Souls

di __Hopeless__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Prologo.
 
“I Serafini hanno deciso così Daniel. Non c’è nulla che tu possa fare adesso per cambiare le cose. Il tuo gesto ha condannato tutti voi. Appena il bambino compierà due anni, verrà affidato nuovamente a te. Sulla terra. Sottoforma di umano. Non avrà modo di far crescere i suoi poteri che si andranno a soffocare con il tempo. Mentre, al primogenito, saranno proibiti e bloccati i propri poteri sviluppatisi fin ora. Mi dispiace. Questo è quanto. Va’ e prepara la vostra roba.”
Queste furono le parole finali e fredde di Uriel, l’Angelo al controllo delle forze che presiedono bruschi ed imprevisti cambiamenti; non soltanto nel destino dei singoli individui, ma anche a livello planetario.
Queste furono le parole che diedero inizio al cambiamento di Daniel e della sua famiglia: gli angeli, ora caduti, furono esiliati dal regno.
Sebbene Uriel fosse anche l’Angelo interprete delle profezie, non fece attenzione ad un particolare. Aveva forse tralasciato qualcosa che adesso invece, rischierà di cambiare tutto.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


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Capitolo 1.

 
-Aria-
 
C’è sempre stato qualcosa nelle stelle, nell’astronomia, che mi attira. Mi chiama. Una sorta di attrazione gravitazionale al contrario, con qualche valore sballato, se vogliamo definire così questo mio interesse quasi ossessivo verso l’universo e l’ignoto. Lo sconosciuto.
Mi piace pensare che non siamo soli a questo mondo. Che esistono anche altri pianeti con forme vitali, altre energie li fuori, che sono molto simili a noi esseri umani. 
In caso contrario, se fossimo davvero gli unici ad occupare questo universo, quanto soli saremmo in realtà? Voglio dire, siamo viventi sulla Terra. Gli unici. In tutto l’infinito.  E’ triste, davvero triste e tetro.
<< Aria, non credi che faccia troppo freddo per restare ancora fuori senza nulla addosso? >>
 Mi giro di scatto al richiamo del ragazzo dagli occhi marroni e dai capelli castani appostato dietro la porta di casa.
<< Arrivo, stavo solo prendendomi del tempo per stare da sola. >> Rispondo monotona mentre tento di alzarmi dall’erba fredda del piccolo cortile della villetta bifamiliare.
Samuel, senza dire nulla annuisce e va via, lasciando la porta aperta per lasciarmi entrare.
Rischio di inciampare nel secondo gradino che precede l’entrata.
Io e la fissa di restare con gli occhi all’insù.
Incespico nei miei stessi passi ma recupero immediatamente l’equilibro, rientrando in casa e richiudendomi la porta alle spalle.
Mentre mi avvio al piano superiore dove ci sono le camere, sento mia madre urlare contro un concorso a premi.
<< Ma stiamo scherzando? Era la C la risposta corretta, come si fa a sbagliare? Ignorante! >>
Mi fermo sul primo gradino e sorrido al pensiero di papà che nel frattempo la rimprovera per la troppa enfasi.
<< Ah certo tesoro, e poi sarei io quello che esagera con le partite di calcio! >> Sicuramente starà scuotendo la testa.
<< ’Sta zitto Manuel. >>  Ribatte lei secca.
Mia madre è una patita dei concorsi a premi e dei quiz. Quando io e mio fratello Samuel eravamo piccoli, lei indiceva almeno una volta al mese “La serata del Quizzone”. Durava ore. Era sempre un venerdì sera, e tutti ci siedevamo sul tappeto, in cerchio con questo gioco da tavolo di cui alla fine, con il passare degli anni, le risposte erano state imparate a memoria da tutti noi.
“Serve anche per creare cultura nei bambini! Sono ancora giovani e la loro mente è molto elastica!” era la scusa di mamma quando qualcuno di noi, compreso papà, si lamentava.
Poi il classico venerdì del mese piano piano, mentre io e Samuel crescevamo, era diventato il giorno del torneo di calcio, il giorno del corso ricreativo, il giorno delle feste… Sebbene fosse solo una riunione che ci richiamava una volta al mese, alla fine quel gioco tanto infernale quanto nostalgicamente familiare, fu riposto sulla mensola più alta dello sgabuzzino, da cui poi non si è più mosso.
Sento il trillo del computer che mi ricorda che alle otto e mezza precise avrei avuto una videochiamata con Paige. Salgo quindi velocemente i gradini e, prendendo le cuffiette appoggiate distrattamente sul comodino, mi siedo a gambe incrociate sul morbido e grande letto al lato della mia stanza.
Clicco sul tasto verde che continua a muoversi sul computer e una ragazza bionda mi appare davanti, sorridente.
<< Ar!! >> Trilla scuotendo la mano a destra e sinistra in segno di saluto. E’ sempre solare questa ragazza ed è una delle poche vere amiche che ho sempre avuto al mio fianco.
<< Pay-Pay ciao! >> La schernisco io sorridendo a mia volta, consapevole di quanto odi questo nomignolo.
<< Guarda, faccio finta di non aver ascoltato solo perché non ci sentiamo da tanto tempo! >> Continua con tono allegro. Mi scappa una risata: è contagiosa la sua spumeggiante felicità.
<< Va bene, dai so che stai fremendo per raccontarmi qualcosa, se fossi un cagnolino vedrei la tua coda spazzare voracicamente a terra! >> Rispondo io con aria saccente, sistemandomi meglio sul letto in modo da non sgualcire il copripiumone.
<< Io continuo a chiedermi come faccio a sopportare le tue orribili battute e la tua continua pungente ironia Aria, sul serio. >>
 In tutta risposta, inarco il sopracciglio e mi soffermo a notare i suoi grandi occhi verdi che continuano ad essere sorridenti nonostante le mie parole.
<< Beh, comunque… Scott ha deciso che verrà qui da me a Bristol dal prossimo mese! Non è una notizia splendida? Me lo ha comunicato ieri e volevo troppo dirtelo in quel preciso istante, ma no! Dovevo dirtelo computer a computer. Oddio Aria, non so se verrà da me o se prenderà una casa tutta sua. Ma ad ogni modo è comunque la notizia migliore del mondo, non credi?? >> Non si ferma un attimo neanche per respirare. Dice tutto gesticolando insensatamente e cacciando urletti di tanto in tanto, di parola in parola.
<< E’ perfetto! E’ quello che volevi no? Finalmente si è dato una mossa! Sono davvero contenta per te Paipe! >>
Paige e Scott stanno insieme da almeno quattro anni. Si sono conosciuti da ragazzi a scuola, eravamo in sixth form e, pur frequentando materie diverse, alla fine hanno attaccato bottone.
O meglio, lui ha cercato di attaccare bottone con lei che, inizialmente non ne voleva sapere di frequentarlo. Paige era, ed è tutt’ora, una ragazza molto ricercata. Ed è perfetta. Fisicamente e caratterialmente, nulla di cui meravigliarsi quindi.
<< E con gli studi? Come ha deciso di fare? >> Chiedo io ponendomi seriamente il problema.
<< Chiede il trasferimento con la facoltà. Deve giusto dare almeno il primo esame di Anatomia e dopo mi raggiunge qui! >> Cinguetta.
<< Sono contenta Paipe, davvero. Solo che… così ci saranno ancora meno probabilità di vederti qui a Londra… >> Metto su il broncio.
A causa della connessione lenta, l’immagine del computer si muove in ritardo e, alle volte, si riduce in tanti piccoli pixel. Nonostante tutto sento il suo sospiro.
<< Bhe, io continuerò ad aspettarti qui. E ogni tanto dai miei genitori devo tornarci, non credi? Sono almeno sei ore di viaggio, ma le farei comunque per vederti. Stai tranquilla Ar. >>
La connessione non accenna a migliorare.
<< Ar? Sei ancora in linea? >>
<< Si, si ci sono. La connessione ultimamente a casa mia lascia davvero a desiderare. >> rispondo, cercando di spicciare un nodino che si è creato tra le cuffiette bianche.
<< Tu? Hai Qualche novità? Aspetta… resta ferma, riesco a vedere l’immagine più nitida. >>
I suoi capelli biondi si muovono da una parte all’altra mentre cerca una posizione più comoda alla scrivania.
<< Paipe, che io mi muova o meno è sempre la connessione a dare problemi. >> rido.
<< Si, okay. Non hai risposto alla domanda. >>, taglia corto.
<< Beh, non c’è molto a cui risponderti, sto preparando il mio secondo esame, sono abbastanza occupata a stare sui libri purtroppo… >> ammetto sconcertata.
<< Sei l’unica che a poco dall’inizio dell’anno Universitario ha già dato un esame e sta preparando il secondo. L’unica! >> mi rimprovera sconsolata.
<< E’ il mio terzo anno ed in teoria sarebbe dovuto essere l’ultimo, ho sempre fatto così, ti stupisci ancora? >> ribatto finalmente contenta dopo aver sciolto per bene le cuffiette.
Mia madre con i suoi commenti sarcastici verso i concorrenti al piano di sotto, fa da sottofondo alla nostra conversazione.
Alzo gli occhi al cielo.
<< Ar, mi preoccupo solo per te. Passi troppo tempo sui libri e non esci quasi mai se non con tuo fratello e i suoi amici sporadicamente o per qualche servizio di volontariato la Domenica. Sei all’università, da tre anni ormai, non è questa la vita universitaria andiamo! Ci sono le feste, i club, i nuovi amici, tanti viaggi… >>
<< Gli esami, poco tempo, tanti libri…. >> continuo io interrompendo l’elenco che la sua voce sognante portava avanti.
Paige mi guarda storto.
<< Io mi sono trasferita qui a Bristol proprio per avere più autonomia e… >>
Ci risiamo.
<< Paige, lo sai. I miei genitori non hanno intenzione di farmi frequentare l’università fuori da qui. Ne abbiamo già parlato. >> taglio corto.
E ne abbiamo già discusso abbastanza, avrei dovuto aggiungere. Sarebbe stato favoloso uscire da Londra, andare a vivere da sola in una nuova città, o magari con la mia migliore amica. Qualsiasi teenager sogna queste cose durante la sua carriera scolastica.
Paige era riuscita ad andare via dopo il suo primo anno di Università qui. Io a suo tempo avevo provato anche ad avanzare la proposta alla mia famiglia, ma erano stati molto risoluti nel proibirmi di allontanarmi così tanto per un tempo indeterminato.
<< Si ma Aria, non hai fatto nulla per cambiare le cose. Avevi anche diciannove anni. Potevi venire qui e pagarti una casa con un lavoro e la retta e.. >> la interrompo di nuovo, non ho voglia di discutere. Alle volte lei è troppo poco realista.
<< Io comunque qui sto bene, ho tutto quello che mi serve e non devi preoccuparti Paipe. Davvero. >>
<< Come vuoi… >> conclude sconfitta.
Restammo a parlare per almeno un’altra ora e mezza, dopodiché fummo costrette a salutarci: la connessione rendeva la chiacchierata, snervante.

Chiudendo il computer, mi giro a guardare la sveglia quadrata sul mio comodino: 22.00
Scendo con calma dal letto, apro l’armadio e decido cosa mettere domani. Tutto il mio guardaroba è governato da colori abbastanza neutri e scuri. Togliendo qualche t-shirt e qualche felpa che per qualche avvenimento mi sono state regalate. Amo i maglioni e le maglie semplici, accostate se possibile a gonne che vadano preferibilmente a coprire pienamente le ginocchia.
Dopo un quarto d’ora, opto per un completo che da tempo non indossavo, lo piego con cura sulla sedia azzurra davanti alla mia scrivania e vi affianco anche un paio di stivaletti con il pellicciotto sulla parte superiore.
Non amo andare a letto troppo tardi ora che ho ricominciato a studiare. Voglio seguire le mie otto ore minime di riposo. Contando che tendo sempre a svegliarmi almeno mezz’ora prima del dovuto, mi trovo a fare sempre calcoli improponibili quando rischio di addormentarmi tardi a causa di un libro o di un film che mi prendono troppo.
A proposito di libri, dopodomani, devo assolutamente affacciarmi alla libreria vicino all’università. Ho finito “Delitto e castigo” di Dostoevskij, un classico che credo tutti debbano leggere almeno una volta per comprendere alcune dinamiche, ed ora non riesco a stare senza nulla da divorare in qualche giorno.
Sento bussare alla porta aperta: è Samuel.
<< Io sto uscendo, quindi tu non vuoi venire? >> mi chiede sistemandosi meglio il cappotto blu.
<< No, preferisco restare a casa, grazie. Salutami gli altri! >> dico avvicinandomi a lui per abbracciarlo, ma lui si sposta velocemente.
<< Va bene, divertiti Aria! >> fa in modo di scherno mentre si avvia a scendere gli scalini rumorosamente.
Io sbuffo tra me e me, chiudendo la porta della camera.
Non posso permettermi di fare tardi come lui perché ho troppe cose da fare domani mattina.
Indosso il pigiama e mi infilo sotto il caldo piumone rosa chiaro.
Prima di addormentarmi inizio a fissare il soffitto della mia camera: è decorato da dipinti di costellazioni. Non ho ancora finito di decorarlo tutto a dire il vero. Quando ero più piccola feci un disegno sulla parte superiore del muro affianco al letto, in cui rappresentavo il giorno e la notte. Avrei dovuto farlo sul soffitto, in scala più piccola. Sarebbe stato meglio.
Vari pensieri, dopo poco tempo, riescono a conciliarmi il sonno.

Angolo autrice.
Heilà bella gente!
Se seguite solitamente i miei racconti potete aver notato come io abbia deciso di pubblicare la storia su due fronti differenti: tra le originali e come fan fiction.
Non so bene se poi la lascerò solo da una parte, ma sono felice che già qualcuno si sia pian pianino interessato a questa nuova creazione.
A tal proposito, vorrei ringraziare
T13_l per aver inserito la storia tra le seguite e Drachen per averla recensita e inserita tra le preferite.
Spero che continuando, anche qualcun'altro possa appassionarsi, mi farebbe piacere leggere le vostre opinioni ed in caso anche critiche.
Per ora vi saluto, a presto con il prossimo capitolo cari! Un bacio.
-Manù

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


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Capitolo 2.

-Aria-
 
<< Amen. >>  mi sposto e faccio il segno della croce davanti il crocifisso dopo aver preso l’ostia.
Torno al mio posto e aspetto la fine dell’Eucarestia.
La giornata è fresca ma senza nuvole, il sole è alto e si mostra in tutto il suo splendore.
La mia famiglia è Cattolica e, nonostante i numerosi protestanti presenti qui, io mi sono subito inserita senza problemi nella vita della diocesi. Aiuto durante i pranzi di beneficenza ed ogni tanto do una mano con il catechismo per i bambini.
<< Aria tesoro, hai da fare giovedì? >> mi sento chiedere mentre sto per uscire dalla chiesa.
Mi volto e Selene (una delle donne sempre presenti qui dentro) sta correndo per venire verso di me. E’ bassina e rotondetta. Fa venir voglia di abbracciarla, sempre.
<< Ciao Selene, non so, non dovrei perché? >> chiedo sperando che non mi dia qualche incarico che rischi di portarmi via troppo tempo.
<< Giovedì pomeriggio c’è l’incontro con tutte le catechiste, sarebbe bello averti tra noi! >> mi comunica con serenità.
Odio dare dispiaceri o sembrare poco interessata a ciò che mi si dice, ma non posso impegnarmi in incontri sistematici con la chiesa. Mi trovo bene in questo ambiente ma, se dovessi a frequentarlo oltre l’orario di preghiera finirei davvero come una di quelle donne bigotte con nessun’altra priorità. Paige mi ha raccomandato di trovare qualcos’altro da fare quest’anno, proprio per non finire esattamente come l’anno scorso.
<< Non so, sto preparando un esame importante e dovrei studiare… >> mi sento prendere una morsa allo stomaco per la piccola bugia. Non sono brava e non mi piace mentire. Ma in fondo è comunque una mezza verità questa..
Selene non sembra perdere la propria determinazione: << Beh, in caso avessi tempo ci troverai qui dalle quattro e mezza alle sei. >> mi saluta calorosamente come al suo solito e se ne va.
All’uscita della chiesa riconosco subito la Satation Wagon rossa dei miei genitori.
Non faccio in tempo ad allacciare la cintura che mia madre mette in moto la macchina e parte.
<< Mi è piaciuto molto quello che ha detto oggi il parroco. E’ stato molto interessante. >> Afferma mia madre guardando la strada. Non capisco se si sta rivolgendo a me, a mio padre che è seduto di fianco a lei o a se stessa.
Io non rispondo e mi limito a guardare oltre il suo sedile, verso la strada. Un insieme di macchine formano un circolo aggrovigliato qualche metro più avanti.
<< Manuel, tesoro, puoi prendere perfavore il cellulare che è nella mia borsa? Dovrei… >>
<< Ferma la macchina! >> urlo all’improvviso.
Mia madre sembra confusa, ma non fa in tempo a chiedermi spiegazioni che è costretta a fermarsi proprio a causa di quell’insieme di macchine avvistato poco prima. La strada è bloccata. Un’ ambulanza è vicina ad una macchina accartocciata verso il guard rail. Alcuni infermieri stanno mettendo su una barella il corpo di un uomo, una ragazzina è circondata da altri automobilisti che cercano di tranquillizzarla.
La piccola è scossa dai singulti del pianto e si mantiene un braccio che sembra mostrare una piccola ferita. Improvvisamente mi sento come richiamata dalla scena. Dovrei scendere ed aiutare eppure non riesco a muovermi dal sedile posteriore.
Sposto lo sguardo dalla ragazza alla barella che sta per entrare in ambulanza e, poco prima che i medici abbassino il lettino per alzarlo, noto un’aura strana intorno al corpo dell’uomo ed improvvisamente è come se vedessi un volto similare alzarsi dallo stesso lettino.
Urlo.
Inconsapevolmente urlo nuovamente, agitandomi sul sedile.
<< Ommiodio, Ommiodio! >> sono le uniche cose che riesco a dire dopo aver spostato lo sguardo, continuando ad urlare. Mi porto una mano alla bocca. Sto tremando.
<< Aria, cosa succede? Che ti prende? >> chiede mio padre allarmato, girandosi verso di me.
<< Io… è che.. Lo avete visto anche voi, vero? Era quell’uomo! >> Urlo in preda al panico indicando l’ormai chiusa autombulanza.
I miei genitori penseranno che sono pazza.
Si guardano preoccupati e mio padre, cambiando totalmente espressione, si rigira e in tono risoluto si rivolge a mia madre << Susanne, sposta la macchina. >>
<< Manuel non c’è modo di muoversi da qui. >> risponde lei cercando di decifrare l’espressione di mio padre.
Non ho il coraggio di girare nuovamente lo sguardo alla ragazzina, sento solo che una delle macchine riparte e ci lascia libero il passaggio.
<< Dannazione, vuoi muoverti?! >> incalza mio padre spazientito, rivolgendosi nuovamente a mia madre.
Ripartiamo e per tutto il viaggio di ritorno io resto immobile con gli occhi fissi al sedile nero davanti a me.
A pranzo non riesco a toccare cibo. Ho ancora in mente l’immagine dell’uomo, coperto da alcune bende sulla testa e sugli arti, con una mascherina di ossigeno sul volto, che si ripropone oltre il suo stesso corpo. Senza però tutte le cose che lo coprivano sulla barella. Una luce fioca bianca lo circondava.
I miei genitori hanno provato a capire cosa mi era preso, hanno cominciato a farmi domande, ma mi è sembrato inutile raccontare cose assurde. Quindi ho preferito rimanere in silenzio.
Avrebbero cominciato a dire che è tutta colpa dello stress, che sto passando troppo tempo chiusa in casa a studiare, che esagero con questi impegni Universitari, che dovrei prendere le cose con più calma e tranquillità.
E forse hanno ragione. Forse devo smetterla di avere l’ansia degli esami da preparare. L’Università è ricominciata da solo un mese in fondo. Forse la mente mi ha solo giocato un brutto scherzo e vedo troppi episodi di serie televisive come quella di “American Horror Story.”
Cerco di convincere me stessa e provo a spostare il mio pensiero ad altro.
Oggi pomeriggio potrei andare da Tomàs, aiutandolo con il rifugio per animali, come faccio di solito. Questo potrebbe aiutarmi a distogliere la mia attenzione da ciò che è successo oggi dopo la Messa.
Scendo in cucina con un piccolo zaino in spalla e, aprendo la porta vedo mia madre seduta al tavolo, intenta a leggere delle carte che cerca di raccattare velocemente vedendomi sulla soglia della porta.
Posa gli occhiali accanto ad una tazza di quello che credo sia the nero.
<< Esci? >> I suoi occhi chiari mi scrutano pieni di apprensione.
<< Si, vado da Tomàs. Prendo la macchina. >> la informo.
Lei sembra voler ribattere ma, pensandoci, si limita a dire << Va bene, fa’ attenzione! >>
Il Bettersea dog&cats home si trova, per l’appunto, nella zona interna residenziale dei distretti a sud di Londra: Borough of Wandsworth. La zona del Bettersea è una zona abbastanza carina e questo rifugio per animali dispersi o malati è stata davvero un’invenzione intelligente.
Con la macchina, da casa mia, riesco ad arrivarci in meno di un quarto d’ora.
Solitamente quando sono in macchina, per andare ovunque, mi piace ascoltare la musica. O la radio. Più spesso sento la radio ma solo perché dimentico distrattamente il cavo che serve per  collegare il mio cellulare.
Passo verso il River Thames, e non posso non fare caso ai raggi del sole che si rispecchiano nell’acqua mentre aspetto di poter proseguire il percorso che mi è stato interrotto da una macchina che improvvisamente decide di fare una manovra azzardata.
Un volta arrivata, scendo dall’auto assicurandomi di avere tutto con me.
Ho addosso un poncho marroncino che risulta più che utile con questo clima pungente di oggi. L’unico problema è riuscire a non litigare con le bretelle del piccolo zainetto che ho portato con me.
Chiudo la macchina con il telecomando attaccato alle chiavi e mi avvio.
Una volta arrivata, entro nella struttura per cambiarmi: indosso la divisa blu con pantaloni neri che distingue i vari volontari del posto. Divisa che con gli stivaletti con il pellicciotto bianco e mandorla che indosso oggi, fa davvero ridere.
Solitamente la indosso prima di venire, quindi non ho l’abitudine di portarmi scarpe di ricambio. Mi maledico per non averci pensato e dopo un po’, riesco a convincermi ad uscire anche con queste cose ai piedi.
Aspetto Thomàs vicino al negozio per animali, come facciamo sempre e, nel frattempo, ripiego per bene il completo nello zaino che mi sono portata dietro. Il poncho continua a fare il suo ottimo lavoro. Agli occhi di qualche sconosciuto posso assomigliare ad una barbona, conciata in questo modo.
Non devo aspettare molto per vedere un ragazzo magro, slanciato e dai capelli neri, venire verso di me.
<< Come sempre sei in anticipo! >> mi saluta sorridente prendendomi per un fianco e lasciandomi un bacio sulla guancia.
<< E tu come sempre sei in leggero ritardo! >> lo rimprovero io scherzosamente.
Thomàs mi squadra dalla testa ai piedi e poi aggiunge << Beh, almeno impiego quei cinque minuti in più per vestirmi correttamente! >> mi fa l’occhiolino.
In realtà oggi non sono arrivata tanto in anticipo come lui crede, ma lascio cadere questo discorso.
<< Cosa c’è, siamo acidi perché è finito il gel per il ciuffo? >> lo prendo in giro scombinandogli i capelli perfettamente tirati all’insù.
Appena entriamo nella sala adibita per noi volontari, il capoturno ci viene incontro.
<< Ciao ragazzi, come state oggi? >>
E’ un uomo sulla sessantina, con una folta barba e, ironicamente, senza capelli a coprirgli il capo.
<< Oggi non c’è molto da fare. Siamo riusciti a far adottare la cagnolina che trovammo qualche mese fa per strada, ve la ricordate? >> dice dirigendosi verso un bancone pieno di scartoffie e documenti per l’adozione.
<< Mandy! >> esulta Thomàs.
Questo posto ha un perenne odore di alcol e croccantini per cani, è nauseante se dovessimo essere sinceri, starci per troppo tempo è pressoché impossibile.
<< Si, proprio lei. >> ride Owen per la reazione ottenuta.
Io mi limito ad annuire: sono contenta che queste piccole bestioline possano trovare nuovamente un ambiente che le possa curare e far sentire amate, anche se dopo un po’ tu ti affezioni a loro e non vederle più è strano…
<< Posate la vostra roba e andate di là per la passeggiata pomeridiana. Hanno già mangiato, ci ho pensato io. Dovete solo portarli in giro il tempo necessario per dare una ripulita alle cellette. >>
Appoggiamo ciò che dobbiamo appoggiare e poi, ci avviamo verso il reparto dove si trovano i vari cani: sono rimasti in cinque, così io decido di prenderne tre e Thomàs ne prende due.
Sono tutti meticci tranne un labrador che abbiamo chiamato Luna. E’ vecchiotta però, ha vari problemi e fatica a camminare per tratti eccessivamente lunghi. Tante volte ho pensato di portarla a casa con me, qui oramai nessuno più l’adotterebbe. Solo che, per qualche clausola assurda, noi volontari non possiamo adottare animali da qui.
In realtà neanche i miei genitori possono farlo in quanto, la casa dove il cane andrebbe ad abitare, è abitata anche da me, volontaria. Devo ancora trovare il genio che ha strutturato questo regolamento. 
<< Lo fanno solo perché temono che dopo i volontari non verrebbero più a prestare aiuto qui. >> annuncia Thomàs.
Ma ho detto qualcosa ad alta voce?
<< E’ stupido comunque. >> borbotto tra me e me.
Uno dei tre cagnolini che sto portando al guinzaglio si ferma per fare i propri bisogni ed io preparo già la bustina per raccoglierli e buttarli nel cestino poco più avanti.
<< Uhg >> mi lascio scappare mentre mi piego.
<< Ringrazia che Owen non abbia deciso di farci fare la toletta ai gatti invece >> ride Thomàs.
La giornata passa tranquillamente e  ciò che è accaduto questa mattina, risulta essere solo un vano ricordo.
La ghiaia fa un rumore strano sotto i miei stivaletti mentre mi avvio verso la macchina.
<< Ti va di andare a mangiare qualcosa? >> mi propone Thomàs incrociando le braccia al petto invece di salutarmi.
Sono indecisa, vorrei andare a casa ma non avendo mangiato all’ora di pranzo, il mio stomaco non ha fatto altro che borbottare per tutto il tempo. Mi ritrovo ad annuire sorridente.
Andiamo in una di quelle gelaterie fantastiche dove il gelato lo metti da te insieme a tutte le guarnizioni per poi pagarlo a peso. Una volta sono arrivata a pagarlo venticinque sterline. Ma posso garantire che è stato il gelato più buono che io abbia mai mangiato.
Il tempo passa scherzando e parlando di alcuni argomenti riguardanti le lezioni di biochimica.
Thomàs non la smette di sistemarsi gli occhiali da vista sul naso ogni volta che smette di ridere e questo, ai miei occhi, è un gesto troppo carino.
<< Domani potresti pentirtene. >> dice alzando il mento.
<< Non credo, sono sicura delle mie capacità. >> rispondo divertita e, per tutta risposta, lo colpisco con l’anca. Il moro si lascia sfuggire una risata scuotendo la testa.
<< Sai, sarebbe più carino se tu non venissi tutte le volte con la macchina. Potrei riaccompagnarti io a casa. >> mi confessa quasi imbarazzato una volta raggiunto il parcheggio dove avevo lasciato l’auto.
<< Ci metterei troppo ad arrivare a piedi qui Tom, non rendermi le cose più complicate! >> frigno.
Il ragazzo che ho al mio fianco non si da per vinto, alza un sopracciglio e annuncia:
<< Vorrà dire che la prossima volta ti verrò a prendere io. Ci stai? >> mi sorride.
Sono titubante ma alla fine accetto: << Ci sto. >>
Io e Tomàs abbiamo stretto amicizia all’università. Frequentiamo quasi gli stessi corsi e siamo molto simili caratterialmente. Inoltre, sarà perché sono praticamente cresciuta con le amicizie di mio fratello, ma riesco ad approcciarmi meglio con i ragazzi che con le ragazze.
Ci salutiamo e per un momento mi è sembrato quasi che Tom si fosse sporto per abbracciarmi, ripensandoci subito dopo.
Sorrido.
Gli voglio bene e sarei davvero contenta se dovesse trovare una ragazza che sarebbe capace di apprezzare tutti i suoi piccoli gesti maldestri. Fin ora il suo carattere, l’ha portato ad avere solo relazioni ad entrata unica: le ragazze lo usavano per i loro comodi e dopo, lo lasciavano senza problemi.
Torno a casa con un umore totalmente diverso rispetto a quando sono uscita.


-Angolo autrice.-

Il secondo capitolo è stato servito. Per ora non c'è molto movimento anche se...
Non so, fatevi sentire piccole anime silenziose. Mi farebbe piacere sapere cosa pensate della storia e se vi intriga almeno un pochino.
Probabilmente il capitolo 3 potrà interessarvi di più, mmmh. Chissà.
Un baciotto belli.
Ah, ecco dove -se avete voglia o bisogno- potete trovarmi:

Kik: Scivix
Snapchat: Scivix
Wattpad: Sciviss
We heart it:Manuela
Ask: Manuela.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


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Capitolo 3.

-Darren-

 
 
Pago il pacchetto di sigarette ed esco senza preoccuparmi di ricambiare il saluto dell’uomo dietro il bancone.
Odio la forzata cortesia.
Il rumore della carta stropicciata si dissolve dal momento in cui infilo il piccolo pacchetto di cartone nella tasca del lungo cappotto nero.
Non so bene cosa fare per perdere tempo, ma non ho intenzione di rientrare in casa a sentire mio padre dare in escandescenze con mio fratello solo perché non riesce a trovare una soluzione alla sua vita pretta ma ridicolamente insulsa.
Mi ravvivo i capelli con un gesto veloce della mano e mentre alzo la testa lo sguardo ricade su una libreria all’angolo della strada.
Tanto vale…
Entrando, l’odore dei libri nuovi e di pagine appena stampate, mi sferza il volto.
E’ una di quelle librerie piccole ma ben fornite, dove puoi trovare l’angolo lettura e un angolo con tutti i cd e qualche vinile. Mi metto a gironzolare verso i cd, prestando particolare attenzione agli Aerosmith e ai Nirvana, posti qualche scaffale più sotto. Nel frattempo, un rumore di libri che cadono cattura la mia attenzione, facendomi volgere lo sguardo verso una ragazza dai capelli ricci di un rosso accattivante ma, stranamente naturale.
Poso il cd dei The Who che avevo in mano e mi fermo a guardare la scena.
<< Oh dio. >> dice con voce bassa.
Si piega e raccoglie i tre libri caduti, reimpilandoli perfettamente come se nulla fosse accaduto. Poi, prima di alzarsi, si porta una ciocca di capelli dietro le orecchie.
Quando si rimette in piedi, noto com’è vestita.
Poverina.
Mi ritrovo a pensare.
E’ la classica sfigata della porta accanto. Se non fosse per quei capelli rossi e un’aura inspiegabilmente accattivante, non la guarderei neanche più. O forse si, ma giusto per farmi qualche risata.
<< Serve una mano? >>
Una ragazza dagli occhi grigi mi si avvicina con gentilezza notando il mio sguardo perso nel vuoto.
<< Si, avrei bisogno del bagno. >> la schernisco sfacciatamente sorridendo.
La ragazza resta interdetta per un attimo, sicuramente tutti i suoi tentativi di approccio saranno sfumati dopo la mia affermazione.
<< Oh, si, è dietro il bancone… se vuoi.. >> alzo la mano nella sua direzione, interrompendola.
So arrivarci da solo.
<< Grazie. >> mi limito a dire e mi avvio verso la porta.
Il bagno sarà riservato solo ai dipendenti. E’ piccolo e ha uno specchio davanti il lavandino.
Mi tolgo il cappotto che non aiuta i miei movimenti in questo spazio angustio e lo lascio appeso su un attaccapanni dietro la porta.
Una volta finito, esco e mi ritrovo davanti la ragazza con gli occhi grigi che mi sorride timidamente.
Sto per tornare tra i cd quando vedo la stessa ragazza dai capelli rossi ed un poncho alquanto ridicolo, avvicinarsi alla cassa per pagare un libro.
Lo sguardo mi cade sul titolo: “La vittoria dell’amore.”
Oh ma andiamo.
Prima di riuscire a trattenermi, mi lascio sfuggire un suono strano. Sarebbe dovuta essere una risatina, ma sembrava più un urletto di scherno uscito male.
Presso le labbra tra loro e alzo lo sguardo incrociando i suoi occhi celesti. Mi guarda interrogativa e forse intimorita.
La differenza d’altezza tra noi due non l’aiuta affatto.
Non ho nulla da fare, meglio divertirsi un po’.
<< Hai davvero intenzione di comprare questo libro? >> mi intrometto prima che Stacy, la ragazza dagli occhi grigi (almeno questo leggo sul suo cartellino) registri il suo codice a barre.
<< Scusami? >> si limita a chiedere la ragazza piegando la testa di lato, corrugando la fronte.
Rido nuovamente.
<< Passi il tuo tempo a leggere queste cose? >> indico il libro che resta in mano alla commessa.
Stacy ci guarda interrogativa e non sa se procedere nella registrazione dell’acquisto o meno.
<< Beh, no. Cioè si. Ad ogni modo non sono affari tuoi! >> ribatte piccata e leggermente agitata. Poi fa un cenno di assenso alla commessa.
Io invece ripeto il gesto fatto poco prima per zittirla, questa volta per impedire che il libro venga battuto alla cassa.
Mi diverto troppo.
<< Mi rifiuto di credere che tu non abbia trovato di meglio. >> continuo testardo con un tono di voce forse, ma in fondo volutamente, antipatico.
Poi mi giro verso la commessa e rendendo gli occhi due fessure, fingo di leggere ciò che è scritto sul cartellino poco sopra il suo seno, come se non lo sapessi già.
<< Stacy, giusto? Torniamo tra poco. Mettilo da parte. >> affermo risoluto prendendo per il braccio la ragazza bassina davanti il bancone, trascinandola letteralmente con me.
Lei resta stizzita per questo gesto, ma sceglie di non dire nulla.
Ottima mossa.
La porto nell’angolo degli psicothriller, sono i miei preferiti.
<< Mi spieghi con quale diritto ti prendi tutta questa confidenza? >> mi chiede innervosita.
<< Shhh >> la intimo io con un gesto della mano confuso mentre sono piegato a cercare l’autore che ho intenzione di consigliarle.
A…B….C…
Eccolo.
Dorn. Wulf Dorn.
Controllo i titoli disponibili e trovo proprio quello a cui stavo pensando venendo verso questa sezione.
“Il mio cuore cattivo.”
Vittorioso prendo il libro nelle mani e glielo porgo.
Anche le sue mani sono molto più piccole in confronto alle mie, ovviamente.
Lei non accenna a prenderlo, resta a spostare lo sguardo da me al libro, dal libro a me.
A questo punto sbuffo e faccio per rimetterlo al suo posto, ma poco prima che la base del libro tocchi lo scaffale la sua voce si fa spazio tra di noi: << Di cosa parla? >>  sorrido prima di girarmi e noto la sua ancora accigliata espressione.
 << Vedilo da te. >> mi limito a risponderle serio, porgendole nuovamente il libro.
Il poncho marrone si alza insieme al suo braccio, lei prende il libro tra le mani e, dopo averlo rigirato varie volte, inizia a leggere la trama.
I suoi occhi celesti scorrono le parole molto velocemente.
<< Non so, non è il mio genere… >> risponde poco convinta senza staccare gli occhi dalla copertina.
La copertina è a sfondo nero e mostra una ragazza dai capelli rossi. Ma non come i suoi.
I suoi capelli prima di tutto sono ricci e inoltre sono molto più lucenti e molto più vivi. Come i suoi occhi celesti, che invece nella ragazza della copertina sono neri.
<< E’ di sicuro molto più avvincente di quelle robe smielate e piatte che leggi tu di solito. >> affermo io avviandomi verso l’uscita.
Vedo che lei mi segue, con il libro in mano.
<< Io non leggo solo quel genere di libri! >> tenta di difendersi cercando di stare al mio passo, inutilmente.
<< Ah no? >> rido io.
Arrivati alla cassa, Stacy ci sorride e vede che il libro che alla fine ha scelto questa strana cliente, è cambiato.
Lo batte alla cassa e annuncia: << Sono venti sterline.  >>
Io precedo la ragazza dai capelli rossi e pago al posto suo, prendendo velocemente il portafogli nero da dentro la tasca della giacca.
Stacy ci consegna il sacchetto. Io mi tiro indietro << Non è roba mia. >> mi limito a dire.
La rossa al mio fianco resta a guardarmi imbambolata.
Probabilmente per quelle come lei questo è un gesto romantico che aspettano dal giorno in cui sono nate. Non c’è nulla di male a darle speranza, forse le serve. E inoltre, potrà usare quei venti dollari per comprarsi una giacca meno imbarazzante di quella cosa marrone che ha addosso e che porta con estrema fierezza.
Usciti contemporaneamente dalla libreria mi sento ringraziare.
<< Grazie… >> lascia la frase in sospeso: cerca di sapere il mio nome.
<< Figurati. >> rispondo lasciandola con la curiosità. E, senza salutarla, mi giro nella direzione opposta alla sua e vado verso la mia macchina.
 
-Angolo autrice-

Sono passati due anni, ma sono tornata anime silenziose.
Molti mi hanno chiesto quando avrei ripreso a pubblicare e siete stati davvero carini a farvi vedere interessati alla mia storia. 
So di aver perso molti di voi a causa di tutti questi anni di silenzio.
Spero che comunque, per i nuovi arrivati, la storia possa sembrare interessante. Vi prometto che non ve ne pentirete se la inserirete tra le vostre "Seguite".
Ho già molti capitoli pronti in verità, avevo solo smesso di pubblicarli. Fatemi sapere cosa ne pensate,se ne vale la pena di continuare nonostante il tempo passato o meno. Ogni recensione è sempre ben accetta!
Buona giornata tesori, a presto!


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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


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Capitolo 4.


-Aria-

Sappiamo entrambi cosa hai fatto, ha mormorato la voce e io ne ho sentito un alito gelido sulla guancia. Per adesso è ancora il nostro piccolo segreto. Ma che cosa farai quando anche gli altri lo sapranno? Che cosa diranno allora di te?
Sono solo alla seconda pagina e già posso dire che la dose di mistero presente è necessaria per indurmi a continuare la lettura di un libro che, probabilmente, di mia spontanea volontà non avrei mai comprato.
Più sotto leggo una frase, che mi piace molto e che mi affretto ad evidenziare.
“Nessuno sfugge al male che ha fatto.”
Ed è così affascinante. Il male è un circolo vizioso, una nuvola grigia che rischia di inghiottirti con il tempo. Fai del male e riceverai del male. È la giusta punizione.
Sento vibrare il telefono che ho messo a caricare sul mio comodino e, girando lo sguardo noto che mi è arrivato un messaggio.
In modo pigro, sposto le gambe dalla loro posizione incrociata e mi piego verso il piccolo samsung appoggiato vicino l’abat-jour. Allungando la mano riesco a staccarlo dal proprio caricatore.
Sblocco lo schermo dopo essermi risistemata comodamente sul letto e leggo il messaggio di Thomàs: “Hai mai fatto caso a quanto siano strane le cellule del nostro corpo? Mi hanno fatto pensare a te. Piccole ma tanto complesse. Da ora in poi posso denominarti “piccola cellula” ahah xx”
Sorrido al messaggio strano e digitando velocemente sul touchscreen, rispondo: “Sei serio? Allontanati da quei libri prima che anche un pezzo di RNA rischi di ricordarti qualcosa che non sia il ribosio!”.
 Resto un attimo a fissare lo schermo ma non riesco neanche a mettere il telefono sul comodino che vibra nuovamente tra le mie mani: “Come siamo antipatiche. Volevo farti sorridere, inoltre queste sono cose così noiose da studiare nuovamente.:(”
In effetti non capisco perché dobbiamo, dopo tre anni, fare un esame ancora su queste cose basilari.
Difatti il primo esame sono riuscita a darlo così velocemente proprio perché avevo avuto modo di prepararlo bene anche gli anni precedenti.
“Non dovresti neanche avere il bisogno di studiarle. E comunque non puoi chiamarmi “piccola cellula”, le cellule non sono enormi. Sei vergognoso :P”
Mi affretto a precisare. Devo ammettere che il nostro rapporto è un continuo prenderci in giro tirando sempre un po’ la corda. Ma è divertente.
Decido di continuare a tenere il telefono in mano mentre aspetto la risposta e ne approfitto per spostarmi sulla casella delle e-mail.  Vedo che ce ne sono cinque non lette così mi affretto ad aprirle, pur sapendo che si tratta solo di pubblicità di qualche sito o magazine a cui sono iscritta.
Prima di eliminare l’ultima mail, la risposta di Tomàs mi appare sul piccolo schermo.
“Come non detto. La prossima volta inventerò qualcosa di migliore.”
So benissimo che ora non riuscirò a continuare a leggere, mi sarà impossibile con il telefono che vibra ogni minuto. Così, con il cellulare tra le mani decido di scendere in cucina per prepararmi qualcosa di caldo da bere.
Mentre traffico sul piano in legno, tra bollitore e bustine di thè, mi sento pizzicare il fianco. Facendo un piccolo salto mi giro e vedo due occhi marroni sorridenti che mi fissano.
<< Hey Bryan, ciao! >> gli sorrido a mo’ di saluto mentre mi rigiro a scegliere che tipo di bustina mettere nella tazza.
<< Non sapevo fossi qui! >> continuo, questa volta rispondendo ad un altro messaggio di Thomàs.
Il rumore dell’acqua che bolle in questo arnese bianco, comincia ad essere sempre più forte. Tra poco dovrebbe spegnersi.
<< Si, siamo io, Aaron, e Lucas. Evidentemente eri troppo occupata a fare l’asociale in camera per sentire tutto il baccano. >> risponde mettendosi al mio fianco, con il gomito appoggiato al ripiano in legno e con un sorriso che riesce ad illuminargli il volto.
Io mi limito ad annuire, non provo neanche a difendermi: con lui è una causa persa. Mi ha sempre schernito per quello stato di totale assenza in cui entro quando leggo.
<< Ti serve qualcosa? >> chiedo prestandogli maggiore attenzione, versando comunque finalmente l’acqua bollente nella tazza in ceramica dove ho già posizionato una bustina di thè ai frutti rossi.
<< Simon mi ha ordinato di venire a prendere i biscotti, perché evidentemente gli pesava il culo a scendere! >> urla le ultime parole proprio per farsi sentire da mio fratello che è chiuso in camera di sopra.
<< Beh fa’ pure come se fossi a casa tua. >> lo invito mentre mi porto alla bocca la tazza con dentro il thè bollente.
Soffiandoci sopra, mi avvio nuovamente verso la camera, accompagnata dal rumore delle ante della credenza che si aprono.
Invece di rimettermi a leggere, decido di approfittare del momento per riordinare la stanza.
Così poso il thè sulla scrivania azzurra facendo attenzione che la base rotonda non sia sporca in modo che possa macchiare la superficie in legno e comincio a piegare i vestiti da dover rimettere nell’armadio.
 
 
<< E hai intenzione di finire prima del previsto con gli esami? >> chiede Lucas senza staccare gli occhi dal videogioco a cui Simon lo sta sfidando.
<< Oggettivamente, se fosse possibile, non sarebbe una cattiva idea. Ma dipende dalle date degli appelli. >> rispondo perdendomi nell’immaginazione di un eventuale soluzione similare.
<< Mia sorella è senza speranza, lo sapete benissimo. >> afferma Simon mettendo il gioco in pausa contro le lamentele di Lucas.
Aaron e Bryan ridacchiano tra loro.
Io mi acciglio e mi sistemo meglio sulle ginocchia.
<< Almeno io ho deciso di proseguire gli studi invece di bivaccare. >> rispondo in tono più acido del previsto.
Lucas si gratta la nuca coperta da capelli rossi come i miei, solo, più chiari e Simon mi lancia un’ occhiataccia.
<< Meglio che io non cominci a risponderti male Aria, davvero. >> mi ammonisce seriamente.
Io non rispondo e sposto lo sguardo sulla parete piena di foto a grandezza quasi naturale, di modelle seminude. Non riesco a concepire questo suo apprezzamento verso delle mere fotografie. Inoltre sono anni che le ha sempre davanti agli occhi, io dopo un po’ mi sarei stancata.
La voce di Aaron si fa spazio nel silenzio imbarazzato: << Ah, a proposito. Mr. Holdson ha detto che la prossima schedina la gioca lui al posto nostro, voi siete d’accordo? >>
Lucas scatta in piedi protestando, questa volta non a causa dell’interruzione del videogioco.
Simon non risponde e Bryan cerca di non far litigare Aaron e Lucas per motivi inutili.
Io decido di uscire dalla camera e lasciarli alle loro discussioni, tornando a leggere un altro po’ quella storia tanto strana quanto intrigante.


-Angolo autrice.-
 
Sono passati due anni, ma sono tornata anime silenziose.
Molti mi hanno chiesto quando avrei ripreso a pubblicare e siete stati davvero carini a farvi vedere interessati alla mia storia. 
So di aver perso molti di voi a causa di tutti questi anni di silenzio.
Spero che comunque, per i nuovi arrivati, la storia possa sembrare interessante. Vi prometto che non ve ne pentirete se la inserirete tra le vostre "Seguite".
Ho già molti capitoli pronti in verità, avevo solo smesso di pubblicarli. Fatemi sapere cosa ne pensate,se ne vale la pena di continuare nonostante il tempo passato o meno. Ogni recensione è sempre ben accetta!
Buona giornata tesori, a presto!


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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


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Capitolo 5.


 -Aria-
E’ raro avere anche Simon a cena durante la settimana.
Lavora la sera come fattorino per le pizze. Nonostante tutto però, è riuscito a guadagnarsi alcuni  turni liberi di sabato. Cosa che a me continua a risultare davvero strana.
<< Puoi passarmi un altro pezzo di Roast beef per favore Aria? >> mi domanda mio padre pulendosi la bocca con il tovagliolo.
Mentre continuo a masticare del pane, mi alzo leggermente dal mio posto e prendo la teglia con sopra la carne, per passarla a mio padre che si trova al capotavola.
<< Oh Dio, io adoro questo telefilm! Manuel guarda, oggi c’è la prima puntata della nuova stagione! >> cinguetta mia madre, posando la sua mano su quella di papà, mentre la pubblicità di uno dei classici telefilm spagnoli passa per la tv davanti al tavolo.
È una serata piuttosto tranquilla e piacevole: non c’è aria di litigi o di tensione per qualche motivo lavorativo o, nel mio caso, di studio.
Quando sono sotto esame sono abbastanza intrattabile, sebbene io cerchi di dare meno problemi possibili agli altri.
<< Dobbiamo ricominciare con queste lagne? >> mio padre sbuffa e mi guarda in cerca di comprensione.
Io gli sorrido cercando di trattenere una risatina.
<< Non sono lagne! Sono storie davvero intricate! >> risponde mamma agitandosi sulla sedia, senza togliere gli occhi dalla tv.
<< Non sanno recitare Susanne, sii obbiettiva. >> continua invece testardo papà, mentre tossendo, si versa del vino nel bicchiere.
<< Effettivamente è incomprensibile come voi donne vi appassioniate a certi programmi senza senso. >> si intromette ridendo Samuel che ha già finito anche il bis della sua porzione.
Mio padre lo guarda sorridendo sotto i baffi che non ha.
Io sto per ribattere che è errato fare di tutta l’erba un fascio, ma mia madre mi precede con una sua minaccia scherzosa: << Samuel, vedi di fare attenzione a quello che dici. Avrai anche ventitré anni, ma il dolce dato che lo preparo io, scelgo io a chi darlo. >> lo minaccia muovendo la forchetta verso la sua direzione, tracciando linee contorte.
<< Pace, avrei saltato comunque. Non ne ho molta voglia oggi. >> le sorride facendo spallucce.
Ogni tanto, quando mi soffermo ad osservare mio fratello, mi chiedo come possiamo essere parenti.
 Abbiamo caratteri abbastanza differenti anche se, nonostante tutto, raramente discutiamo tra di noi sia ora, che in passato, da bambini.
Inoltre fisicamente parlando, mentre i miei lineamenti sono più delicati, i suoi sono più marcati  - probabilmente perché è un ragazzo. -  e mentre i suoi occhi sono scuri, i miei sono chiari. Chissà come sarebbe stato avere un fratello gemello.
Oltre tutto questo però, non posso lamentarmi: Samuel è un fratello maggiore con i fiocchi.
 Ci portiamo solo due anni di differenza ed è proprio questo il punto: ha sempre avuto molta pazienza con me.
Ricordo poco di quando ero proprio piccola, ma dai sei anni in su ho ricordi abbastanza lucidi anche con lui.
Giocavamo sempre insieme e lui mi lasciava prendere i suoi giochi senza dire nulla - anche se si arrabbiava quando gli rompevo senza volerlo qualcosa -; mi aiutava con i compiti quando io ero alle medie e lui era già al dodicesimo anno di superiori e mi coccolava quando ero malata…
Crescendo siamo maturati ma, come due buoni fratelli conviventi sotto lo stesso tetto, qualche litigio doveva esserci sempre. Anche solo per avere l’opportunità di punzecchiarci un po’.
L’unica cosa che proprio non sopporto è quando Samuel entra in camera mia per prendere la roba senza neanche avvisare.
Quando lo scopro, minaccio sempre di fare lo stesso. Ma alla fine lui sa che non sono il tipo, che queste cose mi infastidiscono e quindi non mi prende mai sul serio quando gli urlo dietro.
Un’altra caratteristica che non so se definire positiva o negativa di Samuel, è la sua iperprotettività verso i ragazzi che tentano di avvicinarsi a me. Con i suoi amici in particolare è molto ligio. Se si rende conto che qualcuno di loro è interessato a provarci con me, scatta immediatamente in difensiva.
Io per i suoi amici sono offlimits e, come questo discorso vale per loro, deve valere per me.
La cosa fastidiosa è che sembra quasi voler controllare eccessivamente i rapporti che ho con un eventuale ragazzo.
Fin ora ne ho avuto uno solo, due anni fa. E credo che l’esperienza sia bastata sia a lui che a me.
Non ho intenzione di entrare nel merito.
Dopo aver mangiato il dolce ed aver aiutato mia madre a sparecchiare, decido di andare a fare compagnia a papà sul divano del piccolo salotto, prima che mamma arrivi per vedere la famosa prima puntata della nuova stagione della telenovela.
<< Domani resti a casa? >> mi chiede papà guardandomi mentre fa zapping sulla tv.
<< No, ovviamente vado a lezione. Mi conviene prendere più appunti possibile se non voglio impazzire dietro i programmi. >> rispondo appoggiando i gomiti sulle ginocchia, con il mento sulle mani.
Mio padre si lascia scappare una leggera risata prima dell’entrata di mia madre, che arriva con la sua buona tazza di limonata fredda.
E’ un rito. Tutte le sere che vede la tv, deve avere della limonata fredda da sorseggiare. Non importa neanche l’ora. Quella limonata deve essere sempre presente.
<< Resti con noi Aria? >> chiede sorridendo mia madre mentre si siede sul divano, al fianco di papà.
Sono sicura che, se fosse per quell’uomo, adesso scapperebbe ed uscirebbe per una birra tranquilla con gli amici. Ma vuole troppo bene alla mamma per farlo. Sa quanto ama vedere la televisione con lui. E quindi, resta sempre. Nonostante sia sempre lei a scegliere i programmi alla fine.
<< No, vado sopra a sistemare delle fotocopie. Divertitevi voi. >> rispondo dando una pacca sulla gamba di mio padre, mentre mi alzo dal divano.
Qualche ora più tardi, dopo aver parlato un po’ con Paige ed aver finito un’ulteriore stagione di una serie tv, mi ritrovo nel letto. A pensare. O meglio, a riflettere su quello che è successo oggi.
Sono quasi arrivata alla metà del libro, me lo sto praticamente divorando e continuo ad esserne sorpresa.
Certe parti mi fanno venire i brividi e vorrei chiudere immediatamente tutto, uscendo da quel mondo e dalle visioni di Dorothea. Contemporaneamente il tutto è così intricato che non riesco a non girare sempre la pagina successiva.
Una domanda mi ronza nella testa tutte le volte che finisco il capitolo e riassumo mentalmente ciò che è accaduto: come mai il ragazzo che me lo ha comprato, mi ha consigliato proprio questo libro?
Evidentemente gli piacerà questo genere ma, come si fa ad amare un genere simile?
Effettivamente, quel tipo era davvero strano, ed anche maleducato sotto certi aspetti. Mi ha rivolto la parola con una tale arroganza che se non fossi stata colta di sorpresa dalla sua critica verso il libro che avevo inizialmente intenzione di comprare, gli avrei di sicuro risposto davvero male.
Per non parlare di come, all’improvviso, mi ha afferrata per trascinarmi dietro di lui.
Lui. Un estraneo per di più. Di cui non so neanche il nome a dire il vero; quando l’ho ringraziato si è limitato ad andare via senza aggiungere nient’altro che un “Figurati”.
Spengo la luce e mi dirigo verso il letto, mettendomi sotto le coperte. Il piumone è come se emettesse uno stropiccio mentre lo sistemo meglio sopra di me.
Chissà che razza di vita porta avanti un ragazzo come lui.
Sicuramente sarebbe una di quelle persone che per la strada eviterei.
Ma non per il suo stile, ognuno può vestirsi come vuole. Ma per l’energia che sprigiona. Non negativa, ma quasi repulsiva, non so.
Chiudo gli occhi sistemando meglio il cuscino sotto la mia testa e mi appare la figura slanciata di questo ragazzo dai capelli mossi, tendenti al riccio, castani. I suoi occhi ambrati sono stati i primi a lasciarmi interdetta quando li ho visti.
Come possono degli occhi così belli, nascondere una figura tanto negativa?
Sono proprio questi pensieri a cullarmi nel sonno. Un sonno fatto di libri e di ragazzi scontrosi.
***
Corro da una classe all’altra come una pazza questa mattina. Sembra quasi che il tempo mi stia scivolando dalle mani in maniera impercettibilmente percettibile.
Una volta uscita dal corso di zoologia sistematica, mi dirigo verso la segreteria per consegnare dei fogli, riguardanti il secondo modulo, del secondo semestre per i corsi di Biologia Integrata.
Mi faccio spazio tra la folla che come me, questa mattina, sembra avere problemi con il tempo e dopo aver sceso le scale, svolto a destra entrando in un lungo corridoio bianco.
<< Se aspetti ti diamo anche un’altra cosa da compilare. >> mi dice in modo distaccato la segretaria da dietro il vetro mezzo appannato della stanza.
Guardo l’orologio grigio attaccato alla parete: ho mezz’ora prima di dover andare dal professore di Micologia per chiedergli delle delucidazioni. Mannaggia a me e alla necessità di crediti.
Mentre la donna dallo sguardo arcigno cerca fra varie scartoffie, appoggio la borsa piena di libri e block notes, sul pavimento assaporandomi il momento di sollievo dopo aver tenuto in spalla quel peso assurdo.
<< Ecco, questi sono dei moduli da compilare per la partecipazione allo stage di York. >>
Mi dice in modo sbrigativo la segretaria, passandomi da sotto il vetro alcune fotocopie tenute insieme solo da una graffetta.
La guardo inebetita.
<< Chiedo scusa, ma io non credo di dover partecipare a nessuno stage, in realtà. >>
Affermo scettica rigirando i fogli pieni di informazioni sull’uscita semestrale da Londra, tra le mani.
Questa mia affermazione sembra infastidire e innervosire la donna che si limita solo a dirmi << Evidentemente ti conviene passare dal rettore. Saprà dirti tutto meglio lui. >>
Sfastidiata dalla poca disponibilità mi limito a ringraziare per poi prendere nuovamente la borsa ed andare via.
Vorrà dire che neanche oggi potrò chiedere chiarimenti al professore di Micologia.
Immediatamente mi reco verso la sala del rettore, spostandomi di palazzo in palazzo e chiedo ad un collaboratore che si trova di passaggio, se può farmi la gentilezza di avvisarlo della mia presenza: dubito che in segreteria si siano preoccupati e presi la briga di comunicare telefonicamente che sarei passata. L’università, anche se privata, non ha la stessa organizzazione comoda del liceo.
Ma in fondo, non posso lamentarmi, la mia sede universitaria può vantare una segreteria studenti di facoltà: questo significa poter evitare continui inconvenienti e ore estenuanti di fila. Alla fine, ogni cosa ha i suoi pro ed i suoi contro.
Dopo un quarto d’ora, la porta in legno si apre e un uomo dalla corporatura possente in giacca e cravatta, mi si presenta davanti con fare distinto.
Mi fa cenno di entrare mentre lui si sistema dietro una scrivania che dovrebbe essere, da quel che sembra avermi detto il rettore le precedenti volte che mi ero trovata in sua presenza in questa stanza, in mogano, anche lucidato per bene.
Chiudo la porta alle mie spalle e vado verso la sedia in pelle nera che si trova di fronte alla scrivania.
<< Signorina Morridge, allora mi dica, cosa succede? In cosa posso aiutarla? >>
Inizia il discorso l’uomo davanti a me, portandosi una mano sulla testa come a voler lisciare dei capelli non esistenti. Un gesto che non esita a farmi sorridere.
<< Buon giorno signore… Ecco, vorrei chiederle dei chiarimenti riguardo ad uno stage comunicatomi poco fa dalla segreteria… A York se non erro. >>
Spiego posando sulla superficie di legno lucido le fotocopie che mi erano state appena consegnate dall’insopportabile donna dietro quel vetro probabilmente sporco e non realmente appannato.
Immediatamente l’uomo si rallegra.
<< Oh certo! So di cosa sta parlando! Ebbene, nessuno le ha comunicato nulla? >> mi chiede accigliandosi e prendendo verso di sé i fogli.
Scuoto la testa a mo’ di dissenso.
<< Il mio tutor è in maternità, non sono stata assegnata a nessun’altro… >>
Cerco di giustificarmi per non so in realtà quale assurdo motivo. Solitamente i tutor sono studenti come noi. Ma, come detto prima, ogni cosa ha i suoi pro ed i suoi contro. Sotto questo aspetto, qui ci troviamo ancora indietro rispetto ad altre facoltà universitarie londinesi.
<< Doveva comunicarlo in segreteria, gli altri studenti sono sicuramente stati affidati a qualche altro tutor. >> mi riprende con serietà.
<< Ma comunque non si deve preoccupare. In poche parole, gli stage partono per gli studenti degli ultimi anni, per garantire anche un aiuto riguardo all’accumulo dei crediti. Anche se lei non sembra averne bisogno, non è vero? >> mi ammicca ridendo di gusto.
Mi sento a disagio in realtà, ancora non capisco bene la situazione e non so come devo comportarmi. E l’uomo al mio cospetto sembra capirlo.
Smette subito di comportarsi in modo eccessivamente amichevole e dopo essersi sistemato meglio la giacca, riprende la propria spiegazione.
<< Bene, dati i risultati di tutti gli esami ed essendosi dimostrata non solo una studentessa brillante ma anche una delle uniche dei propri corsi annuali ad aver già dato –superandolo tra l’altro con un esito più che positivo- il primo esame a solo un mese dall’inizio dei nuovi corsi, io e i docenti delle materie affini, dopo aver consultato la commissione erasmus, abbiamo convenuto che per lei sarebbe una grandissima opportunità poter andare a lavorare fuori per sei mesi. >>
Conclude fiero, sistemando nuovamente in ordine le carte che poco prima aveva velocemente analizzato.
<< A… York? York cioè lo stato federato degli Stati Uniti D’America? >> chiedo con un tono di voce incerto ma anche abbastanza eccitato mentre mi porto dietro l’orecchio una ciocca ribelle di capelli sfuggita al veloce chignon fatto prima di uscire di casa.
<< Esattamente signorina Morridge, ovviamente ci aspettiamo che durante questo periodo lei continui a studiare per portare avanti gli esami una volta tornata, non a caso abbiamo pensato di dare a lei una simile opportunità. Ci è sembrata una ragazza molto responsabile, non vorremmo che si perdesse in una città differente. >> mi spiega con tono solenne e serio, sporgendosi un po’ di più verso di me.
<< Ed oltretutto, la nostra facoltà ha bisogno di buona pubblicità signorina Morridge, lei rappresenterebbe un ottimo partito per un’università privata quale la nostra, non ne conviene con me? >>
Solitamente mi capita di sentire di progetti inerenti l’Unione Europea, progetti ai quali molti studenti partecipano. Noi stessi, all’interno delle nostre strutture ci ritroviamo ad ospitare studenti stranieri: se cambi nazione, lo fai per studio. Non per lavoro. Questa quindi è davvero una grandissima opportunità che non si ripeterebbe facilmente e di sicuro troverei difficile conciliare le cose durante la magistrale…
<< Oh, no ovviamente questo non accadrebbe assolutamente! >> preciso velocemente, rispondendo solo alla prima parte del discorso affrontato dal rettore ed assumendo una postura più sicura su questa comoda poltrona nera.
<< Molto bene. >> sorride l’uomo dietro la scrivania mentre sbatte i fogli per allinearli e unirli nuovamente con la graffetta che c’era in precedenza.
<< Dovrebbe partire tra un mese e mezzo. La quota di viaggio e permanenza è pagata dalla borsa di studio Universitaria, ma ovviamente, lei è a conoscenza del fatto che lo stage non è retribuito. >> Si ferma cercando quasi una conferma nella mia espressione.
<< Non importa, è pur sempre un’esperienza da poter aggiungere alle attività nel curriculum. Va benissimo! >> rispondo alzandomi dopo aver preso la borsa che inizialmente avevo posato a terra, al mio fianco.
<< Mi piace il suo spirito. Lei si ritroverebbe ad affiancare una zoologa nel parco naturale “Wild kingdom zoo”. Ma può trovare tutto spiegato correttamente in questa modulistica. Inoltre, se i suoi genitori dovessero avere dubbi possono contattare senza esitazione la segreteria o il vostro tutor. >> Risponde seguendo i miei movimenti, alzandosi dalla sua poltrona girevole sempre in pelle nera.
<< Dimenticavo, lei non ha il tutor. >> ride porgendomi i fogli.
Avrei riso cordialmente anche io, se non fosse che un particolare mi ha appena ricordato che probabilmente potrei veder svanire davanti ai miei occhi quest’opportunità, senza neanche aver avuto modo di visualizzarla davvero per bene.
Notando la mia espressione improvvisamente accigliata il grande e distinto uomo davanti a me si ferma e mi chiede spiegazioni.
<< Stavo pensando… In caso ci fossero problemi… Potrei sempre venire qui a parlare con lei? >> chiedo sviando anche un po’ il discorso, mentre prendo dalla sua mano i vari moduli.
<< Ma ovviamente si, signorina per lei non ci sono problemi! >> annuisce sorridendo.
<> mi sprona con tono fermo.
<< La ringrazio rettore, con permesso torno alle lezioni. >> annuncio in modo educato avviandomi verso la porta.
<< Mi chiami pure Sir. Hobbsburne. >> mi rimbecca mentre sento il rumore della pelle che si stropiccia sotto il suo peso, evidentemente si sarà riseduto.
Annuisco ringraziando nuovamente, prima di chiudere la porta dopo essere uscita.



-Angolo autrice.-
 
Mi sto rendendo conto come ormai EFP sia sempre meno popolato con il passare del tempo...
Però io continuo ad aggiornare anche per quelle poche anime silenziose che portano avanti la lettura e mi inseriscono tra le storie seguite.
Al momento è tutto molto statico, lo so. Ma ho bisogno, c'è bisgno e avete bisogno di questa staticità per ora.
Il prossimo capitolo sarà leggermente diverso e come sempre: ogni recensione è sempre ben accetta!
Buona giornata anime belle, a presto!


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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


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Capitolo 6.


-Darren-

Mi lascio scappare un gemito gutturale prima di irrigidire completamente tutti i muscoli e abbandonarmi alle labbra esperte della ragazza tra le mie gambe.

Non ha bisogno di essere guidata, sa come comportarsi e mentre muove la lingua lungo tutto il mio membro, non evade dal contatto visivo neanche un secondo.

Mi graffia poco sopra il pube prima di ridere sommessamente e condurmi un attimo dopo, ad un orgasmo esplosivo.

<< Cazzo, si. Ingoia .>> le intimo con il fiato corto mentre le tiro i capelli per far rimanere la sua faccia ancora attaccata a ciò che ho tra le gambe.

Lei non ci pensa due volte e dopo essersi leccata dei rimasugli bianchi, al lato della bocca, si alza guardandomi languidamente.

Io resto appoggiato al muro ancora per un po’ mentre la bionda al mio fianco si riveste senza problemi.

E’ questa la parte più bella. Ci sono mille ragazze che venderebbero l’anima al Diavolo pur di venire a letto con me o anche solo per mettere mano o bocca sul mio pene.

Non ho bisogno di spendere soldi a prostitute se non per mia volontà personale. Ho chi si prostra ai miei piedi gratuitamente e praticamente oserei dire tutti i giorni.

<< Sei la troia più brava che io abbia provato fin ora. >> rido mentre mi rivesto.

<< Non a caso continuiamo a passare del tempo insieme. >> mi fa l’occhiolino la ragazza slanciata che ora è seduta a gambe incrociate sul letto.

<< Amo quando mi affibbi questo nomignolo. >> continua con voce più bassa e sensuale.

Qualsiasi altra ragazza al suo posto, a quest’ora si sarebbe offesa o avrebbe finto di sentirsi offesa per ostentare un’ innocenza più che ipocrita.

Si fanno usare senza avere nulla in cambio, tantomeno una relazione stabile, cercano continuamente la mia attenzione in tutti i modi possibili mandandomi anche immagini provocanti –che di certo io non disdegno– , alle volte tradiscono il proprio ragazzo e appena possono mi saltano addosso praticamente implorandomi di fotterle. Se non sono loro a meritare certi nomignoli non so chi altro dovrebbe.

Molte ragazze sperano di venire a letto con me per poi incatenarmi in una relazione, ma purtroppo per loro, fanno sempre tutte i conti sbagliati.

Bethany ed io ci conosciamo da anni ormai. E scopiamo in modo abbastanza assiduo.

Lei stessa ha avuto qualche ragazzo, ma tutte le volte che si lasciava –per lo meno aveva la decenza di non tradirlo–  e tornava da me, non faceva altro che ripetermi quanto le erano mancate le mie spinte.

Io e Bethany in realtà abbiamo un rapporto molto tranquillo, io non ho interessi se non sessuali nei suoi confronti e lei… Beh, se anche dovesse nutrire qualsiasi altro interesse sa che non ha niente da aspettarsi.

Ho avuto qualche ragazza ma il mio ideale di “relazione” è totalmente diverso da quello di qualsiasi povera illusa innamorata.

Molte volte finivo anche con il tradire, ecco perché non sono durate tanto le relazioni che ho avuto. Per un motivo o per un altro, finivano tutte allo stesso modo: o con qualcuna che piangeva e mi implorava mettendosi ancora di più in ridicolo dopo aver praticamente buttato tutto l’amor proprio che aveva in corpo, o con qualcuna che provava a racimolare la propria dignità e dopo avermi tirato qualche schiaffo, spariva indignata.

Io le lasciavo fare in ogni caso. Erano problemi loro.  

<< Ce l’hai una sigaretta? >> mi chiede Bethany mentre si alza dal letto e mi viene vicino aspettando che io mi infili la maglietta nel verso giusto prima di risponderle.

<< Ma cazzo, tu non te le sai comprare?! >> rispondo io brusco guardandola in faccia.

<< Merda Hudson. Ti ho appena regalato un pompino da favola e non mi dai neanche una sigaretta? >> mi ammonisce con sguardo truce.

<< Niente che non abbia già provato baby. >> le rispondo scoccandole un occhiolino e uscendo dalla camera ridendo mentre lei mi lancia qualche imprecazione alle spalle.

Il vento mi scompiglia i capelli, mi appoggio sul davanzale del balcone e dopo poco anche l’alta bionda mi raggiunge.

<< Tieni >> le dico porgendole una sigaretta ancora nel pacchetto.

<< Grazie. >> ribatte sorridendo lei: sapeva che comunque gliel’avrei offerta.

Lascia la stecca in bocca, girandosi verso di me aspettando che gliel’accenda.

Pesco l’accendino rosso da dentro la tasca del jeans e dopo aver preso prima per me una sigaretta ed averla accesa, penso alla sua.

Restiamo lì a fumare in silenzio. Io assorto nei miei pensieri e lei assorta nei suoi. Che sicuramente verteranno su qualche calcolo per ricordarsi di prendere la pillola anticoncezionale.

Con lei tendo a fidarmi, ma con le altre uso sempre precauzioni indipendentemente. Non so se hanno malattie o se possono fregarmi con un qualche marmocchio all’improvviso.

<< Che rottura di palle. >> mi lascio sfuggire ad alta voce.

Bethany non sa bene se far finta di non avermi ascoltato o se intromettersi nei miei pensieri.

Ma i fatti suoi, è raro che se li faccia. Difatti coglie l’occasione per agganciare una conversazione.

<< Qualche casino Hudson? >> chiede con un tono di voce che mi da ai nervi. Un tono di una che la sa lunga. Quando sono pronto a scommettere che lei, non saprebbe come convivere con la realtà che io mi porto alle spalle da quando sono nato.

<< Stavo solo pensando a quell’idiota di mio fratello >>

E di mio padre.

Dico senza spostare lo sguardo dal cantiere che si trova giusto sotto il balcone della vecchia casa abbandonata in cui stiamo.

<< Tuo fratello dovrebbe rilassarsi di più, cavolo. Fallo venire a qualche party con te qualche volta. >> ridacchia senza capire un cazzo.

<< Magari se mi avvisi per tempo, posso rimediare qualcosa anche per lui! >> continua mentre mi tira una spallata, sempre continuando a ridere in modo stupido.

<< Certo, proprio mio fratello. Bethany levati dalle palle guarda, è meglio. >> dico innervosito mentre con una mano lancio la sigaretta oramai finita di sotto e con l’altra, mi tiro i capelli.

<< Diamine Darren, stavo scherzando un po’. Come sei teso, pensavo ti fossi rilassato. >> dice schiacciando la sigaretta sotto le scarpe bianche prima di venire verso di me e posarmi le sue mani sul petto.

Chiudo gli occhi per mantenere la calma.

Nel frattempo il palmi di Bethany scorrono su e giù da sopra la maglietta.

<< Ti ho mai detto che amo i tatuaggi che hai sui bicipiti? Quel maori sul sinistro, il tribale che ti parte dal lato del collo e ricopre tutto il bicipite destro. E quella scritta latina assurda sotto al… >> la sua lista senza significato non ha fatto altro che infastidirmi ulteriormente.

Nessuno sa o saprà mai i significati dei tatuaggi che ho. Né sulle braccia, ne sul petto né dietro la schiena.

Sentire denominare “assurda” la scritta latina mi fa andare in bestia.

<< Adesso basta! >> urlo interrompendola e spostando violentemente le sue mani via dal mio corpo, mentre me ne esco da questo posto fatiscente.

Bethany con passo scattante mi raggiunge ma non mi corre dietro, è come se stesse camminando per conto suo. E fa bene, ha capito che sono innervosito e che deve lasciarmi perdere.

Se non altro, essendo mia amica sa anche come sono caratterialmente e sa quando è ora di mollare la presa con me.

Arrivato il momento di dividere le strade la voce di Bethany si fa spazio tra il forte silenzio: << Domani sera ci vieni al “Kong’s” a prendere qualcosa con noi? >>

Io di tutta risposta, annuisco emettendo un verso strano per poi salutarla con un gesto veloce del braccio e restando a testa bassa, incazzato con me stesso e con un susseguirsi di situazioni, mi dirigo verso casa.

Mentre arrivo verso il vialetto della grande villa, scalcio via una lattina di birra.

Maledetti ubriachi, anche a quest’ora dovete rompere qui?

Prima di entrare, faccio un respiro profondo, mi lego i capelli in un codino strano e apro il cancelletto del giardino con uno scatto veloce della chiave.

Attraverso velocemente il sentiero ciottolato del giardino e nel frattempo Pumpkin, il nostro gatto arancione e bianco, mi viene incontro. Lo accarezzo velocemente mentre si struscia tra le mie gambe facendo le fusa, seguendomi poi mentre mi allontano per entrare in casa.

<< Sei tornato finalmente! >> mi accoglie Trevor mentre passa nel salotto.

<< Andata bene con Bethany? >> mi chiede fermandosi davanti a me con un sorriso sghembo.

Non c’è differenza di altezza, sostanzialmente siamo alti uguali. Resta il fatto che se qualcuno ci dovesse vedere per strada non direbbe che siamo fratelli. O per lo meno, io non lo direi. Ma probabilmente non sono abbastanza oggettivo.

Guardo con riluttanza l’ orecchio destro ancora sanguinante per colpa del terzo piercing che Trevor ha fatto fare verso l’attaccatura dei capelli.

<< Come sempre. So che vorresti provarla anche tu. >> rispondo ridendo in modo beffardo mentre mi muovo per andare in cucina.

<< Fratello caro, credi davvero che io non l’abbia già fatto? >> mi ride dietro.

Bethany non mi ha mai detto di essere andata con mio fratello, ma la cosa non mi sconvolge o infastidisce più di tanto.

Scuoto la testa sorridendo mentre prendo dell’acqua fresca dal rubinetto.

<< Oggi Gordon ha chiesto di te. Voleva sapere come andava. >>

Continua Trevor raggiungendomi nella stanza.

I suoi corti capelli castani sono bagnati e alcune gocce scendono lungo la sua fronte.

<< E’ sudore o cosa quello? >> chiedo sviando il discorso mentre poso il bicchiere nel lavandino.

<< Non fare il coglione, mi sono appena lavato. Cosa è successo all’allenamento? >> mi chiede spingendo il palmo della mano contro la spalla con fare amichevole.

Questo mi provoca un attacco di tosse.

<< Ho rotto un sacco da boxe. Ma di quelli piccoli e poco pesanti. Non ci ho fatto neanche caso. >> rispondo guardando dritto negli occhi grigi di Trevor.

Mio fratello scoppia a ridere.

<< Quell’uomo non ha ancora capito che tu, a differenza mia, vai in quel posto solo per sfogarti più che per allenarti! >> dice ancora ridendo tra sé, mentre prende una piccola pezza attaccata al muro e pulisce velocemente dell’acqua che avevo fatto sgocciolare sui bordi del lavandino.

<< Esattamente. Mi ha detto che non è questo lo spirito che devo dimostrare. Povero vecchio. >> ribatto ripensando alla scena di un giorno fa.

I ragazzini che erano venuti per seguire il corso di boxe sono rimasti a guardarmi impietriti, ed alcuni di loro forse spaventati.

Sono entrati e si sono fatti rompere il naso, avrebbero dovuto capire che è così che girano le cose in questa palestra.

<< Oh, a proposito. Papà vuole parlarti. >> si gira di scatto Trevor mentre sto per uscire dalla stanza.

Corrugo la fronte e lui sorride cattivo.

<< Ha trovato chi doveva trovare, credo che ora tocchi a te fare ciò che si deve fare. >> mi spiega prima di riappendere la piccola pezza gialla sul gancio attaccato al muro.

Tiro un sospiro che non so distinguere se di sollievo o di stanchezza.

Finalmente questa storia verrà chiusa.




-Angolo autrice.-
 

Ripeto come detto nelle note finali del precedente capitolo: mi sto rendendo conto come ormai EFP sia sempre meno popolato con il passare del tempo...
Però io continuo ad aggiornare anche per quelle poche anime silenziose che portano avanti la lettura e mi inseriscono tra le storie seguite.
Stiamo iniziando a conoscere un altro personaggio e la sua famiglia. Forse ancora troppo presto per capire se odiarlo o meno, ma lascio che vi facciate le vostre idee...
Aspetto riscontri, con speranza, tra un uovo di cioccolato e l'altro.
Un baciotto anime belle.


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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


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Capitolo 7.


-Darren-


Salgo le scale in legno per arrivare al secondo piano della casa e mi dirigo verso lo studio di mio padre. Prima di entrare, come sono solito fare, busso.
<< Entrate, entrate. >> risponde mio padre aspettandosi sia me che mio fratello evidentemente. Quando apro la porta, un forte odore di tabacco mi invade le narici. Risulta quasi eccessivo e fastidioso.
<< Quanti sigari hai fumato qui dentro? >> chiedo con volto disgustato mentre lo raggiungo dietro il grosso tavolo antico, dopo aver chiuso la porta.
<< Ho buone notizie figlio mio, fumerò altrettanto tabacco solo per la gioia dopo aver finito! >> risponde allegro.
Una corona di capelli bianchi incornicia i lati della sua testa, per poi scendere sottoforma di folta barba bianca. Ha un volto così stanco che provo quasi pena per quest’uomo.
Ma finalmente sembra essere riuscito ad arrivare ad un punto di inizio e questa storia assurda, sarà velocemente conclusa.
<< Credevo che Trevor fosse venuto con te, ma poco importa. A lui ho già raccontato tutto. >> spiega in modo molto spiccio prima di aprire diverse finestre sul portatile bianco.
<< Ho fatto alcune ricerche e, finalmente ho scoperto dove si trova la figlia degli Stolberg! >> I suoi occhi grigi mi guardano con un barlume di speranza. E allora io, scelgo di dargli man forte.
<< Perfetto, e dove si trova? Come si deve agire adesso? >> chiedo piegandomi alla sua altezza, appoggiando la mano destra sulla spalliera della sedia, per guardare meglio lo schermo del computer, mentre la sinistra è piegata insieme e sulle ginocchia.
Mio padre risponde con una fragorosa risata.
<< Sei più impaziente di me eh Darren? >> si rigira verso il portatile.
<< Allora. La ragazza ha praticamente la tua età. Tra qualche mese compirà ventun’anni. Manca un anno alla cerimonia di iniziazione. Non abbiamo tempo da perdere, ne abbiamo già perso fin troppo adesso. Quei cretini degli Stolberg l’hanno fatta venire a vivere qui, esiste decisione più più stupida? Evidentemente, perdendo traccia di noi, non hanno la più pallida idea di dove ci siamo trasferiti a vivere. Chissà che razza di ragionamento hanno fatto per buttarla in pasto ai lupi. >> dice ironicamente ridendo mentre comincia a digitare delle vie su google maps.
Effettivamente, se io sapessi che mia figlia è in pericolo, non la farei di certo allontanare.
Perché questa decisione?
Forse non hanno proprio preso in considerazione la possibilità di un eventuale scontro.
<< Qui è dove andrai una di queste mattine con tuo fratello. Poco più sotto, come puoi notare, c’è casa sua. >> spiega mentre io memorizzo mentalmente tutte le vie e gli spostamenti che mio padre mi sta illustrando.
<< E precisamente cosa ti aspetti che faccia? >> gli chiedo, mentre sposto lo sguardo verso la porta che si apre facendo entrare  anche Trevor nella stanza. Immediatamente tenta di introdursi nella conversazione.
<< Te lo ripete da non so quanti anni Darren, non ti sei ancora stancato di sentirtelo dire? >> mi apostrofa venendo verso di me.
Alzo la testa esasperato: ho davvero bisogno di fare una doccia dopo essermi dato da fare per bene con Bethany, e sono ancora bloccato a parlare di vendetta con questi due. Cazzo. Faranno uscire di testa anche me prima o poi con questa storia.
<< Domani devi carpire qualche informazione utile, cominciare ad attaccare bottone, non dovrai faticare tanto. Sei un bel ragazzo in fin dei conti. >> l’affermazione di mio padre viene accompagnata da uno sghignazzare di mio fratello, io lo fulmino con lo sguardo e lui mi rivolge un dito medio.
<< Devi scoprire che ne è della sua aura. Capire se possiede ancora il dono. >> continua serio l’uomo seduto al mio fianco, senza essere troppo esplicito e marcando il tono sulle parole “il dono”.
<< Cioè posso scoparmela, in breve. >> taglio corto io senza troppi complimenti.
Mio padre non fa alcun cenno.
<< Se ha ancora il dono, devi privargliene, renderla vulnerabile. >> risponde giocando con la barba, guardandomi.
<< Nulla di troppo difficile per te. >> scherza Trevor assorto nel nostro discorso.
<< Nessun problema. >> concludo io mentre mi rialzo dalla posizione piegata.      
<< Non perderti in mille tentazioni Darren. Lo scopo è quello di renderla vulnerabile a qualsiasi attacco. Ed è li che il tuo compito sarà concluso. >> spiega fiero mio padre.
<< A questo punto entreremo in gioco io e Trevor e finalmente, riusciremo a vendicare tua madre. >> conclude mentre batte un pugno in modo rabbioso sul tavolo che scricchiola. Io, sobbalzo non aspettandomi questo gesto, mentre Trevor si limita a scuotere la testa.
<< Non preoccuparti, presto questa faccenda finalmente sarà risolta. E tutti avremo la nostra fetta di soddisfazione. >> cerco di calmarlo, posandogli una mano sulla spalla.
Mio padre a queste parole si riprende e i suoi occhi grigi saettano da me al computer per poi illuminarsi di una luce che non saprei dire se di speranza o di totale rabbia e cattiveria. Dopo pochi secondi, si apre sullo schermo del portatile una scheda probabilmente hackerata dall’archivio online dell’università di questa ragazza.
La pagina mostra una foto in alto a sinistra, una foto di lei, con tutti i dati anagrafici e i corsi che sta frequentando.
Il suo volto mi sembra familiare, eppure il suo nome non mi dice niente. Probabilmente sarà una di quelle ragazze che avrò scopato e che non avrò più rivisto ed in tal caso, tanto meglio. Vorrà dire che siamo già a metà dell’opera.
<< Se non fosse che probabilmente una ragazzina ventunenne non uscirebbe con me, ci proverei io Darren, non so se l’hai vista! >> mi rimbecca Trevor notando la mia espressione accigliata mentre socchiudo gli occhi per guardare meglio la foto della ragazza.
<< Come se ci portassimo tanti anni di differenza! >> rispondo io senza staccare gli occhi dall’immagine nitida.
Nostro padre bofonchia qualcosa e chiude con un gesto solo, tutte le finestre ancora aperte.
Dopo aver parlato di qualcos’altro di nessuna importanza rilevante, abbandono i quattro occhi grigi e mi dirigo verso il bagno della mia camera.
Apro la porta della mia stanza e per un attimo, mi sento a casa. Davvero.
Non perdo tempo e mi spoglio completamente per avviarmi verso la cabina della doccia senza fare caso alla scia di vestiti sporchi che lascio sul pavimento della camera. Mi accerto di avere a portata di mano gli asciugamani ed entro togliendomi l’elastico che fin ora ha mantenuto in alto i capelli.
Apro il rubinetto ed un getto d’acqua ghiacciata risveglia immediatamente la circolazione in tutto il mio corpo.
Non amo stare sotto la doccia per troppo tempo, ma per quel poco che ci resto, mi piace abbandonarmi alla neutralità dei pensieri.
E per dieci minuti non penso più né a mio padre, né alla morte di mia madre, né al vecchio mondo angelico del quale non ricordo niente, né alla vendetta assurda che è stata ideata.
I miei sensi si concentrano sull’odore del nuovo bagnoschiuma che la governante ha deciso di comprare questa settimana. Qualcosa all’aroma di cocco.
Ma va bene così. Sono troppo stressato per altri motivi per perdere tempo dietro quella donna, spiegandole cosa deve comprare e cosa no.
Dopo essere uscito, essermi rivestito ed aver scalciato in un angolo i panni sporchi per far capire a Batusha che quando li vede deve toglierli da li e lavarli, decido di prendere il libro dal mio comodino e di proseguire la lettura interrotta questa mattina.
Cerco inutilmente gli occhiali che non ricordo dove ho posato e, non trovandoli, impreco sottovoce prima di stendermi ugualmente sul letto accavallando le gambe allungate.
I capelli ancora bagnati lasciano un alone umido sulla federa del secondo cuscino del letto che ho messo dietro la nuca per sorreggermi mentre leggo.
Dopo un quarto d’ora, giusto mentre sono già immerso nella lettura e sto per scoprire chi ha condotto la falsa autopsia del corpo di Meredith, la porta si apre e la figura di mio fratello resta ferma sulla soglia.
Io non mi scomodo a dirgli di entrare, gli basta un mio sospiro scocciato.
<< Allora? Domani mattina per che ora dobbiamo andare secondo te? >> mi chiede mentre si avvicina al letto.
<< Non di certo di mattina! >> lo apostrofo chiudendo con uno scatto il libro.
Trevor si acciglia.
 << Prima devo seguire delle lezioni online. Devo capire su quale modulo concentrarmi per i primi esami. Senza alcuni di quelli, non posso farne altri. >> mi affretto a spiegare scocciato mentre poso il libro nuovamente sul comodino.
Trevor aveva dodici anni quando è stato privato dei propri poteri per essere poi marchiato a vita come “angelo caduto” venendo a vivere con mio padre qui sulla terra. E mentre mio padre ha trovato la propria strada fortunata in un’ impresa di costruzioni, mio fratello ha avuto qualche problema in più ad ambientarsi a scuola, ragion per cui non avendo finito gli studi non può automaticamente rientrare in qualche corso universitario ed io so quanto questo gli pesi. Soprattutto vedendo me che riesco a darmi da fare nonostante tutto, ma alla fine la mia storia è stata relativamente diversa dalla sua. Io non sono stato privato dei miei poteri, semplicemente non ho avuto modo di svilupparli. Inoltre sono stato assegnato a mio padre sulla terra solo dopo i due anni. Per tutto il resto del tempo non ricordo chi si è preso cura di me, ma di certo non mia madre. Mia madre non poteva più farlo.
Ed in un certo senso, non ha comunque voluto.
<< Come vuoi, ma non possiamo arrivare più tardi dell’ora di pranzo. Dobbiamo comunque capire con chi hai a che fare Darren. >> mi spiega Trevor guardando con attenzione i miei movimenti mentre mi alzo a sedere al lato opposto del letto.
<< Ho capito Trevor, so come devo gestire la situazione. Non cominciare a farti venire qualche mania di controllo. >> rispondo dandogli ormai le spalle.
<< Io voglio solo che finalmente sia fatta vendetta Darren, non ne posso più di tutto questo. >> risponde a voce bassa.
Io mi giro di scatto e lo guardo con occhi ridotti a due fessure: << Credi che non ne abbia anche io le tasche piene? Sono anni che papà e tu impazzite dietro tutto questo. E già solo per un motivo simile dovrei essere più che motivato a concludere tutto in fretta! >> dico a denti stretti, con un tono di voce che non si fa problemi a lasciar trasparire la mia rabbia che credevo placatasi dopo la doccia.
<< Tu non ti rendi conto di quanto possa essere importante una cosa simile. Non riesci a focalizzare il problema. >> ribatte risoluto Trevor mentre si avvicina a me con aria ostile.
Ah io non riesco a focalizzare il problema? Pur volendo, dopo le miliardi di volte che me lo avete ricordato senza preoccuparvi di come certi ricordi potessero fare male, il problema l’ho focalizzato eccome. E voi gli state dando ancora più potere autodistruggendovici dietro per tutto questo tempo!
Vorrei tanto rispondere così, dando voce ai miei pensieri, ma non ho intenzione di far capire come tutta questa situazione abbia in realtà segnato tutta la mia infanzia e adolescenza. Non avrebbe senso e soprattutto, è un qualcosa che è passato da un lato, ed ancora vivo da un altro. Il lato ancora vivo è rappresentato da un fuoco che tenderà a bruciare tutto ciò che incontra. Finché non sarà soffocato dalle sue stesse ceneri probabilmente.
<< Fottiti Trevor. >> mi limito a dire facendogli capire con lo sguardo che l’unica cosa che deve fare ora non è ribattere ma girare i tacchi ed uscire da questa cazzo di stanza. Ed è proprio quello che in effetti, recependo il messaggio, fa. Ed io resto solo, con un grado di tensione pari a quello che avevo prima di entrare nel box doccia. Sferro un pugno sulla base del comodino e resto in silenzio per il tempo restante.
 



-Angolo autrice.-
 

Carico con troppo ritardo tutte le volte ed adesso essendo in sessione esami, sono ancora meno presente. Perdonatemi. Ho ricevuto qualche recensione e un messaggino carino, vi ringrazio. E' brutto scrivere per dei fantasmi tutto il tempo e avere dei riscontri, è sempre piacevole. Positivi o negativi che siano.
Grazie per chi ha inserito tra le seguite la storia e grazie per la vostra infinita pazienza!
Qui stiamo capendo un po' di più, spero di non aver scoperto tutte le carte. Non avete idea di quante volte io abbia riscritto questo capitolo, modificandolo.
Che altro dire, aspetto speranzosa novità e alla prossima, anime belle :*


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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


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Capitolo 7.


-Aria-



Sono due giorni che passo tutto il tempo a ripensare alla grandiosa opportunità che mi è stata data dall’università. La partenza è prevista tra un mese e mezzo, io non so come dirlo ai miei e ho una paura assurda che possano solo spezzarmi le ali immediatamente.
<< Proprio niente, eh? >> mi sento dire da Tomàs che è seduto al mio fianco sul pavimento della camera. Mi rendo conto di aver trascurato buona parte del suo discorso, affogando tra le mie preoccupazioni.
<< No aspetta, scusami Tom. Ho perso il filo… Potresti ripetere? >> gli chiedo sospirando, dedicandogli però tutta la mia attenzione questa volta.
Il moro sorride abbassando lo sguardo per poi prendere gli occhiali appoggiati al suo fianco e pulire le lenti con l’estremità della maglietta celeste.
<< Secondo la mia modesta opinione cara ragazza, dovresti affrontare il discorso con i tuoi genitori il prima possibile. Altrimenti l’ansia ti mangerà tutta intera .>> mi dice con tono che non so bene se definire scherzoso o serio. Resta il fatto che l’improvvisa empatia mi lascia interdetta per un attimo, causandomi un senso di fastidio improvviso per aver cambiato discorso sviando la discussione sui miei crucci.
<< Senti Tomàs non te la prendere ma sono cose devo rivedere da sola queste. >> rispondo con tono abbastanza freddo e scocciato mentre mi rialzo velocemente da terra.
<< Come siamo suscettibili questo pomeriggio Aria. >> mi stuzzica tendendo la mano verso di me, chiedendo indirettamente aiuto per rimettersi in piedi.
Cercando di rilassarmi e non prendere tutto così seriamente, mi sforzo di ridere alla sua provocazione mentre mi avvicino per offrirgli il braccio al quale lui prontamente si aggrappa.
<< Un giorno di questi dovresti farmi un ritratto. >> afferma curiosando tra i taccuini che sono sparsi sulla scrivania.
<< Non sono brava con le figure umane, lo sai. >> mi affretto a dire mentre mi sistemo meglio i vestiti che indosso.
<< Vorrà dire che migliorerai proprio per me. >> scherza.
Io, con uno scatto felino prendo ciò che ha tra le mani e lo nascondo dietro la schiena. Thomàs si finge offeso ma non dice nulla.
Guardo l’orologio e a malincuore mi accorgo che anche questa volta ci tocca correre se vogliamo arrivare in tempo alla sessione pomeridiana di botanica sistematica.
<< Prendo qualcosa da mangiare e ti aspetto giù. >> sentenzio a Thomàs che sta ancora curiosando tra altri fogli sparsi sempre sulla piccola scrivania, ricevo un suo assenso con il capo e scendo di sotto velocemente.
Nel frigo non trovo molta roba da poter prendere e portare via senza troppi problemi. Così decido solo di versarmi del succo alla mela verde in un bicchiere preso al volo dal ripiano sopra il lavandino.
<< Io sono pronto! >> sorride Thomàs vicino alla porta della cucina con già in dosso il proprio cappotto grigio.
<< Arrivo! Tieni. >> gli porgo un altro bicchiere con del succo dentro, prima di andare a cercare il mio poncho.
Una volta usciti, ci dirigiamo verso l’università con passo svelto. Non abbiamo preso la sua macchina solo perché avremmo perso più tempo a cercare del parcheggio una volta arrivati.
Mentre camminiamo per la strada vengo come richiamata da qualcosa, come se qualcuno stesse chiamando insistentemente il mio nome, senza urlare però.
E’ un sussurro, un lieve richiamo accompagnato da un soffio tiepido intorno a me. Mi fermo d’istinto e mi guardo in giro.
Thomàs se ne accorge e torna indietro, raggiungendomi vicino alla quercia davanti alla quale sono piegata.
<< Cosa è successo adesso? >> Chiede sospettoso.
Analizzo alcune foglie: sono tutte tagliate a partire dai bordi e toccandole è come se sentissi delle vibrazioni che chiedono aiuto.
Quasi perdo l’equilibrio e Thomàs mi prende prontamente per il braccio mentre mi risistemo sulle punte, piegando le ginocchia.
<< Megaliche. >> dico dopo, rialzandomi e guardando il volto interrogativo di Thomàs.
<< E quindi? >> mi chiede senza variare espressione.
<< E quindi non possiamo fare nulla, sono insetti impollinatori e non è giusto agire contro di loro. >> ribatto in modo triste mentre riprendo a camminare.
<< Cioè, Aria davvero ti sei fermata per analizzare quella pianta? >> mi domanda divertito il moro.
Faccio spallucce, non interessata a continuare il discorso.
Qualche minuto dopo, arriviamo in università e prima di entrare ci fermiamo a guardare la massa di gente che va e viene verso la strada.
<< Prendi i posti, che appena finisco ti raggiungo >> mi avvisa Thomàs mentre si avvia all’interno dell’edificio.
<< Se ne trovo ancora liberi! >> gli urlo seguendolo, prima di dividere il nostro percorso dirigendomi verso l’aula del piano sotterraneo.
Ovviamente, siamo in ritardo.
Ovviamente l’aula è piena.
Ovviamente, anche oggi mi toccherà prendere appunti sulle mie ginocchia, riservando a Thomàs un comodo posto sulle scale della stanza.
L’insegnante aveva da poco iniziato a parlare, riassumendo in caratteri generali la lezione precedente.
Tra le parole del professore, le trascrizioni frettolose delle slides e qualche commento sarcastico di Thomàs, passano quasi due ore.
Verso la fine, fatico a tenere alta la concentrazione riguardo alla tassonomia e alla nomenclatura vegetale, odio prendere appunti in questo modo, odio non poter avere un confronto diretto con il docente, non mi piace stare ore in questa posizione scomodissima.
<< Ma se andassimo via un po’ prima oggi? >> sussurro al ragazzo concentrato al mio fianco.
Thomàs non risponde subito, intento a captare anche gli ultimi concetti della spiegazione.
<< Ho male alla schiena, non ho voglia di restare altri quindici minuti qui… >> continuo lamentosa, iniziando a mettere a posto le penne ed i fogli del taccuino.
Quando finisco e faccio per alzarmi, Thomàs mi rivolge uno sguardo sorridente.
<< Ci sentiamo dopo >> mi saluta, ed io annuendo, mi avvio verso la porta posteriore dell’aula.
Mi trattengo quasi dieci minuti nel bagno, finché, infastidita dalla fila decido di rinunciare ad andarci. Quando esco e scendo le scale, incrocio Thomàs vicino alle macchinette, intento a parlare con due ragazze.
Decido quindi di non aspettarlo ed avviarmi all’uscita, aprendo la grande porta in vetro e tenendola per un po’ ferma con la spalla, attendendo che lui alzi lo sguardo su di me per poterlo salutare.
Una sensazione negativa mi sfiora come accompagnata da un soffio di vento, mi giro e mi ritrovo a ricambiare lo sguardo con una figura che non fatico a riconoscere, rimanendo per un attimo interdetta.

 

-Angolo autrice.-
 

Sono tornata anime belle! Il capitolo è un po' corto, lo so. 
Che starà succedendo? Che cosa è preso ad Aria?
Innanzitutto volevo ringraziare le nuove personcine che hanno inserito la storia tra le seguite. Spero di portare avanti un buon lavoro per voi. 
E ringrazio anche chi, con pazienza, ha deciso di lasciare una recensione nei capitoli precedenti. E' bello avere vostri riscontri.
Torno a gocciolare di sudore, spero di aggiornare prima di evaporare del tutto. Come stanno andando le vostre vacanze?
Le mie sono appena "iniziate" avendo finito da poco la sessione.
Bene, vi lascio come sempre, i link utili da copia incolla.
Un baciotto ciotto ciotto.
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Capitolo 10
*** Capitolo 9. ***


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Capitolo 9.


-Darren-



Più ci avviciniamo al polo universitario, più sono felice di essermi iscritto telematicamente.
C’è un continuo via vai di gente e tanta confusione, cose che sopporto poco.
Prendo una sigaretta dal pacchetto, pressandola tra le labbra mentre provo a cercare senza successo l’accendino.
Sbuffo.
Mio fratello distrattamente mi passa il suo mentre continua a guardarsi intorno, alla ricerca della fatidica ragazza.
<< Spero che gli orari che abbiamo trovato siano giusti. >> si lascia scappare Trevor portandosi gli occhiali da sole sulla testa.
<< Spera piuttosto che segua tutte le lezioni. >> sentenzio io lasciandomi scappare una risata soffocata.
Trevor si guarda il polso per accertarsi dell’ora segnata sul rolex e poi si siede in prossimità delle scale del grande edificio. Io decido di rimanere in piedi per controllare meglio la situazione e finire in santa pace la mia sigaretta.
<< Sarà divertente. >> mi schernisce mio fratello guardandomi dal basso.
<< Quale parte, Trevor? Quella in cui me la sbatto >> aspiro << O quella in cui la privo della cosa più importante che ha? >> rispondo sardonico, buttando fuori il fumo.
<< Spero che ne valga la pena, che non debba usare un sacchetto o calarmi qualcosa di pesante per risucirci. >> aggiungo con leggerezza ed un picco di cattiveria nella voce.
<< Mi riferivo all’approccio iniziale, ma anche le altre due aspettative sono abbastanza allettanti >> ride.
La cattiveria nei suoi respiri.
Scuoto la testa sorridendo.
Dalla foto, non sembra male come tipa, spero mi renda il lavoro più piacevole.
<< La foto, a detta di papà è un po’ vecchiotta, sarà un bel pacco regalo a sorpresa Darren. >>
Gente entra ed esce dall’università, alcune ragazze mi fissano più del dovuto, alcuni insegnanti mi rivolgono occhiate di superiorità. Odiosi e ridicoli, per quel po’ di potere che hanno.
Lancio un’occhiata oltre le porte in vetro dell’entrata e scorgo una chioma rossiccia, familiare. Riduco gli occhi a due fessure per mettere meglio a fuoco l’immagine.
La ragazza fa per aprire la porta e bloccarla con la spalla, ed io ricordo velocemente dove l’avevo già vista: È la sfigata a cui ho comprato uno dei miei libri preferiti.
Trevor si alza e segue il mio sguardo.
<< Darren, se è lei, sei messo male, non te la darà mai. >> ride spostando lo sguardo su di me << A meno che non sia davvero una disperata. >> si corregge con più sicurezza nella voce in quest’ultima parte della frase.
<< Mi sottovaluti, fratello caro >> ribatto senza prestargli attenzione, non guardando la ragazza a cui lui si stava riferendo. Ero preso dalla piccola preda indifesa della libreria. Faccio un altro tiro di sigaretta.
La ragazza si ferma di botto non appena incrocia il mio sguardo, forse sorpresa nel trovarmi li.
Che coincidenza divertente.
Mi giro verso Trevor cercando di capire a chi si stava riferendo poco prima e subito ricollego il volto della foto a quello della sfigatella della libreria.
Sorrido divertito.
Così è troppo facile.
Spengo la sigaretta sotto i miei stivali e mi avvio verso la ragazza che evita il mio sguardo guardandosi intorno.
Come si chiamava?
Il suo nome, se non erro, aveva a che fare con la natura… Fiore?
<< Ciao, Sole! >> la saluto sicuro, avvicinandomi a lei.
Di risposta lei, alza un sopracciglio.
<< Sole? >> tossisce guardandomi dritto negli occhi.
Io piego la testa di lato, con aria innocente; lei scuote la testa quasi divertita ma un po’ anche infastidita.
Ma come cazzo si chiamava?
<< Aria! Non hai idea di cosa… >> ci interrompe un ragazzo che si blocca vedendoci parlare.
<< Già, Aria. >> ribatte la ragazza indicando con la testa il suo compagno dal cappotto grigio.
Aria.
Mi viene da ridere, ma cerco di mantenere il mio atteggiamento strafottente per questa volta.
<< Come procede la lettura? >> continuo non curante del tipo al nostro fianco e della reazione piccata della ragazza, nei miei confronti.
<< Sai, Thomàs, vi presenterei se solo sapessi il suo nome! >> cambia discorso la rossa, sostenendo il mio sguardo.
Che caratterino.
<< Piacere amico, sono il nuovo guru letterario di Aria. Thomàs mi sembra di aver capito, giusto? >> mi presento divertito, porgendo la mano al moro che mi guarda con attenzione.
Mi sta studiando.
Con la coda dell’occhio, posso vedere Aria interdetta, che non sa bene quale mossa azzardare al momento.
<< Si, ed io sono il suo ragazzo. >> mi sorprende ricambiando la mia stretta, il tipo.
<< Oh bene! Hai una ragazza deliziosa. >> lo schernisco, non temendo la sua reazione.
Effettivamente i due sembrano stare bene insieme. Rido tra me e me al pensiero.
 Tra l’altro, se il ragazzo è sveglio, io posso tornare a farmi i cazzi miei senza problemi, avendo grazie a lui, già la strada spianata.
Aria scuote la testa, non riesco a decifrare la sua espressione. Spinge dalla spalla Thomàs. Lui, da parte sua, non risponde alla mia provocazione.
<< Insomma, che fai mi segui? >> chiede abbassando le difese Aria, con tono morbido.
Ah tesoro, se solo sapessi.
<< Per quanto potrebbe apparire allettante per te, mi sono trovato qui per puro caso cara la mia Sole. >> sbaglio volontariamente il suo nome.
<< Thomàs, ci sentiamo più tardi, così potrai raccontarmi tutto. >> spiega distratta Aria, rivolgendo le sue attenzioni al presunto ragazzo.
Mi giro verso Trevor che guarda la scena poco più lontano da noi, con le braccia conserte.
<< Sembro di troppo in questa discussione, se non vi spiace, alzo i tacchi ragazzi. >> comunico mentre faccio per andar via.
<< Sole, Thomàs, è stato un piacere >> fingo un inchino e mi avvio verso le ultime scale, senza aspettare risposta dai due.
Dietro di me, Aria ed il suo ragazzo parlano in maniera concitata.
Quando raggiungo Trevor, capisco di dovergli delle spiegazioni dalla sua espressione interrogativa.
<< Pare abbia il ragazzo. >> dico in maniera spiccia.
<< Ne sei sicuro Darren? Non puoi andartene così, devi cercare di capire di più su di lei! >> mi ammonisce.
Non ho voglia di stare dietro a certi teatrini; se non sono io il burattinaio, non metto la firma da nessuna parte.
<< Cazzo Trevor, rilassati. >> mi giro a guardare i due ragazzi che si stanno salutando.
Intanto noi riprendiamo a camminare.
Secondo quanto studiato, Aria dovrebbe percorrere questa stessa strada per tornare a casa.
Il telefono di Trevor inizia a squillare, lui prima guarda lo schermo, poi me.
<< È papà. Cosa gli dico? >> mi chiede guardandomi serio.
Io mi giro a guardare la strada dietro di me, vedendo la piccola figura di Aria che si avvia per la strada prevista mentre si sistema lo zaino impigliato nel poncho.
Un pugno all’occhio, inguardabile.
Mi giro di nuovo verso mio fratello, rivolgendo però gli occhi al cielo nuvoloso.
<< Che è ufficialmente iniziata, e che andrà presto a concludersi come da anni attendiamo. >>

 

-Angolo autrice.-
 

Ciao anime silenziose! Abbiate pazienza con i capitoli corti, ce ne saranno un po'.
La situazione piano piano inizia a prendere forma e a muoversi. Anche se adesso, che forma prenderà, starà a voi deciderlo.
Non chiedo nulla. Lascio immaginare e fare piani. Se poi vorrete dirmi qualcosa, sapete già che sarò ben felice di leggervi!
Bene, vi lascio come sempre, i link utili da copia incolla.
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Capitolo 11
*** Capitolo 10. ***


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Capitolo 10.


-Darren-



Salgo le scale in legno per arrivare al secondo piano della casa e mi dirigo verso lo studio di mio padre. Prima di entrare, come sono solito fare, busso.
«Entrate, entrate.» risponde mio padre aspettandosi sia me che mio fratello evidentemente. Quando apro la porta, un forte odore di tabacco mi invade le narici. Risulta quasi eccessivo e fastidioso.
«Quanti sigari hai fumato qui dentro?» chiedo con volto disgustato mentre lo raggiungo dietro il grosso tavolo antico, dopo aver chiuso la porta.
«Ho buone notizie figlio mio, fumerò altrettanto tabacco solo per la gioia dopo aver finito!» risponde allegro.
Una corona di capelli bianchi incornicia i lati della sua testa, per poi scendere sottoforma di folta barba bianca. Ha un volto così stanco che provo quasi pena per quest’uomo.
Ma finalmente sembra essere riuscito ad arrivare ad un punto di inizio e questa storia assurda, sarà velocemente conclusa.

«Credevo che Trevor fosse venuto con te, ma poco importa. A lui ho già raccontato tutto.» spiega in modo molto spiccio prima di aprire diverse finestre sul portatile bianco.
«Ho fatto alcune ricerche e, finalmente ho scoperto dove si trova la figlia degli Stolberg!» I suoi occhi grigi mi guardano con un barlume di speranza. E allora io, scelgo di dargli man forte.
«Perfetto, e dove si trova? Come si deve agire adesso?» chiedo piegandomi alla sua altezza, appoggiando la mano destra sulla spalliera della sedia, per guardare meglio lo schermo del computer, mentre la sinistra è piegata insieme e sulle ginocchia.
Mio padre risponde con una fragorosa risata.

«Sei più impaziente di me eh Darren?» si rigira verso il portatile.
«Allora, la ragazza ha praticamente la tua età. Tra qualche mese compirà ventun’anni. Manca un anno alla cerimonia di iniziazione. Non abbiamo tempo da perdere, ne abbiamo già perso fin troppo adesso. Quei cretini degli Stolberg vivono qui, o per lo meno, hanno fatto venire la ragazza; esiste decisione più più stupida? Evidentemente, perdendo traccia di noi, non hanno la più pallida idea di dove ci siamo trasferiti. Chissà che razza di ragionamento hanno fatto per buttarla in pasto ai lupi.» dice ironicamente ridendo mentre comincia a digitare delle vie su google maps.
Effettivamente, se io sapessi che mia figlia è in pericolo, non la farei di certo allontanare.
Perché questa decisione?
Forse non hanno proprio preso in considerazione la possibilità di un eventuale scontro.

«Qui è dove andrai una di queste mattine con tuo fratello. Poco più sotto, come puoi notare, c’è casa sua.»  spiega mentre io memorizzo mentalmente tutte le vie e gli spostamenti che mio padre mi sta illustrando.
«E precisamente cosa ti aspetti che faccia?»  gli chiedo, mentre sposto lo sguardo verso la porta che si apre facendo entrare  anche Trevor nella stanza. Immediatamente tenta di introdursi nella conversazione.
«Te lo ripete da non so quanti anni Darren, non ti sei ancora stancato di sentirtelo dire?»  mi apostrofa venendo verso di me.
Alzo la testa esasperato: ho davvero bisogno di fare una doccia dopo essermi dato da fare per bene con Bethany, e sono ancora bloccato a parlare di vendetta con questi due. Cazzo. Faranno uscire di testa anche me prima o poi con questa storia.

«Domani devi carpire qualche informazione utile, cominciare ad attaccare bottone, non dovrai faticare tanto. Sei un bel ragazzo in fin dei conti.»   l’affermazione di mio padre viene accompagnata da uno sghignazzare di mio fratello, io lo fulmino con lo sguardo e lui mi rivolge un dito medio.
«Devi scoprire che ne è della sua aura angelica. Capire se possiede ancora il dono.» continua serio l’uomo seduto al mio fianco, senza essere troppo esplicito e marcando il tono sulle parole “il dono”.
«Cioè posso scoparmela, in breve.»  taglio corto io senza troppi complimenti.
Mio padre non fa alcun cenno.

«Devi scoprire se ha ancora il suo dono o meno, ed in caso, devi privargliene, renderla vulnerabile.»  risponde giocando con la barba, guardandomi.
«Nulla di troppo difficile per te.»  scherza Trevor assorto nel nostro discorso.
«Nessun problema.» concludo io mentre mi rialzo dalla posizione piegata.      
«Non perderti in mille tentazioni Darren. Lo scopo è quello di renderla vulnerabile a qualsiasi attacco. Ed è li che il tuo compito sarà concluso.» spiega fiero mio padre.
«A questo punto entreremo in gioco io e Trevor e finalmente, riusciremo a vendicare tua madre.»   conclude mentre batte un pugno in modo rabbioso sul tavolo che scricchiola. Io, sobbalzo non aspettandomi questo gesto, mentre Trevor si limita a scuotere la testa.
«Non preoccuparti, presto questa faccenda finalmente sarà risolta. E tutti avremo la nostra fetta di soddisfazione.» cerco di calmarlo, posandogli una mano sulla spalla.
Mio padre a queste parole si riprende e i suoi occhi grigi saettano da me al computer per poi illuminarsi di una luce che non saprei dire se di speranza o di totale rabbia e cattiveria. Dopo pochi secondi, si apre sullo schermo del portatile una scheda probabilmente hackerata dall’archivio online dell’università di questa ragazza.
La pagina mostra una foto in alto a sinistra, una foto di lei, con tutti i dati anagrafici e i corsi che sta frequentando.
Il suo volto mi sembra familiare, eppure il suo nome non mi dice niente. Probabilmente sarà una di quelle ragazze che avrò scopato e che non avrò più rivisto ed in tal caso, tanto meglio. Vorrà dire che siamo già a metà dell’opera.

«Se non fosse che probabilmente una ragazzina ventunenne non uscirebbe con me, ci proverei io Darren, non so se l’hai vista!»  mi rimbecca Trevor notando la mia espressione accigliata mentre socchiudo gli occhi per guardare meglio la foto della ragazza.
«Come se ci portassimo tanti anni di differenza!»  rispondo io senza staccare gli occhi dall’immagine nitida.
Nostro padre bofonchia qualcosa e chiude con un gesto solo, tutte le finestre ancora aperte.
Dopo aver parlato di qualcos’altro di nessuna importanza rilevante, abbandono i quattro occhi grigi e mi dirigo verso il bagno della mia camera.
Apro la porta della mia stanza e per un attimo, mi sento a casa. Davvero.
Non perdo tempo e mi spoglio completamente per avviarmi verso la cabina della doccia senza fare caso alla scia di vestiti sporchi che lascio sul pavimento della camera. Mi accerto di avere a portata di mano gli asciugamani ed entro togliendomi l’elastico che fin ora ha mantenuto in alto i capelli.
Apro il rubinetto ed un getto d’acqua ghiacciata risveglia immediatamente la circolazione in tutto il mio corpo.
Non amo stare sotto la doccia per troppo tempo, ma per quel poco che ci resto, mi piace abbandonarmi alla neutralità dei pensieri.
E per dieci minuti non penso più né a mio padre, né alla morte di mia madre, né al vecchio mondo angelico del quale non ricordo niente, né alla vendetta assurda che è stata ideata.
I miei sensi si concentrano sull’odore del nuovo bagnoschiuma che la governante ha deciso di comprare questa settimana. Qualcosa all’aroma di cocco.
Ma va bene così. Sono troppo stressato per altri motivi per perdere tempo dietro quella donna, spiegandole cosa deve comprare e cosa no.
Dopo essere uscito, essermi rivestito ed aver scalciato in un angolo i panni sporchi per far capire a Batusha che quando li vede deve toglierli da li e lavarli, decido di prendere il libro dal mio comodino e di proseguire la lettura interrotta questa mattina.
Cerco inutilmente gli occhiali che non ricordo dove ho posato e, non trovandoli, impreco sottovoce prima di stendermi ugualmente sul letto accavallando le gambe allungate.
I capelli ancora bagnati lasciano un alone umido sulla federa del secondo cuscino del letto che ho messo dietro la nuca per sorreggermi mentre leggo.
Dopo un quarto d’ora, giusto mentre sono già immerso nella lettura e sto per scoprire chi ha condotto la falsa autopsia del corpo di Meredith, la porta si apre e la figura di mio fratello resta ferma sulla soglia.
Io non mi scomodo a dirgli di entrare, gli basta un mio sospiro scocciato.

«Allora? Domani mattina per che ora dobbiamo andare secondo te?»   mi chiede mentre si avvicina al letto.
«Non di certo di mattina!»   lo apostrofo chiudendo con uno scatto il libro.
Trevor si acciglia.
 
«Prima devo seguire delle lezioni online. Devo capire su quale modulo concentrarmi per i primi esami. Senza alcuni di quelli, non posso farne altri.» mi affretto a spiegare scocciato mentre poso il libro nuovamente sul comodino.
Trevor aveva dieci anni quando è stato privato dei propri poteri per essere poi marchiato a vita come “angelo caduto” venendo a vivere con mio padre qui sulla terra. E mentre mio padre ha trovato la propria strada fortunata in un’ impresa di costruzioni, mio fratello ha avuto qualche problema in più ad ambientarsi a scuola, ragion per cui non avendo finito gli studi non può automaticamente rientrare in qualche corso universitario, ed io so quanto questo gli pesi. Soprattutto vedendo me che riesco a darmi da fare nonostante tutto.
Ma alla fine la mia storia è stata relativamente diversa dalla sua. Io non sono stato privato dei miei poteri, semplicemente non ho avuto modo di svilupparli. Inoltre sono stato assegnato a mio padre sulla terra che avevo solo due anni d'esistenza. Le nostre vite, per quanto possa sembrare insignificante come particolare, si differenziano molto per questa semplice peculiarità.
Non sono stato generato sulla terra, questo è sicuro.
Per tutto il resto del tempo non ricordo chi si è preso cura di me, ma di certo non mia madre. Mia madre non poteva più farlo.
Ed in un certo senso, non ha comunque voluto.

«Come vuoi, ma non possiamo arrivare più tardi dell’ora di pranzo. Dobbiamo comunque capire con chi hai a che fare Darren.» mi spiega Trevor guardando con attenzione i miei movimenti mentre mi alzo a sedere al lato opposto del letto.
Ho capito Trevor, so come devo gestire la situazione. Non cominciare a farti venire qualche mania di controllo.
»  rispondo dandogli ormai le spalle.
«Io voglio solo che finalmente sia fatta vendetta Darren, non ne posso più di tutto questo.» risponde a voce bassa.
Io mi giro di scatto e lo guardo con occhi ridotti a due fessure:
«Credi che non ne abbia anche io le tasche piene? Sono anni che papà e tu impazzite dietro tutto questo. E già solo per un motivo simile dovrei essere più che motivato a concludere tutto in fretta!» dico a denti stretti, con un tono di voce che non si fa problemi a lasciar trasparire la mia rabbia che credevo placatasi dopo la doccia.
«Tu non ti rendi conto di quanto possa essere importante una cosa simile. Non riesci a focalizzare il problema.» ribatte risoluto Trevor mentre si avvicina a me con aria ostile.
Ah io non riesco a focalizzare il problema? Pur volendo, dopo le miliardi di volte che me lo avete ricordato senza preoccuparvi di come certi ricordi potessero fare male, il problema l’ho focalizzato eccome. E voi gli state dando ancora più potere autodistruggendovici dietro per tutto questo tempo!
Vorrei tanto rispondere così, dando voce ai miei pensieri, ma non ho intenzione di far capire come tutta questa situazione abbia in realtà segnato tutta la mia infanzia e adolescenza. Non avrebbe senso e soprattutto, è un qualcosa che è passato da un lato, ed ancora vivo da un altro. Il lato ancora vivo è rappresentato da un fuoco che tenderà a bruciare tutto ciò che incontra. Finché non sarà soffocato dalle sue stesse ceneri probabilmente.

«Fottiti Trevor.»  mi limito a dire facendogli capire con lo sguardo che l’unica cosa che deve fare ora non è ribattere ma girare i tacchi ed uscire da questa cazzo di stanza. Ed è proprio quello che in effetti, recependo il messaggio, fa. Ed io resto solo, con un grado di tensione pari a quello che avevo prima di entrare nel box doccia. Sferro un pugno sulla base del comodino e resto in silenzio per il tempo restante.
 

-Angolo autrice.-
 

Ciao anime! Spero che il capitolo possa aver chiarito -non troppo- alcune delle situazioni nebulose del personaggio.
Mi piacerebbe sapere come ve lo immaginate Darren, perchè io sto cercando di disegnarlo al meglio, ma magari all'esterno l'idea che si recepisce, è differente...
Ho un po' modificato il capitolo rispetto all'originale ed ho finalmente corretto anche le virgolette del discorso diretto.
Ho visto che si sono aggiunte anime tra coloro che seguono la storia e ne sono davvero felice, grazie per dedicarmi la vostra fiducia ed il vostro tempo nella lettura. Soprattutto quando decidete di spendere dei minuti per lasciare una recensione! Sapete che vi leggo sempre con molto piacere.
Bene, vi lascio come sempre, i link utili da copia incolla.
Un baciotto ciotto ciotto.
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