Lonelinet

di Germano
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Non so come né perché, ma un giorno, tornato da una nottata un po' folle e appannata, al mio risveglio mi ritrovai sì sul mio letto, ma non potevo certo affermare che quella fosse la mia stanza! 

Le pareti erano di un bianco luminoso e fuori dalle finestre non era il solito panorama a catturare la mia attenzione ma un grosso neon che portava su scritto a lettere variopinte "Logo-GE".

In un'altra occasione avrei sicuramente riso a quello scherzo della mente, mi sarei rigirato nelle coperte e riaddormentato, ma la verità è che le coperte non c'erano. In realtà non c'era nemmeno il letto. Adesso, infatti, ero in piedi al centro di un lungo viale, vestito con gli abiti sgualciti della sera passata ed il neon della Logo-GE risplendente dinanzi a me. La costruzione aveva un'architettura mai vista, le pareti candide come la neve splendente, squadrate ma al tempo stesso armoniose. 

Decisi di entrare ché non c'era nulla da perdere e non sapevo dov'altro andare o cos'altro fare. Quello che mi trovai davanti spiazzò la mia mente più di quanto non avesse fatto il passare da un letto a una strada senza nemmeno il suono di una sveglia e un qualcosa in pancia: mi trovai in una stazione. 

Lì, delle persone in uniforme aiutavano i passanti a trovare il loro binario. Il corridoio sembrava infinito, nonostante dall'esterno mi fosse parso tale e quale a un edificio ordinario. 

Non c'erano suoni all'infuori di un leggero brusio, mi girai verso l'entrata, ma l'entrata non c'era più! Al suo posto il corridoio continuava ancora, all'infinito. Era una cosa assurda ma, come se fossi in un sogno tutto ciò che accadeva mi pareva plausibile. Plausibile al punto che mi diressi verso una delle signorine in uniforme per chiedere con nonchalance dove diamine mi trovassi.

La signorina mi rispose che mi trovavo nella sede Logo-GE, il più grande servizio di trasporto esistente. Ma io non sapevo dove andare, così chiesi se fosse possibile avere una mappa dei luoghi raggiungibili, la quale prontamente mi fu fornita. Apparve davanti a me un ologramma tridimensionale della struttura di una città, tridimensionale, perché questa non era lineare ma si sviluppava su più piani formando un cono con l'apice verso l'alto ed era proprio là che ci trovavamo, sulla sommità dell'immensa città chiamata Lonelinet.

Chiesi cosa ci fosse alla base e la signorina rispose che non si sapeva, si diceva che fosse il continuo della città, un luogo di perdizione, illegalità, immoralità e, disse in un sussurro e con un vago eco interrogativo, libertà...

Aggiunse che comunque non era facile entrarci né così consigliabile. Ammetto che quel luogo ispirava in me una certa curiosità, la sua risposta non era certo stata precisa e non aveva fatto altro che suscitare in me altre domande, ma non ero pronto per quello, non ancora.

Decisi quindi che avrei iniziato la visita della città dal punto più alto: la piazza centrale.

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Capitolo 2
*** II ***


La signorina mi indicò un binario e io mi avviai incuriosito, apparentemente si trattava di un normale treno, ma intuii che probabilmente era la mia mente a dare forma a quel concetto perché quando attraversai l'entrata mi ritrovai direttamente al centro di una piazza, un ragazzo incappucciato mi diede una spallata e senza nemmeno guardarmi proseguì oltre.

La piazza era enorme, gremita della gente più diversa, maschi e femmine di ogni età, dai 6 ai 70 anni con una maggioranza di ragazzi, vestiti tutti in modo diverso era un'esplosione di colori e voci, musica, risate e un suono che non sapevo individuare ma che mi metteva una certa tristezza. 

Accanto a me il cartellone con la mappa di Lonelinet. Mi trovavo al secondo piano, il luogo di ritrovo delle persone. La piazza si estendeva fin oltre l'orizzonte.

Mi ci volle un po' per abituarmi, pian piano cominciai a notare che il flusso di alcune persone non era casuale. Alcuni si riunivano in gruppi, altri seguivano altri ancora, molti si affollavano intorno a stand organizzati con quadri, foto, immagini per la maggior parte di pessima qualità, ma alcune di una bellezza che smuoveva l'animo.

Mi avviai quasi automaticamente verso una ragazza, bellissima e provocante, parlava a un folto gruppo di persone con grande decisione, sembrava nata per trascinare la gente. Non che fosse dotata di un particolare eloquio, ma la gente la seguiva e lei, inabiti succinti, riusciva a tenere alta l'attenzione. Mi guardai intorno, ce n'erano altre. 

Cominciai a rendermi conto che tutta quella gente, era attratta dalla bellezza come insetti dalla luce, e non serviva che fosse una bellezza di genio, un qualcosa che riesce a far scattare una scintilla nella mente e ad elevarci verso l'incompreso, quella bellezza che non è materia ma idea, ma, soprattutto da quella bellezza che non dà nulla, la bellezza spicciola che attrae l'attenzione con l'attrazione di un impulso semplice: una ragazza provocante, un'affermazione facilmente condivisibile, alcune volte anche vera arte, inadeguata, incompresa, ma utile all'apparenza.

Animali tecnologici e non uomini.

La mia curiosità non era comunque saziata, c'era ancora qualcosa che mi sfuggiva di quel luogo ed ero sicuro che non fosse solo ciò che l'apparenza mostrava. Mi avvicinai a un altro gruppo e ascoltai un uomo che declamava una poesia a gran voce; sembrava scritta da un bambino ma pochi sembravano accorgersene. In un altro gruppo invece c'era un pittore e poi ancora moralisti, cantanti, musicisti, scrittori, attori, giornalisti, liberi parlatori.

Mi avvicinai a un comico che aveva appena finito il suo spettacolo e decisi che era il momento di addentrarmi e sistemare la faccenda una volta per tutte, cosìlo chiamai con un gioco scherzoso a cui fu naturale seguito il malinteso. Il comico infatti, era in realtà un politico di gran caratura che si offese della mia insinuazione, si rifiutò di parlarmi e concluse la discussione pregandomi di andare in un paese non ben definito.

Mi guardai intorno per l'ennesima volta un po' spaesato e mi accorsi che la prima ragazza che avevo osservato, adesso era sola. La folla che l'aveva circondata si era dispersa. 
Lei si era rivestita.

Mi avvicinai con cautela, la donna sicura di sé era scomparsa e mi sembrava di avere davanti una bambina, disperata e sola.

Parlai con lei, per ore ed ore e la aiutai a reggere un po' il peso della vita,la solitudine del nuovo mondo, accattivante e attraente ma fallace e traditore. La sua solitudine era la solitudine di tutti, del mondo intero, una forza oscura che non tutti sanno come prendere nel giusto modo. Qualcuno dice che nasciamo e moriamo soli. A me non sembra una buona scusa per vivere soli, per rinunciare all'amore o all'amicizia, ché se fossimo solo carne e piacere saremmo ancora una volta solo animali.

C'è un momento giusto per ogni cosa, a parte i problemi. 

Lei era me, insomma, ed io ero lei e allo stesso tempo ero tutti gli abitanti della piazza e con la comprensione di lei arrivai alla comprensione di quel luogo che non era altro che un mercato, dove non si vendeva musica o poesie o quadri, no. 

Quello era un mercato di schiavi e ognuno faceva tutto il possibile per vendere sé stesso. 

 

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