L'eco del passato

di santhy
(/viewuser.php?uid=778953)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'eco del passato ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***



Capitolo 1
*** L'eco del passato ***


 
 
 
                                                                          
      
L’eco del passato


 
 
Quel giorno Dave compiva sedici anni. Fu una data molto importante nella sua vita, anche se quella mattina constatò amaramente che nessuno se ne era ricordato. Ripensandoci a distanza di tempo, gli sembrava ancora impossibile che quella storia emozionante e straordinaria fosse successa davvero, e che non fosse soltanto frutto della sua fantasia.

Tanto per cominciare, a colazione ci fu una scenata terribile fra suo padre e sua madre… Questione di soldi.

Fin qui, niente di nuovo. Dave ormai si era abituato a sentirsi dire che in famiglia non c’era denaro e che erano tutti sull’orlo del fallimento, e quasi ogni giorno suo padre diceva:

«Cosa? Un altro conto? Dove credi che vada a trovarli i soldi per pagarlo?»

«Mi dispiace, caro, ma dobbiamo pur avere il necessario!» Rispondeva sua madre con voce stanca. E poiché a quanto gli risultava i conti prima o poi venivano pagati, Dave non aveva mai preso queste cose troppo sul serio.

Leo, che a scuola era il suo migliore amico, diceva che i genitori litigano sempre per una ragione o per l’altra, e che secondo lui il matrimonio era una noia, e Dave gli rideva, perché Leo era considerato intelligente e molto più esperto della maggior parte dei ragazzi della sua età. Oltre tutto era ricco di famiglia, e se non andavano d’accordo i suoi genitori che non avevano problemi economici, pensava Dave, in un certo senso si potevano giustificare suo padre e sua madre, che abitavano in una casa malandata, non avevano la macchina, e sembravano angosciati da qualche preoccupazione.

Quella mattina però la lite sembrò a Dave più grave del solito, o forse era lui che lo immaginava, perché, guarda caso, era il suo compleanno, e lui aveva chiesto in regalo un orologio da polso. Ecco perché era andato a far colazione più presto del solito, aspettandosi di trovare accanto al suo piatto il sospirato regalo… solo non c’era.

C’era una piccola pila di lettere per suo padre. Per lo più doveva trattarsi di fatture, perché Mr. Dickinson, quando qualcuno chiedeva se era arrivato il postino, in genere rispondeva: «spero proprio di no… non fa altro che portarmi richieste di denaro di negozianti minacciosi.

«Siamo davvero una strana famiglia,» pensò Dave. Era abbattuto e se ne stava in piedi accanto al tavolo della colazione, tormentando un ricciolo ribelle dei suoi bei capelli col solito gesto nervoso che sua madre gli rimproverava di continuo. Anche lui avrebbe voluto un compleanno come quello di Leo, con una dozzina di pacchetti allettanti ad attenderlo… per lo meno, così gli aveva detto il suo amico.

Poi sua madre entrò a precipizio nella stanza, avvolta in una vestaglia rosa sbiadita, non si presentava mai a colazione vestita decentemente, e disse distratta: «Oh, buon giorno, caro.»

Non lo guardò nemmeno, perché i suoi occhi andarono subito, ansiosi, alla pila di lettere accanto al piatto del marito.

«Altre fatture, immagino,» sospirò, rigirandole fra le graziose dita affusolate, una per una, come se cercasse di scorgere il contenuto attraverso la busta.

Dave la guardò per un momento in silenzio, e poi disse con voce flebile, lontana: «È il mio compleanno.»

Mrs Dickinson lasciò cadere le lettere sulla tovaglia alla rinfusa e si voltò, svolazzante come un uccello: «Tesoro! …è vero, me ne ero completamente dimenticata. Povero bambino mio… Vieni qui che ti do un bacio.

E così, niente orologi! Mentre sua madre lo baciava sulla guancia, Dave rimase freddo.

Si chiedeva desolato che cosa poteva dire a Leo, con cui si era confidato fiducioso e pieno di speranza.


Dave non dimostrava proprio sedici anni, era sempre stato trattato come il bambino della famiglia, perché i suoi due fratelli avevano qualche anno più di lui… Soltanto dall’anno prima, da quando aveva conosciuto Leo, aveva cominciato ad aprire un po’ gli occhi, e Mrs Dickinson aveva fatto l’interessante scoperta che suo figlio ben presto sarebbe diventato un bel giovanotto. Leo era tanto, tanto intelligente e conosceva il mondo. «E dimmi, quanti anni compi oggi?» Gli chiese la madre con aria assente. «Devi avere… vediamo…»

«Sedici,» disse Dave, impassibile.

Sua madre lo baciò di nuovo. «Sedici… Ma guarda… Oh caro, come vola il tempo… mi sembra solo ieri che…» La porta si aprì con violenza e lei si interruppe allarmata mentre suo marito entrava.

Mr. Dickson se la prendeva sempre con tutto quello che gli si parava davanti. Sbatteva porte e cancelli e scasava la gente come se avesse sempre una fretta tremenda di andare da qualche parte, ma in realtà non combinava mai niente di concreto, e la sua famiglia lo sapeva bene. «Ancora conti!» Disse torvo, ignorando sia sua moglie che suo figlio.

 
Mrs. Dickinson si lasciò cadere affranta sulla sua sedia a capotavola e cominciò a versare il caffè. La cameriera l’aveva portato già da mezz’ora, e si stava raffreddando lentamente. Le cose erano sempre andate così in casa Dickinson, e a Dave, fin da piccolo , anche se non se ne rendeva conto, era rimasta l’impressione di pasti in ritardo o serviti prima del tempo, di bottoni che mancavano, di cameriere che se ne andavano dopo un po’, e di una disorganizzazione e trascuratezza generale.

Con un lieve sospiro sedette accanto a sua madre. Seguì un silenzio imbarazzante, rotto solo dal rumore secco delle buste lacerate da dita impazienti. Mrs Dickinson gettò un’occhiata ansiosa a suo marito: Il suo bel viso aveva un’espressione piuttosto torva… ma alla fine lei azzardò timidamente. «Caffè Richard?»

Lui non rispose, stava guardando un foglio, scuro in volto. Evidentemente si trattava di una fattura, perché lo esaminava punto per punto e calcolava freddamente il totale.

Mrs Dickinson lasciò cadere le mollette per lo zucchero: tintinnio irritante. «Mi spiace… mi spiace davvero,» mormorò nervosamente in tono di scusa.

«Ti spiace?» Suo marito alzò gli occhi d’improvviso. «Ti spiacerà ancora di più quando avrai sentito quel che ho da dire. Ma prima forse vorrai avere la cortesia di spiegarmi che significa questa fattura spaventosa.» Si schiarì la gola e cominciò a leggere ad alta voce: «Due camicie… dodici ghinee, quattro paia di calze.. tre sterline. Un abito azzurro… dodici ghinee, cappotto…» Si interruppe bruscamente, ammutolito alla vista di quella cifra enorme, e sua moglie disse  con voce tremante : «Sono per Dave… deve avere il necessario, se va a Parigi con Leo.

«Il necessario… Il necessario! » Sbottò il marito, furibondo. «E chi paga? Vorrei proprio saperlo. Il necessario? Quanto è che non mi compro un abito nuovo, io?»  Di colpo sembrò calmarsi, si chinò leggermente in avanti, fissò sua moglie e, come se stesse per condannare un delinquente…

«Senti,» disse, «e una volta  tanto ti pregherei di renderti conto che faccio sul serio: David a Parigi, non ci va.»

Quando era di quell’umore chiamava invariabilmente il figlio col suo nome di battesimo, invece di usare  il nome familiare. Dave. David era il nome di uno zio da cui un tempo, con eccessivo ottimismo, speravano di ereditare, e che invece li aveva amaramente delusi investendo i suoi cospicui capitali in un vitalizio e morendo un anno dopo. Da allora ci si era sentiti autorizzati a trasformare quel nome piuttosto solenne nel più dimesso Dave, un  po’ perché era più corto. E la famiglia Dickinson cercava di evitare qualsiasi tipo di fatica, e un po’ perché in inglese significa “pettirosso” ben si addice a Dave che, piccolo e bruno, aveva l’abitudine, quando cercava qualcosa o ascoltava qualcuno, di piegare la testa da un lato come gli uccelli.

«David, a Parigi, non ci va,» ripeté il padre con una calma micidiale. «E se non ti dispiace, neanche i ragazzi vanno a Cambridge.»

Mrs Dickinson, sconvolta, emise un grido soffocato. «Rick!» Senza rendersene conto aveva usato il nomignolo con cui chiamava suo marito quando erano giovani e felici.
Dave non disse nulla, restò seduto con le mani abbandonate in grembo come se non gli appartenesse. E così, il viaggio a Parigi con Leo era sfumato, quando tutto era già stabilito nei particolari da settimane! Da molto tempo gli promettevano quell’anno di scuola che, a detta di Leo, era d’obbligo per i ragazzi di un certo ceto sociale  per “raffinarli” prima del loro ingresso in società. E ora glielo negavano!

Sua madre cercò di parlare ancora, ma il marito la zittì.

«Non ho ancora finito,» disse gelido, «e se credi di rimediare a qualcosa con quell’aria da regina di tragedia, sbagli. Sei già stata avvisata molte volte  della fine che avremmo fatto se persistevi nei tuoi folli sperperi… ebbene, la fine è venuta. Mi sto interessando per vendere questa casa… per quel che può valere,» aggiunse cupo, «e dobbiamo trovare un appartamento da qualche parte.»

«Ricky!» esclamò lei con voce patetica, e per la prima volta la faccia impietrita di Richard ebbe un barlume di umanità.

«Le mie risorse sono agli sgoccioli,» disse gravemente. Seguì un silenzio così eloquente e profondo che a Dave sembrò interminabile. Alla fine però fu interrotto dai passi lenti di qualcuno nell’ingresso. Poco dopo la porta si aprì, molto piano, stavolta, e un uomo alto entrò lentamente.

Walter Ayres aveva un  aspetto piuttosto delicato e gli occhi molto azzurri. La prima cosa che si notava in lui erano appunto gli occhi, e il fatto che zoppicava leggermente. La gente lo considerava una specie di zio che abitava in casa Dickinson, anche se in  realtà non aveva nessun legame di parentela con loro.

Era figlio unico del più vecchio amico di Richard Dickinson, e fin dai primi anni l’avevano soprannominato “Muso nero”, perché quando era ragazzo, si diceva, aveva girato il mondo senza un soldo in tasca, spingendosi perfino in luoghi dove nessun uomo bianco aveva mai messo piede.

Su di lui si raccontavano storie romanzesche. In effetti, a detta di Richard Dickinson, era stato un po’ la pecora nera della famiglia: Rifiutando categoricamente di sistemarsi e di diventare un cittadino rispettabile come suo padre, facoltoso agente di cambio, aveva scelto senza esitazioni una vita libera e senza quattrini.

Ma quando la sua movimentata carriera era stata stroncata da un incidente che l’aveva reso zoppo per tutta la vita, Richard  Dickinson gli aveva offerto una casa, sia in segno di affetto per il padre morto, sia perché Africa nera era misteriosamente riuscito a mettere insieme un certo gruzzolo, per cui lo ripagava ampiamente di vitto e alloggio.
Da buon Dickinson, in faccia i ragazzi lo chiamavano Dilon, anche se il suo nome era Walter, e dietro le spalle Muso nero, e lui lo sapeva benissimo. Aveva il suo appartamento in quella antiquata costruzione irrazionale, e faceva la sua vita cercando di dare meno fastidio possibile, sempre pronto a rendersi utile e a sparire dalla circolazione al momento opportuno.


Quando i due ragazzi grandi andavano ancora a scuola li aiutava a fare i compiti, e anche molto bene, mentre lui a scuola era sempre stato un disastro, ed era bravissimo ad aggiustare mazze da cricket, a sistemare la televisione, e a fare una quantità di piccole riparazioni che erano necessarie in casa.

Quando lui entrò, gli occhi di Dave si illuminarono per un attimo. Anche se aveva molti anni più di lui, era il suo prediletto, e anche Dave di tutta la famiglia era il suo prediletto. Non che avesse mai mostrato, almeno apertamente, di avere più affetto per Dave che per i suoi due fratelli maggiori, ma fra loro c’era una corrente di simpatia e di intesa che andava al di là delle parole, e questo lo sapevano tutti e due.

Da bambino Dave non andava mai a confidarsi da sua madre, ma da Muso nero: a lui aveva raccontato le piccole avventure e disavventure che gli capitavano, e ora. In piena crisi di famiglia, fu lui che guardò, con un muto appello. Dilon ricambiò il suo sguardo con un lieve sorriso: «Tanti auguri, piccolo.»  Mentre gli passava accanto, diretto al suo posto, gli fece una carezza sulla spalla, e poi, senza dir niente, gli mise in grembo il pacchettino.

Mrs. Dikinson scoppiò immediatamente in un pianto isterico. «Tu sì che ti sei ricordato del tuo compleanno,» disse fra i singhiozzi, «e suo padre e sua madre l’hanno dimenticato.»

Poi si alzò e corse via, col fazzoletto premuto sugli occhi. Non che fosse sinceramente addolorata, ma quella le era parsa un’ottima occasione per sfuggire alle ire di suo marito. Dopo ventiquattro anni di vita matrimoniale più o meno travagliata, gli era ancora affezionata, ma ne aveva anche paura, e le continue sfuriate che lui le faceva per i suoi sperperi e la sua irresponsabilità non facevano che peggiorare le cose.

«Eccola che se ne va!» Disse Mr. Dickinson di malumore, «prima ci mette tutti nei guai, e poi scappa.» Non era vero, esagerava, ma era uno di quegli uomini che hanno bisogno di dar sempre la colpa agli altri. Guardò suo figlio con aria di rimprovero: «Segui, mamma?»

Ma Dave era troppo preso dal pacchettino che gli aveva dato Muso nero… Un orologio d’oro! E dire che aveva sognato di riceverne tutt’al più d’argento… Lo rigirò fra le dita tremanti di eccitazione: «Oh, Dilon, caro!»

«Tu vizi il ragazzo, Walter, disse Mr. Dickinson, seccato, ma mentre guardava la faccia arrossata e gli occhi scintillanti di Dave provò suo malgrado un lieve senso di rimorso, dopo tutto era figlio suo, e lui aveva dimenticato che era il suo compleanno.

Dave aveva appena fatta una scoperta, sul retro dell’orologio era inciso il suo nome nella calligrafia di Walter, e sotto c’era scritto: “da Walter”. Per un attimo le lacrime gli appannarono gli occhi, le asciugò in fretta e poi balzò in piedi e gli getto le braccia al collo. «Oh, grazie… grazie tante.»

«Evidentemente sei più ricco di me, Walter,» disse seccamente Mr. Dickinson. «Io non posso permettermi di regalare alla gente orologi d’oro.»


Ayres sorrise. «Io non  ho una famiglia da mantenere,» rispose garbatamente. Dilon non  andava mai in collera.

«Come ho detto a mia moglie e a Dave,» tornò all’attacco Mr. Dickinson, apparentemente rivolto ad Muso nero,» le nostre esigue risorse sono agli sgoccioli, e Dave non potrà andare a Parigi, né i suoi fratelli a Cambridge. Inoltre, ho intenzione di vendere la casa. La notizia è stata accolta come al solito: mia moglie si è messa a piangere e Dave è rimasto totalmente indifferente.

Ayres prese qualche fetta di pancetta, aveva un aspetto appiccicaticcio e molto poco appetitoso, ma Muso nero non si lamentava mai. «È il compleanno di Dave,» disse a caso.

Il capofamiglia lo guardò scuro in volto, e poi, come se non potesse sopportare oltre, spinse indietro la sedia con violenza, buttò per terra la pila di conti e se ne andò offeso, sbattendo la porta.

Dave tirò un sospiro di sollievo. «Caro è il più bell’orologio che ho visto,» disse con gratitudine, «e lo porterò sempre… sempre.» 

«Finché qualche tuo corteggiatore non te ne regalerà uno più bello,» rispose Ayres.
«Non ho mai avuto corteggiatori,» disse Dave, un po’ sorpreso da quella insinuazione. «Leo invece ne ha avuti tre.»

«Non so se Leo sia un buon amico per te,» disse Muso nero.

«Me l’hai già detto,» gli ricordò Dave, «ma mi è molto caro, sa tutto quello che vorrei sapere io.» Appoggiò la mano su il tavolo per ammirare meglio il suo regalo. «Mi domando perché io non ho mai avuto un corteggiatore.»

«Sei troppo giovane.»

«Leo ha solo un anno più di me, e dice che un mucchio di ragazzi, a diciassette anni, sono già fidanzati. «No,» fece poi soprappensiero, scuotendo la testa, «non credo che sia perché sono troppo giovane. Deve esserci un altro motivo.»

Ayres si accese una sigaretta, con una piccola smorfia.

«Posso averne una?» Chiese Dave.

«No.»

«Dai…» lo supplicò con  voce carezzevole, «è il mio compleanno.»

Ayres sollevò le sopracciglia in modo comico.

«E va bene…» disse tendendogli il portasigarette, Dave lo prese e osservò con occhio critico: «Com’è ridotto! Avresti potuto comprartene uno nuovo, invece di regalarmi l’orologio.»

«Già… ma ho preferito regalarti l’orologio.»

«Sei così caro,» ripeté lui, e gli infilò la mano nella tasca alla ricerca di un fiammifero. Ci fu un breve silenzio, e poi Dave chiese dispiaciuto: «Pensi che mio padre faccia sul serio stavolta, Dilon?

Ayres annuì. «Sì, temo sia vero che le nostre risorse sono agli sgoccioli.» Muso nero si immedesimava sempre in tutto quello che riguardava la famiglia.

«Ma allora perché mi aveva promesso di mandarmi a Parigi? Ho già tutti i vestiti… è vero che non sono stati pagati…»

«E non lo saranno,» rispose Aires, piuttosto cupo.

Dave appoggiò il mento sul palmo della mano e lo guardò con rimpianto: Non è una rovina, Dilon?

Lui si strinse nelle spalle. Aveva delle belle spalle larghe. «Non sarà poi una tragedia, se non vai un  anno a Parigi.»

«No, ma se ci andassi mi farebbe molto bene. Leo dice… ah già scusami, tu non hai simpatia per Leo.»

«No.»

Dave diede un’altra occhiata soddisfatta al suo orologio: «Quanti anni avevi quando hai lasciato la scuola, Dilon.»

«Non lo lasciata,» disse lui ridacchiando, «sono stato espulso.»

«Oh!» La cosa lo divertì immensamente, e si mise a ridere con lui. «E perché?»

«Per una serie di circostanze,» rispose Dilon con finta serietà. «E se ben ricordo, il colmo è stato quando sono rimasto fuori tutta la notte per una ragione che il preside considerò poco plausibile.»

«E qual era questa ragione?»

«Ero andato a ballare… con un ragazzo,» disse spicciolo Muso nero.

«Oh!» Dave ebbe un moto di gelosia. «E dov’è ora?»

«È morto… anni fa.»

«Oh» Era commosso e i suoi occhi si addolcirono, «Dilon, caro, gli… volevi bene?»
Muso nero prese il suo vecchio portasigarette e disse per tutta risposta: «Mi ha dato questo.»

Dave si soffermò a guardarlo con una strana espressione nei suoi occhi scuri. Un vecchio portasigarette consunto dall’uso… «Quanti anni avevi?» Chiese infine.

«Diciannove, credo.»

«Eri più vecchio di me.»

«Molto più vecchio di te, come lo sono ora… e non è solo questione di età.»

«Quanti anni hai adesso?» Insisté lui . Chissà perché non glielo aveva mai chiesto prima… ma in fondo non ce n’era bisogno. Era Dilon, e a lui bastava.

«Indovina?»

Dave aggrottò la ciglia, perplesso. «Cinquanta?» Buttò là.

«Addirittura!» Lo fissò un attimo sconcertato e poi si mise a ridere, un po’ triste. «Santo cielo. Ragazzo, sei impazzito? E tu, di’ un po’, quanti anni hai?»

«Ne compio sedici oggi… pensavo che lo sapessi»

«Lo sapevo,» ammise lui. «Allora, fra una ventina d’anni, avrai all’incirca l’età che ho io ora… Sai fare il calcolo, o l’aritmetica non è il tuo forte?»

Calcolò con cura, poi esclamo sorpreso: «Ma allora hai soltanto trentasei anni o giù di lì! Solo venti anni più di me!»

«Venti anni sono una vita,» precisò lui.

Seguì un breve silenzio, e Dave non poté fare a meno di ripensare  a suo padre: «Che farò se non vado a Parigi?»

«Che fanno gli altri ragazzi quando lasciano la scuola?»

«Gli altri ragazzi, a quanto pare, hanno un sacco di soldi.»ֿ

«Ti riferisci a Leo?» Disse lui freddamente.

«È l’unico ragazzo che conosco a fondo… è l’unico vero amico che ho.»

Muso nero schiacciò la sigaretta nel portacenere. «Beh, non far troppo caso a quello che dice,» gli suggerì. «E non credere che la sua opinione sia sacra… perché non lo è.»

Il fratello maggiore di Dave fece irruzione nella stanza. Era un bel giovanotto di vent’anni. Somigliava molto a sua madre, e aveva anche lui una buona dose di quell’indecisione e irresolutezza che lo rendevano attraente.

«Il vecchio dà i numeri,» sbottò. «Ha parlato anche a te, Dave? Dice che noi non possiamo andare a Cambridge, e che tu non puoi andare a Parigi, che bisogna vendere la casa, e un mucchio di altre storie… Insomma, che c’è di vero?»

«È tutto vero,» rispose Dave con calma, citando maliziosamente le parole di suo padre, «le nostre risorse sono agli sgoccioli.»

«Fesserie!» Disse Raymond in tono perentorio.» Sono anni che sentiamo questa storia. Sempre il solito falso allarme… io non ci credo.» Guardò Ayres: «Tu sai qualcosa?»

«Quello che dice tuo padre, purtroppo, è la verità,» rispose lui.

Il giovane lo fissò sbalordito, e il colore della sua faccia si alterò. «Siamo davvero… rovinati?»

Muso nero annuì.

«Rovinati!» Ripeté Raymond sconcertato. «E mio padre cosa crede che ci possa fare, io?»

«Penserà che tu ti metta a lavorare, immagino,» rispose Dave.

«Lavorare! E che specie di lavoro?» Disse suo fratello furioso, rivoltandosi contro di lui. Nessuno dei due rispose, e lui ebbe un altro scoppio d’ira: «È ridicolo, allevarci facendoci sempre credere che va tutto bene.»

«Non ha fatto proprio così… vero?» Intervenne Muso nero.

«Beh, dovrà pur metterci rimedio,» asserì Raymond, con arroganza, spazientito.  «Sono tutte stupidaggini! Non si va in rovina da un giorno all’altro. Ieri andava tutto bene, e stamattina… non gli credo, è chiaro, è solo uno dei suoi trucchi per sconvolgerci tutti quanti. Tu non vai a Parigi, Dave?

Lui fece segno si no con la testa. «Nostro padre dice di no.»

Raymond batté il pugno sul tavolo in un modo che ricordava moltissimo suo padre.

«Dannazione, che peccato,» ripeté, infuriato. «Non lo sopportò, ti dico… non lo sopporto!» E uscì sbattendo la porta.


Dave rivolse a Aires uno sguardo timido, e incontrando i suoi occhi sorrise come per chiedere scusa: «Siamo una famiglia piuttosto strana, eh?»

«Ho paura di sì,» ammise con rammarico Muso nero.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 
Capitolo 2



 
Tutto questo era successo a colazione, durante il giorno, però Dave poté stare relativamente in pace, perché Leo, che era arrivato nell’auto di suo padre, lo invitò a pranzare a casa sua. «Non ti portano da qualche parte i tuoi, visto che è il tuo compleanno? Gli chiese dopo che lui aveva accettato l’invito.

Dave arrossì leggermente. «Non oggi,» si affrettò a rispondere. Mio padre… non sta bene.»
Leo gli lanciò uno sguardo incredulo, poteva leggere nel pensiero di Dave come in un libro aperto, ma non sempre gli conveniva ammetterlo. «Beh, vieni a pranzo da noi,» ripeté.

A Dave piaceva andare a pranzo dai Graig, c’erano sempre un sacco di cose buone e un paio di camerieri eleganti che servivano a tavola, molto diversi dall’impertinente domestica a giornata di casa sua, che faceva sempre di testa sua e minacciava di andarsene non appena qualcuno osava trovare a ridire.

Mrs. Graig era gentile con lui anche se con un suo personale tocco di condiscendenza, e Mr Graig gli era simpatico… una volta gli aveva dato dieci scellini.  E com’era bella la loro casa, così ben tenuta e impeccabile! Al confronto, la sua gli appariva ancora più vecchia e malandata. Oggi però, mentre sedeva alla tavola meravigliosamente apparecchiata, non si sentiva contento come al solito, anche se i signori Graig avevano ammirato tutti e due il suo nuovo orologio.

«Hai detto che te l’ha regalato tuo zio?» Disse Mrs. Graig. Le piaceva sapere i particolari, anche se non la riguardavano.

«Dilon non è mio zio,» osservò Dave.

Leo si mise a ridere: «È troppo giovane per essere suo zio. Quanti anni ha, Dave, sarà sui trenta.»
«Ne ha trentasei,» rispose lui.

«Mi sembra che ne dimostri di più,» disse Mrs. Graig. «Ma forse è perché è un invalido.»

Dave arrossì violentemente. «Non  è un invalido,» disse bruscamente, dimenticando le buone maniere. «È solo zoppo da una gamba, a causa di un incidente.» Poi, notando l’espressione contrariata di Mrs. Graig, si affrettò ad aggiungere: «Mi dispiace… ma non è un invalido… non lo è davvero.»

La madre di Leo lo perdonò con un sorriso di degnazione «Tu quanti anni compi oggi? Sedici? Non li dimostri proprio… te ne avrei dato al massimo quattordici.»

Fra una cosa e l’altra, il pranzo non fu piacevole come al solito, e quando ebbe fine Dave si sentì sollevato.

«Vieni su nella mia stanza,» disse Leo. «Voglio mostrarti una parte dei vestiti che ho comprato per Parigi.» Dave si sentì mancare. Parigi! Non aveva ancora detto a Leo che non sarebbe andato con lui. Rimase a guardarlo ammirato, senza dir niente, mentre Leo tirava fuori dall’armadio un abito dopo l’altro e li sparpagliava sul letto. Erano troppo da persone adulte per un ragazzo della sua età, ma Mrs. Graig, che nonostante tutto il suo denaro non aveva affatto buon gusto, riteneva che un abito più era sensazionale, più era apprezzato e ammirato dalla gente.

«Ma non sono un po’ troppo importanti per metterli a scuola?» Si azzardò a dire Dave.

«Scuola!» Esclamò Leo scandalizzato. «Il signor Reniv non è una scuola! Ti insegna a come diventare uomo e saper stare nella società.» Fece una risata sprezzante. «Sei proprio uno strano tipo! Ma davvero credevi che saremmo andati a scuola?»

Dave  balbettò arrossendo che non aveva capito, non  sapeva… «Vedi, non sono mai stato a Parigi. Leo invece c’era già stato varie volte, e lì aveva degli amici che avevano promesso di portarlo in giro a divertirsi.

«Ora comunque non glielo dico” pensò Dave con un senso di oppressione. “Non glielo dico oggi… forse succederà qualcosa, e alla fine potrò andare.” Ma in cuor suo non ci sperava molto, e dopo aver preso il tè, mentre la riaccompagnavano a casa, si sentiva come Cenerentola al ritorno dal ballo… solo che Cenerentola aveva fatto la strada a piedi.

Quella sera a cena (i Dickinson la chiamavano sempre cena, anche se si trattava di un pasto piuttosto disordinato, senza tante cerimonie) ci fu ancora scompiglio.

«Tuo padre è fuori,» disse Mrs. Dickinson appena lo vide. «Non so dove sia andato, ma ho sentito che parlava di andare a Londra… e perché, poi! Come se avesse qualche ragione per andare a Londra, lui… » Sospirò: «Raymond ha telefonato per dire che non viene, e Adrien ha mal di testa e dice che non potrebbe inghiottire neanche un boccone! E tuo padre è fuori… Dimmi tu se vale la pena che io mi dia tanto da fare…»

Dave tentò di consolarla: «Non importa… non è necessario aspettare ancora, no? Vado a chiamare Dilon, ho fame…»

Non era vero, perché a pranzo dei Graig aveva mangiato molto, ma gli dispiaceva per sua madre. «Vado a chiamare Dilon,» ripeté, e andò nel suo soggiorno, una minuscola stanza sul retro della casa che dava suo giardino.

Muso nero era tutto preso dal meccanismo di un orologio che stava pulendo. «Ciao, piccolo,» gli disse distratto.

«La cena è pronta,» annunciò Dave avvicinandoglisi. Restò in piedi accanto a lui. «Deve essere già pronta da un pezzo, ma mio padre non c’è, Raymond è fuori, Adrien ha mal di testa… e mia madre si è messa a piangere.» Sospirò profondamente, e lui lo guardò con un sorriso divertito.

«E tu?» Gli chiese.

«Oh,» rispose con una piccola smorfia, «sono stato a pranzo da Leo , e devo aver mangiato troppo perché non ho neppure un po’ di fame… ma non dirlo a mia madre.»

«E cosa ha detto Leo di Parigi?»

«Non gliene ho parlato,» confessò Dave.

Muso nero spinse da parte il mucchietto di ingranaggi. «Devo lavarmi,» disse, e lo guardò di nuovo. «Peccato che non sono uno zio ricco, no piccolo?»

«Tu non sei uno zio,» ribatté pronto lui. «E perché è peccato che tu non sia ricco?»

«Perché se lo fossi, tu andresti a Parigi.»

«Davvero?» Disse Dave, con gli occhi scintillanti, poi in un slancio d’affetto, gli gettò le braccia al collo: «Sei la persona più cara del mondo, e io ti amo.» Stava per baciarlo, ma lui lo prese per i polsi e si sciolse dall’abbraccio.


«Vogliamo andare a cenare?» Disse.

Dave arrossì, e per un attimo sembrò un po’ offeso, ma poi si mise a ridere: «Avrai fame… beh, vai a lavarti, io vado a dire che siamo pronti.» Sentiva i polsi un po’ indolenziti nel punto dove lui li aveva afferrati, con una certa durezza. Ma Dilon non intendeva certo fargli male… non avrebbe mai fatto male a nessuno, lui.

Avevano appena finito di mangiare il cosciotto di agnello poco cotto e le verdure piuttosto acquose, quando udirono una macchina che si fermava davanti alla porta. «È tuo padre,» disse Mrs. Dickinson, «ha preso un taxi alla stazione. «Poco dopo lo sentirono parlare nell’ingresso con la donna.

«Sia lodato il cielo,» mormorò Mrs. Dickinson.

«Quando suo padre entrò, Dave pensò sconcertato: “Diamine, sembra ringiovanito si di molti anni come se gli fosse capitato qualcosa di bello”.

Prima di sedersi si chinò, miracolo, a baciare sua moglie sulla guancia. «E allora state tutti bene? Chiese come se fossero settimane che non li vedeva. Dave e sua madre lo guardarono con gli occhi sbarrati. «Ah, dimenticavo…»  disse a un tratto. Frugò nella Tasca della giacca e tirò fuori un pacchettino. «Per te, ragazzo mio. Tanti auguri.» Poi, vedendo che suo figlio non si muoveva e non diceva niente, tanto era stupito, soggiunse bonariamente: «Beh, non lo apri? Non vuoi vedere cosa ti ho portato?»

Mrs. Dickinson pensò terrorizzata: “È malato… non c’è altra spiegazione. Non l’ho mai visto così.”
Dave ruppe l’elegante confezione e un minuscolo astuccio gli cadde in grembo. Dentro c’era un braccialetto d’oro.

«Josey!» Esclamò Mrs. Dickinson con voce tremante. «Gioielli!»

Suo marito si mise a ridere: «Non lo ho rubati, mia cara, te lo assicuro, e non sono impazzito… Ho una cosa importante da dirti»

«Non saranno… altri guai,» sussurrò lei.

Mr. Dickinson fece un po’ di spazio sul tavolo, come se stesse, per iniziare una conferenza: «A volte capitano cose inaspettate,» disse, «come quello che è successo ora a noi… a me! Vi ricordate… tu ti ricorderai certamente, Dilon…» “Non lo chiama mai Dilon” pensò Mrs. Dickinson sempre più allarmata, «che quando mia sorella Ruby morì, restava inteso che aveva investito tutti i suoi capitali in un assurdo vitalizio che si estinse con la sua morte.» Fece una pausa drammatica. «Ebbene, non è così. A quanto pare, una settimana fa, per una fortunata coincidenza, è stato trovato un testamento, da uno che aveva comprato la vecchia scrivania di Ruby quando i suoi mobili vennero venduti dopo la sua morte… Pare che ci fosse un cassetto segreto.

«Un cassetto segreto?» disse Dave, quasi senza fiato.

«Non solo è stato trovato un testamento,» continuò lui senza badare all’interruzione, «ma vari documenti e certificati relativi al grosso del capitale di Ruby, che a quante pare è ancora intatto, e che, a detta degli avvocati, è una somma molto considerevole. Ruby è sempre stata uno strano tipo, questo lo sappiamo, ma non riesco a capire perché ci ha tenuto nascosto di essere ancora ricca, tanto più che…» s’interruppe, come se volesse tenere per sé il segreto ancora per un attimo, «dal testamento risulta che lascia tutto… a me!»

Nessuno parlò, e Dave istintivamente guardò Muso nero. Notò che era pallido, come se invece di una notizia così straordinaria ne avesse ricevuta una cattiva.

«Non ci credo,» disse la madre di Dave scoppiando a piangere.

Invece, anche se sembrava una storia romanzesca, era la verità, e entro pochi giorni l’eredità venne confermata dagli avvocati: Ottantamila sterline!

“A mio fratello Richard Dickinson, che ho sempre ritenuto uno stupido, ma gli lascio il mio denaro perché penso che si debba provvedere anche a uno stupido e alla sua famiglia.”

«Allora i ragazzi possono andare a Cambiridge,» disse Mrs. Dickinson per prima cosa, e suo marito rispose da gran signore che potevano andarci benissimo, e anche a Oxford, se lei voleva.
«E io posso andare a Parigi?» Chiese Dave col fiato sospeso.

Certo che poteva andarci… la casa però l’avrebbero venduta lo stesso, ma solo per trasferirsi in una migliore. «A Londra, cara, se vuoi… o preferisci in campagna?» Disse Mr. Dickinson a sua moglie dandole un buffetto sulla guancia.

«E per l’amor del cielo, comprati una vestaglia nuova, e quel vecchiume rosa dallo a una vendita di beneficienza.»

Forse, fra tutti, Dave era quello che era rimasto più stordito da quell’improvvisa ricchezza. Non poteva credere che ora, come ripeteva sempre suo padre, erano benestanti come i Graig, che potevano tener testa a chiunque, che lui avrebbe comprato una Jaguar. Certo era contento di poter andare a Parigi, di non dover più dire a Leo che era impossibile… era contento che suo padre e sua madre non dovessero più litigare o temere l’arrivo del postino, ma non capiva perché Muso nero non era più lo stesso con lui. Forse era solo una sua impressione, ma quel pensiero l’assillava e lo faceva soffrire.

Una volta era andato nel suo studio, e lui gli aveva detto, senza neppure alzare la testa dal suo lavoro: «Scappa ora, Dave, ho da fare.» Non glielo aveva mai detto prima, perché quando lui voleva parlargli dell’elegante baule con le sue iniziali sopra che gli aveva comprato suo padre, non gli dava retta? E perché…» Anche se cercava di non pensarci, gli venivano in mente tante piccole cose indicavano un cambiamento nei loro rapporti di affettuosa intesa.

Un sentimento nuovo, gli impedì di andare da lui e chiedergli cos’aveva, se lo aveva offeso. “Se a lui non importa,” pensò, «non importa neanche a me.” Invece, la vigilia della partenza per Parigi, quando il baule nuovo era pronto, chiusi con tanto di etichette, e l’avevano mandato a letto presto perché l’indomani l’attendeva un viaggio faticoso, aspettò che tutto fosse quieto e scivolo fuori dal letto.

Si infilò la vestaglia. Doveva vedere Muso nero solo per un momento, domani sarebbe stato troppo tardi, doveva cercare di riconquistare, prima di andar via, quel meraviglioso sentimento di simpatia e di intesa.

Scese piano le scale e attraversò l’ingresso buio. Tutti erano andati a letto eccetto  Dilon. L’aveva capito vedendo trapelare la luce dalle crepe della porta del suo studio. Era socchiusa, e Dave esitò un attimo, chissà perché aveva paura… poi, con garbo, la spalancò.   

Muso nero era seduto nella vecchia poltrona di pelle con la gamba appoggiata su uno sgabello, e in un primo momento lui pensò che fosse addormentato perché stava immobile, ma poi vide che aveva gli occhi bene aperti. Guardava fuori dalla finestra. Non aveva chiuso le tende, e uno sottile spicchio di luna crescente faceva capolino dal cielo scuro.

Non l’aveva sentito arrivare perché era a piedi nudi, e quando gli sussurrò: «Dilon!» Si voltò di scatto. Si guardarono per un momento, e Dave si chiese con un senso di disperazione perché non poteva corrergli incontro come faceva un tempo e dirgli: «Ciao, caro, sono venuto a darti la buonanotte.»

Invece restò lì come uno stupido, quasi impaurito. Muso nero mosse la gamba offesa, e si alzò.
«Pensavo che fossi già andato a letto da ore,» disse.

«Sì,» rispose Dave, «ma… volevo darti la buonanotte.»

«Me l’hai già data.»

Non era incoraggiante. Gli sembrò di vedere una strada lunga che non si fermava a Parigi, ma andava avanti, avanti, e lo portava sempre più lontano da Dilon, e lui sapeva che fra poco l’avrebbe perso di vista completamente. «Resto solo un attimo,» balbettò. Le sue labbra ebbero un fremito, «volevo solo… darti la buonanotte… ancora una volta.»  
 

«Buonanotte,» disse Dilon, e Dave ebbe la strana sensazione di parlare con un estraneo, che cercava di comportarsi educatamente con lui per un senso di dovere… Aveva il cuore pieno di cose da dirgli, ma non gliene venne alle labbra nemmeno una.

Stava per andarsene, quando lui improvvisamente lo chiamò: «Dave!» Lo raggiunse che era già alla porta e gli cinse le mani sulle spalle, gentilmente, facendolo voltare verso di lui. Restarono così a guardarsi per un attimo che sembrò interminabile, l’uomo alto e il ragazzo snello e alla fine lui si chinò, delicatamente e lo baciò sulle labbra.

«Buonanotte, Dave… Dio ti benedica.

Mentre risaliva le scale senza far rumore, sentiva le lacrime che gli bagnavano la faccia e la lieve pressione delle labbra di lui sulle sue… Nessuno l’aveva mai baciato sulle labbra prima.
L’indomani mattina partì per Parigi.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 
 
 
 
Capitolo 3  



 
Dave rimase all’estero per due anni. All’inizio scrisse regolarmente a sua madre e ogni tanto anche a suo padre e ai suoi fratelli. Per i primi due mesi scrisse a Muso nero ogni settimana.
«Se vogliamo avere davvero notizie di Dave, » diceva a volte Mr. Dickinson quando era di umore piuttosto cattivo, «dobbiamo chiedere a Walter. Ogni settimana riceve da lui una lettera di tre pagine, mentre a noi scrive solo poche righe in fretta.»

La famiglia Dickinson ora faceva una vita completamente diversa.

Raymond e Jan erano andati a Cambridge, la vecchia casa malandata era stata venduta e ben presto era stata demolita da un’impresa edile che intendeva costruire ventiquattro appartamenti di lusso dove si stendeva il giardino incolto. Quando, dopo molte discussioni, i coniugi Dickinson si trasferirono in una casa non troppo grande in Regent’s Park, Muso nero andò con loro.

Aveva proposto di cercarsi una sistemazione da qualche parte o un appartamento ma non glielo avevano permesso.

«Sono vari anni ormai che stai con noi,» disse Mr. Dickinson da gran signore, «e  non vedo perché non si possa continuare sulla base di questo accordo.»

«E poi cosa direbbe Dave se al suo ritorno non ti trovasse?» Osservò sua moglie.

Ma Dave non tornò a casa. Scrisse ai suoi per informarli che il signor Reniv desiderava che i suoi allievi si prendessero un mese di vacanze , rimanendo però a Parigi, e Mrs Dichinson colse l’occasione per andare anche a lei a Parigi.

«Non ci sono mai stata,» dichiarò, «e questa è la volta buona. Perché non vieni con me, Rick?»
Da quando erano diventati ricchi usava questo nome molto più spesso che hai vecchi tempi.
Lui però disse che non aveva voglia di vedere Parigi, e che riteneva assurdo precipitarsi in un paese straniero quando conoscevano così poco il proprio.

«Comunque, fai come ti pare, mia cara,» aggiunse. Da un po’ di tempo usava piuttosto spesso questa espressione.

Così sua moglie decise di mettere in atto il suo progetto. All’ultimo momento però le mancò un po’ il coraggio e fece appello a Muso nero: «Perché non vieni tu, Ayres? Dave sarebbe felice di rivederti.»

Lui scosse il capo sorridendo: «Tanto per cominciare, non posso permettermi di andare a Parigi.» Ma il vero motivo del suo rifiuto non glielo disse: erano due settimane che Dave non gli scriveva.

«Non è detto che si debba spendere molto,» insisté lei. «Intendo assolutamente fare le cose in economia. Non c’è senso a scialacquare, solo perché finalmente abbiamo un po’ di denaro!»
Ma Muso nero non si lasciò convincere. 

«Salutami tanto Dave,» furono le sue ultime parole di commiato.

Mrs. Dickinson era troppo nervosa per andare in aeroplano, e durante la traversata da Dove, si sentì molto male. Come la maggior parte delle persone che soffrono il mal di mare, però, si riprese in fretta, ma le prime parole che disse a Dave, che era andato a prenderlo alla Gare du Nord, furono: «Cara, sono a pezzi… abbiamo avuto una traversata spaventosa. Credo che dovrò andarmene subito a letto.»

«Di aspetto però stai benone. Sei molto elegante e… sembri molto più giovane,» osservò Dave, come se fosse sorpreso da quella scoperta. Mrs Dickinson dimenticò immediatamente di essere a pezzi e annunciò: «Sono affamata, semplicemente affamata! Figurati sul treno non potevo neanche sopportare la vista del cibo.»

Poi guardò suo figlio e cambiò espressione. «Ma caro, come sei cambiato! In meno di un anno! Quando sei partito eri un ragazzino e ora sei un uomo fatto!»

«Sarà Parigi,» disse Dave, ridendo spensierato. «Mi sono divertito e studiato, non mi pare nemmeno che siano passati questi mesi.»

Sua madre lo squadrò con occhio critico. «Perfino la tua voce sembra diversa! Hai preso un po’ il modo di fare di Leo. A proposito, dov’è Leo? Pensavo di trovarlo qui con te ad aspettarmi…»

«È andato a Cannes, ha degli amici là.» Incontrando lo sguardo di sua madre, Dave non disse che era stato invitato anche lui, ma che il suo arrivo, non proprio gradito, gli aveva impedito di accettare.

«E voi come state?» Chiese poi.

«Molto bene, cara… vedrai come ti piacerà la nostra nuova casa! Guarda proprio sul parco, e la tua camera da letto è deliziosa, l’ho fatta arredare con mobili laccati e chintz.

Poco dopo, in macchina, si sentirono tutte e due un po’ imbarazzati. “Com’è cambiato!” pensava ognuno di loro. Eppure non era passata una eternità.

“Saranno i soldi,” concluse tristemente Dave prima di fare la domanda che gli stava a cuore fin da quando era arrivato il treno. «E Dilon… sta bene?»

«Benissimo… aveva proposto di prendersi un appartamento per conto suo, ma non potevamo certo permetterglielo, e così ha il suo alloggio personale che dà sul giardino, come nella vecchia casa.

«Povera vecchia casa,» disse Dave con rimpianto.

«Vedrai cos’è quella nuova!  Ho una governante bravissima, fa tutto lei. Non ho più nessuna preoccupazione: pranzo, cena, donne di servizio… niente. È un tale sollievo esser libera di divertirsi!»

Dave guardò fuori dal finestrino, un po’ accigliata, la strada piena di gente  e di traffico. Ci fu un breve silenzio, poi sua madre disse: «A che cosa pensi , caro?»

Lui si voltò esitante. «Pensavo che… in un certo senso non sembri mia madre.»

«Neanche tu sembri mio figlio,» rispose allegra Mrs. Dichinson, prendendolo per un complimento.

La sua visita durò solo due settimane. Anche se non voleva ammetterlo, si era stancata di cercare di divertirsi a tutti i costi, e quando Leo scrisse da Cannes: “Se tua madre non si ferma tutto il mese, Dave potresti venire giù”, Mrs. Dickinson colse l’occasione per andarsene.  

«Ma certo che devi andare, caro! Mi farebbe tanto piacere che vedessi Cannes! Voglio che tu vada dappertutto, finché sei giovane, e poi i devo proprio tornare a casa… nella sua ultima lettera tuo padre dice che son già stata via abbastanza a lungo.

Non era vero, ma era una buona scusa, e così, alla fine della seconda settimana, Dave la accompagnò alla stazione, e quando la vide ben sistemata sul treno tirò un sospiro di sollievo.
«Sicuro che non ti sentirai troppo solo?» Gli chiese sua madre.

«Sono abituato a essere indipendente,» disse Dave ridendo, mentre il treno cominciava a muoversi fece un rapido passo avanti. «Salutami tanto tutti e… Dilon.»

«Certo… a proposito, che sbadata… anche lui ti manda tanti saluti.»

Il treno si allontanò in fretta, e Dave si sentì stranamente turbato, e anche un po’ sperduto e solo.
L’indomani mattina partì per Cannes.

Non erano passati ancora i due anni, e improvvisamente Mr. Dickinson dichiarò che era ora che suo figlio tornasse.

«Vorrei sapere perché abbiamo messo su questa casa,» disse irritato, un po’come ai vecchi tempi. «Non c’è mai nessuno! Quando i ragazzi arrivano da Cambridge sono sempre fuori, o vanno da qualche parte. È ridicolo… Dave deve venire a casa.»

«Ma caro,» protestò sua moglie, «conosciamo tanta gente simpatica… è incredibile quante amicizie ho fatto da quando siamo venuti a Londra!

In realtà le aveva fatte iscrivendosi a un club, e in maggioranza erano donne che avevano ben pochi interessi oltre alla moda e al bridge. Quando facevano visita a sua moglie Richard cercava sempre  di stare alla larga, e non si poteva certo dire che le considerasse sue “amiche”.

La verità era che Mr. Dickinson cominciava a sentirsi solo. In passato per lo meno aveva il suo bel daffare ad arrovellarsi e a tormentare la sua famiglia per questione economiche, e a rabbonire quei poveri cristi dei suoi creditori, ma ora non aveva più neanche quella preoccupazione, il tempo non passava mai.

Non aveva neppure un hobby e, anche se non l’avrebbe mai ammesso per tutto l’oro del mondo, aveva sperato di poter godere della compagnia dei suoi figli, solo che purtroppo loro la pensavano diversamente.  Così ora si aggrappava, come ultima speranza, a Dave, e non vedeva l’ora che tornasse.

Anche se voleva ancora bene a sua moglie, per quanto con una certa indifferenza, avevano ben poco in comune… tanto meno ora che lei si era fatta il suo circolo femminile e aveva preso assiduamente lezioni di bridge per cercare di movimentare il monotono tran tran della loro vita.
Sicché, mentre Mrs. Dickinson non era mai stata felice, per suo marito era esattamente il contrario. Una volta dileguata l’eccitazione di ritrovarsi in una solida posizione economica, aveva cominciato a rendersi conto che in fondo il denaro, se non si hanno anche altre cose, dà ben poca soddisfazione. Una sera lui e Muso nero stavano cenando da soli, ora che c’era la governante a occuparsene, la cena era servita accuratamente e piuttosto formale, quando Mrs. Dickinson disse all’improvviso: «Le cose sono cambiate, eh Walter?»

«Vuoi dire in meglio?» Chiese Muso nero alzando gli occhi di un azzurro intenso.

«È difficile dirlo, immagino di sì, ma… ai vecchi tempi c’era qualcosa… c’era più calore, forse. In un certo senso la nostra famiglia era più unita, non ti pare?»

«Eravamo tutto a casa, allora,» disse Muso nero evasivamente, poi sorrise: «Anche perché nessuno di noi aveva i soldi per muoversi no?»

Mr. Dickinson allontanò il piatto raffinato che gli avevano messo davanti. Era un uomo di gusti semplici. Per lui  andava bene una costoletta ai ferri o un bel pezzo d’arrosto, e i pasti di quegli ultimi mesi, a dir la verità, gli sembravano per lo più delle “porcherie elaborate”.

«Preferisci la vita che facciamo ora, Walter?» Chiese schiettamente.

Muso nero esitò un attimo prima di rispondere. «Se devo dire proprio la verità, a costo di sembrare maleducato, no.»

«Ah!» Mormorò Mr, Dickinson con aria di trionfo.

Poi lasciarono cadere l’argomento, forse perché avevano tutti e due la sensazione di essersi già lasciati andare un po’ troppo, parlando così a cuore aperto.

 
Mr. Dickinson insisté perché Dave tornasse a casa.

«Hai detto che Leo torna alla fine del mese,» disse a sua moglie. «Bene allora Dave viene con lui.»

«Ma Josey,» protestò Mrs. Dickinson. «Leo è più grande… ha quasi due anni più di Dave.»

«Dave torna quando torna Leo,» rispose suo marito ostinato. Così la sua decisione venne comunicata a Parigi, e una bella mattina d’Aprile piena di sole i Dickinson si svegliarono col pensiero che nel giro di poche ore avrebbero rivisto Dave.

«Sarà un piacere riaverlo con noi,» disse Mrs. Dickinson sorseggiando il tè a letto sostenuta dai cuscini. Indossava un  elegantissimo négligé. «Ho detto che sarà un vero piacere riavere Dave a casa,» urlò per farsi sentire attraverso la porta aperta  da suo marito. Che si stava vestendo.

Lui rispose con un grugnito, stava cercando disperatamente di infilare i gemelli nei polsini della camicia, e si fermò un attimo per guardare fuori della finestra il parco illuminato dal sole.

Le foglie degli alberi erano ancora tenere, e i mandorli erano tutti in fiore. Il mondo sembrava giovane e felice, proprio come Dave al suo ritorno a casa, e quella vista lo fece sentire stranamente sentimentale.

«Dave torna oggi, sai» disse Mrs. Dickinson nella tarda mattinata, cacciando dentro la testa nel piccolo studio di Muso nero.

«Ma no!» Esclamò Dilon con aria sorpresa, come se ne fosse completamente dimenticato. Anche lui era in piedi accanto alla finestra e contemplava il mandorlo in fiore.

«Josey ed io andiamo a prenderlo alla stazione Victoria: Veramente oggi pomeriggio avevo un appuntamento per un bridge,» proseguì lei, «ma naturalmente ho dovuto fare le mie scuse. Ho detto a lady Anne che dovevo assolutamente andare a prendere il mio figliolo… il mio piccolino. Sono quasi due anni che non lo vedo, e devo assolutamente andare a prenderlo.

«Certo, certo,» disse lui sforzandosi di apparire serio, mentre si chiedeva se la madre di Dave aveva sempre avuto quest’impulso modo di parlare o se aveva preso l’abitudine solo da quando era ricca.

«Vieni con noi?» Chiese lei tutta contenta. «Sono sicura che Dave sarebbe felicissimo di vederti.»

Muso nero invece non ne era tanto sicuro, e rispose che forse era meglio se andavano senza di lui.

«Naturalmente se hai deciso così…» Disse Mrs. Dickinson. «Spero che la povera gamba non si stia comportando male stamattina, eh Ayres?» Soggiunse con eccessiva premura.

«La povera gamba non si sta comportando peggio del solito.»

«Mi fa tanto piacere,» disse lei compunta, e se ne andò. Muso nero stava ancora guardando il mandorlo. Nel giardino della vecchia casa ce n’era uno che ora abbattevano per costruire al suo posto ventiquattro appartamenti di lusso. Una volta, una mattina di primavera proprio come questa, Dave si era arrampicato sui suoi rami piuttosto fragili, e uno si era spezzato sotto il suo peso leggero, facendolo precipitare a terra. Non si era fatto molto male, ma si era ammaccato un ginocchio, ed era corso da lui piangendo a calde lacrime per farsi consolare. Da lui… e non da sua madre, solo che ora avrebbe trovato detestabile quel ricordo.

«Un uomo fatto! Davvero, non sembrava proprio il mio ragazzo,» gli aveva detto Mrs. Dickinson al suo ritorno da Parigi.

«Come Leo Graig,» aveva asserito Muso nero con una certa durezza.

«Sì, come Leo, ma naturalmente il mio Dave è molto più attraente…»

Alla fine si allontanò dalla finestra per sedersi alla scrivania. La usava di rado per scrivere, salvo che per rispondere alle lettere di Dave, che in quegli ultimi tempi si erano molto diradate.

Quella giornata gli sembrò interminabile. Sentì per lo meno sei volte la voce di Mrs. Dickinson chiedere se era tutto pronto Dave.

«Il letto è stato preparato? Devo portare dei fiori nella sua stanza. Gli sono sempre piaciuti i fiori. Hai detto a Nicky che alle quattro ci occorre la macchina.

Sembrava la personificazione delle ansie e delle premure materne, mentre svolazzava per la casa agitata come un passerotto.

Finalmente venne l’ora di andare alla stazione.

«Noi andiamo,» annunciò Mrs. Dickinson a Muso nero cacciando dentro la testa. «Speriamo che il treno non abbia ritardo. Josey detesta star lì ad aspettare. Ciao.»

Gli gettò un bacio, e di lì a poco li vide allontanarsi tutti e due  con la macchina nuova. Fece una smorfia: si ricordava che hai vecchi tempi Dave andava e veniva da scuola in bicicletta, una vecchissima bicicletta a cui lui aveva spesso fatto delle piccole ma utilissime riparazioni.
Sulla mensola del caminetto, c’era una fotografia di Dave, si voltò a guardarla. Era solo un ingrandimento di un’istantanea scattate da uno dei suoi fratelli, ma rappresentava Dave com’era veramente, o com’era allora, in giardino, con una maglia di cotone senza maniche e i capelli spettinati. In un angolo erano scarabocchiate queste parole: “Al caro Dilon, da Dave.” 

Muso nero tirò fuori di tasca il portasigarette d’argento, tutto rovinato e si accese una sigaretta.

“Dilon, caro, gli volevi bene?” Gli pareva di sentire la voce di Dave che gli faceva quella domanda, mentre con un piccolo movimento rapido, impetuoso, infilava il dito nell’anello di fumo che lui aveva soffiato nell’aria.

Ricordava anche che l’avevano guardato insieme disperdersi appena due anni fa circa… sembrava un secolo.

Prese la fotografia di Dave dalla mensola del caminetto e la chiuse a chiave nel cassetto della scrivania.

 
Il treno aveva un quarto d’ora di ritardo.

«Lo sapevo… i treni arrivano sempre in ritardo quando ci sono io ad aspettarli,» furono le prime parole che udì Muso nero. Aveva visto la grossa automobile avvicinarsi lentamente, e si era allontanato dalla finestra. Strano, ma in quel momento non se la sentiva di vedere Dave.

«Non lo trovi incantevole, caro? Su, d che sei soddisfatto della tua nuova casa!»

“Benedetta donna!” Pensò Muso nero spazientito.” Non la finirà mai di parlare?”

«Vieni, che ti mostro la tua stanza. Sarai stanco… o vuoi vedere Walter prima?»

Lui cercò di non sentire la risposta, ma dopo un po’si accorse che salivano le scale, e Richard Dickinson entrò nella stanza.

«L’ultimo grido della moda di Parigi,» disse seccamente. «Spero che lo riconoscerai.» E se ne andò senza aspettare la risposta.

«Muso nero rimase in piedi accanto al caminetto, con le spalle rivolte verso il fuoco: strano, dopo una giornata così bella, ora sentiva freddo.

I minuti passavano lentamente, e udì ancora dei passi sulle scale e nell’ingresso.

Stava guardando il mandorlo, come per trovare pace e rifugiarsi nella sua bellezza, quando una voce disse, un po’ nervosamente: «Posso entrare?»

Muso nero si voltò lentamente. «Sì, certo… entra.»

Dopo un profondo silenzio gli andò incontro a fatica. «Come stai… Dave?»

Aveva esitato un po’ a chiamarlo per nome, come se non fosse proprio sicuro che era lui, e Dave si mise a ridere… una risatina stridula e innaturale.

«Come stai, Dolin. Ti dispiace se ti chiamo ancora così?» Chiese dandogli la mano… una mano sottile e fredda. «Sono secoli che non ci vediamo… ma tu non sei cambiato. Io invece forse lo sono, non ti pare?» Per un istante i suoi occhi scuri lo guardarono con un’espressione che gli ricordò il Dave di un tempo, e ripeté, incerto: «Pensi che io sia cambiato?»

«Sei diventato grande,» rispose lui.

Dave ritirò la mano.

«Lo so, c’era da aspettarselo, no?» Si guardò intorno con occhio critico. «È proprio una bella casa… un po’ zeppa di cose rispetto alle case francesi, certo  ma…» Si interruppe. Forse perché aveva avvertito l’innaturale tensione che c’era fra loro, e poi disse nervosamente, con civetteria «Beh, potresti dire che sei contento di vedermi!»

«Sono contento di vederti!» Rispose lui con una strana voce senza inflessioni.

Dave serrò le labbra. «Questo è… tutto?»

Gli occhi di Muso nero, azzurri e fermi, incontrarono i suoi. «Sì è tutto.»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
 
 
 
 
 
 
Capitolo  4



 
Quella sera, per celebrare il ritorno di Dave, la cena fu più elaborata del solito, e Mrs. Dickinson in pratica monopolizzò la conversazione, anche se probabilmente era convinta di prestare la massima attenzione a suo figlio che raccontava della sua vita a Parigi.

«Sei contento di essere a casa, tesoro?» Gli chiese. Da alcuni mesi usava abbondantemente a vanvera quei vezzeggiativi che le sue compagne di bridge ostentavano con tutti. Poi aggiunse, senza dargli il tempo di rispondere: «Che bellezza riaverti qui! Non vedo l’ora di portarti in giro con me e di mostrarti alla gente. Lady Anne muore dalla voglia di conoscerti, dice che avrebbe tanto desiderato un figlio ma ha solo una figlia.

«E chi è Lady Anne?» Chiese Dave.

«È una così cara persona,» dichiarò Mrs. Dickinson entusiasta, «e ha un delizioso appartamento in Grosvenor Square… uno di quelli nuovi, sai. Ci vediamo spesso, e spero proprio che ti piacerà.» In realtà a lei lady Anne non era per niente simpatica, e quando giocavano a bridge litigavano spesso, ma poi, per riguardo al titolo di quell’anziana signora, di solito Mrs. Dickinson alla fine si dava per vinta.   

«Ora naturalmente parlerai francese come una del luogo,» proseguì in tono brillante. «Io avrei tanto desiderato parlare francese, ma non ne ho mai avuto l’occasione. Dev’essere così inutile…» Guardò suo figlio. «Su, dì qualcosa in francese, caro.»

Mr. Dickinson parlò, quasi per la prima volta da quando si era seduto a tavola.

«Se Dave parla francese, forse potrà dirmi che cos’è questo intruglio.» Guardò il suo piatto con odio, un po’ come un tempo guardava le sue lettere chiuse nelle buste. «Non mi piacciono tutti questi camuffamenti. Perché non possiamo avere cibi semplici e genuini?»

Sua moglie gettò un’occhiata alla cameriera, agitata.

«A Parigi è un delitto… chiedere cibi semplici e genuini,» disse Dave ridendo.

«Non sarà l’unico, immagino,»  ribatte seccamente suo padre. Si sentiva un po’ addolorato e sconcertato dal cambiamento straordinario che aveva fatto suo figlio. Aveva la sensazione, come Muso nero, di essere stato in qualche modo ingannato… quel ragazzo estremamente elegante e sicuro di sé non gli sembrava più il timido ragazzino di aspetto piuttosto comune per la quale in passato, doveva ammetterlo, non aveva mai provato molto affetto. Preferiva in gran lunga i suoi due figli più grandi, neanche loro in un certo senso gli erano sfuggiti, e non riusciva a capire quel loro modo nuovo e ultramoderno di vedere la vita.

Mrs. Dickinson alzò la mano con aria melodrammatica. «Il telefono,» disse.

La cameriera scomparve, e ritornò poco dopo per dire che Dave era desiderato dal signor Graig.
«Leo!» Esclamò vivacemente Mrs. Dickinson, come se avesse fatto una grande scoperta.

Dave andò a rispondere e loro restarono per un po’ in silenzio. Quasi subito udirono la sua voce, molto allegra e animata, interrotta da scoppi di risa.

Dave tornò di lì a poco… Era leggermente rosso in volto e sembrava eccitato. «Mi spiace,» disse spensierato. «Leo voleva sapere se ero arrivato sano e salvo.»

«Cosa pensava che ti fosse capitato?» Chiese suo padre. «Ma guarda! E perché poi non dovresti arrivare sano e salvo, ora che sei nel tuo paese  e coi tuoi genitori?»

Dave gli lanciò un’occhiata rabbiosa. «Beh, sei stato tu a mandarmi a Parigi, no?»

L’atmosfera era tesa e Dave stava un po’ sulla difensiva. Muso nero lo avvertiva, e si sentiva molto a disagio. La situazione non migliorò certo quando Mrs. Dickinson, nel tentativo di placare suo marito e suo figlio, disse: «Volevamo darti il meglio che potevamo permetterci, e sono sicura che i risultati sono più che soddisfacenti… no Richy?»

Richard si limitò a sbuffare, e Dave disse in tono sbrigativo: «Beh, spero che restiate sempre della stessa idea.» Poi, quasi senza rendersene conto, incontrò lo sguardo fisso di Muso nero. «Dilon non dice niente! » Esclamò con voce un po’ stridula. «Se ne sta lì seduto ad ascoltare  senza dir niente!

«Gli spettatori vedono bene il gioco… è una grande verità,» rispose Muso nero, pacato.  
                                                                                                                                                                                                                             

«Quale gioco?» Chiese bruscamente Mrs. Dickinson.  

Aveva deciso di dare del filo da torcere, e la situazione sarebbe precipitata se a un tratto Muso nero non avesse detto: «Mi scusate se vado nella mia stanza? Mi fa un po’ male la gamba.»

«Oh, povero Walter,» esclamò Mrs. Dickinson. «Posso fare qualcosa per te? Vuoi che chiamiamo il dottore?»     

Ma il “povero Walter” rispose che non era niente di grave e che sarebbe bastato un po’ di riposo… “e di tranquillità”, pensò, a rimetterlo in sesto. Dave lo guardò allontanarsi zoppicando, e lasciò a metà il suo ragionamento.

«Povero Walter!» Sospirò Mrs. Dickinson quando la porta si chiuse alle sue spalle. «Strano, di solito non parla mai dei suoi dolori. In realtà credo che soffra molto più di quanto noi possiamo supporre. Pensi che dovrei insistere perché vada dal dottore, Richy?»

«Lascia perdere,» rispose il marito. «Io so bene quello che prova,» aggiunse poi inaspettatamente.

Restarono per un po’ in silenzio, e poi Dave chiese in quello stesso modo timido ed esitante che aveva un tempo: «Pensate che sia… peggiorato?»

«Non può certo star meglio,» rispose sua madre. «Non potrà mai star meglio, povero Walter… lo sappiamo tutti.» Poi soggiunse, sospirando: «Se avete finito tutti e due, possiamo andare in salotto…» e si avviò.

Mr. Dickinson rimase al suo posto, accigliato. All’improvviso il futuro non gli appariva più tanto roseo.

«Vado a vedere come sta Walter,» disse Dave. Si accorse, con un lieve senso di sgomento, che per la prima volta l’aveva chiamato “Walter”. «Torno fra un attimo.»

Attraversò l’ingresso con molta lentezza, come se l’aspettasse un compito non proprio piacevole, e davanti alla porta chiusa dello studio si fermò un momento esitante prima di decidersi a bussare. «Posso entrare?»

«Entra.»

Muso nero era seduto alla sua scrivania e stava esaminando la parte interna di un orologio smontato. Quando Dave entrò, non alzò neppure gli occhi.

Dave chiuse la porta e gli si avvicinò. Rimase a guardare in silenzio le sue dita forti e capaci alle prese con gli intricati e minuscoli ingranaggi, e poi gli chiese: «Va meglio la gamba?»

Lui gli gettò un’occhiata, con un lieve sorriso sulle labbra. «Non mi ha mai fatto male… ma è stata l’unica scusa che ho saputo trovare per alzarmi da tavola.»

Seguì un lungo silenzio, e alla fine Dave chiese: «Perché?»

Dilon si strinse nelle spalle: «Non ci stavo bene, ecco.»

«Vuoi dire che non ci stavi bene… perché c’ero io,» ribatté il ragazzo.

«Anche per questo.»

«Sei molto sgarbato.»

Muso nero si mise a ridere: «Questa frase è così lontana dal Dave di un tempo, e così tipica del nuovo, e c’era da aspettarselo.»

La mano sottile di Dave si alzò per tormentare una ciocca di capelli, come faceva quando era bambino ma poi ricadde perché ora stava bene guastarsi la pettinatura.

«Sei deluso… è questo che intendi?» Disse lui, sempre con una punta di alterigia.

Prima di rispondere, Muso nero prese una delle rotelle più minuscole e la scrutò: «Non ho nessun diritto di essere deluso.»

«Certo che non l’hai.»

«Bene , chiudiamo l’argomento,» rispose lui con calma.

Dave fece l’atto di andar via, ma poi cambiò idea: avvicinò una sedia e sedette di fronte a lui dall’altra parte del tavolo.

I suoi occhi scuri ebbero un lampo di rabbia ma quando li posò sulla faccia preoccupata di Walter divennero improvvisamente tristi. «Non ti piaccio più, Dilon?»

La rotellina gli sfuggì dalle dita e rotolò giù dal tavolo.

«La prendo io,» fece Dave. La trovò quasi subito, nascosta dietri il cestino della carta straccia. «Eccola,» disse porgendogliela. «Che stai facendo?»

«Sto cercando di aggiustare qualcosa che ha tutto l’aria di essere irrecuperabile.

«Oh!» Disse Dave. I suoi occhi scuri, ancora una volta, furono attirati dal suo aspetto, dal suo volto tranquillo e bello che esprimeva forza e virilità, dai suoi occhi di un azzurro intenso sotto le sopracciglia scure e folte.

«Che buffi capelli che hai! Sembri un cavallo pezzato,» si ricordava di avergli detto da bambino. Erano molto folti e ordinati, di quel castano con riflessi cangianti.

Ma stasera alla luce della lampada da tavolo, si accorse che cominciavano già a diventare un po’ brizzolati. E dire che Muso nero aveva solo trentasette anni. Ma già lui aveva “un passato”, dicevano, e, come aveva sentito dire una volta a sua madre, la sofferenza fa sempre invecchiare la gente.

Con un gesto impulsivo, si chinò leggermente verso di lui e gli chiese: «Davvero la gamba… non ti fa male?»

«Non più del solito, grazie,» rispose lui senza alzare gli occhi.

C’era un lungo specchio appeso alla parete di fronte, e l’immagine che vi era riflessa attirò Dave: un ragazzo snello con un vestito di un azzurro sfumato, le braccia e le spalle nude, bianchissime, i capelli scuri perfettamente pettinati.

«Tua madre non ti vorrà?» Disse Muso nero.

«Devo dedurre che tu non mi vuoi?» Chiese Dave, guardandolo in modo indisponente.

«No di certo! Pensavo solo che siccome questa è la prima sera che passi a casa…»

Dopo un breve silenzio Dave disse un po’ acre, ma anche con una certa timidezza: «Preferirei restare qui, se non ti do fastidio.»

«Non mi dai fastidio,» rispose lui con uno sforzo. «Di che cosa dobbiamo parlare?»

«Posso fumare, o ti dispiace?»

«Certo, come no?» Dilon tirò fuori il vecchio portasigarette d’argento dalla tasca della giacca. «Sono solo sigarette popolari,» si scusò.

«Le fumavo sempre a Parigi… quando riuscivo a trovarle. Non mi piacciono le sigarette francesi.»

«E Parigi ti è piaciuta?»

«Si… o almeno, penso di si. Ci siamo divertiti molto,» disse ridendo, con tono un po’ sostenuto. E poi di nuovo spontaneo come il Dave di un tempo: «È buffo… quando sono partito, quasi due anni fa, pensavo di andare in una specie di scuola. Ma naturalmente non lo era. Messier Revin aveva più che altro la funzione di Maestro, insegnarci a come stare e vivere nel mondo. Diventare futuri uomini.»

Si interruppe e Muso nero disse: «Vi insegnava a comportarvi come ragazzi moderni e sofisticati.»

«Sì… penso di sì.»

«Messier Revin ha fatto un ottimo lavoro. E naturalmente sei andato dappertutto e hai visto tutto… ti sarei fatto molti amici.»

«Sì»

«E Cannes ti è piaciuta?»

Se l’avesse guardato, avrebbe notato la sua espressione improvvisamente agitata.

«Sì. Mi è piaciuta,» rispose Dave senza molto entusiasmo.»

«Io la odiavo,» disse lui con foga. «Mi ha colpito perché l’ho trovato un posto così artificiale, così insulso… certo, parlo di un po’ di anni fa.»

«Nel tuo glorioso passato,» osservò Dave con forzata allegria. «Eri davvero una pecora nera?»

«Se una pecora nera è un uomo che detesta le convenzioni, le restrizioni e un posto in un ufficio, lo ero. Ho sempre amato la libertà e l’aperta campagna, e anche la mancanza di responsabilità… temo.»

«Allora… tutto questo ti piace?»  Chiese Dave abbracciando con lo sguardo la piccola stanza.

«Non ho molte alternative,» rispose Muso nero, «ma non pensare che io sia un ingrato. Credi che ti piacerà abitare a Londra?»

«Dipende,» rispose Dave, piano. «Tutto è… molto diverso, certo.»

«Vuoi dire ora che siamo dei ricchi sfaccendati?»

«Non è questo. È, beh… mia madre, tanto per dirne una, mi pare di non capirla più.»

«Perché tu sai parlare francese e lei no?»

«Mi stai prendendo in giro,» protestò Dave.

«Anzi sono molto ben disposto,» rispose lui in tono tutt’altro che gentile. «Ma hai sempre Leo… lui saprà parlare francese, no?

«Leo verrà a stare con me,» disse Dave.

«Ah, sì?» Muso nero sembrava del tutto indifferente. Si alzò in piedi di scatto, come per porre fine alla conversazione.

«Vuoi che me ne vada?» Chiese Dave con dignità.

«Ti dispiace? Sono molto stanco.»

Dave spinse indietro la sedia. «Nessuno mi ha mai detto che sono indesiderato in modo più educato.»

«Forse ho fatto dei progressi nelle buone maniere.» Dave lo guardò disorientato e alla fine disse: «Beh, buonanotte. Spero che tu dorma bene.»

«Buonanotte,» rispose Dilon andando ad aprire la porta. «Io dormo sempre bene, grazie.»

Mentre gli passava davanti, Dave alzò gli occhi verso di lui, con le guance in fiamme. «Hai fatto proprio dei progressi nelle buone maniere! Non ti riconosco più.»

Dilon lo lasciò andar via senza dir niente. Tornò verso la scrivania con passo un po’ stanco e fece scivolare nel cassetto, alla rinfusa, il mucchietto di ingranaggi. Poi si lasciò sprofondare nella grossa poltrona e chiuse gli occhi. Il mondo gli sembrava lontanissimo, avvolto in un sonno profondo.

In salotto, dove Richard aveva finalmente raggiunto sua moglie Mrs. Dickinson stava dicendo a Dave: «Come sta Walter?»

«Bene… credo.»

«Ti ha trovato molto cambiato di aspetto,» continuò sua madre compiaciuta. «Noi sì, vero, Richy?»

«Sì,» confermò il marito.

Dave soffocò uno sbadiglio.

«Sei stanco?» Disse subito sua madre. «Ma certo, è naturale! Richy, è stanco… deve andare immediatamente a letto.» Gli tese la mano. «Vieni a darmi un bacio e corri via… Domani mi racconterai tutto.»

Obbediente, suo figlio si chinò a baciarla sulla guancia. Poi guardò suo padre. «Buonanotte,» gli disse con un certo sforzo.

«Buonanotte Dave,» rispose lui in tono formale.

Quando Dave se ne fu andato, Mrs. Dickinson, col volto un po’ arrossato, si volse verso suo marito: «Ricky… a te non ha dato un bacio.»

Lui si strinse nelle spalle. «Quando mai lo ha fatto?» Poi, vedendo che lei aveva le lacrime agli occhi, soggiunse in tono più gentile: «Siamo antiquati, mia cara. Ecco cosa c’è… Non avrei immaginato di arrivare a tanto, ma, parola mia, i miei figli cominciano a farmi un po’ paura.»
«Ma Ricky…» protestò debolmente lei. «Non siamo poi così antiquati… e, dopo tutto, Dave è sempre lo stesso.»

«Trovi? Beh, in fondo, come ha detto a tavola, siamo stati noi a mandarlo a Parigi.»

«Ma è lui che ha voluto andare! È stato lui a pregarci di lasciarlo andare con Leo.» A un tratto scoppiò a piangere. «Povera me, perché non va mai bene niente? Quando non avevamo soldi pensavo che bastassero quelli a farmi felice, e ora che ne abbiamo tanti c’è ancora qualcosa che non va… non ti sembra?»

«Via… via,» la consolò suo marito battendole dolcemente sulla spalla. Dobbiamo lasciargli qualche giorno per acclimatarsi. Due anni sono lunghi, quando si è giovani, e deve essersi un po’ montato la testa. Parola mia,» disse, ridendo con una certa tristezza, «per me quel ragazzo aveva un po’ paura di noi. Chissà cosa ne dice Walter,» soggiunse grattandosi il mento.

«O, lui non ha mai trovato a ridire, quando si trattava di Dave,» rispose Mrs. Dickinson asciugandosi gli occhi. «Ahimè, i figli non ti danno solo gioie, eh?»

«Penso che fra un po’ andrò a dare la buonanotte a Dave… che ne dici?» Soggiunse poi, dopo una pausa.

«Fa’ come ti pare, cara.»

Ma un’ora dopo, quando Mrs. Dickinson entrò in punta di piedi nella camera da letto di suo figlio, lo trovò che sembrava profondamente addormentato, con la faccia sprofondata nel cuscino. La lampada sul comodino però era rimasta accesa. Restò a guardarlo dormire. Si sentiva un po’ triste.

La madre di Dave avrà avuto qualche lato un po’ stupido, ma il ritorno di suo figlio l’aveva davvero aspettato con ansia, e ora, mentre ascoltava il suo respiro regolare, sapeva di essere rimasta delusa.

Girò attorno al letto in punta di piedi per andare a spegnere la luce, e sospirò al pensiero che Dave non aveva neppure apprezzato la sua nuova stanza guarnita con dei mobili laccati.

“La vita riserva sempre delusioni”, pensò. L’essenziale è non preoccuparsi troppo per cose che non si possono evitare.”

Era sicura che l’indomani sarebbe andato tutto bene. Avrebbe invitato a pranzo Lady Anne per farle conoscere Dave. Forse poteva invitare anche il figlio di Lady Anne… chissà che fra lui e Dave non nascesse qualcosa! Lo aveva capito  ormai che a suo figlio non piacevano le ragazze. Sarebbe stato magnifico… dopo tutto un baronetto non è da disprezzare, e naturalmente un giorno avrebbe ereditato il titolo di suo padre.

Tornò nella sua stanza e si confidò col marito. «Sarebbe davvero simpatico se Dave si mettesse con un nobile,» concluse fiduciosa.

Mr. Dickinson si stava infilando un pigiama con gesti nervosi. «Sarà meglio che gli lasci scegliere la persona che vuole,» disse. «Non posso neanche immaginare che si lasci influenzare da qualcuno per il suo futuro, né da te né da nessun altro,» soggiunse buttandosi  sul letto. «E poi sei sicura che si metterà con un maschio?» Aggiunse.

Intanto Dave, nella sua stanza, aveva acceso di nuovo la luce, e seduto sul letto, stava leggendo una lettera che doveva aver letto e riletta, perché era spiegazzata e con qualche orecchia ai margini.

Aveva sentito sua madre salire le scale, e sui era affrettata a nasconderla sotto il cuscino, facendo finta di dormire. Ma quando Mrs, Dickinson se n’era andata in punta di piedi, aveva provato un po’ di rimorso.

Alla luce della lampada che gli illuminava i capelli  scuri e la faccia assorta, rileggeva ancora una volta quelle parole che sapeva già quasi a memoria.

“Sarò a Londra alla fine del mese, perciò fra non molto ci vedremo. Su con la vita, amore. È una scarogna, ma guardiamo il futuro e speriamo che vada tutto per il meglio. Stanotte ho fatto uno strano sogno, angelo mio… Eravamo assieme da qualche parte, ma tu non volevi guardarmi, e quando io ti ho chiesto perché, continuavi a rispondere: «Non sei tu che voglio. Non ti amo più… non ti amo più.» Ma tu mi ami, vero? E anch’io ti amo tanto… lo sai. Sono pazzo di te e dei tuoi occhi oscuri.”

 
Dave sfiorò la lettera con le labbra, sospirando leggermente. Poi spinse la luce e si addormentò quasi subito, senza più pensare a Dilon.

Ma lui, che aveva dichiarato di dormir sempre bene, non riusciva a prendere sonno. Un altro dolore, più grande ancora delle sofferenze fisiche a cui ormai si era abituato, gli impediva di addormentarsi.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 5   



 
Il padre di Dave era stato troppo ottimista quando aveva detto che suo figlio aveva bisogno di qualche giorno per acclimatarsi, perché, dopo una settimana, in casa c’era sempre la stessa atmosfera di disagio: «Come se avessimo un ospite di casa reale,» aveva confessato turbato a Muso nero.

Da quando Dave era tornato Mr. Dickinson sentiva più spesso di prima il bisogno di stare in compagnia di Dilon. Aveva preso l’abitudine di comparire inaspettatamente nel piccolo soggiorno che dava sul giardinetto lastricato, facendo qualche commento banale che di solito restava senza risposta… ma lui non ci faceva molto caso.

Dilon allora smetteva di leggere o interrompeva i suoi lavoretti, e aspettava pazientemente, mentre l’altro andava avanti e indietro per la stanza o guardava assorto fuori dalla finestra, per poi sfogarsi con lui ogni tanto.

«Come se avessimo un ospite di casa reale, «ripeté Richard.» Evidentemente quel paragone gli piaceva. «Ma purtroppo non è uno scherzo… perché questo ragazzo è mio figlio.»

Lasciò che quella frase facesse il suo effetto, e poi, con un’improvvisa virata, gli chiese apertamente: «E tu Walter, cosa ne pensi?»   

Muso nero prese il vecchio portasigarette che teneva sulla scrivania accanto a sé e lo scrutò come se lo vedesse per la prima volta. «Cosa ha fatto ancora? Disse cauto.»

«Come che cosa ha fatto!» Sbottò Mr. Dickinson fissandolo per un attimo come se fosse lui a fargli un torto. «Oh, soltanto questo,» continuò poi, sarcastico. «Stamattina è venuto nella mia stanza a chiedermi se poteva avere una macchina sua personale… come se la mia non bastasse! E quando io mi sono azzardato a dire che era libera di usarla quando voleva: ha commentato: “La tua macchina mi è odiosa… è troppo impegnativa e ingombrante. Mi dà l’idea di andare a un funerale. Voglio una macchina sportiva tutta per me.” Incredibile… e dire che prima di partire si accontentava benissimo di andare in bicicletta e non avrebbe mai osato a chiedermi una macchina sportiva…» Concluse sbuffando prima di ripiombare nel silenzio.

«È passato un po’ tempo, quasi due anni, no?» Osservò Dilon con calma.»

«Per me è come se ne fossero passanti venti, di anni,» confessò Mr. Dickinson di pessimo umore, assestando un calcio ad un innocuo sgabello. «Non mi sembra più lui e pensare che un tempo faceva i salti di gioia se qualcuno gli dava mezza corona! Ora vuole la macchina sportiva… »

«E tu cosa hai risposto? Chiese Dilon.

Mr. Dickinson lo guardò storto. «Io? Gli ho detto: “Neanche per sogno… una macchina è più che sufficiente”. Non sarò certo io a incoraggiare questi ridicoli sperperi.»

«E lui?» fece Muso nero.

Mr. Dickinson arrossì leggermente. «Ha avuto l’impertinenza di dirmi che ha imparato a guidare sulla macchina di Leo e ha preso la patente. Ha già ordinato il modello che voleva, e gli sarà consegnato domani.»

Per un po’ restarono tutti e due in silenzio, e alla fine il padre di Dave sbottò: «E poi si è messa anche sua madre! Ha convenuto che tutti i figli degli uomini con una certa posizione sociale hanno una macchina personale, e che anche Dave doveva averla, se no per lei sarebbe stata un’umiliazione e quasi una crudeltà.» Forse senza accorgersene aveva imitato la voce di sua moglie, e concluse: «Che potevo fare?»

«E che cosa hai fatto?» Gli chiese Muso nero. Ma non gli era difficile indovinarlo, perché un’ora prima aveva sentito qualcuno sbattere con rabbia la porta del salotto, e la cosa lo aveva messo in allarme, perché da quando era diventato ricco Richard aveva quasi perso l’abitudine di sbattere le porte e di prendersela con tutti gli oggetti che gli capitavano fra i piedi.

«Le ho detto che poteva prendersi la sua dannata macchina. Vedrai se non andrà a rompersi il collo…»

Andò di nuovo alla finestra e si fermò a guardare il sole, con la faccia scura.

«Quel ragazzo, Leo, viene sabato,» disse un attimo dopo. «Non so cosa ne pensi tu, Walter, ma per me dobbiamo ringraziare lui… è stato lui a mettergli delle idee in testa. Non sono affatto sicuro che sia un buon amico per Dave.»

«L’ho pensato anch’io, qualche volta,» osservò Dilon con calma.

«Senti un po’,» disse Mr. Dickinson voltandosi di scatto, «perché non parli tu a Dave? Ha una grande opinione di te… o almeno l’aveva prima di andarsene a Parigi. Parlagli Walter, e digli che anche se sto bene economicamente, non sono milionario, e che non può continuare a ordinare automobili come se fossero cioccolatini. Digli che deve sistemarsi… e divertirsi come fanno gli altri ragazzi.»

Si fermò fiducioso, e Muso nero commento: «E non sta facendo questo?»

Ma il padre di Dave non si lasciò scoraggiare. «Parlagli. Probabilmente a te dà ascolto, mentre se io dico qualcosa, cadiamo dalla padella nella brace. Allora che ne dici?»

«Preferirei non intromettermi,» tagliò corto Muso nero.

«Non è questione di intromettersi,» insisté Mr. Dickinson. «Lui ha simpatia per te… e tu hai molti anni più di lui.»

Dilon trasalì, ma rispose con calma: «Da quando è tornato a casa l’ho visto molto di rado, e forse, come te, anch’io ho un po’ l’impressione di avere un’ospite di casa reale.»

«Sciocchezze,» dichiarò l’altro. «Tu e Dave siete sempre stati ottimi amici, fin da bambino ti ha sempre corso dietro.» Gli si avvicinò e gli poso una mano sulla spalla. «Parlagli, a te darà retta,» ripeté, con l’aria di chi ha risolto brillantemente un problema difficile, poi non ricevendo risposta, soggiunse: «Ah, come se non bastasse, vuole dare un bottle-party, o come diavolo si chiama. Dice che non costa niente… che bastano dei sandwich e delle sardine. Hai mai sentito parlare di un bottle-party, Walter?»

«L’ho letto sul giornale.»

«Beh, qui non lo da, te lo dico io,» di chiarò Mr. Dickinson con fermezza. «Questa è casa mia e… vero che è casa mia, Walter?»

«Mi pare che non ci siano dubbi al proposto, no?» Rispose  Muso nero sorridendo divertito. «E sua madre cosa dice?»

«Oh per lei tutto quello che propone Dave va bene. Continua a dire che ha la sensazione di essere sua sorella e che insieme potranno divertirsi un mondo… L’idea però non è di Dave, questo te lo posso assicurare,» concluse in tono cupo.

«Penso che tu sia un po’ severo con tuo figlio, osservò finalmente Dilon dopo una pausa. «È giovane e sta appena cominciando a stare sulle sue gambe. Forse le sue idee sulla vita ci possono sembrare… insolite, ma d’altra parte, come hai detto poco fa, noi siamo molto più vecchi di lui.» C’era una punta di ironia nella sua voce tranquilla: «È naturale che un ragazzo, se lo mandano a Parigi o a Roma, si comporti come si comportano i parigini o i romani. Ma non credo che ci sia niente di male…»

«Male? Non dico questo, ma accidenti… pensavo che sarebbe stato contento di essere qui con noi, di… dedicarsi un po’ ai suoi genitori, di mostrare un certo interesse per la sua nuova casa.
Era perplesso, e Muso nero non gli disse che aveva capito subito cosa c’era sotto alle sue aspre critiche, si era subito accorto della gelosia e dell’amarezza che nascondevano.

Si alzò a fatica dalla sedia. «Se capita l’occasione, gli parlerò,» promise. 

«Sei una brava persona, Walter.»

Ma l’occasione non capitò, perché Dave sembrava che volesse evitare Dilon di proposito. Non andava mai nel suo studio, e se per caso si ritrovava solo con lui in salotto trovava immancabilmente qualche scusa per scappare via.

Leo arrivò il sabato.

Dave andò a prenderlo con la sua nuova macchina, e poco dopo l’ingresso risuonò di gridolini e di voci eccitate.

«Come sono felice di vederti,» esclamò  espansiva Mrs. Dickinson. «Ma che aspetto incantevole, mio caro. Ti sei fatto più bello!»

Muso nero andò ad accendere la radio. Così le loro chiacchiere si sentivano molto meno, ed era proprio questo che lui voleva. Con sua sorpresa, però, un attimo dopo la porta dello studio si aprì e Dave entrò, seguito da Leo.

«Disturbiamo?» Chiese in tono frivolo gettandogli un’occhiata di sfuggita e distogliendo subito lo sguardo. «Leo vuole salutarti… dice sono secoli che non vi vedete.»

«Spero di non essere inopportuno,» disse Leo venendo avanti. La sua voce suonava un po’ falsa, «ma avevo tanto desiderio di vederla! Si ricorda di me?»

«Certo, mi ricordo benissimo,» rispose Muso nero sfiorando appena la mano che lui gli tendeva. «Due anni non sono poi così tanti.»








«A me sembra un secolo,» fece Leo ridendo. «Ma lei non è cambiato per niente! Vero, Dave?»
«Dave pensa che io sia cambiato molto,» rispose Dilon per lui.

«Ma va’,» ribatté subito Dave, «non ho mai detto una cosa simile! Penso che sei sempre lo stesso.»

«Che stanza graziosa» disse Leo in tono lezioso. «E che deliziosa vista! Questa casa la trovo incantevole, e lei, e lei, Mr. Ayres?»

«Anche io la trovo incantevole.»

«E che splendore di macchina ha Dave! Mi fa quasi vergognare della mia. Che bellezza! Confronto…»

«Confronto alla bicicletta, voleva dire?» Fece Muso nero. 
   

«Quella vecchia bicicletta!» esclamò Dave arrossendo. «Non so come facevo a sopportarla.» Poi prese Leo sottobraccio e disse: «Vieni a vedere la tua stanza… con Dilon puoi parlare dopo.»

«Ma forse lui non vorrà parlare con me…» fece Leo lanciandogli un’occhiata timida.

«Per me sarà un onore ,» rispose lui con un mezzo inchino.

Quando la porta si chiuse alle sue spalle, Leo commentò entusiasta: «Mio caro. È diventato bellissimo, forse saranno i capelli brizzolati. Non lo trovi bello? Io si, è il genere di uomini che amo.»

«Non ci ho mai pensato» rispose Dave. In realtà Muso nero era stato così intimamente legato alla sua che non si era mai sognato di vederlo sotto questo aspetto.

«Chissà perché non si è mai sposato» continuò Leo. Certe ragazze potrebbero perdere la testa per lui. Il fatto di essere invalido poi…  rende sempre interessante un uomo. Dave, e se fosse come noi?»

Dave lo guardò spazientito. «Dilon non è un invalido,» disse bruscamente, come quando, più di un anno prima, la madre di Leo aveva fatto lo stesso commento indelicato.

«Non c’è mica bisogno di arrabbiarsi,» fece Leo, tranquillo. «Ma già, tu hai sempre avuto una passione per lui, no?»  Si mise a ridere: «Sta’ attento a non fare ingelosire Shaun! A proposito, hai avuto sue notizie da quando…»

«No,» lo interruppe Dave. «Ma guarda che qui loro non ne sanno niente.»

«Ah, no?» disse Leo stupito, alzando le sopracciglia. «Ma dovrai pur dirglielo, non credi?»

Erano nella camera per gli ospiti nuova di zecca, e Dave chiuse la porta. «Per ora non glielo dico,» proclamò. «Aspetto che lui venga in Inghilterra.»

«Quando arriva?»

«Alla fine del mese, penso.»

«Mio caro!» esclamò Leo con una certa invidia. «Non muori dalla voglia di vederlo?»

«Sì… forse sì.»

«Come, forse! Se penso come piangevi quando…»

«Ti sarei grato se non me lo ricordassi,» disse Dave in tono petulante. «Ero un po’ stupido allora.»

«Allora!» esclamo Leo senza capire. «Ma è passato così poco tempo!»

«Lo so. Dave si avvicinò allo specchio e studiò la propria immagine con occhio critico. «Ma ora sono diventato più saggio.»

L’altro, che era più grande di lui, lo guardò un po’ sospettoso: «Vuoi dire che… non ti importa più tanto di lui?»

Dave si mise a ridere. «Certo che mi importa di lui, non è questo, è che… ora sono più equilibrato,» soggiunse dandosi una certa importanza.

Leo sedette sulla sponda del letto e si guardò attorno. Dopo aver valutato attentamente gli oggetti della stanza, si azzardò a dire: «I tuoi devono aver speso un pozzo di soldi per questa casa.

«Immagino di sì, è molto bella vero?»

«Altro che bella!» esclamò Leo, ripensando alla vecchia casa che era stata rasa al suolo, e si ricordò che sua madre gli aveva detto: “Che orrore, mio caro. A dir la verità, preferirei che tu non ci andassi proprio.»

«Suppongo che un giorno tutto il denaro sarà tuo.»

«Veramente non ci ho mai pensato,» rispose Dave un po’ stupito, «ma credo di sì, un giorno o l’altro sarà mio.» Si allontanò dallo specchio ridendo. «I tuoi… ti sono mai sembrati un po’ antiquati?» Chiese, esitante.

«Un po’? Caro mio, sono addirittura antidiluviani. Anche i tuoi?»

«Beh,» disse Dave arrossendo, con un lieve senso di colpa, «loro poveretti, non lo fanno apposta… ma mio padre si è fatto venire una crisi isterica quando gli ho detto che volevo dare un bottle-party. Secondo me non sa neanche cos’è.»

«E tua madre cosa ha detto?»

«Oh lei…» fece Dave con una scrollata di spalle, «è stata piuttosto entusiasta dell’idea. Vedi vuol essere dei nostri. Evidentemente non capisce che noi non vogliamo i genitori si intromettano.»
«Che tragedia!» disse Leo, allarmato. «E tu cosa pensi di fare?»

«Niente di particolare,» rispose Dave tutta allegra. «Vedrai che la faccenda si sistema. Certo che per il momento loro sono ancora in agitazione per il mio arrivo, ma quando si abitueranno di nuovo avermi a casa e non sentiranno più il fascino della novità, sarò libero di fare quello che mi pare.»

«Che croce questi genitori!» mormorò Leo. Per un attimo si guardarono con la faccia seria, ma poi Dave disse, sorridendo contento: «Aspetta che venga Dedal. Allora vedrai come ci divertiremo.»

«Già,» convenne Leo. Come quando eravamo a Cannes.

«Sì, come a Cannes…» ripeté Dave. Ma in cuor suo ebbe quasi un presentimento. Chissà se gli adulti avevano ragione quando dicevano che è sconsigliabile, e spesso impossibile, cercare di rivivere un’esperienza felice…

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 
Capitolo 6


 
Con Leo in casa, Mrs Dickinson ben presto rinunciò all’idea di godere della compagnia di Dave.
« Pare che non mi vogliano, Ricky,» disse a suo marito in tono piuttosto patetico quando i due ragazzi programmavano tranquillante i loro divertimenti lasciandola fuori senza tanti riguardi.
Richard tossicchiò imbarazzato. Gli dispiaceva per sua moglie, anche se il suo buon senso gli diceva che se i ragazzi, la escludevano dai loro piani in fondo era più che naturale.

«Cara,» le chiese gentilmente, «quando tu eri ragazza volevi stare sempre con tua madre?»

«L’Adoravo… andavamo insieme dappertutto, lo sai,» rispose lei.

Eccome lo sapeva! L’affezionatissima madre di sua moglie, ai tempi in cui le faceva la corte, era stata una vera pena per lui. «I tempi sono cambiati,» disse bruscamente, rendendosi conto di aver fatto un errore ora cercò di rimediare: «E poi cara, li devi capire, sono maschi devono parlare dei loro segreti.»

Mrs. Sospirò. Era rimasta a guardare i due ragazzi che si allontanavano nella piccola macchina di Dave, e improvvisamente aveva avvertito il peso della sua età, si era sentita indesiderata. 

«Perché non vai al tuo club a giocare a bridge?» le suggerì suo marito dopo un po’.
Prima del ritorno di Dave faceva spesso dell’ironia sul quel club e sulle signore che lo frequentavano, ma ora l’espressione dispiaciuta di sua moglie lo preoccupava.    
  

«Non ho voglia di giocare a bridge,» rispose lei, prendendo da un vaso un fiore appassito e osservandolo senza alcun motivo.

«Lady Anne aveva invitato a pranzo me e Dave oggi,» disse poi, «ma Dave ha detto che aveva un altro impegno, e che comunque secondo lui Lady Anna è retrograda… e ti assicuro che non lo è affatto.»

Mr. Dickinson le lanciò un’occhiata da dietro il giornale. «Se fossi in te lascerei in pace quel ragazzo per un po’.» le consigliò gentilmente. «Per ora trova tutto eccitante e nuovo, ma vedrai che fra poco si sistemerà e…»

«E cosa?»

Ma Richard per tutta risposta si strinse nelle spalle e continuò a leggere il giornale. Mrs. Dickinson sospirò e uscì piano dalla stanza, poi attraversò l’ingresso, diretta verso lo studio di Muso nero.

«Posso entrare, Walter?»

«Certamente,» rispose lui con un sorriso, alzandosi in piedi. Le avvicinò una sedia. «Che bella mattinata,» disse.

«Già,» fece lui, guardando fuori dalla finestra e ripensando a Dave che si allontanava a tutta velocità nella sua piccola macchina elegante e scintillate sotto il sole.

«Dovresti andar fuori, Walter,» disse in tono vago.  

«Fra poco andrò a far due passi nel parco,» rispose lui. «Perché non vieni anche tu?»

Lei arrossì leggermente. Le brillavano gli occhi. Era così abituata a quest’uomo che di rado lo prendeva in seria considerazione, ma stamattina l’idea che almeno lui non disprezzava la sua compagnia la rallegrò straordinariamente.  

«Credo che verrò. Una passeggiata mi farà bene. Stanotte ho dormito piuttosto male.»

«Sei stata fuori fino a tardi,» fece lui.

«Sì, ma non per questo, vedi…» Dopo un attimo di esitazione disse d’impulso: «È per Dave, Walter! Non lo so perché, ma sono preoccupata per lui.»

«Preoccupata?»

«Sì. Potrei anche sbagliarmi di grosso, ma vedi… con Richard non posso parlare… non è come con te. Lui non capisce, e per di più ha la tendenza a essere un po’ severo con Dave. Con te invece è diverso…»

Si interruppe, e Muso nero le chiese: «Ma perché sei preoccupata?»

«Non so… non è niente di preciso in realtà, ma… è così diverso! Di solito un tempo mi diceva tutto.» Questa era un po’ un’esagerazione, perché un tempo Dave non aveva niente di interessante da dire. «Ora invece… riceve lettere, e se io gli chiedo di chi sono si limita a darmi delle risposte vaghe. Ultimamente gli hanno telefonato varie volte. Ed erano telefonate piuttosto lunghe, ma quando gli ho chiesto chi era. Ha  risposto: “Ho una mia amica”.»

Lui sorrise. «Non è poi tanto grave, no?»

«Lo so, lo so… Dopo una breve citazione, sbottò: «Penserai che sono proprio una stupida, ma ieri gli hanno telefonato da Parigi. Lo so perché in quel momento mi trovavo per caso all’altro telefono…» 

«Dave avrà degli amici là. Dopo tutto è più che naturale.» disse lui sorridendo.

Lei sembrò un po’ sollevata. «Allora pensi che non ho motivo di preoccuparmi?»

«Per una telefonata da Parigi?»

«Però potrebbe parlarmene,» protestò la madre di Dave. «Se ha un’amica là, mi interesserebbe sapere qualcosa di lui, ma non dice mai una parola.»

Muso nero le posò una mano sulla spalla.

«La verità è che Dave ci ha sorpassati tutti.» disse con molta gentilezza. «Non pensi che sarebbe saggio da parte nostra lasciarlo stare?»

«Ma io non voglio lasciarlo stare,» rispose Mrs. Dickinson con le lacrime agli occhi. «Dopo tutto è il mio bambino, e gli voglio bene.»

Dilon andò verso la finestra. Gli dispiaceva per lei, ma era anche un po’ divertito… e pensare che quel ragazzino un tempo si rifugiava sotto l’ala di sua madre… o da lui.

«Beh, mettiti il cappello che andiamo a vedere le anatre,» disse allegro, «e non preoccuparti, cara. La vita sistema le cose in modo meraviglioso…» Si interruppe perché bussavano alla porta.
Era la cameriera. «Prego signora, un telegramma per il signorino Dave,» disse entrando. «Il ragazzo sta aspettando la risposta, è già stato pagato.»

Mrs. Dickinson fece l’atto di alzarsi, e poi ricadde sulla sedia. «Ho il terrore dei telegrammi,» mormorò. «Aprilo tu, Walter…»

Dopo averlo aperto e letto nel più profondo silenzio, Dilon glielo rese.

“Arriverò aeroporto Londra domani sei circa. Vieni a prendermi? Dedal.”

«Ma… chi è Dedal?» Chiese Mrs. Dickinson guardandolo sconcertata.

«Dica al ragazzo che manderemo la risposta quando torna Dave,» disse Didon alla cameriera.

«Chi è Dedal?» Ripete Mrs. Dickinson quando restarono soli. «Non ne ho mai sentito parlare. Pensi che sia un uomo o una ragazza? È un nome che va bene per tutti e due. Comunque,» soggiunse dopo aver riletto il messaggio, «non potremmo mandare una risposta, perché non sappiamo l’indirizzo.

«Voltò il foglio dall’altra parte, sperando forse di trovare qualche indicazione. «Cosa credi che risponderà Dave?»

Muso nero prese la busta lacerata e ne fece una pallottola. «Senza dubbio… “Sì”» Disse  con calma buttandola nel cestino dei rifiuti.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 7   


 
Chi aveva mandato quel telegramma da Parigi? Mrs. Dickinson moriva dalla curiosità, ma purtroppo Dave e Leo tornarono tardi a cena.

I due ragazzi fecero irruzione in sala da pranzo adducendo una serie di scuse poco convincenti.
«Abbiamo avuto un guasto alla macchina… o per lo meno, credevamo che fosse un guasto, ma il meccanico ha detto che eravamo rimasti solo senza benzina.»

Per un po’ nessuno parlò, e alla fine Muso nero chiese: «avete passato una bella giornata?»

«Oh, meravigliosa!» rispose Leo, anche se non era stato interpellato. «Abbiamo fatto acquisti, abbiamo pranzato, e poi siamo andati al cinema. Ed infine siamo andati a prendere il gelato da Gunter… è stato veramente meraviglioso.

«Un po’ infantile, direi,» borbottò il capo di casa senza tanti peli sulla lingua.

«Ma caro, loro sono solo dei ragazzi!» Lo rimproverò sua moglie.

I due ragazzi si scambiarono un’occhiata divertita.

«A proposito,» esclamò Mrs Dickinson, «prima che me ne dimentichi… stamattina è arrivato un telegramma per te, Dave. Aveva già la risposta pagata, ma non abbiamo potuto rispondere perché non sapevamo chi l’aveva mandato. Vero, Aires?»   

«Un telegramma?» Chiese subito Dave. «Cosa diceva?»

«Qualcosa a proposito di uno che arriva in aereo domani,» rispose sua madre. «Verso le cinque, diceva, vero, Walter?»

«Le sei, precisò lui.

«Giusto le sei,» annuì Mrs. Dickinson. «Sto proprio diventando smemorata. Diceva anche “Vieni a prendermi”, ed era firmato Dedalo.

«Dedal,» la corresse di nuovo Muso nero, guardando Dave dall’altro lato della tavola. Era
arrossito, e fissava sua madre con gli occhi sgranati.


«E chi è Dedal, se è lecito?» Gli chiese suo padre.

Al posto suo rispose Leo: «A di la verità, è un mio amico. Lo conosce anche Dave, naturalmente… ma era soprattutto amico mio.»

«Se è un tuo amico,» fece Mr. Dickinson guardandolo freddamente, «Perché manda un telegramma a Dave e gli chiede di andarlo a prendere?»

«Beh, vede,» ribatté Leo mentendo spudoratamente, «sapeva che venivo a stare qui, e deve aver pensato che così era più sicuro. Hai detto che potevo dargli questo indirizzo, vero Dave?

«Si.» Non vedo perché si debbano fare tante tragedie,» disse poi, rivolto a suo padre.

«Se è un amico di Leo, sarà certamente simpatico,» dichiarò Mrs. Dickinson in tono polemico.

«Naturalmente gli andrete incontro tutte e due, no?» 
 

«Oh, sì,» rispose Leo. «Adoro Heathrow, è così emozionante stare a guardare l’arrivo degli aerei…»

La madre di Dave tirò un sospiro di sollievo.

«E quando avremo il prilegio di vederlo?» Chiese  suo marito freddamente. «O pianta le tende a casa mia.?»

«Non vuole venire qui,» disse subito Dave, arrossendo, «e non mi è neanche venuto in mente di chiederglielo… però, a pensarci bene, non si capisce a che serve avere una casa così grande, per poi non ospitare mai nessuno.»

«Ma cara, qualsiasi amico tuo, o di Leo, qui è il benvenuto,» si affrettò a dire sua madre. «Ti assicuro che non vedo l’ora di conoscere questo giovane misterioso.»

«Le piacerà moltissimo,» fece Leo. «È tremendamente bello, vero Dave?»

«Bello!» esclamò Mr. Dickinson sbuffando, ma un po’ più rabbonito. «Sarà quella bellezza effemminata che si usa oggi: capelli lunghi, scarpe scamosciate e nessuna ambizione…»

«Richard!» Protestò sua moglie, scandalizzata. «Non è molto gentile da parte tua parlare così dell’amico di Leo.»

«Oh, non importa,» disse Leo, magnanimo. «A dir la verità, Dedal ha i capelli lunghi, e porta anche le scarpe di pelle scamosciate, ora che ci penso! Ma certo ora si usano tanto…

«E quanti anni ha questo bel campione?» Chiese Mr. Dickinson.

I due ragazzi si scambiarono un’occhiata.

«Credo che abbia venticinque o ventisei anni,» rispose Leo.

«E non lavora per guadagnarsi da vivere, immagino,» insisté lui.»

Leo alzò le sopracciglia. «Beh, lui cerca di lavorare, poveretto, ma è così difficile.»

«Cos’è difficile?» Ironizzo Richard. «Trovare un posto dove si è pagato profumatamente per non far niente… è questo che intendi?»

«Richard!» Implorò la moglie.

«Beh, a quanto pare oggi la maggioranza dei giovani si aspettano proprio questo,» continuò suo marito, imperterrito. «Vorrebbero partire da quello che per i loro genitori è il punto di arrivo, vorrebbero avere la macchina, andare a mangiare nei ristoranti di lusso… Quando io ero ragazzo…»

«Oh, papà, ti prego…» Lo interruppe Dave, «lo sappiamo già.

Mrs. Dickinson spinse indietro la sedia a si alzò. «Il caffè è in salotto,» annunciò in tono forzatamente allegro.

Muso nero andò ad aprire la porta, mentre passava lei gli lanciò un’occhiata supplichevole, ma lui evitò il suo sguardo.

I due ragazzi la seguirono, e dopo un po’ anche Dilon li raggiunse.

Li trovò tutti e tre che parlavano fitto fitto, in piedi, e quando lui entrò si voltarono.

«Richard è stato proprio scortese,» stava dicendo Mrs. Dickinson con voce incerta. Non c’era affatto bisogno di comportarsi come un orso… ci ha completamente rovinato la cena. Ti prego di scusarlo Leo, vedi…»

«Non c’è nessun bisogno di scusarsi,» rispose Leo amabilmente, ridendo. «Anch’io ho un padre.» Poi guardò Muso nero: «Dove si siede?»

«E lei dove si siede?» Fece lui.

«Oh, vicino a lei, naturalmente.»

Mr. Dickinson arrivò mentre veniva servito il caffè: sembrava un po’ uno scolaretto che sa di essere in torto e cerca di non farsene accorgere.

«Venga a sedersi qui, Mr. Dickinson,» disse Leo scattando in piedi, «la prego, io vado a prendere quella sedia piccola. Lasci che le versi il caffè…»

Walter lo guardò volteggiare per la stanza con un sorrisetto impercettibile, era tutto molto divertente, ma anche un po’ triste, se ripensava alla vecchia casa malandata, sempre disordinata e disorganizzata, ma che per lui comunque era stata più che una casa.

«Pagherei per sapere che cosa pensi, Dilon,» disse Dave allegro passandogli accanto.

«I miei pensieri non sono in vendita,» rispose lui e quando Leo propose di metter su qualche disco, posò la sua tazza di caffè e si alzò.

«Chiedo scusa,» disse guardando Mrs. Dickinson.

«Ma prego,» fece lei, sorridendo con aria dì condiscendenza. «Questa è anche casa tua, non solo mia.»

Quando se ne fu andato, Leo, che stava rovistando affannosamente in un pila di dischi, chiese: «Non si mischia mai con i comuni mortali?»

«Povero Ayres…», mormorò Mrs. Dickinson. «Col passar del tempo mi pare che si comporti sempre più come un recluso.»

«Sciocchezze, cara,» ribatté suo marito. «Walter è estremamente sensibile a tutto quello che succede, te lo assicuro. Recluso! Solo perché non gli importa niente del baccano di un po’ di musiva jazz…»

«Non le piace il jazz?» disse subito Leo balzando sulla preda. «Non trova che sia delizioso ballare? O lei non balla?»

«Non mi ricordo neanche più quando è stata l’ultima volta che sono andato a ballare,» rispose Mr. Dickinson.

«Le insegno io!» Fece lui scattando in piedi.

«Oh, la prego! I balli moderni sono così facili…»

«Che pensiero gentile, mio caro, » commentò Mrs. Dickinson. «Gli farà un mondo di bene partecipare più attivamente! Quando eravamo fidanzati. Richard era un bravissimo ballerino. Non facevamo altro che ballare…» soggiunse in tono un po’ vago.»

Leo aveva costretto Mr. Dickinson d alzarsi.

«È molto semplice,» spiegò. «Mi prenda le mani… no, tutte e due…»

Appollaiato sul bracciolo della sedia, Dave per un po’ restò a guardare in silenzio il suo amico che iniziava con suo padre ai misteri delle musiche in voga, poi uscì silenziosamente dalla stanza.
Nell’ingresso si fermò a guardare la porta chiusa del piccolo studio di Muso nero, tormentando con le dita i capelli, come faceva quando era bambino.

Non sapeva neanche lui se voleva andare a parlargli. Provava una strana sensazione: era come se nel suo cuore si fosse formata una zona sorda, che però quando pensava  a lui gli faceva male. Ma questo gli capitava abbastanza di rado, perché ora che aveva raggiunto una certa saggezza, o così credeva, si vergognava un po’ dell’adorazione che un tempo aveva per lui. Ma quando Leo aveva detto, col suo solito stile enfatico, che lo trovava “tremendamente bello”, non aveva fatto molto piacere… In fondo Leo cosa c’entrava?

La porta del salotto si spalancò improvvisamente. «Dove stai andando?» disse Leo. «Non scappare proprio ora che ci divertiremo tanto… Tuo padre ha imparato subito, vieni a vedere.»
Gli aveva afferrato la mano. Per un attimo Dave fece resistenza, ma poi si lasciò convincere e rientrarono insieme nel salotto.

Mr. Dickinson era in piedi e si stava asciugando la faccia e sembrava che si vergognasse un po’. «Sono troppo vecchio per questo gioco,» cercò di giustificarsi, sbirciando suo figlio. «Sono passati i bei tempi del ballo.»

«Come! Se sono appena cominciati!» Fece Leo estasiato giungendo le mani. «Perché  qualche sera non andremo tutti a ballare? Anche lei, Mrs. Dickinson, assieme a Dave e a me e… potrebbe venire anche Walter.»

«Oh. Si! Dobbiamo invitare il meraviglioso Walter,» Disse Mrs. Dickinson, entusiasta. «Che magnifica idea, Leo… peccato che il povero Walter non possa venire.»

«E perché non può venire?» Ribatté Dave.

«Beh…» Fece sua madre.

«Non vorrà venire,» dichiarò Mr. Dickinson. Penso di conoscerlo abbastanza bene, forse preferirà starsene a casa tranquillo.»

«Ma lei, verrà?» insisté Leo scrutando la sua faccia sudata in un certo modo… con un’espressione che può far sentire giovanissimo e focoso un uomo di mezza età.

Mrs. Dickinson si asciugò il sudore dalla fronte: «Beh, se devo proprio…»

La sera tardi i due ragazzi si fermarono un po’ in camera di Leo.

«Sai che tuo padre va forte?» Fece Leo. «Credo che gli sia piaciuto proprio. Chissà quanto tempo era che non si divertiva sul serio…»

«Chi ti dice che si sia divertito?» Tagliò corto Dave lanciandogli un’occhiata di traverso.

«Oh, penso proprio di sì,» rispose Leo ridendo, e dopo un po’ chiese: «Dave non sei emozionato per l’arrivo di Dedal?»

«Certo che lo sono.»

«Al posto tuo io farei i salti di gioia, per lo meno in cuor mio… ma tu sei diverso,» disse guardandolo soprappensiero. «Sei molto cambiato da quando eravamo a Cannes.»

«L’hai già detto,» gli ricordò Dave, soffocando uno sbadiglio. «Beh, sono stanco…»

«Pensi che andremo al Savoy?» Chiese Leo. «Dici che verranno anche tuo padre e tua madre?»

«Mia madre verrà, » rispose Dave. Si voltò a guardare il suo amico. «Pensavo che non fossi molto propenso all’intrusione dei genitori.»

«Non possiamo escluderli sempre poveretti,» fece Leo, stringendosi nelle spalle. E poi, secondo me tuo padre ci tiene molto.»

«Stai cercando di conquistare il mio genitore?» Chiese Dave, ridendo.

«Non dire stupidaggini,» rispose Leo. «Te ne vai?  Beh, buonanotte.»

Dave andò nella sua stanza e si tolse il vestito, aveva detto di essere stanco, ma invece non aveva per niente sonno.

Guardò l’orologio… era quasi mezzanotte! Come gli era sembrata lunga quella giornata! Era la prima volta che succedeva, ma chissà perché, Leo l’aveva un po’ seccato. Certo gli era simpatico, ma… beh, era un po’ invadente! E pretendeva sempre di essere al centro dell’attenzione.

Chissà se Dilon era già andato a letto… Si infilò una vestaglia e aprì la porta piano.

Si fermò sul pianerottolo, esitante. La luce era ancora accesa, in quel momento vide Muso nero girare l’angolo delle scale. Lui lo notò subito, e Dave gli sorrise, arrossendo leggermente.

«Stavo proprio pensando a te,» gli disse quasi in un bisbiglio. «Mi chiedevo se avrei avuto il coraggio di venirti a parlare.» Si aspettava un a risposta, ma visto che lui restava zitto, soggiunse un po’ offeso: «Ma posso farlo benissimo domani.»

«Non sai che domani non arriva mai?» Commentò lui con un sorriso un po’ triste.

«Questo forse lo speri tu,» ribatté Dave, guardandolo con una certa tristezza.

«E tu?» Chiese Dilon.

«Io no di certo,» rispose Dave arrossendo. «Perché dovrei desiderare una cosa tanto stupida?»

«Stavo solo scherzando,» fece lui. «Buonanotte.» Poi entrò nella sua stanza e chiuse la porta.
“Perché l’aveva detto?” Si chiese Dave mentre finiva di svestirsi. Era stupido dirgli una cosa simile, quando aspettava con ansia l’indomani per rivedere l’uomo che amava.

Non lo vedeva da tanto tempo!” O per lo meno, a volte sembrava così, anche se non era passato neanche un mese, perché Dedal aveva fatto una corsa fino a Parigi e ci era rimasto un giorno per salutarlo prima che partisse per Londra.

Con un senso di colpa, si ricordò di aver chiesto il permesso di pranzare con un’amica di sua madre che stava andando in Riviera e si trovava a Parigi di passaggio. Signor Reniv gli aveva creduto e l’aveva lasciato andare.

Certo l’aveva ingannato, e dopo se ne era un po’ vergognato. Tanto più che il pranzo non era andato bene come sperava, non per colpa di Dedal… lui era stato caro come sempre, ma forse Dave si sentiva colpevole e aveva paura che si scoprisse la bugia. Leo l’aveva preso in giro. «Cosa avevi paura che ti facesse il  vecchio Revin?» Gli aveva detto. «Anche lui non mica un santo…»

Questo era accaduto circa un mese prima, e da allora gli sembrava che fossero successe un sacco di cose.

“Chissà che impressione farà Dedal ai miei genitori…” pensò Dave, ricordando cosa aveva detto suo padre dei giovani coi capelli lunghi e senza ambizioni. Poi si chiese che ne avrebbe pensato Muso nero… ma probabilmente non l’avrebbe mai saputo.

Confrontando mentalmente i due uomini si rese conto che erano completamente diversi. Dilon, alto e piuttosto serio… certo aveva molti anni più di Dedal, e poi era così abituato a lui… ma lo era davvero? Era inutile cercare di nascondersi che da quando era tornato da Parigi i loro rapporti non erano più come prima. Di chi era la colpa, sua o di lui?

Ma forse era perché inconsciamente sentiva che lui lo disapprovava un po’! Un tempo era piuttosto disordinato e si vestiva decisamente male! Improvvisamente gli parve di vedersi mentre andava a scuola sulla sua vecchia bicicletta, ansimando su per la salita, col cappello dietro la testa o appeso al manubrio, e qualche volta una calza bucata o un guanto bucato. E ora? L’immagine riflessa lo guardava con occhi pieni di nostalgia: un ragazzo all’ultima moda.
Restò a guardare per un lungo attimo, e a un tratto pensò: “E se perdessimo tutto il nostro denaro e dovessimo ridiventare poveri?” Naturalmente non era affatto probabile, era solo una supposizione, ma in quel caso lui sarebbe stato contento o no?

«No,» disse subito ad alta voce, deciso. Sarebbe stato orribile essere di nuovo poveri, non avere mai soldi da spendere o abiti decenti da indossare. Anche sua madre non lo avrebbe sopportato… E a suo padre e a Dilon sarebbe dispiaciuto?

Restò a guardarsi per un lungo attimo, e a un tratta pensò: “E se perdessimo tutto il nostro denaro e dovessimo ridiventare poveri?” Naturalmente non era affatto probabile, era solo una supposizione, ma in quel caso lui sarebbe stato contento o no?

«No,» disse subito ad alta voce, deciso. Sarebbe stato orribile essere di nuovo poveri, non avere mai soldi da spendere o abiti decenti da indossare. Anche sua madre non lo avrebbe sopportato… E a suo padre e a Dilon sarebbe dispiaciuto?

“Certamente,” concluse Dave, e per chiudere l’argomento si infilò subito a letto.

L‘indomani nel pomeriggio lui e Leo andarono in macchina a prendere Dedal a Heathrow.

L’aereo aveva un po’ di ritardo, perché sulla Manica c’era nebbia, dicevano.  Dave guardò il cielo di un azzurro intenso: c’era il sole, ma fu scosso da un brivido pensando alla strana sensazione che si doveva provare lassù, chilometri sopra la terra, avvolti in una grigia nebbia impenetrabile.
«Eccolo!» Disse Leo prendendolo per il braccio. . «Vieni via… verrà certamente da questa parte.
«Eccolo là,» fece Dave con voce un po’ ansante , indicando un giovane snello con una valigia nella sala della dogana.

«Ciao, caro… Anzi, ciao cari!»

Posò la valigia e diede la mano e tutti e due, ma guardava Dave che era arrossito. «Contento di vedermi?»

«Da quando ha ricevuto il tuo telegramma è stato letteralmente in preda all’eccitazione,» ironizzò Leo.

«Ma non mi ha risposto,» gli ricordò Dedal.

«Ero fuori quando è arrivato,» disse Dave. «Ma sapevi che sarei venuto…»

Lui gli strinse la mano e poi la lasciò andare. Fra un attimo sono da voi. Immagino che questi tizi vorranno vedere se ho un cadavere nella valigia.»

«Ha un aspetto splendido,» commentò Leo, quando rimasero soli.

«Non l’ha sempre avuto?» ribatté Dave ridendo.

Leo prese una sigaretta. «In realtà,» disse accendendola, «dovrei serbarti rancore. Finché non sei spuntato tu, pensavo fosse di mia proprietà.»

«Povero innocente!» Fece Dave, allegro. Ma il mondo è pieno di uomini…» Ora provava una strana eccitazione, ma anche un po’ di paura… Cannes con la sua atmosfera irreale e artificiale, era una cosa, ma a Londra. Con la famiglia, era tutto diverso.

“Chissà cosa penseranno di lui?” Si chiese ancora una volta, agitato. “E Dilon, che impressione avrà?»

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 


 
 
 
 
 
Capitolo 8


 
«E dove vai a stare?» chiese Leo mentre tornavano a Londra. Loro due erano seduti davanti, e lui dietro, e non gli andava troppo l’idea di non occupare un posto di primo pian così non faceva altro che parlare, piegato in avanti, cercando di monopolizzare l’attenzione di Dedal.
«Dove vado a stare?» Ripeté lui, un po’ spazientito. «Non ci ho pensato.» Gettò un’occhiata a Dave. «In un albergo, suppongo,» soggiunse, visto che lui non diceva niente. «Cosa fate stasera, ragazzi?»

«Tu cosa proponi?» rispose Leo ridendo.

«Volete mangiare un boccone con me?» Disse Dedal dopo un attimo di riflessione. «Scarico i bagagli, e potremmo andare al Savoy Grill.»

«Allora prima devo telefonare a casa,» fece Dave, ma non sembrava molto entusiasta. «Pensavo che prendessi un appartamento ammobiliato…»

«Domani vedrò di trovarne uno,» rispose lui. «Per stasera prendo una stanza al Savoy… andiamo direttamente là.»

Entrarono dalla parte dell’Embankment e Dave parcheggiò la macchina. «Vado a telefonare,» disse.

«Ci penso io,» si offrì subito Leo, «so dov’è… Voi aspettatemi nell’atrio.»

Quando rimasero soli, Dedal gli chiese spazientito: «Rimarrà appiccicato a noi tutta la sera?»

Dave si strinse nelle spalle. «Beh, sta a casa mia…»

Lui gli prese la mano. «Quando vedrò i tuoi?»

«Devo ancora combinare,» rispose Dave, arrossendo leggermente. «Sanno che tu sei qui, ma il resto… naturalmente non gliel’ho ancora detto.»

«Posso farlo io.»

«Non ancora,» disse subito lui. «Mio padre è un tipo piuttosto difficile, e… be’, preferirei che tu spettassi. Domani verrò a pranzo con te… da solo,» si affrettò a precisare. «E logicamente devi venire a cena da noi.»

«Mi sembra tutto molto formale,» osservò Dedal, imbronciato.

«Non lo sarà,» fece Dave, un po’ intenerito. «Ma vedi con l’emozione di averti rivisto… non essere impaziente.»

«Impaziente!»

«Ecco Leo che torna!» esclamò Dave.

«Mi hanno passato subito la comunicazione,» annunciò Leo, contento. «Mi ha risposto tuo padre, e ha detto che se avesse saputo che restavamo a cena fuori, forse sarebbe venuto anche lui.

«E mia madre dov’è?» Chiese Dave.

Leo si mise a ridere. «Veramente non ho indagato… e Ms. Dickinson non ne ha parlato.»

Non fu una cena molto brillante.

«Poca brigata, vita beata,» disse Dedal in un bisbiglio.

«Non essere sgradevole, caro,» mormorò Dave.

Ma quando ebbe finito di mangiare e Dedal chiese il conto, si sentì sollevato.  

«Sarà meglio andare a casa, ora. Ci vediamo domani,» gli promise ancora una volta.

«Allora che c’è,» fece Leo con fermezza mentre erano in macchina.  

«Come, che c’è?»

«Beh, non si direbbe proprio che tu fossi emozionato…»

«Che cosa ti aspettavi? Che facessi i salti di gioia nel bel mezzo del Savoy Grill? O che gli buttassi le braccia al collo? Forse avresti voluto che gli avessi sbottonato i pantaloni?» Ribatté Dave. Poi disse ridendo: «Tu al mio posto cosa avresti fatto?»

«Non ti avrei portato con me,» rispose Leo. «Sarei andato da solo.»

«Ma vedi , io sono altruista…»

Fecero il resto del viaggio in silenzio, e quando arrivarono a casa Dave tirò un sospiro di sollievo.

«Stanco?» Chiese Leo.

«Un po’.»

«È l’emozione,» concluse l’amico.

In salotto non c’era nessuno… sia Mr. Dickinson che sua moglie erano usciti.

«Beh,» fece Leo sbadigliando, «se non ti dispiace, io vado a letto… Sono quasi le dieci, e se non c’è niente da fare…»

«Anch’io vado a letto,» disse Dave dandogli la buonanotte, ma quando si ritrovò nella sua stanza non gli venne neanche in mente di spogliarsi, era agitato e si sentiva un po’ depresso… e anche un po’ impaurito, sebbene non volesse ammetterlo.

Chissà perché le cose che uno aspetta con ansia, molto spesso si rivelano scialbe e deludenti?
Certo gli aveva fatto piacere vedere Dedal, anche se quell’incontro non gli aveva proprio dato l’emozione che si aspettava, e a dir la verità la presenza di Leo non gli era poi dispiaciuta tanto.
“È perché sono stanco” disse risolutamente a se stesso. “Domani lo vedrò e sarà diverso.” A un tratto gli venne in mente quello che gli aveva detto Muso nero la sera prima: «Non sai che domani non arriva mai?»

Ritto ai piedi del letto, aggrottò lievemente le ciglia, perplesso, tormentandosi una ciocca di capelli, poi si voltò, aprì la porta, piano, attraversò il pianerottolo silenziosamente e scese le scale, diretta allo studio di Dilon.

Sapeva che lui c’era, perché aveva visto la luce accesa quando aveva messo la macchina in garage, e mentre bussava leggermente alla porta sentì che qualcosa si risvegliava nel suo cuore… l’amore infantile di un tempo e il forte desiderio di stare in sua compagnia.

«Si?»

«Sono io,» disse Dave.

Muso nero alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e lo mise da parte.

«Ti sei divertito?» Gli chiese.

«Mmm…»

Dave attraversò la stanza e si sistemò sul bracciolo di una sedia di fronte a lui, e nel far questo si chiese: “Perché non mi siedo sul bracciolo della sua sedia, come facevo un tempo?”.

«Sono tutti fuori, e Leo è andato a letto,» disse.

«Sono solo le dieci,» fece lui, gettando un’occhiata al suo orologio.

«Lo so, ma ha detto che era stanco.» Seguì un breve silenzio. «Abbiamo cenato al Savoy.

«L’aereo è arrivato bene?»

«Sì.»

«Dedal dov’è alloggiato?»

«In realtà non ti importa saperlo,» rispose Dave arrossendo.

«No, ma ho pensato che era buona educazione mostrare un po’ d’interesse.»

«Beh,» disse Dave spazientito, facendo dondolare il piede sottile, «stasera è al Savoy.»

«Dev’essere un uomo danaroso.»

«No,» smentì subito lui. «Per lo meno… Non so se lo è. Perché dici questo?»

«Oh, così… mi pare che il Savoy sia caro.» Gli sorrise con aria piuttosto distaccata. «Come di chiama di cognome?»

«Drytec.»

«Sarà stato felicissimo di vederti, no?»

«Gli ha fatto piacere… mi sembra,» rispose Dave arrossendo.

«Non raccontar storie, Dave,» fece Muso nero ridendo.

«Cosa intendi dire?»

«Certo che era felice di vederti, se è innamorato di te.»

«Perché pensi che sia innamorato di me?»

Lui si strinse nelle spalle. «Mi sembra naturale… ecco tutto.»

«Se io dicessi che sono innamorato di lui, anche questo sembrerebbe naturale?» Chiese Dave lanciandogli una strana occhiata.

«Molto naturale, direi.»

Dilon allungò una mano per prendere la pipa e cominciò a riempirla, Dave restò a guardarlo in silenzio per un attimo e poi disse, in tono piuttosto patetico: «Dilon… non ti piaccio più?»

Lui stava pigiando accuratamente il tabacco nel fornello della pipa, e Dave vide le sue dita fermarsi improvvisamente. Ma quando parlò la sua voce era molto calma e indifferente. «Come, non mi piaci più? Cosa vuoi dire esattamente?»

«Voglio dire che da quando sono tornato da Parigi… non è più stato come prima…no?»

Lui lo guardò dritto negli occhi. «E pensi che sia colpa mia?»

Dilon aspettò un momento prima di rispondere: «Penso che a Parigi… sei diventato grande, Dave, troppo grande per tante cose…»

«Sono diventato… orrendo?» Chiese lui in tono infantile.

«Che parola atroce!» Esclamò lui ridendo.»

«Non mi riferivo alla mia faccia, ma… a me.»

Gli occhi di lui si addolcirono un po’: «Prima di andare a Parigi,» disse, «ti piaceva la cioccolata, e girare per Londra in autobus… e ti entusiasmavi molto per il tuo compleanno.»

«Ho ancora l’orologio che mi hai regalato, sai, Dilon?» Lo interruppe lui.

«Sì, ma non lo porti.»

«Beh, e cosa dignifica?»

«Significa che hai messo da parte le cose dell’infanzia perché non sei più un bambino.»

«Ma questo cosa centra con noi? Io ti piaccio ancora o no?»

«Non mi ha messo da parte assieme agli altri giocattoli?»

Dopo un lungo silenzio, finalmente lui disse con voce smorzata: «Ti amerò sempre. Dilon… solo che in un certo senso è diverso… credo. Forse, rispetto a prima, ho più paura di te. Vedi…» Si interruppe, come se non fosse capace dispiegarsi, ma visto che lui non parlava, si sforzò di andare avanti: «Ma se ci fosse qualcosa che non va… sai, verrei sempre da te a farmi aiutare, come facevo un tempo, e… non ci sarà mai nessuno proprio… come te.»

Muso nero restò zitto, forse perché era intento ad accendersi la pipa, e dopo un po’ Dave chiese, fiducioso: «E tu mi aiuteresti, vero?»

Lui buttò il fiammifero spento nel caminetto e si alzò. «Se non fosse troppo tardi, Dave,» rispose.
«E anche se lo fosse, penso che cercherei di aiutarti.»


«Troppo tardi?» Fece Dave guardandolo in faccia. «Perché dici questo?»

«Non devo dirlo?»

Dave si lasciò scivolare giù dal bracciolo della sedia e gli si avvicinò. «Ti piaccio ancora… come ti piacevo prima di andare a Parigi?»  

Lui lo guardò. «Sì, mi piaci… come allora. Parigi non ti ha cambiato.»

Dave tirò un sospiro do sollievo e sorrise. «E ti piacerò sempre così?»

«Che uomo insaziabile! Sì. Mi piacerai sempre così, Dave»

«Sono tanto contento,» mormorò Dave, e impulsivamente si alzò in punta di piedi e lo baciò.

«Anche tu mi piacerai sempre così,» disse allegro.


Muso nero si allontanò bruscamente.

«E quando vedremo questo famoso Dedal,» chiese poi.

«Non ti piacerà… non so perché, ho questa impressione, soggiunse, quasi per difendersi.

«E perché?

«Non saprei… è solo una sensazione.»

«Forse sarò io che non piacerò a lui.»

«Tu piaci a tutti,» ribatté lui prontamente. «Leo ha detto che sei molto bello.»

«Grazie.»

«Come ti sembra Leo… carino?» Chiese Dave.

«Per carità… cosa dici.»

«Eppure diciono di sì.»

«Allora sarà colpa dei miei gusti.»

Restarono per un po’ in silezio. Poi Dave lo chiamò, esitante: «Dilon!»

«Sì?»

«Se voglio, posso sempre dirti… tutto?»

«Non vorrai farlo, Dave. Anche in questo momento ci sono molte cose che non ti sogneresti mai di dirmi, no?»

Dave si sforzò di ridere senza riuscirci. «Con te mi confido più che con chiunque altro… più che con mia madre, e forse non è giusto…»

«No?»

«Dilon,» disse Dave, cercando di scrutare la sua faccia, «le madri e i padri sono tutti come i miei?»

«Perché, i tuoi che cosa hanno?»

«Niente. La mamma ètanto cara, solo che… non potrei dirle niente di veramente importante, non pensi? Vedi…» Soggiunse muovendo appena le mani affusolate come per scusarsi, «la mamma è così occupata a cercare di essere giovane e divertirsi… no?

«Forse perché quando averva la tua età non si è mai divertita.»

«Ti prendi le sempre difese… di tutti,» fece lui spazientito.

«Tutti meritano comprensione.»

«Anch’io?» Chiese lui ridendo.

Muso nero si voltò fino a stargli di fronte. «Anche tu, mio caro.» Rispose con molta dolcezza.
Dave ebbe l’impuso di toccarlo, si gli sarebbe  piaciuto sentire il suo membro, lo aveva sempre desiderato, ma poi ritirò la mano, «Sei così strano,» disse col tono frivolo e innaturale di Leo. «Mi fai sentire infelicissimo, e ti assicuro che non lo sono, caro Dilon! Sono assolutamente felice.

«Sei molto fortunato.»

«Tu non sei felice?» Chiese Dave abbassando gli occhi ombreggiati da lunghe ciglia.

«Qualche volta.»

«E ora sei felice?» Fece lui con la sua bella voce, e con un punta di civetteria.

Muso nero batté con tanta forza la pipa contro la grata di ferro del caminetto che fece volar via il fornello. «Per l’amor del cielo, non imitare Leo,» disse bruscamente. Dopo un profondo silenzio si mise a ridere, ma la sua faccia era un po’ scura. «Va a letto, Dave, tanto non facciamo altro che irritarci. Tu pensi che sono uno stupido,  e io…»

«E tu…»

«Penso che è proprio un peccato che tu sia andato a Parigi.»

«Non mi importa un ficosecco di quello che pensi,» sbottò lui, infuriato. Dilon si strinse nelle spalle e si chinò per recuperare il resto della pipa.»

«Credo che tua madre sia arrivata in questo momento,» disse.

Nell’ingresso si sentiva chiaramente la voce allegra di Mrs. Dickinson che chiedeva se tutti erano rientrati.

«Che ora?» stava dicendo alla cameriera. «Le undici e mezzo? Pensavo che fosse piu tardi. Dave è a casa?»

Dave andò diritto verso la porta e l’aprì. «Eccomi,» disse. «Ero qui a tu per tu con Dilon, e lui ha appena finito di farmi una ramanzina.

«Ma caro,» fece sua madre ridendo, «che sciocchezze dici! Walter non ha mai fatto paternali a nessuno in vita sua… vero. Walter?» Poi continuò a chiacchierare senza aspettare la risposta. «Dedal dov’è?  Non ricordo come si chiama di cognome! È arrivato bene? Ma certo, che stordita… Leo ci ha telefonato che restavate tutti a cena fuori. Non vedo l’ora ci conoscerlo. Come, te ne vai?»

«Vado a letto,» rispose Dave. «Buonanotte… a tutti,» soggiunse, scomparendo su per le scale.
Mrs. Dickinson guardò Muso nero. «É successo qualcosa?» Gli chiese sconcertata. «Mi è parso così turbato. Davvero? Gli hai fatto una ramanzina, Walter?»

«Anzi, pensavo di essere stato particolarmente educato con lui,» disse seccamente.

Mrs. Dickinson sorrise e gli toccò il braccio affettuosamente. «Sono sicura di sì. Tu sei sempre educato con tutti.

Nella sua stanza al piano di sopra, Dave si stava spogliando: si strappava letteralmente i vestiti di dosso e li buttava dove gli capitava.

“È odioso,” pensava con rabbia. “Non gli piaccio neanche un po?... non ci credo. Mi giudica orribile… tanto, per quel che me ne importa…”

Si infilò il pigiama, prese il pettine e si ravviò i capelli con violenza.

Imitare Leo, proprio! Come se non avesse una sua personalità! Muso nero aveva delle idee così antiquate… aveva ragione a dire che era diventato troppo grande per lui. D’altra parte non si poteva biasimarlo, faceva una vita così tranquilla… certo ci era costretto, date le sue condizioni, ma non sapeva, del mondo. Improvvisamente si ricordò che Dilon prima dell’incidente aveva viaggiato in lungo e in largo, e che da piccolo stava ad ascoltare con gli occhi sgranati le avventure che gli raccontava.

Gli pareva che fosse passato tanto tempo! Gli sembrava quasi impossibile di esser stato proprio lui il ragazzino che lo idolatrava.

“Sono diventato grante” pensò e in un certo senso gli dispiaceva, perché significava lasciarsi alle spalle tante cose.

Accanto al suo letto c’era un telefono. Mrs Dickinson aveva insistito per averne uno in ogni camera da letto, per lo meno in quelle principali.

«È così utile!» aveva detto. Se succedesse qualcosa, non possiamo certo trascinarci al piano di sotto nel cuore della notte come nella vecchia casa, dove c’era solo un telefono nell’ingresso.
Mentre su infilava a letto, gli cadde l’occhio sul telefono e improvvisamente penso a Dedal.
Già, poteva telefonargli… qualcun altro si irritava a parlare con lui, ma Dedal avrebbe fatto piacere. Andò a pescare l’elenco telefonico e cercò il numero dei Savoy, poi si adagiò sui cuscini. Il senso di rabbia che provava a un tratto si era placato… Dedal sarebbe stato contento di parlargli.

Ma Mr. Drytec non era nella sua stanza, «Non c’è!» Ripeté Dave, dando un’occhiata all’orologio… era quasi mezzanotte.

La voce dall’altro capo del filo si offrì educatranente di chiedere informazioni, ma lui riappese dicendo che non importava.

«Non c’è!» Chissà dov’era andato. Forse aveva incontrato qualcuno che conosceva ed erano andati in un nigth-club o da qualche parte. Ora gli rincresceva di essere rincasato tanto presto. Se fosse rimasto con Dedal non ci sarebbe stata quella scena spiacevole con Muso nero. Era assurdo turbarsi per le cose che aveva detto. Non che fosse turbato sul serio, ma… il sonno non si decideva proprio a venire.

Sistemò più comodamente i cuscini dietro le spalle e chiuse gli occhi.

Dicevano che a contare le pecore che sbucano da una siepe… che cosa stupida! Forse un libro era quello che ci voleva. Dave aprì gli occhi e si guardo attorno, sulla parete c’era un minuscolo scaffale laccato con alcuni libri che aveva messo sua madre.

«Ho pensato che ci stavano bene,» gli aveva detto tutta fiera nel mostrargli la sua nuova stanza.
Mrs. Dickinson non era una lettrice di libri, leggeva solo le recensioni sui giornali, ma le sembrava che qualche libro, lussuosamente rilegato, desse quel tocco alla casa. Dave scostò le coperte e sgambettò verso la sua piccola libreria.

Sembravano tutti libri piuttosto noiosi… ben diversi dagli emozionanti romanzi francesi in edizione economica che gli allievi di Reniv leggevano di nascosto per poi parlarne sottovoce. Un grosso volume rilegato in pelle però lo incuriosì, lo prese e tornò a letto.

“Poesie!” Pensò con una smorfia… ma era, forse proprio quello che ci voleva per farlo addormentare. Aprì il libro a caso: doveva essere un’antologia, perché ogni poesia era di un autore diverso. “Perché la gente scrive poesie?” Si chiese Dave, irritato. E perché in genere erano così tristi? Gli capitò sott’occhio un verso che si addiceva proprio alla sua situazione, e cominciò a leggere.

Battendo le palpebre, si accorse con sorpreso di avere gli occhi pieni di lacrime. Ecco il guaio della poesia… rattrista le persone. Strano, però: in quei versi si parlava chiaramente di un ragazzo, eppure lui aveva pensato subito a Dilon.

Cosa gli aveva detto poco fa?

«Non mi hai messo da parte assieme agli altri giocattoli?» Era vero?

«Non è vero,» sussurrò Dave in silenzio della stanza, affrettandosi a voltare pagina… Chissà perché, non la sopportava.

«Uno su mille c’è la fa.»

«Gli cadde l’occhio sul titolo, e di nuovo gli sembrò di vedere Muso nero quando gli aveva detto: “Sì, mi piaci… come allora.”

Strano, i loro rapporti erano cambiati, ma lui si insinuava sempre nei suoi pensieri, prima o poi. Anche a Parigi, quando Dave in realtà non pensava a lui. Anche a Parigi, nei momenti più allegri, a volte rivedeva la sua faccia, apparentemente senza ragione, e si sentiva inspiegabilmente triste. Forse perché era una persona così vera, così sincera e… sì, così vera. Era molto diverso dagli uomini che piacevano a Leo, e anche molto diverso di Dedal!

Un uomo su mille… era Dilon: un uomo su mille… gli piaceva l’espressione.

“È Muso nero” pensò Dave. Ora sentiva le lacrime che gli bagnavano le guance.

L’aveva amato tanto quando era giovane! Improvvisamente gli sembrò che fossero passati un’infinità di anni da quando si arrampicava felice sulle sue ginocchia e gli posava la testa sulla spalla.

Ora avrebbe avuto paura di farlo e non era colpa di Dilon, ma sua, perché nel diventare “grande” l’aveva abbandonato.

Va lasciato uscire dalla sua vita per far posto ad altre cose e ad altre persone che meritavano di meno, ma lui… «Sì, mi piaci… come allora.»

L’aveva detto in modo tanto semplice, forse sorpreso che lui gli facesse quella domanda.

Dave chiuse il libro.”Domani gli dirò che mi dispiace” pensò mentre spegneva la luce.

“Domani…” Ma poi si ricordò la frase di Dilon: «Non sai che domani non arriva mai?»


Non riusciva a prendere sonno si abbassò il piagiama e cominciò a masturbarsi, immaginando di farlo con Dilon.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***






 
 
 
Capitolo 9


 
L’indomani mattina, mentre si allontanava in macchina da casa, Dave non si sentiva affatto felice. Era riuscito a liberarsi di Leo, anzi, era stato Leo a togliersi tranquillamente di mezzo inducendo Mr. Dickinson a portarlo a fare un giro in macchina.

«Come, vuoi andare con lui?» Fece Dave contrariato quando lo venne a sapere.
«Certo,» ribatté Leo. «Mi piace, e oltre a tutto è buona educazione essere gentile con chi ti ospita. Ieri sera non mi ha detto che volevi vedere Dedal da solo? Hai voglia di farlo, furbastro.»

«Sì, ma…» Dave non sapeva spiegarsi perché era così seccato. «Credevo che gli uomini di mezza età ti annoiassero,» soggiunse senza troppa convinzione.

«Dipende dall’uomo di mezza età,» rispose Leo con calma. «Tuo padre è bello e  si vede, deve avere un bell’uccello. Questa cosa sta dispiacendo a Dave.

Ma Dave aveva avuto anche un altro dispiacere: Muso nero non si era presentato a colazione… Era la prima volta che capitava, se ricordava bene.

C’erano solo suo padre e Leo seduti a tavola.

«Dov’è Dilon,» aveva chiesto lui fermandosi bruscamente sulla porta.»

«È a letto,» aveva risposto suo padre.

«Oh… è malato?»

«Ha detto che era stanco.»

«Qualcuno lo ha visto?» Chiese Dave.

«No, ha detto che voleva stare tranquillo.»

Dopo colazione Dave andò nella stanza di sua madre.

Ora Mrs. Dickinson si era imposta, senza troppo entusiasmo, a dire il vero, di prendere il caffè e qualche frutto nella sua camera, avvolta in una seducente vestaglia. «È sprecata … chi la vede?» aveva commentato suo marito senza tanti complimenti.

«Tu caro,» aveva risposto lei in tono tanto patetico. Cominciava a rendersi conto confusamente che, da quando in casa non c’era più l’incubo della povertà, fra lei e il suo Richard si era creato un certo disaccordo.

“E pensare che avrebbe dovuto accadere proprio il contrario” diceva a se stessa. Aveva accennato alla cosa parlando con una delle sue compagne di bridge, felicemente sposata con un ometto mite e senza carattere che non si sarebbe mai sognato di esprimere i suoi desideri o di contrastare quelli della moglie. «Se una donna è insoddisfatta del marito,» le aveva detto quella, «ci sono due modi per riconquistarlo: vestirsi bene e fingersi indifferenti.» Era un consiglio stupido, soprattutto perché Mrs. Dickinson non aveva la più pallida idea di come metterlo in pratica nel modo giusto. Aveva cominciato a ordinare vestiti costosissimi, e appena poteva evitava la compagnia del marito.

«Ognuno va per la sua strada,» aveva detto al club, «Dave ha i sui amici, e io pure… e anche Richard. Un ottimo sistema non trovate? Mi sono così antipatiche le moglie e le madri possessivi.»

Ma in realtà non era poi tanto felice.

Dave fece improvvisamente irruzione nella sua stanza e gli disse chiaro e tondo: «Papà porta Leo a fare un giro in macchina. Perché non vai anche tu?»

«Ma caro!» Esclamò sua madre diventando tutta rossa. «Mi hai spaventato! Come faccio a andare, se ho un appuntamento col parrucchiere alle dodici e mezzo e un pranzo all’una e mezzo? Ma sono molto contenta che papà porti Leo… E tu, non devi vedere Dedal?»

«Sì.» Dave prese un piccolo soprammobile sulla toeletta di sua madre e lo fissò. «Lo inviterò qui per il week end,» annunciò, quasi in tono di sfida.

«Splendido,» fece sua madre. «Non vedo l’ora di conoscerlo.» Guardò suo figlio con un lieve sorriso. «Ormai ho capito, a te piacciono i maschi. È… molto simpatico?»

«A me… piace,» rispose Dave arrossendo.

«Divertiti caro,» gli gridò sua madre mentre lui si allontanava.

Mentre guidava lentamente attraverso il parco, Dave aveva la strana sensazione che non si sarebbe divertito affatto. Aveva scelto apposta la strada più lunga. Era una bellissima giornata, coi “mandorli in fiore e tutto il resto”, come diceva Leo…
Di solito lui si divertiva a sentirlo parlare così della primavera, ma stamattina ce l’aveva un po’ con il suo amico, anzi, con la vita in generale.

Gli dispiaceva che Muso nero fosse malato… Nonostante quello che aveva detto suo padre, se era rimasto a letto doveva essere certamente malato. Gli rincresceva di non avere insistito per vederlo prima di andarsene.

Improvvisamente, forse perché era un po’ depresso gli venne un brutto pensiero: «E se Dilon è veramente malato? E se… muore?»


Era agitato, e per un pelo non si scontrò con un ragazzino in bicicletta sbucato fuori da un cancello a tutta velocità. Lo fulminò con lo sguardo, e lui per tutta risposta gli sorrise sfacciatamente.

«Tutto bene, frocio,» gli gridò.

“Altro che bene…” pensò lui, continuando a guidare. Quella giornata, che avrebbe dovuto essere una delle più felici della sua vita, era cominciata male… Prima ci si era messo Leo, e poi Dilon. “Poverino, lui cosa può fare” sospirò Dave gettando un’occhiata all’orologio che aveva avuto in regalo da lui prima di andare a Parigi, se l’era messo al polso, quasi per farsi perdonare di quello che gli aveva detto la sera prima.

Già l’una meno dieci! Aveva appuntamento con Dedal alle dodici e mezzo. «Andremo in un posticino tranquillo e silenzioso,» gli aveva assicurato, senza folla e senza orchestrine. Aveva suggerito un ristorantino si Soho, famoso per il suo chef e o per i suoi prezzi salati, dove ai clienti non abituali si riservava un trattamento piuttosto gelido.

Dave l’aveva sentito dire da sua madre, e l’aveva fatto presente a Dedal, ma lui si era limitato a rispondere: «Oh, ci penso io a sistemare le cose.» E lui sapeva che l’avrebbe fatto. Quando aveva conosciuto Dedal, a Cannes. Aveva “sistemato” un povero cameriere francese perché il vino che aveva portato sapeva leggermente di sughero.

Gli era parso un po’ troppo duro con quell’uomo, ma Leo l’aveva approvato.
«Ti rispettano di più se li strigli un po’,» aveva dichiarato. «E poi mi piace un uomo che sa farsi valere e ottiene quello che vuole. Dopo era piaciuto abbastanza anche a Dave… si sentiva importante e quando andava in giro con Dedal, con tutta quella gente e quei direttori che gli ronzavano attorno, ansiosi di accontentarlo, giovane ed inesperto com’era, gli sembrava meraviglioso. Ma stamattina, al ricordo di quei giorni, si sentiva ancora più irritato verso la vita. Forse vedeva le cose da una prospettiva diversa perché era di nuovo in Inghilterra… Certo i francesi e gli inglesi, almeno a detta di suo padre, si somigliavano poco. Eppure quella breve vacanza a Cannes era stata meravigliosa… forse gli sarebbe piaciuto poterla rivivere.

“Davvero?” si chiese.

Ma non c’era tempo di trovare  la risposta, perché ormai era arrivato all’ingresso poco appariscente del raffinato ristorante, e c’era Dedal che l’aspettava.

«Non posso lasciare la macchina qui,» gli disse mentre gli andava incontro.
Il portiere si precipitò verso di loro. «C’è un posteggio sulla sinistra, a pochi metri.»

Dedal salì in macchina accanto a lui.

I ristorantino era tranquillo. Sul tavolo che lui aveva prenotato c’era un mazzo di rose di un rosso scuro.

«Le hai comprati tu?» Fece Dave. Si ricordò di un’altra volta che aveva pranzato con lui e provò di nuovo una vaga sensazione di malessere. Anche allora gli aveva regalato delle rose rosse. «Significano “amore”», gli aveva detto. Ma lui si vergognava, non era una ragazza.

Ma ora gli rispose in tono lievemente ironico: «Sì… sono un caro ricordo.»

«Che frase deprimente!» Ribatté Dave ridendo.

Dedal gli prese la mano, protetto dalla tovaglia. «Sono terribilmente innamorato di te,» disse.

Le sue parole sembravano molto sincere, eppure Dave voltò la faccia dall’altra parte, rattristato… Chissà perché non gli piacevano molto.

«Che ne diresti di mangiare qualcosa?» Chiese poi.

Dedal gli lasciò la mano. «Ho ordinato,» disse.

Restarono per un po’ in silenzio, poi Dave disse allegramente: «Ho annunciato a mia madre che ti ho invitato per il week-end.»

«E non le hai detto altro?»

«No,» lo guardò, «e non devi farlo neanche tu. Dedal, finché non te lo dico io. Capirai meglio quando li vedrai… Mio padre ha delle idee così grandiose, ora che non siamo più poveri, pensa che…» Si accorse che non stava dicendo proprio la verità, e si fermò esitante, con un senso di colpa.

«Pensa che tu dovresti sposare un milionario,» concluse Dedal.

«Ma tu non sei un milionario,» mormorò Dave, piegandosi in avanti per studiare la sua faccia.

Lui lo guardò con occhi appassionati. «Diciamoglielo e facciamola finita,» esclamò bruscamente. «Dopo tutto, cosa possono fare? Certo io non ho un soldo, mase tuo padre è cpsì ricco…»

Dave si allontanò di nuovo, mordendosi il labbro. 

«Questo è il fatto,» ribatté, «e…se mi ami davvero, fa quello che ti chiede, e aspetta…»

Il cameriere si stava avvicinando al loro tavolo con i primi piatti, e Dave alzò la voce. «Dov’eri ieri sera? Ti ho telefonato verso mezzanotte.»

«Lo so… so che mi aveva telefonato qualcuno, perché ho trovato un appunto in camera, ma non hai lasciato detto il tuo nome.»

«Mi sarò dimenticato… dov’eri?» Ripeté lui.

«Ho incontrato uno che conoscevo nell’atrio del Savoy. C’erano un paio di ragazze con lui, e mi hanno convinto a andare  in un night-club, al Red Slipper o qualcosa del genere.

«Ti sei divertito?» Chiese Dave. Strano, però… aveva voluto passare  la serata in compagnia di ragazze, “ma allora gli piacciono”. Pensò, mentre lui… ma già, in fondo era colpa sua, perché aveva insistito per andare a casa.

«Bah, non c’era male,» fece Dedal con una alzata di spalle. «Faceva caldo e c’era una  folla bestiale… e lo champagne era cattivo. Abbiamo fatto le quattro.»

«Oh!» Esclamò lui con voce piatta.

«Certo mi sarebbe piaciuto molto di più stare con te, soggiunse lui, come se gli leggesse nel pensiero. «E tu cosa hai fatto.»

«Sono andato a letto.» Gli venne in mente la sua insonnia e il libro di poesie.
“Chissà se Muso nero soffriva molto, e se qualcuno si prendeva cura di lui.”

«A che pensi?» Chiese Dedal.

«Niente di particolare,» rispose lui, riscuotendosi.

«Sembravi… triste.» E poi, vedendo che sorrideva: «Ma non sei triste, vero Dave?»

«No di certo.»

«È fantastico essere di nuovo insieme,» disse lui, «e non saranno più separazioni, eh? Ti sono mancato molto?»

«Sì.» Stava per dire “all’inizio”, ma per fortuna si fermò a tempo, mordicchiandosi il labbro costernato.

Cos’aveva? Non riusciva più a ritrovare quell’emozione, quel senso di felicità sfrenata che provava un tempo quando stava con lui. Quel forte desiderio di toccarlo, prendergli il membro in mano e farlo venire, per poi leccarlo e farsi leccare. Un velo di freddezza era calato sul suo cuore, come la foschia grigia che fuma su un campo caldo alla fine di una giornata.

Durante il pranzo cercò di parlare del più e del meno, e Dedal gli chiese di nuovo: «Quanto tempo mi farai aspettare ancora prima di dirlo ai tuoi? Quando ti ho lasciato, a Parigi… avevi detto che appena venivo in Inghilterra…»

«Sì,» lo interruppe Dave, gentile, «ma allora non immaginavo com’era… a casa, cioè.» Sospirò appena. «È tutto così… diverso, non so… ora che abbiamo i soldi. Anche Dilon…» Si fermò, perché non intedeva parlare di lui.

ֿ«Dilon?» disse subito Dedal.

«Sì… abita con noi. Non è un nostro parente, ma suo padre era molto amico di papà, e… vedi, è zoppo e… è sempre adirato con noi.»

Si accorse che lo guardava con diffidenza.

«Quanti anni ha?» gli chiese a bruciapelo.

«Eh? Beh, ha molti anni più di me… ma quando verrai da noi lo vedrai.»

Dedal schiacciò la sigaretta nel portacenere. «Sarà innamorato di te. Quel culetto che hai fa impazzire non solo me.»

Dave voltò la testa di scatto e lo fissò. «Innamorato… di me?»

«Beh, perché no?»

Dave non rispose, non sapeva cosa dire. Ma il suo cuore all’improvviso si era messo a battere forte… gli faceva quasi male. Innamorato di lui… Dilon? A lui il culetto lo avrebbe dato, mentre con Dedal la loro intimità si era fermata alla masturbazione reciproca.

«Non mi hai risposto,» disse Dedal.

«Quando lo vedrai,» fece lui, imponendosi di rimanere calmo, «capirai che è assurdo quello che hai detto… Se da bambino mi sedevo sulle sue ginocchia e… Lui si metterebbe a ridere se gli dicessi che hai pensato una cosa simile.»

«Credi che si metterebbe a ridere anche se gli dicessi di noi?» Chiese Dedal, con lentezza premeditata.

«Io so cosa direbbe,» rispose Dave, un po’ troppo in fretta. «Che sono troppo giovane per prendere delle decisioni importanti come questa.»

«E tu cosa diresti?»

Dave lo guardò esitante. «Oh, io… mi metterei a ridere. Muso nero è tanto caro, ma…»

«Cosa hai detto?» Fece Dedal.

Dave avvampò. «Ho detto “Muso nero” è così che chiamiamo Dilon. Gli abbiamo dato questo soprannome quando eravamo bambini perché… è stato un grande viaggiatore… ha girato il mondo in lungo e in largo e… vedi il suo vero nome è Walter, ma Raymond e Jan, i miei fratelli, l’hanno sempre chiamato Muso nero.»

Si era spiegato a fatica, con le guance infuocate.


«I tuoi fratelli!» Esclamò Dedal, sconcertato. «Ma non eri figlio unico?»

«Oh, no,» disse Dave, cercando di ridere. «Ho due fratelli, Raymond e Jan. Sono a Cambridge… su o giù? Non mi ricordo mai… ma fra poco verranno a casa, penso… li conoscerai. Non so perché non te ne ho mai parlato prima,» si scusò, guardandolo un po’ preoccupato, «ma tu non me l’hai chiesto e… avevamo tante cose da dirci. Sei arrabbiato?»

«Arrabbiato!» Fece lui. ridendo. «Angelo, e perché dovrei arrabbiarmi, se hai due fratelli? Ora chiedo il conto, e poi andiamo…»

«Io dovrei andare a casa,» disse Dave timidamente. «Vedi, c’è Leo.»

«Oh, al diavolo… tu non vai a casa,» rispose lui bruscamente. «Sono qui  ci siamo dati mezzo bacio e poi ho voglia di te, non ci siamo neppure toccati, masturbarti, e poi mi avevi promesso che mi avresti donato la tua verginità, quanto lo desidero.» Aggiunse con voce decisa.

Dave si appoggiò contro lo schienale della sedia senza dir niente. Il cuore aveva ripreso a battere forte, e si chiese sgomento: “Ho paura di lui? Ma è assurdo! Ma perché mai dovrebbe farmi paura? Muso nero non mi ha mai fatto paura.”

«A che pensi?» Fece lui ad un tratto. «Pagherei per saperlo.»

«Pensavo che non vedo i miei fratelli da quasi due anni,» disse Dave. In realtà, rifletté piuttosto stupito, da quando era tornato da Parigi non aveva quasi mai pensato a loro. «Sarà bello riaverli a casa.»

La faccia di Dedal si oscurò per un attimo, ma si limitò a dire: «Beh, andiamo? Sei pronto?»

«Sì, sono prontissimo: il pranzo è stato splendido… grazie.»

«Non c’è di che,» ribatté Dedal seccamente.

Camminarono in silenzio fino al posteggio. Erano tutti e due imbarazzati, e anche un po’ tristi.

«Guido io?» Chiese Dedal dopo un po’.

«Oh, sì… se vuoi.»

Senza parlare, lui si mise al volante. «Devi voltare a destra,» disse Dave. «Così non troviamo tanto traffico.» Ma Dedal voltò a sinistra, e poi lo guardò trionfante: «Sei alla mia mercé ora, ragazzo, e vai dove voglio io.»

«Mi spaventi,» fece lui in tono forzatamente frivolo. «Ma non portarmi troppo lontano, ho detto a Leo che non avrei fatto tardi.»

«Non hai mai anteposto Leo a me.»

«Sì,» rispose Dave con gli occhi sulla strada illuminata dal sole, «ma devo essere educato.»

«Leo non mi è mai parso particolarmente educato,» osservò Dedal ridendo. Improvvisamente mise la mano sulla sua e gli chiese educato: «Cosa c’è che non va? Mi fai sentire un estraneo.»

«Un estraneo?» Mormorò Dave. «Che sciocchezze! Come fai a dire una cosa simile?»

Si fermarono a un semaforo, e lui lo guardò. «Non mi ami più?» Disse. Ma la sua voce era fiduciosa.

Dave trattenne il respiro. «Certo che ti amo.»

Quando venne il verde, avanzarono lentamente in coda alle altre macchine.
«Speriamo di toglierci di qui…» fece  Dedal, ma si interruppe perché Dave aveva lanciato un gridolino.

«Guarda papà e Leo… nella macchina vicina a noi!» Abbassò il finestrino tutto felice e chiamò il suo amico: «Ciao eccoci qua.»

Mr. Dickinson non guidava mai personalmente, e l’autista, vedendolo, aveva rallentato in attesa di istruzioni. «Alla prima strada che trovate sulla sinistra voltate, noi vi seguiamo,» gridò Dave.

«Che combinazione!» Esclamò poi, rivolto a Dedal. «Dove saranno stati?»
Lui però non sembrava contento. «Se tu non li chiamavi, non ci avrebbero visti,» protestò. Ma poi, obbediente, voltò a sinistra in una traversa abbastanza tranquilla e si fermò dietro alla grossa macchina del padre di Dave.

Dave saltò subito giù e corse incontro a suo padre, che stranamente si stava abbandonando i pantaloni. «Che divertente!» Fece. «Ora conoscerai Dedal.»
Poi si voltò verso Dedal che era dietro di lui. «Questo è mio padre,» gli disse.
I due uomini si strinsero la mano, squadrandosi un po? diffidenti.

«Stavate andando a casa, o sbaglio?» Chiese Mr. Dickinson.

Ma fu Dave a rispondere: «Sì… possiamo andare assieme… cioè, noi ci veniamo dietro.

Leo cacciò fuori la testa dal finestrino. «Se ci avessimo cercati per tutta Londra non ci saremmo mai incontrati,» fece, ma sembrava che gli dispiacesse un po’. Guardò i due uomini che parlavano assieme e commentò: «Dedal mi sembra  di cattivo umore… immagino che vi abbiamo rotti le uova nel paniere…»

Non dire stupidaggini!

Mr. Dickinson si avvicinò. «Se ci fermiamo qui,» disse, «verranno a farci la multa. Voi due fareste bene a seguirci.»

«Dave non mi è sembrato molto contento di vederci,» mormorò Leo mentre lui saliva in macchina.

«Perché?»

Leo restò zitto, con un’alzata di spalle, mentre l’auto si metteva in moto, e poi gli chiese: «Cosa ne pensa di Dedal?»

Mr. Dickinson gli gettò un’occhiata diffidente: «Siete molto amici?»

«È un po’ che lo conosco,» fece lui sorridendo. «Devo dedurre che le piace?»

«Ci siamo scambiate solo poche parole.»

Attraverso il finestrino posteriore della macchina, cercò si vedere cosa succedeva alle sue spalle. Dedal e Dave li seguivano da  vicino.

“Che tipo!” Pensò. “Sembra un attore. Che diavolo ci trovano i ragazzi?”

Intanto Dedal stava dicendo in tono di rimprovero: «Sarai soddisfatto, ora.»

«Soddisfatto?»

«Sì… di non dover passare il pomeriggio con me, e io ho voglia sono qui per te.»

«Che sciocchezze,» rispose Dave. Ma forse Delad aveva ragione, anche se lui non voleva ammetterlo… In fondi questo incontro casuale con suo padre e Leo era stato per lui un vero sollievo.

Stavano quasi per arrivare a casa, quando Dedal disse: Se dico a tuo padre che…»

«Se lo fai,» lo interruppe Dave con voce stridula, «non te lo perdonerò mai. Questo affare riguarda me, non solo te, e…» Fece uno sforzo per controllarsi e soggiunse: «Perché siamo così cattivi l’uno con l’altro, Dedal? Eravamo così felici assieme…»

Ma lui non ebbe il tempo di rispondere, perché ormai erano arrivati.

«Chissà se c’è mia madre,» disse Dave. Entrò prima degli altri e attraversò in fretta l’ingresso.

«Siamo venuti a casa assieme,» annunciò aprendo la porta, ma si fermò… «Jan!»

«Salve!» Fece suo fratello guardandolo con occhio critico. «Beh… sei cresciuto abbondantemente, direi.»

Dave gli si avvicinò.«Non mi hai dato un bacio?» Chiese.

Lui si chinò la testa, e il fratello gli sfiorò la guancia con le sue labbra morbide. «Abbiamo parlato proprio di te a pranzo,» disse tutto felice. «Io sarò cresciuto, ma anche tu non scherzi…»

Mrs. Dichinson si alzò in piedi mentre suo figlio entrava seguito da due uomini. «Lei sarà certamente Dedal! !» esclamò col suo sorriso più dolce. «Sono lietissima di conoscerlo,» soggiunse, dandogli la mano. «Ma com’è che siete tutti assieme?»

Dave glielo spiegò, e poi disse a Dedal : «E questo è mio fratello.»

«Piacere,» fece Jan senza tanti complimenti.

«Che bello!» Stava dicendo Mrs. Dickinson. «Pensa un po’! Incontrarsi proprio in Regent Street! C’è qualcuno che vuole il tè? Dave suona il campanello.»

Dave si allontanò, e Jan lo seguì nell’ingresso.

«Chi è quel tipo?» gli chiese.

Dave lo fissò, arrossendo. «Di chiama Dedal Drytec.»

«Lo so… ma che cazzo di nome… dove lo hai pescato.»

«È un amico di Leo,» rispose lui, sulla difensiva. «Perché me lo chiedi con quel tono?»

«Perché l’ho già visto da qualche parte,» disse apertamente Jan, «solo che non riesco a ricordarmi. Drytec… Non è un nome che conosco, ma … giurerei che l’ho già visto.»

«Se glielo dici, forse lui se ne ricorderà.» ribatté Dave con disinvoltura. Stava per andarsene, ma lui gli afferrò la mano.

«C’è qualcosa in ballo fra voi due?» Fece, sospettoso.

Dave si liberò dalla sua stretta. «Qualcosa in ballo? Che espressione orribile! Io non ti faccio domande sui tuoi amici, e non li critico,» soggiunse con arroganza.

«Tu non conosci i miei amici,» obiettò lui. «E comunque sono persone per bene, non zoticoni.»

Dave lo guardò furibondo. «Come osi dire questo?»

«Bene,» osservò Jan, con un’alzata di spalle, «vedremo cosa ne dice papà.»
«Non m’importa di quello che pensano gli altri,» sbottò Dave. «Io ho diritto di scegliermi i miei amici.»

«Oh d’accordo,» rispose suo fratello voltandogli le spalle bruscamente. «Chiedi un po’ a Muso nero cosa ne pensa.»

Dave perse la pazienza, «non me ne importa niente di quello che pensa Muso nero,» urlò fuori di sé. Corse su per le scale, e andò quasi a sbattere contro Dilon che stava scendendo lentamente. «Oh,» fece Dave senza fiato, aggrappandosi alla ringhiera.

Ma lui gli passò davanti come se neanche l’avesse visto e raggiunse Jan nell’ingresso.

Dave andò nella sua stanza,sbattendo la porta.

“Li odio… li odio tutti” pensò. Era infuriato… ma poi cercò di calmarsi, facevano di tutto per rendersi odiosi, ma tanto la loro opinione non contava. Come diceva Leo, erano passati i tempi in cui i genitori richiudevano i figli ribelli nella loro stanza finché non mettevano giudizio. Oggi i ragazzi potevano fare quello che volevano senza rendere conto a nessuno.

“Mi trattano come un bambino!” pensò Dave indignato.

Buttò il cappello sul letto, mentre la rabbia sbolliva lentamente.

Peccato che Muso nero l’avesse sentito dire che non gli importava niente di quello che lui pensava… ma forse aveva capito che non lo diceva sul serio. Era colpa di Leo, che l’aveva fatto arrabbiare. Mentre si aggiustava i capelli si accorse con sorpresa che gli tremavano le mani.

In quel momento la porta di aprì e Leo ficcò dentro la testa.

«Faresti meglio a venire giù,» gli disse freddamente. «Gli uomini sono tutti lì, e non si guardano certo di buon occhio.» Fece una risata: «Non so perché, ma ho la sensazione che Dedal non avrà molto successo.»

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***








 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 10



 
In seguito, quando Dave ripensava a quella giornata, si sentiva ancora rabbrividire. Già era cominciata male, ma la sera le cose precipitarono.
Evidentemente suo padre e suo fratello avevano preso subito in antipatia Dedal e sembravano decisi a metterlo a disagio.

Mrs. Dickinson, conquistata dall’innegabile bellezza del nuovo venuto, lo invitò a cena.

«Oh, sarà una cosa alla buona,» disse allegra. «Se resta con noi, ci farà proprio piacere.» Guardò speranzosa suo marito e suo figlio. Erano contrariati, e restarano impassibili.

«Oh, sì, Dedal, rimani,» insistè Dave, con un entusiasmo piuttosto esagerato, «mi piacerebbe tanto.» Guardò Muso nero con aria di sfida. Era pallido, e sembrava stanco… ma non doveva lasciarsi commuovere da lui, da tutta questa gente pronta a disapprovarlo.

Più tardi, però, se ne pentì amaramente, perché suo padre era di umore “sgradevole”, come diceva sua meglie, e si era interstardito  a condurre la conversazione, prendendosela soprattutto col suo ospite.

«Sicchè, ha conosciuto mio figlio a Cannes…»

«Sì.»

«Gliel’ho presentato io, fece Leo. «Io e Dedal siamo vecchi amici.»

Mr. Dickinson lo ignorò. «E cosa faceva a Cannes?» Chiese, con una voce che non prometteva niente di buono. «Sarà stato in vacanza, penso.»

Il viso grazioso di Dave si coprì di un rossore diffuso. «Di solito la gente va a Cannes in vacanza,» commentò in tono frivolo.

Suo padre lo gelò con lo sguardo. «Parlavo a Mr. Drytec.»

«Ma Richard!» Protestò suo moglie. «Nostro figlio avrà pure diritto di partecipare alla conversazione.»

Muso nero cercò di correre ai ripari, e disse con la sua solita calma: «Una volta ho passato una settimana a Cannes. Ha piovuto tutto il tempo, e mi sono sentito tristissimo.»

«Lei non mi sembra , tipo da Cannes,» osservò Leo con un sorriso disarmante.

«Ah, no?» ribatté lui guardandolo. «E che località le sembra  adatta al mio tipo?»

Leo si strinse nelle spalle. «Beh, non saprei… Ma non ce la vedo proprio sulla Costa Azzurra.»

«Ayres è troppo virile per divertirsi a fare dell’eleganza e rendeersi ridicolo,» disse Mr. Dickinson, serio, guardando Dedal, forse senza intenzione.

«Sa, Drytec,» intenvenne Jan, con calma, «io l’ho vista da qualche parte…»

«Davvero?» Saltò su Mrs. Dickinson. «Ma guarda… interessante! E dove? Su diccelo.»

«Non mi ricordo di averla conosciuta,» dichiarò Dedal. I due giovani si scambiarono un’occhiata non troppo amichevole.

«I giovani moderni mi sembrano tutti uguali,» fece Mr.  Dickinson, burbero. «Quando ero giovane io…»

«Oh, Richy!» lo supplicò sua moglie, ma nessune le diede retta.

«Quando eri giovane tu, papà,» disse Dave, allegro, «gli uomini erano i padroni dell’universo, e le povere donne dovevano accontentarsi di un posto di secondo piano… vero mamma?»

«Caro non credo proprio di essere rimasta in secondo piano,» mormorò Mrs. Dickinson, «eh, Dedal?»

«E ammesso che sia vero,» osservò suo marito, «così eri molto più felice delle donne di oggi… con tutta la loro enancipazione e indipendenza, e i loro discorsi idioti sulla libertà e l’uguaglianza dei sessi. Avete avuto troppo fretta di sfuggire alla catena, e non sapete come controllare la vostra “indipendenza”, come la chiamate.

«Non è per niente gentile!» protestò, ma lui continuò senza pietà: «Parlavo proprio ieri con Barton, e mi ha detto che le sue due figlie ormai non le tiene più nessuno. Pare che lo prendano in giro se lui protesta per il loro comportamento. Ora la più giovane è andata via di casa per sposare uno stupidello squattrinato, e si aspetta che Barton li mantengaa tutti e due.»

«E naturalmente lui lo farà ,» disse Mrs. Dickinson.

«Ci mancherebbe altro,» ribatté suo marito. Se ne è lavato le mani, ha detto che devono badare a se stessi, e ha fatto proprio bene. Ha speso una fortuna per far studiare quella ragazza… l’ha mandata a Parigi e in Germania, e ora cosa ne ha in cambio? Un genero buono a nulla, che se gli si parla di lavoro sviene, come la maggior parte dei giovani moderni, e non ha un briciolo di fegato.

«Richard!» mormorò sua moglie.

«Che buffo!» Fece Leo ridendo. «Mi sembra di sentire mio padre.»

Mr. Dickinson lo guardò, fingendosi arrabbiato.  «E tu non sei scappato ancora di casa?» Chiese.

«Non ancora,» rispose lui timidamenre. «Ma non si sa mai…»

«Ah!»

Non si capiva cosa intendeva dire con quell’esclamazione, e sua moglie prese di nuovo la parola, guardandosi attorno con aria supplichevole. «Can che abbaia non morte, eh, ragazzi? In realtà Richard è l’uomo più buono di questo mondo… lo sappiamo tutti, vero ragazzi? E se Dave o uno dei miei figli volessero sposare qualcuno che non ha denaro, lui sarebbe il primo a offrirsi di aiutarli.»

«Non dire stupidaggini, mia cara,» fece suo marito. «Quando io ti ho sposata non avevamo un soldo, e abbiamo dovuto farci strada da soli, e i miei figli dovranno fare altrettanto…»

Dave si mise di mezzo coraggiosamnete: «Ma noi non abbiamo una zia ricca così gentile da morire e lasciarci una fortuna.

Seguì un silenzio imbarazzato, e poi suo padre disse freddamente: «Questa è una frase molto impertinente, Dave… esigo che tu mi faccia le tue scuse. 
 

Lui diventò tutto rosso. «Non sono stato impertinente!» Obiettò. «È la verità. Dici che noi dobbiamo farci strada da soli… già, come se tu avessi lavorato duro per tutta la vita per arrivare a questo punto. E tutte le volte…»


«Caro,» protestò Mrs. Dickinson, notando con angoscia l’espressione sempre più infuriata di suo marito, «non devi parlare così a tuo padre.»

«E allora lui non deve parlare così di noi,» ribatté Dave senza paura. «E perché Dolly Barton non dovrebbe sposare l’uomo che ama, solo perché non ha soldi? È meglio che sposare quanche vecchio miglionario ripugnante, comunque… ma forse papà vorrebbe che io facessi proprio questo.»

«Non dire stupidaggini a tua madre,» fece Mr. Dickinson con durezza. «Tutte queste chiacchiere sull’amore non sono altro che sentimentalismo da scolaretti… non durano più di cinque minuti, il tempo di una scopata, se non ci sono soldi per comprarsi  dei bei vestiti e andare sfoggiarli al Savoy.»

«A me al Savoy piace,» disse Leo. E anche a Dave piace… lo sa.»

«Quando avevo la tua età non potevo permettermelo,» rispose lui un po’ più rabbonito, ma poi se la prese di nuovo col povero Dedal: «E lei che tipo di attività svolge?»

Jan strizzò l’occhio a Leo, cercando di non ridere.

«Oh,» fece Dedal in tono vago, «Varie attività… cioè… faccio il rappresentante per varie ditte. Ecco perché vado spesso in giro per l’Europa. Vede…»

Cominciava a impappinarsi, ma per sua fortuna in quel momento la cameriera annunciò che era desiderato al telefono. 

«Vuole scusarmi?» Chiese Dedal a Mrs. Dickinson. «Sono molto spiacente…»

«Ma certo,» disse lei col suo sorriso più dolce.

«Come fanno a sapere che lui è qui?» Osservò Mr. Dickinson dopo un profondo silenzio.

La sua domanda rimase senza risposta, e alla fine Muso nero commentò con calma: «Mi pare che non siamo stati troppo gentili con l’amico di Leo.»

Dave si morse il labbro per nasconderne il tremito. «Andiamo in salotto?» Fece Mrs Dickinson.

Portò via Dave e Leo e chiuse la porta.

«Quel tipo non mi piace, questo è poco ma sicuro,» sbottò Mr. Dickinson.
È piuttosto evidente,» disse Muso nero. «A me sembra abbastanza innocuo, e dopo tutto è un ospite.»

«Sei stato un po’ duro con lui, papà,» ammise Jan suo malgrado.

Restarono in silenzio fino al ritorno di Dedal. «Scusatemi,» disse lui con calma, «ma aspettavo una telefinata di lavoro, e ho lasciato  questo indirizzo al mio albergo.»

Nessuno rispose, e alla fine Mr. Dickinson propose, più affabile: «Bewve un bicchiere di porto?»

«No grazie.»

«Allora lo berrò io.»

Intanto sua moglie, in salotto, stava dicendo sconvolta: «Non so perché tuo padre sia così irascibile. Lo era anche quando è uscito con te, Leo?»

«Oh, no,» fece lui, «È stato tanto carino…»

Mrs. Dickinson sospirò. «Avrà uno dei suoi soliti attacchi di fegato,» disse fiduciosa. Poi guardò suo figlio: «Ma tu sei stato im po’ cattivo, caro… più gli rispondi, e più lui si arrabbia.»

«E tu faresti meglio a rispondergli più spesso,» ribatté Dave con una risata acida, Crede di poter calpestare tutti, e io non intendo sopportartarlo. Chissà cos’avrà pensato Dedal…»

«Oh, figurati cosa gliene importa,» commentò Leo con voce strascicata. «Ha la pelle dura, lui.»

«Io lo trovo affascinante,» dichiarò Mrs. Dickinson, «è così bello… mi ricorda moltissimo uno che conoscevo… tanti anni fa, naturalmente, ma ha proprio gli stessi capelli.» Sospirò con aria sentimentale.

«Quel tipo di capelli non mi piacciono troppo,» osservò Leo. «Preferisco quelli di Mr. Ayres… folti e ostinati.»

Dave aggrottò le ciglia e andò alla finestra.

Fuori era quasi buio. Le tende non erano state ancora tirate. Sopra gli alberi c’era uno spicchio sottile di luna, e si udiva il cinguettio sommesso che facevano gli uccellini prima di addormentarsi.

Si sentiva stranamente triste. Pensava di poter essere felice, ma c’era qualcosa che non andava. Era così sicuro di sé, ma ora si chiedeva se non aveva commesso un tragico errore, forse irreparabile.

«Facciamo un po’ di musica?» Disse Mrs. Dickinson. «Dave, metti un disco… i più recenti sono sul pianoforte.»

«Ci penso io,» fece Leo, andando a rovistare nella pila di dischi.

«Mi raccomando, niente di sdolcinato o di sentimentale,» suggerì Dave in tono perentorio. «Come dice papà, l’amore dura solo cinque minuti… chissà perché la gente si mette in testa di scrivere su questo argomento.»

«Ma caro,» protestò Mrs. Dickinson, «lui non intendeva dire questo. Il vero amore dura… non credi Leo?»

Ma non ebbe risposta, perché in quel momento arrivò il resto che era rimasto in sala.

Mr. Dickinson sembrava rabbonito, e si avvicinò subito a Leo. «Ancora musica da ballo?» Chiese.

«È un’idea,» disse sua moglie, entusiasta «Togli i tappeti, Jan, che balliamo… è proprio una splendida idea!»

Ma subito Dedal, sevizievole, tolse di mezzo i tappeti persiani e spstò le sedie.
«Non voglio ballare,» fece Dave, ma a un tratto ambiò idea: «E va bene, balliamo.»

Jan, seduto sul bracciolo della sedia di sua madre, li contemplava con un sguardo cinico.

«Vuoi ballare, mamma?» Le chiese. Gli altri ballavano già.

«Molto volentieri, caro, » rispose lei, che era l’unica donna. Muso nero, senza dir niente, si allontanò inosservato.

«Papà e di nuovo di buon umore,» sussurrò a suo figlio. «Sono proprio contento».

Jan lanciò un’occhiata scettica in direzione del padre. «Leo gli starà dicendo certamente che è un ballerino meraviglioso,» ribatté.

«Che ragazzo incantevole,» osservò Mrs. Dickinson… ma sperava che di lì a poco il suo Richard la invitasse a ballare.

Guardò Dave e Dedal.

«Non sono una bella coppia?» Sussurrò a Jan.

«Quel tipo non lo posso sopportare,» rispose lui. «Sembra un ballerino di professione. Mi piacerebbe  proprio ricordarmi dove l’ho incontrato.»

La musica si interruppe improvvisamente e Dave si staccò dal suo cavaliere.  «Dedal dice che deve andare,» annunciò.

Era un po’ pallido e stanco, e restò zitto mentre sua madre protestava: «Oh, non vada via, è ancora presto. Ci divertiamotanto…»

Ma Dedal non si lasciò convincere. «Devo prendere un treno, potete dirmi come vanno?»

«Sulle rotaie,» mormorò Jan sottovoce.

«Ma la facciamo andare nella nostra macchina,» disse Mrs. Dickinson. «Dave, suona il campanello e di’ di mandare l’auto.»

Intanto Dedal salutava tutti. «Viene per il veek-end, non è vero Dave?» Gli rammentò Mrs. Dickinson. «Organizzeremo una bella serata da qualche parte, eh Richard?» Ma suo marito stava scegliendo i dischi assieme a Leo, e non rispose.
Dedal guardò Dave. «Arrivederci,» fece, sfiorandogli appena la mano.

«Vieni a salutarlo, caro,» disse sua madre. Gli cinse la vita sottile e lo portò bell’ingresso. Jan li seguì di malavoglia.

La macchina era già alla porta, poi mentre si allontanava, Mrs Dichkinson gridò, salutando con la mano: «Venga presto sabato… venga presto.»

 
«Grazie al cielo non sarò qui,» borbottò Jan, gettando un’occhiataa suo fratello, ma lui lo ignorò e andò in salotto. Mr. Dickinson era in piedi accanto al caminetto e stava accendendo un sigato. Leo invece era ancora chino sulla pila di dischi.
Dave li osservò con un certo disagio, e suo padre gli chiese: ti sono passati i nervi Dave?»

«E a te?» Fece lui irritato, ma poi si scusò: «Mi dispiace, non volevo dirlo.»

«Ma prego, non c’è bisogno di scusarsi,» disse Mr. Dickinson, magnanimo. «Ormai mi sono quasi rassegnato a essere considerato una nullità a casa mia.»
Leo aveva messo un disco, Jan gli cinse la vita e lo trascinò a ballare. «Stai cercando di adescare il vecchio?» Sussurrò.

Leo alzò gli occhi e gli scoccò uno sguardo eloquente. «Bisogna pur fare qualcosa. A me piacciono gli uomini maturi,» ribatté sottovoce.

«E così tiri l’acqua al tuo mulino, eh?» Commentò lui ironico.

«Vienici tu al mulino, se ti interessa, mi piaci,» rispose Leo.

Ma Jan scosse il capo, «Domani devo andarmene.»

«Ahimè,» sospirò Leo. «Che tragedia!»

«Maledetto stregone,» disse lui. Ma Leo si mise a ridere.

«Se vieni stasera in camera ti farò un bel servizio.»

«Non ti interesserebbe ballare con me, Richard?» Chiese timidamente Mrs. Dickinson al marito.

«Beh, cara, sono un po’ stanco… scusami», fece lui. Dave lo senti e si allontanò imbronciato.

“Se glielo avesse chiesto Leo, non avrebbe risposto così” pensò, e gli vennero in mente le osservazioni sarcastiche che fece Leo sul matrimonio: “la maggior parte delle persone sposate non si possono vedere… Gli uomini sono sempre più educati con le altre persone che con le loro mogli. Per me il matrimimonio è un fiasco completo.»

Poi senza un apparente nesso logico, gli venne in mentre quello che aveva detto Dedal nel pomeriggio quando lui aveva nominato Muso nero: «Sarà innamorato di te.»

Innamorato di lui! Da bambino, spesso aveva pensato di essere  un po’ innamorato di lui. Aveva perfino portato a Parigi una sua fotografia… ma quando Leo l’aveva intravisto l’aveva preso talmente in giro che Dave l’aveva buttata nel fuoco.

Gli sembrava che fossero passati tanti, eppure Dilan gli aveva detto: «mi piaci… come allora.»

Solo lui era cambiato, aveva voluto calpestare i suoi ideali e i suoi sogni di ragazzo. Ma ora che lo aveva fatto, era più felice? L’uomo che si era appena allontanato con la loro auto contava più di Dilon per lui? Forse un mese fa sì, ma stasera, mentre era seduto a tavola con tutti e due, era l’opinione di Didol che lo interessava, erano i suoi occhi che cercava di evitare.

Era stato gentile con Dedal… ma già, lui prendeva sempre le parti del perdente. Che serata terribile! Dedal era andato via presto, perché mentre ballavano avevano litigato.

«Sabato, quando vengo,» gli aveva detto profittando della musica, «intendo dire a tuo padre la verità.»

«Se lo fai, non ti perdonerò mai,» aveva risposto Dave. E pensare che un mese fa l’unico desiderio era di far sapere a tutti che lui e Dedal erano innamorati…

A un tratto la voce di sua madre interruppe il filo dei suoi pensieri. «Ma dov’è Walter? Pensavo che fosse qua. Speriamo che non si senta male di nuovo… Va’ a vedere, Dave.»

Il primo impulso di Dave fu di non andare, ma poi seguì il suggerimento di sua madre.»

La porta dello studio era socchiusa, e lui l’aprì. «Come va Dilon?»

Lui si voltò e gli sorrise.«Bene, perché?»

«Oh, niente, pensavo… mia madre pensava che forse… non ti sentivi bene.»

«Sto benissimo, grazie.»

Dave esitò. «Vuoi che me ne vada?»

«No… resta pure se vuoi.»

Dave entrò e si chiuse la porta alle spalle. Muso nero gli avvicinò una poltrona. «Siediti qui,» gli disse, ma lui fece segno di no, e restò in piedi accantoa Dilon tormentandosi una cioccadi capelli.

«Non è stata una serata troppo allegra, temo,» osservò Dilon.

«No, è stata odiosa… Pensi che sia colpa mia?»

«Non del tutto.»      
                                                                             

Dave batté i piedi contro il parafuoco, spazientito. «Da quando sono tornato, pare che vada tutto male.»

Muso nero lo guardò. «Sei cicuro che le cose non andassero male anche prima del tuo ritorno?

Lui lo fissò negli occhi,  e all’improvviso affondò la faccia sul suo braccio con un singhiozzo, contro la stoffa ruvida della giacca. «Se tu fossi un po’ più… gentile con me,» mormorò.

«Cerco di esserlo,» rispose Dilon, ma non lo abbracciò, come Dave desiderava. A un tratto Dave si sentì molto giovane, solo e indifeso.

Dopo un lungo silenzio, finalmente alzò la testa. «È inutile,» sussurrò col pianto nella voce.

«Che cos’è inutile?» Chiese Didol dolcemente.    

«Cercare di tornare indietro,» rispose Dave, «con te… Tu te ne stai lì, come se fossi fatto di pietra. Era così diverso prima che io partissi.»

Lui si voltò e appoggiò il braccio sulla mensola del caminetto senza rispondere.
Forse ri metterai a ridere, ma … mi sento così solo, e se è vero che ti piaccio… come allora…»  lo uardò con occhi imploranti. «È vero… Dilon?»

Lui si allontanò lentamente, e poi gli si avvicinòl di niovo. «Posso farti una domanda, Dave?»

«Cosa vuoi sapere?»

«Mi risponderai?»

«Sì. Se posso.»

«Tu e Dedal Drytec, state insieme? Forse sposati?»

Dave lo fissò. Era impallidito… aveva sentito un tuffo al cuore. Si appoggiò automaticamente alla spalliera della poltrona per non cadere.

Non riusciva a staccare gli occhi dalla sua faccia. Era come se lui lo incatenasse con il suo sguardo fermo. «Ma Dilon, caro!» disse in tono frivolo, con una voce con una voce che non gli sembrava la sua. «Cosa ti viene in mente? Sposato con Dilon, io? Vuoi scherzare?»

Era la prima volta che Dave lo vedeva  così arrabbiato. E lanciò un grido senza volerlo. Cercò di prendergli la mano, ma Dilon gli sfuggì.

«Ti prego, Dilon, non guardarmi così. Senti… lascia che ti spieghi.»

«Spiegare?» Fece lui con voce rauca. «Mi hai detto una bugia. Per la prima volta in vita tua mi hai detto una bugia, non è così… eh?» L’aveva afferrato per le spalle e lo scrollava, come per costringerlo  a dirgli la verità. Dave scoppiò a ridere… una risata forzata, di sfida, ma poi improvvisamente chiuse gli occhi.

«Sì,» mormorò, «è una bugia… Io e Dedal siamo sposati.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 
Capitolo 11



 
Si udirono dei passi nell’ingresso, e la voce stridula di Leo che chiamava: «Dave! Dave! Dove sei?»

Muso nero lo lasciò andare, e Dave si appoggiò sfinito alla poltrona, tremando da capo a piedi. Lui gli passò davanti e aprì la porta. «Dave è qui,» disse. «È stato tanto gentile da venire a vedere come mi sentivo.» Per un attimo Dave restò nascosto dietro l’alta figura di Dilon, cercando disperatamente di riprendersi. «Eccomi!» Esclamo poi. «Mi stavo asciugando il naso. Avete finito di ballare?»
Ma intanto pensava ad altro, affannosamente, come un animale selvatico e impaurito che ad ogni costo non vuol farsi prendere. Come faceva a saperlo? Si pentì di averglielo detto. Cosa doveva fare ora? Lui non l’avrebbe mai perdonato… ormai, tutto sarebbe stato diverso. Chissà se lo avrebbe detto a qualcuno… ma no, Dilon non era il tipo.

Leo entrò. «Perché sei scappato?» Gli chiese sospettoso.

«Non sono scappato. Mia madre mi ha mandato a vedere come stava Dilon. È finito tutto? Muoio dal sonno.» Faceva fatica a parlare.

Leo soffocò uno sbadiglio. «Anche io ho sonno. Si sta bene qui… questa stanza mi piace. Possiamo restare un po’?»

«Certamente,» rispose Muso nero.

Leo si lasciò cadere sulla poltrona. «Questa stanza mi piace,» ripeté. «Se io abitassi qui verrei spesso da lei, Mr. Ayres… col suo permesso, certo.»

«Ne sarei lusingato,» disse lui automaticamente.

In quel momento la porta si aprì e Jan cacciò dentro la testa. «Ah, siete tutti qui! Posso unirni all’allegra compagnia?» Senza attendere la risposta, si accomodò sul bracciolo della poltrona, accanto a Leo. «Nostra madre è andata a nanna.»

«Dovremmo andarci tutti,» fece Leo. «Solo che qui si sta bene.» Si girò per vedere dov’era Dilon e gli chiese timidamente: «Le diamo fastidio?»

«Anche se è vero, non ce lo direbbe mai,» commentò Jan.

«Che ti succede,» domandò a suo fratello, notando il suo silenzio. «Hai avuto una lavata di capo da Dilon?

«Spaventosa,» rispose lui. «Lo sai che è un bruto.» Con uno sforzo guardò Muso nero, che era in piedi sotto la lampada e sfogliava tranquillamente un libro.

Sembrava stanchissimo. Si capiva che non vedeva l’ora di rimanere solo. Ma prima di andare a letto doveva assolutamente parlargli, doveva cercare di difendersi, di spiegargli come era successo.


Suo frastello e Leo ora stavano vicini, mano nella mano, comne se fosse la cosa più naturake del mondo. “Percjé non se ne vanno?” pensò Dave spazientito.

«Ecco papà,» disse Jan, «giusto per completare l’opera.»

Mr. Dickinson entrò. «Ah, siete qui! «Vorrei sapere perché tutti mi abbandonano.»

Guardò Leo, che si affrettò a lasciare la mano di Jan.


«Pensavamo che fosse stanco di noi,» fece il ragazzo. Il bracciolo della poltrona ormai era libero, e Leo vi batté sopra con la mano. «Venga a sedersi accanto a me.»

«Io vado a letto,» annunciò Dave, fermandosi un attimo accanto a Dilon.
Buonanotte.»


«Buonanotte, Dave.»

«Anch’io dovrei andare,» disse Leo, «ma non ne ho voglia. Posso restare ancora un po’?»

«Certamente,» rispose Mr. Dickinson. Ma ormai la conversazione languiva, e dopo un po’ anche Leo se ne andò.»

Seguì un breve silenzio, e alla fine Jan commentò: «Quel ragazzo conosce il gioco alla perfezione.»

«Cosa vuoi dire?» Chiese il padre.

«Voglio dire che ama tutti gli uomini, senza distinzione.»  
 

«Sciocchezze,» ribatté Mr. Dickinson. «Leo è un ragazzo simpaticissimo.»

Dilon sorrise. Non molto tempo fa, si ricordò,  Richard aveva dichiarato che Leo non era un buon amico per Dave.

«Beh, io vado,» fece Jan. «Buonanotte.»

«Ti dispiace se io rimango, Walter?» Domandò Mr. Dickinson.

«No di certo.»

Muso nero sembrava tutto preso dal suo libro, mentre l’altro gironzolava per la stanza, fermandosi ogni tanto a scrutare con interesse oggetti che aveva già visto mifgliaia di volte.

«Sai, Walter,» sbottò Mr. Dickinson, quel tipo non mi piace… e io mi considero un conoscitore dei caratteri.»

«Quale tipo?»

«Quel Dedal… Drytec, o come diavolo si chiama. Ha un modo di fare impertinente, come se desse tutto per scontato.»

«Perché pensi questo?»

«Va’ là, che lo pensi anche tu. È un damerino, con quei capelli lunghi e quella cravatta spaventosa… e poi, a quale dei due ragazzi sta dietro, Dave o Leo? Ormai mi sono fatto una ragione, a mio figlio piacciono i maschi.»

Walter chiuse il libro e lo mise da parte. «Deve per forza essere uno di loro?» Chiese.

«Non fare lo stupido, Walter,» disse Mr. Dickinson bonariamente, ma poi esplose di nuovo: «Se sta dietro a Dave, lo metto alla porta. Voglio sperare che mio figlio non sia tanto idiota di prendere sul serio quel tipo. Probabilmente lui pensa che avrà dei soldi.»

«Se è così, stasera a cena tu non gli hai dato molte speranze…»

«Ho fatto benissimo e non scherzavo, sai. Non intendo mantenere un fannullone, e se lui crede… Sicché pensi che stia dietro a Dave?» domandò, guardandolo male.

«Non mi è neanche passato per la testa.»

«Beh,» borbottò Richard, «dirò a sua madre di non incoraggiare simili sciocchezze… un individuo che hanno pescato sulla Costa Azzurra…»

«Non è proprio così. Era un amico di Leo, e a te Leo è simpatico, no?»

Mr. Dickinson lo guardò con diffidenza. «Oh, è un ragazzo a posto, ma come tutti i giovani d’oggi, crede di saperla lunga… dovrò parlargli.» Fece un altro giro per la stanza. «Gli dirò che non deve incoraggiare Dave a frequentare quel tipo. Dave da molto ascolto a Leo, no?»

«Trovi?»

«Non ti senti bene, Ayres?» Chiese  l’uomo più anziano fermandosi di fronte a lui.»

«Sto benissimo… perché.»

«Non sembra , ecco» disse chiaramente Mr Dickinson. Era preocupato. A modo suo, voleva bene a Ayres. «Perché non vai via per un po’? In Scozia, o al mare … ti farebbe bene.»

«Già… forse fra un po’, quando farà più caldo.»

«Io potrei venire con te. Sono un po’ stanco di Londra. Muia moglie invece… beh, lei ha il suo club e le sue amiche.»

«A me sta bene basta che non porti Leo.»

«Ma te vedi tutto …»

«Ho visto come guarda il rigonfiamento del tuo membro, te lo vorrebbe mangiare.»

«È strano, sai, Ayres, ma ci lasciamo alle spalle, tante cose, ed è inutile cercare di ritrovarle, vero?»

«Già, è inutile, meglio lasciarle perdere.»

«Stasera, per esempio, mi sono diverttito a ballare con un ragazzo. Ma per lui non dev’essere stato tanto divertente, no? Avrà riso di me, ma se avessi avuto vent’anni di meno…»

«Vent’anni fa avresti voluto ballare con una donna sposata, «osservò Muso nero con uno sguardo malizioso.

«Ah, ah! Questa è buona… hai ragione. Quando avevo ventiquattro anni avevo perso la testa per una donna sposata. Strano come cambiano i gusti, eh?»

«Davvero.»

«Ma forse a te non capita, per te è diverso, Ayres. Te la sei spassata quando eri ragazzo, mentre io non ho avuto l’ccasione, e i soldi per farlo, e forse è per questo che ora… Di te invece ci si può fidare… A proposito, perché non ti sei mai sposato? Non te l’ho mai detto, ma me lo sono chiesto spesso, sai?»

«Chi vorrebbe avere in casa un cane zoppo?»

«Alle maggior parte delle donne piacciono i cani zoppi,» obiettò Mr. Dickinson.

«Dev’essere l’istinto materno. Lo so una volta la donna violeva un uomo. Ora lo vorrebbero bello e che il membro sia bello sostanzioso.»


«Amano giocarci parecchio con le mani…»

«Anche i maschi se è per questo. Io  ne so… lasciamo perdere.»

«L’amore tra due persone dello stesso sesso è molto più passionale.»

«Sono preoccupato Dave, sembrava un po’ rattristato stasera. Mah! Speriamo che non si rovini la vita con qualche stupidello. Tu potresti metterlo in guardia, Ayres.»

L’orologio sulla mensola del caminetto batté le dodici. «Com’è tardi!» Esclamò Mr. Dickinson. «Beh, io vado a letto. Buonanotte, ragazzo mio.»

«Buonanotte,» rispose Muso nero.

Mr Dickinson salì le scale sbadigliando, e sul pianerottolo si fermò per guardare fuori. Aveva l’abitudine di scrutare il cielo prima di andare a letto per vedere che tempo avrebbe fartto l’indomani.

Un sottile spicchio di luna, lontano, solcava il cielo scuro, e a quella vista lui si sentì stranamente giovane e sentimentale.

Udì un lieve rumore alle sue spalle e si voltò, era Leo che faceva capolino dalla porta della sua camera da letto. «Buonanotte,» sussurrò.

Mr. Dickinson raddrizzò la schiena, era stanco. «Va’ a letto» rispose sottovoce, assumendo un’aria severa.

«Ci sto andando.» Ma prima di chiudere la porta gli mandò un bacio sulla punta delle dita.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 
 
 
 
 
                                                                                                                     
Capitolo 12


 
Dave non chiuse occhio tutta la notte, e alle prime luci dell’alba fece un bagno, si vestì e uscì di casa, piano, per godersi l’aria fresca del mattino.

Il parco era deserto, c’erano solo le anatre e i cigni che col becco si lisciavano le penne al sole. Dave camminava in fretta, agitato. Dopo quello che era sucesso la sera prima, si sentiva come un bambino spaventato, circondato da facce ostili. Gli sembrava di risvegliarsi da un incubo che l’aveva costretto a ricordare certe cose dolorose ormai dimenticate.

Una cosa era certo: non amava più il ragazzo che aveva sposato. Forse non lo aveva mai amato, ma si era lasciato trascinare dall’entusiasmo e da un certo clima romantico a commettere una pazzia che avrebbe scontato per sempre. Forse Muso nero avrebbe potuto aiutarlo… era sempre pronto ad aiutare la gente, lui. Si aggrappò a questa speranza, ma ormai lui lo aveva allontanato, e se pensava a lui provava un senso di paura e di timidezza. Gli dispiaceva tanto… doveva assolutamente vederlo e spiegargli, e riguadagnare la sua fiducia.
Doveva dirgli: «Ho sposato Dedal perché pensavo di amarlo, e mi sembrava di fare una cosa meravigliosa. Ma ora non lo amo più, ecco tutto.» oh, Dio, come faceva a dirglielo? Era una spiegazione che non stava in piedi, c’era da vergognarsene. E lui… ma era inutile pensare a quello che avrebbe detto o a come avrebbe potuto aiutarlo. Non era più un bambino che può mettersi a piangere e chiedere perdono, era un ragazzo ormai maggiorenne che aveva fatto la sua scelta, e ora doveva prendersi le sue responsabilità.

Mentre guardava oltre i filari di alberi verdi nel sole sentiva gli occhi che gli bruciavano e la testa che gli faceva male, come se non avesse dormito per molte notti. Quando due si sposano, vanno via per metter su casa e vivere assieme, e devono cavarsela da soli. Ma Dave era terrorizzato al pensiero di andar via con Dedal, di lasciarsi tutti gli altri alle spalle, senza più poter contare sul loro aiuto. Alla sua famiglia Dedal non piaceva. Se ripensava alla sera prima, Dave si sentiva rabbrividire . Si esano schierati decisamente contro di lui, e avrebbero fatto altrettanto con Dave, non appena avessero saputo la verità.

Si ricordò con un senso di panico che sapeva ben poco di Dedal, a parte il fatto che era bello e divertente, e che ballava bene. Non avevano neppure parlato delle loro famiglie, in quei pochi giorni febbrili sotto il sole della Francia quando lui con la sua corte insistente gli aveva fatto perdere la testa.

Chissà cosa avrebbe detto suo padre… e Jan? Potevano anche mandarlo via subito, con un uomo che per lui era quasi un estraneo. Potevano dirgli che aveva commesso un errore formidabile, e che ora doveva cavarsela da solo.

“Dilon mi aiuterà”, pensò. Improvvisamente sentì un disperato bisogno di consolazione, e una grande paura della solitudine, e tornò sui suoi passi. Forse oggi Dedal sarebbe tornato… forse, dopo quello che era successo, avrebbe insistito per vedere suo padre e per dirgli la verità: «Io e Dedal siamo sposati.»

Si mise a correre, come per liberarsi di un mendicante fastiudioso, e nell’ingresso si trovò faccia a faccia con Muso nero. «Sei mattiniero,» gli disse come se non fosse accaduto nulla.

«Non riuscivo a dormire,» fece Dave con uno sguardo implorante. «Non ho chiuso occhio tutta la notte.»

«Che ne diresti di portarmi a fare un giro in macchina stamattima?» chiese Walter con la sua solita calma. «O hai altri impegni? E Leo?»

Dave era rimasto senza fiato. «Dirò a mio padre di portarlo fuori. Oh, Didol, ne sarei felice. A che ora possiamo andare?»

«Alle dieci e mezzo?»

«D’accordo.»

Dave corse nella stanza di Leo e lo trovò ancora a letto. «Ti dispiace se non mi alzo subito?» Disse il suo amico ancora mezzo addormentato. «Mi fa male la testa, sono cosi stanco, e poi abbiamo fatto tardi con Jan… è stato qui fino a tardi.»

Dave non ci credeva, perché Leo di solito si faceva venire il mal di testa quando gli conveniva, ma prese subito la palla in balzo: «Ma certo, resta pure a letto, ti dispiace se esco con Dilon? Credo che abbia un appuntamento, e mi ha chiesto di portarlo. Non ci vorrà molto.»

«Oh, non preoccuparti per me… » Leo chiuse gli occhi, ma li riaprì immediatamente. «Dave! E Dedal? Non deve parlare a tuo padre? Pensavo che ieri sera…»     

«Per carità, non parlarmi di ieri sera,» lo interruppe Dave, allontanandosi in fretta e chiudendo la porta.

Alle dieci e mezzo, puntuale, lui e Muso nero salirono in macchina.

«Dove dobbiamo andare?»  Fece Dave. Era così agitato che sentiva perfino delle pulsazioni in gola.

«Oh, da qualche parte, fuori città.»

Dave gli lanciò un’occhiata. «È la prima volta che vieni con me in macchina,» osservò in tono forzatamente allegro. Spero che il mio modo di guidare non ti metta in tensione.

«Non sono un tipo particolarmente nervoso.»

Non parlarono più finché non furono fuori Londra, e alla fine Dave chiese: «Sei molto arrabbiato con me, Dilon?»

«Non ho messun diritto di esserlo. Se tu sei felice…»

«Ma non sono felice,» ribatté Dave con voce soffocata. La macchina sbandò leggermente, e lui si guardò alle spalle. «Ora volto a sinistra, questa mi pare una via più tranquilla.» Si portò su un lato della strada e spense il motore.

Per un attimo restò immpbile, con le mani abbandonate in grembo, e poi sbottò: «Lo odiano tutti, l’hai visto ieri sera. E se io dico a loro la verità…»

«Devi farlo, Dave.»

Lui lo guardò spaventato, era distrutto . «Ma non voglio, vedi… » Spìegò affannosamente. «Non so perché l’ho fatto, non lo so! È capitato così, credevo… vedi, laggiù era tutto diverso, e Leo diceva…» 

«Leo?»

«Sì, diceva che secondo lui la felicità si deve cogliere al volo, e anch’io lo pensavo. Ero così felice, o per lomeno, mi sembrava di esserlo, finché non sono tornato a casa…» Dave si mise a ridere. Ma era triste. «Leo diceva che l’amore non dura. E io non gli ho mai creduto, ma aveva ragione. Diceva che quando si trova la felicità bisogna godersela tutta, perché non dura, e che se fosse stato al mio posto avrebbe sposato Dedal. La vita è crudele… pensiamo di amare qualcuno per sempre, e invece un giorno ci svegliamo, ed è tutto finito.»

«Non sempre è così,» osservò Muso nero con molta calma, «e Leo dice delle sciocchezze. La verità è che sei sconvolto Dave, è più che naturale. Ma quando l’avrai detto a tuo padre e a tua madre, anzi questo è compito di Dedal, ti sentirai diverso… più felice e tranquillo. Neanch’io ho dormito stanotte», soggiunse distogliendo lo sguardo dal suo volto pallido. «Pensavo a te ed ero un po’ preoccupato. Vedi, tu hai avuto molta importanza per me in tutti questi anni. Forse sarò un uomo all’antica, fedeli agli affetti, ma il mio più grande desiderio è di saperti felice, Dave, e se c’è qualcosa che posso fare…»

«Ma non puoi farmelo amare di nuovo, no?» Disse lui teso.

«Perché l’hai fatto, Dave ? Perché?»

«Non lo so, forse perché mi sembrava romantico e meraviglioso sposarmi all’insaputa di tutti. Vedi mi dispiaceva dirgli addio, ci eravamo divertiti tanto, e lui e Leo dicevano…»

«Leo, sempre Leo!» Fece lui, spazientito. «Non fai altro che ripetere le opinioni di quel ragazzo, le sue parole e il suo modo odioso di vedere la vita… Ma possibile che tu non abbia una volontà tua? Non sei più un bambino, Dave.» Poi si calmò e soggiunse: «Se hai sposato Drytec  dovevi volergli bene. E penso che gliene vorrai ancora.» 

«No, no!» Urlò. «Non mi crederai, ma appena ci siamo rivisti, a Londra, ho capito che non c’era niente tra noi, che lui per me non aveva  nessuna importanza. Non potevo sopportare l’idea di essere lasciato solo con lui, puoi chiederglielo. Non volevo che lui venisse a casa, a casa nostra. Gli avevo promesso che qui lo avremmo fatto, ma non desidero fare sesso con lui. Tra noi con c’è mai stata penetrazione solo scambio di masturbazione. Non lo amo, devi credermi. E ora so che non l’ho mai amato. Sei te che amo, Dilon, non lui.»

Pronunciò le ultime parole in un sussurro, e Muso nero si voltò di scatto a guardarlo. Nessuno dei due parlò, e restarono così a lungo, in silenzio.

Dave era confuso e in preda a strani pensieri, era come se per molto tempo avesse cercato affannosamente di risolvere un problena difficile… e solo ora, se voleva, gli si presentava la soluzione.

Dilon! Un uomo… zoppo e senza soldi. Senza volere, continuava a pensare: “Non amerari mai nessun uomo come lui… nessuno. Che sciocchezze! Se lo conosco da sempre… lui era un uomo quando io ero ancora bambino, gli saltavo sulle ginocchia e gli buttavo le braccia al collo. E poi senza che lui se ne accorgesse facevo di tutto per toccarglielo, naturalmente involontariamente. A lui raccontavo i miei segreti, la prima volta che mi trovai bagnato al seguito a un sogno erotico. Quando mi uscì la prima volta lo sperma gli dissi che mi era uscita acqua bianca  e lui si mise a ridere. Non mi ha mai toccato con un dito e non mi voleva vedere nudo, io sì. Si metterebbe certamente a ridere se sapesse cosa sto pensando, e poi… sono sposato.”

«Ho sempre disprezzato la gente che non rispetta gli impegni ,» disse Dilon con un certo sforzo. «Non credere che ti stia facendo la predica, Dave, ma non puoi, solo perché adesso non sei sicuro di te, voltare le spalle a quest’uomo. L’hai sposato, e devi mantenere la parola data.

Dave scoppiò in una risata amara. «Non sembrava neanche un matrimonio. È avvenuto tutto così in fretta… È stato quando lui è venuto a Parigi a salutarmi, solo un mese fa.»

«Vi siete sposati a Parigi?»

«Sì.»

«Tuo marito,» chiese Muso nero dopo un silenzio prolungato, «viene sabato?»

«Non chiamarlo così, Dilon, non posso sopportarlo.» Dave fece uno sforzo per controllarsi e proseguì affannosamente: «Non è giusto, è vero. Lo so che non approvi. Vorrei non essere mai andato a Parigi, vorrei che zia Rosy non ci avesse mai lasciato il suo odioso denaro. Eravamo molto più felici quando eravamo poveri. Oh, Dilan, vorrei poter tornare indietro e ricominciare tutto daccapo. Anche mio padre e mia madre erano più felici allora. Sì, litigavano per i conti, ma intanto erano felici. Ora invece non stanno mai assieme e cercano di evitarsi. E papà si fa fare i pompini da Leo, ne sono sicuro. Oh, la vita è proprio terribile…
Scoppiò in lacrime. Lui lo lasciò piangere, e quando fu un po’ più calmo gli disse: «Sta arrivando gente, Dave, forse è meglio che ce ne andiamo.»

«Lo so che mi consideri uno stupido,» fece Dave con voce rotta, cercando di asciugarsi gli occhi. «Rimpiangerai di essere uscito con me, dopo questo bello spettacolo…» Ingranò la marcia con un rumore spaventoso, e la macchina si avviò lentamente. «Vuoi che torniamo?» chiese in tono sostenuto. «Per me è lo stesso, mi spiace di essermi comportato così… era un sacco di tempo che non piangevo. Ma tanto piangere non serve a niente, agli altri non interessa, vogliono sempre vederti allegro e splendida forma.»  

Muso nero sorrise, ma cercò di non farsene accorgere. «A tre o quattro chilometri da qui c’è un posto dove si può mangiare. Ci andiamo?
Dave gli lanciò un’occhiata enigmatica. «E a casa cosa diranno?»

«Ho già avvisato tua madre.»

«Oh!» esclamò Dave, con gli occhi ancora pieni di lacrime. «Spero che quando mi sarò sistemato verrai a trovarmi a casa mia… se ne avremo mai una,» soggiunse con arroganza. «Non credi che Dedal abbia molto denaro, e naturalmente mio padre non mi darà un soldo, io non sarò in grado di tenere una casa, non so niente di lavori domestici, e probabilmente litigheremo per i conti come tante altre coppie.»

«Per litigare bisogna essere in due,» osservò Dilon.

«Sei contento che io mi sia sposato, vero?» Disse Dave piano, mordendosi il labrro. «Secondo me, tu vuoi che io me ne vada. Da quando sono tornato da Parigi sei molto cambiato, e lo so che a casa non mi vogliono.»

«Odio le lamentele» fece lui con una certa violenza. «Hai sposato Drytec perché ti faceva piacere, e ora vorresti dare la colpa a me o a qualcun altro. Forse sarà meglio se andiamo a casa a pranzo dopotutto.

«Oh, no… per favore!» Lo implorò Dave, pentito. «Farò il bravo, ti prego perdonami, e scusami se non faccio altro che chidertelo.»

«Io ti perdono sempre, rispose lui sorridendo.

Nella sala dapranzo della piccola locanda non c’era nessuno al di fuori di loro. Sedettero a un tavolo vicino alla finestra che dava sul giardinetto molto grazioso, pieno di violacciocche e di piante fiorite.

«Sei già stato qui?» Chiese Dave. «Se no come facevi a sapere dov’era?»
«Ci sono stato solo una volta, dieci anni fa, con la persona che mi ha dato il mio vecchio portasigarette.»

Dave sgrano gli occhi. «Oh!» esclamò con voce soffocata, «Ti amava molto, Dilon?»

«Non gliel’ho mai chiesto.»

«Perché?»

«Perché sono povero e invalido.»

Dave d’impulso gli tese la mano attraverso il tavolo. «Non dire così… non sei un invalido, sei solo zoppo, e per questo io ti amo ancora di più, ma non sembra giusto aver nascosto a quella persona che l’amavi, solo perché… al suo posto, io ti avrei indotto a dirmelo,» soggiunse sorridente, sicuro di sé. «Se non ci è riuscito, non doveva essere molto intelligenza.

Lui lo guardò negli occhi. «Stai cercando di fare il civettino con me? Mi spiace, sai, ma se è così ho il dovere di ricordarti che sei un ragazzo sposato.»

Dave allontanò la mano, ferita. «Non puoi dimenticarlo, solo per un momento? Ho voglia di te, di baciarti, toccarti, leccarti il sesso, lo sai non sono mai riuscito a vedertelo.»

«No, e non devi dimenticarlo neanche tu.»

«Ho voglia di toccarteli, Dilon.»

«Lascia perdere Dilon.»

Ci fu un silenzio eloquente, e poi gli disse in tono frivolo: «È molto facile ottenere il divorzio oggi, specialmente se i coniugi… non  hanno vissuto insieme e non hanno consumato, ho sempre detto che non ero pronto.»

Muso nero arrossi. «Questa frase sembra proprio  dettata da quell’intelligentone di Leo.»

«Non capisco perche lo odi tanto.»  

«Non lo odio, è impossiile odiare una persona stupida.»

«Ma è amico mio!»

«È il tuo nemico,» rispose lui. «Ma senti, dobbiamo proprio litigare? Questo posto mi ricorda dei momenti piuttosto felici, e mi sembra un peccato sciuparli.»
«Momenti felici!» esclamò Dave con disprezzo. «Con una persona che non ha avuto il coraggio di ottenere quello che voleva! Comunque, se per te è un luogo così sacro, mi domando perché mi hai portato qui a contaminarlo.»

Impro vvisamente Didol si abbandonò contro la spalliera della sedia. Era molto teso, e sembrava stanchisimo.

«Oh, Dilon, caro non stai bene?», gridò Dave, spaventato. «Mi dispiace tanto… non volevo farti del male, Oh, Dio, cosa posso fare?»

«Puoi smetterla di tormentarmi,» disse lui con voce rauca. «Anche la mia pazienza ha un limite.

Dave si chinò in avanti. «Didol!» Sussurrò angosciato, fissando i suoi occhi che sembravano ancora più azzurri nel volto pallido.

«No,» fece lui con molta calma, sorridendo un no? Ironico, «neanche tu riuscirai a farmi dire che… ti amo, Dave.»

Dopo un lungo silenzio, che a tutti e due sembrò interminabile, finalmente Dave mormoro: «Ma mi ami, vero?»

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 
 
 
 
Capitolo 13


 
 
Quando Dave e Dilon erano usciti di casa, Mrs. Dickinson era ancora a letto immersa nei suoi pensieri.

La sera prima suo marito era venuto da lei, ora dormivano in stanze separate, a lamentarsi della sua famiglia, e di Dave in particolare. A quanto pareva, Jan aveva fatto dei debiti, e gli aveva chiesto altri soldi.

«Hanno preso  tutti da te,» la accuso. Nessuno di voi ha la minima idea del valore del denaro, e se andiamo avanti di questo passo ci ritroveremo in cattive acque come prima.

Sua moglie era rimasta a guardarlo impaurita, mentre lui camminava avanti e indietro per la stanza, in realtà lui provava gusto a sfogarsi con lei.

Negli ultimi tempi non c’era stato più motivo di brontolare come una volta, e poi, quando restavano finalmente soli, era tardi, e lei aveva troppo sonno per mettersi a discutere con lui.

«Evidentemente tu e i ragazzi pensate che io sia un pozzo di soldi,» proclamo. Questi sperperi devono finire, se no mi sbarazzo della casa e faccio venir via i ragazzi da Cambridge.» 

Mrs. Dickinson, si rizzò a sedere sul letto, giovane e graziosa nella sua preziosa camicia da notte guarnita di pizzo, e disse inaspettatamente: «E se ci sbarazzassimo sul serio della casa, ti dispiacerebbe molto, Richy?»

Suo marito si voltò a guardarla sbalordito, finché lui dettava legge andava tutto bene, ma se poi lo prendevano sul serio era un altro conto.

«Sbarazzarsi della casa?» fece, sconcertato, come se lei gli avesse proposto di andare sulla luna. «Perché, non ti piace?»

Lei arrossì. «Non lo so…» rispose, coraggiosamente. «Certo ha molti lati simpatici, ma a volte non posso fare a meno di chiedermi se non eravamo più felici nella vecchia casa.

Lui si fermò ai piedi del letto, scuro in volto. «Che diavolo intendi dire?»

«Stiamo così poco assieme, noi due. Sembra che ci allontaniamo sempre di più e se Dave si sposa…»

«Ti riferisci a quel damerino che è stato qui stasera?» Sbottò Richard, infuriato. «Sei pazza, se pensi che io possa prenderlo in considerazione come genero. Dave forse sarà stupido, come molti ragazzi, ma voglio sperare che abbia abbastanza buon senso da non comportarsi come un perfetto idiota. Certo che tu lo vizi in un modo spaventoso… quel ragazzo ci comanda tutti a bacchetta.» Non era vero, ma gli faceva piacere pensarlo. «Prima la macchina, e poi i giovanotti che trattano la nostra casa come un albergo…»

«Non essere ingiusto, Richard. Dedal è l’unico uomo che Dave ha portato in casa, certo se portava una fidanzata sarebbe stato diverso, ma lui è gay che facciamo lo dobbiamo buttare fuori casa. È lo stesso nostro figlio e noi lo dobbiano sostenere.»

«Non  mi piace quel tipo,» fece lui con violenza, «e anche a Walter non piace… ne abbiamo appena parlato.»

A Walter non può piacere uno che vuole sposare Dave», osservò Mrs. Dickinson con notevole intuito. «Gli vuol molto bene, sai.»

«Certo che gli vuole bene, ma solo come uno zio è affezionato al nipote. Se stai cercando di dire che c’è del tenero tra Walter e Dave…»

«Ma come!» Esclamò sua moglie con calma. «È così evidente che c’è del tenero…»

Lui le gettò un’occhiara di compatimento, «Oh, questa poi. Te ne ho sentire dire di stupidaggini, ma questa è la più grossa. Da quando siamo venuti a stare qui, pare che tu abbia perso completamente il senso delle proporzioni. E ora che c’è?» Le chiese, vedendo che averva gli occhi pieni di lacrime. «Si può sapere perché piangi?»

«Non lo so,» sussurrò lei.

Chissà perché si sentiva depressa. Ripensò a quello che aveva detto a suo marito la sera prima: “Ci allontaniamo sempre di più”. Ma perché Richard aveva sempre avuto la tendenza a fare il prepotente con lei e a incolparla ingiustamente, ma non era questo che le dispiaceva, era il suo modo di comportarsi  con lei che era cambiato, e questo la faceva soffrire.

“Non sono intelligente,” pensò “e forse è colpa mia, come dice lui. Ma che posso fare?”

Si alzò dal letto sospirando. Era una splendida giornata, strano ma si sentiva ancora più depressa.  Andò alla finestra e guardò gli alberi.  Erano belli, ma nessuno le era caro come il vecchio cedro nel giardino di casa. Provò una stretta al cuore ripensando al vecchio edificio malandato che ormai avevano buttato giù, eppure, quella sarebbe sempre la “sua” casa.

Impiegò moltro tempo a vestirsi, un po’ perché non aveva niente di particolare da fare, e un po’ perché si sentiva impacciata nei movimenti. “spero di non ammalarmi” pensò spaventata, ma sapeva benissimo qual’era la causa del suo malessere… Si sentiva indesiderata, come una ragazza bruttina a un ballo.
Dave e Walter erano usciti insieme, e suo marito evidentemente aveva portato Leo a fare un gito in macchina… nessuno si era preoccupato di chiederle cosa voleva fare. Perfino Jan, il suo figlio prediletto, le sembrava un po’ meno affezionato, da quando era andato a Cambridge, e anche lui era sempre pieno di premure per Leo. Che meraviglia essere giovani attraenti! Sospirò e scese al piano di sotto per vedere se Jan era in casa… ma era uscito anche lui, e così pranzò da sola.

Erano le tre passate quando vide arrivare l’auto di Dave, e si sentì subito sollevata, le piaceva sentir chiacchierare suo figlio, anche se a volte assumeva un certo tono di superiorità. Ma Dave, dopo aver messo la macchina nel garage, andò direttamente nella sua stanza e chiuse la porta con fracasso. Mrs. Dickinson l’udì e sospirò. Ora sapeva che non era di buon umore… Dave aveva preso da suo padre, tutti e due  sbattevano le porte quando avevano i nervi.
Muso Nero attraversò  lentamente l’ingresso per andasre nel suo studio. Improvvisamente lei provò un grande desiderio parlare con un amico, e gli andò dubito dietro.

«Ti sei divertito, Walter?»

Lui era in piedi, con la schiena rivolta al caminetto. La guardò, ma lei ebbe la strana sensaziome che non si accorgesse neanche della sua presenza.

«Cosa hai detto?» Gli chiese. «Mi dispiace non ho sentito.»

«Ti ho domandato se ti sei divertito.»

«Sì… molto, grazie.»

«Sono fuori tutti,» disse lei esitante. Non era sicura di fargli piacere. «Io ho pranzato da sola.»

«Davveo? Pensavo che Richard stesse in casa… Non è bello lasciarti sola.»
«Il fatto che sto diventado vecchia, Walter» fece lei con le lacrime agli occhi, in modo studiatamente frivolo.

Era strano sentirle confessare una cosa del genere, ma lui doveva aver capito il motivo della sua sofferenza, perché la guardò con comprensione. «Ieri sera invece ho notato proprio che sembri giovanissima,» le disse gentilmente.

«Davvero, Walter?» Si asciugò le lacrime e cercò di sorridere. «Mi sono lasciata prendere dallo scoraggiamento, ma ora mi sento meglio… tu riesci sempre a ridarmi fiducia in me stessa.»

A un tratto si udì la voce di Jan nell’ingresso. «C’è nessuno?»

Mrs. Dickinson si precipitò alla porta. «Ci siamo io e Walter qui.»

«Dov’è papa?» Chiese Jan.

«È andato a pranzo fuori, caro.»

«Con Leo, immagino,»  commentò suo figlio, di malumore. «Evidentemente gli piacciono quelli maturi.»

Mrs. Dickinson prese subito le difese del marito. «Dave e Walter sono rimasti a pranzo fuori, e così chiesto a tuo padre di occuparsi di Leo, non mi sono sentita tanto bene stamattona, avevo mal di testa.

Ma Jan borbottò qualcosa con aria scettica, e lei se ne andò subito con una scusa.

«Perché papà fa lo stupido con Leo?» Brontolò Jan quando restarono soli. Muso nero non rispose, e lui soggiunse bruscamente: «A proposito, ti avevo detto che quel Drytec non mi era nuovo, no? Be’, mi sono ricordato dove l’ho conosciuto.»

«In un posto interessante?»

«Interessante! È stato a Le Tourquet, lo scorso agosto, ti ricordi che io e Raymond si eravamo andati per una settimana, no?... Drytec faceva il ballerino in un albergo.

«Come?»

«Sì… era pagato per ballare con le donne che non avevavo un acompagnatore.»

«A! Be’, dopo tutto può essere anche una professione decorosa, non ti pare?»

Osservò Muso Nero con calma.


«Già non sempre, però. Ma non finisce qui… c’è stato un grosso scandalo perché un ragazzino giovanissimo si era innamorata di lui.

«Odio gli scandali,» lo interruppre Walter.

Jan lo guardò, sorpreso. «Oh, quand’è così…Pensavo che se papà venisse a sapere…»

«Non lo saprà, se tu non glielo dici.»

Si guardarono in silenzio, e alla fine Jan chiese, offeso: «Stai cercando di difendere quel tipo?

Muso nero si mise a ridere. «Perché dovrei difenderlo? Comunque, se dai retta a me, e mo lo auguro,  … acqua in bocca. Può essere, benissimo che ti sbagli.»

«Non mi sbaglio, ci metterei la mano sul fuoco che era lui. Mi ricordo anche...»

«Non svegliare il can che dorme, Jan, se cominci a friugare nel fango, non puoi mai sapere quello che verrà a galla.» Gli posò una mano sulla spalla. «Drytec viene qui per il week-end, e se tu offri a tuo padre un’altra buona occasione per maltrattarlo, non sarà certo allegra per noi. È meglio se tieni la bocca chiusa.

«Va bene, d’accordo,» borbottò Jan. «Ma se cerca di fare uno dei suoi tiri ai ragazzi…»

Dilon non poté fare a meno di sorridere. «Penso che Leo. Comunque , sia perfettamente in grado di badare a se stesso… a proposito, forse non sarò qui questo week-end, ma neanche tu ci sarai, vero?»

«Parto stasera, ma tu…»

«Devo andare a Parigi… per affari.»

«A Parigi, tu? Pensavo che la odiassi….»

«Questo è un viaggio d’affari, parto domani.»

«Magari potessi venire con te!» disse Jan con invidia. «Quanto ti fermi?»

«Solo un giorno o due, credo. Sabato vorrei essere di ritorno, se è possibile.»
Guardò fuori dalla finestra. «Ah, ecco tuo padre.»


Jan andò subito verso la porta.» Chissà dove diavolo sono stati, a Leo piace il cazzo», brontolò, sospettoso.»

«Che pranzo fantastico!» esclamò Leo entrando. «Mangiato come un lupo, dovrò stare a dieta per un paio di giorni, dopo tutto quel ben di Dio.»

«E il digestivo lo hai preso dal biberon di mio padre?» Disse Jan arrabbiato.
«Cosa? Non ho capito», rispose Leo.

Jan guardò suo padre.  «La mamma è venuta con te?»

«No», rispose Leo, «aveva  mal di testa, poveretta, che peccato! Se veniva, ci saremmo divertiti molto di più.» Jan gli afferrò il braccio con forza. «Ahi, mi fai male!» strillo lui.

«È proprio quello che volevo, è ora che qualcuno ti faccia un po’ male, tanto per cambiare. Dimmi cosa hai fatto a mio padre?»

Leo, arrossì e liberò il braccio dalla stretta.

«Dov’è Walter,» chiese Mr. Dickinson appena entrato nella stanza, sembrava un po’ imbarazzato. Aveva una piccola macchia vicino ai bottoni dei pantaloni.

«Didol va a Parigi,» annunciò Jan. «Per affari,» soggiunse ridacchiando.

«A Parigi!» Fece Leo ridendo. «Non ce lo vedo proprio.»

«Evidentemente non hai nessuna immaginazione,» ribatté Jan con calma.» Dilon ha girato il mondo come tu probabilmente non farai mai, e ci scommetto che conosce Parigi  alla perfezione.»

«Chi è che sa tutto di Parigi?», chiese Dave dall’alto delle scale.

«Il tuo amato Muso nero,» rispose Leo con una punta do malignità. «Deve andarci… per affari»

«Davverò?»

Dave scese le scale lentamente. «Perché Didol va a Parigi?» Chiese.

«Ragazzo mio, non lo sai che non dovresti mai chiedere a un uomo perché va a Parigi?», commentò suo fratello.

«Ah, siete lì!», esclamò Mrs. Dickinson dalla porta del salotto. Cercava di darsi un tono brillante, ma intanto scrutava la faccia del marito.

«Come va il mal di testa?» fece lui, un po’ imbarazato.

«Molto meglio, caro, grazie… Ti è piaciuto il pranzo, Leo?»

«Oh, era una cosa indescerivibile, ora ci vorrebbe proprio una bella tazza di tè.»

Mrs. Dickinson si avviò in salotto, seguita da tutti gli altri.

«A proposito,» disse Leo, «non ho avuto occasione di dirvelo prima, ma stamattina ho avuto notizie di mia madre, dice che devo assolutamente andare a casa lunedì, perché ho prolungato un po’ troppo la mia visita.»

«Che peccato!» osservò Mrs Dickinson gettando un’occhiata a suo matito.

«Siamo così felici di averti con noi… Tua madre non ti lascia proprio restare?


«Se lui volesse rimanere, sua madre non riuscirebbe certo a fargli cambiarte idea,» borbottò Jan.

«Questa è proprio una malignità,» protesto Leo. Dave sa che io voglio molto bene a mia madre, e che faccio sempre quello che vuole… vero Dave?»

«Sì è vero.»

«Sentili i bugiardelli», fece Jan. «Beh, un giorno o l’altro farò una scappata a trovarti, se me lo permetti,» soggiunse, rivolto a Leo.

«Ne sarò felice», soggiunse Leo.

«Ma guarda che bello zaino,» esclamò Dave. «È tuo, Leo?» Lo prese in mano e lo osservò ammirato.

«L’ho comprato stamattina in Bond street», disse Leo in tono distaccato. «Avevo assolutamente bisogno di un bel zaino.»

«Deve essere costato nolto caro», osservò Mrs. Dickinson, e, forse senza volere, guardò suo marito, ma lui era assorto nella lettura del giornale.

«Chi va a chiamare Walter?», chiese  Mrs. Dickinson mentre il cameriere portava il tè.

Dave stava già per alzarsi, ma poi restò al suo posto, e Leo si fece subito avanti: «Ci vado io.»

«Vengo con te,» fece Jan, e nell’ingresso lo afferrò per il polso, costringendolo a fermarsi. «Te l’ha regalato mio padre quello zaino?»

Lui cercò di lberarsi dalla sua stretta.  «Fatti i cazzi tuoi. Non far lo stupido… chiediglielo, se ti interessa. Mi fai male al braccio.»

Ma lui non lo lasciò. «Lo so, ho visto che il pantalone era macchiato di sperma. Ti auguro di incontrare un uomo che ti farà soffrire le peme dell’inferno», disse Jan furibondo.

Finalmente Leo riuscì a sfuggirgli e andò di corsa verso lo studio di Muso nero. «C’è il te, Mr. Ayres!», gridò tutto allegro, e quando Walter aprì la porta soggiunse: «Penso proprio che verrò a Parigi con lei. Sono stufo di tutta questa gente prepotente che conosco in Inghilterra.

«Temo che troverà molto noiosa la mia compagnia», rispose lui.

«Oh, no!», protestò lei, sorridendo.«Anzi so come far star bene i maschi»,
aggiunse.


«Leo va a Parigi, con Walter», annunciò Jan, quando tornarono in salotto.

Mancò poco che Mrs. Dickinson lasciasse cadere la teiera. «Cosa hai detto?»

«Non gli dia retta, signora», fece Leo. «Sa che Jan dice sempre delle sciocchezze. Certo io sarei felicissimo di andare a Parigi con Mr. Ayres.»

«Anche io ne sarei felicissimo», disse Muso nero con calma.»

Mrs. Dickinson si mise a ridere. «Ma siete proprio cattivelli.»

Stavano per finire di prendere il tè quando la cameriera bussò alla porta. «Dave è desiderato al telefono.»

«Io?» Dave era sconcertato, e rimase immobile finché Leo non lo fece alzare con uno strattome. Non farlo aspettare, le telefonate costano.»

«Chi sarà?», disse Mrs Dickinson.

«Chi vuoi che sia…» rispose suo marito. «Sarà quel tipo con i capelli lunghi, no?

Usa il cervello, cara.» Lei arrossì violentemente.


Dave non tornava, e Muso nero disse che doveva finire un lavoro. Nell’ingresso non c’era traccia di Dave, ma quando entrò nel suo studio lo trocò lì, aveva appena finito di parlare al telefono che c’era sulla sua scrivania.

«Sono venuto qui perché nell’ingresso non si può parlare tranquillamente», si scusò. «Spero che non ti dispiaccia.»

«Per carità.» Lui riprese la pipa e cominciò a riempirla. 

«Dilon», fece lui a un tratto.

«Sì?»        

«Era Dedal al telefono.»

«Ah, sì?»

Per un po’ non parlarono, e alla fine Dave chiese rattristato, anche se non centrava niente: «Dov’è quella mia fotografia che tenevi sul caminetto?» 

«Ti sei accorto solo ora che non c'è?»

«No. So che manca da molto, da quando sono tornato a casa, ma… dov’è?»

«Non l’ho buttata via, è al sicuro.»

«Mi fa piacere,» disse il ragazzo, tirando  un sospiro di sollievo. Restò a guardarlo mentre premeva con cura il tabacco nel fornello della pipa. «È vero che vai a Parigi?

«Sì, domani.»

«Finora non sei andato via, se ben ricordo.»

«Non andrei neanche ora, ma ho degli affari importanti da sbrigare.»

«Dilon», disse Dave dopo un po’.

«Si?»

Dave gli si avvicinò. «Caro, se non fossi stato così stupido… se non fossi sposato… sono così eccitato… »

Lui lo guardò sorridente. «Ma sei sposato, caro.»

«Oh, Dilan, guardami fra poco esce dai pantaloni.»

«Non ti spogliare, no nella mia stanza.»

Muso nero si frugò in tasca per cercare i fianniferi. Ce n’era una scatola sulla scrivania. Dave la prese e ne accese uno, voleva accendergli la pipa, ma lui gliela tolse di mano.

«Grazie.»

«Dilon.»

«Sì?»

«Quando torni?»

«Non ne sono sicuro, sabato. Spero… Vado in aereo.»

«Mi prometti di tornarecsabato?»

«Perché?»

«Perché voglio che tu sia qui quando viene Dedal.»

Lui buttò il fiammifero spento nel caminetto. «Va bene, te lo prometto», disse con calma.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14


 
Dave sperava di andare all’aereoporto in macchina con Dilon, ma la mattina a colazione sua madre stabilì diversamente.«Dobbiamo andare tutti a salutare Walter per l’ultima volta» dichiarò. «Possiamo prendere tutte e due le macchine, Dave podrebbe prendere portare Leo e gli altri possono sistemarsi nell’altra.
Leo rabbrividì, esagerato come sempre. «Non dica per l’ultina volta, mi da l’idea che porti sfortuna.»

«Se venite tutti mi farà proprio piacere», disse Muso nero.

«Mi dispiace tanto», fece Richard, «ma devo vedere una persona al club, comunque, io odio andare ad accpmpagnare la gente quando parte e star lì a dire delle sciocchezze, quando non si vede l’ora che se ne vadano.»

«Grazie», disse Dilon, divertito.

«Lo sai che non mi riferivo a te, Walter», precisò Mr. Dickinson. «Se ti dovesse mai capitare qualcosa, ne sarei addoloratissimo. Ma sono sicuro che andrà tutto bene.»

«Ma si che tornerà, come l’erba gramigna», osservò Leo per far lo spiritoso, poi guardò Jan. «Tu non vieni con noi?»

«Lo sai che devo tornare a Cambridge stamattina.»

«Chi è disposto a rischiare l’osso del collo e a venire in macchina con me?»,chiese Dave. Era quasi sicuro che si sarebbe offerto Muso nero, invece sua madre disse: «Vengo con te, Dave, per me è la prima volta. Leo e Walter possono andare con l’altra macchina.»

Jan stava per partire, e lo accompagnarono tutti alla porta.

«Buona caccia», fece lui mentre salutava Leo.«Non ti meravigliare se un giorno o l’altro mi presenterò alla porta della tua dimora. Guarda che anche il mio non è male.»

«Guarda che sono interessato. Avvisami prima, se quando vieni io sono fuori, non me lo perdonerei mai.»

«O fra le braccia  di qualche altro corteggiatore», ribatté lui. Poi baciò sua madre e diede un buffetto sulla guancia a Dave.«Ciao ragazzo mio, può darsi che io capiti di nuovo sabato per rendere omaggio al tuo signorino dai capelli lunghi.»
Dave arrossì e gettò un’occhiata a Walter. «Cercheremo di sopravvivere senza di te», rispose.

«Vedo così di rado i miei ragazzi ormai», sospirò Mrs. Dickinson quando suo figlio se ne fu andato.

«Che caro!», esclamò Leo.

Dave andò a cercare Muso nero nel suo studio, ma non c’era, e così salì le scale e lo incontrò sul pianerottolo.

«Fra un quarto d’ora andiamo,» gli disse in tono sbrigativo.

«Ti prego, Walter, non andare in aereo», lo supplicò lui.

Dilon gli sorrise. «Oggi? Di che hai paura? Che l’aereo precipiti per il mio peso?»

«Se ti capitasse qualcosa io morirei.»

Gli occhi di Dilon si addolcirono. «Allora puoi star certo che non mi capitera niente. Il mondoi sarebbe troppo trioste senza di te.»

Dave si guardò attorno rapidamente, non c’era nessuno, e ad un tratto alzò il viso verso di lui. «Non mi dai un bacio per salutarmi?»

«Sta arrivando quaslcuno, Dave», disse Dilon con calma.

«Oh», sussurro Dave, ma, non vedendo nessuno, soggiunse dopo un attimo: «Era una scusa, vero?»

«Può darsi.»

Dave si allontanò un po’ e si sforzò di ridere, come se non gli importasse nulla.

«Beh, voglio darti un portafortuna… Aspettami un minuto per favore.»

Andò di corsa nella sua camera da letto e ritornò con un oggettino d’avorio che raffigurava un idolo, glielo mise in mano. «L’ho comprato a Parigi, pare porti fortuna. Prendilo e tienilo in tasca, vicino al cuore, così… non mi dimenticherai, Dilon.

Lui lo rigirò nel palmo della mano. Restò un attimo in silensio, e poi disse lentamente: «Non ti dimenticherò mai, Dave.»

Mrs. Dickinson stava salendo le scale, e Dilon infilò la minuscola immagimme nel taschimo della giacca. «Stavo proprio dicendo a Dave che è ora di andare», fece.

«Sono pronto,» rispose Dave.

«Peccato che Leo ci lasci», osservò Mrs. Dickinson quando si ritrovò in macchina con suo figlio. «Ti dispiace, no? Dave non rispose, e sua madre lo sbirciò incuriosita. «Ti dispiace, no?», ripeté.

«Ma non so neanch’io: è un bel po’ che è qui, in un certo senso… A te piace, mammina?»

Mrs. Dickinson arrossì, era molto tempo che Dave non la chiamava così, e provò quasi un senso di sofferenza. Per un attimo non riuscì a controllare la voce, e poi disse piano: «A me piacciono tutti i giovani, ma qualche volta Leo… ma forse sarò io che che non lo capisco.»

«Mi sembra abbastanza facile da capire», fece Dave con una punta di amarezza. In realtà tutti e due pensavano la stessa cosa, ma non si sentivano di rivelarlo.

Mrs. Dickinson  si guardò alle spalle.» La loro macchina non si vede.

«È davanti a noi di parecchi chilometri», rispose  Dave accelerando, ma era impossibile raggiungerla, e quando giunsero a Heathrow, gli altri erano già arrivati da dieci minuti. Leo era seriamente impegnato a parlare con Dilon.

«Tutti gli uomini amano Leo, non ti pare?», disse Mrs. Dickinson in tono patetico.

«Non direi che si tratti proprio di amore, li sa prendere per il verso giusto», osservò Dave.

«Siamo appena in tempo», dichiarò Muso nero quando lo raggiunsero. Guardò il cielo. «È una splendida mattinata, senza vento e senza nebbia, farò un ottimo viaggio.» Si chinò a baciare Mrs, Dickinson sulla guancia. «Arrivederci.»

«Arruivederci caro Walter, abbia cura di te. Anche Leo ripeté la stessa frase dandogli la mano.

«Non sapevo di essere così prezioso», rispose lui.

Stava per salutare Dave, ma lui lo fermò. «Non dirmi addio. Ho voglia di fare l’amore con te.» Poi si sforzò di ridere, perché sua madre e Leo non si accorgessero della sua commozione.

«No, non ci diremo addio,» fece Dilon lasciandogli la mano, e si allontanò.
Loro raggiunsero le automobili.

«Credo che tornerò a casa con la macchina grande», disse Mrs. Dickinson. Il modo di guidare di Dave le faceva un po’ paura e le dava ai nervi.«Voi due andate assieme, ragazzi.»

Leo tirò Dave per la manica. «Passiamo dal West end, eh? Voglio fare acquisti.»
Dave lo comunicò a sua madre. «Forse restiamo a pranzo fuori,» soggiunse. Gli faceva un po’ paura tornare a casa e, per la prima volta, non trovarci Muso nero.

«Perché non telefoniamo a Dedal?», propose poi, quasi per fare una bravata.

«Potrebbe venire a pranzo con noi.»

«Ah, è di muovo nelle tue grazie?» fece Leo, sorpreso.

«Che intendi dire?»

«Oh, niente… pensavo che non ti interessasse più di tanto.»

«Come ti è venuta un’idea simile?», ribattè Dave con calma.

Leo si accese una sigaretta, sistemandosi comodamnente sul sedile. «Beh, sono contento di essermi sbagliato, dev’essere piuttosto imbarazzante ritrovarsi sposati con un uomo che non ti fa né caldo e né freddo.»

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


 
Capitolo 15


 
Quando arrivarono nel West End, Dave telefonò a Dedal.

«Sono a letto, tesoro», disse lui.

«A letto! In una mattinata così bella…»

«Già. Non devo fare niente di particolare, e ho deciso di restarmene a letto, ma se mi vuoi…»

«Io e Leo abbiamo pensato che forse volevi pranzare con noi.»

«Leo! Sempre  Leo. Ma io e te mai soli. Ho voglia di fare sesso con te, siamo sposati e non lo abbiamo ancora fatto.»

«Vedi», spiegò Dave nervosamente, «siamo andati tutti ad accompagnare Dilon che partiva per Parigi, e non posso certo scaricarlo nel bel mezzo di Regent Street…

«Perché no? Ma non importa, sarò felicissimo di pranzare con te.»

Dave sentì una stretta al cuore… ma certo, ora era il suo compagno. «Fa un caldo infernale in questa cabina », disse con uno sforzo. «Dove ci vediamo?»

Lui fece il nome di un ristorante di Jermin Street. «All’una meno un quarto.»

«D’accordo», Dave riattaccò mentre lui stava per dire qualcosa. Aveva già intuito di che si trattava: «Mi ami?»

«Doveva piacergli molto quella domanda, ma era assurdo continuare a chiederlo, perché se si ama davvero qualcuno lo si avverte immediatamente, senza bisogno di tante parole. “ Ma io non l’ho mai amato”, pensò amaramente mentre raggiungeva Leo. “Era solo… mah, non so neanche io cos’era.”

«Era a letto, vero?» chiese Leo.

«Come fai a saperlo?»

«Oh, so che tipo di vita fa», rispose il suo amico. «Tutta la notte alzato, e a letto per metà giornata, dovrai abituarti. Mio caro, perché dubito che riuscirai a cambiarlo. Viene?»

«Sì, all’una meno un quarto.»

«Non mi sembri molto emozionato.»

«Non mi piace manifestare le mie emozioni.»

«Ma i primi tempi sì, come mai?»

«Lasciamo stare.»

Il pranzo fu piuttosto divertente. Dedal doveva aver deciso di far buon viso a cattiva sorte, e anche se c’era Leo fece di tutto per rendersi simpatico e per essere allegro.

“Era così quando l’ho conosciuto” pensò Dave. Anche se parlava e rideva con loro, col pensiero era lontano. Si sentiva come una sonnambula che si risveglia in un paese sconosciuto, sposato ad un uomo, per una sorte maligna.

«Capelli lunghi e nessuna ambizione», aveva detto suo padre di Dedal, forse lui si era lasciato influenzare, ma ora che lo guardava alla luce cruda del giorno, gli sembrava un po’ effeminato, e anche un po’  volgare, probabilmente lui era il classico uomo che fa vita notturna, e il suo tipo di bellezza risaltava soprattutto alla luce artificiale.

Anche i suoi abiti dal taglio impeccabile per lui non avevano il fascino dei vecchi abiti di twend grigio che portava Muso nero. Gli occhi di Dedal erano molto belli, con le ciglia lunghe, quasi come quelle delle donne, eppure… provò una stretta al cuore ripensando agli occhi di Dilon, dio un azzurro metallico: occhi  che non potevano ingannare e che non avrebbero mai ingannato, e che quando ti guardavano ti scrutavano fino in fondo all’anima. E il membro? Quello di Dedal è lungo e fino, ma a me piace meno lungo ma più grosso. Sono convinto che Dilon lo ha così.

Si risvegliò di soprassalto sentendo Leo che diceva: «Allora sabato sarai dei nostri?»

«Sì, verrò presto,», rispose Dedal, a un’ora decente, certo.» Poi guardò Dave. «Ci sarà tuo fratello?»

«Non credo.»

«Spero proprio di sì», sospirò Leo, «se no io sarò l’unico a non essere accoppiato, e detto tra noi non mi dispiace. È bellissimo.»

“C’è sempre mio padre”, stava per dire Dave, ma si fermò in tempo. Leo faceva il civettuolo con tutti, e se avesse avuto sottomano un uomo più giovane… eppure lo scorso week-end c’era Jan a casa, ma non era cambiato niente. Mio padre aveva vicino ai bottoni una macchia di sperma, ed era appena rientrato con Leo. Macchia che hanno visto tutti.

«Dave, perché sabato, non ci vediamo e poi andiamo a casa assieme in macchina?», propose Dedal. «Voglio comprare una cosa,» soggiunse misteriosamente, contemplando il suo viso grazioso.

Leo scoppiò a ridere. «Oh, dicci che cos’è! Lasciami indovinare, è un anello, vero? La fede non può essere, lo so che ce l’ha… Un anello di fidanzamento!»

Dave arrossì. «Non voglio un anello di fidanzamento, non ci tengo troppo ai gioielli.»

«Perché non ne hai mai avuti», disse Leo. «A parte quell’orologio che ti ha dato Mr. Ayres tanto tempo fa. Io per un gioiello farei un servizio completo a un uomo.»

«Non è passato molto tempo», ribatté Dave. «È stato poco prima che io andassi a Parigi.»

«Comunque, mi piacerebbe comprarti un anello… finché ho i soldi», osservò Dedal con un pizzico d’ironia.

«Non voglio che tu spendi il tuo denaro per me davvero», insisté Dave.

«Non far lo stupido, Dave», fece Leo, «figuriamoci, rifiutare un anello! Non ho mai sentito una cosa simile.»

«Un buon compagno ha il dovere di custodire le tasche del compagno», proclamò Dedal solenne.

«Accetta quell’anello, sai.» gli raccomandò Leo, come se la cosa riguardava lui. «Io troverò il modo di divertirmi, se è questo che ti preoccupa.»

Dave cercò di cambiare discorso, ma Dedal, ripeté: «A sabato.allora… alle undici e mezzo?

Dave stava già per dire di no, ma poi sospirò: «D’accordo, alle undici e mezzo. «Per consolarsi pensò che forse per quell’ora, Muso nero sarebbe stato di ritorno, ma già. Tanto lui come poteva aiutarlo?

                                                                                                                                                                                                                                                                                                     
                                                                      

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


 
 
Capitolo 16


 
La fine della settimana non arrivava mai.

«Walter è stato fortunato col tempo.» Osservò Mrs. Dickinson venerdì sera a cena. «Da quando è partito ha fatto piuttosto caldo.»

«Il caldo porta la nebbia», fece il marito.

«Non sempre», obiettò Dave, allarmato. «Da quando io sono tornato a casa non abbiamo avuto nebbia.»

Prima di andare a letto, però, guardò fuori nel buio, e gli sembrò di vedere una  leggera foschia che velava i lampioni… Ma no, doveva essere la sua immaginazione. Non riusciva a dormire, e a mezzanotte andò di nuovo alla finestra, scostò le tende per vedere meglio: effettivamente al di sopra del parco c’era un po’ di nebbia. “Sarà il lago”, pensò. “Sul lago si forma speso la nebbia.” Ma poi si fece forza, Dilon stava per arrivare, sarebbe andato tutto bene. Si ributtò a letto, e pensava al suo Dilon. Chissa come sarebbe stato nudo. Si bellissimo con quel menbro duro e grosso. Si abbassò le mutande, era eccitato. Cominciò a toccarsi e alla fine venne copiosamente nella sua mano.  

L’Indomani mattina c’era un sole meraviglioso.

«Non dovevi vedere Dedal, stamattina?», gli chiese Leo dopo colaziome. «Quasi quasi me ne dimenticavo», soggiunse ipocritamente.

«Già è vero», sospirò Dave. «Vieni con me?»

Leo scoppiò a ridere. »Vuoi scherzare? Non mi piace reggere il moccolo, mio caro. Non preoccuparti per me, mi divertirò lo stesso. E poi accontentalo, lo vedi che lo vuole fare? Sta scoppiando.»

Alle undici e mezzo Dave andò via in macchina da solo.

«Divertiti, e sai cosa devi fare», gridò Leo, con una punta di malignità nella voce.

Era traffico, per la strada, e arrivò con dieci minuti di ritardo nel ristotante dove l’asperttava Dedal. Ma lui era di buon umore e non protestò.

«Dobbiamo festeggiare». Gli disse.

«Che cosa?»

«Il nostro matrimonio. Forse è una festa un po’ fuori luogo, ma non importa, e in ogni caso ho bisogno di ringiovanirmi prima di affrontare le ire del leone.»

«Non vorrai parlare a mio padre! Mi avevi promesso…»

«Sono stufo di continuare a rimandare», tagliò corto Dedal. «Tu sei il mio compagno, e non voglio più tenerlo nascosto. Se ti vergogni di me…

«Lo sai che non è per questo, è soltanto…»

«Non intendo stare in casa tua e recitare una parte.» Lo scrutò sospettoso.

«Eppure prima volevi farlo sapere a tutti, non ti capisco Dave, dici di amarmi e… non lo abbiamo ancora fatto, niente sesso neppure una masturbazione, e… siamo sposati…»

Per Dave quello fu un momento terribile, era pallido e non diceva niente, ma finalmente si rendeva conto di essere stato sconfitto. Dedal aveva rivelato un nuovo aspetto del suo carattere che gli faceva paura. Non era più il ragazzo che lui aveva creduto di amare sotto il cielo azzurro della Francia, era come quando al circo il direttore, sorridente, fa improvvisamente schioccare la frusta. E poi il sesso, no  a lui piaceva farlo solo con chi amava, non avrebbe mai preso in mano il suo membro, gli faveva schifo solo a pensarlo.

Fissava Dedal con sguardo gelido mentre continuava a dettar legge con prepotenza. Sapeva di avere in mano la carta vincente e stava per giocarla.
Dave non aveva quasi toccato cibo, non vedeva l’ora di finire quel terribile pranzo e di essere di nuovo libero… ma già, non poteva più essere libero, ormai. Apparteneva a quest’uomo che ora stava quasi per odiare. Nessun poteva aiutarlo.

Mentre uscivano dal ristorante inciampò nel gradino e Dedal lo prese per il braccio, «Non sta bene  barcollare quando si esce da un ristorante di lusso», osservò scherzosamente.

Dave liberò il braccio con uno strattone.«Come osi parlarmi in questo tono?»
Dedal lo guardò con gli occhi sbarrati e poi scoppiò a ridere. «Abbiamo i nervi, eh? Beh, ci penserò io a curarti, ti hanno viziato, tesoro mio.»

Mentre camminava al suo fianco meccanicamente per raggiungere il garage dove avevano lasciato la macchina, Dave ebbe l’impulso di fuggire in un posto qualsiasi, ma era assurdo illudersi di ritrovare così la libertà.

Mentre salivano in macchina Dedal disse con calma, chiudendo la portiera: «Spero che ti renderai conto, mio caro, che è l’ora di finirla con queste sciocchezze. Finora ho fatto come hai voluto tu, ma oggi intendo parlare a tuo padre. Certo non mi aspetto di essere accolto a braccia aperte, la settimana scorsa ho capito che aria tira… ma tu sei il suo figlio piccolo e immagino che sarai capace di manovrarlo.

«Manovrarlo?»

«Per i soldi, no? Non fare tanto l’ingenuo, io non ho una sterlina, e il vecchio può permettersi di darci abbastanza denaro per vivere. Non mi hai detto che ha ereditato un barca di soldi?

«Dedal!»

Lui aveva l’area di vergognarsi un po’. «Beh, non ho mai fatto finta di essere milionario, e non ti avrei certo sposato se non avessi pensato che potevamo avere del denaro… »

Dave lo guardò agghiacciato. Si ricordò all’improvviso di una notte stellaata sulla Costa Azzurra, quando lui aveva perso la testa perché quest’uomo diceva di amarlo e di non poter vivere senza di lui…

«Allora… non mi hai mai amato», disse con uno sforzo.

«Certo che ti amavo,» rispose lui con non curanza, ma la sua voce tradiva una certa emozione.«E ti amo ancora, ma non possiamo vivere d’aria, sai, quando si è poveri…»

Cercò di prendergli la mano, ma Dave l’allontanò subito, sgomento. «Mio padre non non ci perdonerà mai. Hai sentito cosa ha detto l’altra sera, e non scherzava.»

Dedal scoppiò a ridere. «Sciocchezze! Voleva solo fare lo spaccone. Ne ho conosciuti di tipi come lui… Comunque, se pianta una grana, puoi sempre convincere il tuo amico Muso nero a metterci una buona parola. Io sono abbastanza psicologo, quel tipo ha una faccia impenetrabile, ma deve avere una volontà piuttosto forte… e poi ti vuole bene.»

«Oh, come puoi.»

«Che c’è?», fece lui. Era sinceramente sorpreso.

«Possibile che tu non abbia neanche un briciolo di orgoglio o di pudore?»

«Orgoglio? Ho superato tutto questo. Sono stato piuttosto scarognato, ed è ora che la fortuna cambi. E non sto pensando solo a me, ma anche a te. Non possiamo vivere solo d’amore, e tu, se vuoi, sai come prendere tuo padre. Dopotutto, perché non dovrebbe aiutarci? Ti sembra giusto che un solo uomo abbia in mano tutti i soldi?»

Dave restò immobile, con le mani abbandonate in grembo, e dopo un po’ Dedal disse in tono più gentile: «Beh, non possiamo restare qui accampati tutto il giorno… Vuoi che guidi io?»

«No, grazie.»

Con una manovra piuttosto sbagliata portò la macchina fuori del garage, e poco dopo Dedal soggiunse, quasi per scusarsi: «Non ti tratterrò male, Dave, eravamo abbastanza felici quando ci siamo conosciuti, no?»

«Trovi?» Ora gli sembrava di non avere mai vissuto in realtà quei pochi, pazzi giorni, era come se appartenessero a un altro mondo, a un'altra vita. Sospirò profondamente. Quell’uomo non valeva niente, ormai se n’era reso conto, e a un tratto provò pietà per lui.

«Non siamo ancora stati in luna di miele,» fece lui con voce carezzevole.
«No,» rispose Dave con calma. “E non ci andremo mai… mai” pensò.”

Appena arrivarono a casa, Leo gli corse incontro. «Finalmente! Vi siete divertiti?» Poi gli prese la mano. «Dov’è l’anello?»

Ce ne siamo dimenticati.

«Dimenticati! Che cari… E già, chissà quante cose avevate da dirvi…»

Sospirò.«Come vi invidio!»

Dave andò verso il salotto, ignorandolo, ma Leo lo seguì senza smettere un attimo di parlare.

«Tua madre è di sopra, devo dirgli che sei arrivato? Oh Dave, non è emozionante averlo qui? Non dimenticare che devi tutto a me, sono io che te l’ho presentato,no?»

«Già», fece Dave, «devo tutto a te. E sono curioso, scommetto che ci sei andato a letto.»

«Prima che tu lo conoscessi. Me lo ricordo ha un bel menbro, come mi piaceva toccarlo. Lo adoravo. Ma noi facevamo solo sesso. Mi ricordo chiedeva sempre soldi, poverino guadagnava poco.»

«Sì, certo, poverino. Però veste sempre con vestiti buoni, delle miglior marche.»
«C’è un telegramma di Mr. Ayres», continuò Leo. «Arriva stasera, dobbiamo andare a prenderlo, o pensi che sarà troppo tardi?»

«Adesso?» disse Dave. «È troppo tardi ormai.»

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***






Capitolo 17


 
La serata per fortuna, cominciò abbastanza bene. Dedal faceva di tutto per rendersi simpatico. Era  così gentile ed amabile che Dave si chiedeva se quel pranzo spaventoso c’era stato sul serio, o se l’aveva solo sognato.

Mentre cenavano lo guardò: non gli sembrava vero di essere suo compagno… ma forse questa sensazione era normale per un ragazzo appena sposato, o lui era l’unico che aveva creduto di essere innamorato, e poi dopo qualche settimana, aveva scoperto di essersi sbagiato?

Non si era mai messo la fede. Era chiusa a chiave in un cassetto della sua stanza assieme ad altri oggetti della sua infanzia che custodiva gelosamente. Guardò la sua mano sinistra con un vago presentimento. Leo diceva sempre che oggi non si usa più portare la fede… Osservò il viso sorridente del suio amico. “È colpa tua” pensò. “Se non era per te, non avrei conosciuto Dedal.»

Gettò un’occhiata all’orologio che gli aveva regalato Muso nero. In quegli ultimi giorni non se n’era mai separato… Chissà perché, lo faceva sentire più sicuro. Erano le otto passate: fra poco sarebbe tornato Dilon.

Dave aveva chiesto per che ora era previsto l’arrivo del suo aereo e aveva calcolato che, anche se ci metteva una buona ora per venite in taxì dall’aereoporto, sarebbe arrivato a casa al più tardi alle otto e mezzo.
Si sentiva già più tranquillo, perché Dilon sarebbe stato vicino qualunque cosa fosse successa: ne era sicuro.

Gli venne in mente il giorno che avevano pranzato assieme in quella piccola locanda e provò una stretta al cuore ripensando all’espressione dei suoi occhi quando gli aveva detto: «Neanche tu riuscirai a farmi dire che… ti amo, Dave.»

«Ma mi ami… vero?», gli aveva chiesto Dave con voce tremente. Lui non aveva risposto, e forse non l’avrebbe fatto mai. Era così diverso, così al di sopra degli altri uomini. Non sarebbe mai stato capace di compiere un’azione meschina.
«Aires dovrebbe già essere qui», disse Mr. Dickinson.

«Sono solo le otto e dieci», fece Dave

«Forse ci sarà nebbia sulla Manica», osserv Leo, un po’ maligno. «Allora sì che Mr. Ayres farà tardi.»

«Oh, non dirlo neanche!», esclamò Mrs.Dickinson. «Porta sfortuna… e poi, oggi  era una splendida giornata. Sono sicura che non ci sarà nebbia da nessuna parte.»

«Ayres ha la pelle dura», commento suo marito.«Ne ha passate tante nella vita che se è rimasto zoppo è ancora poco… Si è trovato perfino in mezzo a in terremoto, ci vuol altro che un aereoplano per troncare la sua carriera.»

«Ma no! Si è trovato davvero in mezzo a un  terremoto?», chiese Leo.

«È successo in Giappone», rispose Mr. Dickinson. «Ce l’ha raccontato spesso.»

«Com’è emozionante!», mormorò Leo.  «Lo trovo un uomo così affascinante, e ora che so che ha avuto una vita avventurosa mi piace ancora di più.»

«Chissà lui come ne sarebbe felice!», ironizzò  Mr. Dickinson.

Dedal scoppiò a ridere, «Leo è molto gentile con i ragazzi: «Gli piaccioo tutti.»

«Perché non andiamo in salotto?» disse subito Mrs. Dickinson, notando la faccia scura di suo marito. «Vieni Leo.» 

Dave lanciò un’occhiata a Dedal, aveva paura di lasciarlo solo con suo padre. «Andiamo tutti», propose.

«Non dire sciocchezze, Dave», fece Mr. Dickinson. Voglio far due chiacchiere con Mr. Drytec, va pure con tua madre.»

Leo era già in salotto, «Sentiamo il telegiornale», suggerì accendendo l’orologio. «Così potremo vedere se c’è la nebbia.»

«Se c’è preferirei non saperlo», ribatté Mrs Dickinson.«Occhio non vede, cuore non duole.»      

Dave andò alla finestra, certo si era fatto buio più presto del solito. Era nebbia quell’ombra grigia che si scorgeva fra gli alberi.»

In quel momento  finì il telegiornale. «Siamo arrivati troppo tardi», disse Leo deluso, «ma possiamo sempre telefonare all’aereoporto…»   
  
«Non c’è bisogno di telefonare a nessuno, «lo interruppe Dave, innervosito,«Dilon sarà qui fra poco.»

Stava arrivando una macchiana: Dave la osservò attentamente in tensiome, mentre veniva avanti nella penombra. “Sarà Muso nero?” pensò, col fiato sospeso, ma l’auto non si fermò e scomparve dopo un attimo, e lui si allontanò bruscamente dalla finestra.

«Potevamo mandare qualcuno a prenderlo», stava dicendo Mrs. Dickinson. «Non so perché non mi è venuto in mente prima, per Walter sarebbe stato molto più comodo che prendere un tassì Dave! Perché non ci ha pensato?»

«Forse siamo ancora in tempo,» fece Leo. «Posso telefonare e chiedere a che ora dovrebbe arrivare l’aereo, o se è già arrivato. Se ha ritardato, perché non andiamo tutti all’aeroporto? Sarebbe così divertente…»

«Non voglio che telefoni,» sbottò Dave.

Sua madre lo guardò sorpresa. «Ma caro, non sarebbe simpatico fare come dice Leo?  Non credi che a Walter farebbe piacere trovarci tutti ad aspettarlo?»

«Vado a chiedere a Mr. Dickinson cosa ne pensa», disse subito Leo e se ne andò senza sentire il loro parere.

«Perché lo lasci fare?», chiese Dave a sua madre appena restarono soli. «Fa sempre di testa sua, e io non voglio andare, è proprio una stupidaggine… Leo mi dà ai nervi qualche volta.»

Mrs. Dickinson sospirò e poi, con una voce che tradiva un certo sollievo, soggiunse: «Lunedì torna a casa sua. Che ne diresti di fare un viaggio, Dave? Io, te e papà. Potremmo andare nel sud della Francia… non ti piacerebbe? Vedrò se si può organizzare.»

Dave si sforzò di ridere. «Odio il sud della Francia. Perché non vai con papà? Io starò benissimo a casa». Ma già era inutile fare progetti… forse Dedal in quello stesso istante stava dicendo a suo padre quella cosa che avrebbe cambiato tutto il corso della sua vita.

«Penso che a papà non interessi andare solo con me,» rispose Mrs. Dickinson. «Però sarebbe Bello! Come un’altra luna di miele.»

Dave si voltò di scatto e reatò un attimo in silenzio. «Dove siete andati in luna di miele, mamma?», chiese poi.

Mrs. Dickinson  si mise a ridere. «Be’, vedi, non avevamo soldi, e così siamo andati a stare in una pensione molto economica sulla costa meridionale.»

«Ed eravate felici?»

«È stata la settimana più felice della mia vita, Dave!»

Dave la guardò. «Allora i soldi non hanno poi una grande importanza, no?»

Sua madre aveva un’aria un po’ perplessa, «In un certo senso penso di sì. Fa piacere avere tutto quello che ti occorre, e la macchina… ma certo col denaro non si può comprare tutto.»

«Non si può comprare la felicità. Oh, vorrei che non fossimo mai diventati ricchi, vorrei…»

«Non mi pare che ci sia da augurarselo, caro,» disse sua madre con filosofia.
«soprattutto se speri che i tuoi desideri si avverino.»

In quel momento arrivò Leo, com Dedal e Mr. Dickinson.

«Abbiamo telefonato all’aereoporto,» annunciò Leo, «ma ci hanno detto soltanto che l’aereo non è ancora arrivato e che c’è nebbia sulla Manica,» soggiunse, guardando Dave.

«Perché diavolo la gente non si accontenta di andare in treno?» Brontolò Mr. Dickinson. «Penso che Ayres avesse più buon senso. Quando io ero ragazzo…»

«Ma Rich, caro, è passato molto tempo», lo interruppe sua moglie gentilmente.

«Oggi tutti vanno in aereo», disse Dedal. Si avvicinò a Dave. «Ho portato dei dischi nuovi, vuoi sentirli?»

«Oh, sì fece Leo, estasiato, «balliamo. Possiamo ballare, Mrs. Dickinson?» Si precipitè verso i dischi senza aspettare la risposta

Dedal toccò la mano fredda di Dave e sussurrò: «Felice?»

Ma lui non lo ascoltava nemmeno, e non rispose. Era tutto preso da un solo pensiero, sa un’unica ansia.

«Non ho ancora parlato con tuo padre», mormorò Dedal. Ma anche stavolta Dave non lo sentì.

Dedal andò a prendere il contenitore all’ingresso, e Ms Dichinson osservò, un p’ sospettoso: «Che c’è, Dave? Avrai detto sì e no qualche parola in tutta serata… Strano.»

«Sono stato ad ascoltare gli altri educatamente», ribatté lui con uno sforzo.

Dedal tornò , e dopo un po’ la stanza fu piena di musica assordante», chiese a Dave. Gli cinse la vita col braccio, guidandolo verso la pista improvvisata.

Mr. Dickinson si avvicinò a Leo con un mezzo inchino. «Posso avere l’onore?»

Dave si muoveva meccanicamente, quasi senza avvertire la vicinanza di Dedal, e anche se sembrava calmo in realtà era tormentato dall’ansia. Chissà se avrebbe più rivisto Muso nero, l’uomo che amava più di chiunque altro… A un tratto si sentì terribilmente solo e disperato.

«Tuo padre è stato molto gentile stasera», fece Dedal.

Dave lo guardò con i suoi occhi scuri quasi senza vederlo.«Come dici?»

«Ho detto che tuo padre  è stato molto gentile.»

«Oh.»

«Domani potremmo andare assieme a dirglierlo…»

La musica si interruppe con un suono stridulo. «Che bel ritmo!», esclamò Mrs. Dickinson. «È così orecchiabile!»

«Chiedi a mia madre se vuol ballare», sussurrò Dave a Dedal, toccandogli il braccio.

Uscì piano dalla stanza e si fermò un attimo nell’ingresso, guardandosi attorno sperduto. Poi si avviò in punta di piedi verso lo studio di Muso nero. Era buio e accese la luce. Guardò gli oggetti familiari che ora, senza di lui gli sembravano privi di vita.

Si sentiva ancora il fragore della musica proveniente dal salotto. Dave rabbrividì e si lasciò cadere debolmente sulla poltrona di Didol. Gli altri ballavano spensierati, e forse Didol a quest’ora era morto, forse se n’era andato per sempre senza neppure salutarlo, senza dirgli quello che lui voleva sapere, più di qualsiasi altra cosa al mondo. L’amava? A volte ne era sicuro, ma poi si chiedeva come poteva amare uno che aveva tradito se stesso e il suo amore per lui. Restò lì seduto, aggrappato ai braccioli della poltrona, paralizzato al pensiero di non vederlo più. Chiuse gli occhi, ripensando al suo volto, al caldo sorriso che a tratti lo illuminavano, ai suoi occhi azzurri.

Da qualche parte un orologio batté le nove, e in quel momento qualcuno aprì la porta dello studio. Dave si alzò in piedi di scatto, sperando per un attimo che fosse Muso nero, ma si trovò davanti Dedal.

Lui gli si avvicinò con un sorrisetto baldanzoso. «Finalmente!», disse, e prima che lui potesse muoversi o impedirglielo, l’aveva preso fra le braccia. «Leo mi ha detto dove poterti trovarti», gli sussurrò.

Dave cercò di liberarsi colpendolo sul petto con le mani. «Lasciami andare.»

Dedal arrossì, infuriato, e lo afferrò per i polsi. «Che ti succede? Sembri un animale selvatico, una belva. Ne ho abbastanza di questa commedia. Un mese fa non cercavi di evitarmi, eh? E come ti piaceva farti toccare e toccare il mio membro e segarci negli angoli nascosti. Non dovevo correrti dietro, allora.» Con la mano libera lo costrinse ad alzarela testa, ma alla vista del suo pallore i suoi occhi si addolcirono, e gli disse in tono più gentile: «Non comportarti come un piccolo stupido, Dave. I miei baci ti piacevano… ma forse ti sei dimenticato che io posso essere un ottimo amante. Lascia che te lo insegni di nuovo. Si chino verso di lui, ma Dave cercò di tirarsi indietro il più possibile. «Lasciami andare», gridò fra i singhiozzi, «lasciami andare. Preferirei morire piuttosto che farmi baciare ancora da te.»

Lui diventò ancora più rosso, e per un attimo lo fissò incredulo, ma poi controllò, imponendosi di restare calmo. «Sei stanco e sconvolto, e non voglio tormentarti, vedrai, ora si aggiustano le cose tutti sarà diverso. Ti ricordi come eravamp felici assieme? Ti ricordi l’ultima sera che…»

«Non voglio ricordarmelo,» gridò Dave. «Mi vergogno di quello che mi hai fatto fare. Me lo hai messo in bocca e senza avvertirmi  mi sei venuto dentro. Vorrei poterlo cancellare dalla memoria, vorrei non averti mai conosciuto…»

«Però ti era piaciuto.»

«No, invece. L’ho fatto per farti contento. Io lo voglio fare solo per amore.»

Dedal lo lasciò andare con tale violenza che quasi lo fece cadere.«Ora vado a cercasre tuo padre e gli dico la verità. Per quanto mi riguarda, prima gliela dico è meglio è.»

«Digliela!», urlò Dave coi pugni stretti. «Tanto non cambierà niente. Nessuno potrà farmi vivere con te, nessuno…»

«Ah no?», fece Dedal, ridacchiando in modo odioso. «Comunque se vuoi la tua libertà, pagherai per averla, ragazzo mio, te l’assicuro.»

Dave stava per avvicinarglisi, ma poi si fermò. «Benissimo», disse con calma, «diglielo ora, non m’importa.»

Si guardarono un attimo in silenzio, e poi Dedal osservò amaramente: «E tu saresti quel ragazzo che piangeva quando ci siamo lasciati, solo un mese fa.»

«Quel ragazzo non ero io, quando sono tornato a casa  ci ho rifletutto sopra e mi ero fatto schifo. Ero stato abbagliato dai miei stessi sentimenti, non avevo mai conosciuto un ragazzo che mi diceva di volermi bene e desiderava sposarmi», rispose lui guardandolo negli occhi.

D’impulso, Dedal gli tese la mano. «Non possiamo provare ancora? Non è troppo tardi, sei il mio compagno, io ti amo.»

«Davvero?», chiese lui, scosso dai singhiozzi. «Mi dispiace, perché io non ti ho mai amato, Dedal… ho solo creduto di amarti.»

Lui raddrizzò le spalle, cercando di prendere la sua aria baldanzosa. «Benissimo, allora ti prendo in parola e lo dico a tuo padre.»

Dave sorrise debolmente fra le lacrime. «Diglielo, non ho più paura, ti aspetto qui.»

Lo guardò disorientato e per la prima volta lo vedeva come un uomo non più come un ragazzo ingenuo e sentimentale che si era lasciato facilmente attrarre da lui. Si voltò con un’alzata di spalle, e stava per uscire quando la porta si spalancò ed entrò Mr. Dickinson.

Li guardò sbalordito. «Che diavolo…»

Dedal infilò un dito nel colletto della camicia,  come se si sentisse soffocare.

«Diglielo,» fece Dave con voce flebile, apppoggiandosi con la mano allo schienale della poltrona.

«Che cosa dovrebbe dirmi? Sentiamo», sbottò suo padre. «Cosa sono tutti questi misteri, e perché voi due, invece di stare in salotto, siete qui nella stanza di Ayres?», guardò Dedal. «Allora, caro signore, cos’hai da dire? Vuol decidersi a parlare, o ha perso la lingua?»

Dedal si schiarì la gola. Signore, devo dirle che suo figlio  ed io ci siamo sposati un mese fa… a Parigi.»

Dickinson lo fissò sconcertato. Aprì due volte la bocca senza riuscire a parlare, e finalmente sbottò: «Dannato bugiardo! Sposato con mio figlio! È impazzito? Ma guarda… Dave! Hai sentito cosa dice questo tipo, eh?»

«È vero», rispose Dave.

«Cosa?», urlò suo padre. Sembrava  che stesse per venirgli un colpo. «Vorresti dirmi che sei sposato con questo bellimbusto, con questo damerino coi capelli lunghi? Ma siete impazziti tutti e due?

Si avvicin a Dedal, minaccioso. «Fuori di qui, lei e le sue frottole. Fuori da casa mia, chiaro? Ho capito che tipo era fin dalla prima occhiata, e se non se ne va immediatamente, la  butto fuori io.»

Mrs. Dickinson entrò a precipizio, agitata. «Cosa succede? Richy caro perché ridi in questo modo?»

«Questo bellinbusto ha avuto la faccia tosta di dirmi che lui e Dave si sono sposati a Parigi un mese fa», rispose suo marito con rabbua. «Sposati, hai capito? È tutta colpa tua. Hai rovinato tutti i tuoi figli, e questo è il risultato.»

«Sposati?», strillò Mrs. Dickinson. «Oh, Dave…» Si lasciò cadere su una sedia, nascondendosi il viso fra le mani.

«Fuori di qui»,  urlò Mr. Dickinson, «fuori e si porti dietro pure Dave, non voglio più saperne  di lui. Non mettete più piede a casa mia.»

«Richy, ti prego», singhiozzò sua moglie, «Non gridare così… sentiranno tutti.»

«Tanto meglio!», fece lui. «Che lo sappiano tutti. Ecco il risultato di averlo mandato a Parigi, te l’avevo detto. Da ragazza tu sei forse andata a Parigi a studiare? E io, ci sono andato?»

Camminava su e giù per la stanza prendendosela con tutto quello che gli capitava a tiro. «Aspetta che venga Walter, sentirai cosa dirà… È stato sempre contrario a Parigi, lui, e a questo modo assurdo di concepire l’istruzione. Quando saprà quello che è successo…

Si udì un leggero rumore in direzione della porta. «Be’, eccomi qua», disse Muso Nero con calma.

Era lì tranquillo che guardava con i suoi occhi azzurri illuminati da un lieve sorriso. Nessuno parlò. «Spero di non disturbare… ma questa non è la mia stanza?»

«Dilon!» gridò Dave, felice, scoppiando in un pianto dirotto, e scappò via passandogli accanto.»

Mrs. Dickinson balzò in piedi.

«Resta dove sei» gli ordinò il suo marito.

«No», fece Muso nero, lasciala andare.» Poi chiuse piano la porta. Ora erano rimasti solo loro tre. «Cos’è che dovrei sapere?», chiese con calma, guardando Dedal.

«Oh», rispose Mr. Dickinson, «soltanto che Dave ha fatto proprio la parte dello stupido sposando questo tipo. Devo dire che sospettavo qualcosa del genere», soggiunse, anche se non era affatto vero. «Comunque, visto che dei miei pareri se n’è infischiato, d’ora in avanti me ne lavo le mani.» Si girò verso Dedal. «È il suo compagno, se lo prenda e lo mantenga, se può! Non voglio saperne di voi due. Potete fare i bagagli e andatevene, siamo intesi?»

Drytec era impallidito. «Ma signore…»

«Non mi chiami signore», urlò Mr. Dickinson. «Ho preso la mia decisione e non la cambio. Fuori di casa stasera, tutti e due!», e con un gesto teatrale andò verso la porta. Ma Muso nero lo fermò. «Un momento… A quanto pare tu hai creduto subito a questa storia, senza preoccuparti di scoprire quanto c’è di vero.»

«Dannazione!», sbottò Mr. Dickinson.

«È inutile gridare», disse Didol. «Se ti siedi lì tranquillo, e mi ascolti, forse potrò fare un po’ di luce su questa faccenda.»

Mr. Dickinson  lo guardò storto. «Va bene. Avanti, sentiamo.»

«È ridicolo perdere il tempo così» intervenne Dedal. «Io e Dave siamo sposati, e se lei vuole che ce ne andiamo…»

Muso neso lo fissò. «Lei non è sposato con Dave» dichiarò con voce rauca.

Mr. Dickinson aprì la bocca per parlare, ma poi si lasciò cadere su una sedia.

«Siete tutti matti, pazzi da legare. Questo tipo mi dice che è sposato con Dave, e tu dici di no. Ma tu che diavolo centri, Walter, e come fai a sapere…»

«Sono andato a Parigi proprio per scoprire come stavano le cose in realtà»
rispose Muso nero, un po’ stanco. «E ci sono riuscito. Dave non è sposato, perché in Francia non esiste ancora il matrimonio tra persone dello stesso sesso. E poi per un altro motivo, quindi la cerimonia era completamente illegale, e probabilmente Drytec lo sapeva.»

Dedal gli si avvicinò. «Come osa dire questo!»

«Lo dico e posso provarlo» ribatté Muso nero senza scomporsi. «Quando mi imbarco in un’impresa, sto attento a non commettere errori. Ho consultato le autorità legali, e tutto è stato esaminato accuratamente nei minimi particolari. Se vuol dare un’occhiata a questi documenti che ho portato con me. Questo è il secondo motivo che dimostra che Dave non è sposato.»

«È assolutamente falso!» gridò Dedal coi pugni stretti. «Se lei non fosse invalido…»

«Oh, non si preoccupi» fece Didol con una risata di scherno. «Non sarà questo a impedirmi di darle un fracco di botte… e questo probabilmente non sarà la prima volta che le prende. Forse non c’è bisogno che glielo ricordi, ma l’estate scosa, quando era sulla Costa Azzurra…» S’nterruppe, perché Drytec stava protestando. «Benissimo non dirò altro, a patto che lei lasci questa casa stasera, e domani avrò il piacere di venirle a farle visita col mio avvocato.» Si frugò in tasca per cercare la pipa. «Lasci che le dia un consiglio: non cerchi di scappare, potrebber trovarsi in una situazione molto spiacevole. Io so dove è alloggiato, e se ha buon senso resterà lì finché non mi sarò assicurato che per legge lei non ha assolutamente nessun diritto da esigere dal figlio di Mr. Dickinson.

Mentre parlava si riempiva la pipa con la massima calma, senza neanche guardarlo. «Penso che non ci sia altro da aggiungere.»

«Ma che sciocchezze!» disse Dedal, cercando di apparire sicuro di sé. «Io e Dave siamo sposati. La sfido a dimostrare il contrario. È tutto perfettamente legale, e se le sono antipatico…»

Muso nero alzò gli occhi. «Mi risulta che npn sia stasto legalizzato il matrimonio  tra persone dello stesso sesso e non mi risulta che in Francia sia legale per un uomo avere due matrimoni.»

Mr. Dickinson si risvegliò improvvisamente. «Cosa? Due matrimoni? Maledetto il mondo, questo ce lo deve spiegare.» Si alzò in piedi con fare inperioso. «Chiama la polizia, Ayres! Se quest’uomo è bigamo…»

Ma Didol gli passò davanti e aprì la porta, voltandosi a guardare Dedal. «Fuori.»

Dedal uscì mogio mogio, senza dire neanche una parola.

Muso nero si lasciò cadere su una sedia, era un po’ stanco. «Be’, ecco fatto.
Penso che quel tipo non ci disturberà più, ma se dovesse…»

«Come lo lasci andare via così! Ha ammesso che è un bigamo, e lasci che se la cavi a buon mercato… Sei matto, Walter!»

«Se vuoi uno scandalo, richiamalo.»

Mr. Dickinson diede un calcio a una sedia. «Insomma, questa è casa mia o è casa tua? Se è tua dillo, che mi tolgo di mezzo! Scusami, sai, ma sei stato proprio impertinente a immischiarti così in questa faccenda, facendomi fare la figura del perfetto idiota di fronte a quel bellimbusto! Sono o non sono il padre del ragazzo? Eppure sono stato tenuto all’oscuro di tutto… Devo dire che non ci vedo chiro in questa storia.

«Ti sarei grato se la smettessi di gridare» disse Dilon. «Sono un po’ stanco, domani ti darò tutte le soiegazioni che vuoi, e se non ti fidi di me dopo tutti questi anni, mi spiace, ma non so proprio cosa farci.

L’altro lo fissò per un attimo, piuttosto commosso. «Sei proprio una brava persona, Ayres. Purtroppo ce ne sono poche persone come te al mondo.» Gli poso una mano sulla spalla. «Bevi qualcosa?»

«Muso nero si mise a ridere. «No, grazie, ma penso che a te non farà male.»

«Mi ci vuole qualcosa di forte», fece Mr, Dickinson senza decidersi ad andare. «E così l’hai sempre saputo… Immagino che Dave , come al solito, si sarà confidato con te.

«Domani ti dirò tutto.»

«Mah! Be’, vado a bere qualcosa.»

Mr. Dickinson aveva la spiacevole sensazione che Dilon avesse avuto la meglio. In salotto trovò sua moglie in lacrime, seduta accanto al caminetto. Leo era in piedi vicino a le, piuttosto a disagio, e quando lui entrò gli lanciò un’ochiata supplichevole. «Continua a piangere» disse. «Dave è chiuso a chiave nella sua stanza. E…»

«Ci lasci soli», taglio corto lui, e quando Leo se ne fu andato chiese a sua moglie.

«Si puo sapere perché piangi?»

Lei lo guardò con gli occhi pieni. «Piango perché sono infelice. Sei proprio un bruto, egoista e insensibile. Hai cacciato di casa tuo figlio solo perché ha fatto come noi, e si è sposato senza dirlo a nessuno. La vita è proprio orribile… vorrei che tua sorella non ci avesse mai lasciato quei dannati soldi. A che cosa sono serviti? Siamo qui, in una casa che non piace a nessuno dei due, e ogni giorno che passa ci comportiamo sempre più come estranei. Non mi chiedi mai di uscire con te, nessuno penserebbe che sono tua moglie. Eh, sì, forse  preferiresti stare con Leo è più giovane e sa prenderlo in bocca bene, e ti fa godere anche se è un maschio. Mentre non vuoi che tuo figlio vada con un maschio. Dave ha sposato l’uomo che ama.»

«Non lo ama, e non è sposato. Quel tipo è un bigamo, o per lo meno, così dice Ayres… chiediglielo. E perché poi dovrei preferire quel stupidello a te? Ti assicuro che mi annoia, con quelle sue chiacchiere idiote. Vuoi  che io alla mia età mi metta con un stupido ragazzino viziato? Non ha proprio niente, guarda è vuoto come una zucca. Non far la stupida, cara.»

Guardò sua moglie con occhi diversi, e l’espressione sconvolta del suo viso ridestò qualcosa nel suo cuore che da molto tempo non provava più. Altro che graziosa! Era raro trovare una dona così attraente, alla sua età, e poi neanche lui era più tanto giovane, in fondo.

Si chinò verso di lei e le prese la mano. «Andiamocene via» disse con voce più dolce. «Quando questa maledetta storia sarà chiarita, potremmo andare nel sud della Francia, eh? Oppure in un altro posto, se preferisci… io e te soli. Ti insegnerò come farlo con la boca. Che ne dici?»

«Come sei stupido Richy!», fece lei, con gli occhi che le brillavano. «Ma dobbiamo proprio andare nel sud della Francia?» Poi gli chiese, ansiosa: «È proprio vero che Dave non è sposato con quell’orribile uomo?»

«Come, orribile! Non ti piaceva, con quei bei capelli lunghi?»

«Non mi è mai piaciuto. Ho sempre sentito che c’era qualcosa di… strano in lui. Sarà stato il mio istinto di donna.» Appoggiò la mano di lui sulla sua guancia morbida, sospirando felice. «Sei sicuro che è vero quello che hai detto di Dave?

«Ayres, dice di sì.»

«Allora se lo dice lui, dev’essere proprio così.» Gli lasciò la mano e si alzò. «Vado a vedere come sta Dave, povero caro, era sconvolto …Richy, pensi che Mr. Drytec gli piaccia, nonostanre tutto?»

«Se fosse così stupido, non potrebbe essere mio figlio.»

Sua moglie si alzò in punta di piedi e lo baciò sulla guancia sorridendo. «Spero che tu abbia ragione, anzi, sarà proprio come dici tu.»

La porta della stanza di Dave non era chiusa a chiave, e quando sua madre entrò lui era seduto sulla sponda del letto, col volto arrossato rigato di lacrime.

«Caro», disse Mrs. Dickinson sedendosi accanto a lui, «va tutto bene. Tuo padre non è più arrabbiato, e Mr. Drytec se n’è andato. Tu non sei sposato con lui.

Appena tutto sarà chiarito faremo un bel viaggio, e vedrai che saremo di nuovo felici… Almeno, così ha detto Ayres», soggiunse senza un apparente nesso logico.

«Ayres?»

«Sì, tuo padre dice che Ayres sa bene quello che è successo, è per questo che è andato a Parigi… quell’orribile di Mr. Drytec se n’è andato, e non dovrai vederlo mai più.»

«Orribile?»,  fece Dave con una risatina. «Ma non ti piaceva?»

«Be’, a dir la verità, sì. È straordinario come si può cambiare, no? Ma ora non mi piace per niente, e a chi potrebbe piacere un bigamo? L’ha detto Ayres che lo è.
Dave si sentì mancare. Non disse niente, ma chiuse gli occhi. Non era sposato. Non osava crederci. Eppure se lo aveva detto Muso nero…

Sua madre gli sfioerò la guancia con la mano. «Sei così pallido… perché non vai a letto e cerchi di dormire? Anche Ayres dev’essere stanco. Meno male che è sano e salvo. Caro, sono così contenta che tu non sia veramente sposato. Be’ me ne vado…»

Dave si voltò di scatto e nascose il viso sulla sua spalla. «Sono stato proprio uno stupido.»

«Caro», disse sua madre piano, dandogli un bacio sui capelli, «siamo tutti stupidi, a volte. Ma forse è necessario esserlo, per diventare saggi»

Dave le promise che sarebbe andato a dormire, invece, quando rimase solo, non si spogliò. Era vero che non era sposato con Dedal? Gli sembrava quasi impossibile e perfino troppo facile, dopo tutto quello che aveva passato…

Eppure, se l’aveva detto Muso nero, doveva essere vero. Avrebbe voluto sentirlo da lui, ma aveva paura di andarci, e si vergogognava.

Udì la voce di Leo sul pianerottolo e si alzò di scatto  per chiudere la porta a chiave. Non si sentiva proprio di sopportarlo e quando il suo amico lo chiamò piano non rispose.Da qualche parte un orologio batté le undici.

Dave non si decideva a muoversi. Moriva dalla voglia, di andare da Didol ma qualcosa glielo impediva. Finalmente si alzò, con un gesto automatico si tolse l’orologio e lo posò con cura sulla sua tavola da toletta, ripensando commosso il giorno del suo compleanno, quando lui glielo aveva regalato.

Poi, lentamente, andò ad aprire la porta. Sul pianerottolo era buio, ma al piano di sotto qualcuno doveva essere ancora alzato, perchè s’intravvedeva il bagliore della luce dell’ingresso. Sarà stato certamente Didol. Di solito era l’ultimo ad andarea letto, lui. Il cuore gli batteva così forte che gli pareva quasi di sentirne i battiti nel silenzio. Scese le scale pianissimo, ma davanti alla porta chiusa dello studio fu di nuovo preso dalla paura, e stava già per tornare indietro quando la porta si aprì dall’interno e si trovò davanti Muso nero.

Non sembrava sorpreso di vederlo, ma non gli disse niente.

«Sono venuto a darti la buonanotte… Didol», balbettò Dave.

Lui si scostò per lasciarlo passare, e chiuse la porta. «E allora?» chiese.

Ma lui non sapeva cosa dire, e restarono in un profondo silenzio. «Va tutto bene, Dave», fece lui alla fine.

Dave alzò gli occhi per guardarlo in faccia. «É… vero? La mamma mi ha detto…»

 «Verissimo.»

«Ma…»

«Non non chiedermi niente», lo interruppe lui gentilmente. «Sei libero, questo è l’importante.»

Dave voltò il viso dall’altra parte. «Mi disprezzi molto? Mi odi… Didol?»

«Come potrei odiarti?»

Per un attino Dave non riuscì a frenare il tremito delle labbra. «E non hai… altro da dirmi?»

«Nient’altro, Dave.»

«Oh!» Era deluso, ma era proprio inutile cercare ad ogni costo di fargli dire che l’amava. «Non capisco come hai fatto a sapere… Come sei riuscito a scoprire tutto?» gli chiese dopo un po’.

«Volere è potere, Dave.»

«Già… Allora… Oh, Didol, è vero! E io sono proprio libero, sul serio?»

«Assolutamente libero, questo è l’importante.»

«Si?», fece lui debolmente. «Non so come ringraziarti per quello che hai fatto, Didol. Non ne sarò mai capace, non so neanche da che parte cominciare.»

«Non provarci nemmeno, caro.»

Dave non riusciva a trovare le parole adatte per esprimere quello che provava. Voltò la testa dall’altra  per non far vedere che piangeva.

Lui restò zitto e a un tratto Dave, d’impulso, si aggrappò alle su spalle con le mani che tremavano.

«Didol, ti prego, dillo, dì che non è cambiato nulla e che … mi ami lo stesso.»

Lui cercò di allontanarlo, ma poi restò così, con le mani abbandonate sulle sue, Dave mormorò: «Ma no… non lo dirai. Oh Dilon, lo sento che mi vuoi lo sento che giù sei eccitato senti il mio  è durissimo. I nostri corpi si desiderano.»

La mano di Didol non si mosse. «Ti stancherai presto di me, Dave» disse lui con voce roca, senza guardarlo. «Sono troppo vecchio e noioso…»

«Non sei vecchio, e io ti amo, Didol, lo sai, più di chiunque altro al mondo. Ti ho amato sempre… sempre.»

Lui chinò la testa per guardarlo. «Eppure poco tempo fa pensavi di amare qualcun altro.»

«Ma tu hai sempre saputo che non lo amavo. Dedal, comincio a baciarmi in macchina con la lingua e cominciò a toccarmi da sopra i pantaloni il membro: era durissimo. Mi sbottonò i pantaloni e appena lo prese in mano io venni. Non avevo mai goduto cosi. In quel momento  gli dissi che lo amavo.»

«Sei solo un bambino» fece lui turbato, dopo un attimo che sembrò interminabile.Non sarebbe giusto. Non capisci cosa vorrebbe dire essere legato a me per tutta la vita… Ho ben poco denaro e sono zoppo e… non vado a ballare.»

«Ballare!» dusse Dave ridendo. «Oh, Dilon. Che importanza ha?»

«Forse ora non ne ha, ma più tardi…» Lo allontanò delicatamente. «Non posso, Dave, non sarebbe giusto verso di te. Sei solo un bambino, hai diciotto anni… io il doppio…»

«Ne ho quasi diciannove» protesò Dave, disperato.

Muso nero si appoggiò alla mensola del caminetto senza dir niente, voltandosi in modo da nascondere l’espressione del volto.

Dave restò a guardarlo un attimo e poi disse, con una voce che tradiva la sua sofferenza: «Non ho mai… vissuto con Dedal, se è questo che pensi.  Gli ho solo fatto qualche sega, e lui uguale. Lo voleva farlo orale, ma mi faceva schifo prenderlo in bocca. Solo la prima volta a tradimento. Niente penetrazione l’avremmo dovuto farla qui in Inghilterra. Ma qui ormai non lo amavo più e mi faceva solo rebrezzo stare insieme a lui. Neppure una sega.»

Ma con un gesto improvviso Dilon lo fece subito tacere. Lentamente Dave gli si avvicinò e con molta dolcezza gli cinse il collo con le braccia, appoggiando il viso sul suo petto. «Caro», mormorò con voce rotta, «ormai cìè un legame troppo forte tra noi, e non possiamo farci nulla, né tu né io.

Sentì che lui si irrigidiva sotto le sue carezze, e per un attimo ebbe paura di essere sconfitto e allora decise coraggiosamente di allungare il braccio e con la mano andò ad accarezzare il membro di Dilon.

«Lo vedi che mi desideri è durissimo. A te mi dono tutto  e ti faccio ogni cosa, non mi fai schifo, ti adoro.»

Imptovvisamente Dilon  se lo strinse forte.

«Allora… mi ami?» chiese Dave, guardandolo negli occhi.

«Sì… per sempre, per tutta la mia vita.» e cominciò a baciarlo e per la prima volta gli toccò il membro di sua spontanea volontà.

 
Nessuno dei due si accorse che la porta si apriva, Richard Dickinson restò a guardarli impietrito. Aprì la porta per dire: «Che diavolo…», ma poi la richiuse e si allontanò pian piano, con un’espressione stranamente comprensiva.

Salì le scale in punta di piedi, e mentre passava davanti alla stanza di Leo, la porta si aprì e il ragazzo fece capolino. «Mr. Dickinson venga la faccio divertire un po’. Ma Richard, impassibile, gli lanciò un’occhiata di disapprovazione.
«Era a letto Dave?» Chiese sua moglie ansiosa. Era stata lei a suggerirgli di andare da suo figlio per tranquillizzarlo.

«No» rispose Mr Dickinson, con la faccia scura.

Sua moglie si rizzò a sedere sul letto. «E dov’era, allora? Oh, Richard, non gli sarà mica successo qualcosa! Dici che è scappato, o che ha fatto qualche stupidaggine?»

Lui la guardò, un po’ turbato dalla sua avvenenza… Chissà quanti soldi aveva buttato in quella camicia da notte guarnita di pizzo… però le stava proprio bene, doveva riconoscerlo.

«Ma no che non è scappato…» rispose compiaciuto, «e per quanto ne so io, non ha fatto neache delle stupidaggini. È di sotto da Walter, col suo amato Muso nero: si baciano e si toccano, insomma si desiderano.»

 
Mrs. Dickinson si appoggiò ai cuscini con un sospiro di sollievo.  «Ah! Se è con lui è al sicuro, e non c’è più da preoccuparsi.»

«Tesoro sei sempre più bella.»

Lei gli sbottonò i pantaloni, lo prese in mano, lo aveva duro. «Voglio provare anche io, amore.» E lo mise in bocca.

 
 
 
FINE

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3861505