Tentazione e Pentimento

di Mentos E CocaCola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come tutto cambiò ***
Capitolo 2: *** Incontri ***
Capitolo 3: *** Desiderio ***
Capitolo 4: *** Gioco di potere ***
Capitolo 5: *** Famiglia ***
Capitolo 6: *** Cambiamenti ***
Capitolo 7: *** Umiliazioni ***
Capitolo 8: *** Sorpresa ***
Capitolo 9: *** Pensieri e menzogne ***
Capitolo 10: *** A caccia ***
Capitolo 11: *** Salvezza ***
Capitolo 12: *** Trasformazione ***
Capitolo 13: *** Confessioni ***
Capitolo 14: *** ALLONTANARSI ED AVVICINARSI ***
Capitolo 15: *** UNA SFIDA PERICOLOSA ***
Capitolo 16: *** UN REGALO AMARO ***



Capitolo 1
*** Come tutto cambiò ***


-Buongiorno zio Benjamin- disse Maria già vicina al camino, intenta ad accendere il fuoco.
-Buongiorno- rispose lui ancora assonato -Devo aiutarti per la colazione?-
-No, non ti preoccupare, è già tutto pronto- rispose la nipote, posando sul tavolo davanti allo zio una scodella di latte e due fette di pane spalmate di burro e marmellata.
Benjamin guardò sua nipote che si rimetteva ad alimentare il fuoco.
Era diventata una bellissima ragazza, i capelli ramati, gli occhi color del miele, le curve pronunciate, l’eleganza del portamento.
Se non avesse avuto sempre di che pagare i De Noir se la sarebbero presa e chissà che cosa ne avrebbero fatto.
L’uomo rabbrividì, cercando di scacciare quegli orribili pensieri, anche quell’anno sapeva come pagare.
-Bene, possiamo andare- disse l’uomo con un sospiro alzandosi deciso dalla tavola.
Lei corse nella stanza accanto e tornò dopo qualche minuto con il suo vestito migliore e i capelli raccolti in una crocchia.
Alcune ciocche le incorniciavano il viso e mettevano in risalto la sua carnagione lattea.
Il luogo del pagamento era un semplice tavolo, davanti alla Rocca dei De Noir, circondato da guardie e pieno di contadini che aspettavano il loro turno.
Maria aveva sempre odiato quel momento, quando quell’uomo tutto vestito di nero li squadrava con disprezzo, segnava il loro nome, raccoglieva i soldi in un sacchetto e li esortava ad andarsene in malo modo.
Anche questa volta l’esattore li guardò con disprezzo e contò i soldi.
Maria deglutì.
-Mancano tre scellini- disse lapidario.
Suo zio sbiancò mentre Maria gli si attaccava al braccio.
-T…tre scellini? Ma signore, sono dodici scellini come l’anno scorso-
-Le tasse sono aumentate, non lo sapete?-
Maria intervenne subito.
-Abitiamo molto isolati rispetto al villaggio, scusate, porremo rimedio entro il mese-
-Non credo proprio- disse una voce tagliente.
L’esattore guardò alle sue spalle e vide il capitano delle guardie, Gulaq, che si avvicinava con una mano posata minacciosa sulla pistola.
-Si deve pagare al momento, niente debiti-
Maria guardò suo zio allarmata, ma non trovò conforto nell’espressione terrorizzata dell’uomo.
Non avevano di che pagare, ogni anno arrivavano a malapena a quella somma.
Maria lo sapeva bene e sapeva anche cosa sarebbe successo se suo zio non avesse trovato quella somma -Allora, questi soldi?- insistette Gulaq, guardando freddamente l’uomo che gli stava di fronte.
Benjamin istintivamente si parò davanti a Maria per proteggerla.
-Ve li posso procurare entro la fine del mese, datemi più tempo…-
-Più tempo? – lo interruppe sprezzante il capitano delle guardie.
-Hai avuto un anno e ti serve ancora tempo? Non credo proprio-
Fece un cenno alle guardie e prima che Maria potesse fare qualsiasi cosa, l’avevano già afferrata e strappata via da suo zio.
-No vi prego, non fatelo, vi pagherò- urlò l’uomo tra le lacrime, cercando di strapparla via dalle mani dei soldati, ma uno di loro gli diede un pugno facendolo cadere a terra.
-Zio- urlò Maria -Zio, rispondete, state bene?-
Ma l’uomo se ne stava immobile con un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca.
Maria ammutolì non appena lo vide e si accasciò priva di forze tra le braccia dei soldati che la trascinarono verso la Rocca.
La ragazza voltò la testa per l’ultima volta e vide suo zio che veniva aiutato da alcuni contadini.





Ciao a tutti!! come state?
E' da tanto tempo che volevo riscrivere qualcosa su questa coppia stupenda ed eccomi qua!
Spero vi piaccia!
Se siete interessati sto anche pubblicando una fanfiction su Labyrinth e una su Liam Payne, se ci volete fare un salto mi farebbe molto piacere!
Alla prossima!

 

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Capitolo 2
*** Incontri ***


Tutte le serve del castello erano vestite di marrone, Maria invece doveva indossare un abito nero con il corpetto rosso. Erano i tipici colori dei debitori, se li sarebbe potuta togliere solo quando suo zio avrebbe pagato i tre scellini con gli interessi.
Maria sospirò mentre alimentava il fuoco in sala da pranzo.
Suo zio non sarebbe mai arrivato a quella somma, doveva già iniziare a pensare per il pagamento dell’anno dopo se non voleva a sua volta finire alla Rocca con l’illusione di una libertà che non sarebbe mai arrivata.
Prese il cesto che le stava accanto e uscì nel cortile della Rocca per dar da mangiare agli animali.
-Sei la ragazza del villaggio vero?-
La voce la fece sobbalzare, si voltò velocemente e vide un ragazzo appoggiato ad una delle colonne del porticato che circondava il cortile.
Era tutto vestito di nero come tutti i De Noir, era riccio e aveva degli occhi bellissimi, neri, profondi, in cui ci si poteva specchiare.
Era proprio un bel ragazzo e Maria se ne sarebbe accorta se non fosse stato tanto spaventata per il suo ghigno.
La ragazza annuì, poi continuò svelta a fare il suo lavoro. Voleva andarsene al più presto, quel ragazzo la metteva a disagio, sapeva che era qualcuno d’importante anche se non lo aveva mai visto, quell’aria arrogante era tipica dei potenti.
Maria si voltò stizzita dato che sentiva ancora il suo sguardo su di lei, che la esaminava.
-Chiedo il permesso di andare- disse con un inchino frettoloso.
-Abituati a questa vita, nessun debitore è mai uscito dal castello e credo che neanche tu ce la farai, tuo zio deve già iniziare a lavorare per riuscire a pagare i quindici scellini del prossimo anno. Rassegnati all’idea di rimanere qui per sempre-
Maria abbassò lo sguardo.
Sapeva che aveva ragione e la verità a volte è l’unica arma che distrugge la speranza.
-Perché mi state dicendo queste cose? Vi piace così tanto vedere il mio cuore spezzato e le mie lacrime?-
-Sto dicendo che siamo entrambi parte di uno stesso destino-
Maria lo guardò confusa e con una punta di interesse. Che cosa voleva dire? Di sicuro lui non era un debitore né tanto meno un comune servo…
Il ragazzo si accorse che i suoi occhi lo stavano scrutando e subito fece comparire sulle sue labbra un sorriso malizioso.
-Non ti preoccupare, farò in modo che il tuo soggiorno qui sia piacevole-
Maria subito indurì lo sguardo cogliendo la velata minaccia nelle sue parole.
Si inchinò freddamente e gli voltò le spalle per tornare svelta nelle cucine.
Aveva le guance in fiamme per la rabbia e la paura, nello sguardo di quel ragazzo non c’era traccia di scherno o di ironia, quella minaccia era reale e, anche se non voleva ammetterlo a se stessa, l’aveva impaurita.
Accelerò il passo e proprio in quel momento comparve dietro l’angolo una signora.
Maria non riuscì ad evitarla in tempo e si urtarono violentemente a vicenda.
-Scusatemi signora, ero sovrappensiero e non vi ho vista, perdonatemi-
Alle sue orecchie arrivò una risata argentina che la lasciò a bocca aperta per la sorpresa.
Alzò subito lo sguardo e incontrò due occhi dolci e sorridenti.
-Non vi preoccupate- disse la donna raccogliendo da terra il cestino di Maria e porgendoglielo.
Maria la guardò stupita. La donna che le stava davanti era decisamente di sangue De Noir e quindi come poteva dare del “voi” ad una serva?
-Vi ringrazio-
-Ma voi siete sconvolta! Venite nelle mie stanze troverete del tè, vi farà bene e se volete potete raccontarmi tutto-
Maria la guardò stupita ed allarmata allo stesso tempo, sicuramente quella signora era parente del ragazzo in cortile.
-Vi ringrazio ma devo tornare in cucina-
-Oh, potranno fare a meno di voi, non potete di certo lavorare in questo stato, venite-
Maria si arrese e seguì la sua padrona nelle sue stanze dove sul tavolo vi erano già due tazze ed una teiera fumante.
Maria fece per versare il tè, ma venne subito fermata.
-Ora mia cara raccontatemi tutto-
Maria sorseggiò il suo tè e poi guardò la donna.
-Ieri la mia vita è cambiata, mio zio non ha potuto pagare per intero la tassa e quindi mi sono ritrovata qui… ma ciò che mi ha sconvolto di più è stato, diciamo, uno spiacevole incontro che è avvenuto poco fa-
La donna la guardò preoccupata.
-Cos’è successo? Qualcuno vi ha fatto del male?-
-No… ma ha minacciato di farlo- sussurrò Maria ricordandosi dello sguardo e del ghigno del ragazzo.
-Chi è stato?- chiese rabbuiandosi.
Maria ammutolì abbassando lo sguardo e bevendo il suo tè.
-Vi prego ditemelo, non abbiate paura-
La ragazza sospirò.
-Era solo un ragazzo- sussurrò Maria cercando di non dar peso alla cosa.
La donna la guardò allarmata.
-Indossava una bombetta?-
-Sì…sì, ma non penso sia l’unico nella Rocca-
-Bambina mia, nessuno è attaccato alla sua bombetta come il principe-
Maria si sentì sprofondare, cosa poteva fare contro un principe? Come poteva anche solo sperare di difendersi?
-I-il principe?- sussurrò titubante dato che all’improvviso sentiva mancarle la voce.
-Sì, temo che il ragazzo che ti ha minacciata sia mio fratello, Robin De Noir-




CIAO A TUTTI, SPERO CHE IL CAPITOLO VI PIACCIA!

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Capitolo 3
*** Desiderio ***


La nuova stanza era proprio accanto a quella di Loveday.
Maria sospirò stendendosi sul letto, sì ora aveva un letto e non una branda sotto le scale di legno che portavano al piano degli appartamenti reali, aveva anche un vestito più dignitoso anche se sempre dei colori dei debitori e poteva portare i capelli sciolti e non stretti in una crocchia.
Per proteggerla Loveday aveva deciso di nominarla sua dama di compagnia ma Maria sentiva ancora su di sé il peso di quella minaccia.
-Maria Maria!-
Sentì Loveday correre lungo il corridoio.
La ragazza si alzò subito e aprì la porta.
-E’ successo qualcosa di grave?-
-Mio padre vuole vedervi e parlare con voi-
Coeur De Noir voleva vederla!
Loveday rise davanti alla sua espressione attonita.
-Dovete stare tranquilla, su venite!-
Maria cercò di abbozzare un sorriso e la seguì lungo il corridoio parlando del più e del meno.
Vide un’apertura nella roccia, senza alcuna porta, che si affacciava su delle scale di legno, all’apparenza anche abbastanza pericolanti, che scendevano verso la sala da pranzo dei De Noir.
Il cuore di Maria iniziò a battere più veloce quando vide che nella sala c’era anche Robin, cercò di tenere la testa bassa per non farsi riconoscere, ma prima o poi avrebbe dovuto parlare e la sua voce non poteva cambiare.
-Quindi mia figlia ti ha presa in simpatia…- disse Coeur De Noir rompendo il silenzio.
-Sì signore- rispose Maria alzando lo sguardo e puntandolo negli occhi dell’uomo.
Scorse Robin che la fissava appoggiato ad un angolo e maledì mentalmente i suoi capelli sciolti e il vestito che le lasciava le spalle scoperte e che risaltava le sue forme da donna.
-Sai almeno leggere e scrivere?-
-Sono andata a scuola e ho sempre letto molto-
Coeur De Noir la guardò beffardo.
-Bene, ma non ti montare la testa, resterai lo stesso qui al castello se tuo zio non paga la somma-
Maria abbassò lo sguardo. Questo lo sapeva bene e sapeva anche che suo zio non l’avrebbe mai riscattata.
-Padre, non siate così duro con lei- disse Loveday dolcemente avvicinandosi a Maria -Ha perso tutto ciò che aveva in pochissimo tempo, è stata catapultata in un mondo che non conosce e pieno di estranei-
Maria sentì le lacrime che le scorrevano lungo le guance, cercò di nasconderle abbassando il viso.
Non riusciva a restare lì con i tetri occhi di Coeur De Noir puntati su di lei.
-Chiedo il permesso di andare- sussurrò con voce strozzata e senza attendere risposta se ne andò velocemente, salì le scale e si rifugiò nel corridoio buio.
Appoggiò la testa al muro e iniziò a singhiozzare. Ripensò a suo zio, alla sua campagna, ai contadini del villaggio, a Wrolf il suo cane.
Sentì qualcuno prenderla rudemente per un braccio e trascinarla via.
Tra il velo delle lacrime vide dei riccioli scuri che contornavano una carnagione chiara.
-No, vi prego, lasciatemi… abbiate pietà!- urlò Maria con voce strozzata dal pianto, divincolandosi ma non riuscendo ad opporsi come avrebbe voluto.
La disperazione le aveva esaurito tutte le forze e non poteva fare altro che assecondare quella violenza.
Robin imbucò uno stretto passaggio che divenne presto un vicolo cieco.
Sentì la stretta sul suo braccio scomparire, si appoggiò mollemente a terra.
-Vi prego, lasciatemi andare- pregò ancora Maria singhiozzando.
Robin si accucciò davanti a lei.
-Non voglio farti niente, se vuoi piangere fallo qui, mio padre non sopporta i piagnistei e quel corridoio dove eri prima faceva eco- sussurrò spostandole lentamente i capelli dal viso.
Lei lo guardò negli occhi e vide che erano profondi, grandi e neri come due pozzi d’acqua.
-Come ti chiami?- le chiese.
-Maria Merryweather- sussurrò puntando ancora i suoi occhi miele scuro in quelli del ragazzo.
A Robin mancò il fiato, dal primo momento in cui l’aveva vista le era rimasta impressa.
Era la ragazza più bella che avesse mai visto, ma oltre all’aspetto aveva qualcosa che lo attraeva come un magnete e faceva scattare dentro di lui un lato oscuro, malizioso, voluttuoso che lo faceva sentire libero e legato a lei allo stesso tempo.
La desiderava. Già si immaginava il respiro sulla sua pelle, i suoi morbidi capelli che lo sfioravano e le sue unghie che lasciavano segni sulla sua schiena.
Le guance gli si accesero per l’eccitazione.
Scosse la testa come per svegliarsi e tornò a guardare l’oggetto del suo desiderio, della sua sfida contro la realtà.
-Mi farete del male?- sussurrò lei guardandolo di sottecchi.
-Ho già detto che…-
-Non intendo ora- lo interruppe lei nervosa- Ma in futuro-
Lo sguardo di Robin divenne duro e freddo, sentì il suo cuore diventare nero e il suo solito ghigno si fece spazio sulla sua bocca.
-Dipende da cosa intendi per “male”-
Sapeva benissimo cosa intendeva, se prometteva doveva dire addio al calore di quella donna.
-Lo sapete-
Robin la guardò e poi se ne andò senza rispondere, lasciando Maria nella paura-

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Capitolo 4
*** Gioco di potere ***


Maria ricamava in silenzio, apparentemente sembrava attenta al suo lavoro ma in realtà pensava continuamente a Robin e a quello che le aveva detto, o meglio, che non aveva detto in quello stretto corridoio.
Ogni volta che lo incontrava con i suoi amici, si guardavano di sfuggita e Maria ogni volta sentiva un peso sul petto che le impediva di respirare.
Sentiva ancora la sua minaccia e il suo silenzio dopo la domanda che gli aveva posto.
Si guardò il dito, si era punta con l’ago e una goccia di sangue le colorava il polpastrello.
Loveday la guardava preoccupata, Maria era completamente assente e nelle rare volte in cui tornava alla realtà si voltava a guardare la porta nervosa.
-Tutto bene?- le chiese mettendo da parte il ricamo.
Maria alzò lo sguardo lentamente, come se non la vedesse veramente.
-Sì, tutto bene, scusate se non sono di molte parole- sussurrò umilmente abbassando lo sguardo.
-E’ per via di Robin vero?-
La ragazza fu attraversata da un forte tremore.
-No, cosa dite? Voi mi proteggete e ora sono al sicuro-
Loveday sospirò.
-Maria, so che siete abbastanza intelligente da sapere benissimo di non essere al sicuro in qualunque posto voi andiate. Ne ho parlato con mio padre e non ha avuto la reazione che speravo. Ritiene normale che un ragazzo di ventun anni provi attrazione-
Maria abbassò il capo. Come sospettava!
I potenti erano tutti uguali, pomposi e arroganti, tanto da giocare con il corpo di quelli che ritenevano inferiori, come fossero giocattoli. Maria strinse con rabbia il ricamo, serrando la mascella.
Una guardia interruppe quella spiacevole situazione entrando di corsa nella stanza, fece un inchino frettoloso.
-Miss Loveday, un contadino chiede di essere ricevuto, vuole parlare con la vostra dama da compagnia.
Gli occhi di Maria si illuminarono… suo zio… ce l’aveva fatta…
Un leggero sorriso le increspò le labbra e prima di rendersene conto si ritrovò in piedi.
Loveday rise vedendo la ragazza così euforica e pensò a quanto sarebbe stato bello vederla sempre così, invece che con quella paura negli occhi scaturita dal suo stesso fratello.
-Vi accompagno Maria. Siete talmente felice da perdervi per il castello-
Maria la guardò ridendo.
-Sì, forse è meglio-
Le due donne seguirono la guardia.
Maria non riusciva neanche a parlare da quanto sentiva il cuore leggero.
Quella tortura era finita finalmente. Aveva passato solo due settimane in quel castello ma le erano sembrate un’eternità.
La guardia le precedette nella stanza dei ricevimenti e lasciò la porta aperta per far entrare Maria e Loveday.
Maria sgranò gli occhi e si immobilizzò, guardando l’uomo che gli stava davanti.
I suoi capelli erano radi e scuri, le guance rosse paonazze e stringeva il cappello nervosamente tra le mani.
Loveday notò il cambiamento dell’umore nella ragazza.
-Maria, cosa succede?- le sussurrò toccandole il braccio.
-Questo non è mio zio, è il falegname del villaggio, il signor Degweed-
Il contadino annuì.
-Salve Miss De Noir…-
Poi spostò lo sguardo sulla ragazza, che lo guardava confusa e delusa.
-Maria- sussurrò abbozzando un saluto con la testa.
-Degweed, dov’è mio zio? Pensavo che fosse lui… che si fosse fatto prestare dei soldi per pagare il riscatto…-
-Mi dispiace… ma tuo zio… dopo che ti hanno presa si è rinchiuso nella taverna ad ubriacarsi… dei tipi hanno provato a fregargli il borsello che portava, con una parte dei soldi che aveva raccolto per liberarti…ed è iniziata una rissa… tuo zio è stato preso dalle guardie ed incolpato di tutto… ora è in carcere…-
Le ultime parole dell’uomo furono come pugnalate.
Maria si lasciò cadere in ginocchio, senza dire neanche una parola.
-Mi dispiace provocarti questo dolore, Maria. Stiamo provando a raccogliere noi i soldi per riscattarti, ma sai come era tuo zio, si è sempre tenuto a distanza da tutti e non molti sono disponibili a donare una parte del proprio raccolto per aiutare una persona che conoscono appena di vista-
Maria annuì debolmente, capiva benissimo… gli abitanti del villaggio erano troppo poveri e con troppi figli per aiutare la nipote di un uomo così burbero da abitare ai confini della foresta di Moonacre.
Loveday congedò l’uomo con un sorriso e lo ringraziò per l’informazione, che anche se spiacevole, era necessaria.
Maria se ne stava ancora a terra, con lo sguardo attonito rivolto verso il pavimento.
Sentì a malapena la voce di Loveday che le diceva che la lasciava sola per un po', ma che se avesse avuto bisogno di lei l’avrebbe trovata nella sua stanza.
La porta si chiuse alle sue spalle.
Sola finalmente…
Era tutta colpa di quei De Noir, della loro tirannia e avarizia.
Li odiava, li odiava con tutta se stessa.
Colpì il pavimento con un pugno, strinse i denti per il dolore, ma lo ignorò.
Colpì un’altra volta la dura pietra, lanciando un grido di rabbia e frustrazione.
Un altro ed un altro ancora, tanto che la pietra iniziò a sporcarsi di sangue.
-Se continui così, ti spaccherai le mani e rovinerai il pavimento- disse con ironia una voce dietro di lei.
Maria si immobilizzò riconoscendo la voce di Robin.
-Vattene- disse duramente.
-Come scusa?- chiese lui lentamente, facendo finta di non capire, scrutandola sorpreso.
-Ho detto che te ne devi andare- disse Maria risoluta ed immobile, tremando solo per la rabbia.
Robin si staccò dal muro su cui era appoggiato, le girò intorno con lo sguardo fisso su di lei, come un felino con la sua preda, per poi fermarsele davanti, con i piedi ad una spanna dal viso della giovane.
Si piegò verso di lei.
-Credo di non aver sentito bene, tu, una serva, contadina e debitrice hai appena detto ad un principe di andarsene?- disse piano, scandendo parola per parola. Le stava dando la possibilità di ritrattare, di scusarsi e lui avrebbe chiuso un occhio dopo quell’affronto, come se non fosse mai successo.
Maria puntò i suoi occhi in quelli di lui. Non c’era traccia di paura, né di rispetto in quelle iridi color del miele.
-Esattamente De Noir- disse la ragazza con un tono di superiorità che fece dubitare Robin su chi fosse veramente il servo in quella stanza.
-Tu…- pronunciò con odio il ragazzo, assottigliando lo sguardo -Come osi?-
Maria si alzò in piedi con rabbia.
-Io oso, oh sì che oso, per colpa vostra, di voi sporchi De Noir…-
Robin le prese con rabbia un braccio stringendola e spingendola verso la parete, finchè non sentì la schiena di lei toccare la parete.
-Non dire mai più una cosa del genere, hai capito?- le urlò Robin in faccia, mentre le stringeva rudemente il braccio.
Maria repressa a fatica una smorfia di dolore per non darla vinta a quel ragazzo borioso, ma le si inumidirono gli occhi per la rabbia e il senso di impotenza che le attanagliava lo stomaco. Nonostante ciò il suo sguardo rimaneva fiero e sprezzante nei confronti di Robin, che dal canto suo sentiva crescere la rabbia per l’insolenza di quella servetta.
-Guardami bene- disse Robin con un tono di voce stranamente calmo in confronto alla rabbia che si riusciva ad intravedere nel suo sguardo. Le prese il mento e avvicinò il suo volto a quello della ragazza.
-Ho sentito quello che ti ha detto quel contadino e hai capito anche tu che passerai la tua intera esistenza qua dentro, quindi cerca di renderti le cose facili, eh! Mio padre non è comprensivo come me, se gli avessi detto quello che hai detto a me a quest’ora avevi già la testa fracassata su un muro, ti è chiaro il concetto ragazzina?-
Maria strinse i denti per la rabbia ma annuii.
-Bene- sussurrò il ragazzo lasciandole il viso, ma non spostandosi neanche di mezzo millimetro -Accetta il tuo destino da pezzente-
Maria avvicinò ancora di più il suo viso a quello di Robin, in atteggiamento di sfida.
-Mai-
E prima che se ne rendesse conto, sentì le labbra di Robin premere sulle sue con forza, in maniera fredda e prepotente, mentre una mano di lui le stringeva la vita in maniera possessiva.
Maria cercò di spingerlo via e quando Robin si staccò la ragazza vide nei suoi occhi neri una scintilla di divertimento.
-Questo è per dimostrarti che di te posso fare quello che voglio, anche farti mia su questo tavolo se ne ho voglia-

 



CIAO COME STATE?  VI PIACE IL CAPITOLO?

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Capitolo 5
*** Famiglia ***


Maria si svegliò di soprassalto, zuppa di sudore e con la treccia che le raccoglieva i capelli completamente sfatta.
Scese dal letto e si avvicinò alla finestra della sua stanza, stringendosi tra le sue braccia per il freddo.
Da quella finestra poteva intravedere il suo villaggio, che in quel momento veniva illuminato dalle prime luci dell’alba che disegnavano a terra le lunghe ombre delle capanne dei contadini.
Ma dalla Rocca non riusciva a vedere casa sua, molto più isolata rispetto al villaggio.
Quanto le piaceva la solitudine, il silenzio della foresta, invece del vociare insopportabile che sentiva nel castello.
Sospirò ripensando ai momenti felici passati con suo zio, quando gli unici pericoli erano i cinghiali che rovinavano il raccolto o i lupi solitari in inverno, dei pericoli che sembravano molto più facili da gestire rispetto a quelli del mondo fuori dalla foresta.
Si toccò lentamente le labbra dove ancora sentiva quel bacio, anche se violava del tutto il significato di quel termine. Era più un segno di supremazia, non una dimostrazione di affetto.
Robin l’avrebbe pagata, l’avrebbe pagata molto cara.
Sentì qualcuno bussare alla porta.
Era appena l’alba… chi poteva essere così presto?
-Avanti-
Il suo sguardo si indurì vedendo chi era appena entrato dalla porta.
Di nuovo lui…
Il ragazzo dai riccioli scuri indossava la sua giacca di pelle aperta, lasciando intravedere il petto totalmente nudo. Evidentemente si era svegliato e vestito di fretta in furia.
Guardò con malizia Maria che indossava solo la sua camicia da notte che le lasciava una spalla scoperta.
La ragazza si coprì subito, tirando su la manica.
-Buongiorno Maria- sussurrò lui sarcastico, come se non volesse che qualcun altro oltre a lei lo sentisse.
La ragazza non rispose nemmeno e tornò a guardare fuori dalla finestra ignorando il ragazzo.
Quanto avrebbe voluto trovarsi in quel villaggio in quel momento.
Sentì Robin avvicinarsi e spostare la tenda a coprire la finestra così da impedire che la ragazza guardasse fuori.
Maria si girò verso di lui, cercando di apparire indifferente, mentre temeva solamente che la stessa scena del giorno precedente si ripetesse.
-Perché sei qui?- gli chiese.
Robin fece una risata ironica.
-Finalmente! Avevo paura che ti fossi offesa per ieri e che non mi avresti parlato- disse schernendola.
Maria non reagì, sperando solo che in questo modo se ne sarebbe andato più velocemente.
-Comunque spero proprio che tu capisca che non sia il caso di dire del nostro bacio a mia sorella. Sai com’è… ho molto pudore per queste cose e… mi arrabbierei veramente tanto se lo venisse a sapere, non so se mi spiego-
Maria colse la velata minaccia e annuì. Distolse subito lo sguardo verso la tenda chiusa, l’aprì e si rimise a guardare la valle di Moonacre.
Il silenzio regnava nella stanza, tanto che Maria si voltò verso di lui per vedere se se ne fosse andato senza far rumore, ma lui era ancora lì intento a guardarla.
-C’è qualcos’altro?- chiese con voce spenta ed aria assente.
-Hai qualcuno che ti aspetta al villaggio, oltre a tuo zio?-
Maria si lasciò sfuggire uno sguardo stupito, Robin per la prima volta sembrava serio.
-Solo il mio cane, Wrolf-
Robin si avvicinò alla finestra e si appoggiò al muro, con le braccia sul petto, per poi volgere il suo sguardo all’esterno.
-Ti manca?-
-Molto, mi manca tutto di là fuori, la brina che copriva i campi la mattina, l’odore dell’erba dopo la pioggia, il vento tra i capelli… era bellissimo… faticoso certamente, ma bellissimo. Ogni medaglia ha il suo rovescio, no?-  disse asciugandosi una lacrima di sfuggita, guardando Robin, che aveva ancora lo sguardo puntato fuori dalla finestra.
Annuì leggermente.
La porta si spalancò all’improvviso facendo sobbalzare i due giovani,  Loveday entrò di corsa, ma si bloccò vedendo suo fratello sulla finestra.
-Cosa succede qui?- chiese duramente guardando Robin che lanciò uno sguardo d’intesa a Maria, per poi guardare sua sorella con un’espressione strafottente.
-Niente di che sorella, non posso fare conoscenza con la tua dama? voglio solo farla sentire più accolta, come hai detto tu qua non conosce nessuno-
Loveday volse il suo sguardo verso Maria.
-E’ vero? È venuto solo a parlare o ti ha importunata?-
Robin guardò con la coda dell’occhio la ragazza che si accarezzò le braccia.
-Non mi ha importunata-
-Bene- disse Loveday, poco convinta, guardandoli entrambi più volte, mentre Robin le rivolgeva una finta occhiata innocente che la fece insospettire ancor di più.
-Comunque ero venuta a dirti che mi piacerebbe se venissi con me a fare una passeggiata a cavallo-
Gli occhi di Maria si illuminarono e un sorriso le comparve sul volto.
-Mi piacerebbe tantissimo!-
-Bene- disse Loveday sorridendo per poi andarsene dalla stanza chiudendo la porta, lasciando soli ancora una volta i due ragazzi.
-Buona cavalcata allora. Sembra che Loveday abbia esaudito i tuoi desideri- disse ironico Robin, per poi uscire anche lui dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
La brughiera quella mattina era veramente bellissima, da lasciare Maria con il fiato sospeso. Le gocce di rugiada si dissolvevano in una nebbiolina che avvolgeva e nascondeva gli zoccoli dei cavalli delle due giovani donne.
Maria respirava a pieni polmoni quell’aria frizzante che le pungeva le guance.
-Ti deve mancare molto tutto questo- disse Loveday guardandola con una punta di compassione che Maria notò.
-Sì, ma sono sicura che presto riuscirò a tornarci- rispose la ragazza, cercando di non far trapelare la nostalgia che sentiva avvolgerle il cuore.
Proseguirono la passeggiata in silenzio, si sentiva solo il frusciare dell’erba sotto gli zoccoli dei due cavalli.
-Maria… Robin ti ha fatto del male?- chiese Loveday così all’improvviso che colse impreparata la ragazza. Uno sguardo smarrito sfuggì a Maria, che subito si ricompose.
-No affatto- mentì – Non mi ha nemmeno sfiorato-
-Non aver paura di dirmi la verità, anche se è mio fratello se fa qualcosa di sbagliato lo devo punire, in quanto sorella maggiore. Nostra madre non c’è più e sono io a dovermi occupare della sua educazione, ma a quanto pare la vicinanza con nostro padre lo ha cambiato in peggio. Prima era un caro ragazzo, passavamo tanto tempo insieme, ma ora…-
Loveday sembrava assorta nei suoi pensieri, Maria era sicura di aver visto una lacrima scorrerle lungo la guancia.
-Non mi ha fatto nulla, veramente- ripeté Maria per tranquillizzarla.
E poi, non poteva raccontarle quello che era successo, Robin era stato chiaro: Loveday non doveva sapere nulla e Maria ebbe il sospetto che non fosse per la punizione che gli sarebbe spettata, quanto per non addolorare la sorella.
E fu in quel momento che Maria ebbe il sospetto che in Robin fosse rimasto qualcosa di buono.

CIAO RAGAZZUOLIIII!!! ECCO UN NUOVO CAPITOLO! E RINGRAZIO CHI HA INIZIATO A SEGUIRE LA STORIA!
 

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Capitolo 6
*** Cambiamenti ***


Maria guardava il villaggio, così vicino eppure così lontano, cosa non avrebbe dato per rivedere anche solo una volta la sua casa, il suo cane, che chissà che fine aveva fatto, e suo zio… in carcere, per un malinteso.
Rise amaramente, la sua vita si era trasformata in qualcosa di orribile in così poco tempo, che le sembrava di vivere la vita di qualcun altro.
Se solo ci fosse stato un modo per cambiare le cose… cosa facevano gli eroi dei suoi libri, quando si ritrovavano in una situazione di oppressione?
Si ribellavano.
Un’idea le balenò in testa mentre cavalcava con Loveday accanto.
Lei era veloce, oh sì se lo era, e conosceva quei posti come le sue tasche, cosa che non poteva dire sicuramente di Loveday che raramente nella sua vita doveva aver messo un piede fuori dal castello.
Guardò con la coda dell’occhio Loveday, che guardava sorridente il ruscello.
Maria cercò di ignorare il senso di colpa, quella donna era stata sempre buona con lei e l’aveva protetta, ma non era un uccellino in gabbia. Aveva bisogno di volare libera, senza mura intorno.
-Se facessimo una gara di corsa?- propose Maria, fingendo un sorriso.
-Perché no?- disse sorridente Loveday.
-Da qui al limitare della foresta di Moonacre-
-Vincerò sicuramente io- disse Loveday, facendole l’occhiolino ridendo.
Maria abbassò lo sguardo, cercando di sorridere.
Quel sorriso che le era stato rivolto presto si sarebbe trasformato in una smorfia di delusione e di dolore, ma anelava la libertà più di qualsiasi altra cosa.
Sentì a malapena il via di Loveday, che spronò il cavallo alla corsa. Doveva essere veloce, veloce e prudente.
-Yah Yah, vai, vai!- urlava frustando il cavallo con le redini.
Non si voltò indietro nemmeno una volta, sentiva solo le grida di Loveday che le dicevano di rallentare, che aveva vinto.
Sì, aveva vinto la gara, ma doveva vincere anche la sua battaglia.
Scese da cavallo velocemente e si addentrò nella foresta dove la vegetazione era troppo fitta per muoversi agilmente su una cavalcatura.
Le grida di Loveday le arrivarono nitide alle orecchie.
-Maria! Maria! Dove sei?-  chiamava senza sosta.
La ragazza correva nella foresta, alimentata dalla forza della disperazione, tanto da distanziare la De Noir, che era appena arrivata al limite della foresta.
Doveva trovare quell’albero cavo in cui ci si era nascosta tempo prima dopo una delle rare litigate con suo zio, si sarebbe nascosta lì fino all’imbrunire e con il buio avrebbe ripreso la sua fuga.
Vide il suo obiettivo in lontananza e sorrise, il cuore le martellava nel petto senza sosta per la corsa e l’emozione.
Ma l’entusiasmo le offuscava i sensi, tanto che solo all’ultimo si accorse di quella figura che la bloccò, buttandola a terra.
Gulaq, il capitano delle guardie era di fronte a lei, che la guardava dall’alto in basso, puntandole la pistola contro.
-Dove credi di andare ragazzina?- le disse in tono minaccioso.
La sua breve fuga era terminata.
Ora l’attendeva il peggio.
 
Couer De Noir se ne stava seduto su quello che doveva essere il suo trono, anche se sembrava solo una vecchia sedia che doveva aver visto tempi migliori, con il braccio appoggiato al bracciolo e con la mano intenta a tenersi la testa.
Dopo il resoconto di Gulaq non aveva ancora detto una parola, si limitava solo a guardare Maria, che non aveva abbassato lo sguardo neanche per una volta.
Aveva incastrata tra i capelli qualche foglia, che doveva essere rimasta lì quando era caduta a terra.
-Quindi tu avresti tentato di scappare, dopo che mia figlia ti ha nominato dama da compagnia?- chiese con una lentezza e calma irreale che le fece scendere un brivido lungo la schiena.
La ragazza spostò per un attimo lo sguardo di fianco al Signore dei De Noir, verso Loveday, che se ne stava a capo chino per la delusione, poi lo spostò dall’altra parte, lanciando una fugace occhiata a Robin che la guardava con un sorrisetto divertito.
Quella ragazza non smetteva di stupirlo, non sapeva se definirla coraggiosa o stupida.
Poi Maria riportò la sua attenzione sul padre dei due.
-Sì- rispose senza aggiungere altro.
il De Noi la guardò con odio facendola rabbrividire. Nessuno l’aveva mai guardata così e sapeva, anche da quello che le aveva detto Robin, che quell’uomo non perdonava facilmente e che forse non avrebbe rivisto mai più la luce del sole.
-Molto bene… questa notte verrai legata ad un albero e verrai sbranata dai nostri cani. Sicuramente sarai di loro gradimento-
Il mento di Maria tremò violentemente, no, non poteva piangere davanti a lui e davanti a Robin. Lo guardò solo per un attimo e vide che il sorrisetto divertito che prima aveva sulle labbra ora era scomparso e guardava il padre come se non credesse a quello che aveva appena sentito.
-Padre- sussurrò Loveday con la voce rotta dal pianto -Ti prego, abbi pietà di lei. Io non sono arrabbiata con lei, è comprensibile quello che ha fatto, voleva solo tornare a casa. Giusto l’altro giorno le hanno riferito che suo zio si trova in prigione per un malinteso. La disperazione fa fare brutte cose- concluse Loveday, guardando il padre con ansia.
Maria la guardava incredula con le lacrime agli occhi.
Couer De Noir stette in silenzio per un po', guardando Maria per tutto il tempo, esaminando ogni centimetro del suo corpo.
-Va bene, mi hai convinto figlia mia, ma non voglio più che sia la tua dama da compagnia. Sarà declassata a semplice serva e tu…- disse voltandosi verso sua figlia – tu, ti sei fatta ingannare da questa puttana, sei una stupida ed ora supplichi per la sua salvezza. Sei debole e deludente. Te l’ho detto più volte ed ora mi sono stancato-
Maria aveva gli occhi sgranati e il cuore dilaniato dal senso di colpa, Robin guardava il padre con gli occhi sgranati, incredulo, mentre Loveday se ne stava a testa alta, senza battere ciglio come se quelle parole non le fossero arrivate per niente.
-Tu sarai bandita da questa Rocca. Non sei degna di restare qui, non sei degna di essere mia figlia- disse lapidario, per poi uscire dalla Sala del Trono.
Robin si avvicinò alla sorella e le sfiorò un braccio.
-Non può essere… sicuramente ci ripenserà. Era solo arrabbiato- disse agitato, cercando di trovare una soluzione.
-Robin, sai anche tu che quando prende una decisione, è quella- sussurrò Loveday con le lacrime agli occhi.
Maria cadde in ginocchio con quella scena di amore fraterno sotto gli occhi.
-Loveday…- cercò di dire, anche se non sapeva se quel suono che era riuscita a dire fosse risultato comprensibile.
Robin si voltò di scatto, si era completamente dimenticato della presenza di quella sguattera che aveva rovinato la sua famiglia. Si avvicinò a lei a grandi passi, tirando fuori il coltello dalla fondina.
-Tu…- urlò con gli occhi iniettati di sangue prendendo Maria per un braccio per farla alzare – è tutta colpa tua e della tua fuga. Prima tuo zio finisce in galera, poi rovini la vita a mia sorella. Chissà perché tutti quelli vicini a te finiscono male-
Maria non si ribellava, quelle parole la ferivano come coltelli, soprattutto per una ragione: perché erano vere. Aveva il potere di rovinare ogni cosa… ed ora altri pagavano le conseguenze delle sue azioni.
-Robin fermati!- comandò Loveday.
Il ragazzo si bloccò sorpreso, voltandosi verso sua sorella.
-Ma, ti ha rovinato la vita… -
-Ha fatto solo ciò che avremmo fatto tutti – la donna si avvicinava a Maria lentamente, cercando di guardarla negli occhi, ma la ragazza se ne stava con gli occhi fissi a terra per la vergogna ed il rimorso, con le guance rigate di lacrime -Maria non è cattiva, mi vuole bene, l’ho visto nei suoi occhi poco prima che fuggisse. Io avevo capito tutto e sapevo che stava facendo la cosa giusta. E sai come lo sapevo Robin? Perché era quello che avrei fatto anch’io- finii di dire proprio davanti a Maria.
Le sfiorò una guancia, asciugandole una lacrima.
-Ehi… va tutto bene, piccola mia- le sussurrò dolcemente baciandole la fronte, come fa una mamma con il suo bambino.
Maria esplose in un pianto disperato e si tuffò tra le braccia della donna.
-Mi dispiace, mi dispiace veramente tanto. Non avrei mai immaginato che ti avrebbero punita… - tentò di dire tra le lacrime, mentre Loveday le accarezzava la schiena e i capelli.
-Lo so, lo so… non ti preoccupare, io starò bene-
La ragazza si staccò leggermente dal corpo di Loveday, giusto per mettere la mano in tasca e tirarne fuori una chiave.
La diede alla donna.
-Questa è la chiave della mia capanna, non vi abita più nessuno. Forse c’è solo il mio cane, Wrolf, ti ringhierà contro ma poi inizierà a scodinzolare, è proprio un cane da guardia inutile,
 non fa male ad una mosca – entrambe risero tra le lacrime, anche Robin si passò furtivamente la mano sugli occhi, per asciugarne una che gli era sfuggita dalle ciglia – abbiamo il pozzo sul retro della casa- continuò a spiegare Maria, cercando di ricordarsi tutto quello che poteva essere utile -abbiamo scorte di cibo in cantina. La casa è facile da trovare, è l’unica ai margini della foresta-
Loveday e Maria si abbracciarono, rassegnandosi alle loro nuove vite.



CIAO A TUTTI, ECCO UN NUOVO CAPITOLO!

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Capitolo 7
*** Umiliazioni ***


Il vestito di Maria era nero, d’altronde era difficile immaginare un altro colore in quel posto tetro dove anche i porta fiaccole sembravano degli esseri mostruosi.
Si guardò allo specchio e vide che quel misero vestito aveva una scollatura troppo profonda per i suoi gusti e il corpetto rosso lasciava troppo poco spazio all’immaginazione, legò i capelli in una lunga treccia laterale e seguì le altre donne che continuavano a lanciarle sguardi guardinghi per poi mettersi a parlottare tra loro, isolandola completamente.
Dopo più di un’ora passata a strofinare il pavimento della Sala del Trono, Maria non sentiva più le braccia e la schiena e la disperazione di certo non le era di aiuto.
Sentii qualcuno fermarsi davanti a lei, alzò lo sguardo dal pavimento per guardare quei due stivali neri sporchi di terra che le si erano piazzati davanti, proprio sul pavimento che aveva appena pulito.
Sospirò, sollevando la testa e si ritrovò un paio di occhi neri e profondi che la guardavano con ironia, un mezzo sorriso e dei capelli ricci coperti da una bombetta.
Decise di distogliere lo sguardo e di continuare imperterrita il suo lavoro.
-Già che ci sei, puliscimi gli stivali sguattera!-
Maria si bloccò e alzò lo sguardo.
Robin la guardava con un ghigno perfido.
-Puoi pulirteli anche da solo, hai qualche problema alle mani per caso?-
Robin si irrigidì.
-Forse non hai capito la tua situazione, ragazzina. Sei tornata ad essere una serva e questo significa che se ti do un ordine tu lo esegui senza fiatare-
Maria gli lanciò uno sguardo strafottente e continuò a strofinare il pavimento.
-Altrimenti? La cosa peggiore che possiate farmi è licenziarmi e in realtà sarebbe tutto un guadagno per me-
Robin fece una risatina sarcastica e mise le mani sui fianchi abbassandosi verso di lei.
-Non pensare che siamo così stupidi. Potresti sentire le grida di tuo zio dalle prigioni fino a qui-
Maria sgranò gli occhi per lo smarrimento, si alzò frettolosamente in piedi, prese Robin per il colletto della giacca come per pregarlo e piantò i suoi occhi spaventati in quelli sorpresi del ragazzo.
-Dimmi che non farete mai una cosa del genere, promettimelo! Mio zio è l’unica persona che mi resta, non potete portarmela via-
Robin sentì un brivido lungo la schiena quando la sentì tremare tra le sue braccia e in più in quel povero vestito era ancora più bella e desiderabile.
-Credo che tu non abbia capito neanche la mia di situazione, io eseguo gli ordini e non mi devo porre domande, altrimenti quello che hai visto ieri si ripeterà ed io non sono disposto ad accettare una cosa simile come ha fatto mia sorella-
Maria addolcì lo sguardo che restò comunque sempre deciso.
-Beh, siamo entrambi intrappolati qui contro la nostra volontà. La nostra situazione è molto simile dopotutto-
Robin serrò la mascella e si staccò bruscamente da lei.
-Non credere di riuscire a convincermi ad aiutarti, non puoi essere così sciocca! Io sono praticamente il principe di questo posto, tu una pezzente senza prospettiva-
Maria lo guardò duramente per poi abbassare lo sguardo e chinarsi di nuovo, prese una spazzola e si mise a strofinare gli stivali del ragazzo che la guardò confuso.
Era una ragazza combattiva, non c’era dubbio, non poteva credere che con tutte quelle provocazioni ed insulti avesse abbassato la esta e si fosse messa a pulirgli gli stivali.
-Ho finito, adesso devo continuare il mio lavoro-
Robin se ne andò senza una parola, sinceramente sorpreso dal comportamento della ragazza.
Si guardò gli stivali e sentì la rabbia salirgli in viso.
Erano tutti rigati a causa della spazzola troppo dura.
Quella ragazza era un osso duro e a Robin questo piaceva.
 
Maria sentì le risate sguaiate provenire dal Grande Salone.
Sospirò sapendo che l’abito che ora indossava aveva una scollatura fin troppo provocante per un banchetto per soli uomini a quell’ora piuttosto ubriachi.
Maria si aggiustò la treccia e prese uno dei vassoi.
Le altre donne sembravano tranquille, quindi non ci doveva essere pericolo di una qualche violenza.
Non appena entrò nella Sala, sentì l’odore dell’alcol e della carne arrostita, sentì lo stomaco brontolare al solo pensiero che era da nove ore che non mangiava.
Lasciò il vassoio sul tavolo sotto lo sguardo di Couer De Noir che fece colorare di rabbia le guance della ragazza.
Fece un inchino beffardo e fece per andarsene quando sentì una presa forte intorno alla vita, si sentì trascinare quasi dolcemente e percepì un volto affondarle nella sua schiena.
La ragazza si voltò e vide Robin, che la stringeva completamente ubriaco.
-E’ stato divertente lo scherzo di ieri- sussurrò con la bocca a contatto con la sua schiena.
Nella confusione generale, Maria lo sentì, forse più per la sensazione sulla sua pelle che per il volume della voce.
-Era ciò che meritavi per quello che avevi detto- rispose lei mentre cercava di allentare la presa intorno alla sua vita, di rimando lui non fece altro che stringere ancora di più.
-Lasciami- sibilò per poi dargli un calcio sullo stinco.
Robin si piegò in due dal dolore lasciando la presa.
Maria cercò di correre via ma un ragazzo con una benda sull’occhio si alzò.
-Tu sei la sguattera debitrice che dicono porti sfortuna!- biascicò, prendendo dal suo piatto del purè per poi tirarglielo e colpirla sulla guancia.
-Sì, è lei! – gracchiò un altro tirandole qualcosa di molliccio che le fece venire la nausea.
Scivolò e cadde sul pavimento, sentiva ancora il cibo che le pioveva addosso.
Si alzò a fatica e corse via dalla sala, l’ultima cosa che vide prima di chiudere la porta fu lo sguardo indecifrabile di Robin che se ne stava ancora seduto tra quella folla urlante e quello di sfida di Coeur De Noir.
Maria si appoggiò al muro e scoppiò in un pianto liberatorio: si sentiva così sola e impotente, nessuno se non Loveday le aveva mostrato un po' di attenzione e pietà, solo sguardi ostili e umiliazioni.
Sarebbe stata quella la sua vita, chiusa tra le mura di un castello, come un uccellino in gabbia?


CIAO A TUTTI! ECCO UN NUOVO CAPITOLO! SPERO VI PIACCIA ANCHE SE NON SENTO NESSUNO
 

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Capitolo 8
*** Sorpresa ***


Loveday spalancò la porta della capanna, l’odore di chiuso e di polvere le arrivò alle narici.
Chiuse a doppia mandata la porta dietro di sé e si avvicinò al focolare, dato che il sole stava calando e il freddo le stava penetrando attraverso i vestiti.
Aprì un baule di legno vicino al camino e vi trovò della legna.
Accese il fuoco con l’acciarino e iniziò ad alimentarlo, mentre si stringeva nel mantello che aveva sulle spalle.
Guardava il fuoco pensierosa, che in quel momento era l’unica cosa che la confortava. Ora sapeva come si sentiva Maria quando suo zio non era riuscito a pagare tutta la tassa.
Suo zio…un’idea le balenò in testa che le portò un sorriso sulle labbra.
Avrebbe liberato lo zio di Maria dal carcere, nella speranza che lui l’avrebbe accolta a casa sua.
 
Maria si appoggiò al muro, i capelli ancora sporchi di purè e di pane bagnato, le lacrime le scorrevano lungo le guance senza sosta mentre prendeva il catino che aveva di fianco al suo giaciglio nel sottoscala.
Cercò di levarsi il corpetto che le impediva quasi di respirare, ma le mani le tremavano a tal punto che non riusciva neanche ad allentarlo.
-Aspetta- sussurrò una voce all’improvviso, facendola voltare dallo spavento.
Era Robin che se ne stava appoggiato al muro, con uno sguardo così serio che fece indietreggiare la ragazza.
-Perché sei qui?-
-Voglio aiutarti- le disse avvicinandosi e facendola voltare delicatamente ed iniziando a slacciarle il corpetto lentamente.
-Perché?- chiese lei mentre sentiva le mani di lui sulla schiena che le allentavano quella morsa e l’aria ritornarle nei polmoni. Il corpetto cadde a terra e Robin si piegò per prenderlo, per poi appoggiarlo sul giaciglio della ragazza.
Maria lo osservava stupita e confusa allo stesso tempo.
-Perché non volevo che accadesse quello che è successo al banchetto…e credo che sia stata anche colpa mia- disse il ragazzo con un sorriso triste.
L’alcol gli offuscava ancora i sensi, ma riusciva a vedere benissimo quanto fosse bella, anche con i capelli sporchi e le guance rigate di lacrime e di sporco.
-Vieni-
Le prese il catino dalle mani e le fece strada lungo lo stretto corridoio.
-Dove andiamo?-
Dalla voce di lei trapelava chiaramente l’ansia e Robin poteva capirla benissimo. Non era stato mai gentile con lei, specialmente pochi giorni prima, quando aveva letteralmente minacciato di ucciderla, ma in quel momento l’orgoglio smisurato dei De Noir era stato lasciato da parte.
Quella ragazza significava qualcosa per Robin e non le era mai stata indifferente, vederla a terra, sul pavimento della sala, con il cibo che le veniva tirato addosso insieme agli insulti, gli aveva fatto scattare qualcosa dentro.
-Sta tranquilla, ti aiuto a lavarti e ad asciugarti-
Maria non riuscì a pronunciare una singola parola, quella risposta l’aveva stupita così tanto che le bloccò in gola anche il “grazie” che gli voleva dire.
Robin aprì una porta in cui Maria non era mai entrata. Era una stanza grande con un letto a due piazze, con sopra una coperta di pelliccia di orso, il fuoco nel grande camino di pietra era acceso e riscaldava la stanza, dando vita ad un gioco di ombre su un armadio di legno di ciliegio.
-Questa è la mia camera-
-Non è al piano superiore con le altre…- sussurrò Maria guardando i vari trofei di caccia appesi al muro.
-No, sto meglio qua sotto. Odio vedere tutte quelle sgualdrine che mio padre si porta in camera ogni notte-
Robin si voltò verso di lei, lievemente innervosito, come se avesse parlato troppo.
-Il bagno è dietro quella porta, puoi lavarti lì, lascia il vestito sporco in un angolo… e…- il ragazzo aprì l’armadio, vi frugò un po' dentro e tirò fuori una camicia da notte azzurra, la guardò come se gli ricordasse qualcosa, poi la consegnò a Maria -Tieni! Non rovinarla, era di mia madre-
Maria sgranò gli occhi, incontrando quelli di Robin, che la guardavano confusi.
-Beh non vai?-
-Perché fai tutto questo per me? Sono solo una serva… e tua sorella è stata cacciata per colpa mia-
Robin serrò la mascella e spostò il suo sguardo sul fuoco.
-Vai a lavarti- disse perentorio, non ammettendo repliche.
Maria annuì ed entrò velocemente nel bagno.
Il ragazzo si sedette davanti al fuoco, si tolse la giacca di pelle e la camicia nera rimanendo a torso nudo per sentire il calore sulla pelle nuda.
Aveva ancora intorno al collo la stoffa nera con le piume di falco e la bombetta in testa.
Perché aveva aiutato quella ragazza? Era tutto tremendamente sbagliato e Maria se ne era accorta, mentre lui si era comportato come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Un leggero sorriso gli comparì sulle labbra quando sentì Maria cantare in bagno.
La ragazza ammutolì quando si ricordò chi c’era dall’altra parte della porta, con un po' di fortuna forse non l’aveva sentita.
Raccolse in una mano la schiuma e vi soffiò sopra, non aveva mai fatto il bagno sdraiata in una vasca così grande. Nella sua vecchia vita se ne stava in piedi dentro una tinozza e con una spugna bagnata si sfregava la pelle. E quella spugna non era mai morbida.
Si sciacquò il sapone di dosso e poi uscì dalla vasca avvolgendosi in un asciugamano che aveva trovato in un angolo.
Cosa avrebbe detto a Robin? Grazie? L’unica cosa che occupava la sua mente era il motivo di quel gesto e di quell’abbraccio nella sala del banchetto. E la cosa che più la inquietava era che non riusciva a trovare una risposta che la soddisfacesse.
Arrossì quando si accorse che la camicia da notte le lasciava una spalla scoperta, che cercò di nascondere con i capelli.
Sospirò e uscì dal bagno.
Robin le lanciò uno sguardo veloce, la studiò per un attimo e le fece spazio accanto a lui.
-Vieni ad asciugarti-
Maria pregò che non avesse visto il rossore sulle sue guance, l’unico uomo che avesse mai visto con il petto scoperto era suo zio e doveva riconoscere che Robin era di una bellezza nettamente superiore, tanto da costringere Maria a tenere lo sguardo basso per non guardarlo.
La ragazza si sedette accanto a lui e sospirò per il calore piacevole del fuoco sulla sua pelle ancora un po' bagnata.
-Dici che Loveday se la caverà là fuori?- le chiese Robin rompendo il silenzio che si era creato.
-Ne sono sicura, ma l’inverno è alle porte. Abbiamo delle scorte, ma avrà bisogno di aiuto per la legna e se qualcuno del villaggio sapesse la sua identità non credo che l’aiuterebbe…-
Robin annuì, con lo sguardo perso nel vuoto.
Maria lo guardò e rimase ammaliata dalle luci che danzavano sulla pelle del suo petto, accentuandone le linee dei muscoli, dai suoi occhi neri e tristi, dai capelli ricci coperti dalla bombetta e dalle piume sul suo collo che le davano un’aria ancora più tenebrosa di quanto già non avesse.
Il ragazzo si voltò verso di lei e si accorse del suo sguardo su di lui, mentre un leggero rossore si fece strada sulle guance della ragazza.
-Che c’è?-
Maria tossì per l’imbarazzo.
-Mi chiedevo solo perché hai fatto tutto questo per me…-
Robin fece un mezzo sorriso.
-Ti dispiace che lo abbia fatto?-
-No assolutamente, anzi ti ringrazio…
-Allora non farti domande- disse lanciandole uno sguardo divertito il ragazzo.
La ragazza annuì poco convinta e completamente insoddisfatta per quella risposta.
-Comunque…- riprese il ragazzo, giocando con un gancio di ferro che aveva trovato sul pavimento- sicuramente l’alcol ha fatto la sua parte- disse con una leggera risata, per poi guardarla.
I capelli rossi ancora leggermente umidi, la pelle candida, le sue forme che quell’abbigliamento metteva in risalto, in particolare il suo seno che Robin guardò deglutendo. Per non parlare delle guance che diventavano rosse molto spesso quella sera.
-Sei veramente bella- si lasciò sfuggire, provocando uno sguardo di smarrimento nella ragazza, che distolse lo sguardo portando le ginocchia sul petto come per proteggersi.
Robin sorrise a quella reazione.
-Sai cosa non riesco a dimenticare?- continuò avvicinandosi a lei, mentre la velocità del respiro di lei aumentava – Quel bacio che ti ho dato… - alzò una mano per accarezzarle la guancia, ma Maria si alzò in piedi di scatto, con il respiro affannato e lo sguardo di Robin addosso che la guardava semisdraiato a terra.
-Mi ritiro, principe. Vi ringrazio del vostro aiuto e vi prego di aiutare Loveday … buonanotte- disse prima di uscire velocemente dalla camera di Robin.
 
Loveday si svegliò, stiracchiandosi. Non era abituata a dormire in giacigli così duri e infatti la sua schiena ne risentiva, sorrise tristemente pensando ai contadini costretti per una vita intera a dormire in un letto del genere dopo una dura giornata di lavoro nei campi per sfamarsi e per pagare loro, i De Noir.
Un ringhio sommesso la fece destare dai suoi pensieri e la fece voltare verso un angolo della stanza.
Loveday lanciò un urlo vedendo il cane, che le mostrava le zanne in maniera minacciosa.
Era un enorme cane nero e peloso.
-Wrolf?- disse titubante.
A quel nome il cane smise di ringhiare e la guardò confuso per poi mettersi seduto.
La donna sospirò di sollievo.
-Bravo Wrolf, mi accompagni a liberare lo zio di Maria di prigione, lo facciamo tornare a casa va bene?-
Il cane abbaiò contento scodinzolando, come se avesse capito.
-Almeno non sarò da sola e non so neanche come sia fatto quest’uomo, tu mi aiuterai, non è vero?- gli chiese sorridendo, ricevendo una scodinzolata in risposta.
La donna si alzò e si lisciò il vestito marrone che indossava, indossò gli scarponcini che dovevano essere di Maria e che aveva trovato nell’armadio.
Mangiò un pezzo di pane e bevve un po' d’acqua e si avviò verso la porta.
-Andiamo- sussurrò per farsi forza, accarezzando il cane che subito le si mise accanto.
E così attraversò il villaggio, con i capelli biondi lasciati sciolti sulle spalle, l’eleganza nel portamento e con un enorme cane accanto che l’accompagnava.
Sembrava quasi una creatura ultraterrena e così gli abitanti del villaggio la ritenevano. Per questo quando arrivò a destinazione le strade erano completamente deserte e le serrande delle finestre leggermente aperte per permettere alla gente di spiare.
Loveday rise per la superstizione di quella povera gente ed entrò nel carcere del villaggio.
Un soldato se ne stava mollemente seduto su una sedia, poggiando i piedi sul tavolo, l’elmo completamente calato sugli occhi. Sicuramente stava dormendo.
Loveday tossì un paio di volte per attirare la sua attenzione ma il soldato le rispose con un russare sommesso.
-Ehi!- urlò lei tanto da far saltare sulla sedia la guardia che appena la vide impallidì.
-Signorina De Noir… cosa ci fa qui?-
-Le pare il caso di dormire a lavoro, soprattutto quando è di guardia alle carceri?- domandò lei, tenendo le braccia incrociate sul petto e battendo il piede a terra.
-Mi scusi tanto, ma ieri al castello c’è stato un banchetto e…-
Wrolf si mise ad abbaiare minaccioso verso l’uomo, che subito ammutolì tremando come una foglia.
-Sono qui perché venga liberato un prigioniero-
-Ma io…- cercò di ribattere il soldato.
-Vuole andare contro il volere di Coeur De Noir, mio padre?- mentì lei, sperando che quell’uomo non sapesse del suo esilio dalla Rocca.
Per fortuna, il soldato non ne sapeva niente, infatti tremò ancora di più, iniziando ad annuire più volte come un idiota.
-Mi dica quale prigioniero-
-Fa di cognome Merryweather ed è stato incarcerato per un equivoco, una rissa davanti alla taverna-
La guardia scosse la testa.
-Mi dispiace, ma io non conosco né i nomi né il perché sono dentro, sono qui per caso oggi a sostituire William che ha preso una brutta sbornia ieri-
-Molto bene- disse Loveday -Mi aiuterà lui allora- continuò indicando il cane.
Wrolf abbaiò un paio di volte e seguì la guardia che si incamminava verso le celle.
Loveday si portò una mano a tapparsi il naso per la puzza di escrementi e sudore che la investì tutta di un colpo.
Il cane si fermò improvvisamente davanti ad una cella che sembrava vuota, annusando l’aria, e cominciò ad abbaiare e scodinzolare.
La donna assottigliò lo sguardo, cercando di abituarsi all’oscurità e vide in un angolo una figura piegata su se stessa.
-Wrolf? -sentì sussurrare – Sei tu?-
La figura emerse dall’oscurità, era un uomo di mezz’età, le guance erano incavate, era visibilmente sporco, ma nei suoi occhi Loveday leggeva gentilezza e malinconia.
-Sei lo zio di Maria Merryweather?- chiese la donna.
L’uomo portò lo sguardo su di lei.
-Sì, come sta? Sapete qualcosa?- chiese con l’ansia nello sguardo. Quanto era fortunata Maria ad avere qualcuno che le volesse così bene.
-Sta bene. E anche tu starai bene molto presto- disse Loveday con un dolce sorriso.
-Guardia, liberalo-


ECCO UN NUOVO CAPITOLO! SPERO VI PIACCIA! RINGRAZIO CHI HA MESSO LA STORIA TRA LE SEGUITE, PREFERITE E RICORDATE

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Capitolo 9
*** Pensieri e menzogne ***


Maria bussò due volte prima di entrare nella stanza di Robin la mattina dopo, ma non ricevette nessuna delle due volte alcuna risposta.
Entrò con decisione e constatò, con un sospiro di sollievo, che la camera era vuota.
Appoggiò sul letto del ragazzo la camicia da notte, che le aveva dato la sera precedente, accuratamente piegata, e alzò di nuovo gli occhi verso i trofei appesi al muro, le piacevano veramente tanto ed erano una cosa che non aveva, un connubio perfetto per una persona curiosa come lei.
Ma quel minuto di troppo in quella camera le fece incontrare l’ultima persona che avrebbe voluto vedere sulla faccia della terra.
Quando si voltò, si ritrovò Robin che la osservava con un sorrisetto ironico, appoggiato alla parete e con le braccia conserte sul petto.
-Persa nei ricordi di ieri sera?- chiese maliziosamente.
-Assolutamente no, vi ho portato la camicia da notte che mi avete dato e stavo solo ammirando i trofei. Ora torno ai miei lavori- disse avvicinandosi alla porta, ma Robin le bloccò il passaggio con un braccio, facendola sussultare mentre la guardava con quegli occhi che le arrivavano fino a dentro l’anima.
-Perché non mi dai più del tu? Mi piaceva-
-Mantengo le distanze, come è giusto che sia. Il tu è troppo informale-
Robin chiuse la porta e si appoggiò ad essa.
Maria indietreggiò lentamente, sentendosi a disagio sotto lo sguardo di Robin che la studiava in tutti i suoi particolari: la lunga treccia laterale, il vestito nero con il grembiule rosso, la bocca piena e rossa, il seno prosperoso.
-E perché all’improvviso vuoi mantenere le distanze? È per una cosa che ho detto ieri sera?- chiese il ragazzo, facendo il finto tonto con un’espressione innocente che fece andare su tutte le furie Maria.
-Basta! È giusto così, punto. Anche a Loveday davo del voi, non mi pare che serva farne una filippica, no? E ora se non vi dispiace, ho dei compiti da sbrigare- concluse cercando di ritornare calma.
Robin sembrava che non avesse nemmeno notato che la ragazza avesse perso la pazienza, anzi se la rideva ancora più di prima.
-Secondo me sì, hai cambiato tono da quando ti ho detto quella cosa…- disse staccandosi dal muro, avvicinandosi pian piano a Maria che indietreggiò ancora e ancora fino a che non toccò dietro di sé il letto di Robin.
Lo sguardo allarmato di Maria divertì ancora di più il ragazzo, che le diede una leggera spintarella facendole perdere l’equilibrio quello che bastava per farla cadere sul letto.
Maria tentò di rialzarsi, ma Robin le si mise sopra a cavalcioni, bloccandola.
Il respiro della ragazza era affannoso, cercava di liberarsi in tutti i modi, ma Robin le teneva le braccia ancorate al letto e quello che le rimase di fare fu pregarlo.
-Vi prego, lasciatemi andare- disse con le lacrime agli occhi pensando ormai al peggio.
-Ehi…- sussurrò quasi dolcemente il ragazzo -Allora è vero- Lei lo guardò confusa.
-Hai iniziato a darmi del tu per quello che ti ho detto ieri- disse lui ridendo, per poi tornare serio.
Quanto avrebbe voluto non vedere la paura che vedeva ora negli occhi della ragazza, avrebbe tanto voluto che al suo posto ci fosse solo eccitazione e … forse qualcos’altro.
Robin scosse la testa, come per cacciare quel pensiero assurdo e riportò lo sguardo sulla ragazza che continuava a dimenarsi sotto di lui.
-Dimmi la verità e ti lascio andare-
Maria si bloccò, sospirò e, non vedendo altra via di fuga, gli disse la verità.
-Sì è per quello che avete detto. È stato enormemente sbagliato sia quello che avete fatto ieri sia quello che avete detto-
Robin scosse la testa, questa volta era serio, gli occhi incatenati a quelli di Maria, che si sentiva come un libro aperto sotto quello sguardo, come se non avesse più segreti.
-Non è così e te lo posso dimostrare-
Ignorò lo sguardo confuso di Maria e la baciò, assaporando di nuovo quelle labbra morbide e dolci che non avevano mai lasciato la sua mente in tutti quei giorni.
La ragazza se ne stava immobile, sapendo che non poteva muoversi, l’unico movimento concesso era il tremore, tremava come se avesse freddo, quel bacio le lasciava il gelo dentro.
Robin si staccò lentamente da quelle labbra e sfuggì lo sguardo della ragazza.
-Non mi guardare in quel modo Maria- disse liberando la ragazza dalla sua stretta e rimettendosi in piedi.
La ragazza non si domandò neanche in che modo lo avesse guardato, aveva troppa fretta di alzarsi da quel letto e scappare via da quella stanza.
-Sai perché non è stato un errore?- le chiese guardando fuori dalla finestra.
-No- riuscì a malapena a rispondere Maria, con una voce talmente roca che non sembrava nemmeno la sua.
-Perché era quello che volevo… ora puoi andare-
Maria corse letteralmente via dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle, corse fino ad arrivare al cortile interno del castello, dove si erano incontrati per la prima volta. Si appoggiò ad una colonna con la schiena, riprendendo fiato e solo in quel momento la sua mano si mosse quasi da sola per poi sfiorarsi piano le labbra, proprio quelle labbra che pochi attimi prima avevano incontrato di nuovo quelle di Robin.
 
-Chi siete?- chiese l’uomo, guardando Loveday, mentre le camminava accanto lungo la strada per ritornare a casa -Non vi ho mai vista al villaggio e sono sicuro che non siete una semplice contadina, sia dal vostro portamento sia perché una guardia non avrebbe mai liberato un prigioniero solamente perché qualcuno glielo ha chiesto-
La donna se ne stava a sguardo basso, non sapeva come dire a quell’uomo chi era veramente, era sicura che se gli avesse detto il suo vero nome l’avrebbe cacciata di casa.
-Mi chiamo Alice, sono cresciuta alla Rocca, come dama di compagnia della principessa, ma mi hanno licenziata per una sciocchezza e dato che Maria ed io avevamo stretto amicizia quando ha saputo cosa mi era successo, mi ha dato la chiave di casa sua per ricominciare una nuova vita-
L’uomo rimase per un attimo in silenzio, pensando al da farsi.
-Va bene, mi fido di quello che dite e dell’opinione di mia nipote, è sempre stata brava nel capire le persone e poi sono sicuro che tenete a lei veramente, altrimenti non mi avreste liberato per pagarle il riscatto- le disse con un sorriso stentato, il primo sorriso dopo settimane.
Loveday cercò di ricambiarlo, ma il senso di colpa glielo fece morire sulle labbra, non aveva mai mentito ed ora, a causa di una menzogna, aveva cambiato anche il suo nome ed imbrogliato un uomo onesto.
L’avrebbe aiutato a liberare Maria e poi se ne sarebbe andata da qualche altra parte, per ricominciare da capo e dove il suo cognome non voleva dire nulla.
 
Robin si leccò le labbra, assaporando il sapore che il bacio con Maria aveva lasciato. Aveva ragione lei, era tutto tremendamente sbagliato, ma il principe poteva fare ciò che voleva e lui aveva fatto esattamente quello che voleva: aiutarla e baciarla.
E con angoscia si rese conto che la sera prima si era comportato con fin troppa dolcezza per essere un giovane nobile che voleva divertirsi con una servetta.
Si rigirava la bombetta tra le mani senza sosta, come se qualcosa lo turbasse, ma non riusciva a capire cosa.
Non era sicuramente la prima serva che baciava, con alcune aveva anche fatto sesso, ma non le erano mai entrate dentro come lei, come Maria, era già la seconda notte che sognava il suo sorriso e una sua carezza sul suo viso come se fosse un balsamo su una ferita.
Sentì bussare alla porta e si voltò nella speranza che fosse lei, che avesse ripensato a quel bacio, come stava facendo lui, e che fosse tornata per riceverne altri, ma le sue aspettative vennero deluse, era una vecchia serva che gli comunicò che il suo gruppo d’amici sarebbe andato a cacciare nella foresta.
Robin annuì e congedò la donna.
Non aveva alcuna voglia di cacciare animali quella mattina, aveva la testa altrove e nella foresta avrebbe sicuramente ripensato a quel bacio e a quella ragazza, come se fosse stata lei la vera preda di quella caccia.
Un’idea gli balenò in mente e un ghigno divertito gli comparve sulle labbra.
-Donna!- urlò per farsi sentire.
La vecchia che poco prima era entrata nella sua camera ricomparve sulla porta.
-Va a dire alla debitrice che anche lei parteciperà alla caccia-
La donna annuì chiaramente confusa ma non obbiettò, fece una lieve riverenza e se ne andò.
-O meglio sarà la preda che braccheremo- sussurrò Robin a se stesso con gli occhi illuminati dall’eccitazione.
 


SALVE A TUTTI! ECCO UN NUOVO CAPITOLO! SPERO CHE VI PIACCIA!

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Capitolo 10
*** A caccia ***


Maria inarcò un sopracciglio scettica guardando i vestiti che una vecchia serva le aveva buttato sul suo letto in malo modo.
Dei pantaloni di pelle neri, un corpetto rosso bordeaux di pelle anch’esso con le maniche nere e degli stivali neri.
-Forza che aspetti? Vestiti che il principe ti aspetta- disse acidamente la vecchia.
Maria non fece neanche caso al tono con cui la donna le si era rivolta, appena sentì la parola “principe” tutti i suoi sensi si misero all’erta, quel ragazzo stava tramando qualcosa.
-Il principe?-
-Sì, sei sorda? Vuole che tu vada a caccia con lui- rispose sbuffando, per poi andarsene.
Maria imprecò sottovoce sapendo che non aveva nessuna alternativa.
La proposta del giovane De Noir non la convinceva affatto, perché mai l’aveva invitata a caccia, dopo che l’ultima volta che era uscita dal castello aveva cercato di scappare? Tutto ciò non aveva alcun senso a meno che quella caccia era il pretesto per qualcos’altro, che visto l’abbigliamento non sembrava poi così improbabile.
Quando si specchiò arrossì fino alla punta dei capelli, non c’era un singolo punto del suo corpo che il tessuto non risaltasse, non aveva mai visto nessuna donna indossare qualcosa di tanto attillato, si voltò osservandosi il sedere e si vide praticamente nuda. No, non andava bene, non andava bene proprio per niente… sperava solamente che con qualche scusa avrebbe potuto indossare un mantello e salire su una cavalcatura così che i fianchi e le gambe risaltassero meno.
Raccolse i capelli in una treccia, lasciando alcune ciocche libere ad ornarle il volto.
Sospirò per lo sconforto. Quel tipo non voleva proprio lasciarla in pace…
-Allora, sei pro…- il ragazzo ammutolì di colpo quando vide la ragazza. Neanche nei suoi sogni più estremi l’avrebbe mai immaginata così sensuale.
Maria, vedendolo completamente immobile, lo guardò freddamente.
-Se riuscite a chiudere la bocca e a finire la frase ve ne sarei immensamente grata- disse ironica incrociando le braccia sul petto.
Robin deglutì a fatica, cercando di non pensare ai pantaloni che sentiva improvvisamente stretti e alle immagini che aveva in testa.
-Volevo sapere se fossi pronta, ma mi sembra proprio di sì- disse lanciandole uno sguardo malizioso che la fece arrossire.
La ragazza tossì per l’imbarazzo, abbassando lo sguardo, sperando ardentemente che Robin smettesse di guardarla in quel modo.
-Andiamo-
 
La foresta quella mattina era semplicemente magnifica, il cielo era azzurro e l’aria era talmente frizzante da imporporare le guance della ragazza e non per i continui sguardi allusivi che i compagni di Robin le lanciavano mentre camminavano.
Per fortuna la sua attenzione era attratta dagli animali del sottobosco e dai raggi di sole che le chiome degli alberi facevano passare.
Robin ad un tratto si fermò, prendendo Maria per un braccio attirandola vicino a sé.
-Ragazzi, fermatevi-
Maria vide gli altri scambiarsi degli sguardi confusi.
-Cosa c’è Robin?- chiese uno di loro.
-Oggi faremo una caccia speciale- disse Robin con un sorriso divertito.
La ragazza gli lanciò un’occhiata allarmata, una caccia speciale… proprio quando lui l’aveva invitata nei boschi con loro, non era di certo una casualità… cercò di pensare ad un’eventuale motivazione e quando capì era ormai troppo tardi.
-Non cacceremo un animale, bensì una persona… lei- disse Robin indicando la ragazza, che gli lanciò uno sguardo di sfida.
-Le daremo un piccolo vantaggio, perché siamo gentiluomini, non è vero?- disse scatenando le risate generali, tranne quelle di Maria ovviamente, che cercava di prepararsi a quella corsa disperata, ma una particolare domanda la riportò alla realtà.
La fece un ragazzo dai capelli biondi, corti, quasi a spazzola, con degli occhi di ghiaccio che quella mattina non avevano fatto altro che studiare il corpo della ragazza, ed una lunga cicatrice su una guancia.
-E quando uno di noi la prende, Robin, cosa succede?- chiese leccandosi il labbro inferiore.
La giovane impallidì e sentì la stretta di Robin sul suo braccio farsi più forte, si voltò verso di lui e vide che aveva la mascella serrata e gli occhi pieni di rabbia. Perché quella reazione?
-Oh suvvia De Noir, non mi dirai che ti sei affezionato ad una debitrice!- replicò l’altro, stuzzicandolo  
-Credo che questa caccia sarebbe più divertente se finisse come le altre cacce, assaggiando la sua carne. Ovviamente Robin, avrai capito che non intendo mangiarla, quindi sta tranquillo…- disse lui ridendo, mentre gli altri lanciavano grida selvagge e rivolgevano gesti osceni alla ragazza che cercò di non guardare.
E Robin in quel momento fece quello che qualsiasi comandante di fronte al volere unanime del suo popolo avrebbe fatto, accettò.
 
Maria correva, correva come non aveva mai fatto in tutta la sua vita e per la prima volta maledì il rumore che i suoi piedi facevano calpestando le foglie secche che ricoprivano il sottobosco, maledì l’autunno, quella stagione che l’aveva sempre ammaliata.
Se fosse stata silenziosa come una gatta sarebbe riuscita a scappare da quella caccia all’uomo.
Le grida selvagge e gli spari in aria le giungevano alle orecchie ed erano sempre così vicini… se solo fosse riuscita a distanziarli abbastanza da nascondersi, senza essere vista, in quell’albero cavo che la volta prima non aveva raggiunto.
Quella sarebbe stata la sua salvezza!
Anche un’altra persona in quella foresta cercava di correre come per dar la caccia ad un’antilope, ed era proprio uno dei suoi aguzzini: Robin.
Doveva ammettere a se stesso che l’intera faccenda gli era sfuggita di mano, non aveva di certo previsto che i suoi amici avrebbero preteso il proprio trofeo di caccia. Era stato veramente uno stupido! E l’unica soluzione era trovare per primo Maria e far terminare al più presto quella follia.
Non sapeva perché ma non avrebbe potuto sopportare l’idea che qualche suo amico l’avesse.
La caccia proseguiva senza sosta, i ragazzi correvano in tutte le direzioni, cercando le tracce che la ragazza lasciava, rametti spezzati, foglie spostate per una scivolata dovuta ad una perdita d’equilibrio o qualche suono sospetto.
Maria, invece, non ce la faceva più, dopo quelle settimane alla Rocca, sfamandosi solo con gli avanzi delle cucine, che doveva dividere con tutte le altre serve, non aveva più le forze. Si guardò intorno, per sua fortuna non c’era nessuno, e si accasciò dietro un cespuglio cercando di tenere le orecchie sempre aperte.
Portò una mano sul fianco sinistro per cercare di attenuare i crampi alla milza, che le impedivano di correre veloce quanto avrebbe voluto. Si guardò intorno ed ebbe una strana sensazione, come se quella zona le fosse familiare: i cespugli di rose canine, le ginestre, le piste che gli animali avevano lasciato e quando lo vide poco lontano a stento trattenne un grido. Era giunta a destinazione… l’albero cavo era lì, con quell’enorme apertura sotto le radici, lì aveva costruito il suo rifugio dopo le liti con lo zio ed ora ci si sarebbe rifugiata per non essere umiliata e per tenere stretta ancora una volta la propria dignità.
Ma le si gelò il sangue quando appoggiato all’albero, vide il ragazzo biondo che si guardava intorno, quello con la lunga cicatrice sulla guancia e quello che, guarda la fortuna, Maria considerava il più pericoloso, anche più di Robin perché una cosa era certa, Robin non era d’accordo con la decisione di quel ragazzo.
Maria guardava impazientemente il biondo, nell’attesa che si rimettesse a correre, ma sapeva che non avrebbe potuto attendere più di tanto e ne ebbe la conferma quando udì alla propria sinistra il fruscio delle foglie calpestate, qualcuno stava correndo nella sua direzione.
-Jack!- il ragazzo biondo si voltò sentendosi chiamare.
E vide Robin spuntare da dietro le spalle del ragazzo.
-Che c’è?- gli rispose il biondo.
-Che ci fai impalato lì?- chiese Robin ridendo, come per prenderlo in giro.
-Quest’albero mi sembra un nascondiglio perfetto, ho visto l’ultima traccia nella radura. Questo- disse dando a Robin un nastro azzurro. Maria si guardò la treccia, vedendo che il nastro che la chiudeva alla fine era strappato e si maledì per la sua disattenzione imperdonabile.
-Sì, effettivamente è suo- disse Robin dopo averlo studiato e riponendolo accuratamente in una tasca della sua giacca, con talmente tanta cura che Maria arrossì -ma Luke ha trovato una manica nera vicino al ruscello-
La ragazza sgranò gli occhi, lei non era mai passata accanto ad un ruscello… che Robin stesse cercando di allontanare Jack da quell’albero? Se fosse stato così, significava solo una cosa, che lui l’aveva vista.
-Fino al ruscello?- disse Jack ridendo -E’ arrivata fin là? Corre veloce la ragazzina!-
Si staccò dal muro ed iniziò a correre in un’altra direzione, sparendo ben presto dalla vista di Maria, seguito da Robin.
La ragazza sospirò, bene, neanche lui l’aveva vista. Forse avevano veramente trovato un pezzo di stoffa vicino al ruscello che apparteneva a qualche cacciatore, che si era avventurato fin lì.
Si guardò intorno per un’ultima volta e dopo essersi accertata che non ci fosse nessuno, iniziò a correre verso l’albero, ma poco prima di arrivare all’apertura tra le radici, sentì delle braccia avvolgerla da dietro e bloccarla ed una voce che conosceva fin troppo bene sussurrarle all’orecchio: “Presa”.
Si voltò ed incontrò gli occhi neri e profondi di Robin. Aveva ingannato tutti, probabilmente aveva spinto gli altri aguzzini verso il torrente.
-Andiamo- disse e per qualche motivo Maria non ne ebbe paura. Il giovane la lasciò andare ed entrambi si diressero nell’apertura, in un silenzio carico di ansia.
La ragazza faceva strada al giovane dietro di sé, fino a giungere ad una piccola porta di legno. Maria la spinse ed entrò nel suo rifugio.
Robin se la chiuse alle spalle.
-Allora? La caccia non è finita? Perché siamo nascosti qui?- sussurrò lei con le mani sui fianchi.
Robin si mise seduto, per poi chiudere gli occhi come se non l’avesse sentita, cosa assai improbabile.
-Quindi?- insistette lei.
-Ti sembra veramente che solo perché ti ho trovata la caccia è finita? Partirà sicuramente un’altra sfida per averti e sinceramente non ne ho alcuna voglia- rispose calandosi la bombetta sugli occhi.
-Non basterebbe tornare al castello?- chiese lei, mettendosi seduta dalla parte opposta.
-Te l’ho detto, non sei ancora al sicuro. Aspettiamo qui finchè non si fa notte, allora capiranno che ti ho trovata e se ne torneranno al castello, troppo stanchi per la competitività-
Maria sbuffò sonoramente.
Robin fece una lieve risatina.
-Cosa c’è? Impaziente di darmi la ricompensa?-
La ragazza impallidì, sgranando gli occhi, Robin non sentendola ribattere si tirò su e la guardò. Non aveva mai visto tanto terrore in uno sguardo.
Si alzò e le si sedette vicino, mentre lei cercava di spostarsi per allontanarsi da lui.
-No, rimani- le disse lui -Sta tranquilla, non ti farò nulla. È vero, l’idea della caccia è stata mia, ma non avevo pensato a nessuna ricompensa, è stato Jack ad avere l’idea-
Maria si allontanò indignata e spostando lo sguardo dall’altra parte ed una reazione simile non fece altro che innervosire Robin.
-Ti sto dicendo che non è stata colpa mia e tu mi tieni il muso?-
-Senti- le sibilò lei con talmente tanta ira da far indietreggiare il ragazzo -Non fare il santarellino con me, non sono una cretina. Sarà stata anche un’idea di Jack, ma tu che cosa hai fatto? Hai accettato, quando avevo visto chiaramente che non eri d’accordo. Non sei un capo, sei un codardo! Una pecora come tutte le altre!-
Maria riprese fiato, dato che aveva sputato tutto quello che pensava su Robin come un fiume in piena e Robin aveva ancora gli occhi sgranati dopo aver sentito quelle parole che nessuno fino a quel momento aveva avuto il coraggio di dirgli, neanche sua sorella.
-Tu…- disse con rabbia, guardando Maria come se volesse incenerirla -Tu…- continuò a ripetere, avvicinandosi sempre di più, ma la ragazza rimase ferma dove si trovava, voleva dimostrargli che non aveva paura.
-Tu… hai ragione- sussurrò infine lui, abbassando lo sguardo.



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Capitolo 11
*** Salvezza ***


Robin fu il primo ad alzarsi, passandosi una mano sui pantaloni per pulirsi, sotto lo sguardo attento di Maria, che lo studiava ancora incredula per l’insolita reazione che aveva avuto alle sue accuse.
-Credo che possiamo andare, sarà buio ormai e gli altri saranno sicuramente tornati al castello- disse, stando attento a non guardare Maria.
La giovane annuì.
-Sì, andiamo-
Si alzò per poi massaggiarsi le gambe indolenzite dalla corsa.
-Dici che, quando tornerò al castello, i tuoi amici mi infastidiranno?- chiese Maria, sperando in una risposta negativa anche se ne dubitava fortemente conoscendo l’indole orgogliosa e predominante dei De Noir.
Robin la guardò per un attimo.
-Probabilmente sì…- rispose e, notando lo sguardo pieno di sconforto della ragazza, aggiunse subito dopo -Ma posso aiutarti se vuoi con una piccola bugia…- sussurrò lui titubante.
-Cioè?- chiese lei perplessa, ma rimanendo sull’attenti, non le piaceva per niente l’espressione di Robin. Sembrava quasi che avesse paura a dirle quello che stava pensando.
-Se dicessi agli altri che ho reclamato il mio trofeo per averti catturata, loro ti considereranno mia e non si avvicineranno- disse Robin guardandola negli occhi.
La giovane indurì lo sguardo e incrociò le braccia sul petto.
-No, è fuori discussione. Renderebbe la mia vita ancora più impossibile. Già così le altre serve non fanno altro che maltrattarmi, solo perché pensano che io sia la tua favorita. Cosa credi che farebbero se ne avessero la certezza? Non voglio avere più problemi di quanti in realtà non ne abbia-
Robin la guardò sorpreso, per poi avvicinarsi a lei e prendendole le mani.
-Cosa ti hanno fatto Maria?-
Lei lo incenerì con lo sguardo e si liberò dalla sua presa.
-Cosa te ne importa? Tu non ti sei soffermato neanche una volta a pensare alle conseguenze delle tue azioni. Mi vuoi solo usare per divertirti, sono il tuo passatempo, no? Allora perché ti preoccupi adesso?- sibilò, lanciandogli uno sguardo schifato, per poi avviarsi verso la porta di legno. Voleva uscire al più presto da quella stanza sotterranea e tornarsene nella sua brandina per poi poter scoppiare in un pianto liberatorio.
Quasi scoppiò in una risata isterica, quando si rese conto che la sua più grande ambizione era quella di poter stare da sola per poter piangere. Come la stava riducendo quel posto, quella situazione e lui?
-Aspetta-
Maria si voltò verso di lui.
-Che c’è?-
-Faremo così, veglierò su di te per proteggerti dai miei amici e… ti lascerò in pace-
Maria sospirò sollevata e la cosa non sfuggì a Robin.
-Sì è la cosa migliore. Renderebbe la mia permanenza qui perlomeno sopportabile-
 
Benjamin se ne stava seduto davanti al fuoco quella sera, mentre Loveday rassettava la cucina. Uno strano silenzio, tipico delle persone che ancora non si conoscono bene e che non hanno nulla da dirsi, regnava nella piccola casetta.
-Maria… non so se riuscirò mai a liberarla…- sussurrò ad un certo punto l’uomo, mentre una lacrima gli sfuggì dalle ciglia.
Loveday si voltò verso di lui e sentì una morsa allo stomaco.
-Ce la farete, ne sono sicura, ed io voglio aiutarvi. Voglio vedere Maria ritornare in questa casa e starsene per sempre lontano da quelle persone… loro non la meritano…-
Benjamin si alzò e si appoggiò allo stipite del camino.
-L’unica mia consolazione è quello che si sente dire della principessa. Tutto il paese dice che è molto buona e che sembra quasi che non appartenga a quella famiglia. Sono sicuro che lei ha preso a cuore Maria-
Loveday quasi non scoppiò a piangere. Quell’uomo disperato riponeva senza saperlo le speranze in lei… delle speranze ormai impossibili…sì, lei aveva preso a cuore Maria, ma ora non era lì con lei a proteggerla. E chissà cosa le stavano facendo…
 
Robin fu di parola, Maria non lo aveva più rivisto da quando erano tornati insieme al castello dopo quella caccia all’uomo.
E in effetti le altre serve erano passate a lanciarle sguardi di indifferenze piuttosto che di odio e di invidia e avevano finito di spettegolare su di lei.
-Ragazzina!-
Maria si voltò verso la donna anziana che l’aveva chiamata.
-Sì?- chiese, asciugandosi le mani sul grembiule, dato che erano bagnate dall’acqua e dalla cenere che usava per lavare le coperte del re.
-Quando hai finito di lavare quelle coperte, devi andare a pulire il cortile interno, la fontana è piena di foglie secche-
La giovane annuì in silenzio e poi riprese quello che stava facendo.
Quando finì, le dolevano la schiena e le mani che con il freddo e l’acqua erano diventate ruvide e piene di calli.
Maria sospirò e si avviò verso il cortile interno. Adorava quel posto, anche se lì aveva conosciuto per la prima volta Robin.
La giovane si bloccò e sgranò gli occhi. Seduto sulla fontana, che la guardava con un sorriso malizioso c’era un ragazzo biondo, con gli occhi azzurri. Un viso quasi angelico se non fosse stato per la lunga cicatrice che deturpava una guancia.
-Guarda chi si rivede- disse lui, come se fosse capitato lì per caso, cosa assai improbabile, considerando il fatto che prima della caccia Maria non lo aveva mai visto nel castello. Evidentemente non abitava lì, ma poteva entrava solo grazie a Robin.
E per la prima volta Maria sperò che quel De Noir fosse nelle vicinanze.
La giovane non rispose nemmeno alla sua provocazione, anzi cercò di tornare indietro sui suoi passi, ma da dietro l’angolo spuntò un altro ragazzo che Maria ricordava di aver visto insieme a Jack in quel bosco alcuni giorni prima.
-Vedi, Robin crede che tu sia solo sua, come se tu gli appartenessi- disse Jack, alzandosi dalla fontana e camminando minacciosamente verso Maria, che iniziò a tremare, anche se cercava di non darlo a vedere -E credo proprio che neanche tu puoi sopportare che tu sia solo di sua proprietà e noi vogliamo aiutarti, dolce Maria. Credimi, quando io e Charles avremo finito, non ti considererai solo sua, ma di tutti noi.- disse mellifluamente, accarezzando la treccia della ragazza che cercò di ritrarsi, ma il ragazzo dietro di lei la bloccò impedendoglielo.
Jack si avvicinò all’orecchio di lei.
-Peccato che tu non sia vestita come l’altro giorno, ma tanto da nuda non noteremo più nessuna differenza- le sussurrò per poi leccarle il lobo dell’orecchio.
A Maria sembrò la lingua di un serpente e il sangue le si gelò nelle vene.
-Quando Robin saprà quello che mi avete fatto non vi perdonerà. Siete sicuri che vi volete inimicare il principe dei De Noir?- ribatté lei.
Jack e Charles scoppiarono a ridere.
-Sei proprio battagliera come ci aspettavamo, ma non credo che Robin lo saprà mai, a meno che tu non voglia essere nipote di un morto-
Maria sgranò gli occhi dalla paura e accorgendosi di non avere via di scampo, fece l’unica cosa che rimaneva per liberarsi da quei due.
Iniziò ad urlare, come non aveva mai urlato in vita sua, ma la mano di Charles arrivò presto a tapparle la bocca, togliendole anche quell’opportunità di salvezza.
Iniziò a dimenarsi violentemente per fuggire dalla stretta dei due ragazzi, che non sembravano neanche sentirla.
Morse la mano del ragazzo che le tappava la bocca, Charles urlò dal dolore e allentò la presa quel tanto da permettere a Maria di urlare di nuovo e la prima parola che le venne alla bocca fu “Robin”.
-Lurida puttana, forza Charles tappale quella cazzo di bocca!- sibilò Jack.
Charles le tappò di nuovo la bocca con una mano, zittendola.
-Sei solo una sgualdrina- disse rabbioso Jack, alzando una mano per picchiarla.
Maria chiuse gli occhi, tremando, preparandosi al colpo, che però non arrivò. Quando aprì gli occhi, vide una mano che bloccava il braccio del biondo.
Spostò lo sguardo e vide Robin, che fronteggiava Jack. Non era mai stata così felice di vederlo, sospirò di sollievo, mente lacrime di gioia sgorgarono dai suoi occhi. Era tutto finito.
-Cosa state facendo?- sillabò Robin con una voce così minacciosa che Maria non gli aveva mai sentito.
-Siamo amici, Robin. Di solito condividiamo tutto, perché lei no?- chiese Jack, cercando di giustificarsi.
-Osate mettere in dubbio la mia posizione? Sono il principe dei De Noir, se dico che questa serva è mia, è solo mia. D’ora in poi voi due sarete banditi dalla Rocca, non vi potrete mettere più piede. E ciò entrerà in vigore da adesso, quindi vi conviene andarvene e anche alla svelta se non volete marcire nelle segrete-
Jack e Charles si guardarono e lasciarono Maria per poi correre via, tranne Jack che si fermò per alcuni secondi lanciando uno sguardo di sfida a Robin, che posò prontamente una mano sul coltello.
Il biondo titubò e lanciò uno strano sguardo a Maria, poi se ne andò.
Robin aveva vinto.
Robin e Maria restarono soli, si guardarono per un attimo e poi il ragazzo iniziò a guardarsi intorno, per accertarsi che non ci fosse nessuno della servitù nelle vicinanze.
Maria si sedette sul muretto che circondava il cortile, le gambe ancora le tremavano per l’adrenalina e la paura, tanto che le risultava difficoltoso restare in piedi.
-Vi ringrazio…- sussurrò lei, accennando un piccolo sorriso -Avete mantenuto la promessa, avete vegliato su di me-
Robin la guardò e poi si sedette vicino a lei.
-Non quanto avrei dovuto. Erano molto vicini a farti del male- disse, cercando comunque di mantenere le distanze dalla ragazza, guardandosi intorno come se non volesse incontrare lo sguardo della ragazza.
-Non vi dovete sentire in colpa, anzi. Mi avete salvato, ve ne sarò per sempre grata- disse dolcemente Maria, tanto che Robin si voltò verso di lei sorpreso che proprio quel tono di voce fosse per lui. Inconsciamente si ritrovò a desiderare che lei gli parlasse sempre così.


BUONE FESTE A TUTTI! ECCO UN NUOVO CAPITOLO, SPERO CHE VI PIACCIA!
 

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Capitolo 12
*** Trasformazione ***


Quella notte Maria fece fatica ad addormentarsi, dietro le palpebre si nascondevano le immagini di poche ore prima: quei due, la loro stretta su di lei, le loro minacce.
Ed ogni volta si ritrovava con gli occhi sbarrati ad osservare il soffitto del suo piccolo sottoscala.
E poi ripensava a lui… a Robin, che l’aveva salvata e aveva cacciato i suoi due amici dalla Rocca per sempre.
E se lui…? Maria fermò quel pensiero prima che la sua mente potesse anche solo prenderlo in considerazione.
-Maria-
Un sussurro la riportò alla realtà. Si sedette in fretta e furia, con i brividi lungo la schiena per la paura.
-Chi è?- sibilò, afferrando la prima cosa che le capitò sotto mano, ovvero il suo corpetto.
Una piccola risata si librò nel buio.
-Non credo che con quello tu riesca a far del male a qualcuno-
Un ragazzo dalla carnagione chiara, i capelli ricci e vestito di nero si sedette sul suo letto .
-De Noir? Che ci fai qui nel bel mezzo della notte?-
Il ragazzo fece una risatina divertita.
-Ora non mi dai più del “voi”?-
-Beh sapete com’è, se vi intrufolate nella mia stanza, facendomi venire un colpo non mi viene spontaneo tener conto delle convenienze sociali-
Robin rise divertito.
-Hai sempre la risposta pronta, eh?- disse divertito.
La ragazza scrollò le spalle, cercando di nascondere un sorriso che però non sfuggì a Robin.
-Cosa ci fate qui?- richiese la ragazza, stringendosi la coperta al petto per nascondersi dato che le era tornato in mente che non portava il corpetto ma solo la sottoveste.
Robin ritornò serio.
-Pensavo ti fosse successo qualcosa… ti ho sentita urlare-
Maria sgranò gli occhi. Di certo quella notte il suo sonno era agitato ma non si aspettava così tanto da farsi sentire alla fine del corridoio.
-Stai ripensando a quei due, non è vero?- le chiese seriamente Robin, Maria abbassò lo sguardo tristemente e annuì e non riuscì a vedere i pugni di Robin stringersi per la rabbia e la mascella contrarsi.
-Sento ancora le loro orrende mani su di me, soprattutto sui polsi- sussurrò la ragazza, massaggiandoseli, cercando di non farsi vedere dal ragazzo davanti a lei.
Ma gli occhi di Robin non si distoglievano dalla ragazza, tanto che se anche al buio, avevano notato quel piccolo movimento, prese dolcemente una mano di Maria e la avvicinò al suo viso.
Sul polso c’erano due ematomi, che deturpavano quella pelle colore del latte. Maria ritrasse in fretta la mano, portandosela al petto. Non sapeva perché ma ogni volta che Robin la toccava si sentiva tremendamente a disagio.
-Sono stato uno stupido quella volta nella foresta, non ho pensato alle conseguenze delle mie azioni e… quei due stavano per …-
La ragazza strinse ancor di più la coperta al petto, pensando a quello che quei ragazzi stavano per fare e che avrebbero fatto se Robin non fosse intervenuto in tempo.
-Se vuoi… posso restare qui a farti compagnia…- disse titubante Robin, studiando lo sguardo della ragazza.
Maria sgranò gli occhi per la sorpresa e sentì le guance arrossarsi per l’imbarazzo.
-Non credo che sia il caso- riuscì a dire, dopo che ebbe boccheggiato un paio di volte.
Robin rise divertito.
-Ma quanto sei maliziosa? Lo dicevo solo per te, magari avere qualcuno affianco stanotte ti potrebbe servire per sentirti al sicuro e riuscire ad addormentarti tranquillamente- disse Robin, appoggiandosi al letto con le braccia e guardando il soffitto.
La ragazza non rispose, stava ancora a sguardo basso per l’imbarazzo.
-Va bè, non fa niente. Buonanotte- disse Robin, scrollando le spalle e lanciando un ultimo sguardo alla ragazza che gli fece un leggero sorriso.
Il ragazzo raggiunse la sua stanza e sospirò sentendo il tepore del fuoco ancora acceso nel camino. Si tolse la camicia ed i pantaloni per indossarne altri molto più morbidi e si sdraiò sul letto, continuando a guardare il fuoco.
Quella ragazza… non riusciva a smettere di pensarla e a rivederla tra le mani di quelli di cui lui si fidava, così piccola, impotente e indifesa. Non aveva vegliato abbastanza su di lei e questo non se lo sarebbe mai perdonato.
Un leggero bussare alla porta lo distolse dai suoi pensieri.
-Chi è?-
La porta si aprì e quando Robin vide chi c’era sulla soglia un sorriso gli increspò le labbra.
Maria sentiva lo sguardo del ragazzo addosso, aveva le braccia incrociate sul petto cercando di coprirsi, sentendosi nuda senza il corpetto, lo sguardo rigorosamente basso per la vergogna.
-Dimmi- disse Robin quasi dolcemente.
-Ecco, mi chiedevo se possiamo restare ancora a parlare, io… non so…non riesco a…
-Ad addormentarti?- concluse lui la frase per lei.
-Già-
Robin sorrise.
-Vieni qua Maria, puoi dormire qui per stanotte, ci sveglieremo prima dell’alba, così le altre serve non vedranno che hai passato la notte qui e ti lasceranno in pace-
La ragazza impallidì e iniziò a tremare.
-Io non posso…non possiamo…-iniziò a balbettare, impaurita, indietreggiando.
Robin scese dal letto e le si avvicinò, la guardò negli occhi.
-Maria ascolta, certo che puoi, non ti stai approfittando di nulla credimi, sono stato io a proporti di stare qui stanotte. Sai che non ti toccherò neanche con un dito, vero?- le chiese, asciugandole una lacrima che le scorreva lungo una guancia con l’indice.
Maria lo guardò leggermente spaventata e Robin capì che non si fidava di lui. E come darle torto? Non si era comportato affatto bene con lei.
-Facciamo così, tu dormirai nel mio letto, mentre io dormirò per terra- disse lui, chiudendo la porta della stanza -L’importante è che resti qui e che tu non abbia paura- disse il ragazzo per poi darle le spalle, ma Maria fu più veloce e gli prese una mano.
-Non ti lascio dormire per terra Robin!- esclamò con decisione.
Il ragazzo si voltò a guardarla sorpreso, per la prima volta lo aveva chiamato per nome.
Maria si accorse subito e precipitosamente si corresse, quasi urlando “Principe!”.
Robin sorrise leggermente.
-Allora dormiamo tutti e due nel letto e…- aggiunse vedendo il labbro inferiore di Maria tremare -…ti giuro sul mio onore che non ti sfiorerò neanche con un dito-
Lo sguardo serio del ragazzo le infuse fiducia, tanto che gli sorrise lievemente, distogliendo lo sguardo da quello profondo del ragazzo.
Robin sorrise e si sdraiò sul letto, poi si voltò verso la ragazza che stava ancora in piedi in mezzo alla stanza a sguardo basso.
-Non vieni?- le chiese perplesso.
Maria sembrò risvegliarsi dai pensieri che le stavano occupando la mente, annuì e si avvicinò al letto, si sedette lentamente, dando forzatamente la schiena al ragazzo e si mise sotto le coperte, sospirando di piacere per la morbidezza di quel letto.
Era quasi sul bordo del letto tanto cercava di star lontano da Robin, che invece non faceva altro che guardarla, i suoi capelli ramati lo ammaliavano, per non parlare del suo profumo.
-Perché?- sentì il ragazzo improvvisamente.
-Come?- chiese perplesso.
-Perché hai fatto tutto questo? Non credo che lo avresti fatto per le altre serve-
Robin guardò per un attimo il soffitto, incrociando le braccia nude dietro la testa.
-No infatti, non lo avrei fatto per tutte. O meglio per nessun’altra tranne che per te- concluse quasi con un sussurro.
Maria si irrigidì, ma non disse nulla, quelle parole l’avevano colpita e non sapeva dire se fosse semplicemente sorpresa, inorridita o spaventata.
-Voglio solo che tu stia bene…- sussurrò lui -… fino a quando non te ne andrai dalla Rocca-
 
 ECCO UN NUOVO CAPITOLO E COLGO L'OCCASIONE PER AUGURARVI BUON ANNO!

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Capitolo 13
*** Confessioni ***


Maria era rigida come un pezzo di legno e cercava di starsene il più possibile lontana da Robin.
Guardava il muro davanti a sé, cercando di non pensare a nulla, né alla paura che aveva provato quel pomeriggio né a quell’assurda situazione in cui si trovava in quel momento.
-Sei più tranquilla ora che sono stati cacciati dalla Rocca?- chiese Robin, alludendo a Jack e a Charles, rompendo il silenzio carico di tensione che era calato nella stanza.
Maria sgrullò le spalle.
-Non sono al sicuro finché sarò qui, quei due vermi forse non mi faranno niente, ma resto comunque una serva e una debitrice, che per voi equivale a spazzatura. Quindi, dimmi De Noir, chi si preoccupa se qualcuno danneggia l’immondizia? Ti rispondo io, nessuno. Né chi viene a saperlo, né chi lo fa.- disse freddamente la ragazza, facendo raggelare Robin con quelle parole crude e violente, senza peli sulla lingua. Quello che era successo quel pomeriggio l’aveva scossa profondamente ne era certo, ma non si trattava solo di quell’episodio, da quando era entrata nella Rocca era cambiata, si era indurita. E Robin non sapeva se considerarla una cosa positiva, cosa aveva provato quella ragazza per arrivare a pensare una cosa del genere?
-Io non ti considero spazzatura…- sussurrò.
-Ah no?- chiese lei ironicamente, con un sorriso amaro, tirandosi su a sedere e guardandolo dritto negli occhi -E cosa mi consideri? Una tua pari o una tua proprietà? Io credo che per te io sia la seconda, no? Sei arrivato ad organizzare una caccia all’uomo con me per far divertire i tuoi amici!-
Robin distolse lo sguardo dagli occhi inquisitori di Maria, osservò le fiamme che danzavano, creando un alone di luce tutto intorno, come fosse un’aureola.
-Sì, ho fatto degli errori, non lo nego, e mi dispiace, mi dispiace veramente Maria… E so di essere in parte responsabile di quello che è successo questo pomeriggio… è per questo che sei qui ed è per questo che mi sono offerto di proteggerti, voglio redimermi ai tuoi occhi-
Maria lo guardò perplessa.
-E perché? Cosa ti importa del mio giudizio?-
Robin non rispose, la guardò per un secondo di troppo e quel lungo sguardo fece impallidire Maria.
La ragazza sgranò gli occhi quando nella sua testa ribalenò quel dubbio che aveva represso a stento qualche giorno prima.
Che Robin fosse inna… no, non doveva neanche pensarle certe cose, perché se così fosse stato, di sicuro quel De Noir avrebbe fatto di tutto per tenerla dentro quel posto.
Ma quel sospetto si faceva sempre più forte dentro di lei, soprattutto per lo sguardo di Robin. Quegli occhi neri sembravano pregarla e sperare nello stesso tempo che un qualche sentimento potesse sbocciare dentro di lei.
-No…- sussurrò lei incredula- non puoi tenere a me…- colpendo con quelle parole il De Noir, come se fossero state uno schiaffo.
Robin indietreggiò con la schiena, indurì lo sguardo e si girò su un fianco, dando le spalle a Maria, facendo piombare nella stanza un silenzio carico di tensione.
 
Quando Maria il mattino dopo aprì gli occhi il cielo si stava rischiando con le prime luci dell’alba, silenziosamente scese dal letto e diede una veloce occhiata a Robin, che sembrava dormire tranquillamente come se la sera precedente non fosse successo nulla.
La ragazza sospirò di sollievo, se quel ragazzo dormiva così serenamente, il tenero che nutriva nei suoi confronti era sicuramente qualcosa di passeggero.
Abbassò la maniglia cercando di fare meno rumore possibile, ma il leggero suono della serratura che si ritirava sembrò risuonare nel silenzio della camera.
La ragazza si girò di scatto per controllare che Robin non si fosse svegliato e quando incontrò i suoi occhi neri fissi su di lei rabbrividì.
-Scusate… e grazie- sussurrò velocemente per poi voltarsi ed andarsene quasi correndo.
Nei giorni successivi, Maria non incontrò mai Robin e iniziò a sospettare che quei mancati incontri fossero voluti.
-Certo Maria, non sei stata proprio gentile a dirgli quelle cose e soprattutto in quel modo, proprio nel giorno in cui ti ha salvata e ti ha offerto un posto caldo dove dormire- si sussurrò stizzita mentre strofinava il pavimento dell’enorme sala da pranzo.
Vide con la coda dell’occhio un’ombra e Maria subito si voltò, per controllare se effettivamente ci fosse stato qualcuno.
Coeur De Noir si stagliava al centro della stanza guardando con sufficienza la ragazza dall’alto in basso, sembrava quasi schifato dalla sua presenza.
Maria non sapeva dire da quanto tempo fosse lì ad osservarla.
-Cosa c’è?- chiese lei, sbuffando per spostare una ciocca di capelli che le era sfuggita dalla cuffia nera che portava. Era più forte di lei, non riusciva ad essere servile con quell’uomo.
-Vedo che quello che è successo non ti ha frenato la lingua-
-Di cosa state parlando?- chiese lei perplessa.
-Ma di cosa stavano per farti gli amici di mio figlio ovviamente, è una fortuna che poi ti abbia ospitata nella sua camera quella notte- disse lui sollevando un sopracciglio.
Maria impallidì e boccheggiò per un paio di volte.
-Co…Come?- riuscì a sussurrare, nonostante la bocca secca.
Coeur De Noir rise divertito, per poi voltare le spalle ed andarsene.
Maria non poteva credere a quello che aveva appena sentito… se perfino il Signore della Rocca era venuto a conoscenza di quel fatto, chi altro lo poteva sapere? Le altre serve l’avrebbero come minimo tenuta a digiuno per una settimana.
Non era stata abbastanza attenta o…forse che lo stesso Robin, ora che era stato rifiutato, si voleva vendicare di lei?
La ragazza si alzò di scatto dal pavimento, si asciugò in fretta le mani sul grembiule nero e si diresse quasi di corsa su per le scale della sala da pranzo.
Si diresse nella sua camera, era il primo posto dove cercarlo, l’aprì ma era deserta. Chiuse in fretta la porta prima che qualcuno la potesse vedere.
Continuò a camminare per il lungo corridoio, sentiva il cuore martellarle nel petto sia per la corsa che stava facendo che per l’ansia e la rabbia.
Svoltato l’angolo si fermò di botto per non andare a sbattere contro una camicia nera che gli si era parata davanti all’improvviso.
Alzò lo sguardo si ritrovò ad osservare lo sguardo impenetrabile della persona che cercava, Robin.
Lo sguardo serio e freddo che Robin le riservò, la fece indugiare per qualche secondo, ricordandole quello che gli aveva detto pochi giorni prima.
Le guance le si imporporarono, pensando al fatto che lui tenesse a lei, non si era mai ritrovata in una situazione simile e non sapeva come affrontarla, né come comportarsi.
Si diede della stupida, lei non lì per arrossire come una bambina, Coeur De Noir sapeva di quella notte passata insieme, se anche le serve lo avessero scoperto, per lei sarebbe stata la fine. L’avrebbero senz’altro odiata ed invidiata per aver fatto breccia nel cuore del Principe, le avrebbero senz’altro dato della sgualdrina, una serva che si vendeva per un titolo nobiliare o alla più brutta per una razione in più di cibo.
-A chi avete detto di quella notte?- chiese lei indagatoria lanciandogli uno sguardo di ghiaccio.
Robin sgranò gli occhi per poi tornare alla stessa espressione impassibile.
Il ragazzo incrociò le braccia sul petto e con una mano si aggiustò la bombetta.
-A nessuno. Ho promesso che sarei stato discreto e così è stato-
A Maria sfuggì una smorfia di perplessità, quelle parole avevano placato la sua rabbia, lasciando però spazio al dubbio.
Allora una serva doveva averli visti per forza, ma in tutti quei giorni che erano passati nessuna le aveva detto niente.
Robin la guardò con interesse, era assorta nei suoi pensieri, teneva lo sguardo basso.
-Affaticherai il tuo povero cervello- scherzò Robin con un sorriso sghembo -Come mai proprio oggi hai avuto questo dubbio? Ti manco, per caso?- chiese divertito, cercando di ignorare quel barlume di speranza che si era acceso dentro di lui. Cercò di scacciarlo via, era pura attrazione, nel castello ne sarebbero arrivate di più belle e sicuramente di più disponibili. Si morse lievemente il labbro inferiore, anche se sforzava di convincersene, rimaneva alquanto dubbioso che sarebbe riuscito a trovarne altre che lo avrebbero interessato nello stesso modo.
La ragazza arrossì.
-Non dire stupidaggini- quasi urlò Maria, sentendosi subito in colpa però per il repentino cambio di umore di Robin. Il sorriso sul suo viso era sparito e la guardava impassibile, con quello sguardo che una persona ha quando cerca di ergere mura intorno alla sua anima.
La ragazza si schiarì la voce imbarazzata.
-Vostro padre… qualche minuto fa mi ha parlato alludendo a quella notte… pensavo che voi glielo aveste detto per…- Maria titubò.
-Per vendicarmi, giusto?- concluse Robin per lei -Hai una così bassa considerazione di me, dunque?- chiese lui, guardandola dritta negli occhi.
La ragazza cercò di sostenere quello sguardo, per poi deviarlo. Sì, aveva sicuramente una bassa considerazione di lui, come di tutti i nobili in fondo… tranne che di Loveday ovviamente.
-Ovviamente- sussurrò amareggiato Robin, rivolto più a se stesso che alla rossa davanti a lui. Poi riprese a voce più alta.
-Comunque puoi stare tranquilla. Io sono stato muto come una tomba e non credo che lo abbia saputo dalle serve, se nessuna ti ha detto niente in questi giorni sicuramente non ci hanno visti. Se vuoi parlerò con mio padre per saperne di più, raccomandandogli di essere riservato-
Maria rimase sorpresa, non c’era astio nelle sue parole, anzi si era offerto di aiutarla.
-Ora puoi andare- la liquidò seccamente Robin, non sopportando più quello sguardo su di sé.
La ragazza indugiò un po', poi girò sui tacchi e si allontanò nello stretto corridoio, seguita dallo sguardo triste del ragazzo.
Robin si sorprese quando la vide fermarsi e girarsi timidamente verso di lui.
-Comunque grazie… e sì… mi manchi- sussurrò con voce tremante, per poi correre via.
Il ragazzo rimase sorpreso da quelle parole, il cuore gli batteva fortissimo nel petto, sembrava un ragazzino alle prime armi. Al solo sentire quelle parole sul suo volto aveva fatto capolino un sorriso, che faticava a mandare via.
 
Loveday si voltò verso Benjamin, quando sentì la sua imprecazione.
-Cosa succede?- chiese allarmata avvicinandosi.
-L’aratro si è rotto, devo portarlo ad aggiustare dal falegname, altrimenti niente raccolto quest’anno… e poi, dannazione… mi sono anche tagliato-disse tenendosi la mano destra.
Loveday tese una mano.
-Posso?-
L’uomo la guardò perplesso, nonostante vivessero insieme da qualche tempo ormai, non si erano mai sbilanciati, parlavano come due persone che si conoscevano appena e Benjamin non era sicuramente abituato al contatto fisico, burbero come era.
Loveday sorrise per rassicurarlo e gli prese la mano, studiò il taglio e l’uomo si sorprese abbastanza a non vederla minimamente impressionata dal sangue.
-Il taglio è abbastanza profondo, credo che ci vorranno i punti e per l’aratro lo porterò io in paese dal falegname-
Benjamin le rivolse un sorriso, che si era dimenticato addirittura di avere da quando Maria era stata portata via.
-Degweed sarà felice di ricevere una bellissima donna come te- disse arrossendo un po'.
Loveday si bloccò terrorizzata… quel nome, anche il complimento passò in secondo piano collegando quel nome.
-Mi scuso se ti ho mancato di rispetto…- cercò di riparare Benjamin, credendo che l’improvviso malumore della donna fosse collegato al complimento troppo esplicito che le aveva rivolto.
Loveday lo sentì a malapena, ormai aveva dato la sua parola, sarebbe andata da Degweed, sperando nella bontà di quell’uomo, le era sembrato leale e comprensivo ed era legato a Maria, si vedeva.
Forse poteva aiutarla… con quell’idea che ormai aveva in mente da settimane.

CIAO A TUTTI, ECCO UN NUOVISSIMO CAPITOLO, FRESCO FRESCO, APPENA SFORNATO!!!

 

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Capitolo 14
*** ALLONTANARSI ED AVVICINARSI ***


Loveday spronava il cavallo lungo la strada di terra battuta, il carretto sobbalzava pericolosamente ad ogni ciottolo che finiva sotto la ruota, ma questo non le importava.
Le era balenata in mente un’idea e la sua mente correva veloce, più veloce di quel cavallo che non riusciva a stare al passo con la sua mente.
-Yah yah- urlava sentendo dentro al cuore finalmente un senso di speranza e di liberazione, che non sentiva da tanto tempo.
Doveva assolutamente riferire a Degweed il suo piano, con la speranza che l’avrebbe accolto.
Si era dimostrato molto leale nei confronti di Maria ed era sicura che quell’uomo le voleva bene.
Tirò le redini con forza, provocando un nitrito di frustrazione di Atlas, il cavallo di Benjamin, una volta arrivata davanti alla bottega del falegname.
Degweed si precipitò fuori, allarmato dal rumore assordante degli zoccoli sulla strada e sbiancò quando riconobbe la donna.
-Signorina Loveday…cosa ci fate voi qui?- chiese tutto trafelato, inchinandosi più volte.
Loveday si guardò intorno accertandosi che non ci fosse nessuno, poggiò una mano sul braccio del falegname e sorrise.
-Dovrei parlarvi in privato, è molto urgente… riguarda Maria- spiegò, notando lo sguardo confuso del falegname, che appena sentì il nome della piccola Merryweather si ricompose e la invitò ad entrare nella piccola bottega.
-Mi scuso per il disordine…-
-State tranquillo, signor Degweed, ho avuto modo di sperimentare la vita di campagna. Mi hanno cacciata dalla Rocca e Maria mi ha dato le chiavi di casa sua per abitarvi-
Degweed restò a bocca aperta.
-Ecco perché Benjamin è stato liberato così improvvisamente, è stato merito vostro.-
Loveday annuì sorridendo.
-Sa chi siete?- domandò lui a bruciapelo.
Loveday non si sarebbe mai abituata all’ingenua schiettezza dei contadini, i nobili facevano grandi giri di subdole parole per ammaliare e confondere.
-No, sono stata una vigliacca lo ammetto. Avevo paura che non appena avesse sentito il mio cognome mi avrebbe cacciata…- sussurrò con la testa bassa per la vergogna – Mi faccio chiamare Alice. A proposito ho portato l’aratro del signor Merryweather, è da aggiustare.-
Degweed la studiò per un attimo.
-E per quanto riguarda Maria? Da come ho sentito dagli zoccoli e dal rumore del carretto, avevate abbastanza fretta di arrivare fin qui- disse sorridendo divertito.
La donna rise.
-Sì, mi è venuta un’idea per liberare Maria. Ero l’unica a proteggerla là dentro e temo che se non la tiriamo fuori al più presto le succederà qualcosa… già mio fratello le aveva messo gli occhi addosso e non è un buon segno… Maria è una ragazza fin troppo carina per restare senza protezione in un castello pieno di nobili arroganti d egoisti.-
L’uomo abbassò lo sguardo ed annuì, non voleva neanche pensare a quello che potevano fare a quella povera ragazza.
-Ma come possiamo fare? Anche recapitare un messaggio sarebbe impossibile, figurarsi farla evadere…-
-Per questo abbiamo bisogno di un aiuto dall’interno, non voglio mandare voi, vi hanno già visto ed io per forza di cose non posso andare… ma sicuramente voi conoscete qualcuno molto bene, di cui vi fidate ciecamente. So che è un rischio, non voglio mentire, ma potremmo far evadere sia Maria sia chi entrerà nel Castello-
Il falegname si accarezzò più volte la testa pelata, come se volesse aiutarla a riflettere su quel piano fin troppo rischioso per i suoi gusti.
-Credo che sia la cosa migliore… ne parlerò a mia moglie, anche lei è molto affezionata alla piccola Maria, era la maestra del villaggio, prima che fosse troppo stanca e lasciasse il posto ad una donna più giovane ed energica. Mia moglie si chiama Diane Heliotrope.-
Loveday saltò dalla gioia e corse ad abbracciare Degweed che arrossì fino all’ultimo capello.
-Perfetto! Quando tornerò a prendere l’aratro ne parleremo meglio! Grazie Degweed, siete un vero amico!-
 
Coeur De Noir se ne stava appoggiato al camino accesso, intento a guardare le fiamme che scoppiettavano vivaci.
Robin se ne stava immobile dietro di lui, in attesa che suo padre parlasse. Era un uomo irascibile e quando qualcuno interrompeva il suo flusso di pensieri aveva delle reazioni esagerate.
-Quindi…- disse finalmente, interrompendo quel lungo silenzio -ti sei affezionato alla debitrice.-
Alzò una mano per zittire il ragazzo, che aveva appena aperto bocca per giustificarsi.
-Devo ammettere, figlio mio, che hai veramente buon gusto in fatto di donne- disse ironico -Una contadina, per di più debitrice e con un carattere sovversivo e ribelle. È molto graziosa, lo devo ammettere, ma non puoi perdere la testa per una così. Non potrai mai averla al tuo fianco. Sarai il prossimo Coeur De Noir, il cuore, il fulcro del nostro Clan e non permetterò, finchè mi entrerà aria nei polmoni, che il nostro sangue venga insozzato da quello di un Merryweather.-
Robin aggrottò le sopracciglia e digrignò i denti per la rabbia.
-Lei non sa nulla, padre. Non sa cosa vuol dire essere una Merryweather e non ho perso la testa per lei. Tante donne vanno e vengono dal tuo letto e nessuna di loro ha sangue blu nelle vene, ed ora se nel mio letto ne trovi una mi fai la predica?-
Coeur De Noir si voltò di scatto con uno sguardo altezzoso, squadrandolo dall’alto in basso.
-Con nessuna di loro ho organizzato una caccia, non ho difeso nessuna di loro dalle voglie di qualche nobile, a nessuna di loro ho offerto un posto nel mio letto perché non riusciva a dormire, a nessuna di loro ho permesso di dormire al mio fianco. Vuoi che continui?- chiese con il suo solito sarcasmo.
Robin boccheggiò un paio di volte. Non immaginava certo che suo padre sapesse così tante cose.
Ora aveva avuto la conferma a quel dubbio che da tempo aveva in testa, suo padre lo faceva controllare da qualcuno.
-Sto solo giocando con lei- mentì Robin – E comunque credimi, non vuole sedurmi, anzi… vuole solo essere lasciata in pace ed andarsene da qui il prima possibile-
-Ah sì?- rise il padre -Suo zio dovrà spezzarsi la schiena per farla uscire di qua, è quello che ha più difficoltà a pagare la tassa annuale. Comunque tornando al nostro discorso, ti ci puoi divertire, puoi farci quello che vuoi, ma dammi retta, non ti ci affezionare e se ormai è troppo tardi, oltre a lei avvicinati anche a qualcun’altra.-
Robin si mosse lievemente a disagio. Sentì un brivido lungo la schiena quando realizzò che in quel momento non gli interessava nessun’altra, oltre Maria.
-Zelda per esempio, è molto bella, anche più della debitrice e sempre molto disponibile per una razione in più di cibo, o Tiria, basta prometterle che non laverà i panni il giorno seguente… e ha il seno più bello che abbia mai visto.-
-Sì, lo so- tagliò corto Robin, non vedeva l’ora di finire quel discorso. Cercò di trattenere l’espressione di disgusto, sentir parlare suo padre di donne più giovani di lui di quasi quarant’anni, che si rendevano disponibili per migliorare le proprie condizioni di vita gli faceva salire il vomito e la nausea peggiorava realizzando che anche lui in passato le aveva convinte così, promettendo sempre qualcosa. Maria aveva ragione: i nobili erano egoisti, capricciosi e ritenevano i servi immondizia.
-Ho capito il discorso, mi allontanerò da lei. Voglio solo che il tuo informatore non dica a nessuno che Maria ha passato una notte nelle mie stanze. Le altre serve la lincerebbero. - disse con un groppo in gola, che cercò di mandare giù deglutendo più volte.
Couer De Noir fece un leggero cenno affermativo con la testa. Conosceva bene le dinamiche interne della Rocca.
Robin fece un leggero inchino con la testa e poi uscì in fretta dalla stanza, sbattendo la porta. Doveva allontanarsi da Maria e doveva farlo alla svelta, non poteva sopportare l’idea che si sarebbe venduta per un medicinale troppo costoso o per un po' di riposo. Appoggiò la testa alla parete dietro di sé e sospirò.
-Cosa ha detto?- chiese una vocina accanto a lui leggermente titubante.
Robin aprì gli occhi e tirò su la testa e vide proprio lei, che teneva un secchio d’acqua in una mano e uno scopettone nell’altra. Aveva un fazzoletto nero in testa per tirare indietro i lunghi capelli rossi che l’avrebbero solo infastidita mentre lavorava.
-Ha detto che non dirà nulla. Sicuramente ha un informatore, neanche io ne ero a conoscenza, è così che ha saputo- disse freddamente, con lo sguardo da un’altra parte.
Maria sospirò un po' più sollevata, anche se non riusciva a capire cosa gli fosse preso così all’improvviso.
Dubitava che fosse per averlo rifiutato, in fondo che cosa si aspettava? Che lei gli dicesse di sì? Era solo una serva e lui un principe, si doveva rinsavire e rendersi conto che l’amore che lui nutriva per lei non sarebbe mai stato possibile. Un giorno o l’altro sarebbe arrivata alla Rocca una donna di una nobile casata e lui sarebbe stato costretto a sposarla. Ma Maria sapeva che Robin non era uno sprovveduto, sapeva meglio di lei cosa lo aspettava.
-Va…va tutto bene?- chiese lei, cercando di non sembrare interessata.
Robin la guardò per un attimo e a Maria sembrò di vedere per un attimo una nota di malinconia nei suoi occhi.
-Sì, puoi tornare a lavorare- disse duramente staccandosi dalla parete per poi allontanarsi senza neanche salutarla.
Maria abbassò lo sguardo… forse le altre serve avevano ragione quando dicevano che portava sfortuna, tutti quelli che si avvicinavano a lei erano destinati a diventare infelici, primi tra tutti i suoi genitori che erano morti di spagnola a pochi giorni l’uno dall’altro e lei non aveva neanche potuto salutarli, perché per non essere contagiata era stata mandata a vivere a Moonacre da suo zio.
Dopo di loro la sfortuna aveva colto suo zio, poi Loveday ed ora Robin, che dal suo sguardo sembrava essersi quasi spento.
Chi sarebbe stato il prossimo?
E Maria si ritrovò a sperare di essere proprio lei, forse così la dea bendata si sarebbe rifatta di nuovo viva.
I suoi tristi pensieri vennero interrotti da un’ espressione di sorpresa, si voltò e rimase a bocca aperta. Lasciò cadere il secchio e lo scopettone e si mise a correre per raggiungere la sua ormai unica fonte di salvezza dentro il castello.
Sorrise sentendosi stringere da quelle braccia, che in quel momento le sembravano l’unica cosa che le impediva di cadere in un baratro nero di disperazione.
-Che ci fai qui, Ben?- chiese tra le lacrime di gioia -Come sta la Signorina Heliotrope?-
Il ragazzo rise.
-Mia madre sta bene, anche Degweed e…- sussurrò avvicinandosi all’orecchio della ragazza- anche Loveday. Doveva venire mia madre, ma era troppo rischioso, così sono venuto io-
Maria lo guardò perplessa.
-Mi sono offerto di lavorare alla Rocca- spiegò lui con un mezzo sorriso e incrociando le braccia sul petto.
-Per farti evadere Maria-

CIAO A TUTTI, ECCO UN NUOVO CAPITOLO! SPERO CHE VI PIACCIA!
 

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Capitolo 15
*** UNA SFIDA PERICOLOSA ***


Maria sorrise, finalmente aveva una persona accanto a lei nella Rocca, qualcuno con cui confidarsi, soprattutto in quel momento in cui Robin si era allontanato così improvvisamente da lei.
-Ehi Maria- disse una voce gioviale dietro di lei.

La ragazza si voltò sempre con il sorriso, riconoscendo la voce.
Ben si avvicinò a lei.
-Ho appena finito il mio turno alle stalle, mi do una rinfrescata e poi facciamo un giro?- chiese il ragazzo con un sorriso, spostando un ciuffo che gli era caduto sull’occhio.
-I De Noir fanno un banchetto stasera, mi dispiace Ben, dovrò stare sveglia fino a tardi- rispose a malincuore la ragazza, riempiendo la seconda brocca alla fontana.
Ben sospirò, facendo sparire il suo bel sorriso.
-Al villaggio d’inverno moriamo quasi di fame e qua banchettano con le nostre scorte…-
Maria appoggiò una mano sulla spalla del suo amico.
-Lo so, anche io all’inizio rimanevo allibita…poi mi sono resa conto che fanno cose ancora peggiori e vedere che mangiano grandi quantità di cibo non mi tocca quasi più.- rispose facendo spallucce.
Ben la guardò perplesso e vice che la ragazza sfuggiva al suo sguardo, come se non gli volesse rivelare che cosa avesse visto o, peggio ancora, vissuto in quei mesi.
Le mise due dita sotto il mento e le fece sollevare lo sguardo.
Gli occhi della ragazza erano velati di lacrime e marcati da due profonde occhiaie, era evidente che quel posto la stava consumando.
-Maria, sai che tengo a te, dimmelo…qualcuno ti ha fatto del male?-
La ragazza distolse lo sguardo e titubò un po', quel tanto che bastò a far infuriare Ben.
-Cos’è successo?- insisté lui stringendo i pugni.
Maria cercò di calmarlo.
­­­­-Tranquillo Ben, non è successo niente di che, ho avuto un po' da fare con il principe della Rocca, Robin de Noir…-
Ben si passò una mano tra i capelli, come se non sapesse cosa fare e come reagire, sapeva di essere impotente, non poteva di certo prendere a pugni il principe.
-Diciamo che all’inizio mi ha dato un po' di filo da torcere, ma poi…- sorrise a se stessa, ricordando i momenti che aveva passato con Robin -mi ha difeso in diverse occasioni-
Ben la guardò di sottecchi con i suoi profondi occhi marroni. Il sorriso di quella ragazza non le piaceva per niente, non glielo aveva mai visto sul volto da quando la conosceva.
-Maria… non ti sarai mica innamorata?- chiese lui.
La ragazza arrossì e sgranò gli occhi.
-Ma come ti viene in mente!- esclamò con più forza di quanto avrebbe voluto.
Ben sollevò il sopracciglio e incrociò le braccia sul petto.
-Allora quel sorriso da ebete doveva essere una paresi facciale!- scherzò lui, ricevendo poi una leggera spinta dalla ragazza che poi scoppiò a ridere, facendo ridere anche Ben.
Maria prese i due vasi ormai pieni d’acqua, ancora scossa dalle risa. Il ragazzo ne prese subito uno, con un sorriso divertito.
-Ehi!-
I due ragazzi si girarono e lo sguardo che Maria incontrò le fece gelare il sangue. Appoggiato ad una delle colonne c’era Robin che li guardava con lo sguardo più freddo che Maria gli avesse mai visto.
-Maria Merryweather… non ti ho visto mai oziare nella Rocca da quando sei qui, ed ora che è arrivato questo qua…-
-Che intendi dire?-  lo sfidò Ben, che evidentemente non aveva la più pallida idea di chi si trovava davanti.
Maria gli mise una mano sul petto per fermarlo e quel gesto fece ancora più infuriare Robin, che stava per dire qualcosa conto quel pezzente, ma si piantò le unghie nei palmi delle mani per tacere. Doveva ricordarsi della promessa che aveva fatto a se stesso: non si sarebbe più riavvicinato a Maria, lei se ne doveva andare da quel posto e non doveva ferirla in alcun modo.
Cercò di non guardarla ed era così doloroso non farlo, poi si girò e ritornò a gran passi verso il Castello.
Sapeva che evitarla sarebbe stato difficile, lei avrebbe servito al banchetto di quella sera.
 
Coeur De Noir guardava dal suo trono logoro la stanza brulicante di soldati ubriachi con uno strano luccichio negli occhi, aveva avuto un’idea brillante per il compleanno di suo figlio e secondo la gente comune malvagia e perversa.
Rivolse lo sguardo verso Robin e notò che si sforzava di tenere lo sguardo basso e serrava continuamente la mascella, quando quella servetta si avvicinava per servire i commensali.
Nel giorno successivo tutto sarebbe cambiato, non avrebbe permesso a suo figlio di sentirsi debole di fronte ad una troietta.
Robin cercava in tutti i modi di ignorare Maria, ma aveva ancora in mente quei due alla fontana quel pomeriggio, quel tipo lo mandava in bestia, quell’atteggiamento di sfida, quello sguardo duro e soprattutto quel contatto fisico e il sorriso che aveva rivolto a quella ragazza.
Era così difficile non pensare a lei! Convivevano nella stessa dimora e lei dormiva nel sottoscala in fondo al suo corridoio. Anche se cercava di evitarla in tutti i modi il destino sembrava metterla sulla sua strada. Proprio la sera precedente era uscito dalla sua camera e l’aveva vista cambiarsi.
Era tornato subito in stanza rosso in volto come un pomodoro. Non era di certo la prima volta che vedeva una donna seminuda, ma lei gli faceva battere il cuore come un dodicenne e sapere che in quel momento aveva quel tipo intorno lo faceva ribollire di rabbia. Sapeva che era tutto tremendamente sbagliato, odiava essere vulnerabile e poco lucido.
-Figliolo, ti vedo infuriato- esclamò con un sorrisetto Coeur De Noir, avvicinandosi al ragazzo.
Robin sollevò appena lo sguardo, incontrando subito quello confuso di Maria. Subito il ragazzo lo riabbassò e continuò a masticare, senza nemmeno rispondere a suo padre.
Il re lo guardò scuotendo la testa, per poi voltarsi verso Maria che stava servendo le patate e che ogni tanto lanciava uno sguardo preoccupato al ragazzo.
Quando quella servetta gli si avvicinò per servirlo, Coeur le prese un braccio facendole cadere il vassoio di mano. Si beò del suo sguardo spaventato.
Maria era atterrita, non era mai stata così vicina a lui e le venne in mente tutto ciò che aveva sentito dalle serve su di lui.
Robin non si accorse nemmeno di essere già in piedi, con la mano appoggiata sul coltello.
-Padre, lasciala- sillabò freddamente. Nella sala regnava il silenzio.
Maria si voltò verso Robin e lo guardò confusa, stava sfidando suo padre per lei? Non era possibile…
-Basta così- disse suo padre, spingendo via la ragazza che cadde a terra.
Robin frenò l’istinto di correre ad aiutarla, lì davanti a tutti, sapeva di aver esagerato quella sera e che l’aveva messa in pericolo.
Coeur a gran voce esclamò.
-Domani sarà il compleanno di mio figlio, compirà ventidue anni e voglio che domani al banchetto partecipino anche tutti i servi con il loro vestito migliore.
Robin rimase in piedi, serrando ancora di più la mascella per la rabbia. Suo padre aveva in mente qualcosa e dallo sguardo che gli lanciò di sicuro non era nulla di buono.
 

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Capitolo 16
*** UN REGALO AMARO ***


Ben interruppe ciò che stava facendo e alzò lo sguardo verso Maria.
-Fammi capire, ieri hai quasi scatenato una guerra civile nella famiglia De Noir e oggi invitano tutti i servi al compleanno di quell’incapace?-
Maria rimase in silenzio continuando a spazzare il cortile, aveva paura, l’ansia si faceva sempre più forte e il sudore freddo le scendeva lungo la schiena.
-Maria, non andare- le sussurrò Ben avvicinandosi. -Sai che stasera succederà qualcosa, ti vogliono a quella festa-
- Non posso non andare- rispose la ragazza, cercando di mantenere la voce ferma -Ci hanno minacciato, chi non va deve lavare le lenzuola di tutte le camere del castello per un anno. Io tra un anno non voglio più essere qui… voglio tornare a casa mia-
Le lacrime iniziarono a sgorgarle dagli occhi e non riuscì più a fermarle. Ben la abbracciò, restarono lì abbracciati nel cortile fino al suono della campana, che segnava la fine del turno lavorativo.
Maria restò di sasso vedendo il vestito che qualcuno le aveva lasciato sul letto, rosso e nero come al solito, ma era del tutto differente da quelli che usava tutti i giorni, lasciava le spalle scoperta e aveva una profonda scollatura sul davanti che veniva coperta da uno strato di tulle nero, la gonna scendeva morbida lungo le gambe e aveva un lungo strascico di tulle rosso e nero.
Ormai non si stupiva più di nulla.
Lo indossò senza neanche guardarsi allo specchio, lasciò i capelli sciolti per cercare di coprire le spalle e andò verso la sala del banchetto da dove proveniva un gran chiasso, musica, risate sguaiate e cori di soldati ubriachi.
Scendeva le scale mantenendo lo sguardo basso, ma sentiva comunque alcuni sguardi su di sé e capiva il perché, una debitrice vestita in quel modo, quasi come se fosse una nobile, non aveva nessun senso.
Si nascose in un angolo buio della sala, mantenendo lo sguardo basso e le braccia incrociate sul petto per cercare di nascondersi il più possibile. Sollevò lo sguardo solo una volta e incontrò quello di Robin, che la stava osservando confuso, subito distolse lo sguardo e lo ripuntò sul pavimento.
Il ragazzo non si soffermò neanche un momento sulla bellezza della ragazza, ormai sapeva che era bella, ma si soffermò sul motivo di quell’abito, sul perché alla sua festa fossero invitati per la prima volta anche i servi del castello e su suo padre che non faceva altro che sorridere dall’inizio.
-Buon compleanno figliolo!- disse proprio quest’ultimo appoggiandogli la mano sulla spalla.
Robin si scostò immediatamente e si voltò a guardarlo.
-Tu non ne sai nulla, giusto?- chiese sarcastico, indicando con la testa la ragazza.
-Le ho dato io quell’abito, chissà cosa pensa… forse che gliel’hai dato tu come quella volta della caccia-
 Robin ebbe un brivido quando realizzò che si era comportato come suo padre, cosa che si era ripromesso di non fare mai.
Rivolse di nuovo lo sguardo della ragazza, quanto avrebbe voluto che a quella festa si divertisse come le altre serve, che chiacchieravano, bevevano e ballavano. Lei se ne stava lì, in quell’angolo buio, con le braccia incrociate sul petto, senza neanche guardarsi intorno, lo sguardo basso e si passava sempre più spesso la mano sul viso. Robin era sicuro che stesse piangendo e gli si stringeva il cuore vederla lì da sola. Dov’era quel suo amico? Perché l’aveva abbandonata lì?
Stava per alzarsi, per rivolgerle un sorriso e toccarle un braccio, anche solo per comunicarle “io sono qui, stai tranquilla”, ma poi le altre serve l’avrebbero di nuovo presa di mira.
Coeur De Noir prese la parola sul palco dove stavano entrambi i De Noir.
-Vi ringrazio tutti per aver accolto con tanto entusiasmo il mio invito-
Uno scrosciante applauso si diffuse nella sala, con grida e risate, l’unica che non ebbe una reazione fu Maria. Aveva solo sollevato lo sguardo e Robin ebbe una stretta al cuore quando si accorse degli occhi arrossati e ancora lucidi.
-E’ l’ora che mio figlio riceva il regalo che ho preparato appositamente per lui, già infiocchettato e pronto. È un regalo a dir poco misterioso, perché è proprio in mezzo a noi eppure non lo vediamo-
Maria si guardò intorno, era curiosa, non aveva mai ricevuto un regalo vero e proprio per i suoi compleanni, a volte c’era della frutta oppure un’ora in meno di lavoro, di sicuro non avevano soldi per comprare qualcosa che non fosse indispensabile per la vita di tutti i giorni.
Ma la sua curiosità non venne appagata, non c’era nulla che facesse pensare ad un regalo ed era la stessa cosa che pensava Robin, ma sapeva che c’era qualcosa che non andava.
Cosa aveva detto suo padre?
Che era sotto gli occhi di tutti, già infiocchettato e che nessuno si sarebbe aspettato che fosse un regalo, quindi era qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato.
Robin si continuava a ripetere le parole del padre nella testa.
Infiocchettato…infiocchettato…infiocchettato…sgranò gli occhi e si alzò dalla sedia di botto. Aveva capito, ma era troppo tardi, Coeur era già con la mano alzata e stava indicando un angolo buio nella sala.
-La debitrice! Ecco qual è il regalo per mio figlio-
A Maria tremarono le ginocchia e si dovette appoggiare alla parete dietro di sé, gli occhi sgranati e persi che incontrarono quelli terrorizzati di Robin.
Non se ne sarebbe mai più andata…

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