La voce dell'Inverno

di Celtica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il peso della Corona ***
Capitolo 3: *** Non lo saprà nessuno ***
Capitolo 4: *** Il Parco degli Dèi ***
Capitolo 5: *** Oltre la Barriera ***
Capitolo 6: *** Lui vede ogni Cosa ***
Capitolo 7: *** Lupi del Nord ***
Capitolo 8: *** Era lì per ucciderla ***
Capitolo 9: *** Non sono la tua Regina ***
Capitolo 10: *** Corvi ***
Capitolo 11: *** Sono qui per te ***
Capitolo 12: *** A cavallo di un Drago ***
Capitolo 13: *** Cerchio Protettivo ***
Capitolo 14: *** La Lupa ***
Capitolo 15: *** Voci corrono per il Castello ***
Capitolo 16: *** Sta Tornando ***
Capitolo 17: *** Non mi vuoi qui? ***
Capitolo 18: *** Le difese crollano ***
Capitolo 19: *** Daario Naharis ***
Capitolo 20: *** Il Banchetto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La voce dell'Inverno - Prologo

Prologo



I quattro uomini in nero attraversano le mura di Grande Inverno con lo sguardo rivolto ai bastioni distrutti e ricostruiti dopo la grande guerra. Uno di loro tira le redini del cavallo e lascia che il suo fiato caldo formi una nebbia sottile sulla neve.
Fa caldo, più caldo che a nord della Barriera.
Alcune guardie lo riconoscono e chinano il capo in segno di rispetto. Lui ricambia il saluto e volteggia giù dalla sella. Chiude gli occhi e respira l’aria di casa.

Lei è lassù, in cima alle scale, lo sguardo rivolto a un attendente. Sta parlando, forse di come rinforzare il castello, o di come conservare meglio le provviste. Forse sta impartendo ordini su quanti cavalieri mandare a sud, a difendere il confine. Forse sta pensando a quanti uomini inviare alla Barriera.

In quel momento, invece, lui ha un solo ricordo in testa: rivede sé stesso in cima alle scale del Castello Nero. Ricorda ciò che ha provato quando si è accorto di lei in mezzo al cortile.
Tiene gli occhi fissi in alto, sulla sua figura slanciata, e aspetta che si accorga di lui.
Aspetta di tenerla di nuovo tra le braccia.

Immagina la sua voce mentre chiede: “Cosa ci fai qui?”
“Zio Benjen veniva spesso a trovare nostro padre, ricordi?”
“Non così spesso”, immagina la sua risposta. “È venuto a rendere omaggio a Re Robert.”
Sorride, come sorriderebbe a lei e a quella frase. “Anch’io sono venuto a rendere omaggio a una regina.”

Sansa sta ancora parlando. Gli dà le spalle ora, i lunghi capelli rossi sciolti sulla schiena. Non c’è vento. È come una statua, immobile e perfetta. Jon rimane ad ammirarla anche quando qualcuno richiama la sua attenzione, portandola via dalle scale, lontano dai suoi occhi.

n

N.d.A.:
Non pensavo che avrei mai scritto una Jonsa, ma nel finale di stagione ho visto questa storia.
Nei prossimi capitoli avrete un’idea più chiara sulla trama, per ora ho preferito non svelare nulla nemmeno nell’introduzione. Per il primo capitolo non ho intenzione di tardare – diversi capitoli sono già pronti – e in ogni pezzo penso che inserirò il link per un video sul Trono. Se siete interessati alla storia, fatemelo sapere!
A presto,
Celtica


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Capitolo 2
*** Il peso della Corona ***


1. Il peso della Corona

Video su Daenerys (e Jon)

 

1

Il peso della Corona




n

 

È

notte, e Sansa lascia che l’ancella stringa i lacci dietro la sua schiena. Non ha l’impazienza di Joffrey mentre nota la lentezza della ragazza, né la crudele ironia di Cersei. La lascia fare, mentre osserva la corona sul cuscino accanto a sé.
Ancora non ci crede. Bran: Re dei Sei Regni. Arya: avventuriera, esploratrice? Jon alla Barriera… come quando è partita per Approdo del Re, anni prima. Ma non era lei, non poteva essere davvero lei.
Era una ragazzina sciocca, incapace di mentire. E lui era solo il bastardo di suo padre.

Cosa direbbe ora Eddard Stark, sapendola Regina del Nord?
E sua madre? Come avrebbe reagito vedendo prima Jon – il bambino odiato – e poi lei a regnare sul Nord? Sull’intero nord.
Sette Regni sotto gli Stark. Una cosa impensabile prima di allora.

«Altezza?»
L’ancella la guarda attraverso lo specchio. Sembra spaventata. Avrà capito di averci messo troppo?
«Che c’è?»
«Posso fare altro per te?» Ha le mani che tremano, gli occhi bassi.
«No, puoi andare.»

Oltre il suo riflesso, Sansa guarda la ragazza aprire la porta e richiuderla. Sospira, si alza e accarezza la tiara. Quando sente bussare, raddrizza le spalle, raggiunge la finestra e, con voce decisa, dice: «Avanti.»

«Altezza,» È Ronald, il Maestro di Grande Inverno, «nella Sala Grande chiedono di te.»
«Possono aspettare.»
L’uomo resta immobile, lo sguardo a terra. «Perdonami.»
Sansa si chiede perché sia ancora lì. Fa un cenno di assenso per congedarlo, ma lui non si muove. «Cosa c’è?»
«Alcuni membri dei Guardiani della Notte sono venuti a renderti omaggio.»

 

Le porte della Sala Grande sono di legno di quercia e ferro, e ci vogliono due guardie per aprirle per la loro Regina. Mura grigie, stendardi con il metalupo ovunque, torce a illuminare il cortile esterno.
Ci sono otto fila di tavoli all’interno, e ogni cosa – dalla pietra alle pareti ai calici abbandonati sui tavoli – è sua. Mentre attraversa la sala, ogni uomo, donna e bambino piega le ginocchia al suo cospetto.
«La Regina del Nord!» prende a gridare qualcuno.
«La Lupa Baciata dal Fuoco!»

Dov’è lui?
È venuto? O è rimasto nel suo castello, a regnare su bastardi, ladri e assassini?

Quando raggiunge la piattaforma rialzata in fondo – il fuoco di un camino a scaldarle la schiena – Sansa siede al centro e ogni persona intorno a lei prende posto.
È allora che il Maestro la raggiunge, indicandole alcuni uomini vestiti di nero. Sollevano i calici verso di lei, e Sansa risponde abbassando il mento.

Lui non c’è. Non è venuto.

Non sa perché, ma quando ha sentito nominare i Guardiani della Notte il suo cuore ha preso a battere più veloce. Ha percepito un fremito dentro di sé, ed è uscita di corsa dalla sua stanza – la stanza dei suoi genitori – per raggiungere la Sala Grande.
Ora c’è solo vuoto nel petto. Come se il frullo d’ali che ha sentito fosse svanito.
A poco a poco, man a mano che le portate vengono servite e lord e cavalieri arrivano a renderle omaggio, il vuoto si riempie.
Sansa si sente pesante. Vuole solo alzarsi e lasciare la sala. Ha bisogno di restare sola.

Quando allontana la sedia dal tavolo, maestro Ronald è subito al suo fianco. «Altezza?»
«Non mi sento bene. Scusami tu con i lord.»

Nessuno sembra accorgersi di lei quando passa tra i tavoli ed esce. Due guardie le arrivano alle spalle, ma si fermano quando la sua mano si alza intimando loro di restare dove sono.
Non sa perché si aspettasse tanto di vederlo. Non sa nemmeno perché ci sperasse.
Attraversa il cortile e sente la mancanza del calore. Quello delle mura di Grande Inverno e delle sue sorgenti. Quello di una famiglia. Della sua famiglia.

Di Bran. Di Arya. Di Jon.

Si era illusa di potersi abituare alla solitudine. Aveva creduto che il potere, la corona e la libertà sarebbero stati sufficienti. Che non avrebbe sentito troppo la mancanza degli altri.
Di Theon, che è saltato con lei da quelle stesse mura, fuggendo da casa.
Di sua madre, che amava spazzolarle i capelli, darle l’esempio.
Sansa ripensa a tutte le persone importanti della sua vita. Le ha perse tutte. Non è rimasto più nessuno.

Cammina verso la Serra di vetro e ricorda il piccolo castello di neve costruito con Ditocorto. Lui sarebbe rimasto al suo fianco. Se non l’avesse tradita. Se lei non lo avesse ucciso.
Arya lo ha ucciso.
Ma è stata lei a dare l’ordine.

Di quelli ancora in vita, Jon è il più vicino. E per un istante, Sansa ha sentito la speranza nascere e crescere dentro di sé. Rivederlo. Riabbracciarlo. Il suo sorriso, la sua risata. I capelli neri di nuovo sciolti, la barba incolta.
Sansa lo ricorda al fianco di Daenerys e qualcosa di simile alla gelosia le brucia i polmoni. Fatica a respirare.
Quando la Regina dei Draghi sorrideva a Jon, Sansa vedeva quel mondo di ghiaccio – il suo mondo – sgretolarsi. Eppure, quando aveva saputo del pugnale nel cuore, non si era sentita meglio.
Non ne conosceva il motivo, ma avrebbe preferito non accorgersi mai di quei sorrisi, non capire mai cosa provassero l’uno per l’altra.

“Amo tuo fratello”, aveva detto Daenerys Nata dalla Tempesta.
Lo amo anch’io. E da più tempo di te.

Quando lo aveva rivisto alla Barriera si era sentita finalmente a casa. Non a Grande Inverno con i Bolton. Ma con Jon. Ovunque lui fosse. Ovunque.

Sansa entra nella serra, il luogo più caldo del castello. Anche quel luogo è riscaldato dalle sorgenti sotterranee. Lì, gli uomini hanno coltivato frutta e fiori, come nel pieno dell’estate.
Vede il suo respiro condensarsi nell’aria e socchiude gli occhi. Si sente sola.
È circondata da soldati, lord e ancelle, eppure non c’è nessuno più solo di lei a Grande Inverno.
D’improvviso, il caldo la investe, il ricordo di tutti gli abbracci che ha dato, di tutte le persone che ha perso. Ne basterebbe una, una sola, e la fanciulla che è stata tornerebbe a vivere dentro di lei.

Torna nel cortile. La notte la avvolge e non è il gelo a sconvolgerla, non è l’inverno, ma solo la cupa certezza di essere sola.
Si volta e, come nelle ballate, lui è lì. Jon è tornato a Grande Inverno.
Non gli corre incontro – come potrebbe? È una Regina – ma sente gli occhi inumidirsi.
«Vostra Grazia.»
Jon si inchina con un sorriso divertito – era lui il Re del Nord, il Lupo Bianco – e Sansa nota i fiocchi di neve sui suoi capelli, sul suo mantello. Sulle sue ciglia.
Quando è arrivato così vicino?

«Credevo che il Comandante dei Guardiani della Notte non potesse lasciare il Castello Nero.»
«Anche Lord Mormont l’ha fatto. È andato oltre la Barriera. Ero con lui.»
«E oltre la Barriera è stato ucciso.»
«Sei sempre ottimista, vedo.»

Sotto la notte cupa e senza stelle, Sansa riconosce il suo sorriso. Fa un passo verso di lui. «Non voglio che ti accada nulla.»
«Sai, dopo la partenza di Tormund, al Castello Nero c’era poco da fare.»
Sansa ride – è sempre stata così la sua risata? – e fa un altro passo. «Così hai pensato di cercare guai, Lord Comandante.»
«Nemmeno oltre la Barriera c’era molto da fare.»
«E Spettro?» domanda Sansa.

«È rimasto con Tormund. Lo rivedrò presto.»

Quel “presto” la fa vacillare. Non lo credeva possibile. Non dopo Ramsay, non dopo Ditocorto. Non dopo la morte della Regina dei Draghi e l’indipendenza del nord.
E di colpo, la persona che regna sul nord e possiede ogni cosa a Grande Inverno, desidera una cosa sola. Una cosa che non può avere.



n

N.d.A.:

Ciao a tutti! Vorrei ringraziare le persone che hanno dato fiducia al prologo di questa storia. Grazie mille! E vorrei dire un paio di cose.
Intanto: maestro Ronald nel Trono non esiste (indovinate un po’ il perché di questo nome. C’entra un altro fandom!), e dato che i Re del nord del passato hanno avuto nomi legati ai lupi, nella mia testa anche Sansa doveva averne uno.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che mi farete sapere cosa ne pensate. A presto!

Celtica


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Capitolo 3
*** Non lo saprà nessuno ***


2. Non lo saprà nessuno

Video sugli Stark

 

2

Non lo saprà Nessuno

 

n
 

 

L

a neve cade lieve, posandosi sui suoi capelli rossi. Ha una tiara sulla fronte, e nessuna pettinatura particolare. Jon non la ricordava così. Nemmeno prima della sua partenza con zio Benjen per il Castello Nero.
«Quanto presto?» sussurra Sansa.
Jon vorrebbe solo stringerla tra le braccia come ha fatto prima di combattere contro Ramsay. Come quando ha lasciato Approdo del Re. Vorrebbe scostarle i capelli dal viso e baciarle la fronte come ha fatto proprio lì, a Grande Inverno, una volta vinta la battaglia.
«Presto» ripete Jon, stringendo i pugni nei guanti neri. «Siamo qui a cercare confratelli e a rendere omaggio alla Regina.»
Sansa avanza verso di lui, occhi negli occhi. Jon prevede l’abbraccio prima che si compia.
Non appena sente il calore delle sue braccia, la attira a sé, piegando la testa sulla sua spalla. Sotto la neve fredda, il corpo di Sansa brucia come il fuoco.

«Dovresti essere tu il Re» sussurra lei contro il suo collo.
Jon sente il fiato caldo attraverso la pelliccia. Stringe le palpebre e la allontana piano. È la Regina.
«Sai che non ho mai voluto diventare Re.»
Sansa non fa resistenza – non come Daenerys – stringe le mani in grembo. «E io non ho mai voluto che tornassi alla Barriera.»

Lontano da Grande Inverno è una frase sospesa tra loro. Per Jon è come un urlo che riecheggia nella mente.
Lontano da me, immagina che aggiunga.

Ma Sansa non dice altro.
«Non è dipeso da te» mormora, sentendo sulle labbra il sapore della neve. «Devo pagare per ciò che ho fatto.»
«Tu hai liberato il nord dai Bolton.» Sansa raddrizza le spalle. «E dopo hai liberato il mondo da fuoco e sangue.»

«Non avrei fatto nessuna delle due cose senza di te.»

Sansa stringe le palpebre. Sul suo mantello scuro risplendono fiocchi di neve. «Ho chiamato i Cavalieri della Valle, è vero. Ma ad Approdo del Re hai fatto da solo.»
Jon ripensa alla città colpita dal fuoco, alla cenere piovuta dal cielo. Ricorda Tyrion Lannister vagare per le sue vie, gli occhi persi – vuoti, delusi? – proprio come quelli che sentiva di avere lui.
Rivede Verme Grigio estrarre il pugnale, pronunciare quella condanna a morte.

“Per ordine dell’unica vera Regina…”
E nelle orecchie ode ancora la voce di Lord Tyrion prigioniero mentre nomina le sue sorelle.
Arya non aveva forse fatto lo stesso? Non aveva pronunciato quel nome?
Sansa, vallo a dire a Sansa.”
Jon abbassa lo sguardo, come se potesse scavare la neve e nascondersi. «Le ho chiesto di perdonare Tyrion» confessa, scostando un piccolo cumulo con lo stivale. «Di perdonare tutti.»

Di perdonare te.

«Cosa ti ha risposto?»

“Non posso. Non posso. Non posso.”
Solleva il viso e incontra gli occhi di Sansa. Ha senso dirle la verità, ora che è tutto finito? Ha senso rischiare di spaventarla, dirle ciò che ha rischiato?
Fuoco e sangue.
Nel mondo.
Da Grande Inverno a Dorne.

«Credeva fosse il suo destino. Liberare ogni uomo, donna e bambino. Creare un mondo buono.»
«Distruggendo una città?» La voce di Sansa è carica di rabbia, come se ci fosse qualcos’altro. «Bruciando il popolo che era andata a salvare?»
Jon allunga una mano e prende la sua. È finita, vorrebbe dire. Sei al sicuro.
«Conosceva il piano di Cersei: usare la sua compassione contro di lei. Non voleva dargliela vinta.»
«Ancora la difendi?» Sansa libera la mano di scatto. «Le campane hanno suonato. Arya mi ha raccontato tutto, e Bran lo ha visto mentre accadeva. So fin dove si è spinta la tua Regina.»

«Non è più la mia Regina.»

«Ma lo è stata. Lo è rimasta anche dopo la Grande Guerra, dopo che io, Arya e Bran ti abbiamo chiesto di restare con noi. Gli ultimi Stark.»
«Non sono uno Stark.»
«Lo sei, invece.» Sansa prende un respiro. Ha gli occhi che brillano. «Lo sei per me.» Ora è lei ad afferrare la sua mano, guanto contro guanto. «Lo sei per Arya e per tutta la gente del Nord.»

Jon socchiude gli occhi e si concentra su quel contatto. Ora sarà più difficile ripartire, lasciarla un’altra volta.
«Gli Immacolati sono andati via.» La voce di Sansa è diversa. Dolce, piena di speranza. Con una nota di paura. Sta per chiedergli qualcosa che a lui non piacerà. «I Dothraki sono tornati dall’altra parte del mare.»

Non posso, pensa Jon. Ha capito. Sa cosa sta per dire. Sa anche cosa deve rispondere.

«Yara è sulla sua isola e Dorne è lontana.» La voce di Sansa si affievolisce. Jon capisce perché: quando avrà finito di parlare, la sua speranza morirà. Perché esiste una sola risposta possibile. E non è ciò che Sansa vuole sentire.
«Approdo del Re è dall’altra parte del continente. E sono certa che nessuno controllerà, nessuno manderà uomini. Bran non lo permetterà.»
«Sansa…» cerca di interromperla Jon.
«E di certo non saranno gli uomini del nord a tradirti. Se tu decidessi di restare qui, con me…»

«Non posso, e tu lo sai.»

«Non lo saprebbe nessuno. Potrei fare in modo di non farlo sapere. Dovresti giusto tornare al Castello Nero di tanto in tanto, e per il resto potremmo far credere a qualche malattia che…»
«Io lo saprei» la interrompe. Ha ancora la mano nella sua, ed è in quel momento che decide di stringerla più forte, per farle capire che vorrebbe restare, ma che non può. «Se anche funzionasse, cosa potrei fare qui? Non ti sarei di alcun aiuto. E saprei di aver tradito il mio giuramento, i miei fratelli.»
«Quelli non sono più i tuoi fratelli.» Sansa deglutisce, prende tempo. «Ti hanno tradito, ricordi? Ti hanno piantato un coltello nel cuore, ti hanno lasciato a morire…»
«Quello è stato prima.» Jon sente il mantello da Lord Comandante troppo stretto. «Sono stato mandato alla Barriera da un nuovo Re. E come hai detto tu prima, lui vede tutto. Saprebbe subito del mio tradimento, e per mantenere la pace sarebbe costretto a intervenire.»
«Sei suo fratello.»
«Non lo sono.»
«Lo sei.»
«No, non lo sono. E il Bran che conoscevamo non c’è più. Non sappiamo come reagirebbe. Non sappiamo se gli Immacolati abbiano lasciato qualcuno a Westeros a controllare.»

Sansa resta in silenzio. È Rossa, bianca e grigia, una regina bellissima. E Jon non riesce a capire cosa stia pensando. Vorrebbe solo poterle dire di sì, accontentare la sua richiesta e restare al suo fianco.
Ma a fare cosa?
Non ha bisogno di lui. Non più.
«Sono stanca. Parleremo domani, a meno che tu non parta prima.»
Jon la lascia andare – perché non può fermarla? Perché non può restare? – si limita a un inchino.
In fondo, è così che si saluta un sovrano.


n

N.d.A.: 

Ciao!
Grazie a chi ha aggiunto la storia tra seguite e preferite, a chi ha commentato e anche a chi ha solo letto.
Nei prossimi capitoli vedremo anche altri personaggi, ma le parti su Sansa e Jon non mancheranno mai. Immaginate chi interverrà tra un paio di capitoli?
Dovrei riuscire a pubblicare il prossimo lunedì, salvo imprevisti.
Se la storia vi piace, fatemelo sapere!

Celtica


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Capitolo 4
*** Il Parco degli Dèi ***


3. Il Parco degli Dèi

Video su Sansa e Petyr

 

3

Il Parco degli Dèi

 

n
 

 

È

 mattina quando Sansa apre gli occhi. La luce del giorno illumina la stanza padronale, le mura di granito e il camino ormai spento. Scosta le pellicce, scende dal letto e si prepara per raggiungere la Sala Grande. Alle domande delle ancelle risponde solo con sì e no. Non ha voglia di parlare.
La sera prima si è addormentata a fatica.
Ora, mentre attraversa il cortile, sente la mancanza di Brienne. Sa cosa le direbbe: non puoi farci niente, maestà. Il suo posto è alla Barriera.
Stringe i pugni intorno al mantello di pelliccia e d’improvviso cambia direzione. Non vuole mangiare, non ora.
Si libera delle guardie con un gesto ed entra nel parco degli Dèi.
Non prega più. Non prega più da anni.

È l’unico posto in cui posso stare dove ci sia solo silenzio.

Aveva detto la stessa cosa a Tyrion Lannister, dopo la morte di sua madre. La morte di Robb.
E sa che è quello il luogo in cui lui potrebbe raggiungerla. Siede ai piedi dell’albero diga e solleva il viso al cielo. Intorno c’è solo neve.

Non pensava che sarebbe stata infelice da regina. Non pensava che sarebbe stata sola.
Nessuno viene a cercarla: sanno che lì non vuole essere disturbata. Ci va ogni giorno, ma mai a quell’ora, non da quando indossa la corona.
Si chiede se fosse questo che voleva Ditocorto, quando parlava di sedere sul trono. Un futuro in solitudine, al potere.

“Con te al mio fianco.”

Forse un tempo, quando si fidava di lui, prima che la vendesse ai Bolton. Prima che allontanasse Brienne.
Ditocorto aveva le idee chiare su tutto. Ma lei, Sansa? Qual era l’immagine nella sua mente, a ogni ostacolo?

Chiude gli occhi e lascia che i ricordi si susseguano nella sua mente.
Cosa desiderava prima che suo padre venisse arrestato? Sposare Joffrey. Diventare regina. E dopo la sua morte? Tornare a casa, rivedere sua madre.
Dopo ancora: fuggire da Approdo del Re, da Joffrey. Essere protetta da Lysa. Essere protetta…
Ditocorto aveva trasformato quel desiderio: da essere protetta a essere salvata. Dai Bolton. Da Ramsay.
E poi c’era stato Theon, e poi Brienne.

Jon.

Ritrovare Jon era stato ritornare a casa. Desiderare Grande Inverno, con lui al suo fianco. Volere la morte di Ramsay, riavere indietro Rickon, Bran, Arya…
Da quell’abbraccio al Castello Nero, Sansa aveva incluso Jon nella sua immagine, quella che la aiutava a superare gli ostacoli. Avere Jon accanto a sé. Non lasciarlo partire per Roccia del Drago. Non lasciarlo partire per Approdo del Re…
Quante volte aveva ottenuto ciò che voleva?

Dei passi sulla neve. Sansa volta il capo e se lo trova davanti. Vorrebbe chiedergli di restare. Ancora.

«Sapevo che ti avrei trovata qui.» Jon sorride, ma qualcosa nella sua espressione dice che non porta buone notizie. «I confratelli vogliono partire adesso che c’è luce.»
Lei non risponde, ma il cuore perde un battito.
«Sono venuto a salutarti.»
«Sei tu il Lord Comandante» dice Sansa. È arrabbiata. Perché non può restare? Almeno un altro po’… «O sbaglio?»

«Un Lord Comandante che non ascolta i suoi uomini non è un buon Lord Comandante.»
Sansa guarda dritto davanti a sé.
«Non mi saluti, Altezza?»
Jon aspetta, poi si volta. Lento, troppo lento…

«È colpa mia» sussurra Sansa.

«Che cosa?» Jon si gira di nuovo verso di lei.
«Se sei costretto a tornare alla Barriera. Se non sei più il Re.»
«Non è colpa tua.»
«Sì, invece.» Sansa sente le lacrime lambirle gli occhi. «Avrei dovuto lottare di più. Bran avrebbe dovuto…»

«Bran è il Re. E gli Immacolati non avrebbero lasciato Approdo del Re senza questa condanna. O senza la mia testa.»
«Non lo avremmo permesso. Né io né Arya.» Sansa si alza, stringe le mani in grembo. «Avremmo lottato per te. Gli uomini del nord erano accampati fuori dalle mura. Avrei dovuto dare l’ordine…»
Jon si fa più vicino, le afferra le spalle. «Ma non lo hai fatto. Sapevi che sarebbe stato un inutile massacro.» Sansa vorrebbe avere meno strati di vestiti, meno pellicce. Ha bisogno di sentire calore. «E sapevi anche che Verme Grigio mi avrebbe giustiziato prima di cedere la città.»
Sansa ha un groppo in gola. Non riesce a mandarlo giù. Si specchia negli occhi di Jon – mio fratello, la mia punizione, l’immagine volta a superare ogni ostacolo – e ripete quella domanda.

«Potrai mai perdonarmi?»

Jon sorride, allunga una mano fino al suo viso e le asciuga una lacrima. «Non c’è nulla da perdonare.»
Sansa inclina la fronte e lascia che Jon vi posi le labbra. È quello il fuoco. Fuoco e ghiaccio. Come quando lo ha stretto per la prima volta, come quando è entrata a Grande Inverno e ha camminato sulle sue mura. Vedere gli stendardi dei Bolton cadere. Il Metalupo degli Stark issarsi sui bastioni.
Jon posa la sua fronte contro quella di Sansa. È un altro addio?

Quando ti rivedrò?
Quando lui fa un passo indietro, Sansa sente il vento gelido combattere con il calore della sua fronte. Il calore del suo respiro ancora sul viso. Gli afferra un braccio prima che possa voltarsi.

«Resta.»
«Non posso…»
«Solo un altro giorno. Ti prego, resta.»
«Sansa…»
«Un giorno, Jon. Non è molto. Potremmo cavalcare, andare a caccia o rifugiarci nella Sala Grande a bere e mangiare con gli alfieri.»

Jon solleva gli occhi su di lei – fuoco e ghiaccio. Da quando basta uno sguardo? – e Sansa sente ogni speranza svanire. Il fuoco spegnersi.
«Lo sai che vorrei.»
«Allora fallo. Sei il Lord Comandante.»
Jon le prende la mano. Con delicatezza la allontana da sé. «Lo vorrei più di ogni cosa.»

«Ma?»

Lo guarda abbassare la testa, guardarsi intorno prima di posare ancora gli occhi su di lei. «Maestro Aemon una volta mi disse che l’amore è la morte del dovere. Poi mi chiese cosa avrebbe fatto nostro padre dovendo scegliere tra la sua famiglia e ciò che è giusto.»
Sansa resta in silenzio, ricordando Ned Stark.

«Ciò che è giusto» mormora Jon, dandole le spalle. «E io farò come lui.»
«Ti sbagli» dice Sansa, arrivandogli di fronte. «Nostro padre ha avuto questa scelta, e ha preferito la famiglia al dovere.»

«Di cosa stai parlando?»
«Io c’ero. L’ho visto. Ho sentito le parole che Cersei Lannister ha infilato nella sua bocca.»
Jon corruga la fronte, sposta il peso da un piede all’altro. Le foglie rosse dell’albero diga si muovono nel vento, alle sue spalle.
«Nostro padre ha giurato davanti agli Dèi e agli uomini che Joffrey era l’unico e vero Re. E che lui, Eddard Stark, aveva tramato contro il Re per rubargli il trono.»
«Perché lo avrebbe fatto?»
C’è dolore nella voce di Jon. Sansa vorrebbe solo cancellare quel dolore, o farlo suo, per impedire a suo fratello di soffrire.
«Per me.» Le trema la voce, e solo in quel momento si accorge di vacillare. «Ned Stark ha messo da parte l’onore per la sua stupida figlia.»

Jon scuote il capo, la prende tra le braccia.
«Pensi che se ne sia pentito?» gli chiede. «Quando ha capito che gli avrebbero preso la vita, in cambio della mia…»
«No.» Il fiato di Jon è caldo contro la sua guancia. «Come avrebbe potuto?»
«Ero solo una stupida ragazzina…»
«E ora sei una regina. La regina del nord. Nostro padre sarebbe fiero di te. Non dovrai più inchinarti a nessuno. Nessun Re potrà venire al nord e pretendere di mandarti a sud. Sei padrona della tua vita.»
Non dovrai, aveva detto. Non dovrai.

Non dovremo.

«Vale anche per te. La Barriera risponde a te soltanto. E né il nord, né i sei regni potranno comandarti.»
Jon sorride sulla sua pelle. «È così.»

Ma non siamo liberi. Non sei libero di restare.

«Vieni qui.» Jon la stringe tra le braccia, e Sansa capisce che è un addio. Che non si rivedranno più.
Forse, un giorno…
Poi la lascia andare e stavolta se ne va davvero.


 
È solo molte ore più tardi, mentre Jon è sulla strada per Città della Talpa, che Sansa lascia la protezione dell’albero diga e cammina nella neve. Un passo dopo l’altro nel parco degli Dèi.
Non li sente arrivare.
Ode solo il sibilo della freccia che fende l’aria.


 n

N.d.A.:

Dico solo che è da qui che la storia comincia. Questo è il vero inizio di tutto. Grazie a chi continua a seguire questa storia. Se vi piace, fatevi sentire. Può solo farmi piacere.
A presto!

Celtica


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Capitolo 5
*** Oltre la Barriera ***


4. Oltre la Barriera

Video sulla Grande Guerra di Got

 

4

Oltre la Barriera



n

 

A

l Castello Nero, dopo una notte di riposo, Jon fa sellare il cavallo per andare oltre la Barriera.

 Tormund aveva ragione: è più felice nel nord – il vero nord. Con lui e Spettro e il popolo dei Bruti. È più felice senza vedere la tristezza negli occhi di sua sorella, senza sapere che sono destinati a restare lontani.
Può solo cercare di non pensarci.
Di non pensare al profumo dei suoi capelli o al calore del suo corpo stretto contro il suo. Deve dimenticare quella richiesta. “Resta”, che metterebbe in pericolo entrambi.

“Solo un giorno, Jon. Ti prego.”

Un giorno avrebbe fatto la differenza. Jon aveva il timore di non riuscire più a lasciarla.
Nelle stanze del Lord Comandante, l’attendente gli serve vino caldo e speziato. Non è un ragazzino come Olly: Rickard non ha conosciuto la crudeltà dei Bruti o il tradimento dei confratelli. Non è stato nemmeno sotto il comando di Edd l’addolorato.

Sansa lo ha mandato alla Barriera. Sansa.
Dopo che i suoi genitori erano morti per mano degli Estranei. Dopo che Jon era partito per il Castello Nero. Prima ancora di rivederlo, Sansa aveva pensato a lui, mandandogli il candidato perfetto per diventare il suo attendente.
Come avrebbe potuto non andare a renderle omaggio?

«Lord Comandante, potrò accompagnarti oltre la Barriera, questa volta?»
«Sì,.» Jon sorride. «Un ragazzo cresciuto a Grande Inverno in un villaggio di Bruti…»
«Come te, mio Lord?»

«Sì, Rickard. È importante che i rapporti tra i Guardiani della Notte e i Bruti rimangano buoni. Anche quando sarai tu a comandare.»
Jon manda giù un sorso di vino caldo, posa il calice e prende Lungo Artiglio. Soppesa la spada tra le mani prima di infilarla nel fodero.
«Conoscerai Tormund Veleno dei Giganti» dice a Rickard. «Ti piacerà, vedrai.»
Escono insieme, scendono le scale e raggiungono il cortile. Le ruote di un carro hanno lasciato solchi neri nella neve. Più in là, alcuni uomini stanno spalando. Nella stalla, un altro sta ferrando gli zoccoli di un cavallo.

«Il mio cavallo, Rickard.»

Jon monta in sella e raggiunge l’uscita mentre il cancello si alza. Fuori c’è solo bianco. Una distesa infinita di neve e alberi ricoperti, del vento gelido che ne agita le cime. Piccole stalattiti di ghiaccio pendono dal soffitto e dalla grata sollevata.
I due cavalli escono alla luce. Sono ricoperti di pellicce.

Jon si volta a guardare il cancello che si abbassa, ma la grata di ferro è ancora fissata in alto.
«Conoscerai Spettro» dice a Rickard. Soffia un’aria glaciale. È il vento del nord. «Forse lo ricordi ancora da Grande Inverno.»
«È così, Lord Comandante. Ricordo tutti i metalupi del castello.»
«Davvero?» Jon ride, pensando a quando rivedrà il suo amico. «Dovevi essere molto piccolo.»
«Non così tanto. Ricordo che a farmi paura era Cagnaccio e…»

«Lord Comandante!» grida qualcuno nel tunnel. «Lord Snow!»
Jon tira le redini e ferma il cavallo. Si volta e vede un uomo correre nella sua direzione.

«Lord Comandante, il Maestro mi ha mandato a chiamarti. Ha detto che se non fossi riuscito a fermarti non glielo avresti mai perdonato.»
Jon fa girare il cavallo, lo sprona a raggiungere l’uomo. «Cosa succede? Ero nel castello un attimo fa…»
«Un corvo, mio Lord» dice l’uomo, con il fiato corto. «Notizie da Grande Inverno.»
Basta quel nome a fargli stringere i fianchi dell’animale, facendolo correre attraverso il tunnel.

Ali oscure, oscure parole.

Raggiunge il cortile e volteggia giù dalla sella. Nemmeno si accorge di Rickard che arranca alle sue spalle. «Dov’è il Maestro?» domanda.
«Nella voliera, Lord Comandante.»
Un Maestro inviato dalla Cittadella. Un Maestro approvato da Sam.

Jon non fa caso ai corvi o all’odore delle gabbie o del cibo per uccelli. «Dov’è?» chiede soltanto.
«Qui, mio Lord.»
Dalla manica lunga del Maestro esce il messaggio di un altro Maestro, Ronald, anche lui inviato di recente dalla Cittadella.
Jon lo srotola di fretta, ignorando tutta la prima parte su Lord, Maestri e altri titoli. Gli basta riconoscere Regina del nord per tornare a rileggere il messaggio. Si sofferma su quelle parole, senza riuscire a metterle insieme.

Attentato.
Alla vita.
Della Regina del nord.
Una freccia.
Solo ferita.
Ancora viva.
Gli attentatori sono riusciti a fuggire.

Gli attentatori. Non uno solo, quindi. Ma chi? Chi potrebbe osare tanto? Perché? Sansa è una Stark di Grande Inverno. Regina del nord. E il nord è da sempre casa sua.
Jon lascia la voliera senza dettare una risposta per il Maestro. Trova Rickard nel cortile e non ha nemmeno un’esitazione mentre dà quel comando.

«Andrai da solo oltre la Barriera.»

«Mio Lord? Non sono mai stato al villaggio dei Bruti. Non saprei come trovarlo. Mi attaccherebbero, se andassi senza di te.»
«Questa è la mia decisione.»
«Ma cosa succede, Lord Comandante? Brutte notizie da Grande Inverno?»
Jon stringe i pugni, il cuore batte più veloce nel petto. «Devo tornare, Rickard. E tu devi portare un messaggio a Tormund Veleno dei Giganti.»
Rickard resta in attesa.

«Devi dirgli di portare Spettro a Grande Inverno. E qualcuno dei suoi uomini.»

«Vuoi portare Bruti a Grande Inverno, mio Lord?»
«I Guardiani della Notte non possono essere coinvolti in guerre di potere.»
«Perdonami, Lord Comandante…» Rickard esita mentre Jon raggiunge il cavallo. «Ma per difendere Grande Inverno ci sono gli uomini del nord. Un intero esercito.»

«È proprio questo il problema, Rickard» mormora Jon rimontando in sella. «Non so di quali di questi uomini possa fidarmi.» Stringe le redini nei pugni chiusi. «Dì a Tormund di fare presto. Nemmeno io posso farmi coinvolgere in guerre di potere.»
Sta per spingere il cavallo al trotto, quando Rickard gli si para davanti. «Cos’è successo? Grande Inverno non è stata attaccata, dunque. Perché non ti fidi degli uomini di Sua Grazia, la regina Sansa?»

«In questo momento ci sono solo tre persone di cui mi fido, Rickard. E contando che una è ferita a Grande Inverno e un’altra sono io, resta solo una possibilità: e si trova oltre la Barriera.»



n

N.d.A.:

Dal prossimo capitolo troveremo vecchi personaggi, come vi avevo accennato. Grazie a chi continua a seguire questa storia. Fatevi sentire!
Celtica


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Capitolo 6
*** Lui vede ogni Cosa ***


5. Lui vede ogni Cosa

Video su Jaime e Brienne

 
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Lui vede ogni Cosa



n



B

rienne sta sfogliando il Libro dei Cavalieri quando Podrick entra nella stanza. L’armatura dorata lo fa sembrare più grosso, forse più lento. Ma lei sa che non è più così. Non dopo il loro addestramento.

«Il Primo Cavaliere vuole vederti.»

Cosa può volere Lord Tyrion da lei? Il concilio ristretto si è riunito quella stessa mattina. Possibile che debbano ancora discutere se dare la priorità a navi o bordelli?
«Abbiamo votato a favore delle navi» dice, alzandosi in piedi e chiudendo il libro con una carezza. «Quattro voti contro uno.»
Ovviamente Lord Bronn. Sempre lui.
Brienne non capisce come Tyrion – come Jaime – possa fidarsi di lui. Un mercenario, un assassino.

«Cos’altro c’è?»
Podrick scrolla le spalle. «Non saprei, Lady Comandante. Vuoi che ti accompagni?»
«No. Torna pure dal Re.»

Brienne esce dalle stanze della Guardia Reale con lui. Poi raggiunge la torre del Primo Cavaliere. Ci sono due guardie fuori dalla porta, e basta la sua presenza a farle scostare.
Quando entra, non è solo Lord Tyrion quello che si trova davanti. C’è anche Lord Davos.

«Miei Lord.»
«Saltiamo i convenevoli. È arrivata una notizia dal nord.» Sul suo scranno, Tyrion sembra alto quasi quanto Davos. «E non sappiamo come potrebbe…»
La porta si apre di colpo. È Podrick, e spinge la sedia del Re. Bran non li saluta.
«È necessario inviare qualcuno a nord. Qualcuno che si assicuri di come stanno realmente le cose. E che garantisca al popolo del nord che i Sei Regni non hanno nulla a che fare con questo.»
Brienne è in piedi davanti al tavolo. Inarca un sopracciglio. «Questo cosa, Altezza?»
Basta uno sguardo tra Bran e Tyrion, e il Primo Cavaliere riprende la parola. «Sembra che qualcuno abbia attentato alla vita della Regina del nord.»

Lady Sansa.
La ragazza che aveva giurato di proteggere.

«Si sa chi è stato?»
Tyrion guarda Bran. Lui sa. Lui vede ogni cosa.

«Non ci riguarda.» È questo il bambino cresciuto da lady Catelyn? Era così prima che Jaime lo spingesse giù dalla torre? «Ma occorre che il nord capisca che noi non c’entriamo. Lord Davos, saresti pronto a partire entro stasera?»
«Stasera, Maestà?»
«Sì. Avrai una piccola scorta.»
Davos solleva la mano dalle dita mozzate, come se avesse dei dubbi. E non è il solo… Brienne si chiede perché il Re non intervenga, perché non si limiti ad avvertire il nord su chi è il vero nemico.
Basterebbe così poco…

«Perché io, Maestà? Sono solo il mastro delle navi.»
Bran non cambia espressione. Mai. «Conosci la gente del nord. E la gente del nord si ricorda di te.»

«Con tutto il rispetto, Maestà, ma il Gran Maestro Samwell ha trascorso più tempo di me al nord…»
«Sì, tra i Guardiani della Notte. Tu hai cavalcato al fianco del Re del nord, hai parlato per lui. Ora parlerai per me.»
Davos piega la testa in avanti e Brienne è certa che non dirà altro. Non si opporrà più.
«Renderai omaggio alla Regina Sansa e offrirai il mio appoggio. Quando tutto sarà finito e i colpevoli puniti, potrai tornare.»
Bran fa un cenno, e Podrick fa voltare la sedia, pronto a spingerla fuori.

«Mio Re.»

Brienne è ancora in piedi, ma è se come se si fosse appena alzata. La sua voce vola attraverso la sala del concilio.
«Maestà, perdonami, ma tu sai chi è stato?» Bran non risponde e Brienne si sente autorizzata a continuare. «Non sarebbe una prova di amicizia verso la Regina presentare Lord Davos con i nomi dei suoi nemici?»

Bran resta in silenzio, immobile, non sembra nemmeno respirare. Ma quando parla, e Brienne non riconosce nessuna alterazione nella sua voce, la speranza si spegne. Non seguirà il suo consiglio.
«I sei regni non entreranno in guerra. Né con il nord né con altri. E per non essere coinvolti possiamo solo offrire il nostro sostegno senza intrometterci.»
Brienne china la testa, ma prima che Podrick abbia spinto la sedia fuori dalla porta, la rialza.
«Mio Re» ripete. «Permettimi di scortare Lord Davos al nord.»

Ho giurato.
Permettimi di mantenere il mio giuramento.

«Sei una Guardia Reale» si intromette Lord Tyrion. «Il tuo posto è accanto al Re.»
«Va bene» dice Bran, senza muovere un muscolo. «Anche Ser Meryn accompagnò Lord Tyrell a Braavos.»
Il volto di Tyrion si contorce. «Ser Meryn non era Lord Comandante. Mio fratello lo era.»

Jaime.

Brienne socchiude gli occhi. I fantasmi non possono toccarla. E quel fantasma in particolare può essere richiamato da lei soltanto, sfogliando il Libro dei Cavalieri che hanno servito la Guardia Reale.
«Viviamo in tempi di pace» ribatte Bran. «Lord Davos potrebbe aver bisogno di una buona spada. E poi anche il Lord Comandante dei Guardiani della Notte sta tornando a Grande Inverno.»

«Jon Snow ha lasciato il Castello Nero?» chiede con stupore Tyrion.

Brienne non gli dà modo di continuare. «Lascia fare a me, Altezza. Lo riporterò qui prima che l’inverno sia finito.»
È solo allora che Bran volta il capo. Brienne vede solo il suo profilo.
«Sei certa che finirà tanto presto?»

 

Il cavallo è una statua di vene e muscoli. Galoppa nella neve e il suo manto nero risplende. In lontananza si vede Grande Inverno. Jon Snow stringe i fianchi dell’animale per spingerlo a correre più veloce.
Rallenta solo in prossimità dell’entrata principale. Le porte sono chiuse, come in caso di attacco. Le guardie fuori le aprono non appena lo riconoscono.
Trotta fino al cortile interno, poi volteggia giù dalla sella e punta alla fortezza.

«Non ti aspettavamo, mio Lord» mormora una guardia scortandolo attraverso il castello. «Sua Maestà la Regina ha chiesto di te, ma non pensavamo di rivederti.»
Lui passa in rassegna le mura e l’interno. Valuta quanto sia protetto il castello. Vede arcieri a ogni bastione, puntare i loro archi in ogni direzione.
«Come sta?» chiede Jon, sfilandosi i guanti neri.
«È stata meglio. Maestro Ronald ha estratto la freccia, ma teme che sia rimasto qualche frammento. Sua Maestà è confinata a letto.»

Giungono davanti alle stanze che sono state di Ned Stark. Una guardia è in piedi, la mano posata sull’elsa della spada.
«Apri questa porta.»
«Solo il Maestro ha il permesso di entrare.»
L’uomo che l’ha accompagnato lungo i corridoi si avvicina alla guardia, la voce un bisbiglio. «È con il Lord Comandante dei Guardiani della Notte che stai parlando» sussurra, mentre macchie rosse gli tingono la gola. «Il fratello della Regina. Il nostro Re.» Cede sull’ultima parola, lasciandosi sfuggire un gemito.
Il fratello della Regina, aveva detto.

Sei suo fratello, si dice. Sei qui per proteggerla, per assicurarti che stia bene. Nient’altro.

Ma la guardia non si muove. «Perdonami, Lord Comandante. So chi sei, ma i miei ordini sono chiari. Nessuno può entrare, tranne il Maestro.»
Jon stringe i denti, allunga la mano fino a Lungo Artiglio. «Spostati» ringhia, come farebbe Spettro. «E intendo ora.»
«Non posso…»
«Apri questa porta» intima una voce alle spalle di Jon.
Quando si volta, è un maestro della cittadella quello che si trova davanti.
La guardia china il capo e obbedisce, girando la chiave nella toppa. «Seguivo solo gli ordini…»

«Ti ringrazio, maestro.»

Maestro Ronald gli fa segno di seguirlo. «Sua Altezza ha chiesto di te, mio Lord. Sono certo che la tua presenza non farà che giovare alla sua guarigione.»
Jon sente i muscoli del braccio contrarsi. Ha la mano stretta a pugno.
Sansa ha chiesto di lui.

Aveva bisogno e io non c’ero.

Quando entra nella stanza padronale e la vede distesa sul letto, sotto strati di pellicce, sente il respiro venirgli meno. Si avvicina e osserva il suo viso. Lo ricorda roseo, dai lineamenti delicati, con occhi azzurri limpidi come il cielo e labbra piene e sorridenti.
Ora le palpebre sono abbassate, la bocca contratta, il colorito spento. E un livido copre la sua guancia.
Jon allunga la mano sul suo volto, sfiorandolo con le dita.
Sansa emette un lamento, facendolo scattare indietro. Quando apre gli occhi e lo vede, si affanna per alzarsi a sedere sul letto.

«Jon!»
«Sono qui.»

Il maestro si sposta vicino a lei. «No, Altezza. Resta giù. Hai bisogno di riposo.»
Lo sguardo di Sansa non perde intensità quando si volta verso l’uomo. «Lasciaci soli.»
«Come vuoi, Altezza. Ma devi riposare, ricordalo.» Poi lancia uno sguardo di ammonimento a Jon ed esce dalla porta.

La mano di Sansa spunta lentamente da sotto le coperte. Jon la afferra e intreccia le dita alle sue.
«Sei venuto.»
«Come avrei potuto non farlo?»
Sansa sorride, stringe forte la sua mano. «Sono felice che tu sia qui, Jon.»


n

N.d.A.:

Rieccoci! Finalmente incontriamo vecchie conoscenze, ma non sono le uniche. Vedrete!
Il prossimo capitolo sarà incentrato solo su Jon e Sansa. Ci rivediamo tra una settimana, ma fatevi sentire!

Celtica


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Capitolo 7
*** Lupi del Nord ***


6. Lupi del Nord  

6

Lupi del Nord

 

 n

 

J

on siede sul letto e una fitta di dolore colpisce Sansa alle costole. Dissimula continuando a sorridere. Maestro Ronald aveva detto che in pochi giorni sarebbe stata meglio, ma non aveva fatto i conti con Jon: rivederlo è il modo più veloce per guarire.

«Quando l’hai saputo?» chiede, sentendo il calore della sua mano propagarsi lungo il braccio.
«Stavo andando oltre la Barriera. È stata una fortuna che mi abbiano fermato prima.»

Sansa vorrebbe tanto ringraziare chiunque si sia spinto fuori dal Castello Nero per chiamarlo. Da quando la freccia le ha trapassato il torace – senza toccare organi vitali, stando a quanto dice il maestro – non ha fatto altro che pensare a lui.
L’immagine per superare ogni avversità. Ogni ostacolo.
Non ha molta forza, ma cerca di stringere più forte la mano del suo Lord Comandante. Non ha abiti sotto le pellicce, altrimenti gli chiederebbe di sdraiarsi al suo fianco e cullarla come una bambina.

«Quanto resterai?»

Non dirmi un giorno, pensa.
Non dirmi che partirai domattina.

Jon si sistema meglio sul bordo del letto, senza che gli occhi neri abbandonino il suo viso.
«Finché sarà necessario.»

Non andartene, vorrebbe chiedergli. Ancora. Sempre. Resta qui, con me.
Ha il terrore di pronunciare di nuovo quelle parole. Ha paura di spingerlo a fuggire.

«Ci voleva una freccia per farti tornare qui.» Il suo tono non risulta scherzoso come dovrebbe.
Jon si irrigidisce, ma accenna un sorriso. «Ora sai cosa fare per vedermi.»
«Farmi trapassare da una freccia?» Sansa storce le labbra, cerca di ridere, ma una fitta lancinante glielo impedisce.
Jon si china su di lei, posando una mano sulla sua spalla nuda. «Chiamo il maestro.»
Sta per alzarsi, quando Sansa gli afferra il polso. «No» geme. «Sto bene. Torna qui. Ti prego.»

A quella supplica, lui non fa resistenza. Non come con la Madre dei Draghi. Non come quando Sansa era in salute, protetta dagli uomini del nord.
Ora il suo posto è accanto a lei.

Siede di nuovo, incollando gli occhi ai suoi. Osserva ogni centimetro del suo viso, come se non lo conoscesse. Sansa sente uno strano calore salirle fino al collo. Poi nota il suo sguardo fisso sul lato destro del suo volto, dove ora fa capolino un bel livido violaceo.
Vorrebbe impedirgli di vederlo.

Daenerys non ha mai avuto lividi sul viso. Non con Jon vicino. Non davanti a me. Solo sorrisi, sguardi languidi e parole sussurrate al suo orecchio.

«Ti hanno picchiata?»

La voce di Jon è dura come il granito della fortezza, fredda come il nord.
«No.» A quella domanda, a quel tono, quella di Sansa si riscalda invece come le sorgenti sotterranee che danno calore all’intero castello. Insieme, sono la voce dell’inverno, un intreccio di ghiaccio e fuoco, di calore e gelo. Perché uno non può esistere senza l’altro.

«No» ripete, scuotendo appena il capo. «Quando la freccia mi ha colpita, sono caduta.»
«C’era la neve.»
«Il maestro ha parlato di un sasso. Ho perso i sensi. Non ricordo altro.»
È il suo modo per chiedergli di non indagare, di non mettere la sua vita in pericolo.

«Hai qualche sospetto?» domanda invece lui.
«Jon.» Ora la sua voce si fa tagliente. «Credi davvero che se avessi anche solo il minimo sospetto, le nostre segrete sarebbero ancora vuote?»

Lui sorride. Un sorriso pieno stavolta. «Eccola, la lupa.»

«Siamo tutti lupi» ribatte Sansa. «E nel pieno dell’inverno ci siamo divisi.»
A quella frase, il volto di Jon torna cupo. «Non avevamo molta scelta.»
«Arya ce l’aveva, eppure ha preferito abbandonarmi anche lei.»
«Arya non ti ha abbandonata. E poi non vi sopportavate da piccole.»
«Siamo in inverno, Jon» replica Sansa, ricordando le parole di suo padre. «Il branco sopravvive solo se resta unito.»

«Io sono qui.»

«Sei qui.» La voce di Sansa si affievolisce. «Ma per quanto tempo?»
«Tutto quello che…»
«Sarà necessario» lo interrompe Sansa, voltando il capo alla parete. Le fiamme nel camino guizzano verso la pietra. «L’hai già detto.»

«Ma non è quello che volevi sentire.»
Torna a guardarlo, stringendo le palpebre. «No, non lo è.»

Come potrebbe?
Te ne andrai, e io sarò di nuovo sola.

«Prima o poi tornerà anche Arya.» Jon sembra non riuscire più a guardarla. Stringe il pugno sulla pelliccia che scende oltre il bordo del letto.
Sansa vorrebbe prendergli la mano e distenderla, accarezzarla e posarla sul suo viso. Vorrebbe che Jon ignorasse il suo livido, le scostasse i capelli dalle guance e baciasse la sua fronte.
Che dicesse una parola, una sola, quella che Sansa desidera sentire: resterò.

«Lo credi davvero?» sussurra, piegando la testa sul cuscino. «Non sappiamo nemmeno se tornerà. Figuriamoci quando.»
«Arya tornerà. Non ho dubbi su questo. Chiederò a maestro Ronald di inviare un corvo. Forse riusciremo a raggiungerla.»
«Per fare cosa, Jon? Non la troverai, riusciresti solo a farla preoccupare.»
Jon si alza, lasciando il vuoto intorno a lei. «Li troverò, Sansa.»
All’idea di Jon – solo – in cerca dei colpevoli, il cuore di Sansa perde un battito. Al Castello Nero era arrivata dopo la sua morte, e non riesce a pensare che possa succedergli qualcosa lì, a casa, dopo che anche Sansa è stata colpita.

«No, Jon» mormora, stringendo la pelliccia e cercando di mettersi seduta. «Non voglio che tu lo faccia.»

Jon si china su di lei, posa una mano sulla sua schiena ferita, coperta solo da una fasciatura, e l’altra sulla spalla più lontana da lui.
Sansa sente il suo respiro, la presenza del suo corpo caldo, l’odore di cavallo e cuoio.
Deve aver cavalcato senza mai fermarsi. Lo immagina mentre scende dalla sella e corre per raggiungerla.
Prima che possa allontanarsi, Sansa posa una mano sul suo braccio per sostenersi.

«Chiamo il maestro adesso. Devi riposare.»
«Non ancora. Per favore, Jon, non andare. Voglio che tu resti qui a tenermi compagnia. Vorrei che non mi lasciassi sola.»
«Chi li cercherà, San? Di chi puoi fidarti qui al castello?»

Di te. Mi fido solo di te.

Invece muove le labbra a poca distanza dal suo collo, mormorando al suo orecchio: «Il maestro è inviato dalla Cittadella. Credo di potermi fidare di lui. E la guardia che hai visto qui fuori, e… mi fido di tutti gli uomini del nord.»
Jon non si allontana da lei, restando fermo sul suo corpo. «Fai male. Ad Approdo del Re un uomo del nord ha cercato di uccidermi. Devo sapere con certezza di chi mi posso fidare.»
«Fidati di me allora. Resta qui. Non lasciarmi per cercare nuovi nemici. Ti prego.» Fa uno sforzo per alzare il viso, poi posa le labbra sulla guancia del fratello. È contro la sua barba che riprende a parlare. «Non andartene.»
«Non me ne vado.» Si scosta piano. «Ma non puoi lasciare dei nemici liberi di farla franca.»

«Ci penseranno gli uomini del nord. Ho già dato disposizioni perché sia chiuso ogni accesso a Grande Inverno. Se non sono andati via subito dopo avermi colpito, non potranno più lasciare il castello.»
«Non li troverai mai così, San.»
«Da qui non posso fare molto» replica lei, appoggiando la testa alla testiera del letto. «Quando uscirò da qui li cercherò.»
«Posso farlo io per te.»
«Maestro Ronald pensa che non sia un attacco premeditato, che non ci sia nessuno dietro. Crede…»
«Maestro Ronald si sbaglia.»

Jon si alza in piedi, fa un passo verso la finestra. «Dove è successo?»
«Nel parco degli Dèi. Il giorno in cui sei andato via.»
«Allora chi lo ha fatto ha aspettato che mi allontanassi. Conosceva le tue abitudini. Sapeva che non vuoi guardie nel parco, che saresti stata sola. Quando hai colpito il masso e sei svenuta deve averti creduta morta.»
Sansa corruga la fronte. «L’ho pensato anch’io.»
«E allora perché non hai detto niente?»

Mi fido solo di te, vorrebbe dire. Non fidarti di nessuno.

Socchiude gli occhi prima di rispondere. «Non ripongo molta fiducia nel nuovo maestro. E nemmeno nelle guardie.»
«E temi che se anche loro fossero coinvolti…»
«Sì, che possano avere fretta di uccidermi.»
Jon sgrana gli occhi, si avvicina al letto. «Vuoi far credere ai colpevoli di non avere più nulla da temere.»
«Solo quando sarò libera di uscire da questa stanza potrò spingerli a commettere un errore. E allora capirò chi mi ha tradito. Ma finché sono qui…»
«Sei vulnerabile.»

Vulnerabile.
Lo è stata tutta la vita.

«Sì.»
«Arya lo aveva detto che sei la più intelligente tra tutti noi.»

Sansa sente altre fitte. Non riesce ancora a restare seduta senza soffrire. Cerca di sdraiarsi, e Jon è di nuovo da lei. Scosta le pellicce fino alla sua gola e le accarezza i capelli.
«Devi riposare. Chiamo il maestro.»
«Jon.» Lo ferma prima che possa andarsene. «Tu non te ne vai, vero?»
Lui sorride – ancora, sempre – rendendo meno fredda quella giornata. «Sarò qui, fuori dalla porta. A pochi metri da te.»

n

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Capitolo 8
*** Era lì per ucciderla ***


7. Era lì per ucciderla

7

Era lì per ucciderla

 

 

 

J

on trascorre il resto del giorno vagando per i corridoi del castello, sulle sue mura, parlando con i soldati sparsi ovunque. Chiede se abbiano notato qualcosa di strano, come abbia reagito il popolo alla notizia dell’attacco a Sansa, cos’abbiano cambiato nella difesa.

Poi va nel parco degli Dèi.

La neve ricopre ogni lembo di terra, pesa sulle foglie rosse dell’albero-diga. Jon immagina Sansa seduta alla sua ombra, in quel candore. I suoi capelli rossi che si muovono nel vento. Chiude gli occhi e la vede mentre si alza in piedi, stringendo il mantello di pelliccia tra le dita. Immagina la cadenza dei suoi passi, la sua ombra che scurisce la neve.
Stringe i pugni e i denti e sente ogni muscolo contrarsi.
Conosce bene il suono della freccia che fende l’aria, e gli dà la nausea immaginarla mentre colpisce sua sorella. La vede cadere nella neve. Il corpo che non emette alcun suono.
Avrà gridato? Quanta paura deve aver provato quando ha capito…

Colpita nella sua casa.
Il suo rifugio.
Ma da chi?

Scosta alcuni cumuli di neve finché non trova ciò che stava cercando: il sasso su cui ha sbattuto Sansa. È rimasta una traccia di sangue a farglielo identificare. Jon si piega sulle ginocchia per scorrere le dita sulla macchia sbiadita.
Poi si alza, gli occhi puntati verso gli alberi intorno. Si chiede come abbia fatto l’arciere a nascondersi. No, doveva essere in alto, sulle mura. Ma dove?
Scava la neve con lo stivale, in modo da lasciare due grossi solchi intorno alla pietra. Poi esce dal parco e raggiunge le mura. Le percorre fino a trovarsi nel punto che circonda l’albero-diga. Non vede niente. Nessun solco nella neve, nulla di nulla. Un fantasma?
Continua a camminare e poi scorge qualcosa. Una parte del segno che ha tracciato. Ecco, l’arciere deve aver tirato da quel punto.
Jon si mette in ginocchio, immagina di avere un arco tra le mani. Inclina le braccia e la testa di lato. Sì, la posizione era quella. Ora riesce a scorgere i due solchi. Non è stato un colpo facile. Deve essere un arciere esperto.
Muove i piedi per rimettersi in piedi, ma prima accarezza la pietra sotto di sé.

Lui era lì.
Lui era lì per ucciderla.

Forse, se Jon non fosse partito, se avesse accolto la richiesta di Sansa e fosse rimasto…
Percorre le mura al contrario, vedendo la gente rinchiusa nella fortezza come formiche in un formicaio. Il colpevole è ancora lì?
Poi riconosce il Maestro nel cortile e si affretta a raggiungerlo.

«Maestro Ronald, posso parlarti?»

L’uomo fa cenno di sì con la testa, e lo guida verso la fortezza. «Sto andando da Sua Maestà. Camminiamo.»
Jon vorrebbe rivolgergli diverse domande, ma capisce di non averne il tempo. Quando raggiungeranno la stanza di Sansa, dovrà aver finito…
«So che pensi non sia stato un attacco premeditato» dice, passando davanti a un contadino che regge tra le mani una cassa di uova fresche.
«È così. Sua Maestà è amata dai sudditi. Gli sono grati di averli liberati dal giogo di Approdo del Re.»
A questo, Jon non crede. Conosce il popolo abbastanza per sapere che non è la verità. «Se la amano tanto, perché dovrebbero ucciderla?»
«È una donna. Ed è sola. Questo a molti non piace.»
Il tempo stringe. Jon decide di saltare direttamente al punto. «Magari è a qualche lord che non piace. Qualcuno che potrebbe aver chiesto la sua mano?»

«Non so niente di questo, mio Lord.»

Sono nei corridoi della fortezza. Sono quasi arrivati. «Non è l’attacco di un brigante qualunque» dice, mentre raggiungono la stanza di Sansa. La guardia fa un inchino. «Sono stato nel parco degli Dèi, Maestro. Ho visto. So che qualcuno ha fatto entrare quell’uomo nel castello. Si tratta di un arciere esperto, e non può aver agito da solo.»
La guardia apre la porta di un filo, ma il Maestro è fermo sulla soglia, rivolto a lui. Finalmente ha la sua attenzione.

«Siamo tutti fedeli alla Regina.»
«Non metto in dubbio la lealtà di tutti, Maestro, ma solo di qualcuno. L’arciere ha colpito dalle mura, sopra al parco. E non può esserci arrivato senza essere visto dalle guardie.»
Il volto del Maestro si fa grave. Le rughe ricordano a Jon le pieghe della carta. «È un’accusa pesante, la tua, Lord Comandante.»
Lui non risponde. Rimane immobile davanti all’uomo.

«Sua Maestà aspetta le mie cure» sussurra il Maestro aprendo la porta.

Sansa compare all’improvviso, bagnata dalla luce che entra dalla finestra chiusa. È appoggiata alla testiera del letto, con diversi cuscini dietro la schiena. La pelliccia la copre fino al ventre. Sopra, c’è solo la fasciatura sporca di sangue.
Nell’istante prima che la porta si chiuda, i loro occhi si incontrano.
Jon si ritrova davanti solo assi di legno. Sta sudando. I polmoni chiedono aria – vai fuori, vai fuori – e lui attraversa i corridoi quasi correndo. Non avrebbe dovuto vederla. Non così.

È tua sorella.

Cosa penserebbe Sansa se sapesse?
Cosa penserebbero i lord e le lady del nord se lo vedessero adesso?

Arrivato fuori, si ferma. Poggia la fronte contro la pietra grigia e fredda, senza riuscire a togliersi dalla mente quell’immagine.
Sansa. Sola. Vulnerabile. Davanti a lui.
Deve sbrigarsi a trovare l’arciere, a trovare i colpevoli. Deve tornare presto al Castello Nero.



n

N.d.A.:

Ciao! Speravo di aggiornare prima, ma solo oggi sono riuscita. Per il prossimo capitolo non farò passare tanto tempo. Fatevi sentire!
Celtica


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Capitolo 9
*** Non sono la tua Regina ***


8. Non sono la tua Regina

Video Jonsa

 

8

Non sono la tua Regina

 

 

S

ansa continua a fare quel sogno. Mani che si intrecciano, occhi che si cercano, corpi caldi al sole. Ciocche di capelli neri tra i fili d’erba.

Al risveglio, però, l’attende la neve. Fuori dalla finestra il mondo è bianco, sopra e sotto il cielo. Si porta una mano sul cuore, incapace di dimenticare.
Da quasi una settimana Jon non torna a tenerle compagnia. Passa solo a salutarla, tiene gli occhi a terra e se ne va.
“Ho delle ricerche da fare”, dice ogni volta.
Solo che Sansa non gli crede.
Fa così da quando l’ha vista seduta sul letto, mentre attendeva che il Maestro tornasse a cambiarle le bende. Da quando i loro occhi si sono incontrati.
Un istante così breve… eppure Sansa ha colto quello sguardo. Ha capito. Jon ha capito. Ecco perché non torna a trovarla. Deve aver visto ciò che ora lei vede sempre nei suoi sogni. Deve disprezzarla per questo.

Ora, quando la guardia bussa alla porta, aprendola di pochissimo, Sansa trattiene il fiato riconoscendo Jon.
Lui lascia la porta socchiusa, resta lontano da lei. «Il Maestro dice che tra qualche giorno potrai lasciare queste stanze.»
Perché non chiude la porta?
«È così.»
Jon solleva gli occhi – un istante brevissimo, di nuovo. «Non sembri felice.»

E come potrei? Mi stai evitando.

«Non lo sono.»
Lui sposta il peso da un piede all’altro, passando in rassegna la parete con lo sguardo. È più nervoso del solito. «Li prenderemo, non temere.»
«Non ho paura» mormora Sansa.

Sì, invece. Ma non di ciò che pensi.

Tira le pellicce fino alle labbra, come se si vergognasse di lui. Jon sembra cogliere quel gesto, e si fa ancora più teso. Piega il collo in avanti.
«Dovresti averne» dice, ma la sua voce è strana. Non sembra riferirsi ai suoi nemici.
A quella frase, alza gli occhi e li incolla ai suoi.

«Tu hai paura?» sussurra Sansa.
«Sì.»
«Di cosa?»
Jon si avvicina al letto, aggrotta la fronte. «Non è ovvio? Ho paura che qualcuno ti faccia del male.»

Qualcuno.

Sansa sente un campanello d’allarme a quella parola. “Qualcuno” include chiunque.
«Intendi chi ha provato a uccidermi?»
«Sì» dice, poi fa un passo indietro, verso la porta socchiusa. «Anche.»

«Chi altro?»
Ora Jon non riesce più a guardarla. Ogni cosa in quella stanza sembra più interessante di lei. Soprattutto la porta.
«Cosa non mi dici?» chiede. «C’è qualcosa che dovrei sapere?»
«Nulla. Non preoccuparti. Pensa solo a guarire.»
Poi fa un veloce inchino e in due passi è all’entrata.

«Jon» mormora Sansa, avvinghiandosi alle pellicce.
Vorrebbe chiedergli di restare, parlare con lui di quello sguardo, spiegargli che non è nulla, proprio nulla, e passerà da solo. Vorrebbe dirgli che si è sbagliato, che non ha capito, che tra loro c’è solo affetto e lei non ha mai – mai – desiderato di più.
Lui si volta, in attesa.

Non vede l’ora di andarsene.
Non vuole restare solo con me.

«Niente» dice.

Jon non aspettava altro: posa la mano sulla maniglia e la tira verso di sé. Esce richiudendola alle sue spalle.
Non sono la tua Regina, pensa Sansa. Lunghi capelli quasi bianchi, un drago incatenato ai suoi abiti.
Sansa scorre il dorso della mano sulla pelliccia, ricordando Daenerys coprirla con la sua. Il suo sorriso…

“Amo tuo fratello.”
Non è mio fratello. Quanto avrebbe voluto saperlo prima! È tuo nipote.

La Regina dei Draghi è morta, eppure continua a tormentarla. Sansa immagina il suo spettro vagare nella Sala Grande, frapporsi tra lei e Jon…

“Grande Inverno è tua, Altezza.”

Ora, Sansa preferirebbe gettarsi nel fuoco piuttosto che ripetere quelle parole.
Jon ha preferito la Regina d’argento a lei. Jon non riesce nemmeno più a guardarla.

 
Nel cortile della fortezza c’è movimento. Jon vede le guardie correre avanti e indietro, come se non avessero un capo a guidarle.
«Cosa succede?» chiede.
«Sembra che ci siano dei Bruti al cancello, Lord Comandante.»

«Dei Bruti?» Tormund. Spettro!

Jon corre per raggiungere l’ingresso principale di Grande Inverno, urlando ai soldati. «Aprite! Aprite le porte!»
Fa segno agli arcieri sulle mura, ma tutti sembrano nel dubbio. Se anche l’hanno riconosciuto, non è più il Re. Non è più niente. Non ha potere nel castello.
Raggiunge gli uomini che dovrebbero lasciar entrare i Bruti. «Cosa state aspettando?!»
«Abbiamo degli ordini, Lord Comandante. Non possiamo far entrare nessuno.»

«Loro sono dalla nostra parte! Sono stato io a farli venire qui.»

Poi vede maestro Ronald passare davanti alle stalle, e lo chiama. «Maestro, dì alle guardie di aprire le porte. Lo vuole la Regina.»
«Tu non parli per lei» sibila una guardia.
«Sua Maestà non mi ha detto niente» replica il Maestro, avvicinandosi. «Chi c’è fuori dalle mura?»
«Bruti, Maestro» interviene un uomo. «Hanno oltrepassato la Barriera.»

Jon alza la voce, si rivolge a tutti gli uomini di guardia – e al maestro. «Avete dimenticato chi ci ha aiutati a riprendere Grande Inverno? Avete dimenticato chi ha combattuto al nostro fianco contro il Re della Notte?» Si guarda intorno, cercando gli occhi di ogni uomo che possa ascoltarlo. «Io non l’ho dimenticato!» grida. «E da Lord Comandante dei Guardiani della Notte vi dico che mai più la Barriera dividerà i domini degli uomini! Qualunque uomo – Bruti, ladri e bastardi – sarà sempre il benvenuto al Castello Nero.»

«Qui non siamo al Castello Nero. Non siamo amici dei Bruti» dice uno.
Ma altri scrollano la testa, incerti.
«Quando i morti hanno attaccato il castello, è stato un Bruto a salvarmi la vita» mormora uno.
«Io ho salvato quella di un Bruto» dice un altro. «E lo rifarei.»

Il Maestro passa tra loro, accarezzando la catena che porta al collo. «È stata la Regina a ordinare di chiudere le porte, di non fare entrare nessuno. Non sappiamo chi l’abbia attaccata.»
Jon torna a rivolgersi agli uomini. «Ma sappiamo chi non è stato: i Bruti! Non c’erano Bruti al castello quel giorno.»
«Come lo sai?» domanda un uomo.
«Ero lì» risponde Jon. Poi si volta verso il Maestro. «Avverti la Regina che Tormund Veleno dei Giganti è venuto a proteggerla. Sarà lei a dirti di lasciarli entrare.»


n

N.d.A.:

Il link al video di oggi è nuovo nuovo, pubblicato oggi. Ho preferito usare la stessa copertina di questa storia, visto che inizialmente ero intenzionata a farne un trailer. Cosa pensate dei video su got? Se il capitolo vi è piaciuto, fatevi sentire! A presto!
Celtica


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Capitolo 10
*** Corvi ***


9. Corvi

Video su Arya Stark

 

9

Corvi

 

 

 

 

B

rienne di Tarth cavalca da giorni con Lord Davos e alcuni uomini fedeli. Non pensava che sarebbe tornata a nord. Nonostante la Fortezza Rossa sia piena di fantasmi – Jaime, Jaime – Brienne teme più i ricordi che ha a Grande Inverno.

Teme la nostalgia della sua stanza e di un camino acceso. Di un uomo con una mano sola che ha caldo – è geloso e ha caldo – e dice di non volersene andare.
I momenti più belli della sua vita li ha trascorsi con lui. Solo lui aveva il potere di spezzarle il cuore – ha fatto crack quando ha sellato il cavallo ed è andato via – e solo lui ora potrebbe rimetterne insieme i pezzi.
Ma alla morte non c’è rimedio.

«Non pensavo che sarei tornato a nord» dice Davos, affiancando il cavallo con il suo. «E per ordine di un terzo Re.»

«Stannis non era un vero Re» mormora Brienne senza nascondere il disprezzo.
«In realtà, mia lady Comandante, Stannis era il Re legittimo dei Sette Regni.»
Lei stringe la presa sulle briglie, stringe i fianchi dell’animale e aumenta il passo.
Renly e Jaime. Due uomini, due amori. Due cadaveri.
«Ha usato la magia per assassinare suo fratello» ribatte Brienne. Vorrebbe aggiungere che ucciderlo è stata una delle gioie della sua vita, ma preferisce tacere.

E questa gioia nessuno potrà portarmela via.

«Lo neghi?» domanda a Davos.
Lui scuote la testa. «Non lo nego, ma questo non lo rende meno legittimo.»
«Forse ai tuoi occhi.»
Ma poi ricorda Sansa in compagnia di Ditocorto. Le sue parole di rifiuto, prima di essere venduta ai Bolton.

“Ti ho vista inchinarti dinanzi a Joffrey.”

Spinge il cavallo al trotto e si allontana dalla compagnia. Ha bisogno di restare sola. Non vuole parlare. Le parole portano brutti ricordi.
Poi riconosce la strada, il ponte di pietra.
Rammenta una risata e una spada rubata. Un uomo non più in grado di combattere.

Stringe gli occhi e fa fermare il cavallo. «È qui che ci hanno presi» sussurra, a nessuno in particolare.
Quel giorno, risparmiare la vita di un contadino è costato molto. La libertà, una mano, il tradimento di un alfiere al suo Re.

“Devo riportare a casa le ragazze Stark.”
“Troverò Sansa. Per lady Catelyn.”
Uno sguardo, il respiro che si ferma. “E anche per te.”

 

 

Quando maestro Ronald ritorna con l’ordine di aprire le porte, Jon non riesce a trattenere un sorriso. Non è solo per gli uomini che stanno entrando o per il metalupo che lo raggiunge per leccargli le mani e il viso. È anche per Sansa.

«Piccolo corvo» esordisce Tormund, colpendolo con una manata sulla schiena. «Mi hai fatto tornare a sud a soffrire il caldo.»
«Questo è il nord» dice Jon, ridendo.
«È il sud per me.»
Jon gli fa dei cenni di ringraziamento. Saluta la decina di uomini che Tormund ha portato con sé. Poi prende lui da parte, in modo che possano parlare senza essere uditi dalle guardie.

«Ora è Sansa la regina» sussurra.
«Noi non ci inchiniamo.» Le parole di Mance.

«Non sei qui per questo. Hanno tentato di ucciderla.» Fa una pausa, guardandosi intorno. «Non mi fido di nessuno qui, e ho bisogno di gente fidata per trovare chi la vuole morta.»
Tormund si batte una mano sul petto. «Sbrighiamoci allora. Alle donne del sud non piacciono i Bruti.»
Jon fa un grosso sorriso. «Più tardi parleremo. Ora devo fare una cosa.»

«Sbrigati, piccolo corvo! Il nord ci aspetta!»

Jon raggiunge il cortile, dà disposizioni al maestro di trovare un alloggio ai Bruti all’interno della fortezza, poi va a cercare Spettro. Ma è il metalupo a trovare lui.
«Ehi» lo saluta, chinandosi alla sua altezza per guardarlo negli occhi. «Mi sei mancato.»
Gli gratta il collo, poi l’orecchio. Scorre il dito sopra quello mancante, senza toccarlo. Si alza e lo guida nel castello.

Quando raggiunge la camera di Sansa, sente un groppo in gola.
Ha capito di cosa ha paura. Ha visto i suoi occhi tristi mentre lo guardava muoversi nella stanza. Non vuole spaventarla. Deve aver riconosciuto il lampo di desiderio che gli ha lambito le viscere. Forse sospetta che vada avanti da tempo…
La sua bella sorella. Che aspetta il momento giusto per trovare i suoi assalitori. Ferita in un letto che non può lasciare.
Ora che il maestro ha dato il permesso alla guardia di lasciarlo entrare, Jon gli fa solo un cenno, accarezzando la testa di Spettro.
La guardia apre la porta di pochissimo, in modo da non vedere nulla.

Nessuna pelliccia sul ventre, nessuna fasciatura sul petto. E nemmeno i capelli rossi sparsi sul cuscino, o gli occhi azzurri come il cielo d’estate che sembrano leggerti dentro.
Spinge la porta, e Spettro entra come un fulmine nella stanza. Raggiunge il letto, posando le sue enormi zampe bianche sulla pelliccia – ciò che non può fare lui.
Sansa, addormentata, solleva la testa di scatto.

«Spettro?» domanda incredula. «Spettro!»

Le braccia nude lasciano il rifugio sicuro delle coperte e afferrano la testa del metalupo. Lo grattano sul collo, percorrono il muso e lasciano che il naso nero raggiunga il suo viso.
Jon posa gli occhi sulle sue mani, percorre la linea tesa del braccio fino alla spalla ricurva.
Non può restare in quella stanza. Non può.

«Dov’è Tormund?» chiede Sansa, non appena lui si volta verso la porta.
«Lo vedrai presto.» Poi si rivolge al metalupo bianco, mentre gli occhi sono due torce rosse puntate su di lui. «Resta qui, Spettro. Proteggila.»

Proteggila per me.

 

 

Una tempesta ha colpito la nave. Bisogna tornare indietro, dice tutto l’equipaggio. Ma lei vorrebbe proseguire, ed è lei il Capitano. Spetta a lei decidere se scoprire nuove terre valga il rischio.
Finché qualcuno non la chiama, puntando il dito verso il cielo coperto di nubi.
Arya copre la fronte con il braccio e guarda in alto. Stringe le palpebre, e poi, finalmente, lo vede.

Un corvo.
Un piccolo corvo nero che affronta le avversità del mare.

Siamo ancora vicini a terra, si dice.

La nebbia di quei giorni le ha impedito di trovare una direzione. Non c’erano stelle a guidarla.
Ma un corvo in mezzo al mare non lo aveva mai visto, nemmeno nei suoi sogni.
Lo osserva planare verso di loro, e si chiede di quale magia sia frutto quell’immagine.

«Non è possibile» mormora, guardandolo cadere.

Il vento lo aiuta a ritrovare la via, lo porta fino alla nave.
Arya corre sul ponte, dove il corvo si è appena posato. Vede un uomo stupito quanto lei.

«Come si insegna a un corvo a raggiungere una nave?» chiede lui. «Come può trovarla?»
Arya scrolla le spalle. «Sei tu l’esperto di navi.»
«Di navi. Non di corvi. Quelli sono animali di terra, e l’esperta di terra sei tu, Capitano.»

Lei lo ignora. Non ha idea di quale magia ci sia voluto per portarlo fin lì, né se sia davvero per lei. Sa solo di non aver mai visto niente di simile.
Lo raggiunge e si china per prendere il messaggio.
Le basta riconoscere il sigillo per capire che la sua avventura è finita.

Se mi hanno trovata in mare, significa che è grave. «Torniamo indietro» ordina alla ciurma.

n

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Capitolo 11
*** Sono qui per te ***


10. Sono qui per te

10

Sono qui per te

 

 

A

vere Spettro ai piedi del letto la rende più sicura. Ha come l’impressione che Jon sia lì con lei, senza i suoi occhi bassi e il suo tono distaccato. Senza la vergogna che prova ora Sansa in sua presenza.

Il metalupo è affettuoso.

Ogni volta che Sansa apre gli occhi, lui è lì. Se Sansa lo chiama, Spettro posa il muso sulla pelliccia e si lascia accarezzare. Mangiano insieme, anche se spesso lei gli cede parte del suo pasto.
Ed è la scusa migliore per rivedere Jon. Sansa resta sveglia finché non lo vede entrare, poi socchiude gli occhi e finge di dormire. Ascolta il suono dei suoi passi sulla pietra, il suo respiro e l’agitarsi della coda di Spettro. Ode il pelo strusciare contro la parete, la porta che viene chiusa. Un attimo di troppo. Ogni volta. Come se Jon si fermasse sull’uscio a guardarla.
Controlla che non stia fingendo? Forse, semplicemente, si preoccupa per lei.

Jon è quello buono.
Jon non prova ciò che non dovrebbe provare per una sorella. Jon è quello pronto a giurarle che Ramsay non la toccherà mai più, e che nessuno le farà più del male.
Ed è pronto a uccidere chi ama per mantenere quella promessa.
Quando sa di essere sola, Sansa tira la testa indietro sul cuscino e cerca di addormentarsi. È maestro Ronald a svegliarla, a meno che Spettro non torni prima.

«Devi riposare, Altezza» dice ogni volta.
«Non ne posso più di riposarmi, Maestro.»

«Ancora poco. Non pensarci, dormi, e presto potrai lasciare queste stanze.»
Ma i giorni non bastano mai. Ogni volta che Sansa si illude di potersi alzare, il Maestro la costringe a letto. Ancora un giorno. Sempre un giorno. Ma quel giorno sembra non finire mai.

 

Jon controlla i dintorni del castello con Tormund da giorni. Non ha più parlato con Sansa. Non riesce a restare nella stessa stanza da solo con lei ora che è ferita. Pelle nuda, capelli rossi sparsi sul cuscino. C’è Spettro con lei, ed è come se fosse rimasto anche lui.
«Guarda là.» Tormund indica la strada del Re. Dalla sommità di Grande inverno si vede bene.
Jon osserva quel punto, percorso da un gruppo di cavalieri. Sembrano formiche da lassù, ma sono i colori dei vessilli quelli che lui nota: bianco e nero. Un corvo con tre occhi.

Bran sa.

Per un brevissimo istante, Jon si chiede se non stiano arrivando per lui. Ha lasciato il Castello Nero senza avvertire il Re… Ma nonostante Bran sia il Corvo con Tre Occhi, nonostante sia il Re dei Sei Regni, Non riesce a crederlo davvero. No, Bran non lo farebbe mai. Bran è suo fratello.

«Ci sono troppi Re a sud» dice Tormund, guardandolo.
«Ti sbagli. Sono solo due.» E sono entrambi miei fratelli.

Raggiungono il cortile e Jon dà l’ordine di aprire le porte. Non sa chi ci sia dall’altra parte, o il vero motivo per cui questi uomini si siano spinti tanto a nord, ma il vessillo di Bran è sufficiente. Nelle sue mani, è come una chiave capace di aprire ogni porta.
«Chi siete?» grida una guardia dalle mura.

«Lord Davos Seaworth e Brienne di Tarth, Lady Comandante della Guardia Reale, inviati da Sua Maestà, Re Brandon Lo Spezzato.»

Nel riconoscere quella voce, Jon fa un passo avanti. «Aprite le porte» ripete.
Le guardie non lo ascoltano. «Cosa cercate così a nord, Lord Davos?»
Solo Tormund si guarda intorno. «La donna grossa è qui?»
«Sua Maestà il Re ci ha mandati in aiuto alla Regina. Parleremo solo con lei.»
«Sua Maestà la Regina non può parlare con voi» dice qualcuno.
Jon corre su per le scale, si affaccia alle mura. «Parlerò io per lei.»
«Non puoi» sibila un altro.

«Jon!» Davos solleva la mano senza dita. «Ci lasci qui fuori?»
«No.» Lui si volta. «Informate sua Altezza che Lord Davos e Ser Brienne sono giunti a Grande Inverno per vederla.»
Solo un ragazzino annuisce e corre alla fortezza. Le altre guardie restano a guardarsi, senza muoversi.

«Tormund.» Jon lo guarda dall’alto delle mura. «Dì ai tuoi uomini di aprire le porte.»
Le guardie impugnano le spade e sollevano gli scudi, spostandosi davanti all’ingresso principale.
A Tormund basta un grido perché i Bruti lo raggiungano. Non sembrano spaventati dallo scontro. Alcuni sorridono.
«Spostatevi» ordina Jon alle guardie. «Lasciateli passare, è ciò che vorrebbe la Regina.»

«Lei non è qui. E noi stiamo eseguendo i suoi ordini.»

I Bruti avanzano, sfoderando le spade. Alcuni spintoni, l’acciaio che si incrocia, sono tutti pronti a combattere.
«Fermi!» grida Jon. «Che cosa fate? Avete combattuto insieme, proprio qui, a Grande Inverno. E ora sareste pronti a versare il sangue gli uni degli altri?»
Un tempo, gli uomini ascoltavano le sue parole. Combattevano nel suo nome ed erano pronti a riporre le armi a un suo cenno. Ma a sud della Barriera quel tempo è finito.
E mentre le guardie incrociano le spade con i Bruti, solo il grido di maestro Ronald riesce a dissuaderli dal continuare.

«Aprite le porte» dice poi. «Per ordine di Sua Maestà la Regina.»
Davos e Brienne sono i primi a entrare, sotto lo sguardo sconvolto di Tormund. Ma il Maestro si avvicina a Jon, e basta un sussurro per farlo preoccupare.

«Sua Altezza vuole ricevere questi ospiti personalmente» mormora, così piano che solo Jon possa sentirlo. «Anche se le ho detto che è un rischio lasciare il letto così presto.»
Jon saluta Davos e Brienne, la mente rivolta a un altro angolo del castello. Poi lascia il cortile, affrettandosi a raggiungere la fortezza. Solo quando si trova davanti a quella porta – la sua porta – lascia andare un lungo sospiro.
Bussa sotto l’occhio attento della guardia.

E quando la porta viene aperta, è Spettro a dargli il benvenuto.
Sansa è in piedi, aggrappata al letto, mentre due ancelle sistemano un mantello di pelliccia sulla sua schiena. Nemmeno si volta, nemmeno lo vede.
«Sei tornato per convincermi a non uscire, Maestro?» Il sarcasmo trapela dalle parole di Sansa.
Ha i capelli scostati sulla spalla, il collo bianco ancora in vista.

«Sì» risponde Jon, facendola trasalire. «Non dovresti ancora alzarti.»
Lei volta la testa di scatto, allontanando le mani delle ancelle. «Lasciateci» dice.
È solo quando la porta si chiude, con Spettro sdraiato davanti all’entrata, che Jon si avvicina.

«Potranno vederti un altro giorno» dice, cercando di contenere l’irritazione. «Se Bran li ha mandati fin qui, devono aver ricevuto l’ordine di restare. E vederti un giorno prima o un giorno dopo non farà differenza.»
«Non voglio che mi credano in fin di vita» dice Sansa. Ha la voce debole, come se restare in piedi e parlare le costasse un grande sforzo.
«Non lo crederebbero mai… C’è Brienne con loro. E sai quanta stima abbia di te.»
«Perché non vuoi che li veda?» chiede Sansa, cercando di sedere sul letto.

Jon la raggiunge. Le posa una mano sul fianco e la aiuta a chinarsi. La pelliccia è morbida sotto le dita, calda come se fosse stata appesa accanto al fuoco. Anche lui sente calore, improvviso e letale. Una fiamma che gli sale al cervello.
Si allontana come se si fosse scottato.

«Io voglio che tu li veda.» Cerca di controllare la voce, ma è troppo bassa, troppo roca. China gli occhi a terra. «Ma quando starai meglio.»
«Io sto meglio.»
«Maestro Ronald dice che i primi giorni sei migliorata in fretta. Ma ultimamente è come se avessi smesso di lottare. Dice che ti stai buttando giù, e che per questo impiegherai più tempo prima di rimetterti.»

Con la coda dell’occhio, osserva le sue mani – dita lunghe e affusolate, pelle bianca, che non ha mai lavorato né impugnato una spada. Pelle da toccare – e le vede stringersi in grembo.
Vorrebbe afferrarle e trarla a sé. Vederla in piedi – tra le sue braccia – sapere che è al sicuro.

«Non è per la ferita che mi trova in questo stato.»
«E per cosa?» Ora Jon la guarda. I capelli che scendono oltre un lato del collo lasciano il suo viso bene in vista, proprio dal lato dove l’ematoma sta ingiallendo.
Sansa non risponde, si limita a chinare il capo.

«Mi ha detto anche che non stai mangiando molto. Ma da quando hai Spettro con te trova sempre il piatto pulito.» Resta in silenzio e stringe il pugno. Sa che avrebbe dovuto affrontare quel discorso molto prima. «Dai tutto a lui, vero?»
Gli occhi di Sansa si sollevano su Spettro. «Non tutto.»
Jon sospira, abbassa il mento e sposta il peso da un piede all’altro. È tentato di avvicinarsi, ma sa che a quel punto non riuscirà a trattenersi dal prenderle le mani, sederle accanto e stringerla a sé. Conosce fin troppo bene le sensazioni che prova il suo corpo accanto a quello di Sansa.

«Sansa…»

Dovrebbe suonare come un rimprovero, ma gli basta incontrare i suoi occhi – per la prima volta dopo giorni – per mettere da parte i suoi propositi e raggiungerla. Ancora. Sempre. Come se il suo sguardo fosse una calamita a cui non può resistere.
«Non puoi rimetterti in forze se non mangi.»
«Mangio» ribatte lei. Lo dice come se ci fosse altro, un motivo che l’ha spinta a perdere appetito. E Jon darebbe un anno della sua vita pur di sapere cosa sia. «Non dovresti preoccuparti per me.»
Lui non capisce. Non capisce niente quando le sta così vicino.

Poi Sansa cerca ancora i suoi occhi. «Sei il Lord Comandante dei Guardiani della Notte» dice in tono sofferente. «Il tuo posto è alla Barriera. Non accanto a me.»

Per Jon quelle parole sono una doccia gelata. Come quando ha visto Olly – e gli altri confratelli – piantargli un pugnale nel cuore. Come quando Daenerys ha nominato Grande Inverno e Tyrion e Arya hanno tirato in ballo Sansa. Come aver tenuto tra le braccia il corpo senza vita di Ygritte. O sapere che suo padre, Ned Stark, era morto ad Approdo del Re. E Robb… E Rickon. O scoprire che Grande Inverno era caduta per mano degli uomini di ferro.
Sansa non lo vuole a Grande Inverno. Sansa non lo vuole nella sua stanza. Accanto al suo letto. Al suo fianco.
Jon fa un passo indietro, poi un altro. Si sente come stordito.

«Jon?»
«Mi hai chiesto di restare» mormora.

Sì, te l’ha chiesto. Ma prima che la vedessi coperta solo da una fasciatura. Prima che la guardassi come si guarda una donna.

Jon raggiunge la porta ed è pronto a varcarla.
«Dove vai?» La voce di Sansa è un sussurro.
«A preparare la Sala Grande per accogliere la Regina.»

«Dovresti sellare il tuo cavallo, invece.» Sansa ha la tristezza negli occhi. «E andare via da qui il più in fretta possibile. Prima che Davos informi Bran della tua presenza.»
Jon scuote la testa. Non riesce a trattenersi – mai, con lei vicino. «È per Bran che mi stai mandando via?»
«Quale altra ragione avrei?»
Lui torna indietro, fronteggiandola dall’alto. «Davos non è qui per me.» Segue la linea della spalla, il collo lungo, bianco come il latte. Solo quando raggiunge il suo viso i suoi occhi si fermano. «Davos e Brienne sono qui per te

E ci sono anch’io.

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Capitolo 12
*** A cavallo di un Drago ***


11. A cavallo di un Drago

11

A cavallo di un Drago

 

 

S

ansa sta tremando. La finestra è chiusa, il camino acceso, ma Jon è di fronte a lei, i muscoli tesi come se stesse trattenendo la rabbia.
Tutto ciò che vorrebbe ora è sentirsi dire che lui non se ne andrà. Né quel giorno, né mai.
Ma sa che se suo fratello resta – è tuo fratello, tuo fratello – è solo per proteggerla e trovare chi complotta contro di lei.

«Come sai che non sono qui per te?»
Jon sorride – il cuore fa una capriola nel petto di Sansa. Non te ne andare. «Davos è stato al mio fianco per molto tempo. Chi manderebbe un uomo fedele ad arrestare chi ha servito prima di lui?»

«Ma ora non è più fedele a te» insiste Sansa. «È fedele a Bran.»
«Conosco Davos» ribatte Jon. È così vicino che con le gambe potrebbe sfiorarle le ginocchia. «È un brav’uomo.»
«La bontà non c’entra nulla quando c’è di mezzo il potere. Dovresti saperlo bene.»

Lui sospira – ancora, sempre – e appoggia una mano all’asta del letto. «Mi fido di lui.»
«Non dovresti fidarti di nessuno.»
Jon si piega in avanti, vicino al suo viso. «Quindi non ti fidi di Brienne?»
«Brienne non mi farebbe del male.» Non riesce a staccare gli occhi dal suo volto. Le cicatrici, la barba accennata, i riccioli che gli sfiorano le guance. «Lo ha giurato a mia madre.»
«Bene allora.» Jon sembra soddisfatto.

«Ma non ha giurato nulla su di te, Jon» sussurra.

Vede le iridi nere sgranarsi, la consapevolezza di quanto ha appena sentito. Sono così vicini che, quando lui deglutisce, Sansa ne sente il suono. E quando le labbra di Jon si schiudono appena, lei vorrebbe solo allungarsi e toccarle con le sue.
Finalmente conoscerebbe il suo sapore.
Solleva una mano e la posa sulla sua guancia. Sente la barba ruvida sotto le dita e ne segue la traccia, fino a premere il pollice sul suo mento. Cerca i suoi occhi. Vorrebbe solo perdersi in quei pozzi neri e lasciare che il fuoco ardente dentro di lei prenda il sopravvento.

«Correrò il rischio» dice Jon, la voce roca.

«Non voglio che tu lo faccia.» Sente una grande tristezza dentro, ora. La paura che possano fargli del male. La disperazione del desiderio che prova per lui. Adesso, allontanarlo da sé è l’unico modo per proteggerlo.
Lascia scorrere le dita fino alla sua bocca, accarezzandola.
Lo vede chiudere gli occhi. Sembra teso come una corda, e Sansa vorrebbe solo scioglierla e lasciarlo andare.

«Devi tornare al Castello Nero, Jon.»
C’è così tanta dolcezza in quell’ultima parola. Non sembra che lo abbia chiamato per nome. Sembra che abbia nominato la primavera osservando petali bianchi cadere dagli alberi.

Sente ancora dolore – tantissimo – e sollevare anche l’altro braccio le dà una scarica lungo la schiena, come se qualcuno l’avesse appena colpita. Ma vuole prendere il suo viso – il viso di Jon. Cicatrici. Pozzi neri in cui perdersi. – tra le mani. Vuole avvicinarlo a sé e imprimere ogni dettaglio nella mente.
Per non dimenticarlo mai.

E quando lo fa, prendendo il suo volto, le mani di Jon corrono ai suoi polsi. I suoi occhi si sgranano, come se avesse paura.
Sansa teme che quel momento passi. Non avrà un’altra occasione. Forse non lo rivedrà più.
Ed è quel pensiero a sconvolgerla. È quello a spingerla in avanti, a occhi chiusi, cercando la sua bocca. Quando la trova, posando le sue labbra su quelle di Jon, lui la allontana piano.
Ha uno sguardo strano. Come se una luce avesse illuminato una grotta buia nel mezzo di un temporale. O come se un fulmine avesse squarciato il cielo incendiando il bosco.

Non andartene.

Chiedergli scusa, implorarlo, non serve. Sansa non riesce a parlare. Non ha voce. Non ha fiato. Sta trattenendo il respiro, finché non si accorge che Jon sta facendo lo stesso.
Poi sente la presa sui polsi farsi più delicata. Il tocco delle dita scorrere lungo il braccio e tornare indietro. Un dito accanto all’altro, mani che si intrecciano. Le unghie di Jon sono cortissime, eppure Sansa le sente sulla pelle. Ha un brivido.

Stavolta è lui ad avvicinarsi. Stavolta è lui a baciarla.
Sansa si lascia travolgere da tutte le sensazioni di quel bacio. Non è come nei suoi sogni. È come se Jon l’avesse sollevata da terra e portata in alto, volando con lei intorno al mondo a cavallo di un drago. È fuoco che brucia nelle viscere, e sangue che corre e che canta. È camminare su un lago d’inverno mentre il ghiaccio si spacca.
E quando Jon si allontana – di nuovo, sempre – non c’è più paura nei suoi occhi. Ma solo lo stesso desiderio che Sansa sente bruciare dentro di sé.
Vorrebbe dirgli tante cose – resta, non andartene – ma non riesce a parlare, non ancora. Il dolore per la ferita è fortissimo, batte a ritmo con il suo cuore. Non le dà tregua.

«Altezza!»
Una voce. Un bussare sommesso alla porta.

Jon indietreggia così in fretta da inciampare. Non cade per un pelo, perché Spettro è già in piedi alle sue spalle.
E prima che qualcuno entri, lui muove le labbra e le indica le guance. Sei bellissima.
Possibile che l’abbia solo immaginato?
Sansa si schiarisce la voce, poi si rivolge alla porta chiusa. «Avanti.»

Maestro Ronald entra e lancia uno sguardo a entrambi. Sansa non sa cosa stia pensando, non sa cos’abbia capito. Sa solo che vorrebbe cacciarlo via e chiudersi a chiave in camera con Jon.
«Altezza, visto che vuoi fare questa cosa, facciamola in fretta. Così dopo potrai riposare.» Un’occhiataccia a Jon, e Sansa sente il cuore sprofondare di vergogna. «Senza essere disturbata.»
«Di cosa parli, Maestro?»
«Non volevi incontrare gli uomini inviati da Re Brandon?»
«Certo.» Sansa china il capo. Se prima era rossa, ora sente di avere il fuoco nelle guance, fino alle orecchie. «Facciamo questa cosa.»
E subito dopo incontra gli occhi di Jon e il suo sorriso.

 

N.d.A.:

Ciao! Volevo avvisarvi che potrei non aggiornare per tutto il mese di agosto. Insomma: ci proverò, ma non garantisco. Grazie a chi continua a leggere questa storia! A chi è così gentile da lasciarmi sempre un parere (grazie fenice!) e a chi l’ha aggiunta tra seguite e preferite. Ci rileggiamo presto!
Celtica

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Capitolo 13
*** Cerchio Protettivo ***


12. Cerchio Protettivo

12

Cerchio Protettivo

 

 

  

S

ono tutti riuniti nella Sala Grande, al cospetto di Sansa. Jon li guarda inginocchiarsi uno a uno, ma la sua mente è rivolta altrove. Al viso di Sansa. A come sono diventate rosse le sue guance dopo il bacio. Non è mai stata più bella.
Nemmeno rivederla al Castello Nero – una donna, non più una bambina – è stato come quel momento.
Al Castello Nero, Jon sapeva di aver ritrovato la sua famiglia. Ora si chiede cosa siano loro due.

«Altezza, è un piacere sapere che stai bene» esordisce Brienne, sotto l’occhio attento di Tormund.
Lui non si è inginocchiato, ma è in piedi accanto al tavolo a cui è seduta Sansa.
«È un piacere anche per me, Ser Brienne.»
«Perdonami, Altezza.» Davos solleva la testa. «Ma ora è con la Lady Comandante della Guardia Reale che stai parlando.»
Sansa non sorride. Alza il mento e lo guarda. «E tu, invece? Cos’ha fatto di te mio fratello?»
«L’idea è stata di Lord Tyrion, Vostra Grazia. Ha fatto di me un Lord e il mastro delle navi.»
A quel nome, il volto di Sansa si incrina. Jon china la testa. Sono stati sposati… anche se Tyrion non l’ha mai toccata.

«Cosa vi porta così a nord, miei Lord?»
«Sua Altezza Re Brandon ci ha inviati in tuo soccorso.»
Poi Sansa volta il capo verso Tormund. «Ti ringrazio per essere venuto.»
Ma Jon sa che quelle parole sono anche per lui. Sua sorella sta facendo di tutto per non guardarlo, e questo è sufficiente a farlo sorridere.

«Ci hai ospitati nel tuo castello durante la battaglia» risponde Tormund.
«Era il castello di mio fratello.»

Mio fratello.
Jon si sente teso come si è sentito in tutti quei giorni trascorsi lontano da lei. Vorrebbe trascinarla via da tutti quei lord, dai suoi Consigli, e smettere di parlare. Non possono permettersi di pensare a quanto è successo.

“Anche tu?”, avrebbe voluto dirle quando ha capito, quando Sansa stava per baciarlo.
“Anche io.”

Ma le parole sono vento. E qualunque cosa possano dire metterebbe in pericolo entrambi.
«Altri non avrebbero accettato Bruti nel loro castello» replica Tormund. E Jon sa che non ci saranno altri ringraziamenti da parte sua.
«Siete amici di mio fratello.» Sansa solleva il mento. «Siete amici miei.»
Tormund fa solo un cenno di assenso, come se Sansa si fosse appena meritata il suo rispetto. Poi Jon vede entrambi posare gli occhi su Brienne.

«Vi ringrazio per essere qui.»

Stavolta è Brienne a prendere la parola, rubandola a Davos. «Re Brandon voleva assicurarsi che stessi bene, Altezza. E farti sapere che lui non ha nulla a che fare con tutto questo.»
Sansa continua a osservarla. Jon riesce quasi a sentire i suoi pensieri che prendono forma nella sua mente.
«Gli hai chiesto tu di venire?» domanda poi, davanti a tutta la Corte.
Tutti gli occhi sono puntati su Brienne. A nessuno sfugge la sua esitazione.
«L’ho giurato a lady Catelyn.»
Sansa abbassa le palpebre. «Ti ringrazio.»

“Non ha giurato nulla su di te, Jon.”

Sente il cuore battere più veloce. Non vuole allontanarsi da Grande Inverno – da Sansa – anche se Brienne potrebbe decidere diversamente.
Potrebbe scrivere al suo Re, chiedergli come comportarsi. E Bran non è più Bran. Bran è il Re dei sei regni. Bran potrebbe decidere di punirlo secondo la legge. Anche perché ora che Sansa è in pericolo, solo quella punizione potrebbe tenerlo lontano da lei.

Ora che so cosa prova.

E d’un tratto tutto si fa chiaro: la tristezza di Sansa, la mancanza di appetito, la lentezza della sua guarigione.
Sansa stava così per lui, per Jon.
Arretra nella Sala Grande, mentre Davos si riappropria del suo ruolo di inviato e ricomincia a parlare.

«Hai scoperto chi è stato, Maestà?»
«Pensiamo a un attacco isolato» interviene maestro Ronald. «Opera di qualche brigante.»
«Perché un brigante dovrebbe attaccare la Regina?»
«Malcontento…»

«Forse perché sono una donna» lo interrompe Sansa. «O forse non si tratta di un brigante. Magari c’è di più… Non mi è stato possibile indagare, miei lord. Magari voi potrete aiutarmi in questo.»
A Jon non sfugge lo sguardo che maestro Ronald scambia con una guardia. Si chiede perché. Che motivo avrebbe un maestro della Cittadella, che nemmeno conosce Grande Inverno? Che nemmeno conosce Sansa.

Se la conoscesse non vorrebbe farle del male.

Eppure il maestro ha avuto tante occasioni per colpire. Tante occasioni per non sbagliare senza farsi scoprire.
Jon decide di tenerlo d’occhio. Lui e le guardie più vicine a Sansa. E pensa anche un’altra cosa: ovunque lei vada ora, ovunque si trovi, Spettro dovrò essere con lei. E Tormund, o Brienne.

O io.

 

Arya ha preso un cavallo e viaggia sola per tornare a Grande Inverno. Non ha inviato corvi, non si è fermata ad Approdo del Re a chiedere a Bran – lui sa. Ha tirato dritto per la sua strada.
Ha tutta la Strada del Re da percorrere, tanto tempo per pensare.
Qualcuno ha colpito Sansa. Qualcuno la vuole morta. Si chiede se Jon lo abbia saputo, se si stia informando sulle condizioni della sorella. Lui è vicino. Gli basterebbe poco per raggiungerla e assicurarsi che stia bene.
Lo conosce abbastanza da sapere che il suo desiderio è la loro felicità. La loro salute. Ma è abbastanza per lasciare il Castello Nero? È abbastanza per ignorare il suo giuramento?

L’ha già fatto.

Con la donna dei Bruti.
Sta pensando a tutto questo quando si accorge del fumo. È mattina, e le terre che attraversa non sono ancora bianche di neve. Ma il fumo… quello sale dritto, rendendo grigio il cielo. Non è il fuoco di un camino, no, ma potrebbe essere quello di cento camini.

Arya tira le redini e si ferma. Grande Inverno è lontano. Mentre il fumo è lì, a poche ore di distanza. Scoprire cosa succede non le ruberà più di mezza giornata di viaggio.
Affonda i talloni nei fianchi dell’animale e lo sprona al galoppo. Si inoltra nel bosco ancora verde, dove terreno e massi sono ricoperti di muschio. Non cantano gli uccelli. Non c’è rumore.
Il cavallo corre, svolta ogni volta che Arya si muove su di lui, indicandogli la direzione. Quando si ferma, ha il respiro affannato, le vene in vista dopo lo sforzo.
Lei volteggia giù di sella. Gli accarezza il collo e lega le redini al ramo basso di un albero.
Poi lo lascia lì.
È brava a camminare di soppiatto, a non farsi sentire. Percorre una certa distanza prima di sentire quelle voci. Non riesce a capire cosa dicano. Parlano una lingua che lei non conosce.

Da dove arrivano? Cosa ci fanno lì?

Poi ode un pianto.
C’è una donna con loro. La trascinano per i capelli.
La mano di Arya corre al pugnale in acciaio di Valyria, il dono di Bran.
Si avvicina, nota un gruppetto di case in una radura, corpi stesi a terra. Non ci sono lamenti. Sono tutti morti. Un gruppetto di uomini sta bruciando i tetti di paglia, un altro passa in rassegna i cadaveri prendendo ciò che trova.

La donna grida. Arya volta la testa indietro, verso il folto bosco.
Torna sui suoi passi, il pugnale in mano.
C’è un uomo solo, chino su un corpo di ragazza. Arya gli arriva alle spalle senza fare rumore. Si accorge di lei solo quando si sente sollevare la testa, e non ha nemmeno il tempo di urlare quando la lama scorre sulla sua gola, squarciandola.
Manca l’altro uomo.
La ragazza smette di urlare, ha il terrore negli occhi.

«Vattene» le dice Arya.

Ma lo sguardo della giovane si posa sul pugnale sporco di sangue, come se rivedesse in Arya un’altra sé stessa. «Non ci farai niente con quello» riesce a mormorare.
«Ho ucciso di peggio con questo.» Solleva la lama, e in quel momento ode un rumore alle sue spalle.
Si volta, e il pugnale è già in volo. Punta dritto all’altro uomo. Lui riesce a urlare prima di morire. È una parola che Arya non conosce, in quella lingua che non ha mai sentito.
«Va’ via» ripete alla ragazza, mentre gli uomini rimasti sono fermi a osservare il bosco.

Poi estrae Ago – finalmente – il sorriso di Jon Snow, il filo che la lega a Grande Inverno.
Esce dal fitto degli alberi e si lascia accerchiare da quegli stranieri. Avrebbe tante domande da fare, ma non è il momento. Ha deciso: ne lascerà vivo uno per dopo.
I suoi passi sono come una danza, come quando ha ucciso gli Estranei a casa sua. Ora deve uccidere altri estranei in una terra che non le appartiene.
Ago scivola sopra e sotto di lei, forma un cerchio protettivo intorno al suo corpo. E poi colpisce. Il primo ad avvicinarsi è già a terra, a reggere un buco nel petto.

Infilzali con la punta.
Il secondo uomo impreca in quella sua strana lingua, ma Arya è sicura che la stia minacciando di morte.

Non oggi.

Ago ruota intorno a lei, è come un nastro che danza nel vento. Forma un sorriso sul ventre dell’uomo, ed è il suo piede a spingerlo a terra. Lui ci metterà di più a morire.
Ora che ha ciò che voleva, Arya non ha più freni. Ruota la spada come ruoterebbe il braccio in una danza del sud. Lascia che il suo acciaio canti contro quello dei suoi avversari, che esplori i loro corpi e baci il loro sangue.
E poi non resta più nessuno in piedi. Solo lei.

Pulisce la lama negli abiti colorati di un morto. Corre a riprendere il suo pugnale – Ditocorto e il Re della Notte – e lo fa scorrere contro un mantello grigio. Poi lo infila nel fodero.
Torna dagli uomini a terra, uno agonizzante, gli altri morti.
«Vediamo se ho scelto bene» mormora, piegandosi sulle ginocchia.
Lo guarda sgranare gli occhi, mentre le mani cercano di reggere la pancia senza troppo successo.

«Parli la mia lingua?»

Inclina la testa di lato, lancia uno sguardo al villaggio in fiamme, alla gente uccisa. «Andiamo… sì che la parli. Altrimenti cosa ci faresti qui?»
Un cadavere è lì vicino. Le basta allungare una mano per frugare tra i suoi abiti. Deve scoprire chi è, chi sono, chi li ha mandati. Non sono briganti. Non hanno abiti di poco conto. E parlano una lingua mai sentita prima.

«Non vuoi dirmi niente?»

Trova solo monete di un conio che non appartiene a Westeros, ma alle città libere. Stringe il pugno, e si chiede cosa ci facciano così lontani da casa.
La Compagnia Dorata è distrutta. Che ne sia rimasto qualcuno e abbia deciso di vendicarsi? Ma perché? Perché attaccare un villaggio sperduto in un continente straniero? Perché non tornare a casa, e tentare di unirsi a un’altra Compagnia…

Poi Arya ricorda. Ricorda la Regina dei Draghi, la Distruttrice di Catene. Ricorda i racconti di Jon, i discorsi ascoltati di nascosto a Grande Inverno.
Daenerys ha lasciato qualcuno indietro. Era una Regina al di là del Mare Stretto. Aveva un regno fatto di Piramidi, città ricche e schiavi liberati che vivevano per lei.
Una notte, Arya aveva sentito i bisbigli di Varys e Tyrion… aveva udito un nome mai sentito prima.
Scava nella mente e quella frase si forma davanti a lei, come se una piuma invisibile l’avesse appena scritta nel vento.

“Dovrebbe chiamare i Secondi Figli. Così avrebbe un’armata grande quanto la prima, e potrebbe affrontare Cersei faccia a faccia.”
“Credi davvero che Daario Naharis le suggerirebbe di assediare Approdo del Re? Di aspettare la resa di Cersei? No, tu non lo conosci, amico mio. Daario sarebbe capace di dirle di bruciare tutto.”

 

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Capitolo 14
*** La Lupa ***


13. La Lupa

13

La Lupa

 

 

I

l villaggio è ormai lontano, ma si vede ancora il fumo. Dà l’idea di brutto tempo, di pioggia in arrivo. Ma Arya sa che non scenderà nemmeno una goccia. Non oggi.

Aspetta la neve, fiocchi bianchi che scendano a coprire i resti del fuoco, che si sciolgano a contatto con la cenere. Non le piace quella terra: troppi ricordi. Lì, nelle Terre dei Fiumi, Sansa ha tradito la sua fiducia. Ha tradito lei.
Ha mentito per Joffrey…
Lì, sulla Strada del Re, Mycah è stato ucciso dal Mastino.

Stringe i pugni e monta a cavallo. Comincia a sentire la stanchezza del viaggio. Non pensava che avrebbe ripercorso quella strada tanto presto. Che avrebbe ucciso per tornare a casa.
Prosegue per un pezzo prima di accamparsi. Ha bisogno di mangiare qualcosa, di scaldarsi vicino a un fuoco, di far riposare il cavallo. Si inoltra nel bosco, fermandosi in una piccola radura protetta da un cerchio di alberi. Ci sono cespugli e bacche ricoperte da un sottile strato di ghiaccio.
Arya socchiude gli occhi. E ricorda.

 

 
Tormund lo segue fuori dalla Sala Grande, nel cortile innevato. Jon nota gli sguardi inquieti della gente che lavora al castello: legge il sospetto sui loro volti, la paura che i Bruti possano riprendere a bruciare villaggi, a rapire le loro donne. Forse qualcuno è persino preoccupato per Sansa. Forse qualcuno teme che venga uccisa.
Grande Inverno prospererà sotto di lei. Jon ne ha la certezza. Ha saputo cos’ha fatto quando lui era via, come ha preparato gli uomini per la difesa del castello. Le armature imbottite, i rifornimenti, la gente richiamata dai villaggi vicini, in modo che tutti fossero al sicuro, al riparo dagli attacchi degli Estranei.

«Tua sorella vuole dare una festa per Davos e la donna grossa.» La voce di Tormund riecheggia tra le mura del castello. Gli uomini sulle mura abbassano gli occhi a guardarli.
«È così.»

Forse spera che Brienne non la tradisca, che non dica nulla su di me a Bran.
Ma poi, c’era veramente da temere Bran?
È mio fratello, pensa, come se stesse parlando con Sansa. E nella testa sente la voce di lei, fredda eppure coinvolta: pensi che questo sia sufficiente?

«Che fine ha fatto il tizio con una mano sola?» domanda Tormund, a testa bassa.

E i ricordi lo avvolgono come un uragano. Drogon, il fuoco, bambini in fuga. Il terrore negli occhi di Varys, un attimo prima di morire, e Tyrion, la sua delusione, le labbra contratte, la spilla che rotola giù dai gradini sotto la Fortezza Rossa, e gli Immacolati, e il coltello tra le mani di Verme Grigio, le sue parole dette con fermezza – gelo – gli uomini dei Lannister in ginocchio, tremanti, con la supplica che non sia la fine.
Uno dopo l’altro, come animali al macello, sotto gli occhi di tutti. Tutti loro.

Ricorda la pressione sul braccio di Verme Grigio, uomini del nord contro Immacolati – Davos al suo fianco – il drago che sorvola la città… che si posa sui bastioni della fortezza.
E poi Daenerys, il drago, che non può essere domato, non può essere sconfitto. Può solo essere ucciso.
Tyrion che vaga per le strade, tra i palazzi distrutti, tra le macerie di case e persone. Tyrion che cerca i suoi fratelli.

“Devo farlo da solo.”

Jon ricorda di avergli letto quella frase, non nello sguardo, ma nella posa delle labbra, nella lentezza dei passi e la posizione del corpo quando si è voltato a dargli le spalle.
Sa di aver pensato che, al suo posto, avrebbe lasciato cadere la spilla esattamente come ha fatto lui.

Ti ucciderà, ha pensato vedendo quella scena, con la schiena a ridosso del muro distrutto.
L’odio negli occhi di Daenerys era stato come un fuoco su Tyrion, si era scontrato con la sua delusione – ghiaccio – con la consapevolezza di aver perso gli ultimi membri della sua famiglia.
E quando l’ordine era stato dato – “prendetelo. Prendetelo. Prendetelo.” – Jon era rimasto a guardare.

Ha visto i suoi fratelli travolti dalle macerie. Li ha trovati insieme.

«Allora, piccolo corvo? L’uomo senza una mano è tornato a sud?»
Jon scuote la testa, nelle orecchie rimbomba il suono dei loro passi sulla neve. «Sì, è tornato a sud.»
«E c’è il rischio che torni qui? A sud della Barriera?»
Tormund lancia una veloce occhiata dietro le spalle, dove Brienne sta discutendo con alcune guardie della sua scorta.

«No» sospira Jon. «Non esiste questo rischio. No.»

Poi lo vede passarsi una mano nei capelli rossi, raddrizzare la schiena e voltarsi. Riceve una vigorosa pacca sulla spalla. «Meglio così. Ci vediamo, corvo.»
Jon si ferma a guardarlo. Lo osserva camminare spedito verso gli inviati di Bran, girare intorno a Brienne, fare una battuta a cui ride da solo. Lei non sembra felice di vederlo. Gli lancia diverse occhiatacce prima di dargli la schiena e tornare dentro.
Tormund lancia uno sguardo a Jon e scrolla le spalle.

 

 

Arya è accampata nel fitto bosco quando sente dei rumori. Getta un altro ramoscello nel fuoco e cerca Ago. La tranquillizza sentire il suo peso contro la gamba, toccare l’impugnatura levigata sotto lo spesso strato di guanti.
Sente lo scalpiccio degli zoccoli del cavallo, così lo raggiunge e gli accarezza il collo. Nella neve, il suo corpo è caldo come una fornace. Trema nel vento, all’ombra degli alberi, e dalle narici escono come sbuffi di fumo.

«Tranquillo…» sussurra Arya, controllando che le briglie siano ben legate al ramo. «Presto sarà tutto finito.»

Li sente. Nonostante siano veloci e silenziosi. Oggi è lei la preda.
Aspetta di essere accerchiata, poi lascia correre lo sguardo fino a incontrare gli occhi di tutti loro. Vede i loro respiri condensarsi nell’aria, le lingue accarezzare le labbra. Come un unico elemento, fanno tutti un passo avanti. Poi si fermano.

Dove sei?

E lei compare, maestosa e gigantesca rispetto al suo branco. Stavolta non digrigna nemmeno i denti, scivola verso Arya come se fosse fatta di nebbia. Solo gli occhi sono vivi, due pupille come pozzi neri in cui perdersi. Sente di cadere, attratta da quello sguardo, catturata dai ricordi.
“Vattene via!”
La zampa calpesta un sasso che spunta sotto il sottile strato di neve. Pietre in volo. Le pietre la colpiscono, le fanno male. Il pelo struscia contro il tronco di un albero mentre si avvicina. Restiamo qui, nascoste. Ma poi devi andartene, devi fuggire. Non puoi restare con me. Le fauci si spalancano piano, mostrando una serie di denti bianchi e perfetti. Ti uccideranno. Va’! Vattene via!

«Nymeria» mormora Arya, sfilando un guanto. «Sono tornata, hai visto?»

Allunga una mano verso di lei, piegando la schiena in avanti. «Torno di nuovo a casa. E stavolta vorrei che venissi con me.»
Il muso si allunga ad annusarla. Nymeria lascia scorrere la lingua sulle labbra, guarda i lupi intorno a loro e poi di nuovo Arya.
«Ti prego, torna a casa.»

Per favore, Nymeria! Devi andartene!

«Non ti chiederò mai più di lasciarmi, se torni.» Piega un ginocchio nella neve, solleva gli occhi fino a incontrare di nuovo i suoi. «Te lo prometto.»
E per un istante che pare interminabile, la risposta negli occhi di Nymeria sembra essere un sì.

 

 

N.d.A.:

Ciao! Questo capitolo non arriva per caso. C’è una persona a cui oggi serve un intero branco di lupi, perché i lupi portano fortuna, si prendono cura gli uni degli altri. Quindi, in bocca al lupo, Relie!
Se il capitolo vi è piaciuto, fatemelo sapere. A presto!
Celtica

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Capitolo 15
*** Voci corrono per il Castello ***


14. Voci corrono per il Castello

14

Voci corrono per il Castello

 

 

 

M

aestro Ronald la fa stendere a letto, poi controlla le medicazioni. Ha preparato un intruglio di latte di papavero che le ricorda suo padre, Ned Stark. Non vuole berlo. Sono giorni che aspetta di vederlo uscire, poi si alza e lo versa fuori dalla finestra.

Non vuole dormire. Non con quella roba che ottunde i sensi.
Lascia che sfili le bende vecchie, sporche di sangue, e la fasci di nuovo. Non vede l’ora che se ne vada. Vuole restare sola.

Ma poi lui parla. «Perdonami, Altezza.»
«Cosa c’è?»
«So che non dovrei dirtelo, ma credo che dovresti evitare di restare sola con il Lord Comandante dei Guardiani della notte. Viste le tue condizioni…»
«È mio fratello» ribatte prontamente Sansa. E può venire a trovarmi tutte le volte che vuole.

«Infatti, Maestà. Per questo lo dico.»
Ora inizia a girarle la testa. Troppe emozioni per quella giornata. E Maestro Ronald rischia solo di rovinare tutto. Vorrebbe restare sola e concentrarsi su quanto è successo. Ricordare i bei momenti…

«Che cosa intendi?»
«Circolano voci, Altezza. Non è bene che…»
«Che voci? Di chi?»

Maestro Ronald lancia un’occhiata di sbieco a Spettro, appollaiato davanti alla porta chiusa. «Da quando quel… quell’animale resta sempre con te, le voci sono corse per il castello. Hanno raggiunto i lord vicini, Maestà.»

Mi sento più sicura con Spettro vicino, pensa, senza poterlo dire ad alta voce. È come se Jon fosse qui con me.

«Qual è il problema? Cosa dicono i lord?»
Il maestro si schiarisce la voce, non riesce più a guardarla negli occhi. Posa il latte di papavero e si stringe le mani in grembo, come se fosse troppo imbarazzato per continuare.

«Avanti, parla» lo incita Sansa. «Non sarà peggio di tutte le cose sentite in passato.»
Joffrey parlava male. Il Mastino. I soldati, un attimo prima di accorgersi della sua presenza. Crede di averle sentite tutte… Puttana, sgualdrina, porcile, e un’infinità di altre parole, frasi e immagini che una lady non dovrebbe conoscere.

«Come desideri…» Maestro Ronald tiene gli occhi sul pavimento, ma un lieve rossore gli sale lungo il collo, colorandogli le orecchie di un rosso acceso. «Parlano di te, Maestà. Di tuo fratello e del suo… lupo.»
C’è un certo disprezzo nella sua voce, misto a un terrore antico che Spettro non fa altro che alimentare: tiene gli occhi incollati sull’uomo e, a quella parola, a quel tono, solleva le labbra e mostra i denti. Un ringhio basso si propaga nella stanza, e la voce del maestro si alza di un’ottava.
Ronald si sposta ai piedi del letto, lontano dalla portata del muso di Spettro.

«Puoi… puoi richiamarlo, Maestà?»

Sansa aspetta un istante prima di spostare gli occhi sul metalupo. Poi parla con voce calma, dolce, come se si stesse rivolgendo a un bambino un po’ capriccioso. «Adesso basta, Spettro. Va tutto bene.»
Spettro si passa la lingua sul muso, la infila tra i denti e il suo respiro accelera.

«Dicono…» Ronald non sembra ansioso di parlare. «Dicono cose che non posso riportare, Maestà.»

«Esigo di sapere cosa dicono, ora.» Gli occhi di Sansa si assottigliano, ma il maestro non se ne accorge: sta ancora osservando Spettro, allo stesso modo in cui una bambina con il terrore dei ragni studia la tela per accertarsi che nessun animale venga verso di lei.
«Si tratta di tuo fratello, Maestà. Del fatto che non ha mantenuto il suo giuramento la prima volta, e niente assicura che non commetterà lo stesso errore.»
«Cosa c’entra questo con me?»
«Il suo lupo… il suo lupo è sempre con te. Se ti spostassi per il castello, lo avresti sempre al tuo fianco, come in passato. Girano voci su… sul periodo in cui Jon Snow ha regnato su Grande Inverno. Su di te, seduta al suo fianco… Sembra che abbia aggredito un alto Lord per te, mia Regina.»

Le mani di Sansa si aggrappano alle lenzuola. «Chi?»
«Il defunto lord Baelish, Maestà.»

«Lord Baelish si è macchiato di tradimento, maestro.» Sente il cuore battere più veloce. Non riesce a controllare il tremore alle mani.
«Questo è accaduto prima del suo tradimento. Pare che lui e altri intendessero rovesciare il Re. Quello che molti lord temono, Altezza, è che avendolo di nuovo qui, a Grande Inverno, Lord Snow possa… come dire… vendicarsi. Temono per la propria incolumità.»

«Continuo a non vedere un collegamento con me, maestro. O con Spettro.»
Ma invece lo vede benissimo. Lo riconosce nel bacio scambiato con Jon, con le sensazioni delle sue mani su di sé, nella protezione di Spettro. Nel desiderio di averlo ancora lì, con lei, soli e indisturbati, senza maestro Ronald a interromperli.

«Temono che tu possa essere plagiata da lui» dice Ronald con un filo di voce. «Che lui voglia il potere, e per ottenerlo sia disposto a rubare la virtù di sua sorella. E che il fatto di averti lasciato il suo lupo ne sia la prova… In questo modo nessun altro, all’infuori di lui, potrà toccarti.»

Sansa si sente avvampare all’improvviso, tutto in una volta, come se qualcuno le avesse lanciato addosso olio e fiamme. Ogni parte di lei – la sua mente, la sua mente – va a fuoco, e tutto ciò che vorrebbe è rotolarsi nella neve, gettarsi in un lago ghiacciato per non uscirne mai più.

Non può pensare di affrontare quei lord. E nemmeno Jon.
Non dopo quanto ha sentito.
Ma Ronald non ha ancora concluso e, quando lo fa, il cuore di Sansa perde un battito.

«Dicono che sua Maestà si sia indebolita dopo l’attentato, che sia sotto il costante effetto del latte di papavero… Dicono che Jon Snow le ruberà la Corona, che dichiarerà guerra a Brandon Stark per impadronirsi di tutti e sette i regni. E dicono anche, Altezza, che forse dovrebbero eleggere un nuovo Re… come ad Approdo del Re ne verrà eletto uno nuovo alla dipartita di Re Brandon.»

 n

N.d.A.:

Per rivedere Arya c’è da aspettare il prossimo capitolo. Il suo incontro con Nymeria darà luogo a molte sorprese…
Mentre qui cominciano a scoprirsi gli altarini… e forse il nord non è puro e fedele come sembrava.
Grazie a chi continua a seguire questa storia. Se il capitolo vi è piaciuto, fatemelo sapere!
Celtica

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Capitolo 16
*** Sta Tornando ***


15. Sta Tornando

 

15

Sta Tornando

 

 

A

rya resta come congelata nella neve, mentre vede per la seconda volta i lupi andare via. Il cavallo continua a scalpitare, ma Nymeria è ormai lontana.

Come ha fatto a essere così stupida?
Ha tradito la sua lupa. L’ha cacciata via. Ha vissuto anni lontano da lei, senza saperne nulla. Come ha potuto pretendere che dimenticasse tutto per amor suo?
Ha un suo branco, ora.

E ce l’ho anch’io, pensa, calmando il cavallo.
La strada verso casa è ancora lunga e, contro le sue previsioni, viaggerà da sola. Di nuovo.

 

 
Jon vuole vedere Sansa, ma non lo fanno passare.
«Ordini della Regina» dicono le guardie, ma lui ha la sensazione che ci sia lo zampino di maestro Ronald.
Come può averla convinta a non incontrarlo? Cosa può averle detto?

Forse è per il bacio, si ripete. Forse si è pentita.

Potrebbe passare, se solo volesse. Potrebbe chiamare i Bruti e farsi largo, buttare giù la porta. E poi ci sarebbe Spettro di guardia, e con lui nessuno oserebbe avvicinarsi.
Ma se davvero è stata Sansa a decidere, non può farle questo. Non può mancarle di rispetto in questo modo. E per cosa poi? Per sentirsi dire che è stato un errore, che non dovrebbero più vedersi?
Gli chiederà di tornare alla Barriera, come ha fatto quel giorno. Ne è sicuro.

In cortile le guardie sono in fermento, come in attesa di qualcosa. Ma che cosa? Forse la festa che Sansa darà in onore di Brienne e Davos, un sontuoso banchetto a cui parteciperanno i lord più importanti del nord. Mancano due giorni e lui non sa che fare nel frattempo.
Non ha tracce da seguire per trovare l’arciere, né ha prove che diano peso ai suoi sospetti. E non ha nemmeno la possibilità di chiarire la sua posizione con Sansa… almeno questo gli avrebbe dato da pensare.

Finché non la vede affacciata al primo piano, nello stesso punto in cui Ned Stark e sua moglie Catelyn osservavano i figli durante l’allenamento.
Incontra i suoi occhi, e prima che abbia anche solo il tempo di farle un cenno, Sansa si volta e torna dentro.

 


Bran ha occhi fissi nel vuoto, bianchi come il ghiaccio. Sta volando con un gruppo di corvi verso sud quando lo vede. Riconosce il terrore negli occhi dei suoi fratelli, e osserva le ali spiegate, nere e gigantesche, mentre lo portano fino a loro.
Vede le fauci spalancarsi, la fiammata un attimo prima che li colpisca.
Torna in sé prima di morire bruciato.

Podrick è nella stanza insieme a lui, e basta un cenno per farlo avvicinare. «Maestà?»
«Corri a chiamare Sam, presto.»

Poi attende, seduto sul suo trono di legno, le ruote puntate verso la finestra aperta. Il cielo è limpido, e Approdo del Re è tranquilla. Bran pensa al fumo che ha visto quando la città è bruciata. Pensa alla paura negli occhi di Sansa, mentre aspettava notizie dei suoi fratelli.
«Altezza!» esordisce Sam entrando nella stanza. «Cosa posso fare per te?»
Tyrion è dietro di lui. Appare meno preoccupato di quanto non sia in realtà.
«Devi mandare un messaggio ai Lord Protettori dell’Ovest e dell’Est, e a tutti i lord dei Sei Regni. E devi scrivere anche alla Regina del Nord, perché dovremo essere tutti pronti quando arriverà.»

«Arriverà…» Sam scuote la testa, confuso. «Chi arriverà, Maestà?»

Tyrion interviene prima che possa rispondere. «Perdonami, Altezza, ma ho notizie fresche dalle Terre dei Fiumi. Sembra che interi villaggi siano stati bruciati, la gente trucidata e…»
«Le Terre dei Fiumi?» Bran ha perso ogni momento del suo tempo per cercare lui, tanto da non accorgersi delle altre minacce.
Ha tenuto sotto controllo Sansa, Jon e Arya, ma ogni suo sforzo era incentrato a ritrovarlo. Non ha dato peso ad altro. Non ne ha visto il bisogno.

«Sì, Altezza» prosegue Tyrion, e i suoi occhi si assottigliano. «Non li hai visti arrivare?»
Bran vorrebbe restare solo per poter cercare i responsabili. Vorrebbe volare lontano, visitare i villaggi distrutti, trovare anche quella minaccia. Lo farà non appena Sam e Tyrion saranno usciti dalla stanza. Ma teme che sia tardi… Teme di aver commesso un grave errore.
Se davvero qualcuno ha attaccato le Terre dei Fiumi, sarà difficile per lui far arrivare i soccorsi in tempo. Dovrà affidarsi ai lord dei Regni vicini, e sperare che abbiano uomini a sufficienza.

Non ci sono mai abbastanza uomini in tempo di pace.

Ed è proprio ciò che teme: nessuno di loro – nemmeno l’estremo nord – ha abbastanza difese dopo l’ultima guerra.
«No» risponde a Tyrion. «Ho sbagliato a credere che il pericolo potesse arrivare solo da sud.»
«Sei stato a sud, Maestà?» domanda Sam, accennando un sorriso.
«È così. Per questo devi scrivere a tutti i lord e alla Regina del nord. Dovrai avvisarli anche di questi attacchi nelle Terre dei Fiumi, mentre io inizio a cercare i responsabili. Dovranno difendersi e resistere fino al nostro arrivo.»
«Cos’altro vuoi che scriva nelle mie lettere, Maestà?»

«Devi dir loro che l’ho trovato. Devi avvertirli che Drogon sta tornando a Westeros.»

 

 
Arya li vede quando è ormai vicina. Non vuole nascondersi. La delusione per Nymeria, la preoccupazione per Sansa e la rabbia per il villaggio che ha visto bruciare, si condensano dentro di lei.

Ha un solo modo per mettere a tacere il suo cuore. Combattere. Uccidere.
Non hanno insegne, ma bastano i loro abiti per dirle che sono stranieri. Li affronta da sola, senza preoccuparsi troppo di quanti siano.

Mai abbastanza.
Non per placare la sua sete.

Lascia che la circondino, poi estrae Ago e inizia la sua danza. Uno dopo l’altro vede quegli uomini cadere. Sorride, mentre la morte la aiuta a trovare la pace.
Ne arrivano altri. Li sente muoversi lenti alle sue spalle, riconosce il canto dell’acciaio. Resta immobile, di spalle, e aspetta che il primo – il più coraggioso, o il più stupido – tenti di attaccarla.

Quando l’ha quasi raggiunta, lei si volta – Ago, il prolungamento del suo braccio – e incrocia la spada con lui. Sembra divertito di trovarsi davanti una ragazza.
È alto, ha i capelli scuri che scendono sulle spalle e un accenno di barba. Gli altri uomini formano un cerchio intorno a loro. Non vogliono lasciarla scappare.
Parla una lingua che lei non conosce, ma si accorge del rispetto che gli altri hanno per lui. Forse è il capo. Forse è Daario Naharis.

Arya gli scivola alle spalle, ma quando sta per colpirlo, lui si volta e para. Continua a parare i suoi colpi per un po’, e lei gli lascia credere di non poter fare di meglio. Vuole che scopra le sue carte, così si muove più veloce, gli volteggia intorno, e con sua sorpresa lui reagisce allo stesso modo. Tiene il passo.
Poi, dopo una finta, le sferra un calcio e la spedisce a terra.
Arya torna subito in piedi e attacca. I colpi si fanno più violenti, finché Ago – il sorriso di Jon – non viene scagliato lontano. Riesce a estrarre la daga e a schivare l’ultimo attacco – mirava al petto – poi rotola a terra per recuperare la spada.
Uno degli uomini esce dal cerchio per portargliela via.
Arya si trova con la sola daga a fronteggiare quell’uomo armato.

È bastata questa daga per il Re della Notte, si dice per farsi coraggio.

Ora, senza Ago, deve cercare di avvicinarsi di più, anche se è pericoloso. Un passo falso, e quella bella spada straniera, dalla lama leggermente ricurva, riuscirà a catturarla.
Lui non sembra avere fretta. Sorride e prende tempo. E quando Arya fa un balzo per colpirlo, lui usa il piatto della spada per respingerla. Poi usa l’impugnatura contro la sua spalla, buttandola a terra e facendola gridare di dolore.

La daga le cade dalle mani.

Lui si avvicina, forse si è stancato di giocare. Forse vuole solo farla finita.
Arya si gira sulla schiena per guardarlo bene in faccia. Striscia all’indietro, riempiendosi la mano con un pugno di terra. Quando lui si inginocchia, lei resta immobile.
Le sta facendo delle domande, ma Arya non riesce a capire nemmeno una parola. Vede solo quel sorriso, quel volto giovane che un po’ le ricorda Jon Snow.

«È inutile che parli» gli dice. «Tanto non ti capisco.»

Lo dice in braavosiano, pensando che non le risponderà. Invece lui risponde.
«Alcuni uomini non sono tornati da un villaggio qui vicino. Sei stata tu?»
Arya non risponde. Stringe le labbra e pensa a cosa fare. Le serve tempo, una distrazione, per recuperare il pugnale e colpirlo alla gola.

«Sì, sei stata tu.» Lui sorride. Come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. «Sei veloce per essere una ragazza. Dove hai imparato?»
Lei resta zitta a guardarlo. Pensa, si ripete, cercando una soluzione.
«Ti muovi come un uomo senza volto. E parli anche braavosiano. Sei stata alla Casa del Bianco e del Nero, giusto?»
«Allora non sei stupido come sembri.»
Poi gli lancia il pugno di terra negli occhi, e scivola verso il pugnale. Qualcosa si abbatte sulla sua schiena, e gli occhi le si riempiono di lame di luce. Il dolore è fortissimo.
Un piede colpisce la daga, spedendola lontano da lei.

Poi ode un ululato. E un altro.

Arya riesce solo ad alzare la testa. Vede gli uomini guardarsi intorno, poi, uno dopo l’altro, li osserva mentre vengono trascinati via. Molti riescono a fuggire, ma quelli che tentato di rispondere con le spade finiscono sbranati dai lupi.
Daario si guarda intorno, e non sembra gradire ciò che vede. Raggiunge un cavallo e svanisce nella boscaglia, mentre i suoi vengono assaliti.

Arya vorrebbe solo chiudere gli occhi. Ma poi la vede. È lei che sta ancora ululando. È lei che la raggiunge. Fa a pezzi un uomo lì accanto, poi si ferma e china le labbra insanguinate.

C’è odore di sangue. Di morte.

Nymeria scopre i denti, e Arya si chiede se la mangerà, se finirà anche lei divorata dai lupi, come i suoi nemici. Poi la metalupa spicca un salto e atterra qualcuno che Arya non può vedere. Sente solo le grida, e il suono della carne lacerata. Poi qualcosa di bagnato e caldo le scivola sulla guancia, le pulisce l’orecchio insanguinato.
«Nymeria» mormora Arya, allungando una mano per accarezzarla. «Grazie…»
Le grida degli uomini non le fanno alcun effetto. Niente riesce a scalfire la pienezza che sente nel cuore. Adesso non è più sola.

n

 N.d.A.:

Volevo solo dirvi che sto scrivendo una brevissima long SanSan (ma non dovrei tardare con gli aggiornamenti: ho già altri capitoli pronti) e che ho intenzione di riprendere Vieni con Me, anche se non so ancora quando.
Per quanto riguarda Daario, mi sono rifatta al personaggio della serie, sia per l’aspetto che per il carattere.
Adesso che Bran ha finalmente trovato chi stava cercando, direi che ci siamo quasi tutti! A presto!

Celtica

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Capitolo 17
*** Non mi vuoi qui? ***


16. Non mi vuoi qui?

16

Non mi Vuoi Qui?

 

 

 

 

B

rienne sta facendo colazione nella Sala Grande quando Jon Snow e Tormund le siedono di fronte. Non alza gli occhi dalla ciotola, ma smette di mangiare.

«Latte, eh?» esclama Tormund, allungandosi sul tavolo per sbirciare nella sua scodella. «Non sarà mai energico come quello di gigante, ma…»
«Cosa posso fare per te, Lord Comandante?» domanda Brienne, stanca. Solleva la testa e guarda Jon, ignorando l’altro.
«Donne del sud» borbotta Tormund.

Jon incrocia le braccia sul tavolo e parla a bassa voce, per non farsi sentire da nessun altro. «Hai ricevuto un corvo stamani.»
«È così.»
«Posso chiederti se riguardava mio fratello?»

Lei stringe forte la ciotola tra le mani, come se qualcuno potesse portargliela via.
«Perdonami, mio Lord, ma non credo di doverti dare io questa notizia. Sua Grazia il Re ha informato tutti gli alti Lord, compresa la Regina del Nord. E immagino anche te.»

«Non ho ancora ricevuto nulla.»

«Sono certa che sua Altezza la Regina sarà ben felice di condividere questo peso con te.»
Vede una strana luce negli occhi di Jon. Ma non riesce a capire cosa sia. Sa solo che qualcosa non va tra i fratelli, mentre quando è giunta a Grande Inverno andava tutto bene.
Jon si guarda intorno, poi bisbiglia: «Al momento mia sorella non condividerebbe niente con me. Per questo sono qui.»
Brienne lancia un’occhiata a Tormund con aria interrogativa, e Jon capisce subito dove voglia arrivare.
«Tormund è qui perché è l’unico di cui mi fidi nel castello. E voglio che Sansa sia al sicuro.»

«È della Regina che stai parlando.»

Legge una certa confusione negli occhi di Jon, e pensa di sapere a cosa sia dovuta. La freddezza della sua voce, il gelo nel suo sguardo… il distacco, per cui Brienne vorrebbe chiedergli di andarsene. Non è ancora riuscita a perdonargli la morte di Jaime, per quanto lui non c’entrasse nulla.
Ma se solo avesse fermato prima la Madre dei Draghi… se solo avesse impedito a Tyrion di liberare suo fratello… se solo Davos gli fosse stato devoto quanto lei lo era stata a Renly!
Sa che Jon non è colpevole. Sa che non è stato lui a far crollare la Fortezza Rossa. Eppure non riesce a guardarlo senza pensare che sarebbe bastato davvero poco affinché Jaime vivesse.

Ma non sarebbe mai tornato da me.

«Vogliamo quello che vuoi tu» interviene Tormund. «Chiudere in fretta questa storia e tornarcene a casa. Noi bruti non siamo graditi alle donne del sud.»
«Siamo nel nord» gli ricorda Brienne, alzando gli occhi al cielo.
«Ma a sud della Barriera… e tutto ciò che è a sud della Barriera non può essere nord.» Tormund ride, lanciandole uno di quegli sguardi.
Ha commesso l’errore di rispondergli, quindi ora deve sopportare.

«Ti prego» li interrompe Jon Snow. «Voglio solo che mia sorella sia al sicuro. E non so cosa vi abbia detto Bran, se vi abbia informati di dettagli che potrebbero aiutarmi a trovare i colpevoli.»

«Pensi che siano molti?»
«Penso che un uomo qualunque non abbia quella mira. Ho trovato il punto in cui era quando l’ha colpita, e ti assicuro che pochissimi arcieri sarebbero riusciti a tirare a un bersaglio così difficile.»
Brienne ci pensa un istante, senza staccare gli occhi da quelli di Jon. Sente lo sguardo di Tormund addosso, e vorrebbe imporre quell’unica condizione: far allontanare il bruto dal loro tavolo. Ma poi sospira, pensando che, senza di lui, Jaime non sarebbe mai andato nella sua stanza.

È merito suo se abbiamo visitato il Paradiso. Jaime non mi avrebbe raggiunta se non fosse stato geloso.

«Re Brandon ci informa di alcuni attacchi nelle Terre dei Fiumi. Dice che presto invierà un altro corvo per dirci chi è stato. E c’è un’altra cosa…»
Jon si fa attento, come se sperasse in delle risposte.

«Drogon, l’ultimo drago ancora in vita, sta tornando a Westeros.»
«Bran lo ha trovato?» Jon si raddrizza sulla sedia, gli occhi sgranati. «Lo ha visto? Ne è certo?»
«Sì.»

«Sansa lo sa?»

Brienne scrolla le spalle. Non si degna nemmeno di correggere l’etichetta. «Non vedo sua Maestà la Regina dal nostro arrivo a Grande Inverno.»
«Nemmeno con te ha parlato?»
Jon si fa pensieroso, poi schizza in piedi, dimenticando di portare via Tormund. Brienne solleva una mano per ricordarglielo, per chiedergli di affidare al bruto chissà quale missione che lo tenga lontano da lei, ma Jon è già alle porte. Esce in cortile, lasciandoli soli.

«Allora» riprende Tormund, con uno sguardo lascivo. «E così ci rincontriamo, eh.»

 

 

Mancano poche ore alla festa in onore di Brienne e Davos. Sansa si starà preparando. Non dovrebbe disturbarla. Ma come può lasciare così le cose? Deve sapere. Deve essere sicuro che sia informata. Si chiede se il messaggio per sé, per Jon, sia andato perduto.
O forse è stata una scelta di Bran? Forse è il suo modo per avvisarlo di tornare di corsa alla Barriera.

Attraversa i corridoi del castello, riscaldati dalle fonti sotterranee, e le dita raggiungono il colletto per slacciarlo. Non riesce a respirare.
Il ricordo delle labbra di Sansa sulle sue è vivo nella sua mente.
Come potrebbe essere altrimenti? È stato il momento più bello da chissà quanto tempo.

Dovrebbe andare anche lui a prepararsi, indossare la sua pelliccia da Lord Comandante, dare un taglio ai capelli che stanno diventando di nuovo fastidiosamente lunghi. Li sente solleticargli le guance.

«Devo vedere la Regina» dice con voce ferma alla guardia davanti alla porta di Sansa.
È la camera che dividevano i suoi genitori. La camera che lui avrebbe voluto lasciarle alla riconquista di Grande Inverno.

«Sua Maestà non vuole essere disturbata.»
«È urgente. Fammi passare.»

La guardia scuote la testa. «Non posso. Ordini di sua Maestà. Solo maestro Ronald ha il permesso di entrare.»
Maestro Ronald… dov’è quando serve? Si chiede se ci sia un modo per entrare in quella stanza senza usare la violenza e, quando riconosce la voce in fondo al corridoio, capisce che c’è.
«Lord Comandante.»
«Stavo per venire a cercarti, Maestro. Ho urgenza di parlare con sua Maestà.»
Ronald lo afferra delicatamente per un braccio, accompagnandolo lontano dalla guardia. «Purtroppo, mio Lord, questo non è possibile. Ma potrai vedere Sua Grazia tra poche ore, durante il banchetto.»

«Ho bisogno di vederla adesso, Maestro.»

«Non puoi aspettare, mio Lord?»
Jon stringe i pugni. «No, non posso aspettare.»
La presa del Maestro sul suo braccio si fa più salda, ma la sua voce è gentile, tranquilla. «È stata sua Maestà a chiedere di non essere disturbata da nessuno… Nemmeno io posso entrare. Non posso aiutarti.»
«La guardia alla porta ha detto che tu puoi.»
Nota un cambio di colorito sulle guance rugose del Maestro. «Solo… solo in casi di estrema necessità.»

«E questo, Maestro, è uno di quei casi.»

Jon si libera dalla sua presa e torna alla porta. Fa cenno alla guardia di spostarsi, poi la spintona ed entra nella stanza. Richiude alle sue spalle, bloccando l’entrata, mentre Spettro lo lecca e gli fa le feste.

«Che cosa ci fai qui?!»

La voce di Sansa è tesissima, arrabbiata, e quando si volta, Jon la trova con due ancelle a sistemarle l’abito. È splendida, con i capelli ancora sciolti e la corona appoggiata lì accanto. Non ha bisogno di corone per essere una regina. La sua.

«Devo parlarti.»

Riconosce l’imbarazzo sulle sue gote, le occhiate incerte che lancia alle ancelle. «Devi andartene. Adesso. Non te lo chiederò di nuovo.»
Jon non trattiene una risata. «Vuoi forse cacciarmi, San?»
«Non ho tempo da dedicarti» ribatte Sansa, piccata. «Prova a chiedere a maestro Ronald di infilarti tra i lord che devo ricevere domani.»
«Domani?» Jon accarezza Spettro, notando gli sguardi preoccupati delle ancelle. «Non avrai già intenzione di uscire, domani?»

«Devo tornare ai miei doveri di Regina. Il nord ha bisogno di me.»
«Sansa… Vostra Grazia, fai uscire queste fanciulle e parliamo. Ho tante cose da dirti, e non posso aspettare.»

Basta una stretta più forte sul collo di Spettro perché il metalupo si volti. Le ragazze trattengono gli strilli, ma poi si inchinano a Sansa e corrono alla porta.
«Esci subito» gli intima Sansa, incerta sulle gambe. «Non puoi restare qui. Non voglio.»
Aspetta di vederle uscire prima di rispondere. «Non mi vuoi qui, Sansa? Vuoi davvero che me ne vada?»
Per un istante, gli occhi di Sansa rivelano quel velo di tristezza e dolcezza che la caratterizza da sempre. Fa un respiro, e Jon è sicuro che dirà di no. Le sorride.
Ma poi Sansa solleva il mento con aria fiera. «Sì. Esci, per favore.»

 n

N.d.A.:

Ciao! Avrei voluto aggiornare prima, ma non ce l’ho fatta. Il prossimo capitolo sarà incentrato unicamente su Jon e Sansa, ma gli altri torneranno presto! E con altri intendo soprattutto Arya. Per ora, Arya è i nostri occhi nelle Terre dei Fiumi. Lei e il suo piccolo esercito di lupi.
Grazie a chi continua a seguire questa storia (adoro scriverla!). E grazie a chi vorrà lasciarmi un parere! Fa sempre piacere!
Celtica

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Capitolo 18
*** Le difese crollano ***


17. Le difese crollano

 

17

Le Difese Crollano

 

 

 

 

No. No. No.
Non voglio che te ne vada. Resta, per favore. Resta con me.

Ma le parole che il maestro ha pronunciato in quella stessa stanza sono ancora lì, sospese nell’aria, a farle da scudo contro il sorriso rassicurante di Jon.
«Sì. Esci per favore» dice allora, sperando di non implorarlo di restare quando se ne andrà.

«San…»

«Ti prego di non chiamarmi così davanti ad altri.»
Non sa dove abbia preso tutto quel veleno, sa solo che vorrebbe smettere per lanciargli le braccia al collo. Jon sembra ferito. Arretra di un passo, e Spettro è subito da lui.

«Se preferisci, posso chiamarti Vostra Grazia anche in privato.»
Le difese di Sansa crollano. Sente le lacrime lambirle gli occhi. Vorrebbe confessargli tutto, chiudersi a chiave e dimenticare il resto del mondo.

«Come credi» mormora, sforzandosi di rendere convincenti quelle parole.
Jon sembra sconfitto. Piega le spalle in avanti e guarda a terra. «Si può sapere che cosa ho fatto?»

Niente. Assolutamente niente. Ma non posso permettere che mi tolgano la corona.

«Non lo sai?» Cerca di risultare il più arrogante possibile. Può odiare sé stessa, ma non vuole che Jon pensi davvero di aver sbagliato.
«Credo di saperlo» risponde Jon, contro le sue previsioni. Lo vede stringere forte i pugni, mentre Spettro gli lecca il dorso della mano. «E mi dispiace, Sansa. Mi dispiace davvero per quello che ti ho fatto. Se tu non avessi risposto al bacio, io…»

«Il bacio? Pensi che sia quello il motivo per cui ti sto cacciando?»

«Hai altri motivi per odiarmi?»

Come potrei odiarti? Io…

«E comunque io ti ho baciato per prima.»

Gira intorno al letto, reggendosi alle colonne. Sente ancora dolore, ma la paura di ferire Jon le fa dimenticare la ferita. Si ferma solo quando è a pochi passi da lui.

«Sei sicura? Credevo di essere stato io a baciarti.» Jon avanza verso di lei. «Pensavo ti fossi pentita.»
«Pentita?» Abbassa gli occhi sulla sua gola quando lo vede deglutire. Ha i primi bottoni slacciati, e Sansa allunga una mano per toccarli. «Non sono pentita.»
Sale con le dita sul suo collo, a sfiorargli i capelli e l’accenno di barba. Poi si perde nel nero dei suoi occhi. Sente lo stomaco contrarsi quando Jon le prende la mano. Un calore nuovo, che non ha niente a che fare con il riscaldamento del castello, scivola lungo il suo corpo, fino a incendiarle le viscere.

«Allora cosa c’è?» sussurra Jon.
«Mi credono debole» mormora. «Credono che sia succube di…»

«Di chi?» la interrompe Jon, alterato.
Basta lo sguardo di Sansa per rispondere. Jon stringe le palpebre, poi le lascia la mano.

«È assurdo» commenta, dandole le spalle.
«Lo so.»
Poi si volta verso di lei, e il fuoco che brucia nei suoi occhi non ha niente a che vedere con il desiderio.

«Non dovresti farti influenzare da certe dicerie.»

«Non mi faccio influenzare, infatti.»
«Volevi impedirmi di vederti!» esclama, le braccia al cielo. Spettro geme al suo fianco. «Per questo! Chiacchiere da taverna.»
«Non sono solo chiacchiere, Jon!» Sansa si appoggia alle sue spalle. «Vogliono nominare un nuovo Re! Vogliono sceglierlo tra i lord del nord.»
Jon si blocca all’improvviso, poi la afferra per le braccia. «Chi ti ha detto una cosa simile? Il nord è sempre appartenuto agli Stark. Grande Inverno non è mai stato senza uno Stark.»

«A parte quando Ramsay ha bruciato tutto… quando i Bolton si sono insidiati qui al castello.»
«C’eri tu…» sussurra Jon, e Sansa si chiede se sappia tutti i ricordi orrendi che quella frase le riporta alla mente.

«Vogliono portarmi via la corona, Jon. E non è uno scherzo.»

«Devi chiamarli. Manda a chiamare i lord e gli alfieri, chiedi il loro giuramento di fedeltà. Non potranno negartelo: sei la loro Regina. Fallo, prima che si mettano contro di te. Mostra loro la lupa che sei.»

Hai sangue Stark nelle vene, si ripete, mentre Jon la stringe.

Sente il calore del suo corpo, le sue mani sulla schiena, e i pensieri svaniscono.
Poi Jon abbassa le palpebre. «Perché non me l’hai detto?»
Sansa evita i suoi occhi. Stringe il farsetto nero tra le dita. «Perché è per te che è successo. O almeno, questa è la scusa.»

«Ma cos’ho fatto per inimicarmi il nord?»

«Dicono che mi hai plagiata. Che rivuoi la corona, e che non ti faresti problemi a rubare la mia… virtù, per averla. Anche se forse hanno dimenticato che ci ha già pensato Ramsay a farlo.»
Vede Jon arrossire. Sente le sue mani sui fianchi sfiorarla appena. Perché in quello che pensano i lord c’è un fondo di verità: Jon la desidera. Ma quello che forse non sanno è che per Sansa è lo stesso.

«Non voglio la corona.»
«Lo so.»

«Però è vero che ti voglio, San. Anche se il potere non c’entra nulla. Direi che è un peso, perché se fossimo solo due contadini, a nessuno importerebbe di noi.»
«Potremmo stare insieme» sussurra Sansa, accarezzandogli una guancia.

«Se non fosse per il mio giuramento… ho giurato, Sansa. Non mi è permesso prendere moglie.»
Sansa gli afferra il volto tra le mani. «Bene» dice, sentendo il suo respiro bollente sulle labbra. «Perché io non voglio più essere la moglie di nessuno.»

 

n 

N.d.A.:

Scusate il ritardo! Aggiorno prima che il maltempo me lo impedisca.
Ultimamente sono stata molto presa da Death Note (che, non so perché, mi ha riportato alla mente Lady Oscar, tanto da convincermi a riguardarlo per l’ennesima volta) e ho iniziato due storie in questo fandom. Insomma: se lo conoscete, se vi piacciono L e Light, sapete dove trovarmi!

Passando a La Voce dell’Inverno: nel prossimo capitolo non compariranno Sansa, Jon o Brienne. E nemmeno Bran. Sarà interamente dedicato ad Arya. Diciamo così. In realtà sarà grazie a lei se scopriremo diverse cose. Sarà più lungo degli altri (per questo non ho potuto aggiungere parti con Sansa e Jon!), ma mi è stato impossibile tagliarlo.
Spero di sentirvi! E intanto grazie mille, davvero, a chi continua a leggere, recensire e a chi ha aggiunto la storia alle preferite/seguite. Grazie di cuore.

Celtica

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Capitolo 19
*** Daario Naharis ***


18. Daario Naharis

 

18

Daario Naharis

 

 

 

 
Il cavallo non si è ancora abituato al loro odore. Al modo in cui il branco gli gira intorno, aspettando il minimo segnale di Nymeria per saltargli alla gola.
Arya lo cavalca a fatica, cercando di controllare la sua paura. È quasi strano ritrovarsi insieme dopo tanto tempo. Ed è quasi strano che tutto il branco le abbia seguite. Nessun lupo l’ha più minacciata, non da quando Nymeria è intervenuta per salvarla.

Mi ha salvato la vita.

E in un modo diverso da come Arya ha salvato la sua. Ad Approdo del Re sarebbe morta… se anche Robert avesse convinto Cersei a rinunciare alla testa dei metalupi… sarebbe morta poco tempo dopo, in una città lontana da casa.

Perlustrano i boschi vicini alla Strada del Re, perché Arya non vuole lasciare altri stranieri a fare razzie nelle Terre dei Fiumi. E i lupi la seguono. Sono il suo branco adesso.
Nymeria cammina lontano da lei, ma ogni volta che la vede inoltrarsi tra gli alberi, comanda gli altri di seguirla.

Hanno incontrato pochissime persone, e sono fuggite tutte.
Arya avrebbe voluto rassicurarle, ma non ha potuto.

Poi, mentre si rende conto di un altro accampamento di Daario nascosto tra la vegetazione, riconosce la sua lingua. Capisce subito che non si tratta di gente venuta fuori. Capisce subito che ci sono dei prigionieri.

«Restate indietro» sussurra a Nymeria, scendendo da cavallo.

Spera che la capisca, così come un tempo riusciva a comprendere ogni sua parola.
Nessun lupo la segue stavolta, mentre si muove tra gli alberi facendo meno rumore possibile.

Trova un uomo di guardia, accovacciato a terra, mentre indugia nei suoi bisogni fisici. Arya gli arriva alle spalle, gli occhi fissi sulle brache calate. È talmente veloce a far scorrere la lama sulla sua gola, che lui nemmeno si accorge di morire.
Accompagna il suo corpo a terra per evitare baccano inutile.

«Chi siete?» grida qualcuno. «Esigo di sapere chi siete! Siete nelle mie terre.»

Arya alza la testa di scatto a quelle parole. È nascosta, ma in lontananza nota le case di un villaggio, la sagoma di un castello. Si chiede se sia…
«Il Re sa ciò che state facendo qui. Sta mandando degli uomini per fermarvi. Ci avete attirati qui e io…»

Tu parli troppo, zio.

Ha parlato troppo anche il giorno in cui i lord si sono riuniti per decidere il Re. Sembra proprio che non abbia perso il vizio…
Non è solo. Ci sono una decina dei suoi uomini inginocchiati accanto a lui. Daario li passa in rassegna uno per uno. Tocca i loro mantelli, solleva le loro collane, accarezza i capelli di quello che è poco più di un ragazzino.

Poi estrae il coltello.

Non lo ordina ai suoi. No. Si mette alle spalle del ragazzino e gli taglia la gola. Proprio come poco prima Arya ha fatto con il suo uomo. Lo lascia cadere a faccia in avanti, mentre il sangue si sparge sul terreno. Gli altri tremano di paura.

«No!» grida suo zio. «Sono Edmure Tully e questo…»

Qualcuno lo colpisce forte alla mascella, voltandogli la testa dall’altra parte.
Daario passa da un uomo all’altro con la sua lama, disegnando un sorriso di sangue sotto il mento di ogni guardia. Quando arriva vicino a suo zio Edmure, però, si ferma.

«Avete tradito la vostra Regina» dice Daario, con un forte accento straniero. «L’avete uccisa.»

«No. Jon Snow l’ha fatto. Jon Snow.»

Arya stringe i denti e la mano vola su Ago. Non è più così sicura di voler salvare suo zio.

«Oh, lo so.» Daario sorride. «Lo so. E so anche che lo avete lasciato andare.»

«È tra i Guardiani della Notte adesso! Paga lì il suo crimine!»

Daario gli gira intorno. «Sto andando da lui, infatti. Ma prima voglio liberare il continente da voi traditori… così come avrebbe fatto la mia Regina: Daenerys Nata dalla Tempesta.»

«Non sono un traditore» mormora Edmure, alzando la testa per guardare Daario negli occhi. «Non lo sono.»
«Non ti sei inchinato alla Madre dei Draghi… quindi lo sei.»

«Cosa volete?»

«Realizzare il sogno della nostra Regina, ad esempio. Distruggere la ruota.»

«La ruota è distrutta. Alla morte di Re Brandon verrà eletto un nuovo Re.»

«Non basta per realizzare il suo sogno… Verme Grigio mi ha riferito le parole della mia Regina: liberare il mondo, da Grande Inverno a Dorne. Ed è da qui che voglio cominciare. Gli Immacolati sono spariti su qualche isolotto, mentre a Meereen gli schiavi sono insorti quando hanno saputo della morte della loro salvatrice.»
Gioca con il coltello che ha tra le mani, facendolo dondolare da una parte all’altra.

«Non volevano più che li governassi in sua vece… Non quando lei era morta.»

Edmure scivola con le ginocchia in avanti, cercando di capire. Arya invece ha già capito.

«Dopo quanto era successo, i Grandi Padroni non hanno più richiesto i nostri servizi… nonostante la Compagnia Dorata sia stata sterminata da Daenerys. Sembra che più nessuno si fidasse di noi… Troppo fedeli alla Madre dei Draghi, dicono. E allora cosa fare?» Lancia il coltello in aria e lo riprende. «Dove potevamo andare?»

Ora il disprezzo sul volto di Edmure è evidente. «E siete venuti qui.»
«Sì. Qui era il posto più adatto per ricominciare. Riportare la pace di cui tanto parlava Daenerys… vendicarla… e intanto razziare qualche città, prenderci qualche castello. Sai, molti dei miei uomini non avevano mai visto castelli antiquati come il tuo. Penso che ci troveremo bene.»

Non può essere tutto qui.

«Non può essere tutto qui.» Edmure sembra averle letto nel pensiero.
«Davvero? Cosa pensi che accadrà quando ogni lord del continente occidentale sarà morto? Noi saremo i padroni.»
«Non hai abbastanza uomini.»
«No, è vero. Ma non è mai stata mia intenzione affrontare eserciti in campo aperto. E poi… c’è qualcuno che sta tornando qui. E darà più problemi a voi che a me.»
Arya stringe gli occhi, cercando di pensare. Chi potrebbe essere?

«Chi?»

«Drogon, l’ultimo drago di Daenerys.»

Edmure non risponde. Lui non ha mai visto un drago. Non sa cosa significhi.
Mentre Arya… dopo averli ammirati sorvolare Grande Inverno, ha vissuto sulla sua pelle il loro potere. Drogon ha distrutto una città. Ha sterminato una popolazione. Se davvero sta tornando…

D’istinto, volta il capo verso i lupi che la aspettano al di là del bosco. Cosa ne sarebbe di loro se Drogon arrivasse fin lì?
Finirebbero in cenere.
E solo per averla seguita.

«Quando ho saputo di Daenerys ho aspettato. Non sapevo cosa fare. Non avevamo più una casa, dopo che ormai ci eravamo stabiliti nella Piramide. I Grandi Padroni ci hanno cacciati via. Gli schiavi, impauriti, si sono inginocchiati di fronte a loro, ignorando noi e tutta la protezione che avevamo offerto fino a quel momento.»
Edmure guarda il suolo. Non sembra capire molto di Piramidi, Padroni e schiavi.

«Ci siamo messi a vagare. Abbiamo visitato posti visti solo di sfuggita. E l’abbiamo trovata.»
Arya si fa attenta.

«La tomba di Daenerys. Il suo corpo.»

Arya sente un brivido scorrerle lungo la schiena.
«Mi sono fermato lì per un po’, cercando una soluzione al mio problema. Dove andare? Dove portare tutti gli uomini che mi erano rimasti? Finché non l’ho visto.» Daario ride, alza la voce, come se si stupisse ancora di quella notizia. «Drogon tornava a trovarla! Di continuo. Pensavo che mi avrebbe bruciato vivo quando mi ha visto, invece è ripartito. Forse era felice che sua madre non fosse sola.»

Fa una pausa, e l’aria diventa solida e pesante come se fosse fatta di pietra.
Arya ha paura di sapere il resto.

«E lì ho avuto l’idea.»
Edmure guarda gli uomini di Daario, ma la maggior parte non sembra capire una parola della loro lingua. E gli altri sono intenti a scuoiare un animale.

«Con il corpo di Daenerys con me, pensavo, il drago mi avrebbe seguito ovunque. Sarebbe diventato mio.»
Brividi su brividi si rincorrono sulla pelle di Arya a quella notizia.

«Non è andata così. Non si può domare un drago. Però puoi costringerlo a seguirti rubandogli ciò a cui tiene di più… e io ho rapito sua madre.»

«Sua madre è morta» ribatte Edmure, secco.
«Infatti! Non è questo il bello? Drogon la sta cercando. Sta venendo qui per riprendersela.»

«E cosa farai quando ti avrà trovato?»
«Oh, troverà me, ma non sua madre. Lei è in un luogo sicuro.»

Poi restano in silenzio a scrutarsi, e Arya si chiede se non sia il caso di intervenire. Con i lupi potrebbe facilmente liberare Edmure. E se riuscisse a catturare Daario… a farsi dire dove si trovi il corpo di Daenerys… potrebbe liberare il continente dalla minaccia del drago.

«Perché non mi uccidi?» chiede Edmure, stupendola.

«Credi che abbia sprecato tanto fiato per ucciderti?» Daario ride, ed è incredibile quanto la sua sia una risata genuina, quasi piacevole. «Devi raccontare ciò che ti ho detto, ai tuoi. Devi dir loro che se vogliono sopravvivere, se vogliono che tenga Drogon lontano dalle loro terre, devono darmi qualcosa.»

«Cosa?»

«Oh, qualcosa… terre, castelli per i miei uomini… una corona magari.» Guarda il cielo, poi di nuovo Edmure. «E la testa di Jon Snow.»

 
n 

N.d.A.:

Ciao!
Prima di tutto devo dirvi che “La voce dell’inverno” andrà in pausa per il mese di novembre. Questo per vari impegni che mi farebbero tardare con gli aggiornamenti. Mentre le minilong che ho in corso, se le seguite (“The sound of dream”; “Legami” nel fandom di Death Note) sono già concluse e vedranno la fine questo mese.

 
In questo capitolo avrei dovuto inserire anche Jon, Sansa e Bran, ma Daario mi ha rubato tutto lo spazio. Spero perdonerete la mancanza dei nostri beniamini! Ma era giusto dare qualche spiegazione. Limitarsi a dire ciò che Daario era venuto a fare a Westeros sarebbe stato davvero troppo superfluo. Mi serviva che spiegasse per bene perché è arrivato fin lì. Perché sta attaccando. E cosa vuole.
Ho immaginato che lui e Verme Grigio si siano incontrati prima che gli Immacolati partissero per l’isola di Naath. E pensare che i Grandi Padroni (o ciò che ne è rimasto) tornassero a governare dopo la morte di Dany mi è sembrato ovvio…
Bisogna ricordare però che Daario non è il solo a sentire la mancanza di Dany. Bisogna ricordarlo bene! Chi altri la considerava la propria Regina? Pensateci, anche se è un po’ uno spoiler.
Ora, le probabilità che lui c’entri qualcosa con l’attacco a Sansa scendono di parecchio.
Nel prossimo ritroveremo anche gli altri personaggi. Restate con me, e fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie mille a chi continua a seguire la storia.
Celtica

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Capitolo 20
*** Il Banchetto ***


19. Il Banchetto

 

19

Il Banchetto

 

 

 

 

Il banchetto organizzato da Sansa riporta Jon indietro di anni. Ci sono suo padre, Eddard Stark, e i suoi fratelli. Tutti sedevano al tavolo d’onore, mentre lui era mescolato agli altri.
Quando c’era, sedeva accanto a suo zio Benjen e ad altri membri dei Guardiani della Notte.
Immagina Robb lanciargli un lungo sguardo d’intesa, e sente nella testa la voce di Arya bambina.

“Sei uno Stark. Dovresti sedere con noi.”
Sansa gli ha detto le stesse parole poco prima.

«Sei uno Stark. Dovresti sedere con me, Jon.»

Poi gli aveva preso la mano e l’aveva scaldata tra le sue, mentre Spettro mugolava davanti alla porta.
Lui si era chinato a baciarla.

«Non sono uno Stark» aveva sussurrato sulle sue labbra, mentre le accarezzava la gola con la mano. «E credimi, Sansa… ringrazio gli Dèi per questo.»

Sansa aveva ricambiato il bacio, cercando un contatto con la sua pelle fredda. Sentire le sue mani sulla pancia lo aveva fatto rabbrividire.
«Anche io, Jon…» Era risalita su, fino al suo petto, accarezzando le sue cicatrici. «Anche io.»
Poi si era chinata a baciarle, una dopo l’altra.

Tormund gli tira una pacca sulla spalla, facendogli versare il vino fuori dal boccale. Jon sorride, ma dentro di sé si sente uno stupido. Come può pensare a lei in quel modo, in quel momento?
«Ehilà, piccolo corvo.» Tormund gli indica Brienne, seduta al tavolo d’onore vicino a maestro Ronald, accanto al posto vuoto che presto Sansa occuperà. «Gran bel pezzo di donna, vero?»

«Già.»

«Sembri giù. Prova a bere un po’ di questo.» Gli mette davanti un po’ di quel liquido che si porta dietro ovunque vada.
«C’è del vino, Tormund. Perché non lo assaggi?»
L’altro si porta un grosso boccale di corno alle labbra. «Ho portato il mio.»
Jon fa finta di ridere, ma nella mente ha ancora le immagini di Sansa che lascia cadere gli abiti a terra, di Sansa che lo spoglia lentamente, di Sansa che lo attira verso il letto.

«Non possiamo, San.»

«Perché?» aveva chiesto lei. Non era più turbata. «Perché siamo cresciuti insieme? Non lo abbiamo fatto come veri fratelli, Jon… e anche se fosse, adesso non è più così. Sappiamo che non è più così.»
Gli aveva preso il viso tra le mani, incatenando gli occhi azzurri ai suoi.
«È l’unica cosa per cui ringrazio la venuta di… lei.» Aveva deglutito, e Jon si era ritrovato a seguire la linea del collo sottile, le venature sotto la pelle chiara, i seni pallidi. «Se non fosse arrivata, se Sam non fosse tornato… se Bran non fosse tornato, non lo avremmo saputo. E forse tu non ce lo avresti mai detto, se non ci fosse stata lei a incombere sopra di noi con i suoi draghi.»

«Certo che ve lo avrei detto. Siete la mia famiglia.»

Sansa gli aveva infilato le dita tra i capelli, attirando il suo viso.
«Voglio dimenticarmi di lei. Non voglio più avere paura di un fantasma.»
Jon aveva appoggiato le mani sui suoi polsi. «Di cosa hai paura? Non può più farti del male.»
«Non glielo avresti permesso nemmeno prima.»

«È così. Non glielo avrei mai permesso.»
«Non è di questo che ho paura» aveva confessato Sansa, senza reggere il suo sguardo.
Non aveva aggiunto altro, ma Jon aveva capito.

Tu l’amavi, dicevano gli occhi di Sansa. E ora… chi ami, Jon? È mai possibile che…
Per lui lo era. Era possibile dimenticare la Madre dei Draghi per Sansa.

«Vieni» aveva detto Sansa, tirandolo ancora verso il letto.
Jon non aveva trovato più nulla da obiettare.

«Ecco tua sorella» dice Tormund, bevendo un altro sorso.

Tua sorella.
Il suo stomaco si contrae a quella parola. Aggrotta la fronte e cerca di non pensare al corpo di Sansa, ai suoi respiri sulla pelle. Al suo profumo.

La vede varcare l’ingresso della Sala Grande, mentre tutti si alzano in piedi e smettono di parlare. Gli occhi di Davos e Brienne sono solenni, puntati su di lei come il fiato dei draghi lo era sugli Estranei.
Lei guarda dritto davanti a sé, ignora lo sguardo di Jon, ma corruccia le labbra quando gli passa vicino, e lui sa per certo che ha avvertito la sua presenza. Lo sa, come sa che anche lei ha in mente ciò che è successo poco prima.

Jon adesso sorride.
Sorride, pensando a tutto ciò che può ancora accadere, a tutto ciò di cui non si priveranno più. Sorride, mentre ha ancora impresso il suo odore, il calore del suo respiro.

Sansa ha quasi raggiunto il tavolo rialzato quando qualcuno corre verso di lei.

È solo un ragazzo. Alto, mingherlino, con abiti troppo stretti, come se non fossero della sua misura.
Jon non sa come abbia fatto a notarlo, come faccia a sapere che quel ragazzo non è nessuno. Non sono suoi gli abiti che porta.
E forse non è suo nemmeno il coltello che stringe tra le mani mentre si avventa contro Sansa.

«GREYJOY!»

Jon balza in avanti, come Tormund e Brienne. È il Bruto a intercettare il ragazzo prima che riesca a colpire il suo bersaglio. Le guardie lo infilzano con le spade, uccidendolo sul colpo.

«No!» grida Brienne. «Perché lo avete ucciso? Avrebbe potuto dirci qualcosa!»

«Ha detto abbastanza» mormora una guardia, pulendo la lama dal sangue. È la stessa che Jon ha visto spesso davanti alla porta di Sansa. Scambia uno sguardo con maestro Ronald. «Greyjoy. Sono stati loro ad attentare alla vita della Regina.»
«Potrebbe essere solo un trucco!» insiste Brienne, guardando con sospetto il Maestro. «Che motivo avrebbero i Greyjoy…»
Sansa ha una mano sul cuore, gli occhi strabuzzanti. Lo guarda, e Jon sa, sa con certezza che stanno pensando la stessa cosa.

Ho ucciso Daenerys. L’attentato a Sansa era per punire me.

 
 n

N.d.A.:

Rieccoci! Volevo dirvi che per le feste potrei non riuscire ad aggiornare... Spero di tornare con regolarità a gennaio, e farò il possibile perché accada.
Questo capitolo era dedicato interamente a Jon e Sansa, ma nel prossimo ritroveremo Arya.
Grazie a chi è ancora qui!
Celtica

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