Spin the Bottle

di aeru_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hopeless ***
Capitolo 2: *** Friends ***



Capitolo 1
*** Hopeless ***


- Prologo -
 

Hopeless







     Perché sorprendersi o buttarsi giù a quel modo? Dopotutto, le cose con Annie non erano mai andate poi così bene, fin dal principio.

     All'università nessuna ragazza gli aveva mai fatto il filo, o dato alcun tipo di attenzione — eccezion fatta per quelle due simpatiche compagne di corso che di tanto in tanto venivano a chiedergli gli appunti di greco antico e linguistica, chiaramente.

     Si poteva dire davvero tutto sul riservato, gentile, timido, disponibile e intelligente Armin Arlert, meno che fosse un ragazzo in grado di attirare l'attenzione. Ed è sempre stato così, fin dalle elementari.

     Per tanto, si potrebbe dire più che giustificabile e comprensibile il fatto che sia letteralmente andato fuori di testa, dopo essersi sentito dare del tipo con le palle da una collega di lavoro per averla coraggiosamente difesa da un paio di pervertiti di cui era in balìa.

     Era un complimento come un altro, e oltretutto detto con una certa indifferenza. Ma per Armin si era trattato di tutt'altro che una banalità: per lui era stato il complimento, quello che aveva fatto scattare un meccanismo automatico e irreversibile nel suo cervello, dettato da un disperato desiderio di trovare finalmente una persona speciale con cui stare. 

     In altre parole, Armin era arrivato alla frutta: tutto solo come un cane per vent'anni! Del resto, alle elementari e alle medie aveva avuto ben altro a cui pensare — andiamo, con Dragon Ball, Dylan Dog e la Playstation che riempiono le giornate, chi è che aveva bisogno di una ragazza? Ma poi... Al liceo arrivarono prepotenti le prime cotte, e con loro anche le prime delusioni d'amore, accompagnate da una consistente serie di rifiuti che non fecero che scoraggiarlo sempre e sempre di più. E per quanto ci riflettesse su, non riusciva davvero a capirne la ragione!

     "Ma ti chiedi pure il perché, allocco? Guarda che i topi di biblioteca senza uno straccio di vita sociale non se li fila nessuno!". Questa era stata la franca e simpatica spiegazione del suo amico Connie.

     Giunto all'università, accecato dalla solitudine e dal desiderio di assaporare finalmente il dolce frutto di un amore giovanile, era arrivato al disperato punto in cui persino un semplice e banale battito di ciglia sarebbe stato in grado di fargli palpitare il cuore. 

     Per questo a dare il via a quella che è stata l'arida e piatta relazione di Armin ed Annie, furono proprio quelle tre semplici e fredde parole: hai le palle. E c'è da sottolineare che, prima di allora, i due non si erano mai accorti l'uno dell'esistenza dell'altra — pur lavorando come camerieri nello stesso ristorante!

     Nessuno aveva capito come fossero riusciti ad avvicinarsi, o addirittura a mettersi insieme: erano profondamente diversi, sotto ogni aspetto! Col senno di poi, nemmeno Armin è riuscito a spiegarsi come sia stato possibile per entrambi riuscire ad andare avanti per due mesi.

     Annie era sempre stata torva e solitaria: le piaceva avere i suoi spazi, e rinunciava volentieri alla compagnia altrui per starsene tranquilla per i fatti propri. Era fredda, distaccata, spesso insofferente e restia alla tenerezze: ma dietro la sua facciata severa e dura come il granito, che sembrava tradire insicurezza e una gelida indifferenza al mondo che la circondava, nascondeva una grande forza d'animo, enorme sicurezza e profondo spirito di osservazione. Frequentava il secondo anno di medicina, ma non aveva ancora ben chiaro il campo in cui specializzarsi. 

     Per quanto riguarda Armin, si poteva dire che fosse la sua controparte più solare e allegra: anche se un po' timido, gli piaceva circondarsi di amici e, soprattutto, di amiche. Alle volte, era fin troppo accondiscendente, per certi aspetti goffo e impacciato; spesso remissivo e terribilmente assoggettato alla forte personalità di Annie. Tuttavia, il suo carattere tremendamente gioviale e socievole, e la sua indomabile tendenza ad affezionarsi forse fin troppo facilmente alle persone che gli stavano attorno, non erano altro che uno schermo volto a celare una profonda sfiducia in se stesso e un terribile bisogno di fuggire la solitudine che tanto lo spaventava. Era iscritto alla facoltà di lettere antiche: era una matricola, ma aveva già le idee chiare, e la sua ambizione era quella di diventare professore.

     Non c'era una sola cosa che avessero in comune, dai gusti musicali al più banale degli interessi: come per Armin l'amore sfegatato per i fumetti che invece Annie si rifiutava anche solo di prendere in mano; o la passione per le arti marziali della ragazza che lui, al contrario, evitava come la peste, del resto come qualsiasi altra disciplina sportiva, in cui era sempre stato terribilmente negato.

     A causa degli impegni di entrambi, si vedevano solamente nei fine settimana.  Al ristorante non sempre avevano gli stessi turni, ma quand'anche fosse, non avevano certo il tempo e, per quanto riguarda Annie, più di tanto la voglia di stare vicini o di mettersi a parlare. 
Dati i gusti diversi di entrambi, difficilmente riuscivano a mettersi d'accordo per uscire insieme: Annie preferiva le passeggiate al centro commerciale o, al massimo, in città; dall'altra parte, Armin proponeva uscite fuori porta, passeggiate al parco o, magari, delle avanscoperte in fumetteria per vedere le nuove uscite del mese. Se non era Armin ad accontentare la ragazza, finivano per passare il tempo chiusi nell'appartamento dell'una o dell'altro. E no, le coccole non erano quasi mai un'attività che Annie — almeno con Armin — si prestava volentieri a fare: abbracci, baci, effusioni di ogni genere... Era già tanto se fossero riusciti a fare sesso un paio di volte! Le loro conversazioni erano tenute in piedi esclusivamente dalla vivace parlantina di Armin, disposto a tutto pur di riempire anche con il più ridicolo dei discorsi il rumoroso silenzio imbarazzante che spesso si faceva largo fra loro. 

     Insomma, formavano una coppia piuttosto inusuale. Anche se, chi lo sa, c'è da dire che con tutta probabilità, all'inizio deve essere stata proprio questa profonda diversità fra loro a fare incuriosire entrambi l'uno dell'altra.

     Se non che gli ingranaggi dell'orologio della loro relazione, a quanto pare, fossero già segnati da un triste destino: col passare del tempo presero a rallentare e ad arrugginirsi fino a bloccarsi del tutto, e non c'è stato olio o orologiaio alcuno in grado di farli smuovere.

     Chiunque li vedesse, non avrebbe mai detto che stessero assieme. La stessa Mikasa, migliore amica di infanzia di Armin, gli aveva fatto notare più e più volte quanto forzato fosse il loro rapporto.

     «Armin, quand'è che vorrai darmi retta? Devi chiudere questa storia, una volta per tutte!»

     «Ma n-no, Mika. Va tutto bene, davvero—»

     «No che non va bene! Ma non lo vedi? Non è una cosa seria, stai solo perdendo il tuo tempo con lei! È evidente che non potete più andare avanti in questo modo!»

     «Mikasa, non preoccuparti: è solo un periodo un po' così... V-vedrai che si sistemerà tutto...»

     Benché gli amici e la realtà stessa gli sbattessero in pieno viso come effettivamente stessero le cose, era fin troppo difficile per lui accettare che tutto stesse andando a rotoli. Sperando di illudere la razionalità, nascondeva ingenuamente i problemi sotto il tappeto, ignorandoli e facendo finta di niente: non importava se non ci fosse compatibilità, o se ad ogni giorno che passava lui ed Annie si stessero allontanando sempre di più: lui non voleva tornare da solo! 

     Ma era ovvio che una situazione del genere non potesse che avere vita breve. E infatti, due settimane prima dell'esame di Storia Medievale, e solo pochi giorni dopo quella conversazione avuta con Mikasa, una foto compromettente girata da @kirschtain.horse01 su Instagram, finì sotto gli occhi di Armin: si trattava di Annie, che si scambiava un bacio alquanto appassionato con un nerboruto spilungone di forse due metri. Qualche giorno dopo, avrebbe scoperto che si trattava di un compagno di corso di lei, un certo Berthold Hoover. 

     L'immagine era accompagnata con tanto di commento da parte del mittente: "Armin, ma questa non è Annie??! Dove cazzo sei?! Ti stai facendo fottere la ragazza!" La delicatezza e la finezza sono sempre state due imprescindibili virtù di Jean Kirschtein.

     Qualche istante dopo, aveva preso ad intasare il centro notifiche del cellulare di Armin una serie di messaggi di Mikasa, traboccanti di preoccupazione e, naturalmente, accompagnati da una consistente quantità di iraconde minacce rivolte ad Annie: "Armin, tutto bene?", "Jean mi ha detto tutto!", "Mi spiace così tanto... Mi spiace tantissimo...", "Giuro che quando beccherò quella là, la ridurrò in poltiglia!", "Sta' a vedere, prendo la mia katana e la faccio a pezzetti: parola mia!", "Armin, guarda che ti sto chiamando! Rispondimi!", "Armin, mi stai ignorando!?".

     Lì per lì, lo sconcerto e l'attonimento erano stati tali da sconvolgere e successivamente arrestare ogni attività cerebrale del ragazzo. 

     Fissata la fotografia per cinque minuti abbondanti, con occhi vuoti e svuotato da ogni emozione, un'improvviso scatto di furia cieca lo aveva spinto a gettare violentemente il telefono a terra. Le mani strette in due solidi pugni, il viso contratto in una smorfia macchiata di cupa indignazione e rossa rabbia: aveva preso a scaraventare a terra i tomi di storia cosparsi sulla sua scrivania e sui quali era stato immerso fino a quel momento, mentre lacrime amare avevano iniziato a solcare il suo viso una dopo l'altra.

     «Va... Vaffanculo!» aveva urlato poi, le mani prima portate a stringere e tirare il suo caschetto corto color granturco e subito dopo a strizzare il suo viso tutto umido. «Vaffanculo! Vaffanculo Annie, e vaffanculo anche me! V-Vaffanculo!» 

    Armin detestava imprecare: in tutta la sua vita, forse gli era scappato qualche "cacchio", e si era sentito terribilmente in colpa la prima volta che dalla sua bocca era uscito un lieve e, quasi impercettibile, "Oh, cazzo!". In quell'occasione, aveva davvero perso il controllo: era fuori di sé, gli occhi completamente annebbiati dall'ira, a stento riusciva a riconoscersi! Dopo essersi sfogato si era buttato sul letto, e lì vi era rimasto per le successive ore, soffocando sul cuscino il pianto accorato e afflitto che non aveva potuto fare a meno di contenere.

     C'erano voluti dei giorni prima che riuscisse a riprendersi. Non del tutto, chiaramente, ma quanto bastava per rimettersi sui libri e riprendere la preparazione per l'esame di storia imminente: non aveva intenzione di farsi abbattere, sperava che lo studio gli avrebbe permesso di accantonare almeno in quel frangente il tema Annie Leonhard. Non ne valeva la pena, si diceva. Piangersi addosso e perdere tempo a quel modo per una relazione che, tutto sommato, non era davvero stata altro che un gioco, e la cui fine era stata sancita fin dall'inizio, non aveva alcun senso.

    «Senti, Armin. Facciamola finita.»

     Alla fine, per quanto avesse cercato di eludere quella situazione con l'ansia per la sessione, dopo una settimana di assoluto silenzio e totale assenza, e solo tre giorni prima dell'esame, Annie si era fatta avanti, pronta per mettere un punto definitivo a quella storia tanto ridicola. 

     «Inutile continuare a prenderci in giro o fare finta di niente.»

     «Annie, io—»

     «Mi sto vedendo con un'altra persona, Armin. E mi piace. Mi piace davvero molto.»

     «...»

     «Mi dispiace, ma tra noi non può funzionare. In nessun modo. Perciò, chiudiamola qui. Da oggi in poi, ognuno per la sua strada.»

     Limpida, diretta e imperturbabile: Annie non si smentiva mai. Per quanto le sue parole fossero state dei potenti e letali pugni alla fragile sicurezza di Armin, non poteva assolutamente darle torto: quella che era stata loro storia, sempre se così si potesse definire, era una vera e propria barzelletta. Tant'è che, lì per lì, non era riuscito a spiccicare una sola parola: si era limitato ad annuire a testa bassa, borbottando versi e parole incomprensibili persino a lui stesso.

     Eppure, per quanto si trovasse pienamente d'accordo con lei, per quanto da una parte non poteva che sentirsi sollevato di aver chiuso una relazione che, di fatto, sapeva bene non avrebbe giovato in alcun modo a nessuno dei due, ma che anzi, avrebbe finito per tramutarsi in una vera e propria tortura, dall'altra non riusciva a contenere un'incredibile tristezza che, a poco a poco, stava rosicchiandogli il cuore.

     Come biasimarlo? Era tornato solo, amareggiato e privo di ogni sicurezza. Annie era stata la sua prima esperienza, la sua prima ragazza... Insomma, la sua prima volta. Quella prima volta. E ciò che più temeva, era che sarebbe stata anche l'ultima! Se lei aveva accettato di stare con lui, doveva essere senz'altro stato per pena: così aveva sempre pensato. E se lui aveva cercato in tutti i modi di far ingranare una relazione che era destinata a morire sin dal principio, e in cui lui stesso, in fondo in fondo, non aveva poi creduto più di tanto, è perché non voleva tornare nuovamente da solo: quando avrebbe incontrato un'altra ragazza che lo avrebbe degnato di qualche attenzione? Mai, così si diceva.

     Armin era il tipo in grado di circondarsi di centinaia e centinaia di dolci e affezionate amiche, come Mikasa, Sasha o Mina... Ma certo non di spasimanti o ammiratrici. Era sempre stato accantonato e rifiutato da tutte le sue cotte, e oltretutto con la solita, noiosa e dolorosa scusa del "sei solo un carissimo amico". In Annie aveva visto l'opportunità di riscattarsi finalmente da quella fastidiosa posizione, ma alla fin fine non si era trattato che di una mera illusione.

     Come se non bastasse, a quanto aveva sentito dire dai pettegolezzi che gli erano giunti alle orecchie, era stato rimpiazzato subito da quel fantomatico Berthold...

     Terminata definitivamente la sessione estiva — per altro, conclusasi con dei risultati oltremodo deludenti e che minacciavano seriamente la media del trenta che per un anno intero aveva tanto faticato a raggiungere — Armin si era segregato nel suo ristretto e modesto appartamento, con l'intenzione di consumare lì rinchiuso il resto dell'estate. 

     Non voleva vedere nessuno, solo crogiolarsi nella sua solitudine e rassegnarsi all'idea che, volente o nolente, sarebbe rimasto scapolo a vita...

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Capitolo 2
*** Friends ***


- Capitolo 1 -


Friends






     Una settimana. Sono passati già sette lunghi, interminabili giorni dall'ultimo esame della sessione e, di conseguenza, anche dall'ultima volta che Armin ha visto la luce del sole.

     Barricato nella sua camera, se ne sta perennemente spalmato sul letto, con indosso quella che, oramai, è divenuta una seconda pelle a tutti gli effetti, visto che in tutto questo tempo non si è mai cambiato e, di conseguenza, non ha nemmeno fatto una doccia: si tratta del pigiama regalatogli da Mikasa qualche mese fa — pantaloncini e maglietta a maniche corte decorati con paffuti e sorridenti panda stilizzati. Completamente dimenticatosi di se stesso, se ne sta lì fermo a vegetare, con nessuna intenzione di scollarsi da quella superficie tanto soffice e accogliente — se non per estrema necessità, ovvero andare in bagno.

     Provato e, a giudicare dal viso un po' scavato, anche con qualche chilo in meno, fissa il soffitto grigio con occhi vacui circondati da scure occhiaie, la labbra secche leggermente schiuse, il respiro lento e flebile. 

     E meno male che si era ripromesso di non farsi abbattere troppo! 

     Non ha la benché minima idea di che giorno o che ore siano, come del resto nemmeno da quanto tempo si ritrovi a contemplare il vuoto pensando e ripensando a tutti gli accadimenti dei tre mesi e mezzo appena passati: dal giorno in cui ha incontrato Annie, all'ultima volta che si sono parlati; i due mesi difficili che ha passato con lei, gli avvertimenti di Mikasa, tutti i segnali che aveva finto di non vedere... Al solo pensiero che avrebbe potuto evitare di ridursi in questo stato pietoso, se solo avesse dato retta al buon senso o quanto meno ai suoi amici e, in particolare, alla sua migliore amica, si sente sprofondare sempre di più nel pozzo angusto dell'abbattimento e della vergogna.

     Sospira scorato, e si gira di un lato portando le ginocchia al petto. Il suo stomaco si contorce e borbotta fragoroso reclamando disperatamente del cibo: è da giorni che ignora i morsi della fame. In realtà, è troppo stanco per alzarsi in piedi, fare quattro metri scarsi per arrivare in cucina e andare a rovistare nel frigo e nelle credenze, solo per constatare di essere costretto ad uscire per fare la spesa.

     «Che ore saranno...?» mormora tutto intorpidito, soffocando il viso nel cuscino. 

     Le sue iridi cristalline guizzano rapide verso la finestra serrata: le tapparelle sono ermeticamente chiuse, ma la luce calda del sole riesce comunque a filtrare debolmente dalle loro fine e strette fessure. Scuote la testa, constatando la sua totale confusione e l'assenza di lucidità nella sua mente spossata. Inspira profondamente, l'aria chiusa e viziata della stanza riempie i suoi polmoni appesantendolo, e subito libera uno sbadiglio che farebbe invidia anche al più impigrito dei leoni...

     Bzzzz!

     Il cellulare. Che strano, nonostante non lo metta in carica da un bel pezzo, continua ad essere miracolosamente in vita! Armin non se ne è reso conto, ma proprio lì sulla sua scrivania, seppellito sotto una caterva di cartacce, fogli e libri di ogni genere, in tutto questo tempo quell'aggeggio non ha fatto altro che vibrare ogni due per tre, segnalando l'arrivo di chissà quanti messaggi e altrettante chiamate perse. Anche adesso insiste a grugnire, producendo senza interruzione lo stesso fastidioso ronzio di un calabrone sgraziato. 

     BzzzzBzzzz!

     «Ma... Non la smette più?» Si stropiccia gli occhi infastidito e, con la stessa scioltezza di un bradipo, le mani a massaggiare le tempie doloranti per il mal di testa, si mette finalmente seduto.

     Trascinato dalle acque più profonde e impetuose del suo flusso di coscienza e rinchiuso in una bolla ovattata che lo ha allontanato — per non dire alienato — dalla realtà circostante, nella settimana passata era come entrato in un coma che gli ha inibito i sensi e ogni percezione. Vorrebbe solo essere lasciato in pace, evitare di uscire e allontanare così anche la più remota possibilità di incappare in una strada, un negozio, un bar che magari lo porterebbe a ricordarsi di Annie... O peggio, quella di incontrare proprio lei, magari mano nella mano con quel colosso di ragazzo che si è trovata. 

     Assolutamente no! È una mera questione di amor proprio: un altro schiaffo spietato alla sua autostima e al suo orgoglio, già di per sé irrimediabilmente fragili, non sarebbe in grado di reggerlo...

     BzzzzBzzzz! Bzzzzz!!

     E il telefono continua a vibrare insistente: produce un borbottio rabbioso, al punto da sembrare quasi un instancabile rimprovero! Ora che si è momentaneamente ridestato dal coma in cui era stato inghiottito, un briciolo di senso di responsabilità e, probabilmente, anche qualche senso di colpa nei confronti di chi lo starà cercando, spingono Armin a scivolare lentamente giù dal letto. Mogio mogio si avvicina alla piccola scrivania in fondo alla stanza, i piedi nudi si trascinano con estrema fatica sul pavimento lucido e fresco.

     Dissotterra il cellulare ancora ronzante dalla montagna di ciarpame sotto cui era nascosto e, non appena ne sfiora lo schermo con un dito, viene subito investito dalla luce accecante del blocco schermo. Con un lamento, richiude gli occhi di getto, neanche li avesse puntati dritti dritti sul sole. Fa un altro tentativo, e stavolta, nonostante il pizzicore fastidioso iniziale, gli occhi stretti in due fessure arrossate e lucide, riesce finalmente a focalizzare il centro notifiche proiettato sul piccolo touchscreen.

     Sbianca per un attimo: settecento cinquantasei messaggi Whatsapp dal gruppo della sua compagnia, altri quarantadue da parte di Mikasa, della quale seguono anche ben tredici chiamate perse.

     «A-Accidenti...» 

     Un brivido percorre la sua schiena per intero, e un'interminabile cascata di sensi di colpa lo travolge all'istante. Non osa visualizzare i messaggi: ne scorre rapidamente le anteprime, e ad ogni parola accorata e di incoraggiamento dei suoi amici, gli si stringe subito il cuore. Con che coraggio, adesso, risponderà a tutti? Ma soprattutto, con che coraggio risponderà a lei...

     BzzBzz! Bzzzzz!!

     Sussulta. Ora, il nome di Mikasa spicca al centro dello schermo a caratteri cubitali, segnalando una sua chiamata in arrivo, la quattordicesima per essere precisi. Il suo pollice si avvicina tremante al tasto verde, il cuore in esagitazione prende a correre all'impazzata e la bocca si prosciuga tutta d'un colpo. Trattenendo il fiato e con i brividi a fior di pelle, risponde alla chiamata e avvicina lentamente l'aggeggio all'orecchio: «Pront—»

     «Spiegami. A che diavolo ti serve un cellulare, se poi non lo usi per rispondere ai messaggi e alle chiamate? Eh, Armin?!»

     Cerca di deglutire il groppo incastrato proprio lì, nella sua gola, assieme ai sensi di colpa che, con insistenza, riemergono dal suo cuore forti e imperiosi.

     «Ciao, M-Mikasa...»

     «'Ciao' un corno! Ti rendi conto da quanto non ci sentiamo?!»

     «Scusami, i-io—»

     «Ma ti pare il modo di comportarsi, Armin? Sparire in questo modo? Senza più farti sentire o vedere da anima viva?!»

     «Mika—»

     «Ma che cavolo ti passa per la testa?!» 

     Piomba quindi un denso silenzio, che un sospiro lungo e scorato dall'altro capo del telefono si appresta a riempire con prepotenza. 

     «Ero preoccupatissima per te, stupido...» Inspira profondamente. «Lo eravamo tutti! Ma perché sparire così? Se stavi così male, avresti potuto farti sentire almeno una volta! Insomma, lo sai che puoi contare su di noi! Gli amici servono anche a questo: sostenersi, aiutarsi—»

     «L-Lo so, Mikasa!» la interrompe Armin, la voce sommessa ma al contempo ferma, quanto quella di un bambino che, in un attimo di risolutezza, cerca di ribattere ai rimproveri della madre. «Tu e i ragazzi siete molto importanti per me: siete fantastici, e vi voglio un gran bene! Io non... Non so nemmeno io cosa mi sia preso. Ho sbagliato a sparire così, è vero, però avevo davvero un gran bisogno di stare da solo con me stesso, riflettere un po' e... Ho finito per perdere la cognizione del tempo, e—»

     «Armin, per me puoi anche decidere di partire per l'Himalaya e farti monaco: è una tua scelta, e pertanto la rispetto. Ma nel momento in cui tu, prendi questa decisione senza dire niente a nessuno e sparendo di colpo dalla faccia della terra, senza farti vedere o sentire più, allora sì che me la prendo con te!» lo rimbecca severa e con un tono duro quanto il granito. «Sarebbe bastato un messaggio, Armin: 'Ehi, ragazzi, state tranquilli. Vorrei stare da solo per prendermi un po' di tempo per me stesso. Ci risentiamo fra qualche giorno'.»

     «...»

     «Sappiamo tutti cosa stai passando, e siamo preoccupati per te. Vorremmo solo sapere come stai, starti vicino, darti una mano in qualche modo.»

     Ritorna il silenzio, l'atmosfera è talmente tesa da tagliare l'aria col coltello. Alla fine, Armin abbassa il capo vinto e si passa una mano sulla fronte tutta aggrottata: non c'è molto da dire, la sua amica ha pienamente ragione. «Mi dispiace,» mugugna pentito. «Ti chiedo scusa, Mika».

     «Mh...» La ragazza soffia snervata dell'aria. «Vedi di farti sentire anche dagli altri, e di farlo quanto prima. Capito?»

     «S-Sì, va bene...»

     Dai rumori che provengono dall'altro capo del telefono, pare che sia fuori casa: si sentono le auto sfrecciare poco lontano, e i tacchi delle sue scarpe che picchiettano sulla strada piastrellata scandendo un'andatura spedita.

     «Bravo. E adesso, vieni ad aprirmi la porta.» E subito l'acuto trillare del citofono riecheggia rumoroso nell'appartamento, facendo sussultare Armin per lo spavento. 

     «Sono qui fuori.»

«Cosa?!» Da una rapida occhiata alla casa ridotta a un disastro: vestiti per terra, cartacce e briciole disseminate come coriandoli sul pavimento, il lavello della cucina pieno di stoviglie sporche, un centimetro di polvere sugli scaffali, finestre sigillate e l'aria viziata e umida che riempie l'ambiente... È dall'inizio della sessione che non da una sana ripulita a questo tugurio, vale a dire quasi tre settimane. Si guarda poi dalla testa ai piedi: a parte il fatto che deve puzzare come una bubbola, visto che non vede la doccia da una settimana, sa bene che la sua faccia è sicuramente ridotta un emerito schifo.

     «Ma...! Avresti anche potuto avvisare, adesso io—»

     «Ci ho provato, mio caro» lo rimbecca lasciando trasparire dalla sua voce alterata una nota di acido sarcasmo. «Ma eri troppo impegnato a non rispondere.»

    Colpito e affondato. Armin si morde la lingua, sospira esasperato prendendo a passeggiare avanti e indietro: come può accoglierla in quelle condizioni? Ma no, è troppo imbarazzante!

     «Però, Mikasa—»

     «Armin, sono venuta qui per te, eh! Non vorrai lasciarmi qui fuori come uno stoccafisso? Avanti. Poche storie, e vieni ad aprirmi.» 

     Riattacca di colpo, e il campanello inizia a suonare a ripetizione: ogni nota raggiunge e tedia il timpano di Armin, che con una smorfia afflitta e esasperata non può fare altro che rassegnarsi.

    Non ha scelta. Fa a tempo a raccogliere qualche vestito malamente gettato a terra assieme a qualche cartaccia, prima di andare verso la porta di ingresso pieno di vergogna come un ladro. 

     Dopo aver aperto con l'apposito tasto sull'apparecchio del citofono il portone che dà accesso all'interno del condominio, infila la chiave nella serratura della porta, e al penultimo giro prende un respiro profondo: forza e coraggio!

     I tacchi veloci di Mikasa che battono sulle scale in marmo, risuonano sempre più vicini con il loro picchiettio deciso e cadenzato. Armin ha lasciato la porta socchiusa, e nel frattempo continua a tentare di dare una rapida e disperata rassettata un po' qui e là: fra una cosa e l'altra, si ritrova a reggere un cumulo di carte, vestiti e oggetti di ogni sorta fra le braccia, formando un fagotto informe e pesante.

     Vorrebbe trasferire quel malloppo in camera, ma mosso il primo passo verso di essa, la porta si spalanca con un acuto cigolio per chiudersi subito con un colpo deciso.

     Si volta di scatto, incontrando i cerulei e profondi occhi di Mikasa, ora stretti in due intransigenti fessure. 

     I capelli neri quanto la pece, e acconciati in un elegante taglio corto, sono leggermente scarmigliati. Come se non fosse già abbastanza alta — o almeno, lo è senz'altro molto più di Armin — ora si ritrova sopra un bel paio di zeppe di forse una decina di centimetri; porta un semplice paio di jeans blu notte e una graziosa blusa dalla vivace fantasia floreale piuttosto scollata, che mette in bella mostra il suo ondeggiante petto prosperoso. 

     Lascia cadere il suo zainetto in pelle a terra, per iniziare ad incedere silenziosa verso di lui. Sul suo candido viso lindo e fino, semplice e senza un solo filo di trucco, giace una smorfia dura e accigliata. Lo scruta severa dalla testa ai piedi, ma a mano a mano che gli si avvicina, le sue labbra piene e rosee si fanno sempre e sempre più tremule, la fronte liscia e le sopracciglia fine si contraggono, gli occhi diventano lucidi e le sue braccia, lunghe e flessuose, si stendono e si protendono con slancio verso il ragazzo, che intanto lascia cadere a terra il cumulo informe di vestiti e cianfrusaglie faticosamente raccolto poco prima. 

     «Ma come ti sei ridotto...» Le sue parole escono in un filo di voce tutto tremante, mentre si china leggermente per stringerlo a sé in un lungo e affettuoso abbraccio. 

     Lui ricambia timido la stretta, il visetto un po' scavato sprofonda nell'incavo del collo di lei, immergendosi nel dolce e delicato profumo di lavanda che emana. Le dà qualche pacca sulla schiena, lasciandosi scappare una risatina accorata: «E-Ehi, va tutto bene. Tranquilla...».

     «Tutto bene?!» Ripete sbalordita e afferrandolo con una mano affusolata per la mascella. 

     Lui la guarda con occhi sbarrati e intimiditi senza emettere un solo suono; mentre Mikasa continua a studiarlo preoccupata, lo sguardo tremulo e lucido da cui traspare un'indomabile apprensione materna di cui mai, fin da quando era una ragazzina, è riuscita a liberarsi. 

     «Qui non c'è proprio niente che vada bene, Armin!» Gesticola tutta alterata indicando prima lui e subito dopo l'intero appartamento attorno a loro. «La casa è un disastro... E tu... Tu sei pelle ossa...» Interrotta da un singhiozzo, ritorna a stringerlo con apprensione, il suo respiro è strozzato, quasi stia trattenendo un pianto imminente con tutte le sue forze.

     Armin cerca di calmarla e rassicurarla come può, ma si rende conto di essere tutto meno che credibile. Il suo cuore, avvolto dal gelo fino ad oggi, inizia a scaldarsi a poco a poco grazie al calore rassicurante di quest'affetto, e ben presto anche i suoi occhi si fanno liquidi di lacrime. Soffoca allora il viso sulla spalla della ragazza, per nascondersi dalla vergogna e al contempo per cercarvi ancora di più questo conforto di cui sente di avere tanto bisogno ma che, stupidamente, ha voluto fuggire per due intere settimane. 

     In tutto questo tempo passato da solo a rimuginare, non si era proprio reso conto di quanto gli fosse mancata questa stretta così dolce e materna che Mikasa gli ha sempre offerto fin da quando erano bambini. 

     Scioltosi fra le sue braccia, prende a scusarsi senza sosta piagnucolando come un bimbetto, aggrappandosi alla cara amica che gli è sempre stata vicino, al pari di una sorella. 

     Mikasa, forse più di chiunque altro, rappresenta quanto di più importante abbia mai avuto: una piccola mamma, un riferimento, una roccia che non lo ha mai abbandonato e che, puntualmente, non perde mai un'occasione per dimostrargli l'infinito bene che gli vuole.    


 

🌊


 

     Dopo aver obbligato Armin a farsi una benedetta doccia, la ragazza non ha perso tempo, e ha preso a dare una sistemata in giro. Spalancate tutte le finestre, permettendo alla luce e a una buona quantità di aria fresca e nuova di permeare in quel ristretto e soffocante ambiente, ha dato una rapida spazzata dappertutto, spolverato i quattro mobili che arredano il piccolo appartamento e ripulito la cucina. Se l'è presa con discreta calma, visto che il ragazzo è rimasto sotto l'acqua della doccia per una ventina di minuti abbondante.

     Uscito dal bagno, lindo e cambiato, lo ha obbligato ad accomodarsi sul divano e a non alzare un solo dito per aiutarla: Armin ha provato in tutti i modi a fermarla e rassicurarla che ci avrebbe pensato lui, ma Mikasa, perentoria come sempre, non ha voluto sentire ragioni. Si è occupata anche della sua camera: i libri sulla scrivania, le cartacce a terra, i vestiti sparsi in giro... Tutto è stato messo a posto in meno di dieci minuti. Più o meno, insomma.

     Avviata la lavatrice e richiuse tutte le finestre, ha dato una spruzzata del suo profumo alla lavanda che porta sempre con sé in borsa un po' qui e là. Si guarda attorno soddisfatta, passandosi una mano sulle fronte e fra le ciocche di carbone: «Adesso va molto meglio,» sospira.

     Rapida ed efficiente, impeccabile e precisa: è riuscita a riportare l'appartamento in uno stato che si può dire decente in meno di mezz'ora, lasciando Armin sbigottito, oltre che in imbarazzo e anche pieno di infinita riconoscenza.

     «Esci così?» gli domanda poi rimettendosi in spalla lo zainetto.

     «Uscire?» Si irrigidisce, fissandola con occhi sbarrati, per poi abbassare lo sguardo a fissare i comodi pantaloncini corti da casa e la fresca canotta bianca che ha indosso. «P-Perché?»

     Mikasa gli si avvicina e, afferratolo per mano, lo costringe ad alzarsi in piedi: «Perché in casa non c'è niente da mangiare, e tu hai bisogno di mettere qualcosa sotto i denti.» 

     Trascinatolo per un orecchio in camera, che Armin si ritrova a fissare stralunato ora che è finalmente tornata luminosa, in ordine e un po' profumata, gli punta il dito contro e stringe gli occhi in due fessure strette e minacciose.

     «Mettiti qualcosa di decente e andiamo. C'è un bar poco lontano da qui, no? Andiamo a fare colazione.»

     «Ma sono le undici passate—»

     «Non importa, facciamo colazione

     Richiude la porta con un colpo secco, senza dargli tempo di proferire altro. Inutile insistere o ribattere: Armin glielo deve. Aperto l'armadio, afferra la prima polo che gli capita sotto mano e un paio di jeans. Rivestendosi, rimane visibilmente stupito nel notare come entrambi i capi gli calzino un po' più larghi. Sospira affranto.

     Mikasa lo sta già aspettando sulla soglia della porta d'ingresso. Gli fa un cenno secco e rapido col capo e lui, obbediente, si affretta a mettere le scarpe, prendere la sua borsa a tracolla e seguire la ragazza fuori.

     Durante il tragitto verso il bar che, data la vicinanza all'appartamento, raggiungono tranquillamente a piedi, nessuno dei due emette una parola. Il biondo segue l'amica curandosi di rimanere alle sue spalle, silenzioso e col capo basso. Lei procede davanti a lui con passo spedito e deciso. In meno di cinque minuti, erano già seduti a un tavolo di Delizie da Sina

     «Per me un cappuccino, e un paio di cannoli alla crema,» ordina per prima Mikasa.

     «Io vorrei solo un caffè macchiato, per favore...» Mentre la cameriera annota nel suo blocchetto, Armin riceve una pedata sullo stinco: l'amica di fronte a lui lo squadra con occhi sbarrati e minacciosi, a braccia conserte, comunicando un messaggio chiaro quanto diretto. «Anzi... P-Portami anche un tartufino al cioccolato,» mugugna in un lamento di dolore. 

     La donna aggiunge l'ordinazione annuendo con un sorriso affabile, e se ne scappa via lasciando i due da soli. 

     Armin tiene gli occhi bassi, studiando con scrupolo ogni rigatura scura del legno del tavolo, nella speranza di riuscire ad ignorare le iridi cerulee proprio lì davanti a lui che imperterrite lo fissano con apprensione e, al contempo, severità.

     «Allora,» soffia infine la ragazza. «Cosa pensi di fare, mh? Hai intenzione di reagire, o vuoi continuare a buttarti giù in questo modo?»

     Armin scuote le spalle, le labbra si sforzano di piegarsi in un sorriso che trasuda amarezza. «Che vuoi che faccia, Mikasa? Cosa ti aspetti da uno come me?» sospira profondamente, passandosi una mano fra le ciocche dorate. «Dopotutto, sono solo un povero scemo, no? Ho fatto tutto da solo: mi sono illuso, ho scambiato la mia disperazione per amore, ho lottato per qualcosa in cui io per primo non ho mai creduto davvero... E tutto questo l'ho fatto solo perché non volevo tornare da solo». 

     Il volto di Mikasa si contrae, aggrotta le sopracciglia scure e fine, lo sguardo liquido di compassione. Armin tiene i gomiti puntati sul tavolo, gli occhi perennemente bassi, il visetto scarno su cui giace una pesante e scura afflizione. 

     «E proprio perché sono un povero scemo, ho finito per isolarmi da tutto e tutti... Hah, non è contraddittorio?» Sforza una risata, e si asciuga rapido una lacrima che, spontanea, aveva preso a solcargli la guancia. «Proprio io, che detesto stare da solo, ho finito per allontanare i miei amici. Sai, nemmeno io mi capisco, Mikasa. Ma tu, voi... Non dovete sforzarvi di farlo per me. Non vi merito. Un povero scemo come me, forse, merita proprio di stare da solo...»

     Ritorna il silenzio. Poco dopo, la cameriera ritorna con le ordinazioni di entrambi: posa lo scontrino assieme ai caffè e alle paste. I ragazzi la ringraziano, e Armin contempla assorto il suo grazioso tartufino, una pallina graziosa e invitante, ricoperta di scuro cacao amaro. 

     Cogliendolo alla sprovvista, Mikasa afferra con prepotenza la sua mano: lo guarda risoluta e seriosa, stringendolo con fermezza e decisione.

     «Può anche darsi che tu sia uno scemo, Armin» inizia con voce piatta. «Ma si da il caso che tu sia il nostro scemo, e non sta a te decidere chi ti merita o meno: lascia che siamo noi a farlo.» 

     Il ragazzo sbarra gli occhi, il cuore sussulta e subito viene preso da uno stretto nodo alla gola.

     «Non ti abbandoneremo tanto facilmente. Io non ti abbandonerò, Armin. Non ti lascerò solo in un momento tanto difficile come questo. Puoi contare su di me, come sempre. Sono o non sono la tua migliore amica?» Conclude con un sorriso tenero e pieno di dolcezza.

     Armin deve coprirsi subito il viso, visto che si sta deformando per il suo pianto di commozione. Che cosa avrà mai fatto per meritarsi una persona del genere? Non se lo sa proprio spiegare, ma ringrazia il Cielo mille e mille altre volte per avergli fatto un dono tanto speciale e prezioso.

     «G-Grazie...» mugugna tra un singhiozzo sommesso e l'altro, stringendo di rimando la mano di Mikasa. «Grazie, davvero...»

     «Non devi ringraziarmi, Armin. Non per questo...» sorride lei. «Se vuoi, puoi farlo per quello che sto per dirti adesso.»

     Rialza lo sguardo a fissarla confuso, gli occhi lucidi e altre due lacrime che scivolano lente sulle sue guance. 

     «Come ti ho detto, né io né gli altri abbiamo intenzione di lasciarti solo.» Lascia andare la mano di Armin, per fare un rapido sorso del suo cappuccino. Si rimette composta sulla sedia e si schiarisce la voce. «Hai bisogno di staccare, soprattutto di stare in compagnia... Cercare di divertirti, ecco.»

     Le spalle di Armin si incurvano un po', incassa la testa fra le spalle, mantenendo una smorfia sempre più interrogativa.

     «Io, Jean e gli altri abbiamo organizzato una vacanza al mare. La famiglia di Jean ha una casa a Kanares, hai presente?, una bella località di mare poco lontana da Stohess.»

     Lui annuisce confuso, le sopracciglia aggrottate, cercando di capire dove voglia arrivare.

     «Ecco, Jean ha convinto i suoi a darci le chiavi della sua bella villetta estiva: staremo da lui per un paio di settimane. Ci saremo tutti, Sasha, Connie, Marco, Marlo, Hitch... Forse si uniranno persino Ymir e Historia: stiamo ancora aspettando un loro messaggio di conferma.» Fa un altro sorso del cappuccino e da un morso ad uno dei due succulenti cannoli straboccanti di crema al limone. «Mancheresti solo tu, Armin.»

     Il ragazzo sobbalza di getto sulla sedia, gli occhi sbarrati e increduli. 

     «Io?!»

     «Oh, sì. Proprio tu.» Inizia a mangiare il secondo cannolo, gustandolo per bene con un sorriso appagato, per non dire estasiato. «Partiamo dopodomani. Oggi ti aiuto a fare la valigia, dopodiché verrai direttamente a stare da me, così non dobbiamo preoccuparci di venirti a prendere—»

     «Aspetta, aspetta un attimo!» la
interrompe gesticolando freneticamente con le mani. «I-Io non so se posso: avevo promesso al nonno che sarei andato a trovarlo; poi non vorrei essere di peso, rompere le scatole, ecco... Insomma, poi il sole... Lo sai, con la pelle che mi ritrovo devo fare attenzione—»

     «È già tutto deciso, Armin. Venire a proportelo era solo una mera formalità.» Finisce di bere il cappuccino, per poi ripulire la bocca rosea con un fazzoletto di carta. «Non ci sono scuse che tengano. Il nonno andrai a trovarlo quando sarai tornato. Per la tua pelle, basterà trovare una buona protezione solare.»

     «Ma... Ho gli esami di fine agosto! Io devo studia—»

     «Hai appena finito questa sessione e già pensi a quella dopo?» Lo fulmina con un'occhiataccia dura e accigliata. «Che pazienza che ci vuole con te... Armin, luglio è appena iniziato, avrai tutto il tempo del mondo per studiare. Non saranno due settimane lontano dai libri a fare la differenza. Perciò, mettitela via, mio caro: tu vieni con noi.»

     Il ragazzo si affloscia sul tavolo. L'idea non l'entusiasma poi molto: per quanto il mare gli sia sempre piaciuto, si rende conto di non essere esattamente dell'umore adatto per una vacanza. Non perché non voglia stare con i suoi amici, quanto più per la paura di influenzare l'umore del gruppo con il suo: giù di corda e depresso com'è, potrebbe anche essere un peso per gli altri.

     Rialza lo sguardo supplichevole su Mikasa, la quale invece mantiene la sua espressione imperturbabile e intransigente. 

     «Dai, Armin...» lo incinta ancora, stavolta con occhi addolciti e giungendo le mani di fronte a lui. «Se non vuoi farlo per te stesso, allora fallo per me e per gli altri, mh? Andiamo, ne hai bisogno più di chiunque altro.»

     Il ragazzo scuote la testa e porta gli occhi al cielo, mentre una miriade di pensieri contrastanti che turbinano nella sua mente non fanno che aumentare il suo essere irrimediabilmente combattuto. 

     Il suo sguardo torna nuovamente su Mikasa, deciso a insistere nel rifiutare la proposta. Ma la vista di quegli occhi dolci, fa morire all'istante ogni sua volontà: come può farlo, senza ignorare i terribili sensi di colpa che sa lo attanaglierebbero per le seguenti settimane? Si morde il labbro, e libera un lungo sospiro con cui dichiara ufficialmente la resa totale.

     «Va bene...» sussurra impercettibilmente.

     «Eh? Non ho sentito?» lo motteggia Mikasa vittoriosa, un sorriso a trentadue denti che le illumina il viso.

     «Verrò!» soffia sconfitto.

     La ragazza esulta sulla sedia, scuotendosi dall'emozione e accorrendo per stringere di nuovo la mano di Armin. Gli riserva uno sguardo affettuoso, gli occhi lucidi di felicità e sollievo. 

     «Faremo in modo che sia una vacanza indimenticabile,» lo rassicura. «Vedrai, Armin. Ti divertirai un mondo!»



 

つずく

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