Al servizio del Re

di corsara_andalusa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


Avevano lasciato tutto. 

Nel salottino, la tavola era stata apparecchiata per il te, ma il cibo era stato toccato appena. 

Le tazze contenevano il té ancora fumante e nei piattini la ciambella ai frutti di bosco era stata appena servita.

Avevano portato con sé poche cose, un baule con pochi vestiti per ciascuna.

Il giovane era arrivato in casa sedando una faida in corso tra le maggiori delle tre sorelle.

Anne era sconvolta: quella mattina già un’altra notizia l’aveva fortemente turbata e ora questo, e da quando James O’Toole aveva portato loro la notizia, non aveva fatto altro che piangere silenziosamente, e quasi incapace di muoversi, guardava la sorella Victoria, e la più piccola, Margaret, le stringeva le pieghe dell’abito; Anne sapeva che era terrorizzata quanto lei perché non faceva altro che domandare del padre, ma James era stato piuttosto evasivo al riguardo.

-Presto arriverà, tesoro, non temere!- fece Anne con un sorriso forzato, ma il suo sguardo cercava quello di Victoria e di James per un supporto.

James le aveva detto che suo padre non sarebbe venuto a prenderle, era già partito, si sarebbe imbarcato a breve per la Francia dove alcuni amici lo attendevano per nasconderlo.
-Dunque, ora è ricercato?- chiese Victoria titubante, moderando il tono di voce per non allarmare la sorella, anche se dubitava che Margaret fosse in grado di comprendere davvero il significato di quella parola.
-Siete tutte ricercate, anche Margaret, per Dio!- imprecò James a denti stretti trattenendo uno scatto di collera ed impazienza trascinando su per le scale Victoria ed Anne perché preparassero la loro partenza.
-Margaret?- fece incredula Anne cingendo le spalle della sorella minore.
-Certo, è ovvio!-
-Ma cosa credono?- sbottò Victoria arrestandosi in cima alle scale bloccando il passaggio a tutti. -Che possa diventare una ribelle a dieci anni e programmare qualche rivolta?- fece sarcastica Victoria con un mezzo sorriso.
-Vogliono solo prevenire che quando sarà grande, - spiegò il giovane salendo uno scalino per essere alla sua stessa altezza,  -…diventi un’attiva sostenitrice dei diritti irlandesi e che segua le orme della famiglia programmando attentati contro la corona inglese!- il tono di voce del giovane si stava accendendo e aveva assunto una nota allusiva. Condusse le tre ragazze nella prima stanza da letto, e da sopra un armadio recuperò un piccolo baule da viaggio pensato per brevi distanze e con modi bruschi iniziò a riempirlo aiutato da Victoria che era insolitamente calma.
-Ma dove andremo?-
James si muoveva in fretta, a grandi passi da una parte all’altra della stanza e solo quando girò su se stesso un lembo della giacca si aprì rivelando il cinturone con la pistola. Il giovane era solito frequentare la casa, ma Anne non ricordava di averlo mai visto armato e s’inquietò ulteriormente.
-Ho con me dei documenti di viaggio…per tutte voi!- disse estraendo dalla tasca dei fogli ripiegati e sigillati con ceralacca rossa recante lo stemma dell’Impero che lasciò cadere sul tavolo della toletta di Victioria. -Vi saranno utili quando arriverete in America…- disse mesto. A quella parola, America, Victoria si arrestò e Anne si lasciò cadere sulla sedia della toletta portandosi una mano alla bocca per lo shock. 
-Ho pagato un vetturino che vi accompagnerà ad un porto sicuro, da lì una nave vi attende per scortarvi in Francia e il capitano farà rotta verso l’America quando vi sarete imbarcate…- proseguì quando l’orologio a cucù risuono allo scattare delle 17.30. Anne trattenne malamente un singulto. -Non sarà un viaggio facile… sarà dura…- disse avvicinandosi lentamente a Victoria.


-Avete fatto? I cavalli sono attaccati...  Ho preso anche una sacca con del cibo, se viaggiate anche tutta la notte non avrete bisogno di altro, si prenderanno cura di voi una volta a bordo, ma al porto non aspetteranno per sempre!- fece James comparendo nella stanza come un uragano e senza aspettare una risposta prese sottobraccio Anne tirandosi dietro anche Margaret per metterle sulla carrozza. Victoria indugiò qualche momento in casa, e quando il giovane O’Toole rientrò in casa per andare a prenderla la intercettò mentre nascondeva nella tasca della gonna qualcosa. 
Si scambiarono un lungo sguardo sulla soglia, entrambi sapevano la stessa cosa, per questo la ragazza non aveva fatto troppo domande quando lui era arrivato, al contrario di Anne.
-Mi prometti che non farai niente di avventato? O di stupido...- 
-Non sono forse la stessa cosa…?- la ragazza era a disagio ed evitava il suo sguardo ma era evidente che fremeva per chiedere qualcosa.
-James, dov’è papà?- chiese infine eludendo la preoccupazione di lui. -Sta bene, è vero?- insistette lei posandogli una mano sul braccio per impedirgli di allontanarsi, dato che il giovane stava già facendo un passo per prendere le distanze.
Era un bel giovane, con occhi da ragazzino, chiari, ma i lineamenti erano quelli di un uomo nascosti sotto una barba rossiccia. 
Aveva qualche anno in più rispetto ad Anne, ma aveva molte più cose in comune con Victoria, e lei ne era innamorata, per questo non aveva obbiettato neanche per un secondo quando era arrivato, né quando aveva dato ordine al garzone di casa di preparare la carrozza, né quando le aveva trascinate in camera da letto rovistando negli armadi, spiando di tanto in tanto con fare paranoico da dietro le tende alle finestre.
-James?!- 
Il giovane sospirò, ruotando gli occhi al cielo per evitare di incrociare lo sguardo torvo di lei.
James lanciò un rapido sguardo in direzione della carrozza; Anne stava ancora rassicurando Margaret ed era certo che non potesse sentirli. Sospirò ancora e chiuse gli occhi come se stesse soppesando le parole da dire mentre Victoria ripeteva con insistenza il suo nome scuotendogli con vigore il braccio.
-Non sta andando in Francia, vero? Lo hanno già preso? Non è così?-
-Mi dispiace...- riuscì solo a bisbigliare lui affranto guardando il volto di lei diventare bianco come un cencio. L’espressione di lui era fin troppo grave per significare, solo, che suo padre era stato arrestato...
-È morto Victoria...- fece in un sussurro assicurandosi che Anne e Margaret stessero ancora parlando tra loro.
Victoria era incredula, era pronta a qualcosa di grave ma non a tanto ma quella notizia la investì come una lieve brezza che non procura devastazione; riuscì a mantenere un dignitoso contegno,  anche perchè non avrebbe mai potuto sopportare di mostrarsi ridicola o fragile agli occhi di James, tuttavia la sua voce era carica di emozione  quando parlò di nuovo.

-Ma se è..., - si schiarì la voce abbassando il tono, -Ma se è morto, non credi che...-
-Verranno a cercarvi comunque, Victoria,- fece lui interpretando ciò che stava per dire lei, - sanno che eri lì a quelle riunioni...- non potevano indugiare oltre; la afferrò per le spalle e la invitò con decisione a seguirlo verso la carrozza.  
In quel breve tratto di strada la mente di Victoria era satura di pensieri confusi e il suono dei passi sulla ghiaia del vialetto le riempiva le orecchie come una fitta pioggia, ma ad un passo dalla vettura un’unica chiara osservazione spazzò via tutti i suoi dubbi e si divincolò dalla stretta di lui.

-Ma dove andrai tu? Vieni con noi? James?!-
James non la guardò nemmeno, fece cenno al garzone che balzò a cassetta della vettura e spinse la ragazza dentro la carrozza sbattendo lo sportello ignorando le sue proteste e la sua insistenza.
-Non ti angustiare per me, Victoria, io me la caverò!- 
-Ma dove andrai? Verranno a cercarti!- il volto di lei era livido, gli occhi velati di lacrime.
-Non mi cercheranno Victoria…- James chiuse gli occhi per alcuni secondi traendo un lungo  e lento respiro, come se si stesse arrendendo ad un nemico più astuto di lui, poi rivolse alla ragazza un sguardo risoluto. Non disse nulla, ma desiderò con tutto se stesso che la ragazza capisse per non doversi umiliare dovendo dire lui stesso la verità.
Victoria attendeva una sua reazione o che si spiegasse… 
-Andate presto!- intimò al garzone, era un ragazzetto dal volto lentigginoso; gli lanciò una moneta che il bambino afferrò al volo con due mani, se la ficcò in tasca e si sistemò meglio a sedere afferrando le redini noncurante della tragedia delle padrone.
Poi fece schioccare le redini incitando i cavallo con un grido e la carrozza si mise in moto acquistando rapidamente velocità.

 

 

La piccola carrozza viaggiava veloce nella notte, Margaret infine si era addormentata e Anne aveva finalmente potuto avere un po’ di pace: la bambina aveva pianto quando le disse che molto probabilmente non avrebbe più rivisto il suo pony, aveva fatto del suo meglio per darle quella notizia nel modo più delicato possibile, ma s’era rasserenata solo quando Victoria le promise che suo padre ne avrebbe comprato un’altro una volta arrivati, dopo poco Margaret si era addormentata, guardando fuori dal finestrino la campagna che scorreva via veloce. Tutto  quel trambusto spiegava l’agitazione che Anne aveva letto sul viso di suo padre quella stessa mattina:  aveva reagito in modo strano alla posta del mattino; erano giorni che stava spesso fuori casa più del solito, usciva presto e rientrava solo a sera tardi per la cena, ma il più delle volte aveva pensato che la causa fosse da imputare ai suoi affari di commercio dall’America. Dopotutto sarebbe stato ragionevole: il cotone da loro si vendeva bene, e da poco aveva cominciato ad importare  anche caffè e tabacco.

Victoria, sua sorella non faceva mai domande al riguardo, ma Anne avrebbe voluto chiedergli dove andasse tutto quel tempo e come mai quando rientrava sembrava sempre trovarsi a miglia e  miglia altrove con la mente, più preoccupato di quando aveva lasciato casa, con una nuvola griglia di burrasca che gravava sulla sua testa gettando un’ombra di malinconia sui suoi lineamenti ancora giovanili.

Pessime notizie, pensò mentre suo padre leggeva la prima pagina della lettera che aveva ricevuto.  Era scritta con una calligrafia fitta, poco aggraziata. La mise da parte sul tavolo quando ebbe finito di leggerla e passò alla successiva strofinandosi il mento con la mano. 

Ne lesse il mittente prima di rompere il sigillo di ceralacca e il suo viso si rabbuiò ulteriormente.
Arrivava da Kildare ed erano altre cattive notizie. 



La vettura ebbe un violento scossone, il conducente, che aveva preso il posto del giovane garzone di casa, imprecò tra i denti mentre dal finestrino sbucò la testa di Victoria per vedere cosa aveva procurato quel colpo. Alla fine s’era addormentata anche lei, anche se il suo era stato un sonno agitato, in dormiveglia, con il cuore pesante che le martellava nel petto, rendendole difficile anche il semplice respirare, la mente era invasa da quell’unico pensiero che c’aveva messo qualche ora a realizzare: James li aveva traditi.  Non vi era altra spiegazione plausibile alla sua reazione così calma e compita quando le disse “Non mi cercheranno Victoria…” . Quell’affermazione era la confessione della sua colpevolezza. Cosa poteva significare altrimenti? Che lui era al sicuro, mentre loro, per qualche strano motivo invece, non lo erano. Quale poteva essere questo motivo?Victoria rimase a lungo ferma su questo ragionamento, arrovellandosi nel pensare su chi sapeva e di chi non ci si poteva fidare… “Non mi cercheranno Victoria…”. Quello era il motivo: non lo avrebbero cercato perchè lui era la loro spia. Ciò nonostante non riusciva a capire perchè le avesse aiutate a fuggire ed era stato così meticoloso nel predisporre in anticipo la loro partenza. forse il suo era solo un misero tentativo per salvarsi la pelle, una volta che gli altri avessero scoperto il su gesto. 

No. 

Non voleva credere a tutto questo. 

Non voleva credere che James avesse fatto una cosa simile. Lui che era sempre stato un così attivo sostenitore della Society of United Irishmen.

Alla fine Victoria aveva pianto. Aveva pianto per la sua fiducia tradita, per l’amore deluso ucciso da quel tradimento e pianse per la morte di suo padre e per il segreto che avrebbe dovuto tenere per sé fino all’arrivo in America. Pianse per la vita che stavano abbandonando anche se forse non proprio florida di prospettive, ma di certo più sicura di un futuro incerto e ricco di insidie come si dipingeva in quel momento. E una volta in America cosa avrebbero dovuto fare?
Finalmente si addormentò per la stanchezza data da troppe emozioni, poi quello scossone l’aveva ridestata definitivamente: il colpo le aveva fatto sbattere la fronte contro il vetro dello sportello, ma non abbastanza forte da farle male.

-C’eri anche tu?-

La voce di Anne fredda e i suoi occhi carichi di sospetto.

-Come?- chiese Victoria faticando a scivolare fuori dal torpore che la voleva addormentata.

-A quelle riunioni segrete…- scandì Anne con freddezza, -C’eri anche tu?-

Victoria si sistemò mettendosi a sedere, passandosi una mano sulla fronte per scostare alcuni capelli sfuggiti all’acconciatura, sospirò guardando fuori dalla finestra. 

L’ombra del fallimento della rivolta di Robert Emmot non s’era ancora dileguata, che c’era già qualcuno che progettava un tentativo di sommossa contro l’invasore inglese sullo stile di Wolfe Tone. 

Anne non ebbe difficoltà a interpretare quel silenzio.

-Quindi sapevi tutto di papà… più di me almeno…- fece rassegnata sollevano un sopracciglio, -E mentre io mi tenevo occupata a fare da dama di compagnia alla vecchia contessa… Tu e nostro padre…-

-Papà non sapeva che partecipavo a quelle riunioni!- saltò su Victoria continuando a fissare la buia campagna fuori della carrozza prima che Anne riuscisse a proseguire, e quelle parole la fecero inorridire.

-Quindi stavate cospirando attentati contro il Re, e nostro padre neanche sapeva che eri coinvolta!-

-Lo dici come se ti dispiacesse!- fece Victoria piccata incrociando le braccia e appoggiando la testa contro il vetro.

-Riguardo gli attentati?- chiese sbalordita sporgendosi in avanti verso la sorella che continuava ad ignorarla -Di certo non ne sono entusiasta!- sbottò subito agitandosi nel suo posto. -Non capisco davvero cosa ti sia preso? A che cosa pensavi esattamente? Di rendere libera l’Irlanda in tempo per Pasqua?- sbottò Anne, ma dovette calmarsi perché Margaret che le dormiva con la testa in grembo si stava per svegliare; le accarezzò i capelli con dolcezza per qualche istante e dopo uno sbadiglio e qualche parola sconnessa, la bambina si raggomitolò di più su sé stessa e sprofondò nuovamente in un sonno profondo.

Per il resto del viaggio nessuna delle due osò rivolgere parola all’altra: entrambe erano assorte nei loro tormenti.

Anne ripensava agli avvenimenti accaduti quella mattina, prima che James arrivasse a stravolgere la loro vita; anche se quello sarebbe dovuto essere il suo unico pensiero, non poté fare a meno di pensare a quello che era accaduto dopo che suo padre lasciò la casa… 

La notizia che la contessa aveva avuto un aggravamento era giunta poco dopo tramite un valletto a cavallo come un corriere di posta, con indosso la borsa a tracolla, il tricorno e la livrea blu, verde con le rifiniture oro. Giunto di fronte alla porte d’ingresso era balzato giù dalla sella e la sua cavalcatura muoveva nervosamente le zampe per l’impazienza e la fretta della corsa. Nel vederlo la ragazza intuì che la sua era solo la prima di molte altre lettere che il giovane avrebbe dovuto recapitare quel giorno, tutte recanti lo stesso messaggio.

Anne non era riuscita a chiudere occhio quella notte, forse stava avendo un presentimento, una di quelle sensazioni che non sapeva spiegare e che l’aveva trattenuta dall’andare a letto per coricarsi e che più tardi verso le tre del mattino, l’aveva ridestata. 

Era scivolata fuori dal letto indossando lo scialle beige a ricami color caramello che le aveva regalato suo padre, aveva riattizzato le braci nel camino e aveva passeggiato su e giù per la stanza perfettamente sveglia. 

La casa era avvolta nel silenzio e fuori cominciava ad albeggiare, ma anche se il cielo s’era appena rischiarato riusciva ad intuire che ora fosse dal canto delle tortore che risvegliavano la natura.

Ancora non sapeva quello che il giorno le avrebbe portato, ma ad aggiungerle ulteriori pensieri, furono dei movimenti provenienti dal piano di sotto: non ebbe l’animo di avventurarsi fuori dalla sua camera anche se rimase ben all’erta contro la porta della sua stanza in ascolto.

Poi la porta nell’ingresso si chiuse e sul viale di ghiaia sentì il rumore di passi affrettati. 

Corse verso la finestra e sbirciò scostando appena le pesanti tende di velluto; chiunque fosse stato non c’era più e stava lei stessa per ritornare nel suo letto quando una figura a cavallo apparve dalle stalle e al galoppo si diresse oltre il muretto a secco di ruvidi ciottoli di pietra grigia svoltando poi per la campagna.

Era suo padre, lo riconobbe e questo la turbò. Dove andava a quell’ora? E perché tanta fretta?

Accigliata si infilò di nuovo nel letto costringendosi di riprendere sonno e riposare ancora qualche ora, ma si rigirò nelle coperte fino all’ora di colazione quando incontrò di nuovo il genitore, ma non gli chiese niente. 

Era sua consuetudine pensare che se qualcuno custodiva un segreto o preoccupazioni non spettava a lei cavargliele di bocca, ma piuttosto aspettare che quello si aprisse spontaneamente per confidarle i suoi dispiaceri. Ma ormai non aveva più importanza: i segreti di suo padre erano stati svelati da qualcun altro.

Quella mattina poco dopo l’arrivo della lettera si era precipitata a casa della donna portandosi dietro Victoria che aveva protestato per accompagnarla. Giunta lì, ad attenderla c’erano i figli di un cugino della Contessa.

-Ah guarda gli avvoltoi che vengono a banchettare sulla carcassa della preda in putrefazione!- aveva commentato Victoria passando in rassegna i quattro giovani, in ricchi vestiti che scendevano dalla carrozza trainata da quattro cavalli identici.

Per quel commento, Anne l’aveva rimproverata malamente.

Più tardi la situazione non migliorò: il maggiore dei nipoti non aveva perso tempo e accomodandosi nella sala da pranzo con le sorelle aveva annunciato di aver  convocato un notabile, un avvocato insomma, che li avrebbe aiutati a gestire la questione dell’eredità senza che ci fossero conseguenze troppo disastrose, assicurandosi che tutti mantenessero un comportamento dignitoso, nel rispetto della defunta.

Victoria era scettica, ma la questione non la riguardava più di tanto, era solo preoccupata che i diritti di Anne non venissero tenuti in considerazione, perciò insistette per attendere l’arrivo del notaio e volle a tutti i costi che Anne sentisse cosa era stato predisposto.

-E dato che non siamo in possesso di alcun testamento legale tangibile…- proseguì il notabile con voce strascicata quando Victoria, come destandosi dal profondo dei suoi pensieri, lo interruppe in tono ostile.

-Perdonatemi, ma la signora aveva espressamente avanzato il desiderio che la casa e tutti i suoi beni andassero ad Anne che l’ha sempre accudita come si fa con una madre!-

-Capisco signorina,- disse desolato il notabile, passandosi una mano sulla testa per assicurarsi che la parrucca fosse in ordine. -Ma come dicevo poc’anzi… in mancanza di un atto scritto, temo che ogni altra dichiarazione, specialmente verbale, non abbia alcun valore  legale di successione!-

-Ciò vorrebbe dire che Anne non riceverà nulla!? Dopo tutto il tempo trascorso ad accudire la signora?-

-Beh nessuno le ha chiesto di mortificare la sua giovinezza per stare appresso ad una vecchia!-

Victoria era sbiancata per l’indignazione, Anne lo sapeva da come strabuzzava gli occhi e da come stesse stringendo i pugni in grembo, ma a nulla valse la conversazione dai toni accesi che seguì: non amava le discussioni e non le piacevano le liti, era una ragazza piuttosto accomodante, ecco perchè solitamente preferiva stare fuori dalle discussioni o se non ne poteva fare a meno, cedeva facilmente dandola vinta al suo interlocutore; di tutt’altra pasta era Victoria, la quale doveva avere sempre l’ultima parola su tutto.

Per la verità Anne non capiva perchè la sorella si infervorasse tanto. Erano cresciute in una casa che il padre aveva ricevuto più per la provvidenza divina che per merito o per rendita, conducevano una vita dignitosa poco fuori città. Gli affari del padre andavano bene anche se in passato aveva perso qualche nave, ma ora si stavano risollevando e non avevano mai patito la fame.

Tutto quello che possedevano permetteva loro di vivere la loro vita senza che avessero preoccupazioni, ciò nonostante non si erano mai crogiolati in inutili spese e rinnegavano gli eccessi.

-Quindi parliamo della tenuta dove ci troviamo attualmente, dei terreni circostanti la casa per un totale di 180 acri…-

-Oh cielo - fece Victoria con sarcasmo stringendo la mano della sorella sotto il tavolo mentre il notaio continuava la sua lista.  

-Quanti sono esattamente 180 acri?-

-Un bel po’ di spazio, ma non è affar tuo preoccupartene!-

-Ed infine… il beneficiario sarà appunto il qui presente John Stewart di anni 27, quale unico parente diretto  e più prossimo e ancora in vita…-

I quattro sorrisero compiaciuti dalle loro posizioni scambiandosi uno sguardo complice.

-Devi capire che non intendo abbassarmi al loro livello di viltà! Nessuno di noi deve!- disse con veemenza una volta che furono fuori dalla casa delle contessa; Anne era salita nelle sue stanze per darle un’ultimo saluto mentre Victoria s’era ficcata le mani nella tasca della gonna e aspettando nell’ingresso aveva dovuto assistere ai salamelecchi che le sorelle Stewart rivolgevano per il commiato del notaio.

-In nessun modo mi sarei sentita in dovere di avanzare pretese, Victoria! In certe circostanze la cosa migliore è restare in silenzio!- replicò compita Anne spostando lo sguardo dalla sorella alla tappezzeria della carrozza. 

-“Lasciamo alla giustizia divina!” - fece poi Victoria esibendosi in una perfetta imitazione della voce della sorella. -E’ questo che stavi per dire vero Annie?- la derise ancora, -Non so davvero come fai ad essere così pia! Mi chiedo se mai riusciremo a vederla questa Giustizia di cui parli tanto! Se Isabella si fosse messa ridere di nuovo con quella sua vocetta odiosa, giuro che le avrei tirato addosso il vaso dei fiori!-

-Perchè a differenza tua…- proseguì con garbo Anne, -Io reputo più importanti altre cose! Dopotutto non abbiamo di che lamentarci: non avremmo comunque avuto nessun diritto su nessuno dei possedimenti della signora! Non siamo nell’indigenza e ce la caviamo meglio di tante altre famiglie che conosciamo; avresti per caso preferito fare la fine di Molly Smith? Sposata ad un inglese con più del doppio dei suoi anni e solo perché suo padre è caduto in rovina… la verità è che nulla che appartenesse alla contessa ci sarebbe servito!-

 

 

 

Era notte fonda ormai. La carrozza proseguiva nella sua corsa a passo spedito, anche se il vetturino aveva dovuto incitare i cavalli con il frustino in quanto quelli si stavano dimostrando più riluttanti nel mantenere la stessa andatura e reclamavano un po’ di riposo.

-Secondo te dove siamo dirette?- chiese infine Victoria addentando la mela che Anne le aveva passato come segno di tregua. Le aveva sorriso e tra sé aveva pensato a quando la sorella aveva l’eta di Margaret e a quando era ancora solita giocare con le bambole. Quella bambina non c’era più da tempo e aveva preso posto una selvaggia bandita delle colline di Cork.

-Non a Dover di sicuro… Papà ha delle navi lì, e se ci stanno cercando sicuramente saranno già lì ad ispezionare le navi, in più saremmo già arrivate…!-

Improvvisamente il vetturino emise un verso che fece rallentare la corsa dei cavalli; Anne e Victoria si scambiarono uno sguardo interrogativo. 

Dando una rapida occhiata oltre il vetro Victoria riusciva a distinguere le forme degli alberi che costeggiavano la strada e il profilo delle colline più in là. 

-Siamo arrivate?- chiese titubante la sorella stringendosi più forte a Margaret che per la stretta protestò mentre cominciava a svegliarsi.

Victoria deglutì il boccone cercando di non respirare e si appiattì lungo la parete della carrozza cercando di vedere fin oltre le teste dei cavalli che ora andavano al piccolo trotto, ma non riuscì a capire perché il vetturino avesse deciso rallentare. Istintivamente fece scivolare la mano all’interno della tasca tra le pieghe della gonna trattenendo il respiro finché la vettura non fu completamente ferma.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


* * *

-Altolà!- sentirono pronunciare da fuori. -Andiamo un po’ di fretta, non è così?!-

-Sì, infatti.- disse Jacob, il vetturino, afferrandosi un lembo del mantello che durante la corsa aveva portato avvolto tutt’attorno le spalle e lasciò che gli ricadesse nuovamente sulla schiena. -Vi sarei infinitamente riconoscente se mi lasciaste passare, ho degli affari che mi attendono!- fece il conducente cercando di mantenere un tono di voce il più gentile possibile. 

-Devono essere degli affari davvero urgenti se vi trovate per questa strada con il rischio di incappare nei briganti che si aggirano per questa contrada…- fece l’ufficiale più alto in grado, l’unico a cavallo, avanzando verso il suo interlocutore che ebbe un attimo di nervosismo che l’altro interpretò comunque come il semplice gesto di sistemarsi meglio a cassetta delle vettura.

-Chi sono?- chiese Anne bisbigliando con apprensione. -Lì vedi? Sono ladri?-

-Ssshh- la zittì secca la sorella.

Victoria si appiattì di più contro il vetro freddo della carrozza: non erano molti, per quel che riusciva a vedere, due o tre, quattro al massimo, ma indossavano giubbe rosse e moschetti in spalla.

Ebbe un tuffo al cuore. 

La voce dell’ufficiale aveva un tono beffardo, poteva permetterselo in fondo, il rango e la posizione glielo concedevano anche se non doveva avere più di venticinque anni e il vetturino fosse un uomo corpulento, con un fisico da manovale e con una cicatrice che gli attraversava di traverso l’intera faccia facendolo assomigliare ad uno spaventapasseri di stracci assemblato alla ben e meglio.

-Siete solo?- chiese l’ufficiale, sporgendosi in fuori per riuscire a spiare all’interno della vettura.

-Con chi dovrei essere? Con la Regina di Saba?-

Victoria ed Anne sussultarono e si scostarono dalla finestra, interpretando i movimenti che si stavano svolgendo al di fuori del loro riparo, ma non sarebbero rimaste al sicuro.

-Ho l’ordine di perquisire tutte le vetture che vanno e vengo dal porto…- fece il soldata in tono perentorio.

-Molto interessante…- fece con tono annoiato il conducente mentre le sue mani si stringevano di più attorno alle redini; i cavalli riuscivano a percepire il suo nervosismo e agitavano le zampe impazienti, nonostante egli ostentasse un atteggiamento pacato e calmo; le bestie incominciarono a fremere sul loro posto tanto che l’uomo dovette avvolgersi di un giro le redini attorno le mani per sedare la loro ansia. 

Il soldato avanzò di un poco e si concesse la libertà di un sorriso tirato rivolto all’uomo e una di una pacca sul, collo del cavallo attaccato alla carrozza.

Il soldato diresse il cavallo verso il fianco della carrozza poi arrestò l’andatura e balzò giù di sella. Il vetturino si voltò a guardare in quella direzione.

Anne gridò quando il soldato apparve spalancando lo sportello così forte che quasi lo scardinò e d’istinto si coprì il volto come se si aspettasse che l’uomo avrebbe fatto fuoco su di loro, dopotutto non era necessario che la loro missione si concludesse con tutte e tre le ragazze ancora in vita... una bastava e avanzava per ottenere le informazioni che volevano. 

Un grido di protesta, uno sparo riecheggiò aspro, schizzi di sangue imbrattarono la divisa scarlatta  e il viso pallido dell’ufficiale, il cavallo che terrorizzato si imbizzarrì allontanandosi al trotto verso la boscaglia a bordo strada, grida di donna nella notte e gli altri soldati che accorsero verso il loro superiore dimenticandosi del vetturino che non perse tempo ad incitare i cavalli usando redini e frustino. uno scossone violento trascinò Anne e Margaret contro Victoria alla quale sfuggì di mano l’arma che fumava

Il sergente si porto lentamente una mano al collo dove s’era aperto un varco da cui zampillava un fiotto di sangue. Aveva lo sguardo vuoto, e fissava davanti a sé mentre una nuvola di sabbia e polvere finissima lo avvolgeva. 

Cadde sulle ginocchia emettendo un gemito strozzato che gli si arrestò in gola. Uno dei soldati fu su di lui mentre la vettura li aveva gia sorpassati, gli altri militari imbracciarono le armi puntando la vettura in fuga.

Schegge schizzarono via dalla tappezzeria dell’abitacolo e un proiettile trapassò il legno a pochi centimetri dal volto di Anne che non ebbe il tempo di gridare perchè Victoria la trascinò nuovamente giù dal sedile per proteggersi dai colpi che ad intervalli di una ventina di secondi colpivano la carrozza che nella corsa le sballottava avanti e indietro. Grida fuori, il pianto di Margaret Riempiva le orecchie di Victoria che aveva riafferrato la pistola e con mani tremanti dall’emozione la stava ricaricando con i pochi colpi che aveva avuto l’accortezza di portare con sé. 

Sentiva su di sè gli occhi della sorella ma non ebbe la forza di guardarla in faccia.

La carrozza in corse prese una curva stretta del sentiero che quasi si capovolse, ma sbandò paurosamente per poi ritornare barcollante sulle quattro ruote.

Una scheggia di legno aveva lacerato una manica del vestito di Victoria e aperto una ferita sulla sua pelle; ad un rapido sguardo Margaret pareva illesa, e così anche Anne anche se appariva bianca come un fantasma e Victoria era certa che presto avrebbe perso i sensi dallo shock.

 

* * *

 

Voltandosi a guardare al suo fianco, Stephen notò che Jack appariva alquanto poco confortevole nella sua poltroncina mentre il mezzosoprano eseguiva la sua parte nelle vesti del paggio Cherubino che continuava a scrutare accigliato appoggiandosi al bracciolo della poltroncina.

Che Cherubino! diceva la sua espressione. Troppo esuberante, troppo bonaccione e decisamente  esageratamente sbruffone. 

Pareva più la rappresentazione di Puk di Shakespear che le nozze di Figaro. L’attrice però era molto avvenente, anche sotto gli indumenti maschili imposti dal suo ruolo.

-Che vi succede, amico mio?- bisbigliò il dottore accostandosi un poco a Jack che non smetteva  di agitarsi sulla sua poltroncina. -Mozart non vi esalta?-

-No Stephen, non è Mozart il problema, ma quella Cherubino!- grugnì Jack scuotendo la testa strofinandosi il mento con la mano, -Credevo fosse turbato per amore nei confronti di Susanna, o Barbarina, o come diavolo si chiama! -brontolò sospirando esausto, poi si passò una mano sulla faccia strofinandosi gli occhi. -E che accento che ha! Sappiamo da dove proviene?- 

-Da New Castle.- fece prontamente Stephen.

-Ma certo! Quasi sicuramente più scozzese che inglese!- ridacchiò ritornando di buon umore per un attimo, ma subito si ricordò di essere di pessimo umore e per nulla incline allo scherzo.

-Ancora non so perché mi abbiate convito a venire a questa… Opera!-

-Sicuro sia Cherubino il problema?- Stephen ridacchiò coprendosi le labbra con il libretto, si guardò attorno e distrattamente lanciò una rapida occhiata all’orologio da taschino -Siete di pessimo umore, l’avevo capito, ma che peccato… speravo che della bella musica vi avrebbe risollevato il morale!-

-Sapete che preferisco di gran lunga un quartetto di archi a questa farsa! Quale sarebbe poi il senso di quest’opera?- 

-Vissero tutti felici e contenti… immagino!-

Qualcuno alle loro spalle gli intimò con tono seccato di fare silenzio. Jack sbirciò da sopra la spalla  del dottore verso gli spettatori, e riprese a parlare più sommessamente rivolto all’opera all’opera.

-Perché non si sposano tutti e basta!?- bisbigliò.

Stephen ridacchiò in una mano, guardandosi attorno perché ancora percepiva gli umori ostili dei vicini più prossimi che non apprezzavano quel loro parlottare sibilante; pensò che fosse meglio non informare l’amico che  altrimenti l’opera non sarebbe esistita se i personaggi avessero avuto il loro lieto fine all’inizio del primo atto…

-Cosa vi rende cosi incredibilmente irritabile, Jack, me lo volete dire?- lo derise il dottore tornando a guardare lo spettacolo. -Perchè non può essere ancora per quella questione… Fatevene una ragione o vi roderete il fegato!- disse il dottore con più garbo e calore nella voce, sapendo che stava per toccare acque burrascose.

Jack sbuffò scontroso cambiando posizione sulla sedia. Aveva ancora nelle narici l’odore della vernice fresca e Stephen si ostinava ad infierire.  Che Stephen cercasse di sminuire la faccenda lo sorprendeva e irritava allo stesso tempo! proprio lui non riusciva a capire cosa significasse per lui! Accavallò le gambe, senza dare una risposta e puntellò il gomito sul bracciolo della poltroncina e affondo la faccia nella palmo della mano obbligandosi a seguire l’opera. 

Per la verità Maturin sapeva quale fosse la ragione del suo malumore. Più precisamente c’era più di un motivo… ma avrebbe messo la mano sul fuoco indovinando che primo fra tutto la sua nave.

Erano dovuti rientrare a casa in fretta e furia con la Surprise ridotta ad un colabrodo dopo uno scontro con una nave turca di classe superiore, al largo delle Canarie; il capitano ovviamente era furibondo e frustrato allo stesso tempo, l’equipaggio con il morale a terra: erano riusciti a riportare a casa la pelle solo grazie all’intervento di un paio di brigantini neutrali che li avevano scortati fino a casa, quasi trascinandoli, e nel mentre riforniti di viveri e del materiale necessario per rattoppare le falle dello scafo quel tanto che bastò per consentir loro di arrivare in terra inglese. 

I lavori di rattoppo erano cominciati subito una volta sbarcato l’equipaggio, Jack l’aveva preteso!  Nulla poteva farlo sentire così frustrato per non avere portato a termine una missione. E scortato dal signor Lamb aveva dato precise istruzioni al capomastro su come il restauro dovesse essere fatto. lui e Jack avevano raggiunto il cantiere quel pomeriggio; Aubrey era di ottimo umore e aveva giudicato i lavori fatti rivolgendo numerosi complimenti per la tempestività al capo cantiere; ma una volta arrivato a poppa della nave dalla banchina del cantiere si era paralizzato in un turbinio di emozioni.

Ammutolì per qualche secondo, impallidì fissando il posteriore della nave; lì per lì Stephen non comprese né vide il problema e credette che l’amico fosse colpito da un’attacco di cuore.

In quel momento era arrivato il signor Pullings in alta uniforme: era stato all’ammiragliato e come primo ufficiale aveva dovuto fare rapporto circo l’accaduto con la nave turca, ma la sua espressione quando incontrò lo sguardo di Jack era disteso e rilassato; anch’egli ebbe modo di far notare al capitano che la rapidità con cui erano state fatte le riparazioni avrebbe concesso loro di riprendere il largo una volta completate le manovre di rifornimento con  la prossima marea. Ma rivolto anch’egli lo sguardo con più attenzione al giardinetto imitando il capitano che non dava segni di ripresa, capì…

-Oh…- riuscì solo a commentare Tom in tono confuso.

-Signore! Signore!- Mowett arrivò di corsa tenendosi il cappello fermo in testa, paonazzo in viso con un’espressione desolata. 

-Signore! Sign…! Oh… avete saputo…!- disse fermandosi ad un passo dal gruppo boccheggiando ed accennando ad un saluto sfiorandosi la fronte con le nocche.

-Precisamente!- brontolò Jack, le sopracciglia inarcate e assumendo una posizione impettita ed offesa portando le braccia dietro la schiena.

Suspance

-E’ chiaro che non può minimamente reggere il confronto con “Surprise”!- concluse esalando rumorosamente un sospiro indispettito.

-Lo dite solo perché ormai vi eravate abituato, Jack… e dopotutto cos’è un nome?- fece il dottore grattandosi la nuca con circospezione cercando di sdrammatizzare la cosa.

-Non abbiamo catturato una nave di contrabbandieri che si chiamava così, una volta?- Saltò su pensoso il signor Pullings incerto se pronunciare quelle parole.

-Beh signore …- azzardò il signor Mowett ondeggiando sulle punte dei piedi, -Forse potreste semplicemente…- Gettò uno sguardo furtivo alla nave quasi che questa lo stesse spiando di rimando, -Far cambiare il nome di nuovo!- rivolgendole un’ altra occhiata nervosa come se avesse appena offeso l’onore dell’imbarcazione e fosse in attesa dello schiaffo riparatorio…

Jack trasalì sbalordito con una alzata di sopracciglia e un bagliore negli occhi.

-William siete uscito di senno per caso?!-

-Beh signore…Pensavo solo che… dato che…- sorrise nervosamente avvampando in viso mentre Pullings gli batté amichevolmente una mano sulla spalla scuotendolo.

-Vorreste per caso attirarci addosso tutta la malasorte del mondo? Due volte magari?- lo interrogò Jack come se l’ufficiale fosse stato sotto accusa di fronte alla corte marziale.

-No certo che no signore…- fece risoluto ma con un certo imbarazzo.

-Credete forse che gli uomini siano così stupidi da non accorgersene?-

-Credo sia difficile, signore…- e lanciò un’altra occhiata a poppa della nave.

-E come la mettiamo con l’equipaggio e tutto il resto allora?-

Gli uomini sapevano a cosa Jack si riferisse con “il resto”; ovvero alla malasorte che ne sarebbe derivata da un gesto che per una persona al di fuori della marina, sarebbe sembrato cosa da poco.

-Nessuno avrà più il coraggio né la volontà, s’intende, di salire a bordo di una nave a cui è stato cambiato il nome!- rifletté ad alta voce come se gli altri non ci fossero e cominciò a passeggiare avanti e indietro con le mani dietro la schiena nero in viso, borbottando tra sé come un paiolo di minestra ribollente.  -E chi diavolo ha detto a quel filibustiere figlio di un cane di mettere mano al nome! Esigo di parlare con il capo cantiere immediatamente! E’ stato un gesto sconsiderato! Che sia dannato!- esplose al culmine dell’irritazione.

-Ma signore!- si ravvide Mowett pensieroso -Quella volta alle Galapagos… Voi faceste lo stesso!-

Jack arrestò il passo e voltandosi appena disse con fare offeso:

-Era diverso, William! Necessario!- fece impettito prendendo la via della banchina seguito da Stephen poco più indietro. Gli altri lo seguirono parlottando tra loro ma tendevano comunque un orecchio alla conversazione.

-Non ricordavo che in passato abbiate mai dimostrato segni di superstizione…- fece il dottore cercando di sminuire la cosa.

-Io no…- confermò il Capitano voltandosi, -Gli uomini sì! Abbiamo irlandesi a bordo?! -

Ci fu una breve pausa, quasi imbarazzante tra i presenti che fissarono Jack e Stephen.
-Io sono Irlandese Jack…- gli ricordò ovvio.

-Certo! Voglio dire… Intendevo irlandesi che possano tormentarci con sciocche superstizioni e che influenzino il giudizio del resto della ciurma! James Hanley è ancora con noi o alla fine è riuscito a svignarsela?-
-E’ morto di febbre sabato… Per vostra fortuna!- sussurrò queste ulte parole con fare confidenziale

-O’Malley credete che possa notarlo?- fece ignorando il commento sarcastico.
-Dubito addirittura che sappia leggere, signore, ma è probabile che noti la differenza!- Face William.

-Come supponevo!- disse dondolandosi sulle punte e le mani dietro la schiena fissando l’orizzonte con fare risoluto.

 

 

-Mi accompagnerete al ballo dalla Contessa più tardi?- quella domanda arrivò all’improvviso e aveva più il tono di una supplica. -Nulla di formale, non temete, dice che sarà un ballo in maschera!-

-Dalla Contessa?- prese tempo Stephen -Ma non sono stato invitato… E da cosa dovrei travestirmi?- 

-Sciocchezze! Vi invito io! Ora per l’appunto!- fece sospirando, la mente evidentemente a miglia e miglia di distanza dall’Opera e dalla cena delle contessa che avrebbe voluto saltare. -E poi un mio amico è sempre il benvenuto da e  Lady Keith intercederà, lo dice sempre!-

-Lo dice sempre solo per fare piacere a voi! Pur di vedervi e di compiacervi inviterebbe tutto l’ammiragliato e tutto l’ordine dei medici sparsi per l’impero!-

Jack si voltò a fissarlo, accigliato, indeciso se quella fosse una frecciatina mal celata o la semplice verità, nuda e cruda, ma riuscì comunque a strappargli un caldo sorriso.

-Non per dispiacervi, ma sapendo che eravate già organizzato per dopo l’Opera, avevo preso appuntamenti a mia volta! Pensavo di passare al convalescenziario a vedere se c’é bisogno di me, intendevo visitare personalmente alcuni degli uomini; il signor Williamson e Bonden hanno ancora la febbre… - sospirò. -tuttavia, sono di buona costituzione e mi sento cautamente fiducioso in una completa guarigione…- disse nonostante la sua voce suonasse mesta. -Sono riuscito a procurarmi della pulvis gesuiticus e vorrei cominciare la cura il prima possibile, sono già stati trattati in modo approssimativo e non vorrei comunque perdere tempo!-

Jack annuì grave ricordando il preciso istante in cui Bonden s’era accasciato nel bel mezzo della navigazione stremato dalla febbre; il morbo s’era diffuso a più membri dell’equipaggio due settimane dopo avere lasciato dimezzando le braccia per le manovre e all’arrivo dei turchi il destino della nave pareva già segnato, e una volta in porto l’equipaggio era rimasto bloccato in quarantena.

-Spero di non dover rinunciare a lui proprio ora! Detesterei dover partire e cercarmi un nuovo nocchiere…-sospirò pensieroso, -Ma d’altra parte è inutile angustiarsi ora... dopotutto non è ancora detto che dovremo ripartire a breve…- sospirò.

Stephen non rispose, un’altra preoccupazione era emersa nuovamente: jack non aveva portato a compimento la missione, quel atto gli era costato nave e missione e uno dei capitani della flotta, lo aveva citato all’ammiragliato per inadempimento ai doveri, cosa che per Jack suonava già abbastanza vergognoso e gettava un’onta sulla sua carriera, e ora si sarebbe dovuto presentare ai suoi superiori e rispondere all’accusa. 

Ciurma decimata.

Nocchiere in fin di vita.

Nave alla fonda con nome sbagliato.

Missione lasciata incompiuta.

La corte marziale l’indomani.

La sua reputazione infangata.

Cos’altro doveva succedere?

Alla fine le sue preoccupazioni lo trascinarono via dall’Opera, tutto lo irritava: il soprano, le luci, perfino convivere con se stesso in quel momento sembrava esser divenuto insopportabile. E mentre gli artisti eseguivano i loro brani si ritrovò a ripercorre mentalmente il discorso in sua difesa che avrebbe dovuto presentare all’ammiragliato, come era stato informato e l’appuntamento era stato fissato per metà mattina.

Tutto inutile: se fosse stato lui l’ufficiale superiore l’avrebbe degradato a mozzo o aiuto cuoco, privato della licenza da ufficiale e tutto il resto…  Calato il sipario si congedò dal dottore, che inutilmente cercò di dissuaderlo a restare fino alla fine, e cominciò a passeggiare per le strade del paese.

Era una bella serata, limpida e tirava una lieve brezza che odorava di mare, vernice fresca e pece, di sartie nuove, di cambio della marea e di alghe che seccavano sulla spiaggia. Provò un senso di nostalgia per cui si costrinse ad allontanarsi da lì, di cambiare meta.

Fin quando le campane di una chiese gli ricordarono il suo appuntamento di quella sera e del fatto che non era “vestito in maschera” come richiedeva l’occasione. Chissà forse la sua uniforme da “ex” capitano sarebbe stata comunque perfetta.

Consegnò la sua mantella al cameriere e il maggiordomo lo introdusse nella sala da ballo.

Era il nervosismo che lo rendeva così terribilmente insicuro e paranoico o effettivamente tutti lo fissavano al suo passaggio, parlottando sommessi, e le signore nascondevano il viso dietro i loro ventagli, dopo i primi convenevoli?

Doveva essere così, anche l’ammiraglio del porto lo accolse squisitamente, stringendogli calorosamente la mano, come se avesse ignorato la sua scandalosa situazione.

 

* * *

Non dovette attendere toppo nella sala d’aspetto dell’ammiragliato, ma prima di lui vi erano due ufficiali. Uno era un fante di marina che passeggiava avanti e indietro il che rese Jack ancora più nervoso, l’altro era  il capitano Travers, della Filibustier, che lo salutò con contegno iniziale. -Ho letto sulla Gazette dei vostri guai, signore…- fece continuando a fissare davanti a sé in direzione dell’ufficio dell’ammiraglio. I giornali come al solito non avevano perso tempo a riportare le sue gesta-, non doveva sorprendersi, non era un affronto personale, ma i giornali sopravvivevano grazie alle disgrazie altrui.

-Mi rammarico con voi!- proseguì mesto, -Brutto affare, terribile non c’è che dire… Ma mi auguro che la fortuna vi sorrida ancora, capitano Aubrey!-

Jack lo ringraziò con un semplice cenno del capo e un sorriso sforzato, anche se il suo istinto primordiale fu quello di mandarlo al diavolo, lui e la sua stramaledetta Filibustier!

La porta dell’ufficio si aprì e gli astanti si voltarono a vedere.

-Signor Pullings!- scattò su in piedi Jack andandogli incontro, -Tom! Che ci fate qui!?-

L’ufficiale lo salutò con il solito rispetto che avrebbe dimostrato a bordo, ma si rivelò di poche parole.

-Come mai quella faccia?-

Pullings si scostò appena  per lasciar passare Travers, lo salutò come richiedeva l’etichetta e la gerarchia militare e passò oltre.

-Signore…- indugiò il giovane, -Hanno di nuovo respinto la mia richiesta di promozione a capitano…- disse in un sussurro; era chiaro che provasse vergogna per questo; Tom era un bravo giovane, marinaio e ufficiale esperto e non meritava tutto questo.

-Tom mi dispiace moltissimo, mi ferisce profondamente sentire questo!- 

-Già!- commentò semplicemente, -Chissà, magari l’anno prossimo!- sorrise incerto togliendosi il cappello e mettendoselo sotto braccio. -Si erano proposti di affidarmi un brigantino, per una missione da niente nel Mediterraneo per l’Algeria…- proseguì, e Jack provò un moto quasi d’invidia; nell’incertezza come stava ora, avrebbe raccattato qualsiasi nave, anche il battello della posta se solo avesse voluto dire rimettersi in mare l’indomani con la prima marea. -ma ho rifiutato! Ho detto all’ammiraglio che sono a completa disposizione vostra, e che non intendo accettare nessuna missione finché  non sarete destinato!-

-Grazie Tom!- fece riacquistando il sorriso, fiero pensando che quel giovane era uno dei suoi ufficiali,-Tuttavia...- proseguì -C’è la possibilità che io non abbia una missione molto presto, signor Pullings… L’ammiraglio Harte non sarà certo accondiscendente…- fece portandosi le mani dietro la schiena ritta.

-Beh, signore non tutti i mali vengono per nuocere, e la vostra fortuna sta già girando: l’ammiraglio Harte non è qui!-

Dio sia lodato! Pensò Jack con un respiro profondo celando il suo sollievo. 

-Lord Melville era di buon umore e non vi darà troppo filo da torcere, signore!- sorrise il giovane. Mi auguro che sia così, Tom!

Pullings si congedò e Jack si accorse che anche il fante di marina alla fine era entrato nell’ufficio dell’ammiraglio. Ora era solo.

Si rimise a sede e impiegò gli ultimi minuti per ripassare mentalmente le parole della sua arringa, ma era giunto solo alla convenevole frase di scuse iniziale, quando la porta di mogano scuro si aprì e un fante di marina molto più rilassato ne uscì a passo deciso.

-Venite avanti Aubrey!- fu accolto una volta chiusa la porta alle sue spalle. -Sedete!- Lord Melville sedeva proteso in avanti, le mani davanti a sé su alcune carte densamente scritte, le dita intrecciate.

Jack si tolse il cappello e lo tenne sottobraccio, si schiarì la voce è si sedette attendendo di essere interpellato.

Ma Melville si mise a rovistare tra alcuni dispacci, -State bene capitano Aubrey?Avete ricevuto una batosta non da poco, giù al sud!-

-Signore,- cominciò Jack che non sapeva bene come interpretare le parole dell’ufficiale superiore, ma come aveva detto Pullings, pareva comunque di buon umore il fatto che si fosse interessato al suo stato d’animo gli parve comunque rassicurante promettente.

-So che non sono nelle condizioni di avanzare richieste, ma vi pregherei di farmi sapere per quanto tempo sarò sospeso dal servizio!-

-Buon Dio, Aubrey! Ho ricevuto il vostro rapporto sulla faccenda e ascoltato le deposizioni dei vostri ufficiali: non posso negare che la vostra sia stata una mossa superflua e azzardata, e che non la approvi, ma non ho mai licenziato un capitano per così poco... e non posso certo iniziare con voi! Su su state sereno! Animo-

-Davvero?- fece Jack dubbioso, ma visibilmente più sereno in viso -Ma io non portato a termine gli ordini!-

-Riceverete calorosi ringraziamenti dal capitano Mackillop, è lui che ha portato a termine la missione con successo, il che gli ha conferito la nomina di capitano di vascello!-

La nomina di Tom! pensò tra sé Jack. 

-Siete stato convocato, Capitano Aubrey, perchè vi devo affidare una missione…- l’Ammiraglio parlava stranamente in modo sommesso, come se nessuno dovesse sentire quello che aveva da dire.

-Ma prima che accettiate, vorrei che foste a conoscenza che questa sarà una faccenda piuttosto, ehm… delicata ed estremamente confidenziale! Non voglia che la notizia si sparga troppo in giro!-

-Signore, voi mi incuriosite!- fece Jack accigliato

-Sua Maestà il Re, è scomparso!-
Ci fu una lunga pausa.
Se in quel momento Jack avesse ricevuto un pugno allo stomaco, non avrebbe potuto essere più sconvolto di ora.

 

 

* * *

-Spero che vi renderete conto…- le apostrofò con una forte inflessione scozzese, quello che doveva essere il comandante, -Che tutto questo non passerà certo inosservato!- ringhiava. Era andato loro incontro a grandi passi dondolando nella marcia. I numerosi colpi di moschetto che avevano colpito la vettura non suscitarono in lui nessuna domanda, era troppo in ansia per altro e neppure quando scrutò il viso schizzato di sangue secco di Victoria non fece nessun appunto al riguardo; spalancò lo sportello che questa volta si scardinò definitivamente e afferrò Anne per un braccio trascinandola fuori e portandosela dietro senza ricevere una parola di protesta perchè la ragazza era troppo sconvolta per farlo, e solo quando le fu accanto con Margaret che le frignava accanto vide che la sorella era stata ferita e che un frammento di legno le sI era conficcato nella spalla da dove si stava allargando una macchia di sangue che le sporcava il vestito color caramello.

Era ancora buio, e c’erano poche fiaccole accese e alcuni uomini reggevano delle lanterne ma per il resto la sagoma del vascello si ergeva alta e possente contro il cielo stellato che cominciava a rannuvolarsi. -Papà?- piagnucolò Margaret strattonando il braccio della sorella; per qualche istante a Victoria parve meno terrorizzata, forse il pensiero che presto avrebbe visto il padre l’aveva rasserenata. E forse credeva che quel vascello fosse proprio una delle navi di suo padre e che ad attenderle sul castello di poppa mentre impartiva ordini alla ciurma ci sarebbe stato proprio lui…

-Ce ne avete messo di tempo!- brontolò l’uomo con un sigaro quasi alla fine stretto tra i denti, e imprecò accelerando di più il passo. Era corpulento, i capelli ingrigiti e untuosi gli incorniciavano il viso solcato da profonde rughe d’espressione. Perfino i suoi abiti erano scoloriti, per quel che riuscì a giudicare Victoria, e puzzavano terribilmente di sigaro.

-Credete forse di star per partire per la villeggiatura?- chiese sporgendosi in avanti per qualche secondo ignorando che Anne tremava come una foglia al vento.

-Ovviamente no… signor…?- tentò di rispondere Victoria che stava riacquistando un pò di lucidità.

-La mia nave non è un battello di linea!- berciò piccato, -Non siamo su una nave da crociera e non posso aspettare i vostri comodi! Muovetevi- fece con un cenno del capo e spingendo lungo la passerella Anne che a passi incerti e barcollando attraversò per salire a bordo. Poi fece lo stesso con le altre due e le spinse a bordo. -Spicciatevi! E voialtri: salpate l’ancora- intimò dando a Victoria una pacca alla schiena, e giunto a pochi passi da un boccaporto diede l’ordine agli uomini che stavano alle manovre. Poi scostò bruscamente Anne, la oltrepassò per fare strada. -Fate attenzione alla testa!- e imprecò di nuovo mentre discendeva la scaletta che conduceva sottocoperta, mentre sul ponte il sibilo del vento riempì le vele fino a farle gonfiare rapidamente e poco dopo la nave cominciò a scivolare via.

C’era un certo ordine in quel brulichio di persone, e disciplina: tutti lavoravano in silenzio, come se nessuno avesse bisogno di comunicare con gli altri.
-Avete su sacco di uomini armati, signor Finch…- disse Victoria incerta osservando l’andirivieni degli uomini che con in braccio il fucile smisero di parlare tra loro al loro passaggio, rivolgendole un cenno del capo, con un sorriso viscido che le procurò disgusto nel vedere i denti guastati dallo scorbuto. 

-La vostra deve essere una mercanzia molto preziosa signor Finch!- osservò Victoria che non era abituata a tenere per sé i suoi pensieri passando accanto a sacchi pieni e a casse che contenevano chissà quale mercato.

-Capitano Finch!- precisò l’uomo sbuffando voltandosi appena a vedere la ragazza e le sorelle che erano rimaste indietro. 

-Datevi una mossa!- berciò -Quando si viaggia per mare non si è mai troppo prudenti!- tagliò corto lui avanzando con la sua andatura dondolante a grandi passi, quasi come se il rollio della nave fosse ormai parte di lui.

-Che genere di affari trattate, capitano? Tessuti? Spezie?- chiese Victoria osservando le reti cariche di rifornimenti che venivano calate all’interno della nave attraverso i boccaporti, affrettò il passo per riuscire a star dietro all’uomo ma osservava le manovre di armamento con una tale attenzione che non si accorse che l’uomo s’era fermato di colpo e finì con sbattergli contro, trovandosi il faccione rubizzo che la fissava ad un palmo di distanza con il sigaro tra i denti e sbuffando fumo dalle narici.

-Chiariamo fin da subito una cosa, signorinella!- fece con la sua voce aspra, - Io non faccio domande a voi, e voi non ne fate a me!- 

La ragazza aprì la bocca per ribadire, ma fu subito interrotta dall’uomo che alzò ulteriormente il tono di voce.

-Potete prendere la mia cabina come alloggio per tutta l’attraversata, ma non dovete uscire per nessun motivo, intesi?-

-Si, ma…- fece lei.

In quel momento furono raggiunti anche da Anne che si stava trascinando appresso Margaret.

-E non voglio sentire questioni…- proseguì seguendo con lo sguardo le nuove arrivate inquadrandole subito, -Lamentele…- e qui si rivolse a Victoria, -…O piagnistei!- concluse chinandosi  minaccioso verso Margaret con le mani sui fianchi. La ragazzina si nascose dietro ad Anne.

-Avrete la vostra razione di acqua e cibo ogni giorno…- proseguì poi.
-Nessuna di noi vi darà fastidio, capitano…-
L’uomo sogghignò scettico e borbottò qualcosa tra sé.
-Se vi ammalerete ci sarà un dottore!- proseguì ad un passo da un uomo con una gamba di legno, che Victoria fissava incerta. -E’ un dottore vero?- chiese dubitando sulle doti del suddetto medico -E' un dannato damerino!- commentò sprezzante l’uomo, che evidentemente non aveva in simpatia il dottore di bordo, -E’ giovane, ma sa il fatto suo, e non fa mai troppe domande! Il che rappresenta di per sé un’ottima referenza per me!- 




Angolo dell'autore:
Ciao lettori! spero che la storia vi piaccia! come già preannunciato, scrivo per diletto, e ci tenevo anche a precisare che la storia non segue nessuna linea temporale, è completamente slegata dai fatti del film, in parte almeno, alcuni avvenimenti sono citati ma niente di più, come avete potuto notare infatti Il signor Pullings non è Capitano... 
Grazie ancora per leggere la storia, a presto!
Ciauu!

 

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