Laura E Il Capitano

di paoletta76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Squillò il telefono, Alessia si allontanò a passo svelto verso l'ufficio, sedendosi sul davanzale e scivolando di là come imparato dalle colleghe.
- E' già arrivata, la mia postina? - le chiese una voce maschile, oltre il cornetto, dopo essersi presentata come il maresciallo Ferri. Lei rimase per un attimo bloccata, sovrappensiero.
- Aspetta.. ti passo il capo.- disse, leggera.
 
Come l'avesse sentito nell'aria, la postina si presentò al cancello di lì a poco. Una ragazza nuova, pure lei. Il maresciallo le diede informazioni per proseguire il giro, lei rispose decisa programmando qualcosa col superiore. Per un attimo, Alessia invidiò la sua sicurezza.
- Tu non sei una recluta, vero? - le disse, dopo quattro chiacchiere insieme alle altre.
Lei fece cenno di no con la testa:
- Lerici è la mia terza.
 
Era arrivata da meno di una settimana, ed il capo l'aveva subito reclutata per i giri di posta per farle conoscere gente. Le piaceva, quella città. Le piaceva la caserma affacciata verso il mare, il lungo filo della spiaggia. Le piacevano i colleghi, e anche quel comandante così pronto ad avere fiducia in lei.
 
Ferri era una brava persona, pensò, seduta al volante sulla via del ritorno. Nessuno, però, avrebbe mai preso il posto del suo vecchio comandante. Nessuno al mondo avrebbe potuto sostituire un padre, nessun posto sarebbe stato come Gubbio.
Gli altri la chiamavano destinazione; per lei, quella era semplicemente casa. E la sua assenza aveva il potere di farle salire le lacrime agli occhi.
 
Una crocetta sul calendario, in attesa della prima licenza. Due crocette, tre. Il clima di C3 era leggero, informale. Niente battere di tacchi, stellette che giocavano a pallone con l'ultima delle burbe come fossero stati compagni di scuola. La discoteca, le pattuglie di sera con la città che pian piano prendeva vita, e tante giornate da raccontare al telefono a Patrizia.
 
Tre settimane, un mese. I ragazzi pianificavano la fuga dal picchetto della Festa dell'Arma, con tanto di costumi sotto la divisa. Laura sorrise, salutò tutti e borsa in spalla si diresse verso la prima licenza della sua nuova vita.
La terza, si disse, scendendo dal treno dopo quasi sei ore di viaggio. Ecco Gubbio, il suo profilo lungo la collina. Laura chiudeva gli occhi, e si apriva la scatola dei suoi ricordi.
Indietro, indietro, fino al suo primo salire lungo quella strada fra le case, fino alla prima volta di fronte alla facciata di pietra della caserma. Poco più di due anni fa.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


La ragazza entrò leggera come una piuma, nonostante il nero della sua divisa.
- Questi sono i risultati che ha chiesto.- disse, appena, come appena aveva bussato per introdursi.
Il capitano Lotti si sporse oltre la scrivania, raggiungendo quella manciata di fogli nella sua mano. La sentì ritrarre le dita al contatto con le sue, e la cosa gli diede un inspiegabile fastidio.
La ragazza scattò mano alla fronte, mormorando:
- Comandi..-, e com'era entrata si dileguò oltre la porta dell'ufficio.
- Chi è? - chiese il capitano, tornando ad accomodarsi, più attento a quella figura che alle carte passate nella sua mano.
- Chi è chi? - seduto dall'altra parte della scrivania, il maresciallo cadde dalle nuvole.
-..La ragazza, Cecchini.- rispose quello, con un moto di sconforto.
- Carabiniere scelto Laura Capobianco da Acireale; sta qui da una settimana - Cecchini prese a far sfoggio delle nozioni che conosceva, contando sulle dita - è siciliana. Come me. Bellissima ragazza.- e sollevò il naso, sentendo per un attimo il superiore in difetto per non averla ancora notata.
A quel naso in su da fine intenditore, il capitano rispose con una smorfia, affrettandosi a cambiare discorso:
- Va bè, maresciallo; pensiamo a cose serie.
 
Una settimana, due. Un mese. Sulla scrivania, il sorriso chic in bianco e nero di Amanda, la sua fidanzata. Oltre la vetrata dell'ufficio, gli occhi cristallini di Laura. Meno sofisticati, ma reali, presenti. A colori.
 
Una fitta al cuore, senza motivo, ogni volta che bussava alla sua porta e compariva battendo i tacchi, ogni volta che la incrociava. E poi dolore latente, fra una fitta e l'altra.
Laura era rigida, rigidissima. E gelida, quasi fosse stata tutt'altro che siciliana. Ma solo quando indossava la divisa e, soprattutto, solo con lui.
Perché, accidenti.. perché? Più il tempo passava, più la cosa lo infastidiva. E più cresceva il fastidio, più si ritrovava a pensare a quegli occhi del color del mare in tempesta.
 
Si sentì infinitamente piccolo, una sera, sfilando come un ladro quella cartella dall'archivio, nascondendosi in ufficio e chiudendosi alle spalle la porta come non aveva mai fatto prima. E si sentì uno stupido, aprendo quelle carte: lì intorno non c'era nessuno.. da cosa si stava nascondendo?
Nella prima pagina, la foto di quella ragazza. Rigida e seria, in divisa e in bianco e nero come il sorriso di Amanda. Allungò la mano, sdraiò la foto a faccia in giù, come per paura di tradirla. Poi iniziò a leggere, a cercare differenze. Occhi di miele, occhi di mare; abito firmato, divisa nera. Una hostess da voli internazionali, un carabiniere. Buona famiglia di avvocati alle spalle della prima, e per la seconda..
Una fitta fra lo stomaco e il cuore. Laura non aveva più nessuno, alle spalle. Sotto la voce genitori, lo spazio era impietosamente riempito dalla frase: deceduti.
- E' un'orfana di mafia.- la voce del maresciallo Cecchini lo riportò alla realtà come dopo un volo di tre piani. Nessuna ironia, in quella voce. Nessuna nota di gioia, neanche un cenno per sdrammatizzare.
Il capitano chiuse di scatto quelle carte, cercando le parole per giustificarsi. Cecchini raccolse tutto, e senza dire una parola scivolò fuori dall'ufficio. Il capitano lo seguì a lungo con lo sguardo, poi intrecciò le mani, strette, sulla scrivania. Aveva una cosa in comune, con quegli occhi di ghiaccio: anche lui era solo.
Non allo stesso modo, ma era solo. Da una vita. Un padre generale dei carabinieri da poco in pensione, una madre tremendamente apprensiva. Un milione di aspettative da non deludere, fin da bambino. Il liceo, lo sport al pomeriggio, poi l'università. La festa di laurea, e quel locale in centro a Roma, pieno di fighetti da giurisprudenza. La prima volta in cui s'era sentito solo.
Poi, Amanda. Amanda la sua fidanzata, quella della foto in bianco e nero rivoltata a faccia in giù sulla scrivania. Vedersi una volta ogni tanto, aspettare con trepidazione la prossima occasione e poi starci scomodo tutto il tempo. Amanda era bella, elegante, un po' snob. Una dea. E a lui non restava che osservarla dal basso, e accontentarla in ogni capriccio, continuando a sentirsi piccolo e solo nonostante le tre stelle per spalla.
 
Due mesi, tre. Laura continuava a battere i tacchi, a sorridere appena. Poi scompariva nella sua stanzetta provvisoria affacciata sul cortile, e ne usciva trasformata come Cenerentola.
Tacchi, gonna corta, capelli sciolti. Un'altra donna, pensava il capitano, osservandola dalla finestra.
Uno scambio di baci con la figlia del maresciallo, e le due ragazze si allontanavano, ridendo e tenendosi a braccetto, lasciandolo col desiderio inspiegabile di stare fra loro.
Laura e Patrizia avevano legato molto, erano diventate quasi sorelle. Il maresciallo lo sapeva; le vedeva uscire, chiacchierare fitte fitte, ridere insieme.
Laura era una ragazza sola, e poi era siciliana come lui.. gli faceva tenerezza. Per questo, aveva messo ai voti l'idea di accoglierla in casa, e le sue donne avevano accettato di buon grado. Laura aveva sorriso, aveva annuito. Aveva raccolto le sue due o tre borse, e lasciato la sua stanzetta oltre il cortile.
 
Il capitano non ne fece parola a nessuno, di quell'inspiegabile peso che gli stringeva il cuore al vederla andare via. Nell'ufficio l'aspettava Amanda, la sua fidanzata. Vera, a colori, arrivata apposta per lui in un ritaglio di tempo fra un turno ed un altro di volo. Certo, questo avrebbe voluto dire rinunciare al giro in canoa che sospirava da un mese, alla partita in tv. Come sempre, l'avrebbe vinta lei. Come sempre, si sarebbe inchinato a servirla, anche se lo irritava sentirselo dire.
Succube di suo padre, di sua madre, di Amanda.
 
Un sospiro, pesante. Laura si allontanava, leggera, e il suo cuore volava fuori dalla gabbia dietro a lei.
- Andiamo? - caricò un sorriso forzato, tornò in ufficio. La sua ragazza bellissima e chic gli diede il braccio.
 
Il cuore del capitano tornò dal suo volo fra le nuvole soltanto la mattina dopo. Amanda dormiva ancora, non lo sentì scivolare fuori dal letto e passo passo a piedi nudi fino alla cucina. Mise su il caffè, andò in soggiorno alla ricerca della felpa sparita chissà dove la sera prima. La trovò, la raccolse, e come d'abitudine andò a dare un'occhiata alla finestra. Uno sguardo, un altro più attento. E un sorriso di cuore.
Laura era lì davanti, a tre metri da lui, oltre la finestra del soggiorno di Cecchini. Faceva le pulizie, col sottofondo della radio, e cantava usando la scopa come microfono. Non l'aveva mai vista così felice. Tre metri da lui, tre metri sopra il cielo.
Il capitano indossò la felpa, incrociò le braccia e rimase a guardare, appoggiato all'angolo della finestra. Adesso era arrivata anche Patrizia, e la scopa era diventata il microfono delle Spice Girls.
 
La magia durò fino a quando Patrizia non si trovò davanti le spalle di quel giovane, e lo indicò ridendo:
- Uh! Abbiamo il pubblico!
Laura corse a vedere, e trovandoci proprio la persona che più la metteva in soggezione sulla faccia del pianeta, diventò rossa rossa e si affrettò a chiudere finestra e tende.
- Quello.. abita qui di fronte?! - s'indicò alle spalle, con una mano sulla faccia.
- E da quant'è..! - fece Patrizia, con un gesto di ovvietà con la mano.
Rise, raccontando alla sorellina della passione del giovane capitano per la corsa e la canoa, della sua voglia di coinvolgere anche il povero pigrissimo maresciallo, dei numeri fatti da quest'ultimo pur di trovargli una casa il più possibile lontano da lì, e della faccia che aveva fatto quando quello l'aveva salutato dalla finestra di fronte..
- Ogni tanto arriva..- continuava Patrizia, divertita - specie se vengono a trovarlo i suoi..- si fece vicina, parlando sottovoce - sono piuttosto stressanti..- poi si allontanò, mantenendo una cert'aria maliziosa - una volta gli sono piombate in casa prima sua madre, poi la fidanzata, che non si sopportano.. beh.. quella tipa se la tira così tanto.. e lui è scappato qui a chiedere asilo politico; ha dormito sul divano, e se devo proprio dirtelo.. mi sembra così carino.. anche se è il capo di papà..
Patrizia fece spallucce, con l'allegra ingenuità dei suoi vent'anni, e a Laura il cuore diede una botta nel petto: speriamo non succeda mai, si disse. Non l'avrebbe mai sopportato, un imbarazzo del genere..
 
Un mese dietro l'altro, e passò un inverno intero. Il capitano continuava ad essere il capitano, e lei continuava a battere i tacchi, con uno strano pizzico al cuore ogni volta che la sua bellissima ed elegante fidanzata varcava la porta della caserma.
Poi arrivò quel giorno.




NDA: eccomi qui con uno dei prequel di "She's Not Afraid": come mio solito (ma ormai ci sarete abituati), ho preso qualche personaggio e l'ho modificato, ne ho tolti di esistenti nel "movieverse" e ne ho inseriti altri.. brutto vizio, ahimé! Spero di aiutarvi con questa (e la prossima) da chiarirvi qualcosa sul background che ha accolto Anna al suo arrivo in caserma, fate conto che qui siamo indietro di tre anni, più o meno. Quello che non cambia mai è Cecchini :D
a presto!

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Il 4 Marzo era da sempre il 4 Marzo, e prima di quella maledetta notte di sette anni fa non aveva mai significato niente di speciale, per lei. Non era mai stato più che un giorno qualunque sul calendario, fino alla morte dei suoi genitori. Da quel momento, il 4 Marzo era diventato l'anniversario del più grande dolore della sua vita, un giorno di cui desiderare la fine. Senza eccezione, neanche questa volta.
 
Una pizza con le amiche, dopo un giorno più che atroce. Una birra, due birre, tre. Un brindisi già un po' brille, risate che non bastavano a medicare un cuore ferito.
Il capitano la vide di sfuggita, passando davanti alla pizzeria. Sarebbe scappato ad unirsi quell'allegria, dopo un fine settimana più che nero. La presenza di Amanda al suo fianco pesava come un macigno, dopo il litigio di quel pomeriggio.
- Il nostro rapporto ha bisogno di una svolta..- gli aveva detto, decisa, lasciandolo a pendere dalle sue labbra pensando a chissà che, e poi distruggendo tutto come fa un colpo di vento su un castello di carte -..devi farti trasferire a Roma.
Basta, gli aveva tuonato il cuore. Non era riuscito a dirle di sì.
- Ma.. Amanda.. stai scherzando? Io non posso..- aveva aperto le mani, quasi sconvolto dall'egoismo di quella ragazza.
- E' perché ci hai un'altra, vero? - lei mise il solito broncio da capricci.
- Ma no.. è che.. qui ho il mio lavoro..- lui cercò una spiegazione. Come poteva, dar voce al suo cuore? Faceva un male terribile, sapere la verità.. stare con lei.. e amare un'altra..
 
Amanda accettò di uscire, di cenare fuori. Gli rivolse poche e nervose parole. Di sicuro la piccava, il non aver ottenuto un signorsì, questa volta.
- Tu sei distratto, Massimiliano.- gli aveva detto, incattivita - sei distratto. Non mi ami più.
- E' solo perché stavolta non m'inginocchio ai tuoi piedi? - lui s'era innervosito - no! Non ci vengo, a Roma! Non me l'ha imposto mio padre, non me lo imponi tu! E' la mia vita, e che cazzo!
La pizzeria era di nuovo lì, a due passi. Gli occhi azzurri di Laura, il suo codino danzante, il riso un po' smodato e tenero di quando appariva felice.
Voleva stare a Gubbio, voleva stare spalla a spalla con lei, e non gl'importava un accidente se per sempre avesse battuto i tacchi e non l'avesse degnato di uno sguardo diverso da quello riservato ad un superiore.
Amanda lo intercettò, quel suo fissare insistente la vetrina della pizzeria. Non era stupida.
- E' per via di quella lì?! - la indicò con stizza - la ragazzetta che ti porta la posta la mattina! E certo, con lei sei tu, che hai sempre ragione! Quella lì batte i tacchetti!
- Quella lì è una collega, e basta.- lui mentì spudoratamente - non c'entra niente. Voglio solo essere io, a decidere della mia vita. Amanda.. per piacere..- il tono diventò implorante, ma non bastò ad ammorbidirla.
- Ci penserai stanotte. Io me ne vado in albergo.- secca e risoluta, lei voltò i tacchi e scomparve, lasciandolo piantato in mezzo alla strada come un palo della luce.
Mosse un passo, due. La testa gli diceva di correre a scusarsi con la sua donna, il cuore di sfidare il vento e buttarsi in pizzeria. Non riuscì a dare ascolto a nessuno dei due, e rimase piantato per almeno mezz'ora con le spalle al muretto, nella penombra della piazza.
 
Ecco quel gruppetto di ragazze; uscivano, venivano nella sua direzione. Laura ora sembrava decisamente ubriaca; una delle amiche la sorreggeva, come temesse di vederla svenire da un momento all'altro. Un'altra sfoderava il cellulare.
Un impulso lo spinse ad uscire dall'ombra:
- Serve una mano?
- No, grazie.- replicò una delle ragazze, sbrigativa.
- Guarda che non c'ho cattive intenzioni.- lui sfoderò il tesserino - sono il suo capo. V'ho visto uscire; mi sembra che stia male..- raccolse il peso di Laura dalle braccia dell'altra ragazza, se l'appoggiò col viso contro la spalla.
- Dobbiamo fare qualcosa..- fece quella col cellulare - chiamare i suoi..
- Ci penso io.- replicò lui - la porto a casa io.
Le ragazze si fidarono, lo accompagnarono per un pezzo di strada e poi lo lasciarono solo con Laura fra le braccia.
 
La finestra del soggiorno di Cecchini era buia, la campana della chiesa rintoccava l'una. Non poteva tirarli giù dal letto, si disse. Non per una cosa squallida come una figlia ubriaca da mettere a letto. Aprì il portone di casa propria, poi prese in braccio Laura e scivolò su per le scale. Non l'aveva mai avuta così vicina, pensò, mettendole il proprio pigiama e rimboccandole le coperte. Non così vicina da sentirla respirare. Sorrise, depositandole una carezza sulla fronte. Raccolse un cuscino, andò a cambiarsi.
 
Era notte fonda, quando Laura aprì gli occhi trovandosi in un letto che non era il suo.
- Oddio.. oddio..- si alzò di scatto, cercando in quella stanza qualcosa di familiare. Niente, a parte la certezza che il 4 di Marzo fosse finalmente passato.
Di che stupidaggine era stata capace, stavolta? Ricordava la prima pinta di birra, forse la seconda. Dopo, il buio.
Scivolò fuori dal letto, spaventata al trovarsi addosso solo la biancheria e un pigiama troppo grande per essere quello di una qualunque delle sue amiche. Uno spiraglio di luce filtrava dagli scuri, a farle da guida. Ciabatte da uomo ai piedi del letto, un orologio da uomo sul comodino. Nessuna traccia dei suoi vestiti, e la tremenda sensazione di aver qualcosa di scomodo da confessare a don Matteo.
Un passo dietro l'altro, uscì verso il soggiorno di quell'appartamento. Tutto pulito, ordinato. Il berretto di una divisa da carabiniere sul tavolo da pranzo. Da uomo, pure quello. Le prese una sensazione come di spine contro la schiena, quando vide appese in un angolo del muro le foto della fidanzata del capitano.
Doveva scappare. Doveva scappare, di lì, e farlo anche in fretta.
Un sospiro di sollievo, trovando i propri vestiti piegati sulla spalliera di una sedia. Mosse un passo, due. La figura scura che occupava il divano non si mosse.
L'avergli dato un'identità aumentò la sua fretta. Arrivò alla sedia, fece scivolare via jeans e maglione stando attenta a non far rumore, se li raccolse contro il petto e fece per tornare verso la camera da letto.
- Guarda che ti ho sentito.- una voce le mandò il cuore in gola, pietrificandola a metà stanza.
Se avesse avuto i tacchi, avrebbe fatto eco il loro suono.
La figura scura comparve da oltre la spalliera del divano, e su quella intrecciò le mani, continuando a parlare con voce quasi delusa:
- Non potevo tirarli giù dal letto per una figlia ubriaca. Vattene a dormire; a casa ci torni domani.
- Signore..- lei rispose con un filo di voce.
- Finiscila. Vai a dormire.- un attimo di silenzio, e con un sospiro lui decise di continuare il suo monologo - lo sai? Mi da fastidio. Mi da fastidio da morire, quando batti i tacchi e ti pianti lì rigida come un bastone di scopa. Mi da fastidio, che lo fai solo con me.
- Capitano..- lei provò a ribattere, ma fu come se lui non l'avesse sentita.
- Sì, è quello che t'hanno insegnato. Sì, ci passiamo nove.. no, dieci gradi. Ok, io comando la compagnia, tu sei l'ultima arrivata. Ma mi da fastidio lo stesso. Se sei felice sorridi, e io sono fuori. Se sei triste ti fai del male, e io sono fuori come sopra. Sai, Capobianco? Mi hai deluso..
Laura non riuscì a muovere altri passi verso la fuga. Sguardo basso, un pugno a stringerle il cuore. Non le costava niente, si disse. Non avrebbe fatto del male a nessuno, se per una volta, una volta sola, l'avesse considerato un amico.
- Sono un'orfana di mafia..- disse, piano piano - ma questo lo saprà già..
- Sì.- fece lui, mettendosi in attesa.
- Oggi è il 4 Marzo..- lei mosse un passo avanti - è il giorno che da sette anni cerco di non vivere.- lo vide aggrottare le sopracciglia, e continuò - era il 4 Marzo.. io me ne stavo coi miei amici a divertirmi al bar, quando è arrivato mio cugino Turi.. non ha fatto voci con nessuno, mi si è fatto vicino, e m'ha detto: Hanno ammazzato i tuoi.. Un'auto in corsa, una grandine di colpi di fucile. Tenevamo una lavanderia; non hanno mai voluto pagare il pizzo. Da sette anni faccio di tutto, perché questo giorno passi il più in fretta possibile.. ma non serve a niente; è di nuovo il 4 Marzo e ricomincia tutto daccapo..
- Vieni qui.- lui mosse appena la mano; la vide bloccata, e ripeté la richiesta - dai, vieni qui.
Scivolò a terra, spalle al divano, le fece cenno di sederglisi accanto. Lei eseguì come un automa.
- Mi dispiace, Laura.. - lui tese la mano, e nei suoi occhi di mare Laura vide solo un ragazzo in pena per un'amica. Niente stelle, niente divisa. Le lacrime le inondarono gli occhi, e tutto quello che riuscì a fare fu scivolargli addosso, lasciandosi andare a piangere finché le lacrime non finirono, fino al suo primo vero 5 di Marzo. In quella stanza buia, stretta contro la sua spalla, per la prima volta lo sentì come il suo capitano.
Poi lui la sollevò fra le braccia, la posò sul letto e le rimboccò di nuovo le coperte.
Non ci rimase male più di tanto, trovando il letto vuoto, la mattina dopo. Era un altro giorno, si ricominciava daccapo..
 
Laura era scivolata via di soppiatto, cercando di non svegliarlo. Fosse stato un altro, si sarebbe fermata. Fosse stato un altro, gli avrebbe dato il buongiorno con un bacio. Ma non era un altro; era il suo comandante, era fidanzato con una ragazza mille volte più bella di lei, mille volte più elegante e preziosa. Era l'uomo che non avrebbe mai potuto avere.
Un fitta al cuore, alzando lo sguardo verso quella finestra. Poi nascondersi nel portone, in tempo per far credere al resto della famiglia di essere rientrata almeno sette ore prima.
 
Amanda l'aveva vista. Impossibile, non notare una ragazza che scappava di nascosto dalla casa del suo uomo per infilarsi nel portone di fronte..
Ci aveva pensato per tutto il resto della serata, si era organizzata un bel discorsetto. Ok, per ora avrebbe potuto restare lì, il piccolo ribelle. Il tempo di trovare una bella casa in centro a Roma e lavorarselo un po', in vista del matrimonio. Ora era il suo, di castello, a volare via col vento..
 
Massimiliano aprì la porta col cuore carico di gioia, credendo che Laura ci avesse ripensato, o al massimo di trovare Cecchini a cui dare spiegazioni per quel rientro tanto sospetto.
- In fondo, maresciallo, è stata colpa sua..- immaginò la risposta da dargli - l'ha detto lei.. bellissima ragazza..
Gli morì il sorriso, trovandosi davanti lo sguardo incattivito di Amanda.
- Questo è troppo anche per me, Massimiliano.- gli disse, inviperita.
Lui rimase senza parole, inchiodato sulla porta.
- Sei un bugiardo. Un bugiardo e uno stronzo.- continuò lei, sempre più cattiva.
- Amanda, io..
- Guarda che è inutile, che trovi scuse: l'ho vista. L'ho vista, quella lì, che sgattaiolava fuori da casa tua..
- Amanda, per piacere.. è solo un'amica che ha bisogno di qualcuno con cui parlare..- lui giunse le mani cercando di arginare il danno.
- Sì, di parlare nel tuo letto.- replicò lei, acida.
- Non abbiamo fatto niente..
- Senti; io ero venuta per dirti che va bene, che potevi restare. Almeno fino al matrimonio, poi se ne parlava. Ma tu..
Massimiliano rimase per un istante a fissarla. Eccola, era sempre lei. Non un millimetro più, non un millimetro meno. Si fa quello che dico io, prima o poi. Le sue parole suonavano tutte uguali, erano diventate quasi banali.
Basta, tuonò di nuovo il suo cuore. Oggi era il 5 Marzo, era un altro giorno. Anche per lui.
- Non c'è altro, di cui parlare.- le disse, secco - ci hai ragione, Amanda. Io amo quella lì. Non ci verrò mai, a Roma con te.
 
Si sentì libero, leggero, vedendola voltare i tacchi e sparire oltre il portone. Stavolta era per sempre; non l'avrebbe più assillato coi suoi capricci. Gli sembrò di poter volare.
Uno sguardo, automatico, alla finestra. Il maresciallo stava facendo colazione con davanti il giornale, come quasi tutte le mattine. Un sorriso, un cenno di saluto. Poi nello schermo comparve Patrizia, che si sedette a tavola senza notarlo.
Laura fu l'ultima ad arrivare, mentre la moglie del maresciallo distribuiva sul tavolo latte e caffè. Sembrava riposata, rilassata. Era bella, più bella del solito. O forse era solo colpa dei suoi occhi innamorati, pensò il capitano. Si ritirò nell'ombra, andò a farsi una doccia. Fu quando l'acqua prese a scorrergli sulle spalle, che iniziò a sentirsi male.
All'inizio pensò alla stanchezza: quella notte non aveva dormito molto, né troppo comodo. O forse era stata l'idea cretina di tornare a correre sotto la pioggia, dopo quella volta in cui s'era preso una mezza bronchite..
Mi ci manca un'altra influenza.. pensò, vestendo la divisa e dirigendosi verso la caserma. Non adesso, che era libero, padrone della propria vita. Non adesso che era felice..
 
Gli passò accanto una ragazza in tuta da ginnastica. Sorrise, pensando a quella volta in cui aveva incrociato Laura al parco, e a com'era stato felice Cecchini di passarle per una volta lo scomodo testimone di compagno di corsa. Era stato forse il primo accenno di sorriso, quello con cui lei aveva accettato una sfida a chi arrivava prima al monte di sant'Ubaldo. Il primo istante in cui lui aveva notato quanto avesse ragione il maresciallo a definirla con orgoglio bellissima ragazza.
 
Un colpo di tosse, due. Accidenti all'influenza, si disse, varcando la porta della caserma. Niente corsa insieme, per ora. Sì, ma che poteva proporle? Che cosa le avrebbe detto, adesso che arrivava, bussava e batteva i tacchi come niente di quella notte fosse stato vero?
Aspettiamo, lasciamo stare, pensò. Non era il momento né il luogo adatto: lì dentro, lei era ancora la burba e lui il comandante.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Un mese, due, tre. La tosse non passava, il senso di stanchezza si faceva più insistente. Per il picchetto alla visita del generale preferì chiamare un tenente di Perugia.
La visita di quell'ufficiale da Roma sarebbe stata molto importante; dall'ordine e dalla disciplina dimostrati sarebbe dipeso un elogio, magari qualche promozione a premio di un anno di duro lavoro. Meglio non rischiare mettendosi in prima fila senza la capacità di far sentire la propria voce.
 
Il 13 Giugno, il generale arrivò puntualissimo. Ad attenderlo sulla piazza, una trentina di uomini della stazione di Gubbio e del comando di Perugia.
Il tenente inquadratore rigido al bordo della fila, poco più in su lo sguardo celeste di Laura. Cecchini in seconda fila, per non far troppi danni. Il capitano a lato del palchetto da cui il generale avrebbe detto le sue due o tre parole di circostanza.
L'ufficiale arrivò, passò in rassegna uomini e donne in divisa, tutti rigidi mano alla fronte. Poi si avviò al palchetto, iniziò a parlare. Al suo fianco sinistro, la targa commemorativa che avrebbe dovuto scoprire. Al suo fianco destro, un giovane capitano immobile nella sua divisa nera ma pallido come uno straccio.
 
Laura mosse lo sguardo una, due volte. Non poteva mostrare a nessuno d'essere preoccupata. Il suo capitano sembrava stare sull'attenti come un uomo sotto tortura, cosa troppo strana per uno come lui.
All'improvviso, un movimento. Laura lo vide respirare profondo una, due volte, prima di accasciarsi a terra. Non perse un istante a pensare; mano al berretto, gli corse a fianco senza ascoltare le grida dell'inquadratore che le intimava di non lasciare il picchetto, o il brusìo di sorpresa della gente lì intorno.
- Capitano..- gli raccolse le spalle, lo lasciò aggrapparsi alla sua manica - capitano..
Il cuore le saltò in gola, quando lo vide tossire sangue. Trovò una manciata di coraggio, gli passò un braccio attorno al busto, portandogli il viso a contatto con la sua spalla. Liberò l'altra mano, raccolse il cellulare e compose il 118.
- Sono il carabiniere Capobianco - meccanica, ripeté le parole di qualifica imparate al corso - ho un'emergenza, un superiore in collasso sulla Piazza Grande di Gubbio.. sbrigatevi, ha un'emorragia in corso..
 
Massimiliano non sentì nient'altro; intravide appena la sua sagoma scura prima che gliela staccassero di dosso. Poi freddo, e più nulla.
Glielo disse sua madre, con le lacrime agli occhi, quarantott'ore dopo. Glielo disse sua madre, che gli avevano dovuto asportare un tumore.
 
Laura era rimasta in mezzo alla piazza, bloccata da un'invisibile mano, mentre l'ambulanza si allontanava a sirene spiegate. Gli occhi sbarrati, uno schizzo di sangue sul colletto, fra le mostrine. Poi aveva raccolto da terra quel berretto non suo, ed era rimasta a lungo di nuovo con lo sguardo perso nel vuoto. La voce del tenente inquadratore tuonava promettendo una punizione; il maresciallo Cecchini se lo tolse dai piedi con un cenno infastidito della mano, e levò il passo per raggiungerla.
- Lo seguiamo in macchina.- disse - tu.. stai bene?
- Bene..- ripeté lei, fioca.
 
Rimase in un angolo del corridoio come chiusa in un bolla di vetro. Medici che andavano e venivano, gli odori e i rumori dell'ospedale, i colleghi che facevano giri di telefonate per chiamare la famiglia. Tutto fuori, tutto lontano mille anni luce.
Poi tornare a casa, e quello schizzo di sangue sul colletto a ricordarle che non aveva sognato. L'acqua della doccia confusa con lacrime senza spiegazione, e un peso addosso che non se ne voleva andare.
 
Quarantott'ore, paura e poi gioia. Le notizie erano confuse, ma positive.
Un passo dietro l'altro, ed era arrivata fino all'ospedale. Atrio, scala, corridoio, poi una porta ed un altro corridoio. Arrivò esitante fin davanti a quella porta, e tutto quello che riuscì a fare fu appena capolino. Il -bip- della macchina era costante, quel cuore batteva ancora come la notte del 4 Marzo. Sorrise, con un sospiro di sollievo.
- Sta riposando.- una voce, un po' scontrosa, le fece provare una scossa. Una donna sulla sessantina le arrivò di fronte, con aria severa.
- Io..- Laura esitò, come sorpresa a rubare - volevo solo sapere come sta..
- Meglio.- la donna si ammorbidì appena, rivolgendo uno sguardo intenerito al figlio steso in quel letto - gli hanno tolto un tumore, dovrà fare un mese di chemioterapia, ne uscirà a pezzi.. ma diciamo che sta meglio.
- Mi dispiace..
- Il dottore dice che lo hanno preso in tempo; era piccolo, piccolo così..- la donna mosse le mani come a misurare una nocciolina - ma vicino ai polmoni.. pericoloso..- le s'incrinò la voce - è mio figlio.. e non me ne sono mai accorta..
Per un attimo, Laura sentì l'impulso di abbracciarla, di consolarla.
- Nessuno se n'è accorto..- replicò, con un filo di voce - sembrava solo influenza; forse neanche lui..
- Lei.. come fa a conoscere mio figlio? - la donna la sorprese.
- Io.. è il mio comandante..- Laura strinse forte le mani fra loro.
- Ah..- la donna lanciò un'altra occhiata verso la stanza.
- Andrà tutto bene.- Laura provò una gran voglia di scappare, e usò quella frase come saluto.
- Non.. non rimane? - chiese la donna, vedendola allontanarsi.
Lei fece cenno di no con la testa.
-..Se si sveglia?
- Gli dica che sono felice, che la mia punizione sia servita a qualcosa..- un cenno della mano, e Laura completò la sua fuga.
 
I trenta giorni di consegna che il tenente le aveva fatto dare per aver mollato il picchetto le furono ridotti a diciotto. Qualcuno diceva che il generale Lotti, il padre del capitano, s'era imposto dall'alto, per arginare il più possibile una punizione che riteneva ingiusta per la persona che aveva salvato la vita all'unico figlio che aveva. Laura si chiuse in archivio senza protestare, e i diciotto giorni passarono senza grossi problemi.
- Dai, Capobianco! Molla quella roba! Noi andiamo! - la mattina del 6 Luglio la voce del brigadiere Ghisoni risuonò per tutta la caserma.
- Un attimo..- lei cercò di arrabattarsi con l'ultimo dei faldoni rimasto sulla scrivania - ho ancora-
- Non è finita l'altro ieri, la tua consegna? - le era comparso davanti il maresciallo - dai, vieni, che andiamo a trovare il capitano.
 
Lui c'era già stato, un paio di volte, all'ospedale; quella cura aggressiva aveva reso il suo superiore l'ombra di sé stesso, e vederlo attaccato alle flebo gli aveva fatto una discreta strana impressione.
- Passerà, Cecchini. Sto già meglio..- quello aveva sorriso, nonostante tutto - e quando mi saranno ricresciuti tutti i capelli potrò anche tornare a romperle le scatole..
- Sa, capitano..- il maresciallo aveva cercato la solita battuta per sdrammatizzare - i ragazzi sentono la sua mancanza.
-..Ssì.- quello aveva letto l'espressione della faccia del maresciallo, e aveva replicato con ironia - me l'immagino, il casino che fanno.
Cecchini aveva scosso la testa mantenendo la stessa smorfia buffa.
- No no no..- aveva dichiarato - sono angioletti.
- Sì, vabbè. E..? - il capitano fu sorpreso, interrotto a un quarto dalla domanda che stava per fare.
- Laura sta bene. Le hanno dato diciotto giorni di consegna, perché ha disubbidito agli ordini e lasciato il picchetto.
- Diciotto..? - il capitano si fece serio.
- Il tenente Peluso ne aveva chiesti trenta.- Cecchini concordò in pieno con la smorfia di disapprovazione del superiore - suo padre..- indicò il giovane - il generale.. si è imposto da Roma, perché Laura..
Non servì dirlo, quello che sapevano benissimo tutti e due. Al capitano era sembrato di sentire ancora le parole di sua madre, mentre gli accarezzava la fronte.
- Sai, stamattina è passata una ragazza che lavora con te.. non si è fermata; voleva solo che sapessi.. che è felice, che la sua punizione sia servita a qualcosa..
- Laura..- aveva replicato, appena.
- Sì.. forse si chiama così.. non lo so. Non mi ha detto altro..
- C'è una donna sola, in caserma. Una donna sola, e mi ha salvato la vita.
Quelle parole erano passate di bocca in bocca fino a suo padre, che pur rivolgendosi al comando di Roma non era riuscito a far altro che dimezzare la punizione.
- Quando le scade il periodo di consegna, gliela porto in ospedale - Cecchini l'aveva riportato alla realtà - penso le farà piacere.. anzi, sa che faccio? Glieli porto tutti.
- Sì, Cecchini.. ma aspetti un po'- un'occhiata alla flebo, un sospiro - non mi va, che mi vedano in questo stato..
 
Adesso i diciotto giorni erano passati, e anche il viso del capitano aveva riacquistato un po' del suo colore. Così Cecchini aveva programmato per il pomeriggio una visita in ospedale, invitando a seguirlo tutti gli uomini liberi dal servizio.
- Dai, vieni, che andiamo a trovare il capitano.- aveva chiuso il faldone davanti a Laura, le aveva fatto con la mano cenno di seguirlo. Lei aveva annuito, con un sorriso.
 
L'ospedale era sempre dello stesso grigio celestino, pensò la ragazza, varcando la porta del reparto insieme a quei sei o sette colleghi. Solo l'aria sembrava più confortante, più leggera.
I genitori del capitano erano sulla porta, sembravano aspettarli.
- Eccomi qui! - il maresciallo fu il primo a presentarsi, col sorriso entusiasta che ormai sfoggiava come marchio di fabbrica - e guardi un po' chi le ho portato?
- Noo..! - il capitano aprì le braccia, felice e quasi incredulo, vedendoli entrare uno ad uno e circondargli il letto dopo aver stretto la mano che tendeva - Cecchini! Me li ha davvero portati tutti! Che bella sorpresa..
- Ho lasciato solo quelli che stavano in servizio..- fece quello, orgoglioso, con in risposta un'occhiata a dire: Ovvio..
 
Laura era rimasta indietro, come non trovando il coraggio per entrare. I colleghi le erano sfilati accanto uno ad uno, e per un istante le prese la voglia di scappare.
La figura del capitano, con le spalle affondate fra i cuscini, spogliate delle sue stelle, le apparve troppo diversa dal solito, le fece provare una fitta al cuore. Più magro, più debole, più stanco; la fronte chiusa da un bandana celeste a nascondere i segni della chemio, la barba un po' troppo lunga per quel suo viso sempre perfetto. Niente a che fare con le spalle robuste e forti contro cui aveva pianto.
- Laura, vero? - una voce carica di tenerezza le arrivò alle spalle.
Si voltò, e trovò la stessa signora dell'altra volta. Stavolta sorrideva, e la sua espressione sembrava meno tesa.
- Sì..- rispose, con un filo di voce, prima di essere sommersa da un abbraccio.
- Grazie..- disse la donna, viso contro viso, con una vena di commozione nella voce - di avermi ridato mio figlio..
- Dovere..- la voce s'incrinò anche a lei. La donna fece segno di no con la testa:
- Non solo dovere, bambina mia. Tu.. tu sei speciale.
Ecco. Ora si sarebbe sciolta in lacrime, se non fosse intervenuto il maresciallo con le sue buffonerie..
- Eh.. io non ci volevo venire, con le mani in mano..- diceva, col suo solito fare comico - volevo portarle dei cioccolatini, ma non li può mangiare.
Il capitano fece cenno di no con la testa, divertito.
- Volevo portarle dei fiori..- continuò Cecchini -..troppo da femmina. Un pupazzino.. no. Biancheria intima? Non mi sembrava il caso.
- Neanche a me.- replicò Massimiliano, ridendo.
- Allora mi è venuta un'idea.- Cecchini s'illuminò d'immenso - ho girato tutti i negozi di Gubbio e ho trovato il regalo perfetto. Le ho portato.. Barbie carabiniere!
Uno scatto, e trascinò la ragazza in mezzo fra le risa e gli applausi degli altri. Lei incrociò lo sguardo felice del suo capitano, e il sangue salì a colorarle le guance, mentre Cecchini proseguiva quella buffa presentazione:
- Adesso è vestita così, ma nella confezione c'è anche la divisa. Costa poco, c'ha gli occhi blu.. è gentile con le vecchiette..- contava sulle dita, lasciando ridere il superiore. Poi si parò la bocca con la mano, fingendo di confessare un segreto - c'ha la terza di tette..
- Cecchini! Le sembrano cose da dire..?! - fece Massimiliano, fra il divertito e l'indignato, mentre Ghisoni e gli altri annuivano, e la ragazza tentava di nascondersi il viso fra le mani.
Il maresciallo riprese la propria aria professionale e terminò lo spot:
- Un metro e settanta per.. no, il peso di una signora non si dice. E' ubbidiente, simpatica..- prese di nuovo a contare sulle dita - prende poco spazio, consuma poco. Non sporca, non fuma e non dice parolacce. E poi è una bellissima ragazza.
- Questo lo so da me, Cecchini.- replicò il capitano. La vide tremendamente in imbarazzo, e intenerito le tese una mano - vieni qua.
Lei non rispose, come congelata su quella mattonella.
- Dai, vieni qua. Mica ti mangio.- lui la vide avanzare di qualche passo, le acchiappò la mano, la usò per attirarsela vicino, e poi si spostò di lato per farle posto su letto - méttete a séde.
Lei eseguì come fosse stato un ordine, e si sedette sul bordo del letto come fosse stata su un cuscino di spine, cercando di evitare ogni contatto col corpo del superiore. Lui doveva essere dell'idea contraria, perché le circondò i fianchi col braccio e se l'attirò addosso.
- Che devo dire, Cecchini..- sorrise, uno sguardo a lei e uno al maresciallo -..grazie.
- Le è piaciuto, il regalo? - fece quello, divertito.
- Azzeccatissimo.- replicò Massimiliano, scuotendola un pochino come un sorbetto da sciogliere. Lei continuava a stare rigida, come costretta. Mani intrecciate, occhi dappertutto tranne che su di lui. Come le avesse fatto più paura del solito.
Gli altri adesso parlavano fra di loro, e il capitano approfittò di quell'attimo di privacy per sfiorarle i capelli con un bacio.
- Grazie..- le disse, all'orecchio, convincendola a voltarsi.
- Ho solo chiamato il 118..- disse lei, leggera leggera.
- Grazie di aver chiamato il 118.- lui la strinse addosso per un altro attimo.
- Come.. come sta? - lei osò incrociare i suoi occhi.
-..Così. Tu?
- Bene..
- Non dovevano punirti a quel modo.
Lei fece spallucce:
- Non ho eseguito gli ordini..
- Non dovevano lo stesso.
Lei alzò di nuovo le spalle.
- Adesso sono qui guasto e col bandana..- lui si tastò la fronte - ma quando esco non la scamperai, la punizione. Quella vera. Mi ci porti te, a correre, e guai se tiri a nasconderti come quello lì.. - indicò il maresciallo, ringraziando il cielo per averla vista finalmente ridere in sua presenza.
- Comandi..- lei si lasciò posare un bacio sulla fronte, prima di tornare al centro dell'attenzione degli altri.
- Allora, capitano, come va con Barbie carabiniere? - Cecchini incrociò le braccia, allegro.
- Sto leggendo le istruzioni.- quello le diede un'occhiata.
- Poi ce lo spiega anche a noi, come funziona? - fece uno dei ragazzi.
- Che? Me l'avete regalata a me, è mia! - il capitano finse di protestare, lasciandoli ridere.
La campanella chiuse l'orario di visite e sciolse Laura dall'abbraccio e dalle spine.
- Eh, mi spiace.. adesso ce la dobbiamo portare via, che fa comodo in caserma..- Cecchini la trascinò via, divertendosi davanti alla faccetta delusa del superiore - va bè, gliela facciamo trovare pulita e sistemata al suo ritorno.
-..La caserma.- fece Massimiliano, con il tono di un: Ovvio!
- No. Barbie carabiniere.- Cecchini alzò le spalle, lasciandogli scuotere la testa sconfitto.
 
I ragazzi salutavano, uscivano. Le sue dita non volevano lasciare quelle di Laura.
- Ciao..- le disse, leggero.
- A presto, capitano.- lei sorrise, raccogliendo per un attimo quella mano fra le sue.
Aspettò che non ci fosse più nessuno nella stanza, e fece un gesto tanto straordinario da stupire sé stessa per prima: si avvicinò al superiore, e gli posò un bacio sulla fronte, prima di sciogliere le proprie dita dalle sue. Lo lasciò quasi senza respiro, ma neanche se ne accorse. Un cenno con la mano, e scomparve oltre la porta.

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Massimiliano lo aspettò col cuore in gola, il giorno in cui l'avrebbero lasciato uscire dall'ospedale. Non protestò, quando i suoi genitori decisero che per lui era meglio proseguire la convalescenza a Roma. Non gli faceva neanche più nausea la chemioterapia, e davanti allo specchio si sentiva meno una schifezza, con quei capelli tagliati da naziskin. Quello che non avrebbe mai sospettato era che, passati quei sei mesi, là fuori l'avrebbe atteso un dolore più grande..
Laura era tornata al lavoro, alla scrivania, alla routine. Ed un altro inverno era volato.
- C'è posta per Barbie carabiniere! - la mattina del 16 Gennaio, il maresciallo la raggiunse con enfasi, e con un inchino le allungò una busta. Carta giallina, timbro del Comando - chissà, magari ti rimborsano la punizione.- le disse, con fare furbetto.
Lei sorrise, si affrettò ad aprirla. E dentro ci trovò qualcosa che le uccise il sorriso.
- Che c'è? Che ti hanno scritto? - il maresciallo la vide, e tornò indietro cambiando tono.
- Sono stata trasferita..- disse lei, con la voce ridotta ad un filo.
- Non è possibile, non è possibile.. ancora per quello.. hai solo lasciato un picchetto.. non hai mica ammazzato nessuno..- fece lui, demoralizzato.
- Non credo c'entri più niente, con la punizione.. è.. avvicendamento..- replicò lei, con le lacrime in gola. Qualunque fosse stato il motivo, la scelta era una sola: dire addio a Gubbio, alla sua casa, alla sua famiglia.
 
Una settimana di licenza pre-trasferimento; una settimana passata a pomeriggi interi fra la parrocchia e le scale di Piazza Grande, ad osservare da lontano i movimenti della caserma.
Doveva abituarsi, a guardare da lontano. Doveva rassegnarsi a dire addio.
Le lacrime di Patrizia, confuse con le sue, due sere prima di partire. Sdraiate sul letto, abbracciate, a raccontarsi cose buffe successe in passato, a snocciolare i ricordi più belli di quei due anni trascorsi da sorelle, tutto per non continuare a piangere. Il cuore stretto del maresciallo e di sua moglie, e poi la mattina del 23. L'ultimo giorno di una vita.
 
Non faceva troppo freddo; Laura aveva preparato le valigie, le aveva lasciate in un angolo come a non volerle ancora vedere. Poi era salita fino alla chiesa, a salutare una parte della sua famiglia. Don Matteo l'aveva abbracciata, Natalina aveva preso a piangere. Li aveva lasciati a malincuore, pensando alla prossima tappa del suo lungo addio.
La caserma era sempre là, grande e dorata al sole. C'era stata da sempre, prima di lei, e anche senza di lei sarebbe rimasta al suo posto. Lo pensò con il magone in gola, stando seduta sulla gradinata del comune. Sarebbe arrivato un altro al suo posto, presto l'avrebbero dimenticata. Un sospiro, pesante. Poi, una voce a scuoterla da quei pensieri.
- Ehi! E tu che ci fai qui? Non dovresti stare dentro? - la voce le arrivò alle spalle, le girò attorno. E davanti alla scala comparve la divisa nera del capitano Lotti.
- Signore..- lei accennò a scendere e mettersi sull'attenti, ma lui la fermò con un gesto della mano:
- No, per l'amor di Dio..
Lei sorrise, tornò a sedere con le mani intrecciate sulle ginocchia.
- Posso? - lui le si mise accanto, togliendosi il berretto. La vide incuriosita, e continuò, grattandosi i capelli - sono ricresciuti. Adesso posso tornare a rompervi le scatole.
- Ne sono felice..- fece lei, con un'ombra nel sorriso.
- Tutto bene?
- Sì..
- Hai.. che ci fai, qui fuori?
- Sono in licenza..
- Ma..
-..Questa è casa mia.- lei fece spallucce.
- Ti va lo stesso, di accompagnarmi dentro? - lui si alzò di nuovo, tendendo una mano.
Lei esitò per un attimo, poi sorrise:
- Ok..
- Dammi.- lui le raccolse una mano, se la trascinò dietro.
- Non so mica, se è tanto conveniente, che il comandante entri per mano all'ultima arrivata..
Lui sorrise, e s'indicò, come a dire: lascia fare a me.
 
- Buongiorno! - la voce del capitano fece eco al piano degli uffici, ed in un attimo la sua figura nera fu circondata da tutti.
- C'è il capitano! C'è il capitano! - le voci si rincorsero per tutte le stanze, e poi alle voci si unirono gli abbracci.
- Stasera ragazzi si festeggia! E offro io. - Massimiliano s'indicò, lanciando uno sguardo d'intesa al maresciallo che gli circondava le spalle con un braccio come avesse avuto a fianco un figlio e non un superiore.
Laura era rimasta in disparte, poco avanti alla porta. Le sue dita s'erano sciolte da quelle del capitano, aveva lasciato che prendesse il suo posto da protagonista. Si mosse solo quando, dopo essersi accorto della sua fuga, il capitano aggrottò le sopracciglia invitandola ad avvicinarsi.
- Perché sei rimasta lì? - lui l'aspettò, cercò la sua mano ma senza trovarla - va bè che sei in licenza, ma stasera devi esserci anche te, a festeggiare.
- Ok..- lei sorrise, leggera - ci vediamo stasera.
Questo lo disse indirizzata al maresciallo, e Massimiliano lo percepì come una cosa strana, almeno quanto la risposta opaca di Cecchini.
- A stasera..- disse quello.
 
Verso le sei, ecco il catering arrivare dal bar della piazza con pasticcini e spumante.
- Capitano..! - il maresciallo aprì le mani, stupito ed entusiasta di tanto ben di Dio.
- Ha visto, Cecchini? - replicò quello - gliel'ho detto, che avremmo festeggiato!
- E il suo fisico, e lo sport, e la corsa, e la canoa..?
- A quello ci pensiamo domani.
Il maresciallo sorrise: la divisa del superiore gli sembrava un po' larga, dopo tutti quei mesi di ospedale. Non sarebbe stato un peccato, recuperare un po'..
Chiamarono i ragazzi a raccolta, stapparono lo spumante. Un brindisi, due.
- Alla salute! - il maresciallo alzò il bicchiere, col suo solito modo da buffa canaglia.
- E speriamo, maresciallo.- replicò il giovane, toccando il bicchiere col suo.
Due chiacchiere, un po' di relax dal solito tran tran del lavoro. Ogni tanto, il maresciallo intercettava un'occhiata furtiva all'orologio, e gli scappava un sorriso velato di malinconia. Gli sarebbe piaciuto che quel momento non finisse mai, che la persona che il capitano aspettava con tanta trepidazione non arrivasse.
 
E invece Laura arrivò, con un ritardo studiato apposta per non essere costretta a festeggiare una giornata fra le peggiori della sua vita.
- Eccomi.- si diresse subito alla scrivania del maresciallo, cercando conforto nel vedere la cartella gialla già pronta in un angolo -..fatto?
- Manca la firma del capitano.- lui si alzò, lanciando un'occhiata sconsolata in direzione della porta a vetri - vieni; ti accompagno.
Lei gli rivolse un'occhiata interrogativa.
- La prenderà molto male.- fece Cecchini, raccogliendo la cartella e precedendola.
 
Massimiliano sentì il cuore aprirsi, alla vista della ragazza oltre le spalle del maresciallo. Si alzò di scatto, quasi avesse dovuto batterli lui, i tacchi. E si ritrovò a sorriderne. Aprì la porta, e mosse un pizzico di rimprovero alla ragazza:
- Siamo un filino in ritardo, eh? Ho dovuto tenerti da parte un po' di pasticcini, sennò quegli altri..
La sua allegria svanì, davanti allo sguardo contrito del maresciallo, a quella cartella gialla consegnata sulla scrivania.
- Che è? - disse.
- Serve la sua firma.- replicò Cecchini, vuoto. Massimiliano girò attorno alla scrivania, aprì la cartella, e trovandoci la foto di Laura insieme a quella lettera del comando si sentì andare in pezzi.
- Che.. che significa? - disse, riuscendo a leggerci solo le parole trasferimento e Liguria.
- L'hanno trasferita.- il maresciallo raccolse le parole che erano morte nella gola della ragazza.
- Ma come..? Non è.. non è possibile! Sono arrivati a tanto! - il capitano agitò quel foglio, con una gran voglia di ridurlo in striscioline.
- Non c'entra, con la punizione. Avvicendamento.
- Bella scusa! E quando-?
- E' arrivato la settimana scorsa.
- La settimana scorsa?! E non mi potevate avvertire?!
Ecco, pensò Cecchini. Ecco com'era davvero il capitano Lotti, quando andava su tutte le furie.
- Era a Roma..- osò trovare una giustificazione. Quello sbatté il foglio sulla scrivania.
- E poi..- proseguì il maresciallo - che avrebbe potuto fare?
- Niente, Cecchini.. che avrei potuto fare..- il capitano si passò una mano sulla faccia, prima di raccogliere una penna e firmare dove doveva, con cattiveria - niente..
Infilò quel foglio nella cartella, chiuse tutto e lo consegnò alla ragazza. Lei lo strinse al petto, senza riuscire ad alzare lo sguardo da terra.
- Io.. vado.- il maresciallo si eclissò, senza neanche aspettare il permesso. Lasciandoli soli.
- Se non c'è altro, signore..- mormorò Laura, come consumata dal fuoco.
Il capitano rimase per un attimo piantato ad odiare la mano con cui s'era appena pugnalato, firmando quell'addio. Scosse la testa, facendo segno di no.
- Comandi..- lei stavolta non batté i tacchi, e gli fece provare una fitta al cuore.
- Laura..- lui la richiamò quando era già sulla porta - una cosa c'è. Una sola.
- Comandi.- lei tornò due passi indietro, aspettandosi di tutto: rimproveri, una scenata, magari solo una parola triste. E invece il capitano fece l'unica cosa che mai si sarebbe aspettata: le si fece vicino, fronte a fronte. Le raccolse la nuca e le lasciò un bacio sulle labbra. Il bacio di un uomo innamorato.
Chiuse gli occhi, persa in quell'attimo di silenzio contro la sua spalla. E poi scivolò via, a raccogliere gli ultimi abbracci degli amici, a sfogare le lacrime e i singhiozzi fuori da lì.
Massimiliano rimase con le mani sulla finestra fino a quando la sua figura esile e leggera non fu un ricordo.
 
- Domattina.- la voce del maresciallo lo abbracciò alla schiena - parte domattina col treno delle otto. Passa da Chiusi, a Firenze prende il treno per Pisa e lì cambia con quello per La Spezia.
- Non me ne frega niente, Cecchini.- replicò lui, grigio - non me ne frega niente, dei treni che prende. Se n'è andata. Doveva essere oggi.. volevo che lo sapesse.. volevo che fosse mia.. e invece se n'è andata.
- Prende il treno delle otto, domattina.- il maresciallo alzò le mani, con tono di resa. Le sue parole significavano: hai ancora un'occasione.
Il capitano sembrò non percepirlo. Restava immobile, rivolto alla finestra. Per un istante, il maresciallo credette di vedergli gli occhi umidi.

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


- Grazie.. non dovevate far la levataccia per venire ad accompagnarmi al treno..- la mattina dopo, Laura non finiva di abbracciare la sua famiglia.
- Scherzi, bambina..- la moglie del maresciallo sembrava non volerla lasciar andare, mentre suo marito e Patrizia caricavano le valigie sul treno. Una carezza sul viso, la raccomandazione di far buon viaggio e di avvertire quando sarebbe arrivata.
- Sorellina..- Patrizia la strinse forte, ingoiando le lacrime.
- Tornerò ad ogni licenza.- fece Laura - quando si è in licenza, si va a casa, no?
- Torna sempre, a casa, bambina mia..- la signora Cecchini l'abbracciò a lungo, prima di rassegnarsi a lasciarla andare.
- E chiama.- il maresciallo fu l'ultimo, a stringerla forte - e fai la brava.
- Promesso.- lei incrociò due dita sulle labbra. Agitò la mano, si arrampicò sul primo gradino.
 
Fu qui che l'attenzione del maresciallo fu attirata da una figura in arrivo.
- Capitano! - esclamò, come avesse sperato di vederlo arrivare da un momento all'altro.
- Maresciallo.. signora.. ciao..- quello salutò frettoloso i tre, per rivolgere la propria attenzione tutta a Laura, prima che il capotreno fischiasse il via libera - e così..
- E così è andata..- replicò lei, leggera.
Eccolo, il fischio del capotreno. Adesso, o mai più, pensò Massimiliano. Si diede un po' di slancio, e arrivò sul gradino addosso alla ragazza. Le circondò il busto con le braccia, la attirò col viso contro la propria spalla.
- Mi mancherai.- le disse, in un soffio.
- Mi mancherai anche tu..- replicò lei, allo stesso modo. Gli fece tremare il respiro, e gli fermò quasi il cuore, rispondendo al bacio della sera prima.
- Signori..! - il capotreno lo costrinse a scendere, a rimanere a guardarla dal basso del marciapiede.
Un altro fischio, le porte si chiusero e il treno si mise in movimento. I Cecchini salutavano, Laura rispondeva, con le mani attaccate al vetro.
- Io ti amo..- disse lui, appena, poi lo ripeté a voce più alta - io ti amo!
Il treno era già lontano, quasi sicuramente Laura non aveva sentito.
 
Il treno diventò piccolo piccolo, poi più nulla.
- E così se n'è andata..- il maresciallo si rivolse al superiore, con un sospiro pesante.
- Ci vediamo in caserma.- quasi irritato, Massimiliano si allontanò - signora.. ciao..- uno sguardo alla donna, uno a Patrizia, ed era scomparso nel parcheggio della stazione.
- Dì, Nino..- fece la donna - ma l'hai visto, il tuo capitano? l'hai visto, come la guardava?
- E' un pezzo, che la guarda così..- replicò lui.
- E l'ha baciata..! - sorrise Patrizia.
- No. Lei, l'ha baciato. Lasciatelo dire a me che me ne intendo. Lui l'ha baciata ieri sera.- il maresciallo tirò su il naso, con aria fine.
- Papà! - esclamò lei, scandalizzata.
- E che, è colpa mia se tua sorella ha una buona mira? Impara da lei..
 
In caserma lo aspettava la solita aria di sempre. I ragazzi si muovevano su e giù, fra i computer e la carta dei faldoni. Presto avrebbero mandato una faccia nuova, e qualcuno si sarebbe dimenticato degli occhi azzurri di Laura. Lo consolava il fatto di non dover aspettare altro che la prossima licenza, per vederla tornare a casa.
Oltre la porta a vetri, il capitano sembrava l'unico a soffrire davvero, e per estorcergli un sorriso lui prese a raccontargli ogni cosa che la figliola lontana raccontava al telefono: il viaggio lungo e un po' noioso, una caserma piena di ragazzi e ragazze. I turni di notte, le pattuglie a piedi in città, le uscite in gruppo, la piccola festa di benvenuto con cui l'avevano accolta, finita in gavettonata. La compagna di stanza, il nuovo comandante, e un collega giovane e carino che l'accompagnava in discoteca.
 
Un mese, due, e mai una volta che gli avesse riferito che lo salutava, o che chiedeva di lui.
Massimiliano stringeva le mani sulla scrivania, ringraziava con un sorriso un po' forzato. Poi restava solo, e da sotto il PC portatile estraeva quel foglio. Lo prendeva, lo teneva decine di minuti fra le mani, e tornava a nasconderlo dove l'aveva trovato.
Fino a quel 23 Maggio, quando si decise di compilarlo e firmarlo. Poi si alzò, e si sporse fuori dalla porta a vetri:
- Maresciallo!
- Comandi.- Cecchini comparve con la velocità di un fulmine.
- Faccia la cortesia.. mandi questo fax al Comando.
- Sì.- quello prese il foglio, e solo dopo un attimo realizzò cos'avesse fra le mani - ma.. capitano.. è sicuro?- disse, quasi spaventato.
- Sì, Cecchini, sì. Non ce la faccio più.
- Ma.. fra poco viene in licenza..
- Non ce la faccio, a vederla una volta ogni due mesi. Io voglio stare con lei.
- Ma.. con Amanda.. non vi vedevate ogni tanto?
- Cecchini, è un'altra cosa.- sbottò lui -..è un'altra cosa.
- E' che della mia figlioccia è innamorato per davvero.- disse quello, compiaciuto, lasciandolo fare cenno come a dire: eh!
- Ma non è mica sicuro, che la mandino dov'è lei..
- Non importa. La Spezia, no? Quante stazioni ci saranno? Dieci, dodici? Con mansioni per degli ufficiali? Tre, forse quattro. Venti chilometri non è come vederla una volta ogni due mesi.
- Ma.. si può scegliere al massimo la regione..
- Non è come vederla ogni due mesi! - il capitano ribadì il concetto, deciso.
- Faxo subito.- Cecchini si convinse, e partì in direzione segreteria.
- Grazie.- replicò lui, tornando in ufficio.
 
Fu fortunato: quel comando Provinciale aveva un buco, in una posizione dirigenziale. Una mansione discretamente importante, dicevano; dirigente responsabile di una operativa di terzo livello. Una piccola caserma di provincia, ma legata ad altre tramite un link che chiamavano Coordinamento Territoriale Liguria Sud.
Massimiliano firmò fregandosene anche del parere contrario di suo padre, che non sapeva niente e lo trattò con il rancore che si dedica ad un ingrato.
- Andartene per andartene, potevi chiedere l'avvicinamento a casa! - sbottò, trovando il figlio a fare le valigie - e invece vai più lontano.. e in un buco di provincia, poi..! - fece una smorfia di disprezzo - a tua madre hai dato un grande dispiacere; s'è convinta che te ne vai per non averla più fra i piedi.
- Dille che non c'entra niente, che stia tranquilla. Voglio solo cambiare aria, tutto qui.- replicò lui, sbrigativo. Il tempo di salutare quelle poche persone da salutare, poi salì in macchina e sfidando il vento di quel 2 Giugno si lasciò Gubbio dietro alle spalle.
Alla radio davano la canzone con cui l'aveva vista fare le pulizie cantando col manico di scopa. Sorrise, svoltando oltre l'ultima curva e scoprendo da lontano un bellissimo braccio di mare. Un gruppo di villette circondate da giardini, una rotonda. Altri cento metri in discesa, ed ecco l'insegna bianca con scritto carabinieri.
La caserma era davvero piccola, pensò, sollevando lo sguardo. Chissà se aveva davvero fatto uno sbaglio..
 
- Sì? - disse quella voce femminile, oltre il citofono. Gli fece salire il cuore alle tempie.
- Chi è? - ripeté la voce, stavolta dal vivo in direzione della porta d’ingresso. Il cuore di Massimiliano tornò al suo posto: occhi chiari, ma non quelli di Laura.
- Sono.. il capitano Lotti.- replicò. La vide scomparire, sentì un discreto trambusto. Poi scattò la serratura del cancello; lui lo spinse appena e passò oltre.
Sulla porta trovò ad accoglierlo una ragazza bionda, magra magra ed impettita. Per fortuna non aveva battuto i tacchi, pensò Massimiliano. Gli sarebbe scappato da ridere, e in un ambiente sconosciuto non sarebbe stato il massimo della bella figura..
- Benvenuto, signore.- da oltre l'angolo, comparve un giovane che vestiva i gradi d'argento. Lo salutò mano alla fronte ed aspettò la sua risposta prima di accompagnarlo lungo il corridoio - io sono il maresciallo Ferri.  E questa è la squadra.
 
Non c'erano locali molto spaziosi, lì dentro, e quella decina di carabinieri era stata costretta ad una convocazione in quella che doveva servire da cucina e sala da pranzo. Massimiliano li vide rigidi, quasi intimoriti. Si guardò intorno, e sorrise: non ce n'era uno, più vecchio di lui..
- Lo so, cosa pensa.- il maresciallo sembrò leggergli nel pensiero -..una manica di pivelli. Beh.. ho da presentarle un analista DNA, un ex-Ros..- prese a scorrere il dito sugli uomini che aveva di fronte - qualcuno è qui con qualche ferita. Siamo pochi, privi di attrezzature all'avanguardia, ma non importa. Quello che conta, è..
-..Ordine, puntualità e rispetto.- lui lo precedette, serio, enumerando i princìpi che considerava da sempre fondamentali.
- Non necessariamente in queste posizioni.- replicò quello. Gli piacque.
- E.. maresciallo Ferri, mi dica.. come funziona, qui da voi?
- Come una famiglia.- replicò quello, spiccio - regole chiare, e niente saluto o lei ad ufficiali e sottufficiali, escluso in presenza di terzi estranei.
-..Tipo me?
- Dipende.
- Dipende da che?
- Dipende da se ci sta.
- Ci sto.- fece lui, deciso.
Marco aprì le mani come a dire: e allora adesso le presentazioni toccano a te.

- Ok..- Massimiliano si lanciò un'occhiata intorno: i ragazzi s'aspettavano qualcosa, da lui, e non sapere cosa lo stava mettendo in difficoltà. Così decise d'essere semplicemente sincero - mi chiamo Massimiliano Lotti, sono nato a Roma.. sono uno dei più giovani capitani dell'Arma dei Carabinieri, e per arrivarci mi sono fatto il mazzo, anche se qualcuno m'ha accusato d'essere un raccomandato, visto che mio padre è un generale in pensione.- un altro sguardo intorno, e vederli attenti ma non impauriti gli diede più coraggio - che c'ho da dirvi, ancora.. sono stato comandante di Compagnia a Gubbio per quasi tre anni, e adesso sono qui.
- Incompatibilità ambientale? - una delle ragazze se n'uscì con una domanda un po' inopportuna, che strappò una smorfietta al maresciallo.
- Diciamo guasto.- replicò lui, lasciandola sorridere -..tu?
La ragazza rimase per un paio di secondi interdetta, poi partì a scheggia:
- Jessica Moretti. Tirocinio alla centrale operativa di Roma, tre mesi alla stazione di Forte Dei Marmi, sezione Controllo Versilia.. e un anno alla centrale operativa provinciale.
- Incompatibilità ambientale? - lui le girò la domanda.
-..Avvicendamento.- lei fece spallucce. Quella parola ebbe il potere di scurirlo, per un istante. Chissà dov'era adesso Laura, cosa faceva..
Tirò il fiato, e sorrise di nuovo, rivolgendosi al prossimo. Non ce n'era uno, senza una storia con qualche cicatrice. Apparivano forti, carichi di vita, uniti. Davanti a loro, il capitano smise del tutto di sentirsi solo.
- Bene, ecco..- un'occhiata al maresciallo, poi di nuovo a loro - le regole del gioco mi vanno; guai a voi se salutate mano alla fronte o battete i tacchi. E mi chiamo Massimiliano, escluso presenza terzi estranei. Che poi chi sono, 'sti terzi estranei?
- Tutti quelli al di fuori del Liguria Sud.- replicò Marco.
- Cioè?
- Vieni, che ti spiego.- lui guidò il nuovo dirigente fino al proprio ufficio, e con un cenno della mano sciolse le righe.
 
Cena tutti insieme; fare tardi, a discutere attorno al tavolo di programmi di lavoro e valutazioni trimestrali. Poi ritirarsi in camera, in un silenzio quasi assoluto che ricordava da vicino quello del suo trilocale di Gubbio. Lunghissimi minuti a fissare il soffitto, poi gli prese voglia di esplorare. Giù al piano terra, si intravvedeva una luce accesa. Avvicinandosi, riuscì a percepire cinque, sei voci diverse. Cosa potevano combinare, i ragazzi, riuniti in cucina alle due di notte?
I discorsi e le risate s'interruppero di colpo, al comparire del nuovo comandante supremo sulla porta.
- Scusate..- lui si fece avanti grattandosi un po' la testa - ho interrotto qualcosa?
- No, no.. vieni.- Marco lo chiamò con un gesto della mano - vieni, capitano. Siediti.
- Che state facendo? - lui si accomodò su una sedia, incontrando gli sguardi perplessi di un paio di persone ancora sconosciute.
- Meeting notturno.- replicò una ragazza, seduta sul tavolo accanto - ci facciamo due chiacchiere..
-..E ci diamo ai bagordi.- un ragazzo mostrò una torta scomparsa quasi per metà.
Massimiliano aggrottò le sopracciglia.
- Fatta in casa.- quella chiamò il piatto, tagliò una fetta e gliel'allungò - da Jess con le buste della Cameo, ma fatta in casa.
Quella si lasciò stropicciare i codini, facendo le fusa.
- Come questo.- il giovane tirò fuori il limoncello.
- Il piantone che distilla i limoni dal giardino della caserma..- Jessica fece un sospirone, guardando in su. Al capitano scappò da ridere.
- Sì, lo so.. ma dove sono finito..- fece Marco - noi non siamo molto normali.
- Questo l'avevo capito.- replicò lui.
- Sei ancora in tempo per dartela a gambe.
- Non ci penso nemmeno.
- Scusa la curiosità, ma.. si dice in giro che tu abbia fatto richiesta, per farti trasferire qui. Lasciando un comando Compagnia.
- So quello che pensate. Molla una posizione ben più importante, per venire a dirigere un'operativa da quattro gatti quassù. Beh.. ho fatto una scelta. E no, non ho litigato con nessun pezzo grosso, facendomi punire..- il capitano frugò in tasca, estrasse il portafoglio col documento militare. Aprì un taschino, mostrando quella foto stropicciata che Cecchini gli aveva allungato prima della partenza - ho chiesto il trasferimento per stare più vicino a lei.
Jessica s'era confortata col dolce, e si distrasse un attimo per andare a ficcare il naso.
- Umphf! Ma questa è Sasha! - bofonchiò, con la bocca semipiena.
- Eh, sì, è decisamente Sasha.- replicò Marco, passando la foto anche agli altri.
- Sasha? Sasha chi? - fece il capitano.
- Laura.. la mia compagna di stanza.- replicò la ragazza, con la tranquillità di una cosa più che ovvia. Il cuore di Massimiliano tornò a pulsargli di poco sotto la gola.
- Ma.. ma come-? - fece, cercando spiegazioni.
- Vedi, noi abbiamo messo su una specie di.. band.- disse Marco - c'è chi canta, chi suona uno strumento.. così, per passione. Qualcuno s'è divertito a darsi un nome d'arte.
-..E lei è Sasha - Jessica rese al capitano la foto stropicciata - lead voice delle Play.
 
Massimiliano guardò loro, poi la foto, poi di nuovo loro: non ci capiva più niente, adesso..
- Te l'ho detto, che non siamo del tutto normali.- fece Marco.
- E.. e lei.. Sasha.. adesso, dov'è?
- In licenza.
Il capitano provò un gran desiderio di picchiare la testa sul tavolo. Ma come..?! Lui partiva.. e lei andava in licenza..? A Gubbio?! Non era possibile.. Che cos'ho fatto, di male? pensò.
- Dai, capo, non ti affliggere; la settimana prossima ritorna alla base.- l'altra ragazza gli diede una pacca sulla spalla, e fu la prima a dare la buonanotte.
 
Una settimana, trascorsa a conoscere il posto e prendere confidenza con la popolazione, e quasi smise di pensarci. 
Fino alla mattina in cui, scendendo in ufficio, trovò Jess che lagnava, implorando i ragazzi di prestarle una macchina, per andare a prendere la propria compagna di stanza alla stazione.
- Dai, smettila..- le raccolse le spalle e la spinse fuori, circondato dai sospiri di sollievo dei ragazzi - ti ci accompagno io..
 
Se ne rese conto solo quando parcheggiò davanti alla stazione, di quello che aveva appena fatto: Sasha tornava dalla licenza. Sasha. Laura. Oddio, Laura.. cosa.. che le avrebbe detto? E lei.. lei come avrebbe reagito? Per un attimo, fu tentato di mandare avanti la piccola Jess, sganciarle le chiavi della macchina e darsi alla fuga.
- Binario 3.- lei indicò il tabellone, e non gli diede il tempo di fare altro che lasciarsi trascinare verso il sottopassaggio. Il treno era già in arrivo, la gente si muoveva verso le porte.
- Tu vai davanti, io vado di qua.- Jessica indicò i vagoni in coda, e lui annuì dirigendosi verso la testa.
Un treno gliel'aveva portata via, un treno gliela riportava, pensò Massimiliano. Arrivò un po' avanti, cercandola fra la gente che gli scivolava accanto. Niente.
 
- Grazie.- Laura scese da uno degli ultimi vagoni, tirandosi dietro il trolley e cercando fra i tanti il viso dell'amica. Poi la vide saltellare e sbracciare. Sorrise, e la raggiunse:
- Ciao!
- Ciao! Fatto buon viaggio? - Jessica scambiò con lei un abbraccio, le raccolse il trolley e le s'incamminò a fianco.
- Sì.- replicò lei.
- Pesantino! - Jessica diede uno strappetto al trolley.
- I miei ci hanno caricato qualsiasi tipo di dolce esista sul pianeta..
Risero.
- Autobus? - Laura fece per avviarsi al sottopassaggio, poi notò che l'amica sembrava cercare qualcosa e si fermò prima d'imboccare la scala.
- Ho l'autista.- fece quella.
- La macchina?
- No, proprio l'autista. Chissà dove s'è perso; gli ho detto: vai in testa, che io vado in coda.. boh..
Laura rimase un attimo a pensare.
- Scusa; chi è che stiamo cercando? - disse.
- Il capo.- replicò Jessica, sbrigativa.
Lei fece spallucce. Il capo. Mah.. quasi sicuramente il brigadiere. O, perché no, il maresciallo.
Cercò uno a caso fra i due, ma niente. Fino a quando non vide Jessica che, oltre il pilastro, sbracciava verso un tipo alto e più o meno biondo:
- Ooh! Capo! Siamo qui!
 
Il tipo si voltò, incrociò il suo sguardo. Laura lo vide sorridere, levare il passo verso di lei, e il cuore le prese il volo. Mollò la borsa in terra, e gli corse fra le braccia con un grido felice da bambina.
- Ciao..- Massimiliano la tenne a lungo per aria, lasciandosi accarezzare il viso da quelle manine piccole e delicate. Poi la lasciò scivolare a terra, senza perdere il contatto col suo corpo.
- Capitano, capitano!! - lei fece due o tre saltelli che doveva aver imparato da Jess - è venuto..- lo vide piuttosto contrariato, e si arricciò con le mani strette a pugno sui lati del viso, correggendosi al volo - sei, venuto.. sei venuto a trovarmi!
- Sì.- lui tornò a sorridere.
- E.. e quanto ti fermi?
- Ma che, vuoi che me ne vada? - lui sgranò un po' gli occhi.
- Ma no.. quanto resti, così ti porto in giro!
- Un po'.- lui alzò appena le spalle, lasciandole aggrottare le sopracciglia - ho chiesto il trasferimento, Laura.- le si fece fronte a fronte, trovando tutte le parole di cui aveva bisogno - ho chiesto il trasferimento per stare con te.
Lei non rispose; lo circondò con le braccia, gli si strinse col viso sul petto.
- Andiamo a casa? - lui acchiappò una ragazza per lato, e le accompagnò alla macchina.
 
- Cattiva..- dopo un paio d'ore, quasi a buio, la vide seduta sulle scale esterne e la raggiunse, scuotendo la testa con un sorriso.
- Eh..? - lui lo lasciò sedere lì accanto.
- Sei cattiva. Ti aspetto da una vita e non mi hai neanche salutato come si deve.
Lei piegò il viso, arrossendo. Poi le venne un'idea, si alzò in piedi e scattò sull'attenti, battendo i tacchi.
- Noo..! - lui si passò le mani sul viso, sconfitto. Ridendo, lei tornò a sederglisi spalla a spalla:
- Mi sei mancato un casino, capitano.
- A me è sembrato il contrario.- lui fece una smorfietta.
- Non è vero, che non ho mai chiesto di te. Ma forse qualcuno non vedeva l'ora che venissi a correre in Liguria, così ti levavi dai piedi..
Lui si morse le labbra, per una manciata di secondi.
- Disgraziato..- mormorò. Poi sollevò l'indice, come a dire: adesso lo sistemo io. Sfoderò il cellulare, e all'apparire di una voce nota, assunse il suo solito tono da cazziatone:
- Cecchini! Come, chi sono?! Che fa, adesso, lo gnorri? Ma è il modo?! Io faccio le valigie, Laura viene giù e lei non mi dice niente? E chi se ne frega, dei treni che ha preso stamattina! Lei la sapeva precisa, la destinazione! Eh, e non me l'ha voluta dire per farmi fare la figura da scemo! - si staccò un attimo dal cornetto, cercando di non ridere e lanciando a lei un'occhiata - certo, Cecchini, e lo sa che le dico? Che adesso è lei, quello che la vede 'na settimana ogni due mesi, e a me toccano le altre sette! Alla faccia sua!
- Buonasera, maresciallo! - Laura gridò nell'apparecchio allungato dal capitano, lasciando poi che lui se lo riappoggiasse all'orecchio:
- Capito? E' mia e me la tengo, Barbie carabiniere! - quello sorrise, e la conversazione tornò ad essere normale - sì, certo che ha fatto buon viaggio. Bellissima ragazza, lo so. Gliela passo, così vi saluta.
Laura parlò col maresciallo, poi con la moglie e con Patrizia. Raccontò di aver dormito per quasi tutto il viaggio, e dei dolci graditissimi dagli amici tanto da essere quasi tutti già spariti. Chiacchierò un po', salutò promettendo di sentirsi prestissimo. Passò indietro il telefono, e mollò un pattone al capitano quando lo sentì sospirare:
- E certo, che la invito al matrimonio! Che, mé scordo?
Lui salutò, mise giù e passò due minuti a massaggiarsi il braccio:
- Ahio! Ma che, sei diventata manesca? Ora per farti perdonare mi porti a cena!
- Sì, ciao.. sono di servizio.- lei si alzò, avviandosi verso gli alloggi.
- Come, sei di servizio.. sei appena arrivata! - lui fece perno sui fianchi, cercando spiegazioni.
- Zero-sei, capitano. Qui tocca anche alle donne.
- Va bè, ma-
- Ci vediamo domani.- un bacio sulle labbra, e lei si allontanò con la stessa leggerezza della prima volta in cui l'aveva vista.
 
Massimiliano si lasciò andare sdraiato viso al cielo. Il vento era cessato, e le nuvole lì sopra non promettevano niente ma niente di buono.
Una goccetta, due. Un gocciolone, un miliardo di goccioloni fitti fitti. Il capitano sorrise, si lasciò bagnare un po' prima di correre a rifugiarsi oltre la porta d'ingresso.
In ufficio la luce era accesa, si sentiva in sottofondo la radio accesa dal piantone. Insieme al suo fischiettare fra un faldone e l'altro.
 
Lotti sorrise di nuovo. Benvenuto a casa, si disse, prima di scomparire oltre la porta del comando stazione.
 

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