La voce dell'Inverno di Celtica (/viewuser.php?uid=833314)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il peso della Corona ***
Capitolo 3: *** Non lo saprà nessuno ***
Capitolo 4: *** Il Parco degli Dèi ***
Capitolo 5: *** Oltre la Barriera ***
Capitolo 6: *** Lui vede ogni Cosa ***
Capitolo 7: *** Lupi del Nord ***
Capitolo 8: *** Era lì per ucciderla ***
Capitolo 9: *** Non sono la tua Regina ***
Capitolo 10: *** Corvi ***
Capitolo 11: *** Sono qui per te ***
Capitolo 12: *** A cavallo di un Drago ***
Capitolo 13: *** Cerchio Protettivo ***
Capitolo 14: *** La Lupa ***
Capitolo 15: *** Voci corrono per il Castello ***
Capitolo 16: *** Sta Tornando ***
Capitolo 17: *** Non mi vuoi qui? ***
Capitolo 18: *** Le difese crollano ***
Capitolo 19: *** Daario Naharis ***
Capitolo 20: *** Il Banchetto ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
La voce dell'Inverno - Prologo
Prologo
I
quattro uomini in nero attraversano le mura di
Grande Inverno con lo sguardo rivolto ai bastioni distrutti e
ricostruiti dopo
la grande guerra. Uno di loro tira le redini del cavallo e lascia che
il suo
fiato caldo formi una nebbia sottile sulla neve.
Fa caldo, più caldo che a nord della Barriera.
Alcune guardie lo riconoscono e chinano il capo
in segno di rispetto. Lui ricambia il saluto e volteggia giù
dalla sella.
Chiude gli occhi e respira l’aria di casa.
Lei
è lassù, in cima alle scale, lo sguardo
rivolto a un attendente. Sta parlando, forse di come rinforzare il
castello, o
di come conservare meglio le provviste. Forse sta impartendo ordini su
quanti
cavalieri mandare a sud, a difendere il confine. Forse sta pensando a
quanti
uomini inviare alla Barriera.
In
quel momento, invece, lui ha un solo ricordo
in testa: rivede sé stesso in cima alle scale del Castello
Nero. Ricorda ciò
che ha provato quando si è accorto di lei in mezzo al
cortile.
Tiene gli occhi fissi in alto, sulla sua figura
slanciata, e aspetta che si accorga di lui.
Aspetta di tenerla di nuovo tra le braccia.
Immagina
la sua voce mentre chiede: “Cosa ci fai
qui?”
“Zio Benjen veniva spesso a trovare nostro padre,
ricordi?”
“Non così spesso”, immagina la sua
risposta. “È
venuto a rendere omaggio a Re Robert.”
Sorride, come sorriderebbe a lei e a quella
frase. “Anch’io sono venuto a rendere omaggio a una
regina.”
Sansa
sta ancora parlando. Gli dà le spalle ora,
i lunghi capelli rossi sciolti sulla schiena. Non
c’è vento. È come una statua,
immobile e perfetta. Jon rimane ad ammirarla anche quando qualcuno
richiama la
sua attenzione, portandola via dalle scale, lontano dai suoi occhi.
N.d.A.:
Non
pensavo che avrei mai scritto una Jonsa, ma
nel finale di stagione ho visto questa storia.
Nei prossimi capitoli avrete un’idea più chiara
sulla trama, per ora ho preferito non svelare nulla nemmeno
nell’introduzione.
Per il primo capitolo non ho intenzione di tardare – diversi
capitoli sono già
pronti – e in ogni pezzo penso che inserirò il
link per un video sul Trono. Se
siete interessati alla storia, fatemelo sapere!
A presto,
Celtica
|
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Capitolo 2 *** Il peso della Corona ***
1. Il peso della Corona
Video su Daenerys (e Jon)
1
Il
peso della Corona
notte, e Sansa
lascia che
l’ancella stringa i
lacci dietro la sua schiena. Non ha l’impazienza di
Joffrey mentre
nota la lentezza della ragazza, né la
crudele ironia di Cersei. La lascia fare, mentre osserva la corona sul
cuscino
accanto a sé.
Ancora non ci crede. Bran: Re dei Sei Regni. Arya:
avventuriera, esploratrice? Jon alla Barriera… come quando
è partita per
Approdo del Re, anni prima. Ma non era lei, non poteva essere davvero
lei.
Era una ragazzina sciocca, incapace di mentire. E
lui era solo il bastardo di suo padre.
Cosa
direbbe ora Eddard Stark, sapendola Regina
del Nord?
E sua madre? Come avrebbe reagito vedendo prima
Jon – il bambino odiato – e poi lei a regnare sul
Nord? Sull’intero nord.
Sette Regni sotto gli Stark. Una cosa impensabile
prima di allora.
«Altezza?»
L’ancella la guarda attraverso lo specchio.
Sembra spaventata. Avrà capito di averci messo troppo?
«Che c’è?»
«Posso fare altro per te?» Ha le mani che
tremano, gli occhi bassi.
«No, puoi andare.»
Oltre
il suo riflesso, Sansa guarda la ragazza
aprire la porta e richiuderla. Sospira, si alza e accarezza la tiara.
Quando
sente bussare, raddrizza le spalle, raggiunge la finestra e, con voce
decisa,
dice: «Avanti.»
«Altezza,»
È Ronald, il Maestro di Grande Inverno,
«nella Sala Grande chiedono di te.»
«Possono aspettare.»
L’uomo resta immobile, lo sguardo a terra.
«Perdonami.»
Sansa si chiede perché sia ancora lì. Fa un cenno
di assenso per congedarlo, ma lui non si muove. «Cosa
c’è?»
«Alcuni membri dei Guardiani della Notte sono
venuti a renderti omaggio.»
∞
Le
porte della Sala Grande sono di legno di
quercia e ferro, e ci vogliono due guardie per aprirle per la loro
Regina. Mura
grigie, stendardi con il metalupo ovunque, torce a illuminare il
cortile
esterno.
Ci sono otto fila di tavoli all’interno, e ogni
cosa – dalla pietra alle pareti ai calici abbandonati sui
tavoli – è sua.
Mentre attraversa la sala, ogni uomo, donna e bambino piega le
ginocchia al suo
cospetto.
«La Regina del Nord!» prende a gridare qualcuno.
«La Lupa Baciata dal Fuoco!»
Dov’è
lui?
È
venuto? O è rimasto nel suo castello, a regnare su bastardi,
ladri e assassini?
Quando
raggiunge la piattaforma rialzata in fondo
– il fuoco di un camino a scaldarle la schiena –
Sansa siede al centro e ogni
persona intorno a lei prende posto.
È allora che il Maestro la raggiunge, indicandole
alcuni uomini vestiti di nero. Sollevano i calici verso di lei, e Sansa
risponde abbassando il mento.
Lui
non
c’è. Non è venuto.
Non
sa perché, ma quando ha sentito nominare i
Guardiani della Notte il suo cuore ha preso a battere più
veloce. Ha percepito
un fremito dentro di sé, ed è uscita di corsa
dalla sua stanza – la stanza dei
suoi genitori – per raggiungere la Sala Grande.
Ora c’è solo vuoto nel petto. Come se il frullo
d’ali che ha sentito fosse svanito.
A poco a poco, man a mano che le portate vengono
servite e lord e cavalieri arrivano a renderle omaggio, il vuoto si
riempie.
Sansa si sente pesante. Vuole solo alzarsi e
lasciare la sala. Ha bisogno di restare sola.
Quando
allontana la sedia dal tavolo, maestro
Ronald è subito al suo fianco. «Altezza?»
«Non mi sento bene. Scusami tu con i lord.»
Nessuno
sembra accorgersi di lei quando passa tra
i tavoli ed esce. Due guardie le arrivano alle spalle, ma si fermano
quando la
sua mano si alza intimando loro di restare dove sono.
Non sa perché si aspettasse tanto di vederlo. Non
sa nemmeno perché ci sperasse.
Attraversa il cortile e sente la mancanza del
calore. Quello delle mura di Grande Inverno e delle sue sorgenti.
Quello di una
famiglia. Della sua famiglia.
Di
Bran. Di Arya. Di Jon.
Si
era illusa di potersi abituare alla
solitudine. Aveva creduto che il potere, la corona e la
libertà sarebbero stati
sufficienti. Che non avrebbe sentito troppo la mancanza degli altri.
Di Theon, che è saltato con lei da quelle stesse
mura, fuggendo da casa.
Di sua madre, che amava spazzolarle i capelli,
darle l’esempio.
Sansa ripensa a tutte le persone importanti della
sua vita. Le ha perse tutte. Non è rimasto più
nessuno.
Cammina
verso la Serra di vetro e ricorda il
piccolo castello di neve costruito con Ditocorto. Lui sarebbe rimasto
al suo
fianco. Se non l’avesse tradita. Se lei non lo avesse ucciso.
Arya
lo
ha ucciso.
Ma è stata lei a dare l’ordine.
Di
quelli ancora in vita, Jon è il più vicino. E
per un istante, Sansa ha sentito la speranza nascere e crescere dentro
di sé.
Rivederlo. Riabbracciarlo. Il suo sorriso, la sua risata. I capelli
neri di
nuovo sciolti, la barba incolta.
Sansa lo ricorda al fianco di Daenerys e qualcosa
di simile alla gelosia le brucia i polmoni. Fatica a respirare.
Quando la Regina dei Draghi sorrideva a Jon,
Sansa vedeva quel mondo di ghiaccio – il suo mondo
– sgretolarsi. Eppure,
quando aveva saputo del pugnale nel cuore, non si era sentita meglio.
Non ne conosceva il motivo, ma avrebbe preferito
non accorgersi mai di quei sorrisi, non capire mai cosa provassero
l’uno per
l’altra.
“Amo
tuo
fratello”,
aveva detto Daenerys Nata dalla Tempesta.
Lo
amo
anch’io. E da più tempo di te.
Quando
lo aveva rivisto alla Barriera si era
sentita finalmente a casa. Non a Grande Inverno con i Bolton. Ma con
Jon.
Ovunque lui fosse. Ovunque.
Sansa
entra nella serra, il luogo più caldo del
castello. Anche quel luogo è riscaldato dalle sorgenti
sotterranee. Lì, gli
uomini hanno coltivato frutta e fiori, come nel pieno
dell’estate.
Vede il suo respiro condensarsi nell’aria e
socchiude gli occhi. Si sente sola.
È circondata da soldati, lord e ancelle, eppure
non c’è nessuno più solo di lei a
Grande Inverno.
D’improvviso, il caldo la investe, il ricordo di
tutti gli abbracci che ha dato, di tutte le persone che ha perso. Ne
basterebbe
una, una sola, e la fanciulla che è stata tornerebbe a
vivere dentro di lei.
Torna
nel cortile. La notte la avvolge e non è il
gelo a sconvolgerla, non è l’inverno, ma solo la
cupa certezza di essere sola.
Si volta e, come nelle ballate, lui è lì. Jon
è
tornato a Grande Inverno.
Non gli corre incontro – come potrebbe? È una
Regina – ma sente gli occhi inumidirsi.
«Vostra Grazia.»
Jon si inchina con un sorriso divertito – era lui
il Re del Nord, il Lupo Bianco – e Sansa nota i fiocchi di
neve sui suoi
capelli, sul suo mantello. Sulle sue ciglia.
Quando è arrivato così vicino?
«Credevo
che il Comandante dei Guardiani della
Notte non potesse lasciare il Castello Nero.»
«Anche Lord Mormont l’ha fatto. È andato
oltre la
Barriera. Ero con lui.»
«E oltre la Barriera è stato ucciso.»
«Sei sempre ottimista, vedo.»
Sotto
la notte cupa e senza stelle, Sansa
riconosce il suo sorriso. Fa un passo verso di lui. «Non
voglio che ti accada
nulla.»
«Sai, dopo la partenza di Tormund, al Castello
Nero c’era poco da fare.»
Sansa ride – è sempre stata così la sua
risata? –
e fa un altro passo. «Così hai pensato di cercare
guai, Lord Comandante.»
«Nemmeno oltre la Barriera c’era molto da
fare.»
«E Spettro?» domanda Sansa.
«È
rimasto con Tormund. Lo rivedrò presto.»
Quel
“presto” la fa vacillare. Non lo credeva
possibile. Non dopo Ramsay, non dopo Ditocorto. Non dopo la morte della
Regina
dei Draghi e l’indipendenza del nord.
E di colpo, la persona che regna sul nord e
possiede ogni cosa a Grande Inverno, desidera una cosa sola. Una cosa
che non
può avere.
N.d.A.:
Ciao
a tutti! Vorrei ringraziare le persone che
hanno dato fiducia al prologo di questa storia. Grazie mille! E vorrei
dire un
paio di cose.
Intanto: maestro Ronald nel Trono non esiste
(indovinate un po’ il perché di questo nome.
C’entra un altro fandom!), e dato
che i Re del nord del passato hanno avuto nomi legati ai lupi, nella
mia testa
anche Sansa doveva averne uno.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che mi farete
sapere cosa ne pensate. A presto!
Celtica
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Capitolo 3 *** Non lo saprà nessuno ***
2. Non lo saprà nessuno
Video sugli Stark
2
Non
lo saprà Nessuno
a
neve cade lieve, posandosi sui suoi capelli rossi. Ha una tiara sulla
fronte, e
nessuna pettinatura particolare. Jon non la ricordava così.
Nemmeno prima della
sua partenza con zio Benjen per il Castello Nero.
«Quanto presto?» sussurra Sansa.
Jon vorrebbe solo stringerla tra le braccia come
ha fatto prima di combattere contro Ramsay. Come quando ha lasciato
Approdo del
Re. Vorrebbe scostarle i capelli dal viso e baciarle la fronte come ha
fatto
proprio lì, a Grande Inverno, una volta vinta la battaglia.
«Presto» ripete Jon, stringendo i pugni nei
guanti neri. «Siamo qui a cercare confratelli e a rendere
omaggio alla Regina.»
Sansa avanza verso di lui, occhi negli occhi. Jon
prevede l’abbraccio prima che si compia.
Non appena sente il calore delle sue braccia, la
attira a sé, piegando la testa sulla sua spalla. Sotto la
neve fredda, il corpo
di Sansa brucia come il fuoco.
«Dovresti
essere tu il Re» sussurra lei contro il
suo collo.
Jon sente il fiato caldo attraverso la pelliccia.
Stringe le palpebre e la allontana piano. È la Regina.
«Sai che non ho mai voluto diventare Re.»
Sansa non fa resistenza – non come Daenerys –
stringe le mani in grembo. «E io non ho mai voluto che
tornassi alla Barriera.»
Lontano
da Grande Inverno
è una frase sospesa tra loro. Per Jon è come un
urlo che riecheggia nella mente.
Lontano
da me,
immagina che aggiunga.
Ma
Sansa non dice altro.
«Non è dipeso da te» mormora, sentendo
sulle
labbra il sapore della neve. «Devo pagare per ciò
che ho fatto.»
«Tu hai liberato il nord dai Bolton.» Sansa
raddrizza le spalle. «E dopo hai liberato il mondo da fuoco e
sangue.»
«Non
avrei fatto nessuna delle due cose senza di
te.»
Sansa
stringe le palpebre. Sul suo mantello scuro
risplendono fiocchi di neve. «Ho chiamato i Cavalieri della
Valle, è vero. Ma
ad Approdo del Re hai fatto da solo.»
Jon ripensa alla città colpita dal fuoco, alla
cenere piovuta dal cielo. Ricorda Tyrion Lannister vagare per le sue
vie, gli
occhi persi – vuoti, delusi? – proprio come quelli
che sentiva di avere lui.
Rivede Verme Grigio estrarre il pugnale,
pronunciare quella condanna a morte.
“Per
ordine dell’unica vera Regina…”
E
nelle orecchie ode ancora la voce di Lord
Tyrion prigioniero mentre nomina le sue sorelle.
Arya non aveva forse fatto lo stesso? Non aveva pronunciato
quel nome?
“Sansa,
vallo a dire a Sansa.”
Jon abbassa lo sguardo, come se potesse scavare
la neve e nascondersi. «Le ho chiesto di perdonare
Tyrion» confessa, scostando
un piccolo cumulo con lo stivale. «Di perdonare
tutti.»
Di
perdonare te.
«Cosa
ti ha risposto?»
“Non
posso. Non posso. Non posso.”
Solleva
il viso e incontra gli occhi di Sansa. Ha
senso dirle la verità, ora che è tutto finito? Ha
senso rischiare di
spaventarla, dirle ciò che ha rischiato?
Fuoco e sangue.
Nel mondo.
Da Grande Inverno a Dorne.
«Credeva
fosse il suo destino. Liberare ogni
uomo, donna e bambino. Creare un mondo buono.»
«Distruggendo una città?» La voce di
Sansa è
carica di rabbia, come se ci fosse qualcos’altro.
«Bruciando il popolo che era
andata a salvare?»
Jon allunga una mano e prende la sua. È
finita, vorrebbe dire. Sei al
sicuro.
«Conosceva il piano di Cersei: usare la sua compassione
contro di lei. Non voleva dargliela vinta.»
«Ancora la difendi?» Sansa libera la mano di
scatto. «Le campane hanno suonato. Arya mi ha raccontato
tutto, e Bran lo ha
visto mentre accadeva. So fin dove si è spinta la tua
Regina.»
«Non
è più la mia Regina.»
«Ma
lo è stata. Lo è rimasta anche dopo la Grande
Guerra, dopo che io, Arya e Bran ti abbiamo chiesto di restare con noi.
Gli ultimi
Stark.»
«Non sono uno Stark.»
«Lo sei, invece.» Sansa prende un respiro. Ha gli
occhi che brillano. «Lo sei per me.» Ora
è lei ad afferrare la sua mano, guanto
contro guanto. «Lo sei per Arya e per tutta la gente del
Nord.»
Jon
socchiude gli occhi e si concentra su quel
contatto. Ora sarà più difficile ripartire,
lasciarla un’altra volta.
«Gli Immacolati sono andati via.» La voce di
Sansa è diversa. Dolce, piena di speranza. Con una nota di
paura. Sta per
chiedergli qualcosa che a lui non piacerà. «I
Dothraki sono tornati dall’altra
parte del mare.»
Non
posso,
pensa Jon. Ha capito. Sa cosa sta per dire. Sa anche cosa
deve rispondere.
«Yara
è sulla sua isola e Dorne è lontana.»
La
voce di Sansa si affievolisce. Jon capisce perché: quando
avrà finito di parlare,
la sua speranza morirà. Perché esiste una sola
risposta possibile. E non è ciò
che Sansa vuole sentire.
«Approdo del Re è dall’altra parte del
continente. E sono certa che nessuno controllerà, nessuno
manderà uomini. Bran
non lo permetterà.»
«Sansa…» cerca di interromperla Jon.
«E di certo non saranno gli uomini del nord a
tradirti. Se tu decidessi di restare qui, con me…»
«Non
posso, e tu lo sai.»
«Non
lo saprebbe nessuno. Potrei fare in modo di
non farlo sapere. Dovresti giusto tornare al Castello Nero di tanto in
tanto, e
per il resto potremmo far credere a qualche malattia
che…»
«Io lo saprei» la interrompe. Ha ancora la mano
nella sua, ed è in quel momento che decide di stringerla
più forte, per farle
capire che vorrebbe restare, ma che non può. «Se
anche funzionasse, cosa potrei
fare qui? Non ti sarei di alcun aiuto. E saprei di aver tradito il mio
giuramento, i miei fratelli.»
«Quelli non sono più i tuoi fratelli.»
Sansa
deglutisce, prende tempo. «Ti hanno tradito, ricordi? Ti
hanno piantato un coltello
nel cuore, ti hanno lasciato a morire…»
«Quello è stato prima.» Jon sente il
mantello da
Lord Comandante troppo stretto. «Sono stato mandato alla
Barriera da un nuovo
Re. E come hai detto tu prima, lui vede tutto. Saprebbe subito del mio
tradimento, e per mantenere la pace sarebbe costretto a
intervenire.»
«Sei suo fratello.»
«Non lo sono.»
«Lo sei.»
«No, non lo sono. E il Bran che conoscevamo non
c’è più. Non sappiamo come reagirebbe.
Non sappiamo se gli Immacolati abbiano
lasciato qualcuno a Westeros a controllare.»
Sansa
resta in silenzio. È Rossa, bianca e grigia,
una regina bellissima. E Jon non riesce a capire cosa stia pensando.
Vorrebbe
solo poterle dire di sì, accontentare la sua richiesta e
restare al suo fianco.
Ma a fare cosa?
Non ha bisogno di lui. Non più.
«Sono stanca. Parleremo domani, a meno che tu non
parta prima.»
Jon la lascia andare – perché non può
fermarla?
Perché non può restare? – si limita a
un inchino.
In fondo, è così che si saluta un sovrano.
N.d.A.:
Ciao!
Grazie a chi ha aggiunto la storia tra seguite e
preferite, a chi ha commentato e anche a chi ha solo letto.
Nei prossimi capitoli vedremo anche altri
personaggi, ma le parti su Sansa e Jon non mancheranno mai. Immaginate
chi
interverrà tra un paio di capitoli?
Dovrei riuscire a pubblicare il prossimo lunedì,
salvo imprevisti.
Se la storia vi piace, fatemelo sapere!
Celtica
|
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Capitolo 4 *** Il Parco degli Dèi ***
3. Il Parco degli Dèi
Video su Sansa e Petyr
3
Il
Parco degli Dèi
mattina
quando Sansa apre
gli occhi. La luce
del giorno illumina la stanza padronale, le mura di granito e il camino
ormai
spento. Scosta le pellicce, scende dal letto e si prepara per
raggiungere la
Sala Grande. Alle domande delle ancelle risponde solo con sì
e no. Non ha
voglia di parlare.
La sera prima si è addormentata a fatica.
Ora, mentre attraversa il cortile, sente la
mancanza di Brienne. Sa cosa le direbbe: non
puoi farci niente, maestà. Il suo posto è alla
Barriera.
Stringe i pugni intorno al mantello di pelliccia
e d’improvviso cambia direzione. Non vuole mangiare, non ora.
Si libera delle guardie con un gesto ed entra nel
parco degli Dèi.
Non prega più. Non prega più da anni.
È
l’unico posto in cui posso stare dove ci sia solo silenzio.
Aveva
detto la stessa cosa a Tyrion Lannister,
dopo la morte di sua madre. La morte di Robb.
E sa che è quello il luogo in cui lui potrebbe
raggiungerla. Siede ai piedi dell’albero diga e solleva il
viso al cielo.
Intorno c’è solo neve.
Non
pensava che sarebbe stata infelice da regina.
Non pensava che sarebbe stata sola.
Nessuno viene a cercarla: sanno che lì non vuole
essere disturbata. Ci va ogni giorno, ma mai a quell’ora, non
da quando indossa
la corona.
Si chiede se fosse questo che voleva Ditocorto,
quando parlava di sedere sul trono. Un futuro in solitudine, al potere.
“Con
te
al mio fianco.”
Forse
un tempo, quando si fidava di lui, prima
che la vendesse ai Bolton. Prima che allontanasse Brienne.
Ditocorto aveva le idee chiare su tutto. Ma lei,
Sansa? Qual era l’immagine nella sua mente, a ogni ostacolo?
Chiude
gli occhi e lascia che i ricordi si
susseguano nella sua mente.
Cosa desiderava prima che suo padre venisse
arrestato? Sposare Joffrey. Diventare regina. E dopo la sua morte?
Tornare a
casa, rivedere sua madre.
Dopo ancora: fuggire da Approdo del Re, da
Joffrey. Essere protetta da Lysa. Essere protetta…
Ditocorto aveva trasformato quel desiderio: da
essere protetta a essere salvata. Dai Bolton. Da Ramsay.
E poi c’era stato Theon, e poi Brienne.
Jon.
Ritrovare
Jon era stato ritornare a casa.
Desiderare Grande Inverno, con lui al suo fianco. Volere la morte di
Ramsay,
riavere indietro Rickon, Bran, Arya…
Da quell’abbraccio al Castello Nero, Sansa aveva
incluso Jon nella sua immagine, quella che la aiutava a superare gli
ostacoli.
Avere Jon accanto a sé. Non lasciarlo partire per Roccia del
Drago. Non
lasciarlo partire per Approdo del Re…
Quante volte aveva ottenuto ciò che voleva?
Dei
passi sulla neve. Sansa volta il capo e se lo
trova davanti. Vorrebbe chiedergli di restare. Ancora.
«Sapevo
che ti avrei trovata qui.» Jon sorride,
ma qualcosa nella sua espressione dice che non porta buone notizie.
«I
confratelli vogliono partire adesso che c’è
luce.»
Lei non risponde, ma il cuore perde un battito.
«Sono venuto a salutarti.»
«Sei tu il Lord Comandante» dice Sansa.
È
arrabbiata. Perché non può restare? Almeno un
altro po’… «O sbaglio?»
«Un
Lord Comandante che non ascolta i suoi uomini
non è un buon Lord Comandante.»
Sansa guarda dritto davanti a sé.
«Non mi saluti, Altezza?»
Jon aspetta, poi si volta. Lento, troppo lento…
«È
colpa mia» sussurra Sansa.
«Che
cosa?» Jon si gira di nuovo verso di lei.
«Se sei costretto a tornare alla Barriera. Se non
sei più il Re.»
«Non è colpa tua.»
«Sì, invece.» Sansa sente le lacrime
lambirle gli
occhi. «Avrei dovuto lottare di più. Bran avrebbe
dovuto…»
«Bran
è il Re. E gli Immacolati non avrebbero
lasciato Approdo del Re senza questa condanna. O senza la mia
testa.»
«Non lo avremmo permesso. Né io né
Arya.» Sansa
si alza, stringe le mani in grembo. «Avremmo lottato per te.
Gli uomini del
nord erano accampati fuori dalle mura. Avrei dovuto dare
l’ordine…»
Jon si fa più vicino, le afferra le spalle. «Ma
non lo hai fatto. Sapevi che sarebbe stato un inutile
massacro.» Sansa vorrebbe
avere meno strati di vestiti, meno pellicce. Ha bisogno di sentire
calore. «E
sapevi anche che Verme Grigio mi avrebbe giustiziato prima di cedere la
città.»
Sansa ha un groppo in gola. Non riesce a mandarlo
giù. Si specchia negli occhi di Jon – mio
fratello, la mia punizione,
l’immagine volta a superare ogni ostacolo – e
ripete quella domanda.
«Potrai
mai perdonarmi?»
Jon
sorride, allunga una mano fino al suo viso e
le asciuga una lacrima. «Non c’è nulla
da perdonare.»
Sansa inclina la fronte e lascia che Jon vi posi
le labbra. È quello il fuoco. Fuoco e ghiaccio. Come quando
lo ha stretto per
la prima volta, come quando è entrata a Grande Inverno e ha
camminato sulle sue
mura. Vedere gli stendardi dei Bolton cadere. Il Metalupo degli Stark
issarsi
sui bastioni.
Jon posa la sua fronte contro quella di Sansa. È
un altro addio?
Quando
ti rivedrò?
Quando
lui fa un passo indietro, Sansa sente il
vento gelido combattere con il calore della sua fronte. Il calore del
suo
respiro ancora sul viso. Gli afferra un braccio prima che possa
voltarsi.
«Resta.»
«Non posso…»
«Solo un altro giorno. Ti prego, resta.»
«Sansa…»
«Un giorno, Jon. Non è molto. Potremmo cavalcare,
andare a caccia o rifugiarci nella Sala Grande a bere e mangiare con
gli alfieri.»
Jon
solleva gli occhi su di lei – fuoco e
ghiaccio. Da quando basta uno sguardo? – e Sansa sente ogni
speranza svanire.
Il fuoco spegnersi.
«Lo sai che vorrei.»
«Allora fallo. Sei il Lord Comandante.»
Jon le prende la mano. Con delicatezza la
allontana da sé. «Lo vorrei più di ogni
cosa.»
«Ma?»
Lo
guarda abbassare la testa, guardarsi intorno
prima di posare ancora gli occhi su di lei. «Maestro Aemon
una volta mi disse
che l’amore è la morte del dovere. Poi mi chiese
cosa avrebbe fatto nostro
padre dovendo scegliere tra la sua famiglia e ciò che
è giusto.»
Sansa resta in silenzio, ricordando Ned Stark.
«Ciò
che è giusto» mormora Jon, dandole le spalle.
«E io farò come lui.»
«Ti sbagli» dice Sansa, arrivandogli di fronte.
«Nostro padre ha avuto questa scelta, e ha preferito la
famiglia al dovere.»
«Di
cosa stai parlando?»
«Io c’ero. L’ho visto. Ho sentito le
parole che
Cersei Lannister ha infilato nella sua bocca.»
Jon corruga la fronte, sposta il peso da un piede
all’altro. Le foglie rosse dell’albero diga si
muovono nel vento, alle sue
spalle.
«Nostro padre ha giurato davanti agli Dèi e agli
uomini che Joffrey era l’unico e vero Re. E che lui, Eddard
Stark, aveva
tramato contro il Re per rubargli il trono.»
«Perché lo avrebbe fatto?»
C’è dolore nella voce di Jon. Sansa vorrebbe solo
cancellare quel dolore, o farlo suo, per impedire a suo fratello di
soffrire.
«Per me.» Le trema la voce, e solo in quel
momento si accorge di vacillare. «Ned Stark ha messo da parte
l’onore per la
sua stupida figlia.»
Jon
scuote il capo, la prende tra le braccia.
«Pensi che se ne sia pentito?» gli chiede.
«Quando ha capito che gli avrebbero preso la vita, in cambio
della mia…»
«No.» Il fiato di Jon è caldo contro la
sua
guancia. «Come avrebbe potuto?»
«Ero solo una stupida ragazzina…»
«E ora sei una regina. La regina del nord. Nostro
padre sarebbe fiero di te. Non dovrai più inchinarti a
nessuno. Nessun Re potrà
venire al nord e pretendere di mandarti a sud. Sei padrona della tua
vita.»
Non dovrai, aveva detto. Non dovrai.
Non
dovremo.
«Vale
anche per te. La Barriera risponde a te
soltanto. E né il nord, né i sei regni potranno
comandarti.»
Jon sorride sulla sua pelle. «È
così.»
Ma
non
siamo liberi. Non sei libero di restare.
«Vieni
qui.» Jon la stringe tra le braccia, e
Sansa capisce che è un addio. Che non si rivedranno
più.
Forse,
un giorno…
Poi la lascia andare e stavolta se ne va davvero.
∞
È solo molte ore più tardi, mentre Jon
è sulla
strada per Città della Talpa, che Sansa lascia la protezione
dell’albero diga e
cammina nella neve. Un passo dopo l’altro nel parco degli
Dèi.
Non li sente arrivare.
Ode solo il sibilo della freccia che fende l’aria.
N.d.A.:
Dico
solo che è da qui che la storia comincia. Questo
è il vero inizio di tutto. Grazie a chi continua a seguire
questa storia. Se
vi piace, fatevi sentire. Può solo farmi piacere.
A presto!
Celtica
|
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Capitolo 5 *** Oltre la Barriera ***
4. Oltre la Barriera
l
Castello Nero, dopo una notte di riposo, Jon fa sellare il cavallo per
andare
oltre la Barriera.
Tormund
aveva ragione:
è più felice nel nord –
il vero nord. Con lui e Spettro e il popolo dei Bruti. È
più felice senza
vedere la tristezza negli occhi di sua sorella, senza sapere che sono
destinati
a restare lontani.
Può solo cercare di non pensarci.
Di non pensare al profumo dei suoi capelli o al
calore del suo corpo stretto contro il suo. Deve dimenticare quella
richiesta. “Resta”,
che metterebbe in pericolo
entrambi.
“Solo
un
giorno, Jon. Ti prego.”
Un
giorno avrebbe fatto la differenza. Jon aveva
il timore di non riuscire più a lasciarla.
Nelle stanze del Lord Comandante, l’attendente
gli serve vino caldo e speziato. Non è un ragazzino come
Olly: Rickard non ha
conosciuto la crudeltà dei Bruti o il tradimento dei
confratelli. Non è stato
nemmeno sotto il comando di Edd l’addolorato.
Sansa
lo ha mandato alla Barriera. Sansa.
Dopo che i suoi genitori erano morti per mano degli
Estranei. Dopo che Jon era partito per il Castello Nero. Prima ancora
di
rivederlo, Sansa aveva pensato a lui, mandandogli il candidato perfetto
per
diventare il suo attendente.
Come avrebbe potuto non andare a renderle
omaggio?
«Lord
Comandante, potrò accompagnarti oltre la
Barriera, questa volta?»
«Sì,.» Jon sorride. «Un
ragazzo cresciuto a
Grande Inverno in un villaggio di Bruti…»
«Come te, mio Lord?»
«Sì,
Rickard. È importante che i rapporti tra i
Guardiani della Notte e i Bruti rimangano buoni. Anche quando sarai tu
a
comandare.»
Jon manda giù un sorso di vino caldo, posa il
calice e prende Lungo Artiglio. Soppesa la spada tra le mani prima di
infilarla
nel fodero.
«Conoscerai Tormund Veleno dei Giganti» dice a
Rickard. «Ti piacerà, vedrai.»
Escono insieme, scendono le scale e raggiungono
il cortile. Le ruote di un carro hanno lasciato solchi neri nella neve.
Più in
là, alcuni uomini stanno spalando. Nella stalla, un altro
sta ferrando gli
zoccoli di un cavallo.
«Il
mio cavallo, Rickard.»
Jon
monta in sella e raggiunge l’uscita mentre il
cancello si alza. Fuori c’è solo bianco. Una
distesa infinita di neve e alberi
ricoperti, del vento gelido che ne agita le cime. Piccole stalattiti di
ghiaccio pendono dal soffitto e dalla grata sollevata.
I due cavalli escono alla luce. Sono ricoperti di
pellicce.
Jon
si volta a guardare il cancello che si
abbassa, ma la grata di ferro è ancora fissata in alto.
«Conoscerai Spettro» dice a Rickard. Soffia
un’aria
glaciale. È il vento del nord. «Forse lo ricordi
ancora da Grande Inverno.»
«È così, Lord Comandante. Ricordo tutti
i
metalupi del castello.»
«Davvero?» Jon ride, pensando a quando
rivedrà il
suo amico. «Dovevi essere molto piccolo.»
«Non così tanto. Ricordo che a farmi paura era
Cagnaccio e…»
«Lord
Comandante!» grida qualcuno nel tunnel.
«Lord Snow!»
Jon tira le redini e ferma il cavallo. Si volta e
vede un uomo correre nella sua direzione.
«Lord
Comandante, il Maestro mi ha mandato a
chiamarti. Ha detto che se non fossi riuscito a fermarti non glielo
avresti mai
perdonato.»
Jon fa girare il cavallo, lo sprona a raggiungere
l’uomo. «Cosa succede? Ero nel castello un attimo
fa…»
«Un corvo, mio Lord» dice l’uomo, con il
fiato
corto. «Notizie da Grande Inverno.»
Basta quel nome a fargli stringere i fianchi
dell’animale, facendolo correre attraverso il tunnel.
Ali
oscure, oscure parole.
Raggiunge
il cortile e volteggia giù dalla sella.
Nemmeno si accorge di Rickard che arranca alle sue spalle.
«Dov’è il Maestro?»
domanda.
«Nella voliera, Lord Comandante.»
Un Maestro inviato dalla Cittadella. Un Maestro
approvato da Sam.
Jon
non fa caso ai corvi o all’odore delle gabbie
o del cibo per uccelli.
«Dov’è?» chiede soltanto.
«Qui, mio Lord.»
Dalla manica lunga del Maestro esce il messaggio
di un altro Maestro, Ronald, anche lui inviato di recente dalla
Cittadella.
Jon lo srotola di fretta, ignorando tutta la
prima parte su Lord, Maestri e altri titoli. Gli basta riconoscere Regina del nord per tornare a rileggere
il messaggio. Si sofferma su quelle parole, senza riuscire a metterle
insieme.
Attentato.
Alla
vita.
Della
Regina del nord.
Una freccia.
Solo
ferita.
Ancora
viva.
Gli
attentatori sono riusciti a fuggire.
Gli
attentatori. Non uno solo, quindi. Ma chi?
Chi potrebbe osare tanto? Perché? Sansa è una
Stark di Grande Inverno. Regina
del nord. E il nord è da sempre casa sua.
Jon lascia la voliera senza dettare una risposta
per il Maestro. Trova Rickard nel cortile e non ha nemmeno
un’esitazione mentre
dà quel comando.
«Andrai
da solo oltre la Barriera.»
«Mio
Lord? Non sono mai stato al villaggio dei
Bruti. Non saprei come trovarlo. Mi attaccherebbero, se andassi senza
di te.»
«Questa è la mia decisione.»
«Ma cosa succede, Lord Comandante? Brutte notizie
da Grande Inverno?»
Jon stringe i pugni, il cuore batte più veloce
nel petto. «Devo tornare, Rickard. E tu devi portare un
messaggio a Tormund
Veleno dei Giganti.»
Rickard resta in attesa.
«Devi
dirgli di portare Spettro a Grande Inverno.
E qualcuno dei suoi uomini.»
«Vuoi
portare Bruti a Grande Inverno, mio Lord?»
«I Guardiani della Notte non possono essere
coinvolti in guerre di potere.»
«Perdonami, Lord Comandante…» Rickard
esita
mentre Jon raggiunge il cavallo. «Ma per difendere Grande
Inverno ci sono gli
uomini del nord. Un intero esercito.»
«È
proprio questo il problema, Rickard» mormora
Jon rimontando in sella. «Non so di quali di questi uomini
possa fidarmi.»
Stringe le redini nei pugni chiusi. «Dì a Tormund
di fare presto. Nemmeno io
posso farmi coinvolgere in guerre di potere.»
Sta per spingere il cavallo al trotto, quando
Rickard gli si para davanti. «Cos’è
successo? Grande Inverno non è stata
attaccata, dunque. Perché non ti fidi degli uomini di Sua
Grazia, la regina
Sansa?»
«In
questo momento ci sono solo tre persone di
cui mi fido, Rickard. E contando che una è ferita a Grande
Inverno e un’altra
sono io, resta solo una possibilità: e si trova oltre la
Barriera.»
N.d.A.:
Dal
prossimo capitolo troveremo vecchi personaggi,
come vi avevo accennato. Grazie a chi continua a seguire questa storia.
Fatevi
sentire!
Celtica
|
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Capitolo 6 *** Lui vede ogni Cosa ***
5. Lui vede ogni Cosa
rienne
sta sfogliando il Libro dei Cavalieri quando Podrick entra nella
stanza.
L’armatura dorata lo fa sembrare più grosso, forse
più lento. Ma lei sa che non
è più così. Non dopo il loro
addestramento.
«Il
Primo Cavaliere vuole vederti.»
Cosa
può volere Lord Tyrion da lei? Il concilio
ristretto si è riunito quella stessa mattina. Possibile che
debbano ancora
discutere se dare la priorità a navi o bordelli?
«Abbiamo votato a favore delle navi» dice,
alzandosi in piedi e chiudendo il libro con una carezza.
«Quattro voti contro
uno.»
Ovviamente Lord Bronn. Sempre lui.
Brienne non capisce come Tyrion – come Jaime
– possa fidarsi di lui. Un
mercenario, un assassino.
«Cos’altro
c’è?»
Podrick scrolla le spalle. «Non saprei, Lady
Comandante. Vuoi che ti accompagni?»
«No. Torna pure dal Re.»
Brienne
esce dalle stanze della Guardia Reale con
lui. Poi raggiunge la torre del Primo Cavaliere. Ci sono due guardie
fuori
dalla porta, e basta la sua presenza a farle scostare.
Quando entra, non è solo Lord Tyrion quello che
si trova davanti. C’è anche Lord Davos.
«Miei
Lord.»
«Saltiamo i convenevoli. È arrivata una notizia
dal nord.» Sul suo scranno, Tyrion sembra alto quasi quanto
Davos. «E non
sappiamo come potrebbe…»
La porta si apre di colpo. È Podrick, e spinge la
sedia del Re. Bran non li saluta.
«È necessario inviare qualcuno a nord. Qualcuno
che si assicuri di come stanno realmente le cose. E che garantisca al
popolo
del nord che i Sei Regni non hanno nulla a che fare con
questo.»
Brienne è in piedi davanti al tavolo. Inarca un
sopracciglio. «Questo cosa, Altezza?»
Basta uno sguardo tra Bran e Tyrion, e il Primo
Cavaliere riprende la parola. «Sembra che qualcuno abbia
attentato alla vita
della Regina del nord.»
Lady
Sansa.
La
ragazza che aveva giurato di proteggere.
«Si
sa chi è stato?»
Tyrion guarda Bran. Lui sa. Lui vede ogni
cosa.
«Non
ci riguarda.» È questo il bambino cresciuto
da lady Catelyn? Era così prima che Jaime lo spingesse
giù dalla torre? «Ma
occorre che il nord capisca che noi non c’entriamo. Lord
Davos, saresti pronto
a partire entro stasera?»
«Stasera, Maestà?»
«Sì. Avrai una piccola scorta.»
Davos solleva la mano dalle dita mozzate, come se
avesse dei dubbi. E non è il solo… Brienne si
chiede perché il Re non
intervenga, perché non si limiti ad avvertire il nord su chi
è il vero nemico.
Basterebbe così poco…
«Perché
io, Maestà? Sono solo il mastro delle
navi.»
Bran non cambia espressione. Mai.
«Conosci la gente del nord. E la gente del nord si ricorda di
te.»
«Con
tutto il rispetto, Maestà, ma il Gran
Maestro Samwell ha trascorso più tempo di me al
nord…»
«Sì, tra i Guardiani della Notte. Tu hai
cavalcato al fianco del Re del nord, hai parlato per lui. Ora parlerai
per me.»
Davos piega la testa in avanti e Brienne è certa
che non dirà altro. Non si opporrà più.
«Renderai omaggio alla Regina Sansa e offrirai il
mio appoggio. Quando tutto sarà finito e i colpevoli puniti,
potrai tornare.»
Bran fa un cenno, e Podrick fa voltare la sedia, pronto
a spingerla fuori.
«Mio
Re.»
Brienne
è ancora in piedi, ma è se come se si
fosse appena alzata. La sua voce vola attraverso la sala del concilio.
«Maestà, perdonami, ma tu sai chi è
stato?» Bran
non risponde e Brienne si sente autorizzata a continuare.
«Non sarebbe una
prova di amicizia verso la Regina presentare Lord Davos con i nomi dei
suoi
nemici?»
Bran
resta in silenzio, immobile, non sembra
nemmeno respirare. Ma quando parla, e Brienne non riconosce nessuna
alterazione
nella sua voce, la speranza si spegne. Non seguirà il suo
consiglio.
«I sei regni non entreranno in guerra. Né con il
nord né con altri. E per non essere coinvolti possiamo solo
offrire il nostro
sostegno senza intrometterci.»
Brienne china la testa, ma prima che Podrick
abbia spinto la sedia fuori dalla porta, la rialza.
«Mio Re» ripete. «Permettimi di scortare
Lord
Davos al nord.»
Ho
giurato.
Permettimi
di mantenere il mio giuramento.
«Sei
una Guardia Reale» si intromette Lord
Tyrion. «Il tuo posto è accanto al Re.»
«Va bene» dice Bran, senza muovere un muscolo.
«Anche Ser Meryn accompagnò Lord Tyrell a
Braavos.»
Il volto di Tyrion si contorce. «Ser Meryn non
era Lord Comandante. Mio fratello lo era.»
Jaime.
Brienne
socchiude gli occhi. I fantasmi non
possono toccarla. E quel fantasma in particolare può essere
richiamato da lei
soltanto, sfogliando il Libro dei Cavalieri che hanno servito la
Guardia Reale.
«Viviamo in tempi di pace» ribatte Bran.
«Lord
Davos potrebbe aver bisogno di una buona spada. E poi anche il Lord
Comandante
dei Guardiani della Notte sta tornando a Grande Inverno.»
«Jon
Snow ha lasciato il Castello Nero?» chiede
con stupore Tyrion.
Brienne
non gli dà modo di continuare. «Lascia
fare a me, Altezza. Lo riporterò qui prima che
l’inverno sia finito.»
È solo allora che Bran volta il capo. Brienne
vede solo il suo profilo.
«Sei certa che finirà tanto presto?»
∞
Il
cavallo è una statua di vene e muscoli.
Galoppa nella neve e il suo manto nero risplende. In lontananza si vede
Grande
Inverno. Jon Snow stringe i fianchi dell’animale per
spingerlo a correre più
veloce.
Rallenta solo in prossimità dell’entrata
principale. Le porte sono chiuse, come in caso di attacco. Le guardie
fuori le
aprono non appena lo riconoscono.
Trotta fino al cortile interno, poi volteggia giù
dalla sella e punta alla fortezza.
«Non
ti aspettavamo, mio Lord» mormora una
guardia scortandolo attraverso il castello. «Sua
Maestà la Regina ha chiesto di
te, ma non pensavamo di rivederti.»
Lui passa in rassegna le mura e l’interno. Valuta
quanto sia protetto il castello. Vede arcieri a ogni bastione, puntare
i loro
archi in ogni direzione.
«Come sta?» chiede Jon, sfilandosi i guanti neri.
«È stata meglio. Maestro Ronald ha estratto la
freccia, ma teme che sia rimasto qualche frammento. Sua
Maestà è confinata a
letto.»
Giungono
davanti alle stanze che sono state di
Ned Stark. Una guardia è in piedi, la mano posata
sull’elsa della spada.
«Apri questa porta.»
«Solo il Maestro ha il permesso di entrare.»
L’uomo che l’ha accompagnato lungo i corridoi si
avvicina alla guardia, la voce un bisbiglio. «È
con il Lord Comandante dei
Guardiani della Notte che stai parlando» sussurra, mentre
macchie rosse gli
tingono la gola. «Il fratello della Regina. Il nostro Re.» Cede sull’ultima
parola, lasciandosi sfuggire un gemito.
Il fratello della Regina, aveva detto.
Sei
suo
fratello,
si dice. Sei qui per
proteggerla, per assicurarti che stia bene. Nient’altro.
Ma
la guardia non si muove. «Perdonami, Lord
Comandante. So chi sei, ma i miei ordini sono chiari. Nessuno
può entrare,
tranne il Maestro.»
Jon stringe i denti, allunga la mano fino a Lungo
Artiglio. «Spostati» ringhia, come farebbe Spettro.
«E intendo ora.»
«Non posso…»
«Apri questa porta» intima una voce alle spalle
di Jon.
Quando si volta, è un maestro della cittadella
quello che si trova davanti.
La guardia china il capo e obbedisce, girando la
chiave nella toppa. «Seguivo solo gli
ordini…»
«Ti
ringrazio, maestro.»
Maestro
Ronald gli fa segno di seguirlo. «Sua
Altezza ha chiesto di te, mio Lord. Sono certo che la tua presenza non
farà che
giovare alla sua guarigione.»
Jon sente i muscoli del braccio contrarsi. Ha la
mano stretta a pugno.
Sansa ha chiesto di lui.
Aveva
bisogno e io non c’ero.
Quando
entra nella stanza padronale e la vede distesa
sul letto, sotto strati di pellicce, sente il respiro venirgli meno. Si
avvicina e osserva il suo viso. Lo ricorda roseo, dai lineamenti
delicati, con
occhi azzurri limpidi come il cielo e labbra piene e sorridenti.
Ora le palpebre sono abbassate, la bocca
contratta, il colorito spento. E un livido copre la sua guancia.
Jon allunga la mano sul suo volto, sfiorandolo
con le dita.
Sansa emette un lamento, facendolo scattare
indietro. Quando apre gli occhi e lo vede, si affanna per alzarsi a
sedere sul
letto.
«Jon!»
«Sono qui.»
Il
maestro si sposta vicino a lei. «No, Altezza.
Resta giù. Hai bisogno di riposo.»
Lo sguardo di Sansa non perde intensità quando si
volta verso l’uomo. «Lasciaci soli.»
«Come vuoi, Altezza. Ma devi riposare,
ricordalo.» Poi lancia uno sguardo di ammonimento a Jon ed
esce dalla porta.
La
mano di Sansa spunta lentamente da sotto le
coperte. Jon la afferra e intreccia le dita alle sue.
«Sei venuto.»
«Come avrei potuto non farlo?»
Sansa sorride, stringe forte la sua mano. «Sono
felice che tu sia qui, Jon.»
N.d.A.:
Rieccoci!
Finalmente incontriamo vecchie
conoscenze, ma non sono le uniche. Vedrete!
Il prossimo capitolo sarà incentrato solo su Jon
e Sansa. Ci rivediamo tra una settimana, ma fatevi sentire!
Celtica
|
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Capitolo 7 *** Lupi del Nord ***
6. Lupi del Nord
6
Lupi del Nord
on
siede sul letto e una fitta di dolore colpisce Sansa alle costole.
Dissimula
continuando a sorridere. Maestro Ronald aveva detto che in pochi giorni
sarebbe
stata meglio, ma non aveva fatto i conti con Jon: rivederlo
è il modo più
veloce per guarire.
«Quando
l’hai saputo?» chiede, sentendo il calore
della sua mano propagarsi lungo il braccio.
«Stavo andando oltre la Barriera. È stata una
fortuna che mi abbiano fermato prima.»
Sansa vorrebbe
tanto ringraziare chiunque si sia
spinto fuori dal Castello Nero per chiamarlo. Da quando la freccia le
ha
trapassato il torace – senza toccare organi vitali, stando a
quanto dice il
maestro – non ha fatto altro che pensare a lui.
L’immagine per superare ogni avversità. Ogni
ostacolo.
Non ha molta forza, ma cerca di stringere più
forte la mano del suo Lord Comandante. Non ha abiti sotto le pellicce,
altrimenti gli chiederebbe di sdraiarsi al suo fianco e cullarla come
una
bambina.
«Quanto
resterai?»
Non
dirmi un giorno, pensa.
Non
dirmi che partirai domattina.
Jon si sistema
meglio sul bordo del letto, senza
che gli occhi neri abbandonino il suo viso.
«Finché sarà necessario.»
Non
andartene, vorrebbe
chiedergli. Ancora. Sempre. Resta qui, con me.
Ha il terrore di pronunciare di nuovo quelle
parole. Ha paura di spingerlo a fuggire.
«Ci
voleva una freccia per farti tornare qui.» Il
suo tono non risulta scherzoso come dovrebbe.
Jon si irrigidisce, ma accenna un sorriso. «Ora
sai cosa fare per vedermi.»
«Farmi trapassare da una freccia?» Sansa storce
le labbra, cerca di ridere, ma una fitta lancinante glielo impedisce.
Jon si china su di lei, posando una mano sulla
sua spalla nuda. «Chiamo il maestro.»
Sta per alzarsi, quando Sansa gli afferra il
polso. «No» geme. «Sto bene. Torna qui.
Ti prego.»
A quella
supplica, lui non fa resistenza. Non
come con la Madre dei Draghi. Non come quando Sansa era in salute,
protetta
dagli uomini del nord.
Ora il suo posto è accanto a lei.
Siede di nuovo,
incollando gli occhi ai suoi.
Osserva ogni centimetro del suo viso, come se non lo conoscesse. Sansa
sente
uno strano calore salirle fino al collo. Poi nota il suo sguardo fisso
sul lato
destro del suo volto, dove ora fa capolino un bel livido violaceo.
Vorrebbe impedirgli di vederlo.
Daenerys
non ha mai avuto lividi sul viso. Non con Jon vicino. Non davanti a me.
Solo
sorrisi, sguardi languidi e parole sussurrate al suo orecchio.
«Ti
hanno picchiata?»
La
voce
di Jon è dura come il granito della fortezza, fredda come il
nord.
«No.» A
quella domanda, a quel tono, quella di Sansa si riscalda invece come le
sorgenti
sotterranee che danno calore all’intero castello. Insieme,
sono la voce
dell’inverno, un intreccio di ghiaccio e fuoco, di calore e
gelo. Perché uno
non può esistere senza l’altro.
«No»
ripete, scuotendo appena il capo. «Quando la
freccia mi ha colpita, sono caduta.»
«C’era la neve.»
«Il maestro ha parlato di un sasso. Ho perso i
sensi. Non ricordo altro.»
È il suo modo per chiedergli di non indagare, di
non mettere la sua vita in pericolo.
«Hai
qualche sospetto?» domanda invece lui.
«Jon.» Ora la sua voce si fa tagliente.
«Credi
davvero che se avessi anche solo il minimo sospetto, le nostre segrete
sarebbero
ancora vuote?»
Lui sorride. Un
sorriso pieno stavolta. «Eccola,
la lupa.»
«Siamo
tutti lupi» ribatte Sansa. «E nel pieno
dell’inverno ci siamo divisi.»
A quella frase, il volto di Jon torna cupo. «Non
avevamo molta scelta.»
«Arya ce l’aveva, eppure ha preferito
abbandonarmi anche lei.»
«Arya non ti ha abbandonata. E poi non vi
sopportavate da piccole.»
«Siamo in inverno, Jon» replica Sansa, ricordando
le parole di suo padre. «Il branco sopravvive solo se resta
unito.»
«Io
sono qui.»
«Sei
qui.» La voce di Sansa si affievolisce. «Ma
per quanto tempo?»
«Tutto quello che…»
«Sarà necessario» lo interrompe Sansa,
voltando
il capo alla parete. Le fiamme nel camino guizzano verso la pietra.
«L’hai già
detto.»
«Ma
non è quello che volevi sentire.»
Torna a guardarlo, stringendo le palpebre. «No,
non lo è.»
Come
potrebbe?
Te ne
andrai, e io sarò di nuovo sola.
«Prima
o poi tornerà anche Arya.» Jon sembra non
riuscire più a guardarla. Stringe il pugno sulla pelliccia
che scende oltre il
bordo del letto.
Sansa vorrebbe prendergli la mano e distenderla,
accarezzarla e posarla sul suo viso. Vorrebbe che Jon ignorasse il suo
livido,
le scostasse i capelli dalle guance e baciasse la sua fronte.
Che dicesse una parola, una sola, quella che Sansa
desidera sentire: resterò.
«Lo
credi davvero?» sussurra, piegando la testa
sul cuscino. «Non sappiamo nemmeno se
tornerà. Figuriamoci quando.»
«Arya tornerà. Non ho dubbi su questo.
Chiederò a
maestro Ronald di inviare un corvo. Forse riusciremo a
raggiungerla.»
«Per fare cosa, Jon? Non la troverai, riusciresti
solo a farla preoccupare.»
Jon si alza, lasciando il vuoto intorno a lei. «Li
troverò, Sansa.»
All’idea di Jon – solo – in cerca dei
colpevoli,
il cuore di Sansa perde un battito. Al Castello Nero era arrivata dopo
la sua
morte, e non riesce a pensare che possa succedergli qualcosa
lì, a casa, dopo
che anche Sansa è stata colpita.
«No,
Jon» mormora, stringendo la pelliccia e
cercando di mettersi seduta. «Non voglio che tu lo
faccia.»
Jon si china su
di lei, posa una mano sulla sua
schiena ferita, coperta solo da una fasciatura, e l’altra
sulla spalla più
lontana da lui.
Sansa sente il suo respiro, la presenza del suo
corpo caldo, l’odore di cavallo e cuoio.
Deve aver cavalcato senza mai fermarsi. Lo
immagina mentre scende dalla sella e corre per raggiungerla.
Prima che possa allontanarsi, Sansa posa una mano
sul suo braccio per sostenersi.
«Chiamo
il maestro adesso. Devi riposare.»
«Non ancora. Per favore, Jon, non andare. Voglio
che tu resti qui a tenermi compagnia. Vorrei che non mi lasciassi
sola.»
«Chi li cercherà, San? Di chi puoi fidarti qui al
castello?»
Di
te.
Mi fido solo di te.
Invece muove le
labbra a poca distanza dal suo
collo, mormorando al suo orecchio: «Il maestro è
inviato dalla Cittadella.
Credo di potermi fidare di lui. E la guardia che hai visto qui fuori,
e… mi
fido di tutti gli uomini del nord.»
Jon non si allontana da lei, restando fermo sul
suo corpo. «Fai male. Ad Approdo del Re un uomo del nord ha
cercato di
uccidermi. Devo sapere con certezza di chi mi posso fidare.»
«Fidati di me allora. Resta qui. Non lasciarmi
per cercare nuovi nemici. Ti prego.» Fa uno sforzo per alzare
il viso, poi posa
le labbra sulla guancia del fratello. È contro la sua barba
che riprende a
parlare. «Non andartene.»
«Non me ne vado.» Si scosta piano. «Ma
non puoi
lasciare dei nemici liberi di farla franca.»
«Ci
penseranno gli uomini del nord. Ho già dato
disposizioni perché sia chiuso ogni accesso a Grande
Inverno. Se non sono
andati via subito dopo avermi colpito, non potranno più
lasciare il castello.»
«Non li troverai mai così, San.»
«Da qui non posso fare molto» replica lei,
appoggiando la testa alla testiera del letto. «Quando
uscirò da qui li
cercherò.»
«Posso farlo io per te.»
«Maestro Ronald pensa che non sia un attacco
premeditato, che non ci sia nessuno dietro. Crede…»
«Maestro Ronald si sbaglia.»
Jon si alza in
piedi, fa un passo verso la
finestra. «Dove è successo?»
«Nel parco degli Dèi. Il giorno in cui sei andato
via.»
«Allora chi lo ha fatto ha aspettato che mi
allontanassi. Conosceva le tue abitudini. Sapeva che non vuoi guardie
nel
parco, che saresti stata sola. Quando hai colpito il masso e sei
svenuta deve
averti creduta morta.»
Sansa corruga la fronte. «L’ho pensato
anch’io.»
«E allora perché non hai detto niente?»
Mi
fido
solo di te, vorrebbe dire.
Non
fidarti di nessuno.
Socchiude gli
occhi prima di rispondere. «Non
ripongo molta fiducia nel nuovo maestro. E nemmeno nelle
guardie.»
«E temi che se anche loro fossero
coinvolti…»
«Sì, che possano avere fretta di
uccidermi.»
Jon sgrana gli occhi, si avvicina al letto. «Vuoi
far credere ai colpevoli di non avere più nulla da
temere.»
«Solo quando sarò libera di uscire da questa
stanza potrò spingerli a commettere un errore. E allora
capirò chi mi ha
tradito. Ma finché sono qui…»
«Sei vulnerabile.»
Vulnerabile.
Lo è stata tutta la vita.
«Sì.»
«Arya lo aveva detto che sei la più intelligente
tra
tutti noi.»
Sansa sente
altre fitte. Non riesce ancora a
restare seduta senza soffrire. Cerca di sdraiarsi, e Jon è
di nuovo da lei. Scosta
le pellicce fino alla sua gola e le accarezza i capelli.
«Devi riposare. Chiamo il maestro.»
«Jon.» Lo ferma prima che possa andarsene.
«Tu
non te ne vai, vero?»
Lui sorride – ancora, sempre – rendendo meno
fredda quella giornata. «Sarò qui, fuori dalla
porta. A pochi metri da te.»
|
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Capitolo 8 *** Era lì per ucciderla ***
7. Era lì per ucciderla
7
Era
lì per ucciderla
on
trascorre il resto del giorno vagando per i corridoi del castello,
sulle sue
mura, parlando con i soldati sparsi ovunque. Chiede se abbiano notato
qualcosa
di strano, come abbia reagito il popolo alla notizia
dell’attacco a Sansa,
cos’abbiano cambiato nella difesa.
Poi va nel parco
degli Dèi.
La neve ricopre
ogni lembo di terra, pesa sulle
foglie rosse dell’albero-diga. Jon immagina Sansa seduta alla
sua ombra, in
quel candore. I suoi capelli rossi che si muovono nel vento. Chiude gli
occhi e
la vede mentre si alza in piedi, stringendo il mantello di pelliccia
tra le
dita. Immagina la cadenza dei suoi passi, la sua ombra che scurisce la
neve.
Stringe i pugni e i denti e sente ogni muscolo
contrarsi.
Conosce bene il suono della freccia che fende
l’aria, e gli dà la nausea immaginarla mentre
colpisce sua sorella. La vede
cadere nella neve. Il corpo che non emette alcun suono.
Avrà gridato? Quanta paura deve aver provato
quando ha capito…
Colpita nella
sua casa.
Il suo rifugio.
Ma da chi?
Scosta alcuni
cumuli di neve finché non trova ciò
che stava cercando: il sasso su cui ha sbattuto Sansa. È
rimasta una traccia di
sangue a farglielo identificare. Jon si piega sulle ginocchia per
scorrere le
dita sulla macchia sbiadita.
Poi si alza, gli occhi puntati verso gli alberi
intorno. Si chiede come abbia fatto l’arciere a nascondersi.
No, doveva essere
in alto, sulle mura. Ma dove?
Scava la neve con lo stivale, in modo da lasciare
due grossi solchi intorno alla pietra. Poi esce dal parco e raggiunge
le mura.
Le percorre fino a trovarsi nel punto che circonda
l’albero-diga. Non vede
niente. Nessun solco nella neve, nulla di nulla. Un fantasma?
Continua a camminare e poi scorge qualcosa. Una
parte del segno che ha tracciato. Ecco, l’arciere deve aver
tirato da quel
punto.
Jon si mette in ginocchio, immagina di avere un
arco tra le mani. Inclina le braccia e la testa di lato. Sì,
la posizione era
quella. Ora riesce a scorgere i due solchi. Non è stato un
colpo facile. Deve
essere un arciere esperto.
Muove i piedi per rimettersi in piedi, ma prima
accarezza la pietra sotto di sé.
Lui era
lì.
Lui era lì per ucciderla.
Forse, se Jon
non fosse partito, se avesse
accolto la richiesta di Sansa e fosse rimasto…
Percorre le mura al contrario, vedendo la gente
rinchiusa nella fortezza come formiche in un formicaio. Il colpevole
è ancora
lì?
Poi riconosce il Maestro nel cortile e si
affretta a raggiungerlo.
«Maestro
Ronald, posso parlarti?»
L’uomo
fa cenno di sì con la testa, e lo guida
verso la fortezza. «Sto andando da Sua Maestà.
Camminiamo.»
Jon vorrebbe rivolgergli diverse domande, ma
capisce di non averne il tempo. Quando raggiungeranno la stanza di
Sansa, dovrà
aver finito…
«So che pensi non sia stato un attacco
premeditato» dice, passando davanti a un contadino che regge
tra le mani una
cassa di uova fresche.
«È così. Sua Maestà
è amata dai sudditi. Gli sono
grati di averli liberati dal giogo di Approdo del Re.»
A questo, Jon non crede. Conosce il popolo
abbastanza per sapere che non è la verità.
«Se la amano tanto, perché
dovrebbero ucciderla?»
«È una donna. Ed è sola. Questo a molti
non
piace.»
Il tempo stringe. Jon decide di saltare
direttamente al punto. «Magari è a qualche lord
che non piace. Qualcuno che
potrebbe aver chiesto la sua mano?»
«Non
so niente di questo, mio Lord.»
Sono nei
corridoi della fortezza. Sono quasi
arrivati. «Non è l’attacco di un
brigante qualunque» dice, mentre raggiungono
la stanza di Sansa. La guardia fa un inchino. «Sono stato nel
parco degli Dèi,
Maestro. Ho visto. So che qualcuno ha fatto entrare
quell’uomo nel castello. Si
tratta di un arciere esperto, e non può aver agito da
solo.»
La guardia apre la porta di un filo, ma il
Maestro è fermo sulla soglia, rivolto a lui. Finalmente ha
la sua attenzione.
«Siamo
tutti fedeli alla Regina.»
«Non metto in dubbio la lealtà di tutti, Maestro,
ma solo di qualcuno. L’arciere ha colpito dalle mura, sopra
al parco. E non può
esserci arrivato senza essere visto dalle guardie.»
Il volto del Maestro si fa grave. Le rughe
ricordano a Jon le pieghe della carta. «È
un’accusa pesante, la tua, Lord
Comandante.»
Lui non risponde. Rimane immobile davanti
all’uomo.
«Sua
Maestà aspetta le mie cure» sussurra il
Maestro aprendo la porta.
Sansa compare
all’improvviso, bagnata dalla luce
che entra dalla finestra chiusa. È appoggiata alla testiera
del letto, con
diversi cuscini dietro la schiena. La pelliccia la copre fino al
ventre. Sopra,
c’è solo la fasciatura sporca di sangue.
Nell’istante prima che la porta si chiuda, i loro
occhi si incontrano.
Jon si ritrova davanti solo assi di legno. Sta
sudando. I polmoni chiedono aria – vai fuori, vai fuori
– e lui attraversa i
corridoi quasi correndo. Non avrebbe dovuto vederla. Non
così.
È
tua
sorella.
Cosa penserebbe
Sansa se sapesse?
Cosa penserebbero i lord e le lady del nord se lo
vedessero adesso?
Arrivato fuori,
si ferma. Poggia la fronte contro
la pietra grigia e fredda, senza riuscire a togliersi dalla mente
quell’immagine.
Sansa. Sola. Vulnerabile. Davanti a lui.
Deve sbrigarsi a trovare l’arciere, a trovare i
colpevoli. Deve tornare presto al Castello Nero.
N.d.A.:
Ciao!
Speravo di aggiornare prima, ma solo oggi
sono riuscita. Per il prossimo capitolo non farò passare
tanto tempo. Fatevi
sentire!
Celtica
|
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Capitolo 9 *** Non sono la tua Regina ***
8. Non sono la tua Regina
Video Jonsa
8
Non
sono la tua Regina
ansa
continua a fare quel sogno. Mani che si intrecciano, occhi che si
cercano,
corpi caldi al sole. Ciocche di capelli neri tra i fili
d’erba.
Al
risveglio, però, l’attende la neve. Fuori
dalla finestra il mondo è bianco, sopra e sotto il cielo. Si
porta una mano sul
cuore, incapace di dimenticare.
Da quasi una settimana Jon non torna a tenerle
compagnia. Passa solo a salutarla, tiene gli occhi a terra e se ne va.
“Ho delle ricerche da fare”, dice ogni volta.
Solo che Sansa non gli crede.
Fa così da quando l’ha vista seduta sul letto,
mentre attendeva che il Maestro tornasse a cambiarle le bende. Da
quando i loro
occhi si sono incontrati.
Un istante così breve… eppure Sansa ha colto
quello sguardo. Ha capito. Jon ha
capito. Ecco perché non torna a trovarla. Deve aver visto
ciò che ora lei vede
sempre nei suoi sogni. Deve disprezzarla per questo.
Ora,
quando la guardia bussa alla porta,
aprendola di pochissimo, Sansa trattiene il fiato riconoscendo Jon.
Lui lascia la porta socchiusa, resta lontano da
lei. «Il Maestro dice che tra qualche giorno potrai lasciare
queste stanze.»
Perché non chiude la porta?
«È così.»
Jon solleva gli occhi – un istante brevissimo, di
nuovo. «Non sembri felice.»
E
come
potrei? Mi stai evitando.
«Non
lo sono.»
Lui sposta il peso da un piede all’altro,
passando in rassegna la parete con lo sguardo. È
più nervoso del solito. «Li
prenderemo, non temere.»
«Non ho paura» mormora Sansa.
Sì,
invece.
Ma non di ciò che
pensi.
Tira
le pellicce fino alle labbra, come se si
vergognasse di lui. Jon sembra cogliere quel gesto, e si fa ancora
più teso.
Piega il collo in avanti.
«Dovresti averne» dice, ma la sua voce è
strana.
Non sembra riferirsi ai suoi nemici.
A quella frase, alza gli occhi e li incolla ai
suoi.
«Tu
hai paura?» sussurra Sansa.
«Sì.»
«Di cosa?»
Jon si avvicina al letto, aggrotta la fronte.
«Non è ovvio? Ho paura che qualcuno ti faccia del
male.»
Qualcuno.
Sansa
sente un campanello d’allarme a quella
parola. “Qualcuno” include chiunque.
«Intendi chi ha provato a uccidermi?»
«Sì» dice, poi fa un passo indietro,
verso la
porta socchiusa. «Anche.»
«Chi
altro?»
Ora Jon non riesce più a guardarla. Ogni cosa in
quella stanza sembra più interessante di lei. Soprattutto la
porta.
«Cosa non mi dici?» chiede.
«C’è qualcosa che
dovrei sapere?»
«Nulla. Non preoccuparti. Pensa solo a guarire.»
Poi fa un veloce inchino e in due passi è
all’entrata.
«Jon»
mormora Sansa, avvinghiandosi alle
pellicce.
Vorrebbe chiedergli di restare, parlare con lui
di quello sguardo, spiegargli che non è nulla, proprio
nulla, e passerà da
solo. Vorrebbe dirgli che si è sbagliato, che non ha capito,
che tra loro c’è
solo affetto e lei non ha mai – mai – desiderato di
più.
Lui si volta, in attesa.
Non
vede
l’ora di andarsene.
Non
vuole restare solo con me.
«Niente»
dice.
Jon
non aspettava altro: posa la mano sulla
maniglia e la tira verso di sé. Esce richiudendola alle sue
spalle.
Non
sono
la tua Regina,
pensa Sansa. Lunghi capelli quasi bianchi, un
drago incatenato ai suoi abiti.
Sansa scorre il dorso della mano sulla pelliccia,
ricordando Daenerys coprirla con la sua. Il suo sorriso…
“Amo
tuo
fratello.”
Non
è
mio fratello.
Quanto avrebbe voluto saperlo prima! È
tuo nipote.
La
Regina dei Draghi è morta, eppure continua a
tormentarla. Sansa immagina il suo spettro vagare nella Sala Grande,
frapporsi
tra lei e Jon…
“Grande
Inverno è tua, Altezza.”
Ora,
Sansa preferirebbe gettarsi nel fuoco
piuttosto che ripetere quelle parole.
Jon ha preferito la Regina d’argento a lei. Jon
non riesce nemmeno più a guardarla.
∞
Nel cortile della fortezza c’è movimento. Jon
vede le guardie correre avanti e indietro, come se non avessero un capo
a
guidarle.
«Cosa succede?» chiede.
«Sembra che ci siano dei Bruti al cancello, Lord
Comandante.»
«Dei
Bruti?» Tormund.
Spettro!
Jon
corre per raggiungere l’ingresso principale
di Grande Inverno, urlando ai soldati. «Aprite! Aprite le
porte!»
Fa segno agli arcieri sulle mura, ma tutti
sembrano nel dubbio. Se anche l’hanno riconosciuto, non
è più il Re. Non è più
niente. Non ha potere nel castello.
Raggiunge gli uomini che dovrebbero lasciar
entrare i Bruti. «Cosa state aspettando?!»
«Abbiamo degli ordini, Lord Comandante. Non
possiamo far entrare nessuno.»
«Loro
sono dalla nostra parte! Sono stato io a
farli venire qui.»
Poi
vede maestro Ronald passare davanti alle
stalle, e lo chiama. «Maestro, dì alle guardie di
aprire le porte. Lo vuole la
Regina.»
«Tu non parli per lei» sibila una guardia.
«Sua Maestà non mi ha detto niente»
replica il
Maestro, avvicinandosi. «Chi c’è fuori
dalle mura?»
«Bruti, Maestro» interviene un uomo.
«Hanno
oltrepassato la Barriera.»
Jon
alza la voce, si rivolge a tutti gli uomini
di guardia – e al maestro. «Avete dimenticato chi
ci ha aiutati a riprendere
Grande Inverno? Avete dimenticato chi ha combattuto al nostro fianco
contro il
Re della Notte?» Si guarda intorno, cercando gli occhi di
ogni uomo che possa
ascoltarlo. «Io non l’ho dimenticato!»
grida. «E da Lord Comandante dei
Guardiani della Notte vi dico che mai più la Barriera
dividerà i domini degli
uomini! Qualunque uomo – Bruti, ladri e bastardi –
sarà sempre il benvenuto al
Castello Nero.»
«Qui
non siamo al Castello Nero. Non siamo amici
dei Bruti» dice uno.
Ma altri scrollano la testa, incerti.
«Quando i morti hanno attaccato il castello, è
stato un Bruto a salvarmi la vita» mormora uno.
«Io ho salvato quella di un Bruto» dice un altro.
«E lo rifarei.»
Il
Maestro passa tra loro, accarezzando la catena
che porta al collo. «È stata la Regina a ordinare
di chiudere le porte, di non
fare entrare nessuno. Non sappiamo chi l’abbia
attaccata.»
Jon torna a rivolgersi agli uomini. «Ma sappiamo
chi non è stato: i Bruti! Non c’erano Bruti al
castello quel giorno.»
«Come lo sai?» domanda un uomo.
«Ero lì» risponde Jon. Poi si volta
verso il
Maestro. «Avverti la Regina che Tormund Veleno dei Giganti
è venuto a
proteggerla. Sarà lei a dirti di lasciarli
entrare.»
N.d.A.:
Il
link al video di oggi è nuovo nuovo,
pubblicato oggi. Ho preferito usare la stessa copertina di questa
storia, visto
che inizialmente ero intenzionata a farne un trailer. Cosa pensate dei
video su
got? Se il capitolo vi è piaciuto, fatevi sentire! A presto!
Celtica
|
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Capitolo 10 *** Corvi ***
9. Corvi
Video su Arya Stark
9
Corvi
rienne
di Tarth cavalca da giorni con Lord Davos e alcuni uomini fedeli. Non
pensava
che sarebbe tornata a nord. Nonostante la Fortezza Rossa sia piena di
fantasmi
– Jaime, Jaime
– Brienne teme più i
ricordi che ha a Grande Inverno.
Teme
la nostalgia della sua stanza e di un camino
acceso. Di un uomo con una mano sola che ha caldo –
è geloso e ha caldo – e
dice di non volersene andare.
I momenti più belli della sua vita li ha
trascorsi con lui. Solo lui aveva il potere di spezzarle il cuore
– ha fatto
crack quando ha sellato il cavallo ed è andato via
– e solo lui ora potrebbe
rimetterne insieme i pezzi.
Ma alla morte non c’è rimedio.
«Non
pensavo che sarei tornato a nord» dice
Davos, affiancando il cavallo con il suo. «E per ordine di un
terzo Re.»
«Stannis
non era un vero Re» mormora Brienne
senza nascondere il disprezzo.
«In realtà, mia lady Comandante, Stannis era il
Re legittimo dei Sette Regni.»
Lei stringe la presa sulle briglie, stringe i
fianchi dell’animale e aumenta il passo.
Renly e Jaime. Due uomini, due amori. Due
cadaveri.
«Ha usato la magia per assassinare suo fratello»
ribatte Brienne. Vorrebbe aggiungere che ucciderlo è stata
una delle gioie
della sua vita, ma preferisce tacere.
E
questa
gioia nessuno potrà portarmela via.
«Lo
neghi?» domanda a Davos.
Lui scuote la testa. «Non lo nego, ma questo non
lo rende meno legittimo.»
«Forse ai tuoi occhi.»
Ma poi ricorda Sansa in compagnia di Ditocorto.
Le sue parole di rifiuto, prima di essere venduta ai Bolton.
“Ti
ho
vista inchinarti dinanzi a Joffrey.”
Spinge
il cavallo al trotto e si allontana dalla
compagnia. Ha bisogno di restare sola. Non vuole parlare. Le parole
portano
brutti ricordi.
Poi riconosce la strada, il ponte di pietra.
Rammenta una risata e una spada rubata. Un uomo
non più in grado di combattere.
Stringe
gli occhi e fa fermare il cavallo. «È qui
che ci hanno presi» sussurra, a nessuno in particolare.
Quel giorno, risparmiare la vita di un contadino
è costato molto. La libertà, una mano, il
tradimento di un alfiere al suo Re.
“Devo
riportare a casa le ragazze Stark.”
“Troverò
Sansa. Per lady Catelyn.” Uno
sguardo, il respiro che si ferma. “E
anche per te.”
∞
Quando
maestro Ronald ritorna con l’ordine di
aprire le porte, Jon non riesce a trattenere un sorriso. Non
è solo per gli
uomini che stanno entrando o per il metalupo che lo raggiunge per
leccargli le
mani e il viso. È anche per Sansa.
«Piccolo
corvo» esordisce Tormund, colpendolo con
una manata sulla schiena. «Mi hai fatto tornare a sud a
soffrire il caldo.»
«Questo è il nord» dice Jon, ridendo.
«È il sud per me.»
Jon gli fa dei cenni di ringraziamento. Saluta la
decina di uomini che Tormund ha portato con sé. Poi prende
lui da parte, in
modo che possano parlare senza essere uditi dalle guardie.
«Ora
è Sansa la regina» sussurra.
«Noi non ci inchiniamo.» Le parole di Mance.
«Non
sei qui per questo. Hanno tentato di
ucciderla.» Fa una pausa, guardandosi intorno. «Non
mi fido di nessuno qui, e
ho bisogno di gente fidata per trovare chi la vuole morta.»
Tormund si batte una mano sul petto.
«Sbrighiamoci allora. Alle donne del sud non piacciono i
Bruti.»
Jon fa un grosso sorriso. «Più tardi parleremo.
Ora devo fare una cosa.»
«Sbrigati,
piccolo corvo! Il nord ci aspetta!»
Jon
raggiunge il cortile, dà disposizioni al
maestro di trovare un alloggio ai Bruti all’interno della
fortezza, poi va a
cercare Spettro. Ma è il metalupo a trovare lui.
«Ehi» lo saluta, chinandosi alla sua altezza per
guardarlo negli occhi. «Mi sei mancato.»
Gli gratta il collo, poi l’orecchio. Scorre il
dito sopra quello mancante, senza toccarlo. Si alza e lo guida nel
castello.
Quando
raggiunge la camera di Sansa, sente un
groppo in gola.
Ha capito di cosa ha paura. Ha visto i suoi occhi
tristi mentre lo guardava muoversi nella stanza. Non vuole spaventarla.
Deve
aver riconosciuto il lampo di desiderio che gli ha lambito le viscere.
Forse
sospetta che vada avanti da tempo…
La sua bella sorella. Che aspetta il momento
giusto per trovare i suoi assalitori. Ferita in un letto che non
può lasciare.
Ora che il maestro ha dato il permesso alla
guardia di lasciarlo entrare, Jon gli fa solo un cenno, accarezzando la
testa
di Spettro.
La guardia apre la porta di pochissimo, in modo da
non vedere nulla.
Nessuna
pelliccia sul ventre, nessuna fasciatura
sul petto. E nemmeno i capelli rossi sparsi sul cuscino, o gli occhi
azzurri
come il cielo d’estate che sembrano leggerti dentro.
Spinge la porta, e Spettro entra come un fulmine
nella stanza. Raggiunge il letto, posando le sue enormi zampe bianche
sulla
pelliccia – ciò che non può fare lui.
Sansa, addormentata, solleva la testa di scatto.
«Spettro?»
domanda incredula. «Spettro!»
Le
braccia nude lasciano il rifugio sicuro delle
coperte e afferrano la testa del metalupo. Lo grattano sul collo,
percorrono il
muso e lasciano che il naso nero raggiunga il suo viso.
Jon posa gli occhi sulle sue mani, percorre la
linea tesa del braccio fino alla spalla ricurva.
Non può restare in quella stanza. Non può.
«Dov’è
Tormund?» chiede Sansa, non appena lui si
volta verso la porta.
«Lo vedrai presto.» Poi si rivolge al metalupo
bianco, mentre gli occhi sono due torce rosse puntate su di lui.
«Resta qui,
Spettro. Proteggila.»
Proteggila
per me.
∞
Una
tempesta ha colpito la nave. Bisogna tornare
indietro, dice tutto l’equipaggio. Ma lei vorrebbe
proseguire, ed è lei il
Capitano. Spetta a lei decidere se scoprire nuove terre valga il
rischio.
Finché qualcuno non la chiama, puntando il dito
verso il cielo coperto di nubi.
Arya copre la fronte con il braccio e guarda in
alto. Stringe le palpebre, e poi, finalmente, lo vede.
Un
corvo.
Un piccolo corvo nero che affronta le avversità
del mare.
Siamo
ancora vicini a terra,
si dice.
La
nebbia di quei giorni le ha impedito di
trovare una direzione. Non c’erano stelle a guidarla.
Ma un corvo in mezzo al mare non lo aveva mai
visto, nemmeno nei suoi sogni.
Lo osserva planare verso di loro, e si chiede di
quale magia sia frutto quell’immagine.
«Non
è possibile» mormora, guardandolo cadere.
Il
vento lo aiuta a ritrovare la via, lo porta
fino alla nave.
Arya corre sul ponte, dove il corvo si è appena
posato. Vede un uomo stupito quanto lei.
«Come
si insegna a un corvo a raggiungere una
nave?» chiede lui. «Come può
trovarla?»
Arya scrolla le spalle. «Sei tu l’esperto di
navi.»
«Di navi. Non di corvi. Quelli sono animali di
terra, e l’esperta di terra sei tu, Capitano.»
Lei
lo ignora. Non ha idea di quale magia ci sia
voluto per portarlo fin lì, né se sia davvero per
lei. Sa solo di non aver mai
visto niente di simile.
Lo raggiunge e si china per prendere il
messaggio.
Le basta riconoscere il sigillo per capire che la
sua avventura è finita.
Se
mi
hanno trovata in mare, significa che è grave.
«Torniamo indietro»
ordina alla ciurma.
|
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Capitolo 11 *** Sono qui per te ***
10. Sono qui per te
10
Sono qui per te
vere
Spettro ai piedi del letto la rende più sicura. Ha come l’impressione che Jon
sia lì con lei, senza i suoi occhi bassi e il suo tono distaccato. Senza la
vergogna che prova ora Sansa in sua presenza.
Il metalupo è affettuoso.
Ogni volta che Sansa apre gli occhi, lui è lì. Se
Sansa lo chiama, Spettro posa il muso sulla pelliccia e si lascia accarezzare. Mangiano
insieme, anche se spesso lei gli cede parte del suo pasto.
Ed è la scusa migliore per rivedere Jon. Sansa
resta sveglia finché non lo vede entrare, poi socchiude gli occhi e finge di
dormire. Ascolta il suono dei suoi passi sulla pietra, il suo respiro e
l’agitarsi della coda di Spettro. Ode il pelo strusciare contro la parete, la
porta che viene chiusa. Un attimo di troppo. Ogni volta. Come se Jon si
fermasse sull’uscio a guardarla.
Controlla che non stia fingendo? Forse,
semplicemente, si preoccupa per lei.
Jon è quello buono.
Jon non prova ciò che non dovrebbe provare per
una sorella. Jon è quello pronto a giurarle che Ramsay non la toccherà mai più,
e che nessuno le farà più del male.
Ed è pronto a uccidere chi ama per mantenere
quella promessa.
Quando sa di essere sola, Sansa tira la testa
indietro sul cuscino e cerca di addormentarsi. È maestro Ronald a svegliarla, a
meno che Spettro non torni prima.
«Devi riposare, Altezza» dice ogni volta.
«Non ne posso più di riposarmi, Maestro.»
«Ancora poco. Non pensarci, dormi, e presto
potrai lasciare queste stanze.»
Ma i giorni non bastano mai. Ogni volta che Sansa
si illude di potersi alzare, il Maestro la costringe a letto. Ancora un giorno.
Sempre un giorno. Ma quel giorno sembra non finire mai.
∞
Jon controlla i dintorni del castello con Tormund
da giorni. Non ha più parlato con Sansa. Non riesce a restare nella stessa
stanza da solo con lei ora che è ferita. Pelle
nuda, capelli rossi sparsi sul cuscino. C’è Spettro con lei, ed è come se fosse
rimasto anche lui.
«Guarda là.» Tormund indica la strada del Re. Dalla
sommità di Grande inverno si vede bene.
Jon osserva quel punto, percorso da un gruppo di
cavalieri. Sembrano formiche da lassù, ma sono i colori dei vessilli quelli che
lui nota: bianco e nero. Un corvo con tre occhi.
Bran sa.
Per un brevissimo istante, Jon si chiede se non
stiano arrivando per lui. Ha lasciato il Castello Nero senza avvertire il Re…
Ma nonostante Bran sia il Corvo con Tre Occhi, nonostante sia il Re dei Sei
Regni, Non riesce a crederlo davvero. No, Bran non lo farebbe mai. Bran è suo
fratello.
«Ci sono troppi Re a sud» dice Tormund,
guardandolo.
«Ti sbagli. Sono solo due.» E sono entrambi miei fratelli.
Raggiungono il cortile e Jon dà l’ordine di
aprire le porte. Non sa chi ci sia dall’altra parte, o il vero motivo per cui
questi uomini si siano spinti tanto a nord, ma il vessillo di Bran è
sufficiente. Nelle sue mani, è come una chiave capace di aprire ogni porta.
«Chi siete?» grida una guardia dalle mura.
«Lord Davos Seaworth e Brienne di Tarth, Lady
Comandante della Guardia Reale, inviati da Sua Maestà, Re Brandon Lo Spezzato.»
Nel riconoscere quella voce, Jon fa un passo
avanti. «Aprite le porte» ripete.
Le guardie non lo ascoltano. «Cosa cercate così a
nord, Lord Davos?»
Solo Tormund si guarda intorno. «La donna grossa
è qui?»
«Sua Maestà il Re ci ha mandati in aiuto alla
Regina. Parleremo solo con lei.»
«Sua Maestà la Regina non può parlare con voi»
dice qualcuno.
Jon corre su per le scale, si affaccia alle mura.
«Parlerò io per lei.»
«Non puoi» sibila un altro.
«Jon!» Davos solleva la mano senza dita. «Ci
lasci qui fuori?»
«No.» Lui si volta. «Informate sua Altezza che Lord
Davos e Ser Brienne sono giunti a Grande Inverno per vederla.»
Solo un ragazzino annuisce e corre alla fortezza.
Le altre guardie restano a guardarsi, senza muoversi.
«Tormund.» Jon lo guarda dall’alto delle mura.
«Dì ai tuoi uomini di aprire le porte.»
Le guardie impugnano le spade e sollevano gli
scudi, spostandosi davanti all’ingresso principale.
A Tormund basta un grido perché i Bruti lo
raggiungano. Non sembrano spaventati dallo scontro. Alcuni sorridono.
«Spostatevi» ordina Jon alle guardie. «Lasciateli
passare, è ciò che vorrebbe la Regina.»
«Lei non è qui. E noi stiamo eseguendo i suoi
ordini.»
I Bruti avanzano, sfoderando le spade. Alcuni
spintoni, l’acciaio che si incrocia, sono tutti pronti a combattere.
«Fermi!» grida Jon. «Che cosa fate? Avete
combattuto insieme, proprio qui, a Grande Inverno. E ora sareste pronti a
versare il sangue gli uni degli altri?»
Un tempo, gli uomini ascoltavano le sue parole. Combattevano
nel suo nome ed erano pronti a riporre le armi a un suo cenno. Ma a sud della
Barriera quel tempo è finito.
E mentre le guardie incrociano le spade con i
Bruti, solo il grido di maestro Ronald riesce a dissuaderli dal continuare.
«Aprite le porte» dice poi. «Per ordine di Sua Maestà
la Regina.»
Davos e Brienne sono i primi a entrare, sotto lo
sguardo sconvolto di Tormund. Ma il Maestro si avvicina a Jon, e basta un
sussurro per farlo preoccupare.
«Sua Altezza vuole ricevere questi ospiti
personalmente» mormora, così piano che solo Jon possa sentirlo. «Anche se le ho
detto che è un rischio lasciare il letto così presto.»
Jon saluta Davos e Brienne, la mente rivolta a un
altro angolo del castello. Poi lascia il cortile, affrettandosi a raggiungere
la fortezza. Solo quando si trova davanti a quella porta – la sua porta – lascia andare un lungo
sospiro.
Bussa sotto l’occhio attento della guardia.
E quando la porta viene aperta, è Spettro a
dargli il benvenuto.
Sansa è in piedi, aggrappata al letto, mentre due
ancelle sistemano un mantello di pelliccia sulla sua schiena. Nemmeno si volta,
nemmeno lo vede.
«Sei tornato per convincermi a non uscire,
Maestro?» Il sarcasmo trapela dalle parole di Sansa.
Ha i capelli scostati sulla spalla, il collo
bianco ancora in vista.
«Sì» risponde Jon, facendola trasalire. «Non
dovresti ancora alzarti.»
Lei volta la testa di scatto, allontanando le
mani delle ancelle. «Lasciateci» dice.
È solo quando la porta si chiude, con Spettro
sdraiato davanti all’entrata, che Jon si avvicina.
«Potranno vederti un altro giorno» dice, cercando
di contenere l’irritazione. «Se Bran li ha mandati fin qui, devono aver
ricevuto l’ordine di restare. E vederti un giorno prima o un giorno dopo non
farà differenza.»
«Non voglio che mi credano in fin di vita» dice
Sansa. Ha la voce debole, come se restare in piedi e parlare le costasse un
grande sforzo.
«Non lo crederebbero mai… C’è Brienne con loro. E
sai quanta stima abbia di te.»
«Perché non vuoi che li veda?» chiede Sansa,
cercando di sedere sul letto.
Jon la raggiunge. Le posa una mano sul fianco e
la aiuta a chinarsi. La pelliccia è morbida sotto le dita, calda come se fosse
stata appesa accanto al fuoco. Anche lui sente calore, improvviso e letale. Una
fiamma che gli sale al cervello.
Si allontana come se si fosse scottato.
«Io voglio che tu li veda.» Cerca di controllare
la voce, ma è troppo bassa, troppo roca. China gli occhi a terra. «Ma quando
starai meglio.»
«Io sto meglio.»
«Maestro Ronald dice che i primi giorni sei
migliorata in fretta. Ma ultimamente è come se avessi smesso di lottare. Dice
che ti stai buttando giù, e che per questo impiegherai più tempo prima di
rimetterti.»
Con la coda dell’occhio, osserva le sue mani –
dita lunghe e affusolate, pelle bianca, che non ha mai lavorato né impugnato
una spada. Pelle da toccare – e le vede stringersi in grembo.
Vorrebbe afferrarle e trarla a sé. Vederla in
piedi – tra le sue braccia – sapere che è al sicuro.
«Non è per la ferita che mi trova in questo
stato.»
«E per cosa?» Ora Jon la guarda. I capelli che
scendono oltre un lato del collo lasciano il suo viso bene in vista, proprio
dal lato dove l’ematoma sta ingiallendo.
Sansa non risponde, si limita a chinare il capo.
«Mi ha detto anche che non stai mangiando molto.
Ma da quando hai Spettro con te trova sempre il piatto pulito.» Resta in
silenzio e stringe il pugno. Sa che avrebbe dovuto affrontare quel discorso
molto prima. «Dai tutto a lui, vero?»
Gli occhi di Sansa si sollevano su Spettro. «Non
tutto.»
Jon sospira, abbassa il mento e sposta il peso da
un piede all’altro. È tentato di avvicinarsi, ma sa che a quel punto non
riuscirà a trattenersi dal prenderle le mani, sederle accanto e stringerla a
sé. Conosce fin troppo bene le sensazioni che prova il suo corpo accanto a
quello di Sansa.
«Sansa…»
Dovrebbe suonare come un rimprovero, ma gli basta
incontrare i suoi occhi – per la prima volta dopo giorni – per mettere da parte
i suoi propositi e raggiungerla. Ancora. Sempre. Come se il suo sguardo fosse
una calamita a cui non può resistere.
«Non puoi rimetterti in forze se non mangi.»
«Mangio» ribatte lei. Lo dice come se ci fosse
altro, un motivo che l’ha spinta a perdere appetito. E Jon darebbe un anno
della sua vita pur di sapere cosa sia. «Non dovresti preoccuparti per me.»
Lui non capisce. Non capisce niente quando le sta
così vicino.
Poi Sansa cerca ancora i suoi occhi. «Sei il Lord
Comandante dei Guardiani della Notte» dice in tono sofferente. «Il tuo posto è
alla Barriera. Non accanto a me.»
Per Jon quelle parole sono una doccia gelata.
Come quando ha visto Olly – e gli altri confratelli – piantargli un pugnale nel
cuore. Come quando Daenerys ha nominato Grande Inverno e Tyrion e Arya hanno
tirato in ballo Sansa. Come aver tenuto tra le braccia il corpo senza vita di
Ygritte. O sapere che suo padre, Ned Stark, era morto ad Approdo del Re. E
Robb… E Rickon. O scoprire che Grande Inverno era caduta per mano degli uomini
di ferro.
Sansa non lo vuole a Grande Inverno. Sansa non lo
vuole nella sua stanza. Accanto al suo letto. Al suo fianco.
Jon fa un passo indietro, poi un altro. Si sente
come stordito.
«Jon?»
«Mi hai chiesto di restare» mormora.
Sì, te
l’ha chiesto. Ma prima che la vedessi coperta solo da una fasciatura. Prima che
la guardassi come si guarda una donna.
Jon raggiunge la porta ed è pronto a varcarla.
«Dove vai?» La voce di Sansa è un sussurro.
«A preparare la Sala Grande per accogliere la
Regina.»
«Dovresti sellare il tuo cavallo, invece.» Sansa
ha la tristezza negli occhi. «E andare via da qui il più in fretta possibile.
Prima che Davos informi Bran della tua presenza.»
Jon scuote la testa. Non riesce a trattenersi –
mai, con lei vicino. «È per Bran che mi stai mandando via?»
«Quale altra ragione avrei?»
Lui torna indietro, fronteggiandola dall’alto. «Davos
non è qui per me.» Segue la linea della spalla, il collo lungo, bianco come il
latte. Solo quando raggiunge il suo viso i suoi occhi si fermano. «Davos e
Brienne sono qui per te.»
E ci sono
anch’io.
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Capitolo 12 *** A cavallo di un Drago ***
11. A cavallo di un Drago
11
A cavallo di un Drago
ansa
sta tremando. La finestra è chiusa, il camino acceso, ma Jon è di fronte a lei,
i muscoli tesi come se stesse trattenendo la rabbia.
Tutto ciò che vorrebbe ora è sentirsi dire che
lui non se ne andrà. Né quel giorno, né mai.
Ma sa che se suo fratello resta – è tuo fratello, tuo fratello – è solo
per proteggerla e trovare chi complotta contro di lei.
«Come sai che non sono qui per te?»
Jon sorride – il cuore fa una capriola nel petto
di Sansa. Non te ne andare. «Davos è
stato al mio fianco per molto tempo. Chi manderebbe un uomo fedele ad arrestare
chi ha servito prima di lui?»
«Ma ora non è più fedele a te» insiste Sansa. «È
fedele a Bran.»
«Conosco Davos» ribatte Jon. È così vicino che
con le gambe potrebbe sfiorarle le ginocchia. «È un brav’uomo.»
«La bontà non c’entra nulla quando c’è di mezzo
il potere. Dovresti saperlo bene.»
Lui sospira – ancora, sempre – e appoggia una
mano all’asta del letto. «Mi fido di lui.»
«Non dovresti fidarti di nessuno.»
Jon si piega in avanti, vicino al suo viso.
«Quindi non ti fidi di Brienne?»
«Brienne non mi farebbe del male.» Non riesce a
staccare gli occhi dal suo volto. Le cicatrici, la barba accennata, i riccioli
che gli sfiorano le guance. «Lo ha giurato a mia madre.»
«Bene allora.» Jon sembra soddisfatto.
«Ma non ha giurato nulla su di te, Jon» sussurra.
Vede le iridi nere sgranarsi, la consapevolezza
di quanto ha appena sentito. Sono così vicini che, quando lui deglutisce, Sansa
ne sente il suono. E quando le labbra di Jon si schiudono appena, lei vorrebbe
solo allungarsi e toccarle con le sue.
Finalmente conoscerebbe il suo sapore.
Solleva una mano e la posa sulla sua guancia.
Sente la barba ruvida sotto le dita e ne segue la traccia, fino a premere il
pollice sul suo mento. Cerca i suoi occhi. Vorrebbe solo perdersi in quei pozzi
neri e lasciare che il fuoco ardente dentro di lei prenda il sopravvento.
«Correrò il rischio» dice Jon, la voce roca.
«Non voglio che tu lo faccia.» Sente una grande
tristezza dentro, ora. La paura che possano fargli del male. La disperazione
del desiderio che prova per lui. Adesso, allontanarlo da sé è l’unico modo per
proteggerlo.
Lascia scorrere le dita fino alla sua bocca,
accarezzandola.
Lo vede chiudere gli occhi. Sembra teso come una
corda, e Sansa vorrebbe solo scioglierla e lasciarlo andare.
«Devi tornare al Castello Nero, Jon.»
C’è così tanta dolcezza in quell’ultima parola.
Non sembra che lo abbia chiamato per nome. Sembra che abbia nominato la
primavera osservando petali bianchi cadere dagli alberi.
Sente ancora dolore – tantissimo – e sollevare
anche l’altro braccio le dà una scarica lungo la schiena, come se qualcuno
l’avesse appena colpita. Ma vuole prendere il suo viso – il viso di Jon. Cicatrici. Pozzi neri in cui perdersi. – tra le
mani. Vuole avvicinarlo a sé e imprimere ogni dettaglio nella mente.
Per non dimenticarlo mai.
E quando lo fa, prendendo il suo volto, le mani
di Jon corrono ai suoi polsi. I suoi occhi si sgranano, come se avesse paura.
Sansa teme che quel momento passi. Non avrà
un’altra occasione. Forse non lo rivedrà più.
Ed è quel pensiero a sconvolgerla. È quello a
spingerla in avanti, a occhi chiusi, cercando la sua bocca. Quando la trova,
posando le sue labbra su quelle di Jon, lui la allontana piano.
Ha uno sguardo strano. Come se una luce avesse
illuminato una grotta buia nel mezzo di un temporale. O come se un fulmine
avesse squarciato il cielo incendiando il bosco.
Non
andartene.
Chiedergli scusa, implorarlo, non serve. Sansa
non riesce a parlare. Non ha voce. Non ha fiato. Sta trattenendo il respiro,
finché non si accorge che Jon sta facendo lo stesso.
Poi sente la presa sui polsi farsi più delicata.
Il tocco delle dita scorrere lungo il braccio e tornare indietro. Un dito
accanto all’altro, mani che si intrecciano. Le unghie di Jon sono cortissime,
eppure Sansa le sente sulla pelle. Ha un brivido.
Stavolta è lui ad avvicinarsi. Stavolta è lui a
baciarla.
Sansa si lascia travolgere da tutte le sensazioni
di quel bacio. Non è come nei suoi sogni. È come se Jon l’avesse sollevata da
terra e portata in alto, volando con lei intorno al mondo a cavallo di un
drago. È fuoco che brucia nelle viscere, e sangue che corre e che canta. È
camminare su un lago d’inverno mentre il ghiaccio si spacca.
E quando Jon si allontana – di nuovo, sempre –
non c’è più paura nei suoi occhi. Ma solo lo stesso desiderio che Sansa sente
bruciare dentro di sé.
Vorrebbe dirgli tante cose – resta, non andartene – ma non riesce a parlare, non ancora. Il
dolore per la ferita è fortissimo, batte a ritmo con il suo cuore. Non le dà
tregua.
«Altezza!»
Una voce. Un bussare sommesso alla porta.
Jon indietreggia così in fretta da inciampare.
Non cade per un pelo, perché Spettro è già in piedi alle sue spalle.
E prima che qualcuno entri, lui muove le labbra e
le indica le guance. Sei bellissima.
Possibile che l’abbia solo immaginato?
Sansa si schiarisce la voce, poi si rivolge alla
porta chiusa. «Avanti.»
Maestro Ronald entra e lancia uno sguardo a
entrambi. Sansa non sa cosa stia pensando, non sa cos’abbia capito. Sa solo che
vorrebbe cacciarlo via e chiudersi a chiave in camera con Jon.
«Altezza, visto che vuoi fare questa cosa,
facciamola in fretta. Così dopo potrai riposare.» Un’occhiataccia a Jon, e
Sansa sente il cuore sprofondare di vergogna. «Senza essere disturbata.»
«Di cosa parli, Maestro?»
«Non volevi incontrare gli uomini inviati da Re
Brandon?»
«Certo.» Sansa china il capo. Se prima era rossa,
ora sente di avere il fuoco nelle guance, fino alle orecchie. «Facciamo questa
cosa.»
E subito dopo incontra gli occhi di Jon e il suo
sorriso.
N.d.A.:
Ciao! Volevo avvisarvi che potrei non aggiornare
per tutto il mese di agosto. Insomma: ci proverò, ma non garantisco. Grazie a
chi continua a leggere questa storia! A chi è così gentile da lasciarmi sempre un
parere (grazie fenice!) e a chi l’ha aggiunta tra seguite e preferite. Ci
rileggiamo presto!
Celtica
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Capitolo 13 *** Cerchio Protettivo ***
12. Cerchio Protettivo
12
Cerchio Protettivo
ono
tutti riuniti nella Sala Grande, al cospetto di Sansa. Jon li guarda
inginocchiarsi uno a uno, ma la sua mente è rivolta altrove. Al viso di
Sansa. A come sono diventate rosse le sue guance dopo il bacio. Non è mai stata
più bella.
Nemmeno rivederla al Castello Nero – una donna,
non più una bambina – è stato come quel momento.
Al Castello Nero, Jon sapeva di aver ritrovato la
sua famiglia. Ora si chiede cosa siano loro due.
«Altezza, è un piacere sapere che stai bene»
esordisce Brienne, sotto l’occhio attento di Tormund.
Lui non si è inginocchiato, ma è in piedi accanto
al tavolo a cui è seduta Sansa.
«È un piacere anche per me, Ser Brienne.»
«Perdonami, Altezza.» Davos solleva la testa. «Ma
ora è con la Lady Comandante della Guardia Reale che stai parlando.»
Sansa non sorride. Alza il mento e lo guarda. «E
tu, invece? Cos’ha fatto di te mio fratello?»
«L’idea è stata di Lord Tyrion, Vostra Grazia. Ha
fatto di me un Lord e il mastro delle navi.»
A quel nome, il volto di Sansa si incrina. Jon
china la testa. Sono stati sposati… anche se Tyrion non l’ha mai toccata.
«Cosa vi porta così a nord, miei Lord?»
«Sua Altezza Re Brandon ci ha inviati in tuo
soccorso.»
Poi Sansa volta il capo verso Tormund. «Ti
ringrazio per essere venuto.»
Ma Jon sa che quelle parole sono anche per lui.
Sua sorella sta facendo di tutto per non guardarlo, e questo è sufficiente a
farlo sorridere.
«Ci hai ospitati nel tuo castello durante la
battaglia» risponde Tormund.
«Era il castello di mio fratello.»
Mio
fratello.
Jon si sente teso come si è sentito in tutti quei
giorni trascorsi lontano da lei. Vorrebbe trascinarla via da tutti quei lord,
dai suoi Consigli, e smettere di parlare. Non possono permettersi di pensare a
quanto è successo.
“Anche
tu?”,
avrebbe voluto dirle quando ha capito, quando Sansa stava per baciarlo.
“Anche
io.”
Ma le parole sono vento. E qualunque cosa possano
dire metterebbe in pericolo entrambi.
«Altri non avrebbero accettato Bruti nel loro
castello» replica Tormund. E Jon sa che non ci saranno altri ringraziamenti da
parte sua.
«Siete amici di mio fratello.» Sansa solleva il
mento. «Siete amici miei.»
Tormund fa solo un cenno di assenso, come se
Sansa si fosse appena meritata il suo rispetto. Poi Jon vede entrambi posare
gli occhi su Brienne.
«Vi ringrazio per essere qui.»
Stavolta è Brienne a prendere la parola,
rubandola a Davos. «Re Brandon voleva assicurarsi che stessi bene, Altezza. E
farti sapere che lui non ha nulla a che fare con tutto questo.»
Sansa continua a osservarla. Jon riesce quasi a
sentire i suoi pensieri che prendono forma nella sua mente.
«Gli hai chiesto tu di venire?» domanda poi,
davanti a tutta la Corte.
Tutti gli occhi sono puntati su Brienne. A
nessuno sfugge la sua esitazione.
«L’ho giurato a lady Catelyn.»
Sansa abbassa le palpebre. «Ti ringrazio.»
“Non ha
giurato nulla su di te, Jon.”
Sente il cuore battere più veloce. Non vuole
allontanarsi da Grande Inverno – da Sansa
– anche se Brienne potrebbe decidere diversamente.
Potrebbe scrivere al suo Re, chiedergli come
comportarsi. E Bran non è più Bran. Bran è il Re dei sei regni. Bran potrebbe
decidere di punirlo secondo la legge. Anche perché ora che Sansa è in pericolo,
solo quella punizione potrebbe tenerlo lontano da lei.
Ora che
so cosa prova.
E d’un tratto tutto si fa chiaro: la tristezza di
Sansa, la mancanza di appetito, la lentezza della sua guarigione.
Sansa stava così per lui, per Jon.
Arretra nella Sala Grande, mentre Davos si
riappropria del suo ruolo di inviato e ricomincia a parlare.
«Hai scoperto chi è stato, Maestà?»
«Pensiamo a un attacco isolato» interviene
maestro Ronald. «Opera di qualche brigante.»
«Perché un brigante dovrebbe attaccare la
Regina?»
«Malcontento…»
«Forse perché sono una donna» lo interrompe
Sansa. «O forse non si tratta di un brigante. Magari c’è di più… Non mi è stato
possibile indagare, miei lord. Magari voi potrete aiutarmi in questo.»
A Jon non sfugge lo sguardo che maestro Ronald
scambia con una guardia. Si chiede perché. Che motivo avrebbe un maestro della
Cittadella, che nemmeno conosce Grande Inverno? Che nemmeno conosce Sansa.
Se la
conoscesse non vorrebbe farle del male.
Eppure il maestro ha avuto tante occasioni per
colpire. Tante occasioni per non sbagliare senza farsi scoprire.
Jon decide di tenerlo d’occhio. Lui e le guardie
più vicine a Sansa. E pensa anche un’altra cosa: ovunque lei vada ora, ovunque
si trovi, Spettro dovrò essere con lei. E Tormund, o Brienne.
O io.
∞
Arya
ha preso un cavallo e viaggia sola per tornare a Grande Inverno. Non ha inviato
corvi, non si è fermata ad Approdo del Re a chiedere a Bran – lui sa. Ha tirato dritto per la sua
strada.
Ha tutta la Strada del Re da percorrere, tanto
tempo per pensare.
Qualcuno ha colpito Sansa. Qualcuno la vuole
morta. Si chiede se Jon lo abbia saputo, se si stia informando sulle condizioni
della sorella. Lui è vicino. Gli basterebbe poco per raggiungerla e assicurarsi
che stia bene.
Lo conosce abbastanza da sapere che il suo
desiderio è la loro felicità. La loro salute. Ma è abbastanza per lasciare il
Castello Nero? È abbastanza per ignorare il suo giuramento?
L’ha già
fatto.
Con la donna dei Bruti.
Sta pensando a tutto questo quando si accorge del
fumo. È mattina, e le terre che attraversa non sono ancora bianche di neve. Ma
il fumo… quello sale dritto, rendendo grigio il cielo. Non è il fuoco di un
camino, no, ma potrebbe essere quello di cento camini.
Arya tira le redini e si ferma. Grande Inverno è
lontano. Mentre il fumo è lì, a poche ore di distanza. Scoprire cosa succede
non le ruberà più di mezza giornata di viaggio.
Affonda i talloni nei fianchi dell’animale e lo
sprona al galoppo. Si inoltra nel bosco ancora verde, dove terreno e massi sono
ricoperti di muschio. Non cantano gli uccelli. Non c’è rumore.
Il cavallo corre, svolta ogni volta che Arya si
muove su di lui, indicandogli la direzione. Quando si ferma, ha il respiro
affannato, le vene in vista dopo lo sforzo.
Lei volteggia giù di sella. Gli accarezza il
collo e lega le redini al ramo basso di un albero.
Poi lo lascia lì.
È brava a camminare di soppiatto, a non farsi
sentire. Percorre una certa distanza prima di sentire quelle voci. Non riesce a
capire cosa dicano. Parlano una lingua che lei non conosce.
Da dove arrivano? Cosa ci fanno lì?
Poi ode un pianto.
C’è una donna con loro. La trascinano per i
capelli.
La mano di Arya corre al pugnale in acciaio di
Valyria, il dono di Bran.
Si avvicina, nota un gruppetto di case in una
radura, corpi stesi a terra. Non ci sono lamenti. Sono tutti morti. Un
gruppetto di uomini sta bruciando i tetti di paglia, un altro passa in rassegna
i cadaveri prendendo ciò che trova.
La donna grida. Arya volta la testa indietro,
verso il folto bosco.
Torna sui suoi passi, il pugnale in mano.
C’è un uomo solo, chino su un corpo di ragazza.
Arya gli arriva alle spalle senza fare rumore. Si accorge di lei solo quando si
sente sollevare la testa, e non ha nemmeno il tempo di urlare quando la lama
scorre sulla sua gola, squarciandola.
Manca l’altro uomo.
La ragazza smette di urlare, ha il terrore negli
occhi.
«Vattene» le dice Arya.
Ma lo sguardo della giovane si posa sul pugnale
sporco di sangue, come se rivedesse in Arya un’altra sé stessa. «Non ci farai
niente con quello» riesce a mormorare.
«Ho ucciso di peggio con questo.» Solleva la
lama, e in quel momento ode un rumore alle sue spalle.
Si volta, e il pugnale è già in volo. Punta dritto
all’altro uomo. Lui riesce a urlare prima di morire. È una parola che Arya non
conosce, in quella lingua che non ha mai sentito.
«Va’ via» ripete alla ragazza, mentre gli uomini
rimasti sono fermi a osservare il bosco.
Poi estrae Ago – finalmente – il sorriso di Jon
Snow, il filo che la lega a Grande Inverno.
Esce dal fitto degli alberi e si lascia
accerchiare da quegli stranieri. Avrebbe tante domande da fare, ma non è il
momento. Ha deciso: ne lascerà vivo uno per dopo.
I suoi passi sono come una danza, come quando ha
ucciso gli Estranei a casa sua. Ora deve uccidere altri estranei in una terra
che non le appartiene.
Ago scivola sopra e sotto di lei, forma un
cerchio protettivo intorno al suo corpo. E poi colpisce. Il primo ad
avvicinarsi è già a terra, a reggere un buco nel petto.
Infilzali
con la punta.
Il secondo uomo impreca in quella sua strana
lingua, ma Arya è sicura che la stia minacciando di morte.
Non
oggi.
Ago ruota intorno a lei, è come un nastro che
danza nel vento. Forma un sorriso sul ventre dell’uomo, ed è il suo piede a
spingerlo a terra. Lui ci metterà di più a morire.
Ora che ha ciò che voleva, Arya non ha più freni.
Ruota la spada come ruoterebbe il braccio in una danza del sud. Lascia che il
suo acciaio canti contro quello dei suoi avversari, che esplori i loro corpi e
baci il loro sangue.
E poi non resta più nessuno in piedi. Solo lei.
Pulisce la lama negli abiti colorati di un morto.
Corre a riprendere il suo pugnale – Ditocorto e il Re della Notte – e lo fa
scorrere contro un mantello grigio. Poi lo infila nel fodero.
Torna dagli uomini a terra, uno agonizzante, gli
altri morti.
«Vediamo se ho scelto bene» mormora, piegandosi
sulle ginocchia.
Lo guarda sgranare gli occhi, mentre le mani
cercano di reggere la pancia senza troppo successo.
«Parli la mia lingua?»
Inclina la testa di lato, lancia uno sguardo al
villaggio in fiamme, alla gente uccisa. «Andiamo… sì che la parli. Altrimenti
cosa ci faresti qui?»
Un cadavere è lì vicino. Le basta allungare una
mano per frugare tra i suoi abiti. Deve scoprire chi è, chi sono, chi li ha
mandati. Non sono briganti. Non hanno abiti di poco conto. E parlano una lingua
mai sentita prima.
«Non vuoi dirmi niente?»
Trova solo monete di un conio che non appartiene
a Westeros, ma alle città libere. Stringe il pugno, e si chiede cosa ci
facciano così lontani da casa.
La Compagnia Dorata è distrutta. Che ne sia
rimasto qualcuno e abbia deciso di vendicarsi? Ma perché? Perché attaccare un
villaggio sperduto in un continente straniero? Perché non tornare a casa, e
tentare di unirsi a un’altra Compagnia…
Poi Arya ricorda. Ricorda la Regina dei Draghi,
la Distruttrice di Catene. Ricorda i racconti di Jon, i discorsi ascoltati di
nascosto a Grande Inverno.
Daenerys ha lasciato qualcuno indietro. Era una
Regina al di là del Mare Stretto. Aveva un regno fatto di Piramidi, città
ricche e schiavi liberati che vivevano per lei.
Una notte, Arya aveva sentito i bisbigli di Varys
e Tyrion… aveva udito un nome mai sentito prima.
Scava nella mente e quella frase si forma davanti
a lei, come se una piuma invisibile l’avesse appena scritta nel vento.
“Dovrebbe
chiamare i Secondi Figli. Così avrebbe un’armata grande quanto la prima, e
potrebbe affrontare Cersei faccia a faccia.”
“Credi
davvero che Daario Naharis le suggerirebbe di assediare Approdo del Re? Di
aspettare la resa di Cersei? No, tu non lo conosci, amico mio. Daario sarebbe
capace di dirle di bruciare tutto.”
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Capitolo 14 *** La Lupa ***
13. La Lupa
13
La Lupa
l
villaggio è ormai lontano, ma si vede ancora il fumo. Dà l’idea di brutto
tempo, di pioggia in arrivo. Ma Arya sa che non scenderà nemmeno una goccia.
Non oggi.
Aspetta la neve, fiocchi bianchi che scendano a
coprire i resti del fuoco, che si sciolgano a contatto con la cenere. Non le
piace quella terra: troppi ricordi. Lì, nelle Terre dei Fiumi, Sansa ha tradito
la sua fiducia. Ha tradito lei.
Ha mentito per Joffrey…
Lì, sulla Strada del Re, Mycah è stato ucciso dal
Mastino.
Stringe i pugni e monta a cavallo. Comincia a
sentire la stanchezza del viaggio. Non pensava che avrebbe ripercorso quella
strada tanto presto. Che avrebbe ucciso per tornare a casa.
Prosegue per un pezzo prima di accamparsi. Ha
bisogno di mangiare qualcosa, di scaldarsi vicino a un fuoco, di far riposare
il cavallo. Si inoltra nel bosco, fermandosi in una piccola radura protetta da
un cerchio di alberi. Ci sono cespugli e bacche ricoperte da un sottile strato
di ghiaccio.
Arya socchiude gli occhi. E ricorda.
∞
Tormund lo segue fuori dalla Sala Grande, nel
cortile innevato. Jon nota gli sguardi inquieti della gente che lavora al
castello: legge il sospetto sui loro volti, la paura che i Bruti possano
riprendere a bruciare villaggi, a rapire le loro donne. Forse qualcuno è
persino preoccupato per Sansa. Forse qualcuno teme che venga uccisa.
Grande Inverno prospererà sotto di lei. Jon ne ha
la certezza. Ha saputo cos’ha fatto quando lui era via, come ha preparato gli
uomini per la difesa del castello. Le armature imbottite, i rifornimenti, la
gente richiamata dai villaggi vicini, in modo che tutti fossero al sicuro, al
riparo dagli attacchi degli Estranei.
«Tua sorella vuole dare una festa per Davos e la
donna grossa.» La voce di Tormund riecheggia tra le mura del castello. Gli
uomini sulle mura abbassano gli occhi a guardarli.
«È così.»
Forse spera che Brienne non la tradisca, che non
dica nulla su di me a Bran.
Ma poi, c’era veramente da temere Bran?
È mio fratello, pensa, come se stesse
parlando con Sansa. E nella testa sente la voce di lei, fredda eppure
coinvolta: pensi che questo sia sufficiente?
«Che fine ha fatto il tizio con una mano sola?»
domanda Tormund, a testa bassa.
E i ricordi lo avvolgono come un uragano. Drogon,
il fuoco, bambini in fuga. Il terrore negli occhi di Varys, un attimo prima di
morire, e Tyrion, la sua delusione, le labbra contratte, la spilla che rotola
giù dai gradini sotto la Fortezza Rossa, e gli Immacolati, e il coltello tra le
mani di Verme Grigio, le sue parole dette con fermezza – gelo – gli
uomini dei Lannister in ginocchio, tremanti, con la supplica che non sia la
fine.
Uno dopo l’altro, come animali al macello, sotto
gli occhi di tutti. Tutti loro.
Ricorda la pressione sul braccio di Verme Grigio,
uomini del nord contro Immacolati – Davos al suo fianco – il drago che
sorvola la città… che si posa sui bastioni della fortezza.
E poi Daenerys, il drago, che non può
essere domato, non può essere sconfitto. Può solo essere ucciso.
Tyrion che vaga per le strade, tra i palazzi
distrutti, tra le macerie di case e persone. Tyrion che cerca i suoi fratelli.
“Devo farlo da solo.”
Jon ricorda di avergli letto quella frase, non
nello sguardo, ma nella posa delle labbra, nella lentezza dei passi e la
posizione del corpo quando si è voltato a dargli le spalle.
Sa di aver pensato che, al suo posto, avrebbe
lasciato cadere la spilla esattamente come ha fatto lui.
Ti ucciderà, ha pensato vedendo
quella scena, con la schiena a ridosso del muro distrutto.
L’odio negli occhi di Daenerys era stato come un
fuoco su Tyrion, si era scontrato con la sua delusione – ghiaccio – con
la consapevolezza di aver perso gli ultimi membri della sua famiglia.
E quando l’ordine era stato dato – “prendetelo.
Prendetelo. Prendetelo.” – Jon era rimasto a guardare.
Ha visto i suoi fratelli travolti dalle macerie.
Li ha trovati insieme.
«Allora, piccolo corvo? L’uomo senza una mano è
tornato a sud?»
Jon scuote la testa, nelle orecchie rimbomba il
suono dei loro passi sulla neve. «Sì, è tornato a sud.»
«E c’è il rischio che torni qui? A sud della
Barriera?»
Tormund lancia una veloce occhiata dietro le
spalle, dove Brienne sta discutendo con alcune guardie della sua scorta.
«No» sospira Jon. «Non esiste questo rischio.
No.»
Poi lo vede passarsi una mano nei capelli rossi,
raddrizzare la schiena e voltarsi. Riceve una vigorosa pacca sulla spalla.
«Meglio così. Ci vediamo, corvo.»
Jon si ferma a guardarlo. Lo osserva camminare
spedito verso gli inviati di Bran, girare intorno a Brienne, fare una battuta a
cui ride da solo. Lei non sembra felice di vederlo. Gli lancia diverse
occhiatacce prima di dargli la schiena e tornare dentro.
Tormund lancia uno sguardo a Jon e scrolla le
spalle.
∞
Arya è accampata nel fitto bosco quando sente dei
rumori. Getta un altro ramoscello nel fuoco e cerca Ago. La tranquillizza
sentire il suo peso contro la gamba, toccare l’impugnatura levigata sotto lo
spesso strato di guanti.
Sente lo scalpiccio degli zoccoli del cavallo,
così lo raggiunge e gli accarezza il collo. Nella neve, il suo corpo è caldo
come una fornace. Trema nel vento, all’ombra degli alberi, e dalle narici
escono come sbuffi di fumo.
«Tranquillo…» sussurra Arya, controllando che le
briglie siano ben legate al ramo. «Presto sarà tutto finito.»
Li sente. Nonostante siano veloci e silenziosi.
Oggi è lei la preda.
Aspetta di essere accerchiata, poi lascia correre
lo sguardo fino a incontrare gli occhi di tutti loro. Vede i loro respiri
condensarsi nell’aria, le lingue accarezzare le labbra. Come un unico elemento,
fanno tutti un passo avanti. Poi si fermano.
Dove sei?
E lei compare, maestosa e gigantesca rispetto al
suo branco. Stavolta non digrigna nemmeno i denti, scivola verso Arya come se
fosse fatta di nebbia. Solo gli occhi sono vivi, due pupille come pozzi neri in
cui perdersi. Sente di cadere, attratta da quello sguardo, catturata dai
ricordi.
“Vattene via!”
La zampa calpesta un sasso che spunta sotto il
sottile strato di neve. Pietre in volo. Le pietre la colpiscono, le fanno
male. Il pelo struscia contro il tronco di un albero mentre si avvicina. Restiamo
qui, nascoste. Ma poi devi andartene, devi fuggire. Non puoi restare con me.
Le fauci si spalancano piano, mostrando una serie di denti bianchi e perfetti. Ti
uccideranno. Va’! Vattene via!
«Nymeria» mormora Arya, sfilando un guanto. «Sono
tornata, hai visto?»
Allunga una mano verso di lei, piegando la
schiena in avanti. «Torno di nuovo a casa. E stavolta vorrei che venissi con
me.»
Il muso si allunga ad annusarla. Nymeria lascia
scorrere la lingua sulle labbra, guarda i lupi intorno a loro e poi di nuovo
Arya.
«Ti prego, torna a casa.»
Per favore, Nymeria! Devi andartene!
«Non ti chiederò mai più di lasciarmi, se torni.»
Piega un ginocchio nella neve, solleva gli occhi fino a incontrare di nuovo i
suoi. «Te lo prometto.»
E per un istante che pare interminabile, la
risposta negli occhi di Nymeria sembra essere un sì.
N.d.A.:
Ciao! Questo capitolo non arriva per caso. C’è
una persona a cui oggi serve un intero branco di lupi, perché i lupi portano
fortuna, si prendono cura gli uni degli altri. Quindi, in bocca al lupo, Relie!
Se il capitolo vi è piaciuto, fatemelo sapere. A
presto!
Celtica
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Capitolo 15 *** Voci corrono per il Castello ***
14. Voci corrono per il Castello
14
Voci corrono per il Castello
aestro
Ronald la fa stendere a letto, poi controlla le medicazioni. Ha preparato un
intruglio di latte di papavero che le ricorda suo padre, Ned Stark. Non vuole
berlo. Sono giorni che aspetta di vederlo uscire, poi si alza e lo versa fuori
dalla finestra.
Non vuole dormire. Non con quella roba che
ottunde i sensi.
Lascia che sfili le bende vecchie, sporche di
sangue, e la fasci di nuovo. Non vede l’ora che se ne vada. Vuole restare sola.
Ma poi lui parla. «Perdonami, Altezza.»
«Cosa c’è?»
«So che non dovrei dirtelo, ma credo che dovresti
evitare di restare sola con il Lord Comandante dei Guardiani della notte. Viste
le tue condizioni…»
«È mio fratello» ribatte prontamente Sansa. E
può venire a trovarmi tutte le volte che vuole.
«Infatti, Maestà. Per questo lo dico.»
Ora inizia a girarle la testa. Troppe emozioni
per quella giornata. E Maestro Ronald rischia solo di rovinare tutto. Vorrebbe
restare sola e concentrarsi su quanto è successo. Ricordare i bei momenti…
«Che cosa intendi?»
«Circolano voci, Altezza. Non è bene che…»
«Che voci? Di chi?»
Maestro Ronald lancia un’occhiata di sbieco a
Spettro, appollaiato davanti alla porta chiusa. «Da quando quel… quell’animale
resta sempre con te, le voci sono corse per il castello. Hanno raggiunto i lord
vicini, Maestà.»
Mi sento più sicura con Spettro vicino, pensa,
senza poterlo dire ad alta voce. È come se Jon fosse qui con me.
«Qual è il problema? Cosa dicono i lord?»
Il maestro si schiarisce la voce, non riesce più
a guardarla negli occhi. Posa il latte di papavero e si stringe le mani in
grembo, come se fosse troppo imbarazzato per continuare.
«Avanti, parla» lo incita Sansa. «Non sarà peggio
di tutte le cose sentite in passato.»
Joffrey parlava male. Il Mastino. I soldati, un
attimo prima di accorgersi della sua presenza. Crede di averle sentite tutte…
Puttana, sgualdrina, porcile, e un’infinità di altre parole, frasi e immagini
che una lady non dovrebbe conoscere.
«Come desideri…» Maestro Ronald tiene gli occhi
sul pavimento, ma un lieve rossore gli sale lungo il collo, colorandogli le
orecchie di un rosso acceso. «Parlano di te, Maestà. Di tuo fratello e del suo…
lupo.»
C’è un certo disprezzo nella sua voce, misto a un
terrore antico che Spettro non fa altro che alimentare: tiene gli occhi
incollati sull’uomo e, a quella parola, a quel tono, solleva le labbra e mostra
i denti. Un ringhio basso si propaga nella stanza, e la voce del maestro si
alza di un’ottava.
Ronald si sposta ai piedi del letto, lontano
dalla portata del muso di Spettro.
«Puoi… puoi richiamarlo, Maestà?»
Sansa aspetta un istante prima di spostare gli
occhi sul metalupo. Poi parla con voce calma, dolce, come se si stesse
rivolgendo a un bambino un po’ capriccioso. «Adesso basta, Spettro. Va tutto
bene.»
Spettro si passa la lingua sul muso, la infila
tra i denti e il suo respiro accelera.
«Dicono…» Ronald non sembra ansioso di parlare.
«Dicono cose che non posso riportare, Maestà.»
«Esigo di sapere cosa dicono, ora.» Gli occhi di
Sansa si assottigliano, ma il maestro non se ne accorge: sta ancora osservando
Spettro, allo stesso modo in cui una bambina con il terrore dei ragni studia la
tela per accertarsi che nessun animale venga verso di lei.
«Si tratta di tuo fratello, Maestà. Del fatto che
non ha mantenuto il suo giuramento la prima volta, e niente assicura che non
commetterà lo stesso errore.»
«Cosa c’entra questo con me?»
«Il suo lupo… il suo lupo è sempre con te. Se ti
spostassi per il castello, lo avresti sempre al tuo fianco, come in passato.
Girano voci su… sul periodo in cui Jon Snow ha regnato su Grande Inverno. Su di
te, seduta al suo fianco… Sembra che abbia aggredito un alto Lord per te, mia
Regina.»
Le mani di Sansa si aggrappano alle lenzuola.
«Chi?»
«Il defunto lord Baelish, Maestà.»
«Lord Baelish si è macchiato di tradimento, maestro.»
Sente il cuore battere più veloce. Non riesce a controllare il tremore alle
mani.
«Questo è accaduto prima del suo
tradimento. Pare che lui e altri intendessero rovesciare il Re. Quello che
molti lord temono, Altezza, è che avendolo di nuovo qui, a Grande Inverno, Lord
Snow possa… come dire… vendicarsi. Temono per la propria incolumità.»
«Continuo a non vedere un collegamento con me,
maestro. O con Spettro.»
Ma invece lo vede benissimo. Lo riconosce nel
bacio scambiato con Jon, con le sensazioni delle sue mani su di sé, nella
protezione di Spettro. Nel desiderio di averlo ancora lì, con lei, soli e
indisturbati, senza maestro Ronald a interromperli.
«Temono che tu possa essere plagiata da lui» dice
Ronald con un filo di voce. «Che lui voglia il potere, e per ottenerlo sia
disposto a rubare la virtù di sua sorella. E che il fatto di averti lasciato il
suo lupo ne sia la prova… In questo modo nessun altro, all’infuori di lui,
potrà toccarti.»
Sansa si sente avvampare all’improvviso, tutto in
una volta, come se qualcuno le avesse lanciato addosso olio e fiamme. Ogni
parte di lei – la sua mente, la sua mente – va a fuoco, e tutto ciò che
vorrebbe è rotolarsi nella neve, gettarsi in un lago ghiacciato per non uscirne
mai più.
Non può pensare di affrontare quei lord. E
nemmeno Jon.
Non dopo quanto ha sentito.
Ma Ronald non ha ancora concluso e, quando lo fa,
il cuore di Sansa perde un battito.
«Dicono che sua Maestà si sia indebolita dopo
l’attentato, che sia sotto il costante effetto del latte di papavero… Dicono
che Jon Snow le ruberà la Corona, che dichiarerà guerra a Brandon Stark per
impadronirsi di tutti e sette i regni. E dicono anche, Altezza, che forse
dovrebbero eleggere un nuovo Re… come ad Approdo del Re ne verrà eletto uno
nuovo alla dipartita di Re Brandon.»
N.d.A.:
Per rivedere Arya c’è da aspettare il prossimo
capitolo. Il suo incontro con Nymeria darà luogo a molte sorprese…
Mentre qui cominciano a scoprirsi gli altarini… e
forse il nord non è puro e fedele come sembrava.
Grazie a chi continua a seguire questa storia. Se
il capitolo vi è piaciuto, fatemelo sapere!
Celtica
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Capitolo 16 *** Sta Tornando ***
15. Sta Tornando
15
Sta
Tornando
rya
resta come congelata nella neve, mentre vede per la seconda volta i
lupi andare
via. Il cavallo continua a scalpitare, ma Nymeria è ormai
lontana.
Come
ha fatto a essere così stupida?
Ha
tradito la sua lupa. L’ha cacciata via. Ha
vissuto anni lontano da lei, senza saperne nulla. Come ha potuto
pretendere che
dimenticasse tutto per amor suo?
Ha
un suo branco, ora.
E
ce l’ho anch’io,
pensa,
calmando il cavallo.
La
strada verso casa è ancora lunga e, contro le
sue previsioni, viaggerà da sola. Di nuovo.
∞
Jon
vuole vedere Sansa, ma non lo fanno passare.
«Ordini
della Regina» dicono le guardie, ma lui ha la sensazione che
ci sia lo zampino
di maestro Ronald.
Come
può averla convinta a non incontrarlo? Cosa
può averle detto?
Forse
è per il bacio,
si
ripete. Forse si è pentita.
Potrebbe
passare, se solo volesse. Potrebbe chiamare
i Bruti e farsi largo, buttare giù la porta. E poi ci
sarebbe Spettro di
guardia, e con lui nessuno oserebbe avvicinarsi.
Ma
se davvero è stata Sansa a decidere, non può
farle questo. Non può mancarle di rispetto in questo modo. E
per cosa poi? Per
sentirsi dire che è stato un errore, che non dovrebbero
più vedersi?
Gli
chiederà di tornare alla Barriera, come ha
fatto quel giorno. Ne è sicuro.
In
cortile le guardie sono in fermento, come in
attesa di qualcosa. Ma che cosa? Forse la festa che Sansa
darà in onore di
Brienne e Davos, un sontuoso banchetto a cui parteciperanno i lord
più
importanti del nord. Mancano due giorni e lui non sa che fare nel
frattempo.
Non
ha tracce da seguire per trovare l’arciere,
né ha prove che diano peso ai suoi sospetti. E non ha
nemmeno la possibilità di
chiarire la sua posizione con Sansa… almeno questo gli
avrebbe dato da pensare.
Finché
non la vede affacciata al primo piano,
nello stesso punto in cui Ned Stark e sua moglie Catelyn osservavano i
figli
durante l’allenamento.
Incontra
i suoi occhi, e prima che abbia anche
solo il tempo di farle un cenno, Sansa si volta e torna dentro.
∞
Bran
ha occhi fissi nel vuoto, bianchi come il ghiaccio. Sta volando con un
gruppo
di corvi verso sud quando lo vede. Riconosce il terrore negli occhi dei
suoi
fratelli, e osserva le ali spiegate, nere e gigantesche, mentre lo
portano fino
a loro.
Vede
le fauci spalancarsi, la fiammata un attimo
prima che li colpisca.
Torna
in sé prima di morire bruciato.
Podrick
è nella stanza insieme a lui, e basta un
cenno per farlo avvicinare. «Maestà?»
«Corri
a chiamare Sam, presto.»
Poi
attende, seduto sul suo trono di legno, le
ruote puntate verso la finestra aperta. Il cielo è limpido,
e Approdo del Re è
tranquilla. Bran pensa al fumo che ha visto quando la città
è bruciata. Pensa
alla paura negli occhi di Sansa, mentre aspettava notizie dei suoi
fratelli.
«Altezza!»
esordisce Sam entrando nella stanza.
«Cosa posso fare per te?»
Tyrion
è dietro di lui. Appare meno preoccupato
di quanto non sia in realtà.
«Devi
mandare un messaggio ai Lord Protettori
dell’Ovest e dell’Est, e a tutti i lord dei Sei
Regni. E devi scrivere anche
alla Regina del Nord, perché dovremo essere tutti pronti
quando arriverà.»
«Arriverà…»
Sam scuote la testa, confuso. «Chi
arriverà, Maestà?»
Tyrion
interviene prima che possa rispondere.
«Perdonami, Altezza, ma ho notizie fresche dalle Terre dei
Fiumi. Sembra che
interi villaggi siano stati bruciati, la gente trucidata
e…»
«Le
Terre dei Fiumi?» Bran ha perso ogni momento
del suo tempo per cercare lui, tanto da non
accorgersi delle altre
minacce.
Ha
tenuto sotto controllo Sansa, Jon e Arya, ma
ogni suo sforzo era incentrato a ritrovarlo. Non ha dato peso ad altro.
Non ne
ha visto il bisogno.
«Sì,
Altezza» prosegue Tyrion, e i suoi occhi si
assottigliano. «Non li hai visti arrivare?»
Bran
vorrebbe restare solo per poter cercare i
responsabili. Vorrebbe volare lontano, visitare i villaggi distrutti,
trovare
anche quella minaccia. Lo farà non appena Sam e Tyrion
saranno usciti dalla
stanza. Ma teme che sia tardi… Teme di aver commesso un
grave errore.
Se
davvero qualcuno ha attaccato le Terre dei
Fiumi, sarà difficile per lui far arrivare i soccorsi in
tempo. Dovrà affidarsi
ai lord dei Regni vicini, e sperare che abbiano uomini a sufficienza.
Non
ci sono mai abbastanza uomini in tempo di
pace.
Ed
è proprio ciò che teme: nessuno di loro
–
nemmeno l’estremo nord – ha abbastanza difese dopo
l’ultima guerra.
«No»
risponde a Tyrion. «Ho sbagliato a credere
che il pericolo potesse arrivare solo da sud.»
«Sei
stato a sud, Maestà?» domanda Sam,
accennando un sorriso.
«È
così. Per questo devi scrivere a tutti i lord
e alla Regina del nord. Dovrai avvisarli anche di questi attacchi nelle
Terre
dei Fiumi, mentre io inizio a cercare i responsabili. Dovranno
difendersi e
resistere fino al nostro arrivo.»
«Cos’altro
vuoi che scriva nelle mie lettere,
Maestà?»
«Devi
dir loro che l’ho trovato. Devi avvertirli
che Drogon sta tornando a Westeros.»
∞
Arya
li vede quando è ormai vicina. Non vuole nascondersi. La
delusione per Nymeria,
la preoccupazione per Sansa e la rabbia per il villaggio che ha visto
bruciare,
si condensano dentro di lei.
Ha
un solo modo per mettere a tacere il suo
cuore. Combattere. Uccidere.
Non
hanno insegne, ma bastano i loro abiti per
dirle che sono stranieri. Li affronta da sola, senza preoccuparsi
troppo di
quanti siano.
Mai
abbastanza.
Non
per placare la sua sete.
Lascia
che la circondino, poi estrae Ago e inizia
la sua danza. Uno dopo l’altro vede quegli uomini cadere.
Sorride, mentre la
morte la aiuta a trovare la pace.
Ne
arrivano altri. Li sente muoversi lenti alle
sue spalle, riconosce il canto dell’acciaio. Resta immobile,
di spalle, e
aspetta che il primo – il più coraggioso, o il
più stupido – tenti di
attaccarla.
Quando
l’ha quasi raggiunta, lei si volta – Ago,
il prolungamento del suo braccio – e incrocia la spada con
lui. Sembra
divertito di trovarsi davanti una ragazza.
È
alto, ha i capelli scuri che scendono sulle
spalle e un accenno di barba. Gli altri uomini formano un cerchio
intorno a
loro. Non vogliono lasciarla scappare.
Parla
una lingua che lei non conosce, ma si
accorge del rispetto che gli altri hanno per lui. Forse è il
capo. Forse è
Daario Naharis.
Arya
gli scivola alle spalle, ma quando sta per
colpirlo, lui si volta e para. Continua a parare i suoi colpi per un
po’, e lei
gli lascia credere di non poter fare di meglio. Vuole che scopra le sue
carte,
così si muove più veloce, gli volteggia intorno,
e con sua sorpresa lui
reagisce allo stesso modo. Tiene il passo.
Poi,
dopo una finta, le sferra un calcio e la
spedisce a terra.
Arya
torna subito in piedi e attacca. I colpi si
fanno più violenti, finché Ago – il
sorriso di Jon – non viene scagliato
lontano. Riesce a estrarre la daga e a schivare l’ultimo
attacco – mirava al
petto – poi rotola a terra per recuperare la spada.
Uno
degli uomini esce dal cerchio per
portargliela via.
Arya
si trova con la sola daga a fronteggiare
quell’uomo armato.
È
bastata questa daga per il Re della Notte,
si
dice per farsi coraggio.
Ora,
senza Ago, deve cercare di avvicinarsi di
più, anche se è pericoloso. Un passo falso, e
quella bella spada straniera,
dalla lama leggermente ricurva, riuscirà a catturarla.
Lui
non sembra avere fretta. Sorride e prende
tempo. E quando Arya fa un balzo per colpirlo, lui usa il piatto della
spada
per respingerla. Poi usa l’impugnatura contro la sua spalla,
buttandola a terra
e facendola gridare di dolore.
La
daga le cade dalle mani.
Lui
si avvicina, forse si è stancato di giocare.
Forse vuole solo farla finita.
Arya
si gira sulla schiena per guardarlo bene in faccia.
Striscia all’indietro, riempiendosi la mano con un pugno di
terra. Quando lui
si inginocchia, lei resta immobile.
Le
sta facendo delle domande, ma Arya non riesce
a capire nemmeno una parola. Vede solo quel sorriso, quel volto giovane
che un
po’ le ricorda Jon Snow.
«È
inutile che parli» gli dice. «Tanto non ti
capisco.»
Lo
dice in braavosiano, pensando che non le
risponderà. Invece lui risponde.
«Alcuni
uomini non sono tornati da un villaggio
qui vicino. Sei stata tu?»
Arya
non risponde. Stringe le labbra e pensa a
cosa fare. Le serve tempo, una distrazione, per recuperare il pugnale e
colpirlo alla gola.
«Sì,
sei stata tu.» Lui sorride. Come se non ci
fosse nulla di cui preoccuparsi. «Sei veloce per essere una
ragazza. Dove hai
imparato?»
Lei
resta zitta a guardarlo. Pensa, si
ripete, cercando una soluzione.
«Ti
muovi come un uomo senza volto. E parli anche
braavosiano. Sei stata alla Casa del Bianco e del Nero,
giusto?»
«Allora
non sei stupido come sembri.»
Poi
gli lancia il pugno di terra negli occhi, e
scivola verso il pugnale. Qualcosa si abbatte sulla sua schiena, e gli
occhi le
si riempiono di lame di luce. Il dolore è fortissimo.
Un
piede colpisce la daga, spedendola lontano da
lei.
Poi
ode un ululato. E un altro.
Arya
riesce solo ad alzare la testa. Vede gli
uomini guardarsi intorno, poi, uno dopo l’altro, li osserva
mentre vengono
trascinati via. Molti riescono a fuggire, ma quelli che tentato di
rispondere
con le spade finiscono sbranati dai lupi.
Daario
si guarda intorno, e non sembra gradire
ciò che vede. Raggiunge un cavallo e svanisce nella
boscaglia, mentre i suoi
vengono assaliti.
Arya
vorrebbe solo chiudere gli occhi. Ma poi la
vede. È lei che sta ancora ululando. È lei che la
raggiunge. Fa a pezzi un uomo
lì accanto, poi si ferma e china le labbra insanguinate.
C’è
odore di sangue. Di morte.
Nymeria
scopre i denti, e Arya si chiede se la
mangerà, se finirà anche lei divorata dai lupi,
come i suoi nemici. Poi la
metalupa spicca un salto e atterra qualcuno che Arya non può
vedere. Sente solo
le grida, e il suono della carne lacerata. Poi qualcosa di bagnato e
caldo le
scivola sulla guancia, le pulisce l’orecchio insanguinato.
«Nymeria»
mormora Arya, allungando una mano per
accarezzarla. «Grazie…»
Le
grida degli uomini non le fanno alcun effetto.
Niente riesce a scalfire la pienezza che sente nel cuore. Adesso non
è più
sola.
N.d.A.:
Volevo
solo dirvi che sto scrivendo una
brevissima long SanSan (ma non dovrei tardare con gli aggiornamenti: ho
già
altri capitoli pronti) e che ho intenzione di riprendere Vieni con Me, anche se non so ancora
quando.
Per
quanto riguarda Daario, mi sono rifatta al
personaggio della serie, sia per l’aspetto che per il
carattere.
Adesso
che Bran ha finalmente trovato chi stava
cercando, direi che ci siamo quasi tutti! A presto!
Celtica
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Capitolo 17 *** Non mi vuoi qui? ***
16. Non mi vuoi qui?
16
Non mi Vuoi Qui?
rienne
sta facendo colazione nella Sala Grande quando Jon Snow e Tormund le siedono di
fronte. Non alza gli occhi dalla ciotola, ma smette di mangiare.
«Latte, eh?» esclama Tormund, allungandosi sul
tavolo per sbirciare nella sua scodella. «Non sarà mai energico come quello di
gigante, ma…»
«Cosa posso fare per te, Lord Comandante?»
domanda Brienne, stanca. Solleva la testa e guarda Jon, ignorando l’altro.
«Donne del sud» borbotta Tormund.
Jon incrocia le braccia sul tavolo e parla a
bassa voce, per non farsi sentire da nessun altro. «Hai ricevuto un corvo
stamani.»
«È così.»
«Posso chiederti se riguardava mio fratello?»
Lei stringe forte la ciotola tra le mani, come se
qualcuno potesse portargliela via.
«Perdonami, mio Lord, ma non credo di doverti
dare io questa notizia. Sua Grazia il Re ha informato tutti gli alti Lord,
compresa la Regina del Nord. E immagino anche te.»
«Non ho ancora ricevuto nulla.»
«Sono certa che sua Altezza la Regina sarà ben
felice di condividere questo peso con te.»
Vede una strana luce negli occhi di Jon. Ma non
riesce a capire cosa sia. Sa solo che qualcosa non va tra i fratelli, mentre
quando è giunta a Grande Inverno andava tutto bene.
Jon si guarda intorno, poi bisbiglia: «Al momento
mia sorella non condividerebbe niente con me. Per questo sono qui.»
Brienne lancia un’occhiata a Tormund con aria
interrogativa, e Jon capisce subito dove voglia arrivare.
«Tormund è qui perché è l’unico di cui mi fidi
nel castello. E voglio che Sansa sia al sicuro.»
«È della Regina che stai parlando.»
Legge una certa confusione negli occhi di Jon, e
pensa di sapere a cosa sia dovuta. La freddezza della sua voce, il gelo nel suo
sguardo… il distacco, per cui Brienne vorrebbe chiedergli di andarsene. Non è
ancora riuscita a perdonargli la morte di Jaime, per quanto lui non c’entrasse
nulla.
Ma se solo avesse fermato prima la Madre dei
Draghi… se solo avesse impedito a Tyrion di liberare suo fratello… se solo
Davos gli fosse stato devoto quanto lei lo era stata a Renly!
Sa che Jon non è colpevole. Sa che non è stato
lui a far crollare la Fortezza Rossa. Eppure non riesce a guardarlo senza
pensare che sarebbe bastato davvero poco affinché Jaime vivesse.
Ma non sarebbe mai tornato da me.
«Vogliamo quello che vuoi tu» interviene Tormund.
«Chiudere in fretta questa storia e tornarcene a casa. Noi bruti non siamo
graditi alle donne del sud.»
«Siamo nel nord» gli ricorda Brienne, alzando gli
occhi al cielo.
«Ma a sud della Barriera… e tutto ciò che è a sud
della Barriera non può essere nord.» Tormund ride, lanciandole uno di quegli
sguardi.
Ha commesso l’errore di rispondergli, quindi ora
deve sopportare.
«Ti prego» li interrompe Jon Snow. «Voglio solo
che mia sorella sia al sicuro. E non so cosa vi abbia detto Bran, se vi abbia
informati di dettagli che potrebbero aiutarmi a trovare i colpevoli.»
«Pensi che siano molti?»
«Penso che un uomo qualunque non abbia quella
mira. Ho trovato il punto in cui era quando l’ha colpita, e ti assicuro che
pochissimi arcieri sarebbero riusciti a tirare a un bersaglio così difficile.»
Brienne ci pensa un istante, senza staccare gli
occhi da quelli di Jon. Sente lo sguardo di Tormund addosso, e vorrebbe imporre
quell’unica condizione: far allontanare il bruto dal loro tavolo. Ma poi
sospira, pensando che, senza di lui, Jaime non sarebbe mai andato nella sua
stanza.
È merito suo se abbiamo visitato il Paradiso.
Jaime non mi avrebbe raggiunta se non fosse stato geloso.
«Re Brandon ci informa di alcuni attacchi nelle
Terre dei Fiumi. Dice che presto invierà un altro corvo per dirci chi è stato.
E c’è un’altra cosa…»
Jon si fa attento, come se sperasse in delle
risposte.
«Drogon, l’ultimo drago ancora in vita, sta
tornando a Westeros.»
«Bran lo ha trovato?» Jon si raddrizza sulla
sedia, gli occhi sgranati. «Lo ha visto? Ne è certo?»
«Sì.»
«Sansa lo sa?»
Brienne scrolla le spalle. Non si degna nemmeno
di correggere l’etichetta. «Non vedo sua Maestà la Regina dal nostro arrivo a
Grande Inverno.»
«Nemmeno con te ha parlato?»
Jon si fa pensieroso, poi schizza in piedi,
dimenticando di portare via Tormund. Brienne solleva una mano per
ricordarglielo, per chiedergli di affidare al bruto chissà quale missione che
lo tenga lontano da lei, ma Jon è già alle porte. Esce in cortile, lasciandoli
soli.
«Allora» riprende Tormund, con uno sguardo
lascivo. «E così ci rincontriamo, eh.»
∞
Mancano poche ore alla festa in onore di Brienne
e Davos. Sansa si starà preparando. Non dovrebbe disturbarla. Ma come può lasciare
così le cose? Deve sapere. Deve essere sicuro che sia informata. Si chiede se
il messaggio per sé, per Jon, sia andato perduto.
O forse è stata una scelta di Bran? Forse è il
suo modo per avvisarlo di tornare di corsa alla Barriera.
Attraversa i corridoi del castello, riscaldati
dalle fonti sotterranee, e le dita raggiungono il colletto per slacciarlo. Non
riesce a respirare.
Il ricordo delle labbra di Sansa sulle sue è vivo
nella sua mente.
Come potrebbe essere altrimenti? È stato il
momento più bello da chissà quanto tempo.
Dovrebbe andare anche lui a prepararsi, indossare
la sua pelliccia da Lord Comandante, dare un taglio ai capelli che stanno
diventando di nuovo fastidiosamente lunghi. Li sente solleticargli le guance.
«Devo vedere la Regina» dice con voce ferma alla
guardia davanti alla porta di Sansa.
È la camera che dividevano i suoi genitori. La
camera che lui avrebbe voluto lasciarle alla riconquista di Grande Inverno.
«Sua Maestà non vuole essere disturbata.»
«È urgente. Fammi passare.»
La guardia scuote la testa. «Non posso. Ordini di
sua Maestà. Solo maestro Ronald ha il permesso di entrare.»
Maestro Ronald… dov’è quando serve? Si chiede se
ci sia un modo per entrare in quella stanza senza usare la violenza e, quando
riconosce la voce in fondo al corridoio, capisce che c’è.
«Lord Comandante.»
«Stavo per venire a cercarti, Maestro. Ho urgenza
di parlare con sua Maestà.»
Ronald lo afferra delicatamente per un braccio, accompagnandolo
lontano dalla guardia. «Purtroppo, mio Lord, questo non è possibile. Ma potrai
vedere Sua Grazia tra poche ore, durante il banchetto.»
«Ho bisogno di vederla adesso, Maestro.»
«Non puoi aspettare, mio Lord?»
Jon stringe i pugni. «No, non posso aspettare.»
La presa del Maestro sul suo braccio si fa più
salda, ma la sua voce è gentile, tranquilla. «È stata sua Maestà a chiedere di
non essere disturbata da nessuno… Nemmeno io posso entrare. Non posso
aiutarti.»
«La guardia alla porta ha detto che tu puoi.»
Nota un cambio di colorito sulle guance rugose
del Maestro. «Solo… solo in casi di estrema necessità.»
«E questo, Maestro, è uno di quei casi.»
Jon si libera dalla sua presa e torna alla porta.
Fa cenno alla guardia di spostarsi, poi la spintona ed entra nella stanza.
Richiude alle sue spalle, bloccando l’entrata, mentre Spettro lo lecca e gli fa
le feste.
«Che cosa ci fai qui?!»
La voce di Sansa è tesissima, arrabbiata, e
quando si volta, Jon la trova con due ancelle a sistemarle l’abito. È splendida,
con i capelli ancora sciolti e la corona appoggiata lì accanto. Non ha bisogno
di corone per essere una regina. La sua.
«Devo parlarti.»
Riconosce l’imbarazzo sulle sue gote, le occhiate
incerte che lancia alle ancelle. «Devi andartene. Adesso. Non te lo chiederò di
nuovo.»
Jon non trattiene una risata. «Vuoi forse cacciarmi,
San?»
«Non ho tempo da dedicarti» ribatte Sansa,
piccata. «Prova a chiedere a maestro Ronald di infilarti tra i lord che devo
ricevere domani.»
«Domani?» Jon accarezza Spettro, notando gli
sguardi preoccupati delle ancelle. «Non avrai già intenzione di uscire,
domani?»
«Devo tornare ai miei doveri di Regina. Il nord
ha bisogno di me.»
«Sansa… Vostra Grazia, fai uscire queste
fanciulle e parliamo. Ho tante cose da dirti, e non posso aspettare.»
Basta una stretta più forte sul collo di Spettro
perché il metalupo si volti. Le ragazze trattengono gli strilli, ma poi si
inchinano a Sansa e corrono alla porta.
«Esci subito» gli intima Sansa, incerta sulle
gambe. «Non puoi restare qui. Non voglio.»
Aspetta di vederle uscire prima di rispondere.
«Non mi vuoi qui, Sansa? Vuoi davvero che me ne vada?»
Per un istante, gli occhi di Sansa rivelano quel
velo di tristezza e dolcezza che la caratterizza da sempre. Fa un respiro, e
Jon è sicuro che dirà di no. Le sorride.
Ma poi Sansa solleva il mento con aria fiera. «Sì.
Esci, per favore.»
N.d.A.:
Ciao! Avrei voluto aggiornare prima, ma non ce l’ho
fatta. Il prossimo capitolo sarà incentrato unicamente su Jon e Sansa, ma gli
altri torneranno presto! E con altri intendo soprattutto Arya. Per ora, Arya è
i nostri occhi nelle Terre dei Fiumi. Lei e il suo piccolo esercito di lupi.
Grazie a chi continua a seguire questa storia
(adoro scriverla!). E grazie a chi vorrà lasciarmi un parere! Fa sempre
piacere!
Celtica
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Capitolo 18 *** Le difese crollano ***
17. Le difese crollano
17
Le Difese Crollano
No.
No. No.
Non
voglio che te ne vada. Resta, per favore. Resta con me.
Ma le parole che il maestro ha pronunciato in
quella stessa stanza sono ancora lì, sospese nell’aria, a farle da scudo contro
il sorriso rassicurante di Jon.
«Sì. Esci per favore» dice allora, sperando di
non implorarlo di restare quando se ne andrà.
«San…»
«Ti prego di non chiamarmi così davanti ad
altri.»
Non sa dove abbia preso tutto quel veleno, sa
solo che vorrebbe smettere per lanciargli le braccia al collo. Jon sembra
ferito. Arretra di un passo, e Spettro è subito da lui.
«Se preferisci, posso chiamarti Vostra Grazia
anche in privato.»
Le difese di Sansa crollano. Sente le lacrime
lambirle gli occhi. Vorrebbe confessargli tutto, chiudersi a chiave e
dimenticare il resto del mondo.
«Come credi» mormora, sforzandosi di rendere
convincenti quelle parole.
Jon sembra sconfitto. Piega le spalle in avanti e
guarda a terra. «Si può sapere che cosa ho fatto?»
Niente. Assolutamente niente. Ma non posso
permettere che mi tolgano la corona.
«Non lo sai?» Cerca di risultare il più arrogante
possibile. Può odiare sé stessa, ma non vuole che Jon pensi davvero di aver
sbagliato.
«Credo di saperlo» risponde Jon, contro le sue
previsioni. Lo vede stringere forte i pugni, mentre Spettro gli lecca il dorso
della mano. «E mi dispiace, Sansa. Mi dispiace davvero per quello che ti ho
fatto. Se tu non avessi risposto al bacio, io…»
«Il bacio? Pensi che sia quello il motivo per cui
ti sto cacciando?»
«Hai altri motivi per odiarmi?»
Come potrei odiarti? Io…
«E comunque io ti ho baciato per prima.»
Gira intorno al letto, reggendosi alle colonne.
Sente ancora dolore, ma la paura di ferire Jon le fa dimenticare la ferita. Si
ferma solo quando è a pochi passi da lui.
«Sei sicura? Credevo di essere stato io a baciarti.»
Jon avanza verso di lei. «Pensavo ti fossi pentita.»
«Pentita?» Abbassa gli occhi sulla sua gola
quando lo vede deglutire. Ha i primi bottoni slacciati, e Sansa allunga una
mano per toccarli. «Non sono pentita.»
Sale con le dita sul suo collo, a sfiorargli i
capelli e l’accenno di barba. Poi si perde nel nero dei suoi occhi. Sente lo
stomaco contrarsi quando Jon le prende la mano. Un calore nuovo, che non ha
niente a che fare con il riscaldamento del castello, scivola lungo il suo
corpo, fino a incendiarle le viscere.
«Allora cosa c’è?» sussurra Jon.
«Mi credono debole» mormora. «Credono che sia
succube di…»
«Di chi?» la interrompe Jon, alterato.
Basta lo sguardo di Sansa per rispondere. Jon
stringe le palpebre, poi le lascia la mano.
«È assurdo» commenta, dandole le spalle.
«Lo so.»
Poi si volta verso di lei, e il fuoco che brucia
nei suoi occhi non ha niente a che vedere con il desiderio.
«Non dovresti farti influenzare da certe
dicerie.»
«Non mi faccio influenzare, infatti.»
«Volevi impedirmi di vederti!» esclama, le
braccia al cielo. Spettro geme al suo fianco. «Per questo! Chiacchiere da taverna.»
«Non sono solo chiacchiere, Jon!» Sansa si appoggia
alle sue spalle. «Vogliono nominare un nuovo Re! Vogliono sceglierlo tra i lord
del nord.»
Jon si blocca all’improvviso, poi la afferra per
le braccia. «Chi ti ha detto una cosa simile? Il nord è sempre appartenuto agli
Stark. Grande Inverno non è mai stato senza uno Stark.»
«A parte quando Ramsay ha bruciato tutto… quando i
Bolton si sono insidiati qui al castello.»
«C’eri tu…» sussurra Jon, e Sansa si chiede se
sappia tutti i ricordi orrendi che quella frase le riporta alla mente.
«Vogliono portarmi via la corona, Jon. E non è
uno scherzo.»
«Devi chiamarli. Manda a chiamare i lord e gli
alfieri, chiedi il loro giuramento di fedeltà. Non potranno negartelo: sei la
loro Regina. Fallo, prima che si mettano contro di te. Mostra loro la lupa che
sei.»
Hai sangue Stark nelle vene, si
ripete, mentre Jon la stringe.
Sente il calore del suo corpo, le sue mani sulla
schiena, e i pensieri svaniscono.
Poi Jon abbassa le palpebre. «Perché non me l’hai
detto?»
Sansa evita i suoi occhi. Stringe il farsetto
nero tra le dita. «Perché è per te che è successo. O almeno, questa è la scusa.»
«Ma cos’ho fatto per inimicarmi il nord?»
«Dicono che mi hai plagiata. Che rivuoi la
corona, e che non ti faresti problemi a rubare la mia… virtù, per averla. Anche
se forse hanno dimenticato che ci ha già pensato Ramsay a farlo.»
Vede Jon arrossire. Sente le sue mani sui fianchi
sfiorarla appena. Perché in quello che pensano i lord c’è un fondo di verità: Jon
la desidera. Ma quello che forse non sanno è che per Sansa è lo stesso.
«Non voglio la corona.»
«Lo so.»
«Però è vero che ti voglio, San. Anche se il
potere non c’entra nulla. Direi che è un peso, perché se fossimo solo due
contadini, a nessuno importerebbe di noi.»
«Potremmo stare insieme» sussurra Sansa,
accarezzandogli una guancia.
«Se non fosse per il mio giuramento… ho giurato,
Sansa. Non mi è permesso prendere moglie.»
Sansa gli afferra il volto tra le mani. «Bene»
dice, sentendo il suo respiro bollente sulle labbra. «Perché io non voglio più
essere la moglie di nessuno.»
N.d.A.:
Scusate il ritardo! Aggiorno prima che il
maltempo me lo impedisca.
Ultimamente sono stata molto presa da Death Note
(che, non so perché, mi ha riportato alla mente Lady Oscar, tanto da
convincermi a riguardarlo per l’ennesima volta) e ho iniziato due storie in
questo fandom. Insomma: se lo conoscete, se vi piacciono L e Light, sapete dove
trovarmi!
Passando a La Voce dell’Inverno: nel prossimo
capitolo non compariranno Sansa, Jon o Brienne. E nemmeno Bran. Sarà
interamente dedicato ad Arya. Diciamo così. In realtà sarà grazie a lei se
scopriremo diverse cose. Sarà più lungo degli altri (per questo non ho potuto
aggiungere parti con Sansa e Jon!), ma mi è stato impossibile tagliarlo.
Spero di sentirvi! E intanto grazie mille,
davvero, a chi continua a leggere, recensire e a chi ha aggiunto la storia alle
preferite/seguite. Grazie di cuore.
Celtica
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Capitolo 19 *** Daario Naharis ***
18. Daario Naharis
18
Daario Naharis
Il
cavallo non si è ancora abituato al loro odore. Al modo in cui il branco gli
gira intorno, aspettando il minimo segnale di Nymeria per saltargli alla gola.
Arya lo cavalca a fatica, cercando di controllare
la sua paura. È quasi strano ritrovarsi insieme dopo tanto tempo. Ed è quasi strano
che tutto il branco le abbia seguite. Nessun lupo l’ha più minacciata, non da
quando Nymeria è intervenuta per salvarla.
Mi ha salvato la vita.
E in un modo diverso da come Arya ha salvato la
sua. Ad Approdo del Re sarebbe morta… se anche Robert avesse convinto Cersei a
rinunciare alla testa dei metalupi… sarebbe morta poco tempo dopo, in una città
lontana da casa.
Perlustrano i boschi vicini alla Strada del Re,
perché Arya non vuole lasciare altri stranieri a fare razzie nelle Terre dei
Fiumi. E i lupi la seguono. Sono il suo branco adesso.
Nymeria cammina lontano da lei, ma ogni volta che
la vede inoltrarsi tra gli alberi, comanda gli altri di seguirla.
Hanno incontrato pochissime persone, e sono
fuggite tutte.
Arya avrebbe voluto rassicurarle, ma non ha
potuto.
Poi, mentre si rende conto di un altro
accampamento di Daario nascosto tra la vegetazione, riconosce la sua lingua.
Capisce subito che non si tratta di gente venuta fuori. Capisce subito che ci
sono dei prigionieri.
«Restate indietro» sussurra a Nymeria, scendendo
da cavallo.
Spera che la capisca, così come un tempo riusciva
a comprendere ogni sua parola.
Nessun lupo la segue stavolta, mentre si muove
tra gli alberi facendo meno rumore possibile.
Trova un uomo di guardia, accovacciato a terra, mentre
indugia nei suoi bisogni fisici. Arya gli arriva alle spalle, gli occhi fissi
sulle brache calate. È talmente veloce a far scorrere la lama sulla sua gola,
che lui nemmeno si accorge di morire.
Accompagna il suo corpo a terra per evitare
baccano inutile.
«Chi siete?» grida qualcuno. «Esigo di sapere chi
siete! Siete nelle mie terre.»
Arya alza la testa di scatto a quelle parole. È
nascosta, ma in lontananza nota le case di un villaggio, la sagoma di un
castello. Si chiede se sia…
«Il Re sa ciò che state facendo qui. Sta mandando
degli uomini per fermarvi. Ci avete attirati qui e io…»
Tu parli troppo, zio.
Ha parlato troppo anche il giorno in cui i lord
si sono riuniti per decidere il Re. Sembra proprio che non abbia perso il
vizio…
Non è solo. Ci sono una decina dei suoi uomini
inginocchiati accanto a lui. Daario li passa in rassegna uno per uno. Tocca i
loro mantelli, solleva le loro collane, accarezza i capelli di quello che è
poco più di un ragazzino.
Poi estrae il coltello.
Non lo ordina ai suoi. No. Si mette alle spalle
del ragazzino e gli taglia la gola. Proprio come poco prima Arya ha fatto con
il suo uomo. Lo lascia cadere a faccia in avanti, mentre il sangue si sparge
sul terreno. Gli altri tremano di paura.
«No!» grida suo zio. «Sono Edmure Tully e
questo…»
Qualcuno lo colpisce forte alla mascella,
voltandogli la testa dall’altra parte.
Daario passa da un uomo all’altro con la sua
lama, disegnando un sorriso di sangue sotto il mento di ogni guardia. Quando
arriva vicino a suo zio Edmure, però, si ferma.
«Avete tradito la vostra Regina» dice Daario, con
un forte accento straniero. «L’avete uccisa.»
«No. Jon Snow l’ha fatto. Jon Snow.»
Arya stringe i denti e la mano vola su Ago. Non è
più così sicura di voler salvare suo zio.
«Oh, lo so.» Daario sorride. «Lo so. E so anche
che lo avete lasciato andare.»
«È tra i Guardiani della Notte adesso! Paga lì il
suo crimine!»
Daario gli gira intorno. «Sto andando da lui,
infatti. Ma prima voglio liberare il continente da voi traditori… così come
avrebbe fatto la mia Regina: Daenerys Nata dalla Tempesta.»
«Non sono un traditore» mormora Edmure, alzando
la testa per guardare Daario negli occhi. «Non lo sono.»
«Non ti sei inchinato alla Madre dei Draghi…
quindi lo sei.»
«Cosa volete?»
«Realizzare il sogno della nostra Regina, ad
esempio. Distruggere la ruota.»
«La ruota è distrutta. Alla morte di Re Brandon
verrà eletto un nuovo Re.»
«Non basta per realizzare il suo sogno… Verme
Grigio mi ha riferito le parole della mia Regina: liberare il mondo, da Grande
Inverno a Dorne. Ed è da qui che voglio cominciare. Gli Immacolati sono spariti
su qualche isolotto, mentre a Meereen gli schiavi sono insorti quando hanno
saputo della morte della loro salvatrice.»
Gioca con il coltello che ha tra le mani,
facendolo dondolare da una parte all’altra.
«Non volevano più che li governassi in sua vece…
Non quando lei era morta.»
Edmure scivola con le ginocchia in avanti,
cercando di capire. Arya invece ha già capito.
«Dopo quanto era successo, i Grandi Padroni non
hanno più richiesto i nostri servizi… nonostante la Compagnia Dorata sia stata
sterminata da Daenerys. Sembra che più nessuno si fidasse di noi… Troppo fedeli
alla Madre dei Draghi, dicono. E allora cosa fare?» Lancia il coltello in aria
e lo riprende. «Dove potevamo andare?»
Ora il disprezzo sul volto di Edmure è evidente.
«E siete venuti qui.»
«Sì. Qui era il posto più adatto per
ricominciare. Riportare la pace di cui tanto parlava Daenerys… vendicarla… e
intanto razziare qualche città, prenderci qualche castello. Sai, molti dei miei
uomini non avevano mai visto castelli antiquati come il tuo. Penso che ci
troveremo bene.»
Non può essere tutto qui.
«Non può essere tutto qui.» Edmure sembra averle
letto nel pensiero.
«Davvero? Cosa pensi che accadrà quando ogni lord
del continente occidentale sarà morto? Noi saremo i padroni.»
«Non hai abbastanza uomini.»
«No, è vero. Ma non è mai stata mia intenzione
affrontare eserciti in campo aperto. E poi… c’è qualcuno che sta tornando qui.
E darà più problemi a voi che a me.»
Arya stringe gli occhi, cercando di pensare. Chi
potrebbe essere?
«Chi?»
«Drogon, l’ultimo drago di Daenerys.»
Edmure non risponde. Lui non ha mai visto un
drago. Non sa cosa significhi.
Mentre Arya… dopo averli ammirati sorvolare
Grande Inverno, ha vissuto sulla sua pelle il loro potere. Drogon ha distrutto
una città. Ha sterminato una popolazione. Se davvero sta tornando…
D’istinto, volta il capo verso i lupi che la
aspettano al di là del bosco. Cosa ne sarebbe di loro se Drogon arrivasse fin
lì?
Finirebbero in cenere.
E solo per averla seguita.
«Quando ho saputo di Daenerys ho aspettato. Non
sapevo cosa fare. Non avevamo più una casa, dopo che ormai ci eravamo stabiliti
nella Piramide. I Grandi Padroni ci hanno cacciati via. Gli schiavi, impauriti,
si sono inginocchiati di fronte a loro, ignorando noi e tutta la protezione che
avevamo offerto fino a quel momento.»
Edmure guarda il suolo. Non sembra capire molto
di Piramidi, Padroni e schiavi.
«Ci siamo messi a vagare. Abbiamo visitato posti
visti solo di sfuggita. E l’abbiamo trovata.»
Arya si fa attenta.
«La tomba di Daenerys. Il suo corpo.»
Arya sente un brivido scorrerle lungo la schiena.
«Mi sono fermato lì per un po’, cercando una
soluzione al mio problema. Dove andare? Dove portare tutti gli uomini che mi
erano rimasti? Finché non l’ho visto.» Daario ride, alza la voce, come se si
stupisse ancora di quella notizia. «Drogon tornava a trovarla! Di continuo.
Pensavo che mi avrebbe bruciato vivo quando mi ha visto, invece è ripartito.
Forse era felice che sua madre non fosse sola.»
Fa una pausa, e l’aria diventa solida e pesante
come se fosse fatta di pietra.
Arya ha paura di sapere il resto.
«E lì ho avuto l’idea.»
Edmure guarda gli uomini di Daario, ma la maggior
parte non sembra capire una parola della loro lingua. E gli altri sono intenti
a scuoiare un animale.
«Con il corpo di Daenerys con me, pensavo, il
drago mi avrebbe seguito ovunque. Sarebbe diventato mio.»
Brividi su brividi si rincorrono sulla pelle di
Arya a quella notizia.
«Non è andata così. Non si può domare un drago.
Però puoi costringerlo a seguirti rubandogli ciò a cui tiene di più… e io ho
rapito sua madre.»
«Sua madre è morta» ribatte Edmure, secco.
«Infatti! Non è questo il bello? Drogon la sta
cercando. Sta venendo qui per riprendersela.»
«E cosa farai quando ti avrà trovato?»
«Oh, troverà me, ma non sua madre. Lei è in un
luogo sicuro.»
Poi restano in silenzio a scrutarsi, e Arya si
chiede se non sia il caso di intervenire. Con i lupi potrebbe facilmente
liberare Edmure. E se riuscisse a catturare Daario… a farsi dire dove si trovi
il corpo di Daenerys… potrebbe liberare il continente dalla minaccia del drago.
«Perché non mi uccidi?» chiede Edmure,
stupendola.
«Credi che abbia sprecato tanto fiato per
ucciderti?» Daario ride, ed è incredibile quanto la sua sia una risata genuina,
quasi piacevole. «Devi raccontare ciò che ti ho detto, ai tuoi. Devi dir loro
che se vogliono sopravvivere, se vogliono che tenga Drogon lontano dalle loro
terre, devono darmi qualcosa.»
«Cosa?»
«Oh, qualcosa… terre, castelli per i miei uomini…
una corona magari.» Guarda il cielo, poi di nuovo Edmure. «E la testa di Jon
Snow.»
N.d.A.:
Ciao!
Prima di tutto devo dirvi che “La voce dell’inverno”
andrà in pausa per il mese di novembre. Questo per vari impegni che mi
farebbero tardare con gli aggiornamenti. Mentre le minilong che ho in corso, se
le seguite (“The sound of dream”; “Legami” nel fandom di Death Note) sono già
concluse e vedranno la fine questo mese.
In questo capitolo avrei dovuto inserire anche
Jon, Sansa e Bran, ma Daario mi ha rubato tutto lo spazio. Spero perdonerete la
mancanza dei nostri beniamini! Ma era giusto dare qualche spiegazione.
Limitarsi a dire ciò che Daario era venuto a fare a Westeros sarebbe stato
davvero troppo superfluo. Mi serviva che spiegasse per bene perché è arrivato
fin lì. Perché sta attaccando. E cosa vuole.
Ho immaginato che lui e Verme Grigio si siano
incontrati prima che gli Immacolati partissero per l’isola di Naath. E pensare
che i Grandi Padroni (o ciò che ne è rimasto) tornassero a governare dopo la
morte di Dany mi è sembrato ovvio…
Bisogna ricordare però che Daario non è il solo a
sentire la mancanza di Dany. Bisogna ricordarlo bene! Chi altri la considerava
la propria Regina? Pensateci, anche se è un po’ uno spoiler.
Ora, le probabilità che lui c’entri qualcosa con
l’attacco a Sansa scendono di parecchio.
Nel prossimo ritroveremo anche gli altri personaggi.
Restate con me, e fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie mille a chi continua a
seguire la storia.
Celtica
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Capitolo 20 *** Il Banchetto ***
19. Il Banchetto
19
Il Banchetto
Il
banchetto organizzato da Sansa riporta Jon indietro di anni. Ci sono suo padre,
Eddard Stark, e i suoi fratelli. Tutti sedevano al tavolo d’onore, mentre lui
era mescolato agli altri.
Quando c’era, sedeva accanto a suo zio Benjen e
ad altri membri dei Guardiani della Notte.
Immagina Robb lanciargli un lungo sguardo
d’intesa, e sente nella testa la voce di Arya bambina.
“Sei uno Stark. Dovresti sedere con noi.”
Sansa gli ha detto le stesse parole poco prima.
«Sei uno Stark. Dovresti sedere con me, Jon.»
Poi gli aveva preso la mano e l’aveva scaldata
tra le sue, mentre Spettro mugolava davanti alla porta.
Lui si era chinato a baciarla.
«Non sono uno Stark» aveva sussurrato sulle sue
labbra, mentre le accarezzava la gola con la mano. «E credimi, Sansa… ringrazio
gli Dèi per questo.»
Sansa aveva ricambiato il bacio, cercando un
contatto con la sua pelle fredda. Sentire le sue mani sulla pancia lo aveva
fatto rabbrividire.
«Anche io, Jon…» Era risalita su, fino al suo
petto, accarezzando le sue cicatrici. «Anche io.»
Poi si era chinata a baciarle, una dopo l’altra.
Tormund gli tira una pacca sulla spalla,
facendogli versare il vino fuori dal boccale. Jon sorride, ma dentro di sé si
sente uno stupido. Come può pensare a lei in quel modo, in quel momento?
«Ehilà, piccolo corvo.» Tormund gli indica
Brienne, seduta al tavolo d’onore vicino a maestro Ronald, accanto al posto
vuoto che presto Sansa occuperà. «Gran bel pezzo di donna, vero?»
«Già.»
«Sembri giù. Prova a bere un po’ di questo.» Gli
mette davanti un po’ di quel liquido che si porta dietro ovunque vada.
«C’è del vino, Tormund. Perché non lo assaggi?»
L’altro si porta un grosso boccale di corno alle
labbra. «Ho portato il mio.»
Jon fa finta di ridere, ma nella mente ha ancora
le immagini di Sansa che lascia cadere gli abiti a terra, di Sansa che lo
spoglia lentamente, di Sansa che lo attira verso il letto.
«Non possiamo, San.»
«Perché?» aveva chiesto lei. Non era più turbata.
«Perché siamo cresciuti insieme? Non lo abbiamo fatto come veri fratelli, Jon…
e anche se fosse, adesso non è più così. Sappiamo che non è più così.»
Gli aveva preso il viso tra le mani, incatenando
gli occhi azzurri ai suoi.
«È l’unica cosa per cui ringrazio la venuta di… lei.»
Aveva deglutito, e Jon si era ritrovato a seguire la linea del collo sottile,
le venature sotto la pelle chiara, i seni pallidi. «Se non fosse arrivata, se
Sam non fosse tornato… se Bran non fosse tornato, non lo avremmo saputo.
E forse tu non ce lo avresti mai detto, se non ci fosse stata lei a
incombere sopra di noi con i suoi draghi.»
«Certo che ve lo avrei detto. Siete la mia
famiglia.»
Sansa gli aveva infilato le dita tra i capelli,
attirando il suo viso.
«Voglio dimenticarmi di lei. Non voglio più avere
paura di un fantasma.»
Jon aveva appoggiato le mani sui suoi polsi. «Di
cosa hai paura? Non può più farti del male.»
«Non glielo avresti permesso nemmeno prima.»
«È così. Non glielo avrei mai permesso.»
«Non è di questo che ho paura» aveva confessato
Sansa, senza reggere il suo sguardo.
Non aveva aggiunto altro, ma Jon aveva capito.
Tu l’amavi, dicevano gli occhi di Sansa. E
ora… chi ami, Jon? È mai possibile che…
Per lui lo era. Era possibile dimenticare la
Madre dei Draghi per Sansa.
«Vieni» aveva detto Sansa, tirandolo ancora verso
il letto.
Jon non aveva trovato più nulla da obiettare.
«Ecco tua sorella» dice Tormund, bevendo un altro
sorso.
Tua sorella.
Il suo stomaco si contrae a quella parola. Aggrotta
la fronte e cerca di non pensare al corpo di Sansa, ai suoi respiri sulla
pelle. Al suo profumo.
La vede varcare l’ingresso della Sala Grande,
mentre tutti si alzano in piedi e smettono di parlare. Gli occhi di Davos e
Brienne sono solenni, puntati su di lei come il fiato dei draghi lo era sugli
Estranei.
Lei guarda dritto davanti a sé, ignora lo sguardo
di Jon, ma corruccia le labbra quando gli passa vicino, e lui sa per certo che
ha avvertito la sua presenza. Lo sa, come sa che anche lei ha in mente ciò che
è successo poco prima.
Jon adesso sorride.
Sorride, pensando a tutto ciò che può ancora
accadere, a tutto ciò di cui non si priveranno più. Sorride, mentre ha ancora
impresso il suo odore, il calore del suo respiro.
Sansa ha quasi raggiunto il tavolo rialzato
quando qualcuno corre verso di lei.
È solo un ragazzo. Alto, mingherlino, con abiti
troppo stretti, come se non fossero della sua misura.
Jon non sa come abbia fatto a notarlo, come
faccia a sapere che quel ragazzo non è nessuno. Non sono suoi gli abiti che
porta.
E forse non è suo nemmeno il coltello che stringe
tra le mani mentre si avventa contro Sansa.
«GREYJOY!»
Jon balza in avanti, come Tormund e Brienne. È il
Bruto a intercettare il ragazzo prima che riesca a colpire il suo bersaglio. Le
guardie lo infilzano con le spade, uccidendolo sul colpo.
«No!» grida Brienne. «Perché lo avete ucciso?
Avrebbe potuto dirci qualcosa!»
«Ha detto abbastanza» mormora una guardia,
pulendo la lama dal sangue. È la stessa che Jon ha visto spesso davanti alla
porta di Sansa. Scambia uno sguardo con maestro Ronald. «Greyjoy. Sono
stati loro ad attentare alla vita della Regina.»
«Potrebbe essere solo un trucco!» insiste Brienne,
guardando con sospetto il Maestro. «Che motivo avrebbero i Greyjoy…»
Sansa ha una mano sul cuore, gli occhi
strabuzzanti. Lo guarda, e Jon sa, sa con certezza che stanno pensando la
stessa cosa.
Ho ucciso Daenerys. L’attentato a Sansa era per
punire me.
N.d.A.:
Rieccoci! Volevo dirvi che per le feste potrei
non riuscire ad aggiornare... Spero di tornare con regolarità a gennaio, e farò
il possibile perché accada.
Questo capitolo era dedicato interamente a Jon e
Sansa, ma nel prossimo ritroveremo Arya.
Grazie a chi è ancora qui!
Celtica
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