BON: Because Of Nels

di Naomy93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Cesare ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Dario ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Tonno ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Frank ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Nicolas ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Cesare ***


 

Cap 1: Cesare

 

Cesare aveva circa cinque anni quando capì che non sarebbe più stato il preferito di mamma e papà. Claudio, il suo fratellino, aveva appena compiuto il suo primo anno di vita e tutti gli occhi erano puntati su di lui. Anche quelli della sua sorellona, la stessa che gli diceva sempre di odiarlo, e che in quel momento girava attorno al piccolo festeggiato riempiendolo di baci.

Cesare non capiva perché odiasse solo lui e non Claudio.

<< Lui è più carino di te! >> gli aveva detto con tutta la noncuranza (e la cattiveria) di una bambina di otto anni, a cui poco importava dell’effetto che potevano avere le sue parole sul fratello che, anni prima, le aveva privato le attenzioni di mamma e papà alla stessa maniera in cui Claudio stava facendo con lui.

Forse furono quelle parole a far diventare Cesare un bambino insicuro, convinto che suo fratello lo avrebbe superato in qualsiasi cosa, da quel momento in poi.

Più attenzioni da mamma e papà.

Giochi più belli dei suoi.

L’affetto della sorella che lui non è mai riuscito a conquistarsi.

Sarà sempre il fratello più carino.

E se chiunque fosse stato meglio di lui, e non solo Claudio?

Sorrideva Cesare, anche se sentiva il mondo crollargli addosso. Sorrideva e cantava Tanti auguri assieme a quella piccola folla radunata attorno al suo fratellino urlante, troppo piccolo per capire cosa gli stesse accadendo.

Solo, nella folla troppo distratta per notare un bambino di cinque anni che cantava, sorrideva, e piangeva nello stesso momento.

<< Non piangere, è solo una festa di compleanno! Passerà presto, vedrai! >>

Quella frase gli arrivò a malapena alle orecchie, e a Cesare sembrò quasi di averla immaginata.

Eppure non era così.

Al suo fianco c’era un altro bambino occhialuto mai visto prima.

<< Non sto piangendo! >> si affrettò ad asciugarsi il volto, mentre il bambino occhialuto lo guardava poco convinto.

<< Cavolo, anche a me fanno schifo le feste, ma non mi metto a piangere per questo! >>

<< Ti ho detto che non sto piangendo, vattene! >>

Cesare non capiva perché quel bambino non fosse tra gli adulti ad abbracciare e festeggiare Claudio.

Che ci faceva lì, vicino a lui?

Lo aveva visto piangere e voleva prenderlo in giro, ecco perché.

<< No dai, giochiamo insieme! >> sorrise il bambino tirando fuori dalle tasche le sue carte pokemon << Guarda, ho un mazzo pieno di doppioni! Hai un pokemon erba che vuoi scambiare con uno acqua? >>

Lo sguardo stupito di Cesare, però, sembrò demoralizzare l’altro, infatti, passò presto da un sorriso genuino ad uno imbarazzato.

La verità era che Cesare non si sarebbe mai aspettato di trovare qualcuno lì dentro desideroso di passare del tempo con lui e non con Claudio.

Aveva soltanto cinque anni ed era già convinto che qualsiasi cosa o persona al mondo fosse meglio di lui.

Trovare qualcuno che lo preferisse a tutto il resto fu una gioia tanto grande che, più avanti, negli anni, avrebbe considerato quello il suo primo vero ricordo felice.

 

<< Come ti chiami? >>

<< Sono Nelson! >>

<< Io sono Cesare! Sei il nuovo figlio di mio zio? >>

<< Si, lui e la mia mamma stanno insieme! >>

<< Figo, allora siamo cugini! >>

 

 

 

 

 

Ti ho conosciuto quando il mio piccolo mondo stava cadendo a pezzi.

Adesso il mio mondo gira attorno a te, che io lo voglia o no.

Che io lo ammetta o no.

 

 

 

<< Cazzo Nelson, sei insopportabile! >>

<< Io sono insopportabile? >>

<< Si, tu e quella fottuta fotocamera che ti ostini a voler portare in giro per filmare il solo Dio sa cosa! >>

Nelson sbuffò mettendo giù la fotocamera, poco desideroso di inserire nei suoi vlog i momenti in cui lui e Cesare litigavano. Cosa che in quel periodo accadeva più del solito.

Dall’altra parte Cesare si era stufato dell’egocentrismo di Nelson e della continua insistenza nel filmare le sue giornate.

Non che non lo trovasse divertente. Cioè, vedere Nelson girare per la città mentre parlava a vuoto ad una fotocamera, guadagnandosi le prese in giro e le occhiatacce della gente per strada, era una delle cose più esilaranti del mondo.

Ma c’era un limite.

Al contrario di come si era aspettato, Nelson, nel suo piccolo, grazie ai vlog, era diventato abbastanza conosciuto a Bologna, e di conseguenza lo era diventato anche Cesare.

Il problema era quello.

Cesare era conosciuto come:

Il cugino di Nelson.

L’amico di Nelson.

Quello che sta nei vlog con Nelson.

Probabilmente, uno di quelli che si fa Nelson.

Non gli piaceva che la gente lo venisse a cercare sul posto di lavoro (perché grazie ai vlog avevano capito dove stanarlo), a chiedergli di tutto e di più, e soprattutto ad infastidirlo.

Proprio quel giorno il capo aveva notato quanta gente entrasse al cinema solo per parlare con lui e non per comprare popcorn e biglietti, quindi Cesare si era dovuto subire una ramanzina immeritata, scusarsi, e sopportare l’umiliazione di chi lo apostrofava come: La star dei poveri.

Non era la prima volta che rischiava il posto di lavoro a causa dei vlog di Nelson, e dopo una giornata come quella l’ultima cosa che avrebbe voluto vedere era proprio Nelson, all'uscita, armato di fotocamera.

Peggio ancora che lo riprendesse urlando: << CIAO CESI! >>

Il litigio era inevitabile.

<< Questo è un mio progetto, ci guadagno per vivere! Sembra che tu non lo sappia! >> diceva Nelson spegnendo definitivamente quell'aggeggio infernale.

<< Senti, non mi interessa se è un progetto, un lavoro, un divertimento, o quel che cazzo è! So soltanto che oggi ho rischiato il lavoro per l’ennesima volta a causa di questa storia dei vlog e… Nelson, anche io ho bisogno di lavorare, il mio lavoro mi fa guadagnare per vivere e non pesare economicamente sui miei! Lo capisci? >>

Nelson lo guardava come se lo avesse appena incolpato di ogni disgrazia capitatagli nella vita, cosa che forse Cesare aveva un po’ lasciato intendere, senza volerlo.

<< Non ti sei mai lamentato di apparire nei miei vlog! >>

<< Tu non me lo hai mai chiesto, però! >>

<< Eri consapevole che sarebbe stato tutto di dominio pubblico! Non ti ho costretto, non hai il diritto di accusarmi!>>

Forse era quella calma indifferente mostrata da Nelson o la fastidiosa ingenuità con cui proprio non capiva perché stessero litigando, fatto sta che Cesare non riuscì più a trattenersi e gli sbottò contro definitivamente:

<< Perché ero sicuro che non ti avrebbe cagato nessuno e avresti mollato questo progetto come il resto delle cose che fai e non porti mai al termine! >>

Si era pentito subito dopo aver pronunciato l’ultima parola, ma non aveva altro da dire a quella persona da sempre parte, se non ragione, delle poche cose belle che ricordava della sua infanzia.

E Nelson accusò il colpo.

Di certo non si sarebbe mai messo ad urlargli contro, non era da lui. Nelson manteneva la calma di fronte alla persona con cui si scontrava, poi, quando si ritrovavano da soli, Cesare teneva il conto delle parolacce che uscivano da quella bocca nelle ore successive.

Ma in quel momento era lui la persona a cui sarebbero state rivolte le prossime parolacce, e non sarebbe rimasto lí a contarle.

<< Dovevo dare retta a Tonno e uscire con lui questa sera! >>

<< Allora vai da Tonno, rovina la sua di serata! >>

Si erano lasciati così, ognuno dritto per la propria strada, in direzioni opposte.

Quando Cesare tornò a casa i suoi erano già a letto e gli unici in piedi erano Claudio, intento a scofanarsi gli avanzi della cena, quelli che sicuramente i loro genitori non avevano lasciato per lui, e il piccolo Chewbe speranzoso di ricevere qualche boccone.

Cesare si ritrovò a comprendere la bestiola.

<< Vuoi divorare anche la teglia già che ci sei? >> domandò mettendo una padella sul fuoco e tirando fuori una fetta di carne dal frigo.

Claudio terminò senza rispondere, lanciando l’ultimo pezzo di carne a Chewbe.

Il piccolino riuscì a mangiarla, nonostante avesse ancora pochi denti, e sembrò anche soddisfatto.

<< Cos'hai fatto, Cesu? Sembra che ti abbiano ammazzato il gatto! >>

Per una qualche malsana ragione, Cesare aspettò di sentire Matisse miagolare dal salotto a fianco prima di rispondere.

<< Ho avuto una brutta giornata! >>

<< Lo immaginavo! Che è successo? >>

<< Non sono affari tuoi, Clà! Vai a dormire, domani devi andare a scuola! >>

Per tutta risposta, Claudio si sedette al tavolo pronto a consumare la parte di dolce (non sua) che aveva preso vicino al piano cottura.

<< Dai, sei sempre di cattivo umore in questi giorni! Mi fai preoccupare! >>

<< Certo, come no! >>

Sapeva che suo fratello non stava mentendo, si preoccupava davvero per lui.

Da qualche giorno aveva preso ad aspettarlo in piedi fino a tarda serata, anche solo per chiedergli come fosse andata la giornata, nonostante i loro fossero contrari a questa abitudine.

Ma Claudio aveva sempre ottenuto qualsiasi cosa. Non aveva mai dovuto sudare per ottenere consensi dai loro genitori.

E Claudio voleva bene a Cesare, era abbastanza intelligente da capire quanto si sentisse oscurato da lui agli occhi della famiglia.

A Claudio non era mai piaciuto sentirsi dire che era la versione bella di Cesare.

La versione intelligente di Cesare.

<< Hai discusso con Nelson? >>

<< Io discuto sempre con Nelson! >>

Detto ciò, Cesare mise la sua fetta di carne sul piatto e iniziò a mangiarla, senza nemmeno aspettare che si freddasse.

Voleva solo mangiare e andare a dormire. Punto.

<< Se è per i vlog, guarda che sono una figata! Non hai motivo di essere arrabbiart… >>

<< MA PORCA PUTTANA! >>

Posate e piatti vennero scagliati via, facendo sobbalzare per la paura Claudio e chiunque si trovasse in casa.

Cesare uscì in fretta, ignorando i richiami da parte della famiglia, e andò via in sella alla sua moto.

Non sapeva dove andare, ma qualunque posto lontano da casa sarebbe andato bene.

Si sarebbe scusato con tutti in seguito, quello, però, non era decisamente il momento di avere gente apprensiva attorno.

Di solito, quando stava così, la meta era l’appartamento di Nelson, o casa di Tonno, ma entrambe le opzioni non erano fattibili per ovvie ragioni.

Soltanto quando decise di fermarsi a prendere una birra ad un distributore automatico, e bevve i primi sorsi, iniziò a rimuginare come si deve sulla discussione avuta con Nelson.

Si domandò come gli fosse saltato in mente di parlagli in quella maniera e offenderlo senza pensarci un attimo.

Poi si disse che non era solo colpa sua, perché, nonostante le buone intenzioni, Nelson non aveva mai chiesto il suo parere riguardo ai vlog.

E poi si diede comunque dell’idiota, perché si.

Anche perché pochi minuti più tardi gli arrivarono degli audio da parte di Tonno e Fede contenenti dieci minuti a testa di parolacce vomitate da Nelson contro di lui, con tanto di messaggi: “Sono arrivato a contarne 57, poi ho perso il conto!”

Mi sa che Chicco è un tantino arrabbiato con te!”

Gli mandarono altri audio sporadici in cui Nelson continuava a borbottare come una caffettiera rotta, ma preferì non dargli importanza, e dirgli di avvisarlo quando lo avrebbero riportato a casa.

Si, Cesare aveva deciso che avrebbe chiarito immediatamente con Nelson e ci avrebbero dato in fretta un taglio.

Mentre la questione era ancora risolvibile.

Non ci pensò un attimo, quando Tonno gli diede il via libera, a raggiungere l’appartamento di Nelson e appendersi al citofono come se non ci fosse un domani.

<< Che cazzo fai, Tonno?! Sveglierai tutto il palazzo, smettila! >> gli rispose abbastanza seccato.

<< Sono Cesu! >>

Cesare non udì altro, solo un sospiro.

<< Cosa vuoi? >>

<< Che fai? Non apri? >>

Tirò un sospiro di sollievo sentendo il portone aprirsi.

Almeno non lo aveva lasciato fuori.

Le scale verso l’appartamento di Nelson furono tra le più difficili che Cesare salì fino a quel momento della sua vita.

E Nelson era lì, davanti alla porta ad aspettarlo. Con ancora indosso l’abbigliamento di chi era pronto ad uscire.

Non gli aveva dato nemmeno il tempo di cambiarsi, si era fiondato là alla velocità della luce.

Quando si ritrovarono faccia a faccia, Nelson si spostò per farlo entrare e agli occhi di Cesare non sfuggì il cambiamento radicale che aveva fatto al suo salotto.

Sembrava fosse scoppiata una bomba, come sempre, ma sembrava avere una sorta di senso.

Aveva spostato tutto ai lati e in fondo c’erano il divano e tre pannelli bianchi a cui erano poggiate due piccole librerie vuote.

<< Che hai fatto al salotto? >> ha chiesto genuinamente, senza riuscire a trattenersi.

Nelson alzò le spalle.

<< È per un progetto! >>

<< Per i vlog? >>

Si guardarono, ma Cesare distolse subito lo sguardo.

<< Ci farò anche dei vlog, si! >>

Non si dissero nulla per qualche secondo, continuando a fissare quel disordine, almeno fino a quando Cesare non decise di prendere un bel respiro e parlare.

<< Senti, per quello che ho detto prima… >> parlava continuando a fissare il salotto << Non lo penso sul serio! >>

<< Ah no? A me sembravi abbastanza convinto! >>

<< Ero incazzato, Nels! >>

Si girò a guardarlo, ma Nelson continuava a fissare il salotto con l’aria di chi non sapesse neanche perchè ci fosse tutto quel disordine, o a cosa servisse.

<< Nelson… >> tentò di chiamarlo.

<< Hai ragione sul fatto che avrei dovuto chiederti se ti andasse di apparire nei miei vlog! Riprendo la mia vita, permetto alle persone di farsi gli affari miei, mi sarei dovuto chiedere se a te, a Tonno, o a Fede andasse altrettanto bene! In effetti, ho corso il rischio di perdervi tutti per questa stronzata! >>

<< Non è una stronzat… >>

<< Sai qual è il problema, però? >> lo ha interrotto girandosi a guardarlo << Che io in quella stronzata ci credevo perché ero convinto che voi ci credeste quanto me! O almeno, che foste dalla mia parte in ogni caso! >>

Cesare avrebbe soltanto voluto urlargli di smetterla di dire cazzate. Si stava costruendo convinzioni sbagliate a causa di parole pronunciate per rabbia.

<< Io sarò sempre dalla tua parte! >> riuscì soltanto a dire << Mi dispiace! >>

Nulla di più.

<< Va bene così! >>

No che non andava bene, Cesare si sentiva una merda e sapeva che le cose da dire erano tante, ma erano anche troppe, e lui non riusciva ad articolare un discorso sensato nella sua stupida mente confusa.

<< Non piangere, non è successo nulla! >> gli sorrise Nelson stupendolo.

<< Non sto piangendo! >>

Quando si portò la manica della maglia agli occhi, e si accorse che invece stava piangendo eccome, si affrettò ad asciugarsi il volto.

<< Non sto piangendo! >> ripeté.

Cesare, per un secondo, sentì di avere di nuovo cinque anni.

Ma Nelson non lo ascoltò, affrettandosi a trascinarlo all'interno del salotto e a mostrargli i suoi appunti.

<< Mi serve il tuo aiuto, ho in mente un nuovo progetto a cui devi assolutamente prendere parte! >> disse girando alcuni fogli.

Però si bloccò immediatamente.

Sembrava combattere una lotta interna.

<< Voglio dire… >> riprese << Ho un nuovo progetto in mente che prenderà forma da questo salotto! Ne ho già parlato con Tonno, ma vorrei sapere cosa ne pensi tu e se vuoi farne parte! >>

Fu in quell'istante che a Cesare venne finalmente da sorridere, e non ci pensò un attimo a buttarsi sul divano dicendo: << Sono tutt'orecchi! >>

 

Cesare perse il lavoro circa un paio di settimane dopo aver litigato e fatto pace con Nelson. La cosa lo fece stare parecchio male, inizialmente, però subentrò presto l’impegno per il nuovo progetto in cui era stato trascinato da Nelson con: Allestimenti, stesure di testi, acquisti di nuove attrezzature per le riprese, e tante, tante, davvero tante, riunioni con quelli che sarebbero diventati i suoi compagni nell'avventura che era Youtube.

Non aveva più tempo per sentirsi un fallito.

<< È arrivato il Cesu! >> urlò Tonno non appena lo vide varcare la porta dell’appartamento di Nelson.

Il salotto, da prima devastato, era diventato a tutti gli effetti un set completo di attrezzature e mobilio.

Nelson era seduto al tavolo di fronte ad armeggiare con il microfono.

<< Dove sei stato? Ti aspettiamo da un po’! >> gli chiese.

<< Sono andato a comprare qualche cianfrusaglia da mettere nel set! >>

<< Ah, grande! Cos'hai preso? Fai vedere, fai vedere! >>

Tonno si impossessò subito della busta e iniziò a tirare fuori il contenuto, mentre Nelson non perse tempo ad afferrare la fotocamera per registrare, ma sembrò titubante quando fece per puntarla su Cesare.

Cosa che a lui non sfuggì.

<< Non registrarmi il pacco, alza l’inquadratura! >>

<< Tanto hai la faccia da cazzo, non cambia molto! >>

Nelson venne colto di sorpresa nel sentire la mano di Cesare, sotto le sue, spingere la fotocamera verso l’alto, all'altezza del viso.

<< Ohh, guarda che bello che sono! >>

Sorrideva.

 

<< Ciao Cesi! >>

<< Ciao Nelson! >>








Piccolo angolo dell'autrice

Salve, mi chiamo Noemi e mi diletto nella scrittura. 
Sono nuova nel fandom, ma non è la prima volta che scrivo su persone realmente esistenti. 
E nulla... Adoro i ragazzi e non ho resistito a scriverci sù qualcosa. Prendetela come un esperimento.
La fanfict è praticamente terminata, dato che devo scrivere gli ultimi due capitoli, ma mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni e se avete consigli da darmi. 
Grazie a chi commenterà e anche chi leggerà soltanto. 
A presto. :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Dario ***


Capitolo 2: Dario

 

Quando consigliarono a Dario per la prima volta di farsi vedere da qualcuno bravo, non ci diede molto peso.

Si scherzava tra amici, nessuno parlava sul serio.

Anche lui non era serio quando confessò che non vedeva l’ora di tornare a casa per scendere nello scantinato e impiccarsi con la cintura.

Forse un po' più serio lo era stato suo fratello dopo aver bloccato il suo tentativo di tirargli un pugno con fin troppa forza per essere soltanto un gioco.

Decisamente non scherzava sua madre mentre gli domandava perché non frequentasse più le lezioni all'università e che cosa fossero quelle strane pasticche nascoste nei suoi cassetti. 

<< Mi fanno sentire meglio quando mi domando che cosa abbia fatto di male per meritarmi di vivere in questo mondo di merda! >> le rispose con un’indifferente alzata di spalle.

Fu il vedere sua madre in lacrime che spinse Dario a farsi qualche domanda su cosa stesse facendo, e se volesse davvero trascinare anche lei in quella voragine di odio nei confronti di se e degli altri.

<< Hai considerato sul serio l’idea di parlare con uno psicologo? >>

Dario alzò lo sguardo dalla bottiglia mezza vuota di birra, puntandolo sul suo amico Luca.

Beh, chiamarlo amico era un po' troppo.

Diciamo che Luca era quella persona, di qualche anno più grande, conosciuta tramite altri amici, forse in una delle tante bevute di cui non ricordava com'era andata a finire, e che in un modo o nell'altro, ci si trovava spesso a conversare.

A dirla tutta, non sapeva nemmeno perché gli stava parlando di come la sua vita stesse andando a rotoli.

Era già ubriaco alla prima birra, o forse necessitava di qualcuno estraneo alla sua famiglia che lo ascoltasse senza farlo sentire in colpa.

<< Sono un caso perso, ormai! >> bevve l’ennesimo sorso << Devo solo farmene una ragione e tirare avanti con la consapevolezza che farà schifo in qualsiasi modo io la viva! >>

<< Cazzo, amico, è proprio una brutta storia! >>

Luca si poggiò allo schienale della sedia e afferrò il suo boccale cercando di non ridere.

<< Ero venuto qui per farti una proposta di lavoro, in verità, ma… insomma, uao! >>

Mandò giù un quarto del suo boccale tenendo d’occhio Dario e la sua totale indifferenza a ciò che gli aveva appena detto.

Guardava il nulla davanti a se con l’aria distratta di chi aveva spento il cervello già da un po’.

<< Mi ricordi tremendamente una persona! Voi depressi siete tutti uguali, come cazzo fate? >> stavolta rise senza nasconderlo << Sembra che vi trovi come l’ago nel pagliaio, mi domando se non sia io quello ad avere problemi in realtà! >>

Dario rispose con un sorrisetto forzato. Non tanto perché non capisse cosa ci fosse da ridere, ma per il fatto che lo avesse etichettato come un depresso.

Non gli piaceva quel termine, se ne abusava troppo in quei tempi.

Preferiva definirsi un: Insoddisfatto.

<< Ad ogni modo, non so se lo sai, ma io lavoro per una radio locale e abbiamo bisogno di uno speaker! >> riprese a parlare Luca dopo aver fatto fuori la sua birra in un paio di sorsi e averne ordinata un’altra.

Dario pensò che se lui dovesse avere un problema, di certo non era legato soltanto alla depressione.

<< E io cosa c’entro con una radio? >>

<< C’entri, caro mio! Hai la voce che ci serve! >>

<< Non credo! >>

Luca batté il boccale sul tavolo con forza, facendolo sobbalzare.

<< Ascoltami, non mi interessano le chiacchiere, ti sto offrendo un lavoro e voglio che lo accetti! >>

<< Ma sei impazzito? >>

<< Oh, fanculo… >>

Alla destra di Dario scivolò il biglietto da visita con su scritto un numero e il luogo in cui si trovava la radio.

<< Ti aspetto domani pomeriggio alle quattro in punto, vedi di non mancare! >>

E se ne andò senza dire altro, sfilando dalle mani della cameriera il boccale che gli stava portando.

L’istinto di Dario fu quello di accendersi una sigaretta e poi spegnerla su quel biglietto lasciatogli con tanta arroganza e pretese.

Si mise la sigaretta tra le labbra, ma la voce della coscienza, tremendamente simile a quella di sua madre, gli domandò se fosse la mossa giusta da fare prima che tirasse fuori l’accendino.

Era giusto rifiutare un lavoro che veniva a cercare lui e non il contrario?

Era giusto accendere quella sigaretta?

Mise via la sigaretta con uno sbuffo scocciato e afferrò il biglietto per segnare il vari dati sul cellulare, perché sapeva che avrebbe perso quel cartoncino inutile da lì a poco e non voleva pentirsene dopo.

 

Il giorno dopo non disse nulla a nessuno di quella nuova, possibile, occupazione in radio. Semplicemente, disse a suo fratello di avvisare i loro che si trovava fuori e non sapeva se avrebbe fatto tardi.

Lui gli chiese dove stesse andando, ma Dario lo ignorò chiudendosi la porta di casa alle spalle.

Suo fratello non si era mai interessato alla sua vita, di certo non gli avrebbe permesso di farsi gli affari suoi solo: perché aveva capito di avere un fratellino in difficoltà.

Raggiunse l’indirizzo che si era segnato la sera precedente da quel biglietto, ovviamente perso chissà dove e in quale momento della serata, ed entrò nello stabile guardandosi attorno.

Quella doveva essere una sorta di reception, però al tavolo non c’era nessuno a cui fare domande.

Forse era il karma. Forse era ancora in tempo per ripensarci e andare via, magari era davvero una pessima idea, oppure...

<< Ciao, ti sei perso? >>

Dario si voltò verso la voce, trovandosi davanti un tipo dalla capigliatura ribelle e che indossava un paio di occhiali più grandi del suo viso. Probabilmente suo coetaneo.

Gli sorrideva apertamente, quasi felice di vederlo.

<< Ehm, no… Sto cercando Luca, è un ragazzo che lavora qui! Ieri sera abbiamo parlato e mi ha offerto un posto da speaker! >> disse cercando di mettere assieme una frase di senso compiuto.

Avrebbe voluto dire altro, ma vedere il sorriso felice del tipo diventare una smorfia di sdegno non lo aiutò per nulla.

Anzi, riuscì soltanto ad emularlo e guardarlo a sua volta sdegnato.

<< Ah, quindi sei tu quello nuovo! >>

Il tipo lo squadrò dalla testa ai piedi con aria di sufficienza, e Dario sentiva già le mani prudere.

Se non avesse smesso immediatamente di guardarlo in quel modo, gli avrebbe preso la testa e gliel'avrebbe ficcata giù nel primo water che gli sarebbe capitato a tiro.

<< Ah, vi state conoscendo! >>

Luca arrivò dal corridoio dando una pacca sulla spalla ad entrambi.

<< Sei in anticipo, Dario, non me l’aspettavo! >> sorrise.

<< Beh, non mi hai lasciato molta scelta! >>

<< Potevi scegliere di non farti vedere! >> disse il tipo sottovoce, ma a Dario non sfuggì assolutamente.

Fece per chiedergli se avesse qualche problema con lui e di risolverla fuori, ma Luca li trascinò all'interno di uno studio di registrazione dicendo che avrebbero fatto meglio a presentarsi lì.

<< Lui è Nelson, lavora con noi da un anno, ormai, e conduce il programma Twitterland che va in onda nella fascia oraria pomeridiana! >>

Luca parlava praticamente da solo.

I due si fissavano quasi pronti a saltarsi alla gola in qualsiasi momento.

Il che era davvero strano per Dario. Non il fatto che gli stesse antipatico qualcuno a pelle, quello succedeva sempre, era come la sua mente e il suo corpo stessero reagendo a quell'antipatia.

Gli dava tremendamente fastidio vedersi squadrato da quegli occhi da talpa come fosse un insetto da schiacciare sotto a una pantofola, e le sue mani smaniavano dal desiderio di picchiarlo.

Quando qualcuno non gli andava a genio tendeva ad ignorarlo, dato che non avrebbe mai avuto la pazienza e la voglia di litigare. Era il suo modo di essere, meno rogne significava anche meno guai.

Tuttavia, quel Nelson lo stava facendo imbestialire come non gli succedeva da tempo.

Forse, fin troppo tempo.

<< ...quindi, per adesso lavorerete insieme! >>

Alla fine della frase i due si voltarono verso Luca, ricordandosi che c’era anche lui.

Lavorare insieme?

Dario non voleva lavorare con quella talpa superba, sarebbe finita male ancora prima di iniziare.

<< Luca, posso parlarti un attimo, da solo? >> gli chiese seriamente Nelson guardandolo.

<< D’accordo, ma soltanto un attimo! >>

A Dario venne detto di aspettare lì, e quando rimase da solo non poté fare a meno di massaggiarsi una tempia dolorante, domandandosi chi glielo stesse facendo fare.

Ancora non capiva come quel tipo fosse riuscito a farlo innervosire in quella maniera con un semplice sguardo, nemmeno gli avesse insultato la madre, ma la sua vita faceva già abbastanza schifo e non aveva bisogno di qualcuno che gliela rendesse peggiore. Per quello, non appena si riprese, decise di uscire e raggiungere Luca e la talpa per dirgli che mollava da subito.
Ne andava della sanità di quella piccola parte rimasta buona del suo fegato.

Aprì la porta ascoltando il punto della discussione a cui erano arrivati:

<< Nels, se non sai condividere gli spazi, non è colpa mia! Ho bisogno di un secondo speaker, che ti piaccia o no! >

<< Non hai bisogno di un secondo speaker, lo vuoi assumere per rimpiazzarmi! >>

<< Ti avevo già avvertito che sarebbe stato un lavoro breve! >>

<< Quindi ho ragione? Vuoi sostituirmi? >>

Luca lo guardò dritto in faccia.

<< Non dipende da me, posso soltanto farvi lavorare insieme! >>

<< Perché non vado bene? Cos'è che sbaglio? Dimmelo, posso rimediare!>> diceva agitato << Luca, per me tutto questo è importante, davvero, io… io… >>

<< Nelson, basta! >>

Nelson aprì la bocca, come per dire ancora qualcosa, però ci rinunciò.

<< D’accordo! >> abbassò lo sguardo rassegnato.

<< Nels, per favore, sii gentile con lui! >>

<< Certo! >>

Nel rispondere, Nelson scostò malamente Luca per passare.

Dario li vide incamminarsi verso lo studio, quindi dovette allontanarsi dalla porta e aspettare che rientrassero.

Guardò sottecchi Nelson per tutto il tempo che Luca impiegò a spiegare loro come si sarebbe dovuta svolgere la prima puntata in coppia del programma, aspettando che andasse via prima di provare a parlargli.

Da quel poco che aveva udito dalla conversazione precedente, era stato chiamato lì per togliere il lavoro a quel ragazzo, un lavoro che evidentemente gli piaceva tanto fare, e per chissà per quale ragione, Dario riuscì a mettersi nei suoi panni e a dirsi di non poterlo biasimare, comportamento infantile a parte.

<< Ehi, ascolta… >> cercò di attirare l’attenzione di Nelson quando lo vide sedersi nell'attesa che gli dessero il via.

<< Senti, mi dispiace per il mio comportamento, vuoi lamentarti? >> lo frenò, sbottando << Puoi lamentarti dopo, adesso stiamo per iniziare, ok? >>

Nessuno avrebbe tolto dalla testa di Dario che quella talpa aveva un carattere di merda, a prescindere, ma non si fece scoraggiare.

<< Non ho intenzione di accettare questo lavoro, puoi tenertelo! Se c’è una cosa che non voglio fare è togliere il lavoro a qualcuno! >>

Nelson sembrò arrossire, fulminandolo con lo sguardo.

<< Hai spiato mentre parlavo con Luca?! Era una conversazione privata!>>

<< Non mi interessa, me ne andrò stasera e non sentirai più parlare di me! Sta tranquillo, non voglio sostituirti! >>

Dario prese posto di fronte a lui sistemando il microfono alla sua altezza.

<< Ho capito che tieni parecchio a questo lavoro, e per quanto tu mi faccia poca simpatia, non vorrei essere la causa di una tua sofferenza! >>

Gli bastava essere la causa della sofferenza di sua madre e di tutta la sua famiglia, non gli andava di far soffrire qualcun’altro.

Nelson, da parte sua, sembrava essere rimasto senza parole.

Forse si aspettava una litigata epocale o che avrebbero mandato all'aria la puntata, comunque qualcosa di totalmente diverso da quel silenzio tombale che si era venuto a creare.

Anche Dario aveva immaginato i peggio scenari per quel loro debutto insieme, se così lo poteva definire.

Alzò gli occhi su Nelson domandandosi cosa avesse detto di tanto grave da zittirlo in quel modo, scoprendo di essere guardato a sua volta.

Rendendosi conto di guardarsi a vicenda, entrambi distolsero gli sguardi con una nota di imbarazzo e probabilmente si diedero anche degli idioti.

La prima cosa che venne in mente di fare a Dario, inconsciamente, fu quella di picchiettare il microfono.

<< Non farlo, potresti rompere la membrana interna! >> disse Nelson scrivendo qualcosa sui fogli davanti a lui.

<< Ok, scusa! >>

Se prima si sentiva un idiota, in quel momento si sentì un completo deficiente.

<< Quel microfono è leggermente difettoso, mettilo un po’ più distante dalle labbra, così eviterai il rimbombo durante la puntata! >> parlò ancora << Ah, evita di fare battute per i primi dieci minuti, dai il tempo agli ascoltatori di abituarsi a te! >>

<< Ti sembro uno che fa battute? >>

Nelson non riuscì a trattenere una risata, forse perché non si aspettava quella risposta, o per il tono che Dario aveva usato, o per entrambi i motivi, fatto sta che gli rise in faccia per tutto il tempo rimastogli prima della messa in onda.

E, senza spiegarsi il motivo, anche a Dario venne da ridere.

Neanche se la ricordava l’ultima volta che aveva riso senza il retrogusto amaro della consapevolezza che non ci fosse nulla da ridere.

 

Twitterland era un programma semplice, fatto a posta per mettere in comunicazione i giovani tra loro tramite il famoso social, ma non mancavano anche i soggetti adulti.

Lo schema era sempre uguale: Si sceglieva un tema per la puntata e poi si lasciava la parola agli ascoltatori.

Il loro compito era quello di filtrare i twitt e, eventualmente, rispondere alle domande che gli venivano poste.

L’inizio non era stato il massimo per Dario, non capiva perché, spesso, le persone usassero il tema del giorno per concentrare le attenzioni soltanto su di loro, chiedendo esplicitamente consigli, i loro punti di vista, se avessero esperienze da raccontare, o facendo domande sulla loro sfera privata.

Per Nelson era la normalità, aveva un rapporto stretto con il suo pubblico, lo si intuiva, c’erano ascoltatori fissi che praticamente lo adoravano e a cui rispondeva liberamente e senza peli sulla lingua.

Ma Dario non era così, lui era riservato, introverso, si infastidiva facilmente, non sapeva cosa significasse esporsi ad un pubblico che si aspettava qualcosa da lui.

Non trovava le parole adatte per parlare di se, almeno, non senza… vergogna.

Lo confessò a Nelson quando gli domandò perché si sentisse così in imbarazzo di fronte alle domande che lo riguardavano sul personale.

Era qualcosa che andava oltre l’imbarazzo, aveva paura di esporsi.

Chi avrebbe mai voluto ascoltare la storia di un ragazzo insoddisfatto che odiava il mondo?

<< Le ultime volte che ho parlato a qualcuno di me, ho fatto piangere mia madre e mi hanno detto che sono depresso! >> disse cercando di far passare il tutto come una battuta.

Da Nelson, però, ottenne soltanto una bevanda zuccherata, dalle macchinette, in netto contrasto con il suo sorriso amaro.

<< Almeno tu hai una madre che piange e si preoccupa per te! >>

Dario avrebbe voluto approfondire l’argomento, ma era ancora troppo presto, non si conoscevano abbastanza da permettersi di scavare a fondo nelle loro vite.

Non gli ci volle molto, comunque, per capire perché Nelson amasse così tanto il suo lavoro.

 

 

<< Dal mio punto di vista, lo stare in radio compensa la comunicazione che senti mancare nella vita di sempre! >>

<< Beh, sono alla ricerca constante di qualcuno che mi parli e mi ascolti! >>

Abbassi lo sguardo sulla tua lattina, stringendola tra le mani.

Io ti guardo e ai miei occhi sei la persona più fragile del mondo.

<< Pensi sia sbagliato? >>

<< No, non lo è! >>

<< Eppure, a volte, mi sembra sia così! >>

 

 

Dario si domandò se anche la causa della sua insoddisfazione potesse derivare da una mancanza di comunicazione. O dalla mancanza di qualcosa, in generale.

Forse dalla poca attenzione da parte della sua famiglia al suo costante chiudersi in se stesso, alla superficialità con cui rispondevano ai suoi momenti poco lucidi.

Dalla sua poca voglia di provarci a stare meglio.

Lo stranì il pensiero di avere qualcosa in comune con Nelson, in qualche modo, ma allo stesso tempo si sentì quasi rassicurato.

Fu quel pensiero a spingerlo a prendere esempio da lui e tentare, almeno una volta, di rispondere a quelle domande di carattere personale.

Quel giorno il tema affrontato era: Quanto è importante credere in se stessi?

<< Sicuramente, credere se stessi aiuta tantissimo, ma sono dell’idea che quando raggiungiamo un dato successo, o una soddisfazione personale, il caso faccia la sua parte, e in misura più grande di quella che siamo disposti ad ammettere! >> disse.

A Nelson sembrò piacere quella sua risposta, a tratti, pungente. Ormai aveva imparato ad integrare nelle puntate quella punta di cinismo che caratterizzava le risposte di Dario.

<< I nostri ascoltatori fanno una domanda a cui mi piacerebbe rispondessi, se sei d’accordo! >>

<< Dimmi! >>

<< Tu, Dario, credi in te stesso? >>

Quella domanda aveva intenzione di arrivargli come uno schiaffo in faccia e ci riuscì, nonostante dovesse aspettarselo.

<< Beh… >>

Ci pensò qualche secondo, tenendo gli occhi fissi su Nelson, quasi a cercarla in lui la risposta giusta da dare. E da lui la ricevette in quel: << Non avere paura! >> mimato con le labbra mentre, fiducioso, lo incitava a rispondere.

Dario si avvicino al microfono prendendo fiato.

<< Non credo in me stesso abbastanza da poter dire che credo in me stesso, ma ci sto lavorando! Ho tanto da fare, ma già in questo periodo penso che qualcosa stia cambiando! >>

Da quella risposta capì che il ragazzo insoddisfatto che odiava il mondo, senza rendersene conto, stava iniziando a sperare in qualcosa di nuovo.

Lo capì anche dalla mano di Nelson stretta sulla sua spalla, a fine puntata, che lui strinse a sua volta, e lo vide, finalmente, negli occhi di sua madre la sera in cui tornò a casa e lo abbracciò, felice di vederlo più sereno.
Aveva anche ricominciato a frequentate più assiduamente le lezioni universitarie, intenzionato a fare sul serio.

<< Mia madre dice che sembro diverso da qualche tempo! >>

<< Ah si? >>

Nelson fissava qualcosa fuori dalla finestra della sala, ma riuscì comunque a prendere al volo la lattina di redbull che Dario gli lanciò.

Non capiva come facesse ad avere quei riflessi pronti in qualsiasi momento.

<< Le ho parlato della radio, di te, insomma, ho detto che mi fa bene stare qui e averti come amico! >>

La frase portò Nelson a guardarlo e a sorridergli.

Ciò che voleva fare Dario, in verità, era ringraziarlo o, semplicemente, digli che conoscerlo gli aveva fatto bene. Comunque, non andò come aveva previsto, quindi sperò soltanto che l’altro capisse, in un modo o nell'altro.

Si promise di essere più chiaro l’indomani, quando si sarebbero rivisti, ma quel giorno Nelson non si presentò in radio. Poco dopo, venne a sapere da Luca che era stato licenziato il giorno precedente e, chissà per quale ragione, non aveva voluto dirgli nulla.

<< Ormai conosci Nelson, sai com'è fatto! >> gli disse.

Certo che lo sapeva com'era fatto Nelson, e sapeva anche quanto potesse stare male in quel momento.

<< Dario, sarò sincero, hanno intenzione di chiudere Twitterland, perciò… >>

Perciò era finita anche per lui?

<< Perché? >> si limitò a domandare.

Il programma andava bene, in fondo. Avrebbe capito se li avessero sostituiti, però chiudere del tutto gli sembrava un peccato.

<< Era un progetto di Nelson, e se lui non c’è non ha senso continuare, non credi? >>

Non lo sapeva, nulla aveva senso per lui in quel momento, e ancora meno lo ebbe quando gli comunicarono che il programma avrebbe chiuso entro la fine del mese.

Scrisse a Nelson per avere sue notizie e sapere se volesse che dicesse qualcosa per conto suo, almeno l’ultimo giorno.

Anche se dalla redazione si premunirono di non farglielo sapere, le fasce orarie in cui andarono in onda le ultime puntate di Twitterland furono quelle con il numero più alto di ascoltatori, e per quello che gli dissero, la radio perse parecchio seguito dopo la chiusura del programma.

Fortunatamente, Luca mise una buona parola per lui presso un’altra radio, portandolo ad una nuova assunzione nel giro di poco tempo.

Ma Dario non si dimenticò di Nelson, anzi, cercò di convincerlo ad affiancarlo ancora, e magari riaprire un nuovo Twitterland, ma lui rifiutò sempre.

 

<< Dario, sappiamo che questa non è la tua prima esperienza da speaker, nonostante la tua giovane età! Sei molto seguito, insomma, stai facendo strada, e in tanti sono curiosi di sapere come hai fatto, ti va di raccontarcelo? >>

 

In una società di apparenza, di immagine, di ostentazione di ricchezza e di fama,

non c’è vanto più grande di poter dire a tutti: Mi sono fatto da solo.

Anche se, a conti fatti, da solo non hai fatto niente e non farai mai nulla. Perché c’è sempre qualcos'altro che interviene, c’è sempre un’energia nelle cose, negli eventi, nei luoghi, nelle persone, che non puoi controllare e che determina, molto più di quanto tu possa pensare, il tuo percorso.

 

 

 

 

<< Ragazzi, dov'è Dario? Dobbiamo fare le foto per Space Valley, il fotografo è pronto da un pezzo! >>

<< Arrivo rega! Scusate, Nicolas mi ha attaccato il suo ritardo cronico! >>

Il più basso del gruppo iniziò a lamentarsi facendo ridere tutti, mentre Dario prendeva posizione al fianco di Nelson, dandogli una pacca sulla spalla.

<< Pronti? Sorridete! >>

Il flash illuminò i ragazzi e l’intera la stanza.

 

Le cose migliori purtroppo, e per fortuna, succedono per caso e non ci possiamo fare niente.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Tonno ***


Capitolo 3: Tonno

 

La prima volta che Francesco vide Nelson fu all'ingresso della loro scuola.

Non sapeva minimamente chi fosse e per questo attirò subito la sua attenzione, dato che era sicuro di conoscere l’intero istituto.

Era il primo giorno del suo terzo anno, classe alla quale Francesco era riuscito a passare per miracolo, a detta dei professori, perciò era abbastanza convinto che la prossima promozione gliela avrebbero fatta amaramente sudare. A meno che non trovasse un secchione disposto a dargli una mano e a prendere a cuore la sua causa.

Lo aveva segnato tra i suoi buoni propositi per l’anno a venire: Trovare qualcuno di intelligente disposto ad aiutarlo. E quel quattrocchi mingherlino, intento a parlare con delle ragazze, sembrava proprio fare al caso suo.

Era sicuramente un secchione, gli si leggeva in faccia a chilometri di distanza. Tutto ciò a cui Francesco doveva pensare era come avvicinarlo, farselo amico, e convincerlo a trasformarlo in uno studente mediamente bravo.

Le probabilità che ci riuscisse, però, erano basse, ne era consapevole perché:

1. Non lo conosceva.

2. A causa della sua corporatura massiccia, Francesco non aveva mai fatto simpatia ai ragazzi mingherlini, e anzi, in molti lo evitavano per paura di essere picchiati o bullizzati, nonostante lui non avesse mai alzato un dito contro qualcuno in tutta la sua vita.

3. Francesco, fondamentalmente, era timido.

Non lo avrebbe detto nessuno a giudicare dai casini che combinava in classe, ma era così. Per lui, avvicinare qualcuno che di sicuro non era disposto a fare casino, era peggio di essere inseguito da un branco di cani randagi affamati.

Infatti, gli ci volle qualche ora per conoscere il suo nome e settimane prima che Nelson lo notasse, pur essendo nella stessa classe.

Un altro problema era che avrebbe preferito parlargli nei momenti liberi e senza nessuno attorno, tipo all'uscita, alla fine delle lezioni, ma le volte in cui ne aveva l’occasione il mondo sembrava avere una scusa per trattenerlo, e quando, invece, riusciva a liberarsi prima, Nelson veniva praticamente prelevato da dei ragazzi provenienti da un altro liceo.

Ogni volta che lo vedeva allontanarsi senza avergli potuto parlare, gli saliva una frustrazione indescrivibile.

Avrebbe potuto puntare un altro secchione, lo sapeva, tuttavia si era fissato con lui… e quando Francesco si fissava era la fine.

<< Scusa, c’è qualcosa che non va? >> gli chiese Nelson, all'improvviso, avvicinandosi al suo banco.

<< Eh? Cosa? >>

<< Mi stai fissando da qualche minuto e inizio a trovarlo un po’ inquietante! Quindi… >>

Era l’ora di disegno tecnico e probabilmente, preso dai suoi pensieri, Francesco aveva passato più tempo del dovuto a fissarlo.

Si era fatto beccare come un deficiente alla prima cotta.

Ci pensò qualche secondo prima di rispondere.

Se gli avesse detto che si era soltanto incantato, Nelson sarebbe andato via e sarebbero passate altre settimane prima che gli rivolgesse la parola.

Doveva inventarsi una scusa se voleva tenerlo lì.

<< No, io… io… è che ho dimenticato a casa le squadre e il compasso, non è che mi presteresti i tuoi? >>

Mai scusa fu più geniale.

Anche se poco convinto, il ragazzo gli prestò i suoi attrezzi da lavoro e dovette trasferirsi al suo banco perché servivano anche a lui.

Da lì Francesco iniziò a fargli delle domande. Se fosse in quella scuola da molto, o se avesse cambiato indirizzo.

Cose molto banali, giusto per rompere il ghiaccio.

Ebbene, capì subito che Nelson non era come se lo era immaginato.

Dieci minuti senza un professore lì a sorvegliarli, una pallina di carta lanciata per scherzo ai veri secchioni che albergavano ai primi bacchi dell’aula, e Nelson era già con un elastico in mano e una cerbottana, ricavata da una penna vuota, pronto a dargli man forte.

Ci misero poco ad essere additati come: Il deficiente casinista e l’infame che, se istigato dal deficiente, con un panetto di argilla e un po' di gesso sarebbe stato in grado di gettare nel panico un’intera classe.

In tanti ignoravano, però, che quello ad essere istigato era spesso Francesco e non il contrario, ma Nelson possedeva il tipico visetto da bravo ragazzo, e se la cavava spesso con un: Se lo prendi da solo, sicuramente è un amore.

Peccato che Nelson non fosse un amore nemmeno quando lo si prendeva da solo, e anzi, forse era anche peggio.

Se avessero chiesto a Francesco di descrivere il suo nuovo amico, avrebbe parlato di un pazzo amante del rischio, con l’unico scopo di conoscere le conseguenze delle sue (o loro) azioni.

Un genio nell'architettare scherzi e nel convincere lui e gli altri a seguirlo.

Francesco adorava sentire quella risata sguaiata, malefica, e folle, ogni volta che uno scherzo riusciva. Adorava anche sentirlo fare il verso agli insegnanti quando venivano sbattuti fuori dall'aula, o in presidenza, o quando gli dicevano che non avrebbero combinato nulla nella vita.

<< Non starli a sentire! Nella vita avremo più successo di loro, fidati! >> gli diceva Nelson nei momenti in cui Francesco finiva per crederci a quelle parole.

Ma avrebbe parlato anche di un ragazzo che ogni tanto il sorriso sembrava dimenticarlo a casa.

Avrebbe parlato di un Nelson seduto agli ultimi banchi, solo, sepolto all'interno della sua felpa di almeno due taglie più grandi, lontano da tutti, e senza alcuna voglia di scherzare.

Perso in chissà quali pensieri, a fissare il nulla dalla finestra.

Quelli erano i momenti che Francesco odiava. E in cui si odiava.

Avrebbe voluto fare qualcosa per tirargli su il morale, o anche solo provarci, ma non voleva fare la figura di quello che si improvvisava il buon samaritano di turno, così finiva per guardarlo da lontano e aspettare che tornasse a essere quello di sempre.

 

 

<< Ehi Venceslai, è vero che sei polacco? >>

<< Lascialo stare! >>

<< E tu che vuoi? Non sto parlando con te! >>

<< Sparisci, o ti spacco un braccio e te lo faccio ingoiare!>>

 

 

 

Era così che andava tra loro.

Entrambi impararono ad aspettarsi e accettarsi reciprocamente.

Francesco era sicuro che Nelson sarebbe tornato.

Nelson sapeva che Francesco sarebbe rimasto sempre ad aspettarlo.

 

Almeno... fino al giorno in cui tutto andò per il verso sbagliato.

 

<< Tonno, com'è andata con la pagella? >> gli chiedeva Nelson con un sorriso amaro.

A Francesco quel dannato soprannome non piaceva, si sentiva preso in giro, ma dovette rassegnarsi presto dato che per Nelson il suo era un nome troppo lungo da pronunciare, e l’alternativa era quel: Tone, che era anche peggio.

<< Uno schifo, ovviamente! Come vuoi sia andata? >>

Ai colloqui con gli insegnanti era venuto a galla il fatto che il suo andamento scolastico non aveva subito alcun miglioramento, e anzi, forse era anche peggiorato in alcune materie.

I suoi genitori non ci avevano pensato un attimo ad incolpare la sua amicizia con Nelson, e la sua incapacità di trovarsi degli amici che non lo trascinassero nel baratro dell’ignoranza.

Poi sua madre, in un impeto di tristezza e rassegnazione, gli disse di essere consapevole di avere un figlio senza speranza, ma pensava che fosse stato in grado di diplomarsi, quanto meno.

Francesco si sentì male dopo aver sentito quelle parole, anche se non lo diede a vedere di fronte alla famiglia, e aspettò di potersi chiudere in bagno per rigettare nella tazza tutto lo stress accumulato. Infatti, in quel momento aveva davvero una pessima cera.

<< Beh, anche a me non è andata bene, ma mia madre era troppo occupata al negozio per farmi la ramanzina e mio padre non ha mai voglia di discutere! >>

<< Sei felice che i tuoi ti trascurino? >>

Lo disse con una nota di cattiveria, dovette ammetterlo.

Nelson era figlio di genitori divorziati e palesemente disinteressati sulla sua vita. Francesco sapeva che ne soffriva, pur cercando di non darlo a vedere, e dicendo che per ogni cosa i suoi non avevano mai tempo e voglia di rimproverarlo o metterlo in punizione.

Gli aveva parlato in quella maniera per invidia, o forse perché aveva lo stesso difetto di sua madre, ovvero, lasciarsi andare nei momenti di sconforto e non pensare prima di parlare.

Ci pensò quando vide Nelson cambiare espressione e annuire con lo sguardo basso.

<< Lo so! >>

<< Nelson, mi dispiace! Io non volev... >>

Provò a toccargli il braccio, ma l’altro si scostò di scatto.

<< No! >> disse.

<< Nelson… >>

<< Vaffanculo! >>

Si alzò e cambiò posto.

Da quel momento Francesco e Nelson non si parlarono più.

Francesco tentò ancora, inutilmente, di scusarsi nei giorni successivi. Sapeva di averla fatta grossa, ma si convinse che sarebbe stato come sempre anche per quella volta.

Nelson sarebbe tornato e lui sarebbe rimasto ad aspettarlo.

Però non fu così.

No, non era come sempre, e in fondo lo aveva capito fin da subito, anche se aveva negato l’evidenza.

Gli unici ad essere contenti dal loro allontanamento furono i genitori di Francesco, commossi nel vederlo improvvisamente studiare con impegno.

Finì comunque per sentirsi uno stupido senza speranza ai loro occhi, specie di fronte a quelli di sua madre, quando dovette dirgli di aver fallito l’ennesima verifica, nonostante ci avesse davvero provato a studiare quella volta.

Il suo stomaco non ne poteva più di rimettere per lo stress.

E Nelson rimaneva lontano.

Ogni giorno più lontano di quanto ricordasse.

 

 

Passò un’intera estate in cui Francesco riuscì, per un soffio, a farsi rimandare solamente in matematica e arte.

Il fatto che fosse riuscito a non farsi bocciare valeva già tanto.

Lui e Nelson non parlavano da mesi ormai, e l’essersi arreso, o il non volere ulteriormente deludere i suoi, lo avevano motivato più di quanto credesse.

Proprio perché pensava di stare andando avanti nella maniera giusta si stupì nel percepire qualcosa destabilizzarsi dentro di se quando si senti gli occhi di Nelson addosso, dopo tutto quel tempo.

Sembravano occhi preoccupati.

Occhi in cui si rivide e capì davvero come si era ridotto in quei mesi, affogando nello studio eccessivo, nei sensi di colpa, e anche un bel po' nell'autocommiserazione.

Si stava facendo del male senza rendersene conto.

<< Nelson! >>

<< Cosa…? >>

Fu un gesto spontaneo (e forse avventato) quello di afferrarlo per una spalla e tirarlo a se, chiudendolo in un abbraccio stretto.

Un abbraccio senza via di uscita.

Pieno di scuse e chissà quanto altro.

Un abbraccio che sarebbe dovuto arrivare molto prima.

<< Tonno, stai puzzando! >>

 

 

 

Se potessi, tornerei indietro nel tempo per mordermi la lingua e impedirmi di scaricare la mia frustrazione su di te, facendo leva sulle tue debolezze.

Io sono il primo dei deboli e soffro nel sentire di essere uno stupido agli occhi del mondo.

Tu sei l’unico a darmi torto.

Con te posso essere stupido senza vergognarmene, perché tu sai essere stupido quanto e più di me.

Non sarai la persona che cercavo, ma sei sicuramente quella di cui ho bisogno.

 

 

 

 

 

<< Ok, ci siamo! 3...2...1… >>

<< Tonno, che stai facend…? >>

<< BENVENUTI SU AROUD THE VALLEY! Benvenuti in questo backstage! >>

Nelson lo guardava senza capire. Francesco aveva fatto irruzione in camera e aveva praticamente rubato la fotocamera che usava per fare i vlog, accendendola e puntagliela addosso.

<< Questo, caro Nelsino, è un progetto nel progetto! >> disse girandogli attorno << Ho appena aperto un canale dove noi tutti ci riprenderemo mentre ci prepariamo a registrare le puntate! Il pubblico ha apprezzato l’idea! >>

<< Non è vero, stai dicendo una cazzata! >>

<< Ma guardatelo quanto è tenero Nelsino arrabbiato! Dai, fai un bel sorriso a Tonno e ai nostri fan! >> la camera fece un mega zoom sul broncio di Nelson.

<< Tonno, sul serio, quando ti viene un’idea per il progetto devi dirlo prima a me, non prendere iniziative per conto tuo! >>

<< Ma… >>

<< E poi mi occupo dei backstage sul mio canale, non abbiamo bisogno di aprirne un altro! >>

Anche se di malavoglia, Francesco dovette abbassare la fotocamera.

<< È solo un’idea! Puoi lasciar fare a noi? >>

Nelson aveva il vizio di voler tenere tutto sotto controllo, anche quando non poteva.

Non si fidava di nessuno quando si trattava dei suoi progetti, compresi i compagni che si sceglieva per affiancarlo.

Francesco lo sapeva, e per quello non se la prese, limitandosi a sorridergli e a guardarlo in volto.

<< Se non andrà bene, chiuderemo tutto e sarà come se non fosse successo nulla! >>

Nelson lo guardò per qualche secondo e sospirò.

Doveva imparare a fidarsi degli altri, Francesco glielo aveva già detto in più di qualche occasione.

Quando gestivano il loro canale precedente la sua mania di controllo li aveva portati a litigare spesso, e anche se non lo dissero apertamente, la causa della chiusura di quel canale fu la poca propensione di Nelson a lasciare che qualcun’altro, oltre a lui, ci pensasse.

Francesco ci teneva a quel nuovo progetto con gli altri quattro ragazzi, e sapeva che Nelson ci teneva più di chiunque altro.

Proprio per quello gli disse che doveva iniziare a fidarsi di loro o rischiavano di dover chiudere un altro canale da lì a breve.

<< Va bene! >> disse Nelson alzando gli occhi, esasperato.

Francesco stava già per ricominciare a riprendere, su di giri, ma lo bloccò con una mano, tenendo giù la fotocamera.

<< A una condizione, però! Dobbiamo esserci tutti, e la parte che hai appena registrato la cancelli! >>

<< Ok, allora aspettiamo gli altri! >> gli sorrise.

<< Aspettiamo gli altri! >>

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Frank ***


Capitolo 4: Frank

 

Davide era un bambino maturo per la sua età.

O almeno, questo era quello che sentiva ripetere spesso alle persone attorno a lui, i suoi genitori in primis, e le maestre quando gli dicevano che il figlio si rifiutava di relazionarsi con i suoi compagni, preferendo passare il tempo con gli adulti.

Nonostante gli sforzi delle maestre nel cercare di farlo socializzare, l’unico risultato che ottenevano era quello di tenerselo a fianco, aprendo discorsi che, normalmente, sarebbero stati impossibili da aprire tra un adulto e un bambino di appena sei anni.

E Davide sentiva di essere diverso, ma per lui non era un vanto, solo una semplice verità.

Sapeva leggere e scrivere senza aver bisogno di aiuto, gestiva le litigate tra gli altri bambini in modo che la smettessero immediatamente, e trovava insensati buona parte dei loro comportamenti, specie quando i bambini scrivevano i bigliettini alle bambine per chiedere di fidanzarsi.

Uno di quei bigliettini arrivò anche a lui, da parte di un altro bambino, ma credette subito ad uno scherzo e lo buttò via senza pensarci tanto.

Poi non capiva perché alcune bambine, invece di accettare o rifiutare, semplicemente, andassero da lui a chiedergli quale risposta sarebbe stata meglio dare.

Davide non era un indovino, cosa ne poteva sapere?

Ci arrivò con il tempo a capire che le bambine, in realtà, volevano fidanzarsi con lui, cercando un pretesto per farlo ingelosire. Quella, però, era un’altra storia.

La sua vita era fatta così, e per quanto ne poteva sapere, gli andava bene.

Solo una cosa non sopportava: Le novità.

Quei momenti in cui capiva che qualcosa nella sua vita non sarebbe più stata la stessa e lui, lo volesse o meno, si sarebbe dovuto abituare.

Ecco, quello lo infastidiva terribilmente, perché le novità, spesso, non portavano nulla di buono.

Infatti, il giorno in cui la maestra entrò in classe seguita da un bambino mai visto prima, Davide iniziò a sbuffare.

Sperò fino all'ultimo che fosse suo figlio, o qualcuno che comunque non sarebbe rimasto, ma ogni speranza fu inutile.

<< Bambini, lui è Nelson! >> disse la maestra portandolo avanti.

<< Ma che nome è Nelson? È strano! >> urlò uno di loro.

Si misero tutti a ridere, compreso il bambino nuovo che affermò di avere il padre di origini straniere.

<< Nelson si è trasferito da poco qui, quindi siate buoni e fatelo sentire a casa, va bene? >>

<< Siii! >> risposero, chi con entusiasmo e chi meno, come Davide.

Si sentì comunque tranquillo nel vedere quello nuovo spedito due banchi dietro al suo, almeno non lo avrebbe avuto troppo vicino, ma la voce di Nelson non tardò a farsi sentire non appena la maestra iniziò a scrivere alla lavagna.

Per sua sfortuna, Nelson non ci vedeva da lontano e l’unica soluzione per aiutarlo, al momento, era quella di spostarlo al primo banco, proprio accanto a Davide.

Lui quel banco se lo era scelto con cura, apposta per rimanere da solo, e non disse “quella parola con la M” solo perché sua madre gli aveva vietato di usarla a scuola, però la pensò tantissimo nel vedere invaso il suo preziosissimo spazio personale.

Come se non bastasse, quello non ci vedeva nemmeno da lì, e non faceva che chiedergli cosa stesse scrivendo la maestra, arrivando ad un passo dal fargli perdere la pazienza.

Ma Davide era un bambino maturo, e dall'alto della sua maturità gli permise di avvicinarsi un po' di più per copiare dal suo quaderno. Almeno avrebbe smesso di chiamarlo continuamente.

<< Se non ci vedi, perché non ti metti gli occhiali? >> gli domandò sottovoce.

<< Non li metto perché non li ho! >> rispose l’altro seccato, cercando di copiare il più velocemente possibile.

<< Fai in fretta! >>

Fortunatamente, Nelson decise di alzarsi per andare a conoscere gli altri, a ricreazione, così Davide poté riappropriarsi del suo spazio e fare quello che gli piaceva più fare, ovvero niente.

Mangiare e non fare altro era ciò che avrebbe voluto fare da grande, poi fosse stato servito sarebbe stato anche meglio.

Suo fratello diceva che la vita non andava esattamente in quel mondo, ma per lui rimaneva comunque un bel sogno in cui sperare.

Finì il suo panino nella totale tranquillità, finché non si sentì colpire sulla testa da qualcosa.

Era una pallina di stagnola.

Pensò che quegli idioti dei suoi compagni si stessero di nuovo azzuffando, però vide che era tutto tranquillo, quindi decise di non badarci e andare a gettare tutto nella pattumiera.

I giorni successivi furono strani per lui. Non che sentisse qualcosa in particolare, inizialmente, ma Davide percepiva un’aria diversa in classe con il passare del tempo, ed essendo uno a cui i cambiamenti davano tremendamente fastidio, si accorgeva subito quando c’era qualcosa che non andava per il verso giusto, specie se la situazione precipitava a vista d’occhio.

Gli altri avevano iniziato a comportarsi diversamente nei suoi confronti, prima gli parlavano normalmente e alcuni gli chiedevano anche se avesse tempo per loro, ma poi erano improvvisamente arrivati al punto di centrarlo sulla testa con palle di carta sempre più spesso, chiamarlo con nomignoli offensivi, nascondere le sue cose, e fargli sgambetti ogni volta che era in piedi.

Per Davide quella era una situazione nuova, a cui non sapeva come reagire, anche perché non capiva perché stesse succedendo.

Lui non aveva mai preso in giro o fatto scherzi a qualcuno di loro, perciò non lo facevano per vendetta, ne era abbastanza sicuro.

Tutto gli fu chiaro quando, tornando dal bagno, sentì Nelson ridere con alcuni dei suoi compagni, ordinandogli di andare a sporcare di bianchetto la sua sedia prima che tornasse la maestra.

Davide ne rimase sorpreso, Nelson si era inserito presto nel gruppo, tutti lo aiutavano a copiare alla lavagna, e iniziava anche a piacere a qualche bambina.

Non aveva più fatto caso a lui dal giorno in cui erano stati vicini di banco.

Si domandò se proprio quel giorno gli avesse detto qualcosa di sbagliato, e glielo chiese anche, una di quelle volte in cui riuscì a rimanere da solo con lui, ma Nelson non gli diede alcuna spiegazione, limitandosi a sorridergli, innocentemente, e a dire che si divertiva.

Quindi, consapevole di non avere colpe, Davide decise di fare la cosa più sensata e matura che gli venne in mente.

Dirlo a i suoi genitori.

Glielo disse con tutta la calma inusuale che poteva avere un bambino in quella situazione, chiedendo loro di intervenire al più presto perché si stava stufando e non voleva che le cose peggiorassero ancora.

A nessuno vennero date spiegazioni quando Nelson fu prelevato da una maestra e trasferito in un’altra classe, ma a Davide, in fondo, non importava più di tanto.

I rapporti con i suoi compagni tornarono presto quelli di sempre, anche se con un po' di fatica, e tutto ciò che gli era successo servì a fortificare le sue convinzioni: Lui non sopportava le novità.

 

 

Per quanto Davide non sopportasse le novità, la sua vita ne fu piena.

Dall'età di sette anni, quando iniziò a dare attenzione alle lezioni di religione, realizzò di non appartenere alla religione cattolica e formalizzò il suo desiderio di essere esonerato.

Questo fatto, per un po’, alimentò quel suo senso di diversità, tanto da arrivare a sentirlo come un vanto.

Pensò di poter fondare anche una sua religione, se avesse voluto, ma essere un profeta voleva dire avere tante responsabilità e sua madre glielo sconsigliò caldamente.

Rinunciato a quell'ideale, diventò ateo e continuò con la sua vita di sempre.

Negli anni, dopo aver terminato le superiori, decise che era tempo di mettersi a lavorare e magari dedicare la sua vita a una delle sue più grandi passioni, ovvero, la musica.

Era diventato bravo a suonare la chitarra e stava facendo molta pratica con il basso, nella speranza di trovare un ingaggio in una qualche band.

Aveva passato anni in compagnia di amici che, nel bene e nel male, lo avevano fatto crescere, insegnandogli cosa l’amicizia dovesse e, soprattutto, cosa non dovesse essere.

Ebbe anche un paio di ragazze, ma una di queste lo lasciò nel giro di pochi anni e l’altra, all'ultimo, lo sfruttò per andare ad un concerto, passandosi mezza platea, musicisti compresi.

Dopo quell'episodio, Davide decise di chiudere con le donne, almeno momentaneamente, e dedicarsi soltanto alla sua vita.

Gli ci volle un po', ma riuscì a guadagnare abbastanza da permettersi di poter affittare un appartamento in solitaria. Per lui fu una conquista quella di riuscire, finalmente, ad andare a vivere da solo.

Non che non gli piacesse stare con i suoi, però erano troppo “amorevoli”, tendevano spesso a trattare lui e suo fratello come dei bambini, e se la cosa a suo fratello non interessava, a Davide, invece, non andava bene, quindi, non appena possibile, aveva fatto le valige ed era andato via.

Il problema dell’affitto alto, però, si presentò presto e spesso gli pesò il fatto di dover rinunciare a fare la spesa per permettersi di avere un tetto sulla testa.

Lui lavorava sodo e il suo affittuario era anche abbastanza tollerante, ma si rese conto di non poter tirare per più di un anno in quelle condizioni, a meno che non si fosse trovato un coinquilino.

L’appartamento aveva un salotto praticamente inutilizzato, sarebbe stata una camera perfetta per ospitare un altro abitante, anche se a Davide l’idea non piaceva per niente.

Vedeva quell'appartamento come una SUA conquista e la necessità di doverlo dividere con qualcuno per poterselo tenere, nella sua mente, significava: Fallimento.

Mai, comunque, un fallimento più grande come quello di essere costretto a dover tornare dai suoi genitori, perciò, pur di non dargliela vinta, si convinse a cercare qualcuno disposto a dividere l’affitto con lui.

Tra i due mali, si sceglie sempre il meno peggio”, si disse.

Uno studente sarebbe stato l’ideale. Di solito erano sempre a lezione, studiavano nel silenzio, e per le vacanze andavano via.

Niente di meglio.

Scrisse molti annunci e ricevette altrettante risposte, per la maggior parte negative a causa del punto poco pratico in cui si trovava il posto rispetto alle università.

Quelli che, invece, risposero positivamente non rimasero per più di tre o quattro mesi, lamentandosi spesso di non amare la sua compagnia per nulla amichevole e della poca predisposizione a concedergli qualche giorno più per pagare la loro parte di affitto.

Beh, Davide non faceva beneficenza, se c’era un termine da rispettare, quegli idioti dovevano rispettarlo, punto.

Sospirò gettandosi sul letto in preda all'amarezza, dopo aver mandato via a calci l’ennesima testa di cazzo, e cancellò definitivamente gli annunci prima di ritrovarsi un altro impiastro in giro per casa.

Avrebbe fatto per conto suo, impiegando il suo tempo libero a cercare una band bisognosa di un chitarrista o un bassista.

In fondo, era tra i suoi sogni quello di vivere di musica, non sarebbe stato male.

Passò i giorni a chiedere in giro, ad informarsi su ogni band bolognese in cerca di componenti, o in procinto di debuttare, ed in fine ci riuscì.

Ottenne il contatto di un ragazzo, un cantante alle prime armi, che aveva intenzione di mettere su una band entro la fine dell’anno, e probabilmente in cerca di soci.

Non era il massimo, lo sapeva, ma da qualche parte doveva pur iniziare, no?

Aggiunse il numero del ragazzo tra i suoi contatti whatsapp guardando, per curiosità, la sua foto profilo.

Era un tipo sorridente, con i capelli in disordine e gli occhiali volutamente messi storti sul viso.

Gli ricordava esageratamente qualcuno mai rimosso dai sui ricordi risalenti agli, ormai, lontanissimi sei anni, e proprio come successe la prima volta che lo vide, sentì il peso delle tanto odiate novità incombere su di lui.

Quanto tempo era passato? Non era bravo con i calcoli mentali… comunque, più di dieci anni, sicuro.

Davide ci pensò qualche ora prima di scrivergli, augurandosi di sbagliare.

 

 

<< Ciao, ho sentito che vuoi mettere su una band, hai bisogno di un bassista? >>

<< Ciao, si, un bassista mi farebbe comodo! Ma questo bassista ha un nome o vuole che tiri ad indovinare? >>

<< Ah si, scusa. Mi chiamo Davide, e tu sei? >>

<< Sono Nelson, piacere. Chi ti ha dato il mio numero? >>

 

 

Era lui, non c’erano dubbi.

Era quel Nelson di cui non si era mai dimenticato, e a Davide venne immediatamente l’istinto di bloccarlo, in barba al karma che aveva deciso di metterlo ancora una volta sulla sua strada, ma non lo fece.

Il suo vecchio animo da “bambino maturo” gli ricordava quanto fosse sciocco prendersela per questioni risalenti a sedici anni fa' (si, si era fatto il conto nel frattempo), ed era già stato abbastanza inusuale per lui legarsela al dito per tutto quel tempo.

Il suo bisogno di soldi era più importante dei vecchi rancori, e male che andasse, avrebbe potuto continuare a cercare altre band e potenziali coinquilini.

Non aveva nulla da perdere.

Non aveva alcun senso bloccarlo.

Decise di messaggiare senza dirgli nulla su chi lui fosse, nome a parte, e venne a conoscenza di qualche dettaglio in più su Nelson, come il fatto che gestisse un canale Youtube dove documentava la sua vita da un po’ di tempo, e le motivazioni dietro a quel suo progetto di formare una band.

Sognava di conquistare i palchi di Bologna, poi i palchi di tutta Italia, e chissà, anche quelli del mondo. Perché no? Nulla era impossibile.

A Davide venne da ridere nel leggere quanta convinzione ci fosse in quelle parole, e si decise ad incontrarlo il pomeriggio successivo ai pressi di un chiosco poco distante dal centro.

Nelson era cambiato poco in quegli anni, occhiali a parte e i tratti, ovviamente, più adulti, il viso da piccolo angelo (poco) innocente non lo aveva perso.

A guardarlo da lontano, sembrava avere l’aria di chi stesse pensando a qualcosa di poco piacevole, ma questo non poteva saperlo con certezza.

Lo raggiunse e si salutarono con il tipico imbarazzo di chi non si era mai visto prima.

Anche se così non era.

Basarono la loro conversazione, in buona parte, su ciò che Nelson aveva in mente di fare con quella band, e quali obbiettivi si era fissato.

Per quanto Davide si fosse divertito a leggere quegli stessi obbiettivi in chat, il giorno precedente, a sentirli dal vivo, gli venne qualche perplessità.

Quel progetto doveva partire davvero da zero, il che significava che mancavano altre persone, mancavano strumenti, e soprattutto mancavano i soldi. Insomma, era più una scommessa.

Purtroppo dovette mettere in chiaro la sua impossibilità di finanziare un progetto da zero, e Nelson si mostrò comprensivo. Non era certamente il primo rifiuto che riceveva.

<< Come mai stai cercando una band? >> gli domandò curioso, sorseggiando la sua redbull.

<< Mi servono soldi per potermi mantenere l’affitto! >> rispose << Ho cercato dei coinquilini, ma non è andata bene! Un modo devo pur trovarlo se non voglio andare a vivere sotto ad un pont... >>

Non terminò la frase perché Nelson si strozzò nel mandare giù la bevanda, facendolo trasalire per i colpi di tosse improvvisi.

<< Io… io devo cambiare casa, non ho ancora trovato dove stare! Possiamo discuterne? >>

Glielo chiese con il fiato corto, la bava alla bocca, e una goccia di sudore che gli scendeva dalla fronte.

Come avrebbe potuto dirgli no?


 

Davide non sopportava le novità.

Erano state davvero poche le novità che gli avevano portato qualcosa di buono nella vita, e si erano comunque rovinate nel tempo.

In quel momento poi, com'era già successo, con Nelson le sue convinzioni si rafforzarono soltanto.

Ovunque passasse quel ragazzo sembrava fosse scoppiato un qualche ordigno risalente alla seconda guerra mondiale, tra vestiti lasciati ovunque e mobili spostati continuamente.

Urlava a squarciagola nei momenti più disparati per allenare la voce, facendo spaventare il povero Davide che, magari, stava riposando nella stanza accanto.

Mangiava come un porco e anche male, viste le sue scarse abilità in cucina e la frequenza con cui i fattorini si presentavano a casa, portando una quantità assurda di cibo spazzatura.

Era sicuro di avere sentito Nelson chiamarli tutti per nome, a maggior prova di quanto abusasse di quella merda.

Per non parlare del fatto che fosse la disorganizzazione fatta a persona.

Non era in grado di programmare una giornata dedicata alle pulizie o per fare una lavatrice, Davide doveva minacciarlo se voleva che pulisse anche solo il bagno, e le volte in cui andava a fare la lavatrice, trovandoci dentro il bucato annaspato e puzzolente di Nelson, lasciato lì dentro da almeno tre giorni, si costringeva a contare fino a mille e oltre per non cedere all'impulso di andare a picchiarlo.

E non sembrava nemmeno cavarsela molto con i rapporti interpersonali, dato che spesso preferiva parlare con la fotocamera e non con lui.

Chissà come mai, una sera Nelson sembrò accorgersi delle occhiate di disapprovazione rivoltegli e si decise a confessare di sentirsi un po’ in soggezione quando stavano insieme nella stessa camera.

<< So di non farne una giusta, ma ti assicuro che non lo faccio per farti incazzare! >> disse con il sorriso << Devo aspettarmi di essere cacciato di casa da un momento all'altro? >>

Davide non capiva se stesse scherzando o meno, tuttavia volle rassicurarlo, a modo suo.

<< Finché sarai puntuale con l’affitto, non ti caccerò! >>

<< Menomale, perché sarebbe un bel casino! >>

Quella notte a Nelson venne la febbre.

Davide si accorse del suo respirare con affanno, il mattino seguente, e di come fosse meno energico del solito. Ma sembrava essere tranquillo, quindi lo lasciò sul divano senza chiedergli nulla, e andò al lavoro come sempre.

Il problema si presentò al suo ritorno, quando lo trovò nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato, più pallido del muro.

<< Cazzo… >> imprecò mollando tutto e fiondandosi a scuoterlo.

Fu una buona mossa poiché l’altro riprese subito coscienza, ma fu anche una pessima mossa per le sue scarpe centrate in pieno dal vomito.

Il medico che venne a visitarlo classificò il tutto come un’intossicazione alimentare, probabilmente dovuta al cibo avariato o conservato male. Se la sarebbe cavata con tre o quattro giorni di cautela, l’assunzione di molti liquidi, e cibi in bianco o molto leggeri.

<< Ohh, sul serio? Non posso mangiare solo il riso, cavolo! >> si lamentò Nelson quando Davide gli mise davanti una ciotola di riso in bianco.

<< Ci ho rimesso settanta euro di scarpe per colpa tua e della merda che mangi, quindi stai zitto o la prossima volta ti lascio morire sulle scale fuori casa! >>

<< Me lo rinfaccerai per tutta la vita? >>

<< Potrei, ora taci e mangia! >>

Nelson obbedì mettendo su il broncio, ma non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere pensando a Davide e alle sue scarpe rovinate per sempre.

<< Mi dispiace, davvero! >> rideva cercando di non sputare il riso << Te le ripagherò, è una promessa! >>

<< Mangia, idiota! >>

Una cosa a cui Davide non fece caso, inizialmente, fu il suo stesso gesto spontaneo di sedersi a mangiare su una sedia affiancata al letto di Nelson, usufruendo del tavolino portatile che gli aveva prestato per non farlo alzare.

Non lo aveva fatto nemmeno le volte in cui era stato suo fratello a sentirsi male, e a ripensarci, si stupì di se stesso e di quanto potesse essere gentile nei confronti del suo prossimo.

Non si era mai visto sotto quella luce, insomma, finì per autocompiacersi tanto da farsi i complimenti da solo.

E poi sentì Nelson cambiare atteggiamento nei suoi confronti.

Era il solito ragazzo spigliato e disattento, ma c’erano piccole sfumature che agli attenti sensi di Davide non poterono sfuggire.

Come, per esempio, il fatto che avesse iniziato a chiamarlo “Frank” dal nulla (capì dopo che era legato al suo cognome), e il ritrovarselo più spesso in camera a mettere le manacce sulle sue preziose chitarre, o ad aiutarlo con le tante cover/esercitazioni da portare alla sua insegnante di canto.

Una volta commise l’errore di consentigli di riprenderlo, per i suoi vlog, giusto per non sentirlo borbottare, ritrovandosi puntato addosso la cazzo di fotocamera una volta si e l’altra pure.

Al solito, dovette minacciarlo dicendogli che lo avrebbe denunciato se avesse continuato a riprenderlo contro la sua volontà.

Con il passare del tempo, Nelson convinse Davide a tentare di metterla su quella band che tanto sognava, dicendogli che, in fondo, insieme, avevano tutte le carte in regola per provarci. E la fortuna sembrò essere dalla loro quando trovarono altri due ragazzi disposti a seguirli in quell'oscuro progetto, ma come si sa, la fortuna non gira sempre per il verso giusto, infatti, Davide perse improvvisamente il lavoro, a causa di un classico “taglio del personale”.

Dirlo a Nelson fu un po' come dirgli che mollava prima ancora di iniziare, ma l’altro si limitò ad alzare le spalle e a rispondere che ci avrebbe pensato lui a prestargli i soldi per coprire la sua parte di spese.

<< Solo se ti lasci filmare senza lamentarti! >> gli fece l’occhiolino, furbo, passandogli il suo basso.

Quello fu il momento in cui Davide sperimentò il senso di colpa, perché sapeva che se fosse accaduto a parti invertite, lui non avrebbe cacciato un centesimo per aiutarlo.

E proprio non capiva cosa spingesse davvero Nelson a farlo.

 

<< Perché? Non sono tuo fratello, non sono tuo parente! In fondo, sono un estraneo! >>

<< Non sei un estraneo, sei il mio bassista! >>

Rispondi con tutta l’ovvietà di questo mondo mentre mi porgi il basso, e sorridi aspettando che lo prenda.

Io continuo a non capirti.

<< Tu sei quello che non sopporta le novità! Vedilo come un modo per farti cambiare idea! >>

Sei la novità che vuole essere l’eccezione?

 

 

Davide non sopportava le novità, e forse per quello non sapeva riconoscerle subito quelle che qualcosa di buono potevano portargliela sul serio.

Anche se ci mise un po’, alla fine capì.

Lo capì quando ebbe un tetto sulla testa, pur non potendoselo permettere, e lo capì ancora l’anno successivo, salendo la prima volta su un palco, imbracciando il suo basso, a suonare per il loro primo vero pubblico.

<< FRANK! >> lo chiamava Nelson dal centro della sala, mentre si stava facendo trasportare come un sacco di patate dal pubblico urlante << ALLA FINE HO MANTENUTO LA PROMESSA, VERO? >>

<< COSA? >>

Davide non capiva di cosa stesse parlando.

<< Non potrai più rinfacciarmi di averti vomitato sulle scarpe! Te le ho ripagate fino fino all'ultimo, Frank! >> urlava ridendo come un matto.

Aveva fatto ben più che ripagargli un paio di scarpe. Gli aveva dato la possibilità di vivere della sua passione, e occhi nuovi con cui guardare al futuro.

No, era decisamente più di un paio di scarpe.

Ma, nonostante tutto, Davide continuava a non sopportarle le novità, e se lo ripeté il giorno in cui Nelson, dopo un anno e mezzo di convivenza, decise di trasferirsi in un nuovo appartamento, da solo.

<< Ma se non sei in grado di cucinarti un uovo, come dovresti sopravvivere? >> gli domandò << Evita di chiamarmi perché non ti vengo a soccorrere se stai male, eh! >>

Nelson rise divertito.

<< Se non ti conoscessi, direi che sei dispiaciuto! >>

<< Figurati, ricomincio a respirare! >>

Risero entrambi.

Fu davanti all'ultimo scatolone, prima di uscire definitivamente da quella che era stata la loro casa, che Nelson confessò a Davide di averlo riconosciuto dal primo giorno in cui si erano incontrati, e di come si ricordasse di quanto era stato cattivo con lui a quei tempi.

<< Sei sempre stato un deficiente, non è una novità! >> sbuffò dandogli una gomitata << Ora vai, Tonno ti sta aspettando in macchina! >>

<< Ciao Frank, ci vediamo alle prove! >>

Lo guardò andare via con il suo scatolone in braccio, e non appena sentì il portone si chiudersi, Davide chiuse la porta di casa sospirando.

Quel deficiente si era dimenticato le sue redbull in frigo.

<< Poco male! >> disse aprendosi una lattina.

 

Sei stato l’eccezione che non mi aspettavo, più di una volta.

E sembra tu non abbia ancora finito con me.

 

<< Frank, puoi lavorare all'audio? Dobbiamo caricare il video prima delle due! >>

<< Ci ho già lavorato prima, ti assicuro che va bene! >>

Nelson lo guardò storto dal tavolo in fondo alla stanza, mentre Cesare, sedutogli a fianco, cercava di convincerlo che l’audio era perfetto.

Almeno Cesare aveva avuto pietà e stava cercando di salvarlo da uno dei momenti di Nelson: “ti trovo il pelo nell'uovo anche se non c’è”.

Ovviamente, tentativi inutili perché Nelson li convinse entrambi a lavorare su quell'audio almeno altre due volte, finché Davide non lo mandò a quel paese, minacciandolo di farlo volare via dalla finestra se avesse continuato a rompergli le scatole con quel cazzo di video.
 

<< Ogni volta che mi minacci, sembra di ritornare ai vecchi tempi, vero? Almeno questo non è cambiato! >>

<< E non cambierà, stanne certo! >>

<< Meglio così! >>

<< Già, meglio così! >>

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Nicolas ***


Cap 4: Nicolas

 

Nicolas era una persona che non amava parlare.

Le volte in cui lo si poteva sentire dire qualcosa erano così poche da far credere al suo prossimo di trovarsi di fronte ad un sordomuto.

Ma lui non era un sordomuto, ci sentiva e parlava bene, solo che gli piaceva osservare, limitandosi a tenere i pensieri per se.

Quello era il tratto che gli permetteva di leggere gli altri senza essere letto sua volta, infatti, erano in molti a non sapere come prenderlo, a trattarlo con i guanti, o a rinunciare direttamente ad avere a che fare con lui, proprio a causa di quel suo modo di essere che lo rendeva inaccessibile al mondo.

Eppure, non molti anni addietro, Nicolas era un ragazzo come tanti, chiunque lo avrebbe descritto come un tipo vispo, sempre indaffarato, e circondato da amici.

Gli stessi amici che lo avevano accompagnato per anni, i suoi fratelli acquisiti, che sparirono nel momento in cui lui aveva più bisogno di loro.

Gli stessi che lo abbandonarono a se stesso, in un letto d’ospedale, a lottare tra la vita e la morte, e a sperare di trovare qualcuno fuori ad aspettarlo, oltre ai suoi, quando sarebbe tornato da sopravvissuto.

Il ricordo della sala d’aspetto vuota.

I momenti in cui si era sentito abbandonato.

Aveva legato tutto al dito e non avrebbe mai, mai, dimenticato.

Se prima Nicolas sapeva essere amico di tutti, da quel momento in poi non avrebbe permesso a nessuno di avvicinarsi a lui più del dovuto.

Quella decisione ebbe, inevitabilmente, conseguenze sui suoi rapporti sociali tanto da essere capace di passare ore a conversare del nulla cosmico, ma anche di rimanere ore in silenzio e non intromettersi nei discorsi nemmeno quando gli veniva chiesto.

Aveva perso il conto delle volte in cui sua cugina Sofia lo aveva canzonato con un: << Nic, stai parlando troppo, smettila! >> pensando di essere simpatica nel fare battute di quel tipo.

Lui odiava le persone con quel discutibile senso dell’umorismo, tanto è vero che non mancava di risponderle con un sempre più acido: << Tu, invece, dovresti parlare di meno! >> per finire a litigare.

O meglio, Sofia urlava e lui continuava a farsi gli affari suoi.

Gli vomitava addosso di essere un fottuto cinico, e il fatto di avere una storia clinica poco felice non gli dava il diritto di trattare male gli altri, senza rendersi conto che lui era diventato così proprio a causa delle persone come lei.

Superficiali.

Idiote.

Quei difetti che il mondo gli rimproverava, per Nicolas erano punti di forza su cui fare leva e scegliere al meglio le persone da tenere vicino e, soprattutto, quelle da tenere lontane.

L’unico problema era che questo valeva per gli estranei e non per i cugini con cui ti avevano costretto a crescere.

Sua madre e suo padre dicevano di avere un figlio tanto intelligente quanto introverso, però il loro era il pensiero di chi non comprendeva fino in fondo. Non riuscivano ad andare oltre, ma a lui non interessava.
Di certo non poteva detestarli per quello, anzi, Nicolas voleva un bene dell’anima ai suoi genitori.

Ai suoi doveva troppo e non si sarebbe nemmeno sognato di non provare affetto per loro.
Accettava che pensassero a lui come un ragazzo chiuso in sé, comprendeva il loro desiderio di definirlo in qualche modo, e non sentirsi troppo lontani da lui.

Quella superficialità gli andava bene soltanto perché erano i suoi genitori, ci teneva a non deluderli o a non farli preoccupare, però non l’avrebbe mai sopportata da parte di qualcun’altro.

 

<< Certo che hai cugino taciturno, eh? >>

<< Lascialo stare, è antipatico! >>

<< Mi mette ansia, in verità! >>

 

Men che meno l’avrebbe accettata da quelle nuove persone che stavano entrando nella vita di Sofia.

Nicolas non sapeva come quei tre ragazzi l’avessero conosciuta, e perché le andassero dietro come cagnolini in cerca di attenzioni.

Sofia era sempre stata circondata da ragazze, che lui ricordasse, e il giorno in cui la vide arrivare avvinghiata al braccio di uno di quelli, affiancata dagli altri due, divertiti nel prenderli in giro, per Nicolas fu qualcosa di totalmente inaspettato.

Sua cugina li presentò presto alla famiglia e agli amici di sempre. Il tipo a cui era avvinghiata si chiamava Cesare, un compagno di classe che aveva iniziato a frequentare da qualche settimana, mentre gli altri due erano stati presentati come i migliori amici del ragazzo: Nelson e Francesco.

<< Per gli amici: Tonno! >> disse il tizio più massiccio del gruppo.

Che razza di soprannome era Tonno?

Provenivano da un quartiere non molto distante dal loro, anche se, con il passare del tempo, a Nicolas sembrò che quei tre una casa non ce l’avessero.

Sofia li portava spesso alla villa Paruolo, senza minimamente domandarsi se potesse dargli fastidio, e il peggio era vedere come i suoi genitori e sua sorella fossero sempre contenti di vederli.

Dicevano che se non ci fossero stati loro ad animare la villa, probabilmente, si sarebbero annoiati tutta la giornata.

Per Nicolas non era così, quella era di fatto un’invasione.

E poi guai, davvero, GUAI ai momenti in cui quei tre venivano lasciati liberi di scorrazzare per il giardino ed entrare in casa, specialmente quando i suoi genitori non c’erano e doveva essere lui a tenerli d’occhio.

Davanti agli adulti si comportavano da angioletti, ma in realtà erano degli squilibrati, e ebbe modo di capirlo quella stessa estate.

In quei mesi suo padre si era dato all’allevamento ed era riuscito, fortunatamente, a tirare fuori dal canile due cuccioli meticci di collie, e l’idea di prendersi cura di loro per Nicolas fu un’occasione per imparare qualcosa di nuovo.

Costruì le cucce, il recinto in giardino, creando poi una scaletta personale che scandisse tutte le mansioni necessarie.

Nel frattempo, Cesare, ormai, ufficialmente fidanzato di Sofia, aveva avuto la splendida idea di comprare un’enorme piscina da mettere in mezzo al giardino e, assieme ai suoi compari, si era adoperato per montarla.

Peccato che nessuno di loro avesse le capacità, o anche soltanto a uno fosse venuto in mente di leggere le istruzioni su come mettere insieme quel mostro di gomma, e un pomeriggio, mentre Nicolas stava uscendo per dare da mangiare ai cuccioli, la dannata piscina scoppiò, letteralmente, davanti ai suoi occhi, inondando il recinto ed investendo le povere bestiole affamate.

I piccoli se la cavarono con un bagno inaspettato e una tempestiva visita veterinaria, per Nicolas, invece, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso e dichiarare guerra ai quei tre deficienti.

Non riuscì a scacciarli da casa sua definitivamente, purtroppo, ma convinse i suoi a non farli venire più tanto spesso, compresa sua cugina, a meno che non fosse stata da sola.

Quella che ne seguì dopo fu, forse, una delle litigate peggiori che ebbe in tutta la sua vita.

Era cominciata come al solito, Sofia urlava e lui si faceva gli affari suoi, aspettando che la smettesse, ma quando la sentì augurargli di morire solo, perché se lo sarebbe meritato, nella mente di Nicolas scattò qualcosa.

A nulla servirono le scuse della cugina, resasi conto di avere esagerato, per la prima volta le alzò la voce contro e la cacciò di casa, senza curarsi dello stupore della sua famiglia che, rientrando, la vide correre fuori, in lacrime.

Nicolas era diventato più apatico del solito dopo quella litigata.

Non gli importava se i suoi non approvassero il modo in cui aveva trattato la cugina, e non gli interessavano nemmeno i messaggi che quel Cesare gli aveva lasciato in chat, probabilmente per scusarsi.

A lui non importava di nulla, se non di se stesso e di come la qualità della sua vita sarebbe migliorata da quel momento in poi.

Ma si sa, quando il destino ci si metteva era difficile da contrastare, e questo Nicolas lo capì presto.

Precisamente ad un mese dalla famosa litigata, quando stava andando a fare la spesa, su richiesta di sua madre, per risparmiare tempo, decise di percorrere una strada che attraversava il parco.

Quella era una via poco frequentata, al massimo ci passavano quelli come lui, poco volenterosi di fare giri lunghi, o vi si appartavano le coppie nelle ore serali.

L’unico problema era l’esagerata pendenza di quella strada che, se non faceva attenzione, l’avrebbe fatto rotolare giù alla stessa velocità della neve durante una valanga.

Non gli ci volle molto, comunque, prima di perdere l’equilibro e finire con il sedere a terra. Era matematico, su dieci volte che percorreva quel tratto, cadeva almeno sei o sette volte.

Si sarebbe alzato, come sempre, se solo non avesse visto qualcosa che quella caduta gliel’avrebbe fatta ricordare per molto tempo.

 

<< Hai sentito? Cos’è stato?>>

<< Sarà qualcuno di passaggio, non farci caso! >>

 

Poco distante dal punto in cui Nicolas era scivolato, c’erano due persone sedute ai pressi di uno dei tanti alberi che popolavano il parco.

Una delle due la riconobbe subito come il fidanzato di sua cugina, Cesare, che avrebbe riconosciuto a chilometri di distanza, poggiato con la schiena ad un tronco, un braccio dietro la nuca, e l’altro stretto sulle spalle dell’altra persona, poggiata al suo torace.

Quell’altra persona non era sicuramente sua cugina.

Anzi, non era nemmeno una ragazza.

Dovette mettere un attimo a fuoco per riconoscere... Nelson.

Era lui, quei capelli tremendamente spettinati li aveva visti solo sulla testa di quel ragazzo. Difficilmente si sarebbe potuto sbagliare.

Cosa avrebbe dovuto pensare Nicolas?

La prima cosa che pensò, in verità, fu quella di sentirsi di troppo.

Poi pensò a Sofia e nello stesso momento vide il volto di Cesare immergersi tra i capelli dell’altro, posandogli le labbra sulla tempia.

Che fosse Nicolas ad avere un limite sotto certi aspetti? Per quanto ne sapeva, quei due erano cresciuti assieme, ma non gli avevano mai dato l’impressione di avere un rapporto tanto stretto.

E poi, sua cugina non era così stupida da non accorgersi che… beh…

I suoi pensieri vennero scossi dalla risata sguaiata di Cesare che si elevò all’improvviso, facendo anche scappare qualche volatile appollaiato tra gli alberi.

Nelson si dimenava per a tappargli la bocca, dicendogli di non urlare, anche se rideva più di lui.

<< REGAZ, QUI NON ESISTE UN BAGNO NEMMENO A PAGARLO! >>

Nicolas sobbalzò nel sentire quella voce arrivare alle sue spalle e si affrettò a tirarsi su prima che lo vedessero.

Preso dal panico, riuscì a saltare, da un’altezza non indifferente, ed atterrare sulla strada principale del parco, tirando un sospiro di sollievo quando, alzando gli occhi, vide la figura di quello che si faceva chiamare Tonno salire lungo la scarpata.

<< Ohh, sembrate dei cricetini! Aspetta che mi aggiungo anche io… >>

Sospirò di nuovo, sicuro di non essere stato visto.

Quel giorno Nicolas tornò a casa inquieto, dimenticandosi di fare la spesa, e domandandosi cosa ci fosse realmente dietro a quella storia.

Non che gli interessasse particolarmente, però, con il passare dei giorni, in cui gli capitava di vederli a casa sua, che lo volesse o no, gli era passato per la mente di tenerli d’occhio e, quanto meno, capire se stessero facendo una sorta di doppio gioco ai danni di Sofia.

Ci pensava mentre guardava dalla finestra sua cugina accoccolata a Cesare, sull’altalena in giardino. Sarebbe comunque stata l’occasione buona per non vederli mai più soggiornare a villa Paruolo.

<< Ehi, se continui a guardarli così potresti sembrare geloso! >>

Nicolas storse il naso nell’accorgersi di avere Nelson alle spalle.

Non capì come avesse fatto ad entrare in casa e avvicinarsi tanto da non farsi sentire.

Cos’è, aveva il passo felino?

<< Geloso di cosa, scusami?! >> rispose, cercando di mantenere un tono neutro.

<< Che ne so, magari di tua cugina! >>

L’altro lo affiancò alla finestra.

<< Bella stronzata! >>

Gli venne da ridere.

Geloso di Sofia, lui? Nemmeno se fosse stata l’ultima donna sulla faccia della terra, a Nicolas sarebbe venuto in mente di pensare a lei in quel modo.

Nelson sorrise alla sua espressione, sicuramente vicina allo schifo, e rigirandosi a guardare la coppietta in giardino disse a bassa voce:

<< Io sono un po' geloso, lo ammetto! >>

L’espressione schifata venne sostituita da un’occhiata incuriosita.

<< Sai, quando si cresce assieme, e si è abituati ad un certo equilibrio, e poi, da un giorno all’altro, ti ritrovi a dover mollare la presa, è un po’ destabilizzante! Non credi? >>

Nella mente di Nicolas riaffiorarono i ricordi di una sala d’aspetto vuota, e i volti delle persone che aveva escluso dalla sua vita, anche se con tanto dolore.

<< Non è piacevole! >> si limitò a dire.

Nelson sembrò assumere un’espressione triste, ma allo stesso tempo consapevole.

Gli occhi a guardare le due figure accoccolate sull’altalena, e un sorriso spontaneo di chi aveva accettato ciò che andava accettato.

 

<< Io non ho mai sorriso così! >>

<< Così come? >>

Il sorriso dell’accettazione.

Nulla rimane per sempre, in qualche modo, si deve andare avanti.

Non so chi tu sia, ma quel tuo sorriso mi fa sentire un completo imbecille.

<< Niente, fa come se non avessi detto nulla! >>

 

 

<< Ehi, volete stare lì a spiare, o ci raggiungete? >>

Cesare stava urlando verso di loro, tirando sassolini alla finestra.

<< Dai, venite a farci compagnia! >>

Tirò un sasso un po’ troppo grande, tanto da far temere al povero Nicolas che avrebbe sfondato il vetro.

<< Cazzo, ma è stupido? >> imprecò.

Nelson alzò le spalle, come a dire che non era una novità.

<< Li raggiungo, tra poco arriva Tonno con le pizze! Tu vieni? >>

<< Volete che stia con voi? >>

Non si sarebbe mai aspettato di essere invitato.

<< Beh, ci farebbe piacere! Ti conosciamo da un po’, ma non sei mai stato con noi! >> sorrise << E poi Sofia ha preso una pizza anche per te: Prosciutto e funghi! >>

La sua preferita.

<< Ti va? >>

<< Scendo con te, dammi un secondo! >>

 

 

Non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma man mano che passavano i giorni, il tempo che aveva preso a trascorrere assieme a quei tre fuori di testa era aumentato spropositatamente, e la cosa gli dispiaceva sempre meno.

Era stato perfino in grado di dare un’abbraccio a Sofia per sigillare la loro pace ritrovata.

Non facevano nulla di esaltante, anzi, spesso si ritrovavano al parco, a villa Paruolo, ed era capitato anche a casa di Cesare.

Nicolas venne a conoscenza quasi subito delle passioni che legavano i tre ragazzi, oltre al passato vissuto assieme.

L’argomento fotografia, in particolare, lo interessava, e fu molto felice quando Cesare gli prestò la sua vecchia Nikon, a rullino, per fare qualche foto.

Si era sempre domandato cosa portasse le persone a mettersi dietro ad un obiettivo per ore, cercando di scattare quella che sarebbe stata una bella foto.

Ormai, vivevano in un’epoca dove la fotografia era interamente digitale, e qualunque possessore di uno smartphone poteva improvvisarsi fotografo. Ma con una macchina fotografica come quella era totalmente diverso, le foto da poter fare erano limitate e bisognava avere un occhio veramente attento per catturare il momento giusto.

<< Nic, sai dov’è finito Nelson? >>

<< Mh, no… >> rispose distrattamente a Tonno, mentre armeggiava con la macchina fotografica << Se lo vedo, gli dico che lo cerchi! >>

<< Grazie, sei un grande! >>

Gli arrivò una pacca sulla spalla talmente forte che Nicolas dovette trattenersi dall’urlargli addosso.

Quel Tonno era una delle persone più tranquille del mondo, a parte quando stava in compagnia dei suoi due compari, ma aveva il fastidioso difetto di non sapere dosare la forza quando dava le sue pacche amichevoli.

Nelson disse che una volta gli aveva quasi distrutto la gabbia toracica con un abbraccio fin troppo affettuoso, ritrovandosi l’addome pieno di lividi.

A proposito di Nelson, riuscì a trovarlo, seduto su una panchina a guardare il nulla davanti a se.

Si era allontanato dal gruppo con la scusa di andare a comprare qualche lattina di Redbull, cosa che aveva fatto, vista la confezione accanto a lui, ma sembrava essersi preso del tempo per rimanere da solo a pensare.

Aveva un’espressione assorta, persa, la stessa di chi contemplava il mondo sentendosi un pesce fuor d’acqua.

A Nicolas venne spontaneo puntare l’obiettivo su di lui e scattare una foto.

Non si domandò il perché lo stesse facendo, o se fosse giusto. Lo fece e basta.

E fece lo stesso quando vide Cesare andargli in contro e sedersi al suo fianco, prendendolo sotto braccio.

Ancora una foto.

Nicolas si allontanò. Quello non era un momento che gli apparteneva.

Gli appartennero, invece, i momenti in cui si rendeva conto che più aveva quei tre disastri attorno, più lui stesso diventava un disastro.

L’abbraccio di Cesare divenne molto rassicurante dalla sera in cui alzò il gomito, e la forza di Tonno molto utile nei momenti in cui finivano in situazioni in cui non sarebbero assolutamente dovuti finire.

Nelson, invece, gli insegnò quelle che furono le sue primissime basi di videomaking, e spesso non mancavano di trascorrere le serate con cibo da asporto e serie Netflix.

Tutto documentato nei suoi rullini che, presto, avrebbe fatto sviluppare.

Poteva dire di avere trovato degli amici?

Non lo sapeva, però se gli avessero domandato come si sentiva in quel periodo, avrebbe risposto: Emotivamente più leggero.

Non poteva sicuramente negare che la sua vita fosse cambiata, e… si, stava andando avanti. Era la sua occasione di riscattarsi, quindi perché non farlo?

Un giorno, qualcuno disse ai suoi che gli piacevano le fotografie e si era fatto prestare la macchina fotografica, così nel giro di poche settimane, rientrando in camera, trovò sulla sua scrivania una Canon nuova di zecca ad aspettarlo.

Aveva rinunciato a convincere i suoi ad acquistare fotocamere degne di essere definite tali, e sostenere quella sua passione, ma aveva dei genitori che avrebbero fatto di tutto per saperlo felice.

Quel giorno Nicolas fu il ragazzo più felice sulla faccia della Terra.

<< Credo che mi metterò qui! >> disse tra sé e sé, sistemandosi davanti alle cucce di quelli che, da piccoli e teneri cuccioli, erano diventati dei cani bellissimi e fieri.

Gli altri erano nel retro della villa ad armeggiare con il nuovo barbecue, e Nicolas aveva la voglia tremenda di scattare le ultime foto con la Nikon di Cesare, in modo da finire i rullini prima di mandarli a sviluppare.

Aveva ripreso un anno della sua vita in quei rullini e non vedeva l’ora di vedere i frutti del suo lavoro.

Aspettò che le bestiole si calmassero per iniziare a scattare le prime foto, ma nell’istante in cui fece per puntare l’obiettivo su di loro sentì una fitta all’altezza della tempia destra, e la macchina fotografica gli scivolò dalle mani.

Nel tentativo di riprenderla, una seconda fitta lo colse di sorpresa, costringendolo a cadere sulle ginocchia.

Non sapeva cosa gli stava succedendo, riusciva soltanto a sentire le forze andare via, e il respiro farsi sempre più debole.

Non stava respirando più.

L’ultimo ricordo fu il rumore dei passi di qualcuno che correva verso di lui, poi il buio.

 

Dormì per quasi un giorno.

L’infermiera che trovò al suo risveglio gli parlò di un serio calo di pressione, tuttavia, Nicolas sospettava tremendamente che gli stesse mentendo.

<< Mi dica la verità, la prego! Sono stato malato, so cosa significa… >>

<< Non preoccuparti, non è nulla di grave! >> gli sorrise, sistemando la flebo << Devi soltanto cambiare dieta, e prendere qualche integratore! Va tutto bene, tesoro! >>

L’inquietudine di Nicolas non svanì a quelle parole.

<< Ehm, scusi! >>

<< Dimmi, caro! >>

<< C’è… >> distolse lo sguardo per l’imbarazzo << C’è qualcuno fuori per me? >>

<< I tuoi genitori stanno per arrivare, ma ci sono dei ragazzi che chiedono insistentemente di te da ore! >> rise la donna << Se vuoi, vado a chiamarli, prima che sfondino le porte! >>

<< Si, li faccia entrare! >> annuì nascondendo un sorriso spontaneo malamente trattenuto.

<< NIC, MA COSA COMBINI? >>

Nelson, Cesare, e Tonno, seguiti da Sofia, entrarono presto in camera con la delicatezza di una mandria di bufali in corsa, gettandosi sul letto del povero malato, e a poco servirono i rimproveri infermiera.

Nicolas continuò a sorridere, sommerso dal peso di quei fuori di testa.

Quei fuori di testa che avevano fatto impazzire anche lui, e che gli avevano nuovamente dato la certezza che qualcuno là fuori ci sarebbe sempre stato.

 

 

<< Ehi Nic, abbiamo bisogno del tuo genio fotografico per il nuovo progetto, ti va di aiutarci?

Se vieni adesso, conoscerai gli altri ragazzi. Sono simpatici, te lo assicuro.

Cioè, uno è fuori come un balcone, ma lo possiamo recuperare. >>

<< D’accordo, ma voglio essere pagato. >>

<< Non vedrai l’ombra di un centesimo, però farai un favore al tuo amico Nelson.

Lo sai che ci tiene, non vorrai farlo piangere. >>

<< Vengo solo per Nelson. >>

<< E io? Il tuo Cesu vuoi ignorarlo? >>

<< Potrei. Anzi, non ti parlerò nemmeno. >>

<< Parole forti, signori. Parole forti dette da un uomo strano. >>

<< Vaffanculo, ci vediamo . >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E qua si conclude questa piccola serie di one-shot.

Ci ho messo più del dovuto, ma almeno ho capito che iniziare a scrivere ad una settimana dall’inizio delle lezioni non è una buona idea.

Spero di avervi intrattenuti e fatto anche un po’ sorridere.

 

Alla prossima, e grazie a chi è arrivato fin qui. :)

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