A swimming pool, you and I

di LazyBonesz_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Symphony n.7 ***
Capitolo 2: *** Bad blood ***
Capitolo 3: *** Maybe I was a little too wild in the '70 ***
Capitolo 4: *** But I'm a creep ***
Capitolo 5: *** I pierced my lip so he thinks I'm cool ***
Capitolo 6: *** Call me when there's no one there ***
Capitolo 7: *** If should this mean the start you switched my faith ***
Capitolo 8: *** Sincerity is scary ***
Capitolo 9: *** It's three in the mornin' ***
Capitolo 10: *** Darling, how could you be so blind? ***



Capitolo 1
*** Symphony n.7 ***


Odiavo la cittadina dove vivevo. Un agglomerato di case grigie, tanto cemento e sempre le solite persone che giravano per le sue strade. Gli inverni erano freddi lì, e le estati così calde da rendere difficile uscire di giorno. Non che ci fosse poi così tanto da fare; i ragazzi si riunivano nell'unica tavola calda presente oppure nel pub che doveva avere almeno una cinquantina d'anni dove, tra l'altro, l'entrata era vietata ai minorenni. In estate era disponibile la piscina, una sorta di quadrato pieno d'acqua recintato da cemento. Neanche un po' di verde attorno. 

Solitamente era il luogo d'incontro dei più piccoli che ancora riuscivano a divertirsi con poco poiché quella era solo acqua e neanche così pulita. 

Odiavo quel posto più di tutti gli altri. Odiavo dover lavorare lì tutte le estati per guadagnarmi i soldi per il college, mettendo in ordine le sdraio e fingendo di essere un bagnino con il brevetto. 

La piscina apriva subito dopo la chiusura delle scuole e dunque non potevo permettermi neanche un giorno di vacanza.

Il caldo arrivava più o meno verso le nove del mattino perciò preferivo alzarmi prima per raggiungere la piscina con la mia bici sgangherata. Ancora non capivo come riuscisse a rimanere in piedi dopo tutti i colpi che aveva preso negli anni.
Pedalai svogliatamente lungo la strada, evitando le buche presenti. Vivevo nella parte più brutta della mia cittadina, lì le case erano ancora più grigie e rovinate, con macchie di umido e muffa e prive di riscaldamento o aria condizionata, e chi vi abitava non era gente molto raccomandabile. Ad esempio il mio vicino, un tipo strano che veniva da qualche paese slavo. Era enorme, pieno di muscoli e tatuaggi orribili. E aveva un pitbull, Roger, che mordeva chiunque litigasse con il suo padrone. 

Le abitazioni erano le meno costose della città, per ovvi motivi, e mia madre ne aveva trovato una alla tenera età di diciannove anni, quando ebbe il suo primo e unico figlio, me. 

Svoltai in un'altra strada, intravedendo l'insegna della piscina da lontano. Era un cartello che sembrava avere migliaia di anni tanto era sbiadito dal sole. 

Mentre mi avvicinavo iniziai a sentire della musica classica provenire da lì. Aggrottai la fronte confuso. Scesi dalla mia bici e capii che la melodia proveniva proprio dallo stanzino vicino alla piscina. Che fosse un ladro?
Il cancello era stato aperto con le chiavi dunque non poteva essere qualcuno che voleva rubare. Poi non c'era proprio nulla da rubare. 

Pensai che fosse il proprietario, il vecchio Shadis, ma non si faceva mai vedere in piscina, per questo aveva assunto me. E poi non era il tipo da musica classica. 

Lasciai la bici contro il muretto e raggiunsi la casetta, sentendo le note di un pianoforte rimbombare nelle mie orecchie. Chiunque fosse poteva degnarsi di tenere un volume decente perché mi sentivo come se fossi rinchiuso dentro un cazzo di strumento. 

Scostai la porticina rossa e mi ritrovai davanti quello strambo di Eren Jaeger mentre muoveva le dita come se fosse un direttore d'orchestra. 
Adocchiai la vecchia radio da cui proveniva la musica e la spensi di botto, facendo calare il silenzio fra di noi. Silenzio che ebbe breve durata considerata la parlantina del ragazzo. 

"Ah, Levi! Eccoti!", esclamò, girandosi verso di me. Aggrottai la fronte davanti al suo abbigliamento: una camicia bianca, pantaloni neri e scarpe eleganti, così lucide da potermi specchiare. 

"Non hai fottutamente caldo, moccioso?", domandai, sollevando un sopracciglio. L'afa della giornata iniziava a farsi sentire eppure non vedevo neanche una goccia di sudore sul viso di Eren. Osservandolo meglio notai che si fosse portato i capelli all'indietro con della gelatina. Sembrava fosse appena uscito da un teatro. 

Eren Jaeger era un tipo strano, molto strano. Ogni giorno sembrava avere uno stile diverso e un'altra personalità. Tutti quanti lo sapevamo a scuola ma io non ci facevo particolarmente caso, più che altro cercavo di ignorarlo. Non volevo proprio attirare la sua attenzione visto che agiva d'impulso e trascinava anche gli altri nelle sue idee bizzarre. 

Il mio mantra era: meno mi faccio notare meglio è. Odiavo essere al centro dell'attenzione, conoscere troppe persone per poi doverci parlare ed essere guardato. Mi facevo gli affari miei al contrario di Jaeger che urlava per i corridoi frasi strampalate senza nessun motivo apparente. 

Una volta aveva preso due suoi amici per le mani e aveva corso per il corridoio, imitando la scena di qualche film. Un altro giorno si era messo a recitare Shakespeare quasi urlando, attirando dei nostri compagni che avevano iniziato a ridere. L'ultimo giorno di scuola si era messo su una sedia e aveva gridato "oh capitano, mio capitano" al nostro professore di letteratura. Sfortunatamente avevamo proprio quella lezione in comune ma sarebbe stata anche l'ultima, considerato che fosse il nostro quarto anno. Beh, per lui il quarto, per me il quinto, essendo stato bocciato. Ma ciò che contava era che non lo avrei dovuto rivedere. Questo fino ad oggi. 

"Sto bene, mio caro Levi Ackerman", disse lui, curvando le sue labbra in un ampio sorriso. Scrollai le spalle e andai a prendere il fischietto che lasciavo sempre appeso nello stanzino, ignorando totalmente la presenza di Eren. 

Meno ci avevo a che fare, meglio era. 

Uscii dalla casetta per dirigermi alla sedia rossa da bagnino, sotto l'ombra di un ombrellone del medesimo colore. Mi sistemai e presi il telefono, cercando qualcosa da fare per far passare il tempo. 
Evidentemente non fui così fortunato perché sentii nuovamente la musica di poco prima, accompagnata da dei passi che sembravano proprio andare verso di me. 

"Lavoreremo assieme, Levi, sei contento di avere della compagnia?", chiese Eren, poggiando la radio nel tavolino in plastica vicino a me. Lo ignorai, senza neanche alzare lo sguardo. Iniziò a canticchiare la canzone, imitando il motivetto. 

"Potresti abbassare?", borbottai, bloccando lo schermo del mio telefono. 

"Sto cercando di imparare tutte le sinfonie di Beethoven", dichiarò lui, rimanendo in piedi al mio fianco come un'odiosa presenza. Iniziavo a infastidirmi. 

"A me non frega un cazzo di Beethoven quindi o l'abbassi o te la butto in acqua quella cosa."
Eren abbassò il volume ma continuò a canticchiare, muovendo la testa a tempo e restando ancora in piedi, sotto al sole del mattino. Era forse masochista? Poteva anche essere, considerato quanto fosse strano. 
Mi passai una mano fra i capelli, prendendo un respiro profondo, prima di provare nuovamente a parlare con lui. 

"Senti, possiamo fare così, facciamo dei turni. Un giorno vengo io, un giorno tu, okay?", dissi con calma, cercando di non urlargli contro, "quindi congratulazioni, oggi è il tuo giorno libero. Magari c'è qualche spettacolo a teatro. Ah no, non abbiamo un teatro."

Eren scosse la testa e si avvicinò a me prima di rispondermi. 

"Non si può fare, il buon vecchio Shadis ha detto che devo esserci ogni giorno e io voglio venire ogni giorno." 

"Shadis non viene mai a controllare, basterà che sia io o tu, non tutti e due."

"Ti dico che non si può fare, Levi. Ho bisogno di questo lavoro e di te, nello stesso momento", continuò, parlandone come se fosse una questione vitale. Alzai gli occhi al cielo e portai due dita sul ponte del mio naso, cercando di calmarmi. 

"Che diavolo significa che ti servo io?", domandai nonostante proprio non mi interessassero le sue stupide motivazioni. 

"Vedi, fra qualche mese andrò al college e sarà la tappa più importante della mia vita dunque sono anni che mi preparo. Sto cercando la personalità migliore per piacere ai miei futuri compagni e professori, ecco, ma non l'ho ancora trovata e il tempo sta scadendo", spiegò, riuscendo a confondermi ancora di più. Mi stava venendo un gran mal di testa e i bambini non erano ancora arrivati. 

"Jaeger, che cazzo stai blaterando? Non puoi crearti una personalità, è una cosa con cui si nasce", dissi, non sapendo bene perché mi stessi immischiando ancora di più nel suo discorso strampalato. 

"Ti sbagli. Ovviamente sono nato con una personalità ma non mi piace e quindi la voglio cambiare. Quando troverò quella adatta mi sforzerò di tenerla fino ad abituarmi, questo è il mio piano", conclude soddisfatto. 

"Non ho ancora capito il mio ruolo. Non puoi provare le tue mille personalità con i tuoi amici?"

"No, ovviamente no. A loro piaccio in qualsiasi modo, sono i miei amici. Ma se piacerò a te vorrà dire che avrò trovato la personalità giusta, dopotutto a te non piace quasi nessuno." 

Sembrava dannatamente convinto del suo stupido piano che prevedeva assolutamente la mia presenza. Il fatto di farmi gli affari miei mi si stava ritorcendo contro ed ero diventato la cavia del suo esperimento assurdo. Decisi di assecondarlo solo per zittirlo. 

"Okay, strambo, se ci tieni tanto a piacermi vai all'entrata per far pagare le entrate e lasciami in pace", dissi freddamente, sistemandomi meglio sulla sedia rossa, chiudendo gli occhi. Alla fine non era così male quella musica classica in sottofondo. 

Eren non rispose ma lo sentii allontanarsi e sperai che fosse per fare ciò che gli avevo ordinato. 

Ben presto iniziai a sentire delle voci acute attorno a me e fui costretto ad aprire gli occhi per controllare i primi bambini della giornata. Erano anni che facevo quel lavoro e ormai riconoscevo la maggior parte delle persone che frequentavano la piscina. 

Portai lo sguardo su Eren, seduto su una sedia in plastica bianca, raccogliendo i soldi delle entrate e sorridendo ampiamente ad ogni bambino. Ci sapeva fare con loro, lo notai da come ci parlava animatamente, facendoli ridere e permettendo loro di raccontargli qualsiasi cosa. Le mamme lo guardavano un po' stranite per l'abbigliamento ma avevano perfettamente ragione. 

Distolsi lo sguardo dal ragazzo e lo portai sulla piscina, sperando che nessuno decidesse di affogare all'improvviso. Me la cavavo con il nuoto, avevo anche fatto un corso veloce prima di iniziare a lavorare lì ma l'idea di buttarmi in quell'acqua piena di germi e pipì mi faceva venire il voltastomaco. Avevo dovuto farlo poche volte - si contavano sulle dita di una mano - e speravo che le cose rimanessero così. 

Con il passare delle ore il calore del sole era diventato insopportabile, anche stando sotto all'ombrellone. Potevo sentire l'afa della giornata come se avesse una consistenza fisica per quanto fosse fastidiosa. 
Ormai la piscina era piena e nessun altro bambino stava entrando poiché era quasi ora di pranzo. Guardai Eren ancora seduto sulla sedia, totalmente esposto ai raggi del sole, e mi fece pena. 

"Jaeger, vieni all'ombra o ti verrà un infarto!", esclamai, agitando una mano verso di lui. Non ero una persona cattiva, non volevo mica vederlo mentre stramazzava a terra. 

Il ragazzo sollevò il viso e incrociò il mio sguardo, mostrandomi i suoi grandi occhi verdi che risaltavano sulla sua pelle scura. Sicuramente non si sarebbe bruciato, al contrario mio che mi dovevo spalmare la crema solare ogni ora. 

Si allontanò dal muretto e mi raggiunse, prendendo posto sotto all'ombrellone rosso, continuando a rimanere in piedi. Sbuffai e gli indicai una sedia lì vicino che lui prese, usandola subito dopo. 

"Non riesci a fare qualcosa di testa tua?", borbottai, poggiando un gomito su uno dei braccioli della mia sedia, affondando la guancia nel mio palmo. 

"Cerco di essere educato", rispose lui. Alzai un sopracciglio, chiedendomi cosa ci fosse di educato nel stare in piedi al sole o da qualsiasi altra parte. 

Mi stavo annoiando parecchio così cercai di intraprendere un'altra conversazione con lui. 

"Quindi... Chi stai interpretando oggi?", chiesi. 

"Nessuno, sono sempre Eren", rispose lui, sorridendomi gentilmente. Mi trattenni dall'alzare gli occhi al cielo, parlare con lui era impossibile. 

"Okay, moccioso, che personalità è questa? Sembri un damerino", commentai, studiando il suo pessimo outfit per un lavoro in piscina. 

"Ho sentito che molti ragazzi a cui piace la musica classica sono affascinanti. E di solito sono gentili, educati, studiosi. Forse essere così mi aiuterà nel crearmi delle buone amicizie al college. Per questo sono rimasto lì al sole, mi avevi dato un compito e lo volevo portare a termine per aiutarti", spiegò, parlando in un modo strano, come se fosse dannatamente entusiasta della sua idea. 

"E questi tipi di persone si vestono così con quaranta gradi all'ombra?", chiesi nuovamente, stupendomi del fatto che Eren continuasse ad avere un buon odore. 

"Non lo so, questa è solo una prova. Che ne pensi?", mi domandò speranzoso, fissandomi con i suoi grandi occhi verdi. 

Poggiai due dita sul mio mento, mordicchiandomi il labbro inferiore, pensando a che risposta dargli. Poi schiusi la bocca e parlai, "mi sembri un leccaculo che parla come un idiota", constatai, vedendo la delusione prendere posto sul suo viso. 


 

ANGOLO AUTRICE

Okay, avevo questo capitolo pronto da molto tempo, scritto quando ero in vacanza dai miei nonni senza nulla da fare. Sinceramente non mi hai mai convinta ma avevo immaginato Eren con un sacco di personalità da usare in vari racconti (il problema è che non trovavo nessuna trama carina da sviluppare) dunque ho deciso di usarle tutte in un'unica storia. Ah, poi ho preso spunto dal cartone Martin Martin dove questo bambino si sveglia ogni volta con un ruolo diverso e niente, spero possa piacere questa idea 🌺

E poi, avendo finito le altre mie due storie da qualche settimana (devo solo postare i capitoli), avevo bisogno di scrivere un po' di più prima di iniziare le lezioni

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Capitolo 2
*** Bad blood ***


Mi alzai dal letto di malavoglia, sentendo la mia testa pronta a scoppiare da un momento all'altro. Ero una persona che dormiva poco solitamente, con il caldo era ancora peggio. 

Guardai le coperte stropicciate e sudate, feci una smorfia e le tirai via per poterle cambiare più tardi. 
Decisi di farmi una doccia veloce, mandando via il calore accumulato durante la notte, mi vestii con una canotta larga e dei pantaloncini in tuta prima di raggiungere la cucina. 

"Hey, tesoro", la voce di mia madre mi accolse assieme al suo solito sorriso gentile. Anche lei aveva le mie stesse abitudini e si alzava dal letto sempre poco dopo le sei. Era lei che preparava il caffè e apparecchiava la tavola anche per me. 
Mi limitai a farle un cenno, non mi piaceva parlare di mattina, sopratutto quando dormivo meno del solito. Presi posto al suo fianco e afferrai la tazza di caffè freddo davanti a me, bevendone un lungo sorso. 

"A che ora devi essere lì?", mi chiese, portando una mano fra i miei capelli ancora umidi.
Sollevai lo sguardo sull'orologio, notando che fossero appena le otto. 

"Esco fra poco", mormorai prendendo un biscotto che portai alle labbra, mordicchiandone il bordo. Mia madre smise di toccarmi i capelli e si alzò per mettere in ordine. 
Mangiai un secondo biscotto, mi alzai e andai a infilarmi le scarpe, delle vecchie vans che usavo per andare in piscina, senza il timore che si rovinassero. Afferrai il mio zaino e infilai dentro il pranzo che mia madre aveva preparato, assieme a una bottiglia d'acqua. 

"Cerca di mangiare tutto, Levi", la sentii dire dalla cucina. Alzai gli occhi al cielo davanti alle sue preoccupazioni. Certe volte mi trattava come se avessi dodici anni. 

"A stasera", dissi prima di uscire di casa e prendere la bici. Salii su di essa e mi allontanai dal mio quartiere. Non amavo stare troppo tempo in quel posto, sopratutto a casa mia, un'abitazione grigia, piccola e con un solo piano. Però avevamo un giardino, nonostante l'erba al suo interno fosse sempre di un colore tra l'arancione, il giallo e il verde bruciato. 

Raggiunsi la piscina e stavolta fui il primo ad arrivare, nessuna musica classica ad accogliermi. Erano passati quattro giorni da quando avevo iniziato a lavorare con lui e la sua personalità era rimasta la stessa. Continuava ad ascoltare Beethoven e a presentarsi molto prima dell'orario d'apertura. Ogni suo comportamento sembrava legato alla personalità che aveva scelto. 
Mi chiedevo quando sarebbe cambiata. 

Abbandonai la bici contro il muretto e aprii lo stanzino, afferrando il mio solito fischietto per poi andare a sedermi sulla mia sedia. 
Finalmente potevo godermi un po' di pace, senza Eren che mi parlava di quanto la musica classica fosse bella, elogiando le sinfonie di Beethoven. 

Tenni gli occhi chiusi, ringraziando mentalmente il vento fresco che colpiva la mia pelle nuda. Non so per quanto tempo rimasi così a rilassarmi. Seppi solo che il momento finì quando sentii il click di una macchina fotografica. 

"Cosa cazzo...", borbottai, aprendo gli occhi di scatto, cercando il colpevole. Vidi subito Eren con una macchina fotografica fra le dita. 
I suoi capelli erano spettinati, indossava una maglietta rossa e dei pantaloni kaki, lunghi. Attorno ai fianchi portava una giaccia in jeans, allacciata sul bacino. 

"Eri bello, dovevo fartela", ammise, facendomi schiudere le labbra. Mi stava tipo facendo un complimento? 

Si avvicinò a me, tenendo la macchina fotografica attorno al collo grazie al laccio. 

"Cancellala, stalker", borbottai, allungando una mano verso l'oggetto ma Eren balzò all'indietro, sorridendomi furbescamente. Non avevo mai visto un simile ghigno sul suo viso. 

"La devo mettere nella mia collezione, magari un giorno potrò esporla", disse, prendendo posto al mio fianco, su quella che era diventata la sua sedia. 

"Da quando hai un album fotografico?", chiesi confuso. Quel ragazzo era capace di inventarsi così tante stronzate tanto da stupirti continuamente. Si stava rigirando la macchina fotografica fra le dita e l'aveva accesa per guardare le foto. 

"Da oggi. Beethoven non mi piaceva poi così tanto e stavo diventando noioso. Invece i ragazzi con una certa sensibilità artistica sono interessanti. Sto sviluppando la mia", mi spiegò seriamente. Sembrava piuttosto importante per lui quel suo piano idiota. Non capivo perché cercasse così tanto di piacere agli altri, era così brutta la sua vera personalità? Decisi che non era un problema mio e che almeno mi intratteneva durante quelle lunghe ore. 

"Dovresti andare alla tua postazione per prendere i soldi", gli ricordai, cercando un libro dentro al mio zaino. Lo tenevo sempre lì nel caso mi stessi annoiando più del solito. 

"Potresti andare tu oggi, l'ho fatto io per tre giorni." Non alzò neanche il viso dalla macchina fotografica. Iniziavo a sentire la mancanza della sua precedente personalità. 

"Non credo proprio, moccioso, sono il tuo capo", sentenziai, per niente disposto ad alzarmi dalla mia sedia quasi comoda. Anzi, aprii anche il libro per sottolineare la cosa. Iniziai a leggere ma Eren non si mosse da lì, scattando altre foto totalmente a caso. Chissà che diavolo di senso artistico credeva di star sviluppando. 

"Idiota, muoviti", borbottai, leggendo l'orario dal telefono che avevo in tasca, erano quasi le nove e mezza. 

"Ti ho detto di no, ieri mi stavo per sentire male. Se non vai neanche tu allora niente soldi." 

Chiusi il libro di scatto e presi un respiro profondo per evitare di picchiare quel ragazzo. Avevo chiuso con le risse e la violenza ma Eren mi stava facendo cambiare idea. 

"Cristo, sei insopportabile", mormorai più a me stesso che a lui, alzandomi dalla sedia per andare a prendere la scatola in latta dove mettevamo le banconote. Non potevo permettermi di lavorare male, anche se Shadis non era presente. Avevo bisogno di quei soldi. 
Mi appoggiai al muretto dell'entrata, iniziando a sudare dai primi secondo fuori dall'ombrellone. Ma ero abituato e feci il mio lavoro silenziosamente. 

Dopo la prima ondata di persone tornai sotto l'ombrellone, decidendo che mi sarei alzato solo quando avessi visto qualcun altro entrare. Ignorai bellamente Eren e la sua macchina fotografica, riaprendo il mio libro. 
Ovviamente la pace durò poco perché fu bloccata da un altro click. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, "vuoi un pugno in faccia così puoi farti un selfie originale?", lo minacciai. E lui mi scattò un'altra foto, nascondendo il suo stupido sorrisetto dietro alla macchina fotografica. 

A quel punto afferrai il laccio che permetteva ad Eren di tenere la macchina fotografica attorno al collo e costrinsi il ragazzo ad avvicinare il viso al mio. Sapevo come intimidire le persone e un idiota del genere non sarebbe stata l'eccezione. 

"Jaeger, giura che la finisci se non vuoi vedere questa macchina in mezzo alla piscina", lo minacciai a bassa voce, notando il suo sguardo riluttante e il suo labbro inferiore tremare leggermente. Lo lasciai andare, non volendo attirare l'attenzione dei bambini su di noi. 

Eren smise di farmi foto e prese qualcosa dalla sua borsa, sembrava un album da disegno. Che voleva fare ora? Stare al suo fianco era come farsi un giro sulle montagne russe. 
Sbirciai i suoi movimenti dal mio libro e notai che stesse disegnando. La sua espressione era concentrata, la fronte aggrottata e teneva la lingua fra le labbra. La noia era tale da portarmi a chiedermi cosa stesse disegnando.
La sua mano si muoveva veloce, impugnando elegantemente la matita fra le dita, senza premere troppo sul foglio. Poi sollevò il viso, incrociando il mio sguardo e cogliendomi in flagrante. 

''Devi stare fermo o sbaglierò'', disse e allora capii di essere il soggetto del suo disegno. Alzai gli occhi al cielo e ripresi a leggere, non volendo immischiarmi più nelle sue cose. 
Ogni tanto guardavo i bambini nella piscina dato che Eren era così preso da quel dannato album da disegno. Verso l'una chiusi il romanzo e mi alzai in piedi per stiracchiarmi, lanciando uno sguardo sull'album di Eren. 
Da quella posizione vidi il suo disegno e quasi sussultai. 

Era la cosa più brutta che avessi mai visto, probabilmente alle elementari disegnavo meglio. Eren si accorse del mio sguardo e sollevò il viso. 

''Sai che fa schifo?'', domandai schiettamente, facendolo impallidire. 

''Non capisci l'arte'', si difese, portandosi l'album al petto, stringendolo con le braccia. Alzai gli occhi al cielo e mi allontanai per andare a sistemare le sdraio: avremmo chiuso per pranzo. 
Salutai le persone che se ne stavano andando e continuai a mettere in ordine, tentato di rimproverare Eren che continuava a farsi i fatti propri. 
Ritornai da lui e gli diedi un colpetto contro la nuca, facendolo sussultare più per la sorpresa che per il dolore. 

''Se vuoi i soldi devi lavorare, quindi smettila con quelle cazzate e finisci di mettere in ordine'', dissi severamente per poi prendere il mio pranzo e tornare al mio posto. 

''Fa davvero schifo?'', domandò dopo aver infilato l'album da disegno nella sua borsa. 

''Oh si'', commentai, dando poi un morso al mio panino.

''Allora mi sa che non fa proprio per me'', ridacchiò, allontanandosi per sistemare le ultime cose. Finalmente un po' di silenzio. 
Decisi di prendere la sua macchina fotografica che accesi per guardare le foto che aveva scattato. Solitamente non frugavo nelle cose degli altri ma era stato Eren in persona a darmi lo sfortunato compito di scegliere quale personalità fosse la migliore, quindi ero anche autorizzato a farmi un po' di affari suoi.
Le foto non erano niente di che, riflettevano l'ambiente che ci circondava senza esprimere nulla. Non c'era nessuna scelta nel fotografare un oggetto rispetto a un altro. Sembravano fatte totalmente a caso. 

Guardai le mie foto e feci una smorfia, notando la mia espressione tranquilla mentre mi rilassavo. Mi aveva colto in un momento personale. 

Uscii dalla galleria e sollevai la macchina fotografica per scattare una foto. Mi guardai brevemente attorno e poi decisi di catturare un angolo della piscina. In acqua giaceva un pallone e sul pavimento c'era una sdraio rovinata dal tempo. Premetti il dito sul pulsante e mi accorsi dello sguardo di Eren su di me. 

''Fai vedere!'', esclamò entusiasta, raggiungendomi per poi sfilarmi l'oggetto dalle dita. I suoi occhi brillarono e le sue labbra si curvarono in un ampio sorriso. 

''E' bella, malinconica, sembra parlare della fine dell'estate o della giovinezza'', disse contento, spegnendo poi la macchina fotografica. 

''A me sembrava esprimere la desolazione di questo posto'', borbottai, riprendendo a mangiare. Eren si mise al mio fianco, tirando fuori il suo pranzo, una misera insalata. 

''Non so neanche fare delle foto, vero?'', disse all'improvviso. Ma non poteva mangiare in silenzio?

''Senza offesa ma no. Ti sforzi troppo di essere chi non sei, credo ci voglia passione per fare certe cose. Se non ti interessano cambia obiettivo'', dissi, prendendo il mio telefono per fargli capire che la conversazione finiva lì.
Lessi gli ultimi messaggi e risposi a quelli di Petra che mi chiedeva di uscire, come ogni venerdì. Ci conoscevamo da praticamente tutta la vita e per colpa del suo primo anno al college non riuscivamo a vederci quasi mai. 

''Le cose che mi piacciono non sono così interessanti'', mormorò Eren. Alzai gli occhi al cielo nel sentire le sue lamentele. 

''Non puoi essere semplicemente te stesso? Per me neanche sapere disegnare è così interessante.''

''E cosa lo è?'', chiese, puntando il suo sguardo curioso su di me. Sospirai, cercando una risposta da dargli, solitamente non mi facevo certe domande. 

''Non lo so, Jaeger, un insieme di comportamenti, suppongo. Non mi faccio certe domande, semplicemente provo a conoscere qualcuno e vedo come va'', spiegai, ''poi non sono neanche la persona più adatta a cui chiedere, conoscerò bene, si e no, cinque persone'', borbottai, scrollando le spalle. 
Eren raccolse l'informazione e rimase in silenzio. Forse si stava rendendo conto di come fossi poco disposto a socializzare. Stavo bene così, senza avere mille amici con cui uscire. 

Fino all'orario di chiusura mi raccontò qualcosa sull'arte, facendo dei discorsi più noiosi della musica di Beethoven per cui iniziavo a sentire una certa mancanza. 
Quando sentii il rumore familiare di un auto quasi esultai. Finii di rimettere le sdraio al loro posto e mi avvicinai al cancello, osservando la ragazza che stava scendendo dalla macchina di bel rosso acceso. 

''Levi, ciao!'', disse contenta, curvando le sue labbra in un sorriso. Petra era sempre stata carina con il suo particolare colore di capelli, le ciglia lunghe e il fisico minuto. Inoltre era anche simpatica e sempre gentile, dunque attirava molte attenzioni. 
Quella sera indossava un vestito rosa piuttosto corto e delle all stars bianche. I capelli erano sciolti e su di essi erano poggiati degli occhiali da sole. 

Dietro di lei notai Erwin, seduto al posto di guida nell'auto sportiva. Non sapevo se stessero insieme o qualcosa di simile, lei aveva sempre negato con un certo imbarazzo nonostante uscissero spesso assieme e lui l'accompagnava da me ogni venerdì. Si erano conosciuti al college e me lo aveva presentato. 

Lo salutai con un cenno e l'auto ripartì, lasciando Petra sul marciapiede. 

''Chiudo lo sgabuzzino e poi possiamo andare. Diner, vero?'', le chiesi. 

''Esatto. Erwin mi ha anche dato qualcosa da bere'', rispose con un sorrisetto, indicando con lo sguardo lo zaino che portava su una spalla. 
Lo ringraziai mentalmente, ne avevo proprio bisogno. Mi voltai e incrociai lo sguardo curioso di Eren.

''E' la tua ragazza?'', domandò a bassa voce mentre chiudevo a chiave lo stanzino. Alzai gli occhi al cielo e scossi la testa, infilando la chiave nel mio zaino subito dopo, seguito continuamente dal ragazzo. 

''Ci vediamo domani, idiota'', dissi a voce alta, uscendo dalla piscina con la mia bici sgangherata. Petra ridacchiò e camminò al mio fianco prima di salire dietro, tenendosi la gonna con una mano. 

''Mi ricordo di lui, era quello che urlava cose strane'', disse al mio orecchio mentre pedalavo verso il diner. 

Abbandonai la bici vicino all'edificio ed entrai con la mia amica, sentendo la mia fame aumentare. Petra mi raccontò dello studio e mi fece tantissime domande su Eren.

''Sembra interessante'', commentò dopo il mio racconto, giocando con una delle ultime patatine sul suo piatto. Scrollai le spalle, poco convinto. Era strambo, tutto qua.

''E' strano, almeno fa passare il tempo'', borbottai. 

Dopo mangiato ci avviammo nel solito parco abbandonato dove potevamo bere dell'alcol senza essere beccati, e Petra tirò fuori la bottiglia che Erwin le aveva comprato.
Mi guardai attorno prima di bere il primo sorso di quello che sembrava Jack Daniel's poiché nascosto in una busta. Il sapore forte mi bruciò la gola immediatamente e feci una piccola smorfia. Non amavo bere, non mi faceva effetto a meno che non svuotassi più di cinque bicchieri. Ma in certe sere non mi dispiaceva, sopratutto dopo aver sopportato Eren per ore. 

"We were young and drinking in the park, there was nowhere else to go", canticchiò Petra, avvicinandosi a me dopo che bevvi il primo sorso, "and you said you always had my back but how were we to know", continuò, mettendo un braccio attorno alle mie spalle. 

Mi sorrise dolcemente per poi ridere davanti alla mia smorfia. Lo sapeva che non amassi particolarmente gli abbracci e quindi si divertiva a cercare qualsiasi contatto con me. Una sua mano mi scompigliò i capelli. 

"Dai, canta con me", disse, poggiando la testa sulla mia spalla, canticchiando il resto della canzone. 

"Te lo puoi scordare", risposi, dando un colpetto alla sua spalla con la mia. 

"Il solito guastafeste", brontolò, prendendo la bottiglia per bere a sua volta. Se io lo reggevo bene Petra era il mio contrario, le bastava un bicchiere per andare completamente su di giri. 
Non ci volle molto per vederla più allegra ed esaltata. Si alzò addirittura in piedi, cercando di prendere le mie mani per farmi ballare con lei. 

"All this bad blood here, won't you let it dry?", continuò a cantare, intrecciando le sue dita alle mie, "dai, Levi, concedimi questo ballo", rise. 

Alla fine mi alzai, lasciandomi trascinare nella sua danza pazza, facendole fare anche una giravolta. 
Stavo quasi per cantare con lei quando sentimmo delle voci vicine a noi. Mi voltai e vidi un uomo in uniforme, doveva far parte di qualche pattuglia che passava dopo una certa ora. 

"Hey ragazzi, che state facendo?", chiese a voce alta, facendo sussultare Petra. Mi sporsi verso di lei, stringendole una mano e sussurrai al suo orecchio, "corriamo."

Raggiungemmo la mia bici e salimmo su di essa per andare verso casa mia.








ANGOLO AUTRICE

Hey! Come va?
Ho deciso di scegliere per ogni capitolo una canzone tra le mie preferite in assoluto (che poi, alla fine, ascolto sempre le stesse band). E volevo anche specificare una cosa, cioè che ciò che i personaggi dicono o pensano non sono sempre cose che io direi-penserei-farei. Lo specifico soprautto per i prossimi capitoli in cui faranno vari discorsi etc etc.  Insomma fa tutto parte della loro caratterizzazione.

Ps: a me piace da morire la musica classica e l'ascolto soprautto quando leggo o per rilassarmi prima di dormire ahaha.

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Capitolo 3
*** Maybe I was a little too wild in the '70 ***


Un fastidioso raggio di sole mi svegliò quella mattina. Sollevai le palpebre ed ebbi il terribile presentimento che non fossi da solo sul letto. 
Sentivo dei capelli solleticarmi il collo e quando girai il viso mi ritrovai davanti quello di Petra. Stava ancora dormendo e sembrava rilassata con un braccio attorno al mio busto. 

Cercai di scostarmi piano dalla sua stretta e riuscii anche a sollevare il lenzuolo: Petra non stava indossando nulla, proprio come me. 
Come avevo potuto permettere che succedesse questo? Sospirai profondamente, passandomi una mano fra i capelli come facevo ogni volta in cui il nervoso aveva la meglio. Una valanga di ricordi si riversarono nella mia mente. 

"Buongiorno", mormorò Petra all'improvviso, facendomi capire che fosse sveglia. Abbassai lo sguardo e incrociai il suo, notando immediatamente il suo sorriso timido e imbarazzato. Sicuramente stava ricordando i momenti della notte prima, il modo in cui ci eravamo stupidamente lasciati andare. 

"Hey", borbottai, tirandomi su a sedere. Faceva caldo anche senza indossare nulla e sentivo il forte bisogno di farmi una doccia e magari fumare una sigaretta. 
Il sorriso di Petra svanì piano e la sua espressione si incupì. Si tenne il lenzuolo attorno al corpo con un braccio e con la mano libera si sistemò una ciocca di capelli. 

"Levi, scusami io... non pensavo potesse accadere", borbottò, non sapendo cosa dire. Neanche io sapevo cosa rispondere e la situazione si stava intricando con il passare dei secondi. 

"Forse è meglio che vada", disse lei dopo il mio silenzio. Si sporse per afferrare il suo intimo e infilarlo velocemente. 

"Hey, aspetta", dissi dopo istanti di silenzio, toccandole un braccio con delicatezza per farla girare verso di me. Vidi i suoi occhi lucidi e mi sentii subito in colpa davanti al suo sguardo. Non volevo ferirla, dopotutto era mia amica da così tanti anni. 

"Dimmi", mormorò con la voce che si incrinava, segno che fosse sull'orlo del pianto. 

"Non cambieranno le cose fra di noi, vero?", le dissi, sperando che non si allontanasse da me. Lei sorrise dolcemente e tristemente allo stesso tempo, annuendo poco dopo. 

"Certo Levi, sarà tutto come sempre. Però ora devo davvero andare", disse piano, baciandomi una guancia prima di finire di vestirsi, uscendo poi dalla mia camera. 

Sprofondai nel mio letto per qualche minuto finché non mi decisi a farmi una dannata doccia per mandare via il caldo e i ricordi della notte prima. 

Rimasi per vario tempo sotto l'acqua fredda e dopo essere uscito mi vestii velocemente, indossando le prime cose che mi capitarono a tiro. Non potevo permettermi quasi nulla, dunque il mio stile, se così poteva essere definito, era molto basilare. 

Uscii dalla camera e la prima cosa che notai fu l'espressione contrariata di mia madre. Doveva aver visto Petra che usciva di casa. 

"Hai dormito con qualcuno?", domandò immediatamente. Probabilmente aveva semplicemente sentito la porta aprirsi. 

"No, sono uscito a fumare", borbottai, prendendo posto a tavola per fare colazione nel minor tempo possibile. Non volevo sottopormi a nessun interrogatorio. 
Mentre bevevo il mio caffè americano e rigorosamente freddo, almeno in estate, sentii lo sguardo inquisitorio di mia madre su di me. 

"Beh, hai quasi vent'anni, non posso farci nulla in ogni caso", sospirò, lasciandosi cadere sul minuscolo divano del nostro salone. Più che salone era un ambiente unito alla cucina, non c'era nessun muro tra le due parti. 
Mangiai velocemente ed uscii di casa con il mio solito zaino dove cercai il pacchetto di sigarette. Ne infilai una fra le labbra e salii sulla mia bici per poter andare verso la piscina. Non sapevo nemmeno che ore fossero ma pedalare fu terapeutico. 

Aprii il cancello e abbandonai la bici contro il muretto, continuando a fumare la mia sigaretta. Non c'era traccia di Eren, fortunatamente poiché non mi andava di sentire le sue stupidaggini sul suo piano infantile. 
Presi posto sulla mia sedia e spensi la sigaretta nel posacenere sul tavolino al mio fianco, sentendomi leggermente meglio. Cercai di autoconvincermi che le cose sarebbero andate per il meglio e non ci sarebbe stato nessun cambiamento fra me e Petra. 

Il mio flusso di pensieri fu interrotto dal rumore di qualcosa che si apriva. 
Portai lo sguardo sul cancello e vidi Eren. Aggrottai la fronte, mettendo a fuoco la sua figura per capire come fosse conciato. Era una bandana la cosa che aveva sulla testa? 
Indossava una maglietta colorata, come se qualcuno ci avesse lanciato della tempera totalmente a caso. Sotto portava dei jeans terribili, dovevano essere di suo padre o qualche altro parente perche sembravano seriamente datati. 

"Sei appena rientrato da Woodstock?", domandai ironicamente non appena si stagliò davanti a me. Mi rivolse un sorrisetto e si sistemò la fascia fra le ciocche color cioccolato. 

"Il vintage va sempre di moda", concluse lui, sistemandosi al mio fianco. Non dissi nulla per non dargli la possibilità di poter continuare le sue chiacchiere. Controllai l'orario dal mio telefono e decisi di sistemare io le sdraio, avendo bisogno di stare solo. Era sabato, ci sarebbero state più persone quindi ne presi qualcuna in più dallo stanzino. 
Mi posizionai all'entrata per raccogliere i soldi per le entrate, ignorando completamente Eren. 

Quando ritornai sotto all'ombrellone lo vidi immerso nel suo mondo e con le cuffie all'orecchie. Mi trattenni dal strappargliele via. Sembrava che fossi nuovamente da solo dato che faceva di tutto pur di non lavorare. 
Doveva aver notato le mie occhiate scocciate poiché si tolse gli auricolari e puntò i suoi occhi verdi su di me. 

"Giornata no?", chiese innocentemente. Gli avrei dato un pugno in faccia. 

"Mi spieghi perché hai chiesto questo lavoro se non fai nulla per aiutare?", domandai irritato. 

"Era per stare con te, te l'ho detto", scrollò le spalle, come se fossi io l'idiota per aver fatto una domanda del genere. 

"Non perché hai bisogno di soldi?", continuai, non sapendo neanche perché stessi approfondendo la questione. Probabilmente quando il nervoso prendeva sopravvento non riuscivo a non rispondere. 

"Non proprio, sono già iscritto al college...", borbottò imbarazzato, probabilmente si era accorto che stava toccando un punto dolente per me. 

"Wow", commentai senza nessun tono in particolare, facendogli capire che la conversazione finiva lì. Distolsi lo sguardo dal suo e prestato attenzione ai bambini. 

"Ehm, Levi, tutt-"

"Stai zitto, Jaeger", bloccai la sua frase. Calò il silenzio fra di noi e fu lui a sistemare ogni tanto la piscina, probabilmente sentendosi in colpa per il discorso di prima. La cosa mi rese ancora più nervoso, era una giornata pessima e non era neanche a metà. 

Durante la pausa pranzo cercò di avvicinarsi a me nuovamente e mi toccò una spalla con la mano. Mi voltai esasperato. 

"Che vuoi?", sbottai e lui prese qualcosa dalla tasca. Una bustina. Aggrottai la fronte e capii che fosse dell'erba. 

"Sei pazzo? Rimettila a posto."

Eren fece come gli avevo detto e poi fece scorrere le sue dita affusolate lungo il mio collo, iniziando a giocare con una ciocca dei miei capelli. 

"Uhm, la possiamo dividere, ti va?", propose, sollevando un sopracciglio. Allontanai la sua mano fastidiosa dai miei capelli ma acconsentii. Poteva farmi arrabbiare quanto voleva ma se mi offriva dell'erba riuscivo quasi a perdonarlo. 
Mi alzai dalla sdraio e camminai verso lo sgabuzzino, chiudendo la porta non appena entrò anche lui. 
Era un posto stretto e con un terribile odore di muffa ma c'era un divanetto sfondato contro una parete. Negli anni avevo cercato di sistemarlo, mettendo almeno un telo pulito su di esso. 

Mi sedetti, ignorando il caldo che regnava là dentro. Eren si mise davanti a me, sfilandosi le scarpe. Le sue gambe erano piuttosto lunghe e in più punti toccavano le mie. 
Tirò fuori la bustina ma rimase fermo, fissandomi come se volesse chiedermi qualcosa. 

"Ma hai mai fumato?", domandai perplesso. Lui scosse la testa con le guance che si coloravano di un tenue rosso. Sbuffai e presi la bustina dalle sue dita, voleva fare il fenomeno fallendo miseramente. 
Mi porse le cartine e i filtri. Non era del tutto sprovveduto. 

"Chi l'avrebbe girata se non ci fossi stato io?", chiesi, iniziando a fare il mio lavoro. Senza un grinder era abbastanza faticoso preparare l'erba. Lui non rispose e allora gli diedi una sigaretta, dicendogli cosa dovesse fare con essa. 
Sistemai il mix delle due sostanze in una cartina e abbassai il viso per leccarne un'estremità per poterla chiudere. 

"Non avevo notato che avessi un piercing alla lingua", commentò Eren. Sollevai lo sguardo e incrociai il suo che ammirava il mio operato. Bastava poco per stupirlo. 
Alzai gli occhi al cielo e presi la canna fra le dita prima di sistemarla fra le mie labbra. 

Feci io il primo tiro e poi ce la passammo. Eren non sapeva neanche come si aspirava e la cosa mi divertì notevolmente. Si ostinava ad essere chi non era e a fare qualcosa che forse neanche gli interessava. Non lo capivo. 
Il mio atteggiamento era del tutto diverso, odiavo fare qualcosa perché costretto. E solitamente cercavo sempre di evitarlo. 

Dopo aver finito di fumare mi sentii meglio, più rilassato e anche più disposto ad ascoltare i soliti discorsi strani di Eren. 
Ci eravamo sdraiati sul divano, io da una parte e lui dall'altra, con le nostre gambe che si intrecciavano. 

"La nostra società non ha senso. Perché dobbiamo passare la vita a lavorare, studiare, a fare qualcosa di faticoso? Potremmo semplicemente condividere le risorse della terra senza cercare di accumulare denaro", biascicò Eren, sollevando lo sguardo verso il soffitto rovinato dall'umidità. Parlava lentamente, come se avessimo tutto il tempo del mondo per discutere di utopie. 

"Ci sarà sempre qualcuno che vorrà di più e vorrà proteggere le sue cazzo di cose. In ogni caso è la vita a fare schifo e i ricchi hanno troppo", gli risposi, chiudendo gli occhi per la sonnolenza improvvisa. 

"Mh, si dovrebbe fare una distribuzione equa." 

"Non sarebbe giusto, per la meritocrazia e quelle stronzate là. Se salvo le persone dovrei meritare di più, no? È un cazzo di stress salvare le vite", ribattei, sentendo Eren ridere al mio fianco, "in ogni caso a me basta riuscire a vivere decentemente."

"Salvare le vite è sopravvalutato. Dovrebbe avere di più chi salva il pianeta", ridacchiò ancora. 
Sollevai la testa per guardarlo e lanciargli un'occhiata contrariata. 

"Salvare le vite è importante, idiota", dissi seriamente. 
Lui mi guardò con un sorrisetto, "vuoi fare il medico, Levi?"

"Non credo. Voglio una vita tranquilla senza stare al centro dell'attenzione. I medici stanno al centro dell'attenzione, sono come fottute superstar", commentai, riportando la testa contro il bracciolo del divano. 

"Dovresti fare filosofia allora, sembri uno che si fa un po' troppe domande sul mondo e le persone", commentò, diventando serio improvvisamente. 
Questo Eren era meglio degli altri, riuscivo quasi a trovare del piacere nelle nostre chiacchierate. O forse era l'effetto dell'erba che lo rendeva accettabile. 

Ci alzammo dal divano quando fu l'ora di aprire nuovamente la piscina. L'effetto dell'erba stava scemando, lasciandomi assonnato e con una fame che il mio misero panino non aveva colmato a dovere. 
Eren non era messo meglio, si era seduto e aveva socchiuso gli occhi, dimenticando completamente i compiti che gli avevo dato. Bastardo nullafacente. 

Mi avvicinai e colpii la sua fronte, facendolo sussultare improvvisamente. 

"Vai a mettere in ordine e prendere i soldi", borbottai, lasciandomi cadere sulla mia sdraio. Tra noi due ero io quello che c'era da più tempo, i miei ordini erano legittimi. 

"Sono nel mezzo di un trip", esalò lui, ignorando completamente ciò che gli avevo detto. 

"Smettila di dire stronzate e alza il culo."

Qualsiasi fosse la sua personalità era molto bravo a trovare scuse. Doveva essere un aspetto che faceva parte del vero Eren. 
Alla fine si alzò e si posizionò all'entrata, raccogliendo le banconote delle mamme che portavano i loro bambini nell'unico posto dove ci si poteva rinfrescare. 
Da lontano persi un po' di tempo ad osservare il suo stupido abbigliamento. Certo, sapevo anche io che avere qualcosa di vintage non era male ma lo stile degli anni settanta non era uno dei miei preferiti. In più sembrava uno stereotipo vivente. 

Controllai l'orario e notai un messaggio di Shadis: era il giorno del primo stipendio. 
Glielo dissi quando tornò da me, già pronto ad aprire la bocca per dire chissà cosa. 
Durante le ultime ore di lavoro dovetti subirmi i suoi discorsi sulla libertà e la legalizzazione della marijuana. Sembrava che avesse imparato a memoria qualche articolo di Wikipedia mentre ne parlava. 

"Andiamo da Shadis", gli dissi dopo aver piegato l'ultima sdraio. Mi passai una mano fra i capelli e li portai all'indietro, mal sopportando i raggi del sole ancora troppo forti per i miei gusti. 
Il nostro capo non viveva lontano, qualche centinaia di metri dalla piscina ma odiava questo posto. Non ci metteva mai piede nonostante l'avesse ereditata dalla famiglia. Diceva che la teneva aperta solo per i bambini sfortunati che nascevano nella nostra cittadina piena di cemento e maledettamente calda. 

Camminai con Eren lungo il marciapiede e raggiungemmo la villetta di Kith. Lo vidi seduto nella sua sedia bianca e pieghevole a leggere il giornale del paese. 
Sollevò lo sguardo nel sentire i nostri passi e ci fece cenno di entrare in giardino. Lasciava sempre il cancello aperto poiché nessuno avrebbe mai osato rubargli qualcosa. Per la cittadina era come un eroe, l'uomo che rendeva fresche le estati dei bambini. 

"Come va, ragazzi?", domandò, porgendoci due buste bianche con le nostre banconote. 

"Fa sempre caldo e l'acqua è sempre piena di cloro", dichiarai, scrollando le spalle. 

"Certe cose non cambieranno mai", rispose lui poi posò il suo sguardo su Eren. 

"Ragazzo, sembri me da giovane", rise, studiando l'aspetto del mio collega. 
Poi iniziò a raccontare dei festival a cui aveva partecipato, alle giornate in cui era così fatto da non riuscire ad alzarsi. E io che pensavo che fosse un uomo tutto d'un pezzo. 

Quando andammo via Eren si bloccò nel mezzo del marciapiede, afferrando un mio braccio. Mi fermai e sollevai un sopracciglio, in attesa. 

"Che ne pensi?", chiese. 

"Dovresti essere te stesso", gli dissi per l'ennesima volta. Questi suoi atteggiamenti sembravano fin troppo forzati. 

"Proverò qualcos'altro", disse con un sorriso. 

"Ah, fai come ti pare, dannato testardo", borbottai, afferrando la mia bici per poter andare via. Ma lui mi fermò un'altra volta e mi porse la sua busta. 

"Serve più a te che a me", disse semplicemente, senza forzature. Stava parlando normalmente, senza qualche frase forzata che secondo lui era legata alla personalità del giorno. Ogni suo comportamento era dettato dal suo stupido piano. 

"Sono tuoi. Lavori di merda ma ci sei ogni giorno", dissi, allontanando la sua busta da me, scuotendo la testa. Odiavo fare pena. 

"Sono per il college, vero? Prendili e non rompere", continuò senza accennare al nascondere la busta. 

"Rifatti il look, comprati una personalità, facci quel che vuoi. Sono tuoi", risposi e poi salii sulla bici, allontanandomi da quel ragazzo in grado di sorprendermi ogni volta e non sempre negativamente.

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Capitolo 4
*** But I'm a creep ***


La domenica la piscina era chiusa e quindi non avevo avuto l'occasione di vedere Eren. Non che mi dispiacesse ma in qualche modo quel ragazzo faceva passare il tempo più velocemente con le sue strambe idee. 

Passai il mio fine settimana a casa, aiutando mia madre a rimettere in ordine. Avevamo deciso di fare qualcosa per il nostro orribile giardino e per il momento lo avevo inaffiato, dopo aver estirpato le erbacce. 
Faceva un caldo tremendo mentre svolgevo il mio compito ma almeno avevo qualcosa con cui passare il tempo. L'idea che sarei rimasto a casa per tutto l'anno mi provocava angoscia, dovevo trovarmi dei lavori per l'inverno se volevo andare al college. 

"Dovremmo mettere delle piante", disse mia madre, uscendo in giardino con un bicchiere d'acqua fresca per me. Mi sollevai e mi passai un braccio contro la fronte, scostando le ciocche sudate da essa. 

"Costano troppo", dissi, avvicinandomi per bere l'acqua in un unico sorso. Le ridiedi il bicchiere e mi voltai verso il giardino. In effetti aveva bisogno di qualche fiore per risultare almeno decente. 

"Okay, vado a prenderne qualcuna", dissi subito dopo aver visualizzato nella mia mente ciò che avevo intenzione di fare. Mia madre mi guardò confusa ma non le diedi tempo di chiedere, corsi dentro casa per lavarmi le mani e poi presi la mia bici, infilando nel cestello una scatola in cartone. 
Uscii dal nostro giardino e pedalai verso una zona migliore della nostra, dove le case erano un po' meno deprimenti. 

Nella parte migliore della cittadina viveva Nanaba, una signora che amava particolarmente il suo giardino e che non era quasi mai in casa. Lo sapevo perché con Petra ci divertivamo a rubarle qualche fiore per i suoi giochi stupidi. Mi costringeva sempre ad entrare nel giardino perché lei aveva paura di essere scoperta. 

Trovai la casa e poggiai la bici contro il muretto prima di arrampicarmi su di esso. Entrare era piuttosto facile ma prima guardai verso l'abitazione: l'auto non c'era. Probabilmente si era spostata con suo marito per fare qualche gita, essendo domenica. 
Oltrepassai le sbarre in ferro battuto ed entrai con un tonfo nel suo cortile. Mi guardai attorno e individuai ciò che volevo. Presi qualche piantina assieme al vaso e le infilai nel mio cestello. Feci più viaggi per riempire sia esso che la scatola in cartone, sistemandola nella parte posteriore della bici. 

Soddisfatto del mio lavoro salii sulla bici fin quando non sentii la voce di qualcuno di familiare chiamarmi. 

Mi voltai e vidi Eren fissarmi dagli scalini di quella che doveva essere casa sua, proprio davanti a quella di Nanaba. 
Indossava un pigiama o almeno lo sembrava. I suoi capelli erano spettinati e non era un qualche stereotipo di qualcosa. 
Forse si rese conto della cosa perché sgranò gli occhi e tornò immediatamente dentro casa. 

Cristo se era matto quel ragazzo. 

Ritornai a casa e mia madre fu piuttosto contrariata di vedere il mio malloppo ma alla fine sistemò le piante nel nostro giardino. Ero come il Robin Hood degli sfigati. 

Il giorno dopo faceva un po' meno caldo e sostituii le mie solite canottiere con una maglietta a maniche corte dal colore indefinito per quante volte era stata lavata. 
Mentre pedalavo per andare verso la piscina ripensai al giorno prima quando avevo visto Eren in pigiama. Probabilmente a casa era semplicemente se stesso, senza nessuno stile in particolare. Mi chiedevo cosa pensassero i genitori, forse avevano rinunciato da un pezzo a farlo ragionare. 

Raggiunsi la piscina e trovai il ragazzo seduto al suo solito posto di fianco al mio. La prima cosa che notai fu la chitarra fra le braccia e il modo in cui faceva scorrere le dita sulle corde tese. Oltrepassai il cancello e lo raggiunsi, poggiando le mani su i miei fianchi prima di regalargli un'occhiata scocciata. 

La potenza del mio sguardo lo costrinse ad alzare il viso verso di me, interrompendo i suoi movimenti sullo strumento. 

"Hey, Levi, vuoi sentire una canzone?", chiese, sorridendo spontaneamente, imbracciando meglio la chitarra. 

"Assolutamente no. Arrivi prima e non sistemi neanche le sdraio", commentai, lasciando scivolare il mio sguardo sul suo abbigliamento. Maglia bianca, jean slavati, giacca in pelle legata suoi fianchi e capelli spettinati. Non era male ma subito allontanai il pensiero dalla mia testa. 

"Era arrivata l'ispirazione. Voglio proprio farti sentire la canzone", riprese, ignorando ciò che volevo che facesse. 
Scossi la testa e gli diedi le spalle per fare ciò che sarebbe dovuto toccare a lui. 

Sistemai le sdraio e raccolsi i primi soldi della giornata. Furono pochi, dopotutto era lunedì e molti bambini si svegliavano più tardi per poi andare in piscina dopo pranzo. 

Presi posto sulla mia sedia, osservando i pochi ospiti che si divertivano in acqua, ridendo e schizzandosi. 

"Ora puoi ascoltare?", mi chiese Eren, toccandomi una spalla con una sua mano che allontanai prontamente. Quanto era insistente. 

"Dio, va bene! Sentiamo questa canzone", esclamai, voltandomi verso di lui. 

Iniziò a far scorrere le dita sullo strumento, producendo dei suoni non proprio simpatici. Feci una smorfia quando iniziò a cantare. 
La sua voce non era male ma ogni accordo era sbagliato e l'insieme stonava. 

Eren notò la mia espressione contrariata perché mi guardò come un cucciolo che è stato appena rimproverato dal padrone. Un po' mi dispiacque perché cercava di metterci tutto se stesso in questo suo piano ma certe cose avevano bisogno di passione e lui le faceva solo per farsi piacere al college. 

"È stato terribile", sentenziai brutalmente, facendo incupire ancora di più il suo viso. Lasciò la chitarra da un lato e quasi rabbrividii per il modo in cui l'aveva poggiata. 

"Non puoi scrivere una canzone così dal nulla, devi prima imparare a suonare", dissi per cercare di tirargli un po' su il morale. Stavo diventando troppo gentile con lui.

"Sembri saperne qualcosa", commentò lui, sollevando un sopracciglio, mostrandomi un sorriso saccente. Era arrivato il momento in cui voleva sapere qualcosa in più su di me. 

Non avevamo nulla da fare se non aspettare la pausa pranzo quindi decisi di rispondere alle sue domande indirette. 

"So suonare qualcosa ma ormai ho perso la mano", borbottai, lanciando qualche sguardo a un bambino che barcollava sulle mattonelle del bordo piscina. 

Eren non sembrò totalmente soddisfatto ma decise di non indagare oltre, forse iniziava a capire che le insistenze con me peggioravano la situazione. 

"Potresti insegnarmi qualche accordo?", propose, mentre le mamme portavano via i bambini data la pausa pranzo. 

Il sole batteva più che mai a quell'ora e anche se c'era più fresco del giorno prima, ancora non mi bastava. Mi mancava l'inverno. Non che durasse un granché nel posto dove abitavamo. 
Ben presto rimanemmo solo io ed Eren, in compagnia della piscina. 
Mi alzai per mettere in ordine e poi presi il mio panino, scartandolo per dargli il primo morso. Non ero una persona che mangiava parecchio ma se questo serviva a far passare prima il tempo, allora le cose cambiavano. 

Eren mangiò il suo pranzo prima di chiedermi nuovamente di suonargli qualcosa. In effetti lo strumento mi stava tentando ma era davvero tanto tempo che non lo usavo. 
Presi la chitarra fra le braccia e gli domandai se avesse qualcosa per accordarla. Mi porse un diapason e rimasi sorpreso dal fatto che ne avesse uno. Non potevo dire che non si impegnava nella sua folle idea. 

Usai l'oggetto per accordare la chitarra, impiegandoci un po' di tempo poiché non ero più abituato. Poi mossi le dita sulle corde, strimpellando qualcosa. 

"Penseresti che sia figo qualcuno che suona la chitarra?", domandò Eren, lo sguardo puntato sulle mie dita. Mi trattenni dall'alzare gli occhi al cielo, pensavo di aver chiarito questo dubbio. 

"Ti ho già detto che non c'è qualcosa di preciso che trovo interessante", protestai, smettendo di suonare. 

"Sei difficile, Levi", borbottò Eren, sbuffando leggermente, "sei impossibile da conquistare."

"Che diavolo dici?", sollevai un sopracciglio, confuso.

"Beh se qualcuno volesse conquistarti avrebbe vita difficile. Non trovi figo nulla", si spiegò Eren. Per un attimo avevo pensato che fosse lui a volerlo fare ma l'idea sparì immediatamente dalla mia testa. Ero solo la sua cavia. 

"Non credo succederà mai. Comunque, se proprio ci tieni, penso sia considerato figo qualcuno che suona la chitarra. Normalmente", gli concessi e poi ripresi a suonare, posizionando le dita sulle corde per fare qualche accordo. 
Cercai di ricordare le parole di una delle mie canzone preferite e ricostruii il ritmo nella mia testa prima di metterlo in pratica. Non so cosa mi successe, forse era la stanchezza o un colpo di sole, e iniziai a canticchiare la canzone. 

"When you were here before, couldn't look you in the eye. You're just like an angel, your skin makes me cry", mormorai, socchiudendo gli occhi. Era bello poter suonare nuovamente qualcosa dopo che avevo smesso da tempo. Dopo aver rotto la mia chitarra, unica cosa lasciata da mio padre. 

"You float like a feather in a beautiful world, and I wish I was special, you're so fuckin' special", continuai, sollevando leggermente la voce, lasciandomi trasportare dalle note, ricordando quando la cantavo con Petra. Il ricordo mi strinse il cuore, avevo paura che le cose fossero cambiare tra me e lei. 

"But I'm a creep, I'm a weirdo. What the hell am I doing here? I don't belong here", continuai, sentendo un sospiro da parte di Eren. Mi ricordai della sua presenza e mi bloccai immediatamente, maledicendomi per avere abbassato così tanto la guardia. 
Sollevai lo sguardo su di lui e notai l'ammirazione nelle sue iridi di quel colore così particolare. Mi mordicchiai nervosamente il labbro inferiore davanti al suo sguardo intenso, mi sentivo in imbarazzo, non ero abituato a condividere così apertamente qualcosa di mio. 

"Sei bravo", mormorò Eren come se non volesse rovinare l'atmosfera che si era creata. 

"Non ho chissà che talento", borbottai, poggiando con delicatezza la chitarra sopra la sua custodia. 

"Invece sai fare tantissime cose e non te ne rendi conti. Sei fortunato", sospirò Eren, lanciando uno sguardo allo strumento. 
Mi passai nervosamente la lingua fra le labbra, come devo interpretare quella frase? Non potevo neanche consolarlo in qualche modo dato che non avevo idea delle sue vere passioni, delle sue abilità e dei suoi reali modi di fare. 

"Insegnami qualcosa", riprese Eren, tornando vitale e allegro. A quanto pare era qualcosa che faceva parte del suo carattere. 

Acconsentii e cercai di insegnargli degli accordi. Le sue dita erano lunghe e riuscì facilmente a raggiungere le corde giuste. Non era male e alla fine della pausa sapeva strimpellare qualcosa. 

"Spero di fare del sesso al college, magari la tecnica del musicista affascinante funzionerà", si lasciò sfuggire, sorprendendomi. A volte se ne usciva con frasi assurde. 

"Non hai mai fatto sesso?", domandai. 

"Ehm, no. È così strano...?", chiese timidamente, arrossendo all'improvviso. Non lo avevo mai visto reagire così. Tutta la sicurezza che aveva cercato di far vedere era svanita. Eppure non mi dispiaceva. 

"No, no. Non so perché l'ho chiesto", borbottai, passandomi una mano fra i capelli. Non c'era davvero nessun problema ma non me lo aspettavo comunque. Eren non era male, anzi era piuttosto bello, oggettivamente bello, e avevo dato per scontato che avesse avuto delle relazioni. 

"Ti piacciono le ragazze?", chiese subito dopo aver annuito. Sobbalzai davanti a quella domanda, chiedendomi quando avessimo deciso di iniziare un discorso intimo e personale. 

"Preferisco i ragazzi", dissi sinceramente, non c'era bisogno di mentire. Eren sorrise sornione e feci scivolare le lunghe dita sulle corde della chitarra. 

"La tua amica sarà dispiaciuta. Sembrava piuttosto interessata a te."

Pensai a Petra e a cosa era successo. Non potevo dargli tutti i torti. 

"Se fossi il suo ragazzo si stancherebbe subito di me."

"Non sei male, secondo me", rispose lui, provando nuovamente ciò che gli avevo insegnato. 

Quel giorno mi stava confondendo più del solito. Non capivo se fossi la sua cavia anche per le sue possibili relazioni future. 
Scossi la testa e finalmente la pausa finì quando notai i primi bambini oltrepassare il cancello. 

Per tutto il pomeriggio ascoltai Eren suonare dopo aver imparato bene gli accordi di prima. In questo campo stava imparando in fretta e le melodie semplici che stava cercando di fare non erano fastidiose. Almeno stava zitto. 

Quando gli ultimi bambini andarono via mi aiutò a sistemare le sdraio senza che io glielo chiedessi. Apprezzai il gesto. 
Alla fine iniziavo a cambiare idea su di lui, non era così male come collega nonostante fosse dannatamente pigro. E poi mi incuriosiva ogni giorno di più. Sotto gli atteggiamenti che metteva su potevo intravedere degli aspetti reali della sua persona. 

Uscimmo dalla piscina e iniziai a salire sulla mia bici quando una mano mi fermò, stringendo la presa sul mio braccio. 

"Forse dovrei assomigliare di più a te", disse Eren. Scossi la testa, per niente d'accordo con il suo pensiero. 

"Non vedi quanto sei interessante, misterioso. Attiri le persone e vorrei essere come te, sinceramente", continuò. 

"Ti sbagli alla grande, sono la noia fatta persona", replicai, riuscendo a salire sulla mia bici. 

"Sei testardo", rise Eren, "beh, domani mi farò un piercing, ho deciso. Il tuo stile mi piace."

Mi lasciò così, senza darmi la possibilità di replicare. 

Anche perché, non sapevo proprio cosa rispondere.

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Capitolo 5
*** I pierced my lip so he thinks I'm cool ***


Osservai il cielo mentre lavavo la mia tazza, strofinandola accuratamente con le dita piene di detersivo. Grossi nuvoloni erano apparsi, moderando il caldo che la luce del sole era in grado di creare. In compenso l'aria era satura di umidità, potevo sentire le punte dei miei capelli arricciarsi nonostante fossero lisci. 

Poggiai la tazza appena lavata nel ripiano sopra al lavandino, lasciando che sgocciolasse prima di asciugarsi. 
Mentre mi preparavo il pranzo sentii Roger abbaiare furiosamente contro chissà cosa. Non passavano molto macchine per il mio orribile quartiere, forse aveva visto un fantasma. O magari ce l'aveva con le nuvole, stupido cane. 

Preparai due tramezzini che infilai nello zaino prima di metterlo sulle mie spalle e raggiungere l'uscita. Non sapevo se sperare che piovesse oppure no. Odiavo l'umidità mentre lavoravo tanto quanto l'afa persistente, ma almeno significava chiudere prima se avesse piovuto. Il problema era che non sapevo con sicurezza se sarebbe successo. 

Uscii di casa, udendo un rombo improvviso che portò Roger ad abbaiare con ancora più forza. Gli avrei lanciato volentieri qualcosa se non avessi temuto il suo padrone. Non ero un idiota. 

Presi la mia bici e salii sopra di essa, controllando prima il giardino e le sue nuove piante. Mia madre cercava sempre qualche hobby per poter andare avanti nella miserabile vita che avevamo. Spesso si ritrovava senza un lavoro ma non dava mai a vedere quanto questo la preoccupasse. 
Sapevo anche che temeva il giorno in cui me ne sarei andato, lo vedevo da come mi guardava mentre parlavo del college. Non mi avrebbe mai impedito di andarci, in ogni caso. Allo stesso tempo non si sarebbe allontanata dalla nostra cittadina, per quanto le avessi proposto più volte di partire con me, perché non avremmo mai avuto i soldi per entrambi. 
Quella mattina era andata a lavoro, un nuovo impiego al diner dopo che una cameriera era andata via per la gravidanza. Sia benedetto il sesso non protetto! 
Era davvero felice mentre si preparava per uscire di casa. 

Pedalai verso la piscina, iniziando a sudare per la troppa umidità che avvolgeva il mio corpo. Era assurdo il tempo in questo dannato posto, non andava mai bene e non c'era pace neanche con la pioggia. 
Vidi il familiare cartello ed entrai dopo aver aperto il cancello, mollando la bici da una parte. 

Eren non era ancora arrivato così entrai nello sgabuzzino, sedendomi sul vecchio divano dove avevamo condiviso la sua prima canna. Il pensiero mi fece alzare gli occhi al cielo mentalmente. 

Mi sdraiai scomposto su quel mobilio puzzolente, ignorando lo sporco a contatto con la mia pelle pulita. Speravo con tutto il cuore che piovesse mentre sentivo i tuoni aumentare e la luce del sole affievolirsi. Mi rifiutai categoricamente di portare fuori le sdraio. 

Preso dalla serie di pensieri che stavo avendo quasi mi spaventai quando vidi Eren apparire davanti a me. 
Portai lo sguardo su di lui prima di mettermi seduto decentemente su quel terribile divano. 

"Hey", disse semplicemente, stringendo fra le dita la tracolla della custodia della chitarra. Era ancora intenzionato a imparare a suonarla. 

"Porto le sdraio fuori?", domandò con un sopracciglio alzato, poggiando lo strumento vicino a me. Ripensai a quando avevo cantato davanti a lei, sentendomi in imbarazzo letteralmente due secondi dopo e mi morsi il labbro inferiore con forza, scacciando via il ricordo in qualche parte nascosta della mia mente. 

"Levi...", mi richiamò il ragazzo, aggrottando le sue sopracciglia folte. Sollevai lo sguardo su di lui, immergendomi nel suo sguardo smeraldino e scossi la testa, ricordando la sua domanda. 

"No, idiota, sta per piovere", risposi acidamente, odiando il modo in cui abbassavo la guardia davanti a lui come se non fosse uno sconosciuto. Qual era il mio fottuto problema?
Non avrei dovuto sentirmi a mio agio con un ragazzino strano come lui. 

Mi alzai di scatto e feci per andare verso la porta quando una mano mi prese un polso, bloccandomi.

"Stai bene?", chiese allarmato, così vicino a me. Il mio sguardo si soffermò sul modo in cui i suoi capelli erano sistemati. Era spettinati più del solito e non mi dispiacevano. 
L'idea mi fece deglutire e mi sbrigai a liberarmi dalla sua stretta. Anche il suo fascino era parte del suo piano. 

"Alla grande", risposi, decidendo di smettere di trattarlo male quando non aveva fatto ancora nulla. 
Lo sorpassai e mi ritrovai fuori così sollevai lo sguardo sul cielo scuro. Okay, odiavo l'umidità ma non era così male la pioggia. Era quasi rilassante quando stavi nel tuo letto e la sentivi battere sul vetro. 

Faceva schifo quando dovevi lavorare all'aperto. 

"Non credo verrà qualcuno", spiegai ad Eren non appena mi raggiunse, tenendo con se la chitarra. Ci mettemmo ai nostri soliti posti e lui decise di strimpellare qualcosa. 

"Ho cercato la canzone di ieri", disse a un certo punto, mentre faceva scorrere le dita sulle corde tese quanto me non appena sentii le sue parole. 

"Ho imparato gli accordi", continuò prima di iniziare a suonare. Osservai le sue dita che si muovevano dolcemente sullo strumento, producendo la melodia della canzone dei Radiohead. 
Mi morsi l'interno della guancia perché non era per niente male e cazzo, adoravo quella canzone. Il ritmo, le parole, il significato. 
Era come mi sentivo, sempre inadatto in ogni situazione, come se non appartenessi a questo modo. O come se fossi nato senza essere in grado di vivere come tutti gli altri. 

Mi concentrai sulla voce di Eren mentre cantava e il mio cuore prese a battere stupidamente. Sperai che sbagliasse qualcosa ma invece fu perfetto e immaginai che forse l'avesse provata per ore. 
Odiavo il modo in cui mi stavo emozionando davanti a un ragazzo che aveva imparato qualcosa di importante per me. 

"Com'era?", chiese dopo che suonò l'ultimo accordo, lasciandomi totalmente impreparato. Cosa avrei dovuto dire? Mi confondeva così tanto il suo comportamento, non capivo i confini tra il suo vero se stesso e l'atteggiamento finto che metteva su. Non capivo se suonare quel dannato strumento fosse un gesto forzato o meno. 

"Era okay", mi limitai a dire, mantenendo un tono neutrale per non far scoprire come stessi realmente. 

"A giudicare dalla tua espressione, direi che dovrei proprio continuare così", ammiccò, sorridendo furbescamente. 

"Che idiota", borbottai, beccandomi un suo sguardo confuso. Forse avevo dato voce ai miei pensieri senza accorgermene. 

"Lo hai fatto solo per compiacermi, non perché ti piace sul serio suonare", sbottai, "e chi ti dice che piacerai agli altri in questo modo? E chi ti dice che non piacerai di più per come sei realmente? Si, mi sono fottutamente emozionato mentre cantavi ma solo perché è la mia canzone preferita e sei stato bravo. Sarebbe stato molto meglio vederti fare qualcosa che ti piace sul serio."

Ancora non capivo il motivo per cui gli dicevo certe cose, barcamenandomi nelle sue stupide idea per capirci qualcosa. 

Eren schiuse le labbra senza sapere cosa dire. 

"Sono sicuro di non piacere per come sono fatto", disse freddamente, sorprendendomi. Mi passai la lingua fra le labbra e scrollai le spalle, volendo chiudere immediatamente il discorso nonostante fossi stato io ad aprirlo. 

"E preferisco essere qualcun altro", disse nuovamente per poi ignorarmi come meritavo. Non sapevo nulla della reale motivazione per la quale aveva attuato il suo piano, non ero nessuno per poterlo giudicare. 

E anche io avrei preferito essere qualcun altro o semplicemente sparire per sempre. 

Non piovve ne venne qualcuno. Eravamo solo io, Eren e il silenzio imbarazzato. Dovevo aver esagerato qualche ora prima e ora mi sentivo in colpa. 

Sospirai frustrato e mi sporsi verso di lui, allungando una mano verso una sua spalla dove picchiettai il mio indice. A giudicare dalla sua espressione sembrava davvero preso dallo strumento o forse cercava ogni modo per ignorarmi. 

Il suo viso si sollevò e incrociai il suo sguardo. Non potevo dire che non avesse degli occhi davvero particolari. Erano grandi, di una bella forma e di un colore fuori dal comune. 

"Mi dispiace per prima", ammisi con grande fatica, scostando le dita dalla sua spalla coperta da una maglietta grigia che lasciava intravedere parte delle sue clavicole. 

"Sei tu a dover scegliere come vuoi essere e io non ho il diritto di giudicare", continuai, passandomi una mano fra i capelli che portai all'indietro. 

Eren si rilassò, scacciando via la tensione che aveva accumulato dopo la mia piccola scenata. 

"Beh, se suonare una chitarra ha creato quell'espressione trasognata che avevi, allora potrei aver quasi preso la mia decisione", disse con un sorrisetto, lasciandomi senza parole. 

Schiusi le labbra per poter dire qualcosa ma non trovai nulla di intelligente con cui ribattere. Mi sentivo nuovamente colto in flagrante così tastai la tasca dei miei jeans per prendere il pacchetto di sigarette che avevo infilato prima di uscire. Presi una di esse fra le labbra e l'accesi nervosamente, non mi piacevano per niente il modo in cui Eren mi faceva reagire. E non mi piaceva essere confuso a causa sua. 

Il ragazzo ridacchiò, alzandosi per portare la chitarra dentro, lasciandomi un po' di privacy. La verità era che, sotto sotto, non disprezzavo il tempo in sua compagnia. Non capivo perché mi attirasse così tanto da voler scoprire di più su di lui. 

Eren tornò dopo qualche minuto, mettendosi davanti a me, sovrastandomi con la sua altezza. Sollevai lo sguardo, lasciando uscire il fumo nella sua direzione. 

"Dato che non verrà nessuno andiamo a farci un giro", disse come se fosse un ordine. Sollevai un sopracciglio, chiedendomi da dove venisse tutta quella sicurezza. 

"Pensi che abbia voglia di venire con te?", domandai, riportando la sigaretta fra le mie labbra. 
Il suo sguardo si incupì per qualche secondo. 

"Devi accompagnarmi", riprese, poggiando le mani su i suoi fianchi. Guardai i muscoli delle sue braccia tendersi piacevolmente. 

"E dove, di grazia?"

"A farmi fare un piercing, ricordi?"

Si che ricordavo, speravo che fosse lui ad averlo dimenticato. Alzai gli occhi al cielo e spensi la sigaretta nel posacenere sul tavolino, sentendomi un po' più rilassato di prima. Ma sapevo che Eren avrebbe ben presto cambiato il mio umore ancora una volta. Stare in sua compagnia era stancante ma forse era per questo che mi piaceva, o quasi. Riusciva a rendere ogni momento diverso da quello precedente, non c'era monotonia con lui. 

"Per favore, Levi, come regalo per averti cantato la tua canzone preferita."

"Zitto", borbottai, puntandogli un dito contro. Perché continuava a ricordarmelo?

Mi alzai dalla mia sedia, trovandomi fin troppo vicino al suo corpo. La mia fronte arrivava poco più su delle sue spalle e potevo sentire l'odore del suo corpo. 
Feci un passo indietro, sospirando, "d'accordo, andiamo", acconsentii prima di andare a chiudere lo sgabuzzino, prendendo lo zaino con me. 

Eren mi seguì fuori dal cancello della piscina, chiudendolo al mio posto dato che stavo tenendo la bici. 

"Usiamo quella?", chiese, aggrottando la fronte. Annuii e salii su di essa, aspettando che lui trovasse un modo per montare su. 
Con un po' di difficoltà ci riuscì e avvolse le braccia attorno al mio bacino. 

Non avevo proprio pensato a questo. 

Strinsi la presa sul manubrio e pedalai verso l'unico luogo in cui potevi farti un piercing nella nostra cittadina. Il teatro non c'era ma uno studio di tatuaggi si, forse per far capire ai visitatori cosa aspettarsi. 

La bici era dannatamente pesante e per quanto fossi allenato a pedalare, iniziai a respirare con fatica. Non volevo che Eren se ne accorgesse e cercai di respirare più spesso, ringraziando qualsiasi cosa ci fosse sopra di noi quando vidi il nostro obbiettivo. 

Mi bloccai davanti a un edificio basso e grigio. Sopra la porta in vetro c'era una scritta che stava a indicare che servizio offriva quel luogo. 
Lasciai la bici vicino all'entrata e poi oltrepassai l'uscio, seguito da un Eren piuttosto titubante. 

L'odore di pulito mi prese in pieno assieme alla sensazione di fresco. Dio, era il mio paradiso personale. 

La vibrazione familiare dell'ago dei tatuaggi fece sussultare Eren. Era così puro ed innocente. 
Gli feci cenno di sedersi su uno dei due divani in pelle nera - ovviamente finta - prima di sporgermi oltre il balcone. 

"Farlan, ti ho portato un cliente!", esclamai. Il rumore di poco prima si interruppe, al suo posto sentimmo dei passi. 

"Ackerman, e io che pensavo che ti fossi deciso a farti tatuare il culo", disse il ragazzo biondo che era appena apparso davanti ai nostri occhi. 

Sbuffai e gli indicai Eren con un movimento leggero della mia testa. Il ragazzo sembrava dannatamente preoccupato e continuava a giocare con le proprie dita. 

"Hey, io sono Farlan. Che avevi intenzione di fare?", chiese affabile, avvicinandosi a un ansiosissimo Eren. 

"Un piercing", mormorò poco convinto. E pensare che mi aveva quasi costretto a seguirlo.

"Isabel!", urlò Farlan per poi tornare a ciò che stava facendo, sistemandosi i guanti scuri sulle dita. 
La ragazza apparve al suo posto, sorridendo ampiamente sia a me che ad Eren, entusiasta di iniziare il suo lavoro. 

"Cosa facciamo?", disse allegramente. Era divertente il modo in cui Eren era sbiancato all'improvviso, prendendo consapevolezza di ciò che stesse per fare. 

"Al l-labbro", balbettò insicuro, stringendo il tessuto della maglietta fra le dita. Sollevai un sopracciglio verso di lui che non mi degnò di uno sguardo, troppo preso a morire di paura tra se e se. 

"Andiamo", disse Isabel, facendosi seguire all'interno dello studio da un traballante Eren. 

"Vuoi che ti tenga la mano?", dissi dietro di lui, a bassa voce. 

"Uhm, forse", mi rispose e gli diedi un leggero colpo sulla spalla. 

"Sei davvero un moccioso", lo presi in giro prima che Isabel lo facesse sdraiare su un lettino per prendere le misure, segnando il punto da bucare. 

Eren aveva chiuso gli occhi e serrato le labbra fra di loro con così tanta forza da far sparire il naturale colore rosato su di esse. 
Era davvero divertente. 

Mi appoggiai al muro mentre Isabel prendeva l'ago. Proprio in quel momento lui aprì gli occhi, sgranandoli alla vista dell'oggetto che allontanò velocemente dal suo viso. 

"No, no, no, non se ne parla", disse scendendo dal lettino e uscendo dal negozio. Isabel aggrottò la fronte perplessa mentre mi lanciava un'occhiata confusa. 
Scrollai le spalle, "mi dispiace, è un cagasotto."

Seguii Eren fuori dall'edificio e lo vidi camminare avanti e indietro sul marciapiede, ancora spaventato dall'evento di prima. 

"Dai, non tutti siamo fatti per avere un piercing", cercai di consolarlo. Due occhi verdi puntarono su di me. Dio, erano davvero belli e non sapevo perché continuavo a notarlo. 

"Ti piacciono i ragazzi che li hanno?", domandò a un certo punto, "avresti pensato che sono... figo?"

Aggrottai la fronte e sollevai le spalle, cercando qualcosa da dire. Cercava di flirtare con me?

"Eren, la sai già la mia risposta", mi limitai a dire e lui annuì sconsolato, avvicinandosi alla mia bici. 

"Vorrei solo che accettassi la mia idea, sai?", disse senza aspettarsi una vera risposta. 

Salii sulla bici e le sue mani afferrarono i miei fianchi gentilmente, tastando la mia pelle coperta come se volesse accarezzarmi. 

"Dai, posso insegnarti qualche altro accordo, okay? Però prima mangiamo che sto morendo di fame", dissi, cercando di mandare via la sensazione piacevole delle sue mani su di me.

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Capitolo 6
*** Call me when there's no one there ***


Alla fine non aveva piovuto e il caldo afoso era tornato più forte che mai, avvolgendo tutta la città per renderla totalmente invivibile. 
Io ed Eren avevamo lavorato tutta la settimana, sperando che tornasse il brutto tempo per regalarci qualche pausa. Ma non fu così. 

Ogni tanto avevamo suonato la chitarra e gli avevo insegnato altri accordi, facendo passare le ore e per distrarmi da un pensiero che mi stava ossessionando: Petra. 

Ci eravamo scritti qualche messaggio ma venerdì non era uscita con me, ne mi aveva più chiamato. Iniziavo a sentire la sua mancanza e non sapevo come mettere in ordine le cose. 

"Stai bene, tesoro?", mi chiese mia madre mentre fissavo il nostro giardino dal divano. 
Mi voltai verso di lei, corrugando la fronte. Sembrava serena ultimamente, le piaceva il lavoro al diner. 

"Sei pallido", si spiegò, "ultimamente sta girando un virus, ho sentito che anche Shadis è riuscito a beccarlo."

Sprofondai fra i cuscini del divano, se Kith si era preso un virus con gli anticorpi che si ritrovava, chi ero io per sfuggire alla malattia? Inoltre la piscina era il posto perfetto per prendersi qualche malanno. 

Mi passai le dita fra i capelli, cercando di ignorare il mal di testa che avevo da qualche giorno. 
Mia madre smise di lavare i piatti per avvicinarsi a me, poggiando una mano sulla mia fronte, "non credo tu abbia la febbre", disse con il suo solito sorriso gentile. 

"Comunque, è da un po' che non vedo Petra, come sta?", chiese all'improvviso, sedendosi sul bordo del divano, vicino alle mie gambe. Il pensiero mi fece sospirare, certamente non potevo dirle la verità su ciò che era successo. 

"Deve studiare probabilmente", dissi. Era una mezza bugia. 
Non sembrò molto convinta dato che Petra trovava sempre il modo di venire a trovarmi. Eravamo sempre stati inseparabili e per questo sentivo la sua mancanza pesare come un macigno. 

"Sento che vi sposerete, lo sai?", disse tutta contenta mentre io schiudevo le labbra per ribattere subito. 

"Mamma!", esclamai scocciato, lanciandole un cuscino come facevo sempre quando ero più piccolo le volte in cui mi metteva in imbarazzo. I genitori lo sanno fare perfettamente. 

"Okay, okay, la smetto ma non cambierò idea. Se solo fossi un po' meno scorbutico e la invitassi ad uscire", si lamentò, tenendo il cuscino fra le braccia. Portai le mani davanti al mio viso per nascondere l'imbarazzo, se solo sapesse cosa fosse successo. 

"Non devi andare a lavoro?", domandai, scostando le dita per guardare l'orario. 

"Ah si, la domenica non c'è molta gente, vuoi venire per pranzo?", chiese, alzandosi dal divano per finire di prepararsi. 

"Penso di si." Non mi andava di stare da solo a casa per tutto il giorno o avrei pensato fin troppo a Petra. 

"D'accordo, ti farò le uova a forma di cuore come quando avevo dieci anni. Ah, quanto eri carino", sospirò, portando il mio imbarazzo ad un livello superiore. 

"Oh mio Dio", borbottai, alzandomi dal divano per andare in camera mia, ignorando le risate da parte di mia madre.

Lunedì mi sentivo peggio del giorno di prima ma non abbastanza male da stare a casa. Faceva terribilmente caldo mentre pedalavo verso la piscina, consapevole di essere in ritardo. Era stato difficile alzarmi e poi avevo combattuto con mia madre, voleva che restassi a letto. 

Il cancello era aperto e così entrai, lasciando la bici al solito posto mentre cercavo Eren con lo sguardo. Doveva essere nello sgabuzzino così mi avvicinai per entrare dentro. 

Ciò che vidi mi costrinse a schiudere stupidamente le labbra. Eren mi dava le spalle e non indossava nessuna maglietta, di conseguenza avevo la sua pelle dorata e sudata proprio davanti a me. Il mio sguardo scivolò sulla curva dei suoi muscoli poco accennati ma comunque presenti. 

Forse il mal di testa mi stava rendendo pazzo.

"Che stai facendo?", domandai per non rischiare di essere colto mentre lo mangiavo con lo sguardo. Per tutto il periodo scolastico gli avevo degnato pochissime occhiate e non avevo mai notato che fosse oggettivamente bello. Invece, ultimamente, non facevo altro che notarlo, forse da quando aveva iniziato a farmi dei complimenti. 

Il ragazzo si girò, rivolgendomi un sorrisetto prima di sistemarsi la catenina che aveva attorno al collo. Sembrava una di quelle che portavano i militari. 

"Fa troppo caldo per usare una maglietta", disse con un tono malizioso, come se volesse stuzzicarmi o qualcosa del genere. 
Serrai le labbra fra di loro, facendo scorrere lo sguardo verso il basso, notando come il bordo dei suoi boxer spuntasse dai pantaloncini da basket che stava indossando. Subito gli diedi le spalle per prendere qualche sdraio da aggiungere. 

"Levi", un sussurro contro un mio orecchio mi bloccò immediatamente. Potevo sentire la presenza di Eren dietro di me, il suo odore così maschile. Perché stavo reagendo così?

"Dimmi", borbottai con calma per non far trasparire nulla dalle mie parole. Strinsi le sdraio fra le braccia e mi voltai verso di lui, incrociando il suo sguardo acceso e accattivante. 

"Ti piacciono gli sportivi?", chiese con un sopracciglio alzato, bloccando totalmente il mio respiro e quasi mi strozzai mentre deglutivo. 

Cosa cazzo gli prendeva? 

"Smettila di dirmi stronzate", risposi e lo sorpassai per uscire fuori e fare il mio lavoro che era molto più importante di lui. 
Sistemai le sdraio in preda alla confusione per colpa delle mie reazioni. Mi dissi che era solo il suo aspetto ad attrarmi, fine della storia. 

Notai le prime famiglie e mi avvicinai per farmi pagare, ignorando il sole che batteva sulla mia pelle. Non ero nemmeno riuscito a mettermi la crema solare. 

Tornai all'ombrellone dopo non molto, e presi posto di fianco ad Eren che giocava con una palla da basket. Sembrava proprio uno di quei ragazzi popolari della nostra scuola, uno di quei tipi che non sopportavo. Eppure era comunque diverso da loro, forse perché la sua era tutta una facciata che nascondeva ben altro. 

Sospirai, sentendo la testa pulsare per i troppi pensieri o forse per quel virus che girava...

"Non hai risposto alla mia domanda."

Una mano stava stringendo una mia coscia, rendendo quel punto bollente e sensibile. Girai il viso verso Eren e tolsi le sue dannate dita dal mio corpo. 

"Te le taglio", lo minacciai, evitando il suo sguardo e anche la sua domanda. Non mi piacevano gli sportivi ma lui si, mi stava provocando e non volevo ammetterlo ne dirgli la verità. 

Guardai la piscina, sentendo il suo sguardo puntato su di me. Con la cosa dell'occhio potevo ben vedere lo stupido sorrisetto sulle sue labbra. Dio, dov'era l'Eren timido e impacciato dei primi giorni? 

"La tua reazione è carina", disse a un certo punto. Mi morsi l'interno della mia guancia, consapevole di sembrare davvero stupido per il modo in cui mi stavo comportando. 

"Hai finito?"

"Uhm, mi sto divertendo", disse nuovamente, seducente, rendendomi ancora più confuso sulle sue vere intenzioni. 
Ero quasi sul punto di rispondere quando il mio sguardo si soffermò su un bambino pericolosamente vicino al bordo piscina. Barcollò leggermente prima di scivolare in acqua e con un gesto veloce balzai in piedi, sfilandomi le scarpe e la maglietta per raggiungerlo. Mi immersi in acqua, afferrando il bambino fra le braccia, sentendolo piangere e tossire dopo averlo riportato in superficie. 

Sua madre era in ginocchio sul bordo della piscina, pallida e con le dita che le tremavano mentre prendeva il figlio fra le braccia. 

"Ti avevo detto di rimanere con gli altri bambini, Falco", lo rimproverò senza rabbia. Il suo tono era semplicemente spaventato. Lo strinse fra le braccia per consolarlo e io uscii dalla piscina, passando le dita fra i miei capelli umidi. Potevo sentire i germi perforare la mia pelle. 

"Grazie mille", disse la donna, sembrando più calma e un po' meno pallida. 

"È il mio lavoro", scrollai le spalle e tornai da Eren che mi guardava con un ghigno. I suoi occhi si soffermarono sulla mia pelle scoperta e subito mi sentii orgoglioso del mio fisico. Potevo vendicarmi un po'. 

"Asciugati la bava", lo presi in giro e camminai verso lo sgabuzzino dove avevo vari cambi nel caso succedesse qualcosa di simile. Avrei dovuto usare il costume ma il tessuto era fastidioso sulla mia pelle e poi rarissime volte occorreva fare il bagno per salvare qualche bambino. 

Chiusi la porta dietro di me e mi sfilai i pantaloni umidi, afferrando un asciugamano per strofinarlo sulla mia pelle. Lo misi attorno alle spalle e portai le dita sul bordo dei boxer, pronto a togliere anche essi. 
Mi bloccai quando della luce mi prese in pieno, segno che Eren fosse appena entrato. Mi voltai verso di lui, scostando le dita dal mio intimo. 

"Che vuoi? Vai a controllare la piscina", dissi indignato, scostando l'asciugamano dalle mie spalle per portarlo sui miei capelli. 

"Ora che è successo ci sono poche probabilità che accada di nuovo", mormorò, facendomi rabbrividire a causa del tono usato. 
Fece dei passi verso di me, intrappolandomi tra la vecchia scrivania e il suo corpo. Era ancora a petto nudo e la cosa non andava affatto bene. 

"Non me ne frega un cazzo della probabilità, è il nostro lavoro stare lì", borbottai, cercando di non guardarlo troppo. Il mio sguardo era puntato sul muro dietro di lui. 

"Ti eccito, Levi?", sussurrò contro il mio orecchio destro, sfiorandolo con le sue labbra rosse e morbide. Le sue mani si poggiarono su i miei fianchi e mi resi conto di essere praticamente nudo davanti a lui. 

"Non risponderò a questa domanda", dissi scocciato, socchiudendo gli occhi quando soffiò contro il mio orecchio, mandando in estasi ogni cellula del mio corpo. Non mi ero mai sentito così debole con nessuno, proprio con Eren doveva succedere? 

"Lo prendo per un si", mormorò prima di scostare la sua bocca dal mio viso. Ero un fottuto fascio di nervi ed ero quasi sul punto di prendergli le mani per guidarle dove volevo.
Poi mi ricordai il perché facesse così. Ero solo la sua cavia. 

"Mi spieghi qual è il tuo problema?", dissi subito dopo, poggiando le mani sul suo petto per allontanarlo da me con una spinta. 

La fronte di Eren si aggrottò e la sua sicurezza cedette. 

"Potevo quasi accettare il dover sopportare il tuo piano idiota ma questo è troppo. Cosa vuoi da me, Eren?", continuai, scostando l'asciugamano che era scivolato sulle mie spalle. Lo lasciai sopra la scrivania, in preda al nervoso. Odiavo essere in balia di emozioni che non mi facevano pensare lucidamente, emozioni che erano riuscite a rovinare il mio rapporto con Petra. 

"I-io... mi dispiace, non volevo farti arrabbiare", balbettò insicuro, passandosi una mano contro la nuca. 

"Tu mi stai prendendo per il culo. Io non ho la più pallida idea di chi tu sia quindi smettila di farmi affezionare a qualcuno che non esiste!", esclamai fuori di me, ammettendo ciò che sentivo sia a lui che a me stesso. Mi piaceva stare con Eren, mi piaceva come mi guardava e le attenzioni che mi dava ma non potevo vivere con il dubbio che non fossero qualcosa di vero. Non volevo essere preso in giro da qualcuno. Non volevo affezionarmi. 

"Levi...", mormorò nuovamente, senza dire altro. Ridacchiai senza divertimento, sentendomi il più coglione del mondo per esserci cascato. Non riusciva neanche a dirmi che avessi ragione, che il suo era solo un esperimento. 

"Io me ne tiro fuori ed esci da questo cazzo di posto che voglio cambiarmi e lavorare perché, al contrario tuo, quei soldi mi servono", ripresi, spingendolo fuori dallo sgabuzzino. Mi chiusi dentro, poggiandomi alla porta, cercando di non lasciare che la rabbia avesse la meglio su di me. 

Mi cambiai velocemente, mettendo abiti asciutti prima di tornare alla mia solita sedia, senza degnare di uno sguardo Eren. 

La pausa fu il momento peggiore perché eravamo solo noi due. Il silenzio era carico di rancore e di imbarazzo. Era molto diverso dai nostri soliti silenzio quasi piacevoli nonostante fossero molto rari. 
Mangiai il mio pranzo fissando un punto della piscina con il mal di testa che aumentava di ora in ora. 

Eren, invece, si alzò per giocare con il suo pallone da basket. Beh, era riuscito a raggiungere il suo obiettivo se voleva essere il giocatore sexy e stronzo del college. Era quasi divertente. Ironicamente divertente. 

Verso le ultime ore della giornata di lavoro mi sentii sempre più stanco. Avevo starnutito qualche volta e la gola mi faceva male, dovevo proprio aver preso quel dannato virus. 
La presi come una benedizione, sarei stato lontano da Eren per qualche giorno.

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Capitolo 7
*** If should this mean the start you switched my faith ***


Per due lunghi giorni rimasi nel mio letto, sentendomi accaldato e infreddolito allo stesso tempo. Ero immerso nelle coperte e il ventilatore ronzava vicino a me, mandando aria quasi fresca contro il mio viso. 
Avere la febbre in estate faceva schifo.

Mi rigirai nel letto, cercando di trovare una posizione comoda fin quando non sentii la porta della mia minuscola camera aprirsi. 

"Tesoro, sto andando al lavoro. Come stai?"

La voce flebile e dolce di mia madre raggiunse le mie orecchie. Sollevai le palpebre per guardare la sua figura e borbottai qualcosa di incomprensibile contro il mio stesso cuscino. 
La testa mi faceva ancora un po' male ma mi sentivo meno accaldato, forse la febbre era scesa del tutto. 

"Un po' meglio", riuscii a dire, ancora mezzo addormentato. 

"Meno male. Ci vediamo stasera", disse con un sorriso prima di chiudere la porta. 
Mi passai le mani sul viso, sentendo un gran bisogno di lavarmi e mandare via il sudore della notte. 
Scivolai fuori dalle coperte e mi spogliai, entrando poi nell'unico bagno della casa, piccolo e pieno di macchie dell'umido negli angoli del soffitto. Mi infilai nella doccia e ci rimasi parecchio tempo, godendomi la sensazione dell'acqua sulla mia pelle. Sapevo che il giorno dopo sarei dovuto tornare a lavoro e avrei incontrato nuovamente Eren. 
Il pensiero mi infastidì perché non avrei mai trovato una soluzione al problema fra di noi. 

Uscii dalla doccia e avvolsi un asciugamano attorno ai fianchi prima di tornare in camera. La suoneria del mio cellulare mi accolse così risposi senza neanche controllare il mittente: mossa stupida. 

"Levi, dove sei?", la voce preoccupata di Petra raggiunse il mio orecchio. Non la sentivo da troppo tempo e il suo suono fu piacevole. 

"A casa, perché?", chiesi confuso, raggiungendo il mio armadio per potermi mettere un paio di boxer. Inclinai la testa e tenni il telefono fra il mio orecchio e la spalla. 

"Sono in piscina ed Eren mi ha detto che non stavi molto bene. Ti ammali raramente e mi sono preoccupata", si spiegò, calmando la sua agitazione. Petra teneva più a me che a se stessa. Mi pentivo di aver permesso che le cose fra di noi si rovinassero dopo tutti i momenti che avevamo condiviso. 

"Ho preso il virus che girava in città ma ora sto meglio, tranquilla", dissi dopo essere riuscito a mettere i boxer. Cercai una maglietta pulita e dei pantaloncini comodi. 

"Uhm, meno male...", mormorò nervosamente, "posso venire da te?", domandò qualche secondo dopo. 

"Si, certo", risposi quasi subito. Avevamo davvero bisogno di parlare e volevo rimettere le cose al loro posto, tornare ad uscire con lei perché mi mancava fottutamente tanto. 

"Okay, a dopo."

"A dopo."

Chiusi la chiamata e finii di vestirmi per poi decidere di mettere in ordine la mia camera. Odiavo vedere tutto fuori posto ma la febbre mi aveva tolto ogni forza. Sistemai il mio letto e spensi il ventilatore per evitare di spendere altri soldi in corrente. 

Raggiunsi la cucina, trovando una tazza di caffè nero e un toast che addentai immediatamente. Non mangiavo decentemente da quando mi ero ammalato. 

Non dovetti aspettare molto prima di sentire il campanello suonare e così mi alzai per aprire la porta, trovandomi davanti Petra. Le sue braccia esili avvolsero il mio collo e mi strinse in un abbraccio che non mi aspettavo. 
Poggiai le mani sulla sua schiena, avvolto dall'odore del suo lucidalabbra così familiare - forse un po' troppo - e la strinsi a me a mia volta. Il contatto fisico con lei era accettabile, mi era addirittura mancato. 

"Sono una stronza, mi dispiace così tanto", disse contro il mio collo, premendo le dita sulla mia nuca. Con un piede chiusi la porta e lei si scostò da me, mostrandomi i suoi occhi lucidi. 

"Hey, non è colpa tua", cercai di consolarla, restando vicino a lei. Si passò le mani sulle guance e poi cercò di sorridere. 

"Pensavo che potesse esserci qualcosa di più dell'amicizia", mormorò imbarazzata, fissando un punto dietro di me per non dover incrociare il mio sguardo. 
Eravamo sempre stati legati ma non avrei mai immaginato di piacerle, io non ero assolutamente fatto per lei. 

"Petra, io... non credo possa esserci", dissi, passando le dita fra i miei capelli. La sentii ridere poco dopo, cogliendomi impreparato. 

"Lo so, lo so, penso di aver fatto un grosso errore e aver confuso i miei sentimenti. Dio, pensavo di essere innamorata di te", disse con un'altra risatina. Mi guardò e i suoi occhi non erano più lucidi ma sentivo che non mi stesse dicendo tutta la verità. 

"Non credo che qualcuno possa davvero commettere l'errore di innamorarsi di me", dissi scherzosamente, sentendomi un po' meglio riguardo la nostra situazione. Avevo di nuovo la mia amica. 

"Quell'Eren forse si, poverino", mi prese in giro, camminando verso il divano dove si lasciò cadere. Il vestito che portava ondeggiò mentre compiva il gesto. 

Aggrottai la fronte e la raggiunsi, mettendomi al suo fianco. Subito le sue gambe si poggiarono sulle mie, in cerca di una posizione comoda. 

"Era davvero preoccupato per te, ha detto che non lo sopporti", continuò, poggiando un gomito contro un bracciolo del divano. 

"È un idiota e no, non gli piaccio. Vuole solo usarmi come cavia", dissi scocciato. Chissà che personalità doveva aver messo su per poter dire a Petra che era preoccupato per me. Forse quella della crocerossina.

"Cavia?"

Le raccontai velocemente del suo stupido piano ma non ebbi la reazione che mi aspettavo. Subito si mise a ridere. 

"A me sembra solo che voglia piacerti. Beh, forse vuole davvero fingere di essere qualcun altro ma cerca sempre di compiacerti", disse divertita. Non approvavo per niente il suo punto di vista. 

"Vuole capire come piacere alla gente in generale."

"Sei così testardo, Levi. Gli piaci, fidati di me. Sesto senso femminile", continuò imperterrita, riuscendo a farmi quasi pensare all'idea di piacere ad Eren. La cosa mi fece stranamente piacere ma cercai di nasconderlo il più possibile.

"Non ho fatto nulla per piacergli."

Petra si morse il labbro, trattenendo un sospiro che stava quasi per sfuggirle. Poggiò una mano su un mio braccio, incrociando il mio sguardo. 

"Sei stato te stesso. E poi non è che si è innamorato di te, semplicemente gli interessi."

Poggiai la testa contro il divano, sollevando lo sguardo sul soffitto. Non mi era mai piaciuto nessuno, non avevo mai desiderato di legarmi a qualcuno tanto da aprirmi con quella persona, affidargli ogni cosa di me. Ma ora c'era questo ragazzino di nome Eren che sapeva come intrattenermi, che mi rendeva dannatamente curioso e che mi faceva reagire come un idiota. E avevo paura che potesse capitare qualcosa fra di noi, paura di stare male e di rimanere deluso. Paura di essere solo qualcuno con cui sperimentare. 

Inoltre non avevo per niente fiducia in me stesso e questo alimentava la mia insicurezza. 

"Smettila di andare in paranoia. Riconosco quando ti succede", disse Petra, riportandomi alla realtà. Una sua mano mi scompigliò i capelli ancora umidi. 

"Ti interessa, vero?", domandò e io mi limitai ad annuire con tanta forza di volontà. Non sapevo cosa provassi esattamente ma ero certo di essere incuriosito da lui. 

Le sue labbra si curvarono in un grosso sorriso e si alzò dal divano, prendendo la propria borsa mentre andava verso la porta. 

"Allora gli dirò di venire a trovarti", disse contenta. Stavo quasi per ribattere ma lei uscì di casa, sbattendo la porta davanti al mio viso, impedendomi di poter protestare. 

Era così una cattiva idea vedere Eren?

Il ragazzo si presentò sul tardi, dopo l'orario di chiusura della piscina. 
Quando me lo ritrovai davanti quasi schiusi le labbra per la sorpresa. Non aveva niente di particolare con se, era semplicemente Eren. 

I suoi capelli erano spettinati, indossava una maglietta rossa e dei jeans lunghi che fasciavano incredibilmente bene le sue gambe snelle. 
Il suo sguardo era preoccupato, dispiaciuto e insicuro allo stesso tempo. 

Lo feci entrare, facendomi da parte. Con una mano aveva una bustina bianca che sembrava provenire dal supermercato qui vicino. 

"Hey", disse timidamente, porgendomi la busta  con le dita che tremavano, "non so se hai mai visto un anime ma i personaggi portano sempre qualcosa da mangiare agli amici che stanno male."

Presi la busta e gli lanciai un'occhiata poco convinta. Sbirciai dentro l'oggetto, trovando dei noodles istantanei. 

"Ti piacciono gli anime?", domandai, senza sapere che altro dire. 

"Al vero Eren piacciono gli anime", disse e quasi volli sorridere davanti a quell'affermazione. Ma non sorridevo praticamente mai dunque non sarebbe successo neanche stavolta, anche se Eren era dannatamente tenero mentre parlava. 

Poggiai la busta sul tavolo e decisi di andare in camera mia, facendogli cenno di seguirmi. Volevo parlargli seriamente e... mi era mancato. 

Il suo sguardo curioso percorse le pareti di casa mia e poi quelle della mia stanza, soffermandosi su alcuni dettagli. Presi posto sul mio letto e lui sulla poltrona lì davanti. 

"Perché mi sembri così... normale?", domandai, sollevando un sopracciglio. Incrociai le gambe sul letto, poggiando la schiena contro il muro dietro di me. 

"Ho pensato a quello che mi hai detto e hai ragione, non voglio essere qualcun altro con te", disse, fissandosi le dita lunghe e attraenti. Mandai subito via il pensiero. 

"Quindi la smetterai con il tuo piano?", domandai. 

"Non lo so, con te è diverso. È come se volessi piacerti per come sono, invece con gli altri... non andrei mai bene", mormorò, ignorando completamente il mio sguardo, "Dio, neanche a te andrei bene, non so nemmeno perché te lo sto dicendo."

Mi si strinse il cuore al sentire le sue parole piene di insicurezza. Perché voleva così tanto nascondersi? 
Mi alzai dal letto, ignorando l'orgoglio che mi diceva di non farlo, e mi inginocchiai davanti a lui, prendendo le sue mani fra le mie. 

"Eren, smettila di dire stronzate. Sono sicuro che tu sia una persona fantastica e anche se non lo sei, non importa, mi andresti bene anche in quel modo", mormorai, sembrando totalmente un'altra persona. Non avevo mai fatto una cosa del genere ne avevo mai detto qualcosa di sdolcinato come ciò che mi era uscito. 
Gli occhi verdi di Eren puntarono su di me e le sue labbra accennarono un timido sorriso. Quindi questo era lui, senza nessuna facciata, indifeso e spaventato dal giudizio altrui. In cerca del mio parere. 

Ma io l'avevo già accettato, ancor prima di vedere cosa si nascondeva sotto ai suoi finti atteggiamenti. 

"Uhm, e non ti ho usato, volevo davvero fare qualcosa che ti piacesse. Non ti stavo prendendo in giro, neanche quando ho cantato quella canzone. Avevo notato quanto ci tenessi e volevo fare qualcosa per te."

Come potevo non sorridere davanti a questo Eren che riusciva a raddolcirmi come nessun altro aveva mai fatto. 
Le mie labbra si curvarono verso l'alto e le sue mi imitarono. Sentii il cuore battere più velocemente. 

"Hai sorriso", sussurrò estasiato. 

"Ah, fanculo, è colpa tua", borbottai, lasciando andare le sue dita per alzarmi in piedi. Rimasi davanti a lui e lui riuscii ad avvolgere il mio bacino con le sue braccia. 

Rimasi impassibile, incapace di poter dire qualcosa di sensato o lontanamente intelligente. Potevo udire il mio cuore martellare mentre il profumo di Eren mi avvolgeva e il suo calore mi confortava. Ero nel posto giusto e mi sentivo bene. 

"Non volevo ferirti, non lo meriti", sussurrò contro il mio petto e quasi temetti che potesse sentire il mio battito. Feci scorrere una mano lungo il suo collo, beandomi della sensazione della sua pelle calda e liscia sotto i miei polpastrelli. 

"Non mi ferirai se sarai te stesso", sussurrai. 
Mai avrei pensato di poter essere felice mentre Eren cercava di fare qualcosa per me. Eren, il ragazzo più strano della nostra scuola. 

"Posso prometterti di esserlo con te", disse piano. Il suo respiro caldo contro la pelle del mio petto, nei punti dove non era coperta dalla maglietta, "posso provarci."

"D'accordo."

Rimanemmo così per non so quanto tempo, godendoci l'uno la presenza dell'altro. Mi sentivo così in pace come non mi sentivo da tanto. Per una volta nella mia volta non ero fuori posto e stavo vivendo il presente e stavo provando qualcosa di intenso che mi spaventava e incuriosiva al tempo stesso. 

Voglio sapere cosa ti piace, cosa ti appassiona, cosa non sopporti, cosa ti imbarazza e cosa ti incuriosisce. Voglio sapere tutto. 

Gli dissi questo mentalmente, troppo codardo per esprimermi a parole ma, in qualche modo, sapevo che gli sarebbe arrivato.

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Capitolo 8
*** Sincerity is scary ***


Tornare fu quasi una benedizione, non ne potevo più di stare a letto senza far nulla. Avevo pulito casa più di una volta per far passare il tempo ma ormai era così tanto in ordine da risultare noioso e inutile. 

Quando arrivai alla piscina trovai Eren che sistemava le sdraio accuratamente. Quasi non potevo crederci, solitamente dovevo costringerlo per farlo lavorare. 
Poggiai la mia bici e lo raggiunsi, cercando di capire cosa avrei dovuto aspettarmi da lui ma sembrava non avere nulla di strano addosso. 
Si voltò dopo aver sentito i miei passi e il suo sguardo smeraldino incrociò il mio. 

"Hey, sei tornato", disse con un piccolo sorriso imbarazzato. A quanto pare aveva preso sul serio il discorso del giorno prima poiché era vestito normalmente, senza nulla che catturasse particolarmente la mia attenzione. 
Oh, forse le sue braccia ma non volevo ancora ammetterlo a me stesso. 

"Sfortunatamente", lo presi in giro, sollevando leggermente un sopracciglio quando le sue guance si tinsero di un tenue e adorabile rosa. Non sapevo neanche perché il mio cervello formulasse certi pensieri. 

"Ho già sistemato le sdraio", disse dopo qualche secondo di silenzio. Mi limitai ad annuire e presi posto sotto a quello che era diventato il nostro ombrellone. Tirai fuori una sigaretta dal mio pacchetto e la misi fra le labbra, lasciandola in bilico fra di esse. Lo sguardo di Eren era puntato su di me così mi voltai, cercando di capire se dovesse parlarmi o meno. 

"Ne vuoi una?" domandai, sapendo già la sua risposta. Era praticamente ovvia e infatti scosse prontamente la testa. Mi resi conto che non sapevo quasi nulla sulle sue abitudini eppure non era uno sconosciuto ai miei occhi. Era come se avessi scoperto dei lati del suo carattere che non era riuscito completamente a nascondere. 

Feci uscire il fumo in uno sbuffo, indirizzandolo verso di lui, trovando divertente quando iniziò a tossicchiare. 

Carino. 

"È così strano, non mi sento a disagio con te", disse a un certo punto. Quel commento fu piacevole, ero quasi tentato di sorridere ma mi trattenni. Le reazioni del mio corpo iniziavano a preoccuparmi. 

"Questo è perché non mi hai ancora detto che musica ti piace. A seconda della risposta potrei insultarti pesantemente", gli dissi, assottigliando il mio sguardo. Era divertente vedere come reagiva, il suo viso era parecchio espressivo. 
Feci qualche altro tiro prima di finire la sigaretta che lasciai nel posacenere. 

"Quella musica pop coreana", disse e quasi sgranai gli occhi ma poi si mise a ridere. Quindi era anche in credo di fare delle battute. 
Petra adorava quel genere, bastava lei con questa fissa, due persone non le avrei sopportate. 

"Ho sempre ascoltato i cd dei miei genitori. Beatles, Eagles, Clash, Bob Dylan, vari generi", mi rispose seriamente stavolta. 

"Sofisticato. Comunque ti stavo sfottendo, non sono un grande esperto. Tutto ciò che faccio è evitare il pop e il raeggeton", dissi, socchiudendo gli occhi davanti alla luce del sole che riusciva a raggiungermi anche da sotto l'ombrellone.

Non disse nulla e rimanemmo un silenzio. Non fu spiacevole ne imbarazzante. Entrambi sapevamo della presenza dell'altro e ce la godevamo anche in questo modo. Era strano, non mi ero sentito mai così a mio agio con qualcuno che non fosse Petra o mia madre. 

Sentimmo i primi bambini arrivare dopo qualche minuto e fu Eren a raccogliere le banconote. Rimasi a guardarlo dal mio posto, studiandolo meglio ora che non poteva accorgersene. Indossava dei pantaloncini beige e una maglietta verde acqua, così simile al colore dei suoi occhi. Dio, lo preferivo dieci volte in questo modo e non capivo perché. Cosa c'era di così interessante in lui? Era solo il suo aspetto fisico ad attirarmi?

"Shadis è stato gentile a tenere aperta questa piscina", disse mentre tornava verso di me, poggiando la cassetta dei soldi sul tavolino. 

"Shadis è un bastardo geniale. Sa che tutti i bambini della città vengono qui", commentai, scrollando le spalle. 

"Lo fa per loro. Mi ricordo quando ero piccolo e non c'era nulla con cui rinfrescarci", raccontò, poggiando il suo sguardo sull'acqua della piscina. 
Lo ricordavo anche io, in questa cittadina c'è un caldo pazzesco per più di tre mesi. Non è un estate normale, è l'apoteosi dell'estate. È come stare all'inferno senza averlo meritato. 

"Lo avrei fatto anche io, al suo posto", riprese, curvando le labbra in un leggero sorriso. 

"Sei troppo buono, io me la sarei tenuta per me."

"Non l'avresti condivisa con me? Dopo aver spostato tutte le sdraio da solo", borbottò, imbronciando le sue labbra morbide. 

Lo fissai un po' troppo senza rendermene conto e lo vidi arrossire ancora una volta. E la cosa mi fece estremamente piacere. 

"Ahm, non lo so. Dovresti fare qualcos'altro per meritarlo", sollevai un sopracciglio, godendomi totalmente la sua espressione imbarazzata. In modo positivo. Era così divertente spiazzarlo. 

Ma poi rispose. 

"Potrei farti molte cose", disse, ritrovando la sicurezza. Era questo che mi attirava, il modo in cui riusciva sempre a sorprendermi. La mia vita era sempre stata formata da una serie di cose monotone. Avevo fatto sempre le stesse cose e visto le stesse persone. 
Poi avevo parlato con Eren. Ogni suo pensiero era in contrasto con il mio, il suo stesso carattere sembrava l'opposto del mio. Ed era tutto tranne che noioso. Anche quando era semplicemente se stesso. 

E volevo sapere ancora di più. 

"Wow, Eren, apprezzo il tentativo di corrompermi ma no, solo io farò il bagno nella mia piscina", dissi, scrollando le spalle. Ogni tanto controllai i bambini, non volevo che accadesse qualcosa come l'ultima volta. 

"Stronzo."

Feci una smorfia quasi simile a un sorriso e notai la sua espressione dopo averlo fatto. Le sue labbra erano curvate verso l'altro. Avevo già detto che adoravo le sue reazioni? 

Il resto della giornata trascorse normalmente fino all'orario di chiusura. Sistemai le varie sdraio con Eren finché non sentimmo il rumore del cancello che si apriva. 
Uscii dallo sgabuzzino e vidi Petra con un ampio sorriso sulle labbra. 

"Mi mancava il nostro venerdì", disse per poi guardare Eren alle mie spalle, "hey!", lo salutò piena di entusiasmo, come al solito. 
Poi i suoi occhi si illuminarono e capii cosa volesse fare. 

"Ti va di venire con noi? Non faremo nulla di strano, andiamo a mangiare al diner", spiegò quando Eren si incupì. Ora qual era il problema?

Lo guardai confuso mentre scuoteva la testa per rifiutare. Aggrottai la fronte e gli presi un polso fra le dita, portandolo con me nello sgabuzzino. Forse avevo capito cosa stava succedendo. 
Chiusi la porta e poggiai le mani sulle sue spalle. Il suo sguardo incrociò il mio per qualche secondo prima di abbassarsi tristemente sulle sue scarpe. 

"Non credo di essere pronto", disse a bassa voce. Corrugai la fronte. 

"Eren, vuoi capire che non hai niente che non vada?"

"T-ti sbagli. È già molto che riesca a essere me stesso con te", sussurrò. Mi si strinse il cuore e strinsi la presa sulle sue spalle per cercare di consolarlo. Non ero molto bravo in questo. 

"Ascoltami perché non lo ripeterò due volte. Tu vai benissimo così come sei. Dio, sei riuscito a farmi affezionare a te. Capisci? Io che mi affeziono a qualcuno in poche settimane, è assurdo. Ammetto di non conoscerti ancora così bene ma sei... particolare, in senso positivo. 
Merda, fa schifo questo discorso. Quello che voglio dirti è di lasciarti andare ed essere te stesso. Non so cosa sia successo per averti causato questa paura ma sei al sicuro con noi, te lo prometto. Sei al sicuro con me", dissi senza ragionare troppo su quello che dicevo. Per una volta lasciai uscire ciò che la mia mente formulava senza mettere filtri. 

Eren mi guardò negli occhi e il mio cuore iniziò a battere senza controllo. 

"Mi stai dicendo che vuoi proteggermi?", mormorò e mi sentii davvero in imbarazzo ma annuii. 

Mi sorrise dolcemente e mi sciolsi letteralmente davanti alla sua espressione più serena. 

"Voglio che tu creda in te stesso", ammisi, avendo paura di cosa sarebbe potuto succedere a breve. Eravamo davvero vicini e sentivo l'urgenza di annullare la distanza rimasta. 

Feci scivolare una mano fra i suoi capelli castani e premetti le dita sulla sua cute. La sua testa si avvicinò alla mia, inclinandosi verso di me. Il mio cuore batteva fottutamente tanto. 

"Si può sapere che segreti vi state dicendo?", disse una voce dietro di me. Alzai gli occhi al cielo e feci velocemente un passo indietro, voltandomi verso Petra. A giudicare dal suo sorrisetto era ben consapevole di aver interrotto qualcosa e non le dispiaceva per nulla. 

"Parlavamo male di te", commentai, dandole una leggere gomitata prima di uscire dallo sgabuzzino, seguito da un imbarazzato Eren. 

Alla fine venne con noi. 

Raggiungemmo il diner a piedi dato che la mia bici non avrebbe mai sopportato il peso di tre persone. 
Prendemmo posto in un tavolo in fondo per poter parlare indisturbati. Eren era molto teso e continuava a giocare con le sue dita. Stava uscendo dalla sua comfort zone ed ero fiero di lui. 

"Quindi, ti sei iscritto al college? Cosa studierai?", chiese Petra, sembrando davvero curiosa della risposta del ragazzo. 

"Lingue", si limitò a dire. Questo non lo sapevo neanche io. Ogni nuova informazione era ben accetta. 

"Lingue orientali", continuò. 

"Che figata. Perche questa scelta?"

"Mi piace viaggiare e mi piace conoscere nuove culture. Un passo fondamentale per farlo è imparare altre lingue. Vorrei andare ovunque, sperimentare nuovi modi di pensare e nuovi punti di vista", disse, molto più a suo agio. 
I suoi occhi brillavano quando parlava di qualcosa a cui era davvero interessato. Era una bella visione. 

"Quindi andresti ovunque? Non hai qualche preferenza?"
Petra sorrideva mentre gli parlava, mostrandosi interessata. Avrei voluto sapere che espressione avevo al momento ma ero sicuro di sembrare un idiota trasognato. 

"Uhm, no. Ogni posto mi interessa, per me non c'è niente che non valga la pena di essere conosciuto. Non so, le differenze che ci sono mi sembrano così affascinanti", disse alzando le spalle. Poi mi guardò e mi sentii colto in flagrante. Questo ragazzino aveva fin troppo potere su di me. 

"E tu cosa vuoi studiare?", domandò poco dopo, timidamente. 

"Letteratura", dissi. Eren aggrottò la fronte leggermente ma poi mi rivolse un sorriso. 

"Perché?"

"Perché mi piace", borbottai. Non volevo aprire qualche discorso profondo su quello che mi piaceva. 

"Fa tutto il duro e si commuove davanti a una poesia", disse Petra con una risata. La fulminai con lo sguardo. 

"Non lo avrei mai detto... devi dirmi il perché ora!", disse, sembrando un bambino arrabbiato. 

Sospirai, passandomi una mano fra i capelli. Non era qualcosa che riuscivo a spiegare a parole. Era una sorta di attrazione. Mi piaceva leggere ma non era solo questo. Mi piaceva il fatto di riuscire a esprimere con delle parole delle sensazioni. Mi piaceva il fatto che quelle frasi sarebbero rimaste per sempre. Mi piaceva scoprire come le persone avevano percepito la realtà al loro tempo. E consideravo ogni testo che era arrivato fino a noi qualcosa di estremamente prezioso perché grado di farci scoprire qualcosa di nuovo a cui non avevamo mai pensato e che attualmente non c'è più. 

"Vi odio", sospirai, "mi piace leggere, questa è l'unica spiegazione che otterrai", dissi ad Eren, immergendo il mio sguardo nel suo, così luminoso. 

"Mi piacerebbe leggere i tuoi libri preferiti", sospirò, fissandomi come se ci fossi solo io nella stanza, "potrebbero dirmi qualcosa su di te."

Non potevo dire di non sentirmi lusingato e allo stesso tempo, spaventato. Per me la lettura era qualcosa di intimo e personale, eppure volevo condividerla con Eren. Volevo piacergli seriamente. 

"Ahm, si può fare", mi limitai a dire, rendendomi conto che ci fosse anche Petra con noi e probabilmente si stava godendo il nostro piccolo spettacolo imbarazzante. 

"Siete carini", disse con un sospiro e sorridendo dolcemente. Dov'era la pala per scavarmi immediatamente una fossa sotto di me? 
Guardai Eren, notando le sue guance arrossate, cosa che gli succedeva davvero spesso. 

Dopo cena andammo verso il parco, trovandolo deserto e un po' inquietante per via del vento caldo che soffiava, scuotendo le chiome degli alberi e l'erba ingiallita. 
Eren si sedette su un'altalena e decisi di seguirlo. Il suo sguardo era puntato sul cielo. 

"È bellissimo e così spaventoso", mormorò. Lo imitai e osservai le stelle che brillavano su di noi. Erano ben visibili grazie alla luce assente dei lampioni. Immaginare qualcosa di infinito mi procurava dell'angoscia, probabilmente era questo che intendeva con "spaventoso".

"Il mondo è pieno di cose meravigliose, è per questo che voglio viaggiare", continuò. Iniziai a spingermi con i piedi, dondolando lentamente, avanti e indietro. Piacerebbe anche a me andarmene da questo posto, cercare qualcosa di migliore. Ma i nostri motivi erano diversi. 
Io volevo solo fuggire. 

"Levi, ti piacerebbe partire con me?"

I suoi occhi verdi mi guardarono e mai mi sembrarono più belli che in questo momento. Il loro colore era assurdo ma era la vitalità in essi che mi spiazzava. Eren stesso mi spiazzava. 

Dissi "si" senza neanche rendermene conto. Ma era la verità, avrei voluto vedere i suoi occhi ardere di curiosità mentre scopriva qualcosa di nuovo. 

Mi sorrise ampiamente e il mio cervello se ne andò da qualche parte, smettendo di funzionare. 

"Potresti leggermi il tuo libro preferito in una notte come queste, in un posto lontanissimo da qui. Magari sotto il cielo africano oppure in Islanda, in una casa in legno. O sulle Alpi, in un rifugio. Sarebbe bellissimo", sospirò sognante. 
Non sapevo cosa dire perché era riuscito a lasciarmi senza parole ancora una volta. Il vero Eren, senza nessun filtro, era fantastico, interessante, pieno di lati da scoprire. 

"Sarebbe bello", mormorai, sentendo l'emozione, per la prima volta, di iniziare a provare interesse per qualcuno.

 

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Capitolo 9
*** It's three in the mornin' ***


Aveva piovuto per tutta la domenica e non era stata semplice acqua ma letteralmente terra. 
Le macchine erano completamente sporche così come la piscina. Ma non me ne dispiacevo così tanto, significava un lunedì in vacanza. 

Questo è quello su cui avevo ragionato per tutta la sera, godendomi l'idea di non dovermi alzare per andare a lavorare. 

La pacchia era durata poco. Alle due di notte avevo ricevuto una chiamata che mi aveva svegliato di soprassalto. 
Maledizione al giorno in cui avevo deciso di non mettere la modalità notturna. 

Mi rigirai nel letto, cercando di trovare la forza per sollevare le mie palpebre pesanti. La testa mi pulsava per la stanchezza. 
Allungai una mano verso il comodino e a tentoni presi il telefono, portandolo all'orecchio senza neanche leggere il nome. 

"Che c'è?" Sbottai irritato, certo di sembrare un mostro appena uscito da un libro di Lovecraft. 

"Tu ed Eren dovete ripulire la piscina, ha smesso di piovere un'ora fa e Pixis dice che non pioverà di nuovo."

La voce burbera di Shadis mi accolse tremendamente. Per neanche un milione mi sarei alzato a quell'ora per pulire la piscina. Non avevo nemmeno idea di come si pulisse. 

"Mi aggiungerai un milione nella prossima busta paga?"

"Un milione di insulti se non ti alzi, ragazzo", mi minacciò. 

"Cazzo, sto arrivando. Inviami un link su come diavolo si pulisce una pisc-Shadis?!"

Quel vecchio mi aveva chiuso il telefono in faccia. Lo sapevo che non mi avrebbe mai licenziato - anche perché senza di me Eren avrebbe solo fatto dei danni - ma il mio senso del dovere era troppo forte da combattere. 
Con uno sbuffo mi scostai le coperte di dosso, calciandole malamente per riuscire a liberare le mie gambe. 
Accesi la luce della camera per riuscire a vedere qualcosa dato che fuori era completamente buio, ovviamente. 

Possibile che facesse caldo anche alle due del mattino?

Mi sfilai i vestiti di fretta, restando con i miei boxer grigi. Raggiunsi l'armadio e cercai qualcosa da mettermi, scegliendo degli abiti rovinati che sarebbero stati perfetti per pulire una fottuta piscina. Anche se non avevo davvero idea di come avrei dovuto pulirla. 
Mi infilai una vecchia maglietta con qualche buco e come pantaloni ne scelsi un paio in jeans, corti. 

Presi nuovamente il telefono per chiamare Eren, cercando di capire se fosse già lì o stesse ancora dormendo. Una voce assonata e confusa mi rispose. 

"Stavi dormendo, bella addormentata?", domandai mentre camminavo per la stanza per finire di preparami. Mi ero appena messo le scarpe, tenendo il telefono fra l'orecchio e la mia spalla. 

"No, Shadis mi ha appena chiamato", borbottò lui, con una voce roca che mandò scosse lungo il mio corpo. Ancora queste stupide reazioni. 

"Ci vediamo in piscina", dissi velocemente per poi chiudere la chiamata. Avrei visto Eren di notte, solo io e lui in piscina. Perché il mio cuore aveva iniziato a battere in questo modo? 
Infilai il telefono in tasca e raggiunsi la cucina per scrivere un bigliettino a mia madre su dove sarei andato. Infine uscii di casa, prendendo la mia bici per raggiungere la piscina. La strada era praticamente vuota, ancora umida dall'ultima pioggia ma se Pixis aveva detto che aveva smesso allora c'era da fidarsi. 

Arrivai a destinazione e vidi Eren già intento a cercare di fare qualcosa. Lasciai la bici contro il muretto e lo raggiunsi, cercando di bloccare quella tentazione di sorridere come ogni volta che lo vedevo. 
Tra le mani aveva un retino dall'asta piuttosto lunga - da dove lo aveva preso?
Mi avvicinai, facendo abbastanza rumore con i miei passi per non prenderlo alla sprovvista. Si voltò verso di me, tenendo ancora il retino fra le sue dita lunghe. 

"Hey, Shadis mi ha dato questo", disse per salutarmi. Aggrottai la fronte e portai lo sguardo sulla piscina, l'acqua era sporca di terra e foglie e altre cose venute da chissà dove. 

"Dio, credo che passeremo tutta la notte qua. L'acqua fa schifo", borbottai, poggiando le mani su i miei fianchi. Una timida luce provenienre dal muro del magazzino illuminava la piscina a malapena. Mi avvicinai per accendere anche il resto dei faretti e fanculo chi avrebbe provato a lamentarsi. 

La luce potente accecò Eren per qualche secondo, ancora intento a togliere le foglie sul pelo dell'acqua. Risi mentalmente davanti alla sua espressione confusa e davvero adorabile. 

Tornai da lui e iniziai a camminare avanti e indietro, lungo il bordo della piscina, cercando di pensare a come pulirla. La verità è che pioveva davvero raramente in estate ed era Shadis ad occuparsi della pulizia e del cambio dell'acqua. Ma ogni anno si faceva sentire e la sua voglia era diminuita sempre di più. 

"Non ti ha detto qualcosa su cosa fare?" domandai ad Eren, portando lo sguardo su i suoi movimenti. 

"Ah si, dobbiamo aumentare il dosaggio del cloro e togliere queste foglie e le altre cose sulla superficie", spiegò Eren, sporgendosi per immergere il retino. 
Osservai il suo abbigliamento, dei pantaloncini in tuta e una maglietta verde acqua che risaltava sulla sua pelle abbronzata. E mi piaceva anche il contrasto con i suoi capelli castani che sfioravano le sue spalle. 
Scossi la testa, cercando di mandare via quei pensieri e mi allontanai, andando nello sgabuzzino per aumentare il cloro nella piscina. 

Mi passai le dita fra i capelli, i miei pensieri continuavano a soffermarsi sul ragazzo là fuori. Ogni volta che mi parlava o mi sorrideva non riuscivo a reagire decentemente e il mio cuore batteva all'impazzata. Cosa mi stava succedendo?

Sentii la porta aprirsi all'improvviso e quando mi voltai incrociai lo sguardo smeraldino di Eren. 

"Dobbiamo aspettare che si ripulisca, vero?" Chiese, passandosi una mano fra le ciocche castane che portò all'indietro. Per qualche secondo vidi la sua fronte libera e trovai la visione molto affascinante. Dio, che diavolo stavo pensando? 

"Credo sia meglio così", commentai, tenendo lo sguardo basso su qualcosa di molto interessante per terra. 

"Non mi dispiace rimanere con te. Possiamo vedere le stelle", disse Eren e quando sollevai lo sguardo lo vidi sorridere ampiamente. Fece un passo verso di me, prendendomi una mano con una delle sue. Le sue dita lunghe si intrecciarono alle mie mentre il mio respiro si impigliava nella gola. 

Mi portò fuori e arricciai il naso sentendo l'odore fastidioso del cloro. Non sapevo esattamente che ore fossero ma il cielo era meraviglioso in quel momento. Nessuna nuvola lo copriva e le stelle brillavano, illuminando la piscina e riflettendosi sull'acqua. Erano le ore più buie e la cittadina era assopita mentre noi eravamo qua, svegli, assieme. La sua mano era ancora stretta alla mia e il mio cuore martellava senza controllo. 
Perché mi faceva questo effetto? Perché anche solo un breve contatto riusciva a farmi rabbrividire? 

Sollevai lo sguardo sul cielo, perdendomi in quella magnifica visione. Non so per quanto tempo rimasi così ma dopo un po' Eren mi lasciò la mano per sedersi sul bordo della piscina, le gambe immerse nell'acqua calda. Beh, anche la notte c'era caldo. Nessun attimo di tregua durante l'estate. 

Lo guardai e lui guardò me, invitandomi al suo fianco semplicemente con i suoi occhi che brillavano. Scostai lo sguardo sull'acqua e desiderai essere essa per poter avvolgere le sue gambe snelle. 

"È pulita, vieni qui", disse piano, senza rovinare la strana e magica atmosfera tra di noi. Mi sedetti al suo fianco, mi sfilai le scarpe e le calze per poi immergere le mie gambe pallide nell'acqua. Si, era calda e piacevole. 

"A quest'ora è più bella", disse Eren, muovendo le sue gambe, riuscendo a sfiorare una delle mie con la sua. La mia pelle rabbrividì a quel contatto, sentii quel punto andare a fuoco.

"Niente bambini che rischiano di morire ogni secondo", borbottai, cercando di ignorare i battiti del mio cuore e i movimenti confusionari del mio stomaco. 

"E solo io e te", riprese Eren, puntando il suo sguardo su di me. I suoi grandi occhi verdi erano così belli, illuminati dalle luci bianche delle stelle. Mi passai la lingua fra le labbra, non riuscendo più a distogliere lo sguardo da lui.
I nostri occhi erano incatenati, le parole incastrate fra le nostre labbra. Le sue così invitanti. Non avevo mai desiderato così ardentemente baciare qualcuno. Con così tanta forza da stare male se non lo avessi fatto. 

"Qual è il tuo momento preferito della giornata?" domandò a un certo punto, interrompendo il flusso dei miei pensieri confusi. Ritornai in me, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi. 

"La mattina, forse. Anzi, il momento prima della mattina, quando non c'è nessuno per strada e mi sembra di avere così tanto tempo. E mi sembra quasi che ci sia solo io al mondo." 

Non dicevo mai così tante parole in una frase. 

Portai lo sguardo su Eren, notando il leggero sorriso sorpreso sulle sue labbra morbide. Alzai un sopracciglio, aspettandomi un suo commento. 

"Pensavo fossi più un tipo notturno. Sai, il tuo look spaventoso", ridacchiò, prendendomi in giro. Scrollai le spalle. 

"Quindi ti faccio paura?"

"No, cioè, non più", mi prese nuovamente in giro, schiudendo le labbra per tirare fuori la lingua. Il mio sguardo si posò su di essa, la mia mente cercò di immaginare la sensazione di sentirla sulla mia pelle. 

"Ricordati che so come farti male."

"Non lo faresti mai, in realtà sei un angioletto", continuò, allungando una mano verso di me per pizzicarmi un fianco. 
Sollevai una mano per far finta di volerlo colpire ma Eren non si lasciò spaventare. Dio, mentirei se dicessi che non mi piaceva la sua personalità. Era facile parlargli e poi sapeva sempre come tirare su un argomento. Non mi annoiavo ma volevo di più, volevo scoprire molto di più. 

"Non mi hai detto il tuo momento preferito della giornata", gli ricordai, abbassando la mano sulla mia gamba. 

"Questo", disse con un sorriso leggero e sereno. Niente che lo turbasse. 

"Perché?"

"Le stelle sono meravigliose, questo potrebbe essere un buon motivo", sollevò il suo sguardo sul cielo, la luce candida di esso si riflesse su i suoi occhi, "in questo momento non c'è frenesia, mi sembra di avere mille possibilità. Credo sia simile a quello di cui parlavi ma non è la stessa cosa. La notte è fatta per essere condivisa, ti da la possibilità di essere totalmente te stesso, ti permette di mostrare il vero te. È il momento in cui non hai più le forze per nasconderti e puoi permetterti di lasciar cadere ogni apparenza." 

Schiusi le labbra incapace di dire qualcosa di sensato. Ogni parola sarebbe stata banale. Perché aveva così paura di essere la persona fantastica che era? Volevo mandare via le sue preoccupazioni, ripetergli mille volte quanto meritasse di stare bene. 

"Quindi questo sei tu? Sei il vero Eren?" domandai a bassa voce. 

Eren si girò verso di me, curvando le labbra in un piccolo sorriso e poi annuì. Le mie dita formicolarono per il bisogno di toccarlo, di avvicinarlo di più a me. 

"Nights were mainly made for sayin' things that you can't say tomorrow day", canticchiò lui. Amai il suono della sua voce e volli sorridere ma cercai di trattenermi. 

"Vuoi dirmi altro?" sussurrai, volevo che mi dicesse altro. Non sapevo nemmeno cosa ma sentivo quel bisogno di sentirmelo dire. O forse non volevo ammetterlo. 

"Vuoi che ti dica qualcosa, Levi?" 

Inclinò la testa di lato, i capelli scivolarono da una parte, le sue labbra mostrarono un sorrisetto tentatore. Cazzo si, volevo qualcosa, ogni parte del mio corpo voleva di più. 

Non riuscii a rispondere, troppo codardo per ammettere il desiderio che scorreva nelle mie vene. 
Una sua mano si allungò verso di me, mi sfiorò un braccio delicatamente. Il mio respiro si bloccò, il mio labbro inferiore stretto fra i denti senza che neanche me ne accorgessi. 
Potevo sentire la pelle bruciare nel punto in cui mi stava toccando. Spostò le dita sul mio petto, sopra al mio cuore che batteva come un forsennato. 

Poi mi spinse in acqua. 

Ero così distratto che non riuscii a fare nulla per evitarlo. Andai sotto per pochissimi secondi e quando tornai su gli lanciai uno sguardo accusatorio, i capelli che mi coprivano parte della visuale così li portai all'indietro. 

"Perché cazzo lo hai fatto?!" esclamai, vedendolo ridere. Mi avvicinai e gli afferrai le gambe per portarlo in acqua con me. Non potevo essere l'unico a bagnarmi. 

Finì davanti a me, il suo corpo così vicino al mio. La sua risata si spense, lasciando spazio a quel desiderio non detto di poco prima. Ora o mai più, mi dissi prima di poggiare la bocca sulla sua in un gesto impetuoso. 
Serrai gli occhi, avvolsi le sue labbra con le mie come se avessi aspettato quel momento da tutta la vita. Lui non rispose subito ma poi lo fece, timidamente, muovendo piano la bocca ma non mi andava bene. Volevo letteralmente farlo mio, intrecciare le dita tra i suoi capelli e stringerlo il più possibile a me. 

Forse era il suo primo bacio, pensai prima di staccarmi. Mi guardò sorpreso e io ero quasi sul punto di scusarmi ma non ne ebbi il tempo perché mi baciò di nuovo. Una sensazione di calore nel mio stomaco mandò via il disagio che avevo provato nel pensare che non lo volesse. 

Le sue dita avvolsero il mio collo, le nostre gambe si mossero per cercare di far stare a galla i nostri corpi. Fu complicato baciarci, ogni movimento era reso difficile dall'acqua attorno a noi. Muovemmo le nostre bocche con frenesia e imprecisione ma non me ne fregava nulla. Tutto il desiderio che stavo reprimendo da giorni stava uscendo in quel momento. Infilai una mano tra i suoi capelli e li tirai, sentendolo mugolare sulla mia bocca. Fu un suono dolcissimo che provocò brividi in ogni parte del mio corpo. 

Schiuse le labbra e feci unire le nostre lingue, lasciando che si intrecciassero velocemente, che si scontrassero con decisione. Il calore del suo corpo era così persistente e mi faceva venire voglia di stare fra le sue braccia per sempre. 
Continuai ad avvolgere le sue labbra come se volessi mangiarle, cercando di non affondare, portando la mano libera sul bordo della piscina dietro Eren. Strinsi con forza la presa, facendo premere il suo corpo contro esso. Eravamo così vicini che mi sembrava di impazzire. Sentimenti del genere erano nuovi per me. 

Ci staccammo ansimanti. I nostro petti che si abbassavano e alzavano velocemente. Osservai le sue labbra rosse, gonfie e assolutamente invitanti. Mi passai la lingua fra le mie, sospirando poco dopo. 

"Mi piaci, Levi."

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Capitolo 10
*** Darling, how could you be so blind? ***


Il sole batteva sulla mia testa come se domenica non avesse piovuto neanche una goccia. 
Sentivo il sudore sulla mia nuca e per l'ennesima volta mi passai una mano fra i capelli, portandoli all'indietro. 

Sistemai le sdraio attorno alla piscina e mai come in quel momento l'acqua fu così invitante. In più il fatto che fosse pulita peggiorava la situazione. 
Mi rimisi dritto non appena sentii la voce familiare di Eren che raggiungeva le mie orecchie, accarezzandole con il suo suono. 
I ricordi di poche ore prima tornarono a galla. 

"Mi piaci, Levi."

Sgranai gli occhi al sentire quella confessione. Che avrei dovuto dire? Ricambiare? Baciarlo di nuovo? Cazzo, io non ero fatto per situazioni come queste. Io volevo stare nella penombra e non mettermi nei casini dove rischiavo di dover mostrare i miei sentimenti. 
Ma lo sguardo speranzoso di Eren, i suoi occhi dannatamente belli e le sue labbra ancora rosse e assolutamente invitanti spazzarono via le mie stupide preoccupazioni. 

"Anche tu", sussurrai quasi spaventato dalle mie stesse parole, dal fatto che stessi dando voce al mio segreto. 

Eren sorrise ampiamente e si avventò ancora una volta sulle mie labbra, baciandomi come se domani il mondo sarebbe finito. Chiusi gli occhi immediatamente e avvolsi la sua bocca, portando una mano contro il suo mento per non farlo allontanare da me. Non ne avevo abbastanza, neanche minimamente. 

Le sue labbra si schiusero contro le mie per permettere alle nostre lingue di intrecciarsi con desiderio ma non solo, come se volessimo mettere in quel contatto tutti i nostri sentimenti. 

Tutto il mio corpo reclamava il suo, voleva stargli più vicino, voleva vedere la sua pelle abbronzata fremere contro la mia. 

Mi scostai dalla sua bocca per non rischiare di peggiorare le cose, tanto ero inebriato da lui. 
Ci guardammo e per una volta sorrisi sul serio, facendolo ridacchiare. 

"Oh, Levi Ackerman che sorride", disse piano, stringendosi a me. 

Alzai gli occhi al cielo e lui mi baciò velocemente a stampo. Ricambiai. Non volevo staccarmi mai più dalla sua bocca.

"Hey", mi salutò timidamente, grattandosi la nuca con una della sue mani dalle dita lunghe. Avrei voluto sentirle nuovamente contro la mia pelle. Questa forte attrazione che provavo era totalmente nuova per me, mi spaventava eppure volevo soddisfarla, avvicinandomi ad Eren per fondermi in lui. 

"Buongiorno", dissi semplicemente, volendo raggiungerlo per riprendere quella sessione di baci di poche ore prima. Ancora non riuscivo a credere che fosse davvero successo. Sembrava un sogno nella mia mente e ora avevo una serie di dubbi da colmare. Ci eravamo confessati ma non eravamo ancora nulla. 

"Fa caldo oggi, mh", borbottò, le guance rosse e il suo sguardo sfuggente. Dio, era carino anche così. 

"Fa sempre caldo", risposi prima di voltarmi e andare verso il mio ombrellone, prendendo posto sulla mia sdraio. Eren mi raggiunse, sedendosi al mio fianco. Il silenzio calò fra di noi. Era un silenzio teso e colmo di domande da parte di entrambi. Lo potevo sentire fisicamente

Perché la vita doveva essere così complicata? 

"Sei riuscito a dormire un po'?" domandai dopo troppi secondi di silenzio. Eren sembrò tornare in se e puntò il suo sguardo su di me, i suoi bellissimi occhi dubbiosi. Lo sapevo che la situazione era difficile anche per lui, sopratutto per lui che si era mostrato senza barriere alla persona per cui aveva una cotta. Avrei voluto tranquillizzarlo ma ero fottutamente negato in queste cose. 

"Non tanto, ero sovrapensiero", mormorò, abbassando lo sguardo sulle proprie dita, giocando con il bordo della sua maglietta leggera. 

Mi morsi il labbro inferiore, ripensando a quanto eravamo vicini poche ore prima. 

"A che pensavi?" domandai, allungando una mano sulle sue, fermando i suoi movimenti nervosi. 
Eren mi fissò e schiuse le labbra per rispondere alla mia domanda ma non fece in tempo a dire nulla che entrarono le prime mamme con i loro bambini. 
Sospirai frustrato e mi alzai per raccogliere le banconote all'entrata. Molti clienti non si aspettavano che avremmo aperto stamattina ma fu bello vedere lo sguardo felice dei bambini che potevano farsi il bagno.

Io ed Eren non riuscimmo a parlare seriamente per tutta la mattina. Non volevo iniziare un discorso che poi avrebbe dovuto bloccarsi per qualsiasi motivo. Ogni tanto lo guardavo, cercando di rassicurarlo ma probabilmente riuscivo solo a spaventarlo per colpa della mia solita espressione tetra. 

Poi arrivò la pausa pranzo. Sentivo la tensione nell'aria. Ero certo che entrambi sapessimo di cosa dovevamo parlare. 

"Andiamo dentro?" proposi, indicando con un movimento della testa lo sgabuzzino. Eren si limitò ad annuire. 

Camminai davanti a lui, sentendo il suo sguardo bruciare sulla mia schiena. 
Aprii la porta ed entrai per poi sedermi contro il divanetto, poggiando la schiena contro un bracciolo. Eren si mise davanti a me, le nostre gambe che si toccavano, i brividi lungo la mia pelle e la voglia di annullare la distanza per baciarlo tutto il pomeriggio. Da quando ero così sentimentale? 

Mi ricordai quella volta in cui avevamo fumato assieme. 

"Hai pensato a stanotte, vero?" domandai, sollevando un sopracciglio. 

Eren si morse il labbro inferiore e annuì dopo qualche secondo, non riuscendo neanche a guardarmi. Eppure sapeva essere così sicuro di se certe volte, cosa lo spaventava ora?

"Ho paura, Levi, sono così spaventato da quello che sono. Voglio piacerti, seriamente, voglio piacerti per quello che sono", mormorò con la voce che gli tremava. 

Questo ragazzo era così fragile e non sapevo nemmeno il vero motivo dei problemi che si portava dietro. Sentivo il cuore spezzarsi per il modo in cui mi aveva detto di aver paura. 

"Non devi averne perché mi piaci per come sei", dissi, cercando di aprirmi il più possibile con lui. Ne aveva bisogno. 

I suoi occhi verdi si incatenarono ai miei. Notai che fossero lucidi e sentii l'impellente bisogno di abbracciarlo. 

"I-io non lo so, davvero. Vorrei essere più sicuro di me e non darti fastidio ma è più forte di me. P-potresti stancarti di me e tu mi piaci così tanto..." 

Mi morsi l'interno della mia guancia e mi sporsi verso di lui, afferrando le sue mani tremanti e stringendole fra le mie. 

"Eren cazzo, mi piaci anche tu. Mi piaci sul serio. Mi piaci tantissimo e non mi è mai piaciuto nessuno in questo modo. Anzi in nessun modo", dissi sinceramente e tutto d'un fiato per far sì che non mi bloccassi. Eren sgranò leggermente gli occhi e un piccolo sorriso si formò sulle sue labbra morbide. 

"Pensiamo al presente e a goderci ogni momento, okay? Voglio conoscerti meglio e voglio starti vicino per quello che sei", ripresi, avvicinandomi ancora di più, ingarbugliando maggiormente le nostre gambe. 

"Si, hai ragione", sospirò Eren e iniziò ad accarezzare le mie dita, facendomi fremere letteralmente due secondi dopo. Mi accarezzò le braccia e io lo guardai senza essere in grado di dire nulla. Volevo baciarlo. 

Mi sporsi e feci unire le nostre labbra delicatamente. Serrai gli occhi e portai le mani sulle sue guance, accarezzandole con i miei pollici. 
Avvolsi la sua bocca con la mia, baciandolo lentamente, facendogli capire anche in quel modo quanto tenessi a lui nonostante ci stessimo conoscendo. Inclinai il viso di lato, riuscendo a muovere con più precisione le mie labbra, guidando anche lui nel bacio finché non schiusi la bocca sulla sua. 
Ci baciammo piano, senza aumentare il ritmo, godendoci a pieno ogni istante del nostro contatto. Non ero abituato a qualcosa del genere. Potevo sentire dei brividi lungo la mia schiena per le emozioni che stavo provando. 

Feci scivolare le mani sul suo corpo e lo attirai a me, facendolo mettere fra le mie gambe. Eren strinse le mie spalle fra le sue dita e continuò a baciarmi, avvolgendo le mie labbra con le sue, dannatamente morbide. 

Finalmente la mia lingua avvolse la sua ed entrambe si intrecciarono assieme. Nessuna dominava l'altra, fu un incontro delicato come il resto del bacio. 

Quando mi staccai non riuscii a non sorridere, costringendo Eren a fare la stessa cosa. 

"Sei molto più bello quando sorridi", mormorò contento, avvolgendo le braccia attorno al mio collo, sedendosi su una mia coscia. 

Alzai gli occhi al cielo, sentendomi imbarazzato per quel complimento. 

"Non abituarti troppo, Jaeger", dissi, pizzicandogli un fianco dato che avevo portato le mani in quel punto. 

"Non lo farò così sarà sempre una sorpresa il tuo sorriso", sospirò estasiato per poi baciarmi una guancia teneramente. Questo ragazzo sarebbe stata la mia morte. 

"Non dire cose così sdolcinate", borbottai, sollevando lo sguardo sul soffitto mentre Eren scendeva con la sua bocca sul resto del mio corpo, baciando il mio collo. Era così piacevole. 
Le sue mani si infilarono fra i miei capelli mentre si soffermava su un punto, baciandolo ripetutamente prima di mordicchiarlo. 

"E perché?" Sussurrò, non sembrando nemmeno lui con quel tono seducente che aveva usato. 

"Perché si."

Morse più forte la mia pelle, facendomi mugolare e poi gemere quando la succhiò con decisione. Dio, mi sentivo così sensibile in quel momento. 
Gli strinsi i fianchi con le mani e schiusi le labbra, godendomi il movimento della sua lingua umida sul mio collo, proprio in quel punto che aveva succhiato. 

"Ti piacciono e non vuoi ammetterlo", riprese, baciandomi fino alla spalla coperta dalla maglietta. Una sua mano abbassò il tessuto per lasciare un bacio bollente sotto di esso. I suoi occhi verdi mi fissarono, un leggero luccichio in essi. Era del desiderio? Lussuria? 

"Dobbiamo tornare a lavoro", mormorai, cercando di non pensare a cosa avrei potuto fargli su quel divano. 

Eren non rispose e si sporse nuovamente verso di me, baciandomi di sua spontanea volontà. Non che mi dispiacesse. Chiusi gli occhi e ricambiai, avvolgendo la sua bocca morbida con la mia per qualche secondo, pigramente. 

Mi stavo abituando a questo. Immaginavo di poter stare a letto con lui, a baciarlo e a parlare di tutto e nulla. 

"Andiamo, allora", sussurrò contro le mie labbra, facendomi venir voglia di rimanere lì e mandare a quel paese il lavoro. 

Lo feci scostare dal mio grembo e mi alzai, sistemandomi i vestiti prima di uscire fuori dallo stanzino. 

Per il resto delle ore non ci toccammo più ma potevo sentire i suoi sguardi carichi di aspettativa su di me. Volevamo la stessa cosa: stare da soli. 

Quando gli ultimi bambini andarono via mi lasciai sfuggire un sospiro. Mi sentivo esausto per colpa delle poche ore di sonno. La testa mi faceva male e volevo solo dormire, magari fra le braccia di Eren. 

Sistemai le sdraio assieme a lui e quando finimmo mi ritrovai al suo fianco. Il suo sguardo sembrava voler dirmi qualcosa così schiusi le labbra per chiedere. 
Esattamente due secondi dopo mi baciò e fu totalmente diverso da prima. Le sue mani afferrarono i miei fianchi, attirandomi a se, muovendo la bocca sulla mia come se ne andasse della sua vita. 
Mugolai contro le sue labbra e avvolsi le braccia attorno al suo collo. Era più alto di me di ben dieci centimetri. 
Intrecciai le dita ai suoi capelli, lasciandomi andare a quel bacio intenso, frettoloso e pieno di inesperienza. Eppure questo lo rendeva più eccitante. Sapere di essere il suo primo. Cazzo. Adoravo l'idea. 

Gli tirai i capelli e gli feci schiudere le labbra per infilare la lingua nella sua bocca con poca grazia. Avvolsi la sua, dominandola, non ero certamente qualcuno da sottomettere. 
Mi staccai per prendere fiato ma dopo pochissimi istanti mossi la mia lingua sulla sua, le nostre labbra che non si toccavano ancora. Avvolsi le mie attorno alla sua lingua, succhiandola, facendolo gemere teneramente. 

Le sue dita scesero verso il basso, sul mio fondoschiena. Ridacchiai, scostandomi dal suo viso. 

"Calma gli ormoni", lo presi in giro, rendendo le sue guance rosse. 
Era stato eccitante, dovevo ammetterlo, avrei voluto continuare ma non mi sembrava il caso in piscina.

"Ti va di uscire questo sabato?", domandai. 

Eren sorrise ampiamente, staccando le mani dal mio corpo. 

"Si, sarebbe fantastico", mormorò sinceramente felice e non potei non sorridere a mia volta. 

Cosa mi stava facendo questo ragazzo?

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