Just one Day

di Cossiopea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo passo da Babysitter ***
Capitolo 2: *** L'inferno ha un nome ***
Capitolo 3: *** Notte a casa Stark ***
Capitolo 4: *** Una difficile decisione ***
Capitolo 5: *** L'inizio del viaggio ***
Capitolo 6: *** Un salto sul furgone ***
Capitolo 7: *** "Numero sconosciuto" ***
Capitolo 8: *** L'estenuante attesa ***
Capitolo 9: *** Perché? ***
Capitolo 10: *** Semplice disperazione ***
Capitolo 11: *** Bagnati di pioggia ***
Capitolo 12: *** Un allegro finale amaro ***



Capitolo 1
*** Il primo passo da Babysitter ***


1. Il primo passo da babysitter
 

Strinsi le chiavi nella mano e l'emozione che provai fu più che soddisfacente.

Alzai gli occhi su Tony, che mi squadrava attraverso gli occhiali da sole con il tipico fare sospettoso e per niente convinto.

-Ti sto affidando una grossa responsabilità, Parker- mi fece, gli occhi che sembravano volermi scavare nell'animo per farne emergere i segreti più cupi della mia vita -Non mi deludere.

Deglutii.

-Tenterò di non farlo, signore- gli dissi mentre le chiavi che stringevo nel pugno sembravano diventare incredibilmente roventi.

Il signor Stark alzò un dito.

-È qui che sbagli, ragazzo- mi disse, serio -Non devi tentare di non farlo, tu devi proprio non farlo. Senza scuse, obbedendo alle poche semplici regole che ti ho già dato- mi fissò -O te le sei dimenticate?

-No, signore- gli risposi, esasperato.

Come potrei averlo fatto? Pensai, trattenendo a stento la tentazione di alzare gli occhi al cielo Me le avrà ripetute una decina di volte nell'ultima settimana...

-Bene- alzò il mento -Facciamo un ultimo ripasso allora.

-Non si toccano i file di Friday- iniziai, recitando a pappagallo ciò che Tony mi aveva rifilato fino allo sfinimento -Rispondere sempre alle sue chiamate; non rispondere agli sconosciuti; non distruggere la casa e soprattutto evitare che Morgan si faccia male- lo guardai -Giusto?

Tony abbozzò un sorriso appena soddisfatto, come se io avessi sfiorato la sua soglia di gradimento.

-E ti conviene rispettarle- disse -Per un giorno saranno la tua bibbia.

Annuii, convinto.

-Solo un giorno- gli feci -Ok, ce la posso fare.

Tony schioccò la lingua e mi sorrise, un sorriso che però racchiudeva tutta una fila di minacce e preoccupazioni che non voleva ammettere di avere nemmeno a sé stesso.

Quando richiusi la porta di villa Stark fu come se l'intero universo fosse a mia disposizione.

Lo spazio immenso che avevo davanti mi apriva una sfilza di possibilità incredibili. Porte a me solitamente chiuse a chiave e totalmente inaccessibili ora spalancate davanti ai miei occhi eccitati.

Se pochi giorni prima mi avessero detto che Tony Stark mi avrebbe affidato la gestione di casa sua e, soprattutto, la cura della figlia, non ci avrei creduto, mandando a quel paese il pazzo che mi aveva rifilato una simile cavolata.

Ma poi Iron-Man era venuto da me.

Lui e Pepper dovevano fare un viaggio in Europa per non so che e Happy era impegnato nel New Hampshire... Perciò Pepper aveva proposto me.

Mi ero immaginato almeno un migliaio di volte la faccia che poteva aver fatto Tony dopo le parole della moglie.

Sgomento? Terrore? Dubbio?

Certamente un intrigo di emozioni che raramente compaiono sul viso rigido di Tony, all'idea che un neanche sedicenne gestisse la sua proprietà e la sua prole...

Ma, effettivamente, i signori Stark non avevano molte conoscenze di cui potersi fidare ciecamente e il fatto che io abitassi a poche ore di macchina dalla loro abitazione mi faceva salire in cima alla classifica delle possibili scelte.

L'onore che avevo avuto nel momento preciso in cui Iron-Man mi aveva proposto la cosa non si può descrivere.

Insomma, chi non sarebbe in brodo di giuggiole davanti ad un simile annuncio?

"Peter, sarai a capo della mia villa di New York per un giorno"

In quell'istante il mio cuore aveva seriamente rischiato di esplodere.

E adesso eccomi lì, a vagare per i corridoi deserti dell'immensa villa, nella testa il pensiero che niente avrebbe potuto rovinare quel momento di gloria.

La luce entrava copiosa dalle enormi vetrate e il pavimento lindo e immacolato pareva quasi una pista di pattinaggio appena lucidata. Tutto questo sembrava così immensamente anormale per uno sfigato come me: mi guardavo intorno e mi sembrava di essermi risvegliato in un sogno irrealizzabile.

Sorrisi tra me, ficcandomi le mani nelle tasche della felpa e continuando a vagare, guardandomi attorno con interesse, quasi fossi dentro un museo pieno di reliquie fragili e con un bel cartello in vista: "Non toccare".

-Ehi, tu.

Mi voltai di scatto, bloccandomi a metà di un passo.

Proprio là, in mezzo al corridoio che io stavo percorrendo, stava una bambina.

La somiglianza di quegli immensi occhi scuri con quelli del mio mentore mi colpì come un pugno sullo stomaco.

L'espressione seria e indipendente con cui la piccola mi squadrava era assolutamente innaturale per una creatura così inerme.

Forse fu proprio in quel momento che mi ricordai di non essere realmente solo, in casa.

Abbozzai un sorriso di incoraggiamento, guardando Morgan Stark e tentando di farle capire che non ero un intruso.

-Ciao- le dissi mentre azzardavo un passo nella sua direzione.

Lei mi fulminò con lo sguardo.

Era evidente che dall'alto dei suoi sei anni di esistenza non si fidava di me.

-Chi cavolo sei?- mi fece, con una nota che ancora una volta non potei fare a meno di associare a Tony.

-Mi chiamo Peter- le dissi, continuando a sorridere -Sono il tuo Babysitter.

-Io non ne ho bisogno- mi sputò in faccia la bambina -Sono grande.

Battei le palpebre.

La piccola ha carattere pensai, sorpreso.

-Allora sono un ospite- dissi, optando per un'altra via -Tu sei la padrona di casa e io un tipo passato a salutare.

Questa versione parve piacere di più a Morgan.

-Io sono il capo?- mi chiese mentre sul suo visino compariva un ghigno funesto, quasi volesse essere certa che quel potere che aveva su di me fosse davvero reale.

Così, senza sapere davvero quale sarebbe stato l'effetto catastrofico di quelle parole dissi senza quasi pensare:

-Sì, Morgan- annuii -Tu sei il capo.

 

Adesso, guardando la mia situazione attuale, studiando la disperazione che regna nei miei occhi vi chiederete:

"Ma, Pete... Cosa hai fatto?"

Ed è così che scuoto la testa per poi immergerla nelle mani e trattenere la voglia di urlare.

La pioggia che mi inzuppa i vestiti, entrandomi nelle ossa; nemmeno un soldo in tasca e una bambina appoggiata alla mia spalla, che chissà come si è addormentata anche sotto la tormenta.

In una zona dimenticata da ogni dio in una foresta buia del Vermont, l'ultimo residuo di speranza svanito da tempo, lontano decine di chilometri dalla prima zona abitabile...

Alzo di nuovo lo sguardo su di voi e, con tutta la dignità che ancora possiedo vi rispondo, gemente: "Non lo so!"

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Capitolo 2
*** L'inferno ha un nome ***


2. L'inferno ha un nome


Chiunque afferma che i bambini sono esseri innocenti e gentili è soltanto una persona che non ha mai avuto davvero a che fare con queste creature emerse dalle tenebre.

Babysitting?

Ma certo! Facile come bere un bicchier d'acqua, basta soltanto giocare un po' con il piccolo, metterlo a letto e Bingo!

Problema risolto!

Niente di più facile.

Ma forse non avevo mai avuto a che fare con Morgan Stark...

Ovviamente conoscevo la figlia di Tony, l'avevo incontrata un paio di volte in diverse occasioni, ma non avevo mai avuto davvero l'opportunità di conoscerla come persona... come la bambina che salta fuori dal nulla, la creaturina oscura che striscia nelle tenebre come un serpente sibillino e deformato dal male.

Nei momenti in cui quella peste mi saltava addosso, appendendosi ai miei arti e urlando come una dannata mentre la mia testa pulsava di sangue e pazienza, mi sembrava di rivivere il momento in cui avevo chiesto a Tony come si comportasse quella bambina con gli estranei.

"Dubiti di mia figlia, Parker?" aveva detto il signor Stark inarcando un sopracciglio "Comunque è un angelo, se è questo che intendi. Sono felice di assicurare che non ha ereditato da me neanche un gene".

Prova a dirlo a questo diavoletto mai fermo, mentre i capelli mi si rizzano in testa e la tentazione di braccarla con una ragnatela si fa fervida nella mia mente stanca.

Non si bloccava un secondo, come se la sua vita fosse alimentata da una Gemma dell'Infinito perfettamente funzionante, un potere immenso quanto l'universo, che non smetterà mai di irradiare la sua luce...

In eterno... mi resi conto mentre un brivido mi percorreva la schiena e Morgan mi chiamava, incitandomi a raggiungerla nell'ennesima camera di quella casa colossale.

-Cosa c'è ancora?- le feci abbassando la maniglia, esasperato.

Mi bloccai sulla soglia, rendendomi conto con terrore della funzione di quella stanza.

La camera dei padroni di casa.

Beh, sappiamo tutti che Tony Stark non può avere una sola abitazione, tanto è grande il suo capitale, ma da quando aveva deciso di acquistare questa villa a New York le voci che erano girate sussurravano che la casa in questione fosse una delle sue più grandi proprietà. La dimora in cui ogni VIP sogna di abitare.

Effettivamente ogni singolo angolo di quella casa mandava un profondo messaggio di lusso, che intimava chiunque a non sfiorare neanche un centimetro di quel capolavoro architettonico.

Ma non appena mi ritrovai davanti a quel letto matrimoniale dal morbido piumone bianco, gli armadi a specchio alti fino al soffitto, le pareti immacolate e scintillanti alla luce dorata del crepuscolo che si poteva ammirare dalla grande finestra... seppi semplicemente di non dover stare lì.

La sensazione di essere fuori luogo che mi aveva assalito durante tutta la permanenza nella villa si intensificò di milioni di volte alla vista di quella camera.

Deglutii, guardando Morgan. Un ghigno malefico stampato sul giovane viso e le gambe incrociate sul letto, quasi mi stesse sfidando.

-Non possiamo stare qui- le dissi, inumidendomi le labbra aride -Morgan, vieni di là, coraggio. Usciamo di qui- indicai il corridoio dietro di me.

La piccola, però non si mosse.

-Io sono la padrona, Peter!- mi disse, tutta gongolante -Tu devi fare quello che dico io!

-No- scossi la testa, convinto -Io obbedisco a te, ma lo faccio perché ho rispetto di tuo padre, e lui non sarebbe contento della nostra presenza qui.

-Andiaaaamo!- Morgan allargò il sorriso -Devo solo prendere una cosa.

Con attenzione chiusi la porta alle mie spalle e un brivido mi attraversò la schiena.

-Cosa?- la fissai.

Lei indicò uno degli armadi.

-Sta là dentro.

Mi accigliai e la studiai attentamente, tentando di entrare in quella piccola mente ed estrarre i suoi piani di dominazione dell'universo.

-Poi basta- aggiunse -Non giochiamo più.

Aggrottai ulteriormente la fronte, nella testa milioni di possibilità e idee che si scontravano l'un l'altra in un caos fatto di macchie indistinte e schegge di colori inesistenti.

Possibilità 1: Prendo questa cosa come vuole lei e questa smette di tormentarmi... Ma se Tony lo viene a sapere sono altamente morto.

Possibilità 2: Non prendo questa cosa, Tony è soddisfatto di me ma dovrò sorbirmi questa tortura per tutto il pomeriggio di domani.

Mmm... Ma se Tony non lo verrà mai a sapere non ci sono problemi. Prendo la cosa, la rimetto a posto prima che i signori Stark tornino, domani alle sette, e sono salvo!

Contenti tutti!

Mi lasciai andare in un sospiro rassegnato, dirigendomi verso l'armadio e tirando le ante verso di me.

Dentro vestiti eleganti erano appesi ordinatamente su grucce di legno e, sopra, scaffali pieni di ogni tipo di oggetto erano messi in fila (probabilmente in ordine alfabetico), in un equilibrio fragile e parecchio ammirevole.

Mi voltai verso Morgan.

-Allora, che cosa ti serve?- le chiesi.

La faccia della piccola non prometteva niente di buono, ma la stanchezza ormai mi spronava a darle quello che voleva a finirla con questa farsa.

-Quelli.

Seguii la traiettoria del piccolo dito e giunsi ad una conclusione.

Afferrai l'oggetto desiderato, allungando la mano verso l'alto e stringendolo delicatamente tra le dita. Non c'era niente di male in un paio di occhiali, no?

Esausto porsi la cosa a Morgan e quella, non appena li ebbe tra le mani, sembrò mutare. La sua espressione divenne sconvolta, quasi scettica... come se in quelle due lenti con montatura potesse racchiudersi un potere illimitato e inarrestabile.

-Bene- le feci, richiudendo l'armadio -Adesso possiamo uscire di qui, per favore?

La bambina si riscosse, forse troppo immersa nei propri pensieri per ricordarsi della mia inutile presenza.

Mi guardò. I suoi occhi parevano brillare di una luce nuova.

Abbassai lo sguardo sugli occhiali che ancora teneva tra le manine e mi accigliai, domandandomi cosa ci fosse di così importante in quell'oggetto apparentemente normale.

Morgan scese dal letto e uscì mentre io le tenevo la porta aperta, senza dire una parola.
 

Da quel momento la bambina pestifera non mi chiese più niente per tutta la serata.

Mangiai un pasto già pronto che Tony ci aveva lasciato in cucina (ovviamente non poteva rischiare che io rovinassi i suoi preziosissimi fornelli costati un occhio della testa) e il silenzio che mi accolse mentre mi sedevo a tavola con la piccola Stark mi sembrò come un miraggio, dopo due terribili ore di angoscia e Babysitteraggio intensivo.

Morgan mantenne lo sguardo sul piatto, mangiando la sua porzione muta come un pesce.

Probabilmente fu solo la stanchezza a non farmi notare il fatto che non aveva più gli occhiali in mano.

La misi a letto dopo averle detto di lavarsi i denti e poi mi ritirai anch'io nella camera che Tony e Pepper mi avevano lasciato a disposizione.

Crollai dopo neanche due minuti, la testa sul cuscino e la mente finalmente piena di silenzio.

Peccato che mentre io chiudevo gli occhi, abbandonandomi al sonno, qualcun altro, qualche camera più in là, era più vigile di quanto avrebbe dovuto...

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Capitolo 3
*** Notte a casa Stark ***


3. Notte a casa Stark
 

Il Senso di Ragno (o Peter Prurito, chiamatelo come volete) si svegliò ancor prima di me.

Mentre le mie palpebre erano ancora abbassate, la mia coscienza vagava allegramente tra i sogni più assurdi e il mio corpo si crogiolava nel meritato silenzio, il mio sesto senso tremendamente infallibile si destò, quasi fosse dotato di una propria vita.

Si guardò in giro, prevedendo le mosse del mondo ancor prima che accadessero, scegliendo se fosse davvero indispensabile svegliare il ragazzino a cui apparteneva.

Sospirò. Poi, di malavoglia, decise che mi dovevo alzare, facendo scattare la sveglia dentro la mia testa e alzando il volume della suoneria al massimo.

Fu come un allarme che solo io potevo udire. Un suono potente, che irruppe nella quiete di quel momento, interrompendo il mio sonno dopo neanche due ore che mi ero coricato.

Spalancai gli occhi, precipitando drasticamente sulla Terra e mi guardai attorno, ancora intontito, non sapendo esattamente cosa pensare; senza sapere dove fossi o perché cavolo mi fossi svegliato.

I ricordi riaffiorarono lentamente in superficie e proprio mentre mi rendevo conto di essere a villa Stark un suono proveniente da fuori dalla porta mi fece drizzare le orecchie.

Mi accigliai, tentando di captarlo come meglio potevo.

Una porta che si apre, ferraglia varia che cade al suolo, lo scatto di un meccanismo...

Fuori dalla finestra il buio regnava e anche l'intera camera era immersa in una penombra tipica dei film dell'orrore...

Nella mia mente iniziarono a infuriare milioni di pensieri che si scontravano tra loro in una metropoli di preoccupazioni.

È un ladro?

No, impossiblie... Quale idiota tenterebbe di rubare a Tony Stark?

Allora è qualche strano protocollo che Friday sta mettendo in atto...

See, certo, Pete: e credi che il signor Stark non ti avrebbe avvisato se il suo sistema di controllo informatico fosse stato programmato per fare cose strane durante la notte?

Ma allora che cavolo è? In casa ci sono solo io e...

Deglutii.

Ovviamente non dovevo dubitare di quella creaturina emersa dagli inferi, però...

Mi leccai le labbra aride.

E se fosse stata davvero lei?

In ogni caso era meglio andare a dare un'occhiata. Ero o non ero il custode della casa?

Deciso a mettere fine a quei dubbi calciai le coperte con forza e con un balzo fui fuori dal letto.

I piedi nudi a contatto con le mattonelle ghiacciate mi fecero correre un brivido lungo la schiena, mentre gli occhi tentavano di abituarsi all'oscurità.

Afferrai una torcia che avevo appoggiato sul comodino la sera prima e mi incamminai verso la porta della camera.

La spalancai e il cigolio che derivò fu uno dei suoni più raccapriccianti che avessi mai udito.

L'intera villa sembrava diversa sotto la luce della luna. Le ombre che si annidavano negli angoli di quella reggia sembravano intenzionate a prendere vita e aggredirmi, mentre avanzavo furtivamente verso la direzione da cui i suoni continuavano ad arrivare, sempre più forti, sempre più vicini...

Deglutii nuovamente, spostando il cono luminoso che avevo in mano verso una porta incastonata nel muro.

Era da lì che arrivavano i suoni, ne ero certo... Ora dovevo solo trovare il coraggio di aprirla.

Per un istante rimasi immobile davanti a quell'entrata chiusa, immaginandomi che un fantasma mi avrebbe assalito non appena sfiorata la maniglia.

Scacciai quelle fantasie scuotendo energicamente la testa e raccolsi tutto il coraggio di Spider-Man che sembrava essermi scivolato via.

Afferrai la maniglia e il brivido che mi percorse fu terribilmente nitido e reale, come un avvertimento...

Oh, ma scherziamo? Pensai rassegnato quando, dopo aver dato una leggera spinta alla porta, una scala di pietra macchiata di umidità che sembrava voler scendere verso il centro della Terra mi si parò davanti con tutta la tua aura terrorizzante.

Mi morsi un labbro e misi il piede sul primo gradino, con attenzione; la torcia stretta nella mano sudata.

I rumori continuavano ad arrivare dal fondo di quel cunicolo odorante di chiuso e io trattenni il respiro, quando, arrivato in fondo alla scala, spinsi la seconda porta che mi ero trovato davanti.

Eh?

Sgranai gli occhi, allibito e per la sorpresa la pila mi scivolò dalle mani, cadendo sul pavimento e spegnendosi subito.

Ovviamente mi aspettavo che Tony tenesse un laboratorio in quella nuova casa acquistata da poco, ma non mi sarei certo mai immaginato che lo tenesse proprio in fondo ad una scala da film horror in bianco e nero...

Il contrasto che facevano quei gradini ammuffiti con il lusso che emanava quella stanza che ora fissavo ammirato era assurdo. Come essere passati dal medioevo a Star Wars semplicemente attraversando una porta.

Il perimetro dell'enorme sala era formato da vetrine lucidate e splendenti dentro cui erano custodite una buona parte delle armature di Tony (che certamente ne doveva avere altre anche alla Avengers Town e nelle sue altre dimore). Lo scintillio di quelle macchine da battaglia feriva gli occhi mentre io guardavo a bocca aperta tutto questo senza riuscire a muovere un solo muscolo.

Al centro stavano inoltre tavoli vari ingombri di utensili altrettanto vari e degli ologrammi probabilmente generati da Friday fluttuavano nell'ambiente rimasto, donando un tipico tocco fantascientifico all'intera sala...

Il tutto era da mozzare il fiato.

Ehi, che volete? Non ero mai stato in un laboratorio proprietà di Tony Stark e trovarmelo davanti quasi per caso fu come un colpo allo stomaco.

Poi la vidi.

L'eccitazione che avevo nel corpo, l'adrenalina che si era accumulata, scomparve nel giro di uno schiocco di dita mentre la visione di quell'immondo essere demoniaco mi riempiva la visuale, oscurando la misticità del resto della stanza.

Morgan, gli occhiali di Tony sul naso e il braccio di un'armatura in mano, come fosse una sorta di premio, stava là nell'angolo; un sorriso malvagio stampato sul minuscolo viso.

Si voltò, allarmata dal rumore della torcia che cade e mi vide.

-Che accidenti stai facendo?- esplosi facendo finalmente un passo all'intero della stanza.

-Non sono affari tuoi!- rispose la bimba, nascondendo rapida l'arto metallico dietro la schiena -Io sono il capo, no? Tu non dovresti essere qui!

-Tu non dovresti essere qui!- la raggiunsi e la guardai negli occhi, furioso come mai lo sono mai stato e animato da un senso di superiorità che non avevo mai provato -Hai idea di cosa potrei dire a tuo padre visto il tuo comportamento?

Ma quella non sembrava assolutamente intimorita dalla mia persona.

Fregandosene della minaccia mi fece, risoluta:

-Prova pure a dirglielo, sfigato!

Da un certo punto di vista ero ammirato da quella bambinetta così determinata, ma dall'altro c'era ovviamente la paura di sapere come Tony mi avrebbe ammazzato scoprendo che sua figlia era entrata nel laboratorio senza permesso, giocando con le sue invenzioni senza che io intervenissi in alcun modo sulla sua ribellione...

Aggrottai la fronte.

-Per prima cosa ridammi questi- le dissi afferrando gli occhiali troppo grandi per lei e sfilandoglieli non troppo delicatamente.

-Ehi, ridammeli!- esclamò la piccola -Tu non li sai neanche usare!- urlò -Non hai idea di cosa siano!

Alzai gli occhi al cielo, quasi divertito.

-Sono occhiali, Morgan. Solo banali occhiali.

-Non è vero!- strillò lei, gli occhioni che ora divenivano lucidi -Tu sei cattivo! Ridammeli!

-Oh, davvero?- la fulminai con lo sguardo -Io sarei il cattivo? Ma hai idea di cosa potrebbe farmi tuo padre se venisse a scoprire tutto questo?

-Mettiteli, allora- Morgan incrociò le braccia, lasciando cadere il braccio dell'armatura a terra, e mise il broncio -Se vuoi tanto essere come mio padre, mettili.

Guardai gli occhiali che ancora avevo in mano per poi spostare lo sguardo sulla bambina.

Non risposi e, più per curiosità che per altro, me li infilai lentamente.

Se esistesse un modo per descrivere cosa vidi, il mondo di scritte e codici a cui fui esposto; le possibilità che si moltiplicavano a vista d'occhio... Certamente descriverei tutto, metterei nero su bianco l'emozione che quelle lenti con montatura emanavano... Ma sarebbe inutile. Nemmeno le parole di un abile scrittore potrebbero eguagliare ciò che vidi... Niente potrebbe farlo.

Lanciai un'occhiata a Morgan, piazzata oltre le scritte che mi fluttuavano davanti, mentre sorrideva, soddisfatta.

-Allora, signor Babysitter?- mi fece -Chi è il capo, adesso?

Me li tolsi di scatto e la guardai, sconvolto.

-Cosa sono questi?- le dissi indicando gli occhiali -Da dove arrivano?

Scrollò le spalle.

-Uno dei giocattoli di papà.

Mi accigliai.

-E tu cosa ci volevi fare?- le chiesi.

-Non sono affari tuoi- fece Morgan, abbassando lo sguardo.

-Ah, sì?- senza quasi riflettere mi rinfilai gli occhiali e diedi una rapida occhiata agli schemi lì segnati, senza capirci ovviamente niente -Ahm...- l'occhio di cadde su un riquadro piazzato a sinistra, accanto a una immagine tridimensionale di un'armatura che roteava rapidamente su sé stessa.

Permettere?

era scritto a caratteri cubitali.

-Morgan, cosa significa?- le chiesi, accigliato.

-Ti stanno malissimo- mi disse lei alludendo agli occhiali, senza rispondere.

-Morgan, che cosa stavi facendo?- ripetei, deciso.

Lei sospirò.

-Dì "Sì"- fece allora la piccola, quasi senza nessun collegamento logico alla mia domanda.

Io la squadrai, sospettoso.

-Vuoi capirci qualcosa o no?- mi disse, con un tono fin troppo uguale a quello che avrebbe usato Tony.

Mi morsi un labbro.

-Sì- declamai poi, quasi avessi accettato di sposare qualcuno.

Ancora adesso non so se quella semplice sillaba fosse semplicemente la risposta alla domanda di Morgan o a quella degli occhiali, ma fu in quell'istante che promisi a me stesso che non avrei mai più fatto Babysitting.

Nemmeno per un solo giorno. Nemmeno per Tony Stark.

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Capitolo 4
*** Una difficile decisione ***


4. Una difficile decisione
 

Mi sedetti sul tavolo del laboratorio, dopo aver individuato un angolino sgombro dagli attrezzi di Tony, e mi misi le mani tra i capelli.

Era l'una e venti di notte.

Ero in casa Stark da meno di sette ore e avevo già combinato il disastro più grande della storia... Dicendo quel fatidico "sì", obbedendo a quella maledetta traditrice senza neanche riflettere un secondo.

Alzai lo sguardo abbattuto sulla vetrina vuota che ora svettava sulle altre. Nessuna armatura al suo interno, sostituita da un nulla così evidente che non provai nemmeno a convincere me stesso che fosse tutto un orribile incubo.

Mi voltai verso Morgan, che pareva fregarsene altamente delle mie mosse e ora gongolava sul posto con un sorriso soddisfatto appiccicato in viso.

-Ma perché proprio la Mark.95?- le feci, distrutto -Non ne potevi scegliere un'altra più inutile?

-Era quella più bella...- si giustificò la piccola, senza smettere di sorridermi -E poi è una delle preferite di papà.

-Appunto...- borbottai, riavvolgendo mentalmente il nastro e rivivendo per un istante il momento in cui, dopo aver pronunciato quella accidenti di parola, una botola si era aperta sopra l'armatura in questione e quella, dotata di una propria coscienza, aveva acceso i propulsori ed era uscita da lì, dal tunnel che l'avrebbe condotta all'esterno.

"Protocollo fuga con stile" ma aveva informato Morgan un secondo dopo, mentre io lambiccavo il cervello su cosa cavolo fosse successo.

Era uno dei tanti protocolli che Tony aveva impostato alle proprie armature. Questo, in particolare, era stato pensato per i momenti di pericolo nei quali il signor Stark poteva sempre incappare, e con cui, utilizzando del carburante di riserva, avrebbe concesso all'armatura di guidare automaticamente fino ad un punto prima stabilito.

Era ovvio che Morgan volesse approfittare dell'assenza del padre per provare a rubare una sua creazione e provarla. Chissà quante volte aveva desiderato volare come faceva Tony, vivere ciò che ormai il signor Stark considerava un hobby nonché un modo per proteggere il mondo da eventuali attacchi extraterrestri...

Ma tra tutte le armature a disposizione doveva proprio scegliere una di quelle a cui Tony aveva lavorato di più? Completa di ogni possibile gadget che avrebbe fatto morire d'invidia 007?

Davvero?

Poi, certamente, la piccola non poteva prevedere che quel protocollo avrebbe spedito l'armatura in questione in un luogo imprecisato di questa Terra, perché, alla fine, è solo una bambina!

Perciò eccomi lì, un ragazzo che aspetta pazientemente di essere mandato al patibolo da Iron-Man in persona; che attende di essere giustiziato per le sue azioni terribilmente stupide...

Mi volsi nuovamente verso la piccola con un sospiro.

-Sai almeno dove è diretta l'armatura?- le chiesi.

Lei scosse violentemente il capo.

-Lo sa solo papà.

Ecco, sono morto... Pensai, iniziando a immaginare chi sarebbe venuto al mio funerale.

-Solo lui e nessun altro?- tentai, sperando in una remota possibilità a cui aggrapparmi per sfuggire al mio triste destino.

Morgan parve pensarci un attimo, poi eseguì il medesimo gesto con la testa.

-No, solo lui.

Morto per essere stato altamente imbecille. Ultime parole famose: "Tutta colpa di Morgan!"

-E non c'è modo per recuperare l'informazione senza chiedere a tuo padre?- insistetti, sebbene avessi ormai perso ogni speranza.

-No- fece la piccola, secca.

Credo che in fondo potrei anche prendere in considerazione l'idea di scappare in Messico, o in Europa... Farmi una nuova vita e sperare che Tony non mi trovi almeno fino ai settant'anni, quando avrò vissuto una buona vita e sarò pronto ad accettare le mie colpe...

-Perciò?

Guardai Morgan, sconsolato.

-Perciò cosa?- le feci -Abbiamo un'armatura da un milione di dollari dispersa chissà dove e non ho idea di come recuperarla- mi morsi un labbro -Maledetto il giorno in cui ho accettato questo compito...- borbottai tra me.

La bambina abbassò lo sguardo, poi lo alzò di nuovo su di me.

-E va bene!- esclamò -Lo faccio io, allora!

La fissai, senza capire.

-Che cosa vuoi fare?- domandai -Non hai già fatto abbastanza?- aggiunsi con una vena scontrosa e forse dovuta alla stanchezza accumulata.

-Chiamo io papà- disse la bambina, decisa.

Sospirai.

-Senti, non penso che sia una buona idea, sebbene apprezzi il tentativo...- la guardai e sospirai nuovamente -Morgan, come te lo devo dire? Sarebbe inutile...

La piccola si accigliò, minacciosa.

-Io lo faccio- declamò.

-See, certo...- alzai gli occhi al cielo -Figurati se riesci a scucire da Tony un'informazione simile...

La bambina si offese.

-Vuoi mettermi alla prova?

La fissai e, per la prima volta, abbozzai un sorriso.

-Sì- risposi, annuendo -Vediamo cosa sai fare.

Morgan sorrise, con aria risoluta.

-Sfida accettata.

 

-Fatto- fece la piccola, restituendomi il cellulare mentre io la fissavo a bocca spalancata.

-Davvero?- feci -Ci sei riuscita davvero?

-Ovvio- Morgan alzò le sopracciglia -Sono il capo, no?

Ci aveva messo meno di dieci minuti.

Aveva telefonato a Tony, che aveva risposto praticamente subito, e, tenendo il viva-voce attivato in due e due quattro era riuscita a convincere il padre a dirle la posizione...

Inutile dire che se ci avessi provato io il signor Stark mi avrebbe risposto con un acido "Sono certo che vivrai anche senza questa informazione, Parker" per poi chiudermi il telefono in faccia e lasciarmi perso nelle mie domande e con un'espressione delusa stampata in viso.

E invece sua figlia aveva recuperato ciò che ci serviva in un tempo da record mondiale facendo la scena della bambinetta innocente.

La mia ammirazione per quella piccola cresceva a vista d'occhio.

L'unica cosa che posso fare adesso è riportarla qui... riflettei mentre fissavo lo schermo del mio cellulare, dove una scheda di Google Maps affermava che il punto in cui ora stava la Mark.95 era sul confine del Vermont con il Canada.

Ovviamente avevo provato ad annullare l'operazione e riportare l'armatura alla "base", ma il fatto che Tony l'avesse bloccata per precauzione era parecchio snervante.

Da quanto affermava la voce femminile proveniente dagli occhiali magici l'unico modo per invertire la rotta era farlo direttamente dall'interfaccia dell'armatura... e per fare questo dovevo prima trovare la Mark.95, sperduta in un punto apparentemente casuale della cartina terrestre, a circa cinquecento chilometri e mezzo dalla nostra attuale posizione.

Feci un paio di calcoli rapidi:

Cinquecento chilometri equivalevano circa a cinque ore in macchina... Ma noi non avevamo un mezzo simile; senza contare che mi mancava anche la patente, senza la quale non potevo andare da nessuna parte...

Treno?

No... anche con i più veloci ci avremmo messo troppo.

L'unica opzione che mi sembrava valida era chiedere ad un taxi.

Guardai Morgan, poi il mio cellulare per poi passare agli occhiali di Tony, appoggiati sul tavolo del laboratorio, le lenti spente e a prima vista normali...

Mi morsi un labbro.

La decisione che avrei preso avrebbe segnato il mio prossimo futuro.

Dovevo solo scegliere se rimanere lì e aspettare il signor Stark (alias, la Morte) e la mia dolorosa fine... oppure optare per la via più rischiosa e semplicemente più stupida: intraprendere un viaggio della speranza fino al punto d'incontro con la Mark.95, sperando che tutto proceda come previsto e di non morire nel tentativo per poi tornare a New York in tempo per le diciannove del giorno dopo...

Strinsi con forza lo smartphone nella mano sudata e un brivido misto di eccitazione e paura mi percorse rapido la spina dorsale.

-Morgan- dissi alla piccola, che mi fissava, in attesa -Sei mai stata in Vermont?

 

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Capitolo 5
*** L'inizio del viaggio ***


5. L'inizio del viaggio
 
 

Strinsi le chiavi della villa con forza e il metallo sembrò volermi perforare la carne.

Abbassai la manica della felpa sopra lo spararagnatele, nascosto sul mio polso, e mi ficcai la maschera di Spider-Man in tasca.

Guardai Morgan e la piccola si aggiustò lo zainetto sulle spalle ossute.

Mi sorrise e io ricambiai, infilando la chiave nella serratura della porta e ruotandola, sapendo di stare facendo la più grande cavolata mai fatta da un adolescente razionale.

L'aria della notte mi spazzava i capelli e mi feriva gli occhi, mentre la luna scintillava come un faro argentato nel cielo stellato di New York.

-Si diriga verso il Vermont- dissi all'autista del taxi dopo aver richiuso la portiera dietro Morgan.

L'uomo, un signore sulla cinquantina con qualche capello appena ingrigito, si voltò verso di me dal sedile anteriore e mi studiò per un istante.

-Non mi era mai capitato che qualcuno mi chiamasse da questa casa- commentò indicando con il mento villa Stark, illuminata da tiepidi faretti celesti, ben visibile dal finestrino destro.

Mi accigliai.

-E con questo?- gli feci mentre Morgan si abbassava il cappuccio sopra la testa e celava lo sguardo.

Quello scrollò le spalle e sorrise in un modo così sfrontato che mi venne la tentazione di tirargli un cazzotto.

-Non sembri Tony Stark- mi disse dopo aver lanciato un'altra occhiata alla villa -Se per questo non sembri neanche maggiorenne.

Mi morsi un labbro.

-Si diriga verso la frontiera del Vermont- insistetti -Sappia che non mi faccio problemi a cambiare tassista.

Lui annuì e abbozzò un sorriso divertito.

-E la piccola?- fece, ignorando le mie parole -Somiglia in modo strano a Morgan Stark.

-Non la pago per fare domande- ribattei -Parta, per piacere.

-Hai i soldi?- intervenne quello e io alzai gli occhi al cielo.

Avevo dovuto sommare gli spiccioli che avevo portato con me a casa di Tony con qualche dollaro rinvenuto in uno sportello indicato da Morgan... aveva asserito anche la bambina che il signor Stark non si sarebbe mai accorto della mancanza di un centinaio di verdoni.

-Sì- risposi -Vuole un pagamento anticipato?

-Per il trasporto di minorenni non assicurato sì- il tipo alzò le sopracciglia -E spero sinceramente che quella non sia davvero la figlia di Iron-Man.

Sospirai, senza rispondere, e gli porsi centocinquanta dollari in contanti.

-Bastano?

Lui li strinse nella mano e sorrise.

-Sei uno strano ragazzo- fece voltandosi verso il volante e accendendo il motore -Proprio uno strano ragazzo...

 

Mi svegliò il suono perforante di un clacson, che esplose nel mio sonno come uno sparo nella notte.

Sbattei le palpebre e le luci derivate dai fanali che luccicavano sulla strada sembrarono ballare una danza mistica nel mio sguardo ancora sfocato e sfinito.

Strinsi le palpebre per poi riaprirle di scatto.

Una piccola testa coperta da un cappuccio appoggiata alla mia spalla e un lieve torcicollo... Furono le prime cose di cui mi resi conto mentre tornavo al presente.

Quel leggero intontimento tipico dei risvegli in auto mi scivolò addosso fino a sparire.

Sbadigliai e mi passai una mano sulla faccia, esausto.

-Ah, ben svegliato.

Alzai lo sguardo sul tassista, che mi guardava con una faccia spavalda e che avrei volentieri preso a botte.

-Cosa stiamo aspettando?- domandai, rendendomi improvvisamente conto della fila di macchine in cui eravamo incastrati.

L'uomo fece una smorfia.

-Siamo in coda per la frontiera- rispose.

-Cosa?- battei le palpebre, confuso -Bisogna dare i documenti?- aggiunsi, allibito mentre una tremenda consapevolezza mi invadeva il cervello.

Quello mi guardò e mise su l'ennesimo ghigno funesto.

-Problemi?- chiese -Avresti dovuto pensarci prima di scappare dalla casa di Tony Stark come un ladro rincretinito.

Scossi la testa e abbassai lo sguardo, scegliendo di ignorarlo.

Guardai Morgan. Le lunghe ciglia adagiate sugli enormi occhi scuri, la bocca semi aperta e una ciocca di capelli che le tagliava a metà il viso terminando con un lieve ricciolo.

A vederla così stentavo a credere che quella bambina trattenesse in sé una furia distruttrice e un animo da dittatore...

Ma adesso cosa avrei fatto?

Ero uscito da villa Stark senza quasi un piano da seguire, avevo commesso l'ennesimo errore da imbecille nel giro di meno di dieci ore... e adesso l'universo sembrava volermi ridare indietro tutto sotto forma di un poliziotto alla frontiera che richiede i documenti...

Ma come ho fatto a non pensarci? Mi dissi, con la voglia di darmi uno schiaffo da solo.

-Cosa pensi di fare ora, eh?- mi domandò il tassista, quasi mi stesse sfidando -Io non ti riporto indietro, sia chiaro.

-Lo so...- mormorai distrattamente, cercando nella mia testa un'idea salvatrice che pareva tardare a venirmi.

Alzai lo sguardo sulla frontiera.

Davanti a noi c'erano almeno una dozzina di macchine e la coda avanzava a rilento... Ci sarebbe voluto ancora molto prima di arrivare... e poi da quella distanza, se fossimo scesi dall'auto, nessuno avrebbe badato a noi.

I miei occhi schizzarono alla tettoia che sovrastava le cabine da cui la polizia richiedeva i documenti...

Non potei fare a meno di pensare che non ci sarebbe voluto niente per scavalcarla dall'alto.

E questo buio è perfetto... pensai tra me passando a studiare l'orizzonte, dove i raggi solari avevano appena iniziato a illuminare il nuovo giorno, domando solo una lieve sfumatura rosata al cielo ancora pieno di stelle.

Mi morsi un labbro.

Il viaggio si sarebbe allungato, ma non avevo scelta al momento.

Guardai il tassista.

-Non avrò più bisogno di lei- gli feci, provando una soddisfazione immensa nel dirglielo in faccia -Da adesso in poi me la cavo da solo.

Quello si accigliò.

-Qualunque cosa tu voglia fare sono certo che te ne pentirai.

-Non sono qui per i ripensamenti- dissi -Addio- e aprii la portiera della macchina, ghiacciata nel traffico, in balia dei clacson che riecheggiavano tra le vetture.

Slacciai la cintura di Morgan e la presi delicatamente in braccio mentre lei continuava a dormire. Le abbassai ulteriormente il cappuccio sulla testa e richiusi la portiera, sentendo lo sguardo di disapprovazione del tassista che mi premeva addosso.

Zaino in spalla e bambina tra le braccia presi a dirigermi verso la frontiera, vagando tra le auto come uno spettro.

Avvertivo le persone guardarmi strano attraverso i finestrini, ma le ignorai, tenendo lo sguardo fisso sulla tettoia e intimandomi di stare calmo.

Quando raggiunsi una distanza che mi parve ragionevole presi la maschera di Spider-Man dalla tasca e me la infilai in testa, stando bene attento a non farmi vedere da nessuno e rimanendo nascosto tra due camion.

Avevo scelto quel lato della frontiera per le poche luci che erano state piazzate e il numero maggiore di lampioni spenti, che mi avrebbero concesso più invisibilità.

Sorrisi sotto la maschera e, reggendo Morgan con un braccio, tesi l'altro verso la tettoia.

Presi una bel respiro e, rapida, una ragnatela venne scoccata dal mio polso, andando ad attaccarsi nel punto desiderato.

Mi leccai le labbra e ressi la piccola Stark, sperando di non svegliarla, poi tirai con forza il sottile filo lattiginoso e volai nella notte.

Per un secondo fui parte del buio, sospeso in aria. La testa della bambina premuta sul petto e i piedi che non toccano il terreno, sostenuti solo dal nulla; i miei occhi chiusi, il respiro mozzato.

Atterrai dopo un istante, in piedi sulla tettoia, attutendo l'impatto e flettendo le ginocchia.

Mi accucciai all'istante, subito dopo aver compreso che ce l'avevo fatta, nella paura che qualcuno potesse vedermi.

Il freddo della notte mi azzannava anche attraverso i vestiti, i brividi mi attraversavano il corpo e le idee venivano meno...

Rimasi lì, in ginocchio sul tetto del mondo, sopra dei poliziotti che avrebbero potuto arrestarmi o, peggio, chiamare Tony Stark... Il viso tra i capelli di una bambina dormiente, i pensieri che sbiadiscono nella mia mente esausta...

Rimasi lì, senza sapere con esattezza cosa provare, il sole che lentamente si incamminava verso l'alba...

Ore: 05:32.

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Capitolo 6
*** Un salto sul furgone ***


6. Un salto sul furgone
 

Il trasporto che avevo trovato non si poteva definire il top del top...

Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta sembrava più una topaia che qualcosa di vagamente classificabile come top.

Un camioncino che trasportava balle di fieno.

Ecco, l'ho detto.

Un mezzo arrugginito e guidato da un contadino talmente svampito da non essersi accorto della presenza mia e di Morgan proprio alle sue spalle.

Non appena l'avevo visto entrare in Vermont e dirigersi nella direzione indicata dagli occhiali (Avevo dimenticato un sacco di altre cose ma almeno quelli avevo avuto la decenza di portarli) gli occhi mi si erano illuminati.

Con il favore delle tenebre mi ero calato con la piccola Stark dentro quel giaciglio relativamente comodo per poi accoccolarmi accanto a lei. Mi ero quindi lasciato trasportare, nella speranza che il destino mi prendesse sotto la sua ala almeno fino all'alba.

Il vento mi soffiava comunque nelle orecchie e il gelo della notte non mancava di irrigidirmi i muscoli, ma almeno avevo raccattato un passaggio gratuito.

Sorrisi guardando la bambina dormirmi accanto. Poi lentamente il sonno mi avviluppò la mente.

E con l'odore di fieno nelle narici e il freddo che si infilava nei vestiti mi addormentai, sprofondando in sogni astratti mescolati a frammenti di realtà persi nel fiume della memoria.

 

Cosa?

Aprii gli occhi, nelle orecchie un motivetto famigliare che aveva bruscamente interrotto il mio riposo.

Mi girava la testa e malgrado avessi dormito per qualche ora la stanchezza non ne voleva sapere di lasciarmi in pace, continuando a rimanermi cocciutamente ancorata addosso.

Restando sdraiato sulla superficie sudicia di quel camion scassato allungai di malavoglia il braccio verso lo zaino, appoggiato a pochi centimetri dalla mia testa.

Dalla luce che ora mi sovrastava dedussi che dovevano essere circa le nove del mattino.

Morgan dormiva ancora accanto a me, immobile. Sembrava una bambola di porcellana vestita da ladra, con quel cappuccio blu scuro sopra agli occhi e i pantaloni larghi evidentemente pensati per un bambino maschio.

Immersi la mano nella tasca anteriore dello zaino e ne estrassi il cellulare vibrante, la cui suoneria mi stava trapanando i timpani.

Mi portai lo schermo davanti al naso e appena lessi il nome sopra scritto scattai a sedere come una molla, gli occhi sgranati.

Non gli piaceva aspettare, lo sapevo.

Immaginai quali domande si stesse ponendo sul perché non rispondevo, mandandomi insulti silenziosi attraverso l'Atlantico con le parole che ormai premevano dietro alle labbra, desiderose di essere sputate nella mia direzione.

Deglutii, lanciai un'occhiata a Morgan e risposi, reclamando a me tutto il sapere che avevo assimilato da quello schifo di corso di teatro che ci avevano rifilato a scuola.

-Pronto?- dissi dopo aver premuto il bottone verde, sperando che il rumore del camion non si sentisse troppo attraverso il telefono.

-Ah, Parker- fece Tony, nella voce sempre quella leggera nota di disprezzo -Credevo stessi ancora dormendo.

-No, no- tossicchiai -Sono in piedi da un po'...

-Bene, vedo che stai prendendo sul serio questo compito, allora.

-Sì...

-Volevo solo sapere come procedevano le cose dato che ieri non mi hai neanche telefonato per aggiornarmi- continuò il signor Stark, interrompendomi.

-Qui va tutto benissimo- mentii abbozzando un sorriso forzato -Alla grande...

-Meglio così- commentò Tony -Ah, volevo solo avvisarti di una cosa. Non è niente di importante ma ci tenevo a fartelo sapere.

Mi accigliai.

-Nell'armadio in camera mia tengo degli occhiali con cui non vorrei che Morgan giocasse- disse lui -Non hanno nulla di pericoloso ma preferisco che mia figlia ci stia alla larga.

E non poteva dirmelo prima? Riflettei tra me, frustrato.

-Ah- feci -Un'informazione davvero utile- aggiunsi senza riuscire a trattenere il mio disappunto.

-Lo so. Tende sempre a volerli usare- disse Tony -Sono certo che probabilmente te li abbia già chiesti ma ho fiducia in te, ragazzo. Spero sinceramente che tu sia al livello del compito.

Oh, ma certo, come no...

-Beh, ti devo lasciare. Ho della roba da sbrigare e non voglio interrompere le tue faccende.

-Sì, già...

-Salutami Morgan, appena si sveglia... e non fare niente di stupido.

-Ovvio...

-Buona giornata, Parker.

-Anche a lei, signore.

Chiuse lui, come al solito, lasciandomi con un cellulare attaccato all'orecchio e i sensi di colpa che mi vorticavano per l'intero corpo, impedendomi di pensare ad altro se non al fatto che ero un imbecille scala 1:25.

Mi inumidii le labbra screpolate e rimisi il cellulare nello zaino dopo almeno un minuto di staticità generale.

L'autostrada adesso si stava riempiendo e il vecchio camioncino che usavamo come trasporto non era neanche lontanamente paragonabile a quelle macchine scintillanti e calde che ci sfrecciavano accanto a velocità sonica, lasciandomi un'amara invidia e un colpo di tosse dovuto allo smog che i miei polmoni si stavano bevendo.

Nessun autista di voltava verso di noi.

Erano tutti anonimi uomini d'ufficio, o perlomeno operai con una buona paga, in viaggio verso il proprio posto di lavoro. Soli in auto e con i pensieri ben lontani dal dare una sbirciata oltre il finestrino e vedere un ragazzino seduto sopra un ammasso di fieno.

Con uno sbuffo frustrato mi sdraiai nuovamente, sistemando le mani dietro la testa.

Ore: 09:12.

 

-Quanto manca?- chiese Morgan con uno sbadiglio, strofinandosi un occhio con il pugno.

Le lanciai un'occhiata e immersi le mani nello zaino, tirando fuori gli occhiali, che inforcai con un movimento istantaneo.

-Distanza percorsa: 354 chilometri. Distanza mancante: 216 chilometri- avvisò una gentile voce robotizzata mentre io davo uno sguardo all'intera visuale di numeri e coordinate.

Feci una smorfia.

-Ancora un po'- risposi togliendomi gli occhiali di Tony e rimettendoli delicatamente nello zaino.

La bimba aggrottò la fronte e il cappuccio le scivolò giù dalla testa.

-E questo pezzo di ferraglia va verso dove dobbiamo arrivare?- chiese.

Alzai le sopracciglia, pensoso.

-Ho paura che forse dovremmo cambiare mezzo a breve- feci, consapevole del fatto di non avere più soldi e che il treno era ormai escluso -Ma non te ne devi preoccupare adesso...

Fintanto che il furgone viaggiava verso Newport (che era più o meno il punto indicato da Tony) non credevo ci fossero problemi.

Sorrisi alla piccola per rassicurarla.

-Tranquilla, ce la faremo.

Quella batté le palpebre.

-A me non frega niente anche se falliamo. Tanto sei tu a dover subire mio padre- sorrise malignamente -Io sono solo stata trascinata.

-Mi sembra giusto...- borbottai con un sospiro, mentre spostavo lo sguardo da quella minuscola dittatrice in erba alla strada compresa delle macchine che ci correvano sopra.

Mi massaggiai la fronte quasi distrattamente, sentendo la mente implorare il sonno e percependo le palpebre che lentamente si abbassavano sugli occhi, la stanchezza che nuovamente si faceva sentire...

 

Mi ero addormentato. Di nuovo.

Lo capii troppo tardi, aprendo gli occhi e rendendomi conto del fatto che il camioncino era fermo, l'autostrada ormai un lontano ricordo.

Mi misi a sedere massaggiandomi la fronte dolorante e guardai Morgan, accanto a me, uno dei panini che mi ero portato dietro tra le manine e un boccone che creava un buffo rigonfiamento sulle guance.

-Il tizio del furgone se ne è andato- mi disse con la bocca piena di briciole -Non ci ha visto, però.

Il mio sguardo scattò al paesaggio circostante, mentre la mente riprendeva a correre.

Il camioncino era parcheggiato a lato di una strada quasi deserta. Casette multicolore ricoprivano il terreno di un piccolo paesino che non aveva l'aria di essere la nostra meta.

Senza aspettare oltre e con il cuore che batteva ad un ritmo ansioso scesi dal furgone con un balzo, sotto lo sguardo confuso di Morgan.

Corsi per un breve tratto fino ad un cartello a poca distanza e alzai lo sguardo su ciò che era lì scritto mentre il respiro mi si mozzava e la voglia di urlare mi riempiva il corpo.

Benvenuti a Saint Albans!

recitava a caratteri cubitali.

-No...- mormorai, scuotendo la testa -Non è possibile...- il cuore a pezzi, la mente distrutta...

Cento chilometri dalla destinazione. Nessuna possibilità di raggiungerla.

Era finita...

Ore: 12:34.

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Capitolo 7
*** "Numero sconosciuto" ***


7. "Numero sconosciuto"
 

Mi ficcai le mani in tasca e diedi un calcio ad una lattina, frustrato.

Saint Albans era un comune tranquillo, alla fine... e certamente sarei riuscito a godermelo molto meglio se la mia situazione fosse stata migliore anche solo di poco.

Ma non avevo voglia di fare il turista mentre il tempo continuava a scorrermi accanto senza sfiorarmi e le possibilità si riducevano visibilmente... era certamente molto più comodo lamentarsi con sé stessi.

-Ehi, signor Babysitter!

Mi voltai per vedere Morgan corrermi incontro, lo zaino grande quanto la sua schiena che dondolava mollemente ad ogni passo.

Sospirai e la guardai, esasperato.

-Che vuoi?

-Solo sapere cosa intendi fare ora- rispose la bambina, fermandosi pochi passi dietro di me.

Battei le palpebre.

Ma è seria? Pensai ironico.

-Cosa pensi che sia intenzionato a fare?- allargai le braccia sul marciapiede deserto -Siamo in un paesino dimenticato da Dio a cento chilometri da dove dovevamo arrivare...- mi feci passare una mano sulla faccia -Siamo morti...

Morgan fece una smorfia.

-Sei tu quello morto!- disse indicandomi con il ditino.

Abbozzai un sorriso.

-Sì- annuii -Io sono morto.

La piccola mi guardò con aria interrogativa, poi si voltò verso la strada e i suoi capelli danzarono nella brezza che soffiava lieve per le vie della cittadina.

Seguii il suo sguardo, ma in realtà non c'era proprio niente da guardare.

Rimanemmo immobili per un secondo, la mia mente che ormai minacciava di abbandonarmi e le idee che si preparavano ad emigrare verso un luogo più sicuro e confortevole.

Il silenzio era totale.

Il cielo grigio come i miei pensieri.

Ore: 12:57.

 

Lo squillo del telefono mi riscosse bruscamente e io battei le palpebre, uscendo di botto da quel bizzarro stato di trance.

La piccola Stark mi rivolse un'occhiata superiore che interpretai come: "Beh? Rispondi o no?".

Trattenni la tentazione di strozzarla e feci riemergere il cellulare dalla tasca della felpa con un gesto stanco.

Mi accigliai quando lessi Numero sconosciuto pulsare al centro del display.

Dubbioso, premetti il bottone verde e avvicinai lo smartphone all'orecchio.

-Pronto?

-Parker, ho notato i tuoi strani spostamenti- disse una voce maschile dall'altra parte -Ho bisogno di parlarti in proposito.

E questo chi cavolo è? Pensai, colto da un lieve panico.

-Ahm...- mormorai, confuso -Con chi parlo?

-Dovresti essere in grado di riconoscermi, ormai- ribatté il tipo dall'altra parte, senza neanche accennare ad una risposta decente.

Ma i tizi strani li becco sempre io? Riflettei mentre sul mio viso compariva una smorfia perplessa.

-E invece non la so riconoscere- feci, tentando di mostrarmi deciso -Chi è lei?

-Incontriamoci al bar in via 4 luglio fra quindici minuti, magari riuscirò a rinfrescarti la memoria- disse l'uomo, evidentemente allergico alle risposte chiare e poco criptiche.

Detto questo chiuse la comunicazione senza lasciarmi il tempo di dire altro.

Fissai lo schermo del cellulare, indeciso se bloccare quel numero seduta stante o dare retta al tale misterioso e probabilmente poco raccomandabile.

-Chi era?- mi chiese Morgan dopo un secondo, indicando il mio telefono col mento.

La guardai che più confuso non potevo essere.

-Non ne ho idea...- sussurrai scuotendo la testa -Non ne ho idea.

 

-Stando a quanto dice Google il bar dovrebbe essere...- alzai lo sguardo dalla cartina che brillava sullo schermo e indicai davanti a me -Lì!- la linea immaginaria partita dal mio dito si scontrava brutalmente con la porta d'entrata di un piccolo locale.

-Abbiamo fatto cento metri- commentò la piccola Stark, dietro di me -A mio parere potevamo arrivarci anche senza navigatore...

-La vuoi smettere di lamentarti?- le dissi lanciandole un'occhiataccia.

Morgan alzò gli occhi al cielo ma non rispose.

Io sbuffai e spinsi la porta del bar.

Un delicato suono di campanelli ci accolse mentre un intenso odore di vaniglia si insinuava nelle mie narici.

Una ragazza con il grembiule, da dietro il bancone, alzò lo sguardo su di noi.

-Buongiorno- ci disse accennando un sorriso.

-Salve- ricambiai il saluto prima che i miei occhi venissero attratti dell'uomo seduto di spalle all'angolo della caffetteria. L'unico cliente del giorno, a quanto pareva.

Deglutii.

Se il tipo al telefono non era lui eravamo davvero fregati.

Mi avvicinai alla sua figura e quello si voltò verso di me all'istante.

La voglia di darmi uno schiaffo per non averlo riconosciuto si fece fervida del mio cervello mentre abbozzavo un sorriso imbarazzato e per niente convinto.

La benda sull'occhio, quello sguardo così duro e serio...

-Parker- fece Nick Fury appoggiando la sua tazza di caffè sul tavolino che aveva dinnanzi -Così mi hai graziato della tua presenza, eh?

Morgan mi si avvicinò e studiò l'uomo/pirata con occhio cinico.

-Sembri un gangster- commentò con una leggera nota di disprezzo.

Fury sorrise.

-Identica a suo padre, non c'è che dire- disse, poi ci fece cenno di accomodarci al suo tavolo -Prego, sedetevi... abbiamo molto di cui discutere.

Spostai la sedia tentando di non farla strusciare sul pavimento, ma ovviamente il terribile rumore di sfregamento non mancò di invadere le mie povere orecchie.

Io e Morgan ci accomodammo dopo un altro lamento da parte del pavimento di linoleum e Fury prese un altro sorso dalla sua tazza.

-Credevo che non sareste venuti- disse -A dire il vero stentavo a credere che voi poteste andare così lontano dall'abitazione che Stark vi ha messo a disposizione- sorrise -E invece eccovi qui!

-Colpa di questo scemo- la bambina che avevo accanto mi indicò e io sospirai.

-Mi dispiace per questo malinteso...- mormorai scuotendo il capo -Io... è stato un incidente.

L'uomo alzò le sopracciglia.

-Guarda che non ti devi giustificare- fece -Io non ho idea di cosa tu abbia fatto- aggiunse -Ti sto appunto chiedendo il perché hai deciso di tua spontanea volontà di lasciare la "zona sicura" per venire in questo posto sperduto. Semplicemente non riesco a trovare un motivo plausibile per cui tu abbia fatto una simile cavolata.

-Ma lei come faceva a sapere che io ero qui?- chiesi, senza rispondere alla domanda (Pare che qui tutti eludano che mie richieste: per una volta lo posso fare anch'io, no?).

Fury sospirò.

-Stark non si fidava di te- sbottò.

-E dov'è la novità?- chiesi facendo una smorfia.

-Quindi ha chiesto allo S.H.I.E.L.D. di tenere d'occhio la situazione a distanza mentre lui era fuori- continuò l'uomo senza badare alle mie parole.

-Colpo basso- sogghignò Morgan, lanciandomi un'occhiata.

La ignorai e fissai Fury con gli occhi fuori dalle orbite.

-Aspetti...- feci -Mi vuole dire che l'organizzazione ha seguito i miei spostamenti per tutto il tempo?- esclamai, sconvolto.

L'uomo annuì e prese un altro sorso di caffè con indifferenza.

-Anche il tassista a cui hai chiesto un passaggio era un nostro agente- disse.

Sapevo che quello lì era sospetto! Urlò il mio cervello, capendo finalmente il perché di tutte quelle assurde domande.

-Credevamo che la tua fosse solo una ragazzata, ma quando ti sei spinto ben oltre le aspettative ho deciso di dover intervenire personalmente- Fury mi guardò di sottecchi -Capisci che non possiamo lasciarti vagare per gli Stati Uniti come ti pare e piace con la figlia di Iron-Man, vero?- fece un cenno verso Morgan.

-Sì...- borbottai abbassando lo sguardo, poi lo rialzai verso l'uomo un secondo dopo -Ma giuro che non stavo facendo niente di illegale!

Nick mi squadrò.

-Niente di illegale?- fece -Peter, non sei ancora maggiorenne!

-Ma è stato Tony a lasciarmi questa responsabilità! Non può sgridare me per un errore commesso dal signor Stark!

-Non è stato Tony a lasciare New York con una bambina di neanche sette anni! Ma tu, Peter! Non puoi pensare di poter fare quello che vuoi mentre qualcuno ti ha affidato la gestione di una ragazzina così piccola, lo capisci?- ora il tono dell'uomo iniziava a farsi alto -Non ci sei tu in ballo; non c'è il futuro del mondo; non c'è Spider-Man, per la miseria!- mi guardò, l'occhio che mandava scintille furiose -Perché questa volta non stai facendo niente che possa essere lontanamente collegato a un pericolo per l'umanità. Tony te l'aveva detto chiaramente: dovevi solo fare il babysitter per un giorno! Mettere da parte il tuo ruolo da supereroe per sole ventiquattro ore!- fece una pausa -E adesso mi puoi spiegare, per piacere, cosa ci fai a centinaia di chilometri da New York senza neanche uno spicciolo nelle tasche?

Deglutii e mi leccai le labbra.

-Si potrebbe avere qualcosa da mangiare, prima?

Fury sospirò e si voltò verso la ragazza del bar.

-Monica, portaci qualcosa di commestibile, grazie.

Lei annuì e scomparve dietro una porta laterale.

-Tranquillo, comunque...- l'uomo mi fissò -Anche Monica è un'agente specializzato.

-Ovviamente...- borbottai.

-Intanto potresti cominciare a spiegare- fece Fury dopo un secondo di immobilità.

Lanciai un'occhiata a Morgan e quella ricambiò con uno sguardo del tipo "Ma che guardi me? Sono problemi tuoi!".

Tornai a studiare l'uomo, presi un bel respiro e iniziai a parlare.

Ore: 13:21.

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Capitolo 8
*** L'estenuante attesa ***


8. L'estenuente attesa


Fury posò la propria tazza sul tavolo e si appoggiò allo schienale della sedia con un sospiro rassegnato.

-Ho capito- disse annuendo lentamente e mantenendo lo sguardo sul caffè ormai freddo -In parole povere hai fatto un casino.

Deglutii, fissando la ciambella glassata di azzurro che Monica mi aveva appoggiato davanti qualche minuto prima, ma che non avevo avuto il coraggio di mangiare. Lo stomaco mi si era come annodato mentre sentivo proferire dalla mia stessa bocca tutto il percorso che mi aveva portato fino a quel bar, mentre ascoltavo la mia stessa voce narrare quanto fossi stato idiota.

Nick alzò l'occhio scuro e immobile verso di me e quell'occhiata severa mi fece irrigidire.

-Quindi cosa vuoi che faccia?- mi chiese, incrociando le braccia sul petto.

Lo fissai e battei le palpebre.

-Me lo dovrebbe dire lei- gli feci. Scossi il capo, rassegnato -Non posso dire a Tony di aver perso l'armatura...

Fury sospirò nuovamente e si massaggiò l'attaccatura del naso con un gesto stanco ed esasperato. Sembrava che quella situazione in qualche modo lo annoiasse. Da furioso e fermo era passato ad un atteggiamento più... scocciato.

-Perciò era tutto qui- mi guardò -Gira tutto intorno ad una delle creature di Stark.

Feci una smorfia.

-Beh... sì- mi morsi un labbro -Devo solo... trovare una soluzione.

-Sai che questo non è uno dei problemi che normalmente lo S.H.I.E.L.D. è abituato a gestire?- alzò le sopracciglia -Diciamo che è più un insulto alla serietà dell'organizzazione.

Alzai gli occhi al cielo senza riuscire a trattenermi.

-Quindi?- lo fissai -Non è che questo mi rassicuri.

-Facciamo così- mise le mani sul tavolo -io ti aiuterò a sistemare questa cosa ad una condizione.

Mi accigliai.

-Sarebbe?

-Che tu mi dia quella ciambella- indicò il piattino che avevo davanti dove il dolce era appoggiato, in un'attesa paziente di essere divorato da qualcuno.

Inarcai un sopracciglio.

Sta scherzando?

Studiai l'uomo con la benda per un istante, cercando un senso per quanto aveva appena detto.

Indicai il cerchietto celeste decorato da zuccherini, quasi con titubanza.

-Questa ciambella?

-Vedi altre ciambelle qui?- intervenne Morgan, acida.

Le lanciai un'occhiata seccata e lei rispose con un sorrisino superiore.

Tornai a Fury, perplesso.

-Mi sta dicendo che lei mi aiuterà a recuperare la Mark.95 se io le do questa ciambella?

-Esattamente- rispose lui -Questa è l'offerta. Prendere o lasciare?

Fissai il dolce.

Una situazione più assurda non poteva capitarmi...

Ma praticamente non avevo scelta.

Deglutii e mi concessi un altro istante. Forse per riflettere su quanto ciò che mi chiedeva Fury fosse strano; oppure perché, in fondo in fondo, avevo davvero fame...

Sospirai e tornai a guardare l'uomo. L'espressione a metà strada tra il dubbio e la risolutezza.

-Accetto.

Ore: 13:45.

 

L'attesa era snervante.

Lo è già di per sé in qualunque momento della vita, ma quando le tue ore sono contate e sai che anche solo pochi minuti di ritardo ti costeranno l'intera esistenza, ogni singolo secondo pare il più prezioso dei tesori... e perdere anche solo un istante è un'orrenda agonia.

Era come se nella testa un orologio inesistente ticchettasse al ritmo agitato dei miei pensieri; e per ogni maledetto rintocco era come se il martello di Thor mi desse un colpo dritto in fronte.

Tic, tac. Tic, tac...

Con la ciambella tra le mani, Fury ci aveva ordinato di aspettare fuori dal bar finché un suo autista non fosse passato a prenderci e ci avesse trasportato a Newport, la città più vicina alla nostra destinazione e, quindi, alla beata salvezza.

Avevo accennato un sorriso che sembrava disegnato con il pennarello mentre il pirata vestito di nero, come niente fosse, saltava su una macchina magicamente apparsa fuori dal locale e, a bordo di essa, si allontanava lungo la strada deserta senza proferire parola.

Ecco. Vi presento lo S.H.I.E.L.D.

Un'organizzazione che vive nell'ombra e che si rifiuta categoricamente di fornire informazioni che i comuni mortali possono anche solo sognarsi di comprendere... Wow, sì, fantastico. Non potevo sperare in qualcuno migliore di Nick Fury per sfuggire al disastro in cui mi ero cacciato, scavandomi la fossa da solo e spingendomici dentro a calci.

Il vento freddo mi feriva la pelle e avevo la fastidiosa sensazione che qualcuno avesse potuto afferrare il mio naso e staccarlo dalla faccia, tanto era congelato.

Dieci maledetti minuti. Minuti in cui stavamo lì, piantati sul marciapiede senza altro da fare che non fosse attendere qualcosa per cui valesse la pena aspettare... magari una macchina calda e confortevole che mi avrebbe risparmiato i ghiaccioli aggrappati alle narici.

Purtroppo Monica era uscita insieme a Fury dal locale, abbassando le saracinesche e chiudendo il bar a doppia mandata.

Ci aveva lanciato un'occhiata e ci aveva salutato con un cenno della testa prima di incamminarsi a lato della strada opposto al nostro. Le mani nelle tasche del parca e i corti capelli corvini che guizzavano come ombre nel vento freddo di Saint Albans.

Morgan tremava accanto a me senza ritegno. La piccola testa appoggiata al mio fianco che per la prima volta non percepivo come una nemica ma più come qualcosa da proteggere...

Sospirai e il mio fiato si condensò nell'aria gelida.

La temperatura si era terribilmente abbassata da quella mattina. Sapevo che, essendo più a nord di New York, la situazione meteorologica non poteva essere esattamente uguale... ma qui dovevamo essere prossimi allo zero assoluto!

Alzai lo sguardo solo quando il suono famigliare di un motore ruggente interruppe gli insulti silenziosi che stavo lanciando a Nick Fury e al resto dello S.H.I.E.L.D.

Nell'immobilità di quel paesino perso per i boschi una Volvo nera avanzava rombando lungo la strada congelata nel tempo; i finestrini a specchio, però, non lasciavano intravedere chi ci fosse alla guida.

Seguii la vettura con lo sguardo finché essa non si fermò a ridosso del marciapiede mantenendo il motore acceso e furente.

Il vetro oscurato si abbassò lentamente e una persona che mai mi sarei sognato di vedere mi apparve davanti come un miraggio.

-Happy?- esclamò Morgan, fissando l'uomo con gli occhi sbarrati.

Quello fece una smorfia e si rivolse a me.

-Credevo che per una volta avrei potuto passare un giorno senza che tu facessi qualcosa di stupido- disse, con una profonda aria di disapprovazione -Evidentemente mi sbagliavo.

Battei le palpebre.

-Ma da quando lavori con lo S.H.I.E.L.D.?- gli chiesi, confuso.

-Da quando Tony mi ha ordinato di rendermi disponibile per qualsiasi evenienza mentre lui era fuori- rispose Happy alzando gli occhi al cielo. Poi fece un cenno con la testa -Dai, salite.

Obbedimmo senza fiatare e lo sbalzo termico che ebbi tra l'esterno e quell'abitacolo riscaldato mi tolse il respiro per un secondo.

Mi accomodai su quel morbido sedile di pelle e allacciai la cintura a me e a Morgan.

Hogan si voltò verso di noi dal sedile anteriore e ci rivolse un sorriso storto.

-Allora? Dove si va?

-Newport- risposi, feci una pausa -E... grazie.

La sua espressione si addolcì di colpo.

-Dillo a Tony. Se non fosse per lui non penso che Fury avrebbe a cuore la tua situazione.

-Se non fosse per lui io non sarei neanche qui...- borbottai, accigliandomi.

-Se non fosse per me tu non avresti neanche la posizione dell'armatura!- intervenne la piccola Stark con un ghigno.

Le scoccai un'occhiata glaciale.

-Se non fosse per te io non mi ritroverei in questo pasticcio!

-Se non fosse per te che obbedisci agli occhiali io non avrei rischiato di morire assiderata!

-Ah, sì? E se non fosse per me...

-Ok, adesso basta!- la voce profonda di Happy ci fece immobilizzare -Sembrate una coppia di pensionati- aggiunse, esasperato.

Mi morsi l'interno delle guance per non ribattere e mi limitai a tacere mentre Morgan metteva il broncio.

Hogan sospirò e si volse verso il volante.

-Spero di non pentirmene- commentò fra sé prima che la macchina si mettesse in moto silenziosamente.

Posai lo sguardo sul finestrino. La strada che correva via e la mente carica di dubbi.

Eravamo vicini.

Ore: 14:03.

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Capitolo 9
*** Perché? ***


9. Perché?


Il paesaggio correva fuori dal finestrino senza che io neanche lo guardassi.

I miei occhi esaminarono per un istante il riflesso del mio viso sul vetro e io sospirai, non riuscendo lontanamente a collegare il volto tirato e sfinito del ragazzo che vedevo con l'immagine che ricordavo di me stesso.

Sospirai di nuovo e mi feci passare stancamente una mano sulla faccia.

Voltai lo sguardo verso Morgan, che fissava il vuoto, immersa nelle proprie riflessioni. Immaginai uno scenario apocalittico nel quale, in cima alla più alta delle vette, quel minuscolo esserino emerso dagli antri più oscuri della Terra si ergeva come un sovrano ricco e spietato...

Un brivido mi corse su per la schiena mentre scacciavo rapidamente quel pensiero agghiacciante.

Il silenzio che regnava nella vettura era totale da almeno un quarto d'ora, rotto soltanto dal tenue ronzio del riscaldamento che si diffondeva piacevolmente nel lussuoso abitacolo.

Immersi la mano nello zaino che separava me e Morgan e ne feci emergere un paio di occhiali famigliari.

Li inforcai con un gesto istantaneo e controllai la distanza che ancora ci mancava per arrivare alla destinazione.

I riquadri che mi si aprirono erano gli stessi che avevo imparato ad accettare. Gli stessi che nel paio di volte in cui, durante il viaggio, avevo deciso di dare una sbirciata alle lenti mi erano puntualmente apparsi davanti al naso.

-Distanza percorsa: 488 chilometri. Distanza mancante: 82 chilometri- annunciò allegramente la solita voce robotica.

Avevo impostato lì il navigatore che ci avrebbe condotto alla Mark.95, decidendo che era probabile che quel piccolo giocattolo di Tony Stark fosse molto più affidabile del Google Maps nel mio cellulare.

Ma oltre a questa semplicissima azione avevo scelto di non armeggiare ulteriormente con quell'oggetto terribilmente potente. Ogni minima azione fatta con quell'affare avrebbe potuto portare ad una catastrofe ancora peggiore del perdere un'armatura da milioni di dollari, e anche solo l'idea di poter essere il responsabile di simili tragedie mi aveva spinto a seguire il mio carissimo istinto, il quale mi suggeriva caldamente di essere prudente.

Eppure in quel momento di immobilità e guadagnato relax, nel quale la quiete regnava sulla macchina e nessuno di noi si azzardava a emettere un singolo suono, decisi che fare un giro nella memoria che quegli occhiali racchiudevano senza toccare niente non avrebbe fatto male a nessuno...

Capii che l'interfaccia delle lenti si controllava tramite impercettibili movimenti della pupilla e delle palpebre, che aiutavano a viaggiare rapidamente da una cartella all'altra senza comando vocale. Non ci misi molto ad imparare a gestire gli scatti dei miei occhi e dopo pochi minuti ero capace di girare liberamente tra i diversi tipi di file e documenti.

Solo adesso credevo di aver compreso cosa ci trovasse Morgan in quel marchingegno fantascientifico, nella sensazione prorompente di poter fare qualsiasi cosa.

La piccola Stark mi lanciò un'occhiata perplessa dal suo sedile, ma la ignorai, continuando a navigare dentro a quell'universo digitale racchiuso in un paio di piccole lenti.

Dopo quasi cinque minuti di esplorazione incappai quasi per caso in una pagina delle impostazioni principali che indicava i protocolli attivati. Dal meno recente all'ultimo, in ordine cronologico.

Mi accorsi di quante cose si potessero fare e di come Tony utilizzava pienamente le abilità di quell'affare incredibile...

Poi arrivai all'ultimo protocollo...

Per un attimo il mondo si fermò. Il tempo smise di scorrere e io rimasi congelato nell'attimo, fissando come ipnotizzato quella scritta fluttuante, quasi volessi convincermi essere solo un incubo.

L'unica cosa che riuscii a pensare in quel momento fu una sola e solitaria domanda, quasi un sussurro lanciato dalla dalla mia mente incapace di ragionare.

Perché?

Poi fu come una scossa e il mio intero corpo vibrò mentre la mia testa scattava in direzione di Morgan, gli occhi che mandavano scintille furiose.

-"Toccata e fuga"?- le urlai, indicando le lenti con vigore -"Toccata e fuga"?! Cosa accidenti significa "Toccata e fuga"?!

Happy emise un grugnito, infastidito dalla mia reazione; ma lo ignorai, concentrandomi unicamente sulla bambina che mi sedeva accanto.

Lei fece un sorrisino lesto.

-Non posso prenderti sul serio con quegli occhiali- disse, e per un attimo vidi in fondo ai suoi occhi l'esatta copia in miniatura di Tony Stark.

Con un urlo frustrato mi levai l'accessorio tecnologico.

-Mi avevi detto che il protocollo attivato era "Fuga con stile"!- esclamai, questa volta con la voce appena incrinata, come sull'orlo del pianto.

-Che succede lì dietro?- domandò a quel punto Happy, lanciandoci un'occhiata severa dallo specchietto.

-Cosa hai attivato in realtà?- feci guardando Morgan, evitando la domanda di Hogan.

La piccola sbuffò.

-Quel protocollo serve per confondere il nemico- sputò la bimba, di malavoglia, alzando mestamente gli occhi al cielo -Spedisce l'armatura verso un punto a caso e poi la fa tornare alla base dopo un paio d'ore- mi guardò -Devi imparare a non fidarti mai di me.

-Cosa?!- urlai mentre l'intero corpo si irrigidiva e una rabbia cieca traboccava -Morgan, hai idea di quello che hai fatto?- la voce mi tremava -Sai cosa ho passato per arrivare fino a qui?

Batté le palpebre e fece una smorfia.

-Ero con te: certo che lo so.

Mi morsi un labbro e la voglia di sgozzare quel piccolo mostro mi invase l'anima.

-Ma perché l'hai fatto?!- strillai, senza ormai nessun autocontrollo.

Quella mise il broncio e incrociò le braccia.

-Perché sto sempre chiusa in casa- rispose borbottando -Volevo fare qualcosa di forte questa volta.

Ma che...?!

-E per questo mi hai fatto attraversare tutto il Vermont? Per questo sto rischiando la mia reputazione e la fiducia che tuo padre ha in me?

Morgan voltò lo sguardo nella mia direzione e, come fosse la cosa più normale del mondo, rispose con una minima parola. Una singola sillaba detta con leggerezza:

-Sì.

Non è servito a niente strillava il mio cervello Non è servito a niente!

-Ma che diamine state combinando?- intervenne nuovamente il nostro autista.

Mi voltai di botto verso di lui.

-Happy, inverti la direzione- gli dissi, con tutta l'autorità di cui ero capace -Devo tornare a New York, adesso!

-New York?- quello mi fissò attraverso il riflesso nello specchietto -Peter, siamo quasi arrivati: manca meno di mezz'ora a Newport...

-E quanto dista da qui la casa di Tony?

L'uomo parve pensarci un attimo.

-Circa sei ore di macchina.

Un brivido congelato mi attraversò il corpo.

E mentre ancora la mia mente lavorava, nella vana ricerca di una soluzione per questo casino, mentre tentavo di aggrapparmi alla speranza ormai scomparsa... la mia anima si arrese. Il mio Senso di Ragno smise di urlare e io mi ritrovai perso, a brancolare nel buio senza più un punto di appiglio, mentre ancora un eco lontano sembrava rimbombarmi nel cranio.

Perché...?

Ore: 14:26.

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Capitolo 10
*** Semplice disperazione ***


10. Semplice disperazione
 
 

-Stai scherzando, spero- dissi lanciando a Happy un'occhiataccia che sentivo avrebbe fatto impallidire anche Tony Stark.

L'uomo fissò sconsolato il proprio veicolo, fermo in mezzo alla strada. Poi rivolse lo sguardo a me e si morse un labbro, pensoso.

-Avevo detto a Fury di lasciarmi un'auto con il serbatoio pieno...- borbottò fra sé posizionando le mani sui fianchi.

Sentivo che da un momento all'altro sarei potuto scoppiare a piangere.

Sembrava davvero che il fato avesse deciso di punirmi, che quell'unico giorno mi avrebbe rovinato la vita... che ogni mio squallido tentativo di aggiustare le cose si ritorcesse contro di me senza la minima pietà.

Era come se per ogni mia azione qualche essere superiore mi frustasse con forza e si divertisse a guardarmi soffrire.

Già sentivo nelle orecchie le parole che mi avrebbe rivolto Tony una volta scoperto quel macello. Mi sembrava di udire la sua voce profonda e severa che con una freddezza innaturale mi avrebbe fatto congelare sul posto nonché distrutto ogni mia remota speranza.

"Parker, mi hai deluso."

Un brivido mi attraversò rapido la spina dorsale, ma non c'entrava niente con l'aria ghiacciata.

Levai lo sguardo provato verso il paesaggio che ci circondava...

Il Vermont è famoso per i boschi fitti e la flora rigogliosa... e in una qualsiasi altra occasione avrei davvero apprezzato quell'aria così fresca a pulita, in confronto al denso smog che si respirava a New York. Ma quella non era un situazione normale, e gli alberi alti e frondosi che popolavano quell'angolo di mondo mi apparivano di più come una gabbia la cui chiave era stata gettata. Quei magnifici tronchi divenivano, ai miei occhi, sbarre rigide e inviolabili... una prigione senza via di fuga.

-Peter, ho fame.

La voce di Morgan mi riscosse dai miei pensieri. I suoi occhi non accettavano scuse, continuando a brillare di argento vivo.

Scossi la testa, rassegnato.

-Ti sei mangiata tutti i panini- le feci, senza evitare di mettere una nota acida in quelle parole -E poi sono ancora arrabbiato con te.

Happy sospirò.

-Newport non è distante da qui...- commentò storcendo la bocca -Potrei provare ad arrivarci a piedi...

Lo fissai e battei le palpebre.

-Sei matto?- esclamai -Sono almeno venti chilometri!

-E che altro proponi?- senza un motivo preciso iniziò a fare avanti e indietro da un lato all'altro della piccola strada immersa nel verde -Qui sognarsi di chiamare qualcuno è inaudito: non c'è campo... l'unica è camminare.

Alzai gli occhi al cielo.

-Mi vuoi dire che non abbiamo scelta? Siamo bloccati?

Fermò la sua strana marcia e mi fissò accigliato.

-Ti ricordo che non saremmo finiti in questo casino se tu fossi stato un minimo più responsabile- mi apostrofò Hogan con un tono che non ammetteva repliche.

Strinsi i pugni, fumante di rabbia.

-Se devi andare vai!- urlai, in un bizzarro miscuglio tra esasperazione e sconforto. Gli indicai la direzione della città con un gesto distaccato e carico di disperazione.

Mi guardò negli occhi e fece un sorriso storto.

-Peter...

Lo fulminai con lo sguardo.

-Non rifilarmi la storia che questo è solo un brutto momento, va bene? Non ti voglio ascoltare!

Morgan mi guardava. Ma questa volta i suoi occhi erano senza emozioni nascoste. Solo due voragini scure e vuote.

-Peter, ho fame- disse, in una leggera preghiera.

-Ho capito che hai fame!- urlai -Ma non posso farci niente!

-Senti, adesso calmati.

Scattai su Happy.

-Non dirmi di stare calmo!

Quello sospirò nuovamente e si fece passare stancamente una mano sulla faccia. Lanciò un'altra occhiata alla macchina, fissa in mezzo al nulla... la benzina esaurita, come la speranza.

-Tornerò tra un qualche ora se faccio in fretta- disse, ignorando le mie parole. Mi fissò -Bada a Morgan. Non ti allontanare dalla strada.

Rimasi in silenzio per un istante.

-Va bene- dissi dopo un attimo, senza però guardarlo -Ma non posso assicurarti niente.

-No- sorrise -Non è nella tua natura.

Ore: 14:47.

 

La pioggia arrivò lentamente, in un lento passaggio da ciel sereno a tormenta.

Il vento si alzò, spazzandoci i capelli e ferendoci gli occhi come una lama fredda e affilata. Poi il cielo sprofondò nel buio.

Nubi oscure quanto il mio umore ricoprirono il sole mentre Morgan, in un gesto forse derivato da puro istinto di sopravvivenza, si alzava rapida il cappuccio sulla testa.

La prima goccia mi colpì la guancia e nel giro di pochi minuti ero fradicio fino alle ossa. I vestiti impregnati d'acqua, l'anima di sconforto.

Happy, maledizione a lui, si era portato via le chiavi dell'auto senza neanche farcelo sapere... e ora la vettura calda e riparata era qualcosa che potevamo solo guardare.

Mi accoccolai sotto un albero la cui chioma speravo ci avrebbe protetto dalla tempesta.

Il freddo mi entrava dentro e la mia mente era ghiacciata dal medesimo gelo, tanto da impedire ai pensieri di scorrere come dovuto.

Sospirai, lo scroscio della pioggia che colpiva le fronde e le ginocchia tirate sotto il mento... Bene, rieccoci qui.

Presente. Ore: 15:02.

 

Morgan crolla sulla mia spalla e io mi volto a guardarla con un sorriso stanco e tirato.

Gli occhi della piccola sono chiusi, e i capelli inzuppati le coprono il visino pallido facendo scorrere delle piccole gocce giù per le guance.

Non riesco ancora a capacitarmi del fatto che quel piccolo tiranno sia riuscita a prendermi in giro per tutto questo tempo, che tutto ciò che ha fatto è stato solo per vivere qualcosa di livello Avengers...

Mi ritrovo a pensare che forse Tony non la tratta come dovrebbe, che lei è solo vittima di un padre troppo famoso... una bambina all'ombra dei propri genitori che vorrebbe soltanto vivere la propria vita come fanno loro... Ma non posso esserne certo e, in fondo, al momento i miei pensieri sono troppo confusi per capire quale sia davvero sensato e quale, invece, un frutto della stanchezza.

Ho le mani ghiacciate, e ormai nemmeno le tasche riescono a donarmi quel minimo di tepore che tanto bramo. Happy è via da soli pochi minuti ma mi pare che sia passata un'eternità, e l'acqua continua a cadere imperterrita da un cielo nero come pece.

Ho sonno.

Non so come diamine ho fatto ad arrivare qui, non ne ho idea. Non so quale scherzo del destino mi abbia portato a questo frangente, non ne ho idea... ma la stanchezza ricomincia ad assorbirmi e il respiro regolare di Morgan è l'unico suono davvero ritmico che valga la pena ascoltare in questa cacofonia di gocce e fiumi che si abbattono sugli alberi con violenza.

Il mio fiato caldo si condensa nell'aria gelida, e attraverso queste nuvole derivate dal mio respiro vedo il mondo farsi sempre più pallido e spento.

Ho sonno.

Adesso è l'unica cosa che conta...

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Capitolo 11
*** Bagnati di pioggia ***


11. Bagnati di pioggia


Mentre dormo il mio Senso di Ragno è terribilmente vigile.

Mentre il mio corpo è immobile, il mio respiro regolare, l'acqua cade da nuvole di catrame bagnandomi completamente e la mia coscienza vaga in qualche luogo sperduto e dimenticato... il mio sesto senso si libera.

Smette di essere prigioniero della mia mente e, dopo qualche strattone, è finalmente fuori... Oltre il ragazzino a cui è legato, oltre il proprio sporco mestiere di avvertirmi ad ogni momento di pericolo.

Regala un sorriso intenerito alla mia figura. La mia testa appoggiata sopra quella di Morgan... Sembriamo quasi fratelli così, due persone che dormono l'una appoggiata all'altra sotto una pioggia battente che profuma di rugiada.

Volge lo sguardo verso il mondo esterno e, in un urlo liberatorio, corre ad esplorarlo...

 

Happy è fradicio.

Sente come se il proprio corpo fosse pesante, una forza invisibile che lo tira verso la direzione da cui sta arrivando.

Si è reso conto troppo tardi delle chiavi che ha in tasca e ormai ha percorso troppa strada per poter anche solo considerare l'idea di tornare indietro e aprire la macchina a Peter e alla piccola Stark.

Ad ogni doloroso passo è come se i suoi piedi affondassero sempre di più nell'asfalto... e per tutto il lungo pezzo di marcia nemmeno una maledettissima auto si è ancora degnata di passargli accanto.

Gli sembra di risentire una vecchia conversazione fatta con Tony parecchi mesi prima e che aveva quasi dimenticato... Un argomento così sciocco ma allo stesso tempo tremendamente utile.

"Ah, la strada più breve non è mai la più facile!" aveva detto Stark, con il solito tono canzonatorio di chi crede di sapere più degli altri.

Era evidente che fosse solo una di quelle perle di saggezza ripescate da internet e che chiunque poteva intuire... ma solo ora Happy sembra aver compreso il significato di quelle parole, ricordando il momento in cui ha impostato il navigatore sul percorso più veloce... ma probabilmente il più isolato dal resto della civiltà e da cui passa qualcuno ogni morte di papa.

E adesso si maledice dal profondo per non aver dato retta (una volta che la dice giusta) al buon vecchio Tony e alla sua lunga esperienza in campo tecnologico.

Sono le 18:34 quando finalmente Hogan varca l'entrata di Newport.

I piedi a brandelli, i polmoni in fiamme, i vestiti fradici.

Piove ancora, ma adesso la tempesta si è leggermente quietata e i barili che prima sembravano piombare dal cielo come bombe sganciate dall'esercito nemico si sono trasformate in piccole gocce leggere e innocenti... di quelle che ti entrano negli occhi rapide e senza avvisare.

Happy ha la mente piena di insulti per l'intero mondo e quando finalmente riesce a trovare una panchina sotto un portico decide immediatamente di sedersi lì, scosso da brutali brividi di gelo e con il naso che sembra quasi fatto di ghiaccio.

Si prende un attimo per riprendere fiato.

Pensa a Peter e Morgan, che lo staranno aspettando sotto l'acqua senza un riparo... e in un impulso di egoismo si ritrova a riflettere che sia in realtà colpa loro e che fanno bene a morire congelati.

Fissa per un istante la pioggia che cade oltre il limite del suo riparo e prende profondi respiri, provocando leggiadre nuvolette di condensa.

Deglutisce, poi si ricorda in un attimo di lucidità del cellulare che tiene ancora in tasca.

Lo estrae e storce il naso, vedendo le piccole perle trasparenti che rigano lo schermo lucido.

Accende il display e con soddisfazione accerta che il suo telefono scassato ancora funziona nonostante la tormenta.

Adesso riesce a collegarsi alla Rete senza problemi e, come una serie di colpi di mitraglia, decine e decine di messaggi gli lampeggiano davanti in lampi di notifiche.

Tutti da una sola persona.

Happy si acciglia e si asciuga la faccia con una mano prima di aprire gli SMS con un leggero tocco confuso.

Chilometri di parole e punti esclamativi non letti... Gli occhi dell'uomo, però, cadono solo sull'ultimo messaggio arrivato e il suo cuore perde un battito.

Arrivo

 

Un allarme mi si accende nella testa come un fulmine a ciel sereno e per poco non salto in aria.

Gli occhi mi si spalancano con uno scatto agitato e l'adrenalina mi fluisce nel corpo a fiumi senza che io ne sappia il motivo.

Ho il fiatone, ma non so perché...

Mi accorgo di essermi addormentato solo quando noto che la tempesta non infuria più come ricordavo e ora solo una leggera nebbia fatta di gocce riempie il bosco a ridosso della strada.

Deglutisco e stringo le mani congelate, tentando di recuperarne la sensibilità.

-Peter?

Mi volto verso Morgan, che si sta strofinando un occhio con il pugnetto fradicio e mi fissa confusa.

Va contro tutto ciò in cui credo, ma le sorrido.

-Ciao- dico mentre lei si sposta dietro l'orecchio una ciocca di capelli impregnata di pioggia.

-Ho sognato che tu morivi- mi fa mentre il mio sorriso si spegne di botto -Bel sogno.

E te pareva... penso con un sospiro mentre mi alzo lentamente in piedi e stendo le gambe indolenzite e congelate.

Morgan mi imita e raccatta dal terreno lo zaino bagnato, ormai sporco di terra.

-Piove ancora- fa notare la piccola con una smorfia.

Annuisco distrattamente prima che il mio sguardo si posi sulla macchina di Happy, ancora ferma in mezzo alla strada, congelata nell'attimo. Il suo proprietario ancora non si è fatto vivo e questo mi mette un attimo in soggezione.

Mi avvio verso la vettura e, con la pioggia che mi cade negli occhi, levo lo sguardo verso la direzione in cui si è diretto l'uomo e faccio una smorfia.

-E ora, genio?

Mi volto di scatto verso la piccola Stark, in piedi dietro di me; i capelli scuri appiattiti in testa e gli occhi carichi di sarcasmo... pare che la dormita le abbia fatto bene all'umore...

-Sempre molto gentile tu, eh?- le faccio, accigliato -Dopo tutto quello che hai fatto ancora ti impunti ad essere superiore a chiunque.

-Io sono superiore- ribatte Morgan, mostrandosi tutta impettita sebbene abbia l'aspetto di un cagnolino bagnato -Sono anche riuscita a ingannare Spider-Man!

Alzo le sopracciglia.

Ma che parlo a fare?

-E poi- continua lei -Mio padre ovviamente ti punirà per questo.

-Nessuna punizione è peggiore dello stare qui con te- commento, alzando gli occhi al cielo.

Un rombo di motore mi fa voltare verso la strada mentre il cuore prende a battermi forte. Sento gli occhi illuminarsi mentre la vettura rapidamente si avvicina a noi, scintillando sotto il sottile raggio di sole che si è affacciato timidamente dalle scure nubi.

Chiunque sia mi prometto che lo costringerò a portarci al primo aeroporto disponibile. Forse c'è ancora speranza di fuggire a Tony Stark!

L'auto è grande, lussuosa, di un grigio metallizzato che riflette perfettamente la poca luce presente e con un motore che ruggisce furioso.

Faccio cenno a Morgan di farsi da parte e mi piazzo in mezzo alla strada. Basterebbe già la macchina di Happy a far fermare l'autista, ma preferisco mostrare subito la mia presenza.

Quando il mezzo si fa più vicino e rallenta vedendomi, un dubbio mi appanna la mente per un secondo...

Perché qualche riccone che può permettersi una macchina simile dovrebbe venire da queste parti? Mi domando... ma poi scaccio il pensiero rapidamente, affiancandomi al finestrino oscurato con il cuore che tenta di evadere dal corpo.

Il vetro si abbassa ed è come se davanti agli occhi mi passasse tutta la vita.

Un terrore che niente potrebbe eguagliare mi si dipinge rapido sul viso e per un secondo mi sento svuotato da ogni certezza.

Poi l'uomo al volante mi sorride e si toglie gli occhiali da sole assolutamente inutili in un pomeriggio nuvoloso... ma comunque d'effetto con qualunque tempo.

I miei occhi incrociano i suoi e non posso far altro che deglutire, incerto; le parole bloccate in gola.

-Beh?- fa Tony Stark.

Ore: 19:00.

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Capitolo 12
*** Un allegro finale amaro ***


12. Un allegro finale amaro

Una settimana dopo

-Aspetta, aspetta, aspetta...- Ned alza le mani davanti al viso con una smorfia di confusione al posto della faccia -Mi stai dicendo che per tutto il tempo lui sapeva dov'eravate?

Mi appoggio allo schienale della sedia e gli sorrido incrociando le braccia.

-Avrei dovuto pensare al fatto che non poteva non aver messo sugli occhiali un chip di localizzazione...- rifletto tra me, poi mi volto nuovamente verso di lui -E ovviamente quando ha visto che il suo amato gingillo era lontano centinaia di chilometri da New York è tornato immediatamente a casa...

Il mio amico annuisce e prende un altro sorso della Coca-Cola che gli ho offerto.

-Il tuo errore è stato questo, bro- mi fa.

Lo fisso e batto le palpebre.

-Che intendi?

-Hai agito senza manco riflettere sul fatto che volevi scappare ad Iron-Man- si esibisce in un sorriso storto -Davvero credevi di farla franca?

-Beh sì...- arriccio il naso e sospiro.

Ned scuote piano la testa come avesse capito il significato della vita.

Per un attimo rimaniamo in silenzio e l'unico suono udibile è il brontolio del forno dentro cui May a messo a cuocere le patate.

Poi il mio amico fa scattare la testa nella mia direzione.

-E allora perché ti ha chiamato sul furgone?- mi chiede e io alzo gli occhi al cielo.

-È probabile che volesse solo prendermi in giro, lo sai come è fatto...

-In realtà no.

Lo fisso.

-Beh, è uno a cui piace prendere in giro le persone.

-Capisco.

Un altro attimo di immobilità.

-Happy comunque è vivo?

Mi volto a guardarlo e storco la bocca.

-Perché dici questo? Certo che è vivo!

-Ma si è rifatto la strada fino alla macchina a piedi?- domanda ancora il mio amico.

Lo fisso come fosse pazzo.

-Ovvio che sì- faccio, sarcastico -E poi ha anche incontrato un gruppo di unicorni!

Sbuffa.

-Era in macchina con Tony, vero?

Annuisco e cala nuovamente un silenzio imbarazzato.

-Dai dillo- sbotto dopo un istante.

-Cosa?

-Che sono stato un idiota, lo stai pensando da quando ho iniziato a parlare- spiego esasperato -Lo so io stesso di aver fatto in casino: rinfacciamelo pure!

Aggrotta la fronte.

-Non so di cosa tu stia parlando.

Gli sorrido, quasi grato.

-Quindi non pensi che io abbia fatto l'ennesima cavolata?

-No- fa lui -Io penso che tu abbia fatto la più grande cavolata nella storia delle cavolate!

Alzo gli occhi al cielo ma sto ridendo.

Questo direi che è un buon modo per rilassare i nervi dopo tutto ciò che è successo...

-E quindi la punizione di Tony sarebbe...- fa Ned, dopo un secondo.

Lo guardo.

-Esatto- annuisco e il mio sorriso si spegne -La peggiore di tutte.

-Anche peggio del toglierti il costume per un anno?

-Sì.

-Di espellerti dagli Avengers?

-Certamente.

-Di lasciarti in eredità quel paio di occhiali in modo che tu possa combinare un casino assurdo?

Mi acciglio e lo fisso strano.

-Cosa intendi?

Fa spallucce.

-Niente: era un esempio.

-Comunque sì- dico, rassegnato. Abbasso lo sguardo -Il signor Stark non poteva trovare un modo peggiore per farmi soffrire...

Ned inarca un sopracciglio.

-Davvero la odi così tanto?

Non rispondo, ma dirigo gli occhi verso la porta della cucina e un sorriso stanco mi compare in viso come un pallido bagliore di quella che un tempo sarebbe stata gioia.

"Morgan chiede sempre di te." mi aveva detto Tony durante quel fatidico venerdì di due giorni fa "E visto che tra quarantotto ore parto per un altro impegno di lavoro ho bisogno che tu la tenga."

Il panico mi aveva assalito e il mio volto era sbiancato così tanto che avrei potuto anche risparmiare i soldi per il costume di Halloween.

"Tienila a casa tua stavolta." aveva aggiunto Iron-Man, poi la sua espressione si era aperta in un sorriso carico di sarcasmo "Prendila come una punizione."

-Peeeeter!!- sento urlare la minuscola tiranna dalla mia camera, dove l'ho lasciata a giocare con i LEGO, nella remota speranza che quelle costruzioni possano tenerla occupata almeno cinque minuti.

Sospiro, e con l'andatura claudicante di uno zombie mi trascino verso la porta della stanza, Ned che mi fissa ridendo.

Apro la porta e immediatamente sbianco.

-Pete- fa Morgan con la maschera di Spider-Man in testa e uno spararagnatele in mano -Come funziona l'Uccisione Istantanea?

Fine

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