Non c'è bisogno,” lo blocco. Voglio evitarmi il più possibile questa conversazione. “L'ho capito, non sono una ragazzina. Hai scelto Dio, giusto?”

Giovanni evita il mio sguardo, senza però rispondermi.

“Sai, quando mi hai detto che volevi diventare prete, ho pensato che dovessi lottare contro Dio per riaverti, che tu amassi più Lui che me, o che il problema... fossi io, il mio lavoro, come sono fatta...” Cerco il suo sguardo, voglio che mi guardi dritto negli occhi quando glielo dirò. Non mi va più di giocare. “Il problema siamo noi due,” affermo, senza esitare ulteriormente. “Forse io e te semplicemente non ci amiamo più. Ti ricordi quella suora, ad Assisi?” Gli chiedo, riferendomi a quella volta quando andammo a visitare il paese, e lui si dimenticò di prenotare l'albergo, obbligandoci a chiedere ospitalità in un convento di suore che ci diedero la stanza solo perché ci scambiarono per fratello e sorella. Lui annuisce. “Aveva ragione. Col tempo siamo diventati come fratello e sorella, e la colpa non è mia, tua, o di Dio. Succede,” sospiro, e mi rendo conto che è la verità. Certe cose capitano e basta. Spengo il mozzicone di sigaretta sulla balaustra, prima di allontanarmi dal balcone di un passo. “Io spero che tu sia felice, davvero,” termino, con il tono più sincero che riesco a trovare.

Giovanni si limita ad annuire, abbassando lo sguardo, prima di voltarmi le spalle e andare via senza dire nulla.

Solo quando sono sicura che non tornerà indietro, mi appoggio di nuovo al balcone, prendendomi la testa tra le mani. Nonostante tutto, fa male, e sento gli occhi pizzicare.

Qualche lacrima rotola giù senza che riesca a fermarla.

È vero che durante quel bacio non ho sentito nulla, ma adesso, di sicuro, il rumore del nostro cuore che si spezzava l'ho sentito eccome.

 

Marco's pov

 

Adesso che ha smesso di piovere e abbiamo trovato il falsario del libro, ci resta un'ultima notte da passare qui al monastero.

Dopo l'acquazzone di oggi pomeriggio, il cielo notturno è terso e punteggiato di stelle, e sarebbe uno spreco restare dentro senza averlo ammirato almeno un po'.

Decido di uscire sul balcone che dà sul cortile interno, quando noto Giovanni rientrare in fretta, il volto scuro.

Lui per fortuna non mi nota, ma la situazione mi fa affrettare il passo verso l'esterno. Ho l'impressione di sapere cosa, o meglio chi, troverò fuori.

E infatti, ecco Anna.

Non serve chiedere cosa sia successo.

Vederla così fragile in questo momento mi destabilizza: non è una visione a cui sono abituato, e sulle prime non so che fare.

Si tiene la testa tra le mani, e noto le sue spalle scosse da leggeri tremiti.

Non mi ha sentito arrivare.

Il mio corpo sembra decidere da sé cosa fare: mi avvicino, sfiorandole un braccio, e quando lei solleva su di me gli occhi colmi di lacrime, spalancati per la sorpresa di vedermi lì, la stringo in un abbraccio senza dire niente.

Le parole in questo momento non servono.

Lei sembra pensarla allo stesso modo, perché dopo un attimo di esitazione, sento le sue dita stringere forte la mia felpa.

Restiamo così, senza parlare, per non so quanto tempo.

Possiamo stare per tutto il tempo necessario, non sarò io a lasciare la presa.

È lei a scostarsi leggermente, dopo minuti interminabili passati a piangere con il volto nascosto contro il mio petto.

“Scusami, io... ti ho bagnato la felpa,” biascica, la voce roca.

Io mi limito a scuotere la testa, senza allontanarmi dal mezzo abbraccio in cui siamo ancora intrecciati.

“Non dirlo neanche per scherzo,” la tranquillizzo. “Lo sai, vero, che se hai bisogno di parlare, io ci sono?”

Anna accenna un sorriso, annuendo. “Grazie...”

Io le sorrido di rimando, accarezzandole una guancia umida, le lacrime che luccicano, ancora impigliate tra le sue ciglia.

Per la seconda volta, oggi, mi perdo di nuovo nei suoi occhi verdi, brillanti di pianto.

C'è una voce nella mia testa che mi urla di riflettere e non fare mosse azzardate ma, per qualche ragione sconosciuta, la ignoro.

E mi ritrovo a baciare le sue labbra screpolate, che in questo istante sanno di sale.

Non so nemmeno cosa sto facendo.

So soltanto che, per qualche assurdo motivo, mi è sembrata come la cosa più giusta da fare.

La cosa più sconvolgente è che Anna non solo non si oppone, ma la sento aggrapparsi alla mia felpa, di nuovo, come se fosse l'unico appiglio rimasto per non cadere.

 

Tutto finisce in fretta così com'è iniziato.

Ci allontaniamo di scatto, senza sapere bene come comportarci.

Ergo, non so spiegarmi nemmeno perché l'ho baciata.

Non so chi dei due sia più in imbarazzo.

Provo a giustificarmi, anche se le parole faticano a uscire.

“Io... mi dispiace, non so cosa mi è preso...” farfuglio, evitando il suo sguardo. “Giuro, non volevo approfittarmi di te o... o...” Il mio tentativo si perde nel nulla. Davvero non so cosa dire.

“No, lo so che non...” mormora lei, altrettanto incerta. “È stato il momento, forse, che...” Cerca di spiegare Anna. Non l'ho mai vista così in difficoltà.

“Sì, è vero...” Colgo al volo il suo tentativo. “È stato solo... solo un bacio di... conforto... Sì...” Continuo a biascicare, io.

Lei annuisce. “Allora... grazie per... il conforto...” bisbiglia. “Buonanotte,” mi augura poi, prima di correre via, il volto in fiamme.

Stavolta è il mio turno, di appoggiarmi al balcone.

Che accidenti è successo?

 

***

 

Alla fine le osservazioni di Don Matteo si sono rivelate esatte, anche se solo dopo che Anna aveva scoperto che il libro era in effetti rimasto all'interno del monastero, al contrario di quanto pensava lui, e il prigioniero in fuga è tornato spontaneamente consegnandosi alla giustizia.

 

Devo dire che però sono entrambi molto capaci, perché sono stati tutti e due essenziali per la risoluzione del caso, ognuno a modo proprio.

 

Nel tragitto di ritorno, che noi facciamo comunque a piedi, torno a pensare a ieri sera. Non sono quasi riuscito a chiudere occhio, e quel poco di sonno è stato tormentato da quel bacio che tutt'ora non riesco a spiegarmi appieno.

Okay, sì, Anna mi intriga, ma da qui a baciarla...

Forse è stato davvero il momento, ci siamo lasciati trasportare da quell'onda di intimità che si era creata fin dalla mattina.

O forse c'era già, ci siamo avvicinati molto in quest'ultimo periodo, e ieri è stato tutto enfatizzato dall'aria del monastero e dalle conversazioni profonde che abbiamo avuto.

 

Getto uno sguardo davanti a me: come immaginavo, Anna e Giovanni camminano distanti, e lui si volta per un attimo a guardarla, prima di continuare dritto davanti a sé.

Non tira una bella aria, ma è normale che sia così, visto che si sono lasciati, stavolta definitivamente.

Comunque, stanotte, a una conclusione sono arrivato: Giovanni ha preso una decisione che non ha senso. È una follia.

Tra le due strade davanti a sé, secondo me, ha scelto quella sbagliata. Almeno da un certo punto di vista. Sbagliata per lui, ma a me, in fondo in fondo, non dispiace poi tanto, se non ha capito a cosa sta rinunciando.

Colgo lo sguardo perso di Anna, così mi faccio coraggio, mettendomi al passo con lei.

 

“Ehi,” mormoro, per farle notare la mia presenza.

Eccoli, quegli occhi verdi che non mi fanno dormire.

“Ehi,” ripete lei con un mezzo sorriso imbarazzato.

“Come va?” Le chiedo. Sarebbe inutile far finta di non sapere, a questo punto.

Fa una smorfia. “Insomma... è finita, lo sai. Ci siamo lasciati.”

Io mi limito ad annuire.

Per il momento non aggiungo altro, le parole mi sembrano di troppo.

Restiamo ad osservare gli altri camminare davanti a noi per un pezzo di tragitto, e a un certo punto mi soffermo su Cosimo che gioca insieme a Don Matteo, facendo saltare due pezzi di legno lungo la strada.

Mi vien da ridere per il paradosso della situazione.

Anna si volta verso di me, un'espressione confusa sul viso.

“Che c'è?”

Le rivolgo un sorriso sornione. “Niente, stavo solo pensando che... Spero che Cosimo non ci abbia visti ieri sera, chissà che andrebbe a raccontare in giro.”

Lei mi guarda, interrogativa, apparentemente senza captare il filo del discorso. “In che senso?”

“Beh, quando l'ha detto lui, aveva chiaramente visto male, ma il bacio poi c'è stato sul serio...”

“Oh, per quello...” mormora Anna, arrossendo.

Penso che sia il momento buono per rettificare quanto successo la scorsa notte.

“A tal proposito, parlando di ieri sera... Davvero, non vorrei che si creassero incomprensioni tra noi,” dico, sinceramente. “Non che mi sia dispiaciuto, anzi, però è stata una cosa dettata dal momento. Non ci ho nemmeno riflettuto. Non avevo secondi fini, o altro. Non era mia intenzione approfittarmi del tuo stato.”

Lei accenna un sorriso. “Tranquillo, l'avevo intuito. Ti conosco abbastanza da non aver mai avuto dubbi su questo, e poi, ormai mi fido di te. So che non sei quel tipo di persona. E per me vale lo stesso...” Aggiunge, dopo un attimo di esitazione. “Voglio dire, ci ho pensato, e so che l'hai fatto davvero come un gesto di conforto. Inaspettato, ma... diciamo che un po' è servito,” ammette, le guance di un bel rosso acceso.

“In tal caso, mi fa piacere,” sorrido io di rimando. “E comunque, se posso permettermi, secondo me è stato un pazzo, a prendere questa decisione.” Dichiaro, alludendo a Giovanni, che cammina in testa al gruppo.

Lei gli lancia un'occhiata. “Perché ha scelto Dio?” Chiede, sconfortata.

“No,” rispondo, e decido di rischiare e dirle quello che penso. Anche perché, è la verità. “Perché ha lasciato andare una come te.”

Per qualche istante Anna sembra spiazzata dalle mie parole, tanto che si blocca sui suoi passi per fissarmi ad occhi spalancati.

“Chi sei tu, e che ne hai fatto del Marco Nardi che passa le giornate a darmi fastidio?”

Scoppio a ridere alla sua battuta.

“Non ti ci abituare, la gita al monastero è finita. E pure l'aria da romanzo gotico.”

“Significa che ricomincerai a tediarmi una volta tornati a casa?” Chiede, le sopracciglia inarcate.

“Certamente.”

“Meno male, stavo iniziando a preoccuparmi.”

Mi faccio un'altra risata mentre riprendiamo a camminare, stupendomi non poco per il suo umorismo. È stata brava ad alleggerire la tensione così. Un punto a favore del Capitano.

“Ah, Marco?” Fa lei, dopo qualche minuto.

“Sì?”

“Sono contenta che abbiamo fatto dei passi avanti, comunque. Che adesso siamo... amici.”

Stavolta sono io ad essere spiazzato dalle sue parole.

Non posso che rivolgerle un sorriso sincero e colmo di gratitudine.

Anche io.”

 

Come sempre, grazie a Clarissa per il brainstorming, e a Martina per il suggerimento!

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Capitolo 15
*** La crepa - versione 2 ***


 
 

LA CREPA

 

*** Quando il maresciallo mi chiama per informarmi di un ragazzo aggredito, mi sveglio di soprassalto.

Devo aver staccato la sveglia senza nemmeno sentirla, non mi ricordo, e sono decisamente in ritardo.

Arrivo in caserma mezz'ora dopo, passando prima di tutto dall'ufficio di Anna.

“Ciao ciao... arrivo, eh!”

“Abbiamo fatto le ore piccole!” Scherza Cecchini.

“Lavorato?” Gli fa eco Anna con un sorriso.

“No no, sono andato al Gran Premio di Formula 1... ma te l'ha detto tua sorella?” Domando,  perplesso.

“No... non ci siamo viste.”

“È la prima volta che conosco una donna patita di Formula 1...” Commento. “Caffè e arrivo, va bene?”

Lei annuisce prima di tornare ai documenti che ha davanti.

 

Ho un sonno da non stare in piedi.

 

***

 

Poco dopo convochiamo la ragazza che è coinvolta nel gioco di ruolo di cui faceva parte il ragazzo aggredito. Io sono davvero scioccato dalle sue affermazioni: davvero lo ritiene solo un gioco?

La mia pazienza è decisamente al limite, e le sue lacrime non mi incantano. Ha portato quel ragazzo quasi ad ammazzarsi, e questa cosa che sia stato un altro a dirle di scrivere quei messaggi non me la bevo.

Anna mi lancia un'occhiataccia intimandomi di smetterla, ma come? Come può essere così calma?

Quando la ragazzina viene portata via, Anna mi ferma mentre sto uscendo.

“Comunque potevi andarci piano, è una ragazzina.”

Io mi blocco. “Che ha fatto quasi ammazzare un suo coetaneo, però.”

“Questo non lo sappiamo. Potrebbe essere stata la persona che le ha mandato i soldi per posta.”

“Credi veramente alla storia che ha detto?!”

“Sì! Credo anche che Sveva sia innamorata di Giacomo.”

“Se era innamorata perché non è andata da lui a dirglielo?” Andiamo, tutti questi sotterfugi? Sono solo bugie.

“Paura? Non lo so! Non è facile dire a una persona che ti interessa!” Sul serio? Stiamo facendo questa conversazione per davvero?

“Soprattutto a quell'età...” conclude.

“Gli mente, lo tormenta, lo manda bendato su un ponte... bel modo di amare, veramente!” Le dico, ormai arrabbiato anche con lei. Come può fare quelle affermazioni? Però ha ragione sul fatto che non sia facile... non è che tu hai fatto di meglio.

“Marco, per amore si possono fare le cose più assurde!” Mi apostrofa.

“Come per esempio, guardare la Formula 1...” Mormora Cecchini, sbucato dal nulla accanto a noi. Io gli lancio un'occhiata perplessa: in che senso? “L'ho detto tanto per dire... dovevo prendere questi, scusate.” Afferra dei fogli e si allontana.

“Allora verificate questa storia della lettera e tenetemi aggiornato, va bene?” Dico freddamente ad Anna, senza degnarla di uno sguardo mentre esco.

 

***

 

Più tardi, però, le mando un messaggio chiedendole scusa. Forse ho esagerato, d'altronde è tutto da vedere. E poi non dovevo prendermela con lei, mi ha solo esposto dei dubbi che in effetti non sono così improbabili, pensandoci a mente più serena.

Intanto chiedo a Chiara se le va di andare all'Umbria Jazz Spring Festival, lei accetta e mi dice che proporrà anche a sua sorella di venire, visto che è un genere che le piace. Le rispondo che per me non ci sono problemi, cercando di non mostrarmi troppo entusiasta dell'idea.

Hai chiesto a sua sorella, non a lei. Se viene, non lo fa per te perché non sei stato tu a invitarla.

 

Quando mi presento a casa Olivieri, è lei ad aprire. Noto con disappunto che indossa un semplice maglioncino e un paio di jeans. Quindi non viene.

“Entra,” mi accoglie con un sorriso. Avanzo nel soggiorno, e mi accorgo che la tavola è apparecchiata.

“Fai una serata casalinga?” Chiedo, fingendomi incurante.

Lei mi supera, tornando a sistemare i piatti. “Aspetto una persona.”

“Ah.” Mi trattengo a stento dal commentare oltre. Che significa, che aspetta una persona? Chi sarebbe? Non è uscita con nessuno, ultimamente. Lo saprei, se si vedesse con qualcuno, me ne sarei accorto. Non se sei impegnato ad andartene in giro con sua sorella. E poi non deve mica raccontarti tutto per forza. L'hai detto anche tu, no? Non avete firmato un contratto, e lei è libera di fare quello che vuole.

Mando giù a forza la vaga sensazione di gelosia che sento salire in gola, e butto lì qualcosa per farla pentire della sua scelta di non venire. Cioè, per dirle che mi spiace non venga.

“Peccato, c'è l'Umbria Jazz Spring Festival a teatro...”

“Ah, peccato perderselo.” Mi risponde, indifferente. Ma davvero non le interessa?

“Sai che è lo stesso che ha detto Chiara?”

“Dai? Incredibile.”

“Con la mia ex era tutto un litigio...” Continuo, un po' per raccontarle qualcosa in più rispetto a quello che già sa, un po' per cercare di provocarla. “Chiara è... tipo come avere un amico uomo... vabbè, poi sa che cos'è il fuorigioco, quindi...”

“Mh-mh...” No, non le importa niente di quello che le sto dicendo, glielo si legge in faccia che mi sta ascoltando solo per cortesia.

In quel momento arriva Chiara dalla stanza accanto. È molto carina, quel vestito nero le dona molto.

Si avvicina, abbracciandomi prima di rivolgersi ad Anna.

“Sicura che non vuoi venire?”

“Tranquilli,” conferma lei, “aspetto un amico per una serata speciale.”

“Perfetto, allora noi usciamo!” Le risponde la sorella, avviandosi verso la porta.

Io resto indietro per qualche istante, mentre una vocina in testa mi urla di mandare a quel paese la serata a teatro e restare qui a casa con lei. Poi mi do' finalmente una svegliata, la saluto un'ultima volta ed esco anch'io.

 

Nonostante la bella serata che passo con Chiara, che ammetto essere molto divertente e piacevole, ho un pensiero fisso che mi ronza per la mente. Spero di non incontrare mai questo amico della serata speciale. Deve sparire prima che ci riesca.

 

***

 

Il giorno dopo, mi chiamano in caserma perché hanno trovato due possibili sospettati: il fratello del ragazzino e un suo amico. Durante l'interrogatorio, anche questi due mi fanno perdere la pazienza, e Anna come al solito resta impassibile. Ammetto che aveva ragione lei sulla questione di Sveva, la ragazzina, però questi due c'entrano di sicuro.

Una volta terminato, sto per salire in moto quando il maresciallo e Anna mi fermano.

“Dottor Nardi?” Mi chiama lei. Non ho mai capito perché facciamo questa cosa di chiamarci per nome quando siamo soli e di darci del 'lei' in pubblico, ma so per certo che viene istintivo anche a me. Quasi a voler tenere questa familiarità solo per noi. “Stavo pensando, dato lo stato delle indagini, che potremmo fare un ragionamento ulteriore...” Si volta a guardare Cecchini, e noto che è leggermente tesa. “Magari stasera... a cena, a casa Sua.”

Come? Ho capito bene? Non me lo sto immaginando, vero?

“...Okay. Ma... perché da me? La moglie del Maresciallo cucina benissimo!” Marco, finiscila subito! Va bene a casa tua, dille che non ci sono problemi!

“Mia moglie è impegnatissima, c'ha un raduno, un raduno degli alpini, c'ha il raduno del club del tartufo nero di Norcia...” Spiega lui.

“Possiamo far da lei, forse...” Suggerisco, indicando Anna.

“Eh no, da lei, dopo quello che è successo...” Fa Cecchini.

“Che è successo?” Mi preoccupo. C'entra l'amico di ieri? Che ha combinato? Chi è questo tizio?

“Che è successo... a mezzanotte è scoppiata la fogna, e la puzza...” Anna fa una faccia strana. Non ci sto capendo niente. “Facciamo da Lei, venti e trenta.” Decide da sé il Maresciallo. “Va bene? Vada, fatto.”

Va via, portandosi dietro Anna mentre io salgo in moto, ancora un po' perplesso.

Non che mi dispiaccia, anzi. Ultimamente non abbiamo più fatto nemmeno lezioni di cucina. E magari mi informo su questo tizio di ieri, così forse capisco perché lei era così distante.

 

***

 

La sera, all'orario stabilito, suonano alla porta. Sarà Anna di sicuro, lei è sempre puntualissima.

Corro ad aprire, e mi trovo davanti una visione.

Capelli sciolti, tacchi alti e un vestitino verde di pizzo con un effetto vedo non vedo che mi fa quasi venire un colpo.

Non era lei quella che si sentiva poco femminile? Farebbe convertire pure un santo, vestita così...

“Ammazza, che eleganza...” Riesco a biascicare dopo averla osservata a bocca aperta per qualche istante..

“Ho fatto una cosetta...” Mi dice, porgendomi il vassoio che ha in mano. Ammetto che non l'avevo notato, ero un tantino impegnato a guardare il resto. Posso sbirciare ancora un po'?

“Grazie, ma non dovevi!” Mormoro, ancora ammaliato.

Lo porto fino al bancone davanti ai fornelli, chiedendo se posso aprire. Sono decisamente curioso, sono a un passo dallo scoprire se ha imparato bene o no.

Al suo assenso, tolgo il coperchio.

“Hai fatto lo stracotto al barolo? Ma ci vogliono tre ore per marinare la carne!” Esclamo, decisamente colpito. È una ricetta abbastanza complicata, ma dall'aspetto sono convinto che se la sia cavata benissimo. “Il profumo è stupendo...”

“Ho avuto un grande maestro...” Si schernisce lei, timidamente. Giusto, dimentico sempre che i complimenti la mettono in imbarazzo.

Cerco un modo per rimetterla a suo agio. “Vino? Senti, ho... Sagrantino di Montefalco oppure Rosso di Torgiano?” Le domando, sapendo che in genere ne capisce più di me.

“Sagrantino di Montefalco,” suggerisce senza esitare.

“Okay...” Sto per stappare la bottiglia quando mi ricordo che dovremmo essere in tre, stasera. Purtroppo. “Ah, aspettiamo il Maresciallo, che dici?”

“No no, versa pure... mi ha tra l'altro chiamato, ero proprio qui fuori, e... ha avuto un'emergenza, non ho capito. Non viene...” Mi spiega, esitante.

“Ah!” Mi soffermo a guardarla per un attimo. Non so se sia tutta una scusa o la pura verità, conoscendo il maresciallo, ma ammetto senza ritegno alcuno che non mi dispiace affatto che non ci sia. Dillo, che ci speravi, che lui vi desse buca. Per una volta le tue preghiere sono state esaudite. Siete da soli e lei è bellissima. Stavolta non devi sbagliare.

Prendo i calici di vino e la raggiungo davanti al bancone per un brindisi. “Allora, a una piacevole riunione di lavoro... e anche a una elegantissima cuoca di stracotto.”

Anna abbassa lo sguardo, e io riesco solo a pensare a quanto sia pazzo di lei, e a quanto vorrei che questa fosse una cena con ben altro proposito.

“Beh.. allora siamo in due! Pazienza, eh...” Dico, per stemperare la tensione. E per abbassare la temperatura. Non senti caldo, tu?

“...Preparo la tavola.” Suggerisce.

“Io... prendo i piatti.” Svegliati, non è che puoi stare tutta la sera a fissarla, però.***

Ho appena recuperato i piatti dalla credenza, quando sento che mi fa una domanda.

“Che cos'è questo sacco pieno di polvere?”

“Quale?” Chiedo. Sacco? Che ho lasciato in giro? Attento a non far cadere le stoviglie dalle mani, mi avvio verso il tavolo, concentrandomi per un attimo più sui passi che sulla sua domanda.

“Lo sposto, ti spiace? Lo metto qui che dà meno fastidio.”

A metà del tragitto, alzo lo sguardo e, con mio profondo orrore, mi rendo conto che sta parlando del pouf.

 

Prima che me ne renda conto, i piatti mi scivolano dalle mani, che scopro tremare forte.

Calmati. Lo ha solo spostato, l'hai lasciato in mezzo alla stanza e non si poteva passare. Respira.

Il rumore della porcellana che si rompe a contatto con il pavimento, però, coglie Anna alla sprovvista e, nel voltarsi per capire cosa sia successo, perde l’equilibrio. Per mia fortuna, l’istinto prende il sopravvento sui pensieri, e riesco ad afferrarla appena in tempo, prima che cada.

Nel momento in cui me la ritrovo tra le braccia, stretta a me e vicina come non era mai stata, e i nostri occhi si incrociano, ogni altro pensiero che non sia lei svanisce.

Come quella volta di ritorno dal monastero. Come quella sera a casa sua.

Niente Federica, niente pouf, niente dolore né ricordi da buttar via.

Solo Anna, una cena per caso, i suoi occhi verdi spalancati e pieni di stupore, e il presente.

 

E le mie labbra sulle sue.

 

Non penso a nient’altro se non a questo bacio che è forse perfino più inaspettato del primo che ci siamo scambiati, a lei che rafforza la presa sulle mie braccia a cui si era aggrappata istintivamente per non cadere, alla trama del suo vestito che percepisco sotto le dita mentre la avvicino ancora di più a me.

Penso a quanto ho desiderato di baciarla in questi mesi, e a come adesso, finalmente, stia succedendo. A quanto perfetto sia questo momento, nonostante tutto, e all’idea che lei stavolta non si sia tirata indietro. Sento il mio cuore martellare, e avverto il suo fare lo stesso.

Quando restiamo a corto di fiato e siamo costretti a separarci, non lascio subito la presa sui suoi fianchi. Restiamo a guardarci ancora per qualche istante, timorosi, ma senza sentire il bisogno di allontanarci. Non ancora.

Non sono ancora completamente pronto a spiegarle cos’è successo poco fa, perché ho avuto quella reazione. So che devo, ma non adesso.

“Mi dispiace averti spaventata, prima,” mormoro a un certo punto, cercando comunque di giustificare il mio comportamento, “Mi sono scivolati i piatti dalle mani...”

“Non fa niente,” è la sua replica in un sussurro. Siamo ancora abbracciati, e nessuno dei due sembra voler sciogliere questo incastro perfetto.

Decido di osare ancora, forte della sua vicinanza. “Questa volta non è stato un errore, vero?”

Un sorriso si dipinge su quelle labbra che voglio tornare a baciare il prima possibile.

“No, niente errori stavolta.”

A queste parole non resisto, e torno a premere le labbra su quelle di Anna, che non esita un attimo a rispondere al mio bacio con rinnovata passione. Torno a stringerla a me, assaporando la sua bocca di miele mentre avverto le sue mani posarsi leggere sul mio torace.

Se sto sognando, non svegliatemi.

 

Poi all’improvviso mi ricordo del motivo per cui è venuta, e con estrema riluttanza allento l’abbraccio.

“Dobbiamo davvero parlare di lavoro?” Chiedo, quasi in tono di supplica.

Anna si lascia sfuggire una risata. “Quello possiamo farlo in ufficio,” suggerisce, ragionevole. Non potrei essere più d’accordo.

“Però non c’è motivo di saltare la cena, direi. C’è il tuo brasato che ci attende.”

Lei arrossisce, sorridendo imbarazzata. “Speriamo bene... Io intanto tolgo due posate in più.”

“E io recupero i piatti...” Rispondo, accennando a quelli rotti per terra, che mi affretto a raccogliere prima di prenderne altri due.

 

La cena prosegue senza nessun problema, anzi. C’è la stessa atmosfera domestica di sempre che ormai ho imparato ad associare a lei: è incredibile quanto riesca a sentirmi totalmente a mio agio in sua compagnia. Un motivo in più per essermi ripreso in tempo ed evitato casini col pouf.

Sono quasi del tutto convinto che sia stato Cecchini a organizzare tutto, il che significa che lui sa, ma per una volta non mi dispiace che si sia intromesso. Forse, in effetti, avevamo solo bisogno di una spinta.

 

Quando terminiamo, mi aiuta a sparecchiare nonostante io cerchi di impedirglielo. Non c’è verso di farla desistere, però, e in fondo mi sembra una cosa così normale condividere questi attimi quotidiani con lei che non insisto più di tanto, preferendo continuare la conversazione piuttosto che interromperla per un motivo tanto banale.

 

Quando ci sediamo finalmente sul divano, mi rendo conto che dovrò spiegarle cos’è successo. Non è giusto che glielo tenga nascosto, e voglio essere completamente sincero con lei. Lei, con me, lo è stata.

 

Mi faccio coraggio. “Anna, riguardo a prima, per il discorso dei piatti, io-”

“Non ti sono scivolati così, dalle mani. L’ho capito, che era una scusa.” Mi spiazza, con un tono però talmente dolce che non potrei mai prendermela per l’interruzione. “È... è stato per qualcosa che ho detto?” Chiede poi, un po’ di incertezza nella voce.

“In un certo senso... sì. Cioè, no, non hai detto niente di male, in realtà,” preciso, senza riuscire a trovare le parole giuste. “È che... ho avuto paura quando hai spostato quel pouf,” ammetto, tornando a guardarla negli occhi.

Noto la confusione sul suo viso. “Il...pouf?”

Decido di spiegarle tutto con il tono più pacato che riesco a trovare. “Quando stavo con la mia ex fidanzata, la prima cosa che mi ha buttato via è quel pouf su cui guardavo le partite. Poi ha buttato via le mie uscite allo stadio, la moto, i grassi idrogenati, poi i miei amici, ha buttato via...” elenco, mentre lei cerca di stare al seguito del mio discorso, comprendendo finalmente qual è stato il tassello che ha causato la mia reazione. “Alla fine è riuscita a cambiarmi perfettamente. E sai cos'ha fatto? Ha buttato via anche me...! 'Eh, non eri più quello di prima'...” Finisco, citando le parole della mia ex al primo confronto dopo aver scoperto che mi tradiva.

Anna resta un attimo a soppesare le mie parole, poi alza lo sguardo per incrociare il mio, un lampo di preoccupazione passa nelle sue iridi verdi. “Tu hai paura che io... voglia cambiarti.” Sussurra, cauta.

“No,” nego però, io, prendendola per mano per rassicurarla. “Tu non sei Federica, e lo so che non faresti mai quello che ha fatto lei. E poi, io non sono più lo stesso uomo che stava con lei. Ho ripreso finalmente il controllo della mia vita, ed è anche merito tuo. Non so come avrei fatto, se non ci fossi stata tu.”

“Io non ho fatto niente, semmai il contrario,” ribatte lei abbassando lo sguardo. Ma io voglio continuare a poterla guardare negli occhi, così le sollevo il mento con le dita, obbligandola a riportare lo sguardo nel mio.

“Hai fatto più di quanto immagini, invece. Mi hai reso una persona migliore, solo che sono stato troppo orgoglioso per ammetterlo prima.”

Anna sorride, e fa per dire qualcosa, ma Patatino sceglie proprio quel momento per avvicinarsi a lei e accucciarsi contro le sue gambe in attesa di coccole.

In effetti, mi sembrava strano che non si fosse visto, finora; di solito non molla Anna di un passo quando viene qui a casa. Mi sa che ha conquistato anche lui.

“Ehi, eccoti qui,” lo saluta lei, prendendo ad accarezzarlo.

Anch’io mi distraggo temporaneamente dalla nostra conversazione, e mi ritrovo a fissare Anna.

 

Ovviamente, il suo abbigliamento lo avevo notato anche prima, e il mio stupore è stato abbastanza palese, a dirla tutta. Adesso, però, mi soffermo ad osservare i dettagli.

Anche questo vestito le sta decisamente bene, come quello del reality, e il verde scuro della stoffa risalta quello più chiaro e intenso delle sue iridi. Noto il leggerissimo velo di trucco che, come quella volta, evidenzia i suoi lineamenti. Il mio sguardo scivola sulle sue labbra, incurvate in un sorriso mentre coccola Patatino: la mia mente torna al bacio di prima, e alle conseguenze di questa sera.

È implicito, quello che siamo da stasera in poi, oppure devo chiederglielo formalmente?

“... Marco?” Sento la voce di Anna chiamarmi e riportarmi alla realtà: ha un’espressione divertita sul viso, segno che dev’essersi accorta del mio sguardo su di lei.

“Ehi...” rispondo debolmente, sentendomi arrossire.

Beccato. 

“Ehm... Patatino ti adora; praticamente mi ignora tutto il tempo, quando ci sei tu,” biascico.

Lei annuisce, sempre con quel sorrisetto sulle labbra, ben consapevole che non le sto dicendo tutta la verità.  

Così glielo dico e basta.

“E poi, bella come sei stasera, non ti si possono staccar gli occhi di dosso.”

Stavolta è il suo turno, di arrossire.

“Grazie...” sussurra, imbarazzata. Noto un attimo di incertezza. “E... Chiara?”

Chiara. Nemmeno ci avevo pensato più.

“Chiara è un’amica, solo un’amica. Nient’altro.” Le spiego, prima di aggiungere, "Anzi, le devo delle scuse… Ho sbagliato, con lei, e non voglio che fraintenda l'amicizia con qualcosa in più. È una ragazza meravigliosa, ma… Non sei tu."

Anna abbassa timidamente lo sguardo sulle nostre dita, adesso intrecciate.

"Quindi… tra noi, ora, che succede?" mormora.

Le accarezzo una guancia con la mano libera.

"So che non è facile per nessuno dei due intraprendere questa strada, ma… È ancora più difficile, per me, pensare di dover vivere un altro giorno senza averti accanto come vorrei. E so che ci potremo amare davvero, fino in fondo."

Lei spalanca gli occhi, facendomi rendere conto di cosa le ho effettivamente detto.

"Tu… tu mi ami?" Mi chiede, l'incredulità mista a gioia chiaramente percepibile nella sua voce.

Annuisco con un leggero imbarazzo. "Sì, e non l'avrei creduto possibile quando ti ho conosciuta… io, all'inizio, ti odiavo, mi stavi antipatica, ma tanto… E poi ho capito. Che sei una intelligente, sei tosta, sei determinata, ma sei anche sensibile, emotiva, e sei una che davanti al male si sa ancora commuovere… E ti amo." Confesso.

I suoi occhi brillano.

Quello che mi lascia sulle labbra è il bacio più dolce che abbia mai ricevuto.

E il sorriso radioso che le illumina il viso mi fa aumentare i battiti.

"Ti amo anch'io," sussurra contro le mie labbra.

Potrei morire adesso ed essere l'uomo più felice del mondo.

Restiamo a parlare ancora un po', e in alcuni momenti giurerei di poter toccare il cielo con un dito.

Quando notiamo che si è fatto abbastanza tardi, e sapendo che lei è venuta a piedi, le propongo di riaccompagnarla a casa, approfittando per far fare una passeggiata a Patatino.

Tenerla per mano mentre camminiamo mi sembra un sogno.

Eppure è reale. Lo sento. Lo so.

"Potrei abituarmi a queste passeggiate a tre, con te e Patatino," commento quando il cane si sofferma ad annusare qualcosa lungo la strada.

Anna accenna un sorriso. "Già passata, la paura di cambiare?"

Io le rivolgo uno sguardo interrogativo.

Lei abbassa lo sguardo. "Prima mi hai detto che hai avuto paura che succedesse come con la tua ex… Ma che sai che con me è diverso perché io non ti cambierei come ha fatto lei."

Intanto siamo arrivati sotto casa sua. Lei inspira a fondo, prima di tornare a guardarmi, un vago dispiacere nelle iridi verdi. "Il fatto è che… Io non posso promettertelo, che ci ameremo senza cambiarci."

Intuisco che non ha finito di parlare, per cui le accarezzo il dorso della mano che sto ancora stringendo nella mia con il pollice, per farle capire che sto seguendo il suo ragionamento, e aspetto.

"Io… Io cambierò te e tu cambierai me… e questo è stare insieme. È un viaggio, non lo sai dove ci porta! Si perdono delle cose, se ne prendono altre… Si cambia! È bello cambiare, è bellissimo cambiare… Insieme," termina, guardandomi con un misto di timore e speranza nello sguardo.

Lascio il guinzaglio di Patatino, che nel frattempo si è seduto accanto a noi e sono tranquillo che non si muoverà da lì, e le accarezzo una guancia.

"Lo so, e credo che non sarei disposto ad accettarlo se non fossi tu," ammetto, e la sento rilassarsi un po'.

"Detto questo, è davvero uno come me che vuoi al tuo fianco?" Le chiedo, ridacchiando.

"In che senso?" Domanda Anna, leggermente allarmata.

"Mi vuoi anche se sono pigro? Se voglio sempre avere ragione, e penso sempre di essere simpatico anche quando esagero, e me ne starei sempre in bermuda e ciabatte?" Elenco con un pizzico di ironia, citando le sue stesse parole dette alla veterinaria pochi giorni fa.

Lei arrossisce, ma sostiene il mio sguardo con un guizzo divertito nel suo.

"Ti voglio anche se sei l'uomo più impossibile che conosco e fai un pessimo brasato…" sussurra con un sorriso malizioso.

Io spalanco gli occhi, fingendo di prendermela.

"Non è vero, il mio brasato è buonissimo," la contraddico, puntandole scherzosamente un dito contro.

"Invece lo è, per questo l'ho fatto io, stasera," spiega, senza smettere di ridacchiare.

"No," nego di nuovo, impedendole di ribattere prendendola per i fianchi e baciandola.

Anna non protesta, anzi, mi stringe a sé portando una mano sulla mia nuca, avvicinandomi di più.

La mia presa si fa più salda, il nostro bacio sempre più intenso.

Credo di essere in paradiso.

Vorrei che questo momento non finisse mai.

 

Chiara's pov

 

"Annaaaaa," chiamo mia sorella a voce alta quando rientro a casa, ma stranamente non risponde nessuno.

Molto strano, eppure ho visto la sua auto parcheggiata al solito posto, e non mi aveva detto di dover uscire, stasera.

Cerco invano un biglietto, qualcosa che magari mi ha lasciato scritto, ma niente.

Sarà stata una cosa improvvisa.

Però sono curiosa, non è da lei dimenticarsi di avvisarmi, anche per le cose dell’ultimo minuto, mi manda sempre almeno un messaggio.

Se stavolta non l’ha fatto, magari c’è una ragione che non vuole che sappia.

Forse un appuntamento?

Sarebbe intrigante, se fosse questo il motivo: significa che c'è qualcuno nella sua vita, qualcuno di cui non so nulla, e questa cosa non può che mettermi in azione per indagare un po’.

Cerchiamo qualche indizio.

La prima cosa che mi viene in mente di fare è dare un'occhiata all'interno del suo armadio, cercando di individuare cosa manca: mi sarà utile per capire il tipo di “uscita”.

All'inizio non noto niente, non riesco a capire cosa può aver indossato.

So che non dovrei impicciarmi, ma è più forte di me. Di solito, ci raccontiamo tutto, soprattutto per le questioni di cuore. Da quando la sua storia con Giovanni è finita, però, non abbiamo più parlato di queste cose, perché mi aveva dato l’impressione di volersene stare da sola per un po’, senza contare il fatto che non mi sembra abbia conosciuto qualcuno di nuovo nell’ultimo periodo. Non riesco proprio a pensare a chi possa essere. Se è davvero uscita con qualcuno, perché non mi ha detto niente?

Rovisto più a fondo, e all'improvviso mi rendo conto di quale vestito manchi effettivamente all'appello.

L'abito di pizzo verde scuro.

Non ci avrei fatto caso, se non si trattasse di un vestito particolare: è forse l'unico capo indubbiamente femminile che mia sorella ha comprato di sua spontanea volontà. Eravamo a fare shopping insieme, quella volta che lo ha provato, e mi ricordo di aver sentito un pizzico di invidia quando gliel'ho visto addosso. Le stava benissimo, la rendeva elegante e incredibilmente sensuale senza però risultare volgare nonostante la scollatura in trasparenza, fasciandola nei punti giusti. Farebbe girare la testa a chiunque, con quello addosso. Ha deciso lei di prenderlo, quella volta, ma non lo aveva mai indossato finora, in attesa del momento giusto.

A quanto pare, quel momento è arrivato.

Non posso fare a meno di chiedermi per chi lo abbia indossato.

La risposta mi balena nella mente all’improvviso, senza troppo sforzo.

 

Marco.

 

Mi siedo sul suo letto, stupendomi della semplicità della probabile soluzione, e mi chiedo come ho fatto a non accorgermene prima.

Raccolgo in mente tutti i piccoli dettagli di cui avrei dovuto sospettare in partenza.

Ammetto di non averci fatto troppo caso, ma è stato un errore evidente da parte mia, conoscendo Anna.

Non so perché le ho creduto così facilmente, quando le ho chiesto se Marco piacesse anche a lei, quella mattina in caserma, e lei mi ha risposto di no.

Ripensandoci, le sue parole avrebbero dovuto mettermi in allarme già da subito.

Perché, col senno di poi, dirmi che ero matta a pensare che lui le piacesse, è stato un passo falso da parte sua.

Mi aveva già detto di aver cambiato idea su di lui, la sera che Sasà mi ha lasciata, quando ho trovato Marco a casa sua, a darle lezioni di cucina.

Cioè, più che dirmelo, è stata costretta ad ammetterlo a forza, sia con me che con Cecchini, a quanto pare.

Fino a quel momento, quelle poche volte che avevamo parlato del pm, Anna non aveva fatto altro che ripetermi quanto fosse antipatico e insopportabile, e quanto detestasse dover lavorare a così stretto contatto con lui.

Ma questo era successo subito dopo il suo trasferimento a Spoleto, nei primissimi periodi. Dopo, non abbiamo più parlato di lui fino a quando non mi ci sono ritrovata a cena insieme per caso.

Ed è successo dopo le loro lezioni.

Avevo già visto che il loro rapporto non era più quello formale tra due colleghi di lavoro, ma c’era chiaramente altro, che ho evitato di elaborare.

Mi sono limitata a pensare che fosse un’amicizia. Non avevo chiesto niente a mia sorella, non ho indagato sui suoi sentimenti, pur sapendo che quell’attaccamento che sembrava aver sviluppato con lui la diceva già lunga.

Anna non è il tipo che si lega facilmente agli altri.

Non si fida mai completamente, deve prima essere certa di avere davanti una persona capace di guadagnarsi la sua fiducia. In genere è un percorso lungo.

Non la biasimo, considerando quello che abbiamo vissuto, anche se io non riesco mai a fare lo stesso, tutt’altro.

Penso anche alla notte in cui Marco ha ospitato me, lei e il maresciallo a casa sua.

Anna era molto restia perfino a chiederglielo, ma ho frainteso i motivi.

Non perché fosse un collega, come mi aveva detto in caserma, ma perché c’era qualcosa in più che la imbarazzava.

Realizzo la sua (adesso) evidente gelosia quando siamo tornati dalla cena la prima volta, o quando mi ha chiesto cosa stessi combinando per la partita. La sera dell’Umbria Jazz Festival, quando le avevo proposto di venire con noi perché avevamo pensato qualche tempo prima di andarci insieme, e mi era sembrato strano che mi avesse detto di no.

La sua espressione, in quel caso, era stata davvero chiara, eppure io l’avevo ignorata.

Mi ricordo che ha ingoiato a vuoto, prima di dirmi di no a testa bassa.

Per un attimo, avevo avuto il timore che stesse per piangere, ma era durato tutto talmente poco che mi ero convinta di averlo solo immaginato.

Adesso credo che fosse proprio così.

Più ci penso, e più mi convinco che quella di mia sorella non sia solo una cotta.

Si è innamorata di lui.

Solo che io mi sono messa in mezzo, senza considerarla minimamente.

È stato più facile ignorarla che ragionare sui suoi comportamenti. Pensare solo a quello che volevo io, e non a quello che già c’era nell’aria tra loro.

Già, perché a rifletterci ora, mi rendo anche conto che in tutte le uscite che ho fatto con Marco finora, non c’è stata volta in cui lui non abbia parlato di mia sorella.

C’è sempre stato qualcosa che lo portava a parlare di Anna, e mi sento una sciocca a rendermi conto solo adesso di quanto a fondo lui la conosca.

Anna, Anna, Anna.

Sempre Anna.

Non era lì con noi, ma era costantemente nei suoi pensieri.

Forse nemmeno lui si è reso conto di quanto sia presente nei suoi discorsi.

E anche Marco è geloso di lei, in realtà.

Quella sera dell’Umbria Jazz Festival, mia sorella aveva detto di aspettare un amico per cena. Io non ho indagato, ma ho di sicuro notato il lampo di gelosia attraversare lo sguardo di Marco nel sentire quelle parole, e la sua esitazione quando dovevamo andar via.

È stato distratto per tutta la sera.

Ora che ci penso, mi ha anche chiesto se sapessi chi stesse aspettando Anna, con un disinteresse solo apparente. In fondo, a lui cosa importava chi fosse a cena con lei? Non erano affari suoi, no?

Evidentemente sì.

Perché, prima di me, c’era già lei.

La sera che li ho trovati insieme, quando sono rientrata per la fine della storia con Sasà, era evidente che non fosse la prima ‘lezione’.

È anche stata una delle poche volte in cui mia sorella non mi ha assecondata in uno dei miei colpi di testa, se non altro per tenermi d’occhio.

Anche in quel caso, io ho pensato solo a me, ma è chiaro, adesso, che lei preferisse restare a casa con lui, quella sera.

Ed è altrettanto chiaro che lui fosse stato accanto ad Anna in quei giorni in cui io sono sparita. Era con lei, quando mi hanno trovata a casa di quella signora.

Ed è stato per lei che mi è corso dietro, qualche giorno dopo, per impedirmi di commettere un’altra sciocchezza.

Mentre io mi prendevo una cotta per lui e i suoi modi di fare, Marco compiva ogni gesto, anche nei miei confronti, per Anna.

L’ho trovato di nuovo da lei, quando sono tornata indietro e ho seguito il suo consiglio.

Ho visto lo sguardo che ha rivolto a mia sorella, di fronte alla sua sorpresa di rivedermi a casa. Al sorriso che si sono scambiati quando le ho chiesto di poter restare, di nuovo.

Ho percepito la loro complicità, eppure ho preferito ignorarla per i miei interessi.

Marco ha accettato di uscire come me perché è gentile e perché sono stata io a farmi avanti.

Ma credo di aver frainteso i suoi sentimenti nei miei confronti.

 

Se stasera sono davvero insieme come credo, significa che c’è stato qualcosa che li ha spinti a confessare cosa provano.

Non sono arrabbiata, perché in fondo un po’ di colpa ce l’ho, però avrei voluto che mia sorella si confidasse con me.

Anche se sono stata io stessa a non permetterglielo, per certi versi.

In ogni caso, voglio essere sicura di verificare le mie teorie, per cui mi avvicino alla finestra, in attesa che Anna torni. Se qualcuno è venuto a prenderla, dovrà anche accompagnarla: così potrò vedere chi è.

L’attesa non è così lunga.

Quindici minuti dopo, più o meno, i miei dubbi prendono forma.

Per primo vedo Patatino, il cane di Marco.

E poi, ovviamente loro due.

Un dettaglio salta immediatamente all’occhio: si tengono per mano.

E mia sorella indossa davvero quel vestito.

Si fermano nella piazzetta qui di fronte al portone di casa, e lui lascia il guinzaglio del cane, seduto vicino a loro.

Da qui, riesco a vedere il passaggio da un momento più serio a uno decisamente più leggero, mentre ridono per qualcosa che si saranno detti.

Subito dopo, ogni eventuale altro dubbio sulla loro situazione svanisce, quando Marco la bacia, e Anna lo ricambia senza esitazione.

Resto impalata dietro la finestra a fissarli, anche se non dovrei, ma sono troppo stupita per riuscire a spostarmi.

Stupita dal comportamento di mia sorella, intendo.

Con Giovanni, è sempre stata molto... restia, a questo tipo di esternazioni in pubblico.

Non che in privato succedesse chissà che,  è sempre di lei che stiamo parlando.

Quello che sta scambiando adesso con Marco, è un bacio che ha tutta un’altra storia.

Sembra essere carico di una passione e un desiderio repressi da entrambe le parti e, considerate le mie osservazioni di poco fa, non è davvero una sorpresa, che sia effettivamente così.

A questo bacio così intenso, ne segue uno delicatissimo, probabilmente una buonanotte, che non ho dubbi sarà tale per tutti e due.

Mi sposto dalla finestra, in attesa che mia sorella salga su.

Mi divertirò molto, adesso, a metterla in imbarazzo.

Sento la chiave girare nella toppa, e mi siedo a braccia incrociate sul bracciolo del divano.

Anche se non avessi visto la scena in strada, sarebbe impossibile non notare lo sguardo sognante stampato in faccia ad Anna.

"Ehilà," la saluto, facendola sussultare.

"Chia'... Che… Che fai a casa?" Chiede, la voce improvvisamente incerta.

Io mi limito a ridacchiare.

"Sono rientrata prima del previsto… Abbigliamento interessante," la punzecchio, ben consapevole di metterla in difficoltà. "Come mai questo vestito?"

Come previsto, lei arrossisce.

Conosciamo entrambe la "storia" di quell'abito, per cui è ovvio che fatichi a rispondere.

"Così…" biascica dopo qualche istante di incertezza.

"Beh, a vederti, non mi sorprende che Marco ti abbia dato quel bacio mozzafiato, giù in strada," commento con fare casuale, fissandomi le unghie con finto disinteresse, prima di lanciare un'occhiata divertita.

Il suo viso è di un bel rosso acceso, adesso.

"Ci… hai visti?" domanda debolmente.

"Mh-mh," confermo, ridacchiando. "Bacia bene, almeno?"

"Benissimo…" fa lei, senza esitare. Il suo sguardo dice tutto.

"E bravo il nostro pm… Anche se sono delusa, sai, che non mi hai detto la verità su quello che provi per lui," spiego, sempre con un pizzico di ironia.

Anna sembra rabbuiarsi di colpo.

"Lo so che sei uscita con lui, e che ti ho detto che non mi piaceva, però…" tenta di giustificarsi, ma non c'è bisogno.

Se qualcuno deve scusarsi, non è lei.

"Non devi spiegarmi niente, sono stata io a intromettermi tra voi. Sono stata egoista, ho pensato solo a me senza guardare quello che già c'era tra voi. Perché qualcosa c'era, solo che io ho preferito non vedere." Sospiro, prima di ammettere con una leggera reticenza, "E comunque, in realtà non ho mai avuto nessuna possibilità concreta, con Marco. Sei il suo pensiero costante."

Se possibile, mia sorella arrossisce ancora di più.

Mi avvicino a lei, e la abbraccio forte.

"Sono felice per te, e se ti fa soffrire, lo disintegro."

 

Anna's pov

 

Dopo il chiarimento di ieri sera con mia sorella, che, ammetto, mi ha un po’ spiazzata, stamattina dovrò far fronte alle domande di Cecchini.

Perché è ovvio che me le farà.

Solo che non sono ancora pronta a rispondergli.

Per mia fortuna, riesco ad arrivare in ufficio senza incrociarlo nel tratto di strada che porta alla caserma, così posso dedicarmi al lavoro in tranquillità almeno fino al suo arrivo, poi mi comporterò di conseguenza.

Quando mi accorgo della sua presenza, faccio finta di niente, nella speranza che non sia così curioso.

Speranza vana, ovviamente, perché come al solito, entra nel mio ufficio senza bussare.

“Buongiorno, signor Capitano!” Mi saluta, allegro, e senza aspettare la mia risposta, continua, “Com’è andata la cena di ieri sera col pm?”

Io cerco di temporeggiare. “Buongiorno anche a Lei, maresciallo...” Mormoro, senza staccare gli occhi dai documenti che ho tra le mani.

Lui aspetta che io continui per qualche istante, prima di tornare a pressare. “Allora?”

Decido di ignorare deliberatamente la sua domanda, e spostare l’argomento su altro.

“Non credo che avrà bisogno del mio aiuto, per la partita a scacchi,” spiego, col tono più neutrale che riesco a trovare. “Se lo vuole davvero, ha tutte le carte in regola per poter vincere.”

Per mia fortuna, Cecchini segue il mio discorso.

“Come, non mi suggerisce le mosse allora? Come faccio, io, se Lei non mi aiuta?”

Il suo tono quasi disperato mi intenerisce, per cui poso la penna e alzo lo sguardo.

Ha davvero il terrore di perdere, ma non per la sconfitta: è la sua implicazione che lo far star male.

Faccio un piccolo sorriso di incoraggiamento.

“Gliel’ho detto, Maresciallo, secondo me può vincere anche senza che io le suggerisca cosa fare. E sa perché?”

“... no.”

“Perché si impegnerà al massimo. La posta in gioco è troppo importante, per Lei, e so già che farà del suo meglio. Vedrà che andrà tutto bene.”

Lui sembra spiazzato dalle mie parole, considerando soprattutto la mia avversità nei confronti di Don Matteo e dei loro incontri, ma mi rivolge un sorriso grato, e annuisce.

“Però verrà lo stesso a vedere la partita?”

“Certo.”

Proprio in quel momento, Zappavigna bussa alla porta del mio ufficio, informandomi dei risultati della ricerca effettuata riguardo ai deceduti durante il terremoto.

Abbiamo il colpevole.

“Avverto il PM,” mormoro, ignorando lo sguardo indagatore di Cecchini, che congedo insieme all’appuntato.

Lo scoprirà lo stesso, ma preferisco che lo faccia dopo.

 

Nel pomeriggio, Cecchini va via, per incontrare Don Matteo prima della partita a scacchi, come sempre, e Marco ci raggiunge in caserma.

Terminiamo le ultime pratiche legate al caso, e andiamo insieme al bar di Spartaco, giù in piazza, per assistere alla partita che avrà inizio tra poco.

La scacchiera è già pronta sul tavolo, e il maresciallo e Don Matteo sono seduti al tavolo a chiacchierare e prendere un caffè prima di cominciare.

“Questa cosa della scommessa me l’ero proprio persa,” commenta Marco, mentre raggiungiamo il ‘luogo della sfida’.

“Solo Cecchini può mettersi nei guai così,” ridacchio io, scuotendo la testa.

“Ma davvero... scommettere di vincere una partita a scacchi con Don Matteo... e se dovesse perdere? Non ci può giocare più insieme! È una cosa che fanno da una vita! Come accidenti gli è venuto in mente?”

“Orgoglio, credo. Ma qualcosa mi dice che stavolta vincerà,” mi limito a dire. Ho davvero la netta sensazione che stavolta sarà quella buona.

“Orgoglio di certo, se ha perfino chiesto a te di aiutarlo,” è la considerazione di Marco.

“Questo è vero, anche se è un pessimo allievo,” rido.

Lui scoppia a ridere. “Immagino...”

Intanto abbiamo raggiunto il tavolo dove sono seduti il prete e il maresciallo.

Cecchini è il primo a notarci, essendo seduto di fronte rispetto a noi.

“Siete venuti tutti e due!” Si illumina, mentre Don Matteo si volta verso di noi con un sorriso.

Avverto addosso lo sguardo insistente di Cecchini.

Aiuto.

Lui sposta lo sguardo avanti e indietro da me a Marco, e io mi sento arrossire.

Ci siamo.

Torna a fissarmi.

“Quindi... la Regina ha fatto la sua mossa col Re, alla fine...” Commenta, con un sorrisetto furbo.

Marco si volta a guardarmi, interrogativo, prima di spalancare gli occhi, intuendo probabilmente tutto.

Penso di aver raggiunto vette di rosso sconosciute, a giudicare dal calore che avverto sulle guance.

Mannaggia, maresciallo, non poteva evitare?

Dopo qualche istante di sconcerto, Marco fa una piccola risata.

“Io non me ne intendo, ma credo sia stato proprio scacco matto al Re,” precisa, rivolgendomi un sorriso che mi scioglie. “Non vorrei sembrarle scortese, ma in tutta sincerità, ho di gran lunga preferito la cena per due.”

Cecchini si limita a rivolgerci un sorriso affettuoso, così come Don Matteo, prima che Spartaco si avvicini, chiedendo come mai la loro partita stia cominciando in ritardo rispetto al solito.

 

Nel giro di pochissimo, una piccola folla di persone si raduna attorno al tavolo: la voce della scommessa dev’essersi sparsa in giro.

Cerco di non farmi distrarre troppo dalla presenza di Marco, e mi concentro sulla scacchiera.

Sono una giocatrice esperta, e non mi ci vuole molto a capirlo: anche Don Matteo sa della scommessa, e ha sbagliato di proposito una mossa cruciale.

Il maresciallo mi rivolge uno sguardo incredulo quando si accorge della possibilità che ha.

Mi viene spontaneo sorridere ed essere comunque felice per lui quando si alza in piedi, esultando per essere riuscito a fare scacco matto per la prima volta contro Don Matteo.

Che, a proposito, è veramente un ottimo giocatore.

E una persona meravigliosa.

Perché è evidente che fosse venuto a conoscenza di tutto, e abbia lasciato vincere il maresciallo per poter continuare a giocare con lui.

Ormai la consueta partita a scacchi fa parte della loro amicizia, indipendentemente dall’esito.

Quando il capannello di persone si disperde, e anche Don Matteo e Cecchini vanno via, Marco si propone di accompagnarmi fino a casa.

Chi sono, io, per rifiutare?

“Quindi, in un certo senso, devo ringraziare il maresciallo per ieri sera?” Mi chiede di punto in bianco mentre camminiamo.

Speravo facesse finta di dimenticarselo, questo dettaglio.

Però sarebbe stupido da parte mia negare, quindi opto per la verità.

“Non so come abbia fatto a convincermi, in realtà, ma sono contenta che ci sia riuscito,” ammetto.

“In effetti, quando ha organizzato tutto lui, pomeriggio, ho intuito che c’era qualcosa di strano, anche se non capivo cosa. Ripensandoci, eri parecchio a disagio,” ragiona lui, con un sorrisetto.

Vorrei tanto smetterla di arrossire.

“Sinceramente? Ho seriamente pensato di battere in ritirata, fino a poco prima di suonare da te.”

Tanto vale dirla tutta, ormai.

“Ero terrorizzata, in realtà.”

“Lo avevo intuito...” Ammette Marco, dolcemente, “anche se sul momento non capivo perché. Dopo, ho immaginato che c’entrasse Cecchini... anche perché, detto tra noi, più strano del tuo comportamento c’era il fatto che proprio lui avesse rinunciato a una cena per un banale imprevisto,” ride.

Io faccio lo stesso, un po’ più tranquilla.

“Comunque sia,” continua lui con lo stesso tono, “terrore o meno, sono contento che tu abbia rischiato. Adesso, finalmente, possiamo stare insieme.”

Ecco tornato il batticuore.

È incredibile come riesca a dire queste frasi con una naturalezza disarmante, e farmi innamorare ogni istante di più.

Siamo sotto casa mia, di nuovo, come ieri sera.

“Allora... ci vediamo domani mattina in caserma?” Domanda.

Se ho rischiato ieri, non vedo perché non debba osare adesso.

“Se non hai niente da fare, potresti... rimanere a cena da me,” propongo, un pizzico di esitazione nella voce.

Il sorriso che mi rivolge mi provoca uno sciame di farfalle allo stomaco.

“Come dirti di no,” accetta, prima di prendermi per mano e condurmi al mio appartamento.

Verso una nuova vita.

Insieme.

 

 

 

Eccoci qui, per questa nuova versione de “La crepa”, l’episodio forse più ‘tragico’ per la ship Anna&Marco. È così che sarebbe dovuta andare... secondo me e Martina, che ringrazio tantissimo per gli spunti e i suggerimenti.

Grazie per la lettura!

Alla prossima,

 

Doux_Ange

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Capitolo 16
*** Premonizioni - versione 2 ***


 

PREMONIZIONI

 

N/A La parte compresa tra i tre asterischi (***) è la copia del capitolo 'Premonizioni’ nell'altra mia fanfiction 'Life-changing Frenzy', che ho inserito perché procede regolarmente come in puntata. Buona lettura!

***Per qualche settimana, le cose tra me e Anna restano tese.

È difficile lavorare in questo clima, con lei. E strano.

Ci sforziamo però di comportarci almeno civilmente, e piano piano le cose iniziano a spianarsi un'altra volta.

Non c'è l'agio di prima, questo è palese, ma almeno adesso parliamo di nuovo.

Ormai va così, ce ne faremo una ragione entrambi.

 

Oggi mi hanno chiamato in caserma per un caso di omicidio. Ad essere convocata è la futura sposa dell'uomo ucciso, e quando arrivo è già in lacrime.

Anna non pressa, anzi si limita a cercare di consolare la ragazza, così intervengo io chiedendole di raccontarci cosa sia successo il giorno prima, lanciando un'occhiata di sbieco al Capitano. Non mi va di perdere tempo, così insisto, cercando di tirar fuori qualcosa da questa donna che sembra raccontare le cose a metà. Anna mi guarda male, e inizia a porre lei le domande con un tono però molto più gentile, alle quali la ragazza risponde senza problemi. Per qualche motivo la cosa mi dà fastidio. Le mie osservazioni sulle sue storielle la mettono di nuovo in crisi, e Anna torna a bloccarmi dicendomi, con parole diverse, che la signorina soffre di depressione.

Modero i toni, sentendomi un po' in colpa, accordando poi i domiciliari.

Quando la accompagnano fuori, Anna le rivolge uno sguardo comprensivo che mi fa vacillare un attimo.

 

Non riesco a capirla, quando fa così.

O forse non fai attenzione. Siete di nuovo distanti, e tu hai iniziato di nuovo a comportarti da stronzo con tutti, come facevi prima di conoscere meglio lei.

 

***

 

In questi giorni, è venuto in visita il Colonnello, per cui Anna è spesso fuori con lui per vari impegni. Per questo quando Chiara entra nel suo ufficio in lacrime, lei non c'è.

“Ehi,” le dico, facendola sedere sul divanetto, “che succede?”

“Cercavo mia sorella...” mi risponde, incerta.

“Credo sia ancora in giro col Colonnello. Cos'hai? È successo qualcosa?”

“Mia madre si è scordata della mia laurea, la settimana prossima. Ha prenotato un viaggio e non ci sarà.” Mi spiega, tornando a piangere.

Io la abbraccio, incredulo. È sua madre, come fa a dimenticarsi una cosa del genere?

Poi mi ricordo le parole di Anna, che mi ha raccontato in più occasioni come la madre, dopo il suicidio di suo padre, sia diventata ancora più incostante nei confronti delle figlie, e di come spesso le abbia lasciate sole.

Cerco di calmarla come posso, anche se non ci riesco granché.

Perché in fondo non la conosci. Non sai niente di lei. Con Anna invece è diverso, con lei hai saputo fin da subito cosa fare quando ha avuto bisogno di conforto, hai capito senza esitazione come approcciarti e consolarla nel modo migliore.

Spingo a forza quella voce nell'angolo più remoto della mia mente. Non. Devo. Fare. Paragoni.

Devo smetterla di pensare ad Anna, soprattutto quando sono con Chiara.

 

Poco dopo, la porta dell'ufficio si apre. Anna.

Quando ci vede, abbassa di colpo lo sguardo, scusandosi per averci interrotto.

Io mi sento all'improvviso in imbarazzo, senza capire bene perché. Non stiamo facendo niente di male.

Sì, che bravo, a cercare di convincerti da solo.

Lei però sembra ripensarci, e rientra.

“Che c'è, Chiara?” Le domanda, preoccupata, notando l'espressione della sorella.

“Mi ha appena chiamata mamma. Domani parte per Hanoi, credo sia in Vietnam.” Le spiega, tetra.

Anna sembra sconvolta. Di più, furiosa.

“La settimana prossima ti laurei!”

“Se l'è dimenticato! Però ormai aveva fatto i biglietti e quindi...”

“Non te la devi prendere,” cerca di calmarla, allora. “è fatta così, lo sappiamo.”

“Lo so, però sarebbe stato carino che venisse. Invece continua a considerarmi una cretina e... e probabilmente lo sono davvero.”

“Non sei una cretina!” Si arrabbia ancora di più Anna.

“Ed è lo stesso che dico anch'io,” intervengo. “E se lei pensa il contrario, con tutto il rispetto, eh... la cretina è lei.”

Chiara accenna un sorriso, mentre Anna le lancia uno sguardo comprensivo.

Quindi è così che funziona? Sua madre si dimentica di loro, Chiara ci resta male e Anna la consola, anche se di sicuro lei non sta meglio?

“Grazie...”

“Di che?” Le chiedo. “Tu hai fatto una cosa bellissima. Sai cosa facciamo? Organizziamo una festa, così lei si pente di non essere venuta! Eh?” Suggerisco, e Chiara annuisce, felice, con l'aria di una bambina a cui hanno appena promesso il regalo che voleva.

Mi volto a guardare Anna, sperando che sia d'accordo con me.

“Sì, una festa di laurea! Che dici?” Concorda con un piccolo sorriso per la sorella.

Chiara annuisce. “Vi voglio bene.”

“Ah, anche noi!” Rispondo, dandole un bacio in fronte, prima di tornare a guardare Anna, che nel frattempo ha distolto lo sguardo. Io mi sento arrossire, come se avessi appena fatto qualcosa che non dovevo. Di nuovo.

Chiara si alza dal divano. “Okay, ma io non voglio sapere niente. Festa a sorpresa, okay?”

“Sì...” Acconsente Anna, con un tono che sembra rimarcare involontariamente la familiarità della situazione.

Dopo averci ringraziati di nuovo e salutati, Chiara va via più contenta.

 

Una volta soli, tra me e Anna cala di nuovo l'imbarazzo.

“Grazie... per Chiara.” Mi dice poi.

Io ne approfitto per tirarmi fuori dai guai. “Per la festa mi dai una mano tu, eh.” Affermo, filandomela prima che possa ribattere.

 

***

 

A casa, mentre preparo il pranzo, ripenso alla scena di prima.

Al tono materno di Anna con la sorella, al suo tentativo di ridimensionare il gesto della madre. Alla sua rabbia evidente nel sapere che di nuovo le aveva lasciate sole.

A come ha accordato l'idea della festa come... come una madre farebbe con sua figlia. Come quando un compagnetto di scuola prende in giro la bambina, e la mamma per consolarla la porta alle giostre per farle tornare il sorriso.

Tu non ti sei comportato da meno, però. Sei tu ad aver proposto la festa. Per consolarla, per non farla piangere. Un dono in cambio di un sorriso. Non le parole, come hai fatto con Anna, perché non sapresti che dire. Un regalo per mostrarle che non ha niente di meno delle altre, come farebbe un padre.

Tu e Anna vi siete comportati come due genitori nei confronti di Chiara. Questo ti dovrebbe far riflettere.

 

Scaccio a forza questi pensieri.

Ultimamente lo faccio un po' troppo spesso.

 

***

 

Chiara è tornata a Perugia per verificare le ultime questioni burocratiche prima della laurea, per cui quella sera stessa mi metto d'accordo con Anna per vederci dopo cena a casa sua e iniziare a organizzare la festa.

Quando arrivo, lei mi accoglie con un sorriso, offrendomi un bicchiere di birra.

Io nel frattempo mi siedo comodamente sul divano, allungando le gambe quasi involontariamente, a mio agio dopo aver passato tante sere qui con lei per le lezioni di cucina.

Lei si avvicina porgendomi il bicchiere, prima di lanciarmi uno sguardo eloquente per indicarmi di sedermi in maniera più composta.

Come ogni volta. E tu, come al solito, te lo scordi e lei deve ricordartelo.

Si siede all'altro capo del divano, sul bracciolo, nel punto più distante da me.

Non scervellarti troppo. E poi questa distanza l'hai voluta tu.

 

“Allora? Che hai pensato per la festa?” Mi chiede, accavallando le gambe e appoggiandosi sui gomiti.

“Ah... veramente io ho fatto il figo proponendola, ma speravo avessi qualche idea tu. Cos'è che piace a Chiara?” Domando senza riflettere.

“Dovresti saperlo, state insieme.” È la sua risposta piccata, un velo di sarcasmo nella sua voce.

Non infierire anche tu, ti prego.

Cerco di giustificarmi. “Sì, ma... a lei piace tutto quello che piace a me, cioè il calcio, la cucina, birra... fantastico... eh.”

Anna abbassa lo sguardo, come se le mie parole le dessero fastidio, poi torna a guardarmi, seria.

“È per questo che stai con lei?” Mi chiede.

Quella nota vagamente triste l'hai sentita davvero, o l'hai solo immaginata?

“...no. Sto con lei perché...” Mi sforzo di trovare delle ragioni, ammetto che è una cosa a cui non ho pensato finora. “è divertente, perché prende le cose con leggerezza, e poi perché... le vado bene come sono, e non fa niente per cambiarmi. Anche se so che lei è molto più insicura di quello che vuol far credere.”

E quindi stai con lei per compassione? Perché non ti contraddice mai e fa quello che vuoi tu? Perché il senso del discorso ha tutta l'aria di essere questo.

Quando hai elencato le ragioni per cui ti saresti 'innamorato' di Anna, per lo show di Cosimo, non hai avuto esitazioni. Ed erano motivazioni profonde. Non come queste. Senza contare che all'epoca tra voi due non era ancora successo nulla.

“... e perciò vorrei che tu m'aiutassi, perché nessuno la conosce come te.”

Cerco di giustificarmi così. Se è lei a suggerirmi, so di non sbagliare, perché riconosco di non sapere niente di Chiara oltre quello che abbiamo in comune.

Anna ci riflette su, poi le viene in mente qualcosa e si avvicina scendendo dal bracciolo e sedendosi su uno dei cuscini, ma sempre quello lontano.

“Quand'eravamo piccole giocavamo al drive-in.”

Questa cosa mi intriga. “Spiega.” La incito, avvicinandomi.

Lei fa altrettanto, fino a che finiamo per essere seduti uno accanto all'altra, quasi in un gioco inconsapevole di due calamite che si attraggono inesorabilmente.

“Allora, praticamente prendevamo due sedie, spegnevamo la luce davanti alla tv e facevamo finta di essere in macchina.” Racconta, gli occhi che si illuminano. “Può essere un'idea.” Aggiunge, incerta.

“Un drive-in? Bello.” Commento, e sono sincero. Può essere un ottimo spunto, è una cosa carina. Una festa a tema.

Resto ancora un po' con lei a concordare il resto, lasciando a Chiara stessa gli inviti.

 

Quando vado via, penso che in effetti io non ho idea di chi ci sarà a questa festa, e in linea generale credo nemmeno Anna, considerando che ha detto a sua sorella di occuparsi lei degli invitati, probabilmente amici e colleghi dell'università.

Chiara sarà impegnata a pensare agli ospiti, e voi due finirete per passare tutta la festa assieme.

Scuoto la testa, obbligandomi a dormire.

 

***

 

La mattina dopo, do' un'occhiata a qualche drive-in e ne trovo uno perfetto che è disponibile per la data che serve a noi.

Però dobbiamo capire se va bene, e il sito non è granché, per cui chiedo il favore di aprire anche se è giorno di chiusura, cosicché possa vedere insieme ad Anna se come location può andar bene e definire i dettagli.

 

In ufficio nel pomeriggio, convochiamo la signora Moira, che ha ospitato la ragazza depressa, scoprendo che si tratta di una truffatrice, pagata dall'ex di Gabriella affinché la convincesse a lasciare il fidanzato perché ancora innamorato di lei.

Anna si indigna parecchio a questa cosa, e anch'io. È stato un inganno bello e buono, altro che amore.

Hanno approfittato di una ragazza instabile per raggirarla.

Quando lui e Moira vanno via, io e Anna scendiamo in piazza.

“Controlliamo le celle telefoniche e vediamo se erano veramente insieme,” le dico.

Lei fa un sospiro profondo.

“Ehi, che c'è?” Le chiedo istintivamente. Non riesci a non preoccuparti se la vedi stare anche solo vagamente male, e ti viene spontaneo cercare di fare qualcosa per lei.

Anna mi guarda un attimo, probabilmente sorpresa che io sia tornato a farle una domanda così... personale, prima di rispondere. “Stavo pensando a Gabriella, a come si è fatta manipolare da quei due...”

“Purtroppo è facile fare leva sulle debolezze delle persone che abbiamo accanto... e alle volte nemmeno ce ne accorgiamo.” Le dico semplicemente.

Lei abbassa lo sguardo, pensierosa. “Ti riferisci a Chiara e mia madre...”

Io annuisco appena. In realtà non solo a loro due, ma anche a lei, che fa tanto la forte ma è evidente che ci sta altrettanto male. L'hai visto anche tu, sua madre ha infierito sul suo lavoro, da sempre motivo di discussione, senza pensare alla ragione per cui l'ha scelto. Sul suo desiderio di non darle un dispiacere, per accusarla di averla delusa. Sull'amore per la divisa, per rinfacciarle di non comportarsi da donna.

Poi mi ricordo di questa sera.

“Ah, ho trovato il drive-in!” Esclamo, cambiando discorso in modo repentino. “E stasera aprono apposta per noi.” Aggiungo, con un sorriso.

Lei sembra sollevata. “Bene... allora mandami l'indirizzo, ci vediamo lì.”

“Va bene... ciao.” La saluto andando via, e per un attimo ho l'impressione di essere tornato a qualche settimana fa, quando tra noi era tutto normale.***

 

Arrivo al drive-in qualche minuto prima di Anna, come sempre in perfetto orario.

La saluto, un po’ impacciato.

“Ciao,” risponde lei in un soffio. È una situazione strana per entrambi, trovarci qui da soli, dopo tutto quello che è successo.

Cerco di calmarmi. Tutta questa agitazione non ha senso. Non sono un adolescente al primo appuntamento con la ragazza che gli piace.

E poi questo non è un appuntamento.

Non le ho chiesto di uscire per questo motivo.

 

Forse no, ma non è che ci fosse poi tutto questo bisogno di andare insieme al drive-in, soprattutto con questa fretta. Potevi andarci anche domani mattina, o domani pomeriggio, da solo a controllare che fosse tutto a posto.

E invece no, l'hai detto ad Anna perché in fondo vuoi ritagliarti del tempo da solo con lei. Perché ti mancano le serate insieme, ti manca parlare con lei come prima, e hai colto questa occasione al volo senza nemmeno rendertene conto.

Puoi negarlo quanto vuoi, ma sei ancora innamorato di lei, anche se cerchi di sforzarti di dimenticarla. Il tuo cuore non te lo permetterà.

 

Ignoro i miei stessi pensieri, spingendoli a forza in un angolo della mia mente.

Non devo pensarci.

Dopo qualche istante, ci decidiamo a entrare: salutiamo i proprietari e li ringraziamo per il favore, poi io mi avvio verso una delle auto lasciando Anna ad occuparsi del film da vedere per la festa, ma non prima di averle detto di portare i popcorn. Non è un vero drive-in senza.

Questo posto non è davvero niente male, penso tra me guardandomi intorno. E queste lucine rendono l'atmosfera romantica, perfetta per un appuntamento.

Sì, ma questo non è un appuntamento. Affatto. Anche se siamo da soli, proprio soli soli considerando che hanno aperto per noi. Scelgo l'auto più centrale e mi accomodo al posto dell'autista.

Anna mi raggiunge cinque minuti dopo, quando il film – Cenerentola – è già iniziato.

Io, da gentiluomo quale cerco di essere ogni tanto, le apro la portiera, il clima un po’ più rilassato.

“Madame,” mormoro.

“Grazie,” sussurra lei di rimando, posizionando i popcorn in mezzo a noi due.

“Stavo pensando,” prende la parola dopo qualche minuto, “che potremmo fare una festa anni '60...”

“Mh-mh, okay... Ma... Cenerentola no.” Obbietto, con un'occhiata eloquente. È pur sempre una festa di laurea, su.

“Ho chiesto, ce l'hanno,” si giustifica lei. “è il film preferito di Chiara, l'ha visto duecento volte.” Non ne avevo idea. Aspetta, però una cosa me la ricordo, e non perché me l'abbia raccontata Chiara.

“È vero, lei da piccola voleva fare la principessa, vero... e tu Zorro.”

Lei sembra sorpresa.

“Me l'hai detto, no? Non è che...” Mi giustifico, leggermente in imbarazzo. Hai appena ammesso di ricordarti praticamente ogni cosa che dice. Bravo, complimenti.

“Vabbè... tu che volevi fare da piccolo? Mh?” Mi domanda, curiosa.

Io esito un attimo, poi mi butto. Lei me l'ha detto, no? “L'attore...” Rispondo senza guardarla.

“Ohh, l'attore,” mormora con voce roca, ridacchiando.

“Cosa? Che cosa ridi?” Chiedo, ma rido anch'io.

“No, vabbè... e poi?”

“Con 'sto naso dove vuoi che vada...”

“Non è così male.”

Mi giro a guardarla, stavolta sono io ad essere sorpreso. Anna è chiaramente in imbarazzo, ma regge il mio sguardo senza esitazioni.

“Grazie...” Mormoro infine, lusingato, e lei mi fa un piccolo sorriso.

È più forte di me, sento il bisogno di spiegarmi meglio. Di aprirmi. Sai che con lei puoi farlo. La battutina l'ha fatta solo per punzecchiarti, non per prendersi il gioco di te. Non lo farebbe mai, non l'ha mai fatto.

“Poi però mio padre ha detto, 'No no. Tu ora fai un lavoro serio, stop'.” Le confesso, abbassando le mani un po' abbattuto. Noto a mala pena le immagini scorrere sullo schermo, i due protagonisti intenti a parlare come stiamo facendo noi.

“Marco, tutti ci lasciamo condizionare...” Mi dice Anna dopo qualche istante, e guardandola vedo che nel suo sguardo c'è comprensione. E qualcos'altro che non riesco a decifrare bene.

Sta alludendo alla discussione di oggi pomeriggio, quando io le ho detto quella cosa su sua madre e sua sorella come se a me la faccenda non toccasse, e invece ecco qui che con due parole lei ha intuito tutto. Tu magari ultimamente hai qualche problema a capirla, ma di sicuro lei non ne ha nel capire al volo te. Fa un respiro profondo prima di continuare. “Credo che la cosa importante sia... non so, trovare il proprio posto nel mondo. E io penso di averlo trovato.” Confessa, guardandomi dritto negli occhi.

Io non riesco a distogliere i miei da quel verde magnetico che mi attrae come nient'altro.

“Credo anch'io, mi sa.” Ammetto, senza staccare gli occhi dai suoi.

Il mio posto è accanto a te, ovunque tu sia.

E quando sorride alle mie parole, so per certo che sta pensando la stessa cosa.

Vi siete detti di amarvi, anche se con un'espressione differente.

Nonostante tutto.

 

Non ti odia, nemmeno dopo che l'altra sera l'hai trattata malissimo e cacciata via quando sai che era venuta per te.

Nemmeno se stai con sua sorella.

E tu la ami anche per questo.

 

“Eh...” mormoro, più per fare qualcosa che altro, così lei abbassa lo sguardo, ma io continuo ad osservarla ancora per qualche istante.

Non ho capito male, non stavolta.

Lancio una breve occhiata allo schermo gigante davanti a noi, senza la minima idea di quello che stia succedendo nel film.“Secondo te qua dobbiamo guardarlo tutto questo, o...?” Commento, giusto per alleggerire un po' la tensione.

“Fino a quando non scatta la mezzanotte.” Sussurra Anna.

Ancora una volta, i nostri occhi restano incatenati per quella che sembra un'eternità, senza che nessuno dei due faccia niente per impedirlo.

Scorgo a mala pena l’immagine sullo schermo, il bacio prima dello scadere del tempo.

Non so se condizionato dal film, o ispirato, o è solo un caso, ma seguo l’istinto senza pensarci troppo.

Mi avvicino piano ad Anna e, quando capisco che non mi fermerà, la bacio.

Sembra quasi la scena di un film, abbiamo perfino il sottofondo giusto.

Le sue labbra sono dolci, invitanti, come le ricordavo.

Quanto ho desiderato risentirle sulle mie.

Stringo il suo viso con delicatezza, le sue mani a sfiorare leggere il mio torace.

Sembra di essere in una fiaba.

All’improvviso, un rumore ci fa sobbalzare: il rintocco della mezzanotte nel film.

Restiamo immobili per un istante, senza capire bene cosa sia appena successo.

Anna sembra ridestarsi, e prima che me ne renda conto, scende dall’auto, fuggendo via, un’espressione di panico sul suo viso.

La mia mente però è ancora ferma a qualche istante fa, e quando mi riprendo abbastanza, mi decido finalmente a correrle dietro.

“Anna!” Tento di richiamarla una volta fuori, ma è tardi, ha appena avviato il motore dell’auto, e io sono distante.

Torno dentro per saldare il conto e confermare la prenotazione per la festa - che avevo completamente dimenticato - e mi precipito fuori.

Più in fretta che posso, mi infilo il casco e salgo in sella alla mia moto.

Non posso lasciarla scappare così.

Quando arrivo sotto casa sua, riesco a beccarla appena in tempo: è già a metà strada tra il suo parcheggio e il portone del palazzo in cui abita.

Senza pensarci due volte, corro da lei, posizionandomi davanti e bloccandole la strada.

Sembra sconvolta.

“Perché sei scappata?” Le chiedo, senza fiato.

Anna abbassa la testa senza dire nulla, tentando di nuovo di fuggire, ma non posso permetterglielo.

La afferro per le spalle.

“Lasciami!” Cerca di opporsi, ma inutilmente.

“No!”

Tenta ancora di divincolarsi, ma io non mollo la presa.

“Perché sei andata via così?”

“Ho detto lasciami, non costringermi a farti male!” Prova a minacciarmi, ma senza reale convinzione.

So che potrebbe, ma so anche che non lo farà.

“No, non prima che mi avrai ascoltato!” Insisto, obbligandola a guardarmi.

Smette di opporsi, ma io non allento la presa, non voglio rischiare, così vado dritto al punto.

Il mio sguardo si fa implorante.

“Io ti amo,” le sussurro con un coraggio che non credevo di avere, “non posso lasciarti andare così.”

Anna spalanca gli occhi verdi, colmi di stupore.

“C-cosa?”

“Ti amo,” ripeto, stavolta più deciso, “e sono stato un idiota. Ho combinato un casino... e tutto per uno stupido pouf che ha riportato alla mente brutti ricordi. Non avrei dovuto reagire in quel modo, quella sera, avrei dovuto spiegarti, parlare... Ammettere che avevo soltanto paura. E invece non l’ho fatto; ti ho cacciata, ti ho ferita, e non ho scusanti per questo, ma... ho sbagliato, e ti chiedo perdono.”

Anna ha ormai smesso completamente di lottare e se ne sta inerme tra le mie braccia, gli occhi luccicanti di lacrime.

“Io...” tenta di dire, ma la blocco.

“Fammi finire, ti prego, è già abbastanza difficile così.” Le chiedo, e lei annuisce appena.

“Ho avuto paura perché la mia ex ha cominciato a distruggermi buttando via il pouf su cui guardavo le partite, finendo per buttare via anche me perché, a detta sua, non ero più quello di prima. Lo so che l’hai solo spostato, e che non è la stessa cosa, ma mi sono fatto prendere dal panico. E ho combinato un casino. Ti ho mandata via, quanto l’unica cosa che avrei voluto fare quella sera era baciarti, e non lasciarti andare via... La verità è che mi sono innamorato di te,” affermo, accarezzandole una guancia, mentre qualche lacrima sfugge al suo controllo, bagnandomi le dita. “Io, all’inizio ti odiavo, mi stavi antipatica, ma tanto... e poi ho capito. Che tu sei una intelligente, sei tosta, sei determinata, ma sei anche sensibile, emotiva, e sei una che davanti al male si sa ancora commuovere. E ti amo...”

Il sorriso che illumina il viso di Anna alle mie parole è l’immagine più bella che potessi sognare di vedere.

“Anch’io ti amo...” mormora, la voce tremante.

Non ho bisogno di sentirmi dire altro, e torno a baciarla ancora una volta, certo che adesso non scapperà.

Si lascia stringere più forte, mentre assaporo di nuovo le sue labbra.

Voglio rimediare, cancellare ogni traccia di sale su di esse, e ricominciare.

Ci separiamo solo per mancanza di fiato.

Il panico torna per un attimo quando avverto le sue mani sul mio petto spingere per allontanarmi da sé.

“Che c’è?” Le chiedo, titubante.

Lei esita prima di rispondere.

“Non... possiamo.”

“Cosa?”

Anna mi rivolge uno sguardo colpevole.

“Questo... noi. Non avremmo dovuto.”

“Perché no? Che stai dicendo?” Domando, senza capire cosa stia succedendo tutto d’un tratto.

Lei si allontana di un passo. Cerco di impedirglielo prendendole le mani, ma lei le sfila in fretta dalle mie, prima di stringersele convulsamente.

“Anna, che-”

“Chiara! Non posso farle questo, non è giusto!” Ammette, infine, e io mi sento mancare il terreno sotto i piedi.

Chiara. Mi ero completamente dimenticato di lei.

“Non sarebbe dovuto succedere, non... È stato uno sbaglio, Marco, quel bacio... È... è stata l’atmosfera, forse, ma non... Se lei venisse a saperlo, io... Non voglio che soffra... Dimentica tutto quello che è successo stasera.”

Resto immobile, impietrito mentre lei mi volta le spalle, fuggendo via un’altra volta.

Come Cenerentola a mezzanotte, l’incantesimo si è spezzato e lei se n’è andata.

E adesso non so come fare a riportarla tra le mie braccia.

Quando mi riprendo abbastanza da capire che è inutile restare qui, mi obbligo a tornare in sella alla mia moto, al posto del cuore un enorme vuoto.

Cosa faccio, adesso?

 

Chiara’s pov

Sono rientrata da poco a casa. Mia sorella non c’è, ma so che è con Marco per organizzare insieme a lui la mia festa di laurea.

Quando l’hanno proposta in ufficio, mi sono sentita rincuorata.

So che non si tollerano molto, quindi aver accettato di sotterrare l’ascia di guerra per me è stato un gesto carino da parte loro.

Indecisa se aspettare che rientri o meno, indosso il pigiama, mordicchiando un pezzetto di cioccolato per ingannare l’attesa.

Dopo un po’, mi avvicino alla finestra per curiosare un po’ sulla gente in strada, anche se di questi periodi non c’è molto movimento, e noto l’auto di mia sorella parcheggiata al solito posto, ma lei non si vede all’interno.

Tendo l’orecchio, ma non mi sembra di sentire rumore su per le scale.

Strano. Dov’è, se la sua auto è lì?

Scosto di più la tenda, per guardare meglio sulla piazzola più vicina al portone di casa nostra.

Capisco subito c’è c’è qualcosa di strano.

Anna è lì, e c’è anche Marco, ma sembra quasi che stiano litigando.

Noto che lui ha cercato di afferrarle le mani, ma lei si è tirata indietro.

Perché?

So che non dovrei origliare, ma è una scena che non riesco a capire, e stiamo comunque parlando dell’uomo che ho iniziato a frequentare, e di mia sorella.

Apro uno spiraglio della finestra, sperando di riuscire a cogliere qualcosa.

Il tono di voce di Anna non è molto forte, ma riesco comunque a distinguere quello che dice.

“... giusto! Non sarebbe dovuto succedere, non... È stato uno sbaglio, Marco, quel bacio... È... è stata l’atmosfera, forse, ma non... Se lei venisse a saperlo, io... Non voglio che soffra... Dimentica tutto quello che è successo stasera.”

Mi sento gelare.

Bacio.

Si sono baciati.

Vedo mia sorella raggiungere a grandi passi il portone, e senza pensarci due volte, mi affretto a mettermi a letto. Non voglio che sappia che ho sentito.

Dopo qualche istante, sento la porta di casa aprirsi e richiudersi piano, poi l’acqua del lavandino scorrere.

Fingo di dormire quando lei si affaccia nella mia stanza, come fa sempre quando rientra tardi dal lavoro.

Quando sono sicura che anche lei sia a letto, ripenso a quello che ho sentito, le sue parole impresse nella mia mente.

Non sarebbe dovuto succedere, non... È stato uno sbaglio, Marco, quel bacio... È... è stata l’atmosfera, forse, ma non... Se lei venisse a saperlo, io... Non voglio che soffra... Dimentica tutto quello che è successo stasera.”

C’è stato un bacio.

E analizzando meglio la frase, sembra che sia stato lui, a farsi avanti.

Perché dire che si è trattato di uno sbaglio, altrimenti?

È stata l’atmosfera, forse...

Qualunque cosa abbiano preparato, è abbastanza romantica da aver portato ad un bacio.

È stato uno sbaglio...

Quindi Anna non voleva, è stato Marco a baciarla.

Non voglio che soffra...

Lei si è tirata indietro, l’ho visto anch’io poco fa.

Dimentica tutto quello che è successo stasera.

Non me lo dirà. Non mi dirà niente per non farmi star male.

E nemmeno Marco lo farà, questo è scontato.

 

La mattina dopo, vado con Anna a comprare il vestito per la laurea.

Fingo meglio che posso che sia tutto normale.

Ma finiamo per parlare di Marco.

Provo a dirle quello che ho iniziato a sentire per lui, a spiegarle che per me è importante, anche per capire la sua reazione in merito.

Quando mi rivolge quel suo sguardo affettuoso e mi dice che Marco è fortunato ad avermi accanto, so che posso stare tranquilla.

Almeno da parte sua.

Non vuole che io sappia, e farà finta di nulla.

E io potrò continuare la mia storia con Marco come se niente fosse.

In teoria.

Perché se lui l’ha baciata, allora significa che non la trova così insopportabile come avevo creduto.

Ho bisogno di sapere come stanno le cose per lui.

 

Anna’s pov

Quel bacio mi tormenta per giorni.

Anzi, quei baci.

Non avrei dovuto cedere.

Sul lavoro, c’è imbarazzo tra me e Marco.

Gli ho chiesto di dimenticare, e lui per il momento sta rispettando il mio silenzio, ma so che non durerà per molto. Lo capisco dagli sguardi che mi rivolge.

So che sta aspettando il momento adatto, e temo anche di sapere quale sarà. Se è come penso, non avrò via di fuga.

 

Perché, perché deve andare sempre a finire così?

Sembra che dopo quella sera vada sempre tutto male, come una specie di maledizione.

 

Quando mi ha detto di aver trovato il drive-in e che avrebbero aperto apposta per noi, quell'implicito invito mi ha destabilizzata un attimo, prima di ricordarmi che non era affatto un'uscita per noi due, ma per organizzare la festa per Chiara.

La sua fidanzata.

Deglutisco a forza.

I miei tentativi di rimanere distante sono andati a farsi benedire comunque, perché quando ci siamo trovati lì, è stato chiaro ad entrambi che sarebbe stato tutto, meno un incontro per organizzare la festa di laurea. In mia difesa, posso dire che io ci avevo provato.

È stato come se le settimane di tensione tra noi non ci fossero mai state. È bastato poco perché tornasse tutto come prima, perché riprendessimo a parlare... di noi.

Quando si è ricordato quella cosa di Zorro ho avuto un tuffo al cuore. Sono passati mesi da quando gliel'ho raccontata, e non abbiamo più toccato l'argomento da allora.

Eppure si ricorda.

Conoscendo quant'è restio a parlare di sé, non pensavo mi avrebbe risposto quando gli ho chiesto cosa voleva fare lui da bambino, e invece, ancora, mi ha spiazzata.

Sì, e già che siamo nel discorso, tu gli hai detto che ti piace.

Avrei voluto sotterrarmi dall'imbarazzo, non so come ho fatto a non abbassare lo sguardo quando lui mi ha rivolto quell'occhiata sorpresa.

Quando poi mi ha raccontato di suo padre... Non mi aveva mai parlato della sua famiglia.

E di come anche lui abbia dovuto accettare di fare qualcosa che inizialmente non voleva per amore di qualcuno.

Io ho scelto di fare il carabiniere per dare giustizia alla memoria di mio padre. Lui ha barattato il suo sogno per una carriera con cui rendere orgoglioso il suo.

Volevo solo cercare un modo per consolarlo, come lui ha fatto tante volte con me.

Quella frase mi è uscita di bocca senza che riuscissi a fermarla.

E la sua risposta è stata incredibilmente inaspettata... ma ha tolto in me ogni dubbio.

So che lui ha capito cosa intendessi, e le sue parole l'hanno confermato.

Quelle, e il fatto che non riuscissimo a staccare gli occhi l'uno dall'altra subito dopo.

 

Gli hai praticamente detto che il tuo posto è accanto a lui.

E Marco ha detto lo stesso per te.

 

Il bacio che ci siamo scambiati subito dopo è stato talmente naturale, talmente... perfetto per quegli istanti, che non ho nemmeno avuto il tempo di riflettere su quello che stavo facendo.

Sapevo soltanto che mi stava baciando, che le sue labbra erano di nuovo sulle mie dopo mesi passati a bramarle, e che lo amavo.

Le sue mani sul mio viso, come la prima volta, ad accarezzarmi le guance in un gesto dolce. Ho percepito il suo cuore battere furioso sotto le mie dita.

Mi sono abbandonata a quel contatto senza nemmeno pensarci, perché lo volevo.

Lo volevo come nient’altro nella mia vita.

Avevo bisogno di risentirlo. Avevo bisogno di lui.

Ma come tutte le fiabe, c’è sempre un imprevisto che ostacola tutto, e nel nostro caso è stato il rintocco della mezzanotte nel film che avremmo dovuto guardare.

È stata la consapevolezza di aver ceduto a ridestarmi.

Sono scappata via perché non volevo affrontarlo, e ho ignorato a forza il desiderio di tornare indietro quando ho sentito Marco chiamare a gran voce il mio nome, tentando inutilmente di fermarmi.

Quello che non mi sarei aspettata è stato il suo seguirmi fino a casa.

Pensavo di avercela fatta, e invece mi è corso dietro e mi ha impedito di barricarmi in casa.

E mi ha detto che mi ama.

Mi ama.

Mi ama!

Mi ha spiegato cos’è successo quella dannata sera, mi ha chiesto perdono per aver reagito in quel modo senza darmi un motivo, e mi ha detto che è innamorato di me.

È stata la dichiarazione d’amore più inaspettata e più bella che avrei mai potuto sognare di sentirmi fare.

Ogni volta che torno a pensare alle sue parole, non riesco a non piangere. È più forte di me.

Ci siamo baciati di nuovo, dopo, senza nessuna interruzione.

Mi ha stretta tra le braccia, e mi sono sentita felice.

A casa.

Solo dopo la realtà mi è piombata addosso senza che potessi evitarlo.

Mi ero completamente dimenticata di Chiara.

Avevo fatto tutto, tranne che pensare a lei e alle conseguenze delle nostre azioni.

Marco mi ama, e io amo lui, ma la verità è che lui sta con mia sorella.

E non posso rovinare tutto.

Non posso.

Non è giusto.

Ho avuto la conferma stamattina, quando l’ho accompagnata per comprare il vestito.

Stavolta è diverso, per lei, è una cosa seria. Si sta davvero innamorando di Marco, e io non voglio portarglielo via.

Anche se ci amiamo, ha scelto lei, e adesso dobbiamo accettarne le conseguenze.

Non dovrà mai saperlo.

 

Il mio umore già a terra peggiora durante il pomeriggio. C’è la premiazione della gara di ciclismo di qualche giorno fa. Marco è venuto insieme a Chiara, e io mi limito a un cenno, ingoiando il groppo in gola, quando raggiungo la piazzetta insieme al Colonnello, che mi guida in prima fila, insieme agli altri carabinieri.

Viene fuori che il Maresciallo non aveva realmente vinto la corsa, ma che per un incidente si era ritrovato a tagliare il percorso fino ad arrivare al traguardo senza rendersene conto. Lì era pure svenuto, e quando si era ripreso, il Colonnello aveva già combinato più casino di lui.

Resto sbalordita da questa sua ammissione. Come gli è saltato in mente, di mentire, in primo luogo?

E adesso, di ammettere la bugia sul palco, così.

Non sono davvero arrabbiata, però, anzi. È ammirevole, che abbia detto la verità.

So che ci vuole parecchio coraggio, per ammettere di aver sbagliato.

Nonostante ciò, non riesco a trattenermi.

“È impazzito?” Gli chiedo a bassa voce, raggiungendolo non appena scende dal palco.

Lui mi rivolge uno sguardo obliquo. “Perché? Io ho semplicemente detto la verità.” Mi risponde con semplicità.

So già che è un uomo dal grande cuore, ma oggi ne ho avuto ulteriore conferma.

“Piuttosto...” continua però lui, “adesso tocca a Lei.” Mi avverte, accennando al punto in cui Marco e mia sorella sono fermi a chiacchierare.

Loro si accorgono che stiamo passando loro accanto, e ci salutano. Noto l’incertezza negli occhi di Marco. Il mio sorriso è forzato.

Ma non posso fare quello che vuole Cecchini.

“Non posso, Maresciallo. Mia sorella è felice, non voglio rovinare tutto.” Gli spiego a testa bassa.

Mi dispiace dirle le cose a metà, maresciallo. Ho già detto la verità a Marco, ma non è giusto nei confronti di Chiara.

“Basta, storia chiusa, non ne parliamo più.”

“Sua sorella è felice, ma Lei?” Tenta ancora lui.

Torno a guardarlo. Non so cosa esprime il mio sguardo, ma qualunque cosa sia fa vacillare la sua convinzione.

“Io me ne farò una ragione.”

Il maresciallo non fiata.

 

 

La sera della festa di Chiara, qualche giorno dopo, ho paura di quello che potrebbe succedere.

Non posso scappare stavolta: non conosco quasi nessuno degli amici di Chiara, e nemmeno Marco. So già che finiremo per passare la maggior parte del tempo insieme, e questa cosa mi terrorizza, perché so che lui ne approfitterà per riaprire il discorso.

 

Infatti, quando arriviamo al drive-in, Chiara va immediatamente a salutare i suoi amici, mollando me e Marco all’ingresso senza tante cerimonie.

Sospiro appena: tanto succede così tutte le volte.

Marco mi rivolge uno sguardo interrogativo.

“Fa sempre così,” spiego, “quando mi costringe ad accompagnarla da qualche parte. Prima mi obbliga e poi mi abbandona senza pensarci due volte.”

Lui sembra spiazzato, non sa bene cosa rispondermi, ma non importa. Tanto ci sono abituata, a questi comportamenti di Chiara.

Ci decidiamo a entrare anche noi, e basta una rapida occhiata per farmi tornare alla mente gli eventi di qualche sera fa. A giudicare dall’espressione di disagio di Marco, anche lui ci sta pensando.

Salutiamo con un cenno i proprietari, che ci riconoscono, ma restiamo indecisi sul da farsi.

Mia sorella si ricorda all’improvviso della nostra esistenza, venendoci a ringraziare per l’idea, che le piace tantissimo, prima di allontanarsi di nuovo verso un gruppetto di ragazze che l’abbracciano per congratularsi.

Quindi noi restiamo di nuovo da soli. Non conosciamo praticamente quasi nessuno, e io non sono poi così socievole, in questi casi. Sarei rimasta con Marco a prescindere dagli eventi recenti. Solo che, come ho già detto prima, se da un lato sono felice di avere una scusa per stare insieme, stasera, dall’altra vorrei solo trovare il modo di scamparla.

Come si esce da questa situazione?

Cerchiamo di ignorare l’imbarazzo mettendoci a parlare di qualsiasi altra cosa. Discutiamo di cucina, del Festival di Spoleto, di scacchi, di libri... tutto per evitare quell’altro argomento, almeno finché riesco.

Noto una ragazza vicino a noi lanciare un’occhiata interessata a Marco. Ingoio a forza la gelosia. Lui però non ricambia lo sguardo di lei, rivolgendomi un sorriso eloquente e avvicinandosi di un passo.

Non farmi questo, non resisto se ti avvicini così.

 

Third-person pov

 

Una delle colleghe di corso di Chiara rivolge un’occhiata interessata a Marco, che lui però non ricambia, tornando a rivolgere la sua attenzione ad Anna.

La ragazza, Melania, si avvicina alle sue amiche, poco distanti.

“Secondo voi chi è lui?” Chiede, curiosa.

Sara corruga le sopracciglia. “Lui, chi?”

“Quello che c’è con la sorella di Chiara. È sua sorella, no, quella?” Spiega, indicando il punto in cui Anna e Marco sono intenti a parlare.

“Sì, sì, mi pare abbia detto si chiami Anna. Fa il carabiniere... sinceramente me la sarei immaginata diversa, non so.” Commenta Linda.

“Anch’io,” risponde Sara, sorseggiando il suo drink. “Comunque, non lo so chi è lui, Chiara in effetti non ce lo ha detto, però mi pare che siano venuti tutti e tre insieme. C’era anche prima, alla discussione, sempre seduto accanto a sua sorella.”

“Beh... è tutta la sera che se ne stanno lì a parlare per gli affari loro. Secondo me è il suo ragazzo.”

“No, non penso. Dai, non li ho visti né baciarsi né tenersi per mano, né niente!”

“Magari lei non è il tipo, essendo un carabiniere...”

“Non esageriamo,” fa Sara, ragionevole. “Nemmeno io penso stiano insieme, ma c’è un flirt in corso sicuro...”

“Dovevi vedere come la guardava lui, prima!” Commenta Melania, emozionata. “Pure io voglio un uomo che mi guardi in quel modo!”

“Qualcosa tra loro c’è, è evidente,” considera Linda. “Si vede proprio... tutto il tempo per conto loro, praticamente attaccati... Magari è un loro amico comunque, e Chiara lo ha invitato proprio per sua sorella...”

“Oh, ecco Chiara... lo chiediamo a lei direttamente?”

Chiara si avvicina loro con un sorriso. “Ehi, ragazze! Come va? Vi piace la festa?”

“Molto, bella l’idea del drive-in!”

“Grazie! Il merito è di mia sorella, però, è stata lei a pensarci.”

“A proposito di tua sorella,” si intromette Linda, “chi è il ragazzo che c’è con lei? È da tutta la sera che sono insieme...”

Chiara fa un’espressione sorpresa. “Oh, avete ragione, non ve l’ho presentato! Si chiama Marco, è un suo collega di lavoro, ma è anche-” Si volta a guardarli, bloccandosi di colpo.

Le ragazze notano la sua espressione farsi seria.

“...Chiara?”

Lei non risponde: Marco ha appena preso Anna per mano, l’atmosfera tra loro due che si fa sempre più intima secondo dopo secondo.

 

Anna’s pov

“Adesso possiamo parlare di quello che è successo l’altra sera?” Mi chiede Marco a bassa voce, e mi rendo conto di essere in trappola.

“Avevamo detto di far finta che non fosse successo nulla.” Ribatto debolmente.

“L’hai detto tu, questo, ma io non ci riesco, e non sono sicuro di volerlo fare.”

Cerco inutilmente una via d’uscita, che lui mi impedisce di trovare stringendomi con delicatezza un polso.

“Anna... è inutile scappare. Non serve a niente, e lo sai anche tu.”

“E che cosa dovremmo fare? Abbiamo già superato un limite che non andava oltrepassato. Non voglio peggiorare le cose.”

“Dobbiamo dirle la verità.”

Scuoto la testa. “Non posso... Lei... mi ha confessato di essersi innamorata di te, e... non posso farle questo.”

“Ma io amo te... e ho sbagliato, con lei. Non avrei dovuto ricambiarla quella sera, l’ho fatto solo per rabbia, e poi mi sono adeguato perché speravo di riuscire a dimenticarti. Non potrei farlo neanche volendo.” Continua, intrecciando le nostre dita. “Così come non posso far finta che l’altra sera, qui, non sia successo nulla. Ripenso sempre a quella conversazione in macchina, e a quel bacio... e lo so che per te è lo stesso.”

Vorrei tanto distogliere lo sguardo, ma non ci riesco.

Deglutisco a vuoto, tentando l’ultima scappatoia.

“Ci siamo fatti condizionare dal film.”

“Non mentirmi, Anna,” mormora, ancora più vicino. Il mio cuore salta l’ennesimo battito. “Se fosse davvero stato così, non mi avresti detto di amarmi, sotto casa tua.”

Avverto il suo respiro caldo sulla pelle. La distanza tra noi continua a ridursi.

Chiudo gli occhi.

Baciami.

Le sue labbra però non arrivano a posarsi sulle mie.

Registro con qualche istante di ritardo cos’è successo.

Chiara deve aver visto tutto, ed è arrivata come una furia, gettando il suo drink addosso a Marco.

Io sono paralizzata, non riesco a fare nulla.

“Come avete potuto?!” Strilla, le lacrime agli occhi. “Io mi fidavo di voi! Mi avevate sempre detto di odiarvi, e invece...” Fa per aggiungere altro, ma poi ci ripensa, scappando via.

Cerco di riprendermi.

“Chiara, aspetta!” Tento, correndole dietro.

 

Chiara’s pov

Ignoro mia sorella che mi chiama.

Come, come hanno potuto farmi questo?

Se non li avessi interrotti, si sarebbero baciati... lì, proprio sotto i miei occhi.

“Chiara, per favore!”

Mi fermo, girandomi a guardarla.

“Proprio da te non me lo sarei mai aspettata, sai?” Faccio, sarcastica, reprimendo a stento la rabbia.

“Lasciami spiegare...” Prova Anna, ma io non ho intenzione di starla a sentire.

“Non c’è niente da spiegare! Vi ho visti, stavate per baciarvi! Non dirmi che è stato un caso, è il mio fidanzato, e tu lo sai!”

“Chiara-”

“Non si fregano i fidanzati alle altre, soprattutto non a tua sorella!”

“Non mi sembra che tu ti sia fatta grandi problemi con me, le altre volte, però,” mi risponde freddamente lei, e io mi sento cogliere alla sprovvista.

Questo è un colpo basso.

“Non c’entra niente, questo. Non erano storie serie, questa sì!”

Anna ride senza allegria. “Certo... perché fingere di essere quella che non sei e assecondare gli altri rende le cose serie, secondo te.”

Smettila, Anna. Smettila.

“È diverso, stavolta. E poi tu non ci uscivi, con lui.”

“Questo lo dici tu.”

Ecco che mi spiazza.

“Mi hai detto che non ti piaceva!” Ribatto, irritata. Quando gliel’ho chiesto, mi aveva detto che ero matta solo a pensarlo.

“E tu mi hai pure creduta... sapendo come sono fatta io! E nonostante quello che avevi visto anche tu.”

“Erano solo lezioni di cucina.”

Anna scuote la testa.

“Avevi sempre detto che era insopportabile, ci litigavi sempre.”

“E non ti sei accorta, quando veniva a casa, che le cose tra noi erano diverse?” Mi chiede, con uno sguardo eloquente.

“Non vi ho mai visti uscire insieme in quel periodo...”

“Tu eri ancora a Perugia a studiare... poi sei tornata, e hai deciso di fare a modo tuo, senza preoccuparti di niente.”

“Ma tu non mi hai fermata!” Torno a ripetere, alzando nuovamente la voce. Questa conversazione non ha senso.

“Sì, che ci ho provato. E ti ho anche detto di smetterla di mentirgli.”

“Questo non c’entra niente con te.”

“Con me forse no, ma conosco Marco. Ed è la cosa peggiore che avresti potuto fare.”

“E hai pensato di correre in suo aiuto? Per ‘salvarlo’ da me?” La derido.

So che sto esagerando, ma non sopporto che mi dica queste cose, non dopo quello che ho visto stasera. E anche l’altra volta.

“Io mi sono fatta da parte!” Mi contraddice.

“Sì, come no. Non fare finta di non saperlo... vi ho sentiti, l’altra sera, quando siete tornati dal drive-in. Pensavo fosse stato Marco a baciarti e tu ti fossi tirata indietro, ma poco fa non ho avuto più dubbi. Altro che farti da parte...”

Noto le mani di Anna tremare. Se lei sta perdendo la calma, allora la situazione è grave.

“Se hai sentito davvero, io gli ho detto che non era giusto, quello che avevamo fatto. Che non volevo che tu soffrissi. Gli ho detto di far finta che non fosse mai successo. Non gli avrei mai chiesto di lasciarti per me.”

“Anche se fosse, poco fa lo stavi per baciare! Non mi sembra coerente con quello che dici,” ribatto.

“Sì, l’avrei baciato!” Ammette, finalmente, ma resto interdetta nel notare che mia sorella ha gli occhi lucidi. “Mi sono innamorata di Marco! Ma non ti avrei mai fatto una cosa del genere... è successo, e mi dispiace. Io ci ho provato, a tirarmi indietro e farmi da parte, perché vedevo che tu eri felice, non volevo rovinare le cose tra voi. Ma i sentimenti si possono tenere a freno fino a un certo punto... Ci abbiamo provato, a metterli da parte, ma...”

Io non so bene cosa dire, di fronte alle sue parole.

Non mi aspettavo una confessione così. Non da Anna, sempre molto restia ad ammettere cosa prova.

E tutto quello che mi ha detto è la prova che faccio sempre casini.

Avevo in parte dato ragione a Giovanni, il suo ex, quando le aveva detto che non ascoltava, ma la verità è che, nel mio caso, sono io che non ho ascoltato lei.

Ho fatto i miei interessi, non mi sono curata di quello che già c’era tra loro. Ho dato per scontato che si continuassero a detestare, anche se l’evidenza diceva il contrario.

Ma non posso dirglielo ora.

Ho bisogno di pensare.

“Comunque sia, mi avete tradita, tutti e due. Non voglio sentire altro, ho bisogno di stare sola.”

“Chiara, aspetta un attimo, per favore.”

Marco.

Si è appena avvicinato, affiancando Anna. Una pugnalata ulteriore.

“Non ho intenzione di ascoltarti.”

“Lo so, e hai pienamente ragione, almeno nei miei confronti.” Mi dice, cauto. “Ma lascia che ti dica solo una cosa... Mi sono comportato male con te, e non ho scusanti, però ti posso assicurare che non ti ho mai presa in giro... Ci ho provato, a impegnarmi davvero con te... ma non avevo fatto i conti con quello che provo per Anna, e col fatto che, se mi trovavo in quella situazione, era solo per... paura. Una paura sciocca da parte mia, perché Anna sapeva già tutto, ma io mi sono lasciato prendere dal panico.” Mi spiega. Inspira a fondo prima di continuare. “Anna ha sempre pensato a te, prima di tutto il resto.”

“Non mi sembra che fossi il centro dei vostri pensieri, poco fa.”

“Hai ragione, è vero,” concede lui, “ma in nostra difesa posso solo confermarti quello che ha detto Anna. Questa... storia tra noi andava avanti da un po’, solo che non avevamo voluto metterci etichette di nessun tipo. Avevamo entrambi passato un periodo difficile, preso una batosta pesante, e avevamo avuto bisogno l’uno dell’altra... Ci siamo avvicinati quasi senza accorgercene, e per questo non volevamo rischiare, o affrettare le cose. Poi sei arrivata tu, e l’equilibrio tra noi è saltato di nuovo, sotto molti aspetti. E, nonostante tutto, non è bastato ad allontanarci, anzi...”

Resto per qualche attimo a soppesare le sue parole.

Quello che ha detto prima, che Anna sapeva già tutto... Credo si riferisca alla sua relazione precedente. Con me, si è sempre rifiutato di aprire l’argomento ‘ex’, l’ha nominata di sfuggita solo una volta, e non perché glielo avessi chiesto io. È successo quella volta in cui ha ospitato me, Anna e il maresciallo perché avevamo i tarli in casa. É stata proprio Anna, quella volta, a fare un commento sulla stanza per i bambini, e lui le aveva risposto che era stata una decisione della sua ex. Anna, a pensarci adesso, si era limitata ad annuire, e credo che già a quel punto sapesse tutto.

Già da allora, quando io ero convinta che si tollerassero appena.

Non so se questa cosa mi fa stare meglio o peggio, perché un argomento come quello non si affronta con una persona che al massimo è un’amica.

Io sono la sua fidanzata, o almeno lo ero, e non ho idea di che cosa stia parlando.

“Ho... ho bisogno di stare da sola.” Dico, andando via senza aggiungere altro.

Non mi volto indietro, ho paura di quello che potrei vedere.

Trovarmi davanti agli occhi Marco che consola Anna mi farebbe troppo male, perché so che sarebbe una scena molto diversa da quella che io ho vissuto giusto la settimana scorsa, nell’ufficio di mia sorella. Lui quella volta ha fatto quel che poteva, senza però riuscire nell’intento di farmi stare meglio perché non sapeva cosa dirmi, almeno finché è rientrata Anna. È stato solo davanti all’indignazione di mia sorella che lui si è sbloccato. Con il suo supporto, che ha cercato una soluzione.

Se mi voltassi adesso, vedrei una dimostrazione d’amore, e non sono certa di riuscire a sopportarlo.

Chiedo a una mia amica di ospitarmi per stanotte, non ho voglia di tornare a casa.

 

Quando sono finalmente a letto, mi obbligo a riflettere su quanto accaduto, sulle cose che mi hanno detto.

Ripenso alle parole di mia sorella.

Fingere di essere quella che non sei e assecondare gli altri rende le cose serie, secondo te... Ti ho anche detto di smetterla di mentirgli... Conosco Marco, ed è la cosa peggiore che avresti potuto fare.

Queste frasi diventano pesanti come un macigno.

È vero, che me l’ha detto. Molto all’inizio, anche.

Quando io e Marco saremmo dovuti andare alla partita, a Roma.

Mi chiese che cosa stessi combinando, perché a me non piacciono né il calcio, né le moto, né la cucina, né nient’altro che riguarda l’area domestica, compreso restare a casa la sera. La mia risposta era stata la solita di sempre: seguire la strategia della geisha, e soddisfare ogni desiderio del proprio uomo.

E, il mio obiettivo, quella volta, era altrettanto banale: riuscire ad averlo finalmente per me. Sì, portandomelo a letto.

L’ho perfino confessato ad Anna.

Non oso immaginare come si sia sentita.

E la cosa assurda è che, col senno di poi, so che non ci sarei riuscita.

Marco è un gentiluomo, e non avrebbe ceduto alle mie avance.

L’ho capito solo dopo che, a parte le piccole cose, va con i piedi di piombo.

Dalla discussione di stasera, direi che c’entra la sua storia precedente.

Anna a quanto pare sa perfettamente cos’è successo, e deve avere a che fare con qualche tipo di bugia. Grave, visto che Marco l’ha definita ‘batosta pesante’.

Incasso il colpo, perché so che mia sorella ha ragione: l’ho usato, ho cercato di farlo ‘cadere’ in trappola sfruttando quello che gli piace, fingendo che piacesse anche a me. Ho accettato ogni sua proposta per portarlo poi dovevo volevo.

Pensavo avrebbe funzionato, perché nonostante non condivida i suoi interessi, Marco mi piace davvero.

Ma, evidentemente, non è servito nemmeno dire di sì a tutto.

Alla mia accondiscendenza ha preferito la caparbietà di mia sorella.

La sua determinazione, il suo sapersi imporre e dire di no all’occorrenza, il fatto che sappia tenergli testa senza paura, correndo il rischio di fallire.

Ripensando alla scena di qualche ora fa, e anche dell’altra sera, mi rendo conto però che Marco conosce anche il suo lato fragile, quello che lei ha sempre cercato di nascondere a tutti.

Anna ha sempre usato la sua divisa come una corazza: soprattutto negli ultimi anni, le ha permesso di celare sotto di essa ogni parte di sé che avrebbe rivelato la sua sensibilità, mostrando solo una facciata di austerità e freddezza.

Da un lato la capisco, ha dovuto imporsi in un modo maschile, ed è stato necessario fare questo tipo di scelta. Il problema è che ha finito per assumere lo stesso atteggiamento anche nella vita di tutti i giorni.

So benissimo quanto ha litigato con Marco nei primi tempi dopo il suo trasferimento qui a Spoleto, non faceva altro che dirmi quanto fosse insopportabile, inaffidabile, precipitoso nel formulare giudizi sempre affrettati, cinico, insensibile, esasperante... era una lista infinita di aggettivi negativi. Poi io sono dovuta tornare a Perugia per seguire l’ultimo semestre di lezioni, e non ne abbiamo più parlato. Quando sono tornata a Spoleto, per la storia di Sasà, li ho trovati insieme, a casa di mia sorella, mentre lui le dava lezioni di cucina.

Lui! Quello che lei diceva di non sopportare! Mi torna in mente come, quella famosa sera, Anna si è rifiutata di uscire con me... per restare con lui. Ufficialmente per lavorare, ma credo fosse solo una parte di verità.

Non ci ho nemmeno riflettuto, ero troppo presa dai miei ‘problemi’ per rendermi conto che, per la prima volta, un uomo era riuscito a mettersi in mezzo a noi due, e a scavalcarmi.

Non era mai successo prima, nemmeno con Giovanni.

Ogni volta che io mi ero cacciata nei guai, o ero stata in procinto di farlo, Anna mi era sempre corsa dietro.

Quella volta no.

E infatti, senza di lei a tenermi d’occhio, avevo combinato un casino assurdo, che non è servito a farmi imparare la lezione, perché avevo finito per deluderla lo stesso pochi giorni dopo. In quel caso, è intervenuto Marco, a farmi riflettere su quello che stavo facendo.

Solo ora capisco che non era solo il mio interesse, quello che aveva a cuore.

Lo ha fatto per mia sorella.

Perché l’avevo fatta preoccupare in quei giorni in cui ero sparita, e continuavo a sbagliare correndo dietro a un ragazzo che, come lei stessa mi aveva detto, nemmeno conoscevo.

Mi sono presa una cotta per Marco per le sue parole e i suoi modi di fare, tralasciando il fatto che l’avessi comunque trovato da Anna qualche sera dopo.

Anche quando abbiamo iniziato a uscire insieme, sono stata io a farmi avanti, ignorando deliberatamente l’evidenza che lui continuasse ad avere occhi solo per mia sorella.

La sera stessa che ci siamo baciati... sono stata io.

Mi aveva invitata a uscire molto tardi, quella volta, e inizialmente mi era sembrato strano. Era... nervoso, come se qualcosa lo turbasse, e in molti momenti era stato distratto, assente.

Mi sono fatta avanti io. Lui non si è tirato indietro, ma se ripenso alla sua espressione, era molto combattuto, come se si sentisse in colpa.

Ora so perché.

Aveva baciato me, ma era innamorato di Anna, e probabilmente si sentiva come se l’avesse tradita.

Da quella sera, hanno interrotto le lezioni di cucina, non è più venuto a casa se non per prendere me, e le loro interazioni hanno iniziato a limitarsi alle questioni di lavoro.

Come ho fatto a non notarlo?

Cioè, l’ho notato, ma avevo egoisticamente pensato che considerassero inappropriato vedersi da soli fuori dalla caserma, adesso che io stavo con lui.

Invece il motivo era l’opposto.

Si evitavano perché restare soli avrebbe portato verso un unico esito possibile.

Quello che è successo effettivamente la sera del drive-in.

Sono usciti insieme, anche se per organizzare la mia festa di laurea, e hanno finito per farlo diventare inconsapevolmente un appuntamento e baciarsi.

È vero che Anna ha provato a tirarsi indietro, io avevo perfino pensato che fosse stato lui a baciarla anche se lei non voleva... dalle sue parole, fuori contesto, mi era sembrata la soluzione più ovvia.

Invece lei lo aveva ricambiato, solo che si era resa conto in ritardo di cosa quel bacio avrebbe comportato, e lo ha respinto.

Hanno provato a lasciarsi l’episodio alle spalle, ma non ci sono riusciti.

È impossibile chiedere a due persone di dimenticarsi, quando si amano così.

L’amore vince sempre.

L’avevo detto io stessa, ad Anna, mesi fa.

L’amore, quello vero, trova sempre la strada, nonostante tutti gli ostacoli che può incontrare sul suo cammino.

E così è stato, per loro due.

 

Marco’s pov

 

La situazione con Anna è tesa.

Sono passati due giorni dalla festa, e Chiara non è ancora tornata a casa né si è fatta sentire.

Anna ha provato più volte a rintracciarla, ma lei si ostina a non rispondere.

Abbiamo sbagliato, è vero, e la sera della festa soprattutto, avremmo dovuto stare più attenti. Ma la verità è che quella situazione era diventata insostenibile.

Anche se Anna si è assunta parte della colpa, in realtà sono il responsabile principale.

Adesso siamo qui, a casa sua, senza sapere bene come comportarci.

Un altro tentativo di chiamata andato a vuoto.

“Continua a non rispondermi... non so che fare,” mormora Anna con voce flebile, sedendosi sul divano accanto a me.

“Purtroppo possiamo solo aspettare, credo,” rispondo con un tono simile al suo.

Inspiro a fondo.

“È tutta colpa mia, se non mi fossi fatto prendere dal panico, quella sera...”

“Non dire così,” mi blocca però lei, “conoscendo Chiara, probabilmente sarebbe finita così a prescindere da quella sera.”

“In che senso?” Chiedo, senza capire. È vero, sono uscito con lei qualche volta, ma avevo intenzione di darci un taglio. Era davvero solo un’amica, una compagnia piacevole, ma nient’altro.

“Nel senso che le piacevi da un po’, e lei, quello che le piace, è sempre stata abituata a prenderselo. Avreste finito per baciarvi comunque.” Mi risponde Anna, con una semplicità e una freddezza che mi spiazzano. Ha l’aria di essere una situazione che conosce bene.

“È stata lei a farsi avanti... non che sia una giustificazione, ma se non fossi stato così... fuori di me, non l’avrei ricambiata.” Cerco di spiegarle. “Non avrei ceduto così... come per Diana. Ma quella sera non ho ragionato, non ero in grado di riflettere razionalmente. Ho combinato un casino dopo l’altro, e me ne sono reso conto solo quando il danno era fatto. Mi sono detto che non era destino, per noi, e che avrei fatto bene ad adeguarmi. Era una situazione comoda... Chiara non mi contraddiceva mai, prendeva le cose come venivano, e dopo quello che mi era successo, avevo bisogno di un periodo di leggerezza. Non ho capito che stavo sbagliando su tutta la linea. Che in realtà stavo scappando dalle mie stesse responsabilità.” Rido appena. “E pensare che sono stato io stesso a dirti che dalle responsabilità non si deve fuggire.”

“Capita a tutti di sbagliare, no?” Sorride lei. “E la mia parte di colpe ce l’ho anch’io. Sì, ce l’ho,” rimarca quando tento di contraddirla. “Avrei dovuto essere sincera fin dall’inizio con lei. Dirle la verità... siamo sorelle, ci siamo sempre raccontate tutto e aiutate, anche se spesso non la vediamo allo stesso modo. So cose di Chiara che ti farebbero rabbrividire, credimi,” ridacchia, “ma non te le direi mai, e comunque non la vorrei in nessun altro modo. Le voglio bene anche se mi fa arrabbiare. E non sopporto il fatto che non voglia parlarmi.” Mi dice, la voce leggermente incrinata.

Le passo un braccio intorno alle spalle.

“Vedrai che si sistemerà tutto, ha solo bisogno di tempo per riflettere. Questo glielo possiamo concedere, no?”

Lei si limita ad annuire.

“E noi possiamo aspettare.” Aggiungo.

Anna mi rivolge uno sguardo sorpreso.

“So che non te la senti, di parlarne adesso,” le spiego semplicemente, “e non c’è tutta questa fretta. Non abbiamo definito quello che siamo noi due fino ad ora, penso che aspettare ancora qualche giorno per farlo non cambierà quello che c’è tra di noi.”

“Hai ragione...” Il suo sorriso riconoscente mi fa capire che ho fatto la scelta giusta.

Per questo il suo bacio è così inaspettato.

Ma questo bacio non mi sognerei mai di non ricambiarlo.

 

La mattina dopo, poco prima di uscire da casa per andare al lavoro, il mio cellulare squilla.

Un messaggio da parte di Chiara.

Ciao. Ho bisogno di parlare con te, riguardo a quello che è successo alla festa. Vediamoci stasera al drive-in, penso che sia il posto più adatto per discuterne. Non dire niente a mia sorella, per il momento non voglio che lo sappia.’

Accetto il suo invito, perché dobbiamo necessariamente chiarire.

La scelta del posto dove incontrarci è veramente ironica, e non credo l’abbia presa a caso. Avrà intuito che tutto è partito da lì.

In ogni caso, faccio come dice.

Non avviso Anna, che continua a essere giù di morale, perché voglio capire cos’ha in mente Chiara.

 

Anna’s pov

Rientro a casa dopo il turno in caserma.

Di mia sorella ancora nessuna notizia.

Mi sento veramente in colpa, e non so come rimediare. Non era mai successo, che un uomo si mettesse in mezzo a noi e ci facesse litigare così.

Eppure so che stavolta non sarebbe potuta andare diversamente.

Mi sono appena cambiata, quando suonano alla porta.

Chiara.

“Ciao. Ti devo parlare.”

“Chiara! Che-”

“Non qui però. Usciamo, dobbiamo andare in un posto. Parleremo lì.”

“Perché non qui a casa?” Le chiedo, senza capire.

“Perché no. Andiamo, e ti avviso che non ho intenzione di dirti niente finché non arriviamo, perciò non domandarmi nient’altro.”

Capisco che sarebbe inutile insistere, quindi prendo la borsa e la seguo in auto.

 

Riconosco la strada poco dopo.

“Perché stiamo andando al drive-in?”

Chiara mi ignora, continuando a guidare senza dire nulla.

Questo silenzio forzato mi sta facendo innervosire.

Quando arriviamo, si ferma davanti all’ingresso.

“Scendi. Comincia a entrare, io vado a parcheggiare.”

“Ma no, ti aspet-”

“Vai.”

Mi spinge letteralmente fuori, e io mi arrendo, facendo come ha detto lei.

Una volta dentro, mi rendo conto che c’è già qualcuno in attesa.

“Marco? Che ci fai qui?”

Lui si volta.

“Anna!” Sembra sorpreso. “Potrei farti la stessa domanda.”

“Io in realtà non ne ho idea, mi ci ha portata Chiara, non sapevo nemmeno stessimo venendo qui...”

“Anche a me lo ha detto lei, di venire qua stasera...”

Ci scambiamo un lungo sguardo incerto.

Vediamo la proprietaria avvicinarsi.

“Scusate... sua sorella mi ha detto di darvi questa, quando sareste arrivati.”

Ci porge una busta prima di allontanarsi di nuovo, lasciandoci soli.

Ci sono i nostri nomi scritti sopra.

La apro, senza sapere cosa aspettarmi.

Un proverbio dice che non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Ecco, nel mio caso, io ho fatto finta di non capire, di non accorgermi di nulla... sono stata egoista, ho pensato solo a me, ai miei interessi, come al solito. E anche quando ho iniziato a intuire qualcosa, l’ho ignorata, perché non volevo rinunciare a quello che in realtà non era mai stato mio.

Ho capito che la cosa più giusta, adesso, è farmi da parte.

Vi amate, e niente me l’ha dimostrato più delle vostre parole, l’altra sera.

Tutti e tre abbiamo le nostre colpe in questa storia, ma la mia non è meno grave della vostra. Anna, ho sempre detto di conoscerti bene, avrei dovuto capire quello che provavi, invece mi sono solo messa in mezzo e ho fatto un altro casino, come al solito.

Devo delle scuse anche a te, Marco, perché avevo capito che provavi qualcosa per mia sorella da come la guardavi, dai piccoli gesti per lei... Eppure ho continuato a seguire il mio piano di conquistarti, senza rendermi conto che mentirti non era la soluzione per farti innamorare di me.

Per questo voglio rimediare.

Entrambe le vostre serate al drive-in sono finite male, da quello che ho capito, ma non deve più ripetersi. Questa sera sono sicura che andrà benissimo.

Consideratela come una sorta di ‘primo appuntamento ufficiale’.

Anna, così siamo pari con Marco Ginami, il ragazzo della 5^B che ti ho fregato al liceo.

Marco, se ti fai scappare mia sorella, sei un idiota.

Vi voglio bene,

 

Chiara’

 

Io e Marco restiamo senza parole per un po’.

Davvero, non me lo sarei mai aspettata. Mai.

“Chi l’avrebbe mai detto...” commenta poi Marco.

“Già...” Io sono ancora a corto di parole.

Rimetto la lettera nella busta.

“Chi è Marco Ginami?” Chiede il mio Marco, a un certo punto.

Faccio una risatina.

“Un ragazzo che mi piaceva quando andavo a scuola. Alla festa di fine anno, ho passato quasi tutta la sera a convincermi ad avvicinarmi; le mie amiche dicevano che anch’io gli piacevo, quindi un po’ di speranza l’avevo. Quando finalmente mi sono decisa, è arrivata Chiara, gli ha sorriso, e se ne sono andati via insieme. Credo sia stata la delusione più brutta dei miei anni al liceo. Bello, scoprire così che Chiara l’ha fatto apposta.”

Marco scuote la testa.

“Perché questa storia non mi sorprende?”

“Perché è una versione ridotta di quello che è successo a noi.”

Lui sorride, prendendomi per mano.

“Beh, stavolta il finale sarà un po’ diverso, però. Come Cenerentola.”

Corrugo le sopracciglia.

“In che senso?”

“Beh... il principe, non appena la vede, si rende conto di avere davanti la donna della sua vita... quando Cenerentola va via, gli lascia comunque la scarpetta che perde durante la fuga. Lui ci mette un po’ per ritrovare la sua proprietaria, commette errori, deve tornare più volte sui suoi passi, ma alla fine ci riesce: la scarpetta è come un simbolo, che gli ricorda cosa sta cercando. Così ritrova la sua principessa e, secondo la fiaba, vissero per sempre felici e contenti.”

Arrossisco, comprendendo la metafora.

“Speriamo che non ci sia bisogno più di una scarpetta persa...”

“Anche perché, se non sbaglio, mi hai detto che sono scomode, come il vestito.” Fa lui, sornione.

“Ogni tanto un’eccezione si può fare,” concedo, con un sorriso.

“Non ho dubbi, ma... sinceramente? Preferisco una certa divisa...”

Come potrei non baciarlo, dopo un’affermazione del genere?

 

Spero che questa versione vi sia piaciuta! Grazie a Martina per i suggerimenti!

Alla prossima!

 

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Capitolo 17
*** Dimmi chi sei - versione 2 ***


 
 

DIMMI CHI SEI

 

Questa settimana con Anna abbiamo fatto un po' un cambio di programma, e le lezioni di cucina le abbiamo fatte a casa mia. Mi seccavo ad uscire, sinceramente, ormai ero comodo con i miei bermuda già in versione estiva, così ho convinto lei a venire. Per farmi perdonare però una di queste sere ho cucinato io per lei, mettendo la lezione in stand-by. Visto che avevo il pomeriggio libero, ho preparato il brasato, con la promessa di insegnarglielo.

 

Anche per questo, mi chiedo che ho fatto di male.

Sono giorni che Diana, la veterinaria di Patatino mi chiama ogni due e tre per darmi dei consigli su come accudirlo meglio, ma ho la netta sensazione che più che altro mi chiami perché si è fissata con me, più che col mio cane.

Cosa molto simpatica, il maresciallo me l'ha appena fatto notare che secondo lui è una 'spasimante'.

Maresciallo, la prego. Quando si mette in mezzo lei succedono sempre casini. Io non voglio avere niente a che fare con questa donna, non da quel punto di vista.

Se proprio vuole aiutarmi, mi lasci più spesso da solo con Anna. Non che glielo chiederei mai, eh.

Eccola che chiama un'altra volta. Ma se se n'è andata tre secondi fa? Forse non dovrei rispondere.

 

Sto sbrigando alcune faccende quando mi avvisano di un omicidio. So che Anna e gli altri sono già andati a fare i rilevamenti del caso, quindi decido di chiamare direttamente lei per vedere se ci sono novità urgenti.

E perché vuoi una scusa solo per chiamarla.

Zittisco questa voce e aspetto che risponda.

Marco? Pronto?”

“Ehi, Anna, ciao. Mi hanno appena chiamato per informarmi del caso. Tutto ok? Siete già stati sul posto?”

“Sì,” mi risponde, “appena arrivi in caserma ti aggiorno...”

“Perfetto, allora a dopo!”

“Ciao!” mi saluta, la voce quasi un sussurro.

 

Una parte di me è tentata di correre lì, ma mi trattengo e continuo a fare quello che stavo facendo prima.

Quando arrivo in caserma, saluto velocemente gli altri carabinieri e la raggiungo in ufficio, portandole un caffè.

“Ehilà,” le dico con un sorriso.

“Ehi, eccoti... grazie, ne avevo bisogno,” risponde lei quando le porgo il bicchiere.

“Figurati... quindi che è successo?”

Mi relaziona sul caso, e stiamo proprio uscendo dal suo ufficio quando mi chiama Diana. Ignoro la chiamata, riprendendo la discussione con Anna, nuovamente interrotta dal cellulare.

“Dottore, risponda, no? Non si fanno attendere le donne!” S'intromette Cecchini. E quando mai. Non davanti ad Anna!

Mi rassegno a rispondere, cercando di farla breve dicendole che sono a lavoro, ma niente. Mi dice anzi che la visita per Patatino possiamo fissarla al pomeriggio successivo, e io le suggerisco di fargli il trattamento completo di quella terapia di cui mi aveva parlato, così magari mi lascia in pace per un po'. Peccato che poi ci aggiunga un 'trattamento per me' che non mi convince molto. Dopo dieci minuti buoni finalmente mi molla, e tornando in ufficio scopro che hanno trovato una sospettata, che hanno già convocato e che arriverà a breve.

 

Quando la interroghiamo, Anna le si siede vicina. Ancora una volta, dimostra di avere un grande intuito e molta sensibilità verso ciò che potrebbe aver spinto una madre a cercare vendetta verso il potenziale assassino della figlia data per scomparsa dieci anni prima. Così la donna ci racconta tutto, e purtroppo ci sono tutti gli elementi per accusarla dell'omicidio dello chef.

Mentre Cecchini afferma, malinconico, che è impossibile superare la scomparsa di un figlio, entra in caserma nientemeno che Diana con Patatino al guinzaglio.

Non capisco perché me lo abbia riportato lei quando sarei potuto passarlo a prendere io più tardi, e mi dice decisamente per vedermi, prima di aggiungere che era in giro per un'emergenza con una cavalla e lanciandosi in dettagli che sinceramente avrei preferito non sentire. Poi mi trascina giù per parlare del trattamento che dovrei fare al cane.

Come se già non fosse abbastanza, ci raggiunge pure il maresciallo che infierisce e quella mi trascina con lei per delle presunte coliche che avrebbe in corso Patatino.

Ma che sono, io, un giocattolo, che mi sballottate di qua e di là? Ma non me ne potevo stare tranquillo con Anna? Ehm, cioè, in caserma?

 

La sera, sto facendo la mia consueta passeggiata con Patatino quando spunta fuori dal nulla proprio Diana, guarda caso pure lei a fare una passeggiata serale.

Questa cosa inizia ad essere inquietante.

Mi distraggo un attimo quando noto un’ombra poco distante da noi, una figura che si ferma e resta immobile appena dietro il lampione all’angolo, un punto in ombra che non mi permette di vedere chi è.

Diana a quel punto comincia a farfugliare cose senza senso, e prima che capisca cosa stia succedendo, quella mi bacia.

Registro contemporaneamente cosa mi sta succedendo e il portone del palazzo in cui abita il maresciallo chiudersi con un colpo secco, ma chi è entrato non era di sicuro Cecchini.

Lui non ha lunghi capelli ramati.

No. Tutti, ma Anna no.

Mi tiro immediatamente indietro. 

“No, scusa, eh, abbi pazienza... io credo che ci sia un fraintendimento, però...” Cerco di allontanarla con più gentilezza possibile. “Io ti apprezzo un sacco come donna, come professionista non ne parliamo, una grandissima... ma io non ti vedo... in quella maniera, insomma...” Vedo già un'altra, in quella maniera... “Mi dispiace...” Tento di metterle una mano sulla spalla quando quella si ritrae, e mi dà l'impressione di un animale selvatico.

Diana scatta, quasi ringhiando. “Non mi toccare! Tu mi hai illuso, ma io non mi faccio trattare così, è chiaro?” Mi dice, con un tono che non promette nulla di buono, prima di andare via.

Io sono troppo scioccato, e ammetto di avere un po' paura.

“Vieni, Patatino, facciamo il giro di qua, va,” me lo tiro dall'altra strada, ancora esterrefatto.

Prima di andare via, però, rivolgo uno sguardo alla finestra dell’appartamento di Anna.

La luce è accesa.

Spero di aver visto male, e che non fosse lei.

Spero che il gioco di luci e ombre dei lampioni mi abbia ingannato.

 

Anna’s pov

 

Chiara ha dimenticato di portare giù la differenziata, come al solito, quindi sono dovuta scendere io, come al solito.

Vabbè, fingerò di averci fatto l’abitudine.

Sto per rientrare, quando mi accorgo che è arrivato Marco, come ogni sera per la passeggiata di Patatino.

Però stavolta non è solo.

Mi fermo appena in tempo per notare che c’è Diana, con lui.

Perché? Perché c’è sempre lei in mezzo, ultimamente?

Resto ferma, incerta su cosa fare: non so se preferirei che non mi vedano, oppure farmi notare di proposito.

Nel tempo che impiego a decidere, la veterinaria mi anticipa, e bacia Marco.

Rimango paralizzata di fronte alla scena che si sta svolgendo davanti ai miei occhi.

Questo proprio non voglio vederlo, non ce la faccio, quindi l’unica decisione che riesco a prendere è quella di fuggire.

Mi chiudo in fretta il portone del palazzo alle spalle e corro su per le scale, combattendo il vago senso di nausea che mi risale nella gola, e mi barrico in casa.

Per un attimo, dimentico di non essere sola in questo periodo, e che mia sorella vive con me.

“Ehi! Che faccia! Che hai?” Mi chiede subito lei.

E ti pareva, che non se ne accorgeva.

“Niente, che devo avere...” Cerco di sviarla, non mi va di parlare. Mi basta aver visto.

“Hai incontrato un fantasma accanto ai cassonetti? Perché la tua espressione sembra quella...”

“Ma no, che dici...?”

Osservo Chiara un attimo: è intenta a prepararsi a mettere lo smalto, concentratissima. Forse potrei approfittare della sua momentanea distrazione da me per farmi dare qualche dritta.

“Ti... posso chiedere una cosa?” Domando con fare casuale.

“Mh-mh...” Risponde lei con noncuranza, aprendo la bottiglietta di vernice rossa.

Ora o mai più. Dai, Anna.

“Secondo te, un bacio tra due persone implica che stanno insieme?”

Incrocio le dita dietro la schiena, pregando che risponda senza curiosare.

Lei ci impiega qualche secondo a replicare.

“Mmm... non necessariamente. Si può baciare una persona per tanti motivi. Per gioco, per ripicca, per caso, per un momento particolare...”

Un ‘momento particolare’... mannaggia, Chiara, scegliere un’altra espressione no, eh?

“Ovviamente, ci si bacia anche perché si è innamorati, mi sembra una cosa scontata. Se c’è l’atmosfera giusta, poi, basta guardarsi un attimo negli occhi e...” fa un gesto eloquente con la mano che stringe il pennellino. Mi trattengo dall’avvertirla di stare attenta a non macchiare tutto, soffermandomi su quello che ha detto.

Come quella sera... è bastato un attimo.

“Dipende molto da cosa provano le persone in questione.” Conclude, dando un’altra passata di smalto.

“Ma se succede tra colleghi...?” Presso.

“Che cambia?” Replica lei, fissandosi la mano sinistra con occhio critico, alla ricerca di imperfezioni. “Anzi, forse fra colleghi può funzionare meglio. Voglio dire, in genere in questi casi ci si vede tutti i giorni, si conosce anche l’aspetto ‘peggiore’ di quella persona perché sul lavoro capitano anche le giornate storte...”

Si blocca per un momento, cominciando a passare lo smalto sulle unghie della mano destra.

“Poi, fra colleghi, in un certo senso ci si conosce meglio. Si è più sinceri a volte, perché bisogna far bene il proprio lavoro, no? Quindi si deve dimostrare di essere all’altezza, e mettere in campo le proprie qualità, non solo professionali.” Mi spiega, con un’espressione noncurante. “Bisogna avere complicità anche in quel caso. Se questa si trasforma in qualcosa in più, fuori dal lavoro, magari perché ci si inizia a frequentare anche amichevolmente, sulle prime... secondo me può funzionare.”

“Se si scopre di avere delle cose in comune...” mormoro tra me.

“Esatto!” Risponde Chiara, anche se in questo caso la mia non era una vera domanda. “Capita che all’inizio si pensi di non avere niente in comune con un collega, e invece poi, parlando, viene fuori il contrario, anche se magari uno non se lo aspetterebbe mai.”

“Già...”

Come me e Marco. All’inizio ci detestavamo, convinti di pensarla in modo diametralmente opposto in tutto, e invece... è bastato parlare un po’, mettere la diffidenza da parte, per scoprire che, in realtà, tanto diversi non siamo.

E la... ‘frequentazione’ fuori dal lavoro è cominciata per caso, senza una reale intenzione, ma è continuata altrettanto inconsapevolmente perché stiamo bene l’una in compagnia dell’altro.

“Ma se... mettiamo il caso che sai di non essere il suo tipo...” Butto lì, sondando il terreno su un altro dei miei timori.

“Non si può mai essere certi di non essere il tipo di qualcuno... perché non si dovrebbe?” Chiede Chiara, immergendo di nuovo il pennellino nella boccetta di vetro per passare un altro strato di smalto sulle unghie.

“Beh, se sai di essere l’esatto opposto di una ex, per esempio...”

“Non vuol dire niente comunque. Magari in un momento ti piace un tipo di persona, che può cambiare in un secondo tempo e per motivi diversi. Sia fisicamente che caratterialmente, intendo. Che ne so, uno che all’inizio può starti antipatico, conoscendolo magari scopri che non lo è così tanto. Oppure scopri che ti può piacere un aspetto di una persona che fino a prima non avevi preso in considerazione.”

“In che senso?”

“Mmm... se un tizio sta per anni con una che ha gli occhi azzurri, non significa necessariamente che gli piacciano solo quelli. Magari, senza volerlo, scopre che gli occhi verdi, come nel tuo caso, sono belli anche se fino a quel momento non ci aveva pensato. Oppure... una persona che adora scherzare puoi pensare che ti infastidisca, invece se la conosci ti diverti e scopri che è un aspetto piacevole, che avevi sottovalutato... Cose così.”

Mi limito ad annuire, pensando, di nuovo, come tutto quello che ha detto Chiara si applichi benissimo alla mia situazione.

Altri esempi che non coincidono con la mia vita no, eh? Giusto per non sbagliare.

Mia sorella chiude con attenzione il tappo dello smalto, ammirando soddisfatta il suo lavoro.

Poi corruga le sopracciglia, voltandosi verso di me con un’espressione inquisitoria.

“Ma perché tutte queste domande?”

E ti pareva, che non avrebbe chiesto.

“No, così, per dire...”

Lei non sembra convinta della mia debole risposta.

Mi scruta ancora per qualche istante, poi rivolge un’occhiata all’orologio appeso al muro. “Questo non è l’orario in cui il pm passa col cane?”

Distolgo lo sguardo, limitandomi ad annuire mentre lei continua a fissarmi.

“Non c’entra lui, vero?”

Io non rispondo, limitandomi a lanciarle un’occhiata come a dire ‘sei impazzita?’ che, però, non sembra fare l’effetto che dovrebbe.

“Anna, non è che c’entra il pm con le tue domande?” Mi ripete, stavolta con un tono più forte.

“Che dici...” mormoro, ma il rossore mi tradisce.

Chiara scuote la testa, mettendosi a ridere all’improvviso. “Ma certo che c’entra! Come ho fatto a non capirlo prima? Tutta quella trafila sui colleghi, le cose in comune...” Torna a guardarmi, quasi intenerita dal mio comportamento. “Perché non me l’hai detto? E comunque, come biasimarti... Ha quarant’anni, non ha figli, non è divorziato... è come un panda!”

“Trentacinque...” Sussurro per correggerla. “In che senso, un ‘panda’?”

“In via d’estinzione!”

Alzo gli occhi al cielo.

“Comunque,” riprende, fissandomi di nuovo con uno sguardo indagatore che non promette niente di buono, “che cos’è questa storia del bacio?”

“Niente...”

“Smettila di sviare il discorso. Cos’è, l’hai incrociato giù e baciato? O vi siete azzuffati per qualcosa e ci sei rimasta male perché ti piace?” Si informa, sapendo della nostra abitudine di battibeccare, anche se in realtà adesso non lo facciamo più così spesso.

“No... cioè, sì, era giù, ma non abbiamo litigato né altro...” Mormoro, sperando che lasci cadere il discorso.

Ovviamente non lo fa.

“Non ho capito, ci hai parlato o no?”

“No, era insieme a... a Diana.”

“Chi è questa Diana?”

“La veterinaria di Patatino e... la sua... fidanzata... credo...”

Chiara torna a guardarmi.

“Non sapevo stesse con qualcuno... e perché tu hai quella faccia lugubre?”

“Non ho una faccia lugubre.”

Lei stringe gli occhi. “Come no... Sicura che sia la sua fidanzata?”

“Li ho visti baciarsi, poco fa...” mormoro di malavoglia, contrariata.

“Ancora con questa storia? Ma mi hai ascoltato, prima? Sinceramente ho molti dubbi che stia con lei perché, da quel poco che ho visto quando il tuo pm era qui con te per le ‘lezioni di cucina’, mi è sembrato che tu gli piacessi,” aggiunge, facendo spallucce.

“Come no...”

“Beh, da certe occhiate...”

“Ti ho detto pochi secondi fa che l’ho visto baciarsi con la veterinaria, giù in strada... Esce con lei, quindi non penso proprio sia possibile, quello che dici tu.” Le rispondo, indispettita.

Figuriamoci. Io, piacere a lui?

Siamo colleghi, al massimo amici, me l’ha confermato anche lui quella sera.

“Per l’ennesima volta, il fatto che si stessero baciando non vuol dire nulla. Non si deve stare per forza con una persona che si bacia.”

Le rivolgo un’occhiata eloquente. Lei la pensa così, ma personalmente, io non bacio gente a caso: se bacio qualcuno, è perché provo qualcosa per lui.

Quindi, se hai baciato Marco quella sera, significa che provi qualcosa per lui.

Solo che, come ha detto Chiara, non sempre si sta insieme alla persona che si bacia, e io sono la dannata dimostrazione che le sue parole corrispondono a verità.

Brava, Anna, il ragionamento non fa una piega.

“Naturalmente il discorso non vale per te,” rettifica Chiara, intuendo parte dei miei pensieri. “In ogni caso, sei proprio sicura che stia con lei?”

“Me l’ha detto Cecchini.”

“Ma non Marco, giusto? Quindi finché non te lo conferma lui, hai speranza.”

Scuoto la testa.

“Chiara, lascia stare, davvero. Non avrei speranza anche se lei non fosse la sua fidanzata.”

“E perché no? Sentiamo.”

“Come posso piacergli io?” Mormoro, abbattuta. “Sul lavoro ha praticamente visto il peggio di me in più di un’occasione, e avuto diversi assaggi del mio modo di fare non esattamente delicato. E comunque, non credo affatto di essere il suo tipo, sono praticamente l’opposto della sua ex.”  

“Beh, andando con ordine: se ha visto il tuo ‘peggio’ e i tuoi modi di fare rigidi, ed è ancora qua e non è scappato, significa che non ti trova così insopportabile, in fondo... E poi, la sua ex è appunto ‘ex’. Ma quindi, sai chi è? L’hai vista, com’è?”

“Sì, l’ho incontrata diverse volte... bionda, occhi azzurri, femminile... un po’ come te.”

“E in questo caso, non mi sembra che il pm si sia soffermato più di tanto a guardare me. Anzi, direi che ha sempre lo sguardo fisso su di te, quand’è qui a casa a darti ‘lezioni di cucina’. nonostante i vestiti che hai addosso, che spesso lasciano a desiderare, e i capelli legati con una matita, zero trucco e con la stanchezza della giornata. Se gli piaci in quel modo, non vedo perché tu debba farti problemi.”

“Grazie per avermi detto che sono un disastro anche stasera...” ribatto, irritata. “E nessuno ha detto che gli piaccio.”

Chiara fa un’espressione esasperata. “Ma di sicuro non gli sei indifferente. Senti,” sentenzia in tono pratico, “io ero convinta che non vi sopportaste, mi dicevi sempre che non facevate altro che litigare... e invece poi vi becco insieme, qui a casa, a ridere e scherzare, con lui a darti lezioni di cucina, come se fosse la cosa più normale del mondo. In tutta sincerità, certe volte mi sono sentita di troppo, sembravate una coppia di sposini.”

“Come no...”

“Guarda, quasi quasi mi aspettavo di vedere una scena tipo ‘Ghost’, solo che al posto del vaso ci mettevate qualcosa da sminuzzare, ed era perfetta,” ridacchia.

Io non so più nemmeno che colore ha assunto la mia faccia.

“La smetti?”

“Dai, scherzo! Comunque davvero, secondo me gli piaci. Un uomo non passa tutto questo tempo sempre con la stessa donna se lei non lo attrae almeno un po’. Soprattutto se ci lavora insieme tutti i giorni. E in teoria starebbe uscendo con un’altra.”

Io le rivolgo uno sguardo incerto.

“Siamo amici...”

Lei scuote la testa per l’ennesima volta.

“Che è la parafrasi perfetta per dire ‘mi piace ma non so come dirglielo’. Dai, Anna,” mi scuote, “se non provi non lo saprai mai.”

“Ma non posso dirglielo!” Ammetto, infine, e Chiara fa un breve gesto di esultanza. “Rovinerei tutto... e credimi, Marco ha già sofferto abbastanza, se Diana è la donna giusta per lui, non voglio mettermi in mezzo.”

“Ma tu l’avevi mai vista prima, questa?”

“No... beh, è da poco tempo che porta Patatino da lei, aveva un altro veterinario, prima.”

“Quanto sei informata...” commenta con un sorrisetto, ignorando le mie proteste, “se è da così poco che la conosce, sei ancora assolutamente in tempo. E poi non è che devi correre da lui e baciarlo, anzi, non devi rendere evidente che sei gelosa, secondo me. Mostrati felice per lui, e disponibile a parlare... così magari ti racconta qualcosa su di lei, e se è vero che stanno insieme.”

 

Marco’s pov

 

La mattina dopo, faccio per uscire con la moto quando mi rendo conto che è ricoperta di... sterco di mucca. Oltre che inciso sul sedile è solo l'inizio.

Mi affretto a pulirla meglio che posso, prima di correre in caserma, furioso.

“È una stalker, questa!” faccio, col maresciallo a cercare di calmarmi. “Legga queste parole! 'Non ti libererai di me! Me la pagherai, io ti vedo!' Come faceva questa ieri sera a sapere che io sarei passato di là?”

“Perché Spoleto è piccola!” Si giustifica.

“Vado dal meccanico a far aggiustare la moto e poi a farla disinfettare, se ci sono novità sul caso avvisatemi, eh?”

Quando arrivo giù nella piazza, noto Anna arrivare, come sempre impeccabile nella sua divisa, il berretto in una mano e dei documenti nell’altra.

“Ciao...” mi saluta con un sorriso, che però si trasforma in un’espressione preoccupata non appena mi è davanti. “Qualcosa non va? Hai una faccia...”

“Ehi... No, è che... ho avuto un problema con la moto... Devo andare dal meccanico a farla riparare,” spiego brevemente. Non voglio che sappia di questa faccenda, non vorrei che Diana se la prendesse anche con lei, ormai mi aspetto veramente di tutto. “Guarda, lasciamo stare, stamattina è proprio cominciata male.”

“Ah... mi dispiace per la moto, so quanto ci tieni,” mi dice, sinceramente rammaricata. “Se posso fare qualcosa...”

Adoro quando si preoccupa per me.

“No, non ti preoccupare, non è così, grave, ma... grazie del pensiero,” le rispondo con un sorriso.

Poi mi accorgo di una ciocca di capelli che dev’essere sfuggita in qualche modo dallo chignon, e che sta per scivolarle davanti agli occhi.

Senza rifletterci più di tanto, sollevo le dita per sistemargliela.

“Ecco...” mormoro, il mio sguardo che resta incatenato alle sue iridi verdi, mentre un leggero rossore si fa spazio sulle sue guance.

Dopo qualche istante, lei sbatte le ciglia, e io mi affretto a ritirare la mano.

“Grazie...” sussurra Anna, imbarazzata.

Se solo non fossimo stati davanti alla caserma...

“Di... di niente... adesso devo andare, se ci sono aggiornamenti, mi fai sapere, okay?” Biascico, mentre lei annuisce, prima di avviarsi a passo svelto verso l’ingresso della caserma.

Marco, o ti dai una mossa con lei, o finirai per fare qualche fesseria.

 

Quando più tardi interroghiamo Fernanda Mattei, una ragazza che è stata licenziata dal ristorante dopo una finta promessa di lavoro. Scopriamo che faceva uso di droga. Lei sembra stupita del fatto che noi ne siamo sorpresi, anche se noto che Anna la guarda in un modo che non riesco a decifrare.

“Ma voi ci siete mai stati nelle cucine di un ristorante di quel livello? Si lavora a ritmi disumani! Puoi farcela solo se tiri di cocaina, cosa che nella cucina di Rocco era all'ordine del giorno.”

“Quindi anche Lei ne fa uso?” Domanda Cecchini.

“Non avevo scelta. Comunque ora ho smesso.”

Anna prende improvvisamente la parola. “Non dev'essere stato facile... ho sentito dire che le cucine dei grandi ristoranti sono un ambiente un po' maschilista.”

La ragazza le rivolge uno sguardo complice.

“Non è detto,” sussurra il maresciallo.

“E anche l'esercito non scherza.” Continua lei, rivolgendogli uno sguardo di sottecchi.

“Non mi risulta,” mormora ancora lui.

“Ne so qualcosa.” Conclude Anna in tono cupo, scambiando un'occhiata comprensiva con la ragazza. Hanno entrambe un'espressione di chi sa cosa vuol dire essere trattate male e umiliate a favore di colleghi uomini. Di cosa voglia dire sopportare in silenzio.

È per questo probabilmente che lei poi ci dice tutto.

Ma mentre io e il maresciallo la accusiamo di avere un ottimo movente per aver ucciso lo chef, Anna non fiata quasi più, a parte qualche osservazione.

Quando la mettiamo in stato di fermo, la ragazza e il Capitano restano a fissarsi per qualche secondo. Leggo chiaramente le scuse e il dispiacere negli occhi di Anna, che tuttavia non può fare niente per aiutarla.

Scendiamo insieme poco dopo davanti agli scalini della caserma.

Decido di indagare sulle sue parole.

“Cosa intendevi poco fa? Con 'anche l'esercito non scherza'?” Domando in tono pacato.

Anna si ferma. “Esattamente quello che ho detto. A parte l'uso di droghe, il resto è uguale a quello che ha detto lei.” Mormora, rigida.

“Nel senso che... anche tu...?” Lascio in sospeso la frase, temendo la risposta.

Lei si gira a guardarmi, un sorriso sarcastico sulle labbra. “Cosa, sono stata scavalcata da colleghi uomini? O trattata male senza motivo? Umiliata per sciocchezze quando ai cadetti uomini le stesse cose venivano abbonate?” Scoppia in una risata senza allegria. “Certo... tutte abbiamo subito quei tipi di trattamento. Chi più, chi meno, ma nessuna esclusa. Capirai che una volta ottenuto l'incarico, non facciamo passare sottogamba nemmeno un errore, specialmente se qualcuno ha la bella idea di sottovalutarci.”

Prima che possa rispondere, arriva il maresciallo insieme a Don Matteo, impegnati a chiacchierare. Anna va loro incontro.

“Maresciallo, ha finito di confessarsi?” Lo ammonisce. Il mio cellulare squilla, e leggo sul display il nome di quella pazza.

Che mi minaccia di nuovo!

“Ma si può sapere che stai dicendo?”

“Non solo mi hai presa in giro, sono pure una ‘ruota di scorta’!”

“Ma di che? Ma cosa...?”

“Ti ho visto, stamattina, col capitano... Ci provi con me, ma pure con lei! L’ho visto, come la guardavi, come le hai accarezzato la guancia... Ma non la passerete liscia!”

“Ma Anna non c’entra proprio niente con questa storia! Lasciala fuori!” Ringhio, fuori di me.

“C’entra, se è un ostacolo fra noi! Deve togliersi di mezzo, con le buone o con le cattive.”

“Ma quale ‘noi’? Non ti azzardare a farle qualcosa!”

“Tanto ci sei prima tu, che devi pagarla. E Patatino è con me e ci resta.”

“Cosa?! Ma io ti faccio rinchiudere! Oh!” Mi stacca pure la chiamata in faccia.

“Ma che è, un'interferenza?” Mi chiede Cecchini.

“Ma che interferenza, maresciallo! Diana m'ha rapito il cane e minacciato di far del male ad Anna!”

“Ma come.. perché ti ha rapito il cane? E che c’entro io?” Mi domanda stavolta Anna. Eh beh, vorrei saperlo anch'io.

Dice che sei un ostacolo, e Patatino se lo è preso per vendicarsi! Perché ce l'ha ancora con me perché io l'ho rifiutata!” Le spiego, incollerito.

Lei sembra confusa. “Scusa, ma... non state insieme?”

Io spalanco gli occhi. “Cosa dici? È una pazza, questa! Ma perché pensi così?” Le domando stavolta io, preoccupato. No no no, quale insieme. A lei? A lei no di sicuro! Non voglio lei, io voglio te! Diglielo! Dai!

“Perché... perché?” commenta Anna, enigmatica, guardando storto Cecchini. Poi si allontana senza dire altro, infastidita. Che ha combinato, maresciallo? Giuro, se ha detto ad Anna che io stavo con quella lì e per colpa sua la perdo, me la paga.

“Comunque, dai, una cosa momentanea! Questa cosa si 'ricucisce' subito!” fa lui.

“M'ha rapito il cane, che momentanea! Risolviamo sta cosa! Andiamo a prendere sto cane, forza!”

 

Richiamo Anna, pregandola comunque di venire con noi. Se è con me, almeno sono sicuro che sta bene. 

Una volta a casa di Diana, lei non ne vuole sapere. “Patatino starà molto meglio qui con me. Tu non lo meriti, un cane così!”

“Ma mi spieghi cosa t'ho fatto?”

“Cosa mi hai fatto? Mi hai illuso! Mi hai fatto credere di essere interessato a me e poi mi hai scaricato!”

“Ma non è vero, lo giuro!” Sussurro, rivolto più che altro ad Anna. “È una pazza, questa!”

“E non solo! Come se non bastasse, adesso ti sei portato dietro anche lei! Ma non ti vergogni, proprio qui da me?” Continua Diana, riferendosi ad Anna, che fa un’espressione sorpresa, senza capire. Questo non lo accetto.

“Ti ho già detto che Anna non c’entra niente... Lasciala fuori da questa storia,” tento di dissuaderla, ma quella non molla.

“Tanto non la passi liscia! Io so tutto di te! So dove lasci le chiavi di casa, so dove andrai in vacanza, e so anche dove abita la tua ex che voleva castrare Patatino!”

“Ma come fa questa a sapere tutte 'ste cose?”

“Gli stalker si informano di tutto,” mormora Cecchini.

“Maresciallo, si era sbagliato! Altro che timido...” Commenta Diana. Eh?

“Ma perché dice 'maresciallo'?”

“È pazza, che ne so io!”

“Che cosa le ha detto?” Interviene Anna, a voce bassa.

“Io? Io le avrò detto... 'bi', e lei ha capito 'ba'!”

“Ma perché le ha parlato! Che l'ha fomentata, 'sta pazza!”

Diana riprende il discorso. “Lo sta vedendo anche Lei, maresciallo, sembra che ci provi con tutte, anche con quella lì,” fa un cenno verso Anna, che le rivolge un’occhiata sconcertata.

“Posso sapere cosa c’entro io in questa cosa, almeno?” Chiede, a nessuno in particolare. È sempre Diana a rispondere.

“C’entri eccome! Ti sei messa in mezzo a noi due, in caserma ti ho vista sempre attaccata a lui a parlare, e anche fuori, l’altra mattina... hai fatto in modo che ti accarezzasse il viso! Ti sei avvicinata apposta!”

Anna arrossisce, voltandosi verso di me. “Che avrei fatto, io?”

“Poi, cosa ci troverai in lei che io non ho...? Di certo non la femminilità. Con quella divisa... Una così rigida non potrebbe mai soddisfare un uomo come si deve.”

“Non devi permetterti di parlare così di Anna!” Ringhio. Va bene tutto, ma non questo. “Non ti azzardare!”  

“Lei ha combinato questo casino, Lei lo va a risolvere!” Intima Anna a Cecchini, intuendo che è colpa sua se Diana si è invaghita di me e siamo a questo punto.

Lui cerca di tirarsi indietro, ma Anna è più furba e lo spinge dentro al cancelletto.

Lui sparisce in casa con Diana e Patatino.

Okay, mi sa che forse non è una buona idea, quella è folle.

“Ma secondo te, non è che è in pericolo, lì dentro?” Chiedo ad Anna, che sembra furiosa.

“Me lo auguro.” È la sua risposta acida.

Qualche istante dopo, Cecchini esce, senza cane e senza volerci dire cosa gli abbia detto Diana. Io non so più che fare.

“Marco, ci penso io,” mi tranquillizza Anna, dirigendosi a passo spedito verso la porta.

Cerco di fermarla.

“No, non andare... Hai sentito cos’ha detto, no? E se ti facesse qualcosa? Potrebbe essere pericoloso, per te, andare lì!” Tento di dissuaderla.

Da ottimo carabiniere qual è, non si lascia intimorire, rivolgendomi uno sguardo affettuoso.

Forse mi sono esposto un pochino troppo.

“Non ti preoccupare, mi so difendere. Ma non ce ne sarà bisogno, ne sono sicura.”

Si avvicina alla porta chiusa, bussando.

“Che vuoi?” Sentiamo rispondere dall’interno.

“Diana... senti, io lo so che cosa vuol dire essere illuse...” Esordisce, e a me viene un groppo in gola. “Dover cambiare per una persona, dover cambiare abitudini, taglio di capelli... e poi essere rifiutate... Succede a tutte noi!”

“A me è successo solo perché tu ti sei messa in mezzo!”

“Ti sbagli, siamo solo colleghi, hai frainteso tutto, davvero... Ma anche se fosse, in questi casi bisogna andare avanti... Magari non è lui, sarà... l'altro che verrà dopo, o quello che verrà dopo ancora, però arriverà l'uomo giusto per noi!

“...Io pensavo che fosse lui, l'uomo giusto per me.” Risponde debolmente Diana.

“Ma chi, Marco? Ma perché non lo conosci bene! Io lo conosco bene,” continua a spiegarle, paziente. “È... pigro, vuole sempre avere ragione, crede di essere simpatico anche quando non lo è, e se fosse per lui girerebbe sempre in bermuda e ciabatte.”

Elenca senza esitazione, e io mi rendo conto che mi conosce davvero bene. Anche in un dettaglio stupido come il mio abbigliamento preferito. Li ha detti quasi foste una coppia da anni e conoscesse le tue abitudini a memoria. Come tu conosci le sue.

“È davvero uno come lui che vuoi al tuo fianco?”

Tu cosa risponderesti? 

Diana alla fine le apre la porta consegnandole il cane. Sentiamo mormorare qualcosa, senza però distinguere le parole.

Corro a riprendermi Patatino, iniziando a coccolarlo, rivolgendo un sorriso grato ad Anna.

“Grazie, Maresciallo!” Esclamo poi, scendendo i gradini.

“'Grazie, Maresciallo' di cosa?” Borbotta Anna.

“Vabè, ha collaborato! Ah, e comunque, scusami, eh,” le dico, fermandomi e girandomi a guardarla, “io non sono pigro, sono uno che ottimizza le energie. E poi, un po' simpatico lo sono, no?”

Lei mi rivolge un'espressione crucciata prima di mormorare, “L'ho fatto per Patatino, ho detto quelle cose per Patatino... Bastava dire, 'Grazie, Anna', 'Di niente, Marco'.” Ribatte, piccata.

“Okay, però sembrava che lo dicessi proprio...”

“L'ho fatto solo per il cane!”

Apro la portiera dell'auto, facendo salire Patatino.

“...quindi se hai detto quelle cose per il cane, allora significa che mi trovi simpatico?” La punzecchio.

Lei mi rivolge un'occhiata di sbieco. “Lo vedi, che vuoi avere sempre ragione?”

“Sì o no?”

“Cos'hai, cinque anni? Sì, contento ora? Andiamo!” Mi rimbecca, mentre io scoppio a ridere.

“Su, dai, non ti arrabbiare, scherzavo...”

Alza gli occhi al cielo. “Andiamo, prima che ritratti tutto.”

 

Il maresciallo, appena salito, mette in moto, e insieme torniamo al commissariato.

 

Dopo aver discusso con Anna del caso, uscendo dal suo ufficio mi rendo conto che ho fatto una figuraccia con lei, da Diana. Ho ringraziato realmente solo Cecchini, anche se lui, in verità, ha fatto bene poco - anzi, ha creato lui il casino - mentre ad Anna ho a mala pena rivolto un sorriso.

Sono davvero uno stupido.

Non solo ha corso il rischio di farsi male per aiutarmi, viste le minacce di Diana, e si è esposta in prima persona, ma è riuscita anche a riportarmi Patatino solo facendo ragionare la veterinaria.

E io sono stato solo capace di ignorarla.

Decido che devo rimediare al mio sciocco errore, per ringraziarla come si deve.

Ma come?

Getto uno sguardo alla scrivania di Cecchini, e mi accorgo che è concentratissimo a scrivere qualcosa. Mi insospettisco quando noto che sta sigillando due buste bianche, e sul retro di una c’è il mio nome. Sull’altra, quello di Anna.

Mi avvicino, sospettoso.

“Posso sapere che sta facendo?” Chiedo, e lui sobbalza, colto di sorpresa.

“Io? Niente!” Mente, cercando di nascondere le due lettere sotto alcuni documenti.

“È inutile, ho visto i nomi. Che sta combinando? Non mi ficchi in altri casini!” Lo avverto.

“Io? Quali casini, che dice... è solo una... comunicazione.”

Stringo gli occhi.

“E non ce lo può dire a voce?”

“Ma scrivere è più elegante!” Si giustifica. “Comunque, ha bisogno di qualcosa?” Mi domanda, con fare innocente.

Comunicazione... non oso immaginare cosa ci ha scritto. Però, pensandoci, potrei approfittarne e chiedergli suggerimenti su cosa fare per Anna. Tanto, se ha combinato tutta questa storia con Diana, qualcosa avrà intuito. Non so come, ma lo sa.

“Forse mi può aiutare.” Rispondo, sedendomi davanti a lui e abbassando la voce. “Poco fa da Diana, ho sbagliato a non ringraziare Anna per il suo aiuto a riprendere Patatino, e non vorrei si fosse offesa... Insomma, vorrei fare qualcosa per dimostrarle che ho apprezzato quello che ha fatto per me,” gli spiego, sentendomi come un’adolescente che cerca di dissimulare una cotta.

Cecchini mi rivolge uno sguardo furbo, e so che il mio tentativo di minimizzare non è servito a niente. Poco importa.

“Potrebbe... invitarla a cena.” Mi suggerisce, pensieroso. “Così avete modo di parlare senza che vi interrompono.”

Mi sa che è una buona idea.

“Grazie, farò come dice.”

Mentre mi alzo, però, considero il fatto che un esplicito invito a cena darebbe troppo nell’occhio e il senso sarebbe scontato. Ma io voglio scusarmi per bene, voglio che capisca che sono sincero.

Busso alla porta del suo ufficio.

“Sì?” Risponde Anna, accennando un sorriso.

“Stavo pensando... ti va se facciamo una lezione, stasera?”

Lei ci pensa un attimo. “Mh... sì, okay. Cosa prepariamo?”

Ora o mai più.

“Penso io a tutto, facciamo da me, stavolta. Quando stacchi col turno, mi raggiungi.”

Annuisce. “Va bene! Allora a dopo.”

Mi trattengo dall’esultare.

Non sospetta nulla.

Corro in fretta giù per le scale, ho una cena da preparare.

 

Anna’s pov

 

Non appena finisco il mio turno, saluto in fretta gli altri carabinieri, andando di corsa a casa a cambiarmi.

Recupero una camicia e un paio di jeans dall’armadio, sistemando poi la divisa.

Ho staccato un po’ in ritardo, ma non è la prima volta che succede, e Marco è abituato. In effetti, quando capita, spostiamo le lezioni da lui, così in attesa che io arrivi, può preparare quello che ci serve.

Vado a piedi, tanto sono dieci minuti scarsi da casa mia, ed è una bella serata.

Mentre cammino, ripenso all’episodio di pomeriggio, con Diana.

Onestamente, ci sono rimasta un po’ male quando Marco non mi ha detto nemmeno un misero ‘grazie’.

Non per qualcosa, l’ho aiutato volentieri, però... ecco, ringraziare Cecchini, che in realtà ha solo creato tutto il casino con lei, e non me, è stato irritante.

Io mi sono spesa in prima persona per lui, e nemmeno una parola di ringraziamento.

Senza contare che Diana mi ha messa in mezzo a questa storia quando davvero io non c’entravo in nessun modo. Quand’è venuta in caserma tutte quelle volte, è normale che avesse trovato me e Marco intenti a parlare, per via del caso. Eravamo al lavoro!

E per la scena di stamattina, fuori dalla caserma... Beh, vorrei tanto capire cos’è successo.

Non mi aspettavo che Marco riportasse al suo posto la ciocca di capelli sfuggita allo chignon. Nemmeno ci avevo fatto caso.

Mi ha colta alla sprovvista, e la carezza che mi ha dato è stata forse più inaspettata per lui che per me.

E ormai succede sempre più spesso, che restiamo a guardarci negli occhi dimenticandoci del resto.

Se solo non fossimo stati davanti alla caserma...

Se solo non gli avessi detto che è stato un errore.

Cerco di non pensare né alla delusione di qualche ora fa né al bacio, e mi appresto a bussare.

Marco apre la porta dopo qualche istante.

“Ehi! Hai fatto prima di quanto pensassi!” Mi accoglie con un sorriso, spostandosi dall’ingresso per lasciarmi entrare.

Una volta dentro, mi rendo conto subito del profumo di cibo nell’aria.

Gli rivolgo uno sguardo incerto, prima di accorgermi della tavola già apparecchiata per due.

Spalanco gli occhi: c’è anche una rosa bianca in un vaso di vetro trasparente a completare il tutto.

Torno a guardarlo, sorpresa.

Marco mi risponde con un sorriso timido.

“Volevo farmi perdonare per prima... Non ti ho nemmeno ringraziata per quello che hai fatto... Sono stato un insensibile, tu ti sei trovata coinvolta in quel casino senza nemmeno sapere perché, e nonostante Diana ti avesse perfino minacciata, non hai esitato ad aiutarmi. Anzi, se non fosse stato per te, dubito che saremmo riusciti a recuperare Patatino. Quindi ho pensato che un modo per chiederti scusa, e ringraziarti, sarebbe stato invitarti a cena... ma non in un ristorante, so che non ti piace molto stare in mezzo alla confusione, e che avresti preferito restare a casa... Almeno, qui, possiamo prenderci il tempo che serve senza preoccuparci di nulla.”

Io resto a corto di parole.

Quello che Marco ha appena detto, la premura che ha mostrato nei miei confronti, la dolcezza nella voce...

Sento gli occhi pizzicare.

Non voglio piangere, ma non riesco a nascondere l’evidenza che il suo gesto mi abbia colpita non poco, e commossa.

Non me lo aspettavo proprio.

Sbatto più volte le palpebre per impedirmi di piangere, ma sento comunque qualche lacrima bagnarmi le ciglia, così mi affretto ad asciugarle con il dorso delle dita.

“Io... non so che dire...” biascico con voce roca, con un sorriso grato.

Non ha idea di quanto tutto ciò significhi per me.

E mi rendo conto solo adesso di quanto mi conosca bene... Sa che detesto i luoghi affollati, e preferisco di gran lunga rimanere a casa quando riesco, non mi va di stare sempre sotto gli occhi della gente, lasciata al loro giudizio anche nei momenti che non riguardano nessuno se non me.

Marco, questo lo sa bene. Sa quanto fastidio mi dia il mormorio delle persone che giudicano senza sapere, insinuano senza essere al corrente dei fatti, almeno qui a Spoleto dove tutti sanno chi siamo.

Se invece restiamo a casa, possiamo comportarci normalmente, senza filtri e sovrastrutture da tirare su per difenderci.

Se siamo da soli, non ho paura di essere me stessa. Se sono con lui, posso essere semplicemente Anna, senza timore.

“Non c’è bisogno che tu dica niente... L’ho fatto perché mi sentivo di farlo, e poi ultimamente non eravamo più riusciti a passare una serata insieme, questa mi sembrava una buona occasione.”

Io annuisco semplicemente.

“Ci mettiamo a tavola, che dici?”

 

Mi fa accomodare, spostando la sedia per me.

Non sono abituata a tutte queste attenzioni, anche se sono lusingata.

“Posso almeno darti una mano?” Tento, conoscendo già la risposta.

“Assolutamente no.” Appunto.

Quando si siede anche lui, dopo aver servito i piatti e versato il vino in entrambi i calici, mi rendo conto di avere le farfalle allo stomaco.

È una sensazione strana... siamo stati così tante volte in questa situazione, senza nessun tipo di problema, mentre adesso ha tutta l’aria di essere un appuntamento.

Mi sento arrossire.

Mi soffermo un attimo a osservare la rosa nel vaso: è bianca, e so che nemmeno questo è un caso.

Sembrerebbe un dettaglio da niente, e invece ha un significato ben preciso: a me non piacciono le rose rosse. Le ho sempre trovate pretenziose e appariscenti, mentre io preferisco fiori più semplici e delicati. Come le rose bianche.

L’avrò accennato a Marco una volta o due, ma se l’è ricordato.

Sposto lo sguardo dal fiore a lui che, con mia grande sorpresa, arrossisce.

“Hai detto che quelle rosse non ti piacciono, e in ogni caso quella bianca ti si addice di più,” si giustifica.

Se mi servisse qualche altra ragione per innamorarmi di lui...

“È bellissima... e perfetta.”

Il suo sorriso ha il potere di sciogliermi.

Dopo qualche istante di silenzio, mi sforzo di dire qualcosa.

Non ha senso tutto questo imbarazzo tra noi.

“Hai... aggiustato la moto, poi?”

“Sì, sì... per fortuna non era niente di irreparabile. Non te l’ho detto stamattina perché non volevo rischiare di mettere nei casini anche te - ci sei finita lo stesso, ma è un altro discorso - ma... Diana ha ben pensato di farmi un regalino, e ha inciso ‘è solo l’inizio’ sul sedile, senza contare che c’era sopra... vabbè, diciamo che ho dovuto farla disinfettare.” Taglia corto, con uno sguardo eloquente.

Io sono sconcertata.

“Assurdo... e pensare che mi ero convinta che fosse la tua fidanzata...”

“Me l’hai detto anche oggi, ma... perché?”

Abbasso lo sguardo. Devo proprio dirlo?

“Beh... veniva a trovarti tutti i giorni in caserma, e tutte quelle chiamate... Cecchini continuava a ripetere che stavate insieme, e poi, ieri sera...”

Lui corruga le sopracciglia.

“Ieri sera...?” Sbarra gli occhi. “Eri davvero tu, allora?”

“Allora mi hai vista!”

“Non ero certo che fossi tu, c’era il controluce... ho immaginato che potessi essere tu quando ti ho intravista entrare nel palazzo, ma speravo di essermi sbagliato.”

“In realtà non avrei nemmeno dovuto essere in strada, ma Chiara non aveva portato giù la differenziata, come al solito, e poi non volevo interrompervi.”

“In realtà mi sono distratto per capire chi fosse la persona dietro al lampione, e Diana m’è saltata addosso. Non ho nemmeno capito subito cosa stesse succedendo. Non l’avrei mai fatto di mia spontanea volontà, per me è solo la veterinaria di Patatino...” Scuote la testa, prima di continuare il discorso con lo stesso tono casuale. “Se bacio una donna, è perché mi sono innamorato di lei, per quanto possa succedere inaspettatamente.”

Resto per qualche istante a soppesare le sue parole senza realmente soffermarmici più di tanto, poi spalanco gli occhi quando realizzo il loro significato, il cuore che inizia a martellare senza che riesca a impedirmelo, le guance in fiamme.

A giudicare dalla sua espressione, anche lui si è appena reso conto di cos’ha ammesso.

“L’ho... detto davvero...” Mormora dopo qualche attimo di sconcerto da parte di entrambi.

Io riesco solo ad annuire.

Se mi ha baciata, è perché si è innamorato di me, per quanto inaspettatamente sia successo quella sera.

Marco mi rivolge uno sguardo timido, poi inspira profondamente.

“Beh, direi che a questo punto non c’è ragione di nasconderlo... non pensavo che te l’avrei detto così, ma... Io ti amo. Se me l’avessero detto quando ci siamo conosciuti, avrei preso per pazzo chiunque... All’inizio ti odiavo, mi stavi antipatica, ma tanto, e poi ho capito... che tu sei una intelligente, sei tosta, sei determinata, ma sei anche sensibile, emotiva, e sei una che davanti al male si sa ancora commuovere... E ti amo...”

Oggi a quanto pare è particolarmente bravo a farmi restare senza parole.

Più del solito, intendo.

Senza nemmeno rendermene conto, un sorriso enorme si fa strada sul mio volto.

“Era... questo che volevi dirmi, quella volta in caserma?” Sussurro, con le lacrime agli occhi, rendendomi conto di aver completamente frainteso il suo comportamento, quella volta, dopo il nostro primo bacio.

“Forse avrei usato parole diverse, ma... sì.”

“Io non... non avevo capito niente, ero terrorizzata dall’idea che potessi dirmi che per te non aveva significato nulla, che era stato il momento... che dovevamo lasciarcelo alle spalle. Mi sono fatta prendere dal panico, e ho messo le mani avanti. Ti ho detto che eri solo un amico, quando invece le cose erano già cambiate da tempo, solo io non ero ancora riuscita ad ammettere a me stessa di aver iniziato a provare qualcosa per te. Sono stata una stupida.”

Mi copro il viso con le mani, senza sapere bene come sentirmi, se in colpa per aver sbagliato o felice per quello che so adesso. Di sicuro il mio cuore sembra essere impazzito.

“Ehi...”

Marco nel frattempo si è avvicinato, piegandosi sulle ginocchia, davanti a me. Mi sposta con delicatezza le mani, sfiorandomi le guance con il dorso delle dita.

“Capisco benissimo perché mi hai detto quelle cose, quella sera. Anch’io avevo paura... Temevo che mi dicessi che fossi ancora innamorata di Giovanni. È stato meno peggio di quanto sarebbe stato possibile, in realtà, e forse non eravamo davvero pronti, in quel momento. Ma adesso... adesso le cose sono diverse.”

Mi perdo nei suoi occhi, e non ho più dubbi.

Non voglio più sprecare tempo.

Senza pensarci due volte, prendo il suo volto tra le mani, e lo bacio.

La sorpresa di Marco dura solo un istante, poi fa scivolare le braccia intorno alla vita, avvicinandomi quanto possibile a lui, ancora inginocchiato davanti a me.

Non sono mai stata così felice.

Passiamo il resto della serata a parlare, chiarire, e ogni tanto lui mi sfiora le dita con le sue, facendomi tornare le farfalle allo stomaco e il batticuore.

Quando ci rendiamo conto di che ore si siano fatte, visto che sono venuta a piedi, Marco si propone di riaccompagnarmi in moto, e io accetto volentieri l’offerta: avrò una scusa in più per stargli vicina.

Adesso, sembra davvero tutto più bello.

Una volta arrivati sotto casa mia, scendiamo, e io gli porgo il casco, che lui sistema sotto il sedile, poi si appoggia alla moto, tornando a guardarmi.

“Quando mi è venuta in mente l’idea della cena, non avevo osato sperare che andasse così bene...” sorride.

L’ho già detto, che mi fa venire le farfalle allo stomaco?

“Figurati io, che sono venuta pensando a una normale lezione di cucina... anche se, visto che ci siamo, il brasato non è proprio il tuo piatto forte,” lo prendo in giro con un sorrisetto.

“Non è vero, il mio brasato è buonissimo!” Ribatte lui, corrugando le sopracciglia.

“Sarà, ma non è fra i migliori che cucini... La prossima volta ci penso io.”

“Nemmeno per sogno. Il mio brasato è ottimo e non si discute.”

Non trattengo una risatina.

“Vedi, che quello che ho detto a Diana era vero? Vuoi sempre avere ragione.”

“Non voglio sempre avere ragione, sto solo dicendo quel che è vero.”

Alzo gli occhi al cielo. “Sei l’uomo più impossibile che conosco, sai?”

Lui replica con un sorrisetto malizioso, l’irritazione svanita in un istante. “Beh, è anche per questo che mi ami.”

Ricambio il suo sorriso, stavolta senza alcuna traccia di ironia.

“Sì, è anche per questo che ti amo.”

Non credo mi stancherò mai di sentire le sue labbra sulle mie.

“Ci vediamo domani in caserma?” Sussurra contro le mie labbra.

“Mh-mh.”

Torna a baciarmi.

“Allora buonanotte.”

“Buonanotte anche a te.”

Mi chiudo il portone del palazzo alle spalle, con un sorriso enorme stampato in faccia.

Urlerei dalla gioia.

Quando apro la porta del mio appartamento, trovo Chiara seduta sul divano, la tv accesa ma con il volume abbassato al minimo.

“Chiara! Ancora sveglia?” Chiedo, cercando di contenere il mio entusiasmo.

“Già... com’è andata la tua ‘lezione di cucina’?” Mi domanda, distrattamente.

“Bene... come sempre.”

Lei si volta a guardarmi, con l’espressione di chi la sa lunga.

Capisco subito che mi ha fregata.

“Immagino... ho visto il tuo pm, giù in strada, giusto un minuto fa. Mi sa che la passione per le veterinarie e gli animali gli è passata.”

 

Eccomi qui, con un’altra versione di “Dimmi chi sei”!

Grazie a Clarissa e Martina per il brainstorming, è stato divertente scrivere questo episodio!

Spero vi sia piaciuto!

A presto!

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Capitolo 18
*** Tutta la vita ***


 
 

TUTTA LA VITA

 

La festa di laurea di Chiara va nel migliore dei modi.

Lei apprezza tantissimo l'idea, adora il drive-in, Cenerentola e tutto quello che abbiamo preparato per lei.

Come avevo previsto, io e Anna finiamo per passare tutta la serata insieme: a parte qualche amico in comune, nemmeno lei conosce gli invitati. Anna che, a proposito, è molto elegante ed estremamente bella in questo suo tubino blu notte che le dona da morire.

Per buona parte del tempo, restiamo in un angolo a parlare, fingendo di non pensare ogni istante a quello che è successo in questo stesso posto pochi giorni prima.

Inoltre, succede una cosa interessante durante la festa, non so se Anna abbia sentito perché non mi dice niente al riguardo, ma visto che Chiara non ha detto chi sono, nessuno si spiega esattamente la mia presenza qui. Tanto che, quando a una sua collega di corso che sta parlando con altre ragazze sento dire di me 'Sicuramente sarà il fidanzato di sua sorella, quella che fa il Carabiniere', io non oso obiettare. Anzi, potrei aver involontariamente alimentato le voci chiedendo spudoratamente ad Anna di ballare con me, stupendomi non poco quando lei accetta, imbarazzata, allontanando con mia immensa soddisfazione gli sguardi maliziosi dei colleghi di Chiara.

Comunque, non posso fare a meno di notare un certo nervosismo in alcune frasi di Anna, e il suo comportamento lo riflette. Non solo durante la festa ma più in generale, in questi giorni e soprattutto a lavoro.

 

Stamattina, in caserma, se possibile le cose vanno pure peggio.

Credo di non averla mai vista così scontrosa.

Mi ha appena rimproverato perché non ho messo in ordine i fascicoli.

“Qui hai gli archivi di marzo, di qua. Da marzo in poi sono dall'altra parte. Che problema c'è?”

“Che sono in disordine. Che ci ho messo un po' per ritrovarli.”

“Vabbè, adesso ci metto i fiocchettini-”

“Ti chiedo solo questo, ti chiedo solo questo, un po' di ordine! Grazie!” Conclude, invitandomi con un gesto a uscire dal suo ufficio. “La prossima volta stai più attento anche con i verbali di sequestro.”

“Va bene.”

“Grazie.” Mi chiude immediatamente la porta.

 

Io sono scioccato. Chiedo immediatamente lumi al Maresciallo, magari ne sa qualcosa in più.

Oppure è colpa tua. Ha ripensato a come ti sei comportato con lei alla festa di laurea di Chiara e ha deciso che sei uno stronzo e ti prendi il gioco di lei. Quindi ti tratta così. Te lo meriteresti.

“Mi dice che c'ha questa stamattina? Oh!” Esclamo comunque, indignato. Lui mi prende per un braccio facendomi allontanare, saggiamente direi.

“Che c'ha... è che ci sono novità! È tornato il prete! Anzi no, ex-prete.”

“Ah, Giovanni?” Quindi è colpa sua se ha le crisi?!

“S'è spretato!”

“Ahhh! Ha cambiato idea, adesso, eh...” Poi mi rendo conto di cosa vuol dire. Abbasso la voce. “Ha mollato il seminario?”

“E chi semina, raccoglie!” Fa lui in tono eloquente. “Lui ha seminato prima, e raccoglie ora.”

“Ah. E vabbè, per me può raccogliere quello che vuole, guardi.” Borbotto, dirigendomi verso l'uscita.

“Ah, sì?” Infierisce Cecchini.

“Sì, sì...” Rispondo, tentanto di suonare disinteressato.

In realtà sento il sangue ribollire nelle orecchie.

Quindi avevo intuito bene, è tornato sul serio. Avevo ragione, allora, a pensare che non fosse poi così convinto di quella scelta così drastica.

Sì, e ora che è di nuovo qua scombussolerà pure il tuo rapporto con Anna, di questo puoi stare certo. Se ha le intenzioni che temi, di sicuro non gli farà piacere scoprire quando avete legato nel frattempo.

 

Vado via per un po' cercando di schiarirmi le idee e darmi una calmata. Quando rientro, trovo Cecchini seduto alla sua scrivania intento a rigirarsi tra le mani un coltellino svizzero.

Gli chiedo cos'abbia, e scopro che si è convinto che Zappavigna, l'appuntato e fidanzato di sua figlia Assuntina, abbia un'amante e un figlio. A me pare impossibile, sembra un così bravo ragazzo. Cerco di tranquillizzarlo e spiegargli che magari si è sbagliato ed è inutile mettere in subbuglio pure sua figlia. Meglio cercare di indagare prima.

“Ci vuole una prova!” Gli spiego. “Maresciallo, Lei lo sa meglio di me: un figlio è una cosa seria! Mi creda, scoprilo in questo modo, non... Non si può venire a sapere così, una notizia del genere! E poi, io sono convinto che sia davvero troppo presto... Da così poco tempo insieme!”

 

Anna’s pov

 

Mentre aspetto che gli agenti mi stampino il fermo immagine della ripresa che ci interessa, mi rendo conto di essermi comportata male con Marco, poco fa.

Me la sono presa con lui per una sciocchezza.

È vero, gli archivi erano terribilmente in disordine, ma non è la prima volta che succede, Marco fa sempre un casino quando deve riordinare i fascicoli per data.

Il fatto è che ultimamente si stanno accumulando troppe cose, e temo di non riuscire più a tenerle insieme senza esplodere.

Da un lato c’è il ritorno di Giovanni, che mi ha scombussolata parecchio.

Non me lo aspettavo, ormai ero convinta che sarebbe rimasto in seminario. Vedermelo comparire davanti così, all’improvviso, dopo mesi di silenzio, mi ha turbata non poco.

Non so come comportarmi, con lui. Ho capito di non esserne più innamorata, questo sì, ma ciò non toglie che sia strano, adesso, stare in sua presenza. Devo fare l’amica? La conoscente? Dovremmo essere come due sconosciuti? Non ci siamo lasciati in malo modo, e di certo non ho riferimenti da poter seguire, perché cosa si fa quando la storia con un ex finisce perché lui decide di farsi prete e poi cambia idea?

Come se non bastasse, c’è anche la mia situazione con Marco che non migliora di certo le cose, anzi.

Proprio con lui, non ho più idee. Zero. Non capisco nemmeno cosa siamo, a questo punto. Colleghi, amici, cognati?

Nessuno di questi tre appellativi va perfettamente bene, perché colleghi lo siamo, certo, ma non semplici colleghi. Amici, stessa cosa, ma non semplici amici. Cognati... beh, è una linea molto teorica, ma in cuor mio spero non lo diventeremo mai sul serio. Non so se reggerei.

Perché non dovrei essermi innamorata del fidanzato di mia sorella.

E non dovrebbe esserci niente tra noi.

Ma io per prima so che non è così.

E non solo per quel bacio che ci siamo scambiati mesi fa. Sono successe troppe cose tra noi per riuscire a far finta di niente.

Anche volendo, dopo la serata da soli al drive-in e il bacio mancato al ritorno solo per una coincidenza, sarebbe impossibile.

Per non parlare della festa di laurea di Chiara. Sapevo che sarebbe finita in quel modo, che io e Marco avremmo passato la maggior parte del tempo insieme perché non conoscevamo quasi nessuno degli invitati. Quello che non mi aspettavo era il suo invito a ballare. Se sul momento pensavo lo avesse fatto solo per far allontanare un amico di Chiara particolarmente insistente, ho dovuto ricredermi quando, in pista, sotto le luci basse, mi ha stretta tra le braccia, gli occhi incatenati ai miei. Ho sentito il cuore fermarsi, in certi istanti. E so che, di nuovo, ci saremmo baciati senza ombra di dubbio se non avessimo sentito la voce di Chiara mentre rideva con le sue amiche.

Comunque sia, Marco è solo un motivo in più, ma non il principale a cui devo il mio nervosismo.

È da quando sono entrata nell’Arma dei Carabinieri che indago su Claudio Lisi, l’uomo che ha provocato la morte di mio padre.

Ho fatto di tutto per trovare informazioni su di lui, prima inaccessibili, che mi hanno permesso di venire a conoscenza di tutti i suoi spostamenti in questi anni.

So che ormai non posso fare niente per papà, il reato è caduto in prescrizione da poco tempo, ma niente mi impedisce di stargli addosso.

Sì, perché è qui a Spoleto. Tra tutti i posti in cui sarebbe potuto andare, ha scelto di venire qui. L’ho visto per caso, anche se lui non mi ha notata, ma l’avrei riconosciuto tra un milione di persone.

Ho scoperto che lavora per un’azienda vinicola, e sono certa che stia organizzando una nuova truffa ai danni dei proprietari, il cui padre è venuto a mancare poco tempo fa lasciandoli nei debiti.

Devo solo trovare ulteriori prove, poi potrò arrestarlo.

E avere giustizia.

La mia mente per ora è sempre rivolta a questa storia, e ogni minima cosa mi fa scattare. Marco mi ha servito lo sfogo su un piatto d’argento, ma non avrei dovuto prendermela con lui.

Ringrazio l’appuntato che mi porge i fogli, rintracciando immediatamente i particolari che mi interessavano e segnandoli con una penna, per poi dirigermi verso il mio ufficio, con l’intenzione di chiamare Marco e scusarmi.

Lui è seduto davanti alla scrivania di Cecchini: parlano in modo concitato, e mi blocco sui miei passi quando sento uno stralcio della loro conversazione.

“...sa meglio di me: un figlio è una cosa seria! Mi creda, scoprirlo in questo modo, non... Non si può venire a sapere così, una notizia del genere! E poi, io sono convinto che sia davvero troppo presto... Da così poco tempo insieme!” Sento dire a Marco.

Mi si gela il sangue nelle vene, e per un attimo mi sento mancare il terreno sotto ai piedi.

Non è possibile.

Mi torna in mente la frase di mia sorella, quella volta che sarebbe dovuta andare a Roma con lui per la partita: “Anna, io stasera faccio gol.

All’epoca non stavano nemmeno insieme... per cui non sarebbe così improbabile, adesso, conoscendo mia sorella, che sia riuscita a portarselo a letto.

Cerco di ingoiare il groppo in gola a questa consapevolezza.

Chiara è sempre stata una brava seduttrice, nessuno lo sa meglio di me, e quello che vuole lo ottiene sempre. Era solo questione di tempo, prima che Marco cedesse.

Solo che non mi sarei aspettata queste conseguenze.

E la frase di Marco, per quanto possa avermi infastidita, non è un buon segno, ma non mi sorprende.

In fondo so che non ama particolarmente i bambini, più che altro perché dice di non avere abbastanza pazienza anche se poi non è davvero così, e anche che esce con mia sorella perché lei gli ha garantito una storia più leggera.

Se ha davvero saputo per caso, a quanto pare, che mia sorella è incinta - non ci posso pensare - di sicuro non è entusiasta. Non solo per i motivi che ho già menzionato, ma anche perché stanno insieme da pochissimo. Ed è normale che abbia cercato qualcuno con cui confidarsi e che possa suggerirlo: Cecchini.

Decido che, prima di dire qualsiasi cosa, devo essere certa di non aver capito male, e in ogni caso adesso devo pensare al lavoro, per cui mi faccio coraggio e mi avvicino, interrompendo la loro conversazione.

 

“Ho trovato qualcosa di interessante, nei filmati delle telecamere di sorveglianza,” Li informo, facendoli tacere di colpo. Porgo loro dei fogli. “Il presunto aggressore di Vismara e la sua moto rossa.” Spiego, riferendomi al caso di aggressione di cui ci stiamo occupando.

“Sì, ma non si vede la faccia.” Commenta il Maresciallo.

“Abbiamo il numero di targa, vediamo a chi è intestata.” Dico, prima di riprendermi i fogli e andare via. Con la coda dell’occhio noto Marco fare una strana espressione, forse si starà chiedendo se ho sentito. Ma per il momento non voglio pensarci, così mi chiudo in ufficio, cercando di tenere questa notizia fuori dalla mia testa.

 

Marco’s pov

 

Continuando con le indagini, scopriamo che la moto rossa appartiene a 'Seba', Sebastiano, un alunno di Don Matteo a scuola. Lo convochiamo, ma lui continua a dirci di essere estraneo alla faccenda.

Chiamo Anna in disparte per capire come comportarci, ma anche se lei mi fa notare che nel video non si vede se minaccia Vismara, io sono costretto a metterlo in stato di fermo, per il momento ai domiciliari. Purtroppo la descrizione dei testimoni e la sua presenza lì sono sufficienti.

 

La sera, stacchiamo tutti abbastanza tardi.

Io resto a chiacchierare col Maresciallo fuori dalla caserma per qualche altro minuto.

Sono appoggiato alla mia fidata moto, gli sto raccontando dell'ingegnere che ha appena comprato un cavallo da corsa fenomenale, quando finalmente anche Anna esce.

“Buona serata,” ci augura, avviandosi a passo spedito verso casa.

“Ciao...” mormoro io appena, seguendola con lo sguardo e dimenticando qualsiasi altra cosa che non sia lei.

“Ma che fa?” Mi chiede Cecchini, facendomi sussultare. Mi ero dimenticato perfino di stare parlando con lui fino a un attimo fa. Bene, Marco, se continui così sei definitivamente fregato. “Perché non l'accompagna, no?” Suggerisce.

“Ma no...” rifiuto, arrossendo per essermi fatto beccare a fissarla in modo così spudorato.

“È da sola, di notte, a quest'ora...”

“E vabbè, non siamo mica a Caracas, può andare...!” Scherzo, Anna non ha di certo problemi a difendersi.

“Caracas è meglio,” mi contraddice il Maresciallo, “perché a Caracas non ci sono gli ex-preti e gli ex-fidanzati. L'accompagni!”

“Ah, allora Anna sarebbe in pericolo solo perché Giovanni è tornato qui a Spoleto.” Commento. Maresciallo, la prego, non ci si metta pure Lei.

“Sì! Questo si chiama 'pericolo sentimentale'! Perché da cosa nasce cosa, e possono nascere anche i bambini!”

Non esageri adesso, è solo tornato dal seminario. Da qui a... bambini... no. Non scherziamo. No.

“Chi ha avuto un bambino?” Chiede Zappavigna, appena uscito. Ops.

“Che cosa vuoi tu, chi ti ha interpellato?” Salta su Cecchini. “Forza, via!”

“È che ho sentito 'bambini' e per me i figli sono una cosa meravigliosa!” Risponde lui.

“E tu ne sai qualche cosa, vero?” Si inalbera il Maresciallo, di nuovo. Devo intervenire per forza.

“Ehi, ehi, ehi, Maresciallo! Vai, vai, Zappa, vai,” suggerisco al povero appuntato.

“Maresciallo, ci vediamo dopo a casa...” Lo saluta lui.

“Maresciallo, ma che fa? Ogni volta che vede Zappavigna perde la testa?” Lo rimprovero quando il ragazzo si è allontanato abbastanza.

Ritrovandomi a trattenerlo di nuovo quando dice che 'calmo calmo, va e l'ammazza'.

Non so se ridere o preoccuparmi sul serio.

 

Non capisco bene come, ma Cecchini mi trascina a cena a casa sua con la sua famiglia e la madre di Zappavigna.

Quando arriviamo sotto il suo palazzo, sono costretto a fermarmi di botto: Giovanni sta scaricando borsoni e scatole dal bagagliaio di un’auto, a due passi dal portone di Anna.

Ed è proprio lei, quella che adesso è appena uscita da quell’altro appartamento, intenta ad aiutare il pretino.

Anche Cecchini si blocca.

“Ma quello è Giovanni! Col Capitano!” Esclama. Loro per fortuna non sentono.

“Ma quello non poteva starsene in seminario? Deve seminare pure qua?” Borbotto, senza riuscire a trattenermi.

“Perché non va e lo saluta?” Commenta Cecchini, con un’occhiata furba che non promette niente di buono.

“Ma no, non ce n’è proprio bisogno. Saliamo su, piuttosto, La staranno aspettando.”

 

Decido che forse è meglio per tutti che io abbia accettato l’invito a cena perché Cecchini sembra andato completamente fuori di testa, e il peggio viene quando Assuntina annuncia che lei e Romeo andranno a convivere, anche se lui non sembra tanto convinto, e Cecchini quasi sviene. Mi devo impegnare parecchio per convincerlo a non ucciderlo, visto che continua a ripeterlo.

Per evitare che faccia davvero danni, lo trascino sul pianerottolo a prendere una boccata d’aria.

Lui riprende subito a dire di voler uccidere Zappavigna, quindi tento di spiegargli di nuovo che il ragazzo non mi sembrava molto convinto, e che in ogni caso ci vorrà tempo, prima che succeda. Non so quanto successo sto avendo.

 

Anna’s pov

 

Dopo aver aiutato Giovanni a scaricare la sua roba nel nuovo appartamento, rifiuto il suo invito di restare da lui a cena, e me ne torno a casa. Ho bisogno di riflettere.

Ho appena terminato di cenare quando sento trambusto provenire dall’appartamento di fronte al mio.

Cecchini. Che succede?

Sento il loro portone aprirsi e non richiudersi, così decido di uscire per capire che sta succedendo, magari hanno bisogno.

Ho appena messo la mano sulla maniglia quando sento le voci di Cecchini e Marco discutere animatamente di qualcosa.

Marco? Che ci fa, da lui?

In genere non mi verrebbe mai in mente di origliare, ma è l’unico modo per capire, così appoggio l’orecchio alla porta.

E mi pento quasi subito di averlo fatto, perché colgo una frase di Marco che dà un’ulteriore conferma ai miei sospetti.

“... anche andare a convivere, bisogna pensarci bene! Non è una cosa che si può decidere così, su due piedi... Comunque, a prescindere da tutto, non mi sembra che sia la soluzione più adatta in questo momento, ci sono troppe incognite, troppi problemi da affrontare, prima. Mi convince poco, l’idea.”

Quindi, non solo non vuole il bambino, ma nemmeno valutare l’opzione di andare a vivere con mia sorella e quindi prendersi le sue responsabilità.

Adesso  che sono combattuta.

Perché in fondo non lo biasimo, davvero. Conosco lui e conosco Chiara, e non è una situazione facile. Ma non posso fare finta di niente.

Devo cercare di trovare il modo di parlare con lui.

 

Marco’s pov

 

Il mattino seguente, Cecchini sembra molto più tranquillo e ben disposto con Zappavigna prima di scoprire che gli ha infilato un GPS per cani in tasca per sapere dove va, naturalmente senza il suo consenso e mettendo in mezzo pure me.

Naturalmente, come ogni volta che succede qualcosa così, Anna sceglie proprio quel momento per avvicinarsi alla scrivania del Maresciallo, che si inventa su due piedi che il GPS è per Patatino che scappa sempre, così ne approfitta pure per spedirmi a pedinare Zappavigna non appena il segnale si muove.

 

Proprio non lo so come ho fatto a farmi immischiare in uno dei suoi casini un'altra volta.

E comunque, a giudicare dalla sua espressione, Anna non ci ha creduto nemmeno un po'.

 

 

Più tardi, Seba si decide a parlare, fornendo però un movente per l'aggressione. Ci informa che ha saputo da Sofia, la ragazza che vive in canonica con Don Matteo, è in realtà figlia di Rita Trevi, l'insegnante di Educazione Fisica al liceo che i due ragazzi frequentano, ma che è anche il risultato di una violenza che la donna aveva subito anni prima. Apriamo un'ulteriore indagine in proposito.

 

Per la pausa pranzo, sto firmando i documenti sugli accertamenti patrimoniali e i tabulati telefonici di Trevi, quando noto Anna uscire dal suo ufficio: non ha la divisa ma indossa la tuta ufficiale dell'Arma, i capelli legati in una semplice coda di cavallo.

“Vai a correre?” Le chiedo.

“Sì, approfitto della pausa pranzo.”

“Ah.”

So che fa spesso allenamento, anche col judo e altra roba, ma è la prima volta che la vedo uscire dalla caserma con questo proposito.

Il cellulare del maresciallo suona.

“Il cane...” Fa lui.

“Che fa, ancora scappa?” Chiede Anna, avvicinandosi.

“È in calore, quel maledetto.” Cecchini, su, non esageriamo! Fra l'altro Patatino nemmeno c'entra.

“Beh, poverino...” Commenta il Capitano, infatti. “Magari vuole solo accoppiarsi... Auguri per la cucciolata.” Aggiunge, sarcastica.

Altro che auguri, posso strangolare Cecchini?

Cecchini che, invece di star zitto, ribatte, “Patatino un solo cucciolo avrà... si spera.”

Anna fa un’espressione stranissima, che non riesco a decifrare: sembra quasi panico. Dura però solo qualche istante, poi torna ad essere semplicemente dubbiosa. Decido di lasciar stare per ora, e di occuparmi del maresciallo, che mi ha già messo abbastanza nei casini.

“Meglio andare, va, no?” Gli intimo. “Se no si perde, Patatino.”

Lui per una volta mi dà ascolto, e usciamo tutti e tre, con Anna che prende la direzione opposta alla nostra.

 

Sulla strada per raggiungere Zappavigna, da lontano in una delle viuzze di Spoleto, noto Anna ferma, intenta a parlare con... Giovanni.

Dopo qualche istante, lei gli volta le spalle e va via, e non posso fare a meno di notare l’espressione stizzita sul suo viso.

Dico a Cecchini di proseguire senza di me e che lo raggiungerò tra qualche minuto, e aspetto che Giovanni percorra quel tratto di strada che ci separa.

Ci salutiamo con evidente antipatia reciproca.

“Come mai da queste parti?” Chiedo con finto tono casuale.

“Beh, avevo un appuntamento con Anna. Avevamo deciso di fare una corsa e poi passare insieme la sua pausa pranzo, ma è dovuta tornare in caserma prima del previsto. Non fa niente, comunque, adesso che siamo vicini di casa possiamo vederci più spesso, possiamo passare insieme tutto il tempo che vogliamo, sarà più facile ricostruire il nostro rapporto.” Mi dice, sostenendo il mio sguardo, ma per qualche ragione non credo alle sue parole.

“Non prendertela, ma stento a credere a quello che mi hai detto. Non mi sembrava così contenta, poco fa.”

“Come fai a dirlo, cosa ne sai tu?” Mi provoca.

Cerco di mantenere la calma.

“Ho visto che era seccata, quando è andata via. E la sua pausa pranzo non è ancora finita, visto che se fosse successo qualcosa, una chiamata sarebbe arrivata anche a me. Mi viene da pensare che non apprezzasse la tua compagnia. Anzi, non credo che abbia apprezzato il tuo ritorno in generale.”

Lui sembra prenderla male, anche se la cosa non mi dispiace.

“Non sono affari che ti riguardano, mi sembra.” Afferma, sprezzante.

Non trattengo una risata sarcastica. Non mi provocare. Tu non sai niente.

“Forse no, ma so quanto sia stata male Anna in questi mesi per la tua decisione. Prima tutto quel tira e molla all’inizio, in cui non riuscivi nemmeno tu a capire cosa volessi, nonostante lei ti avesse dato il suggerimento più giusto, e poi, con la tua calma, hai deciso di spezzarle il cuore davanti a tutti. Hai pensato solo a te stesso, a quello che pensavi di volere tu, fregandotene di Anna, di come si sentiva, in attesa che la smettessi con la tua indecisione. Non le hai mai chiesto davvero un’opinione, hai deciso tutto da solo, l’hai fatta soffrire terribilmente, e adesso che fai? Torni, capendo di aver sbagliato, e pretendi che lei ti perdoni, che faccia finta di nulla, e che sia tutto com’era prima? Così, da un giorno all’altro, dopo mesi di silenzio?” Scuoto la testa, incredulo. “Che fossi egoista l’avevo intuito, ma non pensavo così tanto. Ripiombare così nella sua vita... sei solo riuscito a infastidirla. È nervosa, sempre, e non c’è da biasimarla, se tu le stai sempre addosso. Tu hai voluto quella pausa, ma non ora non dai a lei il tempo di capire come comportarsi. L’hai sempre accusata di non ascoltarti, ma tu per primo non la capisci. È vero, lei è abituata a risolvere sempre tutto da sola, e fa tanto la forte ma... non è indistruttibile. Anzi... sotto la corazza c’è un animo estremamente fragile, e se pensi che anche stavolta potrai giocare con i suoi sentimenti, ti sbagli. Ti avverto: prova di nuovo a farla soffrire, e ne pagherai le conseguenze.” Gli intimo freddamente, prima di voltargli le spalle e raggiungere Cecchini, lasciandolo lì in mezzo alla strada, con gli occhi sgranati.

 

Intanto abbiamo rintracciato Zappavigna, e mentre il Maresciallo fa le foto, io sono costretto ad ammettere che in effetti il bambino assomiglia un sacco all'appuntato. Riesco a convincerlo però a non far vedere le foto a sua figlia ma di accertarsi di tutto con un test di paternità, che però implica il permesso ai diretti interessati per essere fatto. Spero che stavolta si comporti come si deve. Faccio pure una figuraccia con sua figlia e la madre di Zappavigna, e a questo punto spero sia tutto a fin di bene.

 

Anna’s pov

 

Dopo aver preso le distanze da Giovanni, rallento la mia corsa.

Non mi aspettavo di vedermelo spuntare così davanti, e tutto quel suo discorso mi ha solo innervosita ulteriormente. Se ha pensato che il mio aiuto di ieri sera indicasse un riavvicinamento, si è sbagliato di grosso. Non ho mentito, quando gli ho detto di stare molto bene.

Se tralasciamo i problemi dell’ultimo periodo, sono felice della mia vita. Potrebbe andare meglio, ma non posso lamentarmi, tutto sommato. Ero riuscita finalmente a trovare un equilibrio, che con il suo ritorno è saltato di nuovo.

Mentre faccio di nuovo il giro della strada per tornare in caserma, noto Marco e Cecchini intenti a parlottare, di nuovo. È più forte di me: mi fermo e, facendo attenzione a non farmi vedere, cerco di capire cosa stiano dicendo.

È un’altra volta la voce di Marco, quella che colgo.

“...accusa di aver spiato. L’unica soluzione è fare il test di paternità, per essere sicuri. Con il DNA, si risolve ogni problema.”

Fantastico.

Temevo che questo momento sarebbe arrivato.

Anche Marco ha scoperto che mia sorella è tipo da conquista facile, e qualcosa l’ha portato a pensare che il bambino non sia suo, se vuole addirittura fare il test del DNA.

Adesso mi tocca parlare pure con mia sorella.

Ma perché? Perché?

 

Marco’s pov

 

Dopo aver spiegato al maresciallo cosa fare per ottenere il test di paternità, torniamo in caserma.

Quando convochiamo i coniugi Trevi, Rita cerca di negare con forza della violenza, ma il marito le rivela di averlo scoperto da sé. Sa ogni cosa, perfino della figlia. Ammette di aver contattato Vismara, dandogli un ottimo movente per il tentato omicidio.

È una delle situazioni più gravi in cui ci siamo mai trovati. Vedere lo sguardo impotente di Anna fa star male anche me all'idea che, per paura, spesso le violenze non hanno giustizia.

E non c'è niente che noi possiamo fare.

 

Anna’s pov

 

La sera, mi rendo conto che non sarà così semplice affrontare l’argomento con Chiara. Non perché io non voglia, ma perché mi ha pregata di aiutarla a preparare una cena per lei e Marco. Vuole che sia speciale, per passare una serata romantica insieme a lui.

Di fare resistenza non mi passa nemmeno per la testa - voglio troppo bene a mia sorella per dirle di no, anche se il pensiero mi fa star male.

Mentre lei si trucca, io preparo tutto - sì, ho cucinato interamente io per loro, adesso provate a dirmi che non sono masochista - lasciandomi sfuggire un sospiro demoralizzato.

Immagino, il perché di questa cena. Gli vorrà dire del bambino che aspetta, ufficialmente, e quale miglior modo se non questo?

Mia sorella aspetta un bambino dall’uomo di cui io sono innamorata.

Ingoio a forza le lacrime che sento pizzicare agli angoli degli occhi quando sento Chiara aprire la porta del bagno.

Metto su l’espressione più convincente che riesco a fare.

“Come procede? A che punto sei?” Mi chiede mia sorella, avvicinandosi e infilando il grembiule, giusto per apparecchiare.

“Quasi finito...” mormoro. “Un po’ di olio fresco... e la Zuppa di Roveja di Cascia è pronta.”

Spengo il fornello. Chiara si avvicina per odorare.

“Anna, sei diventata bravissima!” Si congratula. “Con Marco farò un figurone.”

Mando giù il groppo in gola. È per il bene di Chiara. Ha bisogno di me.

“E tu?” Mi chiede, dopo un attimo. “Perché non chiami Giovanni?”

Mi blocco un istante mentre sto infilando la giacca, preparandomi ad andar via, trattenendo una risposta tutt’altro che carina, ma mi riprendo quasi subito.

“Chiara, non iniziare.” Ribatto, cercando di celare il fastidio al solo sentirlo nominare.

“Okay, è vero, lui ti ha lasciata... però non è che ti ha lasciata per un’altra! Si è solo preso una ‘pausa di riflessione’!”

Ah, mi devo pure sentir fare la morale, adesso.

Adesso l’astio non riesco a nasconderlo del tutto.

“E adesso la pausa me la prendo io!” Replico, senza nessuna voglia di continuare a discutere.

Voglio solo andar via.

“Sì, ma ti dico che è molto difficile trovare un uomo che ti ami! Un uomo normale, intendo. Guarda me! Io, prima di incontrare Marco, avevo completamente perso le speranze!”

Non mi esimo dall’alzare gli occhi al cielo.

Certo, perché il resto dei ragazzi con cui è stata erano uno più strano dell’altro.

E Marco lo conosco meglio io.

Torno ad abbassare lo sguardo, sentendomi un po’ in colpa.

Ripenso al bambino, e a quanto non voglia mettermi in mezzo, anche se devo capire se è davvero lui il padre, vista la questione del test.

“Sembra davvero una cosa seria, stavolta...” Mormoro.

“Serissima, davvero... Con lui, sarei pronta perfino a mettere su famiglia. È quello giusto, Anna, me lo sento.”

La mia gola si fa improvvisamente secca.

Non avevo mai sentito mia sorella pronunciare queste parole, e non credevo le avrebbe mai dette.

Non riesco nemmeno a parlare.

Mi viene solo da piangere.

Il campanello suona, e non so se è un bene o un male, perché avrei preferito riuscire ad andarmene prima del suo arrivo.

“Vai...” dico a Chiara, mentre controllo di aver messo chiavi e cellulare in borsa.

“No no no, vai te! Guardami!” Esclama lei, facendo cenno al grembiule che ha ancora inutilmente addosso.

Mi trattengo a stento dal commentare e, deglutendo a fatica, apro la porta.

 

Marco’s pov

 

La sera, ho appuntamento a casa di Chiara. Mi ha promesso che preparerà lei la cena per una volta, così da farmi testare le sue doti di chef. La cosa mi incuriosisce, finora abbiamo sempre cenato da me. Non che non mi fidi, ma non si sa mai.

Quando salgo le scale dell'appartamento mi rendo conto che, in effetti, questa è casa di Anna, non di Chiara. Se noi siamo a cena da soli, lei dove va?

Ignoro a forza il pensiero e busso, sperando di non incontrarla. Come ogni volta, e stavolta più che mai, mi sentirei a disagio. Per tutta una serie di motivi, a partire dal bacio mancato dopo il drive-in.

La porta si apre.

Anna.

“Ciao...” Mormoro, la gola arida.

“Ehi,” ricambia lei, con uno strano tono di voce che non riesco a decifrare del tutto.

“Stai... andando via?” Chiedo a bassa voce, senza riuscire a nascondere completamente la delusione.

Lei abbassa lo sguardo per un attimo, prima di rialzarlo, ma senza incrociare il mio.

“Sì, ho un appuntamento con un... amico.”

Un amico.

Che sia...?

“... Giovanni?” Mi lascio sfuggire, in tono astioso.

Lei spalanca gli occhi, ma prima che possa rispondermi, Chiara interrompe la nostra conversazione.

“Ehi!!”

Perché mi scordo sempre di lei, quando c’è Anna?

Chiara mi getta le braccia al collo, ma io non riesco a ricambiare davvero la stretta. Non ce la faccio. Non con sua sorella ancora qui. È già abbastanza complicato in questo modo, senza aggiungere effusioni non necessarie.

Poi lei mi lascia andare e va a chiudere la porta quasi in faccia ad un'Anna che, con un’espressione cupa in viso, ci augura un 'divertitevi' che a me suona molto distaccato e - possibile? - intriso di dolore.

Io e Chiara iniziamo a cenare poco dopo. Lei mi spiega che ha deciso di proposito di preparare un piatto tipico umbro, visto che comunque io sono ligure fino al midollo e tendo a buttarmi sui piatti di quella zona.

Devo ammettere che è veramente ottimo.

“I miei complimenti... davvero!”

Lei sorride compiaciuta. “Mi ha consigliato Anna di preparare la Zuppa di Roveja di Cascia.” Mi spiega. Decido di cogliere al volo l'allusione per fare una domanda che spero non dia troppo nell'occhio.

“A proposito, ma... tua sorella?” Chiedo, tentando di suonare indifferente.

“Sinceramente non so dove andava, non me l'ha detto. Magari da Giovanni, visto che ha mollato il seminario ed è tornato qui...”

“Ah,” commento soltanto, la gola nuovamente arida.

“Sì, beh, capisco che può essere un po' preoccupata, però alla fine è come se lui si fosse preso una pausa, no? Capita, in una relazione...”

“Mh-mh...” Mormoro, pentendomi di aver chiesto.

Lei però continua, senza far caso a me. “Mia sorella si merita di essere felice, e con Giovanni lo era, tanto anche, e sono convinta che se solo gli dà una possibilità, si può aggiustare tutto. Voglio dire, era elettrizzata all'idea di sposarsi, non può essere svanito tutto così, no? Anche perché non è uscita con nessuno in questi mesi, non ha conosciuto nessuno di nuovo, quindi Giovanni una speranza ce l'ha ancora, se si dà da fare. No?” Mi chiede infine, e devo trattenermi con tutte le mie forze dal dirle quello che penso sul serio.

Così mi limito ad annuire con finta convinzione ingoiando la bile che avverto in bocca, e cambio in fretta argomento. Quando lei inizia a parlare io la ascolto per metà, perché la mia mente è rimasta bloccata sulle cose che ha detto.

No, che non ce l'ha, un'altra possibilità. Se fossi stata accanto a tua sorella ti saresti resa conto che le ha fatto troppo male per ricominciare così, di punto in bianco, da dove si erano lasciati. Non è stata proprio una pausa, l'aveva mollata per farsi prete! E l'idea di sposarsi forse all'inizio poteva anche attirarla, ma quando vostra madre ha frainteso con la storia della proposta, Anna non era entusiasta per niente nemmeno di fingere. E poi sì, è uscita con me. Ci siamo pure baciati, a dirla tutta. E abbiamo imparato a conoscerci benissimo. Il pretino deve solo azzardarsi ad avvicinarsi di nuovo... glielo dico io, dove deve andare stavolta.

Poi mi ricordo che in fondo non ho nessun diritto su Anna, perché non è con lei che sto.

Tutto per un colpo di testa senza senso.

 

Ritorno con l'attenzione su Chiara, pregando disperatamente che Anna non sia con davvero Giovanni.

 

Anna's pov

 

Ingoio il groppo in gola per l’ennesima volta quando mia sorella mi chiude la porta in faccia. Corro in fretta giù per le scale, cercando di mettere più distanza possibile tra me e loro.

È per il bene di Chiara. È un sacrificio che devo fare per il bene di Chiara.

Ripenso per un attimo al tono deluso di Marco, quando mi ha chiesto se stessi andando via.

Ovvio che io non ci sarei stata, è una serata per loro due. È già abbastanza complicato sentirsi il terzo incomodo in situazioni normali, figuriamoci in questa.

E, in tutta sincerità, non voglio che lui sia presente quando Chiara darà la notizia anche a me. Sarebbe troppo da sopportare.

Avranno un figlio, e io sarà costretta a restare a guardare l’uomo che amo formare una famiglia con mia sorella, che non ci ha mai minimamente pensato, a farsene una.

Fino ad ora.

Mi impongo di assumere di nuovo un’espressione neutrale: sono appena arrivata davanti alla caserma.

Altro che appuntamento con un amico... Quando Chiara mi ha detto della cena, il mio primo pensiero è stato di approfittare di questa serata di solitudine per tornare in ufficio e continuare con le indagini su Lisi.

Saluto in fretta gli altri carabinieri, sorpresi di vedermi qui a quest'ora visto che non sono di turno e per di più in borghese, ma li tranquillizzo dicendo di aver dimenticato di visionare dei documenti importanti, che devo necessariamente leggere prima di domani.

Ormai sono vicinissima a trovarlo. Da quando ho scoperto che lavora come contabile per quell’azienda vinicola, ho iniziato a raccogliere i documenti relativi al loro fatturato insieme a tutto quello che può servirmi, e ho già scoperto particolari interessanti. Ne sto scoprendo molti altri solo con una rapida occhiata a quest'altro materiale che mi è arrivato oggi pomeriggio.

Mi sistemo meglio sulla poltrona e inizio a scrivere, appuntando tutto ciò che può essere utile a metterlo dietro le sbarre, una volta per tutte.

Ti vendicherò, papà. Puoi starne certo.

 

È già passata più di un’ora quando la mia mente torna alla cena. Chissà se a quest’ora glielo avrà già detto.

Un po’ mi sento in colpa, della gelosia che provo nei suoi confronti. In fondo, non è proprio tutta colpa sua, se si comporta da immatura, a volte. Cioè, spesso, ma sempre lì siamo.

Quando abbiamo perso papà, io, lei e mamma abbiamo avuto tre reazioni diverse: mamma è diventata distante prima, e oppressiva poi, Chiara ha iniziato a stare sempre fuori casa e distrarsi, e io mi sono rifugiata sui libri pensando a cosa fare per avere giustizia. Ero piccola, certo, e non avevo minimamente idea di come fare - l’ho trovato solo dopo, il modo giusto: diventare un carabiniere, farmi strada da sola per arrestare quell’uomo, se tale può definirsi, e vendicarmi.

Chiara ha scelto una strada diversa, proprio perché ha un altro carattere. Mamma non l’ha più seguita, e io non potevo fare granché per ovvi motivi.

Non è mai riuscita ad avere una relazione stabile perché anche lei ha paura di soffrire come mamma, di restare sola, e quindi non si lega mai davvero a nessuno. Un po’ il contrario di me, anche se per quanto mi riguarda ho avuto sì una relazione di cinque anni, ma ci ho messo molto tempo a fidarmi davvero.

Con mamma che ha reagito in quel modo, il rapporto madre-figlia con noi due è venuto a mancare, almeno in buona parte. Non posso giudicarla - io al suo posto forse avrei reagito allo stesso modo - ma all’inizio si è chiusa in se stessa, dimenticandosi di noi. Quando si è ripresa abbastanza, ha cercato di recuperare, ma ha un carattere forte, e più che altro ha cercato di imporsi nelle vite che ormai io e mia sorella ci eravamo create da sole.

Per quanto mi riguarda, sono completamente indipendente da quando avevo quindici anni, quindi il suo volersi intromettere nelle mie decisioni successive l’ho sempre vissuto male. Ero cresciuta senza di lei, e non volevo più il suo aiuto, perché avevo già deciso cosa voler fare della mia vita. Questo, lei, non lo ha mai accettato.

Allo stesso modo, sono sempre stata io a occuparmi di Chiara, probabilmente sbagliando, perché l’ho sempre difesa e coperta anche quando non avrei dovuto, ma era l’unica persona su cui sapevo di poter contare, e in fondo ero solo una ragazzina, cosa potevo fare? Non che adesso le cose vadano diversamente, continuo a comportarmi come se fossi io suo madre nella maggior parte dei casi, anche se ammetterlo mi costa parecchio, perché sarebbe anche ora che lei iniziasse a prendersi le sue responsabilità.

E forse, stavolta è arrivato il momento.

Mi rendo conto che, al di là dei miei sentimenti sulla questione, anche per lei è una situazione difficile e inaspettata. E io, da sorella, e per il legame che abbiamo, dovrei pensare ad aiutarla, non ad esserne gelosa.

Avrà bisogno di me, lo so che sarà così, quindi la cosa più giusta che possa fare per lei è mettere da parte l’astio e il dolore, e concentrarmi su ciò di cui lei avrà bisogno.

Proprio per il legame che ci unisce, e l’affetto che provo per lei.

E anche per l’amore che provo per Marco.

Mi impongo di non piangere.

Farà male, malissimo, ma è un sacrificio che sono disposta a fare.

 

Marco's pov

 

Quando vado via, Anna non è ancora rientrata. A questo punto temo davvero che sia andata da Giovanni. Spero almeno che non sia successo quello che ha suggerito il maresciallo l'altra sera.

Ma lei non lo farebbe. ...No?

 

Comunque sia, stamattina, scopro che Cecchini ha reperito i campioni per il test. A tal proposito, io sono ancora incredulo, Zappavigna sembra un così bravo ragazzo. Ma non c'è mai da stupirsi fino in fondo, mi sa.

“Quello adesso sta andando dall’amante,” borbotta il maresciallo, quando l’appuntato va via.

“Controlliamo il segnale GPS, allora. Magari adesso ha un appuntamento, vediamo di capire se le cose stanno come pensiamo. E di chi è questo bambino, soprattutto...”

“Secondo Lei si capisce?”

“Certo! Con il controllo, si saprà senza ombra di dubbio.”

In tutto questo, però, Cecchini ha dimenticato il cellulare a casa.

Ecco, mi sembrava strano fosse andato tutto liscio finora.

 

Anna’s pov

 

La mattina, continuo a lavorare sul caso di questi giorni. Sono in piedi, perché proprio non ce la faccio a stare seduta mentre leggo questi documenti, con la porta dell’ufficio aperta. Quando ci passo vicino, noto per l’ennesima volta Cecchini e Marco confabulare tra loro. Ormai devo venire a capo di questa storia, e mi avvicino di qualche passo per riuscire a sentire qualcosa.

La voce di Marco sembra leggermente tesa.

“... adesso ha un appuntamento, vediamo di capire se le cose stanno come pensiamo. E di chi è questo bambino, soprattutto...”

Quindi, facendo un rapido ragionamento, Chiara ieri sera gli ha detto tutto, come pensavo, e Marco è ancora dubbioso sulla sua effettiva paternità. Ma di che appuntamento parla?

“Secondo Lei si capisce?” Chiede il maresciallo, in tono pacato.

“Certo! Con il controllo, si saprà senza ombra di dubbio.”

Controllo. Mia sorella ha un controllo... da un ginecologo? È questo l’appuntamento a cui si riferiva?

Ma... ce l’ha adesso?

E Marco è qui?

Non riesco a capire.

Prima che possa decidere cosa fare, li vedo dirigersi a grandi passi verso le scale.

Esito solo un attimo, poi mi dico che l’unica soluzione che mi resta è seguirli.

È pur sempre di mia sorella che stiamo parlando. Per quanto possa amare Marco, non deve scappare dalle sue responsabilità, se il figlio è suo.

Arrivano a un palazzo qui vicino, sempre parlottando a bassa voce - io sono troppo distante per sentire cosa dicano - ma quando fanno per entrare, esce invece fuori Assuntina, la figlia di Cecchini, che tiene in mano un cellulare. Non so esattamente cosa stia dicendo, ma approfitto della distrazione del maresciallo per avvicinarmi a Marco, che quando si accorge di me fa un passo indietro.

“Anna! Che ci fai tu, qui?” Mi chiede, allarmato.

Io cerco di mantenere il più possibile la calma, senza molto successo.

“Io?” Sibilo. “Tu che ci fai qui! Te ne vai in giro con Cecchini invece di essere con Chiara per i controlli del bambino!”

Lui mette su un’espressione confusa.

“... Quale bambino?”

Sto per dirgli di non fare finta di niente, quando notiamo Zappavigna scendere le scale del palazzo, accompagnato da una donna bionda e ben vestita che tiene in braccio un bambino che somiglia moltissimo all’appuntato.

Assuntina interrompe la strigliata a suo padre per rivolgere l’attenzione ai tre appena arrivati.

“Chi è questa?” Chiede.

“Ah, io sono la sua-”

“Amante.”

La scena sembra congelarsi per qualche istante, in cui noto l’espressione sorpresa della donna.

“E lui?” Continua Assuntina, indicando il bambino.”

“Mio figlio.”

Tutto è fermo, immobile.

Poi Assuntina assesta un sonoro schiaffo sulla guancia di Zappavigna, da brava figlia del maresciallo.

“Farabutto traditore!” Strilla.

Cecchini sembra sbloccarsi all’improvviso.

“Ma io ti ammazzo!!” Urla, lanciandosi in avanti.

Io e Marco riusciamo a ridestarci in tempo per bloccarlo. Nonostante siamo in due, è parecchio difficile.

Assuntina continua a strillare e piangere e a dirne di tutti i colori, prima di correre via.

Arriva qualcuno che ha sentito il putiferio, ma vedendo me e il maresciallo in divisa, credono che qualcun altro prima di loro abbia avvertito le forze dell’ordine e lasciano stare, per fortuna.

Io non faccio passare un secondo in più, trascinando tutti e tre - Marco, Cecchini e Zappavigna - nel mio ufficio.

Adesso mi sentono.

Sì, anche Marco.

Perché ho fatto una gran confusione e ho frainteso tutto, è vero, ma non ci posso credere, che lui abbia dato corda al maresciallo per questa storia, senza avvertirmi.

 

Marco’s pov

 

Finiamo tutti e tre nell'ufficio di Anna, in riga come scolaretti impreparati.

Noi stiamo zitti a testa bassa mentre lei fa avanti e indietro, furiosa.

“Non ci posso credere, non ci posso credere...” Mormora. “Fare quella scenata davanti a tutti! E tu che gli dai retta!” Fa, rivolgendo l'ultima frase direttamente a me.

Cerco di difendermi. “Però questa volta il Maresciallo c'ha ragione-”

“Shhh!” Mi zittisce immediatamente lei, e io non posso far altro che obbedire all'istante.

“Quello che mi ha deluso più di tutti è Lei,” dice poi a Zappavigna, “e non per il bambino fuori dal matrimonio,” Cecchini prova a protestare ma io lo blocco, “ma perché non me ne ha parlato. E ha mentito a me, a loro e a tutta l'Arma! Questo finisce sul suo fascicolo.” Continua Anna, ma lui non risponde, continuando a guardare dritto davanti a sé.

La strigliata è interrotta da Ghisoni, che in parte peggiora le cose portandole un accertamento richiesto dal Maresciallo.

Dopo aver dato una veloce occhiata ai documenti, ci sbatte tutti fuori dal suo ufficio senza tante cerimonie.

Io però resto indietro, senza uscire, mentre gli altri chiudono la porta.

Devo ancora capire a che accidenti si riferisse quando ci ha raggiunti nella piazzola, poco fa.

Chiara, controlli, bambino. Ma di cosa?

 

Lei non sembra sorpresa, che io sia rimasto.

“Ti avrei comunque richiamato tra un attimo,” mi dice, quando si accorge che sono ancora lì.

“Sì, beh... volevo capire il discorso di prima. Di che parlavi?”

Lei abbassa lo sguardo, sul suo viso si dipinge un’espressione leggermente colpevole.

“È che... in realtà ho frainteso un bel po’ di cose.”

“In che senso?”

“In questi giorni ti avevo visto parlare spesso con Cecchini, e ho sentito per caso qualche frase che hai detto... E mi ero convinta che... che Chiara fosse incinta.”

Io spalanco gli occhi.

“Inc- Cosa? Perché?”

“Malintesi... ti avevo sentito parlare di una notizia sconvolgente, dire che fosse troppo presto, con una relazione che durava da troppo poco tempo, e che anche andare a vivere insieme fosse prematuro... Il dubbio sulla paternità del bambino, e anche Chiara ha detto una frase strana, l’altra sera... Aveva tutto un suo filo logico, per una serie di coincidenze, me ne sono resa conto poco fa. Parlavate di Assuntina e Zappavigna, e di quel bambino.”

Io resto senza parole per qualche attimo.

“No, c’è stato un malinteso enorme, qui... Una cosa del genere, no, figuriamoci... E non solo perché è da poco tempo che ci frequentiamo, ma...” Quant’è imbarazzante fare questo discorso con lei? Ma perché Cecchini finisce per mettere sempre me nei guai, in un modo o nell’altro? “Io, Chiara, non l’ho nemmeno sfiorata... Non devi pensare che noi... insomma...”

“Guarda che non devi giustificarti,” mi blocca Anna, con uno strano tono rassegnato. “Conosco mia sorella. Non devi darmi spiegazioni, non ce n’è bisogno.” Mi rivolge per un attimo uno sguardo incredibilmente commosso. “L’unica cosa che a me importa, è che tu non la prenda in giro, e che anche per te sia importante quanto lo è per lei.”

Dopo questa frase che mi spiazza e mi fa riflettere, Anna torna seria, sedendosi al suo solito posto dietro la scrivania, concentrandosi nuovamente sui documenti che ha davanti, senza aggiungere altro.

Io esco dal suo ufficio senza fiatare, perplesso.

Le sue parole mi risuonano in mente per tutto il resto della giornata.

 

Il giorno dopo, quando arrivo in caserma, noto che Cecchini è decisamente abbacchiato. È arrivato il test di paternità, e lui non vuole nemmeno aprirlo. Io gli dico che ormai, dopo tutta la fatica, almeno vale la pena di vedere la prova definitiva. Lo apro, e capisco immediatamente che abbiamo fatto un casino.

Il bambino non è il figlio di Zappavigna, ma suo fratello.

 

Informo in fretta Anna, che ci riconvoca tutti e tre nel suo ufficio.

L'appuntato ci racconta tutta la storia, di come quella donna sia stata l'amante del padre e che sia rimasta incinta. Ci dice che lui si è assunto le responsabilità solo per non far scoprire niente alla madre.

Cecchini ammette infine che è davvero un bravo ragazzo, anche grazie a una piccola spinta di Anna.

Almeno questa cosa si è risolta per il meglio.

 

Anna’s pov

 

Nel pomeriggio, sono a casa, e ho appena iniziato a prepararmi una cenetta come si deve. Oggi, visto che ho tempo, ho voglia di sperimentare.

Sono riuscita a mala pena a tirar fuori qualche ingrediente, quando suonano alla porta.

Alzo gli occhi al cielo, infastidita.

“Chiara, se ti ho dato le chiavi, perché non le usi? Perché?” Mormoro, convinta che sia mia sorella, come al solito.

Quando apro, però, mi ritrovo davanti l’ultima persona che vorrei vedere.

Giovanni.

“L’ho fatto per te,” esordisce, prima di farsi strada da solo nel mio appartamento.

Trattengo l’improvviso senso di smarrimento, e lo seguo, tirando giù le maniche della maglia che indosso, prima di incrociare le braccia al petto con fare protettivo.

“Volevi sapere perché ho lasciato il seminario... è stato per te. È che ho capito che non importa dove mi trovo o cosa faccio: è che la mia vita non è minimamente completa senza di te. E lo so, lo so, ho sbagliato e ho fatto un casino e ti ho fatto soffrire, ma è servito a qualcosa... ho capito che ti amo e che tu sei tutto quello che voglio.” Dice quasi tutto d’un fiato. Il suo discorso, però, non mi fa l’effetto che dovrebbe, anzi.

“E tutto questo l’hai capito solo ora?” Gli chiedo, contrariata.

“Sì,” ammette lui, “il pm ha ragione, anche se mi costa ammetterlo. Ti ho fatta soffrire, è vero, ma tutto questo mi ha fatto capire che ho commesso uno sbaglio ad andare via, e che sono ancora innamorato di te.”

“Che c’entra Marco con te?”

“Ci siamo incrociati e abbiamo scambiato quattro chiacchiere, qualche giorno fa.”

Io resto interdetta per un attimo: Marco non mi ha detto nulla... ma la cosa in fondo non mi sorprende. Lui e Giovanni non sono mai andati d’accordo.

Inspiro a fondo. Devo mettere fine a questa storia, una volta per tutte.

“Se proprio vuoi saperlo, Marco ha aiutato anche me, a capire molte cose... su di te, su noi due.”

Lui mi rivolge uno sguardo incerto.

“Ho fatto chiarezza, e sono ancora più convinta che avessero ragione le suore, quella volta, ad Assisi. Te l’ho già detto una volta, ma adesso sono davvero certa. Non c’è più il sentimento che dovrebbe esserci. Molto semplicemente, noi due non ci amiamo più. O almeno, io non ti amo più...” Ammetto, anche se fa male, più di quanto avrei pensato. Non volevo ferirlo, ma nemmeno che si illudesse su qualcosa che non esiste più da tempo.

Giovanni resta senza fiato per qualche istante, piantando gli occhi a terra.

Quando torna a guardarmi, c’è dolore nel suo sguardo.

“E tutto questo te lo ha fatto capire il pm?” Chiede amaramente.

“Marco ha fatto molto di più... mi ha mostrato cosa significhi amare davvero qualcuno.” Confesso, e mi sento improvvisamente più leggera.

Adesso non dovrò più fingere, con lui.

“Il maresciallo aveva ragione, quella volta... Il mio treno è passato, ma io non l’ho preso quando ne avevo la possibilità.” Commenta, senza spiegarsi ulteriormente.

“Ci vediamo in giro,” aggiunge, senza incrociare più i miei occhi, andando via senza dire altro. Io non lo trattengo.

Se da un lato mi sono liberata di un peso, dall’altro mi sento in colpa, perché davvero, non volevo fargli così male. Gli ho detto più di quanto intendessi, ma ormai il danno è fatto.

Reprimo questa conversazione in un angolo della mia mente, tornando a cucinare. Ho bisogno di distrarmi e non pensare.

 

Marco’s pov

 

Nel pomeriggio, Chiara passa da casa mia, senza nemmeno avvisarmi.

Comunque sia, avevo intenzione di parlarle.

Le parole di ieri di Anna mi hanno fatto riflettere parecchio.

Mi sono reso conto che ha ragione: non devo prendere in giro sua sorella.

Non che io lo stia facendo, ce l’ho messa tutta finora con lei, ma so che alla lunga non avrebbe funzionato.

Anna però mi ha detto che per Chiara è una cosa seria, importante, quasi a lasciar intendere che l’idea di una famiglia con me l’ha sfiorata davvero.

Ma più ci penso, più capisco che io non voglio le stesse cose che sembra volere lei.

Soprattutto, non con lei.

Non me lo immagino, un futuro insieme a Chiara... non ce la vedo, ad essere mia moglie, ad avere dei bambini... non con lei.

Non è lei, la donna che vorrei al mio fianco per un progetto di vita a lungo termine.

Non è lei, perché la donna di cui sono davvero innamorato è Anna.

Con lei,  che riesco a immaginarla,  una vita insieme.

Me ne rendo conto appieno solo adesso.

E capisco che non voglio illudere ulteriormente Chiara.

Mentre siamo seduti sul divano, e io cerco un modo per aprire il discorso, lei mi precede.

“Marco,” esordisce a un certo punto, mettendosi a sedere più dritta, “tu mi sposeresti?” Chiede candidamente, con un sorriso.

Io mi blocco. Ho sentito bene?

“Co-... sposarti?” Ripeto, per essere sicuro di aver capito. Male, spero.

“Sì! … non dico adesso, dico anche fra due, tre anni, insomma... parlo ipoteticamente. Mi sposeresti? Onesto.”

La mia faccia deve esprimere puro panico, e non so come rispondere senza ferire i suoi sentimenti, anche se so che devo farlo. Di certo non immaginavo di doverle dire la verità così, mi ha completamente spiazzato.

“Sposarti è... è una cosa... importante, cavolo... Eh, una cosa così su due piedi...” Balbetto. Non voglio dirle un 'no' secco, non sono così insensibile. Sì, però se te l'avesse fatta Anna, una domanda così, sai bene che la tua risposta sarebbe stata completamente diversa. E senza esitazioni. Ma Anna non lo farebbe mai. Ecco la differenza principale tra loro: Anna mi conosce, Chiara in realtà no.

“Quindi non sono una tipa da sposare,” asserisce lei con un tono che mi stringe il cuore.

“Sì! Perché? Sei da sposare!” Cerco di rettificare, alzandomi in piedi. Non sarò io a farlo, ma non significa che non lo sia. Noto il suo sguardo incerto. “Sei bellissima, sei intelligente, mi fai divertire che non hai idea, e stare con te è stupendo...” elenco con sincerità, ma lei per qualche motivo non ha la reazione che mi sarei aspettato.

“Dai, Marco...” mi blocca, alzandosi a sua volta.

“Cosa?” Chiedo, sulla difensiva.

“Marco...” mi dice, con un tono leggermente esasperato, mettendosi di fronte a me e incrociando le braccia. “Tu non mi ami.” Mi dice con certezza assoluta, ma il resto non me lo sarei aspettato mai e poi mai. “Ami Anna, vero?” Chiede, ma capisco che non è una vera domanda. Sentire l'amarezza nella sua voce mi dispiace più di quanto pensassi. Io però non riesco a rispondere nulla, e il mio silenzio conferma ulteriormente le sue supposizioni. “Me ne sono accorta da un po'... E vabbè, peccato. Pensavo davvero saresti stato quello giusto,” ammette. “Tu e Anna siete gli unici che non mi avete mai trattata da scema.”

Finalmente riesco a recuperare la parola, e mi avvicino. “A me dispiace, davvero...” Le scuote la testa come a voler minimizzare, ma io mi sento in dovere di scusarmi, è il minimo che posso fare. “No, no, no, te lo giuro... io non volevo prenderti in giro...” Provo a spiegarle, sinceramente.

“Marco, ma che prendere in giro, ma che c'entra?” Mi contraddice lei, e so che ha capito che le mie intenzioni erano delle migliori. “Abbiamo semplicemente fatto un pezzetto di vita insieme, fine.”

“Okay...” riesco solo a dire, distogliendo lo sguardo.

“E comunque non ti avrei mai sposato, lo dicevo ipoteticamente.” Precisa, e mi rendo conto che anche lei stasera era alla ricerca di un modo per chiudere le cose tra noi con la minor sofferenza possibile. Capisco anche di non essere stato poi tanto sottile in sua presenza, specialmente quando c'era anche Anna. Non siamo mai riusciti davvero a nascondere l'attrazione tra di noi, per quanto ci impegnassimo era impossibile.

“Okay...” ripeto.

Mi guarda ancora per qualche istante, poi mi saluta con un leggero bacio sulla guancia, prima di prendere la borsa e dirigersi verso la porta.

Prima di uscire, però torna a voltarsi verso di me.

“Comunque,” dice, in un tono che non ammette scuse, “se ami davvero Anna, e non vuoi fartela scappare, è meglio che ti sbrighi. Ho incontrato Giovanni stamattina, e mi ha detto che aveva intenzione di passare da casa di mia sorella, oggi pomeriggio. Le sue intenzioni mi sembravano chiare.”

Io resto interdetto per un attimo, senza riuscire a capire cosa fare.

Chiara sembra intuirlo.

“Fossi in te inizierei a correre.”

Dopo un ultimo sguardo, apre la porta sparendoci dietro e lasciandomi lì impalato ad annuire, sorridendo come uno stupido perché ha perfettamente ragione.

Le lascio il tempo di fare un pezzo di strada da sola, poi afferro le chiavi e il cellulare, e comincio a correre.

 

È arrivato il momento di lasciarsi alle spalle ogni paura, stavolta in modo definitivo.

 

Quando arrivo alla porta dell’appartamento di Anna, non ho quasi più fiato. Cerco di riprendermi un attimo e, finalmente, busso.

Quando lei apre, spalanca gli occhi per la sorpresa.

“Marco... ciao. Chiara è uscita,” mi informa, convinta che stia cercando lei.

“Sì, sì, lo so, infatti io sono qui per te,” biascico, la voce che sembra non voler tornare. Anna si sposta per lasciarmi entrare in casa, rivolgendomi uno sguardo confuso.

“Tutto bene?” Chiede, preoccupata. “Perché hai il fiatone? Hai corso?”

Io inspiro a fondo, prima di raccogliere il coraggio e dirle finalmente tutto.

“So che è tornato Giovanni, e che forse sono arrivato troppo tardi per colpa delle mie stupide paure, ma ho bisogno di dirtelo...”

Lei continua a guardarmi, incerta, così mi avvicino.

“Io ti amo,” ammetto subito, e lei spalanca gli occhi, accennando un sorriso che mi incoraggia ad andare avanti, “All'inizio ti odiavo, mi stavi antipatica, ma tanto...” Le ride alle mie parole, e per me è solo uno stimolo ulteriore per continuare. “E poi ho capito... che tu sei una intelligente, sei tosta, sei determinata... ma sei anche sensibile, emotiva...” le dico, accennando alle lacrime che vedo luccicare nei suoi occhi verdi che adesso brillano più che mai, “e sei una che davanti al male si sa ancora commuovere. ...E ti amo.” Concludo, la gola che torna a stringersi immaginando tutti i possibili scenari che potrebbero delinearsi da questo momento in poi.

Lei esita un istante, anche se il suo sguardo resta pieno di dolcezza, poi finalmente prende la parola.

“Se mi ami, perché... per-... Quella sera...”

Io le lancio uno sguardo divertito. Lo sapevo che saremmo andati a parare là, ma stavolta le spiegherò ogni cosa. Non ha più senso nascondersi. Non sarebbe stata lei se non avesse chiesto.

“Ti ho preparato la cena... io,” sottolinea con un sorrisetto, “sono venuta a casa tua, eravamo da soli... perché te ne sei andato? E quella sera ti sei messo insieme a mia sorella!”

Chiudo gli occhi per un istante prima di tornare a guardarla.

“Perché ho avuto paura quando hai spostato quel... pouf,” confesso, finalmente.

Lei però ha uno sguardo perso. Non si ricorda, ovvio che non ha capito che il problema è stato quello, come poteva? L'hai cacciata via subito dopo!

“Che pouf?” chiede infatti, confusa.

Io sospiro allontanandomi di qualche passo, più che altro per scaricare la tensione, poi inizio a spiegarle tutto.

“Io, quando stavo con la mia ex fidanzata, la prima cosa che mi ha buttato via è quel pouf su cui guardavo le partite. Poi ha buttato via le mie uscite allo stadio, la moto, i grassi idrogenati, poi i miei amici, ha buttato via...” elenco, mentre lei cerca di stare al seguito del mio discorso, chiudendo gli occhi e spostando i capelli su un lato, comprendendo finalmente qual è stato il tassello che ha fatto saltare tutto. “Alla fine è riuscita a cambiarmi perfettamente. E sai cos'ha fatto? Ha buttato via anche me! 'Eh, non eri più quello di prima'...” Finisco, citando le parole della mia ex al primo confronto dopo aver scoperto che mi tradiva.

 

Lei resta un attimo a soppesare le mie parole, poi si avvicina, un lampo di preoccupazione passa nelle sue iridi verdi. “Tu hai paura che io... voglia cambiarti.” Sussurra.

“No!” nego subito, stringendole le spalle per rassicurarla. “No, no, no, beh, tu non sei Federica! Con lei, ero diventato l’ombra di quello che sono sempre stato, me ne sono reso conto troppo tardi. Ma con te è diverso... Con te posso essere me stesso, senza la paura di fare sempre la mossa sbagliata. E sono già cambiato anch’io, grazie a te... Ho smesso di essere cinico, ho capito che a volte basta solo ascoltare più attentamente per comprendere le ragioni dietro a certi gesti. Ho capito che non bisogna mai fermarsi alla superficie, perché appena sotto di essa, c’è sempre un mondo celato da scoprire passo passo. Come ho fatto con te... Se mi fossi fermato all’apparenza, avrei continuato a pensare che non saremmo mai potuti andare d’accordo. Non avrei mai scoperto la persona meravigliosa che sei.”

 

Prima che riesca ad aggiungere altro, Anna mi getta le braccia al collo e, cogliendomi quasi alla sprovvista per via del suo gesto inaspettato, mi bacia.

La mia sorpresa dura solo un istante.

Mi ritrovo a rispondere al suo bacio senza nemmeno rendermene conto, assaporando quel contatto tra le nostre bocche che tanto ho desiderato in questi mesi.

Finalmente.

La stringo forte a me, inebriato dalla sua vicinanza, approfondendo il bacio.

Quanto vorrei che questo momento durasse per sempre.

Non so quanto tempo dopo ci separiamo, e solo per mancanza d’aria.

Comunque sia, io non lascio la presa: voglio tenerla tra le braccia il più possibile. Anna non si ritrae, quindi non credo le dispiaccia.

Mi accarezza una guancia, fissandomi con lo sguardo colmo di dolcezza.

“Non saresti arrivato tardi in nessun caso,” esordisce dopo qualche istante, “Giovanni è venuto qui, poco fa, ma... Gli ho detto la verità. Non volevo illuderlo. Non posso tornare con lui, non lo amo più.”

Spalanco gli occhi davanti alla sua confessione. L’avevo intuito, certo, ma sentirmelo dire così è tutta un’altra cosa.

Lei fa un piccolo sorriso.

“Era già finito tutto prima della gita al monastero, glielo avevo già detto. Rivederlo è stata solo un’ulteriore conferma che per lui non provassi più niente. Perché mi sono innamorata di te. L’ultima persona che avrei mai immaginato di volere al mio fianco, eppure...”

Non resisto, e torno a baciarla. Dubito che mi sazierò tanto presto.

Dopo qualche istante, Anna si scosta, ridacchiando.

“Che c’è?” Chiedo, divertito.

“È che mi è venuta in mente una cosa... La prima volta che ho cenato a casa tua, mi hai detto che noi donne abbiamo aspettative troppo alte, e che l’uomo che cerchiamo non esiste in natura. Oppure c’è, ma è un prete. Ti ricordi?”

Annuisco, senza capire dove vuole arrivare.

“Beh, per quanto mi riguarda, l’uomo che cercavo l’ho trovato, esiste eccome, e non è un prete. È un Pubblico Ministero.”

 

 

Eccomi!! Beh, che dire, le idee di Martina sono sempre fantastiche, e penso che questa versione alternativa sia tra le mie preferite in assoluto.

Spero sia piaciuta anche a voi!

A presto!

  

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Capitolo 19
*** Le favole del Maresciallo C. - Acquasparta ***


 

Le favole del maresciallo C. - Le mille e una fonte

 

C’era una volta, nella valle del fiume Naia, tra le fonti dell’Amerino e di Furapane, un re che non sapeva più amare. Egli era stato tradito dalla sua sposa e, da allora, il suo cuore si era ammalato. Un giorno, una fanciulla raccolse dell’acqua da una fonte nascosta: lei non lo sapeva, ma quell’acqua aveva dentro lacrime d’amor perduto. Lungo la via di casa, la fanciulla incontrò il re assetato, e gli porse la sua acqua. E senza nemmeno rendersene conto, grazie a quell’acqua miracolosa, il re guarì dal mal d’amore, e il suo cuore fu pronto ad amare di nuovo.

 

Marco’s pov

 

È una splendida giornata di inizio giugno.

E non solo per il sole e il cielo azzurro senza traccia di nuvole, ma soprattutto perché in questa mattina così bella, Anna cammina al mio fianco per le strade di Acquasparta.

In realtà siamo qui per un motivo banale: mi ha detto di aver visto delle immagini storiche di questo paesino che, come moltissimi altri borghi umbri, nasconde delle vere perle, e che le sarebbe piaciuto molto visitarlo, aggiungendo una non molto velata richiesta di accompagnarla.

Inutile dire che non c’è stato bisogno che lo ripetesse due volte.

Così abbiamo scelto il primo sabato libero disponibile per entrambi, e stamattina ci siamo messi in macchina di buon ora, per avere più tempo a disposizione.

Non solo per fare ‘i turisti’, ma anche da passare insieme.

Ultimamente lo facciamo sempre più spesso, anche per via delle lezioni di cucina, e ammetto che adoro spendere le ore fuori dal lavoro in sua compagnia. Non che avessi dubbi al riguardo, ma ho avuto una ulteriore conferma su quanto lei sia... speciale.

Sì, perché anche se quel bacio l’abbiamo etichettato come ‘errore’, per me non lo è stato. Inaspettato, certo, ma incredibile. Un errore che mi ha lasciato addosso il desiderio di ripeterlo.

Forse abbiamo solo bisogno di tempo, di capire, e in fondo credo proprio che non disdegni nemmeno lei la mia compagnia, se mi ha perfino chiesto di accompagnarla qui, no?

Per questo voglio godermi ogni istante che mi concede, e lascerò il destino fare il suo corso.

La osservo di sottecchi per qualche istante, sperando che non se ne accorga. Indossa quella camicetta blu che le dona un sacco, un paio di semplici jeans e un soprabito leggero, vista la frescura inusuale per il mese di giugno, con i capelli ramati sciolti sulle spalle. Il viso pulito, acqua e sapone come sempre, un sorriso baluginante sulle labbra, gli occhi spalancati e curiosi, le iridi chiare di sole. In questa sua semplicità, è bella oltre ogni dire.

Mi impongo di non andare troppo in là con i pensieri, perché siamo amici, niente di più, e non voglio rischiare di rovinare la giornata.

Intanto siamo finalmente arrivati a una delle tappe previste per oggi, Palazzo Cesi.

Con un gesto della mano, la invito a entrare per prima.

Decido di fare la ‘guida’ della situazione, raccontandole un po’ la storia di questo posto.

“È Palazzo Cesi, fu la prima sede dell’Accademia dei Lincei, e fu fondata da Federico Cesi agli inizi del Seicento,” spiego.

Anna mi ascolta attentamente, con un’espressione quasi scioccata. “Non ti facevo un esperto di storia!” ridacchia, lanciandomi uno sguardo divertito.

Sento un vago calore arrampicarsi sul mio volto.

“No, beh, è che... era una delle materie che preferivo, a scuola, soprattutto il periodo medievale, e l’Umbria è ricca di borghi, e...” biascico, senza rendermi conto del perché io sia tanto in difficoltà.

“Guarda che non devi giustificarti, anzi... è una cosa bella,” mi viene incontro lei, con un sorriso. “Si capisce dal modo che hai usato, che ti piace molto. E poi, il tono da professore ti si addice, sai?”

Le lancio un’occhiata a metà tra l’incerto e il lusingato. “Ah, sì?”

“Mh-mh,” annuisce. “Spero non vorrai lasciare la spiegazione a metà, adesso! Ora sono curiosa.”

“Hai intenzione di tartassarmi con le domande?” Chiedo, divertito, conoscendola.

“Mi sembra ovvio... vuoi che non approfitti di avere una guida tutta per me?”

Scuoto la testa con un sorriso, prima di riprendere con il racconto.

Anna non si perde una parola, mostrando quasi più entusiasmo di me.

Ed è una cosa che mi piace da morire.

 

Una volta concluso il giro all’interno, ci apprestiamo a riprendere il percorso. Siamo appena usciti dal grande portone del Palazzo, quando ci viene incontro un venditore di rose, rigorosamente rosse, che tiene fra le braccia.

Oh-oh.

Si avvicina a noi, tendendone una.

“Una rosa per la sua splendida fidanzata?”

Lancio uno sguardo di traverso ad Anna: non so chi dei due sia più in imbarazzo. Con un pizzico di stupore, però, mi rendo conto che nemmeno lei sta correggendo l’uomo, quindi non vedo perché debba farlo io.

Comunque sia, la situazione in corso è ambigua, e non vorrei rischiare, o correre, o creare malintesi, oltre al fatto che lei non ama particolarmente le rose rosse, quindi rifiuto con quanta più gentilezza riesco a mettere insieme.

“Ehm... no, no, grazie...”

Noto Anna fare un piccolo sospiro di sollievo.

Meno male, per un attimo ho avuto paura di stare sbagliando tutto.

Cerco di dissimulare al meglio l’imbarazzo che ancora persiste e, gettando uno sguardo più avanti, intravedo dei tavolini - un’ancora di salvezza.

“Ci prendiamo una cosa al bar?” biascico, indicandolo.

Lei fa una piccola risata.

“Sì...” risponde soltanto, lanciandomi uno sguardo divertito - di nuovo - facendomi rendere conto che il rossore sul mio volto è ancora lì.

Benissimo... ti sei fatto beccare.

 

Ci accomodiamo, ordinando due caffè, insieme ai quali ci portano anche due bicchieri d’acqua. Ne prendo un sorso, e mi torna in mente un accenno che aveva fatto Anna proprio riguardo alle fonti che dovrebbero esserci in questa zona. E infatti...

“Che buona!” Esclama lei, dopo aver bevuto a sua volta. Osserva il bicchiere per un secondo, prima di riprendere a parlare. “Siamo circondati da fonti di acque curative: Massa Martana, Avigliano Umbro e Acquasparta... C’è tutto l’itinerario delle acque minerali di cui ti parlavo.”

Le rivolgo un’occhiata indagatrice, corrugando le sopracciglia, mentre un’idea mi balena in mente. “Ah, quindi tu mi hai trascinato qui... solo per bere dell’acqua?”

Anna si lascia sfuggire un’espressione leggermente colpevole che tradisce le sue intenzioni. Trattengo un sorrisetto. “No! È che... ci tengo alla tua salute!”

Alla sua battuta non resisto, mettendomi a ridacchiare. Stavolta è il suo turno, di arrossire un pochino.

Sto per rispondere per le rime, quando un suono melodioso distrae entrambi: un giovane violinista ha iniziato ad aggirarsi tra i tavolini del bar, raggiungendo in fretta il nostro - l’unico con una ‘coppia’, per cui non è un caso che sia venuto quasi direttamente qui.

Ci scambiamo uno sguardo lievemente imbarazzato - l’ennesimo, oggi - in attesa che il ragazzo si allontani.

Poi è Anna a prendere la parola, con un’espressione maliziosa che non promette niente di buono.

“Prima le rose, poi il violino...” Elenca, inarcando le sopracciglia. “Non è che trovo un anello sotto il piattino?”

Io ricambio a mala pena l’occhiata, senza riuscire a reprimere un sorrisetto per l’assurdità delle coincidenze che si sono venute a creare.

Per un istante sono tentato di rispondere diversamente, ma poi mi torna in mente l’errore e la paura ha il sopravvento. Opto per una battuta, che comunque non è così lontana dalla realtà, almeno al momento. “Ah, se c’è, ti giuro che non è il mio, sicuro proprio...” Replico, con un gesto eloquente della mano, a cui lei risponde con una breve risata.

Decido di stemperare la tensione che, per qualche strano motivo, sembra persistere.

“Brindiamo?” Propongo, sollevando il bicchiere d’acqua.

Anna fa lo stesso col suo, tornando a guardarmi. “A cosa brindiamo?”

Metto le mani avanti, perché temo di averla messa in difficoltà, o forse non è colpa mia ma solo delle rose, del violino e l’atmosfera da proposta di matrimonio che pesa come un macigno su entrambi.

“All’amicizia.”

La sua replica non si fa attendere. “Assolutamente d’accordo.”

Ricaccio indietro la delusione.

Avviciniamo i bicchieri, facendoli tintinnare quando entrano in contatto.

Prima di portare il suo alle labbra, Anna mi rivolge uno sguardo talmente intenso da farmi mancare il fiato e, probabilmente, qualche battito.

Spalanco gli occhi, cercando in tutti i modi di capire cosa mi stia succedendo, lanciandole poi un’occhiata incerta, come a chiederle se abbia gettato su di me qualche strano incantesimo, ma lei sembra non farci nemmeno caso, impegnata a bere, la sua attenzione rivolta ad altro.

Approfitto del temporaneo silenzio tra noi per calmarmi.

Non so nemmeno il perché di questa mia reazione.

Non è successo niente di particolare, mi ha solo guardato... eppure...

Eppure hai avuto l’impressione di perderti, in quel suo sguardo di smeraldo. Avrebbe potuto chiederti qualsiasi cosa in quegli istanti, e non saresti mai stato capace di dirle di no.

Quegli occhi verdi che si ritrova saranno il tuo paradiso e il tuo inferno.

 

Anna’s pov

 

Ingoio, insieme all’acqua, la delusione.

Non so darmi nemmeno un buon motivo per sentirmi così, però...

Non sarei dovuta rimanerci male, eppure il sentimento che è risalito su per la mia gola è quello, senza ombra di dubbio.

Sono stata io stessa a dirgli che quel bacio tra noi, settimane fa, è stato un errore, e Marco mi ha dato ragione, quindi adesso perché mi sento come se mi fossi ritrovata davanti a una strada sbarrata?

Non stiamo insieme, e niente potrebbe averlo messo nero su bianco meglio della sua reazione davanti alle rose, al violino e alla mia battuta sciocca sull’anello.

L’ho detta senza nessun fine, davvero, mi è venuta spontanea, mi aspettavo solo che ridesse, chiudendo il discorso... insomma, non quella risposta.

Non è nemmeno stata una risposta così improbabile, a dire la verità, vista la batosta che entrambi abbiamo ricevuto in ambito ‘matrimonio’, ed era prevedibile, la sua ritrosia perfino a contemplare l’idea.

Solo che non pensavo mi avrebbe fatto così male.

Per le rose, non ci ho minimamente fatto caso, anzi... Marco sa benissimo che non mi piacciono molto, soprattutto non quelle rosse, quindi non me la sarei mai presa per quel motivo. Anche perché, ero rimasta ferma al fatto che il venditore avesse fatto riferimento a me come alla fidanzata di Marco, e lui non aveva nemmeno tentato di correggerlo, limitandosi a declinare gentilmente l’offerta.

Certo, quell’uomo probabilmente non lo rivedremo mai più, e non avrebbe fatto molta differenza, nel suo caso, sapere che non stessimo insieme, ma quel termine, associato a me, mi aveva provocato le farfalle allo stomaco come non le sentivo più da un sacco di tempo, soprattutto perché Marco non aveva obiettato.

Forse nemmeno a lui quel malinteso dispiaceva, in fondo.

 

Per fortuna ha pensato lui a salvarci dall’imbarazzo del momento, senza sospettare che saremmo presto incappati in un altro.

Forse non è stato il commento per l’anello quello che mi ha più ferita, in realtà, ma il suo brindisi all’amicizia.

Un riferimento più che palese alla nostra relazione.

Amici.

Siamo colleghi, no? Colleghi, al massimo amici...’

Sì, giusto... Sono contento che pensiamo la stessa cosa.’

Ho accettato il tentativo di stemperare la tensione, e mi sono mostrata d’accordo anche se ho dovuto lottare con me stessa per non ribattere che non avrebbe potuto scegliere brindisi più sbagliato.

Un errore l’ho commesso, però: quando i bicchieri si sono incrociati, ho sollevato lo sguardo per incontrare il suo, e ci ho messo dentro più di quanto avrei voluto. Ho abbassato gli occhi il più in fretta possibile, pregando che Marco non si fosse accorto di nulla.

È già capitato più di una volta, che riuscisse a leggerci dentro più di quanto avrei voluto, o intendessi lasciargli vedere, e non era il caso che succedesse la stessa cosa, poco fa.

Sono contento che pensiamo la stessa cosa.’

Amici. Siamo amici. L’ha messo bene in chiaro, ancor di più con quel brindisi.

Mettiti l’anima in pace.

E smettila di pensare troppo, limitati a goderti la giornata con lui.

 

Marco’s pov

 

Continuiamo la nostra esplorazione cercando di lasciarci alle spalle quanto accaduto in mattinata. Proprio mentre siamo a pranzo in una locanda in cui ci siamo imbattuti sulla strada, veniamo a sapere che in questo periodo è in corso la Festa del Rinascimento, e che anche stasera è previsto un evento.

“C’è il ‘Grande Corteo delle Contrade’, a quanto pare...” mormora Anna, leggendo sul libretto del programma che abbiamo recuperato all’ingresso. Solleva lo sguardo su di me, accennando un sorriso. “Scommetto che a te piacerebbe vederlo.”

Ricambio il sorriso, leggermente in imbarazzo. “Sono così prevedibile?”

“No, ma hai detto che ti piace la storia, e questo è un corteo storico...”

“Davvero non ti dispiacerebbe se ci fermassimo fino a un po’ più tardi del previsto, stasera?”

“Se a te fa piacere, perché no? E poi, sarà interessante. Non ho mai assistito a un evento del genere, e dopo i tuoi racconti di oggi, calzerebbe a pennello.”

“Allora affare fatto: restiamo!” Esclamo con entusiasmo, provocandole una risata.

Chiunque abbia ascoltato le mie preghiere... grazie.

Anche solo per avermi concesso di sentirla ridere così.

 

La scelta si rivela azzeccata. Il corteo è meraviglioso, e ne è assolutamente valsa la pena, trattenerci più a lungo.

L’unica pecca è che la serata è parecchio fresca, la temperatura è scesa di qualche grado, e noi non siamo partiti preparati, visto che in teoria saremmo già dovuti essere a casa. Io non ho molto freddo, Anna invece ogni tanto rabbrividisce.

Si sente anche qualche tuono in lontananza.

Al suo ennesimo tremito, mando al diavolo il timore e le passo un braccio attorno alle spalle, avvicinandola un po’ a me.

“Ecco,” mormoro, stringendola appena, “magari così sentirai meno freddo.”

Noto le sue guance tingersi di rosso, e un flebile ‘grazie’ sussurrato mentre si rilassa tra le mie braccia.

Vale davvero la pena rischiare, per un momento così.

Quando ci avviamo verso il punto in cui abbiamo parcheggiato la sua auto, inizia a piovigginare.

Io ho optato per una giacca di pelle*, oggi, quindi sono a posto.

“La manifestazione è finita appena in tempo,” commenta Anna, stringendosi nel soprabito leggero e, sfortunatamente, non impermeabile.

Quando raggiungiamo la macchina, siamo quasi zuppi: il temporale ha acquistato forza.

Una volta nell’abitacolo, all’asciutto, faccio per mettere in moto, ma il motore non parte. Zoppica diverse volte, per poi non dare più segni di vita; attorno a noi, il diluvio.

“Stiamo scherzando...” mormoro, provando di nuovo a girare la chiave. Niente.

“Ma non è possibile... ho fatto la revisione un paio di settimane fa! Proprio adesso deve dare problemi?”

“Provo a chiamare un carroattrezzi.”

Ma, alla risposta, mi trattengo dal mandare il tipo a quel paese.

A detta sua, ‘con questo tempaccio, non è il caso di farne partire uno’.

“Quindi loro non possono darci una mano, ma noi possiamo restare qui?” Borbotta Anna, infastidita quanto me.

Cerco mentalmente una soluzione.

“Nella strada parallela a questa, siamo passati davanti a un b&b. Possiamo provare a vedere se hanno stanze disponibili. Anche perché tu stai morendo di freddo.”

Blocco le sue proteste sul nascere, intimandole di restare all’interno dell’abitacolo mentre io vado a chiedere alla reception. Si arrende con un sospiro.

Torno dopo pochi minuti.

“Vuoi prima la notizia positiva o quella negativa?”

Anna corruga le sopracciglia.

“Vai con la positiva, così forse l’altra migliora un po’.”

Accenno un sorriso storto.

“Beh, la notizia positiva è che il posto c’è.”

“Oh, bene... E quella negativa?”

“Ehm... c’è solo una stanza disponibile. Matrimoniale.”

Perfino con questa luce fioca proveniente dalla strada sarebbe impossibile non notare il rossore sul viso di Anna.

“Ah.”

“Quindi? Andiamo? Giuro che farò il bravo.”

Lei mi rifila un colpetto sul braccio, facendomi ridere.

“Scemo.”

Vista la mancanza di reali alternative, ci affrettiamo a raggiungere l’hotel.

La pioggia continua a imperversare.

Non avevo capito che c’era un pegno da pagare, per il momento romantico.

Inutile dire che siamo più inzaccherati di prima.

Dopo esserci registrati alla reception, facciamo le scale a due a due, affrettandoci a entrare in stanza, gli arti che pizzicando per il cambio drastico di temperatura.

Non vedo l’ora di togliermi questi vestiti zuppi di dosso.

Anche se, tutto sommato, la mia camicia è pressoché asciutta, protetta dal giubbotto di pelle: basterà al massimo un colpetto di phon caldo.

Ad Anna è andata molto peggio perché il suo soprabito, non essendo impermeabile, non ha tenuto.

Lei se lo sfila velocemente di dosso, appoggiandolo a una sedia vicino a un calorifero.

Faccio del mio meglio per distogliere lo sguardo quando noto che, per via della pioggia, la camicetta le si è praticamente incollata addosso.

“Ehm... puoi... puoi andare tu per prima,” balbetto, facendo cenno al bagno.

“Sicuro?” Chiede, incerta, con un altro brivido.

“Sicurissimo. Una doccia calda ti farà bene.”

Mi rivolge un piccolo sorriso di ringraziamento, prima di chiudersi la porta alle spalle. Poco dopo sento l’acqua scorrere.

Nel frattempo, constato che avevo ragione: la mia camicia ha resistito, così come la maglia a maniche corte che per mia fortuna ho messo sotto.

Io sono a posto.

Poggio le mani sul termosifone, alla ricerca di un po’ di calore, mentre attendo che Anna esca.

Dopo qualche minuto, sento la serratura del bagno scattare, e il suo viso fare capolino dallo spiraglio di porta aperto.

“Tutto bene?” Le chiedo, con un pizzico di preoccupazione.

“Sì, sì, è solo che... i miei vestiti sono fradici e... non ho niente da mettermi. Non ci avevo pensato...” mormora con un filo di voce, le guance rosse, non so se per effetto dell’acqua calda o per l’imbarazzo.

Cerco di farmi venire in mente una soluzione.

“A questo posso rimediare io...” suggerisco, sfilandomi la camicia per poi porgergliela. “I miei vestiti sono asciutti, e ho la maglietta. Puoi prenderla tu, questa. Anche se credo che ti farà un po’ da vestito...” Provo a sdrammatizzare.

Per fortuna, la mia battuta funziona, e lei accetta la proposta.

“Grazie.”

Quando esce, pochi minuti dopo, a piedi nudi e con solo la mia camicia addosso, per qualche attimo mi dimentico come si fa a respirare. Ricordo di aver provato una sensazione simile quella volta, quando l’ho invitata a cena che ci conoscevamo appena, e lei si presentò con quel vestitino da far girare la testa. Anche allora la mia mandibola finì a terra.

Stavolta però siamo reduci da molte più cose successe tra noi, quindi c’è molto di più dietro alla mia reazione.

Anna, che ha ovviamente notato tutto, abbassa gli occhi a terra, mordendosi le labbra in un evidente segno di imbarazzo.

Non fare così, che non rispondo di me...

Cerco di darmi una svegliata senza molto successo, quando il suo cellulare squilla, facendoci sussultare per la sorpresa.

Torno a respirare mentre lei risponde dopo essersi schiarita la voce.

“Sì, maresciallo...”

Cecchini. E ti pareva.

O forse dovrei ringraziarlo?

“No, non si preoccupi... ci ha beccati il temporale e siamo rimasti qui... sì...” mormora.

Io le faccio cenno verso la porta del bagno, visto che lei ha terminato.

Annuisce, continuando la conversazione con un preoccupatissimo Cecchini.

Ho bisogno decisamente di una doccia.

Fredda.

 

Quando esco, Anna è seduta su un lato del letto.

“Ehi... che ci fai ancora lì? Pensavo che ti avrei trovata già sotto le coperte,” scherzo.

Lei accenna un sorriso.

“Non sarebbe stato carino da parte mia, addormentarmi prima.”

Faccio un cenno per minimizzare la cosa.

“Cecchini?”

“Si è tranquillizzato, più o meno. Mi ha detto di salutarti.”

Corrugo le sopracciglia, dubbioso.

“Nient’altro?”

“Non gli ho detto della stanza matrimoniale.”

“Ah, ecco,” rido. Se lo avesse saputo, penso che ce lo saremmo ritrovati qui nel giro di mezz’ora, altro che diluvio. “A proposito, dormo io sul divano.”

“Ma no, posso dor-”

“Non era una domanda e non accetto proteste. Dormo io sul divano.”

Dopo aver tentato uno sguardo da cucciolo che ignoro deliberatamente, Anna alza le mani in segno di resa.

“Starai scomodissimo, sei troppo alto per entrarci,” prova comunque a dissuadermi.

“Per una notte va più che bene. Non riuscirai a convincermi a far cambio.”

 

Restiamo a chiacchierare un altro po’, ma non posso fare a meno di notare che, nonostante la doccia calda e le coperte, Anna continua ad avere brividi.

“Hai freddo?” Le chiedo, preoccupato. La temperatura della stanza è decisamente alta, non è normale che stia così.

“Un pochino,” ammette con riluttanza dopo qualche istante, al che mi sorge un dubbio.

Mi alzo in fretta dal divano, raggiungendo il letto in poche falcate.

Così vicino a lei, mi rendo conto subito che ha gli occhi lucidi.

Mi basta appoggiare appena la mano sulla sua fronte per capire che ha la febbre. Anche abbastanza alta, credo.

“Anna, ma tu scotti!”

“Non è niente...”

“Come, no? Non va bene così, perché non me l’hai detto prima?”

“Sto bene, davvero, sarà solo qualche linea...”

Scuoto la testa.

“Adesso chiamo la reception, vediamo se hanno qualche medicina che puoi prendere. O, almeno, qualcosa di caldo da farti bere.”

Ignoro ancora una volta i suoi tentativi di protesta, sollevando il ricevitore del telefono della stanza.

Sfortunatamente non hanno nulla per abbassare la febbre, ma dopo pochi minuti portano su un tè caldo per lei.

Ringrazio la ragazza, richiudendo piano la porta.

Mi siedo sul letto accanto ad Anna, porgendole la tazza.

“Ecco qui... attenta che scotta.”

Giuro, farei qualsiasi cosa per quel sorriso.

Resto con lei assicurandomi che beva tutto, prima di sfilarle la tazza ormai vuota dalle mani e posarla sulla scrivania in un angolo della stanza.

Faccio per tornare sul divano, quando Anna mi blocca.

“Aspetta... Puoi... potresti stare un altro po’ qui con me?”

Dire che sono sorpreso è poco, ma non mi passa neanche per la mente, di rifiutare.

Mi siedo accanto a lei, con la schiena contro i cuscini appoggiati alla testata del letto.

Il mio cuore salta un battito quando Anna appoggia la testa sulla mia spalla, gli occhi chiusi.

Per quanto questa situazione sia surreale, lascio che l’istinto prenda per il momento il sopravvento, circondandole la vita con un braccio.

Passano alcuni minuti in cui nessuno dei due dice nulla.

Poi è Anna a prendere la parola.

“Sai, nessuno, da un sacco di tempo, si era più preso cura di me come stai facendo tu...” mormora.

Io le rivolgo uno sguardo incerto, senza fiatare.

“Ma non solo stasera... hai fatto tantissimo per me in questo ultimo periodo, e non so come ringraziarti... Avevo dimenticato cosa volesse dire, sentirsi così... accettata...”

Rimango per qualche istante senza parole, spiazzato. Tutto mi sarei immaginato, meno questo.

Non capisco nemmeno se è davvero lei a parlare oppure la febbre, che le fa dire più di quanto voglia, o intenda.

Dopo averci riflettuto un attimo, mi decido a rispondere.

“Non devi ringraziarmi, non ce n’è bisogno, davvero...” dico, sincero, prendendo ad accarezzarle distrattamente i capelli mentre lei alza gli occhi per incrociare i miei. “Anche perché, come ti ho già detto quella volta al poligono, non devi dimostrare niente a nessuno, non devi essere sempre la più forte, davanti a qualsiasi cosa... Chiedere aiuto è umano, e di certo non è un segno di debolezza.” Inspiro a fondo prima di continuare. “Ci sono momenti in cui si ha bisogno di qualcuno accanto...”

Anna abbassa per un istante lo sguardo. “Io non ho bisogno di qualcuno...” Sussurra.

Sto per obiettare, quando lei riprende a parlare.

“Io ho bisogno di te.”

Il tempo sembra fermarsi all’improvviso, mentre i nostri occhi restano incatenati.

Mi manca il fiato.

Non so chi dei due si sia avvicinato per primo, ma so per certo che la sto baciando, dopo mesi passati a desiderare di risentire le sue labbra sulle mie.

Ho la certezza che non sia tutto frutto della mia immaginazione quando sento la sua guancia calda sotto i polpastrelli, l’altro braccio che scende a circondarle la vita esile, mentre le sue mani si aggrappano alla mia maglietta.

Non so con quale forza interrompo il contatto.

So solo che a un certo punto mi rendo conto che quello che sto facendo è sbagliato: Anna ha la febbre, non è completamente in sé, e forse non voleva nemmeno dire quelle cose, figuriamoci baciarmi. Continuare avrebbe significato approfittarmi del suo stato vulnerabile, e l’ultima cosa che voglio è che si penta per qualcosa che io avrei dovuto impedire.

“Io... scusami... no-non so cosa mi è preso...” biascica lei, il viso in fiamme, scostandosi da me.

Questa improvvisa distanza tra noi mi procura quasi un male fisico che mi sforzo di reprimere.

“Sta’ tranquilla, non... non è successo niente...”

Mi do mentalmente dello stupido, pensando a un modo per stemperare la tensione.

Dobbiamo condividere queste quattro mura per il resto della notte, vedi di fare qualcosa.

“Che ne dici, accendiamo la tv?” Propongo esitante, e lei si limita ad annuire.

Passano diversi minuti, nei quali Anna torna ad appoggiare la testa contro la mia spalla, il respiro leggermente affannato.

Dopo un po’ mi rendo conto che si è addormentata.

Spengo la televisione, che nemmeno stavo guardando, in realtà, perché non vorrei inavvertitamente svegliarla. Ha bisogno di riposare.

 

Ripenso a tutto quello che è successo nelle ultime ore.

A come una giornata in apparenza normalissima abbia preso una rotta completamente inaspettata.

Abbasso lo sguardo su di lei, che dorme tranquilla tra le mie braccia, come se fosse la cosa più naturale del mondo essere qui, in questa situazione, così, insieme.

Mi chiedo se, quelle cose che mi ha detto poco fa, le pensasse veramente, oppure fosse solo la febbre a parlare.

Però... se non le avesse pensate davvero, forse non le avrebbe dette. Può darsi che se le sia lasciate sfuggire e abbia detto più di quanto intendesse rivelarmi, ma che le sue parole corrispondessero a verità.

Quel bacio... avrei tanto voluto non interromperlo mai, ho sperato in un istante infinito.

Perché nonostante la febbre e tutto il resto, è stato perfetto.

Come il primo.

Dolce, senza pretese, voluto... non solo da me, forse.

Non mi avrebbe risposto in quel modo, se così non fosse.

Non con quella passione e quel desiderio malcelati.

Ho riconosciuto nei suoi gesti i miei stessi sentimenti.

La verità è che ho avuto paura. Non so, che lei se ne pentisse, che mi dicesse che non era in sé, che era stato tutto un fraintendimento.

Però... mentirei, se dicessi che non vorrei baciarla ancora, che se fosse per me, resterei qui con lei per sempre.

Mi incanto di nuovo a osservarla, e riesco solo a pensare a quanto vorrei che situazioni come questa, con lei addormentata abbracciata a me, fossero scene di vita quotidiana.

Anna sospira appena nel sonno, serrando istintivamente di più le braccia attorno al mio busto.

Ricambio la sua stretta con un piccolo sorriso, lasciandole un bacio leggero sui capelli.

Comunque stiano le cose, non posso non intenerirmi di fronte alla fiducia assoluta che sta dimostrando nei miei confronti, anche in questa circostanza.

Conoscendola, so bene che non è una cosa da dare per scontata. Tutt’altro.

Se ha lasciato che mi prendessi cura di lei, soprattutto stasera, significa che si fida davvero di me, e non posso che sentirmi onorato di questo.

So che in genere vuole risolvere sempre tutto da sola per dimostrare che può farcela e per non dare disturbo agli altri, ma a me non dispiace starle accanto.

Mi si stringe il cuore ripensando a quando mi ha detto che non era più abituata a sentirsi accettata.

Conosco la sensazione, e nel suo caso è ancora peggio per un sacco di motivi diversi, perché so da cosa deriva la sua insicurezza, ed è davvero ingiusto.

Sua madre, il suo carattere, l’essere donna, la divisa...

Sono aspetti che non dovrebbero mai condizionare la vita di una persona, eppure nel suo caso è successo, e nonostante Anna cerchi sempre di non darlo a vedere, so che ci soffre molto.

Davvero, io vorrei solo che fosse felice.

Senza nemmeno rendermene conto, mi addormento, stringendola ancor di più tra le mie braccia.

Stanotte non avrò bisogno di sognare di svegliarmi con lei al mio fianco.

 

Anna’s pov

 

Quando mi sveglio, l’orologio indica che sono passate da poco le 7 del mattino.

Il mio cuore fa un balzo quando mi rendo conto di non essere a casa mia, ma di trovarmi in una stanza d’albergo abbracciata a Marco.

Sbatto più volte le ciglia, ricordandomi gli eventi della notte scorsa.

E l’unica cosa che riesco a pensare è che sono una stupida.

Solo io potevo cacciarmi in un casino del genere.

La febbre, soprattutto se alta, tende a sciogliere la lingua, ed è esattamente quello che è successo a me ieri sera.

Se mi fossi fermata a ringraziarlo per la sua gentilezza, la scusa avrebbe anche potuto reggere, ma non sono riuscita a trattenermi quando mi ha detto che a volte si ha bisogno di qualcuno accanto.

Le parole mi sono uscite di bocca prima che potessi fermarle.

Non ho avuto nemmeno il tempo di rendermi conto di averle effettivamente pronunciate, perché mi sono ritrovata a baciare Marco senza sapere esattamente come.

Non che mi importasse granché.

Il solo aspetto che meritasse la mia attenzione erano le sue labbra sulle mie.

In quel momento, abbracciata a lui, non ho avuto dubbi di amare Marco con ogni fibra del mio essere.

Ho sentito il cuore incrinarsi quando lui si è allontanato di colpo.

Ho biascicato una scusa perché non sapevo che fare, sperando che attribuisse i miei gesti alla febbre, con il terrore di aver rovinato tutto, di nuovo.

Perché era ovvio che si sarebbe tirato indietro.

Siamo amici, ed è colpa mia se siamo ‘solo’ questo.

Sono stata io a dirgli che quel bacio a casa mia è stato un errore, io a mettere le mani avanti, io a etichettare tutto e minimizzare le cose.

Perché ho avuto paura che fosse lui a dirmi di aver frainteso.

Non ho voluto rischiare, e lui mi ha dato ragione.

Sono felice di sapere che, comunque sia, in Marco ho trovato un vero amico, ma non mi basta. Ne ho avuto la certezza passando sempre più tempo con lui.

È così facile immaginarci insieme ogni giorno, immaginarlo al mio fianco sul serio, durante le lezioni di cucina.

E invece no, tutto perché io devo avere sempre le cose sotto controllo, e la consapevolezza improvvisa di aver iniziato a provare dei sentimenti per lui mi ha destabilizzata a tal punto da farmi battere in ritirata senza darmi altre possibilità.

Se c’è qualcuno da rimproverare in questa situazione, sono solo io.

 

Con estrema riluttanza, sciolgo delicatamente l’abbraccio in cui sono ancora stretta, facendo attenzione a non svegliare Marco.

Mi concedo un attimo in più per osservarlo: ha un’espressione serena sul volto, i riccioli in disordine.

Sorrido di fronte a questa scena così tenera, poi mi alzo con cautela dal letto, mettendomi in piedi. Noto con piacere che la febbre sembra essere solo un ricordo.

Mi sistemo meglio la camicia di Marco, che si è stropicciata sul bordo, tirandola più giù possibile sulle gambe.

Se penso che ho dormito solo con questa addosso abbracciata a lui...

Scuoto la testa, tentando di darmi una regolata, e mi avvio verso il bagno per recuperare i miei vestiti, che ormai si saranno asciugati.

Una voce mi distrae dall’intento.

“Dove vai?”

Mi volto, per trovare Marco che si raddrizza a sedere sul letto stropicciandosi gli occhi, la voce impastata di sonno.

“A vestirmi...” mormoro, con ovvietà, senza sapere bene come comportarmi.

“Come ti senti?” Continua lui con lo stesso tono sonnecchiante di prima.

“Molto meglio,” rispondo allora con un sorriso. “Grazie per essere stato così premuroso con me, a proposito.”

Faccio per riprendere il mio tragitto, ma quello che mi dice mi blocca sui miei passi.

“Farei qualsiasi cosa per farti stare bene.”

Mi volto di scatto verso di lui con gli occhi spalancati per lo stupore.

A giudicare dalla sua espressione, si è reso conto solo adesso di aver pronunciato quelle parole ad alta voce.

Non so se per i residui della febbre o per un momento di coraggio improvviso, ma ho bisogno di sapere.

“Perché hai interrotto quel bacio, ieri sera, allora?” Mormoro mio malgrado, piantando gli occhi a terra.

Quello sì che mi stava facendo stare bene.

Benissimo. Meravigliosamente.

Marco esita un istante, in cui io torno a guardarlo, temendo di aver chiesto troppo, poi lui inspira a fondo prima di prendere la parola.

“Mi sono innamorato di te,” ammette, gli occhi nei miei, e io mi ritrovo a trattenere il fiato. “E avrei voluto dirtelo, quella sera in ufficio, ma... Poi tu mi hai detto che quel bacio era stato un errore, e pensavo di aver frainteso tutto... anche se in quel momento, uno schiaffo avrebbe fatto meno male. Ma ho ingoiato il rifiuto lo stesso, ho cercato di non forzare nulla tra noi... Se tu non volevi, non potevo mica costringerti ad amarmi...”

Il mio cuore, al sentire le sue parole, inizia a battere furioso, sembra quasi volermi uscire dal petto.

Il suo tono, così intriso di dolore, mi lacera dentro.

Mi ama, e io l’ho fatto soffrire per paura.

... mi ama.

Avrei solo voglia di buttarmi tra le sue braccia e baciarlo e non lasciarlo più andare, ma merita prima una spiegazione.

“Non è mai stato un errore,” sussurro, raccogliendo nuovamente il coraggio. “Temevo che lo fosse stato per te, e ho giocato d’anticipo. Avevo il terrore che mi dicessi che era stato tutto uno sbaglio, che era dovuto al momento, e di lasciarci tutto alle spalle... Ma io per prima sapevo benissimo che non eravamo più semplici amici da un pezzo, e che mi stavo innamorando di te, e-”

Non riesco nemmeno a continuare perché Marco si è alzato dal letto, venendomi incontro.

Di nuovo, mi ritrovo a baciarlo senza riuscire a capire come, le sue braccia che si stringono intorno alla mia vita, mentre le mie salgono a cingergli il collo. Sono costretta a stare sulle punte, ma è l’ultimo dei miei pensieri.

Mi sento leggera, felice, quasi mi stessi librando nell’aria.

Mi abbandono completamente ai suoi baci, senza curarmi di nient’altro.

In questi istanti, non esiste nient’altro, solo noi due in questa stanza d’albergo.

Se sto sognando, che nessuno osi svegliarmi.

 

Torniamo a Spoleto solo la domenica sul tardi.

Il lunedì mattina, ho un’idea di cosa mi aspetta in caserma. Sono riuscita a evitare Cecchini ieri sera, e stamattina ho atteso di proposito che uscisse di casa prima di me. So che al telefono, l’altra sera, non l’ho convinto molto, a prescindere dal fatto che lui è sempre sospettoso di suo, ma so che non potrò protrarre la bugia all’infinito. Se ne accorgerebbe a tempo di record.

Il mio campanello suona, per cui mi affretto a scendere le scale: davanti al portone d’ingresso del palazzo, c’è Marco ad aspettarmi, un sorriso stampato in volto.

Non esito un istante a ricambiare il suo bacio.

Perché ho aspettato? Avrei potuto avere un buongiorno così da un sacco di tempo.

I cinque minuti di strada che ci separano dalla caserma li facciamo a piedi, mano nella mano.

Quando giungiamo in piazza, reprimo a stento una risata: Cecchini è piazzato fuori dalla caserma, le mani dietro la schiena, con lo sguardo puntato alla stradina da cui siamo appena venuti noi. Inutile domandarsi perché sia lì, è chiaro che sta aspettando noi.

Marco non ci prova nemmeno a trattenersi dal ridere, e ammetto che davanti all’espressione del maresciallo, è veramente difficile restare seri.

Boccheggia un paio di volte, incapace di articolare alcun suono per diversi secondi.

“Ma... voi... che, state...?” Balbetta.

“Buongiorno anche a Lei, maresciallo,” ridacchia Marco, mentre io scuoto la testa fingendomi esasperata. “E sì, ‘stiamo’, maresciallo.”

Cecchini mi rivolge un’occhiata sconcertata, alla quale rispondo con un sorriso imbarazzato.

“Aveva ragione al telefono l’altra sera, siamo tornati con qualcosa di cambiato,” scherzo, prendendolo bonariamente in giro. Lui si riferiva chiaramente ad altro, visto che la storia dell’hotel non se l’era bevuta nonostante fosse vera - a parte quell’innocente omissione - ma decisamente qualcosa di diverso c’è, tra noi due, ora.

Adesso sappiamo di amarci, e non abbiamo più bisogno di nasconderci dietro qualche scusa banale.

Cecchini si riprende abbastanza in fretta, rivolgendoci poi un sorriso affettuoso.

“Beh, che vi devo dire? ‘Non osi l’uomo separare ciò che Lucio Dalla ha unito, come la canzone!”

A questa sua battuta, scoppiamo entrambi a ridere.

Chi ci aveva fatto caso? In effetti è vero, c’è quella canzone che per titolo porta i nostri nomi... e l’ultimo verso recita ‘qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano’.

Calza a pennello.

Ci scambiamo uno sguardo, e il suo rispecchia perfettamente il mio - perdutamente, irrimediabilmente, meravigliosamente innamorato - prima di apprestarci ad entrare in caserma.

Anche oggi è una splendida giornata di sole.

Oggi, però, splende un po’ di più.

 

 

* In realtà Marco indossava una normale giacca, e la cravatta. Per ragioni funzionali alla storia, ho apportato questa variazione.

 

 

Ciao a tutti!

Per chi non l’avesse vista o non se la ricordasse, questa versione alternativa fa rifermento a una delle ‘pillole’ dell’undicesima stagione, quella di Acquasparta, che vedeva per protagonisti proprio Anna e Marco. Era stata mandata in onda prima del tredicesimo episodio, ‘Pena d’amore’, ma per ovvi motivi in questo caso si posiziona un po’ più avanti, più o meno dopo il diciassettesimo episodio, ‘Genitori e figli’.

Come sempre, grazie mille a Martina per le idee geniali: l’ispirazione ha fatto centro, stavolta! La storia è venuta fuori in un attimo!

Alla prossima,

 

Doux_Ange

 

 

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Capitolo 20
*** Il potere del perdono - versione 2 ***


 

IL POTERE DEL PERDONO

 

In queste settimane stiamo avendo una tregua al lavoro. È stato un periodo più calmo, almeno dal punto di vista di casi da risolvere.

 

Se poi dobbiamo parlare del clima lavorativo, e anche privato, al contrario, è un'altalena continua. Naturalmente mi riferisco alla mia esperienza personale.

Già, perché ultimamente, specie da quando è tornato il pretino, con Anna non sto capendo più nulla. Un giorno ci ignoriamo, l'altro ci insultiamo, quello dopo ancora ci comportiamo come fossimo fidanzati.

E intendo soprattutto fuori dalla caserma.

Poi, quando c'è Chiara, la situazione sta diventando sempre più complicata da gestire.

Qualche giorno fa proprio Chiara, per cercare di distrarre sua sorella che ultimamente è sempre nervosa, ha proposto di fare una bella gita fuori porta trascinandoci tutti e due al castello medievale di Val Tiberina. Pur se con qualche esitazione, Anna alla fine si è convinta, così loro due sono andate in auto, insieme, e io le ho raggiunte in moto con un po' di ritardo.

Al mio arrivo, erano già lì ad ascoltare la guida spiegare del castello.

Anna era attentissima, Chiara un po' meno.

“...e un giardino all'italiana che è suddiviso in sette spazi, con limonaie, lecci, aiuole, giochi d'acqua e anche un labirinto di siepi di bosso...” sento dire alla guida.

“Ragazzi, ragazzi, ragazzi,” sussurra Chiara all'improvviso, “ma se andassimo nel labirinto?”

Non è male come idea.

“Chiara, non stiamo a casa nostra, dobbiamo seguire la guida,” la contraddice immediatamente Anna, sempre prudente.

Io invece sono attratto dall'idea, anche per metterla alla prova.

“A me il labirinto sembra più interessante,” dico quindi.

Anna allarga le braccia, sconfitta. “La gita del liceo,” commenta, sarcastica, “andiamo a giocare, dai.”

Io ridacchio, imitato da Chiara, e tutti e tre ci avviamo verso il labirinto, seguendo le indicazioni sui cartelli poco più avanti.

Chiara apre la fila guardandosi intorno con curiosità, mentre io e Anna restiamo più indietro a parlare. Visto che sono arrivato in ritardo, mi racconta un po' la storia di questo posto.

“La guida ci ha detto che questa prima era una fortezza, e nel Rinascimento è stata trasformata in villa dal Vasari,” mi spiega con un tono appassionato che ormai so distinguere senza difficoltà.

“Quindi... anche nella fortezza più inespugnabile può nascondersi un giardino incantato,” commento, riferendomi a ben altro che questo castello. Lei lo intuisce immediatamente, e abbassa lo sguardo, le guance che si tingono di rosso.

Chiara sceglie quel momento per interromperci, e spezzare la magia. “Ragazzi, ecco il labirinto!” ci fa notare, e io spero che non si sia accorta dello scambio appena avuto con sua sorella.

“Wow,” sussurra Anna, “sembra di essere in una fiaba!”

“Facciamo un gioco,” interviene Chiara, “entriamo, ci sparpagliamo e poi torniamo qua. L'ultimo che arriva perde, okay?”

“Io ci sto!” accetto immediatamente, lanciando uno sguardo di sfida ad Anna, che ricambia senza esitare. “Io vado di qua,” affermo, scegliendo la strada di fronte a me. Una rapida occhiata dietro le spalle mi indica che le due sorelle hanno appena imboccato altre due direzioni diverse.

Decido allora di lasciare alla sorte la mia scelta: se non so come comportarmi con loro, sarà questa occasione a scegliere per me. Se riesco a vincere in questo intreccio di siepi, la prima che mi raggiunge sarà colei che destino avrà deciso di pormi accanto. Allora mi comporterò di conseguenza.

Con un tuffo al cuore, quando torno all'inizio non c'è nessuno.

“Primo!” dico allora a voce alta.

“Anna, muoviti, se no arrivi ultima!” sento Chiara replicare.

“No, io non perdo mai!” è la risposta di Anna. Significa che sono entrambe vicine.

Resto lì in attesa per qualche minuto, prima di sentire un rumore dietro l'angolo.

Il fiato mi si blocca in gola.

 

Il destino è proprio strano. Non ho ancora capito se sia a mio favore o meno.

 

Spero solo significhi che sto agendo nel modo giusto.

 

***

 

Oggi alle 13.30 ho un appuntamento con Anna in caserma per discutere di faccende burocratiche relative a un sequestro di qualche giorno fa.

Quando arrivo, con qualche minuto di anticipo, lei non c'è ancora, così decido di aspettarla nel suo ufficio.

Passano una ventina di minuti e di lei ancora nessuna traccia. Questo suo ritardo mi mette ansia.

Ad un tratto entra Cecchini con un fascicolo, che mi porge. “Il signor Capitano mi ha detto di darle questi.”

“Ah... grazie. Ma... lei dov'è?” chiedo, sedendomi davanti alla scrivania.

“Non lo so... magari aveva qualche appuntamento e... arriverà.”

“No, che appuntamento,” obbietto, infastidito. “Ce l'aveva qua con me, l'appuntamento, e lei non è mai in ritardo.”

“Si vede che stanotte avrà fatto tardi... sa com'è.”

Io spalanco gli occhi, interdetto, e mi giro a fissarlo. “No, non lo so com'è.”

“È che c'è... Giò, Giovanni, il suo ex. È tornato alla carica. Magari hanno fatto... tardi, hanno fatto le ore piccole...” insinua il Maresciallo.

Io cerco di mostrarmi indifferente, tenendo gli occhi sul fascicolo. “Buon per loro...” mormoro.

Buon per loro un cavolo.

“'Buon per loro'?” mi provoca lui. “Voglio vedere se si rimettono insieme, se dice ancora 'buon per loro'.”

Pure lui ci mancava. Queste allusioni da dove vengono? Sono davvero così semplice da leggere?

“Maresciallo, posso ricordarle che io sono felicemente fidanzato con Chiara?” provo a rettificare, forse in maniera eccessiva.

“Felicemente?” mi istiga ancora Cecchini. Ma allora la fa apposta! … come l'ha capito?

“Sì, felicemente, e se il Capitano vuol rimettersi con... don Giovanni, io sono più che contento per lei.” ribatto, una nota ironica nella mia voce che sfugge al mio controllo. Ma allora te le cerchi. 'Don Giovanni'... bah.

Cecchini sta per dire qualcosa ma viene interrotto da Zappavigna, che entra spedito in ufficio.

“Senti, ma nessuno t'ha insegnato a bussare?” gli chiede il Maresciallo. Che ironia.

“Scusate, ma è un'urgenza. Hanno ritrovato un uomo morto in via Machiavelli. Si tratta di omicidio.”

Io mi alzo. “Maresciallo, andiamo io e Lei. Zappavigna, chiama la Dottoressa Olivieri per avvisarla, va bene?” chiedo all'appuntato, leggermente irritato del fatto che lei mi abbia dato buca così.

Sì, semmai sei irritato per le insinuazioni del Maresciallo. Per quello che ne sai, potrebbe aver ragione. Dopotutto, quando sei stato a cena da Cecchini, quella volta, lei era effettivamente a casa di Giovanni, che ha traslocato letteralmente a due passi da casa sua.

 

È strano trovarmi sulla scena del crimine senza Anna e le sue acute osservazioni. È come se mancasse qualcosa.

Provo a pensare a cosa farebbe lei, quando parlo con la moglie dell'ucciso, e a comportarmi di conseguenza. Poi provo a chiamare Anna, ma il suo cellulare è sempre irraggiungibile. Cecchini commenta che è strano che non si veda Don Matteo nei paraggi, e per quanto lo rimproveri per l'osservazione (sì, come farebbe Anna... mi ha contagiato), non posso non notarlo anch'io. È decisamente strano.

 

***

 

Quando rientro in caserma dopo il sopralluogo, verso le 15, vado dritto nell'ufficio di Anna, l’inquietudine che si fa strada quando vedo che non c’è ancora e, invece, noto Chiara seduta su uno dei divanetti. Cerco di mantenere la calma, potrebbe essere qui per qualsiasi motivo: non devo pensare al peggio. 

“Marco, ciao...” mi saluta, esitante.

“Ciao... come mai qui?” le chiedo, cercando di mantenere un tono neutrale.

“No, è che... è da un po’ che cerco mia sorella, ma non mi risponde, il cellulare non le prende. Non... non è qui in ufficio?”

Sento tornare il groppo in gola.

“Io... Anna non si è ancora vista, oggi. Pensavo fosse, non so, rimasta a casa perché stava male, o fosse con te...”

Lei spalanca gli occhi. “No, no, stamattina è uscita presto, in auto, ma non mi ha detto dove doveva andare. Non era in divisa, quindi pensavo dovesse fare qualche commissione prima di venire qui in caserma...” Noto le sue mani iniziare a tremare. “In che senso, non si è ancora vista?”

Prima che io possa dire niente, il suo cellulare squilla e lei si affretta a rispondere.

“Giovanni, ciao... no, anch’io la cerco da un po’ ma non mi risponde... no...”

Intuisco la conversazione, avviando per l’ennesima volta la chiamata al numero di Anna, il cuore in gola.

Niente.

Sempre irraggiungibile.

Provo ancora.

Nessuna risposta.

Tentando di non dare a vedere quanto questa situazione stia iniziando a terrorizzarmi, invito Chiara a tornare a casa, con la promessa che riferirò a sua sorella che l’ha cercata. Per fortuna mi dà ascolto.

 

Ormai è pomeriggio inoltrato, e il groppo in gola aumenta ogni istante di più. Provo ancora a chiamarla. Niente.

Cecchini arriva dopo qualche istante, agitatissimo, spiegandomi che è andato in canonica per avere notizie di Don Matteo, e Pippo gli ha detto che anche lui è uscito quella mattina presto ma non è ancora rientrato, benché avesse detto che non avrebbe ritardato oltre le 15. Sono già passate le 16.

“Sono tutti e due insieme, non può essere un caso,” fa, iniziando a camminare avanti e indietro, nervoso. “Sono spariti tutti e due, e tutti e due hanno il cellulare irraggiungibile.”

“Oh, Maresciallo, io sono preoccupato come Lei, va bene?” gli faccio notare. Se davvero ha intuito qualcosa di quello che c'è tra me e Anna, lo capirà. “Però stia fermo, per cortesia.”

Mi sta facendo venire il mal di testa.

“Non possiamo stare mani nelle mani!”

“Non stiamo mani nelle mani, Maresciallo, stiamo avviando le procedure del caso e le ricerche,” gli ricordo, tentando di mantenere la calma, anche se dentro lo stomaco si attanaglia di più ogni secondo che passa. “Abbiamo anche un omicidio da risolvere, giusto? Abbiamo novità?” chiedo, cercando di distrarlo per un attimo.

“No, non abbiamo novità perché non ci sono telecamere in zona. Poi la moglie non può essere stata perché dalla banca hanno detto che lei è uscita dal lavoro alle ore 13.30, il medico legale dice che il marito, Dario Corsi, è morto alle ore 12, quindi non può essere stata lei.”

Sospiro, cercando di pensare a una nuova pista, quando Zappavigna spalanca la porta dell'ufficio, un'espressione tesa in volto. “Hanno ritrovato la macchina del Capitano.”

Io e Cecchini ci scambiamo uno sguardo terrorizzato, e mi alzo di scatto. Il mio cellulare squilla, ma la conversazione con Chiara dura pochi istanti, il tempo di dirle che non ho novità.

Salgo in auto con il cuore in gola, senza riuscire a parlare.

Non può essere. No. Mi rifiuto di crederci.

 

Mentre stiamo ancora per strada, Chiara mi chiama al cellulare per sapere se ho novità. Onestamente, avevo completamente dimenticato di doverla avvertire, e in ogni caso in questo momento non saprei cosa dirle. Con tutta la delicatezza che riesco a mettere insieme - non molta, me ne rendo conto - chiudo la chiamata, rifiutandomi di pensare a cosa potrei trovare.

Arriviamo sul posto, un luogo isolato, e la macchina è posizionata come se fosse andata a sbattere contro un albero.

Mentre io mi guardo intorno, Cecchini si avvicina, e dentro il cofano scopre... la bicicletta di Don Matteo.

“È la sua, sicuro?” chiedo, più per dire qualcosa che altro.

“Sì... li hanno rapiti, o forse peggio...” mi risponde con voce rotta, appoggiandosi alla macchina per sostenersi. “Non ci posso pensare...”

Cerco di tranquillizzarlo, e tranquillizzare anche me. “Magari sono venuti qua insieme, e sono ancora qua intorno, Maresciallo...” dico, senza crederci.

“No, no, ma il Capitano non l'avrebbe mai lasciata la macchina qui... Qualcuno l'ha presa e l'ha abbandonata...”

“Lo so, Maresciallo...” lo blocco, senza voler sentire altro. Apro lo sportello dal lato passeggero, dando un'occhiata all'interno alla ricerca di qualcosa. Qualsiasi cosa che mi dica dov'è Anna. Apro il cruscotto, e ci trovo dentro un fascio di carpette, fogli e documenti vari tenuti insieme da un elastico.

Io questi documenti li ho già visti.

Li tiro fuori, mostrandoli a Cecchini.

 

Torniamo in fretta in caserma.

Mentre aspettiamo, io do un'occhiata al contenuto delle carpette, e noto subito un nome ricorrente: Claudio Lisi.

L'uomo che ha truffato suo padre fino a portarlo al suicidio.

Che cosa ci facevano tutti questi documenti in macchina di Anna? Anzi, che ci facevano a casa sua, prima? Sono sicurissimo di averglieli visti in giro in più di un'occasione, ora che ci penso.

Continuo a controllare, ripensando a tutta la storia di Anna.

Mio padre aveva una piccola fabbrica di scarpe, e un giorno venne accusato di evasione e appropriazione indebita.

Mi torna in mente il suo sguardo distante mentre pronunciava quelle parole davanti alla mia espressione indurita.

Avevo dieci anni...

Dieci anni. Soltanto dieci anni.

C’erano anche quelli che ci chiamavano ladri.

Era solo una bambina quando la vita e l’ingiustizia si sono abbattute su di lei in tutta la loro crudeltà.

Alla fine mio padre non è più uscito di casa. Se ne stava tappato in camera a guardare fuori dalla finestra...

Come può sentirsi, una bambina, di fronte a un’immagine così? A vedere il proprio padre spegnersi giorno dopo giorno senza capirne bene il motivo, senza poter fare nulla?

Poi un giorno è uscito... e non è tornato più. Si è... si è buttato dal tetto della fabbrica.

Adesso come allora, avverto il cuore sprofondare. Sento l’anima lacerarsi di nuovo ricordando la sua espressione addolorata.

Come si fa, a compiere un gesto del genere?

È coraggio, oppure resa?

Come fanno gli altri a continuare a vivere, dopo?

Sai qual è la cosa più brutta? Era innocente! Solo che se ne sono accorti troppo tardi.

Risento la disperazione nella voce di Anna, rivedo i suoi occhi traboccanti di lacrime.

Lacrime come le mie, che minacciano di rompere gli argini da un momento all’altro.

Quelle parole, il dolore che ha provato nel raccontarmi tutto... è stato devastante, per me, vederla così fragile, sentirla così vulnerabile. Avrei voluto tentare di consolarla, ma io stesso ero paralizzato da quanto avevo appena scoperto.

Solo adesso mi rendo conto che per lei, quella storia, non si è mai conclusa.

E il solo pensiero che adesso, per lo stesso motivo, possa essere in pericolo mi strazia ancora di più.

Come si fa, a sopravvivere?

Noto di sfuggita, sul documento che ho davanti, il nome di Anna, di sua madre Elisa, e sua sorella, Chiara.

Chiara. Devo chiamare Chiara.

Ho appena preso il cellulare quando sento bussare, nonostante la porta non fosse chiusa: è Chiara.

Le faccio cenno di entrare, tentando di riprendermi e asciugare le lacrime che, nonostante l’impegno, sono scese comunque.

“Scusa se sono venuta senza avvisarti, ma ho immaginato che fossi impegnato e per questo non mi avevi chiamata... hai novità?”

Io deglutisco a vuoto, cercando di trovare un modo per spiegarle quanto scoperto, quando Cecchini entra in ufficio con un caffè in mano, che porge a Chiara. Gli rivolgo un breve sorriso: so che è qui per aiutarmi.

Con non so quale coraggio, inizio a spiegare.

Lei scoppia immediatamente a piangere quando la informiamo di aver trovato la macchina di Anna abbandonata e nessuna traccia di lei, ma io non riesco a fare nulla, nemmeno ad abbracciarla. Non riesco nemmeno a pensare in maniera lucida.

Le indico le carte che continuo a sfogliare. “Sono tutti riguardanti Claudio Lisi, questi documenti.” Spiego, senza esitare ma con voce roca.

“Cosa?!” Domanda lei, subito. È chiaro che quel nome fa male anche a lei. 

“Sì, è qui a Spoleto e lavora in un'azienda vinicola.”

Chiara mi rivolge uno sguardo stranito che non riesco a decifrare, ma mi distraggo dalla domanda che ci viene posta.

“Ma chi è questo Claudio Lisi?” chiede Cecchini, ma prima che possiamo rispondergli, la porta si apre ed entra Giovanni, teso.

“Maresciallo... dov'è Anna? È tutto il giorno che la cerco...” Fa, esitante, rendendosi subito conto che qualcosa non va.

“Purtroppo anche noi la stiamo cercando ma non siamo riusciti a trovarla,” risponde lui. Io non riesco ancora a dire nulla. “Abbiamo trovato la sua auto abbandonata.”

Lui spalanca gli occhi, girandosi verso Chiara, che ricomincia a piangere. “Cioè, che volete dire? Che è stata rapita?”

“Temiamo di sì.” Ammette Cecchini, e Giovanni si lascia cadere sulla sedia libera, una mano davanti alla bocca.

Per quanto io possa detestarlo, in questo momento posso solo provare empatia per lui. So perfettamente come si sente.

“Aveva un appuntamento con qualcuno o-”

“No no no, ufficialmente no,” rispondo io, ritrovando la voce, “però nella sua macchina abbiamo trovato questo fascicolo. Ci sono appunti, documenti, e sono tutti riguardanti... Claudio Lisi.”

Lui solleva lo sguardo, incrociando il mio per la prima volta da quando è entrato. “Claudio Lisi?”

Dalla sua espressione e dal tono capisco che sa di chi sto parlando.

Certo che lo sa. È comunque l'ex di Anna, sono stati insieme per cinque anni. È ovvio che lo sappia.

“Ma esattamente chi è questo Claudio Lisi?” torna a chiedere il Maresciallo, l'unico adesso a non capire questa connessione.

Lasciamo che sia Chiara a rispondere. “È... è l'uomo che ha causato la morte di nostro padre,” dice con voce rotta.

Cecchini spalanca gli occhi, poi li abbassa, e noto che diventano lucidi.

Io scambio uno sguardo con Giovanni, e dalla sua espressione intuisco che ha capito che anch'io so benissimo chi sia Lisi, e cosa c'entri con Anna.

“Nostro padre era proprietario di una piccola fabbrica di scarpe, e Lisi collaborava con lui, erano stati compagni di scuola e lui l’aveva assunto come contabile. Solo che... un giorno ha iniziato a non venire più al lavoro. Papà non capiva, finché una notte non è venuta la polizia per una perquisizione. Lo hanno accusato di evasione. Io e Anna eravamo piccole, ma certe esperienze non si dimenticano... Papà cercava di spiegare che non ne sapeva niente, ma non gli hanno creduto. La gente ha iniziato a parlare male, e papà si è chiuso in casa. Fino... fino a...”

Chiara non riesce più a continuare, sopraffatta dai singhiozzi.

Noto appena che Giovanni sta per intervenire, ma io lo precedo senza rendermene davvero conto.

“Fino a che non è uscito, buttandosi dal tetto della fabbrica.” mormoro. “Prima che venisse accertata la sua innocenza.”

Avverto lo sguardo di Chiara, Giovanni e del maresciallo puntato addosso, ma io non stacco gli occhi dai documenti che continuo a sfogliare incessantemente.

Devo trovare Anna.

 

Lascio che si occupi lui di Chiara, mentre io e il Maresciallo ci dirigiamo immediatamente all'azienda vinicola presso cui lavora quel... quell'uomo, se così si può definirlo. In auto, gli spiego in breve il legame di Lisi con le sorelle Olivieri, omettendo però tutti i dettagli personali che Anna mi ha raccontato.

Incontriamo i fratelli Bonetti, i proprietari, proprio all'ingresso della villa. Chiediamo dove sia Lisi, e l'uomo che sta camminando dietro di loro si ferma di colpo.

È lui. L'uomo che ha causato così tanta sofferenza ad Anna.

Claudio Lisi.

Entriamo all'interno per potergli parlare in privato, ma mentre lui e Cecchini si avvicinano al divano posto in un angolo, io preferisco appoggiarmi al bancone del bar, più distante. Meglio stare lontano, non si sa mai cosa potrebbe succedere.

Il maresciallo gli chiede subito se conosce il Capitano, usando però le sue generalità.

“Anna Olivieri. Sì, certo che la conosco. Suo padre era un mio vecchio amico.”

Mi trattengo dal fare una risata sprezzante alla sua osservazione, obbligandomi a tacere e lasciando che sia lui a fare le domande.

“Un vecchio amico... che si è suicidato quando Lei l'ha truffato e l'ha mandato in carcere.” Ribatte il Maresciallo.

Quello ha anche il coraggio di replicare. “Maresciallo, sono passati tanti anni, e se il reato c'è stato penso che oggi sia caduto in prescrizione.”

“Certo, è per questo che Lei è tornato qua in Italia!”

“E anche se fosse? Scusate, io non capisco di che cosa mi si sta accusando.”

“Il Capitano Olivieri e un mio vecchio amico sono scomparsi da stamattina, e Lei ne sa qualcosa!”

“Mh. Anna è scomparsa? No, no che non lo sapevo, perché dovevo saperlo?”

Basta. Mi ha stancato con queste storie. Deve dirmi dov'è.

“Adesso però la faccia finita,” esclamo infine, avvicinandomi a passo svelto, “perché Lei sa benissimo perché. Anna Olivieri stava conducendo un'indagine su di Lei, e io scommetto che vi siete incontrati. Vero o no?”

È per questo che Anna era così nervosa in questi giorni. Giovanni non ha mai avuto niente a che fare con questa storia.

“Sì, ci siamo incontrati l'altro ieri. Non la vedevo da più di dieci anni.” Ammette.

“Di cosa avete parlato?”

Lui esita un momento. “Del suicidio di suo padre. Sentite, che voi ci crediate o no, non mi importa.”

Al sentire questa affermazione, sento la bile risalire in gola. Lui si siede sul divano prima di continuare. “Quando ho saputo che Carlo Olivieri si era tolto la vita, ho pensato di ammazzarmi anch'io.”

Io gli lancio un'occhiata di sprezzante. “Però non l'ha fatto.”

“No, non ho avuto il coraggio.” Risponde arrogantemente, guardandomi dritto negli occhi. Avrei solo voglia di prenderlo a pugni.

“Una storia veramente straziante, sa? Mi sta colpendo un sacco.” Ribatto, sarcastico, ignorando l'occhiata di Cecchini. “Adesso mi dice dov'è Anna?” Chiedo, facendola finita con i giochetti.

Devi dirmi dov'è. Ho bisogno di sapere dov'è.

“Non lo so,” nega però lui, “vi giuro che non lo so.”

Non gliela faccio passare liscia, sta mentendo di sicuro. Lo sa. Deve saperlo.

“Dov'è stato oggi tutto il giorno?”

“Qui al casale con me, dalle nove di stamattina,” ci informa la proprietaria, entrata in quel momento nella stanza. “Sì, abbiamo lavorato tutto il giorno sui conti dell'azienda. Mio padre è morto due mesi fa e ci ha lasciati in una situazione finanziaria disastrosa, e Claudio ci sta aiutando ad evitare il fallimento.” Ci spiega, ma io non riesco a crederci, quantomeno non all'ultima parte. Non dopo quello che ha fatto al padre di Anna.

Gli lancio un'occhiata gelida. “Si tenga a disposizione.” Mi limito a dire, prima di uscire con il Maresciallo al seguito.

 

Una volta in auto, lui cerca di capire il mio comportamento.

“Quindi Lei sapeva di Lisi?” Mi domanda cautamente.

Io deglutisco. “Sì, Anna me l'ha raccontato tempo fa, del suicidio di suo padre e... tutto il resto.” Dico soltanto.

Chiudo gli occhi, massaggiandomi le tempie.

Anna sta bene. Deve stare bene. E devo trovarla.

 

Torniamo in caserma a mani vuote, giusto per verbalizzare quanto abbiamo scoperto, poi chiamo Chiara per aggiornarla e torno a casa.  

So che probabilmente dovrei stare con lei, starle accanto e consolarla, ma la verità è che non ce la faccio.

Non posso starle accanto senza perdere il controllo. Senza rendere evidente che sto come, o forse peggio, di lei. Perché lei è sua sorella, e ha tutto il diritto di esprimere la sua paura, io invece non posso. Non nel modo che sento. Non posso esternare quello che provo. L'unica cosa che vorrei è correre a cercarla, anche se non so minimamente dove andare, da dove cominciare perché non abbiamo indizi su dove possa essere. Mi sento totalmente impotente, e non poter far nulla mi fa impazzire. Vorrei urlare, vorrei prendere a pugni il muro, vorrei piangere... e invece sono paralizzato. Non so più nemmeno che ore sono. Sono seduto sul divano da un sacco di tempo, non ho trovato nemmeno la forza di salire al piano di sopra.

 

Provo a pensare a qualche indizio, qualcosa che magari mi è sfuggita, o al momento ho ignorato, qualsiasi cosa, ma niente.

Ho visto Anna con quei documenti praticamente tutti i giorni, ma non ho pensato a chiederle cosa fossero, pensavo fosse comune roba di lavoro... Non le ho chiesto perché fosse così tesa, nervosa... ho dato per scontato che fosse per il ritorno di Giovanni, ma anche lì non ho indagato, per pura gelosia.

Sì, lo ammetto, non ho domandato nulla per gelosia. Perché dopo tutto quello che è successo tra noi in questi mesi, e soprattutto nell'ultimo periodo, il fatto di ritrovarmelo tra i piedi mi ha infuriato, e il comportamento di Anna non ha fatto che alimentare le mie paure.

E adesso lei non c'è... Adesso è chissà dove, e non so se sta bene, e solo l'idea che possano averle fatto qualcosa mi fa andare fuori di testa.

Non ci posso pensare.

 

Non le ho mai detto che l'amo.

 

Forse non riuscirò mai a dirglielo.

 

Un rumore di qualcosa che si rompe mi fa tornare alla realtà, e mi accorgo di aver lasciato scivolare a terra il bicchiere d'acqua che avevo in mano senza rendermene conto. Recupero uno straccio e asciugo l'acqua, poi raccolgo i pezzi di vetro sparsi sul pavimento come un automa, prima di tornare a sedermi sul divano nel punto in cui stavo prima.

 

No. Non devo nemmeno pensarci. Anna sta bene. Deve stare bene. Deve.

E io riuscirò a dirle che l'amo.

Devo trovarla.

 

***

 

Il mattino dopo mi sforzo di andare in ufficio. Non ho praticamente chiuso occhio.

Arrivo presto, perché non vedo ragione di restare a casa e perdere tempo che potrei invece impiegare per darmi da fare.

L'atmosfera in caserma è decisamente cupa, sono tutti preoccupati per Anna e Don Matteo.

Faccio un breve cenno salutando tutti, e mi chiudo nell'ufficio di Anna, sedendomi al solito posto davanti alla sua scrivania. Abbasso lo sguardo su una foto poggiata lì: la sua, il giorno che ha ricevuto la nomina a Capitano. Mi ricordo di averle chiesto perché accidenti tenesse una foto di se stessa, e come al solito la sua risposta mi ha spiazzato: 'Per ricordarmi ogni momento chi sono. Il Capitano, ma anche la figlia di mio padre'. Sì, la sua vita gira attorno al suo ricordo, l'ho capito pian piano, e riesco a mala pena a immaginare quanto si sia concentrata su quest'indagine, quando tempo vi abbia dedicato per raccogliere tutto quel materiale. Osservo il suo sguardo fiero, e il groppo in gola torna, prepotente, a togliermi il respiro.

 

Sento la porta aprirsi e poso in fretta il portafoto al suo posto. È il Maresciallo.

“È riuscito a dormire?” Mi chiede, anche se probabilmente conosce già la risposta.

“Un'oretta, credo. Nemmeno di fila.” Biascico. Mi sono sforzato per cercare di riposare, ma ogni volta che chiudevo gli occhi il viso di Anna compariva dietro le palpebre, insieme a ogni tipo di scenario in cui poteva trovarsi in quell'istante, e allora li aprivo di scatto rifiutandomi di chiuderli di nuovo. “Lei?”

“Zero.” Poi si mette a spiegarmi che Corsi non è stato ucciso dove l'abbiamo trovato, ma nella sua officina, come risulta dal GPS. Mi alzo per andare proprio lì col Maresciallo, quando Giovanni entra in stanza.

“Ci sono novità?” Domanda dopo un breve saluto, ed è chiaro che nemmeno lui ha dormito stanotte.

“No, per il momento no, abbiamo però delimitato tutta la zona dove potrebbero essere. Quella è l'ultima cella a cui si sono attaccati i cellulare.” Spiego, indicando il plico di fogli sulla scrivania dietro di noi. “Però adesso noi dobbiamo occuparci di un altro caso.”

Lui fa un'espressione scandalizzata. “Come? E le ricerche chi le fa?”

“Tutti gli altri nostri uomini, perché dobbiamo occuparci di un caso di omicidio, che non è una cosa da poco.” Tento di mantenere la calma.

“Anna è scomparsa da ventiquattr'ore e questo per Lei è una cosa da poco?” Mi accusa.

Devo trattenermi per non insultarlo. Io vorrei fare solo quello, idiota. Ma non posso.

“Avvocato, Lei sa che stiam facendo tutto il possibile per trovarla!” Urlo quasi.

“Evidentemente da soli non ce la fate.” mi contraddice, riuscendo meglio di me a tenere a bada la rabbia. “Per favore, mi dica come posso rendermi utile.”

“Ad ognuno il suo lavoro. La ringrazio, ma-”

“No, facciamo una cosa, facciamo una cosa,” mi interrompe Cecchini, “magari lui potrebbe studiare questi documenti, magari salta fuori qualcosa che a noi ci è sfuggito. In questo momento qualsiasi cosa è utile per noi!” suggerisce, e sono costretto ad ammettere che ha ragione.

Io e Giovanni ci scambiamo uno sguardo di sfida, e per questa volta l'ha avuta vinta lui.

Mi sbrigo a uscire, non riuscendo a stare in quella stanza un minuto di più.

 

***

 

Arriviamo all'autofficina poco dopo, sequestrando il locale e fermando la gru che sistema i veicoli nella pressa per demolirli.

Troviamo la scena del crimine e la probabile arma del delitto: l'ufficio di Corsi e un cacciavite.

Spiego al maresciallo e Zappavigna che l'autofficina per me è solo una copertura, e chiedo all'appuntato di occuparsi del computer di Corsi, magari dentro c'è qualcosa di utile.

Speriamo almeno qui di riuscire a trovare qualcosa.

Mentre stiamo andando via, passando tra i vari veicoli in attesa di essere demoliti, ho come l’impressione di sentire un rumore proveniente da qualche mezzo parcheggiato qui vicino a dove mi trovo. Mi blocco, in silenzio, guardandomi attorno. Attendo qualche altro istante, ma poi mi convinco che dev’essere stata suggestione, oppure uno scricchiolio di qualche auto malconcia.

 

Una volta in caserma, noto che anche Chiara è tornata, probabilmente non ce la faceva a restare a casa senza sapere, e ha raggiunto Giovanni, ancora nell’ufficio di Anna che tenta di venire a capo dei suoi appunti. Nel frattempo, Zappavigna scopre delle mail sospette in cui vengono nominati i Bonetti, i proprietari dell'azienda vinicola.

“Che c'entrano con Corsi, questi?” Mi chiedo. “Il mittente chi è?”

“L'indirizzo è anonimo, ma posso risalire all'IP.”

In quel momento Giovanni emerge dall'ufficio di Anna con una carpetta in mano, seguito da Chiara, che si siede su una sedia davanti alla scrivania di Cecchini.

“Forse ho scoperto qualcosa.” Ci informa. “Non è stato facile perché gli appunti di Anna sono scritti con quella sua calligrafia terribile... Qui parla di un conto off-shore, cointestato tra Claudio Lisi e... un certo Dario Corsi...”

Io spalanco gli occhi. Non è possibile. Gli prendo immediatamente i documenti dalle mani. “Il rapimento e l'omicidio sono collegati, allora. Corsi e Lisi si conoscevano e scommetto che la mail arriva proprio da lui. Bene, convochiamoli subito.” Ordino al Maresciallo, che si mette subito in moto.

“Grazie Giovanni, grazie, forse ci siamo.” Mi congratulo sinceramente, dandogli una pacca sulla spalla, poi entro nell'ufficio di Anna per posare quella carpetta e dare un'occhiata al resto, adesso che abbiamo una pista magari sarà più semplice mettere insieme i pezzi.

“Sei davvero preoccupato per Anna,” commenta Giovanni, che deve avermi seguito senza che me ne accorgessi. “Non pensavo.”

Io mi volto ad osservarlo. “Beh... è una collega, è normale, no?” Cerco di giustificarmi. Devo aver mostrato molto più di quanto intendessi, se anche lui l'ha notato così tanto. Anche se Anna non è solo una collega per me.

Lui si sbottona i polsini della camicia che aveva arrotolato fino ai gomiti.

Lo vedo esitare. “Ha raccontato anche a te la storia di Lisi?” Mi chiede, guardingo.

Io mi mantengo sulla difensiva. “Sì... perché?” Fingo di non capire.

“No, niente. Pensavo fosse una cosa sua personale, e invece...”

Faccio del mio meglio per non cambiare espressione.

E invece niente. È una cosa sua personale, e me l'ha raccontata lei stessa mesi fa. Non puoi prendertela perché hai scoperto che si è confidata anche con me.

“No, beh, stiamo insieme tutto il giorno, non è che parliamo di lavoro, lavoro, lavoro...” Mi limito a dire, senza dilungarmi in dettagli. Non c'è bisogno che sappia altro.

No, decisamente non hai bisogno di sapere che, con Anna, abbiamo parlato dei nostri desideri da bambini, di come il rapporto con i nostri genitori ci abbia segnato. Di come per amore si sia disposti a fingere, di quanto faccia male soffrire in silenzio. Abbiamo riso fino alle lacrime. Abbiamo pianto fino a scoppiare a ridere. Ci siamo odiati, ma ci siamo anche amati. L'ho trattata male, ma l'ho anche baciata.

“No, certo... Non capisco perché non mi abbia mai detto che aveva continuato ad indagare. Avrei potuto aiutarla.” Mi dice in tono un po' deluso.

“Beh, sai com'è fatta lei, no? Deve risolvere sempre tutto da sola...” Mormoro soltanto.

“Sì, lo so com'è fatta.” Risponde, risentito, oltrepassandomi per prendere la giacca, che ha lasciato appesa a una sedia.

Io mi volto a guardarlo, facendogli solo un cenno quando esce.

Ho tanto cercato di nascondere il mio legame con Anna, e ho finito per tradirmi con una frase apparentemente banale, ma che è stata sufficiente a fargli capire quanto in realtà la conosca bene.

Perché so che l'ha intuito, almeno in buona parte.

Mi rendo conto di aver usato un’espressione talmente naturale, talmente... familiare da aver lasciato trasparire la nostra vicinanza.

 

Questa conversazione con Giovanni mi dà un sacco da pensare. E capisco all'improvviso quando Anna mi abbia donato di sé in così poco tempo.

Ti ha rivelato qualcosa di estremamente personale. Ti ha fatto entrare nel suo mondo privato, lasciandoti vedere ciò che vede lei.

Giovanni l'ha intuito, e se già prima tra noi c'era attrito, adesso le cose possono solo peggiorare.

 

Chiara’s pov

 

Quando Giovanni esce dall’ufficio di mia sorella dopo la conversazione con Marco, proponendomi di andare a prendere una boccata d’aria, accolgo il suo gesto con sollievo.

E non solo perché stare lì in caserma senza che ci sia mia sorella mi fa sentire un pesce fuor d’acqua o per il terrore di quanto sta succedendo, ma anche perché in poche ore mi sto rendendo conto di quanto io sia stata cieca.

Stamattina, quando ho provato a chiamare Anna senza trovarla, non ci ho fatto attenzione più di tanto, ma ho capito che qualcosa non andava non appena Marco è rientrato in caserma: aveva una strana espressione tesa, che ha tentato di mascherare.

Anche al cellulare, qualche ora più tardi, era nervoso. Mi ha quasi staccato la chiamata in faccia, liquidandomi con due parole. Ho preferito non disturbarlo ulteriormente, optando per recarmi in ufficio successivamente.

E lì ho capito che la cosa era grave.

Ho atteso qualche istante in più dietro la porta, prima di bussare: Marco era seduto al posto di mia sorella, a fissare dei fogli senza realmente vederli, lo sguardo perso, sofferente. Ho avuto paura quando ho notato qualche lacrima scendere sul suo volto.

Per un attimo ho combattuto contro l’idea di scappare. Poi mi sono fatta coraggio, e ho bussato.

Lui ha cercato di ricomporsi in fretta, prima che entrasse anche il maresciallo.

È stato Cecchini a dirmi che avevano trovato l’auto di Anna abbandonata, e nessuna traccia di mia sorella.

Non so come ho fatto a non svenire.

Mi sono aggrappata con forza al tavolo, cercando di recuperare il respiro venuto a mancare, sperando che Marco facesse qualcosa per aiutarmi, e invece no: sembrava paralizzato, incapace di fare alcunché. Poi si è cominciato a sbloccare, rivelandomi che quei fogli che continuava a rigirarsi tra le mani li avevano trovati nella sua macchina, e che riguardavano tutti Claudio Lisi.

Non sentivo quel nome da più di quindici anni.

Ho realizzato dopo qualche istante che Marco aveva usato, nel dire quelle due parole, un tono pieno di disprezzo. Pensavo di aver inteso male, e invece ho capito che lui sapeva perfettamente di chi stava parlando, perché aveva proseguito, spiegandomi che è qui a Spoleto e lavora in un’azienda vinicola.

Il maresciallo aveva allora domandato chi fosse Claudio, proprio quando io avrei voluto domandare a Marco come facesse a conoscerlo.

Ogni proposito è stato interrotto dall’arrivo di Giovanni.

Anche lui ha avuto una reazione simile alla mia quando gli abbiamo detto di Anna.

Ho percepito il suo stesso sgomento nell’intuire che Marco sapeva chi è Claudio.

Cecchini era tornato a chiedere chi fosse, e allora finalmente ho risposto.

Non ce l’ho fatta, però, a concludere il racconto, scoppiando a piangere di nuovo.

Marco lo ha terminato per me, battendo sul tempo anche Giovanni, rimasto a bocca aperta.

Per quanto drammatico fosse il momento, non ho potuto non pensare che fosse assurdo che quelle cose non gliele avessi raccontate io, ma Anna.

 

Anna, che non ha mai voluto far sapere questa storia a nessuno, perché mette in mostra la sua sofferenza.

Anna, che ci ha messo quasi due anni prima di decidersi a raccontare la sua versione a Giovanni, che i fatti li conosceva già perché era stata una notizia che aveva fatto scalpore in paese, all’epoca.

Anna, che non si fida a raccontare cosa sia accaduto a papà, perché è una storia troppo personale.

Anna, che per qualche ragione a me fino a quel momento sconosciuta, ha rivelato tutto a Marco - l’uomo che, come mi aveva detto più volte, detestava incredibilmente.

 

Ho iniziato a capire che probabilmente avevo sottovalutato le cose tra loro.

Che non si odiano più come credevo io, e in fondo ne avevo avuto la prova, trovandolo nell’appartamento di mia sorella per le lezioni di cucina.

Che forse non sono più soltanto colleghi, né conoscenti.

Forse c’è qualcosa in più.

Perché se Anna ha scelto di raccontargli tutto, significa che condivide con lui un legame profondo, una fiducia assoluta.

Mi balena in mente il pensiero che Anna gli ha raccontato anche del drive-in, a cui giocavamo da piccole, vista la festa a tema per la mia laurea.

Mi chiedo, allora, quante cose Marco sappia di lei...

Perché, poco fa, ho capito che non sono nemmeno soltanto amici.

Quando è rientrato insieme a Cecchini, pensavo sarebbe entrato in ufficio dove io facevo compagnia a Giovanni in attesa di notizie, e invece si è fermato con Zappavigna e Ghisoni alla loro scrivania, senza prestare attenzione a nient’altro.

Quando Giovanni li ha raggiunti per spiegare cos’aveva scoperto, solo allora Marco ha sollevato lo sguardo, e ho visto una scintilla di speranza sul suo volto quando ha intuito la pista da seguire. Ha continuato però a non degnarmi di uno sguardo - io mi ero seduta alla scrivania del maresciallo per seguire meglio - tornando nell’ufficio di Anna di nuovo con i documenti in mano. Giovanni l’ha seguito, e anch’io mi sono avvicinata appena per poter sentire la loro conversazione.

Non ho più avuto dubbi.

Marco era preoccupato, molto preoccupato... troppo, per considerare mia sorella una ‘collega’, come aveva detto a Giovanni.

Se non altro, anche solo per l’impegno e la dedizione nel tentare il tutto e per tutto per trovare Anna. So che nemmeno lui ha chiuso occhio, in questi due giorni.

Giovanni l’ha intuito, come me, e non ha certo nascosto la sua gelosia nel sapere che Anna aveva condiviso anche con lui una cosa tanto personale, ma si è ritrovato altrettanto spiazzato quando, con un tono più gentile davanti alla sua sorpresa nel sapere che mia sorella non gli avesse detto dell’indagine, Marco gli aveva praticamente detto in faccia che non conosceva affatto Anna, se si mostrava così deluso.

Inutile dire che Giovanni è uscito da quella stanza fumante, proponendomi di andare a fare due passi.

Penso che, comunque, l’aria fresca servisse più a lui che a me.

O per lo meno, non so a che conclusioni è arrivato Giovanni, ma io non ho più dubbi.

Marco è innamorato di mia sorella.

 

Marco’s pov

 

Quando più tardi convochiamo Lisi, il Maresciallo si siede al posto di Anna, io mi appoggio al mobile poco dietro di lui. Preferisco darmi un margine di distanza, quando c'è quell'uomo, perché temo che non potrei rispondere di me. Ma anche per trattenere Cecchini, che è già molto teso.

Quando inizio l'interrogatorio, però, faccio un passo avanti.

“Che rapporto c'è tra lei e Dario Corsi?” Domando subito, andando dritto al punto.

“E chi è?” Ha la faccia tosta di rispondere.

Io e il Maresciallo ci scambiamo un'occhiata basita.

“Quello che stato ucciso e uno con cui lei ha un conto cointestato. Sicuro che non lo conosce?” Lo provoco.

Lui nega ancora, così io continuo. “E questa mail, che Lei ha inviato a Corsi? 'Non calcare troppo la mano coi Bonetti', cosa significa?”

“Boh.”

“Boh? Allora provo io,” dico, trattenendomi dal fare cose che non vorrei, “i Bonetti avevano bisogno di liquidi, le banche non glieli concedevano, arriva Dario Corsi, il salvatore, e gli offre dei finanziamenti.”

“Sì, Corsi è uno strozzino d'accordo con Lei!” Si infiamma subito Cecchini. “E volevate rovinare i Bonetti dandogli i soldi a usura. Poi magari Lei ha cambiato idea, è successo qualcosa, avete litigato e l'ha ucciso!”

“Io? Io non ho ucciso nessuno!” Ride Lisi.

Stavolta perdo completamente la pazienza.

“Lei è nei guai fino al collo! E ha solo una possibilità di dirci dove sono Anna Olivieri e Don Matteo!” Gli urlo in faccia.

“Ancora con questa storia? Io non ne so nulla. Nulla, nulla, nulla!” Si ostina a dire quello.

Anche il Maresciallo si alza in piedi. “Senti, che cosa vorresti dire, che è un caso, che quando hanno ucciso Corsi è stato lo stesso giorno in cui è scomparsa Anna?”

È la prima volta che lo sento chiamare Anna per nome. Forse non è preoccupato solo per Don Matteo, allora... Forse ho sottovalutato la sua posizione.

“Sì, è un caso! E allora?”

Vorrei solo prendere Lisi per il bavero della giacca e togliergli quel sorrisetto dalla faccia. Come osa continuare a mentire, dopo tutto il male che ha già fatto? Non so come faccio a trattenermi.

“Dicci dov'è Don Matteo! E Anna!” Gli chiede Cecchini in tono disperato. Cerco di calmarlo mettendogli una mano sulla spalla.

Mi accorgo di un'ombra che passa sul volto di Lisi, come se si fosse reso conto solo in questo istante che le persone di cui lui dice di non sapere nulla, sono persone che noi amiamo profondamente, e che il non sapere dove siano ha fatto perdere il controllo anche a noi. Però non dice nulla.

“Portalo via, forza, portalo via... Guarda che è meglio per te se non gli succede nulla!” Lo minaccia ancora Cecchini, ma Lisi non fa niente per impedirglielo, con la stessa espressione di qualche istante fa.

Mentre lo portano fuori, dall'ingresso entrano Chiara e Giovanni, trovandosi faccia a faccia con Lisi.

Vedo Chiara fermarsi di colpo. “Mi riconosci?” Sussurra. “Sono Chiara. Eri il migliore amico di mio padre, eri il mio padrino... Almeno una volta nella tua vita dovresti fare una cosa giusta e dirmi dov'è Anna, adesso...” Lo implora con voce rotta. Lui però continua a non fiatare, prima di continuare verso l'uscita. Lei fa per seguirlo ma Giovanni la trattiene, facendola poi sedere su una sedia lì accanto e raggiungendo spedito l'ufficio del Capitano.

“Posso sapere perché l'avete lasciato andare?” Chiede.

“Perché non abbiamo nulla di concreto contro di lui, e perché ha un alibi, è stato tutto il giorno all'azienda vinicola.” Spiego, cercando di mantenere la pazienza.

“E quindi? Qualcosa sa, potevate comunque arrestarlo!” Si scalda lui.

“Sì, fai l'avvocato e ti stupisci perché non arrestiamo un uomo senza una prova?” Rispondo con lo stesso tono.

“Sì,” mi risponde, guardandomi dritto negli occhi, “se quell'uomo è coinvolto nella scomparsa della donna che amo.”

Il mio sguardo di rimando è di puro odio. Non osare. Non provocarmi.

“E allora lasciaci fare il nostro lavoro, mh? Lo stiam facendo seguire, magari ci porterà da Anna.” Rispondo, sprezzante.

Lui esce senza dire altro.

Non ci provare, Giovanni. Sto facendo di tutto, di tutto per trovarla. Perché anch'io l'amo, e il pensiero di perderla non riesco nemmeno a tollerarlo.

Cecchini si alza. “Vado a parlare coi Bonetti,” sospira.

Io mi limito a un cenno d'assenso, afferrando il telefono e ricominciando il giro di telefonate per intensificare ulteriormente le ricerche.

 

Chiara’s pov

 

Giovanni va via furioso.

Ho sentito lo scambio di battute con Marco, e non so chi tra i due esprimeva più odio verso l’altro.

Solo che questo non è un gioco, non è una sfida a chi fa meglio.

Mi duole dirlo, ma Giovanni ha sbagliato, a comportarsi come sta facendo. Invece di collaborare e aiutare, oggi non ha fatto altro che provocare Marco, dopo aver capito che anche lui prova qualcosa per Anna.

Ma non funziona così, Anna non è una principessa da salvare all’interno di una torre... è in pericolo, chissà dove, e mettersi a giocare a braccio di ferro non servirà a trovare una soluzione.

Mentre lui si indignava per un motivo senza senso, Marco aveva già pensato alla prossima mossa: far seguire Claudio, che dice di non sapere nulla, per non lasciare niente di intentato.

Giovanni parla soltanto, senza ascoltare... Marco agisce con attenzione, e il suo comportamento io lo conosco bene. Perché anche Anna fa così.

Mi rendo conto sempre di più ogni minuto che passa quanto le loro vite siano legate.

Quando anche il maresciallo va via, io entro nell’ufficio di mia sorella, aspettando che Marco termini con le telefonate, sedendomi sul divanetto nell’angolo.

“Nessuna novità?” chiedo con voce rauca quando lui mette giù il telefono.

Scuote la testa. “No...”

Ha di nuovo gli occhi lucidi.

Viene a sedersi anche lui sull’altra poltroncina di fianco alla mia, passandosi una mano sul volto stanco e provato.

Inspiro a fondo.

“Perché non mi hai detto che sei innamorato di Anna?”

Marco solleva la testa di scatto, sorpreso.

“L’ho capito da un po’... e questi due giorni mi hanno dato tutte le conferme possibili. Ami lei, lo so.”

“Mi dispiace...” mormora lui, abbassando lo sguardo.

“Non devi scusarti. Certo, non posso dire di esserne felice, però... so che mi vuoi bene, e questo mi basta. Non so perché siete finiti in questa situazione, e perché stia io con te e non lei, ma poco importa.”

“Chiara, mi dispiace, sul serio... io non volevo prenderti in giro, o...”

“Sei più cocciuto di mia sorella per certe cose! Lo so che non era questa la tua intenzione, anzi, mi hai sempre trattata meglio di tutti quelli che dicevano di amarmi. Non sono arrabbiata. Anzi, se proprio vuoi evitare di farmi arrabbiare, una cosa la puoi fare: dire la verità ad Anna quando torna... perché Anna torna, so che farai di tutto per trovarla, anche a costo di passare altre mille notti insonni chiuso qua dentro al suo ufficio.”

“... grazie.” Si limita a dirmi Marco con un leggero sorriso. So che vorrebbe dire altro e che in questo momento non ci riesce, ma non fa nulla. Il tempo chiarirà tutto. Per adesso l’importante è che salvino Anna.

 

Marco’s pov

 

Dopo la conversazione surreale con Chiara, che rientra per un po’ a casa, riprendo a lavorare, aspettando il ritorno di Cecchini che, quando arriva, mi riferisce che forse ha intuito qualcosa. Un legame diverso tra Raffaella Bonetti e Claudio Lisi, non solo lavorativo, che forse è la chiave per venire a capo di questo caos.

Chiediamo agli altri agenti di fare un controllo sui tabulati, nel frattempo noi torniamo nell'ufficio di Anna.

Si siede sul divanetto, e io faccio lo stesso.

“Secondo Lei sta bene? Il Capitano, dico.” Mi domanda a voce bassa.

“Spero di sì, Maresciallo... la conosce anche Lei, è una testa dura.” Dico, per tentare di alleggerire la tensione.

Lui fa una piccola risata. “Sì... è che...” Sospira. “Io ho già perso una figlia nella mia vita. Non ne voglio perdere un'altra.” Confessa.

Io sento risalire il groppo in gola.

“All'inizio non la potevo vedere, facevo pure gli incubi perché pensavo che non mi sopportava e che la faceva apposta a contraddirmi. E invece poi ho capito che è una furba, una capace di tenere testa pure a Don Matteo. Ma pure che è una ragazza che ha sofferto tanto nella sua vita, anche se non m'immaginavo niente di questa storia. E se le è successo qualcosa e noi non riusciamo a trovarla...” Lascia in sospeso la frase, prendendosi la testa tra le mani.

“La troveremo, Maresciallo. Vedrà che starà bene. Abbiamo tutti bisogno di lei, qui.” Aggiungo. Lui alza finalmente lo sguardo, forse capendo fino in fondo ciò che voglio dire. Annuisce soltanto, prima di darmi una pacca sulla spalla e alzarsi, andando a controllare per qualche novità.

 

Quando convochiamo Raffaella Bonetti, dopo molta esitazione lei confessa di aver ucciso Corsi perché lui non voleva restituirle i soldi del prestito. Lisi a quanto pare si era pentito di aver organizzato una nuova truffa, e le aveva confessato tutto. Poi l'aveva aiutata a portare il cadavere di Corsi davanti casa sua, dove lo abbiamo trovato, e aveva procurato un alibi per entrambi.

 

Il maresciallo parte immediatamente per l'azienda vinicola dove ci è stato segnalato si stia dirigendo Lisi, insieme a Zappavigna, sperando di trovarci anche Anna, mentre io mi occupo di tutta la parte burocratica, anche se vorrei solo andare con loro. Informo Chiara delle novità, e lei arriva poco dopo insieme a Giovanni.

Improvvisamente Zappavigna comunica che hanno avuto un guasto alla macchina perché Lisi si è accorto di loro e ha invertito la marcia.

Controlliamo il segnale GPS quando un’idea strana mi balena nella mente: quel rumore che mi è sembrato di sentir provenire da uno dei mezzi quando siamo stati all’autofficina di Corsi.

Forse non l’ho immaginato. Forse...

Non ci penso due volte, e insieme all’appuntato Barba parto immediatamente per l’autorimessa, lo stesso luogo verso cui si sta dirigendo Lisi.

Fa’ che sia lì. Fa’ che arrivi in tempo.

 

Arrivati sul posto, non aspetto nemmeno che l’auto dei carabinieri sia completamente ferma, aprendo lo sportello e fiondandomi fuori, alla ricerca dello stesso punto in cui ieri ho avvertito quel rumore.

Quando mi avvicino, noto un furgone bianco iniziare ad essere agganciato dalla gru per essere posto nella pressa, e corro più che posso, facendo segno all’operaio di rimetterlo giù. Non so perché proprio quel mezzo, visto che ce ne sono molti altri, ma qualcosa mi attira lì.

Quando la gru lo rimette a terra, cerco di aprire il portellone, trovandolo chiuso, per cui prendo la prima cosa che trovo a portata di mano - un paletto in ferro appartenente a chissà cosa - sferrando qualche colpo alla maniglia, senza prestare attenzione al fatto che quel paletto fosse tagliente, e ferendomi una mano nel processo. Avverto il cellulare vibrare in tasca per un messaggio, probabilmente da parte di Chiara, ma è l’ultimo dei miei pensieri perché il portellone finalmente si è aperto.

Non saprei descrivere l’emozione che provo nel vedere Anna, la mia Anna, sana e salva, insieme a Don Matteo.

Escono entrambi dal mezzo, con espressione sollevata. Ricambio il sorriso di Don Matteo, voltandomi poi verso Anna.

Sembra sorpresa.

“Marco...” sussurra, “come hai fatto a-”

Non la lascio continuare.

La bacio.

La bacio come se la mia vita dipendesse da questi istanti, accarezzandole una guancia.

Dopo un istante di smarrimento, lei ricambia, stringendo tra le dita il bavero della mia giacca.

Risentire le sue labbra sulle mie, dopo tutto quello che è successo, è una sensazione meravigliosa. Mi sembra quasi di essere tornato a respirare.

“Ti amo...” riesco solo a sussurrarle, quando ci separiamo.

Anna abbassa lo sguardo, arrossendo, e fa per dire qualcosa quando la sua espressione si fa preoccupata.

“Marco, la tua mano!” Esclama, prendendola tra le sue.

Solo adesso mi rendo conto del lieve bruciore della ferita.

“Non è niente...”

“Sanguina! Non mi sembra esattamente niente! Ci vuole qualcosa per fasciarla...”

“Posso darvi io un fazzoletto,” suggerisce Don Matteo.

Non che mi fossi dimenticato di lui, però...

Anna gli si avvicina, ringraziandolo con un sorriso, mentre io metto la mano in tasca ricordandomi del messaggio di poco fa.

Ma non era da parte di Chiara.

Anna.

Quello che leggo mi fa fermare il cuore per un istante.

Ho finalmente capito tutto di noi... ma forse non potrò mai dirtelo. Anche se sei l’uomo più impossibile che conosco e fai un pessimo brasato... IO TI AMO!!

Resto senza parole realizzando il significato di quelle frasi.

Quando Anna torna da me con il fazzoletto, non le do il tempo di far nulla, baciandola ancora una volta.

Il nostro momento è interrotto dalla voce di Barba che urla “Fermo!” da qualche parte vicino a noi, e all’improvviso vediamo spuntarci davanti nientemeno che Lisi, con una pistola che ci punta contro. Barba si ferma dietro di lui, incerto sul da farsi.

Anna fa un passo avanti nonostante io cerchi di bloccarla.

“Tu!”esclama. “Che vuoi farci?”

“Niente,” replica quello, “niente. Io non c’entro nulla con questa storia, ha fatto tutto Dario da solo. Io volevo solo prendere il furgone, poi quando l’ho visto ho capito che vi aveva chiusi qua dentro, e non solo io...” Aggiunge, accennando a me. Sentiamo in lontananza le sirene dell’auto dei carabinieri, probabilmente Cecchini e gli altri. “Anna... mi dispiace. Io ho provato a cambiare, sai? Non volevo farti del male...” mormora in tono sofferente. Anna ha uno sguardo perso, colmo di dolore. “Te lo giuro... Per colpa mia, Raffaella è diventata un’assassina, tuo padre si è ucciso... tutto per colpa mia. È una vita sbagliata, la mia... basta. Ti chiedo perdono.” Conclude, prima di puntarsi la pistola contro la tempia.

Anna sbarra gli occhi, terrorizzata più di noi.

“Claudio, no!” Cerca di fermarlo. “Ti perdono! Sono sincera! Abbassa la pistola,” gli dice in tono di supplica. Lui continua a fissarla, immobile. “Claudio, fermati... è te stesso che devi perdonare, ed è la cosa più difficile... dammela...” Tenta ancora tendendogli una mano, gli occhi colmi di lacrime.

Lisi sembra improvvisamente darle ascolto, sollevando l’arma e sparando un colpo in aria, per far capire agli altri agenti dove siamo di preciso, arrendendosi.

Cecchini, Zappavigna e Ghisoni arrivano di corsa e, insieme a Barba, portano via l’uomo, che si è arreso senza fare storie dopo aver rivolto un ultimo sguardo di scuse ad Anna.

“State bene! Per fortuna nessuno s’è fatto niente!” Esclama il maresciallo, sollevato.

Anna si volta verso Don Matteo.

“È tutto merito tuo... suo.” Corregge il tiro, mentre il prete le rivolge un sorriso affettuoso.

Lui e Cecchini si allontanano di qualche passo, mentre io mi avvicino ad Anna, ancora profondamente scossa.

“Come stai?” Le chiedo soltanto.

Lei solleva le spalle. “Non lo so. Devo ancora realizzare tutto quello che è successo...” Torna a rivolgere un’occhiata alla mia mano ferita. “Vediamo se finalmente riesco a fasciarla...” Mormora, annodando al meglio il fazzoletto che le aveva dato Don Matteo poco fa. Io la lascio fare, sollevato, felice di sapere che è viva e, adesso, al sicuro.

 

Torniamo in caserma, e non appena l’auto si ferma in piazza, Chiara, già in attesa sugli scalini, corre immediatamente ad abbracciarla non appena scende dalla macchina.

“Non piangere...” La consola Anna, come sempre pensando alla sorella prima di se stessa.

“Stai bene?” Le chiede comunque Chiara, accarezzandole il viso.

“Sì...”

Poi Chiara fa un cenno verso di me. “Marco ha fatto di tutto per ritrovarti... non si sarebbe dato per vinto finché non ti avesse saputa sana e salva.”

Anna sbarra gli occhi, probabilmente ripensando a quanto accaduto all’autorimessa, ancora ignara della situazione tra me e sua sorella.

Chiara, infatti, non esita un istante a rassicurarla, stringendole le mani con un sorriso.

“Sta’ tranquilla, so tutto... lo so, che vi amate... Avremo tutto il tempo per parlarne dopo, adesso non ci pensare. Sappi solo che mi dispiace per non averlo capito prima, e... beh, non ho mai avuto speranze, con lui,” dice con una breve risata, “è troppo innamorato di te. E niente l’ha dimostrato più di questi due giorni.”

Io cerco di dissimulare l’imbarazzo, notando Giovanni che è appena uscito dal portone della caserma e si sta dirigendo verso di noi, ma ogni altra osservazione che potrei fare è posticipata da Anna che, con mia enorme sorpresa, mi bacia.

Se a lei non importa di essere davanti alla caserma, davanti ai suoi sottoposti, perché dovrebbe importare a me?

La stringo in un abbraccio, sentendo appena Giovanni salutare Chiara in tono deluso per poi allontanarsi.

Quando io e Anna ci separiamo, lei mi accarezza il volto.

“Ti amo...” Mi sussurra, e nel sentirglielo dire, sento il cuore esplodere. Non penso di essere mai stato così felice come in questo momento.

“Lo so...” le rispondo con un sorriso.

Lei sembra sorpresa. “Come, lo sai?”

“Letto... il tuo messaggio, mi è arrivato quand’eravamo all’autofficina...”

“Pensavo non si fosse nemmeno inviato... il cellulare si è spento, e non prendeva neanche, lì... l’ho scritto senza nemmeno rifletterci, che probabilmente non ti sarebbe arrivato.”

“Invece è arrivato eccome,” la contraddico. “Per fortuna, è andato tutto per il meglio.”

Lei annuisce.

“Solo su una cosa vorrei fare un appunto,” preciso con un sorrisetto. “Il mio brasato non è così male... però... Ecco, visto che tu lo sai cucinare meglio, se vuoi, potremmo ricominciare con le lezioni di cucina... Magari divento più bravo, se mi dai una mano tu...”

 

 

Un saluto a tutti!

Beh, che dire? Come sempre, grazie a Martina per l’idea! Stiamo perfezionando la tecnica per tenerci pronte in attesa della dodicesima edizione, non si sa mai... Teniamo in caldo le tecniche di narrazione alternativa nel caso di tragedie!

Grazie per le letture e a presto!

 

Doux_Ange

 

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Capitolo 21
*** La crepa - versione 3 ***


LA CREPA

 

Quando il maresciallo mi chiama per informarmi di un ragazzo aggredito, mi sveglio di soprassalto.

Devo aver staccato la sveglia senza nemmeno sentirla, non mi ricordo, e sono decisamente in ritardo.

Arrivo in caserma mezz'ora dopo, passando prima di tutto dall'ufficio di Anna.

“Ciao ciao... arrivo, eh!”

“Abbiamo fatto le ore piccole!” Scherza Cecchini.

“Lavorato?” Gli fa eco Anna con un sorriso.

“No no, sono andato al Gran Premio di Formula 1... ma te l'ha detto tua sorella?” Domando,  perplesso.

“No... non ci siamo viste.”

“È la prima volta che conosco una donna patita di Formula 1...” Commento. “Caffè e arrivo, va bene?”

Lei annuisce prima di tornare ai documenti che ha davanti.

 

Ho un sonno da non stare in piedi.

 

***

Poco dopo convochiamo la ragazza che è coinvolta nel gioco di ruolo di cui faceva parte il ragazzo aggredito. Io sono davvero scioccato dalle sue affermazioni: davvero lo ritiene solo un gioco?

La mia pazienza è decisamente al limite, e le sue lacrime non mi incantano. Ha portato quel ragazzo quasi ad ammazzarsi, e questa cosa che sia stato un altro a dirle di scrivere quei messaggi non me la bevo.

Anna mi lancia un'occhiataccia intimandomi di smetterla, ma come? Come può essere così calma?

Quando la ragazzina viene portata via, Anna mi ferma mentre sto uscendo.

“Comunque potevi andarci piano, è una ragazzina.”

Io mi blocco. “Che ha fatto quasi ammazzare un suo coetaneo, però.”

“Questo non lo sappiamo. Potrebbe essere stata la persona che le ha mandato i soldi per posta.”

“Credi veramente alla storia che ha detto?!”

“Sì! Credo anche che Sveva sia innamorata di Giacomo.”

“Se era innamorata perché non è andata da lui a dirglielo?” Andiamo, tutti questi sotterfugi? Sono solo bugie.

“Paura? Non lo so! Non è facile dire a una persona che ti interessa!” Sul serio? Stiamo facendo questa conversazione per davvero?

“Soprattutto a quell'età...” conclude.

“Gli mente, lo tormenta, lo manda bendato su un ponte... bel modo di amare, veramente!” Le dico, ormai arrabbiato anche con lei. Come può fare quelle affermazioni? Però ha ragione sul fatto che non sia facile... non è che tu hai fatto di meglio.

“Marco, per amore si possono fare le cose più assurde!” Mi apostrofa.

“Come per esempio, guardare la Formula 1...” Mormora Cecchini, sbucato dal nulla accanto a noi. Io gli lancio un'occhiata perplessa: in che senso? “L'ho detto tanto per dire... dovevo prendere questi, scusate.” Afferra dei fogli e si allontana.

“Allora verificate questa storia della lettera e tenetemi aggiornato, va bene?” Dico freddamente ad Anna, senza degnarla di uno sguardo mentre esco.

 

Anna's pov

 

Cerco di trattenermi, ma non ci riesco.

Quelle osservazioni, Marco, poteva pure risparmiarsele.

Sul serio, avevamo davanti una ragazzina confusa che si è trovata in una situazione più grande di lei. Era già spaventata di suo, e col suo atteggiamento, lui l'ha proprio terrorizzata.

Mi fa andare fuori di testa, quando si comporta così.

Ma poi, si sorprende lui, di una cosa così! Del fatto che, quando si è innamorati, e feriti, non si riesca a ragionare lucidamente... lui, che non si è presentato in Chiesa! Certo, aveva i suoi motivi e pure ragione, ma resta sempre un gesto avventato.

In ogni caso, quello che mi ha dato pi fastidio è stato sottotesto dell'osservazione che ha fatto prima di andare via. Mi ha praticamente detto che sto perdendo tempo, dandomi quasi dell'incompetente, e a me non va giù.

Non con la freddezza con cui l'ha detto.

Senza contare che se l'è presa con me solo perché ho contestato il suo modo di agire e ho espresso i miei dubbi in merito alla colpevolezza di Sveva.

Faccio in fretta le scale, pronta a dirgliene quattro, fermandomi però di botto sulla soglia del portone d'ingresso.

C'è Chiara, intenta a chiacchierare con Marco – che sorride come se niente fosse – e che se lo trascina dietro dirigendosi verso il bar. E lui non si sta opponendo.

Abbasso la testa, ingoiando il groppo in gola, e rientro.

Cosa mi aspettavo? Era normale, che la direzione fosse questa.

D'altronde, mia sorella non lo contraddice mai.


 

Torno in ufficio, tentando di concentrarmi a leggere i documenti del caso, quando mi raggiunge Cecchini.

Ci mancava solo lui.

Lo ascolto distrattamente quando mi chiede, di nuovo, di aiutarlo per la partita a scacchi contro Don Matteo, ma mi fa pentire anche di quel minimo di corda che gli ho dato quando mi dice, mellifluo, che io scappo, per la partita come in amore, perché ho paura.

Se non fosse che, vista l'età, potrebbe essere mio padre, a quest'ora gliene avrei già dette di tutti i colori. Anche perché, posso affermare senza troppi dubbi che ha origliato un'altra volta. Non solo la conversazione di prima, ma probabilmente mi è corso dietro quando ho tentato di fermare Marco.

Solo che la questione mi ha punto sul vivo, e sono una dannatissima orgogliosa, invece di riflettere, accetto di allenarlo, mollandogli in mano senza troppe cerimonie la mia copia di Best Chess.

Me ne pentirò, me lo sento.

 

Marco's pov


 

Scendendo giù, dopo la mezza litigata con Anna, ho incontrato Chiara, che mi ha trascinato con sé per un caffè. Mi sono lasciato convincere senza troppe resistenze perché avevo bisogno di sbollire il nervosismo.

E infatti, mi rendo conto poco dopo che ho combinato una scemenza.

Per questo, mi decido a mandare un messaggio ad Anna chiedendole scusa. Forse ho esagerato, d'altronde è tutto da vedere. E poi non dovevo prendermela con lei, mi ha solo esposto dei dubbi che in effetti non sono così improbabili, pensandoci a mente più serena.

Visto che ci sono, mentre chiacchieriamo chiedo a Chiara se le va di andare all'Umbria Jazz Spring Festival, lei accetta e mi dice che proporrà anche a sua sorella di venire, visto che è un genere che le piace. Le rispondo che per me non ci sono problemi, cercando di non mostrarmi troppo entusiasta dell'idea.

Hai chiesto a sua sorella, non a lei. Se viene, non lo fa per te perché non sei stato tu a invitarla.

 

Quando mi presento a casa Olivieri, è lei ad aprire. Noto con disappunto che indossa un semplice maglioncino e un paio di jeans. Quindi non viene.

“Entra,” mi accoglie con un sorriso. Avanzo nel soggiorno, e mi accorgo che la tavola è apparecchiata.

“Fai una serata casalinga?” Chiedo, fingendomi incurante.

Lei mi supera, tornando a sistemare i piatti. “Aspetto una persona.”

“Ah.” Mi trattengo a stento dal commentare oltre. Che significa, che aspetta una persona? Chi sarebbe? Non è uscita con nessuno, ultimamente. Lo saprei, se si vedesse con qualcuno, me ne sarei accorto. Non se sei impegnato ad andartene in giro con sua sorella. E poi non deve mica raccontarti tutto per forza. L'hai detto anche tu, no? Non avete firmato un contratto, e lei è libera di fare quello che vuole.

Mando giù a forza la prepotente sensazione di gelosia che sento salire in gola, e butto lì qualcosa per farla pentire della sua scelta di non venire. Cioè, per dirle che mi spiace non venga.

“Peccato, c'è l'Umbria Jazz Spring Festival a teatro...”

“Ah, peccato perderselo.” Mi risponde, indifferente. Ma davvero non le interessa?

“Sai che è lo stesso che ha detto Chiara?”

“Dai? Incredibile.”

“Con la mia ex era tutto un litigio...” Continuo, un po' per raccontarle qualcosa in più rispetto a quello che già sa, un po' per cercare di provocarla. “Chiara è... tipo come avere un amico uomo... vabbè, poi sa che cos'è il fuorigioco, quindi...”

“Mh-mh...” No, non le importa niente di quello che le sto dicendo, glielo si legge in faccia che mi sta ascoltando solo per cortesia. E probabilmente è ancora arrabbiata per oggi.

In quel momento arriva Chiara dalla stanza accanto. È molto carina, quel vestito nero le dona molto.

Si avvicina, abbracciandomi prima di rivolgersi ad Anna.

“Sicura che non vuoi venire?”

“Tranquilli,” conferma lei, “aspetto un amico per una serata speciale.”

“Perfetto, allora noi usciamo!” Le risponde la sorella, avviandosi verso la porta.

Io resto indietro per qualche istante, mentre una vocina in testa mi urla di mandare a quel paese la serata a teatro e restare qui a casa con lei. Poi mi do' finalmente una svegliata, la saluto un'ultima volta ed esco anch'io.


Anna's pov

Io l'avevo detto, che me ne sarei pentita.

Ho imparato a voler bene a Cecchini, ma mi fa esasperare.

Senza contare che la mia mente è sempre rivolta all'appuntamento di mia sorella con Marco, a teatro.

E dire che lo avevo chiesto io, tempo fa, a mia sorella, di andarci insieme! Ero io a volerci andare, non lei!

E guarda un po' com'è andata a finire.

Bevo più di quando dovrei, e quando finalmente inizio la partita con Cecchini non sono lucidissima. Abbastanza da riuscire a seguire le mosse sulla scacchiera senza sforzo, ma non tanto da riuscire a gestire le sue insinuazioni.


“... Il Re deve stare al sicuro, ci deve pensare la Regina, però... Altrimenti arriva l'altra regina, e se lo prende.”

Stringo gli occhi. Questa conversazione non mi piace.

“Che sta cercando di dirmi?”

“Che io la lezione l'ho capita... non so se Lei l'ha capita.”

Che faccio, lo strangolo ora o più tardi?

“Io non so se Lei l'ha capita, perché ha perso.” Mi innervosisco, dando un colpo secco al suo pedone, che rotola via.

“Io ho perso a scacchi,” insiste lui, “ma Lei sta perdendo il PM.”

A questo punto non resisto, e mi alzo dalla mia sedia, guardandolo storto.

“Sono solo amici,” sibilo.

Lui si alza a sua volta. “Guardi, Lei sarà anche campionessa di scacchi, ma mi sa che di uomini non ne capisce niente.”

Mi trattengo a forza dall'urlargli contro. No no no, non ho bisogno di sentire queste cose.

“Lo sa che le dico? Non l'alleno più! Si arrangia da solo! Buona serata!”

“Io lo dicevo per Lei, mica lo dicevo per me!” Si giustifica Cecchini. “Comunque io non ho bisogno delle sue lezioni perché c'ho la mia arma segreta.”

Pure. “Arrivederci.” Lo caccio senza tante cerimonie.

“Arrivederci,” risponde a tono lui.

“A Lei...”

“Buona notte, arrivederci a Lei...” Sembra una sfida a chi molla prima.

“Dorma bene,” aggiungo, leggermente sarcastica.

“Pure Lei...” replica con un'ultima occhiata, prima di decidersi a uscire.

Torno a sedermi sulla mia poltrona, continuando a sorseggiare il vino che avevo nel bicchiere.

Con un tempismo degno di un orologio svizzero, il mio telefono suona indicando l'arrivo di un messaggio.

Una foto di mia sorella abbracciata a Marco, con il palco sullo sfondo.

Per l'ennesima volta stasera, devo costringermi a non urlare, limitandomi a lanciare il cellulare contro il divano. L'oggetto finisce da qualche parte in mezzo ai cuscini.

Dannatissimo orgoglio.

A quest'ora ci sarei stata io con Marco, a teatro.

Abbracciata a lui.

Mando giù un altro bicchiere, e la mia mente perde in fretta lucidità. Me ne rendo conto ma non riesco a farci niente.

Ecco che si sveglia una vocina nella mia testa che mi suggerisce un'idea brillante: attendere che ritornino.

Voglio capire com'è andata la serata. E voglio far ammettere a mia sorella che sta fingendo di essere quello che non è. Che Marco salga o meno, anche se spero di sì.

 

Cerco di distrarmi, ma niente da fare. Non riesco nemmeno a convincermi ad andarmene a letto, pur dicendomi che potrei farmi ancora più male, vedendoli rientrare, ma non c'è verso. Il che è pure peggio, perché potrei non rispondere di me, e combinare un casino, peccato che il mio cervello non collabori.

Il fatto che dopo un po' io sia leggermente più sobria non migliora le cose, anzi mi viene da piangere se penso che, se solo avessi ascoltato il cuore e non la testa, quella sera, la situazione sarebbe nettamente diversa, ora. Mi impongo di non farlo, ma non sono così in grado di controllarmi, stasera.

Sono le 23:37 in punto quando la serratura scatta.

 

Marco's pov

Nonostante la bella serata che passo con Chiara, che ammetto essere molto divertente e piacevole, ho un pensiero fisso che mi ronza per la mente. Spero di non incontrare mai questo amico della serata speciale. Deve sparire prima che ci riesca.

 

Una volta finito lo spettacolo, riaccompagno Chiara a casa, anche perché io sono venuto in moto ma a teatro ci siamo andati con la sua macchina.

Mi invita a salire su, e io non riesco a oppormi sul serio.

Ammettilo, Marco, speri che Anna sia sveglia.

Oppure no?

Quando entriamo, notiamo subito una figura raggomitolata sul divano.

Anna.

Mi rendo conto immediatamente che c'è qualcosa che non va: tiene stretto a sé il cuscino, gli occhi spenti e vagamente lucidi, un'espressione triste sul viso.

“Ehi, che hai?” Le chiede subito Chiara, avvicinandosi.

“Niente,” si limita a rispondere Anna con una vocina che riconosco appena.

“Come no... che hai? Pensavo fossi ancora in compagnia, a quest'ora...”

“No, non... Mi ha detto all'ultimo che non poteva e... non è venuto...”

Avverto una strana sensazione nel petto.

Da un lato, sono felicissimo che questo 'amico speciale' le abbia dato buca, ma dall'altro... Come si fa, a non voler stare con lei?

“Mi dispiace...” Cerca di consolarla Chiara, mentre lei fa cenno con la mano come per dire 'non fa niente'.

Non fa niente un cavolo. È vero che sono geloso e che un po' avevo sperato per questo finale, ma è meglio che questo tizio non mi capiti a tiro lo stesso.

Tentiamo allora di distrarla, raccontandole dello spettacolo. L'interesse che dimostra mi fa capire che le sarebbe piaciuto molto venire, al contrario di quanto credevo, e che prima forse era solo nervosa.

Non so esattamente come, ma la conversazione si sposta sulle moto da corsa, e sul raduno che c'è stato qui vicino qualche giorno fa.

Anna è entusiasta, e ne parla con una competenza che un po' mi spiazza, a dire il vero.

Anche se non dovresti essere così sorpreso, sai che le piacciono le moto, ne avete parlato qualche volta, e te lo ha detto anche Chiara.

Sempre a proposito di corse, a un certo punto Anna chiede a Chiara come sia andata la gara di Formula 1 di due giorni fa.

“Uhm... non mi ricordo più, sinceramente.”

“Come, no?”

Resto interdetto anch'io. Come fa a non ricordarsi? Mi era sembrata molto presa dalla corsa.

“Beh, è che... Non mi ricordo bene i nomi, e poi per ora ho in testa solo tutta la roba della tesi...”

In effetti ha da fare con l'università, è vero.

Però... c'è qualcosa che non mi torna, nell'espressione di Anna. È più forte di me, non riesco a smettere di osservarla di sottecchi. Ci sono delusione, rabbia e indecisione nel suo sguardo, e sembrano essere tutte rivolte alla sorella, anche se non ne capisco il motivo.

Non riesco a concentrarmi sul serio su questa cosa, però, perché mi incanto di nuovo ad osservare Anna, soffermandomi sui suoi lineamenti così austeri quando siamo al lavoro, ma così dolci e malinconici in questo istante. E quegli occhi...

Mi ridesto solo quando sento dire il mio nome.

“... Marco forse vuole tornare a casa, non vorrei si facesse eccessivamente tardi, so che domani lavorate.”

Cerco di darmi una mossa.

“Sì, sì, mi sa che è meglio.”

E, dopo aver salutato le sorelle Olivieri, vado via, ricacciando indietro il desiderio di tornare dentro e consolare Anna.

 

Anna's pov

Stamattina mi sono svegliata con un martellante mal di testa.

Non avrei dovuto alzare il gomito, ieri sera, anche perché mi sarei evitata un ulteriore dolore.

Me l'ero detta, dopotutto, ma la mia mente ragionava a modo suo, e ho ignorato la vocina saggia che mi aveva, giustamente, suggerito di andarmene a dormire.

Quando Chiara e Marco sono rientrati, so solo che ho dovuto concentrarmi moltissimo per non fare cose di cui mi sarei ancora più pentita.

Non so nemmeno perché ho mentito sulla cena.

Avrei potuto inventarmi che fosse andata benissimo, magari sortendo più effetto, ma la verità è che stavo troppo male per mettere in piedi una storiella felice. Non che fosse tutta una bugia, in realtà, perché la persona che avrei voluto accanto a me aveva davvero un altro impegno.

Una metafora per dire che Marco, invece di stare con me per una delle nostre lezioni di cucina, ha preferito uscire con mia sorella. In fondo, è come se mi avesse dato buca davvero.

Per colpa mia, tra l'altro.

Non mi riesce di essere davvero cattiva con mia sorella, però. Ho tentato di smascherare le sue bugie relative alle passioni che condividerebbe con Marco e che in realtà detesta, ma è troppo brava a sviare e quindi i miei tentativi sono caduti nel vuoto. Ovviamente. Lui nemmeno ci ha fatto caso. Nemmeno lei, se è per questo, e in parte è meglio così.

Però ho deciso che devo darmi una mossa, se non voglio star male come ieri, anche perché il maresciallo aveva ragione, per quanto mi costi ammetterlo.

Per orgoglio, per paura, sto perdendo Marco, e non riesco ad accettarlo.

Perché sì, mi sono innamorata di lui, e non voglio rinunciarci così, senza nemmeno tentare.

Perché qualche speranza forse ce l'ho... non posso essere solo io, a sentire le farfalle allo stomaco ogni volta che siamo insieme. Ad adorare l'aria domestica che si crea immediatamente tutte le volte che ci vediamo, la sera.

A ripensare a quel bacio, quella volta a casa mia.

Lo so, che ci pensa anche lui, lo capisco da come mi guarda. Anzi, dovrei dire da come ci guardiamo.


Non so dove ho trovato il coraggio di chiedere aiuto al maresciallo, una volta in caserma.

Ho una paura folle, perché in una circostanza normale non farei mai niente del genere, perché non è da me, ma è ancora peggio se penso che mia sorella potrebbe portarmelo via. Posso accettare tutto, ma questo non ci riesco.

Spero solo di non pentirmene un'altra volta.

 

Marco's pov

Il giorno dopo, mi chiamano in caserma perché hanno trovato due possibili sospettati: il fratello del ragazzino e un suo amico. Durante l'interrogatorio, anche questi due mi fanno perdere la pazienza, e Anna come al solito resta impassibile. Ammetto che aveva ragione lei sulla questione di Sveva, la ragazzina, però questi due c'entrano di sicuro.

Una volta terminato, sto per salire in moto quando il maresciallo e Anna mi fermano.

“Dottor Nardi?” Mi chiama lei. Non ho mai capito perché facciamo questa cosa di chiamarci per nome quando siamo soli e di darci del 'lei' in pubblico, ma so per certo che viene istintivo anche a me. Quasi a voler tenere questa familiarità solo per noi. “Stavo pensando, dato lo stato delle indagini, che potremmo fare un ragionamento ulteriore...” Si volta a guardare Cecchini, e noto che è leggermente tesa. “Magari stasera... a cena, a casa Sua.”

Come? Ho capito bene? Non me lo sto immaginando, vero?

“...Okay. Ma... perché da me? La moglie del Maresciallo cucina benissimo!” Marco, finiscila subito! Va bene a casa tua, dille che non ci sono problemi!

“Mia moglie è impegnatissima, c'ha un raduno, un raduno degli alpini, c'ha il raduno del club del tartufo nero di Norcia...” Spiega lui.

“Possiamo far da lei, forse...” Suggerisco, indicando Anna.

“Eh no, da lei, dopo quello che è successo...” Fa Cecchini.

“Che è successo?” Mi preoccupo. C'entra l'amico di ieri? Che ha combinato ancora? Chi è questo tizio?

“Che è successo... in nottata è scoppiata la fogna, e la puzza...” Anna fa una faccia strana. Non ci sto capendo niente. “Facciamo da Lei, venti e trenta.” Decide da sé il Maresciallo. “Va bene? Vada, fatto.”

Va via, portandosi dietro Anna mentre io salgo in moto, ancora un po' perplesso.

Non che mi dispiaccia, anzi. Ultimamente non abbiamo più fatto nemmeno lezioni di cucina. E magari mi informo su questo tizio di ieri, così forse capisco perché lei era così triste.

 

***

La sera, all'orario stabilito, suonano alla porta. Sarà Anna di sicuro, lei è sempre puntualissima.

Corro ad aprire, e mi trovo davanti una visione.

Capelli sciolti, tacchi alti e un abitino verde di pizzo con un effetto vedo non vedo che mi fa quasi venire un colpo. Anzi, togliamo il quasi.

Non era lei quella che si sentiva poco femminile? Farebbe convertire pure un santo, vestita così...

“Ammazza, che eleganza...” Riesco a biascicare dopo averla osservata a bocca aperta per qualche istante. Non riesco a staccarle gli occhi di dosso.

“Ho fatto una cosetta...” Mi dice, porgendomi il vassoio che ha in mano che ammetto di non aver notato, ero un tantino impegnato a guardare il resto. Posso sbirciare ancora un po'?

“Grazie, ma non dovevi!” Mormoro, ancora ammaliato.

Lo porto fino al bancone davanti ai fornelli, chiedendo se posso aprire. Sono decisamente curioso, sono a un passo dallo scoprire se ha imparato bene o no.

Al suo assenso, tolgo il coperchio.

“Hai fatto lo stracotto al barolo? Ma ci voglion tre ore per marinare la carne!” Esclamo, decisamente colpito. È una ricetta abbastanza complicata, ma dall'aspetto sono convinto che se la sia cavata benissimo. “Il profumo è stupendo...”

“Ho avuto un grande maestro...” Si schernisce lei, timidamente. Giusto, dimentico sempre che i complimenti la mettono in imbarazzo.

Cerco un modo per rimetterla a suo agio, anche se io per primo sono agitato. “Vino? Senti, ho... Sagrantino di Montefalco oppure Rosso di Torgiano?” Le domando, sapendo che in genere ne capisce più di me.

“Sagrantino di Montefalco,” suggerisce senza esitare.

“Okay...” Sto per stappare la bottiglia quando mi ricordo che dovremmo essere in tre, stasera. Purtroppo. “Ah, aspettiamo il Maresciallo, che dici?”

“No no, versa pure... mi ha tra l'altro chiamato, ero proprio qui fuori, e... ha avuto un'emergenza, non ho capito. Non viene...” Mi spiega, esitante.

“Ah!” Mi soffermo a guardarla per un attimo. Abbasso lo sguardo, sorridendo tra me. Non so se sia tutta una scusa o la pura verità, conoscendo il maresciallo, ma ammetto senza ritegno alcuno che non mi dispiace affatto che lui non ci sia. Dillo, che ci speravi che lui vi desse buca. Per una volta le tue preghiere sono state esaudite. Siete da soli e lei è bellissima. Stavolta non devi sbagliare.

Prendo i calici di vino e la raggiungo davanti al bancone per un brindisi. “Allora, a una piacevole riunione di lavoro... e anche a una elegantissima cuoca di stracotto.”

Anna abbassa lo sguardo, e io riesco solo a pensare a quanto sia pazzo di lei, e a quanto vorrei che questa fosse una cena con ben altro proposito.

“Beh.. allora siamo in due! Pazienza, eh...” Dico, per stemperare la tensione. E per abbassare la temperatura. Non senti caldo, tu?

“...Preparo la tavola.” Suggerisce.

“Io... prendo i piatti.” Svegliati, non è che puoi stare tutta la sera a fissarla, però.

 

Mentre recupero i piatti, inspiro a fondo.

Dire che sono sconcertato è poco.

Ma in modo assolutamente positivo.

Mi sarei aspettato di tutto, tranne questo. Soprattutto dopo ieri sera.

Decido però che non voglio pensarci, voglio solo godermi queste ore con lei, anche se dobbiamo parlare di lavoro. Non mi importa se mi dovesse beccare a fissarla, come sono convinto che succederà, ma almeno stasera ho un'ottima scusa per farlo. Al lavoro posso sfruttare la sua concentrazione, in qualche episodio, ma stasera... è tutta un'altra storia.

 

Ci mettiamo a tavola, e dopo un'esitazione iniziale tutto riprende con la nostra solita naturalezza. Siamo ormai abituati a passare le sere insieme, anche se da qualche tempo non è più successo per ovvi motivi, e mi rendo conto solo ora di quanto mi sia davvero mancata la sua compagnia.

Parliamo anche del caso, mi spiega le sue idee in merito in maniera più dettagliata, e come solitamente succede, in effetti il suo ragionamento fila perfettamente. Accordo di approfondire le indagini secondo i suoi suggerimenti.

Poi l'argomento cambia, e torniamo di nuovo a parlare di tutto quello che ci passa per la mente.

Con lei posso farlo, non ho mai timore a raccontarle di me, di quello che penso.

Mi rendo a mala pena conto del fatto che la bottiglia di Sagrantino è quasi terminata.

E che non sono più così lucido.

Sarà stata l'atmosfera. In genere ci limitiamo senza difficoltà.

Una volta terminato di cenare, inizio a sparecchiare. Anna insiste per aiutarmi, e io sinceramente non protesto più di tanto. Sì, è perché voglio osservarla ancora, contenti?

Mentre porto i piatti nel lavandino, sento che mi fa una domanda.

“Che cos'è questo sacco pieno di polvere?”

“Quale?” Chiedo. Sacco? Che ho lasciato in giro e non me ne sono accorto prima?

“Lo sposto, ti spiace? Lo metto qui che dà meno fastidio.”

Con mio profondo orrore, mi rendo conto che sta parlando del pouf.

 

Prima che me ne renda conto, i piatto mi scivolano dalle mani, che scopro tremare forte.

Calmati. Non è successo nulla. Lo ha solo spostato, l'hai lasciato in mezzo alla stanza e non si poteva passare. Respira.

“Marco...” Sussurra lei, chiaramente confusa dal mio comportamento.

Io non riesco nemmeno a parlare.

“Che c'è?” Prova a chiedere, ma il mio cervello sembra non recepire più i comandi, forse anche per via del vino bevuto.

Marco, no. Non fare quello che stai pensando. Non ha fatto niente di male, non lo sa, non gliel'hai raccontata questa parte della storia. Non c'entra niente lei.

“Niente, è che...” Sei ancora in tempo per stare zitto. O meglio ancora, per spiegare. Capirà, lo sai che lo farà. Diglielo! “Mi sono ricordato che avevo un altro impegno. Ho un appuntamento, devo andare, scusa.”

La mia voce trema, e non so nemmeno io quello che sto dicendo.

“Con chi? … nel senso, a quest'ora...” Lascia in sospeso la frase. So che ha intuito che non le sto dicendo la verità, ma non riesco a fare altro.

Non è vero, puoi! Diglielo! Dille perché hai reagito così! Ora!

'Ha fatto l'unica cosa che non doveva', rimbecca una vocina diversa dal solito che non capisco da quale parte della mia testa venga, e nonostante sappia benissimo che non lo ha fatto di proposito, la mia paura è troppo grande, e il mio meccanismo di autodifesa si è messo in atto da solo. E adesso continua a dirmi, prepotentemente, come comportarmi.

No! Non lo fare!

“...al Jolly, con tua sorella.”

Sono queste le sole parole che dico, ma so benissimo che l'ho ferita. Lo leggo dal suo sguardo, ma era esattamente questo il mio scopo. Farle male come lei ne ha appena fatto a me.

 

Anna abbassa lo sguardo, e io sento risalire la bile in gola.

“Dovrei andare, sì...” Continuo, imperterrito, cacciandola letteralmente fuori.

“Va bene.” Dice soltanto, e per un attimo, vedo un velo di lacrime luccicare in quegli occhi verdi che tanto mi hanno ammaliato, prima di andare via di corsa.

“Anna...” Provo a chiamarla prima che esca, senza alcuna convinzione o reale voglia di trattenerla.

 

Non appena lei si chiude la porta alle spalle, il mio cervello riprende a funzionare.

Codardo, torna a tormentarmi la vocina familiare, la verità è che hai paura. Paura di avere di nuovo stravolta la vita. Paura di star male di nuovo. Paura che una storia con lei non sia come immagini. Ma lei non è Federica. Anna non è Federica. Lo sai, questo. Non ti farebbe mai quello che ti ha fatto lei. Anna non è lei.


Non lo è, lo so. Ma so anche che, pur non avendolo fatto intenzionalmente, ha toccato l'unica cosa che non doveva. Qualunque cosa, ma non quella. Quel pouf è stato l'inizio della fine, e me ne sono accorto tardi. E ora non voglio succeda lo stesso.


Ma lei non lo sapeva. E l'ha solo spostato. Se solo le avessi spiegato, invece di perdere la testa...


Il mio sguardo si posa sul vassoio ormai vuoto che prima conteneva il brasato. Sento risalire il groppo in gola.

Che cosa mi è preso?

Fin dall'istante in cui è entrata a casa mia, stasera, sapevo che le cose sarebbero andate diversamente da come ci eravamo prefissati. Mi è bastato poco per rendermi conto che, questa serata così con lei, è stata completamente diversa da quelle che ho trascorso con sua sorella nelle scorse settimane. In fondo, lo sapevo anche prima, ma non me n'ero davvero accorto. È stato tutto così... familiare, così naturale, che non mi è sembrato strano nemmeno per una attimo.


Non è stato un caso, stasera, quel vestito elegante... Sarebbe potuto essere quello che avrebbe indossato ieri sera a teatro, con me, se solo le cose fossero andate... come dovevano, tempo fa. Se non ci fossimo fatti frenare dalla paura.

E ieri, al rientro... era per questo che stava male. Sono io, ad averle dato buca, senza saperlo. Io, a non essermi reso conto che Chiara non è quella che dice di essere, perché l'ho conosciuta prima, senza distorsioni o filtri, e so che è diversa dalla ragazza che è uscita con me, a cui piacciono la cucina, il calcio, le moto... Il discorso di ieri sera di Anna a questo serviva, a farmi aprire gli occhi.

Capisco anche che la cena di stasera è stata opera del maresciallo, perché quelle che ha detto oggi in piazza erano tutte scuse davvero poco credibili, e non credo che riuscirò mai a sdebitarmi. Però so da dove cominciare.

Afferro le chiavi e mi precipito fuori dalla porta.

 

Anna è venuta a piedi, di questo sono sicuro, quindi dovrebbe ancora essere sulla via di ritorno, considerati anche i tacchi.

E infatti è così.

“Anna, aspetta!” La chiamo a gran voce, sperando che mi dia ascolto, mentre continuo a correre verso di lei, che si ferma all'improvviso.

Quando la raggiungo, mi posiziono davanti a lei per impedirle una possibile fuga, ma mi si ferma il cuore quando noto, nonostante la testa bassa, le lacrime rigarle il viso.

Complice il vino ancora in circolo e lo sgomento di vederla in questo stato, l'unica cosa che riesco a fare è prenderle il viso tra le mani e baciarla.

Come voglio fare da mesi.

Come ho sognato di baciarla praticamente ogni notte da quella sera a casa sua, dopo i capricci della caldaia.

Le sue mani salgono leggere sul mio petto, e sento le sue dita serrarsi attorno alla stoffa della camicia non appena avverte il battito impazzito del mio cuore.

È un bacio disperato, il nostro, che contiene tutta la frustrazione di mesi passati a imporci di mantenere le distanze, il pentimento di aver definito tutto un 'errore', il desiderio di poterci amare com'è giusto che sia.

C'è dolcezza, passione repressa, bisogno, da parte di entrambi.

Non solo lo avverto dentro di me, ma lo percepisco anche nei gesti di Anna, lo leggo nel suo sguardo, lo sento nel suo respiro.

“Torna a casa con me,” sussurro soltanto, quando ci separiamo dopo un tempo infinito.

Lei si limita ad annuire, stringendo forte la mia mano.

 

Una volta rientrati, mi accorgo che non sono così lucido come pensavo di essere, e nemmeno lei, e non credo sia solo effetto del Sagrantino.

Ma niente sembra suggerirci che stiamo per commettere uno sbaglio, o che non dovremmo.

Quando la conduco al piano di sopra, non mi ferma.

Non stacca gli occhi dai miei nemmeno per un attimo.
 

E, all'improvviso, capisco cosa significhi davvero amarsi.
 

***

Il mattino dopo, mi sveglio che è ancora presto, lo capisco dalla luce che filtra attraverso la finestra.

Per un attimo, mi sembra tutto come al solito, poi mi torna in mente la meravigliosa notte appena passata.

Con Anna.

Scatto a sedere, terrorizzato, rendendomi conto che non è accanto a me, sul letto. Le lenzuola, dal suo lato, sono fresche, quindi dev'essersi alzata da un pezzo, mentre io ancora dormivo.

È andata via. Si è pentita di essere stata con me ed è andata via.

È tutta colpa mia, ho rovinato tutto.

Mi decido a mettermi in piedi, cercando di recuperare i miei vestiti sparsi attorno al letto, e con un tuffo al cuore trovo anche il suo abito in mezzo alla confusione.

Forse non è tardi.

Infilo jeans e maglietta per sicurezza – vorrei recuperare tempo nel caso in cui dovessi uscire in moto – e mi precipito giù per la scala, fino in soggiorno.


È lì che la trovo.

Anna è seduta sul pouf, con addosso soltanto la mia camicia abbottonata per metà, un'aria pensierosa dipinta sul viso.

Ingoio a vuoto.

“Anna...” mormoro, incapace di dire altro.

Lei si volta a guardarmi, lo sguardo cupo.

“Perché ieri sera ti sei arrabbiato quando ho spostato questo pouf?” Mi chiede senza preamboli. “Ho capito che è stato questo a farti cadere i piatti dalle mani, è successo tutto quando ti ho chiesto se potevo metterlo da un'altra parte. Non so perché tu ci abbia ripensato, dopo, ma se non l'avessi fatto, a quest'ora ci sarebbe probabilmente mia sorella, al mio posto.”

Mi avvicino di qualche passo, incerto su come muovermi, mentre lei si mette in piedi, fronteggiandomi.

So che devo dirle la verità, merita di saperla e non è giusto continuare a nascondergliela. Solo che la visione che ho davanti, di lei così, mi distrae non poco.

Però devo essere sincero, anzi voglio esserlo, così inspiro a fondo, e le racconto finalmente tutto.

“Quando stavo con la mia ex fidanzata, la prima cosa che mi ha buttato via è quel pouf su cui guardavo le partite. Poi ha buttato via le mie uscite allo stadio, la moto, i grassi idrogenati, poi i miei amici, ha buttato via...” elenco, mentre lei cerca di stare al seguito del mio discorso, chiudendo gli occhi e spostando i capelli su un lato, comprendendo finalmente qual è stato il tassello che ha rischiato di far saltare tutto. “Alla fine è riuscita a cambiarmi perfettamente. E sai cos'ha fatto? Ha buttato via anche me! 'Eh, non eri più quello di prima'...” Finisco, citando le parole della mia ex al primo confronto dopo aver scoperto che mi tradiva.

Anna resta un attimo a soppesare le mie parole, poi si avvicina di un altro passo, un lampo di preoccupazione passa nelle sue iridi verdi. “Tu hai paura che io... voglia cambiarti.” Sussurra.

“No!” nego subito, stringendole le spalle per rassicurarla. “No, no, no, beh, tu non sei Federica! So che non faresti mai quello che ha fatto lei... E poi, tu mi hai già cambiato. Mi hai permesso di tornare quello che ero, di essere me stesso, e al contempo di diventare un uomo migliore. È per questo che ti sono corso dietro, ieri sera...” Le cingo la vita con le braccia, e lei non me lo impedisce, con mia immensa gioia. “Io ti amo...” le sussurro, “all'inizio ti odiavo, mi stavi antipatica, ma tanto...” Anna ride alle mie parole, e per me è solo uno stimolo ulteriore per continuare. “E poi ho capito... che tu sei una intelligente, sei tosta, sei determinata... ma sei anche sensibile, emotiva...” le dico, accennando alle lacrime che vedo luccicare nei suoi occhi verdi che adesso brillano più che mai, “e sei una che davanti al male si sa ancora commuovere. ...E ti amo.” Concludo, avvicinando il volto al suo, lasciandole però la prossima mossa.

Il sorriso che mi rivolge ha il potere di sciogliermi come poche altre cose riescono a fare.

“Io non faccio queste cose, non sono mai andata a letto con nessun altro, oltre-... Non so cosa mi hai fatto, ieri, ma devi essere stato parecchio convincente.” Fa, maliziosa, mentre io le accarezzo piano i capelli, ridacchiando: lo sapevo, già, quello che mi sta dicendo, l'avevo capito la prima volta che abbiamo cenato insieme, ma è bello sentirglielo dire. “Sei l'uomo più impossibile che conosco...” mormora, ormai vicinissima. “Ed è anche per questo che ti amo.”

È lei, stavolta, ad azzerare le distanze.

L'orologio non segna nemmeno le sei del mattino, ma il tempo, in questo momento, conta poco.

La mia maglietta finisce di nuovo a terra, in soggiorno, in men che non si dica.

La mia camicia, che lei aveva addosso, fa la stessa fine ancora prima di raggiungere la mia camera da letto.

L'amo, perfino più di quanto avrei mai immaginato di poter fare. 
 

***


Non arriviamo in ritardo al lavoro per puro caso.

Arriviamo insieme, questo sì, ma puntuali.

Qualcuno è stato particolarmente insistente, a un certo punto. Ma devo ammettere che non mi è affatto dispiaciuto.

Nel pomeriggio, il maresciallo ha la sua partita di scacchi con Don Matteo.

Alla fine ho scoperto chi era “l'amico” di quella sera... Cecchini, a cui Anna ha dato qualche suggerimento sulle tecniche di gioco, in questi giorni. Non che lui le abbia dato molto ascolto, com'era prevedibile.

Quando li raggiungiamo, al bar di Spartaco, Anna prende posto in piedi di fronte al maresciallo, come una sorta di sostegno morale. Io la affianco, anche se non capisco moltissimo della partita, ma lo faccio più per la gioia di starle accanto che altro, adesso che posso.

Il Maresciallo, per la prima volta, incredibilmente vince la partita a scacchi.

Esulta, saltando in piedi e strillando a gran voce “Scacco matto!”, mentre noi ridiamo, e ordina addirittura la colazione – evidentemente parte della scommessa.

A questa, aggiunge pure una bottiglia di spumante.

“Dobbiamo fare un brindisi, dobbiamo fare un brindisi,” esclama, festoso. Si volta verso me e Anna, che lo guardiamo, incerti su cosa voglia dire. “Alla Regina, che ha finalmente fatto scatto matto al Re!”


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Salve a tutti! Rieccomi, come al solito con una nuova versione de “La crepa”, sempre elaborata sui suggerimenti di Martina (stavolta abbiamo alzato il rating della storia, Marti! xD).

In attesa del videoclip del nuovo singolo di Max Pezzali, che include anche Anna e Marco – che non vediamo l'ora di poter riguardare in loop, viste le premesse – continua la serie di versioni alternative degli episodi di DM11. Sperando che i nuovi in arrivo non ci facciano soffrire troppo (coff coff... a buon intenditor...)...!

Spero vi piaccia! Se vi va, mi farebbe piacere ricevere qualche recensione... :)

A prestissimo!
 

Doux_Ange

 

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Capitolo 22
*** Una questione personale - versione 2 ***


 

UNA QUESTIONE PERSONALE

 

La mia mattinata, cominciata in modo tranquillo come tutte le altre, ha avuto un risvolto che al solo sentirlo mi ha fatto venire un groppo in gola che non credo riuscirò a togliermi tanto presto, insieme al vago senso di nausea che il mio corpo ha istintivamente messo in atto alla notizia che mi hanno appena dato.

Mi hanno telefonato dalla Caserma per informarmi che un ingegnere edile, teoricamente ai domiciliari per il crollo di un palazzo da lui progettato, è stato trovato morto nello studio del suo avvocato. E l'avvocato è il mio ex-migliore amico. Sì, proprio quello che si è portato a letto la mia futura sposa.

Non so con che spirito mi sto recando allo studio, ma di certo devo mostrarmi impassibile. Anna e il Maresciallo non devono sapere. Nessuno sa di questa storia, fa ancora terribilmente male e l'idea di dover rivedere Simone mi fa ribrezzo, ma so che non posso tirarmi indietro.

Arrivato sul posto, raggiungo il Capitano, impegnata a parlare con Cecchini e Don Matteo. Mi volto brevemente verso la targhetta affissa fuori dalla porta con su scritto 'Studio Legale Castagnati', deglutisco e chiedo subito informazioni su come si siano svolti i fatti, senza salutare nessuno.

È Anna a rispondermi. “Don Matteo ha trovato l'evaso nello stanzino delle scope. Riteniamo che si stato aggredito e poi spinto giù dalle scale, morto sul colpo, poi il corpo è stato trascinato nello stanzino. Il tutto dovrebbe essere successo tra le dieci e mezzanotte.” Mi spiega con precisione.

“Simone Castagnati l'avete avvisato?” Domando, con la speranza che non debba essere io a farlo.

“No, non ancora perché non era in studio, stiamo andando nel suo ufficio.” Nega lei, prima di corrugare le sopracciglia e tornare a guardarmi, confusa. “Come fai a sapere che si chiama Simone? Il nome non c'è scritto, lo conosci?”

Mi rendo conto con le sue parole di essermi già tradito da solo. Volevo far finta di nulla, e invece ho già fatto un passo falso, e lei è troppo attenta per non accorgersene. Tu non vuoi che lei lo sappia, quindi vedi di fare attenzione.

Evito completamente di risponderle, optando per entrare nello studio. Gli altri mi seguono immediatamente.

 

Entrare lì mi fa venire un'altra ondata di nausea che trattengo a stento.

Ignoro Anna, che mi lancia un'occhiata indagatrice, spostandomi per la stanza cercando di lasciar fuori le questioni personali e concentrarmi sull'omicidio, quando un portafoto su un mobile attira la mia attenzione: è rivolto verso il basso, probabilmente caduto durante qualsiasi cosa sia successa qua dentro, così prendo un fazzoletto e lo sollevo.

La bile torna prepotentemente in bocca alla vista della mia ex fidanzata e del mio ex migliore amico abbracciati e felici, protagonisti di quell'immagine recente.

La rimetto giù con astio, prima di rivolgermi ad Anna.

“Convochiamo Castagnati.” Le dico, asciutto.

“Io avverto la famiglia,” risponde a voce bassa, incerta.

Dimmi che non hai già capito che c'è qualcosa che non va. Fai finta di non aver notato niente di strano. Ti prego.

 

Quando Simone arriva in caserma, lascio che sia Ghisoni a farlo accomodare in ufficio. Io aspetto che rientri Anna: anche se non deve sapere niente, voglio comunque che sia lì con me. Non voglio restare solo con lui, e magari la sua presenza riuscirà a calmarmi come le altre volte.

Lei finalmente arriva, una strana espressione in viso, e insieme a me e Cecchini si dirige dietro la sua scrivania.

“Avvocato Simone Castagnati,” si presenta lui, alzandosi e porgendo loro la mano.

“Capitano Anna Olivieri,” risponde Anna in tono cortese, “il Maresciallo Cecchini... PM Nardi.”  Quando lui fa per stringermi la mano, io non mi muovo dalla mia posizione, in piedi a braccia conserte accanto al tavolo. Lui ha almeno la decenza di abbassare lo sguardo.

“Si sieda,” gli dico soltanto.

Anna è perplessa, lo so, e io per primo non mi sto controllando come mi ero ripromesso di fare, ma è più forte di me.

“Allora, Lei è... l'avvocato di David Guarini... Micol Guarini però ci ha detto che ultimamente non andavate molto d'accordo.” Inizia l'interrogatorio il Capitano.

“Un momento... Lui voleva dichiararsi innocente e rischiava di farsi quindici anni. Io l'ho convinto a patteggiare e... alla fine abbiamo discusso, è vero, però poi lui si è reso conto che la mia era la strategia migliore-”

“Eh no, se era innocente no,” lo contraddico io freddamente. Non è una cosa strana, quella che ha detto, però per me potrebbe dire la qualunque ed essere in torto a prescindere. Non posso passargliela, non dopo quello che ha fatto.

Anna mi guarda, cercando di capire che sto facendo, ma io resto impassibile. Non mi importa se pensi che stia esagerando, tu non sai come stanno le cose.

“Beh... con una scossa del terzo grado quel centro commerciale non avrebbe dovuto avere nemmeno una crepa, invece è crollato completamente, e infatti si sono resi conto che mancava la gran parte del ferro dal cemento armato. E l'unico responsabile del cantiere era David Guarini.”

“Si può sapere di quanti soldi stiamo parlando?” Domanda Cecchini.

“Duecentomila euro, più o meno, l'appalto era intestato alla ditta della moglie di David e al suo socio.”

“Ludovico Foti, noi l'abbiamo incontrato,” ricorda il maresciallo ad Anna, che annuisce.

“Perché quella sera David, un evaso, è venuto nel suo ufficio?” Chiedo io con lo stesso tono di prima.

Lui fa un gesto nervoso, esitando a rispondere,

“Cos'ha fatto alla mano?” Indaga allora Anna, che ha notato una cosa che anche a me era sfuggita: una fasciatura alla mano sinistra.

“...Avevo dimenticato i documenti in studio... e l'ho trovato lì,” ammette con riluttanza. “Gli ho dato gli incartamenti del processo e lui se n'è andato.”

“Perché non ci ha avvertiti subito?”

“Perché mi aveva minacciato! Ho avuto paura.”

“Oppure perché l'ha seguito e ucciso.” Ribatto io. Paura, certo.

Lui si riscalda subito. “Ma cosa dici, Marco? Non puoi pensarlo veramente!” Mi domanda, stupito. Non osare chiamarmi più per nome. Siamo sconosciuti, ormai.

Lancio un'occhiata di sbieco ad Anna, e capisco immediatamente che ogni dubbio sul mio eventuale coinvolgimento è svanito di fronte a quelle parole.

“Lei è in stato di fermo.” Dico, rivolto a Castagnati con una nota di macabra soddisfazione nella voce.

Lui ride amaramente, ma non mi smuove dalle mie convinzioni. “Sarai contento, adesso.”

“Maresciallo, se ne occupa Lei? Grazie...” Lo prega Anna con un filo di voce.

Non farlo. Non farmi rimanere da solo con te. Non voglio trattarti male, per favore.

Simone si alza,  lanciandomi uno sguardo sprezzante, che io ricambio con tutto l'odio che riesco a concentrare, notando che anche Cecchini è confuso dal mio comportamento.

Voi non potete capire.

 

Non appena escono chiudendo la porta, Anna non attende un altro istante, ma la sua voce è gentile.

“Mi vuoi spiegare?” Domanda, cauta. “Chi è quell'uomo? Perché ti chiama per nome?”

Io mi rifiuto di guardarla. Mantengo gli occhi bassi, perché so che se li alzassi e incontrassi i suoi adesso, finirei per dirle tutto. Ma lei non deve sapere. Non deve. Fa troppo male perfino pensarci.

“È un sospettato di omicidio,” replico freddamente. “Il resto non ti riguarda.”

L'ufficio diventa improvvisamente troppo stretto, mi sento come se mi mancasse l'aria, perciò vado via immediatamente senza voltarmi indietro.

So che ho sbagliato, che lei ha chiesto solo perché preoccupata dal mio comportamento, ma io resto fermo sulla mia idea.

Non ce la faccio, ad aprirmi. Dalla mia bocca non uscirà una parola.

Anche a costo di farmi odiare di nuovo.

 

Non appena mi lascio alle spalle il portone della caserma, le cose non migliorano, anzi.

Federica è lì e sta aspettando me, ne sono sicuro. Ha appena visto portar via Simone, e sarei disposto a giurare che vorrà qualche tipo di aiuto.

Dopo quello che mi avete fatto, per me non esistete più.

Lei si volta, e si avvicina a me in tutta fretta. “Simone non ha fatto niente e tu lo sai bene!” Esordisce con prepotenza.

“Io sto facendo solo il mio lavoro-”

“No, tu così gli stai distruggendo la vita!”

Mi fermo immediatamente, girandomi a guardarla. Come ti permetti, di dirmi una cosa del genere? Io gli starei distruggendo la vita?

“Voi non vi siete fatti grandi problemi, non è vero?” Le dico, la mia voce intrisa di disprezzo.

“Marco, per favore...” Fa allora lei in tono di supplica. È finito il tempo in cui bastava una tua occhiata a farmi cedere. Una parola a farmi cambiare idea. Le preghiere non servono a niente.

Fa per prendermi il braccio, ma io mi ritraggo immediatamente, come scottato.

“No! Non mi toccare!” Rispondo con rabbia.

“Marco, per favore, ascoltami... Marco, la nostra storia non c'entra niente... Ti prego...”

No. non implorare il mio perdono per voi dopo che mi avete pugnalato alle spalle.

“Io non posso fare niente per lui.” Chiudo la conversazione aspramente, sperando che capisca una volta per tutte che deve sparire dalla mia vita, e andandomene via.

Ho bisogno di stare solo, e di scaricare la rabbia che provo.

 

Vorrei solo smettere di stare così male.

 

Anna's pov


 

Dopo che Marco va via, insieme all'occhiata gelida e a quel tono glaciale che non aveva mai usato nei miei confronti e che mi ha fatto davvero male – più di quanto mi sarei io stessa aspettata – cerco di mettere da parte le questioni personali e di concentrarmi sul caso.

Non che la situazione migliori, anzi.

Questo caso è maledettamente simile a quello che io stessa ho vissuto sulla mia pelle quando ero solo una bambina.

E, come allora, sono assolutamente certa che l'accusato sia in realtà la vittima della situazione, e che è innocente, come ho già riferito a Cecchini.

Con il maggior distacco possibile, inizio a indagare anche sul conto dell'avvocato Castagnati.

Quello che scopro non mi sorprende poi molto: Marco lo conosce eccome, visto che risulta nella sua stretta cerchia di amicizie – sono stati colleghi di corso all'università, ma posso affermare con una certa sicurezza che si conoscessero da prima, visto lo stesso paese di provenienza, che entrambi si sono trasferiti qui a Spoleto nello stesso periodo, e che giocavano insieme a calcetto, fra le altre cose.

Ripenso alla scena di poco fa in piazza, della reazione di Marco alla vista della sua ex che lo aspettava giù per qualche motivo, e al suo strano comportamento stamattina allo studio di Castagnati, e mi viene istintivo fare due più due. Non posso avere la certezza di cosa sia realmente successo, ma l'atteggiamento di Marco quando abbiamo convocato l'avvocato qui in ufficio è di sicuro legato alla sua ex, Federica.

Mi rendo conto che questa storia fa soffrire anche lui, e che non riesce a controllarsi quanto dovrebbe. Non so esattamente come dirglielo, ma capisco che stia male, e forse è meglio che resti fuori dalle indagini il più possibile. Anche perché, se si lascia condizionare, rischia solo di peggiorare le cose e commettere un errore lavorativo terribile. E io non posso lasciarglielo fare.


 

Marco's pov 

Più tardi ricevo una chiamata da parte di Anna, che si rifiuta di dirmi cosa vuole per telefono. Io sto ancora uno schifo per ieri, e la sua telefonata non mi aiuta. Le rispondo seccato che la raggiungerò in ufficio appena possibile.

Dopo una mezz'ora mi presento lì.

Entro senza bussare, e senza mascherare il mio fastidio. “Beh? Cosa c'è di così importante che non potevi dirmi al telefono?”

“Vieni...” mi invita lei, schiarendosi la voce. “Ho fatto delle ricerche su Castagnati. So che eravate compagni di corso all'università e che andavate a calcetto insieme.”

Non ci posso credere. Cos'hai fatto?! Come hai potuto? Ti ho detto che non erano affari tuoi.

“Ah! Ma stai indagando su di me?” Le chiedo, incredulo.

“Ti ho visto prima con la tua ex! Non so cosa sia successo ma io credo che c'entri Castagnati!” Spiega, una vaga nota di rimprovero nella sua voce. Quindi mi hai anche spiato? Non ti devi intromettere, Anna. Non provocarmi.

“Quindi stai insinuando che io l'ho messo in stato di fermo per un fatto personale!”
“No, sto dicendo che forse questo è un caso che ti coinvolge un po' troppo!” Alza il tono lei.

“Io so distinguere i fatti dalla vita privata, e sei tu quella che si lascia coinvolgere!” Rispondo furioso. Io so mettere da parte il personale, lei invece si lascia sempre influenzare, e la sua insinuazione assurda mi fa arrabbiare.

Oppure la tua rabbia è dovuta al fatto che sai che in fondo ragione. E che l'hai messo in stato di fermo per vendicarti. Che ti sei lasciato trascinare dal dolore. Che hai lasciato che i tuoi tormenti avessero la meglio sul buonsenso.

Non voglio sentire altro, non sopporto di sentirmi dire quelle cose, e mi dirigo a passo spedito verso la porta, mentre lei mi fa una domanda che gela dentro. “Sì, forse, ma io cerco la giustizia e la verità! Tu che cerchi?”

Sbatto violentemente la porta andando via.

Non ci provare, Anna. Non è una cosa che puoi capire. Non voglio dirti che hai ragione perché ammetterlo significherebbe essere sconfitto di nuovo. E lui è colpevole. Lasciami in pace.

 

***

 

Il mattino dopo ho un pensiero fisso in mente: andare a trovare Simone in carcere, e non per discutere del caso.

Quando arrivo, mostro il mio tesserino alle guardie, che mi danno il permesso di entrare e incontrarlo senza problemi.

Lui è sorpreso, ma si siede comunque di fronte a me.

“Non credevo che saresti arrivato a tanto.” Dice dopo qualche istante.

Io faccio un verso sprezzante. “Detto da te mi fa veramente ridere, sai.”

“Marco, ti ho fatto una bastardata, lo so... ti chiedo scusa.”

Sapessi che me ne faccio delle scuse.

“Quando giocavamo a pallone e io ero davanti alla porta e tu non me la passavi... Quella è una bastardata. Sei il mio testimone di nozze e la sera prima vai a letto con la mia fidanzata... Capisci, ho difficoltà, a chiamarla bastardata.”  Gli dico con il mio miglior tono sarcastico.

“Avevamo bevuto...” Cerca di spiegarsi lui, come se bastasse quello.

“Ah, scusami, io non avevo capito! Potevi dirmelo subito!” Gli dico, sempre con ironia dilagante, e lui finalmente cede.

“Io la amo! Va bene, io la amo! È per questo che devo stare qui dentro?”

“No, è perché tu sei sospettato e potresti inquinare le prove.” Gli spiego, come se fosse un bambino di cinque anni un po' duro di comprendonio.

“Ma quali prove?! Perché avrei dovuto ucciderlo?” Ma che bella recita.

“Provo, eh? Forse perché il PM che ha seguito le indagini era una tale Flaminia Vanzetti... ti dice qualcosa, questo?”

“Siamo stati insieme soltanto per due mesi!”

“Magari per farle un piacere... magari avete bevuto anche con lei, non so, hai convinto il tuo cliente a patteggiare così tutti contenti. Tranne il tuo cliente, che l'ha scoperto, s'è incazzato e tu l'hai buttato giù dalle scale.”

“Non è andata così... non è andata così!”

“Va bene, sentiamo cosa dice il giudice.” Rispondo, alzandomi e andando via, se possibile più arrabbiato di prima.

 

***

 

Vorrei andare via ma mi chiamano per andare in caserma, perché avrebbero scoperto qualcosa. Metto da parte per un attimo i miei sentimenti, ho bisogno di fare il mio lavoro come si deve.

Entro nell'ufficio di Anna e con molta riluttanza mi siedo e ascolto. Lei apre un computer portatile.

“Sono le telecamere del cantiere,” mi spiega, “un'altra intuizione notturna del Maresciallo.”

“David Guarini, 22:07,” continua lui ignorando l'occhiataccia. Avviano il filmato che mostra l'uomo scavalcare la recinzione del cantiere, fino a quando torna indietro.

“Ha sfruttato il cantiere per togliersi le manette,” commento, “lui lo conosceva, sapeva che lì avrebbe trovato gli strumenti adatti.”

“Sì, ma c'è dell'altro,” spiega il Capitano. “è rimasto dentro quaranta minuti, poi è uscito con questa.” Precisa, indicando una borsa visibile nel video. “Che c'è dentro? Cosa cercava al cantiere?”

Quando io non rispondo, lei continua, alzandosi in piedi e mettendosi a camminare avanti e indietro per l'ufficio. “Ragioniamo: invece di scappare, lui torna al cantiere, ed è un rischio. Dopodiché è andato dal suo avvocato, altro rischio. Per me c'è solo una spiegazione: lui stava indagando, e se indagava vuol dire che non era il colpevole del crollo!” Esclama, ma io non la vedo come ragione possibile. “Questo è un altro motivo per avercela col suo avvocato, che poi l'ha ucciso per coprire un suo errore.”

“Quale errore?” Domanda allora lei con un tono freddo che non riesco a non notare.

“Castagnati e la PM che stava lavorando sul caso hanno avuto una storia insieme. PM e avvocato difensore non possono lavorare sullo stesso caso se si frequentano abitualmente, tantomeno se hanno avuto una storia insieme, ma Lei forse dovrebbe saperlo.” Spiego io indispettito ad Anna, e sì, è una frecciatina alla sua relazione col pretino-avvocato.

Lei non è contenta della mia osservazione. “Sì, si chiama infedele patrocinio, ma non è grave, Castagnati al massimo avrebbe avuto un richiamo.” Mi contraddice, ed è la goccia che fa traboccare il vaso. Non sopporto che anche lei mi vada contro.

Mi alzo in piedi, al limite della collera. “Sì, ma è un movente o no? Ma io ti devo ricordare forse che è il PM che deve dettare la linea d'indagine?” Le dico guardandola dritta negli occhi. Lei non si ritrae né abbassa lo sguardo, ed è una cosa che mi fa innervosire ulteriormente.

“Io sto seguendo gli indizi, solo quelli.” Mi risponde a tono.

Non mi contraddire. Non te lo lascerò fare. Devono pagare per quello che hanno fatto.

“Va bene, hai due giorni di tempo e poi la fase istruttoria è chiusa. Continua a perder tempo, brava!” Sibilo con astio, prima di andare via furioso.

Simone è colpevole. Lo è.

 


 

Anna's pov


 

Marco va via, furibondo, di nuovo.

Cerco di trattenermi con tutto l'autocontrollo che riesco a racimolare.

Leggere la rabbia nei suoi occhi mi ha ferita, un'altra volta, e non perché ha dubitato della mia obbiettività, ma perché continua a non volersi fidare di me.

Io sto cercando di essere il più imparziale possibile, anche se non sempre riesco, e vorrei solo dare giustizia alla famiglia di quell'uomo, confermare l'innocenza di un padre agli occhi di sua figlia.

Perché Guarini è innocente, di questo sono certa.

E l'odio di Marco, che sta sfogando anche su di me nonostante io non c'entri nulla, sta rischiando di farmi esplodere.

“Senta...” mi riporta alla realtà Cecchini. Avevo dimenticato fosse qui, immersa com'ero nei miei pensieri. “Mmi servirebbe un permesso di mezz'ora per la questione del camper, si ricorda?”

“Vada,” glielo accordo.

Lui annuisce dirigendosi verso la porta, ma prima di uscire si volta verso di me.

“Signor Capitano?”

“Sì?”

“Perché il pm ce l'ha con Lei? Anche ieri s'è messo a urlarle contro.”

Mi sembrava strano, che finora non avesse chiesto.

“Non ce l'ha con me, maresciallo, è solo convinto delle sue idee, come al solito.” Minimizzo. Dallo sguardo che mi rivolge, capisco che non mi crede.

“Forse sì, però... Forse è questo caso che vi sta facendo litigare più del solito, però visto che lui sembra non essere tanto lucido, potrebbe provare a farlo ragionare Lei... In genere ci riesce,” mi dice semplicemente, prima di andare via e lasciarmi sola con i miei pensieri.

E, dopo una lunga esitazione, capisco che il maresciallo ha ragione, che Marco ha bisogno d'aiuto e so anche che, forse, sono l'unica a poterglielo dare.

Anche se significa farmi male per l'ennesima volta in questi giorni.


 

Marco's pov 

Passo tutto il giorno a cercare di sbollire la rabbia.

Rabbia nei confronti di Federica, che aveva detto di amarmi e poi mi ha tradito.

Nei confronti di Simone, il mio migliore amico che mi ha pugnalato alle spalle.

E nei confronti di Anna, che mi ha sbattuto la verità in faccia sul mio desiderio di vendetta.

Lei fra tutti, che non ha nessuna colpa reale, è la fonte principale del mio astio in questo momento. Ne ho fatto un capro espiatorio, sì, perché detesto l'idea che abbia intuito qualcosa. Che abbia cercato di capire perché ce l'ho tanto con Simone.

 

Non può capire cosa significhi, trovarsi faccia a faccia con le persone che amavi di più e che invece ti hanno fatto più male in assoluto. È impossibile non lasciarsi condizionare, se qualcosa ti riguarda in prima persona. Come per quel ragazzino tradito dal suo migliore amico diventato un bullo... mi sono rivisto in quel tradimento, e ho agito di conseguenza anche se ho provato a non farlo.

Pensaci un attimo, però. In passato non ti sarebbe importato di nulla, ti saresti limitato a fare il tuo lavoro senza vederci niente dietro. È Anna che ti ha portato a riflettere, che ti ha fatto capire che a volte la sensibilità aiuta molto di più del rigore. Forse dovresti usarla anche stavolta.

Scuoto la testa. Non va così. Anche se questo fosse vero, lei ha comunque sbagliato a indagare su di me e non rispettare quello che le avevo detto, di non impicciarsi.

E non potrà mai capire cosa voglia dire trovarsi davanti a un caso che ti riguarda così da vicino.

 

Ho appena finito di sparecchiare a casa quando qualcuno bussa alla porta.

Chi può essere, alle dieci di sera passate?

“Arrivo,” dico, e quando apro mi ritrovo davanti proprio la persona che non vorrei vedere in questo momento: Anna.

Lei mi saluta con un sorriso incerto, che io non ricambio. Anzi, cerco di farle intendere che la sua presenza non è gradita, visto che è più brava a capire i sottotesti che le richieste esplicite.

“Posso entrare?” mi chiede dopo qualche secondo.

Io le rivolgo un'occhiata gelida. “Se è per il caso, guarda, non abbiam niente da dirci, nessuna proroga-”

“Non devo parlarti del caso,” mi interrompe. “Mi fai entrare?”

Bene, quindi non capisce nemmeno i no. Mi sposto per farla passare, senza nascondere il mio sdegno.

Si ferma all'ingresso, senza procedere oltre, posizionandosi di fronte a me.

“Posso fare qualcosa per te? Vuoi sederti, vuoi un bicchiere di vino? Dimmi.” Le chiedo, con finta cortesia che so non essere passata inosservata.

“No, resto in piedi, faccio subito.” Rifiuta. Io annuisco, in attesa che mi dica cosa vuole e vada via.

Marco, smettila. Non ha senso che tu la stia trattando così solo perché ha capito e cercato di aiutarti.

Abbassa lo sguardo. “Volevo raccontarti perché... ho scelto di fare il carabiniere.”

Cosa...? Sul serio? Con tutto il rispetto, cosa vuoi che me ne importi? Ora meno che mai.

“Adesso?” le chiedo freddamente, senza celare il mio disinteresse.

“Sì, Marco. Adesso.” Il suo tono è grave, e mi rendo conto immediatamente che ci dev'essere un motivo. Abbiamo aperto l'argomento tante volte, ma non mi ha mai detto nulla al riguardo. Se ha scelto di farlo adesso, deve avere una spiegazione più che valida, non è una che dice cose  a caso. Basta questo pensiero a farmi calmare all'istante. “Okay... ti ascolto.” Rispondo, stavolta più pacato.

Anna incrocia le braccia e inspira a fondo, prima di iniziare.

“Mio padre aveva una piccola fabbrica di scarpe, e un giorno venne accusato di evasione e appropriazione indebita. Avevo dieci anni...”

Il suo sguardo si fa distante, la voce incrinata. Io non so che pensare, restando ad ascoltare senza dire nulla.

“Ma mi ricordo... mi ricordo i poliziotti che entrano in casa alle cinque di mattina, che aprono tutti i cassetti e che si portano via tutto, i documenti, i computer...” Solleva lo sguardo, e il dolore che ci vedo dentro mi fa venire l'ennesimo groppo in gola. “Mi ricordo gli sguardi della gente quando uscivamo in strada... le paroline sussurrate, i mezzi sorrisi... C'erano anche quelli che ci chiamavano ladri.” Ladri. Come hanno detto alla ragazzina figlia dell'uomo morto e a sua moglie. “Alla fine mio padre non è più uscito di casa. Se ne stava tappato in camera a guardare fuori dalla finestra...” continua, e capisco che sta cercando di trattenere le lacrime a tutti i costi, il suo tono di voce è inconfondibile. “Poi un giorno è uscito... e non è tornato più. Si è... si è buttato dal tetto della fabbrica.”

Suo padre si è suicidato.

Adesso sì che mi sento davvero uno schifo, sento la bile risalire crudelmente in bocca. Per tutto questo tempo l'ho accusata di non sapere cosa volesse dire sentirsi direttamente coinvolti come credevo di essere io, e invece lei in questi giorni ha dovuto rivivere la stessa situazione di quand'era bambina. Ha rivisto suo padre morire negli occhi di quella ragazza. Ha risentito le accuse false della gente dalla bocca di altri.

Ma ha fatto comunque il suo lavoro. Non ha lasciato trasparire nulla. Invece io ho combinato un casino senza pensare a niente se non a me stesso.

“Mi dispiace, io non ne avevo idea, scusami...” provo a dirle, la mia voce che si incrina, anche se so che le mie scuse, dopo che l'ho trattata in quel modo, non servono a nulla. “È una cosa terribile... scusami, non-”

“Sai qual è la cosa più brutta?” Mi interrompe, e stavolta il suo dolore si percepisce forte come un pugno allo stomaco. “Era innocente. Solo che se ne sono accorti troppo tardi.”

Quelle parole restano sospese nell'aria per qualche istante, ma fanno il loro effetto dentro di me come una bomba.

Con mio estremo orrore, noto una lacrima sfuggire al controllo generalmente ferreo di Anna, e la osservo rotolare giù lungo la sua guancia, avvertendo nello stesso istante un lancinante dolore al petto, come se fosse una lama intenta a trafiggermi.

La prima è seguita presto da altre, e lei abbassa in fretta lo sguardo, quasi vergognandosi per quello sfogo involontario.

Senza pensarci, allungo la mano, interrompendo il percorso di quell'acqua salata sul suo viso smunto.

Lei spalanca gli occhi verdi e confusi, inchiodandoli nei miei.

Io non riesco a pensare coerentemente, so solo che non riesco a distogliere lo sguardo dal suo, ancora colmo di un dolore che avverto forte come se fosse il mio, il calore della sua guancia sotto le mie dita, in contrasto con il freddo delle lacrime.

Capisco che è venuta qui per cercare di aiutarmi, farmi comprendere l'errore che stavo commettendo, e che involontariamente si è sfogata con me come non faceva da chissà quanto.

Non so per quanto tempo restiamo così, ma a un certo punto è lei a interrompere il contatto visivo, abbassando di colpo lo sguardo, e arrossendo.

Mi rendo appena conto del suo mormorio - “Io... è meglio che vada...” - e del suo chiudersi la porta alle spalle, ancora troppo scosso dal suo allontanamento improvviso.


 

Resto ancora immobile per qualche istante, e l'unica cosa che riesco a pensare è che sono un egoista. Che non ho capito niente. E che il mio problema, rispetto al suo, in un caso del genere è insignificante.

 

Mi lascio cadere a peso morto sul divano, ancora troppo sconvolto da quello che ho appena saputo, da quello che è successo.

Mai, mai avrei immaginato che dietro una decisione lavorativa del genere si nascondesse un motivo tanto grave. Avevo intuito che al padre di Anna fosse accaduto qualcosa, ma adesso le parole di Giovanni quella volta in ufficio acquistano tutto un altro significato. 'Non mi stupisce che proprio tu voglia farmi suggerire a un innocente di autoaccusarsi... dopo quello che è successo a tuo padre.' Mi ricordo lo sguardo ferito di Anna, e il suo 'niente' quando le chiesi cosa intendesse dire lui.

Giovanni lì non aveva capito nulla sul suo comportamento, pur sapendo del suo passato.

Io ho sbagliato senza sapere, e possibilmente è anche peggio.

Non riesco nemmeno ad immaginare quanto possa esserle costato raccontarmi quella storia. Doverla rivivere per l'ennesima volta nel giro di pochi giorni. E mi rendo conto di essere ancora più idiota, perché lei stava passando l'inferno ma ha pensato ad aiutare me e cercare di farmi ragionare, e io l'ho trattata malissimo solo per paura.

Non so nemmeno paura di cosa, a questo punto, visto che proprio lei non mi ha mai giudicato. Anzi, con me ha avuto il coraggio di mostrarsi fragile, anche poco fa, e io continuo a non riuscire a raccontarle di me.

 

Adesso capisco perché mi ha detto quelle cose. Un uomo innocente è stato ucciso proprio perché tentava di difendersi da un'accusa sbagliata. Il suo avvocato aveva cercato per lui il male minore, ma non riusciva ad accettarlo e ha reagito, indagando per conto suo e finendo comunque per essere ammazzato da qualcuno che ancora non sappiamo.

Quello che suo padre non ha avuto modo, o il coraggio, di fare. Si è chiuso in casa quando non è riuscito più a sopportare le ingiustizie della gente, senza potersi difendere. Si è tolto la vita quando non ha più trovato vie d'uscita per dimostrare la sua innocenza.

Non posso pensarci, a quello che ha passato Anna. Era così piccola quando le è accaduto tutto questo. L'irruzione delle forze dell'ordine in casa è già orribile per una persona adulta, figuriamoci per una bambina di quell'età. Senza contare l'arresto del padre e la gente che mormora senza poi nascondersi tanto, senza sapere dove stia la verità.

E poi il suicidio... come si fa, a dare una notizia del genere? Presentarsi e dire che un marito, un padre si è ucciso per un errore giudiziario?


 

Adesso capisco anche la sua reazione, quella volta in cui Giovanni la accusò di voler far suggerire a un innocente di dichiararsi colpevole, quando in realtà era l'esatto opposto, dopo quello che era successo a suo padre. Quando le chiesi a cosa si riferisse lui, mi rispose solo 'niente'.

Non si fidava ancora di me, e la comprendo benissimo.

Io ho fatto di peggio, adesso, perché ho avuto paura. Non ho voluto raccontarle nulla di Simone e Federica solo per paura, quando invece avrei evitato un sacco di problemi a entrambi se l'avessi fatto. Anche perché so di potermi fidare di lei. E niente me l'ha dimostrato come la storia che lei stessa mi ha confessato poco fa.

 

Se c'è una cosa che non voglio, è quella di rovinare la vita alla gente.

Nemmeno quella di Simone, se è vero che è innocente. E la famiglia di quell'uomo ha bisogno di giustizia. Abbiamo accertato la sua innocenza dall'accusa che aveva portato alla sua incarcerazione, ma adesso bisogna capire cosa lui avesse scoperto che ne ha provocato la morte. Dobbiamo trovare il colpevole, quello vero.

E in fondo so già che non è Simone.

Mi metto immediatamente al lavoro.

 

Anna's pov


 

Vado via da casa di Marco come scottata.

Mi sento... frastornata, confusa, in crisi, quasi in colpa con me stessa.

Sono andata da lui con l'intento di spiegargli che accusare un innocente e farlo finire in carcere è sempre sbagliato, e che le conseguenze possono essere disastrose, ben peggiori di quanto uno può anche solo immaginare... e invece, quando mi ha accolto con quella freddezza che aveva iniziato a riservarmi in questi giorni, ho smesso di pensare razionalmente, e ho finito per raccontargli di papà.

Non era quello che volevo fare, non avevo intenzione di dirglielo, e invece le parole mi sono uscite di bocca senza che le potessi fermare.

Anche quando Marco mi ha quasi schernita mostrandomi il suo disinteresse sulla ragione per cui avessi deciso di diventare un Carabiniere, non mi sono bloccata.

Anzi.

Gli ho rivelato tutto. Anche quello che non avevo mai voluto ammettere ad alta voce...

L'irruzione dei poliziotti in casa. Il terrore di quei momenti. Lo sgomento di non capire cosa succede.

Ero piccola, ma mi ricordo tutto come se fosse successo ieri.

La paura mia e di Chiara quando sono entrati in camera nostra e hanno svuotato i cassetti, buttando tutto per terra, come se fossimo i più pericolosi criminali in circolazione.

Sono cose che non si possono dimenticare.

Così come è impossibile scordare il dolore di mio padre. Che cercava di spiegare, invano, la sua estraneità ai fatti. Che non ne sapeva niente, di quell'ammanco di denaro. Di dove fossero finiti i soldi. Di dove fosse finito Lisi.

Nessuno gli ha creduto, e la gente ha cominciato a mormorare. Fino a chiamarci apertamente ladri quando ci vedevano in giro.

Mamma ha iniziato a uscire solo negli orari in cui sapeva che i negozi sarebbero stati meno affollati. Io e Chiara abbiamo smesso di frequentare i giardinetti perché gli altri ragazzini ci additavano e le mamme impedivano loro di giocare con noi o di rivolgerci la parola.

Papà si è chiuso dentro.

Non solo in casa, ma anche in se stesso.

Parlava appena, sorrideva a stento. C'era sempre silenzio. Oppure mamma che cercava di non farsi sentire mentre piangeva, e tentava di rassicurarci che 'sarebbe andato tutto bene'.

Quando papà si è suicidato, ho odiato mia madre, perché ci aveva mentito.

Aveva detto che si sarebbe risolto tutto, che sarebbe tornato tutto come prima.

E invece papà si era tolto la vita.

Non riuscivo ad accettare l'idea che potesse essere davvero successo.

Che papà, il mio papà, fosse su quel lettino d'acciaio, in una camera mortuaria, e che non l'avrei più rivisto. Che non mi avrebbe più parlato.

Che fosse morto.


 

Non sono mai riuscita a raccontare questa storia a nessuno per intero.

Fa troppo male anche solo pensarci, anche se non mi sono mai arresa, e ho continuato le indagini per conto mio.

Trovarsi di fronte a un caso così simile al mio mi ha devastata. Non so nemmeno io come ho fatto a non lasciar trapelare nulla, quando in ogni istante avrei solo voluto piangere e urlare e scappare lontano.

Non ho mai raccontato di quegli istanti nemmeno a Giovanni.

Perché rivelarli avrebbe significato mettere in mostra il dolore, la debolezza, e non volevo.

Ho sempre dovuto essere forte, anche allora, perché mamma era disperata, Chiara anche, e io non ero da meno, ma loro non sembravano riuscire a reagire. Sono dovuta diventare grande anche se avevo solo dieci anni.

Tutta la mia risoluzione di fare lo stesso, poco fa, invece, è andata in frantumi non appena ho varcato la soglia di casa di Marco, senza un motivo che riesco a spiegarmi razionalmente.

Ancora meno, se penso che ho anche pianto, davanti a lui, per la seconda volta.

In realtà le lacrime non sono riuscita a fermarle, ma di certo non mi aspettavo che lui le asciugasse, in un istintivo gesto di conforto.

Non perché non lo ritenga capace di gentilezza, tutt'altro, con me è sempre stato infinitamente dolce in momenti del genere. È stato un mix di sentimenti, che mi ha lasciata senza fiato. Ho letto nei suoi occhi il mio stesso dolore. La disperazione di sentirsi traditi, e il desiderio di sfogarsi, il bisogno di affetto e comprensione.

Ho sentito una forza inspiegabile attirarmi verso di lui, ed è in quel momento che sono ritornata in me.

E sono scappata.

Mi sono rifugiata in chiesa perché, almeno lì, avevo la certezza che sarei riuscita a svuotare la mente per un po'. Ho sempre vissuto la fede come una cosa privata, e ho sentito all'improvviso il bisogno di pregare, e di cercare conforto.

L'ho trovato nelle parole gentili di Don Matteo.

Forse, nemmeno lui sa quanto mi abbia aiutata.

Ma gli sono immensamente grata di avermi accolta, e capita.

Quando rientro a casa, sento il cuore un po' più leggero.


 


 

Marco's pov

 

Il mattino seguente mi presento in commissariato alle 9.30 in punto. Mi dirigo spedito verso l'ufficio di Anna ed entro come al solito senza bussare, tanto la porta è già aperta.

Lei è seduta davanti alla scrivania, intenta a leggere dei documenti.

“Buongiorno!” La saluto in tono allegro sedendomi accanto a lei, che non ha ancora detto una parola. Vedo che è sorpresa, e ha tutte le ragioni per esserlo: fino a ieri l'ho trattata da schifo senza che lei avesse alcuna colpa, oggi mi comporto come se non fosse successo nulla. Ma capirà, ne sono sicuro. È merito suo.

“Ci sono novità.” La informo sorridendo.

Anna è ancora impassibile. “Di che parli?”

“Del caso Guardini, che altro? Ho ripensato alla tua linea d'indagine... Devo dire che ci sono degli spunti interessanti.” Le confesso, e lei sorride compiaciuta.

“Grazie.” Posa la matita che aveva in mano, in attesa.

“Mi sono chiesto: perché David ha rubato dei documenti che erano già stati esaminati dal tribunale? Perché voleva fare un confronto!”

“Un confronto con cosa?”

Appoggio sul tavolo la cartella di documenti che mi sono portato dietro, lei sposta il portamatite per farmi spazio.

Le mostro alcuni fogli. “Queste sono le bolle di acquisto del ferro, regolarmente firmate da David -  quelle che lui ha rubato – per un totale di duecentomila euro. Queste sono le bolle di uscita della ditta fornitrice del ferro, anche queste per un totale di duecentomila euro.”

Vedo che è confusa. “Quindi? Qual è il problema?”

“Il problema è che la ditta fornitrice ha comprato il ferro per solo cinquantamila euro.” Spiego.

“Quindi tu mi stai dicendo che il ferro che veniva sottratto dal cantiere tornava indietro alla ditta, che lo rivendeva allo stesso cantiere?” Vedo che ha capito perfettamente il punto. “E perché nessuno si è accorto di questa cosa?”

Prendo un altro blocco di fogli, porgendoglielo. “Guarda chi ha rilevato la ditta fornitrice...”

Lei dà una rapida occhiata, prima di lanciarmi uno sguardo divertito. “Vedo che ti sei dato da fare.” Commenta, e un inaspettato senso di orgoglio si fa strada in me.

Ho capito il mio errore, e ho cercato di rimediare. Grazie a te.

...e per te.

 

***

 

È uno spasso vederla spiegare a Don Matteo come per una volta siamo arrivati prima noi ad arrestare il colpevole del furto.

La colpevole dell'omicidio, invece è la responsabile del cantiere subentrata a David. È stato un incidente, dovuto alla paura di perdere il lavoro che le avrebbe garantito la copertura per le sue spese mediche. Un incidente terribile, ma che ha lasciato una famiglia senza un padre, e un altro bambino senza sua madre.

 

La sera resto in giro a pensare. Abbiamo rilasciato Simone, che non c'entrava davvero nulla.

Gli ho anche rivolto le mie scuse per averlo creduto colpevole.

Non significa che siamo di nuovo amici, tutt'altro, ma non volevo avere questo peso sulla coscienza. E quel che è giusto, è giusto.

 

C'è un'altra persona a cui devo delle scuse, però, prima di andare a casa. E che devo soprattutto ringraziare.

So che è un po' tardi, ma spero non le dispiaccia se faccio una capatina a casa sua.

Non ci sono mai stato, in effetti.

Salgo le scale del palazzo e una volta davanti alla porta di casa sua, prendo un bel respiro e suono il campanello.

Glielo devi, Marco. Sai che non è arrabbiata con te, ti ha aiutato anche se tu l'hai trattata male senza un motivo. È il minimo che puoi fare.

La sento rispondere a voce alta dall'interno, “No, Maresciallo, la caldaia continua a non funzionare!” immaginando che sia Cecchini, evidentemente a conoscenza del guasto.

Quando Anna apre, è chiaro che non si aspettava di certo la mia visita.

“Ehi... ciao.” La saluto con un leggero imbarazzo. È strano vederla in una tenuta così... casalinga. Una semplice canotta, pantaloncini corti e piedi scalzi. Decisamente l'ho colta alla sprovvista.

“Ciao,” Ricambia ad occhi sbarrati.

“Ciao... stavo tornando a casa e allora son passato di qua. Vuoi una mano?” le chiedo, riferendomi alla caldaia.

“Ehm... forse è meglio,” accetta lei, titubante.

Si sposta per farmi passare, appoggiando la mia borsa a terra all'ingresso.

Io ne approfitto per dare un'occhiata intorno.

“Questa è casa...” mi dice timidamente. Noto un cartone di pizza e una birra sul tavolino davanti al divano, le luci basse. Probabilmente stava guardando qualcosa in tv prima del guasto.

“Fatto seratona, vedo, eh...”

“...Sì...”

Mi guida verso lo stanzino in cui c'è la caldaia, che sembra non volerne sapere di partire.

Dopo un paio di verifiche, riusciamo a venire a capo del malfunzionamento, per un settaggio manuale errato del termostato. Per questa volta si può tamponare senza l'intervento di un tecnico.

Sinceramente, non pensavo che riparare un guasto in una caldaia implicasse ridere così tanto.

Sono molte le cose che non avrei mai immaginato, prima di Anna.

Una volta terminato, torniamo in cucina.

Dopo un'occhiata all'orologio – nessuno dei due si era reso conto che si fosse fatto così tardi – lei mi offre da bere e propone di condividere la pizza che aveva appena cominciato, quando si è guastata la caldaia, e io accetto con un sorriso.

Quando finiamo, la aiuto a metter via tutto, poi ci fermiamo davanti al bancone.

È arrivato il momento.

Inspiro a fondo.

“In realtà, sono venuto qui per un motivo ben preciso, stasera...”

Lei mi osserva, incerta. “Io volevo ringraziarti... davvero. Stavo per fare una di quelle cazzate mondiali...”

Lei alza le spalle, minimizzando la cosa. “Non ti preoccupare, capita a tutti di sbagliare.”

“Eh...” Non proprio quanto ho sbagliato io, però. Io ho combinato un casino perché accecato dal dolore, senza vedere che anche tu stavi male, perfino peggio, eppure non hai mai perso la luce della ragione.

Continuo il mio discorso, con un po' di imbarazzo. “Volevo anche chiederti scusa per come ti ho trattata in questi giorni... non avrei dovuto prendermela con te. So che il mio atteggiamento ti aveva fatta preoccupare e che volevi solo aiutarmi, ma... il desiderio di vendicarmi di Simone mi aveva completamente offuscato il giudizio. Non riuscivo più a ragionare, e tu eri un bersaglio facile, soprattutto perché avevi ragione, e la cosa mi infastidiva. La verità è che...” Torno a guardarla negli occhi, con un mezzo sorriso storto. “Simone era il mio migliore amico, ci conosciamo da una vita, andavamo anche al liceo insieme. Avrebbe dovuto essere il mio testimone di nozze, sai... Ma, come tu stessa hai intuito, in questa storia c'entra Federica. E il motivo è banale quanto doloroso: li ho trovati a letto insieme, la sera prima del matrimonio. Ecco perché non mi sono presentato in chiesa.”

Anna, al sentire la mia confessione, fa un'espressione di puro sgomento.

È a corto di parole.

“Io... mi... mi dispiace... non credevo che...” mormora, senza riuscire a formare una frase coerente. Come la capisco.

“Tranquilla, non potevi sapere.”

“No, davvero, ti devo delle scuse,” biascica, arrossendo. “Non immaginavo che potesse essere un motivo del genere... Pensavo... non lo so nemmeno io che pensavo, a dire il vero, però... Non ti avrei mai detto quelle cose, quella volta, se avessi saputo... non avrei dato a te la colpa di tutto-”

Decido che è meglio fermarla. “Anna, sul serio, sta' tranquilla. Non lo sapevi, e comunque anch'io, dall'esterno, avrei tratto le tue stesse conclusioni. Non mi sono dimostrato molto gentile, all'inizio, quindi era normale fraintendere. Io ho fatto lo stesso con te, lo sai...” Lei annuisce, un po' più serena. “Io ho fatto di peggio, in questi giorni. Ho detto che sapevo distinguere il lavoro dalla vita privata e che eri tu quella che si fa coinvolgere, ma mi sembra evidente che sia piuttosto il contrario, e non solo limitatamente a questo caso. Ma lasciamo perdere, davvero, acqua passata.”

Il suo sorriso mi fa capire che ha accettato le mie scuse, e che possiamo ricominciare come se nulla fosse successo. Forse.

Abbasso lo sguardo per un attimo.

Ripenso a ciò che mi ha confidato di sé, e capisco che è un dono prezioso, e come tale va custodito.

E so che non potrei tornare a pensare a lei come allo stesso integerrimo Capitano che ho conosciuto quel giorno sulla soglia della caserma.

Quando torno a guardarla, noto all'improvviso una traccia di sporco sullo zigomo, probabile capriccio della caldaia di qualche ora fa.

Le faccio un cenno per indicargliela, con un sorriso. Lei recepisce al volo, immaginandoselo, con un po' di imbarazzo.

“Ho qualcosa... ho qualcosa qua...” Fa per pulirlo, senza successo.

Le vado in aiuto. “Posso?”

“Sì, grazie...”

Porto una mano sulla sua guancia, ma quando lei alza lo sguardo per incrociare il mio, tutto il resto svanisce.

 

Non esiste nient'altro, all'improvviso è come se ci fossimo solo noi.

Non so cosa sia successo, so solo che la mia mano a contatto con la sua pelle trema mentre mi perdo in quei suoi magnetici occhi verdi. Nessuno dei due riesce a distogliere lo sguardo, e senza pensare a quello che sto facendo, la bacio.

In quel momento il tempo sembra fermarsi, e l'unica cosa che conta sono le sue labbra morbide a contatto con le mie, la sua mano che sale a sfiorare la mia, abbandonandosi anche lei a quel gesto che mai avrei pensato di fare.

Ho lasciato che l'istinto prendesse il sopravvento, realizzando inconsapevolmente ciò che il mio cuore voleva fare da un pezzo. È tutto così inaspettato, ma meravigliosamente perfetto.

Poi tutto svanisce di colpo quando lei si allontana di scatto, lo sguardo basso, come se si fosse appena resa conto di quanto stesse accadendo.

Resto per qualche istante a guardarla, cercando di elaborare anch'io quanto accaduto.

“Scusa...” sussurro, ignorando il senso di vuoto che mi ha invaso quando lei si è tirata indietro.

Sei un idiota! Non puoi baciarla e poi chiederle scusa! È stato inaspettato per te quanto per lei.

“No, è colpa mia...” mormora Anna, le guance imporporate.

“No, ho sbagliato io... Me ne vado, scusami...” Riesco solo a farfugliare, andando via di corsa e lasciandola lì in piedi in mezzo al soggiorno, chiudendomi la porta di casa sua alle spalle. Solo dopo qualche gradino mi rendo conto di aver lasciato la borsa dentro, e che devo andare a riprenderla.

In pochi istanti il mio cervello e il cuore instaurano una battaglia su chi debba averla vinta.

Non puoi tornare là, fa il cervello, ragionevole, se torni e la guardi negli occhi finirai per baciarla di nuovo e stare male di nuovo.

Non è vero, risponde il cuore, tu l'ami, e quale occasione migliore per dirglielo?

Non posso dirglielo. Non posso. La amo, è vero. Ormai è inutile nasconderlo perfino a me stesso.

Ma lei non ha voluto, ha interrotto quel bacio, interviene il cervello. Si è tirata indietro. È ancora innamorata di Giovanni, per questo ti ha rifiutato.

Non era un rifiuto, contraddice il cuore, forse ha solo avuto paura, non se lo aspettava. Forse non è tutto perduto.

Torno alla sua porta, incerto su cosa fare.


 

Anna's pov


 

Chiudo la porta con dita tremanti, prima di appoggiarmi contro di essa portandomi una mano alle labbra.

Ho baciato Marco.

Cavolo, ho baciato Marco.

Ho... baciato Marco.

I miei pensieri sembrano essersi bloccati su questa consapevolezza. Non riesco a far altro.

Non capisco nemmeno io come mi sento.

Se sul momento ero spiazzata, adesso non lo so più.

Quando mi sono allontanata, l'ho fatto perché la mia testa, come al solito, è tornata a funzionare nell'istante sbagliato, dicendomi che stava succedendo tutto soltanto perché eravamo entrambi scossi, reduci da una situazione particolare che ci aveva emotivamente coinvolti molto, che ci eravamo lasciati trasportare, e che si trattava di un errore. Un errore da cancellare, dimenticare. Chiudere in un angolo della memoria.

Ma adesso... adesso non ne sono così convinta.

Se fosse davvero stato un errore come ho cercato di convincermi, non dovrei sentirmi così.

Se è stato uno sbaglio, non dovrei avere le farfalle allo stomaco solo a pensarci.

Non dovrei arrossire ricordando la sensazione delle sue labbra sulle mie.

Delle sue dita ad accarezzarmi il viso.

Non mi sentivo così da non so più quanto tempo.

Nessuno dei due se lo aspettava, questo sì, però... è stato un bacio vero. Reale.

Ci siamo lasciati trasportare, certamente, ma, conoscendomi, non avrei permesso a me stessa di assecondarlo se non lo avessi voluto davvero, pur non essendone consapevole.

La verità è che non mi sentivo così bene da tanto, troppo, e succede così ogni volta che sono da sola con lui.

Però... però Marco è andato via.

Mi ha chiesto scusa, ha detto di aver sbagliato, ed è andato via.

E l'unica ragione che mi viene in mente per poter giustificare la sua fuga è che lui non ha provato niente.

Avverto il cuore sprofondare al solo pensiero.

Marco non ha sentito nulla, in quegli istanti. Si è pentito di avermi baciata e se n'è andato.

Non capisco nemmeno perché mi sento così scossa, non dovrei stare così male al pensiero che per lui non abbia significato niente.

Per te sì, allora, Anna?

Non mi ero mai permessa di pensarci, convinta che fosse passato troppo poco dalla fine della mia storia con Giovanni. Convinta che tutti i momenti che abbiamo condiviso finora sono stati dettati dalla sua gentilezza e nient'altro.

Non lo biasimo, d'altronde. Ho conosciuto la sua ex, che è praticamente il mio opposto in tutto, e chiaramente non ho nulla della sua donna ideale.

Anche se... non so che darei per vedermelo tornare indietro, bussare alla porta e baciarmi di nuovo. Come in un film.

Ma guardati, tu che i film romantici li odi, sogni una scena così.


 

Mi impongo di darmi una calmata e frenare la fantasia, che sto lasciando correre un po' troppo, adesso.

Smettila di pensarci, è l'unica cosa che devi fare.

Scuoto la testa, ricordandomi della macchia di sporco sullo zigomo.

Non capisco nemmeno quando me la sono fatta.

Mi dirigo a passo spedito verso il bagno con l'intento di lavarla via, quando sento bussare alla porta.

Mi blocco.

Non può essere lui.

Torno indietro, e noto la borsa di Marco per terra, all'ingresso.

Per la seconda volta, il cuore sprofonda.

Se è davvero lui, sarà tornato per riprendersela.

Con tutta la forza di volontà che riesco a racimolare, mi sforzo di non crearmi aspettative, perché non avrebbero senso e finirei per rendere tutto molto più imbarazzante se dovesse esserci davvero lui oltre la soglia.

Mi schiarisco la voce, e apro.

Marco.

Ha lo sguardo puntato a terra, e io voglio limitare i danni, per cui non aspetto nemmeno che parli e mi volto, facendo per prendere la borsa.

Quello che succede negli istanti successivi non riesco a decodificarlo per bene.

So solo che mi sento afferrare delicatamente per i polsi, spingere piano in casa, e la prossima cosa che so è che Marco mi sta baciando.

Oddio.

Sta succedendo davvero.

E decisamente non è un sogno.

Non sentirei quello che sto sentendo, se lo fosse.

E se prima si è trattato di un bacio innocente, questo lo è decisamente meno.

Molto meno.

Qualcuno mi spieghi perché abbiamo aspettato così tanto.

Anzi, no.

Lasciateci continuare.

Non so quanto tempo dopo ci separiamo, so solo che ho difficoltà a ritrovare il respiro.

Ma accidenti, se ne è valsa la pena.

Torniamo a guardarci negli occhi, e quello che leggo nei suoi mi lascia stupita.

“Pensavo te ne fossi pentito...” sussurro. “Non avrei voluto interrompere il bacio, prima, ero confusa... è successo tutto così in fretta, che...”

Sono sconvolta, e a corto di parole. Io!

Lui sorride, accarezzandomi un'altra volta una guancia col dorso delle dita.

Potrei morire ora, e sarei la donna più felice del mondo.

Dovrei smetterla di dire che non mi piace il romanticismo, è chiaro che sono una pessima bugiarda.

“Non mi sono affatto pentito, anzi... Pensavo che tu non volessi, ma ho deciso di tornare comunque indietro perché non potevo lasciare che la paura mi fermasse senza ritentare. Perché mi sono innamorato di te.”

Spalanco gli occhi.

Mi... mi ama?

“E lo so che sei da poco uscita dalla storia con Giovanni, lo capisco che sei confusa, e confesso di esserlo anch'io, però... è la verità. Me ne sono reso conto davvero l'altra sera, quando sei venuta da me, a casa. Avrei solo voluto stringerti tra le braccia e chiederti perdono e non lasciarti più. Prendere per me quel dolore pur di non vederti star male... E lì ho capito.” Inspira a fondo, prima di continuare, senza lasciarmi dire nulla. “Non voglio metterti fretta, e non devi dire niente, adesso... ma volevo comunque che lo sapessi... Io-”

Lo interrompo senza pensarci due volte, baciandolo.

Dalla sua espressione quando ci dividiamo, di fronte al mio sorriso, dire che è sorpreso è poco.

Così glielo dico e basta, anche se io stessa non avrei mai pensato di riuscire ad ammetterlo così presto. Ma è la verità. E non voglio aspettare, solo per paura.

“Ti amo anch'io.”


******

Ciao a tutti!

Stavolta ho fatto presto a scrivere un'altra versione di questo episodio... sempre seguendo gli ottimi suggerimenti di Martina!

Stay tuned, perché ne abbiamo in cantiere degli altri niente male!

A presto,


 

Doux_Ange


 

 

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Capitolo 23
*** L'amore sbagliato ***


 

L'AMORE SBAGLIATO

 

Fantastico.

 

Pensavo di essermi tolto dai piedi la mia ex, e invece no. Mi ha chiamato per informarmi che sta tornando a Spoleto a riprendersi Patatino, con il solo scopo di farlo castrare.

 

Ma si può? Poveretto, che destino tremendo. Non solo per l'intervento, ma pure perché per padrona si è ritrovato una psicopatica che ha ben pensato di agghindarlo con cappottini e simili come un peluche per anni, e a fargli fare quello che diceva lei. Non aveva più autonomia, povera bestia. Almeno ora che sta con me ha avuto modo di fare il cane, come dovrebbe essere normale.

 

Non può vivere tranquillo nemmeno lui, ma io non gliela do vinta, no. Il cane lo tengo io, non glielo farò prendere. Quindi ho deciso di nasconderlo, e ho chiesto il favore di tenerlo per un po' al Maresciallo Cecchini, che dopo qualche esitazione ha accettato. Gli ho dato una mano a sistemare la cuccia e le crocchette, prima di uscire dal suo appartamento per andarmene. Mi volto per dirigermi verso le scale, e...

 

Il Capitano è appena uscita dal suo, e decisamente non in divisa. Ha addosso un corto abito rosa che la fascia alla perfezione.

Quando ha la divisa, mica si nota, tutto questo. Se dovesse decidere di venire in ufficio così, io non mi oppongo.

Non riesco a trattenermi, e faccio scorrere lo sguardo sulla sua figura. Ehi, è una collega, certo, ma è anche una splendida donna, su questo non ci sono dubbi. E, ammetto, non solo fisicamente. Non è così insopportabile come credevo all'inizio, anzi. Non che intenda sbilanciarmi, la conosco poco, ma quel poco mi intriga parecchio.

 

“Capitano!” la saluto quindi, con un tono che lascia intendere che l'ho evidentemente squadrata dalla testa ai piedi. “Bel vestitino!”

 

“Grazie...” mi risponde lei con un filo di voce, chiaramente in imbarazzo e senza incrociare il mio sguardo. Ora che ci penso, perché è vestita così a quest'ora del mattino? Non che non apprezzi, come ho già detto, tutt'altro.

 

Faccio un sorrisetto. “Vai a una festa?”

 

“No,” nega lei, “pensavo di... rimanere in casa, stasera.” Che spreco. Ehm, voglio dire, peccato, ma non sono affari miei.

 

“Arrivederci.” La saluto, porgendole la mano, che si affretta a stringere la ragazza accanto a lei. Sinceramente l'avevo a mala pena notata. “Chiara Olivieri... la sorella maggiore.” si presenta con sguardo ammiccante. Caspita, che differenza con il Capitano.

 

“Sì, ci siamo incrociati in caserma, vero?”

 

“Sì.” Risponde lei con sicurezza.

 

“Marco Nardi, piacere mio.” Faccio anch'io le presentazioni, ma nonostante abbia davanti una donna molto bella che si è mostrata palesemente interessata, la mia attenzione torna su Anna.

 

“Ciao.” Torno a salutarla, stavolta in modo molto più informale. Mentre scendo le scale del palazzo, mi rendo conto che quel tono un po' più confidenziale l'ho usato quasi inconsapevolmente quasi a voler evidenziare una differenza tra le due. La sorella sarà anche bella e disinvolta, ma io conosco Anna, e devo ammettere che quel suo modo di fare un po' più restio mi attrae non poco.

 

Sì che lei sta accora appresso al mezzo prete. Che, detto tra noi, sta facendo uno sbaglio enorme a lasciarsi scappare una donna come lei.

 

***

 

Oggi abbiamo avuto a che fare con un caso di violenza ai danni di una ragazzina da parte di un coetaneo, e devo ammettere che Anna è stata davvero brava. Ha agito con molta delicatezza, ha fatto un bel lavoro con quella ragazzina. Sono rimasto davvero colpito, non so perché ma non mi aspettavo che riuscisse ad essere così capace in una situazione dove non molti nel suo ruolo avrebbero ottenuto molto poco. Bisogna avere molto tatto in questi casi, e lei si è rivelata estremamente sensibile e accorta.

 

Le ho appena fatto i miei complimenti, quando il mio cellulare squilla. E ti pareva.

 

“Federica?”

 

Dobbiamo vederci adesso.” Ciao anche a te. Sempre con quel tono delicato e la gentilezza distintiva. Proprio mi ci voleva questa ventata di cortesia dopo la scena che si è appena svolta.

 

“No, non posso.”

 

Ah no?

 

“No, sono a lavoro.”

 

E Patatino è con te, vero?” Perché io ovviamente mi porto il cane in caserma.

 

“No, lui non è con me, no.”

 

Lo voglio vedere.

 

“No, non lo puoi vedere, neanche dopo.” Col cavolo che te lo faccio castrare.

 

Il cane è m-

 

Non la faccio finire, le stacco il telefono in faccia e mi affretto ad uscire dall'ufficio, troppo indispettito per preoccuparmi di salutare. Devo assicurarmi che non provi di nuovo a entrare a casa mia.

 

Anna's pov

 

Marco va via dall'ufficio senza nemmeno salutare e senza finire il discorso che stavamo facendo prima che il suo cellulare squillasse.

“Un vero gentiluomo, il nostro pm,” borbotto, stizzita. Che modi sono?

“Era la sua ex fidanzata,” mi informa Cecchini.

Avevo intuito. “Peggio mi sento...”

Non è proprio argomento da affrontare, penso aprendo un fascicolo, quando anche il cellulare del Maresciallo suona. Lui si affretta a rispondere.

“Caterina! … Non gridare, che non sto capendo niente! … Cate-Caterin-Che... Dai, Caterina!”

In men che non si dica, sparisce anche lui senza degnarmi di una sillaba.

Abbasso le mani, sconfitta.

“Va bene, va bene...” mormoro tra me. Calma, Anna. Calma. Sono uomini, c'è poco da fare.

Cerco di concentrarmi sul lavoro, cosa che purtroppo mi riesce con meno attenzione di quanta ne vorrei.

La mia mente torna alla strana chiamata che Marco ha ricevuto poco fa.

Federica, è così che si chiama la sua ex, quindi. Riflettendoci, Marco non è il tipo da parlare dei suoi affari privati davanti ai colleghi, per cui è ancora più assurdo che abbia risposto qui, per di più con quei toni. Si è innervosito solo a leggere il nome sul display.

Pensandoci, da quello che mi risulta lei non si faceva viva da un po', con lui. Credo si siano visti una volta, stando alle chiacchiere del maresciallo, dopo il matrimonio saltato, ma poi lei era sparita dalla circolazione. Evidentemente ha pensato di tornare qui a Spoleto.

Non ho nemmeno capito quale fosse l'oggetto della discussione. Chi accidenti è 'lui', che Marco non le vuole far vedere? Non sarà mica il cane?

Ma si può avere un contenzioso per un cane?!

Corrugo le sopracciglia, interdetta.

Sinceramente, a me, delle loro conversazioni, cosa importa? Non mi spiego il motivo per cui questa storia mi interessi tanto. Io e Marco non siamo nemmeno amici, siamo semplici colleghi di lavoro, e le sue questioni private non mi riguardano affatto.

Scuoto la testa. Ho già perso troppo tempo, così torno a concentrarmi sui documenti. Quella ragazzina ha bisogno di essere tirata fuori dai guai prima che sia tardi.

 

 

Marco's pov

 

Stiamo discutendo delle nuove scoperte sul caso, quando sentiamo la voce di Pippo, il sacrestano di Don Matteo, chiamare il Maresciallo, e ha Patatino al guinzaglio. Siamo nei guai. Usciamo dall'ufficio del Capitano per vedere che succede.

 

“Marescia', non lo posso più tene'! È tanto caruccio ma non riesco a dominarlo... Ha sbriciolato un mobile del Settecento come 'n pacchetto de' grissini! Natalina ha detto che, o sparisce Patatino o se ne va via lei!”

 

Io lo guardo con tanto d'occhi. In effetti, sa essere un tantino distruttivo.

 

“Non lo potete tenere?” Prova ancora Cecchini, e Pippo nega, dispiaciuto.

 

Io, più che dispiaciuto, sono fregato. Dove lo nascondo ora?

 

“Senta, signor Capitano...” tenta il Maresciallo rivolgendosi ad Anna. Ops. Mi ero dimenticato di lei. “Noi... avremmo lo sgabuzzino... potremmo sistemarlo... là...” fa esitante, indicando lo stanzino della caserma. C'è qualcosa che non mi torna, perché lei sembra poco felice della proposta, come se ne sapesse qualcosa.

Mi tornano in mente le parole di Cecchini ieri mattina: “Vabbè, una soluzione la trovo, dai!”, dopo avermi spiegato che sua moglie è allergica al pelo del cane. Vuoi vedere che... Aiuto. Devo vederci chiaro.

 

“Va bene,” acconsente Anna senza entusiasmo, “però le do due ore, dopo chiamo il canile.” Il suo tono è perentorio.

 

Io e il Maresciallo sospiriamo di sollievo, poi Cecchini nota un foglio incastrato al collare di Patatino.

 

“Ma che ha... che c'ha, un messaggio? Che c'è scritto?”

 

Mi accorgo che tutta la caserma si è fermata ad osservare la scenetta, incuriosita.

 

Cecchini si affretta a leggere. “La donna geisha in casa indosserà sempre abiti sexy in modo da risvegliare di continuo gli appetiti del suo uomo.

 

Mi trattengo dal ridere. Ma che è sta roba?

 

“Patatino, che cosa leggi?” scherza il maresciallo. “Questi sono tuoi, no?” chiede a Pippo, che nega immediatamente. “Questi sono i libri che gli piacciono a Zappavigna!” Povero ragazzo, lo mette sempre in mezzo, guarda com'è imbarazzato!

 

Decido di intervenire. “No, quelle sono letture da donne!”

 

Mentre commento, noto lo sguardo del maresciallo. Perché Cecchini sta guardando il Capitano? Mi volto anche io, sorpreso. Non ci credo nemmeno se lo vedo. Allora avevo capito bene... Cecchini ha tentato di nascondere Patatino a casa di Anna senza avvisarla, e scommetto che le avrà messo tutto sottosopra. Ma... questo libro?

 

Lei sembra decisamente imbarazzata, a conferma dei miei sospetti. “Bene, del libro non ci interessa, credo! Possiamo occuparci d'altro?”

 

In effetti l'argomento non è lusinghiero in generale, figuriamoci per lei. Lasciamo cadere il discorso, direi che è meglio per tutti.

 

 

Mentre mi accingo a portare Patatino nello sgabuzzino, ripenso a questa storia, gettando un'occhiata di traverso ad Anna, tornata alla sua scrivania in ufficio.

Mi sembra una cosa veramente strana. Cosa ci fa, Anna, con un libro del genere? È completamente fuori dal suo essere.

È vero, ci conosciamo ancora poco, ma ho imparato abbastanza su di lei da poter affermare con sicurezza che non è il tipo da quelle letture. Per carità, fuori dal lavoro ognuno è libero di fare quello che preferisce, ma davvero, non ce la vedo affatto, una come lei, a leggere quella roba. Di sicuro, lo stile 'geisha' non le si addice affatto.

Dai, Anna che si lascia sottomettere? Che agisce al solo scopo di compiacere qualcuno?

Impossibile. Da quel poco che so della sua storia con Giovanni, mi ha sempre dato l'impressione di essere una testa dura, ferma sulle sue idee e di certo poco disposta a cedere senza una ragione valida.

L'opposto di una geisha, insomma.

 

I miei pensieri sono interrotti dall'arrivo del padre del ragazzo ferito.

Più tardi, dopo il suo interrogatorio, cerco di trovare una soluzione per Patatino col maresciallo. Propongo alcuni dei carabinieri che conosco meglio, ma niente da fare: uno vive con la madre, l'altro ha due gatti e Zappavigna, secondo Cecchini, è inaffidabile. Il nostro discorso è interrotto però dall'ingresso di Federica in caserma.

 

“Troppo tardi!” Sussurro, nascondendomi dietro una colonna. Non ho voglia di vederla, ma proprio per niente.

 

“Che è successo?”

 

“Vede quella donna?” Bisbiglio al maresciallo. “È Federica, la mia ex...”

 

“La castratrice, lei è!” Ha afferrato al volo.

 

“Faccia qualcosa, Maresciallo, le dica che sono occupato.” Qualsiasi cosa, non voglio parlare con lei.

 

Lui accetta, e io mi fiondo nell'ufficio di Anna, che mi guarda sbigottita. So di avere un'espressione terrorizzata, probabilmente, ma ho problemi più gravi a cui pensare. Mi affretto a sedermi.

 

“Hai bisogno di qualcosa?” Mi chiede, ancora perplessa.

 

“No... sì... volevo degli aggiornamenti sul caso.” Gran bella trovata, Marco, stavate parlando di questo fino a dieci minuti fa, che aggiornamenti vuoi che ci siano?!

 

Ovviamente non l'ho convinta, ma mi dà corda. Mi devo ricordare di ringraziarla.

 

Poco dopo però si blocca. “Ma chi è quella donna?” chiede, guardando oltre le vetrate. “Sembra voglia venire qui.”

 

Io cerco di fare l'indifferente anche alla sua occhiata sospettosa, quando Cecchini apre la porta, costernato. “Chiedo scusa... c'è una signora che chiede di Lei...” fa, rivolgendosi a me. “Purtroppo non sono riuscito a fermarla.”

 

No, no, no. Mi rifiuto. “Gliel'ha detto, che sono occupato?”

 

“Non mi sembri molto occupato.” Mi contraddice il Capitano. No, per favore. “Tu ti stai nascondendo da quella donna!” Mi accusa con un'espressione incredula.

 

“È la sua ex fidanzata.” Grazie, Cecchini.

 

Anna fa un sorrisetto che non promette niente di buono. “Prego, Dottor Nardi. Io posso aspettare.”

L'avevo detto, che non mi piaceva.

 

Ricambio il sorriso, ma con un'espressione che dice tutt'altro che apprezzamento, e lei mi fa segno di uscire, sorniona.

 

Altro che ringraziare. Questa me la paghi.

 

Esco malvolentieri dall'ufficio e Federica si avvicina, inviperita. “Ti avrò fatto almeno mille telefonate e non mi hai mai risposto al telefono!”

 

“Ero occupato col lavoro...” Che poi, non è che debba giustificarmi.

 

“Mh... Dammi le chiavi di casa, vado a prendere il mio cane.”

 

“Non è il tuo cane.” Le dico, serio. Non glielo darò mai. “E poi non puoi, perché lui non c'è.”

 

“Come non c'è? Dov'è?” Con perfetto tempismo, Patatino, nella stanza accanto, si mette a guaire. “Che cos'è questo rumore?”

 

“Sono io, scusate, scusate...” Interviene Cecchini. “Purtroppo soffro... di reflusso, e siccome ho mangiato la peperonata calda...” Non so se devo essergli grato per il salvataggio, o schifato, o preoccupato per la velocità con cui si è inventato questa scusa.

 

Colgo comunque l'occasione. “Ecco, forse è meglio se andiamo da un'altra parte-”

 

“No no no no, io non mi muovo da qui se prima non mi dici dov'è il mio Patatino!” Si oppone lei.

 

“Patatino è... Patatino...” Che le dico, che le dico?

 

“È morto.” Di nuovo il Maresciallo. Forse sta esagerando. “Purtroppo non le volevamo dare questa brutta notizia. È morto, un camion col rimorchio...” Ci vada piano!

 

“Addirittura! … Ma scusami, ma è morto e tu non mi dici niente!”

 

No, questo non lo accetto. Ora basta scherzare. “E tu?” Deglutisco a forza. “Tu mi hai sempre detto tutto?” Le rinfaccio. Quante cose mi ha nascosto, quante volte mi ha mentito... Mi chiedo se mi abbia mai amato davvero.

 

Almeno ha il buonsenso di non contraddirmi. “Sicuramente adesso non abbiamo più niente da dirci.”

 

“Sì, son d'accordo.” La osservo per un attimo, e non provo altro se non rabbia e dolore. Per quello che mi ha fatto. Perché mi sono lasciato prendere in giro. Perché è colpa sua se adesso non mi fido più. Se ho paura perfino dell'idea di innamorarmi di nuovo.

Se ne va via di fretta, finalmente. Ho già sopportato abbastanza la sua presenza. “Appena se ne va da Spoleto, poi passo a prenderlo.” Informo il Maresciallo. “Grazie.”

 

“Io... ho detto che il cane è morto... ma morto a fin di bene!” Mi dice, cercando di scusarsi.

 

“Non c'è problema, anzi... Grazie. Apprezzo molto l'aiuto che mi sta dando. Non si immagina quanto.” Gli dico sinceramente. Almeno so di avere qualcuno su cui contare.

 

 

Anna's pov

 

So che dovrei farmi gli affari miei, ma la conversazione che ho appena sentito dal mio ufficio mi ha fatto salir su un nervosismo che non provavo da tempo.

Che scusa orribile. Oltre al danno, la beffa.

Decido che ne ho abbastanza. Quel cane ha già fatto troppi danni in giro, oltretutto – il mio appartamento è ancora semi-disastrato – ed è ora che torni dalla sua legittima proprietaria.

 

Basta una rapidissima ricerca per rintracciare Federica, e mi accordo con lei di incontrarci giù al bar di Spartaco per poterle restituire Patatino.

 

Quando arriva, ammetto di sentirmi un tantino in soggezione.

È una donna molto bella e carismatica, non mi stupisce che Marco se ne sia innamorato.

Dopo una breve presentazione, lei mi offre un caffè per sdebitarsi. Io accetto con un pizzico di titubanza. Ho una strana sensazione che non riesco a distinguere, ma non mi piace.

 

Federica's pov

 

Mi sarei aspettata di tutto, stamattina, meno la chiamata del Capitano dei carabinieri, nonché collega di Marco.

Per fortuna Patatino è ancora vivo, lui mi ha mentito e di sicuro non la passerà liscia nemmeno per questa.

Decido che è meglio ingraziarmi la sua collega perché non si sa mai nella vita, così le offro un caffè per sdebitarmi dell'aiuto. Ne approfitto per osservarla di sottecchi.

Non sapevo che il nuovo Capitano di Spoleto fosse una donna, Marco non ha detto nulla, quella volta in cui ci siamo visti. Di certo non mi aspettavo fosse così bella, anche con la divisa.

Mi sembra un tipetto tosto, e per fare il lavoro che fa, di sicuro non è stupida, tutt'altro, quindi dovrò fare attenzione.

Iniziamo a parlare del più e del meno, e non mi ci vuole molto ad arrivare a credere che a Marco possa piacere, una ragazza così. Se non altro perché è sincera, e dopo la mia bugia, immagino si guarderà bene da questo aspetto. Comunque sia, non è il caso che lei lo sappia, quindi continuo con la mia intenzione.

 

Anna's pov

 

La conversazione con Federica mi mette a disagio, e non capisco perché.

Le cose che lei mi sta raccontando di Marco sembrano cozzare completamente con quello che so di lui dalla mia esperienza personale. Sto cercando di capire qualcosa in più sul mio collega, sì, non perché mi interessi, ovviamente, ma perché ci sono cose che non mi quadrano molto.

Davvero, non riesco a capire come l'uomo che sto imparando a conoscere pian piano possa addirittura aver lasciato la sua fidanzata sull'altare in quel modo. Era da un po' che me lo chiedevo, in realtà, e quello che lei sta svelando su di lui non collima quasi per niente con l'idea che nel frattempo ho avuto modo di farmi su Marco.

Federica ovviamente non mi spiega i motivi in dettaglio, ma a detta sua è stato lui l'artefice di tutto il trambusto, che fino al giorno prima era stato tutto tranquillo, e la mattina delle nozze invece non si era fatto trovare, lasciandola impalata all'ingresso della chiesa ad attenderlo invano. I tentativi di rintracciarlo erano tutti andati a vuoto, e lui era sparito per giorni. Era riuscita a parlargli solo qualche giorno dopo il suo rientro a lavoro, qui in caserma. E anche in quel caso la conversazione era degenerata in fretta perché Marco si era rifiutato di parlare.

Ma, come mi spiega prima di andare via, con l'episodio di Patatino, hanno davvero chiuso, non intende più sopportare un atteggiamento simile da parte sua.

Questa storia mi dà un sacco da pensare.

Non riesco a immaginarmi Marco che si comporta così. Certo, è un maschilista e sa essere parecchio irritante, però... Non lo so.

Forse una persona non la si conosce mai fino in fondo, e io non conosco lui abbastanza da poterlo difendere dalle accuse della sua ex. Per quanto ne so, è tutto vero, quello che mi ha detto lei.

Me ne torno in caserma. Direi che mi sono distratta anche troppo, per oggi.

 

Marco's pov

 

Quando torno in commissariato, mi accorgo che Patatino è sparito. Chiamo Cecchini per chiedere.

 

“Ma dove può essere andato?”

 

“Come le ho detto... non lo so, non lo so, ho guardato dappertutto, non c'è... forse è scomparso, non lo so.” Rispondo, sconsolato.

 

“Che è stato, un rapimento, proprio qui, in caserma? Dai!” Nega il maresciallo, in effetti è improbabile.

 

“Nessun rapimento.” Ci informa una voce: il Capitano. Questa cosa mi fa preoccupare. Lei che c'entra con Patatino? “Anzi... il cane è stato restituito al suo legittimo proprietario.”

 

CHE COSA?!

 

Mi avvicino, con un nervosismo alle stelle. Non ci posso credere. “Tu... hai portato il cane a Federica?”

 

“Ma non ti vergogni? Farle credere che il suo cane fosse morto pur di tenertelo! E l'hai anche lasciata sull'altare...”

 

Eh no, eh. Se prima avevo deciso di tollerarla, adesso abbiamo proprio chiuso. Tu non sai proprio niente di me.

 

“Povera donna...”

 

“Ma che povera donna?” Interviene Cecchini. Oggi è come una specie di angelo custode, mi sta pure evitando scenate e cose che potrebbero seriamente mettermi nei guai. “Quella, lo sa che cosa vuole fare? Lo vuole...” Fa un gesto per indicare le forbici.

 

“Cosa... tosarlo?”

 

“Castrare.” La correggo io. La sua espressione cambia, sembra mortificata, e direi che è il minimo.

 

“Vuole castrare Patatino...?”

 

“Per questo lo tenevamo nascosto.” Le spiega il maresciallo.

 

“Mi dispiace, io non lo sapevo...”

 

Non basta, non me ne faccio niente delle scuse.

 

“No, ma non ti preoccupare.” Taglio corto io, non mi va di sentire altro. “Tanto voi donne siete tutte uguali.” Le dico, sprezzante, prima di voltarle le spalle.

 

“Adesso noi dobbiamo cercare il veterinario prima che sia troppo tardi.” Spiega Cecchini, in tono preoccupato.

 

“Sì, ma come facciamo a sapere a chi l'ha portato?” Sbotto io.

 

“Quanti veterinari ci saranno, a Spoleto?” Interviene Anna, ancora con quell'espressione dispiaciuta in volto. Non mi incanti, non ci provare. Tanto è tutta una farsa. “Maresciallo, siamo Carabinieri! Riusciamo a trovarlo, un cane scomparso, no?”

 

“Lo troviamo! Dai, dai che lo troviamo!” La incoraggia lui, e io acconsento.

 

“E va bene!” Mi arrendo, tanto mal che vada arriviamo tardi.

 

Iniziamo a cercare attraverso il codice del microchip e facendo un giro veloce di telefonate per fare prima. Il maresciallo va via, il suo turno è finito, ma mi dice di tenerlo aggiornato, perché vuole accompagnarmi. Dopo un po' di lavoro, è Anna a beccare quello giusto. Questa cosa mi indispettisce non poco.

 

“Trovato! È qui che lo deve portare, l'appuntamento lo ha fissato per domani mattina. Tieni, ho scritto l'indirizzo. È sulla via principale.”

 

Io prendo il bigliettino che mi sta porgendo, rivolgendole comunque un'occhiataccia. Sono ancora furioso con lei. Se non si fosse impicciata, tutto questo non sarebbe stato necessario.

Anna abbassa lo sguardo, un'espressione ferita si fa spazio per un attimo sul suo viso, prima che torni impassibile.

 

Se voleva farmi sentire in colpa, ha funzionato ben poco. Lo so, forse sto esagerando però lei non avrebbe dovuto intromettersi comunque.

 

“Posso... venire anch'io con te e il maresciallo, domattina?” Mi chiede, esitante.

 

“Fa' come preferisci. Io me ne torno a casa.” Mormoro con freddezza, lasciandola da sola nel suo ufficio.

 

Una volta in strada, un po' mi pento di come l'ho trattata. Dopotutto, lei non ne sapeva niente, e Cecchini mi ha confermato che Patatino lo aveva nascosto per qualche ora a casa sua, e che gliel'aveva praticamente distrutta. Se le avessi detto la verità, non sarebbe successo niente di quanto accaduto oggi.

E se non fosse stato per lei, non avremmo trovato il veterinario.

Domani mattina le chiederò scusa.

 

 

Il mattino seguente, Anna, come mi aveva già detto, attende me e il maresciallo davanti allo studio del veterinario. Quando la vedo, in un abbigliamento informale che mi provoca uno strano senso di familiarità, le rivolgo un breve sorriso di scuse che per il momento dovrà bastare: abbiamo una questione più urgente da risolvere.

Ci precipitiamo dentro per scoprire che siamo arrivati appena in tempo, stavano per fare già l'anestesia a Patatino. Meno male.

 

Anna's pov

 

Il fatto che Marco, stamattina, mi abbia sorriso invece di guardarmi male come ieri, un po' mi ha tranquillizzata. So di aver sbagliato, però se lui non avesse fatto tutte quelle storie, prima, io non avrei consegnato il cane alla sua ex.

Proprio mentre sto riflettendo su questo fatto, noto che Federica si sta avvicinando a passo spedito.

“Che ci fai tu qui?” Mi chiede, altezzosa. Nemmeno un saluto.

E dire che ieri sembrava un tipo tanto a modo.

“Ho accompagnato Marco a riprendersi Patatino. Se avessi saputo cosa avevi in mente, non te lo avrei mai riportato.” le dico, seria.

Lei sembra alterarsi subito.

“Non sono affari tuoi, tu non lo sai cosa significhi sentirsi traditi dalla persona che ami!”

Sentirla pronunciare questa frase ha in me l'effetto di una bomba. E non solo perché io per prima so benissimo cosa voglia dire essere lasciati per un motivo assurdo, ma perché mentire e rinfacciare cose di questo tipo è spregevole. E mi rendo conto di che razza di persona ho davanti. Una che per ripicca farebbe qualsiasi cosa.

Decido quindi di ribattere, rendendomi conto che ieri mi sono sbagliata: non conosco benissimo Marco, è vero, ma ne so abbastanza su di lui da poterlo difendere eccome.

“Sai che ti dico? Forse ha fatto bene, Marco, a lasciarti, perché sei una persona davvero meschina. Sembra davvero tu sia disposta a tutto per vendicarti, perfino montare su un castello di bugie. Non so quanto ci sia di vero in quello che mi hai detto ieri, a questo punto ho seri dubbi in proposito, ma una cosa la so: Marco può apparire cinico e misogino alle volte, l'ho imparato a mie spese, ma ho anche capito che non lo è davvero. Che sa essere generoso e sensibile, quando deve. E che forse è colpa tua, se ha bisogno di difendersi in quel modo dagli altri. Tu, un uomo come Marco, non lo meriti affatto.”

 

Marco's pov

 

Quello che vedo e sento uscendo dallo studio del veterinario mi lascia senza parole.

Dopo le accuse assurde mosse da Federica, mai mi sarei aspettato che proprio Anna potesse difendermi a spada tratta così. Proprio me, che l'ho sempre trattata male a prescindere, perfino ieri sera. E invece eccola lì, a dire delle parole meravigliose sul mio conto, tanto che sembra davvero conoscermi più a fondo di quanto io non sospettassi.

“Dottore, non è meglio che interviene?” mormora Cecchini, preoccupato dalla situazione. È evidente che entrambe le donne siano sul piede di guerra.

Qualsiasi mio proposito però viene bloccato quando sento la risposta di Federica, che mi gela più di quanto non abbia già detto.

“Come no,” schernisce Anna con una risata sprezzante. “Senza di me, Marco non vale nulla. Se non fosse stato per me, non sarebbe nemmeno quello che conosci tu oggi. E poi, figuriamoci, dopo aver saputo che mi ha lasciata sull'altare, nessuna donna con un minimo di buonsenso potrebbe anche solo pensare di mettersi con uno come lui.”

 

Sentirle dire tutte queste cose, queste bugie assurde, mi fa montare una rabbia come non ne avevo forse mai provata.

 

Non so nemmeno io cosa faccio, non riesco a controllare le mie azioni come dovrei.

So solo che, nella foga del momento, corro da Anna, baciandola così, in mezzo alla strada.

 

Anna's pov

 

Senza nemmeno sapere come, sento all'improvviso le mani di Marco stringermi il viso, prima di ritrovarmi le sue labbra sulle mie.

Non capisco nemmeno cosa sta succedendo, sono assolutamente sconvolta.

Capisco dai suoi modi che è principalmente un gesto fatto per rabbia, ma dopo i primi istanti di incertezza avverto qualcosa in lui mutare, e il suo bacio si fa disperato.

Per qualche assurda ragione che non riesco a spiegarmi, smetto di pensare, e mi abbandono a lui.

Basta pochissimo per far sì che quel bacio rabbioso diventi estremamente passionale.

In tutto questo il mio cervello sembra essersi scollegato, perché io non farei mai una cosa del genere... non qui, in mezzo alla strada, davanti a tutta questa gente, con un uomo che conosco da così poco... Ed è un bacio che non significa niente, eppure le farfalle allo stomaco le sento eccome.

 

Quando ci separiamo, non riesco nemmeno a parlare, ritrovandomi a osservare Marco ad occhi spalancati.

 

Che... che cosa è successo?

 

Ho appena il tempo di lanciare un'occhiata di sbieco a Federica, che sembra perfino più sconvolta di noi – ed è tutto dire – rimasta lì ad osservare immobile la scena. È letteralmente a bocca aperta.

Marco si allontana di un passo, e fa per dirmi qualcosa quando il cellulare del maresciallo squilla, riportandoci tutti alla realtà.

 

Lui risponde alla chiamata, informandoci poi che si trattava di Zappavigna, che ci avvisava di aver trovato l'arma del delitto.

Cerco di ridestarmi il più possibile, biascicando un “Devo andare,” per poi seguire in fretta Cecchini.

Devo concentrarmi sul lavoro. A questa cosa – qualsiasi cosa sia successa – ci penserò dopo.

 

Marco's pov

 

Cecchini e Anna vanno via, lasciando me e Federica da soli.

 

Io mi volto lentamente verso di lei. Stavolta la chiudiamo, una volta per tutte.

 

“Nel caso non ti fosse chiaro, Patatino me lo riporto a casa. Tutto intero.”

 

Lei sembra sbloccarsi. “No, è il mio cane e me ne occupo io.”

 

“Sì, so come fai,” le dico con scherno, “prima lo castri, poi lo tosi, gli compri il cappottino... poi dopo gli vendi la moto e quando ti stufi ti compri un altro cane, no?”

 

Federica si mette a ridere. “Dai, Patatino non ha la moto, su!”

 

“Ah, brava, capisci l'ironia al volo!” Infatti non stavo parlando del cane. Parlavo di quello che hai fatto a me. “Comunque Patatino sta con me... lui almeno mi è stato fedele.” Non come te.

 

Lei mi rivolge un'occhiata gelida. “Vedo che ti sei ripreso in fretta.”

 

Ignoro l'allusione a quanto successo poco fa e mi volto, portandomi dietro il cane che mi segue docilmente, poi ci ripenso e torno a guardarla per un attimo. “Tutto merito di Anna,” ribatto, ed è la verità. “Ah, e se non ti va bene fammi causa.” Le dico, prima di tornare in caserma, per una volta soddisfatto di essere riuscito a farmi giustizia.

 

Federica's pov

 

Osservo Marco allontanarsi con Patatino, e decido che è meglio che me ne torni in albergo.

Sono ancora sconvolta dalla scena che ho visto svolgersi davanti ai miei occhi.

Avevo intuito che a Marco lei potesse piacere, ma non mi sarei mai aspettata niente del genere. Di certo non che lui superasse il trauma del tradimento così presto, men che meno che permettesse a un'altra donna di conoscerlo così bene in così poco tempo.

Anche lei, ieri, ha approfittato del nostro incontro al bar per indagare, come ho fatto io, e ammetto di averla sottovalutata. Non si è mai sbilanciata su quello che le ho raccontato, non ha commentato, non ha lasciato trasparire nessuna emozione. Avrei dovuto rendermi conto che stava già andando al di là delle mie semplici parole.

Mi ero detta io stessa che non fosse una stupida, dopotutto.

Mi ha portato Patatino perché riteneva fosse la cosa giusta, forse per una incomprensione tra lei e Marco, ma non appena ha intuito cosa avessi realmente fatto io, non ha esitato un attimo ad aiutarlo.

Non ha esitato nemmeno a difenderlo dalle mie false accuse.

Sono io che l'ho tradito, col suo migliore amico, il giorno prima delle nozze. Sono stata sciocca a pensare che si sarebbe quantomeno presentato in chiesa, è vero, ma pensavo che avrei vinto io la partita comunque.

Pensavo di averlo in pugno.

Invece è arrivata lei e ha ribaltato le carte in tavola.

Da quello che mi ha detto poco fa, conosce Marco davvero bene. Anche troppo, forse perfino più di me. Non mi spiego come sia possibile, eppure tutto quello che lei ha detto è vero.

Marco ci ha ovviamente sentite, ed è corso fuori.

Ma mai mi sarei aspettata che avrebbe potuto baciarla. Senza preavviso, davanti a tutti.

Con quella passione.

Anche lei è rimasta sorpresa all'inizio, probabilmente per l'impeto di lui, ma lo ha ricambiato senza nemmeno pensarci.

Marco si è probabilmente reso conto che, malgrado il matrimonio che avrebbe dovuto legarci, non c'era più niente di reale che ci univa già da tempo. Troppo tempo. Io non gli avrei mai lasciato fare una cosa del genere nemmeno all'inizio della nostra storia. E dire che lui è sempre stato un tipo molto romantico... Gli ho legato le mani, gli ho sempre precluso tutto, e per finire gli ho spezzato il cuore.

Forse lei ha ragione, un uomo come Marco non me lo sono mai meritata.

 

 

Marco's pov

 

Nel pomeriggio vado sotto casa del Maresciallo per riprendermi la cuccia e le crocchette che gli avevo lasciato quando gli ho portato il cane, qualche giorno fa.

 

“... Per Attila, bello!”

 

“Attila?” Chiedo, curioso. Così Patatino sarebbe Attila, adesso?

 

“Ah, gliel'ho cambiato il nome! Io ci so fare, con i cani! Attila, dammi la zampa, fagli vedere!” Cerca di mostrarmi, ma il cane ovviamente lo ignora alla grande. “Non me la dare! ...Seduto!” Tenta ancora, ma nulla. Io me la rido. “Non... non stare seduto!”

 

“C'è un bel feeling, vedo!”

 

“Vabbé, n-” Non può continuare perché Patatino scappa improvvisamente, tirandosi dietro Cecchini che lo teneva per il guinzaglio. Rido alla scena, avvertendo il Maresciallo di fare attenzione.

 

Sono ancora intento ad osservarli quando sento il portone del palazzo chiudersi, e vedo Anna uscire.

 

“Ciao...” Mi saluta, chiaramente in imbarazzo.

 

“Ciao,” ricambio io, con lo stesso tono. Dopo quanto successo stamattina, è decisamente strano adesso, parlare. Prima che possa aggiungere altro, però, lei continua.

 

“Mi dispiace ancora per Patatino, io non immaginavo...” si scusa, dispiaciuta. Adesso so che non aveva finto, in caserma.

 

La blocco, non ce n'è davvero bisogno. “No, anzi, voglio ringraziarti... per quello che hai fatto per ritrovarlo.” Le sorrido, ha davvero fatto di tutto per rimediare. È stata carina.

 

Vedo che è pensierosa. “Ti posso chiedere una cosa?” Io le faccio cenno di sì, curioso. “Ieri hai detto 'siete tutte uguali'... a che cosa ti riferisci?”

 

Io evito per un attimo il suo sguardo, poi torno ad osservarla. Sembra sinceramente confusa. “Alle donne, che... cercano di cambiarti, poi ce la fanno, e... si stufano.” Le rispondo amaramente con un'alzata di spalle. Lei non risponde, ma abbassa lo sguardo con fare riflessivo.

Decido di approfittarne per chiarire la situazione di stamattina.

“A proposito, per quello che è successo... Mi dispiace tantissimo di averti messa in mezzo. Non era mia intenzione tirarti in ballo a questa storia, non so nemmeno cosa mi sia preso. Ero arrabbiato con Federica, per quelle cose assurde che continuava a dire, e non mi aspettavo che tu mi difendessi in quel modo. Non avrei dovuto baciarti così, con quella irruenza. Ti ho costretta a una cosa che non volevi, mettendoti a disagio. Ti chiedo scusa.” Spiego, a testa bassa.

Mi sono comportato da stronzo, ho approfittato di lei anche perché sapevo che una scena come quella avrebbe fatto effetto su Federica, e ho coinvolto Anna in una cosa in cui lei non c'entrava affatto.

Mi aspetto che me ne dica di tutti i colori, adesso che ho aperto l'argomento. Avrebbe tutto il diritto di farlo.

Quello che invece fa mi spiazza.

“Non preoccuparti, davvero,” dice semplicemente con un sorriso comprensivo di fronte alla mia espressione sorpresa. “Anzi, sono felice di esserti stata d'aiuto in qualche modo, dopo il casino che ho contribuito a creare. Almeno sei riuscito a riprenderti il cane... E poi, anche io devo chiederti scusa per altro: mi sono resa conto che il matrimonio saltato non è colpa tua, o perlomeno non solo, visto che tipo è la tua ex...” Commenta, e io ridacchio. Lei continua, dopo una mezza risata. “Sul serio, sono contenta che finalmente stiamo riuscendo a conoscerci meglio, noi due, e devo ammettere che non sei tanto male, in fondo.”

A sentire queste parole, le rivolto uno sguardo divertito. “Ah, no?”

“Mh-mh. Mi sa che aveva ragione il maresciallo, a dire che mi saresti piaciuto. Certo, mi fai innervosire, ma almeno le tue battute rendono tutto più leggero. E per quanto riguarda il bacio, sta' tranquillo, so che non vuol dire niente e che è stato solo dettato dalla confusione del momento, però... almeno adesso possiamo considerarci amici, no?” Termina, incerta. Noto un leggero rossore farsi strada sulle sue guance, e avverto una strana sensazione allo stomaco che non saprei descrivere.

“Assolutamente. Avrò anche chiuso malissimo la mia vecchia relazione, ma sono felice di aver trovato un'amica vera.”

Lei sorride e io abbasso lo sguardo, cercando di decifrare cos'è quel garbuglio che avverto dentro, prima di notare qualcosa per terra, vicino a una pianta. Mi abbasso per prendere un libro sgualcito. “I segreti della geisha'.”

 

“Mh?” Anna sembra perplessa.

 

Io guardo in su, dev'essere caduto dalla finestra del palazzo. “Ecco dove l'ha preso Patatino! Di chi è?” Le chiedo, avvicinandomi. Decido di far finta di non sapere che probabilmente è suo, anche se in effetti non posso averne la certezza assoluta. Paradossalmente potrebbe anche appartenere alla figlia di Cecchini.

 

“Non lo so...” fa spallucce lei, “Però, ecco, questo dimostra che ci sono alcune donne che... cambiamo per gli uomini!” Dice, prendendomi il libro dalle mani.

 

“Sì, ma le geishe si sono estinte... adesso ci sono le mantidi!” Apprezzo l'osservazione, però. Noto che il Maresciallo è ancora alle prese col cane. “Io vado a riprendere Patatino!” La saluto, andando via. “Grazie!”

 

Lei abbassa il capo, sorridendo e salutandomi con un cenno della mano.

 

Dopo qualche passo, però, mi volto, optando comunque per giocare le mie carte. Dopotutto, ho avuto la conferma di quanto già pensavo: è una donna splendida, e non merita di soffrire.

“Ah, Anna,” richiamo la sua attenzione, e lei mi pianta addosso i suoi occhi verdi, in attesa. “Comunque sia, non hai bisogno di quel libro. Se Giovanni ti ama veramente, non dovrebbe chiederti di cambiare, e se non l'ha capito, non sa la pazzia che sta facendo a lasciarti andare.”

 

 

Ciao a tutti, eccomi di nuovo!

Stavolta un episodio alternativo tutto nuovo, dalla settima puntata. Io e Martina abbiamo deciso che un confronto tra Anna e Federica ci sarebbe stato benissimo, quindi ecco qui!

Speriamo vi sia piaciuto!

Ci sono altri capitoli in preparazione, tra cui uno relativo alla 'Pillola' su Val Tiberina (quella andata in onda prima dell'ultimo episodio, per intenderci... Non fa niente se non l'avete vista: sia la favola che la trama generale resteranno intatte, e se qualcuno volesse il video – sia di questa che di Acquasparta, chiedete pure! Anzi, sappiamo che ne esiste un'altra con protagonisti Anna e Marco, ambientata a Vallo di Nera: se qualcuno ce l'ha o dovesse trovarla, potrebbe condividerla con me? Grazie!!) Piccolo spoiler: sulla base dei brevi video relativi al videoclip di Max Pezzali con gli attori di Don Matteo, che dovrebbe presumibilmente uscire prima di Natale, io e Martina abbiamo in serbo per voi qualcosa di speciale... Tenetevi pronti!

A presto,

 

Doux_Ange

 

 

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Capitolo 24
*** Premonizioni - versione 3 ***


PREMONIZIONI
 
Per qualche settimana, le cose tra me e Anna restano tese.
È difficile lavorare in questo clima, con lei. E strano.
Ci sforziamo però di comportarci almeno civilmente, e piano piano le cose iniziano a spianarsi un'altra volta.
Non c'è l'agio di prima, questo è palese, ma almeno adesso parliamo di nuovo.
Ormai va così, ce ne faremo una ragione entrambi.
 
Oggi mi hanno chiamato in caserma per un caso di omicidio. Ad essere convocata è la futura sposa dell'uomo ucciso, e quando arrivo è già in lacrime.
Anna non pressa, anzi si limita a cercare di consolare la ragazza, così intervengo io chiedendole di raccontarci cosa sia successo il giorno prima, lanciando un'occhiata di sbieco al Capitano. Non mi va di perdere tempo, così insisto, cercando di tirar fuori qualcosa da questa donna che sembra raccontare le cose a metà. Anna mi guarda male, e inizia a porre lei le domande con un tono però molto più gentile, alle quali la ragazza risponde senza problemi. Per qualche motivo la cosa mi dà fastidio. Le mie osservazioni sulle sue storielle la mettono di nuovo in crisi, e Anna torna a bloccarmi dicendomi, con parole diverse, che la signorina soffre di depressione.
Modero i toni, sentendomi un po' in colpa, accordando poi i domiciliari.
Quando la accompagnano fuori, Anna le rivolge uno sguardo comprensivo che mi fa vacillare un attimo.
 
Non riesco a capirla, quando fa così.
O forse non fai attenzione. Siete di nuovo distanti, e tu hai iniziato di nuovo a comportarti da stronzo con tutti, come facevi prima di conoscere meglio lei.
 
***
 
In questi giorni, è venuto in visita il Colonnello, per cui Anna è spesso fuori con lui per vari impegni. Per questo quando Chiara entra nel suo ufficio in lacrime, lei non c'è.
“Ehi,” le dico, facendola sedere sul divanetto, “che succede?”
“Cercavo mia sorella...” mi risponde, incerta.
“Credo sia ancora in giro col Colonnello. Cos'hai? È successo qualcosa?”
“Mia madre si è scordata della mia laurea, la settimana prossima. Ha prenotato un viaggio e non ci sarà.” Mi spiega, tornando a piangere.
Io la abbraccio, incredulo. È sua madre, come fa a dimenticarsi una cosa del genere?
Poi mi ricordo le parole di Anna, che mi ha raccontato in più occasioni come la madre, dopo il suicidio di suo padre, sia diventata ancora più incostante nei confronti delle figlie, e di come spesso le abbia lasciate sole.
Cerco di calmarla come posso, anche se non ci riesco granché.
Perché in fondo non la conosci. Non sai niente di lei. Con Anna invece è diverso, con lei hai saputo fin da subito cosa fare quando ha avuto bisogno di conforto, hai capito senza esitazione come approcciarti e consolarla nel modo migliore.
Spingo a forza quella voce nell'angolo più remoto della mia mente. Non. Devo. Fare. Paragoni.
Devo smetterla di pensare ad Anna, soprattutto quando sono con Chiara.
 
Poco dopo, la porta dell'ufficio si apre. Anna.
Quando ci vede, abbassa di colpo lo sguardo, scusandosi per averci interrotto.
Io mi sento all'improvviso in imbarazzo, senza capire bene perché. Non stiamo facendo niente di male.
Sì, che bravo, a cercare di convincerti da solo.
Lei però sembra ripensarci, e rientra.
“Che c'è, Chiara?” Le domanda, preoccupata, notando l'espressione della sorella.
“Mi ha appena chiamata mamma. Domani parte per Hanoi, credo sia in Vietnam.” Le spiega, tetra.
Anna sembra sconvolta. Di più, furiosa.
“La settimana prossima ti laurei!”
“Se l'è dimenticato! Però ormai aveva fatto i biglietti e quindi...”
“Non te la devi prendere,” cerca di calmarla, allora. “è fatta così, lo sappiamo.”
“Lo so, però sarebbe stato carino che venisse. Invece continua a considerarmi una cretina e... e probabilmente lo sono davvero.”
“Non sei una cretina!” Si arrabbia ancora di più Anna.
“Ed è lo stesso che dico anch'io,” intervengo. “E se lei pensa il contrario, con tutto il rispetto, eh... la cretina è lei.”
Chiara accenna un sorriso, mentre Anna le lancia uno sguardo comprensivo.
Quindi è così che funziona? Sua madre si dimentica di loro, Chiara ci resta male e Anna la consola, anche se di sicuro lei non sta meglio?
“Grazie...”
“Di che?” Le chiedo. “Tu hai fatto una cosa bellissima. Sai cosa facciamo? Organizziamo una festa, così lei si pente di non essere venuta! Eh?” Suggerisco, e Chiara annuisce, felice, con l'aria di una bambina a cui hanno appena promesso il regalo che voleva.
Mi volto a guardare Anna, sperando che sia d'accordo con me.
“Sì, una festa di laurea! Che dici?” Concorda con un piccolo sorriso per la sorella.
Chiara annuisce. “Vi voglio bene.”
“Ah, anche noi!” Rispondo, dandole un bacio in fronte, prima di tornare a guardare Anna, che nel frattempo ha distolto lo sguardo. Io mi sento arrossire, come se avessi appena fatto qualcosa che non dovevo. Di nuovo.
Chiara si alza dal divano. “Okay, ma io non voglio sapere niente. Festa a sorpresa, okay?”
“Sì...” Acconsente Anna, con un tono che sembra rimarcare involontariamente la familiarità della situazione.
Dopo averci ringraziati di nuovo e salutati, Chiara va via più contenta.
 
Una volta soli, tra me e Anna cala di nuovo l'imbarazzo.
“Grazie... per Chiara.” Mi dice poi.
Io ne approfitto per tirarmi fuori dai guai. “Per la festa mi dai una mano tu, eh.” Affermo, filandomela prima che possa ribattere.
 
***
 
A casa, mentre preparo il pranzo, ripenso alla scena di prima.   
Al tono materno di Anna con la sorella, al suo tentativo di ridimensionare il gesto della madre. Alla sua rabbia evidente nel sapere che di nuovo le aveva lasciate sole.
A come ha accordato l'idea della festa come... come una madre farebbe con sua figlia. Come quando un compagnetto di scuola prende in giro la bambina, e la mamma per consolarla la porta alle giostre per farle tornare il sorriso.
Tu non ti sei comportato da meno, però. Sei tu ad aver proposto la festa. Per consolarla, per non farla piangere. Un dono in cambio di un sorriso. Non le parole, come hai fatto con Anna, perché non sapresti che dire. Un regalo per mostrarle che non ha niente di meno delle altre, come farebbe un padre.
Tu e Anna vi siete comportati come due genitori nei confronti di Chiara. Questo ti dovrebbe far riflettere.
 
Scaccio a forza questi pensieri.
Ultimamente lo faccio un po' troppo spesso.
 
***
 
Chiara è tornata a Perugia per verificare le ultime questioni burocratiche prima della laurea, per cui quella sera stessa mi metto d'accordo con Anna per vederci dopo cena a casa sua e iniziare a organizzare la festa.
Quando arrivo, lei mi accoglie con un sorriso, offrendomi un bicchiere di birra.
Io nel frattempo mi siedo comodamente sul divano, allungando le gambe quasi involontariamente, a mio agio dopo aver passato tante sere qui con lei per le lezioni di cucina.
Lei si avvicina porgendomi il bicchiere, prima di lanciarmi uno sguardo eloquente per indicarmi di sedermi in maniera più composta.
Come ogni volta. E tu, come al solito, te lo scordi e lei deve ricordartelo.
Si siede all'altro capo del divano, sul bracciolo, nel punto più distante da me.
Non scervellarti troppo. E poi questa distanza l'hai voluta tu.
 
“Allora? Che hai pensato per la festa?” Mi chiede, accavallando le gambe e appoggiandosi sui gomiti.
“Ah... veramente io ho fatto il figo proponendola, ma speravo avessi qualche idea tu. Cos'è che piace a Chiara?” Domando senza riflettere.
“Dovresti saperlo, state insieme.” È la sua risposta piccata, un velo di sarcasmo nella sua voce.
Non infierire anche tu, ti prego.
Cerco di giustificarmi. “Sì, ma... a lei piace tutto quello che piace a me, cioè il calcio, la cucina, birra... fantastico... eh.”
Anna abbassa lo sguardo, come se le mie parole le dessero fastidio, poi torna a guardarmi.
“Allora possiamo prendere spunto da queste cose, visto che a mia sorella piacciono, no?” Domanda, una nota ironica nella voce.
Mi schiarisco la gola. “No, no, dev’essere qualcosa che piace a Chiara e che non mi coinvolga, è lei il centro della festa...”
Anna mi rivolge un’occhiata seria. “È per questo che stai con lei? Perché le piacciono le stesse cose che piacciono a te?” Mi chiede.  
Quella nota vagamente triste l'hai sentita davvero, o l'hai solo immaginata?
“...no. Sto con lei perché...” Mi sforzo di trovare delle ragioni, ammetto che è una cosa a cui non ho pensato finora. “è divertente, perché prende le cose con leggerezza, e poi perché... le vado bene come sono, e non fa niente per cambiarmi. Anche se so che lei è molto più insicura di quello che vuol far credere.”
E quindi stai con lei per compassione? Perché non ti contraddice mai e fa quello che vuoi tu? Perché il senso del discorso ha tutta l'aria di essere questo.
Quando hai elencato le ragioni per cui ti saresti 'innamorato' di Anna, per lo show di Cosimo, non hai avuto esitazioni. Ed erano motivazioni profonde. Non come queste. Senza contare che all'epoca tra voi due non era ancora successo nulla.
 
Anna’s pov
 
Ingoio più in fretta che posso il groppo in gola.
Perché, perché ho accettato di aiutare Marco con l’organizzazione?
Sapevo che mi sarei solo fatta del male, per il tempo che sarei stata costretta a passare da sola con lui per i preparativi della festa di laurea della sua fidanzata, eppure non mi sono opposta come avrei dovuto. Perché non voglio che mia sorella ci rimanga male, non dopo che mamma ha avuto la brillante idea di partire dimenticandosi di noi, di lei. Ho acconsentito perché è giusto festeggiare il suo traguardo, perché merita di essere felice, e io non voglio deluderla.
Ma non è facile, sentir dire queste cose da Marco.
Quindi è questo che pensa? Che io sia una che vorrebbe cambiarlo? Mentre Chiara no, perché a lei va bene così com’è?
Perché è questa l’impressione che mi ha dato, la sua risposta.
Se solo sapesse che mia sorella sta solo fingendo che le piaccia quello che piace a lui... Sul resto ha ragione, non c’è niente da obbiettare: Chiara è divertente, e prende le cose con leggerezza. Più di me di sicuro. Non è impegnativa come lo sono io.
I miei pensieri sono interrotti dalla voce di Marco, che riprende a parlare.
 
Marco’s pov
 
“... e perciò vorrei che tu m'aiutassi, perché nessuno la conosce come te.”
Cerco di giustificarmi così. Se è lei a suggerirmi, so di non sbagliare, perché riconosco di non sapere niente di Chiara oltre quello che abbiamo in comune.
Mentre lei riflette, io ne approfitto per osservarla di sottecchi.
Forse ho rivelato un po’ troppo, poco fa. A giudicare dalla sua espressione malinconica, forse ha intuito quale sia stato il problema, quella sera... La storia del pouf, e la cazzata che ho fatto. Spero di no, perché non voglio che lo sappia. Ho sbagliato, lo so, ma non saprei come fare, dopo, a giustificare di aver dato di matto solo perché lei lo ha spostato. Finirebbe pure per sentirsi in colpa per niente, conoscendola. Ho già fatto abbastanza danni così, non voglio rischiare di peggiorare la situazione.
Anna sembra ridestarsi perché le è venuto in mente qualcosa, e si avvicina scendendo dal bracciolo e sedendosi su uno dei cuscini, ma sempre quello lontano.
“Quand'eravamo piccole giocavamo al drive-in.”
Questa cosa mi intriga. “Spiega.” La incito, avvicinandomi.
Lei fa altrettanto, fino a che finiamo per essere seduti uno accanto all'altra, quasi in un gioco inconsapevole di due calamite che si attraggono inesorabilmente.
“Allora, praticamente prendevamo due sedie, spegnevamo la luce davanti alla tv e facevamo finta di essere in macchina.” Racconta, gli occhi che si illuminano. “Può essere un'idea.” Aggiunge, incerta, davanti alla mia piccola risata. Forse l’ho offesa, non vorrei avesse frainteso.
“Un drive-in? Bello.” Commento, e sono sincero. Può essere un ottimo spunto, è una cosa carina. Una festa a tema. “Dico davvero, mi piace molto, la tua idea,” affermo, quando lei mi rivolge uno sguardo esitante. “Non ci avrei mai pensato... Però... ecco perché vi piace così tanto, guardare i film insieme.”
Lei abbassa lo sguardo, un piccolo sorriso sulle labbra. “Sì, l’abbiamo sempre fatto, fin da piccoline. Una delle cose che è rimasta invariata da allora...” aggiunge, malinconica.
“Allora bisogna valorizzarla. Sono convinto che piacerà anche a lei.”
Resto ancora un po' con Anna a concordare il resto, lasciando a Chiara stessa gli inviti.
 
Quando vado via, penso che in effetti io non ho idea di chi ci sarà a questa festa, e in linea generale credo nemmeno Anna, considerando che ha detto a sua sorella di occuparsi lei degli invitati, probabilmente amici e colleghi dell'università.
Chiara sarà impegnata a pensare agli ospiti, e voi due finirete per passare tutta la festa assieme.
Scuoto la testa, aprendo la porta di casa.
La mia mente torna al racconto di Anna sul drive-in, e a quello che so essere successo quand’era piccola.
Nonostante tutto, mi rendo conto come Elisa, la loro madre, sia riuscita a tirare su da sola le due ragazze, anche se il loro rapporto non si è mai risanato completamente dopo la scomparsa del padre, come mi ha raccontato Anna.
Mi chiedo come fossero, da bambine, come abbiano trascorso la loro infanzia, e mi viene da sorridere, pensando a una piccola Anna timida e insicura, con due occhioni verdi pronti a scrutare tutto e tutti con diffidenza. Penso a lei, dopo la morte del suo amato papà, ancora così piccola, a dover diventare grande per forza e in fretta. Penso a lei, un’adolescente chiusa in sé, solitaria, che trova rifugio e consolazione nei libri, ma che difende la propria indipendenza con le unghie e con i denti. Che trova in se stessa la forza necessaria ad andare avanti. Che lotta per ottenere e diventare ciò che vuole, anche contro le obbiezioni di sua madre, che non capisce. Penso ai suoi sacrifici in accademia. Alle porte sbattute in faccia, le discriminazioni. Penso al giorno in cui l’ho incontrata, quando ho deciso senza motivo di renderle la vita più difficile di quanto già non fosse.
Penso a quanto sia lei che Chiara siano più insicure di quanto sembri, una nascondendosi dietro la rigida divisa che indossa, l’altra dietro la leggerezza con cui affronta la vita.
Ancora una volta, mi rendo conto di aver pensato quasi esclusivamente ad Anna.
A come, anche per lei quel drive-in rappresenti un bel ricordo d’infanzia, e a quanto ci sia in lei ancora da scoprire.
Mi chiedo se quello che io ho bisogno sia davvero una storia leggera come quella che mi sta offrendo Chiara, o più semplicemente io stia scappando per paura di rimanere ferito. Perché so che con Anna non sarebbe una storiella da niente. Non potrebbe mai essere una cosa da poco, perché nemmeno io lo vorrei.
Con lei, sarebbe un impegno per la vita, ed è questo che mi terrorizza: l’idea di non riuscire a farcela.
 
***
 
La mattina dopo, do' un'occhiata a qualche drive-in e ne trovo uno perfetto che è disponibile per la data che serve a noi.
Però dobbiamo capire se va bene, e il sito non è granché, per cui chiedo il favore di aprire anche se è giorno di chiusura, cosicché possa vedere insieme ad Anna se come location può andar bene e definire i dettagli.
 
In ufficio nel pomeriggio, convochiamo la signora Moira, che ha ospitato la ragazza depressa, scoprendo che si tratta di una truffatrice, pagata dall'ex di Gabriella affinché la convincesse a lasciare il fidanzato perché ancora innamorato di lei.
Anna si indigna parecchio a questa cosa, e anch'io. È stato un inganno bello e buono, altro che amore.
Hanno approfittato di una ragazza instabile per raggirarla.
Quando lui e Moira vanno via, io e Anna scendiamo in piazza.
“Controlliamo le celle telefoniche e vediamo se erano veramente insieme,” le dico.
Lei fa un sospiro profondo.
“Ehi, che c'è?” Le chiedo istintivamente. Non riesci a non preoccuparti se la vedi stare anche solo vagamente male, e ti viene spontaneo cercare di fare qualcosa per lei.
Anna mi guarda un attimo, probabilmente sorpresa che io sia tornato a farle una domanda così... personale, prima di rispondere. “Stavo pensando a Gabriella, a come si è fatta manipolare da quei due...”
“Purtroppo è facile fare leva sulle debolezze delle persone che abbiamo accanto... e alle volte nemmeno ce ne accorgiamo.” Le dico semplicemente.
Lei abbassa lo sguardo, pensierosa. “Ti riferisci a Chiara e mia madre...”
Io annuisco appena. In realtà non solo a loro due, ma anche a lei, che fa tanto la forte ma è evidente che ci sta altrettanto male. L'hai visto anche tu, sua madre ha infierito sul suo lavoro, da sempre motivo di discussione, senza pensare alla ragione per cui l'ha scelto. Sul suo desiderio di non darle un dispiacere, per accusarla di averla delusa. Sull'amore per la divisa, per rinfacciarle di non comportarsi da donna.
Poi mi ricordo di questa sera.
“Ah, ho trovato il drive-in!” Esclamo, cambiando discorso in modo repentino. “E stasera aprono apposta per noi.” Aggiungo, con un sorriso.
Lei sembra sollevata. “Bene... allora mandami l'indirizzo, ci vediamo lì.”
“Va bene... ciao.” La saluto andando via, e per un attimo ho l'impressione di essere tornato a qualche settimana fa, quando tra noi era tutto normale.
 
Più tardi, ho appena scritto un messaggio con l'indirizzo e sto per inviarlo ad Anna quando cambio idea. Cancello tutto e riformulo la frase.
Ehi, ciao. Passo a prenderti io in moto, non vale la pena andare separati. Per le 20 sono da te.
Invio prima di pentirmene, sperando che non dica di no.
La sua risposta non si fa attendere molto.
D'accordo. Ci vediamo dopo, allora.
Rilascio il respiro che non mi ero reso conto di stare trattenendo.
Cerco di calmarmi. Tutta questa agitazione non ha senso. Non sono un adolescente al primo appuntamento con la ragazza che gli piace.
E poi questo non è un appuntamento.
Non le ho chiesto di uscire per questo.
 
Forse no, ma non è che ci fosse poi tutto questo bisogno di andare insieme al drive-in, soprattutto con questa fretta. Potevi andarci anche domani mattina, o domani pomeriggio, da solo a controllare che fosse tutto a posto.
E invece no, l'hai detto ad Anna perché in fondo vuoi ritagliarti del tempo da solo con lei. Perché ti mancano le serate insieme, ti manca parlare con lei come prima, e hai colto questa occasione al volo senza nemmeno rendertene conto.
Puoi negarlo quanto vuoi, ma sei ancora innamorato di lei, anche se cerchi di sforzarti di dimenticarla. Il tuo cuore non te lo permetterà.
 
Quando arrivo sotto casa sua, alle 20 in punto, lei esce chiudendosi il portone alle spalle. Sicuramente mi avrà sentito arrivare.
“Ehi,” la saluto con un sorriso, con le farfalle che tornano a presentarsi nel mio stomaco dopo parecchio tempo.
“Ciao,” ricambia lei, “grazie per essere venuto...”
“E di che? Tanto casa tua è sulla strada...” Le dico, porgendole il casco.
Lei si affretta ad allacciarlo e salire in sella dietro di me. Da uno dei due specchietti noto la sua espressione imbarazzata.
“Ti conviene tenerti...” Suggerisco a voce bassa, e quando sento le sue braccia stringersi attorno al mio busto, provo una sensazione strana e familiare insieme.
Come quella volta quando l'hai ospitata a casa tua insieme a sua sorella e al maresciallo, e l'hai vista scendere le scale la mattina. Come la prima volta che ha cenato a casa tua per una coincidenza. Come il gelato in ufficio la sera tardi.
 
Arrivati lì, salutiamo e ringraziamo per il favore, poi io mi avvio verso una delle auto lasciando Anna ad occuparsi del film da vedere per la festa, ma non prima di averle detto di portare i popcorn. Non è un vero drive-in senza.
Questo posto non è niente male, penso tra me guardandomi intorno. E queste lucine rendono l'atmosfera romantica, perfetta per un appuntamento.
Sì, ma questo non è un appuntamento. Affatto. Anche se siamo da soli, proprio soli soli considerando che hanno aperto per noi. Scelgo l'auto più centrale e mi accomodo al posto dell'autista.
Anna mi raggiunge cinque minuti dopo, quando il film – Cenerentola – è già iniziato.
Io, da gentiluomo quale cerco di essere ogni tanto, le apro la portiera.
“Madame,” mormoro.
“Grazie,” sussurra lei di rimando, posizionando i popcorn in mezzo a noi due.
“Stavo pensando,” prende la parola dopo qualche minuto, “che potremmo fare una festa anni '60...”
“Mh-mh, okay... Ma... Cenerentola no.” Obbietto, con un'occhiata eloquente. È pur sempre una festa di laurea, su.
“Ho chiesto, ce l'hanno,” si giustifica lei. “è il film preferito di Chiara, l'ha visto duecento volte.” Non ne avevo idea. Aspetta, però una cosa me la ricordo, e non perché me l'abbia raccontata Chiara.
“È vero, lei da piccola voleva fare la principessa, vero... e tu Zorro.”
Lei sembra sorpresa.
“Me l'hai detto, no? Non è che...” Mi giustifico, leggermente in imbarazzo. Hai appena ammesso di ricordarti praticamente ogni cosa che dice. Bravo, almeno una cosa giusta ogni tanto la fai.
“Vabbè... tu che volevi fare da piccolo? Mh?” Mi domanda, curiosa.
Io esito un attimo, poi mi butto. Lei me l'ha detto, no? “L'attore...” Rispondo senza guardarla.
“Ohh, l'attore,” mormora con voce roca, ridacchiando.
“Cosa? Che cosa ridi?” Chiedo, ma rido anch'io.
“No, vabbè... e poi?”
“Con 'sto naso dove vuoi che vada...”
“Non è così male.”
Mi giro a guardarla, stavolta sono io ad essere sorpreso. Anna è chiaramente in imbarazzo, ma regge il mio sguardo senza esitazioni.
“Grazie...” Mormoro infine, lusingato, e lei mi fa un piccolo sorriso.
È più forte di me, sento il bisogno di spiegarmi meglio. Di aprirmi. Sai che con lei puoi farlo. La battutina l'ha fatta solo per punzecchiarti, non per prendersi il gioco di te. Non lo farebbe mai, non l'ha mai fatto.
“Poi però mio padre ha detto, 'No no. Tu ora fai un lavoro serio, stop'.” Le confesso, abbassando le mani un po' abbattuto.
“Marco, tutti ci lasciamo condizionare...” Mi dice dopo qualche istante, e guardandola vedo che nel suo sguardo c'è comprensione. E qualcos'altro che non riesco a decifrare bene.
Sta alludendo alla discussione di oggi pomeriggio, quando io le ho detto quella cosa su sua madre e sua sorella come se a me la faccenda non toccasse, e invece ecco qui che con due parole lei ha intuito tutto. Tu magari ultimamente hai qualche problema a capirla, ma di sicuro lei non ne ha nel capire al volo te. Fa un respiro profondo prima di continuare. “Credo che la cosa importante sia... non so, trovare il proprio posto nel mondo. E io penso di averlo trovato.” Confessa, guardandomi dritto negli occhi.
Io non riesco a distogliere i miei da quel verde magnetico che mi attrae come nient'altro.
“Credo anch'io, mi sa.” Ammetto, senza staccare gli occhi dai suoi.
Il mio posto è accanto a te, ovunque tu sia.
E quando sorride alle mie parole, so per certo che sta pensando la stessa cosa.
Vi siete detti di amarvi, anche se con un'espressione differente.
Nonostante tutto.
 
Non ti odia, nemmeno dopo che l'altra sera l'hai trattata malissimo e cacciata via quando sai che era venuta per te.
Nemmeno se stai con sua sorella.
E tu la ami anche per questo.
 
“Eh...” mormoro, più per fare qualcosa che altro, così lei abbassa lo sguardo, ma io continuo ad osservarla ancora per qualche istante.
Non ho capito male, non stavolta.
Lancio una breve occhiata allo schermo gigante davanti a noi, senza la minima idea di quello che stia succedendo nel film.“Secondo te qua dobbiamo guardarlo tutto questo, o...?” Commento, giusto per alleggerire un po' la tensione.
“Fino a quando non scatta la mezzanotte.” Sussurra Anna.
Ancora una volta, i nostri occhi restano incatenati per quella che sembra un'eternità, senza che nessuno dei due faccia niente per impedirlo.
 
Dopo qualche minuto, mi schiarisco la gola.
“Pensavo... visto che a tua sorella piace Cenerentola, forse potremmo fare una festa in stile... principesco. Nel senso,” mi spiego meglio, con leggero imbarazzo, “una specie di serata di gala... Smoking per gli uomini e abito lungo per le donne... Potrebbe piacerle, secondo te? L’ambiente, qui in questo drive-in, mi sembra adatto.”
Attendo la sua risposta con una certa ansia. Mi sto mettendo nei guai da solo, perché pure io dovrò indossare il tight se lei dice di sì, ma pazienza.
Ad Anna si illumina lo sguardo. “È un’idea bellissima, Marco. Chiara lo adorerà, ne sono certa.”
 
Quando la pellicola finisce, ce ne accorgiamo solo perché la luce del proiettore si spegne all'improvviso.
Con molta calma, scendiamo dalla macchina, ringraziamo i proprietari per il favore – ovviamente impedendo ad Anna di pagare, e non con poche difficoltà – e saliamo in moto.
Stavolta lei è molto più a suo agio, e non esita a stringersi a me una volta in sella.
Per il tragitto di ritorno, non riesco a smettere di pensare a quanto questa serata sia stata perfetta. A quanto naturale sia passare del tempo con lei. Come se le settimane scorse non ci fossero mai state.
 
Anna’s pov
 
Mentre torniamo a casa in moto, non posso fare a meno di pensare all’idea di Marco. È davvero splendida, perfetta per Chiara. E ciò mi conferma, con una fitta al cuore, quanto lei sia fortunata. Marco sta realizzando per lei la festa dei suoi sogni... evidentemente, a lui piace davvero mia sorella. Se si è proposto di fare tutto questo per farla felice.
Nello stesso istante, però, mi rendo conto che ho commesso un errore enorme.
Non ci ho nemmeno riflettuto, e se da un lato è meglio così, dall’altro è un incubo: anche io dovrò indossare un abito lungo. Considerato il tema, dovrò trasformarmi per forza di cose nella principessa che mia madre aveva sempre sperato di vedere. Ironia della sorte, lei nemmeno ci sarà.
Mi sento invadere dall’inquietudine. L’idea di dover mettere un abito lungo non mi piace, e all’improvviso risento lo stesso senso di disagio che ho provato in quella missione sotto copertura al reality show. Mi sento in imbarazzo solo a pensarci, e in ansia perché sarà una cosa totalmente fuori dal mio essere. E mi conosco, quando sono costretta a fare cose che non ritengo ‘mie’, tendo a tirare fuori il peggio di me.
Per un istante, mi torna alla mente un altro fatto, legato a questa frase e al reality.
Il commento di Marco sul vestito, di come mi stesse ‘bene, bene, bene, bene’.
Mi sento arrossire di nuovo, ripensandoci.
Forse, penso con un sorriso, forse tanto male la festa non sarà.
 
 
Marco’s pov
 
È passata circa un’ora quando arriviamo in piazza, dopo esserci fermati a mangiare qualcosa per strada. Ammetto di essermela presa comoda, nel tragitto di ritorno. Non volevo che finisse.
Prendo l'ultima curva un po' male, accelerando involontariamente.
“Piano, piano,” ridacchia Anna.
“Ho frenato, ho frenato, scusa! Che cosa devo fare?” La punzecchio, mentre lei scende togliendo il casco. Io la imito, facendo lo stesso. “Però la prossima volta il film lo scelgo io,” metto in chiaro senza pensarci. “Cenerentola no, dai, su.”
“Che film sceglieresti?” Mi domanda, e in quel momento mi rendo conto di quello che ho detto.
Hai praticamente dato per scontato che uscirete di nuovo insieme. Da soli. E che tornerete al drive-in.
Il mio cuore salta un battito elaborando le sue parole.
E Anna non ha detto di no, anzi.
Ti ha chiesto cosa vorresti vedere, insieme a lei.
I nostri sguardi tornano a incrociarsi per l'ennesima volta stasera, e io, quasi inconsapevolmente, mi avvicino.
Non si sta allontanando. Non ti sta respingendo. Hai capito bene, quand'eravate al drive-in.
I nostri volti sono ormai a pochi millimetri, e mi accorgo che lei ha chiuso gli occhi.
Marco, fallo! Baciala!
 
Un rumore improvviso mi fa allontanare bruscamente: il mio cellulare che squilla.
“No...” mormoro tra me. Quando leggo il nome sul display, sento un vago senso di nausea farsi strada in me: Chiara.
“No, è Chiara che...” Esito, senza riuscire a parlare come si deve. “Rispondo, okay?” Biascico, e Anna si limita ad annuire, lo sguardo basso.
“Pronto?... Ciao!... sì, Chia', abbiamo organizzato tutto e... no no no, niente, non dico niente, ché è... sorpresa. Arrivo tra un secondo a casa, posso chiamarti da lì? … grazie, ciao, buonanotte.” Chiudo in fretta la chiamata, senza nessuna voglia di ritelefonarle.
Non ci posso credere. Non può essere successo di nuovo. Non adesso. Non ora che...
L'imbarazzo torna a insinuarsi prepotentemente tra noi due.  
“Beh, allora buonanotte...” Mi dice incerta Anna. “Devo svegliarmi presto, devo accompagnare Chiara a comprare il vestito per la laurea...”
“Sì, m'ha detto che... bello... ehm...” Niente, non riesco più a dire due parole sensate di fila.
“Ciao...” mi saluta, avviandosi verso casa.
No, non posso credere che stava per succedere davvero, e Chiara ha interrotto tutto.
Prima che possa formulare altri pensieri però, Anna si volta all’improvviso. “Il casco...” Sussurra, tornando indietro e porgendomelo.
Nel prenderlo, le nostre dita si sfiorano, e il mio cervello smette di funzionare.
Seguo solo l’istinto, afferrandole la mano e attirandola a me.
Lei spalanca gli occhi.
“Marco, che-”
Non la lascio finire.
Perché le mie labbra sono sulle sue.
Dopo la sorpresa iniziale, sento Anna rilassarsi nel mio abbraccio, cedendo al mio gesto e lasciandomi approfondire il bacio.
Sentire la passione con cui risponde mi riempie di gioia, perché ho la certezza di non aver frainteso, prima, al drive-in.
Perché la verità è che ci siamo innamorati, anche se nessuno dei due ha avuto il coraggio di ammetterlo, e niente può cambiarlo.
Quando ci allontaniamo, le espressioni sui nostri volti sono, però, incerte.
Perché, se da un lato c’è la felicità per quanto è finalmente successo, dall’altro c’è la consapevolezza di cosa abbiamo fatto. Di Chiara.
Prima che uno dei due possa dire qualcosa, il mio telefono squilla di nuovo.
“È... è di nuovo Chiara.” Biascico, con voce roca.
Non ho voglia di risponderle, però, quindi silenzio la suoneria lasciando che la chiamata si chiuda da sé.
“Dovresti richiamarla appena rientri a casa,” è l’inaspettata replica che ricevo da Anna in tono piatto. “Buonanotte.”
Lei mi volta le spalle e corre via, senza che io riesca a proferir parola.
Lasciandomi nella confusione più totale.
 
 
Anna's pov
 
Chiudo piano la porta di casa, appoggiandomi poi con la schiena contro di essa.
 
Perché, perché deve andare sempre a finire così?
Sembra che dopo quella sera vada sempre tutto male, come una specie di maledizione.
 
Quando mi ha detto di aver trovato il drive-in e che avrebbero aperto apposta per noi, quell'implicito invito mi ha destabilizzata un attimo, prima di ricordarmi che non era affatto un'uscita per noi due, ma per organizzare la festa per Chiara.
La sua fidanzata.
Deglutisco a forza.
I miei tentativi di rimanere distante sono andati a farsi benedire quasi subito, col suo messaggio in cui diceva che sarebbe passato lui a prendermi, e non di vederci lì come avevo suggerito io. In mia difesa, posso dire che io ci avevo provato.
Sì, e si è rivelato inutile, perché non appena mi sono trovata in moto con lui, non ho potuto fare a meno di pensare a quanto mi piacesse quella cosa, e che avrei voluto diventasse un'abitudine.
 
Al drive-in, poi, è stato come se le settimane di tensione tra noi non ci fossero mai state. È bastato poco perché tornasse tutto come prima, perché riprendessimo a parlare... di noi.
Quando si è ricordato quella cosa di Zorro ho avuto un tuffo al cuore. Sono passati mesi da quando gliel'ho raccontata, e non abbiamo più toccato l'argomento da allora.
Eppure si ricorda.
Conoscendo quant'è restio a parlare di sé, non pensavo mi avrebbe risposto quando gli ho chiesto cosa voleva fare lui da bambino, e invece, ancora, mi ha spiazzata.
Sì, e già che siamo nel discorso, tu gli hai detto che ti piace.
Avrei voluto sotterrarmi dall'imbarazzo, non so come ho fatto a non abbassare lo sguardo quando lui mi ha rivolto quell'occhiata sorpresa.
Quando poi mi ha raccontato di suo padre... Non mi aveva mai parlato della sua famiglia.
E di come anche lui abbia dovuto accettare di fare qualcosa che inizialmente non voleva per amore di qualcuno.
Io ho scelto di fare il carabiniere per dare giustizia alla memoria di mio padre. Lui ha barattato il suo sogno per una carriera con cui rendere orgoglioso il suo.
Volevo solo cercare un modo per consolarlo, come lui ha fatto tante volte con me.
Quella frase mi è uscita di bocca senza che riuscissi a fermarla.
E la sua risposta è stata incredibilmente inaspettata... ma ha tolto in me ogni dubbio.
So che lui ha capito cosa intendessi, e le sue parole l'hanno confermato.
Quelle, e il fatto che non riuscissimo a staccare gli occhi l'uno dall'altra subito dopo.
 
Gli hai praticamente detto che il tuo posto è accanto a lui.
E Marco ha detto lo stesso per te.
 
Avrei voluto che questa sera non finisse mai, nemmeno allo scoccare della mezzanotte.
E l'incantesimo sembrava davvero non avere fine, perché quando siamo tornati è stato tutto così naturale tra noi che senza rendercene conto ci siamo dati appuntamento per un'altra volta.
E poi Marco ha iniziato ad avvicinarsi.
E io credevo di stare sognando, perché voleva dire che avevo davvero capito bene al drive-in, e adesso mi stava per baciare di nuovo. Stavolta non mi sarei tirata indietro.
 
Ma ovviamente, il rintocco della mezzanotte è arrivato attraverso lo squillo del suo cellulare.
Chiara.
Ovviamente.
Mi ha fatto rendere conto di cosa stavamo per fare.
Pensavo di essere riuscita a scampare a uno sbaglio enorme, prima di rendermi conto di aver dimenticato di restituire il casco a Marco.
Non so cosa gli è preso, non so perché l’abbia fatto, perché in quel momento... ma mi sono ritrovata a baciarlo senza capire bene come. Per un attimo, sono stata troppo sorpresa per poter fare alcunché. Ma solo per un attimo. Perché poi la mia razionalità è sparita, e l’ho lasciato fare.
E l’ho ricambiato. Eccome, se l’ho ricambiato. Non esisteva niente oltre noi due, in quel momento.
Sapevo solo che lo stavo baciando, finalmente, e che risentirlo così vicino a me era una sensazione meravigliosa che avrei tanto voluto non finisse.
La realtà ci è piombata addosso non appena ci siamo separati.
Perché sì, era stato un bacio... d’amore, ma che non sarebbe dovuto esistere.
Ho tradito la fiducia di mia sorella, non ho minimamente pensato a lei e alle conseguenze di quello che stavamo facendo.
Anche stavolta, è un errore da dimenticare.
Asciugo con un gesto rabbioso una lacrima che è sfuggita al mio controllo.
 
Si vede che non è destino. Anche se lo ami. E lui ama te.
 
Marco's pov
 
Il mio primo pensiero stamattina, appena sveglio, è quel bacio. Le sue conseguenze.
E il coraggio che non ho avuto, di nuovo, per fermarla e dirle la verità.
Soprattutto adesso che so che anche lei prova qualcosa per me. Che finora ho sbagliato tutto con lei, che non ho capito il suo comportamento perché non volevo vedere.
Io e la mia dannata paura.
 
Avevo cercato con tutte le mie forze di convincermi che non provassi più niente per lei. Che non l'amassi più. Che avevo accettato l'idea che saremmo stati solo amici, al massimo.
Ce l'avevo quasi fatta.
E invece è bastato pochissimo per riaccendere quel fuoco che forse in realtà non si era mai spento.
È bastato poco perché tornasse, prepotente, il desiderio di baciarla.
La voglia di stringerla tra le braccia e non lasciarla più.
 
E ho rovinato tutto. Ho sbagliato comunque.
Adesso non so che fare. Non voglio far soffrire Chiara, in fondo le voglio bene anche se non la amo, ma non posso ignorare l'amore per Anna.
 
Anna’s pov
 
Stamattina, con il cuore che pesa come un macigno, ho accompagnato Chiara a comprare il vestito per la laurea.
Cerco di fare finta di nulla, limitandomi a dirle che in fondo sono andata con lei solo per farle compagnia, perché di vestiti io non ci capisco niente... Lei ribatte dicendo che si tratta di un’occasione diversa, che ha bisogno della mia opinione, e che comunque dobbiamo prendere un altro vestito tutte e due, un abito da sera, per la festa a sorpresa, e quindi la mia presenza è necessaria a prescindere.
Finalmente Chiara esce dal camerino, con addosso il suo tailleur.
Si posiziona davanti allo specchio.
“Sembro in divisa...” Commenta.
Io spalanco gli occhi. “Non dirlo neanche per scherzo...” replico, con una risata nervosa. Basto io, a fare un lavoro pericoloso.
Dopo averle sistemato la camicia, torno dietro di lei, che continua a osservare il proprio riflesso.
“Ho sempre voluto essere come te.” Dice a un certo punto, spiazzandomi. “Insomma, avere la tua sicurezza. Tu... hai sempre fatto tutto bene, e invece io ho sempre fatto un sacco di casini...”
Il senso di colpa spinge prepotentemente contro la mia gola.
“Non è così...” cerco di negare, sinceramente. Di guai ne ho combinati anche io, l’ultimo giusto ieri sera. Grave, anche.
“Invece è così.” mi contraddice Chiara. “Sai perché cambiavo spesso fidanzati?”
Io faccio segno di no con la testa, senza capire dove vuole andare a parare.
“Perché avevo paura che col tempo si rendessero conto che ero... vuota.”
“Chiara-” cerco di fermarla prendendole le mani, ma lei continua.
“Ma adesso è diverso... con Marco è diverso. Lui ha visto qualcosa in più in me, e mi ha dato il coraggio di provare... di contare sulle mie forze. Ma so anche che...” Lei abbassa un attimo gli occhi sulle nostre mani strette, per poi rialzarli e puntarli nei miei. Ci leggo dentro tanta tenerezza che non riesco a interpretare. Lascio che continui. “So anche che Marco, tutte queste cose, in me, le ha viste e le ha tirate fuori per farmi diventare più responsabile... per aiutare te. Perché ha visto lui stesso in che casini sono capace di cacciarmi, e mettendo te in mezzo. È stato per te, quella volta, che mi ha fatto ragionare sulla storia con Sasà. Perché non voleva che tu stessi male per un mio ennesimo errore di giudizio. Io mi sono presa una cotta per lui, ma... lo so, che Marco non mi ama. E so anche che è di te che è innamorato...” ammette, mentre io resto senza parole. “Ho capito che ha un ruolo importante nella vita di tutte e due, perché ci ha fatte crescere entrambe, ci ha rese consapevoli di valere ognuna a suo modo. So che quello che state facendo per me, la festa, vi sta costando moltissimo, e anche che sia tu che lui state preferendo mentire sui sentimenti che provate l’uno per l’altra per non soffrire. A me lui piace, e tanto anche, ma quello che provo non sarà mai forte come quello che provi tu per lui, e lui per te. Me ne rendo conto. Forse ora che sto per laurearmi mi sento più matura, non so, però... non è giusto, tenervi divisi. Anche perché, te ne ho già fregato uno, di Marco, e stavolta è giusto che mi faccia da parte.”
“Io... io non so che dirti...” mormoro. Ed è la verità. Non me lo sarei mai aspettata. Mai.
“Non devi dire niente, è giusto così. E stavo pensando che... vestita così sembrerò anche in divisa, potrei anche tentare di conquistarlo, Marco... ma tanto lui preferirà sempre il fascino della divisa vera. O meglio, chi la indossa...” Aggiunge, con uno sguardo malizioso che mi fa arrossire.
“Mi dispiace...”
Almeno questo devo dirglielo.
“Non devi. Non devi sentirti in colpa perché ti sei innamorata di un uomo che ti ama follemente. Anzi. Direi che è ora di dedicarci all’altro abito. Gli piacerai un sacco in divisa, ma mi ricordo come ti ha guardata quella mattina, sul pianerottolo di casa... Andiamo.”
 
Marco’s pov
 
Nel pomeriggio, mi avvio alla premiazione della gara di ciclismo che ha vinto il Maresciallo.
Anna mi fa appena un cenno, prima di raggiungere il resto dei Carabinieri in prima fila mentre noi restiamo in fondo.
Questa cosa mi fa sentire, se possibile, ancora peggio.
Cerco di mettere da parte tutti i pensieri che la riguardano, provando a concentrarmi sulla premiazione.
Alla fine scopriamo che il Maresciallo non aveva vinto la corsa, ma che per un incidente si era ritrovato a tagliare il percorso fino ad arrivare al traguardo senza rendersene conto. Lì era pure svenuto, e quando si era ripreso, il Colonnello aveva già combinato più casino di lui.
È ammirevole, però, che abbia detto la verità.
So che ci vuole parecchio coraggio, per ammettere di aver sbagliato.
Quando vedo Cecchini avvicinarsi, affiancato da Anna, riesco appena a salutarli, perché vengono raggiunti dal Colonnello e, insieme a lui, si avviano verso la caserma.
Non so come comportarmi.
Anna mi evita, e con Chiara non so che fare.
 
La laurea, qualche giorno dopo, va benissimo. Chiara è al settimo cielo, ed è bellissimo, vederla così felice e poter gioire con lei del suo traguardo. Anna è forse perfino più emozionata della sorella, l’orgoglio evidente nel suo sguardo. Ancora una volta, quasi a prendere inconsapevolmente il posto della madre assente. Chiara sembra non farci nemmeno caso, anche se solo in apparenza, e dopo la proclamazione, non esita un attimo a correre ad abbracciare Anna per condividere con lei quel momento.
Il più bello di tutti.
 
Chiara’s pov
 
Adesso che sono laureata, la mia nuova vita sta per cominciare.
Domani sera ci sarà la festa - abbiamo preferito rimandare di due giorni, così abbiamo più tempo, anche perché ho invitato alcuni colleghi che si sono laureati ieri insieme a me, e altri oggi - e io voglio che mia sorella e Marco possano vivere la loro storia serenamente, già a partire da domani. Hanno già atteso abbastanza. Per questo è giusto che con Marco la chiuda oggi.
Non senza divertirmi un po’, ovvio. Un minimo di supplizio deve sopportarlo, dopotutto ha accettato di uscire con me pur essendo innamorato di mia sorella.
Così mi presento a casa sua, dicendogli che ho bisogno di parlare con lui.
“Anche io dovrei dirti una cosa...” ammette, con leggera reticenza. “Ma... prima le signore.”
Sempre un gentiluomo, lui.
“Il fatto è che... ultimamente ho notato che le cose tra noi sono strane,” esordisco, “sembri sempre distratto, e penso di sapere anche da cosa, o meglio, da chi.” Preciso, mettendo su la mia migliore finta aria gelosa. “Me ne sono accorta, cosa credi? Come guardi mia sorella.” Lo accuso, con cipiglio arrabbiato.
Devo trattenermi un sacco dallo scoppiare a ridere quando lo vedo andare in panico. Ho detto la verità, anche ieri non smetteva di guardare Anna - e dire che avrei dovuto essere io il centro di interesse! - che, ammettiamolo, non si rende mai conto di quanto è bella, soprattutto quando indossa abiti più femminili come l’ho costretta a fare ieri. Non solo Marco, anche qualcuno dei miei colleghi le ha lasciato gli occhi addosso. E lui ha fatto il geloso senza riuscire a dissimulare affatto. È stato uno spasso.
“Io... posso spiegarti...” tenta di dirmi, ma io non resisto più e scoppio a ridere.
“Non ce n’è bisogno,” lo tranquillizzo. “Volevo farti venire allo scoperto. Lo so, quello che provi per Anna, che sei innamorato di lei. Peccato, speravo davvero fossi quello giusto per me, ma... abbiamo condiviso un pezzetto di strada insieme. Mi basta quello. Adesso è a lei che devi dire la verità.”
Riprendo la borsa, avviandomi verso la porta senza aspettare che lui dica nulla. Prima di andare via, però, aggiungo un’ultima cosa.
“Ah, Marco... se ti fai scappare Anna, sei un idiota.”
 
Marco’s pov
 
Finalmente è arrivata la sera della festa.
Dire che sono agitato è poco.
Immagino che a questo punto Chiara avrà detto tutto a sua sorella, quindi ora tocca a me.
Spero davvero di non combinare altri guai, e che lei capisca.
Quando arrivo al drive-in, noto che le sorelle Olivieri non ci sono ancora, quindi mi ritrovo in mezzo agli amici e ai colleghi di Chiara. Qualcuno mi fa un cenno, ricordandosi di avermi visto alla laurea, probabilmente.
Hanno tutti rispettato le indicazioni scritte sull’invito: regna l’eleganza, e con l’atmosfera del drive-in è un bel contrasto che fa un ottimo effetto.
Anche sotto questo aspetto, io e Anna siamo una squadra vincente.
All’improvviso mi rendo conto che anche lei, come tutti gli altri, sarà in abito lungo.
Mi torna in mente il reality show e la sua avversione in merito.
Ops. È pur vero che è la festa di Chiara, quindi il sacrificio abbiamo dovuto farlo tutti, però...
Intravedo in mezzo alla gente anche i due ragazzi, credo colleghi di università di Chiara, che alla seduta di laurea si erano dimostrati particolarmente interessati ad Anna. E se già l’hanno notata lì, stasera non oso immaginare.
Sarà come per il ‘principe’. Ma con la differenza che in quel caso non potevo intervenire, stavolta sì.
Dopo qualche minuto, la festeggiata arriva, e con lei la sorella.
So che dovrei quantomeno rivolgere uno sguardo a Chiara, ma non ci riesco.
Anna è accanto a lei, e io mi sento mancare il fiato.
L’ho già vista in abiti eleganti in più di un’occasione, ma stasera è...
Splendida.
Potrei usare altre mille aggettivi, e non basterebbero comunque.
Indossa un abito di una tonalità di verde scuro che le dona moltissimo, simile a quella del vestito che indossava la sera del pouf, dalle linee più morbide, stretto in vita con le maniche in pizzo trasparente, una leggera scollatura e uno spacco niente male sulla gonna che scende, leggera, fino a terra. Un trucco delicato, i capelli ramati sciolti sulle spalle a parte una ciocca a sinistra, intrappolata in un bel fermaglio dello stesso colore del suo vestito.
Dopo aver lasciato Chiara alle sue amiche, Anna si avvicina a me, in evidente imbarazzo.
“Ciao...” Sussurra, evitando il mio sguardo.
“Ehi...”
Devo ancora capire come ricollegare bocca e cervello.
Quando mi rendo conto che la sto fissando da diversi secondi senza riuscire a dire niente, mi sforzo di sbloccarmi.
“Stai... benissimo, così.”
Tutto qua? Marco, SVEGLIA.
“Bellissima.”
“Grazie...” mormora lei, le guance in fiamme.
Siamo, forse per fortuna, distratti da Chiara, che dà ufficialmente inizio alla festa.
Noi, ovviamente, restiamo insieme per tutto il tempo, cercando di combattere l’imbarazzo che si è insinuato tra noi.
Mi dico che mi sto comportando da stupido: se Anna è qui, insieme a me, può significare solo che ha parlato con sua sorella, e che tra noi adesso non c’è più nessun ostacolo.
Mi faccio coraggio, e la prendo per mano.
Non saprei descrivere la mia felicità quando la sento non solo ricambiare la stretta, ma intrecciare le sue dita alle mie.
I colleghi di Chiara avranno capito l’antifona, perché nessuno osa avvicinarsi.
Dopo un aperitivo, viene annunciato che sta per avere inizio la visione del film.
Quasi a volerlo fare apposta, noi due ricapitiamo nella stessa auto della volta scorsa, quando siamo venuti qui per mettere a punto i dettagli della festa.
Saliamo per la seconda volta, accomodandoci sui sedili - io prendo posto solo dopo averle aperto la portiera e aiutata a sistemare l’abito, da bravo cavaliere.
Impacciati, guardiamo il film senza proferir parola, fino alla scena clou.
A giudicare dall’espressione sul viso di Anna, anche lei sta ripensando a quanto ci siamo detti l’altra sera proprio qui, sulla stessa auto, negli stessi istanti.
Mentre io la osservo, anche lei si volta a guardarmi.
Come l’altra sera, mi perdo in quegli occhi finché, come sta succedendo sullo schermo tra Cenerentola e il suo principe, anch’io non mi lascio trasportare dall’incantesimo, baciando finalmente la mia principessa.
Perfetto. È tutto meravigliosamente perfetto.
A ridestarci, stavolta, non è il rintocco della mezzanotte, né lo squillo di un telefono: è un flash.
Ci separiamo, confusi, prima di accorgerci di Chiara, proprio dietro di noi, col cellulare in mano e un’espressione soddisfatta in viso.
“Scusate, non volevo interrompervi,” esclama, divertita, “ma non ho resistito, eravate così carini! I miei due piccioncini innamorati!”
Dopo essersi fatta una risata a spese del nostro imbarazzo, riprende a parlare.
“Ammetto di essere un pochino gelosa. Però... sono tanto, tanto felice per voi. Per questo, non appena vi ho notati, ho deciso che dovevo immortalare il bacio tra il mio principe preferito e la principessa che più ammiro.”
 
 
***
 
Ciao a tutti!
Sì, sì, lo so, ci sono già più versioni di questa puntata, ma se dovessi scegliere, direi che è la mia preferita, soprattutto la scena al drive-in, quindi abbiate pazienza!
Spero vi sia piaciuta anche questa, sempre con i dovuti ringraziamenti a Martina, che sa bene quanto io adori i momenti della ‘confessione’, quindi ha dato il meglio di sé anche in questo caso.
Abbiamo voluto rendere Chiara più ‘leggera’, già consapevole dei sentimenti tra Anna e Marco, e quindi più bendisposta nei confronti di entrambi. Dopotutto, qui eravamo ancora all’inizio della sua frequentazione col pm.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto,
 
Mari

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Capitolo 25
*** Ancora bambina ***


ANCORA BAMBINA
 
È passato qualche giorno dalla gita al monastero di San Benedetto, e Anna non è molto di buon umore. È tesa, nervosa, e più rigida del solito. Non che la biasimi, anzi, però in base alla sua reazione quel giorno pensavo l'avrebbe presa meglio, considerando quello che mi ha detto.
Anche se posso solo vagamente immaginare cosa significhi essere lasciati per un motivo del genere.
 
Come al solito, Cecchini mi ha coinvolto in una delle sue iniziative, e stavolta mi ha trascinato a dargli una mano alla sua bancarella per il mercatino di beneficenza organizzato dal comitato cittadino. Ho accettato giusto perché non avevo niente da fare stasera, e poi ho ancora un sacco di roba inutile della lista nozze che volevo togliere dalla circolazione, quale migliore occasione di questa di potermene sbarazzare? Almeno tutte quelle cose troveranno una sistemazione decente, e soprattutto lontana da casa mia.
 
Parlando del più e del meno col Maresciallo, mi chiede proprio di questi oggetti che ho portato.
 
“Lo sa come mi piace di Lei?” fa Cecchini, sistemando una delle cianfrusaglie che aveva scelto la mia ex.
“No.” Dico, temendo già la sua risposta.
“Che nonostante il fallimento del suo matrimonio...”
Appunto. “Mi piace la delicatezza che ha Lei, sempre...” commento, fra l'esasperato e il divertito. Quando si parla di tatto, Cecchini sta proprio sotto zero. Lui continua, indisturbato. “Lei sa reagire!”
“Eh...” Più o meno, Maresciallo, anche perché lui non conosce i dettagli del 'fallimento', ed è meglio che non li sappia.
“A differenza della Capitana, stamattina non è venuta neanche in Caserma!”
“Ah, no?” Sono sorpreso, proprio stamattina che non sono passato lei non c'era. Magari se l'avessi saputo l'avrei chiamata.
“Sicuramente sarà a casa a piangere, a piangere...”
“Per forza,” ribatto, “il suo ex... ha deciso di andare in seminario, ha sentito?” Domanda stupida, certo che lo sa. A me lo avrà anche detto lei stessa, ma il Maresciallo era lì, l'ha visto pure lui dopo un po'.
Lui annuisce. “Qua ci vorranno fazzoletti... A tutta forza!”
Non sono proprio convinto di questa cosa. “Beh, più che-” Mi interrompo di scatto perché, alzando lo sguardo, vedo arrivare proprio Anna, un sorriso stampato in volto e una camicetta blu che le sta niente male.
Ammetto di essere perplesso.
“Buonasera,” saluta entrambi lei, posando il borsone che aveva al braccio sul tavolo. “Queste sono per la sua bancarella, non le uso più.” Dice rivolgendosi a Cecchini, esterrefatto quanto me.
“Gentilissima...” e poi, giusto perché gli piace farsi gli affari degli altri, chiede con fare indifferente, “Ma... stamattina dov'era?”
Lei si illumina. Mi devo essere perso qualche passaggio. “Ah! Sono andata al Comando Provinciale a chiedere delle autorizzazioni. Da domani iniziamo un periodo di aggiornamento professionale: topografia applicata, tiro, autodifesa...” elenca, elettrizzata.
Mi vien quasi da ridere, guardando la faccia sconvolta di Cecchini. “Mi sa che i fazzoletti serviranno a lei, Maresciallo...” Lo prendo in giro senza pensarci.
“Che fazzoletti?” Si informa lei. Ops.
“Chi?” tento di fingermi distratto io. Lei mi lancia un'occhiata che non mi piace.
“Sa che le farebbe bene fare un po' di esercizio?” Io spalanco gli occhi e mi trattengo dal rispondere. Ma che c'entro io?
La mando leggermente a quel paese facendo il giro della bancarella mentre lei va via, e il Maresciallo sembra essere d'accordo con me.
“Che bella notizia,” commenta, il sarcasmo che trabocca da ogni sillaba, e come dargli torto? “Ma perché non si stava a casa a piangere come tutte le altre ragazze che soffrono d'amore? Invece di 'sti aggiornamenti! A che serve?”
Ce l'ho io la risposta. “Questo si chiama 'spostamento nevrotico'. Lei pensa a un'altra cosa per rimuovere il vero problema.” Spiego con fare professionale mentre apro il borsone che ci ha portato e iniziando a tirare fuori qualche borsa per essere sicuro che non ci sia rimasto niente dentro.
“Sì, ma sto spostamento quanto deve durare?” Chiede ancora lui, e capisco che ha afferrato al volo il concetto, perché è già da un po' di tempo che va avanti.
“Finché non si affronta il problema,” ammetto sconsolato, e se cominciamo così ci vorrà tanto... troppo.
 
Ripenso per un attimo al comportamento di Anna, poco fa.
Ho peccato di sarcasmo, di nuovo.
Nonostante il sorriso e l’aria felice, è chiaro che qualcosa non va. Non è possibile, che si sia ripresa così in fretta dalla fine della sua storia. Affatto.
Ho iniziato a inquadrarla, ormai, e mi sono accorto che tende ad alzare parecchio il livello di guardia, quando qualche situazione la colpisce direttamente senza che lei riesca a impedirlo. E Giovanni, di motivi per farlo, gliene ha dati parecchi nell’ultimo periodo.
Prima le dice che vuole farsi prete, poi è indeciso, fa il geloso, cambia idea, parte per una spedizione per riflettere, e infine sceglie di entrare in seminario.
Fossi stato io al posto di Anna, probabilmente lo avrei mandato a quel paese da un pezzo. Non si può fare avanti e indietro su una decisione così, soprattutto se coinvolge altre persone come nel suo caso.
Il problema, adesso, è che Anna non si lascia aiutare. Ha messo in piedi una facciata forte, apparentemente indistruttibile, come barriera. Una fortezza apparentemente inespugnabile. Ma ho imparato a conoscerla abbastanza da sapere che le cose stanno diversamente. Ultimamente parliamo più spesso, e lei, forse involontariamente, ha lasciato intendere che avrebbe davvero bisogno di sfogarsi, ma non mi dà modo di avvicinarmi, però. Ogni volta che tento di aprire l’argomento, lei trova una scusa per non farlo.
Fa tanto la dura, si mostra cinica, ma è chiaro che sta male.
Tutta quella roba, gli aggiornamenti, l’autodifesa, il poligono... servono a lei per distrarsi, non ai suoi uomini. Cioè, non che non siano utili, queste cose, ma non sono così necessarie in questo momento.
Sono indispensabili per Anna, però. Perché solo buttandosi a capofitto nel lavoro riesce a non pensare.
 
Cecchini mi riporta alla realtà. “Ma che sono, di pelle o...?” fa, riferendosi alle borse.
“Boh, non ne ho idea...”
Mentre ne scuoto una, sento il rumore di qualcosa cadere a terra. “Oddio...”
Mi chino per prenderlo, quando una signora vestita di giallo si avvicina, esclamando, “Ma quello è il mio ciondolo perduto!”
Cecchini cerca di negare, ma lei lo ignora, afferrandolo prima che possa farlo io. “Ma non è possibile, l'ho ritro-” Si blocca appena solleva lo sguardo e mi vede.
Che ho fatto?
Comincia ad ansimare, e io mi preoccupo. “Che emozione! Leo... sei tu!” Mi dice. Chi sarebbe Leo? “Sei tornato da me! Oh, non è possibile, il mio Leo!”
“Signora, io non voglio deluderla, ma io non sono Leo...” Cerco di chiarire quando il Maresciallo si intromette. “No, no, Leo è, Leo è.”
Lo ignoro. “Questo ciondolo non è in vendita...”
“È in vendita,” torna a contraddirmi. Ma che fa? Non si può, è di Anna! “È suo se se lo compra!”
Cerco di dissuaderlo, ma niente, alla fine lo vende a quella stralunata, e mica poco!
Mentre lei se lo prova, io provo ancora a farlo ragionare, ma di nuovo le mie parole non servono a niente. Prima di andare, la donna si avvicina di nuovo. “Leo, verrai a trovarmi?” Chiede, sognante.
“Certo!” fa Cecchini per me. Ma che ho fatto di male? “Può venire anche Lei, Ambrogio.” Ah, a quanto pare pure il Maresciallo ha cambiato identità senza saperlo. “A presto!” dice, prima di andare via.
Io sono ancora troppo sconvolto per parlare. E ho l'impressione di essermi cacciato in un guaio senza volerlo.
 
[…]
 
L'altra sera io e il Maresciallo siamo riusciti a fare un buon lavoro con la bancarella, e la roba della lista nozze finalmente è sparita dalla mia vista!
Oggi attendiamo notizie per un nuovo caso in corso, e sto chiedendo informazioni a Cecchini quando Anna entra spedita in caserma senza degnarci di uno sguardo, impegnata a parlare al cellulare con sua sorella. Mentre ci sorpassa per entrare nel suo ufficio, cogliamo uno stralcio della sua conversazione.
“... Chiara, sei sicura che non hai il ciondolo? Eh no, perché sei venuta a casa e mi hai svuotato mezzo armadio, forse sta in qualche borsa!”
“Il ciondolo, ha detto?” chiedo conferma al Maresciallo. Spero di aver capito male. “Ma non è quello che...”
“Secondo me, sì.” mormora di risposta. “È tutta la giornata che lo cerca...”
“Ma Lei gliel'ha detto, che l'ha venduto?” Domando ancora, temendo già la risposta.
“No, perché glielo devo dire...” Fa infatti lui, ma raggeliamo quando sentiamo Anna continuare, in tono piuttosto alterato.
“E tu cerca meglio! Lo sai che è il primo regalo che mi ha fatto Giovanni!”
“Giovanni!” Si dispera Cecchini. “Appena quella sa che gliel'abbiamo venduto a quella matta-”
“Abbiamo?” Lo interrompo. “No, Lei gliel'ha venduto!” Io non voglio sapere niente di questa cosa, abbiamo appena iniziato a comportarci da persone civili, non me la voglio mettere di nuovo contro.
“No no, abbiamo, tutt'e due! Lei, che era, a Milano?”
“No, io ero lì, mi sono opposto e... è Lei, è Lei che si è impuntato, 'glielo vendiamo, glielo vendiamo'... Io gliel'ho detto... Comunque cosa?” Chiedo, interrompendo il suo farfugliare.
“Finché non troviamo il ciondolo siamo sulla stessa barca.”
Io lo guardo a bocca aperta. “Ah, che cos'è un ricatto?”
“Sì,” mi sfida. “Succede un patatrac.”
“Che patatrac?” Si informa Anna, che sceglie il momento meno opportuno per avvicinarsi. “Domani mattina alle cinque, marcia topografica, così alle otto siamo in ufficio.” Asserisce, rivolgendosi a Cecchini e porgendogli una mappa. “Può venire anche il nostro PM, che gli fa bene!” Aggiunge poi, con uno sguardo sarcastico a me. Scusa, eh, ma io che c'entro in questa cosa?
“Scusi, sono quindici chilometri, sono!” Si lamenta il Maresciallo. Quanti?!
“Vi aspetto alle cinque.” Chiude il discorso lei, tornando in ufficio.
“Buona passeggiata, eh! Io non ci vengo!” Mi tiro fuori io appena lei chiude la porta. Che, scherziamo?
Buono e caro va bene, ma io con le sue crisi non ci voglio avere niente a che fare.
“Ma ha detto 'vi aspetto'.”
“'Vi, vi'... io non ci vengo! Ah, rintracciamo quella svitata, presto!” Incalzo, che già siamo messi male. Ci manca solo che scopra del ciondolo e siamo fregati. Posso pensare a chiedere un trasferimento in Antartide.
 
[…]
 
Abbiamo terminato l'interrogatorio alla ragazzina, e io sto uscendo dall'ufficio del Capitano quando sento Cecchini fare il mio nome. “... Col PM, alle cinque eravamo là per fare la marcia... come si dice...”
“Topografica,” lo aiuta Anna.
“E... e non l'abbiamo potuta fare...”
“Però se ci tenete ci andiamo stasera... di notte è più interessante!” Propone, e a me vengono i brividi. E non in previsione dell'aria fredda. Ma che ho fatto di male, io?
“S-s-stasera abbiamo un impegno,” inventa lui, e i brividi aumentano.
“Sì, c'è un impegno...” gli faccio eco debolmente.
“Che impegno?” Ecco, siamo fregati.
“Un pagamento non pagato... che purtroppo non è stato effettuato.” Non ho capito granché, ma va bene.
“Non sto capendo,” chiede Anna infatti, confusa. “Perché ha bisogno del PM per un pagamento?”
“Sì, c'è un discorso di interazione che dobbiamo fare, e se andiamo dopo la data di scadenza c'è proprio un rischio di...” Mi sto arrampicando sugli specchi, e mi sto scavando la fossa da solo perché lei ha girato i tacchi senza fiatare.
“Cose burocratiche, cose burocratiche...”
“Lei deve piantarla di mettermi in mezzo!” Gli dico, arrabbiato. “Questa è l'ultima volta!”
 
Mio malgrado, la sera stessa mi ritrovo a salire le scale dell'appartamento di quella pazza, che abbiamo alla fine rintracciato.
Cerco di convincerlo a dire che è stato tutto un malinteso, così da restituirle i soldi e riprenderci il ciondolo.
Lui suona, ma quando la signora apre, mi rendo conto che non andrà come sperato.
“Leo! Oh, Leo! Sei venuto...!” Esclama, e noto che indossa la collana. Siamo fregati. “Che felicità! Lo vedi,” aggiunge, toccando il ciondolo, “non l'ho tolto più. Non lo toglierò mai!” Peggio di così, come?
“Senti come mi batte il cuore!” Continua, prendendomi la mano e portandosela al petto. Ecco, peggio così. “Lo senti?”
“Si, si sente... complimenti, sono gli omega tre che, credo...” Non so nemmeno quello che dico. “Possiamo entrare un attimino?” Meglio andare dritti al punto.
“Ma no! L'anniversario è domani!” Ci blocca.
“Facciamo una cosa,” interviene Cecchini, “questo ciondolo lo teniamo noi, così lo teniamo in custodia e domani...”
“Non lo toglierò mai! Vero, amore?” Mi chiede. “Caro... ti ricordi come mi chiamavi?”
“Amandella... Amandina?” Non so se ringraziare Cecchini o no.
“Ci-ci-ci,” fa la signora, io sono ancora senza parole.
“Chihuahua? Non lo so...!”
“Cinciallegra!” Ride lei, a me viene da piangere.
E non so come, restiamo con un appuntamento alla sera dopo, dove io devo ancora fingere di fare questo Leo, e il Maresciallo sarà Ambrogio per servire la cena in guanti bianchi... Alle otto.
Ma dove ho sbagliato, nella mia vita?
 
[…]
 
Cerchiamo di scoprire qualcosa in più su quella matta, e veniamo a sapere che 'Leo' è il suo defunto marito, morto in viaggio di nozze per un infarto quarantasei anni prima. Poveretta, però, vista così mi fa un po' pena. E devo ammettere che io somiglio un sacco al suo consorte, così come Cecchini assomiglia al cameriere della foto. Assurdo.
Cerco comunque di tirarmi indietro dalla cena, ma lui come al solito mi incastra senza che io ci possa fare nulla se non ascoltarlo mettere a punto un piano improbabile. A me sembra solo una follia.
“Sì, la fa facile, Lei... Qua finiamo in galera!”
“Ma quale in galera!” Minimizza.
“Questo è fu-”
“Chi finisce in galera?” Anna oggi ha un tempismo degno di un orologio svizzero, mannaggia. “Ancora quel problema?” Chiede al Maresciallo, riferendosi probabilmente al fantomatico pagamento.
“No, no, no... una notizia di quarantasei anni fa...ehm...”
Lei sembra bersela per il momento. “Va bene, se non ci sono novità possiamo andare a fare una bella esercitazione al poligono!” Esclama con entusiasmo.
“Che cosa?!” Per una volta sono d'accordo con Cecchini. “Ma perché, scusi?”
“Perché se c'è un conflitto a fuoco, Lei dev'essere pronto!”
A me viene da ridere, tanto che devo girarmi da un'altra parte.
“Vieni anche tu.”
“Eh?” Tu, cioè io? Sì, solo noi ci diamo del tu... ma io non ci voglio andare, a sparare. “Io, se posso, i conflitti a fuoco li evito.”
“Pure io...”
Niente da fare, ci trascina giù senza farci fiatare.
 
Io cerco di temporeggiare, con la speranza che cambi idea o ci sia un imprevisto di qualsiasi tipo, e quando scendo giù, ne trovo uno che non avrei immaginato. Solo che non so se sia stato peggio.
 
La matta vestita di giallo è venuta a cercare Cecchini.
Provo a dileguarmi prima che becchi pure me e peggiori le cose, quando Anna mi nota.
“Marco, vieni qua,” sussurra, facendomi segno di avvicinarmi dietro la macchina, “Tutto bene?” mi chiede, non oso immaginare che faccia ho. “La vedi quella donna? Praticamente il Maresciallo dice che è sua zia, ma lo tratta come un cameriere! Gli sta dettando la lista della spesa...”
Oh santo cielo. E io che dico ora?
“No, no, è perché lui fa volontariato, e allora... dev'essere una delle sue povere assistite, credo...” Lei mi rivolge uno sguardo sospettoso, prima di tornare a osservare la scenetta poco distante. Mi sa che non mi ha creduto. Cavolo, cavolo, cavolo, ma come mi sono ritrovato in questa cosa?
Una volta terminata la conversazione, ci raggiunge con una faccia tetra.
“Tanto povera non mi sembra...” Commenta il Capitano.
“Chi?” chiede Cecchini.
“No, dice che è povera, però sta vestita...” E come darle torto. Mi verrebbe da strangolarlo.
“Poverissima, quel vestito l'ha comprato alla bancarella e ce l'ha da... sessant'anni. Sempre lo stesso vestito perché non c'ha 'na lira, non c'ha.”
Anna abbassa lo sguardo, dispiaciuta. “Maresciallo, se ha problemi con sua zia, possiamo rimandare il poligono.”
“Grazie,” fa lui in tono compiaciuto, non ci credo che l'abbiamo scampata pure stavolta. “Andate voi.” No, che?
“Andiamo noi.”
Stiamo per avviarci con mio grande sconforto quando arriva Ghisoni, con gli accertamenti che ha chiesto Cecchini, che ci obbligano a rinviare. Lei si sposta più in là col brigadiere, io mi trascino il Maresciallo più distante.
“Lei deve piantarla di incastrarmi tutte le volte! Basta!”
“Guardi che deve venire a cena!” Rimbecca lui.
“Sì, vengo a cena, però... viene anche Lei! Quella lì, l'ha vista... è assatanata! Ci prova!”
Cecchini apre le braccia. “E vabbè!”
“Ma cosa dice?” No, che scherziamo? Le uniche avance che accetterei di nuovo sono quelle a cena con Anna. No, voglio dire, meglio quello che questa pazza.
“Io faccio il maggiordomo e Lei fa Leo. Però, siccome devo fare la spesa, mi servono dei soldi, non mi bastano, mi deve dare un anticipo.”
“Ah, pure!”
Tiro fuori di malavoglia il portafogli, dandogli qualche banconota, ma lui invece si prende pure tutto il resto.
“Ma non ce n'ho più così!”
“Dai,” mi rimprovera pure, “se vogliamo recuperare il gioiello, Lei lo sa... Il proverbio lo dice: la fine giustifica i mezzi!”
Me lo ricordavo diverso. “Il...”
“Il mezzo!” Se, vabbè.
 
Andiamo di sopra che è meglio.
 
[…]
 
Nel pomeriggio, siamo ancora a parlare del caso nell'ufficio di Anna.
“... a me invece piacerebbe tanto conoscere i suoi informatori.” fa lei al Maresciallo dopo un suo suggerimento.
“I miei informatori... sono delle persone riservate. Ma voi invece non dovevate andare al poligono?” Cerca di tirarsi fuori dai guai lui, e io di rimando gli tiro un calcio negli stinchi.
“Va bene... andiamo?”
“Sì, sì, volentieri!” Il mio entusiasmo trasuda da ogni sillaba.
 
Stranamente ha lasciato guidare me, ed è abbastanza silenziosa. Non è un silenzio imbarazzato, però, è immersa nei suoi pensieri, così ne approfitto anche io per pensare.
La osservo di sottecchi di tanto in tanto, e mi domando quanto stia male. Non sono così insensibile, anche se mi lamento di tutte queste cose che ci sta obbligando a fare, so perché si comporta così. Cerca di non pensare al suo dolore dedicandosi completamente ad altro, tentando di non lasciare un momento libero alla sua mente. E vorrei fare qualcosa, però se glielo dicessi di punto in bianco, so che se la prenderebbe, e io non voglio questo. Però vorrei farle capire che, se ha bisogno di parlare, io ci sono. Perché so come ci si sente, anche se lei non lo sa, e non voglio che lo sappia.
 
Arrivati al poligono, fa sparare me per primo. Solo che io non sono così tanto capace.
Dopo i miei primi due colpi, infatti Anna commenta. “Ehm... sei un po' rigido.”
Io mi tolgo le cuffie e gli occhiali protettivi. “Ha parlato miss relax 2018!”
“Senti, volevo chiederti di Cecchini,” tenta, con un'espressione tesa. “L'ho visto un po' preoccupato... è una questione di soldi, vero?”
Forse allora ci ha notati quando lui mi ha svuotato il portafogli. Però così mi dispiace mentirle.
“No, no no no, lascia perdere... sai, lui è... orgoglioso, non parla mai... non ti preoccupare.” Chiudiamo il discorso qua, ti prego.
Lei preme il bottone per avvicinare il bersaglio.
Bene, due su due... completamente fuori. Ehm...
“Sì... Sparare non è proprio il tuo forte.” Mi prende in giro lei, prima di rimandarlo indietro alla sua postazione.
Io decido di approfittare dell'argomento che avevamo intrapreso prima.
“Scusa, Anna, ma io penso che... Cecchini non sia l'unico ad avere un problema, qua.” Esordisco con cautela. Voglio darle una mano, e questo mi sembra un buon momento. Siamo da soli, nessuno ci disturba, e solo noi sapremo della discussione. “Il poligono, le marce topografiche, fare, fare fare... Basta.” Lei abbassa lo sguardo. “Anna, tu stai male per Giovanni, e non c'è niente di male ad ammetterlo.”
Incrocia le braccia, immediatamente sulla difensiva. “E che cosa dovrei fare? Rimanere a casa a piangere? Non so, magari davanti alla tv, con una vaschetta di gelato?” Io accenno un sorriso, sapevo che il problema vero stava lì. Niente debolezze. “È questa l'immagine che tu hai di una donna col cuore spezzato, no?”
“No,” la contraddico, “ma anche se fosse, non ci sarebbe niente di male.” 
Vedo che è sorpresa.
“Nessuno ti chiede di essere la più forte, sempre, a prescindere, mh?” Cerco di consolarla, stringendole con delicatezza il braccio.
Voglio che capisca che non è sola, che può contare su di me.
Mentre mi diceva del gelato e il resto, mi è venuto quasi da ridere pensando che, quelle cose, probabilmente vorrebbe farle per sfogarsi in qualche modo, ma non vuole cedere. È orgogliosa, Anna, non ammetterebbe di star male neanche sotto tortura, lo so.
Sono intervenuto perché volevo che capisse che essere fragili è umano. Mi sono sempre dimostrato un maschilista, è vero e su questo ha ragione, però non la penso davvero in quel modo. E soprattutto, so che soffrire per amore non è un segno di debolezza. Non deve vergognarsi di questo, mai. So che è forte, non ha bisogno di dimostrarlo a tutti i costi.
 
Anna’s pov
 
Resto a fissare Marco, incredula.
Non mi aspettavo un’uscita del genere, proprio da lui. Avverso al genere femminile per principio.
O forse no, non sono così sorpresa, in fondo.
Al di là dei dissapori iniziali e i litigi, Marco ha sempre dimostrato di essere un ottimo ascoltatore. Anche quando le parole mancano.
Certo, è un impulsivo e un testardo, soprattutto sul lavoro, ma con me si è sempre comportato in maniera pacata, perlomeno da quando le cose tra noi sono migliorate. Tende a ironizzare su tutto, e se da un lato questa cosa mi innervosisce parecchio, dall’altro so che le sue battutine hanno lo scopo di provocare una mia reazione. E l’effetto ce l’hanno, perché mi aiutano a mettere da parte gli schemi e fare chiarezza quando tutto sembra confuso.
Il Marco che ho davanti è un buon amico, ho avuto modo di rendermene conto più volte.
Ma non posso dirglielo, non posso dargli ragione perché lui vuole sempre averla.
E io non voglio ammettere di essere nel torto.
 
È per questo che gli lancio uno sguardo di sfida, mi risistemo le cuffie, prendo la mira, e sparo.
 
Due colpi perfetti, dritti al petto.
 
Torno a voltarmi verso di lui guardandolo dritto negli occhi, mostrandomi impassibile.
“Io sto benissimo.”
“Mh, si vede,” ridacchia lui, però, “gli manca solo il collettino bianco, lì, e poi sarebbe perfetto!”
Nonostante il mio proposito, ha capito lo stesso. Sa di aver ragione, e io ho fallito nell’intento di smentirlo.
Chissà perché il mio muro di protezione, con lui, non riesce mai a reggere.
 
Marco’s pov
 
La sera, io e il Maresciallo abbiamo questa benedetta cena, per cui ci vediamo direttamente a casa della signora, e lui si presenta in frac, facendomi morire dalle risate. L'abito non è proprio della sua taglia.
 
Una volta dentro, cerco di tenermi alla larga dalle sue avance, quando una foto cattura la mia attenzione: quella del viaggio di nozze che abbiamo visto sul ritaglio di giornale, che ritrae lei e l'uomo a cui io somiglio moltissimo.
“Ti ricordi... eravamo giovani, felici,” dice la signora con voce bassa, e a me viene un groppo in gola. Non voglio infrangere questo suo sogno, anche se è un'illusione.
“Puoi dirlo ancora una volta? Cinciallegra...” mi supplica, e decido di farle questo regalo. Che male ci può essere, in fondo, a rendere felice una donna che soffre per amore?
“Amanda,” le dico, voltandomi e lasciandole una carezza sul volto ormai pieno di rughe, “tu sei la mia cinciallegra.”
“Grazie,” mi risponde, e mi rendo conto che lei sa perfettamente che io non sono il suo defunto marito, ma che ha deciso di cogliere uno scherzo del destino per far finta che non fosse cambiato nulla. Che il tempo non fosse passato.
“Ah, lo champagne!” strilla, quando arriva il Maresciallo-maggiordomo, e la recita riprende.
Quando stiamo per brindare, bussano alla porta, e Cecchini corre ad aprire agli ordini di Amanda.
Non vedendolo tornare, vado anch'io per capire cosa sia successo, e vedo... Anna.
Ora sì che siamo fregati.
“Che ci fai qua?”
“No, tu che cosa ci fai qua!” Mi chiede in tono autoritario, degno della divisa che ancora indossa, e ammetto che in questo momento mi mette in soggezione. “Mi volete spiegare?”
“Perché non fate accomodare la signorina?” ci dice la signora, facendosi spazio tra di noi.
“Quello è il mio ciondolo!”
Ecco, l'ha visto, ora mi posso scavare la fossa. Dopo tutte le belle parole che le ho detto, non ho speranze che stavolta non mi mandi a quel paese.
“Vogliamo bere insieme un bicchiere di champagne?”
“È in servizio, non può bere.” prova Cecchini.
“Guardi, per oggi faccio un'eccezione.” Lo contraddice Anna, entrando in casa e lanciandomi un'occhiata che mi fa rabbrividire.
 
La signora però capisce al volo l'equivoco, e le porge la fotografia senza dire nulla.
“Guarda,” le faccio notare la somiglianza.
“Beh, sì, è vero, è uguale,” ammette Anna, ridendo.
“Ho visto il ciondolo, ho visto lui e... per un attimo ho creduto davvero che Leo fosse tornato...” Spiega Amanda. “È stato bello risentirsi... amati, sentirsi giovani. Ora mi vergogno tanto.”
“Ma quindi faceva finta...” interviene Cecchini, sorpreso. “Sapeva già che non era lui!”
La signora si volta verso di me. “Mi spiace d'averti preso in giro.” Si scusa, e adesso che conosco i suoi motivi, non sono più arrabbiato.
“Ah, non si preoccupi signora, ormai ci sono abituato.” Commento però con tono amaro, perché sembra che in un modo o nell'altro, riesca sempre a farmi fregare dal gentil sesso. So che lei non l'ha fatto in mala fede, ma è sempre orribile essere usati così.
Amanda decide allora di spiegarci meglio. “Ho perso mio marito quarantasei anni fa, in luna di miele... e da allora, non ho mai smesso d'amarlo...”
“Quarantasei anni...?” sussurra Anna con voce dolce, poi accenna una risata. “Pensi che io ho appena chiuso una storia di... meno di cinque anni, e mi sento... non lo so, come se avessi solo perso tempo.”
“Ma no, non dire così” La rimprovera Amanda, con gentilezza. “Con l'amore non si perde mai tempo! È un dono di Dio, va vissuto! Ah, ma questo è tuo.” Si ricorda all'improvviso, e fa per togliersi il ciondolo quando Anna, con grande sorpresa mia e del Maresciallo, la ferma.
“No! Vorrei tanto che lo tenesse Lei!”
Anche la signora è sorpresa. “Grazie!”, le dice, facendole una carezza. Probabilmente ha capito più lei cosa si nascondesse dietro quel ciondolo, che noi in tutto il tempo che abbiamo impiegato per recuperarlo. “Grazie!”
Il periodo di aggiornamento è terminato.
 
Anna’s pov
 
Abbasso lo sguardo per un secondo. So di aver appena dato ragione a Marco.
Gli altri nella stanza non ne hanno idea, ma lui sì. Ammettendo di avere la sensazione di aver perso tempo, con Giovanni, ho praticamente confermato i sospetti che lui aveva. Che avrei preferito non provare nulla, pur di non star male.
Immagino che adesso non la smetterà più di rinfacciarmelo. Me lo meriterei.
Quando sollevo gli occhi per guardarlo, però, mi rendo conto che il suo non è un sorriso sarcastico, anzi. Sembra sollevato, e orgoglioso.
Capisco che, al contrario di quanto avevo pensato, non mi prenderà in giro, né si vanterà di aver avuto ragione, ma è felice che io sia riuscita ad ammettere il dolore che provo, e che questo non mi rende meno forte.
Essere onesti con se stessi è l’unico modo per affrontare in problemi, è vero.
E, forse, stavolta non sarò sola.
Però... però resta il fatto che sia Marco che Cecchini hanno combinato un casino alle mie spalle pensando di farla franca e di fregarmi.
Cosa che mi rifiuto di accettare passivamente. La ramanzina non gliela leva nessuno.
Recupero quindi la mia solita fermezza, sistemandomi meglio sulla poltrona e rivolgo loro uno sguardo che li fa diventare piccoli piccoli. “A voi due v'è andata bene.”
 
Marco’s pov
 
Il giorno dopo, finalmente veniamo a capo del caso della ballerina. Finiamo tutti i nostri turni di lavoro per poi tornare a casa.
Visto che è una bella serata, dopo essere andato a cena con un paio di amici, decido di restare nei dintorni e fare un giro a piedi, lasciando la moto parcheggiata poco distante dalla caserma.
Quando torno in piazza, sono quasi le undici. Più per abitudine che altro, scendendo dal viale lancio uno sguardo alla finestra dell'ufficio di Anna, e noto la luce ancora accesa.
Solo lei può restare a lavoro fino a così tardi. Senza pensarci due volte, mi dirigo verso il portone, magari le do una mano per finire prima.
Salendo le scale però mi rendo conto che il caso l'abbiamo chiuso, e non c'era nient'altro di urgente da fare entro stasera. Quindi perché è ancora qui?
 
Quando apro la porta del suo ufficio, la trovo di spalle, senza giacca e col cappello appoggiato sulla scrivania.
“Ma sei ancora qua? Non era chiuso, il caso?” Domando soltanto, ma lei scuote la testa.
“Perché, perché nessuno vi insegna a bussare?” Replica invece con voce rotta, e solo in quel momento noto qualcosa luccicare sulla guancia alla luce della lampada.
Lacrime.
Ai singhiozzi che seguono non ho più dubbi.
Lei lascia cadere la mano sul tavolo con fare sconfitto. “Sarai contento, mi hai vista anche piangere.”
Non è questa la scena che mi aspettavo, quando ho deciso di salire.
E, sinceramente, vederla in questo stato mi scombussola, perché ho imparato a conoscerla e so che è una che non si lascia andare facilmente. Posso a mala pena immaginare cosa stia significando, per lei, mostrarsi così debole davanti a me.
Mi avvicino lentamente, tirando fuori un fazzoletto di di stoffa dalla tasca della giacca per poi porgerglielo. “No, ma dev'essere allergia perché è stagione...” minimizzo, e vorrei davvero farle capire che non la sto giudicando.
Lei lo prende senza voltarsi, affrettandosi ad asciugarsi il viso. Io prendo l'altra sedia alla sua scrivania e mi siedo accanto a lei, anche se leggermente più indietro. Sceglierà lei se farsi vedere così o no, in ogni caso rispetterò la sua scelta. So come ci si sente quando si sta così, vorremmo solo stare soli. Ormai però sono qui, e andarmene sarebbe anche peggio.
E io non voglio andare via.
“Anche se stessi piangendo... So che non lo stai facendo, eh,” preciso, la scelta su come comportarsi è sua, “ma anche se fosse... Anna,” incalzo, “è normale.”
Lei singhiozza di nuovo, e spero davvero che riesca a sfogarsi. Non le passerà mai, se no.
“E non perché sei donna, perché piangono anche gli uomini, e anche i carabinieri... e pure i Pm...” aggiungo, perché voglio essere onesto con lei, so che le sta costando molto stare in mia presenza adesso, ma voglio che sappia che la capisco, che so come si sente. Non voglio raccontarle il motivo, non ora, magari un giorno lo farò, però adesso ha più bisogno lei di me, di conforto.
Le mie parole devono aver fatto centro, perché finalmente si volta a guardarmi, con gli occhi rossi di pianto e le guance ancora bagnate. “Tanto... te lo dico per esperienza.” Aggiungo.
So che posso fidarmi, che nemmeno lei mi giudicherà con questa confessione, seppur minima.
Annuisce, abbassando lo sguardo.
Mi vengono in mente le sue parole quand'eravamo al poligono. Forse c'è ancora qualcosa che posso fare.
“Vado a prendere il gelato. Cioccolato, va bene?” chiedo, sperando di aver fatto la scelta giusta.
Anna si gira a guardarmi di nuovo, ma stavolta con un piccolo sorriso. “Con le nocciole tritate sopra, per favore.” Mi prega, e io non posso che acconsentire.
“Certamente.” Le dico alzandomi, prima di uscire dal suo ufficio per adempiere al mio compito.
 
Anna’s pov
 
Una volta rimasta sola, ripenso alle parole di Marco.
Chissà a cosa si riferiva, quando mi ha detto che è normale piangere, e che lo ha fatto anche lui.
Forse c’entra la storia con la sua ex.
 
Non mi sarei mai aspettata di ritrovarmelo qui, stasera, tantomeno che sarebbe potuto restare. Tutto, tranne quello che è appena successo.
Nonostante i giorni scorsi, quando ho sentito la sua voce ho pensato che, vedendomi piangere, ci avrebbe scherzato su. O che se ne sarebbe uscito con qualche battuta delle sue.
Avrei tanto voluto che se ne andasse via, in quel momento.
Invece, non solo è rimasto, ma ha trovato, di nuovo, il modo di consolarmi. Di farmi stare meglio.
Ho capito che fingere con lui non serve, non funziona.
E non voglio più farlo.
Mi asciugo gli occhi col suo fazzoletto, stringendolo poi tra le dita.
Profuma di lui.
È una sensazione che mi infonde sicurezza.
Non pensavo che avrei mai associato un tale sentimento a Marco.
Eppure...
 
Decido di darmi una mossa, facendo spazio sul tavolino di vetro in mezzo ai divanetti posizionati in un angolo del mio ufficio giusto in tempo.
Eccolo qui.
Dopo avermi rivolto un sorriso, poggia la busta sul tavolo, tirando fuori la vaschetta di gelato e due cucchiai.
“Posso averne un cucchiaio anche io?”
Resto sconcertata per qualche istante, prima di scoppiare a ridere.
“Sarei tentata di dirti di no, però dopo tutta la fatica che hai fatto, sarebbe ingiusto negartelo.”
“Gentilissima.”
Gli faccio spazio accanto a me sul divanetto, prima di attaccare la vaschetta.
Aveva ragione lui, per l’ennesima volta. Strafogarsi di gelato aiuta.
Per qualche minuto nessuno dei due dice niente, ognuno immerso nei propri pensieri.
Poi Marco prende la parola.
“Posso... chiederti una cosa?” domanda, esitante.
“Certo.”
Mi rivolge uno sguardo che sembra trapassarmi da parte a parte.
“Perché hai così tanta paura di mostrare la vera Anna? Mostrare chi sei veramente, senza nasconderti dietro la divisa...” Inspira a fondo, prima di continuare. “E perché hai cercato di salvare a tutti i costi la storia con Giovanni, anche se tu per prima sapevi che fosse finita da tempo... perché non hai mai ammesso che il suo comportamento ti dava fastidio? Ogni volta che lui aveva la presunzione di dire di conoscere tutto di te, e tu ti arrabbiavi perché in realtà dimostrava di non conoscerti affatto?”
Per qualche istante sono troppo sconvolta per parlare.
Non sono domande banali, le sue. Sono mirate, e pretendono risposte.
Risposte che finora non ho mai voluto dare a nessuno, neppure a mia sorella, che mi conosce bene e che ha provato a pormele diverse volte senza ottenere niente.
Giovanni non ci ha mai nemmeno provato, a chiedere.
L’ha fatto invece l’ultima persona che avrei mai immaginato.
Marco.
Un uomo che ho incontrato giusto da un paio di mesi e che sembra conoscermi da tutta la vita.
Che non si è lasciato intimorire dai miei tentativi di allontanarlo, anzi.
Ha insistito, comprendendo che avevo semplicemente bisogno di qualcuno che avesse abbastanza coraggio da non fermarsi all’apparenza.
E forse è per questo che inizio a parlare.
 
Marco’s pov
 
Se qualche mese fa mi avessero detto che mi sarei trovato in una situazione del genere con Anna, avrei dato del pazzo a chiunque. Io, a mangiare il gelato alle undici di sera in ufficio e in compagnia del Capitano? Con lei, così rigida e inflessibile che sembrava fatta di ghiaccio?
Quando si dice di non giudicare un libro dalla copertina.
I miei pregiudizi dovuti alla mia esperienza negativa, sommati ai suoi modi di fare mi avevano portato a costruirmi un'idea sbagliata, come se lei non fosse un essere umano capace di provare emozioni come tutti gli altri.
Mi rendo conto di essere stato un idiota anche solo a pensare una cosa del genere. Anche lei avrà i suoi motivi per comportarsi in un certo modo, e di sicuro il suo essere donna la porta a dover, e voler dimostrare più spesso di essere all'altezza del suo compito.
Così come io ho avuto le mie ragioni per dubitare di lei, non in quanto Anna Olivieri, ma come donna in sé. Dopo la storia con la mia ex, non mi viene facile fidarmi e pensare che un gesto sia innocente e senza un doppio fine, o non mirato a raggirarmi. A cambiarmi e rendermi ciò che non sono.
Riflettendoci, la presenza di Anna ha modificato alcuni miei comportamenti, in effetti. E non in male. Mi sono accorto di essere un po' più paziente, e di non saltare più a conclusioni affrettate come prima. Di accettare compromessi senza per questo annullarmi, o a non voler avere ragione per forza. Mi rendo conto di essermi sforzato a migliorare in questo senso.
E poi sono tornato a scherzare come facevo prima, anche a sue spese o con il suo appoggio, e devo dire che di questo le sono riconoscente.
 
Comunque sia, so che è molto riservata, e per un attimo mi pento di averle fatto quelle domande.
Non ho nessun diritto di chiederle delle cose così personali, al di là delle confessioni degli ultimi giorni, e sto per scusarmi quando mi spiazza.
Inspira profondamente, prima di allentare la cravatta e poggiare la testa contro lo schienale del divanetto, gli occhi verdi spalancati e rivolti verso il soffitto.
È come se qualcosa in lei fosse scattato all’improvviso, come se attendesse questo momento da non so quanto.
Quando inizia a parlare non so cosa aspettarmi, ma so che non riuscirei a lasciarmi sfuggire una sola sillaba nemmeno volendo.
“La ‘vera’ Anna non esce fuori da anni, in realtà... La divisa è solo la maschera più recente.”
Questa frase mi destabilizza non poco, ma non la interrompo.
“Non mi ricordo bene nemmeno cosa significhi, essere completamente me stessa in pubblico. L’ultima volta che è successo davvero avevo dieci anni... Quando ancora andava tutto bene. Quando papà c’era ancora. Aveva una piccola fabbrica di scarpe, in paese, e un giorno venne accusato di evasione e appropriazione indebita. Lui continuava a dire di non saperne niente, ma la polizia non gli credette, e la gente cominciò a darci dei ‘ladri’. Mio padre è rimasto chiuso in casa per mesi... fino alla mattina in cui è uscito, e... e ci hanno detto che si era buttato dal tetto della sua fabbrica.”
Al sentire le sue parole, resto paralizzato.
Avevo intuito fosse successo qualcosa al signor Olivieri, ma non avrei mai immaginato... questo. È una cosa a dir poco terribile. E Anna era così piccola...
“L’ultima volta che ho pianto in pubblico è stato al suo funerale... da quel giorno in poi niente è più stato lo stesso. Mia madre ha reagito male, e anche mia sorella... sono dovuta crescere in fretta, prendermi responsabilità che non avrei dovuto sostenere io. Ma non potevo far altro. È stata una scelta quasi dovuta... Ed è stato allora che ho deciso che, per non soffrire più, la razionalità avrebbe preso il comando della mia vita. Avrei pianificato tutto il possibile per non rischiare niente. Ho iniziato ad affrontare ogni cosa seguendo solo la testa. Anche con Giovanni. E ho sbagliato. Ho sbagliato tutto...”
Io non so cosa dire, e il magone che ho in gola aumenta quando noto che Anna adesso ha gli occhi lucidi.
“Forse aveva davvero ragione mia madre, a dirmi che la divisa sarebbe stata un errore, che se avessi cambiato idea da ragazzina, avrei fatto in tempo a riparare... Non ha fatto altro che ripetermi che il carabiniere non è un mestiere adatto a una donna da quando ho deciso cosa fare nella vita, mi diceva che gli uomini li avrei solo fatti scappare, tra il lavoro e il mio carattere. E aveva ragione, è davvero andata così... Se solo mi fossi lasciata convincere da piccola, a essere più principessa e meno Zorro, forse le cose sarebbero andate in maniera diversa.”
Noto con sgomento che quelle lacrime che finora aveva trattenuto hanno iniziato a rotolarle giù lungo le guance. A queste si aggiunge un singhiozzo, e non riesco più a mantenere le distanze.
Così porto una mano sul suo viso bagnato, tentando di frenare la corsa di quel fiume in piena trattenuto da chissà quanto.
 
Anna’s pov
 
Il tocco caldo delle dita di Marco a contatto con la mia pelle mi riporta bruscamente alla realtà.
Mi rimetto seduta come si deve.
Non ci posso credere.
Gli ho... gli ho davvero raccontato tutte quelle cose di me.
La mia infanzia, la paura, l’insicurezza...
Mi sembra assurdo e inspiegabile.
Ancora più strano, a pensarci, mi sembra il fatto che Marco non solo non abbia detto nulla, ma sia rimasto ad ascoltarmi. Mi ha fatto tutte quelle domande, all’inizio, nella speranza che riuscissi a sfogarmi...
E l’ho fatto senza accorgermene.
Ho quasi paura a voltarmi verso di lui. Mi sento terribilmente in imbarazzo.
Ma quando mi decido a incontrare il suo sguardo, ad attendermi trovo un sorriso affettuoso.
La sua mano torna a stringermi delicatamente il braccio, come ha fatto al poligono, in un gesto di rassicurazione, e non posso che ricambiare il suo sorriso, asciugando come posso le lacrime che non ne vogliono sapere di smettere di scendere.
Dopo qualche istante in cui restiamo a fissarci, Marco inspira a fondo.
“Sarebbe banale, adesso, dirti che mi dispiace per tuo padre... sicuramente non è di questo che hai bisogno. Quello che posso dirti è che... non devi dar retta a tua madre, perché se è quello il suo giudizio, allora è lei ad aver sbagliato tutto, non tu. La divisa non ti rende meno donna, anzi. Lo rende più evidente, semmai, anche se tu forse non te ne accorgi. Sta tutto nei particolari... nell’attenzione che poni ai dettagli, o verso i tuoi sottoposti. Ti assicuro che sono rari gli uomini che si comportano così, con la tua dedizione e il tuo senso del dovere. Non solo... sei meno rigida di quanto credi, lo sai già, te l’ho detto più di una volta. Che ti lasci commuovere, ti ricordi?” Chiede, con un sorrisetto.
Annuisco, ricordandomi il fastidio che provai quella volta. Adesso mi rendo conto che mi sbagliavo, a considerarla una cosa negativa. Lui continua con lo stesso tono colmo di dolcezza.
“E, un’altra cosa che ti ho già detto, è che Giovanni è stato un idiota a lasciarti, non ha minimamente idea... è stato lui, a perderci, e quando se ne renderà conto sarà troppo tardi. Sai,” prende un altro enorme respiro, abbassando lo sguardo per un attimo prima di tornare a puntarlo nel mio, “se c’è una cosa che ho capito, in questi mesi, è che nella vita non vale la pena sforzarsi di cambiare. Succede, certo, ma non deve mai essere un’imposizione, e poi tu non hai bisogno di cambiare. Non sei niente male, così.”
 
Io resto senza fiato per qualche istante.
Come fa? A dirmi sempre ciò di cui ho bisogno? Come?
A queste domande non trovo risposte.
Ma ho bisogno di averle.
Forse per effetto delle sue parole, forse perché voglio solo smettere di pensare, per una volta abbandono completamente la razionalità su cui ho sempre fatto affidamento, e lascio le redini all’istinto. Non me ne rendo nemmeno conto.
Quelle risposte le trovo nell’ultimo posto che avrei immaginato.
Sulle labbra di Marco.
Le mie mani a stringergli il volto.
Le sue a cingermi i fianchi, cogliendo al volo quello che non è altro che un grido d’aiuto.
Disperato.
Lui non esita un attimo a stringermi a sé, ed io mi sento improvvisamente al sicuro. Protetta. Come se niente potesse sfiorarmi né ferirmi.
Se stiamo così, non ho più paura di un salto nel vuoto, perché ci saresti tu a darmi le ali per spiccare il volo.
Quando ci separiamo, Marco torna ad abbracciarmi con delicatezza come poco fa, ed io realizzo all’improvviso cosa ho appena fatto.
È come se mi avessero buttato addosso un secchio di acqua gelida.
Spalanco gli occhi, avvertendo il rossore invadermi le guance.
“Mi-mi dispiace! Io non... non so davvero cosa mi sia preso, te lo giuro, non... io-”
Marco scuote la testa con un sorriso mesto, un’espressione leggermente frastornata sul suo volto.
“Non preoccuparti... Lo so che è stato un gesto involontario. Avevi bisogno di sfogarti. E, soprattutto, credo avessi bisogno di qualcuno che ti ascoltasse, per una volta... Sono contento che tu sia finalmente riuscita a liberarti del peso che avevi dentro.” Mi sfiora la guancia con il dorso delle dita, e io chiudo istintivamente gli occhi, beandomi di quel tocco delicato. “Per quel che vale... sappi che io ci sono, che se hai bisogno di parlare, di qualsiasi cosa, puoi contare su di me. Farò in modo di avere sempre un fazzoletto a portata di mano e una vaschetta di gelato in freezer sempre di scorta, se dovesse servire.”
Lo abbraccio di slancio.
Tanto, ormai, direi che le barriere tra di noi sono cadute tutte.
Mentre lui ricambia la stretta mi rendo conto che sì, avrò anche perso mio padre, un fidanzato, che non sarò la ‘principessa’ che mia madre vorrebbe, che non riuscirò forse mai a smettere di comportarmi da mamma con mia sorella, però... non sono più sola. Perché ho finalmente trovato un amico vero che è andato oltre la divisa e ci ha trovato dietro la ragazza che, dopo anni passati a doversi comportare per forza di cose da adulta, aveva solo bisogno che qualcuno si accorgesse di lei, che se ne prendesse cura anche solo per un momento... Che le permettesse di tornare a quando aveva dieci anni e poter essere, anche se per una sera soltanto, ancora bambina.
 
 
Ciao a tutti!
Siamo un po’ indietro con la storia, qui, quando le cose avevano appena iniziato a mutare, tra Anna e Marco. Però è partito tutto da qui, e valeva la pena sfruttare le potenzialità di queste scene.
Spero vi sia piaciuto... come sempre grazie a - e anche da parte di - Martina.
A prestissimo!
 
Mari
 

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Capitolo 26
*** Una di quelle - versione 2 ***


UNA DI QUELLE
 
Quando sono andato via da casa di Anna, avevo ancora la testa tra le nuvole.
Inutile dire che quella notte ho dormito poco. Non riuscivo a togliermi dalla testa quel bacio.
 
Dopo la volta allo spettacolo con Cosimo, avevo iniziato a farci seriamente un pensiero. Magari di invitare Anna a cena qualche volta, o andare da qualche parte insieme, non so... Sapevo però che si stava creando qualcosa, un'alchimia senza precedenti per me.
Sì, perché nemmeno con la mia futura sposa mi ero mai sentito davvero così, come quando sono con Anna. Non mi ero mai sentito così libero di essere me stesso, senza la paura di essere giudicato e cambiato.
Alcuni argomenti non li avevo mai affrontati nemmeno con Federica, se non altro non seriamente, come quello dei figli, per quanto possa sembrare paradossale. Figuriamoci lasciarmi coinvolgere in cose come quel festival.
Eppure con Anna è stato tutto molto naturale. Dopo una esitazione iniziale, quando lei ha detto che avrebbe partecipato non c'è voluto molto a far cedere pure me. Ha un ruolo istituzionale da difendere anche lei, ma per amore di quel bambino ha tralasciato la forma e reagito col cuore.
È stata una delle tante cose di lei che mi ha conquistato.
Una delle tante cose che vorrei dirle.
 
Peccato che però dal giorno dopo ne siano successe di tutti i colori, e quindi non sono ancora riuscito a parlarle in privato. Adesso è passato qualche giorno, e ancora niente. Ma io ho bisogno di parlarle.
Ormai è sera, si è fatto pure tardi e noi siamo ancora in ufficio. È quasi il momento di andare via, e io sto cercando il modo di ritagliare qualche minuto per poter affrontare l’argomento quando si presenta una donna, sicuramente dell'Est, per denunciare un'aggressione.
Anna la riceve nel suo ufficio, e io resto con lei.
La facciamo accomodare, poi Anna si appoggia alla scrivania, restando in piedi di fronte alla donna, in maniera più informale per metterla a suo agio. Poi inizia a farle delle domande con estrema delicatezza.
“Come ti chiami?”
“Oksana.” Risponde la donna, piangendo.
“Chi ti ha ridotto così?”
“Un cliente... Sono una prostituta. Lavoro sola per me, forse è per questo che se n'è approfittato.”
“Ma... era la prima volta che lo vedeva, quindi?” Domando io, cercando di usare un tono simile a quello di Anna. L'ultima cosa che voglio è spaventare ulteriormente questa ragazza.
“No... ma era già da un poco che... che non pagava. Allora io gli ho detto, 'se non paga io non lavoro', e lui mi ha picchiata.” Fa per prendere un fazzoletto nella sua borsetta, facendosi sfuggire un libro, che Anna si affretta a raccogliere da terra. Lei glielo riprende immediatamente dalle mani. “So che è più facile giudicarmi che credermi, ma io ho paura!”
Anna la guarda per un attimo, poi si abbassa al suo livello per poterla guardare direttamente negli occhi.
“Oksana, io ti credo.”
Non posso non ammirarla in questo momento. Posso solo immaginare vagamente cosa significhi, da donna, trovarsi in una situazione così.
“Sapresti descrivermelo?”
“All'inizio era una persona gentile, poi è cambiato. Diceva che se non facevo quello che voleva, poteva farmi del male. Fa un lavoro importante.”
“Ti ricordi quale?”
“Il carabiniere.” risponde, spiazzandoci. “È lui.” Aggiunge, guardando l'appuntato scelto Barba oltre la vetrata.
Noi non riusciamo a crederci.
 
Quando lei si alza per andare a formalizzare la denuncia da un altro agente, Anna convoca Barba nel suo ufficio. È chiaro che è a disagio, ma che vuole prima di tutto cercare di capire.
Lui si rifiuta di dirci alcunché se non di non averle fatto nulla, Anna cerca di insistere.
“Barba, tu sei un mio uomo, e io ti voglio aiutare,” gli dice. “ma mi devi dire la verità.”
Quando lui continua a non fiatare, lei continua. “Prenditi qualche giorno, il tempo di fare chiarezza su questa storia.” Poi gli fa segno di consegnarle la sua pistola d'ordinanza, che lei scarica immediatamente prima di alzarsi e farlo uscire dal suo ufficio con un saluto militare. Un gesto di rispetto verso un carabiniere che ha sempre fatto un buon lavoro. Io la seguo fuori, proprio mentre arriva Cecchini, che ci domanda cosa sia successo, e perché Barba stia andando via.
“Una prostituta l'ha denunciato. Dice che l'ha picchiata.” Si limita a dire lei in tono grave. Lui è sconvolto quanto noi.
Tutti si mettono immediatamente in moto, e il Maresciallo si reca insieme a Ghisoni nel luogo dove lavora la ragazza di solito.
Noi due scendiamo giù dopo qualche momento, pregandoli di avvertirci per qualsiasi novità.
“Se non parla sta nascondendo qualcosa...” le dico, scendendo gli scalini che danno sulla piazza.
“Sì, e forse sta proteggendo qualcuno.”
“Sì, però in ogni caso io devo avvisare il Questore.” Le ricordo.
“Dammi stanotte per lavorarci su, sono sicura che domani mattina sarà tutto risolto.” Mi prega. Capisco la sua posizione, e accetto di fare un'eccezione per stavolta, chissà che non abbia ragione, eviteremmo un mare di guai a quel ragazzo.
“Va bene.”
“Grazie...”
All'improvviso mi rendo conto che siamo da soli per la prima volta nell'intera giornata, e decido di cogliere al volo l'opportunità.
“So che non è il momento più opportuno...” Esordisco con un mezzo sorriso.
“Sì...” Lei abbassa lo sguardo, intuendo cosa voglia dirle.
“Riguarda quello che è successo l'altra sera...”
“Dimmi...”
“Credo-”
Riesco a mala pena a iniziare la frase che arriva una volante dell'arma, e Cecchini e Ghisoni scendono per comunicarci che hanno recuperato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza della stazione di servizio posta dietro al luogo dove 'lavora' la donna.
“Ottimo lavoro! Vediamo se c'è qualcosa di utile.” Si complimenta lei, seguendoli immediatamente, prima di girarsi verso di me. “Scusa...” dice, riferendosi alla nostra conversazione interrotta.
Io cerco di ignorare il fastidio per il tempismo degli altri. “Fammi sapere se po-”
“Sì sì,” mi liquida, entrando a passo svelto in caserma.
“Va bene... Non si può comunicare, qui.”
Me ne torno a casa, demoralizzato. Ci stavo finalmente riuscendo, e il lavoro si è messo in mezzo.
Ma la prossima volta ci devo riuscire.
 
***
 
La mattina dopo, arriva una notizia come un fulmine a ciel sereno: hanno trovato Barba privo di sensi davanti a casa sua, pensano a un tentativo di suicidio. Mi reco lì più in fretta che posso, trovando già il Capitano col maresciallo, Ghisoni e Zappavigna.
“Ho appena saputo... Ciao...” Dico, con uno sguardo di traverso ad Anna.
“Ancora non siamo sicuri di niente,” mi spiega Cecchini. “Il tentato suicidio è soltanto un'ipotesi.”
“Beh, ipotesi o no sapete già come uscirà sui giornali, no?”
“Certo,” risponde Anna, cupa. “Diranno che si è suicidato perché era colpevole.”
Come è successo con tuo padre. Che si è ucciso proprio perché innocente ma incapace a dimostrarlo.
Cecchini ribadisce l'assoluta fiducia in Barba, convinto che non sia stato lui. Io lo spero davvero, ma non posso non prepararli. Devono trovare le prove.
Anna non fiata.
 
Solo quando rientro a casa, mi rendo conto di aver affrontato il tema ‘suicidio’ con troppa leggerezza, nonostante quello che sapessi essere successo al padre di Anna.
E, ancora una volta, non posso fare a meno di notare quanto lei sia capace di mantenere il massimo distacco perfino di fronte a casi che fanno tornare a galla ricordi e sensazioni terribili, senza tradire nessuna emozione che possa lasciar intendere come si senta. Non so come ci riesca.
 
Considerando tutto quello che è successo negli ultimi giorni, non posso fare a meno di pensare a tutto quello che mi ha fatto innamorare di Anna.
Perché sì, mi sono innamorato di lei.
Se me lo avessero detto qualche mese fa, avrei dato a chiunque del folle. Mi sembra ancora tutto così incredibile, eppure io per primo so che è così.
Non ho più dubbi su quello che provo per lei.
All’inizio la trovavo terribilmente antipatica, non sopportavo quel suo modo di fare sicuro di sé e in grado di zittirmi come nessun altro. Mi indisponeva da morire.
E poi... poi ho iniziato a conoscerla davvero, e mi sono reso conto che quelli che, per timore, avevo classificato come difetti, erano in realtà punti di pregio: è tosta, determinata, intelligente, e di questo ho avuto modo di accorgermi fin dal primissimo caso in cui ci siamo imbattuti. Avevamo finito per aver ragione entrambi quella volta, ma io avevo scartato la sua ipotesi a priori mentre lei aveva abilmente smentito la mia con dati di fatto, o quando l’avevo accusata di non essere obbiettiva, e lei mi aveva immediatamente risposto a tono facendo crollare, di nuovo, tutte le mie teorie, con metodo e attenzione. Ma oltre alla facciata da dura, ho scoperto che, non così tanto in fondo, è anche estremamente sensibile ed emotiva - è vero che si lascia commuovere, ma perché sa bene che ogni caso è a sé, che a volte è meglio farsi coinvolgere un po’ per poter assicurare la giustizia, piuttosto che attenersi ai rigidi schemi imposti senza tener conto del fatto che davanti abbiamo persone.
Ho scoperto in lei una donna estremamente dolce, a tratti insicura come uno non immaginerebbe mai, che farebbe di tutto pur di aiutare gli altri, perfino sacrificare se stessa.
 
***
 
Il mattino dopo riconvochiamo Oksana, convinti che non abbia detto la verità.
Lei sembra sconvolta alla notizia che Barba sia in coma per tentato suicidio. Va via dicendoci che non possiamo fare niente per lei, e Anna intuisce dal suo comportamento che ha un protettore, che probabilmente è stato lui a picchiarla e costringerla a accusare l'appuntato. Incarica Cecchini di intensificare le ricerche, e lui esce dall'ufficio per eseguire l'ordine.
“Anna, senti, avviso io il Questore, non ti preoccupare.” La tranquillizzo. È già abbastanza scossa così, non voglio metterle altra pressione addosso.
Ed ecco che siamo soli, ora o mai più.
“Ecco, io... riguardo a quello che è successo ieri sera...”
“Ah, sì...” Annuisce con una espressione vagamente imbarazzata.
“Io stavo per dirti, prima che ci interrompes-vabbé sì...”
Cecchini ha aperto la porta, rientrando. Ma cos'è, un complotto? È già difficile senza che vi impicciate tutti!
“Ehm... mi dimenticavo...” Fa, impacciato.
Ci mancava che ci beccasse lui in atteggiamenti ambigui.
Cerco di far finta di niente. “Sì, ehm... mi tieni aggiornato?”
“Certo...”
No, ma non si nota che siete in imbarazzo.
“Bene...” Vado via senza guardare Cecchini, ma sento lo stesso cosa dice.
“Ma... che, ho interrotto?”
“No! Non ha interrotto... niente!” Sento rispondere Anna, a disagio anche se cerca di mascherarlo.
“No, è che mi sembrava un'atmosfera un po'...”
“Aveva dimenticato cosa?” Lo interrompe lei.
Accelero il passo.
Sì, Maresciallo. Ha interrotto il mio ennesimo tentativo di chiederle di uscire.
Almeno le avrei fatto capire che per me ha significato qualcosa.
E l'atmosfera era decisamente troppo intima per due semplici colleghi.
Ma io non voglio essere un semplice collega. E nemmeno soltanto un amico.
Riuscirò a dirglielo, anche a costo di dover creare un'occasione di proposito.
 
Anna’s pov
 
Non mi darò pace finché non riuscirò a trovare il colpevole di questa storia, per cui resto in ufficio fino a tarda sera.
Sono le undici passate quando, ancora intenta a visionare i documenti a cui sto lavorando da tutto il giorno, sento la porta del mio ufficio aprirsi improvvisamente.
Marco.
“Ciao,” mi saluta lui un po' imbarazzato, come al solito in questi giorni.
“Ciao.” Gli rispondo, sorpresa. Che ci fa qua?
“Beh, sapevo che ti avrei trovata ancora qui a quest'ora e allora... ho ordinato la cena.”
“Grazie, non... non dovevi.” Mormoro, alzandomi. All’improvviso capisco perché è venuto qui. Avverto un brivido di panico risalire lungo la schiena.
Vuole parlare del bacio.
Sapeva che sarei stata da sola e che non sarei potuta scappare, stavolta.
“Senti... sperando che nessuno ci interrompa...” esordisce lui.
“Eh, mi sembra un po' difficile a quest'ora della notte...” commento, nervosa.
“Riguardo a quello che è successo l'altra sera, io volevo dirti-”
“-È stato un errore.” lo interrompo, impedendogli di continuare. Ho troppa paura, non voglio rischiare. “Eravamo entrambi scossi, era un momento particolare, e... e siamo colleghi, no? Colleghi, al massimo amici...”
Lui fa per ribattere, una strana espressione sul suo volto, ma il telefono sceglie quel momento per squillare, salvandomi da quella situazione.
“Scusami...” gli passo accanto per andare a rispondere, approfittando di quei secondi per cercare di mandare giù quel nodo alla gola che mi impedisce di respirare.
È la chiamata che aspettavo da tutta la sera.
Quando abbasso il ricevitore, Marco mi chiede silenziosamente chi fosse a quest'ora.
“La perizia balistica esclude l'ipotesi di suicidio. La traiettoria della caduta con la posizione del corpo richiedevano una spinta di un'altra persona.” gli spiega con evidente sollievo, riferendomi all'appuntato Barba, che lotta ancora tra la vita e la morte.
“Ah! Bene!... cioè, meglio così... No?”
“Assolutamente. Però bisogna capire chi è stato e perché.”
Finita la parentesi lavorativa però, l'imbarazzo torna prepotente tra noi.
Entrambi abbassiamo lo sguardo, senza sapere cosa fare né cosa dire.
Dopo qualche istante, lui inspira a fondo.
“Allora... ti lascio lavorare. Buonanotte.” si congeda con un breve sorriso.
 
Una volta rimasta sola, mi rendo conto che Marco non ha finito la sua frase, perché io non gliel’ho permesso, e poi è squillato il telefono.
È andato via senza dirmi cosa pensava.
Ripenso a tutto quello che è successo con lui da quando ho preso servizio qui a Spoleto.
Ad essere proprio onesta, Marco è l’uomo più impossibile che conosca, mi fa esasperare non poco, però c’è tutta una serie di dettagli che mi porta inevitabilmente a fidarmi di lui come forse non ho mai fatto prima con nessuno.
È strano, stranissimo, perché io sono sempre stata abituata ad arrangiarmi da sola, ad affrontare tutto con le mie forze, eppure Marco è riuscito a far cadere senza troppo sforzo tutte quelle certezze che credevo ormai solide e indistruttibili.
Io non ho molta esperienza con gli uomini, Giovanni è stato il mio primo e unico fidanzato, e in generale mi sento sempre molto inadeguata, al contrario del lavoro, dove non ho dubbi sulle mie capacità. Sul tema uomini, l’esperta è mia sorella. Pure troppo, direi.
Anche per questo, non capisco fino in fondo da dove mi sia uscito di dirgli che il nostro bacio è stato un errore. Perché non lo penso davvero. O, perlomeno, non sono così sicura che lo sia stato.
Certo, Marco è pigro anche nelle cose più banali come riordinare i fascicoli, vuole sempre avere ragione e se la prende se lo contraddico - sistematicamente - ma, nonostante gli scontri iniziali, pian piano è diventato l’amico migliore che io abbia mai avuto.
Ha dimostrato, giorno dopo giorno, di capirmi, di sapermi ascoltare, e di ricordarsi delle mie inaspettate confessioni.
Lo so, che si sarà reso conto dopo della leggerezza con cui ha parlato del presunto tentato suicidio di Barba, e si sarà maledetto mille volte per aver usato così poca delicatezza dopo quello che io gli avevo raccontato giusto poche sere prima. L’ho letto nel suo sguardo quando ci siamo rivisti, e nella premura che ha mostrato per aiutarmi a gestire il caso, e le comunicazioni di servizio.
Forse è proprio per quest’amicizia che è nata tra noi che ora ho paura. Paura di rovinare tutto. Di ritrovarmi sola, di nuovo, proprio adesso che so di aver trovato una persona che mi sostiene.
Ora che, finalmente, ho trovato qualcuno che è riuscito ad andare oltre le apparenze, e a vedere la donna fragile che si nasconde sotto la corazza.
Lo ha fatto quella sera al reality, dopo la scenata col principe, quando mi ha detto che non vale la pena di cambiare per gli altri. Lo ha fatto di ritorno dal monastero, quando ha affermato senza timore che, per me, vale la pena lottare. Lo ha fatto quando mi ha trovata qui in caserma, a piangere per la fine della mia storia con Giovanni, consolandomi e facendomi capire che star male non mi rende debole, e che soffrire è umano. Quando mi ha difesa a spada tratta davanti a mia madre, dicendole di amarmi per quello che sono.
C’è sempre stato per me, Marco.
Nonostante io abbia tentato mille volte di allontanarlo, ostentando una forza d’animo che non sempre avevo, lui non si è lasciato impressionare né intimorire, ed è sempre tornato. Sempre.
Sono stata una stupida a dirgli quelle cose, prima.
Marco non è solo un collega da parecchio tempo. Non è nemmeno solo un amico.
No. Marco è molto di più di questo.
Perché, perché gli ho detto che quel bacio è stato un errore? Perché?
 
Scuoto la testa, cercando di concentrarmi di nuovo sul caso.
Anche perché so che prima o poi questo discorso lo dovremo riaffrontare, visto che lui non ha detto nulla.
L’argomento non è affatto chiuso e, conoscendolo, tenterà di riaprirlo quanto prima.
Spero.
 
Marco’s pov
 
La mattina dopo quando arrivo in caserma, Anna e il Maresciallo sono già nell'ufficio di lei a interrogare la proprietaria della stazione di servizio e il cugino/protettore di Oksana.
Apro la porta, e il mio primo istinto è guardare Anna. Per un momento cala nuovamente l'imbarazzo più totale, poi lei mi sorride e sento la calma invadermi. Va tutto bene. Dai tempo a tutti e due. Ne riparlerete quando sarà il momento giusto.
Finiamo per mettere in stato di fermo il ragazzo e a rilasciare temporaneamente la signora, anche se siamo convinti sia coinvolta in qualche misura.
Lei si occupa di aggiornare il questore, mentre io rivolgo per un momento l'attenzione a Cecchini: ha ricevuto una specie di eredità, e da giorni si porta dietro una borsa con all'interno quello che ha chiamato 'coleno', anche se non abbiamo ben capito che animale è. Mentre lui è impegnato a parlare col maggiordomo, io prendo questa borsa e la apro, troppo curioso. Solo per scoprire che all'interno c'è un coniglio di peluche. Giuro che non voglio sapere che sta combinando stavolta, anche se la cosa mi fa ancora ridere. Meno male che c'è lui.
 
***
 
La sera a casa, sto cucinando beatamente uno dei miei piatti preferiti, i gamberoni al guazzetto, quando qualcuno bussa insistentemente alla porta. È abbastanza tardi per una visita visto che sono le nove passate, ma mi affretto comunque ad aprire.
 
Anna.
 
“Oh! Ciao!” La saluto, evidentemente sorpreso. Che ci fa qua a quest'ora?
“Ciao, scusa... scusa, lo so che è tardi...” dice entrando e chiudendo la porta, perfettamente a suo agio. Mi tranquillizzo un po', vedo che è di corsa ma non preoccupata o altro. Non è successo niente di grave.
“Il maresciallo ha avuto una delle sue intuizioni notturne.” Spiega in fretta. “Sono tornata a casa di Barba, e ho trovato questa.” Mi porge una bustina con qualcosa di verde all'interno.
“Che roba è?”
“Dovrebbe essere una collana. Potrebbe essersi rotta quando Barba, spinto giù, si è afferrato al collo del suo carnefice.”
“Una donna! Potrebbe essere la Moscato!”
“Beh sì, questo spiegherebbe il taglio sulla mano destra.”
“Se noi troviamo del DNA quassù la incastriamo!” Dico, sollevato di essere più vicini a una soluzione.
“L'indagine non è finita!” Mi risponde, compiaciuta, prendendomi la bustina dalle mani e lasciandomi impalato lì ancora incerto sul perché sia venuta a dirmi tutte queste cose a quest'ora e non aspettare domani mattina, visto che non cambia nulla.
D'un tratto cambia espressione.
“Che fai, cucini?” Chiede, perplessa. Seguo il suo sguardo, posato sul mio grembiule.
Ah già, stavo cucinando prima del tuo arrivo.
“... Sì!”
“Ah, non la ritieni una cosa da donne?” Fa con espressione altezzosa.
“No, perché? I migliori chef sono uomini, eh!” La prendo in giro, facendo un passo indietro verso la cucina. Lei fa altrettanto, avvicinandosi di nuovo.
“Sì, questo perché le loro mamme erano sicuramente delle ottime cuoche!”
Adoro quando fa la saccente. Faccio un sorrisetto fingendomi esasperato, per poi tornare a guardarla. Ma sì, cosa ci può essere di male, in fondo?
“... Che fai, ti fermi?”
Lei ci pensa un attimo. “Sì, ho fame!”
Mai parole ebbero suono più dolce, eh, Marco?
 
“Appoggia tutto dove ti pare,” le dico allegramente, prima di tornare ai fornelli. Lei si sfila il soprabito e lo sistema all'appendiabiti all'ingresso insieme alla borsa, poi si siede su uno degli sgabelli del pianale davanti a me. Io le ho già versato del vino bianco in un calice.  
“Che profumino,” commenta. “Io non cucino mai quando sono sola. Anzi, in realtà non cucino mai, punto.”
“Io invece cucino solo per me, adesso.” Rispondo, assaggiando uno dei gamberi.
“Prima?” Chiede, curiosa.
“Prima no, cucinavo anche per la mia ex, Federica. Però adesso è tutto cambiato perché... posso usare i condimenti, grassi idrogenati, capito? Adesso ho svoltato.”
Lei ridacchia, divertita, un'adorabile espressione scioccata sul suo viso. “Ho capito il tipo... è per questo che non ti sei presentato al tuo matrimonio? Ti teneva a digiuno?” Domanda innocentemente.
Io esito un istante.
Hai due possibilità: inventarti una scusa, mentire e trovarti punto e a capo, oppure dirle la verità, liberarti di un peso ed essere sincero con lei. Siete amici, no? Puoi fidarti. Anche perché lei è sempre stata onesta con te, e poi ormai sa di Simone. Diglielo.
“Per questo... e perché l'ho trovata a letto col mio migliore amico.”
Anna spalanca gli occhi, di certo non si aspettava questo tipo di risposta, e un vago rossore si fa largo sulle sue guance.
 
Anna’s pov
 
Resto senza parole per qualche istante.  
Non me lo sarei mai aspettata.
Cioè, avevo capito che fosse successo qualcosa di particolarmente grave, ma... non questo. Pensavo a qualcosa di più... innocente, ma in effetti non so fino a che punto una ragione diversa avrebbe potuto portarlo a decidere di non presentarsi nemmeno in chiesa, in effetti.
Mi sento profondamente in colpa per tutto quello che avevo pensato su di lui nei mesi scorsi, quando lo credevo l’unico responsabile per il suo matrimonio saltato, quando pensavo che fosse solo un maschilista. Certo, conoscendolo meglio avevo ridimensionato di molto il mio giudizio su di lui diverso tempo fa, anzi, lo avevo mutato quasi radicalmente, e finora non ero mai riuscita a spiegarmi davvero come un uomo come lui, che con me nei momenti di bisogno si è sempre comportato con una dolcezza infinita, avesse potuto compiere un gesto così eclatante.
Adesso capisco tutto.
Probabilmente anche io, al suo posto, avrei fatto la stessa cosa. O, chissà, forse peggio. Scoprire che la persona che ami, e che sei a un passo dallo sposare, ti ha tradito - per giunta col tuo migliore amico - non è di certo la cosa più facile da mandar giù, tantomeno da perdonare.
Io non so se ce la farei...
Onestamente, questa domanda me la pongo ogni volta che Chiara mi obbliga a guardare Cenerentola, nella versione che lei adora: il ‘principe’ la tradisce, salvo poi pentirsene, ripensarci e tornare da lei chiedendole perdono.
Chiara dice che l’amore è l’unica cosa che conta, mentre io sono dell’idea che non sempre basta, però è pur vero che è tutto molto soggettivo e ognuno reagisce a modo suo, anche secondo la situazione.
“Mi... mi dispiace... non credevo che...” riesco a biascicare infine, abbassando lo sguardo, in totale imbarazzo.
Non so che dire, come scusarmi. Non avrei nemmeno dovuto chiedere.
“No, ehi... tranquilla,” mi ferma però lui, con un sorriso mesto. “Non hai niente di cui scusarti. Non potevi saperlo. E comunque, se te l’avessi detto quando avrei dovuto, ci saremmo evitati un sacco di incomprensioni. Ma non importa, adesso lo sai. Tu con me sei stata sincera, e meritavi di sapere la verità anche da parte mia.”
È ufficiale: sono stata una stupida a dirgli che il bacio è stato un errore.
“Allora grazie per esserti confidato con me.”
 
Marco’s pov
 
Ricambio il suo sorriso imbarazzato, sentendomi molto più leggero.
Se solo le avessi rivelato tutto quando ci siamo occupati del caso che coinvolgeva Simone...
Ma quel che fatto è fatto. E in ogni caso sono contento di averglielo detto. È come se mi fossi tolto un peso enorme, e so che di lei posso fidarmi ciecamente.
Decido di stemperare il momento di tensione avvicinandole il cucchiaio di legno così che dia un assaggio al mio piatto forte.
“Occhio che scotta,” la avverto. Questa situazione sembra talmente naturale che potrei abituarmici. “Com'è?”
“Ma è buonissimo!” Si complimenta lei, estasiata. “Mi sa che mi devi insegnare a cucinare!”
“Sì,” accetto senza esitare, “ma solo se lo fai per te, e non perché una donna dev'essere brava in cucina.”
Lei annuisce con un sorriso, e non posso già non pensare che non vedo l'ora di iniziare solo per poter passare più tempo insieme.
A prescindere, decido che ormai voglio che sappia tutto della mia vecchia relazione.
“Oh, comunque la mia ex ha fatto anche di peggio, eh. Ma tanto...” Butto lì.
Anna solleva lo sguardo, incredula, mettendo giù il bicchiere dopo averne preso un sorso. “Che ha fatto?”
Sollevo un dito per dirle di aspettare, apro un cassetto del soggiorno tirando fuori un dvd e mettendolo nel lettore. La invito a venire davanti alla tv, poi premo play.
Iniziano a scorrere foto di me e Federica.
Anna è senza parole.
“Cioè... voi avete fatto un servizio fotografico prima di sposarvi...” dice, basita. “Questa cosa è orribile, lo sai?”
“Eh, ma lei diceva che serviva per rompere il ghiaccio,” spiego con una nota di ironia.
Lei spalanca gli occhi ancora di più.
“Eh sì! Lei qua stava col mio migliore amico, a letto, e io dovevo rompere il ghiaccio, capito?”
“Dovresti denunciarla per circonvenzione di incapace,” mi suggerisce sedendosi e riprendendo il bicchiere. Io rido appena, non avrebbe tutti i torti.
“Lo vedi? C'è qualcuno che sta peggio di te!” Le faccio notare, sedendomi accanto a lei.
“No,” dissente, “il mio fidanzato... ha fatto voto di castità. Non so se...” Gesticola per rendere meglio l'idea. Forse è vero, però...
“Mah, però almeno Giovanni con Dio non c'è andato a letto!”
Anna scoppia a ridere.
“No, dimmi...!” La stuzzico ancora, facendo attenzione che non vada in apnea.
“Okay, okay hai vinto!” Cede, e io alzo le mani in segno di vittoria.
Ci voltiamo entrambi a guardare senza realmente vedere quelle foto che ancora scorrono sullo schermo della tv.
Non posso fare a meno di pensare a quando ami la risata di Anna e vederla felice... È bello essere così rilassati, senza doverci preoccupare di nulla. Adesso che ci stiamo conoscendo davvero, e le ultime barriere tra noi stanno cadendo una a una senza sforzo, non c’è più ragione di trattenerci. E questa serata insieme lo dimostra.
Niente formalità, niente muri né ruoli. In questi istanti, non esistono né pm né capitano. Siamo semplicemente... noi.
Noi, e la strada che sembra andare finalmente nella giusta direzione.  
Sento Anna sospirare.
“Lo sai che parlare con te mi fa stare meglio?” Dice infine.
Io mi giro a guardarla, leggermente sorpreso da questa sua affermazione.
“Mh-mh, sì,” conferma, alzando gli occhi al cielo. Sì, la cosa è decisamente paradossale. O magari è solo normale perché stare insieme vi fa stare davvero meglio.
“No,” nego io però, “parlare con uno che sta peggio di te, non con me.” Anche se vorrei tanto che mi contraddicessi.
“Sì, anche, bravo” concede lei, senza accettare completamente la mia posizione sulla cosa.
“Comunque la colpa è vostra...” mormoro. “L'uomo che cercate non esiste in natura. Esiste forse, eh... ma è un prete!”
Lei fa un'espressione che mi fa scoppiare a ridere, anche se tecnicamente mi ha mandato a quel paese.
“Scherzo, scherzo, scherzo, scherzo, scherzo...” Ritratto in fretta e a voce bassa, ancora ridacchiando.
Anna alza gli occhi al cielo, poi prende il mio bicchiere e me lo porge. “Beviamoci su, che è meglio, va.”
Brindiamo, anche se non so bene a cosa, ma accetto di buon grado.
Ne prendo appena un sorso, mentre torno con lo sguardo su di lei, che ha di nuovo lo sguardo fisso sulla tv, un’espressione pensierosa.
Resta qui. Non andare mai via.
Lei si volta verso di me all’improvviso, beccandomi a fissarla.
Quando i nostri occhi si incrociano, sento come una scarica attraversarmi da capo a piedi. Non so cosa sia successo, ma mi rendo conto che per qualche strana forza nell’aria mi sto avvicinando a lei, e mi blocco di scatto, ricordandomi dell’errore.
Anche lei sembra ridestarsi.
Cerco un modo per tirarci fuori da questa situazione, poi mi torna in mente il motivo iniziale per cui è rimasta qui stasera.
“Ehi, che ne dici se ora ceniamo?”
Lei spalanca gli occhi, come se pure lei si fosse dimenticata. “Mi hai appena ricordato che ho una fame da svenire.”
 
Prepariamo in fretta la tavola, e mi sembra a un tempo strano e familiare apparecchiare per due, con lei a farmi compagnia.
Le servo il suo piatto prima di sedermi anch'io.
“Buon appetito, allora!”
“Altrettanto,” risponde con un sorriso.
Mangiamo per qualche minuto senza dire nulla, e con mio sommo piacere vedo che sta spazzolando tutto.
“Devo dedurre che ti sia piaciuto, quindi?”
“Scherzi? È una delle cose più buone che abbia mai mangiato.”
Faccio un piccolo inchino, a cui lei risponde con una risatina. “C'è anche da dire che a me piace mangiare in generale, quindi poco importa cosa ho davanti. Se poi è buono così, meglio ancora.”
Per qualche motivo questa informazione non mi sorprende. “Ottimo, essere una buona forchetta aiuta anche nella preparazione... basta che non mangi tutto nel processo.”
Mi lancia un'occhiataccia. “Tranquillo... mangerò tutto dopo.”
Scoppio a ridere. È veramente strano per me trovarmi accanto una donna che ammetta una cosa del genere. Con Federica era sempre un continuo di lamentele, non le andava bene niente di quello che le preparavo e prestava un'attenzione esagerata a calorie e simili. Anna a quanto pare è l'esatto opposto.
“Un po' come i libri, se ne hai uno davanti devi finirlo? Tratti il piatto allo stesso modo?”
“Ci puoi scommettere, è maleducazione lasciare il piatto pieno! A proposito, quando cominciamo?”
“Quando vuoi... facciamo tra un paio di giorni? Il tempo di pensare a qualcosa di adatto per cominciare.”
“Affare fatto.”
Una volta terminato, sparecchiamo insieme.
“Mi spiace, se avessi saputo avrei preparato il dolce, non ho nemmeno una vaschetta di gelato al cioccolato nel freezer.”
Noto una scintilla divertita nel suo sguardo. “Vuol dire che rimedierai alla prima lezione di cucina, per festeggiare.”
“Cioccolato, allora?”
“Sempre!” Strizza l'occhio. “Dai, ti aiuto a lavare queste due cose...”
E non c'è verso di farla desistere.
Decidiamo che lei lava e io asciugo, visto che non saprebbe dove sistemare le stoviglie.
Io ogni tanto mi distraggo, restando incantato a guardarla.
Di nuovo, penso a come tutto questo sia paradossalmente familiare, e di quanto vorrei diventasse la quotidianità, passare le giornate insieme così.
Osservo la sua adorabile espressione concentrata, e non riesco a smettere di fantasticare sull’averla accanto ancora più spesso.
Vederci anche la sera, a casa mia, o da lei. In parte succederà, con le lezioni di cucina, e non vedo l’ora di iniziare solo per questo.
Anna mi passa l’ultimo piatto pulito ma, come dicevo sono terribilmente distratto, per cui quando lei me lo passa e le nostre mani si sfiorano, io torno alla realtà, ma non abbastanza in fretta. Il piatto scivola e finisce a terra, rompendosi.
“Oh, cavolo...” mormoro, piegandomi sulle ginocchia per recuperare i cocci.
Anche Anna si abbassa per aiutarmi, e succede di nuovo.
I nostri occhi si incrociano un’altra volta, ed è più forte di me.
Mi avvicino.
Noto con un tuffo al cuore che anche lei sta facendo lo stesso.
Siamo a pochi millimetri, ormai, quando Patatino emerge dal nulla, abbaiando, per poi sedersi accanto a noi e fissarci scodinzolando.
Adoro il mio cane, giuro, ma in questo momento vorrei tanto non averlo.
Mi trattengo dal dire cose che vorrei, e invito Anna ad aspettarmi in salotto.
“Sicuro?”
“Certo, figurati, qui ci penso io... siediti pure sul divano, arrivo tra un attimo.”
Lei fa come le ho suggerito con leggero imbarazzo, e io mi appresto a raccogliere i pezzi del piatto andato in frantumi.
Mi rendo conto che devo essere onesto fino in fondo, con lei.
È qui con me, stasera, e qualcosa deve pur voler dire.
Mi sembra quasi come questi cocci che mi ritrovo tra le mani fossero quelli del mio cuore spezzato, che sono riuscito a raccogliere e ricomporre solo grazie al suo aiuto.
Non posso continuare ad avere paura. Certo, devo rischiare, ma so che ne vale la pena.
Non posso seguire l’esempio di Giovanni, ed essere a mia volta io il pazzo che si lascia sfuggire una come lei.
Mi faccio coraggio, e mi dirigo a grandi falcate verso il salotto, raggiungendo Anna, che si alza con un’espressione preoccupata.
“Ehi, non dirmi che ti sei tagliato con-”
Non la faccio continuare per evitare di cambiare idea e farmi bloccare dalla paura.
La bacio senza aspettare un secondo di più.
Lei sembra confusa solo per un istante, e quasi mi spiazza quando abbandona ogni esitazione, passandomi le braccia intorno al collo.
La situazione si scalda in fretta.
Mi rendo conto che siamo distesi sul divano e non ho idea di come ci siamo finiti, né me ne importa molto.
So solo che averla così vicina mi sta facendo perdere la testa, la mia razionalità sparita chissà dove insieme alla sua, a quanto pare.
È solo istinto, quello che ci guida. Tutti i sentimenti, le emozioni che avevamo trattenuto dentro finora, e che in piccola parte il nostro primo vero bacio aveva fatto venire a galla, stanno emergendo in questo momento, come un fiume in piena.
In entrambi c’è la voglia di non avere più paura. Di smettere di soffrire. Di tornare a vivere. Di amare.
E io amo Anna.
Come non avrei mai pensato di poter fare.
La sua mano scende lieve sul mio petto, mentre l’altra resta in una carezza sulla mia nuca.
Il cuore che martella senza riuscire a calmarsi, le nostre labbra ancora unite in un bacio che di innocente non ha più nulla.
Faccio scorrere le dita sul suo braccio, per poi scendere fino ai fianchi, che stringo appena, quando la sento trattenere il fiato.
Per la seconda volta, Patatino decide di interromperci, zampettando vicino a noi.
Forse stavolta è stato meglio così.
Ci fissiamo per un attimo negli occhi, cercando di riacquistare il respiro.
L’aiuto a rimettersi seduta, e mentre lei si passa una mano tra i capelli in disordine, capisco dal suo sguardo che è arrivato per entrambi il momento di essere onesti fino in fondo.
Non avrebbe più senso fingere, dopo quello che è appena successo.
È arrivato il momento di dirci la verità.
 
Anna’s pov
 
Cerco di riprendere fiato aggiustandomi alla ben’e meglio i capelli arruffati.
Non riesco a credere di essermi lasciata andare così. Io!
Io, che sono sempre stata restia al contatto fisico con chiunque e ci ho messo parecchio a prendere confidenza perfino con Giovanni, io che mi ero rifiutata di dare perfino un bacio sulla guancia a Marco per lo show di Cosimo in cui ci siamo improvvisati i suoi genitori...
Non so cosa mi sia preso, l’unica spiegazione che riesco a darmi è che... ho seguito l’istinto.
Ho scelto di non pensare, di non razionalizzare per forza quello che stava succedendo, e lasciare che il momento andasse da sé.
Certo, non pensavo che mi sarei ritrovata avvinghiata a Marco senza nessuna voglia di smettere.
Ma ero stanca di trattenermi, di reprimere i miei sentimenti per lui.
Le settimane di tensione accumulata sono esplose tutte in una volta.
Non avevo forse mai provato niente del genere.
Con Giovanni era sempre stato tutto molto dolce e romantico, ma ci eravamo fermati molto, molto prima. Baci delicati e qualche coccola innocente.
Lui aveva fatto voto di castità, quindi non è mai successo nulla, e di sicuro niente di così intenso.
Marco no, non ha limiti imposti, quindi ha solo fatto ciò che l’istinto gli suggeriva di fare. E io non l’ho fermato.
E, per quanto assurdo mi sembri, non me ne pento.
Affatto.
Perché mi fido di lui.
E sì, mi sono innamorata di Marco.
Sarebbe stupido continuare a mentire a me stessa, oltre che a lui.
Il momento del confronto è arrivato, e io non mi tirerò indietro.
 
Marco mi rivolge uno sguardo leggermente imbarazzato, prima di inspirare a fondo.
“Io ti amo,” mi dice, all’improvviso. Sento il cuore prendere a battere furioso.
Spalanco gli occhi, mentre un sorriso inizia a farsi strada sulle mie labbra, e lui continua.
“All’inizio mi stavi antipatica, ma tanto... e poi ho capito. Che tu sei una intelligente, sei tosta, sei determinata... Ma sei anche sensibile, emotiva, e sei una che davanti al male si sa ancora commuovere... E ti amo.”
Sbatto le ciglia più volte, ricacciando indietro le lacrime di commozione, perché non è proprio il momento, di piangere. Mi faccio coraggio.
“Io... mi dispiace di averti detto che quel bacio è stato un errore...” mormoro, mentre vedo la speranza accendersi in lui. “Ho avuto paura che dicendoti la verità avrei rovinato tutto, temevo che mi avresti detto che mi avessi baciata solo per il momento che si era creato, e che non significasse nulla, ma la verità è che... anch’io mi sono innamorata di te.” ammetto, finalmente.
Il sorriso di Marco mi fa tornare le farfalle allo stomaco.
“L’avevo intuito, anche se in quell’attimo è stata dura digerire quel rifiuto... ma ti capisco. Nemmeno per me è facile, lo sai, però... A volte, se non si corre il rischio, si finisce per perdersi le cose più belle della vita.”
Annuisco semplicemente, e lui continua.
“A proposito, scusa per prima, se... se sono stato così irruento. Non volevo correre, ma mi sono lasciato prendere la mano... Ero felice perché non ti eri tirata indietro come la volta scorsa, e non sono più riuscito a pensare razionalmente. Mi sarei fermato, però, te lo assicuro. Non ti avrei mai obbligata a fare qualcosa che non volevi.”
Scuoto la testa. “Non devi chiedermi scusa. Né prenderti colpe che non hai. Queste sono cose che si fanno in due, e non mi sembra che io ti abbia fermato, no?” dico, con una risatina nervosa. Inizio a torturarmi le dita, in totale imbarazzo. Se dobbiamo iniziare qualcosa insieme, voglio essere onesta con lui. In realtà gliel’ho confessato anche prima, involontariamente, però adesso le cose sono diverse.
“Sinceramente, io per prima mi sono stupita di non aver interrotto di nuovo tutto. Penso tu ormai l’abbia capito, non è da me comportarmi in questo modo, fare certe cose... così, subito. Insomma... come ti ho detto prima, Giovanni ha fatto voto di castità, e nei cinque anni che siamo stati insieme non è mai successo... niente. Nemmeno quello che c’è stato prima, con te, qui sul divano.” ammetto, vergognandomi non poco a confessargli una cosa così intima.
Quando finalmente alzo lo sguardo su di lui, la sua espressione è l’immagine del senso di colpa, e vederlo così non può che intenerirmi.
 
Marco’s pov
 
Le sue parole mi fanno sentire uno schifo.
Io ho sempre chiamato Giovanni ‘mezzo prete’ senza prestarci attenzione più di tanto, e poco fa ho pensato a tutto tranne a quello che Anna mi aveva detto giusto un’ora prima.
Non avrei mai immaginato che fosse ‘mezzo prete’ più di quanto avevo pensato scherzosamente.
Deve avere un autocontrollo di ferro, se non ha mai sfiorato Anna nemmeno come ho fatto io poco fa. E non è che sia successo chissà che, in fondo.
Io non riuscirei nemmeno ad elencarle, tutte le cose che le farei, e se penso che lui ce l’ha avuta accanto per anni e ha resistito senza-
Meglio che mi dia una calmata.
Per essere chiari, nemmeno io avrei lasciato che la situazione degenerasse troppo e così in fretta, e non c’è assolutamente nulla di male in quello che lei mi ha detto, anzi, per certi versi è ammirevole. Ma sapere addirittura che per Anna sarebbe stata la prima volta e che, se non fossi stato in grado di controllarmi, avrei mandato tutto all’aria, mi fa sentire ancora più in colpa.
In fondo non siamo ancora niente, noi due, non siamo fidanzati, o per lo meno non lo eravamo ancora al momento del bacio di poco fa.
“Mi... mi dispiace, sul serio, non volevo spaventarti o... Né metterti fretta in alcun modo, non devi pensare che, insomma...”
“Marco, calmati. Non è successo niente che io non abbia voluto, sta’ tranquillo,” mi blocca timidamente Anna, con mio enorme stupore. “E se tornassimo indietro, lo rifarei.”
Nonostante il rossore sulle guance, non distoglie lo sguardo dal mio.
Mi concedo un altro, delicato bacio, prima di proporle di vedere un film.
Anche per calmarci un po’ e dissipare l’imbarazzo residuo.
 
Anche una cosa apparentemente così banale può trasformarsi in un momento importante, quando lo si condivide con la persona che ami.
Me ne convinco sempre di più, mentre le immagini scorrono sullo schermo della televisione e io mi godo la sensazione di poter finalmente avere Anna stretta tra le braccia.
Ho fatto bene a correre il rischio, con lei. Non potevo permettermi di essere l’idiota che se la sarebbe fatta scappare.
È una creatura preziosa, Anna, e voglio scoprire ogni sua più piccola sfaccettatura, giorno dopo giorno.
Abbasso gli occhi su di lei, scoprendola sonnecchiante con la testa appoggiata al mio petto, e mi viene da sorridere, perché è un’immagine dolcissima che conserverò gelosamente nella memoria.
Sposto lo sguardo, notando il pouf di fianco al divano, e sospiro.
Ma è un sospiro di sollievo, il mio.
Ripenso a Federica, e a quelle come lei, capaci di tutto, perfino di fare del male alle persone che dicono di amare.
Torno a guardare Anna, che ha chiuso gli occhi stringendosi di più a me, e sorrido.
Sono sicuro, lei non è una di quelle.
È Anna, la mia Anna.
E io l’amo.
 
Ciao!
Ecco un’alternativa di ‘Una di quelle’, un po’ diversa.
Martina ogni tanto opta per lo sfogo, quindi sfogo sia.
Manca poco più di un mese al primo episodio di Don Matteo 12, e qui siamo ancora in attesa della promo, che speriamo cominci presto - siamo in astinenza da DM, quindi, per favore, dateci qualcosa!
(Psst, appello a Pezzali: anche il videoclip sarebbe gradito!)
Speriamo vi piaccia!
A presto,
 
Mari

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Capitolo 27
*** Le favole del Maresciallo C. - Val Tiberina ***


Le favole del maresciallo C. - Val Tiberina
 
C’era una volta nella Val Tiberina, nel piccolo borgo fondato da San Giustino, un antico castello medievale in cui viveva un principe indeciso. Egli non sapeva chi scegliere tra due principesse da sposare... Allora, pensò di lasciar decidere al destino, così costruì un labirinto e ci mise dentro le due principesse: avrebbe preso in sposa la prima che fosse riuscita a uscire. Il principe rimase in attesa tutta la sera, ansioso di sapere cosa il destino avesse deciso per lui, pronto ad accogliere a braccia aperte la donna della sua vita.
 
Chiara’s pov
 
Questa domenica, ho accettato di accompagnare Marco a visitare un castello medievale in Val Tiberina.
Se finora avevo assecondato tutto più o meno volentieri, il castello proprio no. Parliamo di storia! Quella roba noiosissima che si studia a scuola... Pure con la guida!
Non ho potuto dire di no, ovviamente, ma con un compromesso: portare mia sorella con noi.
Anna mi darà manforte, devo trovare il modo di svignarcela dalla visita il prima possibile.
Saremmo dovuti partire tutti e tre insieme con la macchina di mia sorella, ma Marco mi ha chiamato per avvisarmi che ha dovuto fare un favore a un amico, e di partire senza di lui che ci avrebbe raggiunte direttamente sul posto.
Con mio estremo disappunto, però, quando arriviamo, mia sorella si dimostra parecchio interessata alla spiegazione della guida.
Tento di dissuaderla, ma mi dice solo di far silenzio. Pure!
Dovrò inventarmi qualche altra cosa.
 
Anna’s pov
 
Adesso capisco tutto: Chiara stamattina mi ha trascinata qua non perché volesse compagnia, ma perché sperava che avrei convinto Marco a cambiare piano!
Certe volte mi chiedo se mi conosce davvero, perché queste cose non me le spiego.
A parte il fatto che io sono stata ‘invitata’ e non mi sognerei mai di imporre altro, mi piace cercare di imparare cose nuove, e la guida è parecchio brava. E inoltre, a Marco la storia medievale piace, me l’ha detto lui stesso, quindi a maggior ragione non potrei privarlo della visita. Anzi, mi dispiace che si stia perdendo una parte di spiegazione.
Per questo ignoro i tentativi di mia sorella di distrarmi e mi concentro di più nell’ascolto.
La guida ci spiega che visiteremo prima l’esterno e poi l’interno, quindi adesso siamo all’ingresso.
All’improvviso, notiamo Marco raggiungerci velocemente.
“Ehi...” mormora, a mo’ di saluto.
Io e Chiara ci limitiamo a un sorriso, ma io non riesco a trattenermi dal rivolgergli un’occhiata di soppiatto.
Mannaggia a me, se solo non avessi definito tutto un ‘errore’...
Lui però abbassa improvvisamente lo sguardo su di me, e io distolgo immediatamente il mio tornando ad osservare la guida e sperando che non mi abbia beccata a fissarlo.
Anna, su!
Torno a prestare attenzione alla guida, che sta spiegando: “... e un giardino all’italiana che è suddiviso in sette spazi, con limonaie, lecci, aiuole, giochi d’acqua e anche un labirinto di siepi di bosso...”
Non ho nemmeno il tempo di riflettere che mia sorella prende la parola.
“Ragazzi, ragazzi, ragazzi,” sussurra, “ma se andassimo nel labirinto?”
Io tento di dissuaderla.
“Chiara, non stiamo a casa nostra, dobbiamo seguire la guida.”
“A me il labirinto sembra più interessante,” mi contraddice però Marco, con mio enorme stupore. Pensavo sarebbe voluto restare ad ascoltare, per questo ero intervenuta.
Allargo le braccia in un gesto di sconfitta.
“La gita del liceo,” commento sarcasticamente. “Andiamo a giocare, dai!”
Lui e Chiara scoppiano a ridere mentre io li precedo di qualche metro. Non me la prendo, in fondo a me cambia poco. Solo che non voglio sorbirmi più effusioni del necessario, quindi evito di guardarli tenendomi a distanza.
Mantieniti sulle tue, e andrà tutto bene. 
 
Marco’s pov
 
Stamattina ho dovuto fare un favore a un mio amico, quindi ho raggiunto Anna e Chiara quando già la guida aveva quasi terminato la sua spiegazione.
Ho cercato di fare il prima possibile, però, e ho trovato le due sorelle all’ingresso.
Non ho potuto fare a meno di abbassare lo sguardo su Anna, accorgendomi che anche lei aveva fatto lo stesso. Lo ha distolto immediatamente non appena ha incrociato il mio.
Rido tra me.
Il giochino di cane e gatto lo facciamo sempre, e mi diverte moltissimo.
Adesso è concentratissima sulle parole della guida, un’espressione curiosa sul viso.
Mi volto a guardare Chiara, che se ne accorge e mi rivolge un sorriso ammiccante.
Più diverse di così non si potrebbe.
Anna è estremamente timida anche in questo. Chiara l’esatto opposto.
Però...
La guida nomina un labirinto, e Chiara propone di andarci. Anna tenta di dissuaderla, però a me l’idea piace.
Anche per metterla alla prova.
Anna si arrende, sconsolata, con una battuta che mi fa ridere. Adoro il suo umorismo.
 
Durante il tragitto, Chiara passa in testa alla fila, curiosando ad ogni angolo, alla ricerca delle indicazioni per il labirinto.
Io e Anna restiamo indietro.
“Peccato tu sia arrivato in ritardo...” mi dice lei, dopo qualche istante. Mi racconta brevemente cosa ha spiegato loro la guida durante la mia assenza. “... La guida ci ha detto che questa prima era una fortezza, e nel Rinascimento è stata trasformata in villa dal Vasari,” mi spiega, con un tono appassionato che ormai so distinguere senza difficoltà.
Apprezzo tantissimo che lei mi stia informando su cosa mi sono perso.
È un posto davvero splendido, e mi rendo conto adesso di quanta bellezza si nascondesse dietro un esterno apparentemente rude.
“Quindi, anche nella fortezza più inespugnabile, può nascondersi un giardino incantato!” commento, rendendomi conto che le mie parole possono benissimo adattarsi non solo al castello, ma anche a lei. Anna, infatti, abbassa lo sguardo, arrossendo.
Resto ad osservarla incantato per qualche attimo.
Perché, perché mi sono cacciato in questa situazione?
 
Chiara’s pov
 
Mentre cerco di darmi da fare per trovare l’ingresso del labirinto, mi volto per un attimo indietro e noto mia sorella e Marco parlottare tra loro. Lui mi sembra molto preso ad ascoltare qualsiasi cosa lei stia dicendo. A un certo punto noto Anna abbassare gli occhi a terra, e riesco a vederlo da qui, che è arrossita.
Mi obbligo a lasciar correre.
Per fortuna becco l’indicazione.
“Ragazzi, ecco il labirinto!” Li informo, interrompendoli senza rimorsi.
Loro sembrano ridestarsi, e mi seguono.
È bellissimo.
“Wow... sembra di essere in una fiaba!” commenta infatti mia sorella, altrettanto estasiata.
“La guida ha detto che sono siepi di bosso, vero?” chiede Marco.
“Mi pare,” rispondo. “Ci ha anche raccontato una specie di fiaba legata a questo posto, prima che arrivassi tu. Anna, raccontagliela!”
Lei fa un’espressione allarmata. “Perché io?”
“Perché tu sei brava a raccontare le storie!”
Lei sospira, accettando un po’ controvoglia, mentre Marco fa una piccola risata.
“Va bene... C’è una leggenda che si racconta qui, secondo cui nel castello viveva una volta un principe che aveva sempre rifiutato di prendere moglie, dopo essere stato tradito dalla donna che avrebbe dovuto sposare. A un certo punto, però, i suoi consiglieri gli dissero che doveva decidersi, il regno aveva bisogno di sapere che avesse al suo fianco una regina, così per compiacerli accettò di conoscere le principesse che loro proponevano. Sperava di riuscire ad innamorarsi di nuovo, ma nessuna era riuscita fino a quel momento a fargli battere il cuore. Finché, un giorno, incontrò sulla via due principesse, in visita nel suo regno. Intrigato da loro, dopo averle conosciute decise che la sua scelta finale sarebbe ricaduta su una delle due. Ma era incerto, ognuna lo attirava per una ragione diversa. Così pensò che, allo stesso modo in cui aveva incontrato le due per puro caso, avrebbe lasciato ancora una volta che il destino decidesse per lui. Fece così costruire il labirinto, invitando le principesse ad entrare. Chi tra loro fosse riuscita a uscire per prima, sarebbe diventata sua sposa. E così fu: il fato gli mise accanto proprio la donna di cui si era segretamente innamorato, ma alla quale non si era dichiarato prima per paura di non essere davvero ricambiato. Il principe sposò così la sua principessa, e, come si racconta, vissero insieme una vita meravigliosa.”
Giungo le mani. “Bella, vero?”
Marco annuisce, scambiando un lungo sguardo con mia sorella. “Molto.”
Stavolta non posso passarci sopra.
Decido di agire.
“Facciamo un gioco, che ne dite? Entriamo, ci sparpagliamo, e l’ultimo che arriva perde, okay?”
“Io ci sto!” Accetta immediatamente Marco. Lui e Anna si lanciano uno sguardo di sfida. L’ennesimo, oggi. “Io vado di qua!”
Quando lui si volta, io e Anna prendiamo un’altra direzione, facendo un pezzetto di strada insieme. Io ho un piano preciso, però, quindi blocco mia sorella prima che possa allontanarsi ancora, dopo qualche metro dall’ingresso.
“Di che parlavate, prima, tu e Marco? Mentre cercavamo il labirinto?” le chiedo con fare casuale.
Lei sbatte le ciglia un paio di volte, prima di rispondermi.
“Quand- ah... Gli ho solo riferito cosa ci avesse detto la guida prima che arrivasse. Deformazione professionale, probabilmente. Sono talmente abituata a doverlo aggiornare su tutto, al lavoro, che mi è venuto spontaneo...”
Il suo tono non mi convince, anche perché non ha senso che fosse arrossita, ma anche stavolta lascio stare. Per il momento, anche se li terrò d’occhio.
“Beh, in effetti... comunque, ho un’idea, per questa sfida...”
Le spiego cosa voglio fare, e lei accetta al volo, ridacchiando.
 
Marco’s pov
 
Quando esco dal labirinto, mi rendo conto di essere da solo.
“Primo!” esulto, allora. Non ricevo però risposta: probabilmente le ragazze sono ancora da qualche parte all’interno.
Ridacchio, appoggiandomi alla siepe, in attesa che una delle due si faccia viva.
Mi sento un po’ come il principe della leggenda, in questo momento. Indeciso tra le due principesse.
A dire il vero, mi ci sono rivisto parecchio, in quella storia, e immagino che fosse per quello che Anna all’inizio non voleva raccontarla.
Tradito dalla sua sposa, non voleva più legarsi a nessuna.
Incontra per puro caso due principesse, molto diverse tra loro.
Si innamora perdutamente di una delle due, anche se ha paura, e non sa come tirarsi fuori dai guai, così lascia fare al destino.
Anche se, nel suo cuore, sa già chi è la donna che desidera al suo fianco.
Sembra la storia della mia vita, cavolo.
Mentre aspetto, decido anch’io che mi affiderò al caso, come il principe.
 
Solo che l’attesa qua è lunga... sarà passata quasi mezz’ora da quando io sono uscito.
Provo a chiamare Anna per farmi un’idea di dove possano essere all’interno del labirinto, ma non solo lei non risponde, non sento nemmeno squillare il suo cellulare.
Corrugo le sopracciglia, e provo con Chiara. Stessa cosa.
È in quel momento che mi insospettisco.
Vuoi vedere che... mi hanno lasciato solo nel labirinto, e loro sono uscite per prime?
Scuoto la testa, ridendo tra me.
Gran bello scherzo che mi hanno giocato, le sorelle Olivieri.
Solo che... dove saranno mai, ora?
Torno all’ingresso del castello, ma di loro nessuna traccia.
All’improvviso il mio cellulare suona, avvertendomi dell’arrivo di un messaggio da parte di Chiara.
Dice solo “Trovaci!”, seguito dalla posizione satellitare.
Avevo intuito bene, sono da tutt’altra parte!
 
Quando finalmente le raggiungo, sono sedute a un tavolino del chiosco appena fuori le mura del castello.
Non appena mi notano, scoppiano a ridere. Io cerco di mantenermi serio.
“Ce ne hai messo di tempo!” mi schernisce Chiara.
“Mi avete proprio fregato.”
“Devi ringraziare Anna che ha insistito perché ti dicessi dov’eravamo. Fosse stato per me, saresti ancora in giro a cercarci!”
“Ah, pure!”
Anna cerca di trattenersi dal ridere di fronte al mio finto broncio, che ormai conosce bene.
“Vabbè, dai, per stavolta vi perdono. Dopotutto, vi ho trascinate qua e sono arrivato in ritardo. Me lo merito!”
Loro si scambiano un sorrisetto, prima di darsi il cinque.
“Abbiamo vinto noi per la storia del labirinto, comunque. Tu sei arrivato per ultimo! TI tocca una penitenza,” mi informa candidamente Anna dopo qualche istante.
Spalanco gli occhi. Dovevo immaginarlo, che le fregature non erano finite.
“Evidentemente... quindi, qual è il pegno da pagare, visto che ho perso?”
“Abbiamo deciso tramite votazione a maggioranza che ci offrirai il gelato.” spiega lei.
“A maggioranza...” ironizzo.
“Due su tre... noi siamo a favore del gelato. Quindi il tuo voto conta poco.”
Sospiro nel modo più melodrammatico che mi riesce.
“Mi arrendo. Come volete voi!”
 
Chiara’s pov
 
Decidiamo di continuare a visitare il posto, e finiamo il tour guidato all’interno del castello. Devo ammettere che, in fondo, tanto male non è.
Non posso fare a meno di notare, però, che per la maggior parte del tempo, Marco e mia sorella restano indietro, o parlano per gli affari loro. Di storia e arte, soprattutto.
So che ad Anna queste cose piacciono, ed evidentemente anche a Marco, mentre a me annoiano.
Onestamente sono stupita: ero convinta che non andassero affatto d’accordo, loro due (mi ricordo le lamentele continue su di lui da parte di mia sorella), e invece adesso sembrano avere molte cose in comune. Per davvero, però, non come faccio io con lui...
Non potrebbero essere più diversi, Marco e Anna, sono due caratteri opposti, ma non mi sembra un ostacolo così insormontabile come entrambi affermavano all’inizio.
Anzi, sembra esserci fin troppa sintonia, tra loro.
È a questo punto che mi rendo conto che il mio intuito era corretto: c’è qualcosa in più tra loro, più di un’amicizia che comunque si ostinano a negare nonostante l’evidenza, per questo voglio capire se tutti i miei dubbi sono fondati.
Penso velocemente a un piano, e decido che devo parlare con loro separatamente per obbligarli a sputare il rospo. Comincio con mia sorella, non perché sia più facile, ma perché posso capire senza troppe difficoltà se mi sta mentendo o meno.
È mia sorella, appunto.
 
Così, dopo un po’ che camminiamo, propongo di sederci su una panchina.
“A proposito, direi che è un buon momento per i gelati, questo.”
Marco ridacchia. “Va bene, ci penso io. Torno subito.”
Aspetto che sia abbastanza lontano, poi mi volto verso Anna.
“Volevo farti una domanda su una cosa, ora che siamo sole...”
“Dimmi,” mi risponde lei, incerta.
“Per la storia del principe... In via ipotetica, ecco, pensi che se avessimo portato a termine il gioco, e io mi fossi presentata per prima all’ingresso, sarebbe finita come nella fiaba?”
Anna spalanca gli occhi, probabilmente sorpresa dalla mia domanda. In fondo, non avevo mai mostrato interesse verso una relazione seria, prima d’ora. So che ha capito cosa intendo.
Se fossi stata la prima principessa a uscire da labirinto, il principe mi avrebbe sposata?
Marco mi sposerebbe?
“Beh... non è una cosa che si può stabilire così, in fondo quella è una leggenda...” biascica, in evidente difficoltà. “Però... ecco, anche se è vero che per queste cose ci vuole tempo e bisogna pensarci bene, viversi davvero... penso di... di sì. È il lieto fine... e sono sicura che... lo avrai anche... tu.”
Non mi ci vuole molto per capire che sta mentendo per non ferirmi. Non ci crede neanche lei a quello che dice. Sa benissimo che io e Marco non abbiamo niente in comune - sembra condividere più cose lei con lui, che io - e che in realtà siamo poco compatibili. Soprattutto perché un amore non si basa sulla menzogna e sul compiacimento. Si fonda sulla sincerità.
A pensarci bene, una cosa in comune io e Marco l’abbiamo: lei.
 
Proprio in quel momento, torna lui con i tre gelati in mano.
“Ecco qui,” dice, porgendoceli con un sorriso.
Io non commento, limitandomi a sorridere a mia volta, ma la conferma più inaspettata ai miei dubbi è arrivata così, all’improvviso, come una pugnalata. E per una cosa veramente banale.
Il mio cono è fragola e limone, quando i miei gusti preferiti sono cioccolato e panna. Mi rendo conto che Marco non li conosce, non ne aveva idea, e nemmeno io conosco i suoi.
Invece... invece i gusti di mia sorella lui li conosce benissimo, a quanto pare: il suo gelato è al cioccolato, con le nocciole tritate sopra.
Anche quello di Marco è al cioccolato.
Mi chiedo come faccia a sapere lui quello che piace a mia sorella. Non hanno mai parlato di gelato nemmeno nelle lezioni di cucina, ne sono sicura.
Lei lo ringrazia tranquillamente, e nessuno dei due sembra dar peso a questo aspetto, quasi fosse la cosa più naturale del mondo da sapere, tra colleghi.
Si conoscono veramente bene. Troppo.
So che Anna mi ha mentito, poco fa, e a questo punto direi che anche lui non è stato proprio sincero. Devo capire.
Il destino mi viene incontro perché, all’improvviso, sbuca fuori un pallone che becca proprio mia sorella, facendole finire parte del gelato sulla giacca.
Un bambino arriva di corsa, seguito dalla madre mortificata, che si scusa più volte.
“Non fa niente, davvero...” cerca di tranquillizzarla Anna. “La mia giacca è pure marrone, nemmeno si vede...”
La signora si scusa ancora, poi si allontana.
“Magari non si vede, ma ti conviene sciacquare la macchia come puoi...” suggerisco, e lei annuisce.
“Mi sa di sì... vediamo se trovo il bagno.”
Anche in questo caso, aspetto che mia sorella sia a debita distanza, prima di porre la stessa domanda che ho fatto prima a lei, a Marco.
“Metti che ci fossimo stati noi al posto dei protagonisti della leggenda... Se tu ci avessi aspettate fuori dal labirinto, e io fossi uscita per prima... Ecco... Al posto del principe, tu che faresti? Mi sposeresti?”
Marco è, per dire poco, sconcertato.
“Co-sposarti?” chiede, nel panico. “Sposarsi è... è una cosa... importante, cavolo... Bisogna rifletterci bene, su scelte così... Insomma, conoscere bene l’altra persona... viversi. Eh, una cosa così, su due piedi...”
Abbasso lo sguardo. Capisco che sta cercando di essere delicato, ma c’è poco da fare. Ha perfino usato quasi le stesse parole di mia sorella.
Tanto lo avevo già intuito, era solo una conferma che mi serviva. È evidente che lui non mi ami come sto iniziando a fare io... perché c’è Anna.
Come ho fatto a non accorgermene prima... c’erano già tutti gli elementi, e io li ho ignorati. Ho preferito non vedere quello che era già nato tra loro, perché c’era già, il sentimento. Io non ho voluto vederlo.
Così decido di essere diretta con lui. Sarebbe crudele da parte mia, fingere ancora.
“Dai, Marco...”
“Cosa?” fa lui, senza capire.
“Tu non mi ami. Ami Anna, vero?” chiedo, anche se non è una vera domanda. “Me ne sono accorta da un po’, e oggi avete confermato tutti i miei sospetti senza nemmeno accorgervene. Perfino dai dettagli... ad esempio, al labirinto, quando hai capito che non c’eravamo, hai chiamato per prima Anna e non me.” spiego, in tono di finta accusa, prima di fare una breve risata. “E vabbè, peccato, pensavo davvero che saresti stato quello giusto per me, ma... ho capito che non ho mai davvero avuto speranze, con te. C’è sempre stata mia sorella, solo che non me n’ero resa conto, e forse nemmeno tu. Ma adesso sì, ed è arrivato il momento di farmi da parte.”
Marco è davvero spiazzato dalle mie parole, glielo si legge chiaro in faccia.
“Io non... non so che dirti...”
“Solo una cosa, ma devi rispondermi sinceramente: hai pensato ad Anna mentre ascoltavi la leggenda, vero?”
“Sì.” dice, senza la minima esitazione.
“Bene, allora devi dirglielo.”
“Cosa? No, non posso... così...”
“Non è che non puoi, DEVI.” rettifico. “E ti aiuterò io. Adesso ti dico cosa devi fare... prima, però, hai un pezzetto di carta e una penna? Tanto mi sa che mia sorella ritarderà parecchio.”
 
Anna’s pov
 
Quando finalmente riesco a uscire dalla toilette, dopo la fila chilometrica anche per i lavandini, non trovo più Chiara e Marco seduti alla panchina dove li avevo lasciati.
Prendo il cellulare per chiamarli, quando noto sullo schermo un messaggio da parte di mia sorella, in cui mi dice che Marco le ha detto che il centro del labirinto è bellissimo e valeva la pena vederlo prima di andar via, così nel frattempo si sono avviati, e di raggiungerli.
Sapevo che un momento così sarebbe arrivato, oggi.
Cerco di farmi coraggio, mettendo su la mia migliore poker face, e mi inoltro tra le alte siepi alla ricerca del centro, seguendo le indicazioni del GPS di mia sorella.
Quando ci arrivo, però, non trovo nessuno. Mi avvicino alla splendida statua situata nel mezzo, notando sulla base un bigliettino tenuto fermo da un piccolo sasso. C’è il mio nome sopra, scritto con la calligrafia di Chiara.
Senza capire cosa stia succedendo, lo prendo, girandolo.
C’è scritto: “Scusa se mi sono intromessa nella tua fiaba.
Prima che possa fare alcunché, noto Marco apparire da dietro una delle siepi e avvicinarsi a me, con un piccolo sorriso imbarazzato sul volto.
Ogni domanda che potrei aver voluto porgli sfuma non appena mi rendo conto che mi sta baciando.
Le parole di mia sorella forniscono il tassello mancante del puzzle.
Ha capito.
Ricambio il bacio di Marco senza nemmeno rifletterci. L’ho desiderato troppo a lungo per tirarmi indietro proprio ora.
Ed è un momento magico... Solo adesso mi rendo conto di quanto mi fosse mancato, sentirlo così vicino a me.
Ma ho bisogno comunque di risposte.
Quando ci separiamo, e riesco a riprendermi abbastanza dal batticuore, biascico, “Perché... perché adesso?”
Lui non scioglie l’abbraccio.
“Perché Chiara ha capito che sono sempre stato innamorato di te, e che il resto era colpa della paura... ma che era arrivato il momento di dire la verità. Non che mi abbia lasciato scelta,” ride, e io faccio lo stesso, conoscendo bene Chiara, “ma aveva ragione. Come il principe della leggenda, però il destino può aiutare fino a un certo punto. E io sapevo già che sei tu, la donna che amo.”
Il mio cuore sta battendo così forte che temo possa uscirmi fuori dal petto.
Mi sento scoppiare di felicità.
Non riesco a rispondere subito, per cui gli getto le braccia al collo, baciandolo ancora.
Lo sento sorridere contro le mie labbra, mentre mi stringe forte a sé cingendomi la vita con le braccia, prima di sollevarmi da terra. Vista la differenza d’altezza tra noi, non gli viene poi così difficile... Mi stringo di più a lui, lasciandomi andare al momento.
Mi vien da ridere, perché per la prima volta nella mia vita mi sento davvero una principessa.
E decisamente non per i motivi delle fiabe - a partire dalle maniere eleganti, che non posseggo, né tantomeno per i vestiti (oggi mi mancava solo il gelato sulla giacca...) - ma per l’amore che vince su tutto. Non mi ero mai sentita così prima d’ora.
“Ti amo anch’io...” sussurro, i nostri occhi incatenati.
Lui mi bacia ancora e ancora, e vorrei tanto che questo momento non finisse mai.
“Solo una cosa,” fa Marco, a un certo punto, mentre io lo osservo interdetta. “A proposito della leggenda... Per il momento, va bene se ci limitiamo al fidanzamento? Ti amo, e non ho assolutamente dubbi sui miei sentimenti per te, ma per il matrimonio forse è un po’ presto...”
Trattengo una risata. “Mmmh, peccato... e io che speravo di convolare a nozze entro stasera!”
Marco scoppia a ridere per poi tornare a baciarmi, come se non fosse mai sazio.
Non che io mi lamenti...
Era da troppo tempo che ci aspettavamo. Adesso, finalmente, abbiamo avuto il nostro lieto fine.
E come si dice nelle fiabe, speriamo...
... e vissero per sempre felici e contenti.
 
 
 
Ciao a tutti!
Io e Martina progettavamo questa storia da un po’, e finalmente siamo riuscite a trovare il compromesso giusto.
Prende spunto dall’ultima ‘pillola’ trasmessa prima dell’ultimo episodio, ambientata in Val Tiberina, appunto. È l’ultima favola del Maresciallo C. per il piccolo Cosimo.
Noi non abbiamo dato una collocazione temporale precisa, ma diciamo che va all’incirca prima del penultimo episodio.
Speriamo vi piaccia!
Buon 2020 a tutti voi!
 
Mari

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Capitolo 28
*** Scene da un matrimonio ***


SCENE DA UN MATRIMONIO
 
Che bello tornare a lavoro.
 
No, sul serio. Soprattutto adesso. Ho bisogno di tornare alle abitudini sicure, dopo il colpo.
 
Quello che avrebbe dovuto essere uno dei momenti più belli della mia vita si è trasformato in un incubo: ero tornato a casa della mia futura sposa, che sarebbe diventata mia moglie il giorno dopo, perché avevo dimenticato la giacca nel pomeriggio, e mi sono trovato davanti la scena che nessuno vorrebbe vedere.
 
Lei, sul divano col mio migliore amico, i vestiti a terra, decisamente non lo spettacolo che mi sarei immaginato. Dire che fossero sorpresi è poco, e la cosa bella è che mentre Simone non ha fiatato ma ha solo piantato gli occhi a terra, Federica ha avuto la sfacciataggine di dirmi che in fondo me l'ero cercata, non ero l'uomo di prima.
 
Gran bella giustificazione.
 
Ovviamente il giorno dopo non mi sono presentato in chiesa, ci mancherebbe pure. Non avevo nessuna intenzione di vederla, e volevo subisse almeno un po' dell'umiliazione che lei aveva riservato a me.
 
Ho sfruttato la settimana del viaggio di nozze mancato per cercare di riprendermi. Non mi sarei di certo potuto presentare a lavoro in quelle condizioni disastrose. Sarò pure anticonformista, ma sono pur sempre un Pubblico Ministero, un po' di contegno devo mantenerlo. Soprattutto non mi andava che i miei colleghi mi vedessero in quello stato.
 
Una cosa l'ho decisamente capita dopo questi sette giorni, però: le donne sono tutte uguali, vogliono cambiarti a loro piacimento, sono convinte di prendere le decisioni migliori per tutti, salvo poi stufarsi e buttarti via. Sempre un passo avanti, così da essere pronte a rinfacciarti le cose o farti cadere alla prima occasione, per avere un buon motivo per scaricarti. Ah, naturalmente con tutta la ragione del mondo.
 
Non saprei dire quanto ho pianto in questi giorni. È imbarazzante da un certo punto di vista, ma è pur vero che sfogarsi così fa sentire davvero meglio. A volte è l'unico modo per buttare tutto fuori. Poi riesci ad affrontare il resto con più chiarezza. Se non altro, non te la prendi con chiunque. La rabbia un po' è sfumata, ma questo non significa che mi comporterò allo stesso modo. No. Non mi farò più fregare.
 
Quello che spero è che in caserma ci sia da divertirsi per un po', viste le novità.
 
Il Maresciallo Cecchini mi ha informato dell'arrivo del nuovo Capitano, e immaginate un po'? Ebbene sì, è una donna. Un'altra che vorrà di sicuro ribaltare il palazzo sottosopra perché non le andrà bene niente. Un classico.
 
Avrei voluto rendermi più presentabile per non mettermela contro a priori, ma purtroppo per me sono tornato ieri e ho scoperto che quella psicopatica della mia ex mi ha strappato tutte le camicie e buttato i vestiti. Ah, oltre ad essersi portata via la macchina. Almeno la moto mi è rimasta, visto che sono andato via con quella. La moto, e il cane. Pazienza.
 
Devo ammettere che ho fantasticato un po' su di lei, non ho cercato il suo curriculum di proposito. Non ci sono moltissime donne nell'arma, e ancora meno sono quelle con ruoli di potere. Ammetto di essere curioso, chissà come sarà. Non vedo l'ora di vedere con chi avrò a che fare per i prossimi anni.
 
Arrivo in piazza in moto ed eccoli, lei e Cecchini davanti all'ingresso della caserma.
È strano che mi stiano aspettando fuori, dopotutto io la caserma la conosco già, ero convinto di doverla raggiungere nel suo ufficio, di dover essere io a fare lo ‘sforzo’ di presentarmi.
Invece mi ha già sorpreso: è un comportamento molto professionale, il suo. Dopotutto, la caserma è il suo posto, io sono una sorta di ospite.
Stando al maresciallo comunque, la capitana, come la chiama lui, è una tutta rigore e dovere, ovviamente. C'è da dire che non è sempre attendibile quello che dice lui. Vedremo un po'.
 
Una volta sceso dalla moto e sfilato il casco, mi avvicino e getto un'occhiata ai due. Da lontano lei sembra perplessa, e mi viene da ridere. Chissà che le avrà detto il maresciallo di me.
 
“Dottor Nardi, bentornato.” Saluta lui quando finalmente li raggiungo. Io ricambio, ma la mia attenzione è rivolta ad altro.
 
Il maresciallo si è scordato un piccolo particolare, quando mi ha detto che il Capitano fosse molto giovane.
 
“Capitano Anna Olivieri.” Si presenta, porgendomi la mano con cipiglio confuso.
 
Non mi ha detto che fosse così bella.
 
“Marco Nardi, Pubblico Ministero.” Rispondo io, sorridendo e rispondendo alla sua stretta decisa. “Il maresciallo mi ha parlato molto di Lei.”
 
La sua espressione si fa infastidita. Che ho detto?
 
“Il maresciallo parla molto.” Si volta verso di lui, contrariata, una sottile nota ironica nella voce che non mi sfugge. “Anche a sproposito.”
 
“Il viaggio di nozze com'è andato?” Chiede Cecchini, cercando di deviare il discorso. Io lo guardo per un attimo, prima di tornare a lei. Niente da fare, non riesco a staccare lo sguardo da quei magnetici occhi verdi. Poi mi rendo conto della domanda, ma mantengo la calma.
 
“Niente matrimonio e niente viaggio di nozze. Ho cambiato idea.” L'espressione del Capitano è curiosa, non capisco cosa pensi. Mi rivolgo di nuovo a lei. “Prego, dopo di Lei.” Le dico con un gesto della mano. Capisco che la mia affermazione possa sembrare... ehm... indifferente, ma vorrei evitare di scendere nei dettagli. Meglio tenerli per me quelli, e poi voglio tentare di fare il gentiluomo.
 
“No, dopo di Lei. Io sono il Capitano, e Lei è un ospite. Prego.” Mi contraddice con espressione altezzosa.
 
Ah. Hai capito. Decisamente comanda lei qui, l'ha messo bene in chiaro.
 
Rido sotto i baffi. Mi divertirò di sicuro.
 
Salendo le scale, comunque, penso che al di là della prima, positiva impressione che possa aver avuto di lei, è senz’altro tutta apparenza. Tanto le donne sono tutte fondamentalmente uguali. Senza contare che, se in genere tendono a controllare tutto, figuriamoci se non lo fa un capitano dei carabinieri.
 
Anna’s pov
 
Non so che pensare.
 
Mi sarei aspettata un classico pm, di quelli in giacca e cravatta dall’aria seriosa e altera, e invece il Dottor Nardi è completamente l’opposto. Ok, non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina, però...
Non solo per l’abbigliamento - giacca di pelle, t-shirt e jeans, davvero? - o il suo mezzo di trasporto - per il fronte lavorativo, intendo, perché la moto non è niente male - è stato il suo atteggiamento in generale a stupirmi.
Sembra un tipo molto sicuro di sé, spavaldo nei modi, e troppo compiaciuto di sé per i miei gusti, però non ho potuto fare a meno di notare il cambiamento di espressione quando il Maresciallo gli ha chiesto del matrimonio.
Non sono riuscita a decifrare del tutto cosa ci fosse dietro al suo sguardo improvvisamente sfuggente e adombrato, ma ho intercettato una mezza bugia. Sono abbastanza brava a leggere il linguaggio del corpo altrui, e non credo di sbagliarmi nel pensare che anche lui sembra essersi costruito addosso una corazza parecchio spessa per nascondere tutto dietro.
In fondo, è quello che faccio anche io con la divisa.
 
Mi blocco sui miei passi a questo pensiero.
Sul serio può essere un punto in comune, con uno così?
 
Marco’s pov
 
Le cose vanno peggio di come avrei pensato. Quella ha già praticamente stravolto tutto, e vuole pure far trasferire Cecchini, sostituendolo con una donna. Di sicuro questa non gliela farò passare liscia.
 
Comunque, convochiamo la signora Mastropietro per interrogarla, relativamente al caso di omicidio che stiamo seguendo.
La donna non esita a rispondere alle nostre domande.
“Io e Claudio... il professor Torresani, avevamo una relazione.” spiega in tono neutro.
“Dovevate vedervi, ieri sera?” Le chiede il Capitano, in tono molto professionale.
“Sì, ma poi non me la sono più sentita, avevo appena parlato con Don Matteo...”
”Eh, una crisi di coscienza un po’ tardiva, no?” mi intrometto io senza riuscire a fermarmi. Mi becco un’occhiata di traverso dal Capitano, ma la ignoro. “Suo marito sapeva che aveva una relazione?”
“Non lo so, non credo.”
“Senta, suo marito ha detto che Lei ha cercato di avvelenarlo con della cicuta, è vero?” prova a pressare Cecchini, ma la donna nega.
“Ma no, non è vero... mio marito non sta bene.”
 
Quando lo convochiamo, il marito, il signor Mastropietro, si comporta all’opposto della moglie.
“Io... non ho idea di chi sia questo Torresani,”
“E come mai lo seguiva? Abbiamo trovato queste nel suo computer.” controbatte il Capitano senza farsi intimidire, stupendomi non poco.
“Allora? Adesso se lo ricorda? Lei ha scoperto che sua moglie la tradiva!” esclama Cecchini, facendomi venire un nodo alla gola, che cerco di mandar giù mentre mi alzo dal divanetto su cui ero seduto, e mi avvicino alla scrivania.
Questo caso non mi piace.
“È per questo che pensava che volesse avvelenarla, per toglierla di mezzo!” accusa Anna, tagliente.
“Ma Lei l’ha preceduta e ha fatto fuori il suo amante.” concordo io.
“No, no no no, non sono stato io, è stata lei!” Tenta di negare lui, poco convincente.
“Sua moglie? E perché avrebbe ucciso il suo amante?” Il Capitano di certo sembra non farsi fermare in nessun modo.
“Non lo so, ma è stata lei che- mi vuole fare impazzire!”
“Lei è in stato di fermo.” dico soltanto. Gli elementi ci sono tutti.
 
Mentre il Capitano esce, scortando all’esterno Mastropietro, penso al suo comportamento, che mi ha colpito parecchio. Ha condotto entrambi gli interrogatori in maniera brillante, e forse non è un caso che una ragazza così giovane sia già riuscita a fare già tanta carriera da essere arrivata fin qui.
È brava, certo, ma non sono convinto. In fondo, le donne sono tutte uguali, ti fanno credere di aver capito tutto, e invece ti rendi conto all’improvviso che non hai capito niente di niente.
 
E infatti, la sua pacatezza e professionalità sembrano svanire quando lei convoca in ufficio nientemeno che Don Matteo. Inspiegabilmente, direi.
“Mi faccia capire come funziona... la signora Mastropietro viene da Lei, e Lei si interessa del caso!” Esclama, alzando immediatamente i toni. Io scambio un’occhiata incredula col maresciallo.
“Veramente io mi interesso di Cecilia e di suo marito,” si giustifica semplicemente il prete, in tono pacato.
“Questa è la sua versione dei fatti. Un’altra versione è che Lei continua a fare proselitismo. Glielo dico io che cosa rischia: un’accusa per intralcio alle indagini!” replica però lei, in tono tagliente e freddo.
“Ma alla fine la verità è sempre una sola!” è la risposta di Don Matteo. Lei fa per ribattere quando intervengo io, mettendo fine a questa strana conversazione.
“Può bastare... grazie, Don Matteo, per la sua testimonianza. Mi dispiace per averla fatta aspettare.” faccio, aprendo la porta per lui e scambiando un altro sguardo con Cecchini.
Poi mi volto a guardare il Capitano.
“Perché ce l’ha tanto con quel prete?” Chiedo, sinceramente curioso.
“Io non ce l’ho con nessuno!” mi risponde, ma è evidente che è nervosa, scontrosa. Parecchio agitata.
“Ehm...” borbotta Cecchini, facendomi capire che c’è qualcosa sotto e che lei non sta dicendo tutta la verità. Non ci penso più di tanto, però, perché in fondo nemmeno io sono stato proprio sincero. Ma non ci conosciamo, e i fatti suoi non mi riguardano né mi interessano.
“Comunque... che ne pensa? A me sembra tutto troppo semplice.” riflette il capitano, riferendosi al caso.
Non sono d’accordo.
“I criminali sono semplici... la banalità è del male.” replico con ovvietà, senza esitare. Non ci deve per forza essere una spiegazione più profonda per tutto... tipico atteggiamento femminile. “Comunque poveraccio, eh?” Commento poi in tono sconsolato.
“Chi, scusi?” chiede lei, corrugando le sopracciglia.
“Come chi? Quell’uomo! Sua figlia muore suicida e sua moglie cosa fa? Gli mette le corna con un altro, gli ha dato il colpo di grazia!” Rispondo subito, infiammandomi.
Sì, la questione mi tocca da vicino, lo capisco eccome, quel pover’uomo.
“Certo, perché il tradimento giustifica un omicidio! Cos’è, siamo tornati al delitto d’onore?” fa però lei, contraddicendomi senza esitare. Nel suo tono, l’accusa è evidente.
“Non sto dicendo questo, solo che i tradimenti hanno delle conseguenze!”
Chissà se lo capisce, così. Non è che solo perché è una donna, ha meno colpe!
“Eh sì... sì,” borbotta Cecchini, beccandosi un’occhiata dal Capitano, che ha l’effetto che speravo non sortisse, perché lui si tira subito indietro. “però ha ragione Lei!”
Sposto lo sguardo dall’uno all’altra, che mi rivolge un sorrisetto compiaciuto.
Ma tu guarda cosa devo sopportare.
 
È solo il primo giorno, e ci siamo già scontrati parecchie volte. Praticamente pensiamo tutto all'opposto. Come si può intuire, non mi va a genio il fatto che sottovaluti la gravità di un tradimento. O che pensi che una donna non sia in grado di commettere un reato tanto grave come un omicidio.
Sarà anche bella, ma per il resto è proprio insopportabile.
 
Anna’s pov
 
Al commento del pm sui coniugi Mastropietro, sinceramente nemmeno mi stupisco.
Dopotutto, da uno che decide all’ultimo secondo di non sposarsi, cambiando idea, non mi sarei aspettata niente di diverso.
Anche se c’è qualcosa di strano nel suo modo di fare... è sempre sulla difensiva, ed è intervenuto più volte con osservazioni legate dallo stesso filo conduttore, durante l’interrogatorio. È come se inconsapevolmente volesse dire qualcosa di sé, ma poi si trattenesse o cercasse di dissimulare.
Comunque, non sono affari miei. Il suo atteggiamento mi infastidisce e basta. Soprattutto la sua costante pretesa di aver ragione a tutti i costi mi urta non poco.
Anche io voglio aver ragione, sono convinta delle mie idee, e se pensa che mi tirerò indietro fermandomi alla superficie si sbaglia di grosso.
Certo, la testardaggine è un altro aspetto in comune che mi irrita.
 
Durante la pausa pranzo, incontro casualmente Cecchini al bar - di nuovo col prete - e scopro che è andato a fare la spesa e che nel tempo libero cucina, oltre ad aver riflettuto sul caso.
Ammetto di essere sorpresa, questa è una cosa che non avrei pensato di associare al maresciallo.
Oddio, non è che me la beva così facilmente: Cecchini non mi sembra proprio il tipo da spesa e cucina, ma non si sa mai.
 
Marco’s pov
 
Una volta tornati in caserma dopo pranzo, controlliamo le telecamere di sorveglianza che hanno ripreso l’assassino.
 
“È l’unico accesso per arrivare a casa della vittima, sono le 20.14 e l’orario è compatibile con quello del delitto,” spiega l’appuntato Zappavigna.
“Quindi questo è l’assassino,” afferma il Capitano, indicando la figura sullo schermo.
“Potrebbe essere benissimo Mastropietro, ma ce l’abbiamo anche all’uscita?” chiedo io.
“Sì... Eccolo, 21.23.”
“Quindi l’assassino entra alle 20.14 ed esce alle 21.23... Un’ora e nove minuti dopo. Che ha fatto per un’ora e nove minuti?” Commenta stranita lei, rivolgendomi un’occhiata incerta. In effetti ha ragione.
“Forse lui e la vittima hanno discusso, magari cercava qualcosa,” prova Cecchini.
Lei non sembra convinta.
“Il problema è un altro... maresciallo, mi può recuperare il verbale di Mastropietro, di quando è venuto in caserma? Che ore erano?”  
“C’è scritto qua... 20.17.” Le risponde lui.
“Ah no, non può essere lui. Era in caserma, alibi perfetto.” Constato io, prima di avere l’illuminazione. “E chi ci dice che non sia una donna?”
“Ah... ovviamente sta pensando alla moglie,” Il tono da saputella che ha usato il Capitano non mi piace per niente.
“Ovviamente.”
“Maresciallo, può prendere il verbale del suo amico prete, per cortesia? Lo dia al pm!” Fa lei, con un sorrisetto compiaciuto.
“Okay, non può essere nemmeno lei. Alle 21.20 stava in canonica... testimone un prete.” Ammetto, sconsolato.
Quanto mi urta il fatto che abbia ragione lei.
“Sembra quasi che le dispiaccia” Ti pareva che non mi beccava. “Comunque il maresciallo ha ragione, dobbiamo ricominciare da capo. Cecchini, oggi è pieno di sorprese! Sa che va a fare la spesa e cucina anche?” esclama, piacevolmente colpita.
Io ascolto Ghisoni, entrato a riferirci un nuovo elemento, solo per metà, ancora fermo alla frase di lei, che esce per parlare con Zappavigna. Beh, anche io cucino, eppure non mi sembra di aver ricevuto complimenti in merito...
Scuoto la testa. Cosa me ne importa, in fondo? Lei nemmeno lo sa né lo saprà, anche perché mi sta antipatica, cosa pensa non mi riguarda.
Mi distraggo notando l’aria abbattuta di Cecchini.
Quando gli chiedo quale sia il problema, mi risponde che lo trasferiranno.
Io sono sconvolto.
Cosa? Quella è appena arrivata, e ha già deciso che il maresciallo deve andar via, dopo tanti anni di servizio qui e senza nessun motivo?
Torno a guardarla: non mi sbagliavo, le donne sono tutte uguali.
Peccato, perché stavo iniziando a rivalutarla.
 
Chiacchierando con il maresciallo davanti alla caserma sperando di distrarlo un po’, intravedo il Capitano andare via, non prima di aver teneramente baciato sulla guancia un ragazzo in giacca e cravatta. La cosa mi incuriosisce non poco.
 
“Ma chi è quello?” Mi informo, appoggiato alla moto.
 
“Quello è Giò, Giovanni. Quello è l'ex fidanzato della Capitana.”
 
“Ah!” Andiamo bene. “Ma... l'ha lasciata!” Furbo questo, ha capito prima di legarsi le mani con quella pazza.
 
Il maresciallo nega. “Peggio.” Risponde con tono solenne, facendosi il segno della croce. Oddio.
 
“No, sta morendo?” Se è così mi dispiace, poveri.
 
“No, che sta morendo... Si vuole fare prete!”
 
Mi trattengo dallo scoppiare a ridere. Dev'essere proprio disperato, e lei una pazza sul serio, per fare una scelta del genere. Poi però mi riprendo, sempre più convinto della mia idea. “Ha visto come ci riducono?”
 
“Chi?”
 
“Le donne, maresciallo! Io ho capito quello che sta facendo,” lo rimbecco, riferendomi al suo tentativo - inutile - di compiacere il Capitano, “ma non cambi mai per una donna!”
 
Lui cerca di negare, ma io insisto. Ormai nessuno me lo toglie dalla testa. Poi cambio argomento, ricordandogli della partita di domani. Almeno quello, non ce lo possono togliere.
 
Torno a casa, e per qualche motivo ripenso alla scenetta avvenuta poco fa in piazza.
Getto un’occhiata intorno a me, cercando di capire cosa mai abbia potuto fare Anna, o meglio il Capitano, da spingere il suo fidanzato a volersi fare prete.
È una scelta davvero drastica, in fondo.
Oddio, in parte forse lo capisco: lei è autoritaria (e se lo è in ufficio, figuriamoci a casa), sicura di sé, super professionale, già Capitano a soli 27 anni e con un curriculum da far invidia a chiunque... Miss Perfezione, insomma. Per certi versi, il suo modo di fare mi ricorda la mia ex, anche lei non ha mai avuto problemi a farsi obbedire alla lettera. Però...
Però c’è qualcosa che mi sfugge, in quello sguardo.
È una molto determinata, questo sì, ma ogni volta che la guardo negli occhi, è come se dietro la sicurezza superficiale, andassi a sbattere contro un muro.
L’avrò visto per una frazione di secondo, probabilmente, ma c’è un velo di malinconia dietro che non mi spiego.
Riflettendoci bene, c’è anche la sua apparente antipatia per Don Matteo.
Collego improvvisamente i due fatti: la volontà del fidanzato di farsi prete, e il parroco di Santa Eufemia.
Forse le questioni sono legate... forse c’entra qualcosa quest’ultimo.
Forse, il comportamento di lei, in effetti, è condizionato dalla scelta di lui.
Corrugo le sopracciglia: cos’è, lei dà la colpa a Don Matteo? Pensa che lo abbia plagiato? Ma... lo fa perché è realmente così, oppure perché cerca un capro espiatorio per non ammettere che è colpa sua?
C’è da dire che io, lei, non la conosco affatto fuori dalla caserma. Anzi, non la conosco affatto, punto. L’ho incontrata oggi, quindi qualsiasi cosa pensi di lei, non è certo definitiva. Non so che tipo sia nella vita privata - e onestamente mi ha sorpreso, vederla baciare lui in modo così dolce, non so nemmeno perché - quindi non posso giudicare.
Noto l’orologio appeso al muro, e sbarro gli occhi.
Perché cavolo sto pensando al Capitano da un’ora?! Sono rientrato che erano le 17.30, adesso sono le 18.30 passate.
Non so nemmeno io cosa mi è preso.
 
Anna’s pov 
 
Sono rientrata da poco in quella che adesso è casa mia.
Davvero non pensavo che le cose sarebbero andate così.
Ero convinta che, finalmente, io e Giovanni avremmo potuto cominciare la nostra vita insieme come si deve, adesso che abitiamo entrambi nella stessa città, e invece...
Rivederlo, oggi, non mi ha affatto aiutata, anzi.
Il mio umore è a terra.
Continuo a chiedermi in cosa ho sbagliato, perché non ho capito, non mi sono accorta di nulla... Incolpare il prete è la via più facile, ma so bene che lui c’entra poco.
È stato accanto a Giovanni quando io non c’ero, gli ha dato il sostegno che da parte mia gli è mancato.
Don Matteo non c’entra nulla, però, con la decisione di Giovanni, lo so.
E lo sa anche il pm, probabilmente. Avrà intuito qualcosa di sicuro, considerato che l’ho visto parlare con Cecchini mentre andavo via. Il maresciallo adora raccontare e occuparsi dei fatti di tutti, compresi i miei, quindi gli avrà detto come stanno le cose.
E lui avrà fatto due più due. Per quanto fastidio possa darmi, non gli darei ragione per nulla al mondo, però.
 
Quanto mi infastidisce, quell’uomo! Non avevo mai incontrato nessuno che detestassi a prima vista.
Non fa altro che contraddirmi. Per carità, è molto bravo nel suo lavoro, anche se detesto i suoi metodi (mi sono informata su di lui, ovviamente), ammetto che ci sa fare.
È testardo, questo si nota subito. Ma io lo sono più di lui.
È sicuro di sé, ma anch’io.
È terribilmente ironico e le battutine sarcastiche non risparmiano nulla. Di certo non vado a dirgli che in realtà mi fanno ridere, perché significherebbe dargli ragione, e abbiamo appurato che io non voglio dargliela.
In generale, comunque, è un uomo impossibile da gestire. Insopportabile. Quel sorrisetto strafottente perennemente stampato in faccia mi innervosisce come poche altre cose.
Però...
C’è qualcosa, nel suo modo di fare, che sfugge a questa facciata dura e misogina.
Non riesco nemmeno a capire cosa sia. Ma so che c’è.
Per certi versi, lo sento quasi affine, per quanto mi costi confessarlo perfino a me stessa.
Siamo diversissimi, eppure... so che lui non è solo quel che appare. Sono sicura.
Chissà se andremo mai d’accordo... dopotutto, dovremo lavorare a stretto contatto, me lo ritroverò giornalmente in caserma, e farci la guerra non è la soluzione migliore.
Senza contare che in fondo - molto in fondo - Cecchini finora ha avuto ragione su tutto, magari è vero che alla fine il pm mi piacerà...
Per il momento, spero solo di non passare le ore in ufficio a litigare con lui come ho fatto oggi.
 
 
Marco’s pov
 
Oggi abbiamo convocato in caserma una studentessa che ha avuto una relazione col professor Torresani, come la moglie di Mastropietro.
Abbiamo dovuto riaprire tutte le piste, ricominciare tutto da capo.
Il Capitano, dopo una veloce occhiata all’orologio, ci informa che al momento non abbiamo altri elementi. Prima che io e il maresciallo usciamo, però, ci blocca.
“Ah, un’ultima cosa...” dice, rivolgendosi principalmente a me. “Ho pensato di organizzare una cena con tutta la caserma, per conoscerci un po’ meglio... Maresciallo, naturalmente anche sua moglie e sua figlia saranno le benvenute. Volevo approfittare per invitare anche Lei, se le va e non ha altri impegni. Per domani, stasera so che c’è la partita e ho sentito che andrete a vederla.”
 
Resto sorpreso un attimo. Un pensiero gentile, lei?
“Perché no, è una bella idea.”
“Molto... e comunque non è un problema, a me la partita non mi piace,” si intromette Cecchini, al che io lo guardo sconvolto: ma che sta dicendo?
“Cosa? Maresciallo!” Cerco di rimetterlo sulla retta via.
“A me non mi piace!” torna a dire lui, “il calcio, la partita, a me non... io preferisco musica classica, operetta, opera...” elenca, mentre io spalanco gli occhi.
Il Capitano ha un sorrisetto compiaciuto. E ti pareva.
“Dottor Nardi, se ne faccia una ragione, ci sono uomini che riescono a sopravvivere anche senza guardare una partita di calcio.”
Io le rivolgo un’occhiata sprezzante. “Ah, sì sì sì, ha ragione, perfettamente, ma non è vita... sopravvivenza.”
Lei non si lascia intimidire, con mio enorme disappunto.
“La ringrazio per la giacca,” ribatte, invece, “anche se può fare di meglio. È stato un piacere.” conclude, afferrando chiavi e cellulare per poi uscire dal suo ufficio.
Io abbasso gli occhi sull’unica giacca che mi è rimasta - non so come mi sia trattenuto dal risponderle male - e mi rivogo a Cecchini.
“Maresciallo, io non la riconosco più!”
“Io ho cercato di bilanciare..”
“Ma cosa, la musica classica, cos’è?” Lo interrompo. Non può mica cercare di compiacerla a vita, per di più a suon di bugie! “Maresciallo, dignità!”
Ci salutiamo, dandoci appuntamento per la sera in ogni caso, perché a lei avrà anche detto che la partita non gli piace, ma a vederla verrà eccome.
 
Mentre guardiamo la partita, e subito dopo un goal eccezionale che decreta la vittoria, vediamo entrare in sala nientemeno che... il Capitano.
La osservo a occhi sbarrati. Mi fa uno strano effetto, vederla in un abbigliamento che non sia la divisa.
Certo che così è ancora più carina...
Cecchini non sa più dove nascondersi.
Riordino i pensieri, mi faccio coraggio e prendo la parola.
“Capitano, buonasera! Come mai da queste parti?”
Lei mi rivolge un’occhiata indagatrice. Quello sguardo così intenso mi mette in soggezione.
“Salve, Dottore. In realtà è una coincidenza, sono qui con mia sorella, vi ho intravisti dalla sala accanto e ho pensato di passare a salutare...”
Non avevo idea che avesse una sorella, ma Cecchini è nei guai. E infatti...
“Buonasera, Cecchini... non so, mi vuole spiegare cosa ci fa Lei qui?”
Lui diventa piccolo piccolo. “Ehhh, pure io passavo di qua, li ho visti e... sono rimasto a festeggiare.”
Bella scusa, se non l’avesse detta a una che non ci ha creduto nemmeno un po’.
“Non aveva detto che il calcio non le piaceva...?”
“Prima non mi piaceva, ora ho visto a loro e sono diventato tifoso dell’Italia.”
Di male in peggio.
“Certo... la musica classica, l’opera... carina, la messinscena.”
Ahia, mi sa che è meglio intervenire, anche se lui l’ha combinata grossa. Io l’avevo avvertito.
“Quale messinscena, mi scusi?” Lo difendo, però. “Lei vuol sostituirlo con una donna e lui sta cercando di fare tutto quello che può, anche se gli ho detto che tanto è tutto inutile.”
Adesso vede!
Lei mi rivolge uno sguardo incredulo, spalancando gli occhi verdi, prima di tornare con l’attenzione sul maresciallo.
“Chi ha mai parlato di sostituire?”
“L’ho sentita al telefono,” ribatte prontamente lui in tono arrabbiato, “ha detto che sono pigro, che non sono in forma, ‘meglio le femmine’, la mia scrivania non si sa che fine ha fatto...” elenca.
Lei abbassa lo sguardo, e ho la netta sensazione che stia cercando di trattenersi dall’urlare. Cos’è, pensava che non l’avremmo beccata?
Inspira a fondo.
“Al telefono stavo parlando del gatto di mia sorella,” spiega, e tutti arretriamo istintivamente di un passo. Cosa? “E domani arriva una scrivania migliore... per Lei! Non ho mai pensato di sostituirla,” afferma in tono leggermente deluso, prima di continuare, “fino ad ora.”
Incrocia per un attimo il mio sguardo, e torna di nuovo, in modo più evidente, quello che avevo già intravisto una volta: tristezza.
Dura solo un istante, poi lei ci saluta, voltandoci le spalle e andando via.
Capisco che il comportamento di Cecchini l’ha colpita più di quanto pensassimo.
Si sarà sentita presa in giro, sottovalutata. Non ha tutti i torti, in questo caso, il maresciallo avrebbe dovuto essere sincero.
Spero non sia troppo dura con lui, domani.
 
La giornata in caserma è stata lunga, e non siamo riusciti a venire a capo del caso.
 
La sera, mi dico che devo spicciarmi. Prima di andare alla cena con tutta la caserma,  ho una partita di calcetto con gli amici, ma meno male che mi sono portato dietro il completino. Ho fatto tardi, e mi stressa passare da casa due volte (ci dovrò tornare per cambiarmi prima di andare al ristorante) perché dovrei fare inutilmente il doppio della strada, così approfitto del fatto che il Capitano sia andata via, e mi cambio nel suo ufficio. Ho appena infilato i pantaloncini quando squilla il cellulare. È quella pazza della mia ex, non ci posso credere, ha pure il coraggio di chiamarmi per riavere il cane.
 
Le sto proprio dicendo che se lo può scordare quando mi giro e vedo... il Capitano. Chiudo immediatamente la chiamata in faccia a Federica senza pensarci due volte. “Oh, scusi.” faccio, in imbarazzo, mettendomi la maglietta. Dal suo sguardo direi che è quantomeno furiosa.
 
“Lei mi deve aver frainteso,” esordisce, cercando di evitare di guardarmi. “quando ho detto che poteva fare meglio intendevo almeno indossare una camicia.”
 
“Sì, ma io credevo che se ne fosse andata.” Pessima scusa, lo so.
 
“Già.” Appunto. “Ma la domanda è che cosa ci fa in mutande nel mio ufficio?!”
 
“No, aspetti, no, tecnicamente sono dei pantaloncini, questi.” Cerco di spiegarmi meglio. “È che ho una partita prima della cena e mi dovevo cambiare e allora... non mi andava di passare da casa. Scusi.” tento, con le mani giunte. Mi sa che non sto ottenendo grandi risultati, però.
 
“Lei è imbarazzante, lo sa?” Aspetta, non riesco a decifrare quello sguardo. Sono così da buttare?
 
“Mah, sono un po' fuori forma, però... non esageri.” Cerco di difendere il mio orgoglio maschile, ehi!
 
“Non per quello, e neanche perché si comporta da adolescente e usa il mio ufficio come spogliatoio.” Simpatica. E allora che ho fatto per meritarmi l'appellativo. “Lei è imbarazzante perché prima lascia la sua fidanzata sull'altare e dopo si vuole prendere anche il cane.”
 
Eh? Devo aver capito male. “Scusi?”
 
“È un paese, le voci corrono.”
 
Okay, ora la odio ufficialmente.
 
“Ah certo, io non sono un santo, come certi suoi amici.” Beccati questa. Non ha il diritto di parlare di cose che non sa, e forse fa bene il suo ex a farsi prete, almeno se l'è tolta di torno.
 
Lei ha un'espressione profondamente offesa, ma non mi dispiace per niente. “Sa, è un paese, le voci corrono.”
 
Si volta a prendere alcuni fascicoli dalla sua scrivania, e per un secondo temo che me li voglia sbattere in faccia. “Si sbrighi ed esca... con contegno, se ci riesce.” Mi rimbecca, prima di girare i tacchi e andare via.
 
Io ridacchio, prendendo il borsone. Oh sì, mi divertirò un sacco. Ma ci penserò dopo, pure alla cena, ma ora... partita!
 
Anna’s pov
 
Non ci posso credere!
Ok, accetto tutto, ho una caserma piena di uomini, ma non questo.
Ritrovarmi il pm mezzo nudo in ufficio non rientra tra le scene a cui ci tenevo ad assistere.
Dire che sono arrabbiata è poco. È di una sfacciataggine assurda! Cambiarsi, non so, in bagno, gli sembrava troppo complicato da fare? È il mio ufficio, come si è permesso? Per di più, ci mancava la telefonata con la ex, e la battutina sulla mia relazione. Quindi non solo ha capito, l’altro giorno, mi sfotte pure!
Meno male che mi sono tenuta a distanza, ho rischiato di prenderlo a colpi di fascicolo, giuro.
La cosa che più mi innervosisce è che mi tiene testa e mi prende in giro senza mai passare il confine dell’educazione.
Non è mai abbastanza diretto da permettermi di rimetterlo in riga come si deve, accidenti!
La frecciatina su Giovanni non mi è piaciuta affatto.
Io avrò anche fatto lo stesso con la sua ex, ma parliamo di situazioni diverse. È stato lui a lasciare lei sull’altare, per di più ora vuole pure il cane, mentre nel mio caso, il mio fidanzato mi ha lasciata per entrare in seminario... non c’entra niente.
Cavolo, quanto non lo sopporto!
 
Marco’s pov
 
A calcetto, sono stato distratto per tutto il tempo.
Avevo la testa ancora ferma alla conversazione col Capitano.
Farla innervosire sta diventando il mio sport preferito. Adoro stuzzicarla, provocarla per avere una sua reazione, c’è qualcosa che mi spinge a cercare sempre lo scontro, con lei.
Forse davvero non è come le altre.
Non pensavo mi avrebbe tenuto testa in quel modo, poco fa. Era chiaramente una situazione di disagio, per lei, ma non si è lasciata intimorire. Quello sguardo indispettito mi ha divertito non poco, a prescindere dalla sua insinuazione.
Certo, io le dicerie le sto aumentando col mio atteggiamento, quindi non è che posso biasimarla più di tanto.
Comunque sia, devo darmi una mossa a cambiarmi. Ci manca solo che arrivi tardi alla cena e la faccia infuriare ancora di più con me.
Togliendomi il casco, rimango interdetto: perché mi importa tanto quello che può pensare lei, ora?
Mah.
Comunque sia, ho a mala pena il tempo di pensarci, che mi rendo conto che la porta di casa mia è spalancata.
Entro, guardingo, senza sapere cosa aspettarmi, e ci trovo dentro l’ultima persona che vorrei vedere.
Federica, la mia ex.
 
“Che ci fai qua?” le chiedo freddamente. Questa non ci voleva proprio.
“È anche casa mia,” dice lei con ovvietà.
“No, non più. Ti sei presa la macchina, mi hai buttato via tutti i vestiti e mi hai strappato le camicie. Dimmi cosa vuoi da me!”
“Non ti sei presentato il giorno delle nozze, in chiesa, e mi hai fatto fare la figura della cretina.” ha il coraggio di dirmi.
“Tu andavi a letto col mio migliore amico... l’ho scoperto la sera prima delle nozze... cosa ti aspettavi? Mi dici cosa vuoi da me?” Torno a chiedere, alzando di nuovo i toni.
“Patatino, è il mio cane e me ne occupo io.”
“No, Patatino me lo tengo io, almeno lui mi è stato fedele.”
Federica esita solo un attimo, prima di voltarsi verso la parete di fronte.
“Quello,” fa indicando una tela, “è il quadro che ho scelto io, ne converrai anche tu che devo prenderlo.”
Le rivolgo un’occhiata incredula.
“Prenditelo e sparisci.” dico soltanto, andando via.
Dopo qualche minuto, lei si decide finalmente ad andarsene.
 
Ci mancava solo questa per migliorare il mio umore, stasera. Dire che sono furioso è poco.
Nonostante i buoni propositi, arrivo comunque tardi alla cena, e l’idea che stiano aspettando tutti me e possa sentirmi fare una ramanzina non riesco a mandarla giù.
 
Arrivato al ristorante, saluto appena. Non riesco a celare il mio nervosismo.
Nessuno dice nulla, neppure lei, ma il timore del suo giudizio mi rende ancor più irrequieto, e finisco per trattare involontariamente male tutti.
Partecipo poco, e quelle due parole che dico sono al limite dell’educazione.
Sarebbe stato meglio se fossi rimasto a casa. Avrei dovuto sapere che la visita della mia ex avrebbe compromesso la serata. Mi ha già rovinato la vita, dopotutto.
Sono tutti interdetti, di solito non mi comporto così. C’è disagio nell’aria e so che è colpa mia. La birra che ho bevuto peggiora le cose.
Il Capitano, poi, diventa il mio bersaglio preferito, tanto può contraddirmi poco in questo contesto.
 
Vista l’atmosfera poco rilassata, vanno tutti via poco dopo aver finito di cenare.
Tutti, tranne una persona.
Anna.
Non capisco perché sia ancora qui. Avrebbe avuto tutto il diritto di andarsene via per prima, eppure è rimasta indietro.
Avverto una strana sensazione in fondo allo stomaco quando lei solleva lo sguardo, puntando le sue iridi verdi colme di preoccupazione su di me.
 
Anna’s pov
 
Sono andati via tutti, visto lo strano comportamento del pm.
Io sono rimasta, però.
Ha litigato con tutti, lui, perfino con me, senza un vero motivo.
Non capisco perché si sia comportato così, quando abbiamo battibeccato in caserma era tranquillo.
Non so cosa sia successo nel frattempo, ma non mi andava di lasciarlo da solo, adesso. Non so perché io sia rimasta, in realtà, però vorrei tentare di capire.
Cerco di incrociare il suo sguardo, che mi ha evitato per tutta la sera.
“Posso... sapere cos’ha stasera?” provo, esitante.
Lui però non cede. “Non sono affari suoi.”
Non che non me lo aspettassi, ma se pensa che possa liquidarmi con una risposta così, si sbaglia.
“No, certo, però... penso di meritarmi una spiegazione, dopotutto non ha fatto altro che trattarmi male senza che io facessi nulla.”
Lui mi riserva un’occhiata gelida.
“Non sono tenuto a dargliela.”
Mi impongo di restare calma. La mia preoccupazione resta.
Probabilmente c’entra la sua ex, col suo comportamento, considerato la faccia che ha fatto in caserma quando l’ho nominata, e il modo in cui le parlava al telefono.
Non solo per il nervosismo di oggi, in realtà, ma in generale, per il suo modo di pensare sulle donne. Sembra avercela a morte col genere femminile, e la cosa mi urta.
Non solo perché non va bene generalizzare, ma perché non si giudica mai una persona senza sforzarsi di conoscerla, e forse nemmeno in quel caso si dovrebbe.
E poi, le sue provocazioni gratuite, stasera, mi hanno offesa parecchio, anche se ho cercato di non darlo a vedere.
Ma non mi voglio arrendere.
“Naturalmente no,” concedo, “ha ragione, non sono affari che mi riguardano. Volevo solo dirle che... comunque sia, anche se siamo solo colleghi di lavoro e non ci conosciamo affatto, al di là delle nostre differenze di vedute... insomma, se ha bisogno di parlare con qualcuno, sa dove trovarmi.” Dico semplicemente, prima di andare via, lasciandolo da solo al tavolo.
 
Torno a casa a piedi, cercando di dare un taglio alla strana ansia che mi ha assalito poco fa.
Non so nemmeno perché ho insistito tanto con lui, perché ho reagito in quel modo.
È stato terribile lui, con me, perché mai dovrei aiutarlo?
Ripenso alla scena in ufficio di qualche ora fa, alla sua voce che, seppur piena di rabbia, tremava. C’era dolore nei suoi occhi.
Ricordo la mia reazione quando Giovanni mi ha detto di voler diventare sacerdote.
Speravo fosse tutto uno scherzo, o di aver capito male. Speravo fosse un incubo.
L’unica cosa che sono riuscita a fare è stata fuggire, io che non sono mai scappata davanti a niente.
Ero talmente sconvolta, paralizzata, da non riuscire nemmeno a piangere.
Non l’ho ancora fatto. Non ce la faccio. È come se fosse tutto bloccato dentro.
Non riesco a sfogarmi, ma nonostante io stia malissimo, è evidente che io sia capace di controllare le mie emozioni meglio del pm. Non che io gliene faccia una colpa.
Forse anche lui sta soffrendo per amore, dopotutto.
È un’altra cosa che abbiamo in comune.
Stanno iniziando a diventare troppi, questi aspetti, adesso.
Forse non siamo così diversi come pensavo.
Però... ogni volta che io cerco di fare un passo verso di lui, lui me fa cento indietro. È come se volesse tenermi a distanza, come se avesse paura del genere femminile. Era sulla difensiva anche con la signora Mastropietro e con Lucilla, la studentessa universitaria, e si trattava di banali interrogatori. Lavoro, insomma.
Forse ho commesso l’errore che non avrei dovuto fare, giudicarlo troppo in fretta.
Magari il matrimonio saltato non è davvero colpa sua, o non solo.
Lui non aiuta, però, comportandosi così.
Io vorrei solo che cercassimo di andare un po’ d’accordo, perché lavorare insieme così è davvero difficile.
 
Marco’s pov 
 
Quando rientro a casa, l’arrabbiatura non mi è ancora passata.
Ce l’ho con tutti. Anzi, ce l’ho solo con Federica, e con me stesso.
Le sto permettendo di controllare la mia vita anche se non stiamo più insieme, tanto che me la prendo con chiunque mi capiti a tiro che appartenga al gentil sesso.
Ossia Anna. Cioè, il Capitano.
Non riesco a capire il suo comportamento di poco fa, al ristorante.
Durante la cena ha sì risposto per le rime, ma in modo molto più pacato, cercando di spegnere le provocazioni, piuttosto che alimentarle. In questi giorni non ho fatto altro che trattarla male, in generale, eppure poco fa è stata l’unica a restare con me.
Non mi conosce affatto, al contrario degli altri che non si sono dati la pena di indagare, eppure è rimasta. Mi ha offerto aiuto nonostante io continuassi a respingerla.
Mi ha teso la mano nonostante io avessi solo provato ad attaccarla.
L’ho giudicata troppo in fretta, forse. In fondo lei non ha nessuna colpa, se non quella di essere diversa da Federica. Sì, è una colpa, questa. Perché significa che ho sbagliato su di lei, e ammetterlo mi dà fastidio. È diversa, merita di essere conosciuta per bene, senza fretta o pregiudizi, anche solo per poter lavorare meglio insieme. Ma non posso ammetterlo, questo.
Io le donne le odio, non voglio averci più niente a che fare, non voglio avvicinarmi a nessuna nemmeno per sbaglio.
E Anna non la sopporto, non sarà una semplice, apparente differenza con Federica a farmi cambiare davvero idea su di lei.
Neppure il fatto che mi tenga testa con quella sicurezza.
Che sia determinata, tosta... intelligente, competente. Ma anche sensibile e gentile. Bella...
Mando giù il nodo alla gola.
Va bene, tanto sono a casa da solo, così posso ammetterlo.
Lei mi affascina, e parecchio. Sono molte le cose di lei che mi attirano. E la conosco appena da qualche giorno.
Ma nonostante l’offerta di pace, sono certo che anche lei mi detesta allo stesso modo, quindi non cambia nulla. È più facile continuare come abbiamo fatto finora.
 
Il giorno dopo, chiudiamo il caso in mattinata, e alla fine avevamo ragione tutti e due, sia io che il Capitano. Entrambi i coniugi erano colpevoli.
 
Approfitto del momento per tentare di arginare il danno che ho combinato.
 
“Io volevo scusarmi per ieri sera,” esordisco, ma lei sorride come a minimizzare la cosa. Continuo lo stesso. “No, no, davvero. Sono stato imbarazzante, oltre ad averla offesa.”
 
“Lasci stare, io ho esagerato.” mi risponde però lei, con tono gentile. “Le sue questioni personali non mi riguardano.” Forse ho davvero sbagliato a giudicarla così in fretta. Forse.
 
“Già, alle volte le cose non sono così semplici come sembrano.” le rispondo, e mi rendo conto di parlare anche per me. Non la conosco, e d'altra parte non so perché il suo ex abbia preso quella scelta, né altro su di lei. Certo, pure lei avrebbe potuto evitare quelle affermazioni, ma diciamo che io l'ho provocata. E al ristorante è stata molto gentile con me, anche se me lo meritavo affatto. “La saluto, Capitano.” Le faccio un cenno, facendo per andar via.
 
Lei però mi ferma.
“Aspetti...”
Io mi volto verso di lei, sorpreso.
Mi rivolge uno sguardo timido ma risoluto.
“Mi chiedevo se... le andava di ricominciare tutto da capo, di lasciarci alle spalle tutto quello che è successo in questi giorni e ripartire da zero.”
Io la osservo per diversi secondi, esterrefatto.
Non me lo aspettavo, eppure io stesso mi ero detto, ieri, che non bisogna mai fermarsi all’apparenza. Che non tutto è come appare.
Forse potremo davvero andare d’accordo, noi due.
Così decido di accettare la sua proposta, e le porgo la mano, il cuore inaspettatamente più leggero.
 
Anna’s pov
 
Marco allunga la mano verso di me, e mi sento sorprendentemente felice.
Osservo la sua espressione e mi accorgo che sembra diverso, più rilassato, un sorriso sincero che si fa strada sul suo volto senza che lui lo trattenga.
Mi tornano in mente le parole di Cecchini all’arrivo del pm in caserma. “Sono sicuro che le piacerà”, aveva detto.
Forse ci aveva visto bene, lui, aveva guardato più in là, oltre la corazza che entrambi ci siamo costruiti addosso o, più semplicemente, ha capito subito che le nostre diversità avrebbero solo potuto avvicinarci.
Mentre mi chiedo dove mai ci porterà questa nuova avventura insieme, finalmente cominciata, mi accorgo che Marco mi fissa, la mano tesa, aspettando ancora una risposta da parte mia.
Ricambio il suo sorriso, stringendogli la mano.
“Capitano Anna Olivieri.”
“Marco Nardi, Pubblico Ministero.”
 
 
Eccoci qui, giunti alla fine di questa avventura.
Fra tre giorni inizierà la nuova stagione di Don Matteo, la numero 12, e chissà cosa ci aspetta...
Intanto, il modo più giusto per concludere questa serie di ‘finali alternativi’ dell’undicesima stagione, ci sembrava questo: tornare al primissimo episodio che li ha visti insieme. Spianare loro la strada.
Per chiudere il cerchio.
Ho l’impressione che ci rivedremo molto presto con un’altra raccolta - perché di sicuro ci saranno altri ‘finali’ che non resisteremo alla voglia di modificare - ma, per il momento, godiamoci i nuovi episodi.
Vi ringrazio tanto per avermi fatto compagnia in queste storie, e spero che le altre vi piaceranno altrettanto.
Grazie alle mie brainstormers, Federica, Clarissa e Martina, senza le quali questa raccolta non sarebbe forse mai nata.
A prestissimo,
 
Mari
 
 
 
 
 

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