Amor Vincit Omnia

di Nao Yoshikawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando il sole si innamorò della luna tanto da cadere. ***
Capitolo 2: *** È un piacere riconoscerti ***
Capitolo 3: *** Questione di karma ***
Capitolo 4: *** In vino veritas ***
Capitolo 5: *** Fuoco e fiori ***
Capitolo 6: *** Il dolore del ricordo ***
Capitolo 7: *** Vita e follia ***
Capitolo 8: *** Nella pioggia ***
Capitolo 9: *** I traditori vanno puniti ***
Capitolo 10: *** Morirei per te ***
Capitolo 11: *** L'amore vince ***



Capitolo 1
*** Quando il sole si innamorò della luna tanto da cadere. ***


1

Questa è una storia antica quanto il mondo stesso, la storia di un demone che si innamorò di un angelo. Una storia triste, perché la cosa peggiore che si possa fare è amare la propria nemesi.
Amore non è un lusso concesso a chi non è umano. Questa non è una storia felice,  questa è la storia ma la più triste e struggente, quella che nessuno conosce. Eppure inizia quasi come una fiaba…
 
C’era una volta, all’inizio del mondo, un angelo vestito di bianco che incontrò un demone vestito di nero. E le loro ali, dei colori del giorno e della notte, erano così grandi da oscurare il sole
La luce e il buio, il sole e la luna, il bianco e il nero erano alcune di quelle cose ad esistere in parallelo, senza mai incontrarsi. Ma la luce che squarciava il buio creava l’ombra, il sole e la luna l’eclissi, il bianco e il nero e il colore grigio.
Per cui, forse, quella era una bugia. Crowley e Azraphel si erano trovati a metà strada fra il buio e la luce, nel confine dove entrambi potevano coesistere. E poi era successo. Era successo che la luna si era innamorata del calore del sole e che il giorno aveva ceduto alla bellezza della notte. Nel momento in cui entrambi lo aveva realizzato, avevano anche capito che un grave peccato era stato commesso. Aleggiava sulle loro teste la disperazione, ma la consapevolezza non era bastata. Sapevano che prima o poi sarebbero stati separati.
Avvenne. Avvenne ancor prima di quanto si fossero aspettati. Ma non era con la morte che avrebbero scontato la loro pena. Perché ad attenderli c’era un destino ancora peggiore.
«Me. Avevo detto di prendere soltanto me!»
Crowley si poggiò una mano sul cuore, mentre supplicava, implorava – lui! – di essere punito. Era già caduto, una volta, conosceva il dolore, la sofferenza, soffrire ancora non avrebbe fatto nessuno differenza.
«Crowley, non parlare più, ti prego. Non lo capisci? Questo è un fardello che dovremmo portare in due», gli rispose Azraphel, tranquillo o forse solo semplicemente rassegnato.
Il demone alzò gli occhi al cielo. E le sue ali divennero cenere, mente il cielo sopra la sua testa preannunciava la tempesta. A cosa sarebbe servito ribellarsi ancora?
Il destino era già segnato.
«Ma sì, che lo facciano. Parlo con te, Dio!» gridò. «Dividici pure se vuoi. Non importa quante volte verremo separati, è inutile!»
Sentì la presa di Azraphel sul suo braccio e ne avvertì il tremore. Aveva paura. Avevano paura entrambi. Come avrebbero fatto a ritrovarsi, se tutto ciò che avevano, i ricordi, sarebbero stati cancellati?
«Crowley… io non…»
«Non dire niente, angelo. E non fare quella faccia, perché io ti troverò sempre.»
Fu la sua promessa, impossibile da mantenere, ma in realtà ci credette, ci credettero tutti e due, mentre arrivavano il vento e la pioggia e venivano scacciati via dal loro mondo.
Cosa c’è di peggio dell’essere separati dalla persona che si ama?
Forse ritrovarla, vita dopo vita, senza mai saperlo. Questa era stata la punizione inflitta. Ancor peggio della morte, una dannazione eterna, che sarebbe andata avanti fino alla fine del mondo.
 
Londra, giorni odierni
 
L’orario di chiusura era passato già da un po’, ma come sempre Azraphel si era trattenuto più del dovuto. Aveva sistemato tutti i libri in maniera ordinata e aveva finito che il sole era già tramontato da un pezzo  e le strade a quell’ora spesso erano piene di malintenzionati, assassini e quant’altro. Quindi si sbrigò ad uscire e a chiudere la biblioteca. Sarebbe andato dritto per la sua strada se solo un lamento non avesse attirato la sua attenzione. Inizialmente pensò si trattasse del miagolio di un gatto, ma gli bastò voltare lo sguardo per scorgere una figura accasciata vicino ai cassonetti.
«Ma cosa…? E-ehi, tu. Stai bene?»
Si avvicinò, un po’intimorito. La figura seduta sull’asfalto non parlava più, era ora immobile. Azraphel si guardò intorno.
«È morto…? Mi senti…?»
Quello si mosse così veloce che quasi non lo vide. Una mano sconosciuta si era stretta attorno al suo polso e ciò lo aveva portato a rabbrividire, per lo spavento e forse anche per altro.
La persona che aveva soccorso si era alla fine dimostrata viva, ma molto poco in sé. Portava gli occhiali da sole nonostante di sole non ce ne fosse. Forse adesso lo stava guardando.
«Ah, ti ho trovato», gli sentì dire.
«Tu mi hai trovato? Ma chi sei?» domandò, non riuscendo più a muoversi. Lo vide sforzarsi per tirarsi su, senza però alcun risultato.
Una sbornia… come immaginavo.
«Forse è meglio se non ti muovi troppo», gli suggerì. Ma fu inutile Perse di nuovo i sensi e Azraphel si ritrovò così con un perfetto sconosciuto svenuto davanti. Ci sarebbe stato qualcuno che se ne sarebbe andato, facendo finta di niente. Ma non lui.
«Va bene, d’accordo. Dormi pure. Ti aiuto io», sospirò sommessamente. Che strano. Eppure quel viso… non gli era del tutto nuovo.


Nota dell'autrice
Per pubblicare questa storia ho dovuto mangiare un kg e mezzo di coraggio. Ho dovuto, perché altrimenti mi avrebbe dato il tormento per giorni e poi ero desiderosa di mettermi in gioco in un nuovo fandom. Devo ringraziare Shimba97 che mi ha incoraggiata e mi ha promesso che sclererà con me in ogni caso. Questa storia... beh, è l'idea definitva che mi è venuta dopo tanto pensare. Io spero solo due cose
1 - Che quello che io abbia scritto abbia senso
2 - Di non snaturare troppo i personaggi, visto che è una cosa che odio. Inizialmente questa storia doveva essere tipo una soulmate, però poi no... e lo so che se parlo così non si capisce poi molto, ma a me piace far arrivare le cose piano. Ah, prima che me lo dimentichi, la frase "Io ti troverò sempre", che torna sempre in ogni mia storia, è una citazione di OUAT, che chi mi conosce sa quanto mi ha forgiata. Io spero di avervi incuriositi. Adesso torno a respirare T_T

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Capitolo 2
*** È un piacere riconoscerti ***


2
 
Probabilmente quella sera avrebbe fatto molto, molto tardi.
Ma lasciare una persona bisognosa al suo destino non era giusto. Non con poca fatica lo aveva portato dentro la biblioteca, per evitare di lasciarlo in mezzo alla strada.
Non contava che riprendesse di nuovo i sensi, per questo quando accadde se ne sorprese.
Vide la persona che aveva salvato sgranare gli occhi e prendere un profondo respiro, come se fosse rimasto in apnea per molto tempo. E poi lo vide mettersi immediatamente seduto, con lo sguardo confuso.
«Meno male, ti sei svegliato. Non ti muovere, ok? Ho già chiamato aiuto.»
«…Eh?» quello finalmente parlò. «Oh, no. Avresti fatto meglio a non chiamare nessuno, che mi lascino in pace. No, io me ne vado.»
Che razza di reazione era quella? Lo aveva aiutato e adesso voleva andare via come se niente fosse? Non era una cosa saggia da fare.
«Ma…aspetta! Dove vuoi andare? Tu sei… ubriaco?» Azraphel abbassò la voce.
Crowley – perché questo era il suo nome, che non gli aveva ancora rivelato - afferrò i suoi occhiali da sole, indossandoli.
«No. Non lo sono», rispose leggermente stizzito. «Se vuoi che ti ringrazi… grazie. Ma qui non posso proprio stare.»
«Non eri venuto per vedere me?»
«Per vedere te? Io neanche ti conosco!»
Già, per l’appunto. Probabilmente ciò che aveva detto prima era stato causato dal troppo alcol in circolo. Ma che lo conoscesse o meno non aveva importanza, Azraphel non era proprio capace di non aiutare il suo prossimo, per quanto indisponente e difficile quest’ultimo potesse essere.
«Almeno lascia che ti accompagni.»
«No, ho la mia auto qui… da qualche parte. Dove l’ho messa? Ah, la troverò», disse Crowley con noncuranza. «Adesso me ne vado.»
Azraphel provò ad aggiungere altro, senza però riuscirci. Era successo tutto così velocemente che in realtà neanche se ne capacitava, alcune persone ti sfioravano l’esistenza e poi passavano dritte, magari per poi scomparire per sempre.
Uscì un sospiro dalle sue labbra. Aveva ancora la netta sensazione che quella persona, di cui ancora non conosceva il nome, l’avesse già incontrata. Magari doveva solo ricordare, ma i ricordi erano un inganno, sfumavano e si perdevano, lasciando più con dubbi che con certezze.
Si disse che non era né il momento né il luogo adatto per pensare a certe cose e che la sensazione perenne di vuoto, lì dove si trovava il cuore, sarebbe presto scomparsa, dopotutto ci aveva a che fare soltanto da tutta la vita.
Si estinguerà la notte per lasciar posto all’alba, la vita per lasciar posto alla morte. E poi tutto ricomincerà ancora e ancora, tutto da capo.
Era forse normale avere il presentimento che la propria vita stesse per finire?
Ma sarebbe passata anche quella sensazione e avrebbe finto che non fosse mai esistita.
 
Tutti i giorni scorrevano gli uni uguali agli altri, in un fiume inarrestabile. Per l’ennesima volta nel corso della sua vita, la notte avrebbe ceduto il suo posto al giorno, ed allora sarebbe tutto ricominciato, senza alcun cambiamento.
Nonostante fosse tornato tardi a causa di quell’imprevisto, Azraphel aveva aperto la libreria presto, come sempre. E si prospettava essere una giornata tranquilla, senza ulteriori intoppi come quello della sera precedente. Eppure la sensazione che aveva addosso gli suggeriva tutt’altro. Ma soprattutto, aveva fatto bene a lasciare andare quel tipo? Lo aveva trovato in condizioni pietose, ma si era rifiutato di farsi aiutare ulteriormente. Forse si preoccupava troppo, se avesse avuto almeno il modo di sapere se stesse effettivamente bene, forse sarebbe stato un po’ più tranquillo. Aveva appena finito di sfogliare un libro di storia. Quest’ultima lo affascinava, l’idea di sapere cosa fosse successo nel mondo, quando ancora non c’era, era interessante. Quel venerdì mattina non aspettava visite. Eppure qualcuno si presentò comunque alla sua porta.
«Salve, cosa…?»
Solo successivamente sollevò lo sguardo e con grande stupore si ritrovò ad indicare la persona che  era entrata.
«Tu! Tu sei vivo!»
Crowley fece una smorfia.
«Non dovrei esserlo, forse?»
«Sì, è solo che… ti davo per disperso, te ne sei andato sulla tua auto e credevo non ne saresti uscito vivo. Meno male», sospirò, con una mano sul cuore. «Ti sei ricordato dov’ero?»
«Ero un po’ ubriaco, ma non fino a quel punto, Azraphel.»
Quest’ultimo si irrigidì. Era certo di non avergli detto il suo nome, come poteva conoscerlo?
«Come fai a sapere come mi chiamo?»
«Me l’hai detto tu.»
«No, io non…»
«Sì, me l’hai detto tu», tagliò corto, guardandosi intorno. «Sono venuto qui per sdebitarmi. Alla svelta, perché odio avere debiti.»
«Non ce n’è bisogno…», si zittì, rendendosi conto di non conoscere ancora il suo nome.
«Crowley»
«Crowley? Non mi è nuovo.»
«Già, appunto. Allora, che devo fare?»
«N-niente. Ho detto che non è necessario.»
«Non mi guardare così, non ci sto provando e non ho cattive intenzioni.»
Azraphel non sapeva cosa dire davanti ad una persona così particolare. Non lo aveva conosciuto nella maniera più convenzionale possibile, ed anche adesso non capiva proprio come prenderlo. Eppure non pareva pericoloso, in un certo senso gli veniva quasi istintivo fidarsi, per qualche assurdo motivo che non sapeva spiegarsi.
«Io non ho mai pensato questo, ma va bene. Dico sul serio, non hai alcun debito nei miei confronti… non mi conosci neanche.»
Non si sentì convinto mentre pronunciava quelle parole. Forse perché Crowley mandava in malora le sue sicurezze, aveva un modo di approcciarsi confidenziale, per certi versi anche agitato. E ciò, anziché inquietarlo come avrebbe dovuto essere, lo incuriosiva e nulla più.
«Ti piace il sushi?» domandò Crowley come se nulla fosse.
Questo forse era un po’ inquietante, ma non abbastanza da intimorirlo tanto da rifiutare.
«Sì, molto, perché?»
«Allora stasera andremo. Scommetto che l’idea ti piace, vero?»
Azraphel alzò un dito e fece per dire qualcosa. Crowley era pazzo?  O era solo molto sicuro di sé? O lo stava prendendo in giro? Se lo domandò, per poi capire che non aveva importanza. Non riusciva a temerlo, né ad allontanarlo.
C’era un qualcosa di già vissuto. Qualcosa di lontano e irraggiungibile.
Cosa è che ho dimenticato?
 
Seimila anni prima, giardino dell’Eden
 
L’inizio del mondo era bello. Perché c’era sempre il sole e mai troppo caldo o troppo freddo, mai nulla di troppo o troppo poco. Azraphel non ricordava esattamente il momento in cui aveva iniziato ad esistere, ma ricordava invece quando aveva iniziato a vivere. Quel motivo era un segreto troppo grande per non essere custodito, almeno fin quando fosse stato possibile. Si era macchiato del più orribile dei peccati. Un angelo avrebbe dovuto essere giusto, sincero, onesto e tante altre cose che non gli confacevano. Lui non lo era e poteva farsene una colpa solo fino ad un certo punto. Perché dall’altro lato – e Dio non lo avrebbe mai perdonato per questo – era anche felice di aver scoperto tutto il bene e tutto il male dell’amore.
«Ti ho trovato, angelo
Azraphel si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati. Quel pazzo, incosciente, tanto quanto lui.
«Crowley, che fai qui? Ti caccerai nei guai.»
«Più di così? Mi sembra difficile. È inutile preoccuparsi, siamo già dannati. Ci scopriranno presto.»
«E la cosa non ti preoccupa affatto?»
Era il tramonto sull’Eden, in quell’istante. Crowley si volse a guadare il sole morente, pensieroso, come se stesse soppesando la risposta da dare.
«Sono portato a credere che non potranno separarci. Chiamala illusione o come vuoi, non importa. Quando questa storia è cominciata, sapevamo come sarebbe finita.»
«In mia difesa posso dire di aver provato a resistere. Ma tu… tu mi hai tentato…»
«Ti prego, hai ceduto subito, non aspettavi altro», lo stuzzicò. Azraphel distolse lo sguardo, arrossendo lievemente.
«Non parlare di queste cose blasfeme…»
«Va bene, non ne parlo. Ma non intendo andarmene così. Io sono venuto qui per te, non merito forse un trattamento di riguardo?»
Come faceva la luce ad esistere nel buio? Demoni ed angeli erano rispettivamente cattivi e buoni, senza eccezioni. Ma Azraphel sapeva che come in Crowley esisteva uno spiraglio di luce, in lui esisteva una punta di oscurità. L’aveva capito nel momento in cui si erano incontrati.  Forse loro erano l’eccezione. Forse erano la frase sbagliata scritta nella storia del mondo, che qualcuno avrebbe poi cercato di cancellare.
L’angelo socchiuse gli occhi e gli si avvicinò.
«Saremo dannati.»
«Come se ne avessi paura. Ascoltami bene, perché non lo ripeterò una seconda volta. Affronterei qualsiasi punizione, mi farei uccidere mille volte, se questo servisse a tenerti vicino a me. E sia chiaro, questo non lo farei per nessun altro.»
Azraphel sorrise.
«Lo so», soffiò. Non era stata una scelta. Forse quello era il loro destino ineffabile, impossibile da fermare o anche solo da comprendere.
Fu Crowley il primo a chiudere gli occhi. Certi istinti non erano propri degli angeli, dei demoni. Erano impulsi che non avrebbero dovuto provare, però esistevano.
Si avvicinò e delicatamente lo attirò a sé.
«Bene, allora vedi di non dimenticarlo.»
Lo baciò. Di tutte le volte in cui lo aveva fatto, oramai aveva perso il conto. Quello era l’esatto attimo dove luce e ombra sgusciavano l’uno verso l’altro per stringersi in un abbraccio. Le loro labbra si sfiorarono, mentre il sole moriva.
 
 
 
Era sempre il tramonto, soltanto di qualche millennio più avanti. Lo stesso cielo e lo stesso sole, poi tutto il resto era diverso, mutato. Azraphel aveva intenzione di vederci chiaro in tutto ciò. Da quando aveva incontrato Crowley una strana sensazione gli si era attaccata addosso senza dargli tregua, senza contare che quel tipo non gliela raccontava giusto, doveva esserci una spiegazione dietro dei modi di fare tanto strani. Difatti, arrivò a pensare che non a caso dovesse essere capitato nella sua biblioteca, la sera prima, e che davvero era venuto fin lì per cercarlo.
Ma cosa era Crowley per lui? Non lo conosceva, non sapeva niente. L’appuntamento, che non era un appuntamento,  era al Sushi Tetsu alle sette e mezza. Azraphel non era neanche sicuro che lo avrebbe trovato lì.
E invece, con sua grande sorpresa, fu esattamente dove avrebbe dovuto essere. Crowley si era levato gli occhiali da sole – almeno lì – e nel vederlo gli aveva fatto un cenno.
«Ciao. Sei qui da molto?»
«In verità sono appena arrivato.»
Azraphel si sedette, rigido e composto e guardò dritto negli occhi il suo interlocutore. Aveva le iridi di un particolare castano quasi dorato, cosa che lo portò a chiedersi perché si ostinasse tanto a coprirli.
«Bene, penso che tu mi debba delle spiegazioni. Chi sei? Perché hai voluto vedermi?» domandò, gentile ma impaziente. «Ieri sera mi hai detto “Ti ho trovato”, poi però hai detto di non conoscermi. Ebbene? Ci siamo visti da qualche parte e io non mi ricordo di te?»
Crowley ascoltò le sue domande, senza interromperlo, ma anche senza guardarlo, troppo impegnato a giocherellare con l’asta dei suoi occhiali.
«Il problema è proprio questo», disse dopo un attimo di pausa. «Che io non lo so. Non so se ti ho già incontrato. Però…so chi sei.»
«…Sei uno stalker?»
«Diamine, no!» sbottò, spazientito, per poi sospirare. «Io vedo delle cose. Sento delle cose, nella mia testa. E il tuo nome, il tuo viso, mi tormentano. So per certo che non sono sogni, troppo lucidi per esserlo. Ma è tutto frammentario. Avrei voluto cercarti, ma non sapevo come, fin quando ieri sera… non ti sono comparso davanti.»
Azraphel iniziò a credere che forse aveva sbagliato a giudicare e che probabilmente Crowley – sebbene non sembrasse pericoloso – non  doveva essere del tutto sano di mente. Non c’era logica in ciò che diceva.
«Non so cosa dire, io non… non ti ho mai visto. Forse tu…? Forse hai bisogno di aiuto.»
«Eh, no. Non provare a trattarmi come se fossi pazzo», disse sollevando un dito. «Io sono molte cose, ma non sono pazzo.»
Azraphel si massaggiò una tempia. No, infatti, forse pazzo sarebbe divenuto lui a furia di starlo a sentire.
«D’accordo, ma mettiti nei miei panni. Cosa faresti se uno sconosciuto venisse da te a dirti… queste cose?»
«Sono proprio uno sconosciuto? Non ti è familiare niente di me?»
Voleva rispondere di no, ma sarebbe stata un’enorme bugia. Era certo di non averlo mai visto, eppure non era del tutto indifferente. C’era qualcosa, una voce che aveva dimenticato, una triste storia che era stata cancellata, la costante sensazione che mancasse un pezzo fondamentale nella sua esistenza.
«Mi spiace… penso che mi ricorderei, se ci fossimo incontrati.»
Crowley sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Sembrava agitato, impaziente, come se stesse cercando qualcosa che non riusciva però a trovare.
«Non sono pazzo, ma lo diventerò così. Sì, impazzirò di certo, non c’è dubbio», mormorò assorto, come se stesse parlando a se stesso. Poi cambiò nuovamente espressione, tornando ad essere tranquillo. «Non importa. Ho sbagliato, temo. Non troverò mai quello che cerco.»
E per un attimo, ad Azraphel parve che i suoi occhi si fossero velati di qualcosa simile alla malinconia.
«Cos’è che cerchi?»
Crowley scosse stancamente il capo.
«Qualcosa che ho dimenticato.»
Fu una delle esperienze più strane, particolari che avesse mai vissuto. Azraphel si chiese come si potesse essere così inquietati e al contempo attratti da una persona. Perché sì, indubbiamente Crowley aveva qualcosa che lo attirava, che fosse per la malinconia del suo sguardo o per ciò che diceva, non avrebbe saputo dirlo. E poi si era aggiunta, alla lunga lista di sensazioni strane, quella che se avesse provato ad allontanarlo, si sarebbero ritrovati comunque. Per caso. O magari non tanto. E magari neanche quell’incontro era stato un caso.
Ad una certa, Crowley aveva smesso di parlare di ciò che non riusciva a ricordare, l’aveva messo da parte, cercando di non badarci. Ma il pensiero era nella sua testa, era sempre lì.
Avevano iniziato a parlare di argomenti normali, a riconoscersi, senza saperlo, per la millesima volta, ignari che sarebbero morti in maniera violenta, per poi rinascere e dimenticare tutto.
«Quanti libri possiedi?» domandò ad un tratto Crowley, sorprendendolo.
«Quanti? Non saprei. Molti…?» domandò Azraphel in certo.
«Hai libri che parlano della reincarnazione?»
Quella domanda lo sorprese, di nuovo.
«Immagino di sì. Vuoi che lo cerchi per te?»
«Mi servirebbe sì. Io non leggo, tuttavia ci sono delle cose che devo cercare di capire», poi sorrise. «Lo so, ancora  pensi che io sia fuori di testa, vero? Lo pensano tutti. Ma se sapessi quello che ho qui dentro» e si indicò proprio la testa. «Scommetto che daresti di matto anche tu.»
Azraphel si schiarì la voce. Aveva pensato che avesse qualche rotella fuori posto diverse volte, probabilmente perché quello che diceva non aveva il benché minimo senso. O almeno, solo una parte di lui era convinto di ciò.
«Io non penso tu sia pazzo, ma nel sentirti parlare capisco che sei diverso da qualsiasi alta persona. Non avevo mai incontrato nessuno come te.»
Crowley si passò stancamente una mano tra i capelli, con un sorriso ironico stampato in viso.
«Magari fosse così facile per me affermare lo stesso. Va bene, d’accordo. Allora ricominciamo da capo. Io sono Crowley, piacere .»
E gli tese una mano. Azraphele sentì la sua voce interiore dirgli: “Non farlo. Perché se adesso lo fai, non potrai più tornare indietro”.
La ignorò. In quale guaio di così grande portata avrebbe mai potuto cacciarsi, dal momento che erano solo due persone che si stavano conoscendo, di nuovo?
«Piacere mio», sussurrò, stringendogli la mano. Non si staccarono subito come in genere avrebbero fatto due persone comuni. Le persone in genere la chiamavano deja-vu, la sensazione di aver già vissuto un dato momento. Crowley ebbe la certezza più che mai che tutto ciò che sentiva, tutto ciò che era nella sua testa, in qualche  modo assurdo e incomprensibile, era reale, e che non era pazzo come tutti dicevano.
Capì che Azraphel era il qualcosa che forse doveva trovare, anche se ancora non capiva il perché.
 
Nota dell’autrice
Miracolosamente anche il secondo capitolo (il primo vero e proprio in realtà) è venuto fuori. Alla domanda: “Quindi Crowley ha recuperato la memoria?”, rispondo “nì”. Ci sono delle cose che ricorda sulle sue vite precedenti, ma sono frammentarie e prive di collegamenti. Si ricorda di Azraphel, sa che in qualche modo devono essersi conosciuti, anche se non sa come, dove e perché. E tutto ciò sta facendo non poco male alla sua salute mentale. Azraphel invece zero totale, non ricorda niente, ma le sensazioni alle volte sono più forti dei ricordi. Quindi Crowley dovrà trovare il modo intanto di capire e chiarire i suoi dubbi, e poi trovare il modo di spiegarli ad Azraphel, senza farsi prendere per pazzo, cosa che stava già accadendo. Quindi sì, è stata tirata in ballo la reincarnazione, che non è assolutamente sbagliato come concetto, anzi, il punto è proprio quello, solo che ancora non lo sanno. Lo so, è complicata come situazione, ma io ho una passione per queste cose… poi sì, è molto angst, quindi ci vado a nozze proprio.  Ringrazio tutti coloro che hanno recensito il prologo, spero che l’idea alla base vi piaccia. A presto!
 
 

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Capitolo 3
*** Questione di karma ***


3
 
Si trovava di nuovo in uno spazio indefinito, al di là del tempo e di tutto. Il bianco era accecante, troppo bianco, al punto da essere fastidioso, soffocante, inquietante. Crowley non sapeva perché si trovasse lì, né da quanto ci fosse arrivato, ma aveva capito sin da subito di non essere da solo. Con lui c’era qualcun altro, che però non lo guardava. No, gli dava le spalle e questo gli aveva fatto sentire il bisogno di avvicinarsi per vedere il suo viso, trovargli un’identità, nonostante la paura. Perché aveva paura, e aveva tutti i buoni motivi per provarne. Gli arrivò vicino e si voltò per guardarlo.
«Tu», sussurrò. In realtà non avrebbe voluto, ma sembrava non essere in grado di parlare ad alta voce.
Lui sembrava un angelo. Ed era certo che in qualche modo dovesse esserlo stato.
«Crowley, perché non mi hai salvato? Perché non ci hai salvati?»
Quella domanda, rivolta a lui con quel tono calmo, gentile, ma addolorato, lo uccise dentro.
«Ci, sto provando, Azraphel. Ma non so come si fa. C’è troppo che non so. C’è troppo che non ricordo. Perché noi ci troviamo senza incontrarci mai? Qual è la maledizione che ho dimenticato?»
Non capiva come potesse conoscere il suo nome, in verità credeva di saperlo da sempre. A quella sua domanda, Azraphel non aveva risposto. Quando tutto iniziò a sfumare, capì che stava sognando e maledisse ogni cosa. Perché era quando la sua mente smetteva di essere lucida, o durante il sonno, che allora i ricordi riaffioravano. Poi però arrivava il mattino e tutto si dissolveva come nebbia. Allungò una mano, come se volesse afferrarlo, ma quella non sarebbe stata una grazia a lui concessa.
Spalancò gli occhi e la prima cosa che avvertì fu il battito troppo accelerato del suo cuore. Si mise subito seduto e ciò gli provocò un giramento di testa, che però ignorò.
Disperatamente stava cercando di non far sfuggire il suo sogno, che infidamente aveva già preso a sfumare, lasciandolo con un profondo senso di inutilità, tormento. Alcune cosa però riusciva a ricordarle. Ricordava che la persona che doveva trovare fosse Azraphel, ma non sapeva se era la stessa persona che aveva conosciuto. Perché dopotutto, non aveva dimostrato di ricordarsi di lui. Di certezze non ne aveva, se non quella che in qualche modo loro dovevano essere collegati. Dovevano essersi conosciuti e aver condiviso molto, solo che non comprendeva il perché, il come, il quando. Aveva creduto di diventare pazzo. E forse pazzo lo sarebbe divenuto sul serio, già dubitava fortemente della sua sanità mentale, dal momento che non sapeva più cosa era reale e cosa non lo era.
Si alzò, continuare a stare lì lo avrebbe innervosito e nulla più. La sua casa era grande, troppo grande per una persona sola, gli unici esseri viventi a fargli compagnia erano le sue piante, rigogliose e quotidianamente curate, e il suo serpente Lucifer che strisciava nella teca. Non era un problema, Crowley aveva sempre avvertito un senso di solitudine che andava oltre il semplice non avere nessuno. E poi c’era il senso di colpa. Sentiva che c’era qualcosa che avrebbe potuto fare, ma che non aveva fatto. Sentiva che era colpa sua se si trovava in quella situazione, e che forse lo meritava.
Autocommiserarsi, che cosa patetica. Non se ne sarebbe stato fermo ad aspettare d’impazzire, ma a volte la sua lucidità veniva sostituita dalla frustrazione ed esasperazione, che lo portavano ad annegare nell’alcol. Ed era annegato nell’alcol anche la sera in cui aveva incontrato Azraphel. Guardare tra la gente senza mai incontrare gli occhi di chi si cercava era terribile e crudele, per questo aveva deciso di smettere di pensare. E poi, per merito del fato, di Dio, o di chissà quale altra entità, se l’era ritrovato davanti. E, doveva ammetterlo, quando si era risvegliato era stato il panico. Non solo i dubbi se quello che stesse vedendo fosse reale o meno, ma soprattutto, come potergli spiegare qualcosa di cui nemmeno lui era certo?
Ci avrebbe provato. Almeno adesso lo aveva trovato, ma c’era tanto altro ancora da cercare, la spiegazione a dei ricordi che non sembravano suoi, in cui c’era anche Azraphel.
Reincarnazione. Non si era mai interrogato molto su cosa dovesse esserci dopo la morte, non gli interessava neanche. Ma se davvero il concetto alla base della reincarnazione e la possibilità di vivere tante vite era possibile, allora forse quella era la strada che doveva prendere.
E la cosa importante, soprattutto, era non allontanare Azraphel. Non gli si era approcciato nel miglior modo possibile, ma mostrarsi tranquillo e normale era difficile. Nessuno capiva i suoi tormenti, cosa vi fosse nella sua testa. Quanto il suo animo era tormentato. Odiava provare pena per se stesso. Eppure non ne poteva fare a meno. Ad ogni modo, per quel giorno avrebbe dovuto mettere da parte la sua profonda tristezza, poiché aveva detto ad Azraphel che sarebbe passato da lui a cercare un maledetto libro che potesse aiutarlo.
Non è solo questione di cercare risposta alle tue domande. È che lui ti piace. Se non di più. Forse lo ami, forse quello è alla base di tutto.
«Ah, silenzio», zittì la sua coscienza, perché l’ultima cosa che voleva erano altri problemi.
… Che cosa significa “amore?”
 
Le undici e mezza. E Azraphel aveva passato le ultime due ore ad attendere Crowley. Il perché non lo sapeva neanche lui, non è che ci tenesse in particolar modo a vederlo, anche se doveva ammettere che la serata che avevano passato insieme non gli era dispiaciuta.
Smettila. Non è interessato a te, l’ha specificato ben più di una volta. E non dovresti perdere la testa per il primo uomo affascinante che incontri.
Aveva appena detto “affascinante”?
Neanche la lettura sembrava poterlo distrarre. Dopo tanto attendere, Crowley era finalmente arrivato. Portava ancora gli occhiali da sole e si muoveva con aria stanca, seppur impazienza.
«Giorno. Hai trovato quello che mi serviva?» domandò. Azraphel gli indicò una pila di libri sul tavolo.
«Ho fatto del mio meglio», si limitò a rispondere. In realtà era curioso, voleva saperne di più. C’era del mistero attorno a Crowley, attorno al suo tormento. Perché chiaramente era tormentato. Lo vide sedersi e iniziare a sfogliare uno dopo l’altro quei libri, sbuffando ogni tanto. Non lo avrebbe disturbato, né gli avrebbe fatto domande, dopotutto quelli non erano certo affari suoi. Ma Crowley non aveva proprio più detto una parola. Si accorse che gli piaceva guardarlo. Oh, sì, gli piaceva molto. E lo faceva, senza riuscire a controllarsi, nella speranza che l’altro non lo vedesse.
Dopo un’ora e mezzo di sguardi più o meno velati, Azraphel gli si avvicinò, poggiandogli vicino una tazzina di tè nero.
«Eh? Ah, grazie.»
«Prego, non c’è di che.»
Fece per andarsene. Avrebbe voluto, ma la tentazione fu troppo forte.
«Come mai ti interessi tanto a questo genere di cose?  Tu… ci credi?»
Crowley lo guardò.
«Io credo soltanto che potrebbe essermi utile per alcune… questioni. Ma per quanto riguarda la fine che la nostra anima fa dopo la morte, non ho un’idea precisa. E tu? Tu mi sembri uno di quelli che crede all'aldilà», iniziò a parlarne, nonostante sapesse quanto personale potesse essere come domanda. Azraphel però non parve sconvolgersi più di tanto.
«Precisamente. Credo in questo e credo in Dio.»
«Ah! Beh, se un Dio davvero esiste, sicuramente non mi ama», affermò con rabbia.
«Perché dici questo?»
Azraphel poté giurare che gli occhi di Crowley stessero andando in fiamme.
«Perché se mi amasse, allora non dovrei soffrire in questo modo.»
Si pentì subito di aver parlato. E Azraphel si pentì subito di essere stato così indiscreto. Dopotutto c’era troppo che non sapeva. Si schiarì la voce, cercando di cambiare argomento.
«La Reincarnazione e la legge del Karma. Hai trovato qualcosa?»
«Ho trovato tanto, ma adesso ho le idee più confuse di prima. Perfetto!» sbottò. E poi sospirò. «Visto che si stava parlando di argomenti del genere, te lo chiedo: escludi completamente questa possibilità? La possibilità che un’anima possa rinascere più e più volte? »
Azraphel ci pensò qualche istante prima di dare la sua risposta.
«Non ci ho mai pensato.  È una cosa un po’ triste, perché ogni volta dimenticheresti tutto ciò che hai vissuto la volta prima.»
«Come può essere triste, se appunto non ricordi?»
«Lo so. Infatti è l’idea ad esserlo.»
Crowley ne sapeva giusto qualcosa. Perché la sua anima doveva esistere da anni, da secoli, da millenni, questa era la sensazione che aveva. Aveva viaggiato fin lì, ma la fine di ogni viaggio non doveva essere stata piacevole. Ma anche questa, era solo una sensazione, nulla di concreto.
«Quindi non vuoi crederci perché è triste, come cosa?»
Quella conversazione era strana, ma non per questo Azraphel la trovò innaturale, tutto il contrario.
«Se dovessi pensarci, finirei con l’impazzire. Perché a quel punto mi chiederei… quante cose ho dimenticato?»
Quante cose ho dimenticato? Forse domanda più adatta non sarebbe potuta esistere. E ripensando a tutti i discorsi che Crowley aveva fatto, non poté fare a meno di chiederglielo.
«Non è che per caso credi che noi due…» indicò se stesso e poi lui. «Che noi due… ci siamo incontrati in una vita passata, vero?»
Aveva fatto centro, non ci aveva sperato accadesse così in fretta.
«Forse. Altrimenti ci sono delle cose che non so spiegarmi. Ad esempio, come facevo a conoscere il tuo nome e il tuo viso ancor prima di incontrarti?»
«Allora lo ammetti, conoscevi già il mio nome!»
«Sì…cioè, no!» lo stava inquietando nuovamente. «Perché è così difficile parlare con te? Sento di conoscerti, da tutta una vita. Da tante vite. E sento un senso di colpa terribile nei tuoi confronti, oltre a…»
«… Un conto in sospeso.»
Quella riflessione sfuggì alle sue labbra e allora si guardarono negli occhi. Com’era possibile, forse sentivano le stesse identiche cose? Crowley ci sperò. Sperò che in qualche modo lui capisse il casino che aveva nella sua testa.
«Per l’appunto. E so per certo che tu mi hai mentito. Che ti ricordo qualcosa di lontano. Spaventati quanto vuoi, ma la voce nella mia testa mi dice che io dovevo trovarti.»
Azraphel apparve a disagio.
«La voce nella tua testa ti dice tante cose. Mettiamo caso che quello che dici fosse vero… come potresti tu ricordare? Ma soprattutto… perché proprio io?»
«È esattamente quello che vorrei cercare di capire. E se mi dessi una mano faremmo prima e mi eviterei di impazzire. Perché so per certo che anche tu cerchi disperatamente di riempire  il vuoto della tua esistenza.»
Oramai era ufficiale. Crowley e lui avvertivano le stesse sensazioni, erano alla ricerca delle medesime risposte, solo che Azraphel non lo sapeva ancora. Sospirò. Doveva essere impazzito.
«E come pensi potremmo riempire questo vuoto?»
 
Londra, 1987
 
«Azrapheeeel! Dannazione, vuoi sbrigarti? È più di un ora che aspetto qui seduto!»
Crowley aveva cercato di passare il tempo ad ascoltare la musica alla radio, ma così era davvero troppo. Quello stupido del suo migliore amico impiegava sempre ore a prepararsi per qualsiasi evento, alle volte era peggio di una donna.
Fu sollevato quando lo vide finalmente  arrivare.
«Era ora!»
«Mi dispiace, ma sono dovuto tornare a prendere un ombrello, non avevo idea che prendesse a piovere!» si giustificò lui, sedendosi e richiudendo lo sportello. «Possiamo andare.»
«Beh, grazie sua maestà. Ma dovresti essere più gentile con la persona che ti porta fuori e ti fa divertire.»
«La tua idea di divertimento è assai distante dalla mia, ma va bene ugualmente.»
Crowley mugugnò qualcosa di indefinito. Si ritrovarono a passare davanti Saint James Park, dove molto spesso  si ritrovavano ad andare, peccato che con quella pioggia fosse impensabile. Lui e Azraphel erano amici, anzi, migliori amici, e nessuno dei due ricordava come fosse iniziata, in realtà era un po’ come se si conoscessero da sempre.
Come se si volessero bene da sempre. O come… come se si amassero da sempre. O per meglio dire, Crowley sapeva di amarlo, ma non sapeva se per Azraphel fosse lo stesso. Quindi non glielo aveva mai detto, ma quella sera… sì, quella sera glielo avrebbe detto, era arrivato il momento.
«Perché sei così rigido? Non sarai ancora arrabbiato con me perché ti ho fatto aspettare? Lo sai come sono.»
«Lo so, lo so come sei. E stranamente ti sopporto comunque.»
Azraphel si indispettì, Crowley si divertiva troppo spesso a stuzzicarlo.
«Sopportarmi? E io che dovrei dire? Tu… Tu non mi stai neanche così simpatico!»
«Sì, invece» alzò gli occhi al cielo. «È che… accidenti a te, Azraphel, parlarti è difficile.»
«P-perché? Che cosa devi dirmi?»
Non quello. Non poteva essere quello il momento per confessargli qualcosa di così importante.
«… Io ti amo…» sussurrò, gli occhi fissi sulla strada. Azraphel sgranò gli occhi, incerto se avesse più o meno sentito bene.
«Come hai detto, scusa?»
«Ho detto che ti amo, maledizione! Non era così che volevo dirtelo, ma mi è scappato. Complimenti a me e alla mia lingua biforcuta»
Azraphel era stato colto alla sprovvista e in un primo istante non seppe cosa dire.
Eppure si sentì come se stesse aspettando quel momento da tutte le sue vita.
Sollevò lo sguardo e fece per parlare, ma ben preso i suoi occhi si riempirono di terrore.
«Attento!»
Era stata la frazione di un secondo, che aveva fatto sfumare via tutto. Due fari puntati addosso, l’asfalto troppo bagnato e infine era giunta la fine. Morti. Sul colpo.
Ironico il fatto che fosse successo proprio un attimo prima di raggiungersi. Ma in verità non era neanche così assurdo. Perché quella era la loro punizione, morire ogni volta che erano ad un passo dal trovarsi davvero, per poi rinascere di nuovo.
Senza mai più aversi.
 
-
 
Azraphel non capì perché si fossero ritrovati proprio lì, proprio in quella panchina a Saint James Park. Anche in questo c’era qualcosa di inquietantemente familiare, perché forse in quel posto, con lui c’era già stato.
«Emh, emh… Credo che tu non mi abbia ancora risposto alla domanda di poco prima… Come lo riempiamo questo vuoto?»
Crowley era seduto accanto a lui, ma piuttosto che guardarlo, sembrava molto più interessato al laghetto con le paperelle.
«Io non ho mai detto di sapere il come», rispose. A quel punto Azraphel trovò il coraggio di guardarlo.
«Ma… ma mi prendi in giro?»
Sarebbe stato molto più facile se gli avesse effettivamente detto che sì, lo stava prendendo in giro solo per cercare di farsi piacere. In questo però Crowley  c’era già riuscito, senza però saperlo ancora.
«No, non ti prendo in giro. Penso che se voglio ricordare qualcosa, dovrò stare con te. Se davvero in qualche vita precedente ti ho incontrato, mi aiuterà. E aiuterà anche te.»
«… Mai pensato di usare, non so… l’ipnosi?»
«Non andrò da uno strizza cervelli, te lo puoi scordare», chiarì immediatamente. Trovò incredibile come Crowley fosse in grado di alternare momenti di malinconia a momenti di estremo orgoglio.
Stare con me, ma in che senso? Tutto ciò sa tanto di scusa, ma chi arriverebbe a tanto?
Con le mani poggiate sulle ginocchia, osservò il cielo. E domandò senza pensare.
«Se fosse davvero come dici tu… allora io e te cosa saremmo stati, prima?»
Crowley chinò leggermente gli occhiali, per osservarlo. Se il loro legame continuava a persistere, di certo dovevano essere stati molto uniti. Forse si erano amati, ma provò timore al solo pensarci.
«Qualcosa. Qualcosa.  Mi ricorderò. E lo farai anche tu», parlò, come se stesse riflettendo a bassa voce.
«Oh, bene. Ma sei proprio sicuro che non hai secondi fini?»
Crowley alzò gli occhi al cielo.
«Di nuovo? È la terza volta, non voglio provarci con te. Tu non mi piaci, sei troppo diverso da me.»
Azraphel si sentì ingiustificatamente offeso da tale affermazione.
«Beh, neanche tu mi piaci.»
«Sì, invece. Io piaccio a tutti.»
Si guardarono, per qualche istante. E poi, senza saperlo, presero a ridere, come se non fosse la prima volta che avessero una conversazione del genere. Azraphel cercò di ricomporsi.
«Qui si sta bene, non trovi? C'eri mai stato?»
Crowley divenne serio, prendendo a vagare nei meandri della sua memoria così confusionaria. C’era un posto simile stampato a fuoco in essa.
«Io… sì, penso di sì. Non troppo tempo fa, credo.»
Che quella fosse stata una di quelle domande sbagliate? Ma al diavolo, anche Azraphel oramai sembrava volerci capire di più, nella speranza  di colmare il suo senso di vuoto.
«Come facevi a sapere del mio stato d’animo? Come fai a sapere quello che sento?»
«Perché molto probabilmente, io e tu sentiamo davvero le stesse cose.»
«… Questo è inquietante.»
«A me lo dici? Io sto diventando pazzo! Ma non lo sono», chiarì. «È il mio karma. In quel libro avevo letto che quando un’anima si reincarna, lo fa per elevarsi. Ma a me non sembra di elevarmi. Mi sembra solo di cadere. Dio mi odia.»
«Non dovresti parlare così.»
«E invece sì, perché sta cercando di tenermi all’oscuro di qualcosa. La mia mente… è annebbiata, e so per certo che qualcuno più in alto di me sta cercando di tenermi all’oscuro di ciò che ho  -  che abbiamo - dimenticato . Ma io riuscirò a ricordare e solo allora mi metterò il cuore in pace. A meno che prima non muoia.»
Azraphel si irrigidì. Chissà se era l’unico a provare quel costante e fastidioso presagio di morte? Da quando aveva incontrato Crowley, poi, la cosa sembrava essere addirittura peggiorata, ma aveva cercato di ripetersi che forse era solo suggestionato.
«Suvvia, non morirai mica domani. E poi mi sembra già di averti detto che ti darò un aiuto anche se… anche se ancora mi sfugge il come.»
Fu solo allora che Crowley lo guardò di nuovo. Per capire aveva bisogno di averlo vicino a sé, di incollarglisi addosso, e questo non di certo perché gli piaceva. Era ridicolo!
«Hai da fare stasera?»
«Io… eh?» Azraphel era arrossito e un po’ per questo si era maledetto, forse perché poi Crowley aveva preso a sorridere.
«Stasera. Io e te. Vuoi darmi una mano, giusto? Allora dovrai seguire quello che ti dirò. E non guardarmi così. O non ti fidi ancora di me?»
Il problema era tutto l’opposto. Si fidava fin troppo. In che guaio si stesse cacciando, Azraphel non lo sapeva, sapeva solo che per la prima volta nel corso della sua esistenza, che appariva così infinita, stava cominciando a sentirsi vivo.
 

Nota dell'autrice
"La Reincarnazione e la legge del Karma" di Wiliam Walker Atkinson. Pian piano, ma ce la sto facendo. Niente male, considerando che all'inizio non avevo idea di come far proseguire la storia. Nella prima parte mi sono dedicata molto all'introspezione di Crowley, per cercare di far capire cosa gli passa per la testa. Siccome poi sono una persona a cui non piace far soffrire assolutamente i personaggi, ho deciso di inserire dei flashback riguardanti le loro vite passate, vite passate che sono finite nei peggiori modi... a questo giro è stato l'incidente auto, ma ci sono tanti modi per morire MALE.
Perché sì, la maledizione di Crowley e Azraphel è anche questa. Non solo rincontrarsi ogni volta senza riconoscersi, ma morire in modo violento ogni volta che sono ad un passo dall'avvicinarsi. 
A questo giro, saranno più fortunati? Per adesso sono ancora nella fase del flirt totale (anche se fanno finta di non piacersi a vicenda, ma SUVVIA). Solo il fato ci dirà cosa succederà. Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui :)
 

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Capitolo 4
*** In vino veritas ***


4
 
Non era tanto il pensiero di andare a casa di un perfetto sconosciuto a renderlo nervoso. Ma avrebbe dovuto esserlo, considerando che Crowley avrebbe potuto essere uno spietato serial killer dalla mente perversa. Ma no, non era tanto questo a disturbarlo, tanto più il pensare la piega che una serata lì con lui, da soli, avrebbe potuto prendere. Aveva fatto finta di non sapere come certe cose molto spesso potevano finire, perché nel suo caso non c’era motivo, anche se Crowley gli piaceva, questo non voleva dire che fosse ricambiato. Anzi, era abbastanza sicuro di non esserlo per niente.
Ho poco di cui pentirmi, sono stato io a decidere di aiutarlo. Togliti dalla testa strane paure, Azraphel!
La coscienza lo aiutava, ma talvolta pareva metterlo anche così in difficoltà, quando gli sussurrava ciò che non voleva sentirsi dire. Si presentò a casa di Crowley alle nove circa, sorprendendosi di trovarsi in un’abitazione così grande, probabilmente anche troppo per una persona sola. Il padrone di casa si mostrò fin da subito tranquillo e in un certo senso anche divertito, mentre lo guardava.
«Ah, benvenuto, Azraphel. Per caso hai cambiato profumo?» gli domandò immediatamente.
«…Eh? Si sente così tanto?» domandò imbarazzato, forse aveva esagerato con quella nuova fragranza che prima d’ora non aveva mai usato.
«Un po’, ma adesso entra, non startene lì», gli fece strada. «Vuoi che ti versi del vino?»
Azraphel non rispose inizialmente, troppo occupato a guardarsi intorno e a studiare attentamente il nuovo ambiente.
«È un po’ strano trovarmi completamente solo con qualcuno che conosco appena», rifletté ad alta voce.
«Non siamo proprio soli. Ci sono le mie piante ed ecco il mio serpente, Lucifer, nella sua teca.»
Sgranò gli occhi nel capire che ci fosse un animale del genere. Quest’ultimo se ne stava acciambellato tra le sue quattro mura di vetro, sibilando ogni tanto.
«Ah, Lucifer? Nome adatto per un serpente, ma… non è che uscirà dì lì per mordermi, vero?»
«No, lui morde soltanto su ordine mio.»
Crowley parlava dall’altra stanza, forse dalla cucina, e per tale motivo Azraphel aveva continuato a guardare, in particolare ad osservare i vari quadri appesi al muro. La maggior parte di essi raffiguravano angeli. Per certi versi sembrava di trovarsi all’interno di una chiesa.
Si sentì sfiorare e poco dopo si accorse che Crowley gli stava porgendo un bicchiere contenente del liquido rosso rubino.
«Ah, grazie. Stavo guardando i tuoi quadri. Hai gusti curiosi, devo dire. Ti piacciono gli angeli?»
«Abbastanza, credo. E poi mi piace guardarli», mormorò. Azraphel annuì e la sua attenzione si spostò poi su un altro quadro in particolare. Un angelo sì, ma dallo sguardo furioso e disperato.
«Ma quello è The Fall Angel di Cabanel
Crowley mandò giù un sorso, facendo una smorfia.
«Sì, ma non so neanche perché ce l’ho. Quello non mi piace guardarlo. Mi mette troppa… tristezza. Dopotutto rappresenta la caduta di un angelo. Adesso avanti, bevi un po’ e non stare così rigido.»
Azraphel non aveva mai retto particolarmente l’alcol, ma si disse che un po’ non avrebbe potuto fargli niente di male. Decise di lasciarsi andare e di farsi inebriare, e andò a finire che neanche un’ora dopo, entrambi avevano già abbandonato buona parte della loro lucidità. Si sedettero sul divano, in preda ad una piacevole leggerezza del cuore e della mente.
«Allora… qualcosa ricordi?» chiese Azraphel con tono strascicato, ma allegro. «Chi eri tu nelle tue vite precedenti? Ed io? E cos’ero per te?»
«Frena, cosa sono tutte queste domande? Sei curioso?» domandò Crowley con la testa poggiata sullo schienale.
«Caro, ne ho il diritto, mi pare.»
Crowley si lasciò andare ad un mormorio d’assenso, mentre si versava altro vino da mandare giù.
«Allora, fammi pensare. Nelle nostre vite precedenti, anzi, in  una delle tante, sono sicuro che tu fossi un angelo.»
«Un angelo? E perché proprio un angelo?»
«Non lo so, ma sento che è così. E se tu eri un angelo, io dovevo essere per forza un demone. Sì, lo trovo incredibilmente realistico.»
«Ah. E poi cosa è successo?»
Crowley divenne pensieroso. Non era ancora totalmente brillo, ma il suo viso era arrossato e i suoi occhi lucidi. Forse anche per una strana tristezza?
«Poi siamo stati cacciati. Sono sicuro che è per questo. Siamo stati puniti per qualcosa che abbiamo fatto, tutti e due. Ci hanno strappato le ali e ci hanno tolto i ricordi.»
Azraphel si sforzò di mantenere gli occhi aperti.
«E perché mai? Quale potrebbe mai essere il delitto?»
Crowley si voltò a guardarlo lentamente.
«Rigiro la domanda a te, che probabilmente hai letto tanti libri. Quale potrebbe  essere un delitto? E non parlo di un omicidio,  di un furto o di una qualsiasi violenza. Per cosa si è disposti a morire? Per cosa si è disposti a soffrire?»
Il suo tono di voce si era notevolmente abbassato. Azraphel prese a pensare e ad un certo punto capì che la risposta fosse abbastanza ovvio. L’amore. Era quello il movente alla base di tutto, molto spesso.
«Emh… per l’amore?» mormorò debolmente.
Ah, giusto. Quindi è questo l’amore. Quella cosa strana, molto spesso difficile da capire, si ritrovò a pensare Crowley.
Quella cosa così ineffabile. Dove aveva già sentito quella parola?
«Giusto. Quindi un tempo devo averti amato. E sicuramente eri un angelo, questi spiegherebbe molte cose. Ci siamo amati talmente tanto che siamo caduti, qui, su questa terra. E abbiamo una maledizione che grava sulle nostre teste, che va avanti dall’inizio del mondo.»
Il tono di Crowley era divenuto adesso addolorato. Azraphel si sentì un po’ sospeso tra la veglia  e il sonno. Che magnifica e triste storia, sarebbe stata perfetta per un romanzo d’amore. Ma affettivamente, anche lui un po’ di dolore lo stava provando.
«Ma se davvero ci fossimo amati… almeno qualcosa ricorderei, non trovi?»
«È per questo che io sono qui. Devo aiutare te e tu devi aiutare me. Tu devi riempire il tuo vuoto e io mi devo liberare del senso di colpa che mi attanaglia. Ma se davvero io ti avessi amato, e tu avessi amato me, ora saresti disposto ad amarmi un’altra volta, e in caso a soffrire nuovamente?»
Azraphel non avrebbe potuto non ammettere di avere una visione molto romantica dell’amore, forse era stati in un certo senso influenzato dalle montagne di libri che aveva letto. Ma aveva sempre creduto che un amore del genere non potesse esistere, se non solo nella sua fantasia.
«Ma tu pensi… che un amore del genere possa esistere?»
Crowley rise. Qualcosa gli diceva di sì. Che esisteva un amore così grande da andare oltre il tempo, lo spazio, tutto. I suoi occhi si incatenarono a quelli di Azraphel. In quel caso l’alcol lo stava aiutando, perché se fosse stato lucido, difficilmente sarebbe riuscito ad aprire in questo modo il suo cuore.
«Forse…»
Portò una mano sul suo cuore e Azraphel se ne sorprese. Non si scostò, non ne avvertì la necessità, perché quel tocco lo stava rassicurando, gli stava trasmettendo calore. In un certo senso, stava riempiendo il vuoto.
«… Cosa…?»
Si era detto che avrebbe dovuto fare attenzione a ciò che faceva, a ciò che diceva. Perché Azraphel non sapeva ancora.
E in verità, anche io, che cosa so?
Crowley si chinò in avanti e tentò di baciarlo. Fu come un bisogno che si portava avanti da una vita. Avrebbe potuto farlo, perché Azraphel non si mosse, forse troppo sconvolto, o troppo poco lucido. Avrebbe potuto, perché le loro labbra adesso erano distanti solo pochi millimetri.
Se lo fai adesso, siete entrambi morti.
Quel pensiero gli attraversò la mente come un fulmine che squarciava il cielo. Crowley compì un sospiro profondo e si scostò, avvertendo di nuovo il bisogno di mandare giù alcol. Azraphel riprese a respirare, ma ecco che improvvisamente il vuoto era tornato.
«Cosa… tu stavi…?»
«Non stavo facendo niente», lo zittì Crowley acido.
«Niente? Sarò anche brillo, ma credo tu stessi per b-»
«Ti ripeto che non stavo facendo niente, te lo sarai immaginato.»
Tentò di cambiare discorso, mentre mandava giù un sorso di alcol che subito prese a bruciargli le gola. Cos’era quella sensazione di paura?
Cos’era quel presagio di morte?
«… Credevo non ti piacessi», boccheggiò Azraphel. Crowley corrugò la fronte.
«Infatti! Tu mi servi e basta!»
In quel momento si rese conto di quanto stesse mentendo spudoratamente. Si era trattenuto dal compiere un gesto tanto insoluto, perché in lui si era insinuata la convinzione che se lo avesse fatto, avrebbero sofferto entrambi.
 
Londra, 1944
 
La guerra faceva proprio schifo. E non aveva senso di esistere, eppure esisteva. E lui? Lui esisteva? Crowley non si era mai dato per vinto, ma adesso sentiva che anche la sua anima iniziava ad essere terribilmente sfibrata. C’era soltanto polvere. E cadaveri. E perché diamine aveva scelto di essere un soldato?
Giusto, non lo aveva scelto, ci era stato costretto a diventarlo. Anche se era stato tutto inutile, perché in fondo, chi era riuscito a salvare?
Si inginocchiò tra le macerie, senza respiro, udendo in lontananza dei fischi, poi dei boati. Gli occhi spalancati vagavano sui corpi senza vita. Aveva visto uomini, donne, aveva visto anche i bambini! Perché anche loro? E perché lui non riusciva a fare nulla se non a provare disperazione?
«Crowley! Che fai qui?! Non dovresti, è pericoloso!»
Aveva riconosciuto immediatamente la voce di Azraphel.
Azraphel che gli era sempre rimasto accanto in quel calvario, che odiava la violenza ma che si era ritrovato a subire e combattere. Che era il più forte dei due, perché non era ancora crollato.
«Azraphel, sono…» mormorò. «Sono morti tutti… non è rimasto più nessuno. Moriremo anche noi?»
«Ma che stai dicendo? Smettila e vieni via di lì! Siamo soldati, dobbiamo mantenere la lucidità!» esclamò, afferrandolo e cercando un briciolo di ragione nel suo sguardo.
«Al diavolo la lucidità e tutto. Non mi sta più bene tutto questo! Non mi è mai stato bene!» aveva preso a gridare, nel tentativo di sovrastare i rumori intorno a loro. «E non è mai andato bene neanche a te! Io non voglio più vedere morire nessuno!»
Crowley era orgoglioso. E alle volte si sforzava di essere forte per troppo tempo. Poi crollava, ma Azraphel era sempre lì, quasi a volersi assicurare che non mollasse. Per questo la presa sulla sua spalla si era fatta più stretta.
«Nemmeno io. Ma non perdere la testa, adesso. Dobbiamo rimanere vivi. Dobbiamo arrivare fino in fondo a questa cosa. Si va avanti insieme, quante volte me lo hai ripetuto?»
Ironico come i ruoli si invertissero, alle volte. Certo che si andava avanti insieme, Crowley glielo aveva ripetuto fino allo sfinimento. Perché nella testa aveva in mente solo un futuro, quello con lui, e non come amici, non come ex compagni di sventura e di guerra, ma come ciò che il mondo ancora ripudiava. Ma se insieme avevano affrontato il percorso della guerra, che paura poteva fare il resto della vita?
Sentì un peso sul cuore e le lacrime pizzicargli gli occhi. Non sapeva se effettivamente sarebbe morto o meno, l’unica certezza che aveva era ciò che sentiva.
«Non posso non andare avanti, senza di te. Perché Azraphel… io ti amo.»
Era stato solo un sussurro. Ma ad Azraphel era bastato leggere le sue labbra per capire la dichiarazione d’amore a cui, ancora una volta, non avrebbe potuto rispondere. Sollevò lo sguardo, avvertendo un altro fischio, lontano. Un’altra bomba?
Che brutto, terribile modo per andarsene. Ma non peggiore di altre morti, che avevano già vissuto
Crowley avrebbe voluto imprecare e maledire tutto, il cielo, la terra, Dio, per aver posto fine alla loro miserabile vita in questo modo.
Di nuovo, senza che lo sapesse.
 
-
Aprì gli occhi di scatto, sussultando con violenza. Un altro dannato sogno dato dal troppo alcol o semplicemente un ricordo riaffiorato?
Crowley fu pensato a credere che fosse la seconda opzione, perché avrebbe avuto senso, e perché era tutto troppo lucido e doloroso. Adesso il sogno non stava sfumando, era ancora vivido davanti i suoi occhi. E ovviamente c’era anche Azraphel. Si era spaventato per la violenta conclusione, e si era sorpreso di come quest’ultimo non si fosse svegliato. Tutt’altro, riposava con il viso poggiato sulla sua spalla. Nel rendersene contro, Crowley non osò muoversi, volendo tenerlo a sé il più a lungo possibile.
Che strano, orribile, spaventoso incubo. O ricordo. Di qualsiasi cosa si trattasse, io e lui siamo morti. E io…
Aveva pronunciato quelle due parole mortali. Il ti amo che li aveva uccisi ogni singola volta a causa della loro maledizione. Strinse d’istinto Azraphel, in un gesto di protezione, per paura che potesse essere separato.
Quest’ultimo aprì appena gli occhi. La prima cosa che avvertì fu proprio il profumo di Crowley, che gli parve così familiare. Quando si rese conto della posizione in cui si trovava, si sollevò di scatto.
«Cosa…? Che è successo? Cos’abbiamo…?»
«Niente», chiarì subito. «Non è successo niente di quello che pensi.»
«N-niente?» si portò una mano sulla testa, ora terribilmente dolorante. «Eppure giurerei che tu abbia provato a…»
«…Sì?» lo stuzzicò Crowley, divertito.
«A… baciarmi.»
Perché non l’hai fatto? Domandò la sua coscienza.
Perché dovrebbe? Non sono niente per lui, rispose la ragione.

«Ah, sì? Lo avrai sognato. O immaginato. Eri un po’ brillo.»
«T-tu! Tu mi hai fatto bere!» cercò di ricomporsi. «Che ora sono? È tardi…»
«Sicuro di voler andare? Non credo tu sia  nelle condizioni giuste per andare.»
«Non preoccuparti per me!»
Bene, aveva dormito con un quasi perfetto sconosciuto dopo aver ingerito decisamente troppo alcol, e  chissà cosa sarebbe potuto succedere.
Magari qualcosa era successo, ma non ricordava.
Crowley lo osservò stancamente, non aveva ancora trovato il coraggio di sollevarsi. Avere Azraphel lontano, non vicino al suo cuore, gli stava provocando malessere. Capì che forse alla base di tutto doveva esserci davvero quella cosa che temeva di chiamare col suo nome. E che se davvero era morto e rinato tutte quelle volte, solo per rincontrarlo, allora doveva trattarsi di destino, dell’anima gemella o di chissà cosa?
Era la spiegazione più logica in mezzo ad un mare di illogicità. Una pezzo ancora gli sfuggiva, probabilmente lo stesso che lo aveva portato a retrarsi prima di baciarlo. Ma avrebbe capito anche quello, avrebbe trovato il collegamento a quei sogni – a quei ricordi – che sembravano finire sempre allo stesso modo. O forse era solo una casualità.
Si sollevò, osservando Azraphel che cercava di sistemarsi davanti lo specchio, rosso in viso per l’imbarazzo. Si poggiò allo stipite della porta, a braccia conserte.
Era lui che aveva cercato, Era lui che doveva salvare, ma salvare da cosa?
«Come mi risponderesti se ti dicessi che da ora tenterò in tutti i modi di farti innamorare di me?»
Azraphel si bloccò, osservando la sua figura attraverso lo specchio. Che razza di novità era quella, adesso?
«In che senso, scusa? Pensavo di non piacerti.»
«Non hai comunque risposto alla mia domanda.»
Soppesò a lungo la risposta da dare. Cosa avrebbe dovuto rispondere, che si sentiva lusingato e che sentiva il cuore implodere di felicità?
Sarebbe stato insensato.
«Ti risponderei che è una follia, perché io non ne valgo la pena», rispose sommesso, seriamente convinto.
A che serve che mi innamori di lui, se tanto morirò presto? Io lo so. Questo è un presagio che nessuno può cancellare.
Crowley rise.
«Questo sarò io a deciderlo. Mi dispiace, ma qualunque cosa dirai non servirà a farmi cambiare idea. Hai voluto aiutarmi? Bene, adesso pagane le conseguenze. O per meglio dire, goditele!»
Azraphel provò a parlare, ma Crowley si era tolto la camicia, gettandola a terra, con molta naturalezza.
… E adesso?
 
Nota dell’autrice
Lo so, sono una persona orribile a concludere il capitolo così ma dovevo. Crowley ha capito che lui e Azraphel erano e sono legati da qualcosa di profondo (in realtà durante il suo momento di non lucidità aveva azzeccato tutto), però si stranisce del come i suoi sogni/ricordi finiscano sempre con una morte violenta. Chissà perché, VERO?
Comunque sì, mentre scrivevo mi è partita la cosa di Crowley che ha la casa tappezzata di quadri raffiguranti angeli, e mica potevo non mettere The Fall Angel, che tra l’altro mi piace un sacco.
Alla fine Azraphel viene molestato malamente da Crowley, che ha deciso che farlo innamorare di sé può essere la soluzione a tutti i suoi problemi, chissà se il modo è giusto. Mi viene da ridere, nonostante da ridere NON CI SIA NIENTE.
Spero che vi sia piaciuto ^^
 

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Capitolo 5
*** Fuoco e fiori ***


 
Lo sapeva, lo sapeva, avrebbe dovuto immaginare in un risvolto del genere.
Ma no, aveva voluto avere buona fede. E la cosa che più lo stupiva era il non riuscire a togliergli gli occhi di dosso o anche solo provare a scostarsi. Ipnotizzato, completamente e inesorabilmente.
«C-Crowley, che stai facendo?»
Ma seriamente glielo aveva domandato? Era abbastanza ovvio. Lo aveva visto farsi vicino e bloccarlo contro il muro!
«Beh? Qual è il problema? Insistevi tanto sul fatto che avessi provato a baciarti e adesso che faccio un passo in avanti, hai paura? Perché non mi guardi negli occhi?»
Azraphel aveva paura. E non per timore vero e proprio, tutto il contrario. Sapeva che se avesse incatenato gli occhi ai suoi, con quella splendida sfumatura dorata, sarebbe stato perso, sarebbero stati persi entrambi.
Lo sentiva.
«T-tu mi confondi! Io non ti capisco, davvero!»
«Figurati, non mi capisco nemmeno io. Hai già dimenticato tutti i nostri discorsi di ieri sera? O l’alcol ti ha dato troppo alla testa?»
«Io ricordo! Ma appunto, eravamo brilli e…»
Azraphel stava già perdendo la testa. Crowley era enigmatico, difficile da capire. Un giorno diceva una cosa, l’indomani ne diceva un’altra, stava iniziando a pensare che avesse una doppia personalità. Temeva ciò che sentiva ad ogni suo sguardo, ad ogni suo tocco. Brividi, desiderio, batticuore.
“Ma se davvero io ti avessi amato, e tu avessi amato me, ora saresti disposto ad amarmi un’altra volta, e in caso a soffrire nuovamente?”
Non capì perché gli venne alla mente proprio quella domanda, in quel momento. Quanto avevano detto la sera prima? Tanto, troppo, si era parlato d’amore, di angeli e di demoni, di una maledizione, di un delitto.
Abbassò lo sguardo, poggiandogli una mano sul cuore, come lui aveva fatto la volta precedente – perché sì, questo non lo aveva dimenticato – e assunse un’espressione addolorata.
«Crowley… non so esattamente perché tu insista tanto. Ma io non ne valgo la pena.»
«Perché?»
A quel punto sollevò gli occhi.
«Semplice. Perché io sto per morire.»
Crowley subito si lasciò andare ad una smorfia.
«Perché stai per morire? Che c’è, sei malato?»
Magari fosse così facile.
Scosse lentamente il capo.
«È stupida come cosa. Ma sento che il mio tempo sta per finire. E questa sensazione è divenuta più forte da quando ti ho incontrato. Non ha senso.. . vero?»
Sentì il cuore di Crowley andare leggermente più veloce. In verità il senso lo aveva eccome e fu questo a spaventarlo. Era un caso. Era un caso, così come lo erano i suoi sogni. Insomma, morire solo perché si erano conosciuti era assurdo e anche fin troppo crudele. Perché avrebbero dovuto soffrire tanto?
Siamo stati puniti per qualcosa che abbiamo fatto, tutti e due. Ci hanno strappato le ali e ci hanno tolto i ricordi.
Chiuse gli occhi, scacciando dalla testa quel pensiero. Forse aveva viaggiato troppo con la fantasia.
Beh, ma a questi punto, perché non dovrebbe essere vero?
Zittì la sua coscienza. Azraphel non sarebbe morto e non sarebbe morto neanche lui.
Era ridicolo.
Si sforzò di sorridere.
«Suvvia, se vuoi rifiutarmi, dovresti trovare una scusa migliore. Non sta funzionando, devo togliermi anche i pantaloni?»
Sì, ti prego.
«No! Cioè, voglio dire… non sono sicuro sia questo il modo migliore di far innamorare una persona!»
Era arrossito vergognosamente, ma nessuno, nessuno era mai stato così irruento e passionale con lui. Crowley allora si scostò, guardandolo con fare interessato.
«Ah, no? Beh, forse sono stato un po’ impulsivo, dopotutto si vede che sei un tipo romantico e…» alzò gli occhi al cielo. «Quindi mi permetterai di farti innamorare di me?»
Azraphel  cercò inutilmente di controllare ciò che stava sentendo. Paura, ma anche desiderio.
«Pensavo ti servissi e basta…»
«Penso, penso, penso», borbottò. «Pensa di meno e agisci di più, angelo!»
«… Angelo…?»
Lo aveva chiamato così istintivamente. Però era un soprannome adatto. Forse una sua reminiscenza?
«Sì. Non so perché ti ho chiamato così, ma che c’è, non ti piace?»
«Sì, mi piace! Senti… d’accordo, per me va bene.»
Crowley sorrise.
«Cosa, esattamente?»
Azraphel dovette compiere un lungo sospiro.
«Va bene, puoi provare a farmi innamorare di te.»
Sempre che tu non lo abbia già fatto.
«Però ti prego, almeno per adesso rivestiti…»
Oppure no, tanto non sono abbastanza forte per resistere.
«D’accordo angelo, come vuoi. E puoi star certo che quando ti avrò fatto innamorare di te e io di me – perché non sto dicendo che io ti ami già, ti prego, sarebbe assurdo – sono certo che tutto avrà un senso. Per entrambi.»
E Azraphel ci credette. Ci credette, perché per chiunque Crowley sarebbe potuto sembrare pazzo, ma non per lui. No, non avrebbe potuto, perché in fondo loro sentivano le stesse identiche sensazioni.
«D’accordo… mi fido di te.»
Crowley avvertì male al cuore. Sentiva, in fondo, di non meritare tutta quella fiducia. Le promesse erano così difficili da mantenere.
“Dividici pure se vuoi. Non importa quante volte verremo separati, è inutile!”
Un’altra reminiscenza, questa volta più lontana, ma impressa nella sua mente.
Non dovresti fidarti di me. Perché io dovrei salvarti, ma non so neanche da cosa.
Forse da me stesso.
 
Londra, 1893
 
Crowley aveva sempre amato mettersi in mostra, ciò era innegabile per chiunque avesse avuto il piacere o meno di conoscerlo. E dopotutto, poteva permetterselo, perché era ricco, un nobile, amava la bella vita, i piaceri che quest’ultima poteva offrire, le feste e quant’altro. Per tale motivo era portato a organizzarne molte in casa sua, ad invitare gente interessante, artisti, musicisti, poeti, scrittori.
Gli artisti avevano un fascino innegabile. Ma tra le dame con i loro abiti colorati e i lord con i loro cilindri in testa, Crowley cercava con lo sguardo sempre e solo lui. Azraphel non aveva doti artistiche, se non quella di saper leggere le persone, di comprendere il loro animo. E poi amava i libri, amava l’idea dell’amore in ogni sua forma. Era stato quello a conquistarlo. Era per questo che l’osservava da lontano, ma con fare attento e premuroso. Con attenzione e possessività, perché il mondo non sapeva né avrebbe mai dovuto sapere cosa li legava.
Dopo aver mandato giù il suo vino, Crowley riposò il calice e, senza neanche guardarlo, gli passò accanto, sfiorandolo appena. Non erano fatti per rimanere separati troppo lunghi né per vivere alla luce del sole.
Per loro non esisteva altro che l’ombra. Azraphel attese un po’ in modo da non dare nell’occhio, prima di andargli dietro. Non si era mai visto bene come l’amante di nessuno, se non proprio di Crowley, che ora lo attendeva febbricitante ed impaziente in una delle sue stanze, con il buio squarciato da una sola candela. Lo sentì arrivare, e quando capì che effettivamente si trattava di lui, aprì subito la porta, tirandolo dentro.
«Vedo che non mi hai fatto attendere molto.»
«Qualche volta rischieremo di farci scoprire, Crowley.»
«Correrò questo rischio», il sussurrò che ne seguì si perse sulle labbra di Azraphel, che subito dopo fu catturato dalle sue braccia, dal suo calore, da tutto, si lasciò andare e si perse in quel tepore che sentiva di conoscere da molto più tempo di quello che chiunque avrebbe potuto pensare. Ogni bacio era importante, sapeva di segreti, paure e passioni. Ma Azraphel lo sapeva, sapeva che a legarli era molto più che della semplice attrazione fisica, sessuale.
Si ritrovò contro il letto e sovrastato, senza respiro, di cui effettivamente non avrebbe avuto bisogno. Non avrebbe voluto rompere l’idillio con una domanda scomoda, ma sentiva che doveva sapere.
«Crowley…»
«Cosa…?» ansimò sul suo collo, ora arrossato a causa del morso che gli aveva lasciato poco prima. Solo dopo, nel non sentirlo ancora parlare, sollevò lo sguardo per incrociare il suo.
«Tu cosa senti per me? Sono solo un amante?»
Oh, fosse così semplice, ma non lo è. Non lo è per niente. Crowley respirò a fondo, mentre incatenava gli occhi ai suoi.
«Solo un amante? Oh, no, Azraphel. Non guarderei un amante come  guardo te. Non tenterei di proteggerlo, né ne sarei così terribilmente geloso. Dire che non sei solo questo, direi che io…»
«… Sì?» sussurrò con un fremito, impaziente.
Dirlo avrebbe cambiato tutto. Oh sì, anche più di quanto potesse credere.
«Direi che io ti amo. Te, la tua anima e il tuo spirito. E che se non ti amassi, non mi preoccuperei di certo di non lasciarti andare.»
Gli posò un altro bacio, pieno di ardore e sentimento, ed Azraphel rise, perché non gli lasciò neanche il tempo di rispondere. Ma quella stessa risata, venne spezzata.
«Crowley… fumo…»
«Ti sembra questo il momento?»
«No, Crowley. Intendo che c’è odore di fumo. Qualcosa brucia.»
Si guardarono qualche attimo prima di sollevarsi. Aprirono la porta e la prima cosa che avvertirono fu il fumo soffocante entrar loro nei polmoni. Qualcosa doveva aver provocato un incendio. Crowley afferrò la mano di Azraphel, mormorandogli di rimanergli vicino. E vicino gli sarebbe rimasto, anche quando poi il fuoco li avrebbe bruciati, dando loro una morte dolorosa e lenta.
 
-
 
Quella non era una nottata che Azraphel avrebbe dimenticato facilmente. Grazie ai brillanti approcci di Crowley, aveva aperto in ritardo la libreria. Ora era diventato impossibile non solo non pensarlo, ma perfino evitare di arrossire come una stupida ragazzina. Lui d’amore non ne sapeva tanto, fatta eccezione per ciò che aveva letto nei libri (e di libri d’amore ne aveva letti anche tanti).
Ma quella era una situazione completamente nuova. Nessuno lo aveva mai trattato come Crowley faceva. Nessuno gli era mai stato dietro in quel modo o si era mai tanto intestardito per cercare di farlo innamorare.
Io davvero non ne valgo la pena, perché non riesco a togliermi dalla testa il pensiero che morirò a breve. E se io morissi, lui soffrirebbe. E questa è l’ultima cosa che voglio.
Si sentiva legato a lui come se lo conoscesse da una vita. Sicuramente non si sarebbe mai distratto dai suoi pensieri se non fosse stato per un cliente che era entrato, un uomo.
«Buongiorno. Posso aiutarla?» domandò, sentendosi improvvisamente inquieto. Poté giurare di non aver mai visto quel tipo, eppure adesso avvertiva un certo disagio.
«Sì… stavo cercando dei libri a tema religioso, se ne possiede…»
«S-sì!» balbettò senza volerlo. «Ecco… sono a destra… in fondo.»
Quello gli passò davanti e solo quando lo ebbe lontano, Azraphel tornò a respirare. Poi riprese i libri che aveva riposato poco prima, facendoli cadere per sbaglio.
«Accidenti», si lamentò.
Sì, accidenti a lui e al suo essere distratto. Si chinò e raccolse uno dei libri che aveva ora le pagine spiegate. Inevitabilmente, come spesso succedeva, l’occhio gli cadde su un paragrafo:
Quando incontrano l’altra metà di se stesse da cui sono state separate, allora sono prese da una straordinaria emozione, colpite dal sentimento di amicizia che provano, dall’affinità con l’altra persona, se ne innamorano e non sanno più vivere senza di lei – per così dire – nemmeno un istante. E queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dirti cosa s’aspettano l’uno dall’altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie dell’amore: non possiamo immaginare che l’attrazione sessuale sia la sola ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C’è qualcos’altro: evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere, ma che intuisce con immediatezza.”*
Quasi gli venne un colpo. Non poteva essere un caso se la pagina si era aperta proprio lì. Era tutto troppo assurdo, ma oramai il pensiero che Crowley potesse effettivamente essere la sua anima gemella iniziava a tormentarlo. Ora che ci pensava, come aveva vissuto prima di incontrare lui?
Semplice, non ho vissuto.
Si alzò piano, pensieroso.  E stavolta venne interrotto di nuovo, ma da una più gradita visita.
Crowley, che evidentemente aveva preso molto sul serio il suo compito nel cercare di farlo innamorare.
«Ciao, angelo. Allora, ti  sono mancato?»
«Ma caro, non ci vediamo da due ore…»
«Due ore possono essere molto lunghe! Ad ogni modo, all’orario di chiusura ti passo a prendere e ti porto a pranzare al Ritz, ti piace come idea?»
Ad Azraphel venne da sorridere.
«E questo posso definirlo un appuntamento?»
«Lo è, ma non dirlo», abbassò la voce. «O rischio di innervosirmi, è la mia prima volta e…» Crowley si interruppe ad un tratto. Si accorse di come l’uomo che era entrato prima di lui, li stesse guardando, davvero molto male.
«Ehi, e tu che hai da guardare? Hai qualche problema?»
«Ma cosa? Crowley, che dici?! Amh, lo scusi, ha bevuto troppo caffè», abbassò la voce. «Così fai scappare i clienti!»
«Mi dispiace, ma non mi piace essere guardato così», borbottò, sistemandosi gli occhiali. «Ora me ne vado. Ma un’ultima cosa: quali sono i tuoi fiori preferiti?»
Azraphel sgranò gli occhi. Non ci aveva mai pensato in realtà.
«I miei fiori preferiti? Forse… i garofani?»
«I garofani. Va bene, ci vediamo più tardi!»
«Aspetta, perché tu…?!»
Troppo tardi. Oh, quell’uomo. Era davvero sicuro di sé. E in fondo faceva bene. Azraphel era già caduto, cosa dicesse o meno la sua ragione non sembrava essere importante.
 
L’appuntamento – che era un appuntamento ufficiale, ma che non avrebbe così chiamato per  non far innervosire Crowley - , era alle otto e mezza al Ritz. Azraphel ci aveva impiegato più del solito ad abbinare i colori e i tessuti dei suoi vestiti, poiché voleva assolutamente fare bella figura. Anche se teoricamente era lui quello che doveva essere conquistato, voleva pur sempre piacergli.
E di questo oramai se n’era fatto una ragione.
Crowley era già lì quando arrivò, esattamente come la prima volta (qualcosa gli disse che si fosse presentato minimo due ore prima, ma evitò accuratamente di dirlo).
«Crowley», lo salutò, sollevando una mano.
«Ah, finalmente angelo», oramai chiamarlo così gli veniva naturale. «Mi hai fatto aspettare, ti stavi facendo bello per me? Guarda che non c’è bisogno, mi piaci già così.»
Come sempre, Crowley aveva la straordinaria capacità di dire certe cose senza il minimo problema. Azraphel gli regalò un sorriso, facendo poi caso alla sua mano nascosta sotto il tavolo.
«Ma cos’hai lì?»
Lui si schiarì la voce, sollevando il braccio e mostrando un mazzo di garofani, i quali si alternavano tra il rosa, il rosso e il bianco. Azraphel sgranò gli occhi e arrossì, forse una cosa del genere avrebbe dovuto aspettarsela, invece era stata una sorpresa.
«Ecco perché… oh, caro. Sono bellissimi, grazie», sussurrò.
«Certo che lo sono, li ho coltivati io. L’avrai visto anche tu, posseggo tante piante, ma anche tanti fiori. Sapevo che prima o poi questa mia passione mi sarebbe tornata utile», rifletté ad alta voce.
Era sorprendente, lui. Incredibile, meravigliosamente incredibile, Azraphel non avrebbe saputo trovare altri termini. Ricordava dell’impressione che aveva avuto di lui la prima volta, di un folle che lo inquietava. Il senso di inquietudine era rimasto, ma tutte quelle chiacchiere sulle vita passate, il destino, l’amore e le sue attenzioni, adesso gli piacevano. Adesso riempivano il suo vuoto.
«Okay, okay!» fece Crowley dopo aver bevuto mezzo bicchiere di vino. «Adesso dirò tre cose che mi piacciono e poi mi dici tre cose che piacciono a te. Mi piacciono i Queen, le auto e l’alcol. E no, tu non sei incluso perché trascendi ogni cosa.»
Azraphel si portò una mano sul viso per cercare di nascondere l’imbarazzo ma anche un sorriso.
«A me piace… il cibo, la natura e…»
E tu.
«.. E i libri d’amore.»
Crowley alzò gli occhi al cielo, facendo poi una smorfia.
«Chissà perché non sono sorpreso. Detesto i libri, quelli d’amore in particolare.»
«Ma come, un tipo romantico come te?»
«È che la maggior parte finiscono male!» borbottò versandosi altro vino. «Vedi Romeo e Giulietta! O Titanic.»
«Titanic è un film…»
«Davvero? Beh, finisce male comunque! La nostra ad esempio che finale avrebbe?»
Azraphel divenne un attimo teso. Per se stesso, per loro, avrebbe voluto il lieto fine. Eppure, se ci pensava, esso gli appariva lontano, irraggiungibile.
Come un sogno.
«Spero un finale felice. In cui nessuno dei due debba morire.»
«Di nuovo tiri fuori la morte? Non morirà nessuno», affermò, come a rassicurare più se stesso che lui. «Anche se, beh… in caso la teoria delle vite precedenti fosse vera… comunque verrei a cercarti anche nella prossima vita.»
Azraphel non capì perché, ma gli venne da piangere, assillato da un pesante senso di malinconia, lì, dove si trovava il cuore.
«E-ehi. Perché hai gli occhi lucidi? Ho detto qualcosa che non dovevo?»
Lui scosse il capo, sorridendo.
«No, Crowley. Sono molto felice di essere qui con te.»
E non era una bugia. Era una certezza, l’unica in un mare di dubbi.
 
 
Certi esseri non imparavano mai. Ma dopotutto non era neanche colpa loro, in quel caso. Azraphel e Crowley avevano ricevuto una punizione ben peggiore della morte, per certi versi. Morire e rinascere, incontrarsi ogni volta senza poter ricordare e infine morire di morte violenta, sempre.
Un circolo vizioso, destinato a ripetersi all’infinito. L’Arcangelo Gabriel non provava pena. Dopotutto non avrebbe potuto né dovuto. Perché un angelo che amava  un demone era qualcosa che non stava né in cielo né in terra.
E poi… l’ingrato compito di controllarli, fra tutti, spettava a lui. A lui e alla donna che quella sera lo attendeva vicino Saint James Park, in un punto dove non vi era luce.
«Dovremmo incontrarci in un posto meno sospetto» disse Belzebù con le braccia incrociate sul petto.
«Noi siamo sospetti. Sono stato da Azraphel, oggi…»
Lei chinò la testa.
«Non ti ha riconosciuto, vero?»
«Assolutamente no. Come potrebbe? Ma lui e il demone si sono incontrati di nuovo. Oramai non manca molto alla fine del loro tempo.»
Belzebù sollevò gli occhi verso l’unica fonte di luce, ovvero le stelle in cielo.
«Sì. Mi chiedo, avrà mai fine tutto ciò? Piuttosto crudele per un angelo, non trovi?»
«Non è stata una mia decisione, il mio compito è solo controllare che tutto vada come deve andare. È questa la maledizione che grava sulle teste di chi osa arrivare a tanto», proferì Gabriel con fare solenne. «Ad ogni modo, io ti consiglio di tenere d’occhio Crowley. C’è qualcosa che non mi convince lui. Ho la sensazione che ricordi, anche se non capisco come sia possibile.»
Belzebù fece un cenno col capo, parlando fra sé e sé.
«Sarà più forte una maledizione o quella cosa chiamata amore
 
 
 
 
Nota dell’autrice
*[Platone, Il Simposio].
Garofano rosso: amore passionale
Bianco ammirazione
Rosa: fedeltà
 
Ciao a tutti :D E anche questo quinto capitolo  è andato, fra alti e bassi per i due protagonisti. Azraphel si sta sciogliendo sempre di più, nonostante le paure che lui e Crowley hanno. Alla fine ad un appuntamento ci vanno comunque, e sembra essere tutto malinconicamente bello. Troppo in effetti. Infatti alla fine c’è un certo qualcuno (sì Gabriel, sto guardando malissimo te) che arriva come un cattivo presagio e parla con Belzebù, la quale pone un bel quesito, cosa sarà più forte la maledizione o l’Amore che lega quei due?
Poi, come se non bastasse… il flashback con tanto di finale col fuoco. Se esistono tanti modi brutti di morire, credo che li stiano sperimentando tutti.
Ad ogni modo, la fine per Azraphel e Crowley sembra essere davvero vicina, segno che le loro sensazioni sono esatte. Ma le cose saranno davvero destinate a ripetersi?
 

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Capitolo 6
*** Il dolore del ricordo ***


6
 
Giardino dell’Eden, seimila anni prima
 
Il demone Crowley aveva sempre amato stuzzicare l’angelo Azraphel, dopotutto faceva parte della sua natura. Ma non era solo questo il motivo principale che lo spingeva ad agire in questo modo, quanto più un palese interesse, un’attrazione fisica, mentale e spirituale per quell’essere così puro.
Certe sensazioni, certi sentimento, non si confacevano alla natura di un demone. Un essere sovrannaturale avrebbe dovuto trovarsi al di sopra di qualsiasi sentimento così umano. Ma per lui le cose sembravano star andando in maniera diversa, e non perché lo volesse. Era successo, forse per un motivo ineffabile.
Sapeva che così facendo, entrambi sarebbero stati dannati per sempre. Di se stesso non gli importava, dopotutto era già caduto, ma di Azraphel… lui non meritava alcun male. Forse però era fin troppo egoista per allontanarsi del tutto. Era fin troppo folle per non rischiare, per non vivere realmente.
Azraphel era troppo bello per non essere guardato. Lui era la luce e splendeva più del sole o di una stella, e di quella luce era diventato l’ombra.
Lo stava guardando ancora, mentre accarezzava i fiori e le piante rigogliose di quel giardino. Solo dopo una manciata di minuti decise di saltare fuori, all’improvviso.
«Che cosa stai facendo?!»
L’angelo si ritrovò a sussultare, spaventato.
«Crowley! Dovresti smetterla di saltare fuori in questo modo!»
«La prossima volta mi presenterò in forma di serpente, so quanto la cosa ti terrorizzi», lo osservò a braccia conserte. «Adesso ti metti anche a parlare con i fiori?»
«Mi prendo solo cura delle creature di Dio. Sì, anche dei fiori», rispose leggermente indispettito, al che il demone corrugò la fronte.
«Beh, dovresti provare con le minacce. Oh, sì. Crescerebbero sicuramente meglio.»
«Ti prego, non spaventare le piante! E soprattutto, non spaventare i fiori.»
«Ah, giusto, i fiori. Com’è che si chiamano questi?» domandò, chinandosi sui petali rosa, rossi e bianchi.
«Garofani, credo. Sono quelli che mi piacciono di più», sospirò. «Oh, Crowley… se ci vedessero…»
«Non cominciare, d’accordo? Sono io quello che è dove non dovrebbe essere, cosa potrebbero farti?» si guardò intorno. «Non facciamo niente di male.»
Anche l’angelo la pensava come lui. Non c’era niente di male in ciò che li legava. Sarebbe dovuto essere diversamente, in quanto loro nemici per natura. Ma alle volte i piani cambiavano. Crowley gli si era avvicinato, si era stretto alla metà mancante di se stesso e un secondo dopo furono così vicini che perfino i loro respiri si mescolarono.
«Oh, Crowley…» mormorò Azraphel addolorato.
«Se magari fossi ancora un angelo, allora non sarebbe così difficile», si ritrovò a pensare. Il pensiero della sua caduta faceva ancora male. Perché anche lui era stato un angelo, non molto tempo prima. E se lo fosse stato ancora, forse lui e Azraphel avrebbero avuto una possibilità. E invece…
Azraphel corrugò la fronte, sfiorandogli il viso e costringendolo a incatenare gli occhi ai suoi.
«Non pensarci neanche. Evidentemente era così che doveva andare. Magari Lui ha deciso così.»
«Oh, angelo, dubito che il tuo capo avesse in mente questo per noi», alzò gli occhi al cielo. «D’altro canto… di me non sospetta ancora nessuno. E per quanto riguarda la tua fazione?»
Azraphel distolse lo sguardo.
«Gabriel mi sta un po’ addosso… al solito…»
«Non lo tollerò a quello. Io sarei stato davvero un arcangelo migliore, ma è andata così», fece spallucce. «Non è detto che loro ci scoprano.»
«E tu cosa pensi, che potremo andare avanti così per l’eternità? Cosa ci accadrebbe se sapessero del nostro delitto?»
Crowley non aveva una risposta precisa. La punizione peggiore che aveva avuto su di sé era stata la caduta, ma sapeva tuttavia che non era la punizione più terribile.
«Credo che il massimo che ci può succedere sia morire. La fregatura è che quando un angelo o un demone muore, la sua anima non può andare da nessuna parte. Semplicemente si frantuma, diventa polvere e smette di esistere. Siamo potenti, ma se ci uccidono è la fine. Piuttosto crudele, non trovi?»
«È crudele ed è sorprendente come tu riesca a parlarne con tranquillità. Io non voglio che tu muoia. Non voglio che nessuno dei due muoia», aveva stretto le mani alle sue, come un disperato tentativo di tenerlo con sé, stretta che Crowley ricambiò.
«Non ho mica detto che moriremo. Ma sarebbe comunque meglio smettere di esistere e non sentire più nulla, piuttosto che vivere separato da te.»
Azraphel soffiò il suo nome, con le lacrime agli occhi. Quindi quello era l’Amore, aveva da poco imparato. Quello che non avrebbe dovuto conoscere e che inesorabilmente lo aveva unito alla sua nemesi. Chiuse gli occhi per impedire ad una lacrima di fuggire. Una lacrima di gioia, ma anche di tristezza, perché non trovava giusto il dover morire solo per essersi sentito così vivo.
«Non ci separeranno», mormorò poi l’angelo, mentre si stringeva al demone in un abbraccio nascosto da occhi indiscreti. Sì, forse era meglio la morte di una separazione.
Se solo avessero saputo che il destino loro riservato fosse un altro…
-
 
Dei maledettissimi incubi, Crowley non ne poteva più. Sapeva quanto fossero utili affinché la sua memoria riaffiorasse, ma puntualmente finiva con il svegliarsi con il cuore a mille e una sensazione di pesantezza allo stomaco. Qualcosa però stava iniziando a cambiare. Tutto ciò che sognava adesso non sfumava più, rimaneva vivido, ma ciò non faceva che confonderlo ulteriormente.
Possibile che lui e Azraphel fossero stati davvero gli stessi del suo sogno? Gli angeli e i demoni neanche esistevano.
Come fai a dirlo? Credi nella reincarnazione, nell’anima gemella e non puoi credere negli angeli?
Silenzio, stupida coscienza inutile. Si alzò e decise di andare a recare disturbo a Lucifer, prendendo a battere leggermente sul vetro della teca per svegliarlo. Ripensando alla serata trascorsa con Azraphel, si rese conto che era stata bella, magnifica, lui era magnifico e ne era già perdutamente innamorato. Ma il presagio di morte che aveva addosso non era sbagliato, perché qualcosa di oscuro gravava sopra le loro teste. Avvertì una fastidiosa fitta alla testa che lo portò ad indietreggiare. Questo era ciò che succedeva quando prendeva a pensare troppo, ultimamente gli succedeva un po’ troppo spesso e ciò lo portava ad assumere alcol, vizio insano ma che sembrava dargli sollievo. La determinazione, inevitabilmente, si alternava all’apatia, al vuoto e a volte alla disperazione più totale.
Non esiste motivo per essere così. Tra me e Azraphel andrà bene.
Deve andare bene. Perché? Perché non so quale potrebbe essere l’alternativa a questo.
Si disse che doveva assolutamente bloccare il flusso dei suoi pensieri. Avrebbe rivisto Azraphel nel pomeriggio, ma non aveva intenzione di presentarsi da lui in quelle condizioni, visto che nascondere il proprio stato d’animo era diventato difficile.
Sarebbe stato meglio svuotare la testa e risolvere parte dei suoi problemi.
 
E così fece. Crowley era solito a frequentare svariati pub di Londra, sia di giorno che di sera. Era un po’ che non andava, era stato distratto, ma adesso sentiva il bisogno di staccare la spina con un drink dopo l’altro. Non esisteva sensazione migliore dell’alcol che gli bruciava la gola e lo stordiva, anche se molto spesso ciò portava la sua mente ad immaginare – a ricordare –situazioni che non era ancora certo di aver vissuto. Il suo dolore alla testa non era diminuito, anzi, pareva non volerlo lasciare in pace.
Seduto e semi accasciato sul bancone, non si era neanche premurato di togliersi gli occhiali da sole.
«Un altro!» esclamò con tono strascicato. «Voglio qualcosa di più forte!»
Del tutto ubriaco non era, ma buona parte della sua lucidità era sparita, rallentandogli notevolmente i sensi. Non si era reso conto di una donna che era entrata e che subito aveva puntato gli occhi su di lui. Belzebù non avrebbe voluto trovarsi lì, ma Gabriel le aveva messo in testa quel dannato pensiero che Crowley ricordasse effettivamente qualcosa. E in questo  caso, cosa sarebbe successo? Non ne aveva idea, ma adesso aveva bisogno di certezze. Lo scorse in condizioni pietose, intento a bere il suo ennesimo drink. Certo, rispetto a seimila anni prima era piuttosto cambiato, forse perché adesso era anche umano e così fragile.
Si avvicinò, sedendoglisi accanto come se niente fosse. Crowley avvertì un brivido nel sentire quella nuova presenza e piano sollevò lo sguardo.
«E tu? Tu chi sei?» domandò, indicandola. «Anzi no, aspetta, non dirmelo. Io ti ho già incontrata, ma non lo ricordo. Sì, ti ho sicuramente già incontrata… però non mi ricordo dove…»
Belzebù assottigliò lo sguardo e dovette ammettere che forse Gabriel ci aveva preso eccome.
«Tu sai chi sono… Crowley?» sussurrò, pronunciando lentamente il suo nome. Lui provò a sistemarsi sullo sgabello senza molti risultati.
«Non lo so, può darsi. Però non ricordo il tuo nome. È così per tante e tante cose. Le ricordo, ma non del tutto», rise, in modo quasi inquietante. «Come con Azraphel. Io so che lui è stato importante, ma non ricordo cosa siamo stati. Capisci la mia situazione? Mi sento come se avessimo vissuto insieme per una vita… ma non ricordo più com’era questa vita! E poi ho paura. Sì, ho paura, perché ho la brutta, bruttissima sensazione che moriremo. Io lo sogno ogni volta. Oppure lo ricordo? Come moriremo questa volta?»
Non smetteva di ridere, eppure aveva le lacrime agli occhi. Belzebù lo trovò inspiegabilmente triste. Non che provasse pena, perché dopotutto era lì per un motivo preciso.
«Chi è Azprahel?» domandò seria. Crowley sospirò stancamente. Chi erano loro e per quale motivo erano lì? Ma soprattutto,  erano vivi, erano svegli? O era tutto un incubo?
«Qualcuno, qualcuno», mormorò. Ora stava accadendo qualcosa che in genere non succedeva. Crowley sentì la tristezza montare e allora avvertì le lacrime solcargli le guance. Ringraziò di star indossando gli occhiali e che nessuno potesse vedere i suoi occhi. «È qualcuno che devo salvare, ma da cosa? Dalla morte? La sai una cosa? Molti pensano che la morte sia la cosa più terribile che possa succedere. Ma io penso che non sia così. C’è di peggio. Ci sono io. È che io alla morte ci ho anche pensato. Oh, l’ho contemplata tante volte, perché piuttosto che impazzire, sarebbe meglio non sentire niente. Eppure ho l’impressione che le mie sofferenze non finirebbero neanche così. Sono stato maledetto, non è vero? Pe cosa? Tu lo sai qual è il delitto che ho commesso?»
Stava aprendo il suo cuore ad una donna sconosciuta – o forse neanche tanto – e non riusciva più a fermarsi.
Il delitto che hai commesso è antico quanto il mondo stesso. Sei stato maledetto e le ali ti sono state strappate. Il delitto che avete commesso è stato amarvi. Luna e Sole non possono esistere nello stesso cielo, ma voi avete formato l’eclissi.
«Sei proprio certo di non ricordarlo?» chiese Belzebù sottovoce.
Crowley avvertì un’altra fitta dolora alla testa, talmente tanto da costringerlo quasi a piegarsi su se stesso. Esplose nella sua mente un altro ricordo, doloroso e soffocante.
 
Seimila anni prima…
 
Crowley aveva avvertito immediatamente il distacco da Azraphel, ma subito dopo era arrivato un dolore lancinante. Una cosa del genere l’aveva già provata durante la caduta, ma quella, la sua, la loro caduta definitiva, faceva male, bruciava. Non si trovava nell’Eden, né all’inferno. Quello doveva essere il mondo degli umani. Chino su se stesso, tra la polvere, tentò di respirare. Allungò una mano verso il punto dolorante e si accorse con orrore che le sue ali d’ebano non c’erano più. Il palmo della mano si macchiò di sangue scarlatto e nel rendersene conto provò un profondo brivido.
«No… no… No! Azraphel, dove sei?» domandò, con un sussurro.
Aveva freddo. Lui aveva freddo e paura. Paura perché stava avvertendo una sensazione strana, come se la vita lo stesse abbandonando. Non si era accorto subito che Azraphel non era tanto distante da lui. Se ne stava steso al suolo, con gli occhi socchiusi.
«Crowley….», ansimò. Si trascinò fino a lui, avvertendo un dolore lancinante ad ogni movimento. Anche le sue ali erano state strappate via. Non avevano risparmiato almeno a lui quel dolore.
«No, no. No, no, no. Non anche a te! Angelo, non anche tu. Ci hanno strappato le ali, noi…»
«Noi stiamo morendo, Crowley», sussurrò stanco. «Eravamo pronti a questo, ma non a quello che verrà dopo.»
Crowley avrebbe voluto fare qualcosa, reagire, ma si sentì debole e inerme da non riuscirci. Gli si avvicinò, trovando la sua mano e stringendola.
«Qualche istante. Ci separeremo solo qualche istante e poi ci rincontreremo. Ho promesso che ti avrei trovato. E giuro che ti troverò, dovessi impiegarci l’eternità.»
Azraphel ammirò il suo tentativo di non tremare anche di fronte il gelo della morte. Poggiò la fronte sulla sua, disperato, ma forse in parte anche tranquillo, per la fiducia che riponeva nei suoi confronti.
«Lo so, Crowley. Tu mi troverai sempre.»
La morte di solito non toccava quelli come loro. Ma Azraphel la trovò amara quanto dolce, forse perché stava dicendo addio alla sua prima vita, stretto a colui che amava.  
 
Quel ricordo gli entrò in testa prepotentemente, facendolo sentire stravolto. Si alzò istintivamente, portandosi una mano sul viso. Ancora una volta sentì che non era in sé. Ancora una volta si sentì sprofondare nell’oblio.
«No… no… io adesso devo andare… io non posso stare qui.»
Belzebù non lo trattenne, oramai i suoi dubbi erano stati dissipati. Sarebbe stato proprio il ricordare a portare Crowley alla sua fine.
 
Azraphel aveva preso ad ignorare molto bene le cattive sensazioni e i cattivi presagi. Soltanto perché qualcosa nella sua vita stava iniziando ad andare nel verso giusto, non voleva dire che dovesse per forza spezzarsi.
Lui era reale.
E lo era anche Crowley. Certo, trovò piuttosto strano che quest’ultimo non si fosse ancora fatto sentire, né fosse ancora passato, ma dopotutto preoccuparsi sarebbe stato troppo… esagerato? Forse una telefonata avrebbe anche potuta farla. Stava riflettendo se agire subito o meno, quando entrò un cliente, non nuovo, poiché si trattava dello stesso uomo del giorno prima, lo stesso che Crowley aveva quasi malamente insultato. Azraphel lo accolse, sentendosi ancora vagamente inquieto come gli era già successo.
«È venuto a comprare altri libri come quello di ieri?» domandò cercando di ignorare la sensazione che aveva addosso. Gabriel lo guardò a lungo prima di rispondere. Azraphel era rimasto sempre lui, nel corso del tempo. E anche se non poteva saperlo, era così incredibilmente fortunato a non ricordare nulla, il suo amichetto ex demone non aveva avuto altrettanta fortuna.
Per secoli e secoli lui e Belzebù li avevano osservati incontrarsi e lasciarsi, da semplici spettatori. Era un destino terribile? Senza ombra di dubbio. Poteva lui far qualcosa? Assolutamente niente. Anche volendo, non poteva intromettersi. Tutti dovevano affrontare le conseguenze delle proprie azioni.
«Sì, precisamente», rispose distrattamente. «Crowley non è qui», si lasciò scappare sottovoce, al che Azraphel se ne sorprese.
«Conosce Crowley?». L’Arcangelo si maledisse, cosa gli passava per la testa?
«No… non lo conosco, l’ho sentito che lo chiamava per nome»
«Giusto. Ed è sicuro… che non ci siamo già incontrati da qualche parte?»
«No! Non ci siamo mai incontrati», lo zittì subito. Non poteva indurgli dei ricordi in questo modo, non era per quello che era lì. Ma una cosa dovette dirla e non ci fu niente che riuscì a trattenerlo.
«Sei stato così sfortunato nella tua immensa sfortuna. Perché se sapessi quanto lui sa, allora saresti diventato pazzo già da tempo. Io lo so. Vedo tutto.»
«Che cosa…? Cosa vuol dire?» sussurrò, indietreggiando. Poi una forte fitta alla testa lo costrinse a portare una mano su quest’ultima e a lamentarsi. C’era qualcosa che non andava. C’era qualcosa che premeva e che lo tormentava.
«Nulla. Non dovrei neanche parlare con te», si rese conto. «È giusto così. Avresti dovuto darmi retta prima.»
Prima? Prima di cosa? Prima quando? Azraphel avrebbe voluto porgli molte domande, poiché quel tipo sembrava conoscerlo e sembrava conoscere anche Crowley. Ma non ci riuscì a causa del dolore lancinante che lo stava tormentando. Alla fine l’uomo se ne andò, così com’era arrivato, lasciandolo con più dubbi che altro. Cos’è che dovrei sapere? Cos’è che ho dimenticato?
Scosse il capo, come a voler scacciare via tutte quelle domande che forse sarebbero rimaste irrisolte. Non sapeva perché, ma nella sua mente stavano iniziando a sovrapporsi immagini e suoni che non credeva di aver vissuto. Un tuono lo fece sussultare. Quand’è che aveva iniziato a piovere?
Nel sentire le gocce di pioggia cadere sull’asfalto iniziò quasi a sentirsi meglio. Si ricordò della chiamata che avrebbe dovuto fare a Crowley, ma nell’esatto attimo in cui prese il telefono, questi si presentò, interamente bagnato da capo a piede e con l’espressione stravolta.
«In nome del cielo, Crowley! Sei venuto fin qui senza neanche un ombrello?»
«Mi… mi dispiace, angelo. Io non ce la faccio», ansimò, compiendo debolmente un passo. «Io non sono pazzo… non sono pazzo, eppure sento che non ragiono più. Perché non capisco? Perché sono bloccato dalla paura?»
Vederlo così sconvolto aveva spaventato Azraphel, il quale subito si era chinato per sorreggerlo.
«Crowley, calmo. Di cos’hai paura? Adesso respira, rilassati, fermati. Fermati, okay?»
«Fermarmi? Oh, angelo. Io vorrei, ma non so come fare. Più cerco di andare verso la luce e più cado. Non voglio trascinare te con me!»
Aveva bevuto un po’ troppo, era su di giri, davvero spaventato e con le lacrime agli occhi. Tremava, di freddo e paura. Azraphel non capì e il non capire lo spaventò, ma in quel momento non aveva tempo per pensare a se stesso.
«Cosa dici? Io sono qui. Non intendo andare da nessuna parte, sta tranquillo.»
Crowley lo osservò qualche attimo. Oh sì, era lì. Per ora.
«Non vai da nessuna parte? Davvero? Allora perché… perché nella mia testa tu… noi, moriamo sempre?! Mi tormenta, mi tormenta», si portò una mano sulla testa, stringendola con forza. «Io non so più cosa è vero e cosa no! Io non…»
Forse preso dal panico, dal desiderio di non vederlo più disperarsi e farlo sentire meglio, Azraphel lo baciò. E non provò né paura, né alcun timore. Sentì solo che era quello che voleva, che volevamo entrambi. In quel gesto ci aveva messo la passione e tutta la dolcezza possibile. Lo aveva baciato sentendo il suo  respiro mozzarsi, sentendo il suo corpo tremare. E non lo aveva più sentito parlare. Crowley, rimasto impietrito per i primi cinque secondi, avvertì immediatamente nuova forza e calore da quelle labbra che sapeva di sole e vita. Si aggrappò a lui come meglio poté e ricambiò il bacio fino a farsi mancare il respiro.
Si sentì davvero vivo, lui come Azraphel. Fu un esplosione nel momento le loro lingue si incontrarono, assaggiandosi per la millesima volta, con esasperazione, paura e desiderio. Crowley annaspò, riprendendo fiato e guardandolo negli occhi.
«Tu mi hai baciato.»
Era stata la prima cosa che aveva detto, una volta staccatosi per riprendere fiato.
«So molto bene quello che ho fatto. E se servirà a zittirti, credo che lo farò ancora», ammise, rosso in viso. Crowley assottigliò lo sguardo e gli portò un braccio intorno al collo, attirandolo a sé. Aveva temuto di compiere un passo del genere, eppure quella stessa vicinanza, adesso, lo stava salvando da un baratro profondo.
«Fallo di nuovo.»
 
Di nuovo in ritardo. Quell’Arcangelo stava perdendo colpi. Non che Belzebù avesse fretta, oramai era abituata a tutto, in fondo gli era accanto in quella tragedia da millenni. Quando lo vide arrivare, nello stesso posto della volta prima, notò subito un suo certo nervosismo.
«Ebbene? È successo qualcosa?»
«Nulla», Gabriel sospirò. «Non è successo nulla, e comunque sono io che dovrei chiedertelo. Avevo ragione? Lui ricorda?»
Belzebù annuì lentamente.
«Non tutto. Sono ricordi frammentari e non collegati fra loro. Questo influirà in qualche modo?»
«Non credo proprio. Ma dovremmo fare attenzione fin quando il loro tempo non scadrà… non manca molto oramai. Poi potremo stare tranquilli, fino alla prossima vita.»
«Tranquilli? Io ti vedo, Arcangelo. C’è qualcosa che non va in te. Forse stai iniziando a pensare che tutto questo sia troppo?»
Gabriel non capì come potesse quel maledetto demone leggergli dentro così bene, era inquietante.
«Troppo? Assolutamente no, sciocchezze. È giusto così. Non saremo emotivamente o personalmente coinvolti in tutto ciò.»
Belzebù alzò gli occhi al cielo, mormorando un “certo”. E poi gli porse una domanda.
«Questa volta come se ne andranno?»
«Non in modo dolce, di certo. No, questa volta loro… si suicideranno.»
Belzebù lo guardò, sorpresa.
«Un suicidio?»
 
Nota dell’autrice
Cerco di schivare i pomodori che mi verranno lanciati, perché lo so, tutto ciò è angst, non PENSAVO VENISSE FUORI COSI.
Ma dopotutto è nella mia natura, ahimè. C’è stato il primo bacio di Azraphel e Crowley in questa vita, ma la gioia è stata breve visto che Gabriel ha spoilerato come dovrebbero morire adesso. Con un bellissimo suicidio, ke bll. Poi sì, Gabriel stesso forse, forse sta iniziando a capire che non è per niente bella la situazione in cui alla fine è coinvolto come lui, visto che da secoli e secoli vede questi due morire e soffrire ogni volta. Troppo crudele anche per lui, almeno secondo me.
E per la serie, la più grande gufata del mondo: “Cosa può succederci? Al massimo potremmo morire”.
Eeeeh, no, non proprio. Okay, la smetto. Spero che vi sia piaciuto :D

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Capitolo 7
*** Vita e follia ***


 
Crowley sentiva ancora chiaramente sulle labbra il sapore di quel bacio. Persisteva, eppure sentiva che non era una sensazione nuova. Tutta il contrario, gli appariva così familiare e nitida da lasciarlo senza parole. Ma soprattutto, lui, loro, erano vivi. Fino a quel momento si era trattenuto, nel timore che se si fosse avvicinato troppo, se avesse osato oltrepassare il confine, allora sarebbero morti entrambi. Eppure erano ancora lì. Ciò lo aveva piacevolmente sorpreso, ma non era servito a dissipare del tutto i suoi dubbi e le sue paure.
«Angelo, sto bene. Non c’è bisogno che ti preoccupi così.»
Azraphel lo aveva avvolto in una coperta e gli aveva intimato di non muoversi. Quel pazzo, camminare sotto la pioggia battente, per di più ubriaco!
«Certo, in fondo mi hai solo fatto prendere un colpo!»
Crowley alzò gli occhi al cielo.
«Ho solo un po’ esagerato con l’alcol, tutto qui. Non è la prima volta, quando ci siamo incontrati ero messo peggio.»
«Questa non è una giustificazione», con tono duro, ma palesemente preoccupato, Azraphel si avvicinò, porgendogli una tazzina ricolma di tè caldo e zuccherato. «Bevi qui.»
«Ah, non mi va», Crowley fece una smorfia. «E poi ci hai messo troppo zucchero, odio la dolcezza.»
«Bevilo e basta», sospirò. Non poteva credere di averlo davvero baciato. Non che fosse pentito, ma il solo ripensarci lo faceva arrossire totalmente, e di sicuro Crowley non se ne sarebbe stato zitto.
Dopo aver mandato a fatica qualche sorso di tè caldo, infatti, prese a parlare.
«E così mi hai baciato. Pensavo sarebbe toccato a me compiere il primo passo.»
«I-io l’ho fatto, ma tu mi hai chiesto di continuare!»
«Certo che sì, sono tanto stupido da allontanarti? L’hai fatto perché eri in panico o perché realmente volevi?» domandò, divertito.
Azraphel fece una smorfia. Anche volendo mentire, non sarebbe stato credibile.
«… Entrambe le cose…» mormorò. «Tu… tu mi piaci, d’accordo? Molto più di quanto posso esprimere a parole. Ma non è di questo che dobbiamo parlare adesso. Vuoi spiegarmi piuttosto cos’è successo? D’accordo che eri mezzo ubriaco, ma hai iniziato a dire cose strane e…»
«So molto bene cosa ho detto», lo interruppe Crowley, premendosi una mano sulla testa dolorante. «Non volevo farti spaventare. È solo che… non lo so… è successa una cosa strana. E allora mi sono ricordato e… ahi», si lamentò.
«Cosa? La testa fa tanto male? Vuoi qualcosa?»
«Dubito servirà. Cristo, finirò con l’impazzire», si piegò leggermente su se stesso. «Finirò con l’impazzire davvero.»
Azraphel sentì che adesso poteva forse capirlo meglio. Anche lui aveva avuto una sensazione simile nel momento in cui si era ritrovato quell’uomo davanti. Qualcosa non andava, adesso ne aveva la certezza.
«Sai il tipo di ieri? È tornato di nuovo e… io credo ti conosca.»
«Se davvero l’ho conosciuto, non voglio ricordare, perché mi inquieta parecchio», borbottò. «Ti ha importunato?»
«Importunato? No…  assolutamente», lo rassicurò.
Direi più che altro che mi ha… confuso.
«Meglio così», Crowley si sentì un po’ meglio, al che riuscì anche a sorridergli e a sollevarsi. «Beh…?»
«Beh cosa?» sussultò Azraphel agitato.
«Ma come? Mi hai baciato e adesso ti vergogni se ti sto così vicino? Non va bene…»
Più che agitazione vera e propria, Azraphel sentiva quella cosa che assai raramente aveva provato, ovvero eccitazione e desiderio. Proprio per questo, non riuscì a spostarsi quando Crowley gli si avvicinò piano, posandogli dei leggeri baci sul collo, facendolo tremare. Gli venne istintivo stringere il tessuto umido dei suoi vestiti, annaspando.
«Crowley… perché ti desidero tanto? Perché la mia ragione si azzera totalmente? E perché io sento di provare qualcosa di così profondo, pur conoscendoti da poco?»
«Io a queste domande posso dare un’unica risposta. Ovvero che ciò che credo sia vero, che in qualche modo io e te dobbiamo essere legati da molto più tempo di quanto crediamo», lo guardò e Azraphel ebbe l’impressione che le sue iridi fossero più luminose del solito. «C’è una cosa che non ti ho detto. Ho incontrato una donna, che forse ho già visto, ma non ricordo. Sicuramente lei sapeva chi sono, e nel momento stesso in cui ha iniziato a farmi domande, mi è venuto alla mente quello che credo fosse un ricordo.»
Si zittì un attimo, distogliendo lo sguardo. Parlarne gli veniva difficile.
«Che ricordo?»
«È un po’… assurdo. Ricordi quando a casa mia parlavamo, e dicevamo che io e te dovevamo essere stati sicuramente un angelo e un demone, in una vita passata? In questo ricordo noi lo eravamo. Ma venivamo scacciati via e le nostre ali venivano strappate e…», il respiro gli si mozzò. «E faceva male, faceva male da morire. Faceva male perché tu… tu morivi. E io insieme a te. Non riesco neanche a parlarne senza provare angoscia.»
Azraphel indietreggiò appena. La testa aveva preso di nuovo a pulsare e aveva iniziato a farsi strada in lui una sensazione dolorosa e lacerante.
Ma tutto ciò era ridicolo. Anche troppo.
«Te lo sarai… solo immaginato.»
«Non me lo sono immaginato!» rispose Crowley piccato. «Era tutto vivido qui, nella mia testa! Lo è il dolore e lo sei tu! Pensi sia così strano?»
«Crowley, non volevo dire questo. Credo al fatto che in qualche modo siamo legati, ma questo… questo è troppo…»
«Troppo? Allora cosa pensi, che io sia pazzo? Non che avresti torto, tanto continuando così sono a buon punto.»
«Io… no! Non travisare quello che dico, non sei pazzo. Sono io quello pazzo, sono io quello che non capisce perché sente che c’è qualcosa che non so. Non è una fortuna, questa.»
«Fortuna? Probabilmente lo è molto di più che essere nel mio stato. Insomma, sai com’è… nessuno prende sul serio un pazzo che parla di vite passate e angeli e legami, e tutta quella roba lì. Mi chiedo se effettivamente io non abbia già perso la ragione e sia diventato vittima di me stesso.»
Crowley aveva preso a parlare piano, come se si fosse lasciato andare ad un monologo. Azraphel non pensava fosse pazzo, ma ancora, alle volte, non sapeva come reagire a certe sue affermazioni. Forse ne aveva paura, perché tutto aveva così maledettamente senso.
 
Seimila anni prima, Giardino dell’Eden.
 
Azraphel stava cercando di non pensare alle conseguenze, atteggiamento forse irresponsabile, ma necessario affinché non impazzisse. Nessuno sospettava ancora di loro, ma sperare che le cose rimanessero invariate sarebbe stato illudersi.
Non ho fatto niente di male. E non l’ho neanche scelto. Semplicemente è successo. Mi sono innamorato di un demone, è un delitto così grande?
Forse non per me, ma per il resto del mondo… lo è.
Sollevò lo sguardo, scorgendo il sole alto nel cielo. Non sapeva dire se fosse rassegnato all’idea di poter morire in caso fosse stato scoperto. Bruciare tra le fiamme di un fuoco dannato, era quella la fine che aspettava agli angeli che non stavano al loro posto.
Gabriel ultimamente gli stava non poco addosso. Si divertiva spesso a importunarlo e a rompere la sua quiete, ma ultimamente aveva preso a fargli strane domande. Domande che gli facevano capire che probabilmente lui sapeva.
«Sei solo, a quanto vedo.»
L’Arcangelo era comparso alle sue spalle e Azraphel non si era mostrato sorpreso, non si era neanche disturbato di guardarlo in viso.
«Certo che lo sono. Perché te ne sorprendi?»
Gabriel si avvicinò. L’angelo evitava accuratamente di incontrare il suo sguardo.
«Io vedo tutto, Azraphel. Ti ho visto spesso in compagnia di quel demone, com’è che si chiama? Ah, sì, Crowley, uno dei ribelli che è stato cacciato dal Paradiso. Questo non è un bene.»
«Noi non facciamo niente di male», si difese subito. «Siamo solo…»
«Amici?» fece scettico. «Chissà perché, ma non riesco a crederti. Dovresti scegliere meglio i tuoi amici. Lo sai che se fai qualcosa che non devi, Lui ti punirà.»
Solo allora Azraphel sollevò lo sguardo.
«Stai cercando di mettermi in guardia? Come faccio a sapere che non tenterai tu stesso di incastrarmi? Dopotutto sto facendo qualcosa che non dovrei.»
Adesso era l’Arcangelo ad aver distolto lo sguardo.
«Non avevi detto che non facevi niente di male? Allora non ho motivo di incastrarti. Ma sì, diciamo pure che ti sto dando un avvertimento. Cammini su una fune sottile, potresti cadere così facilmente. Non temi la morte perché sei convinto che non soffrirai Ma non puoi averne alcuna certezza.»
«Che cosa vuoi dire?!» domandò immediatamente. Ma Gabriel era rimasto in silenzio. Lo aveva avvertito e se fosse stato saggio, forse gli avrebbe anche dato retta. Azraphel era tante cose, ma in momenti come quelli, di certo non era saggio.
 
Inferno
 
C’era un motivo se Crowley sgattaiolava sempre in superficie: l’Inferno non gli piaceva, era un ambiente troppo tetro e oscuro a cui non si era ancora abituato. Non si vedeva il cielo, né il sole da lì, era l’oscurità continua. Ed era giusto così.
«Guardate chi è tornato dopo ore. Crowley, sei andato di nuovo lassù?» lo aveva fastidiosamente accolto Hastur, a cui aveva risposto malamente.
«Cosa c’è, mi aspettavi forse? Non devo renderti conto e ragione di quello che faccio.»
«Non a lui. Ma a me sì».
Belzebù era l’unica che temesse almeno un po’, almeno rispetto agli altri demoni. Dopotutto lei era pur sempre a stretto contatto con Satana.
«D’accordo, calma, ho soltanto fatto un giro», sbuffò Crowley annoiato, nella speranza che non gli venissero fatte altre domande.
«Sei andato di nuovo lì sopra, non è vero? Un demone non dovrebbe, né dovrebbe familiarizzare con gli angeli. Siamo stati cacciati, devo ricordartelo?»
«No… ma c’è da dire che forse un pochino lo abbiamo meritato. Ci siamo tutti ribellati contro di Lui, dovevamo aspettarcelo.»
«Ora li difendi anche?» si intromise Hastur. «È per il tuo amichetto lì, com’è che si chiama? Azraphel?»
Crowley assottigliò lo sguardo.
«Non puoi pronunciare il suo nome.»
«Demone Crowley, t’inganni se pensi di poter continuare a comportarti come vuoi. Il Nostro Signore ti punirà», disse Belzebù.
«E cosa potrebbe succedermi? Sciogliermi nell’acqua santa? Sono preparato a questa evenienza.»
Hastur lo guardò sorpreso.
«Moriresti per un angelo. Ma cosa è lui per te?»
«Qualcosa che non ti riguarda. E che non puoi capire», gli si rivolse nervoso. Come poteva un demone comprendere l’amore? Non lo capiva nemmeno lui, dopotutto.
«D’accordo, adesso dateci un taglio», concluse Belzebù, con una certezza: Crowley era davvero un illuso, se sperava di poter sfuggire al dolore.
 
-
 
Azraphel si rendeva conto di non essersi comportato nel modo migliore con Crowley. L’ultima cosa che voleva era infierire sul suo dolore e sul suo delicato stato mentale, ma in verità nemmeno lui sapeva come dover reagire. Qualcosa nella sua testa, come una voce, gli ripeteva “Svegliati”, “svegliati”, eppure ancora non si svegliava, rimaneva bloccato nel suo sonno che durava da seimila anni.
Svegliati, maledizione. Svegliati. Si portò una mano sul viso, cercando di scacciare via tutto. Crowley si era ripreso. Dalla sbornia, quanto meno, perché per quanto riguardava il resto, sembrava star soffrendo parecchio.
«Io adesso vado…» mormorò.
«Dov’è che vuoi andare? Fuori non ha ancora smesso di piovere.»
«Sento il bisogno di andare a casa e riposare. Sicuramente… dopo mi passerà.»
C’era qualcosa che non andava in lui, sembrava assente.
«Crowley…»
«Angelo, sto bene. Non preoccuparti per me», lo rassicurò, atono. Ma chiunque si sarebbe accorto che bene non stava per niente. Non aveva detto una bugia a quella donna. Al suicidio ci aveva davvero pensato tante volte, ed in continuazione era rimasto in bilico tra il cedere e il resistere. Adesso si sentiva cadere, più verso una scelta che sull’altra. Ma ad Azraphel voleva risparmiare quest’altro peso.
Oh, Dio. Perché mi odi così tanto? Se non ci fossimo conosciuti, forse nulla di tutto questo sarebbe successo. Forse lui sarebbe felice, ed anche io. Se adesso la facessi finita, potrei smettere di sentire tutto ciò che sento? Potrei liberarmi dei frammenti di ricordi che tormentano il mio animo spezzato?
Dopotutto… cosa può esserci peggio della morte?
Se Azraphel avesse saputo cosa gli passava per la testa, forse gli sarebbe corso dietro e stretto disperatamente. Ma in verità lui non sapeva ancora nulla, rinchiuso nella sua sfera di cristallo.
 
Crowley era sempre stato l’ombra di se stesso, ma adesso, che si aggirava sotto la pioggia silenziosa, era più evidente che mai.
Belzebù lo sapeva, oramai mancava poso affinché tutto finisse e ricominciasse un’altra volta. Gli stava andando dietro, per quale motivo non lo sapeva neanche lei, ma Gabriel, che forse in fondo lo aveva intuito, la afferrò saldamente.
«Cosa stai facendo?»
«Lasciami subito, Arcangelo. Ho io la responsabilità di controllarlo, tu svolgi il tuo compito», rispose acida il demone.
«È quello che sto facendo. Ma tu invece? Vuoi forse impedirgli di suicidarsi?»
«Come se fosse possibile. Io non ho questo potere. E nemmeno tu. Ma scusa se dopo tutto questo tempo, forse ne ho anche abbastanza. E lo sto dicendo io, io al servizio di Satana, io che dovrei provare piacere nella sofferenza altrui. Non giustifico, ma forse sto iniziando a comprendere meglio ciò che Crowley prova. Perché tutti e due, io come lui, da seimila anni, camminiamo al fianco di un angelo senza poter avere scelta.»
Gabriel sgranò gli occhi, stringendo ancora il polso del demone. Perché stava succedendo tutto questo? Lui e Belzebù non erano come Crowley e Azraphel. Giammai. Non c’entrava proprio niente.
Fece per rispondere, ma entrambi furono sovrastati da un’altra sensazione. Qualcuno era arrivato. Qualcuno che con i suoi occhi vacui e trasparenti stava osservando Crowley.
«Amon?» sussurrarono insieme. Nel sentirsi nominare, il demone si volse a guardarli, privo d’espressione o di qualsivoglia emozione.
«Gabriel, Belzebù, da quanto tempo. Scusate, ma sapete che non posso resistere al dolore che un suicidio causa. Ed io qui, sento proprio odore di sofferenza.»
 
Nota dell’autrice
Devo dire una cosa, questa storia sta prendendo una piega più particolare di quanto pensassi, ma oramai ho capito che sono le storie a guidare noi autori, non il contrario. Ad ogni modo ci siamo, il prossimo sarà un capitolo di svolta. Parto subito dalla fine dicendo che ho inserito un nuovo personaggio, che sarà fondamentale e spiego anche il perché: facendo ricerche, ho scoperto che il demone Amon è colui che si nutre della sofferenza suicida (ecco perché sta dietro a Crowley), ma è anche colui che conosce il passato e il futuro, quindi non credo dovrei aggiungere altro. Crowley si trova in uno stato mentale terribile, oramai è arrivato al punto di non ritorno, ma Azraphel ancora non lo intuisce, non del tutto almeno. Poi ho scoperto che amo scrivere di Gabriel e Belzebù, difatti la loro storyline [?] sta avendo un risvolto molto più romantico di quanto avessi in mente. Entrambi avevano provato ad avvertire Azraphel e Crowley, non tanto perché sapessero effettivamente il COSA avrebbero vissuto, ma perché se lo sentivano che una semplice morte non sarebbe bastata. Ora non parlo più, perché tutto sarà spiegato nel prossimo capitolo, intanto spero che questo vi sia piaciuto nonostante l’angst grande quanto una casa.

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Capitolo 8
*** Nella pioggia ***


8
Seimila anni prima, Inferno
 
Esistevano tanti demoni, alcuni più potenti di altri, alcuni con poteri più particolari d’altri. Belzebù era forte, dopotutto era pur sempre la portavoce del Loro Signore, nonché capo elle armante, tuttavia c’erano delle cose che sfuggivano anche lei. Per il demone Crowley non era preoccupata, a preoccuparla era più che altro il delicato equilibrio del loro mondo, che in quella situazione risultava compromesso. Un demone che legava così tanto con un angelo era un paradosso. Questo lo pensava anche Gabriel, il quale ancora non sapeva del perché si fosse tanto disturbato di avvertire Azraphel. Era chiaro che quest’ultimo non lo avrebbe ascoltato, così com’era chiaro che qualcosa di molto più profondo e pericoloso lo legasse a quel demone. Gabriel odiava l’inferno e per ovvi motivi non poteva soffrire i demoni, l’unica che riusciva a tollerare era proprio Belzebù. E proprio quest’ultima, appena poche ore prima che tutto cambiasse, che la pioggia si scatenasse e che la luna e il sole cadessero, ebbe un’idea. Alcuni dei demoni più potenti erano capaci di vedere tutto il futuro e tutto il passato di quello e di altri mondi. Amon, uno dei demoni al servizio di Satana, aveva questa capacità. Belzebù non gliel’avrebbe mai chiesto, se solo non fosse stato importante, perché per nessuno, umani e non, era mai un bene conoscere troppo del futuro. Convincere Amon a venire con lei non era stato difficile. Contrariamente alla maggior parte dei demoni, era schivo, apatico e tremendamente imparziale, la maggior parte delle volte. E poi, probabilmente, doveva già sapere.
«Possiamo fare in fretta? Ma soprattutto, lui chi è? Noi non dovremmo neanche essere qui.»
C’era un punto, tra Paradiso e Inferno, dove vi era il nulla. E poiché nessuno dei due osava arrivare fin dove stava l’altro, si erano incontrati a metà strada.
«Amon, uno dei demoni più forti al servizio di Satana. Lui sa.»
«Lui sa?»
«Io so», sospirò il demone stancamente, mostrando gli occhi di un’innaturale trasparenza, come se fossero stati d’acqua. «So bene cosa volete chiedermi, ma vi prego di astenervi. Io non posso parlare con chiunque del futuro, sapere non è un bene.»
«Fammi capire, tu sai tutto quello che succederà?» domandò Gabriel.
«Io so tutto quello che può succedere. Pensi che esista solo un possibile futuro? Troppo semplicistica, come cosa…»
«Basta chiacchiere, Amon», lo zittì Belzebù. «Non vogliamo sapere tutto quello che succederà, non ci interessa. Ma ad una domanda devi rispondere. Il demone Crowley e l’angelo Azraphel verranno scoperti? Verranno puniti con la morte?»
Amon alzò lo sguardo al cielo. Quelle erano due domande, in verità. Conoscere tutto, passato, presente e futuro, con annesse ramificazioni, era un peso che avrebbe reso stanco e apatico chiunque.
«Ah, il demone Crowley», sussurrò. «Intendi l’angelo caduto che ha creato le stelle sopra le nostre testa? Sì, ho presente. Ad ogni modo, mi chiedete un’ovvietà. È chiaro che verranno scoperti. Tuoni e pioggia si scateneranno in Paradiso e le due fazioni malediranno l’angelo e il demone nel modo peggiore possibile.»
«Uccidendoli?» soffiò Belzebù.
Amon la guardò.
«Vuoi sapere troppo. Vi basti sapere che moriranno sì, non una, non due, non cento volte, ma infinite volte, fin quando il mondo esisterà.»
Gabriel si fece avanti, spazientito.
«Dovresti essere più chiaro! Perché succede tutto questo?»
«Davvero me lo chiedi, Arcangelo? Mi sembra chiaro. Perché quella cosa strana, e che non comprendo, l’Amore, porta a fare follie. Non pensate di salvarli. Sarà inutile.»
Gabriel avrebbe voluto aggiungere che a salvarli non ci pensava neanche. Che non era di certo un problema suo se quello sciocco angelo si era infatuato di un demone e se adesso avrebbe affrontato un duro destino.
Imparziale. Con tutto e con tutti.
«E adesso che sta succedendo?» Belzebù alzò gli occhi al cielo. Aveva avvertito qualcosa nell’aria, un cattivo presagio.
Amon chiuse gli occhi, assonnato.
«Ah, bene. Li hanno appena scoperti. Vedete, non dovete crucciarvi. Capirete ben presto ciò che volevo dire.»
 
-
 
«Amon, perché ti trovi qui, adesso?» Belzebù aveva fatto caso a come il demone stesse cercando di non perdere di vista Crowley.
«Te l’ho detto, io mi nutro del dolore suicida, ma questo lo sai già. Lui sta per porre fine alla sua vita, com’è giusto che sia.»
«Tu lo sapevi anche allora. Sapevi che saremmo stati coinvolti anche noi, in tutto ciò», disse Gabriel velenoso, al che Amon lo guardò stupito.
«Vegliare su quei due per millenni vi ha resi forse troppo umani? Questo è sorprendente. Gabriel, pensavo che per te lo meritassero.»
«Lo hanno meritato infatti. Ma sono millenni che li vediamo morire ogni volta nella maniera peggiore. Ora diccelo. Dicci come va a finire la storia. Seimila anni fa ci hai detto che non esiste solo un futuro, che esso ha più diramazioni. Quali sono le opzioni?»
Amon alzò gli occhi al cielo. Avvertiva che Crowley era lontano, ma comunque avrebbe trovato in seguito il modo di raggiungerlo.
Assunse un’espressione concentrata.
«Uno dei loro futuri, che sarebbe quello più probabile, è che la maledizione vada avanti fino alla fine dei tempi. Ma nemmeno io so quando essa arriverà, non posso sapere proprio tutto. L’altra è che  la maledizione si spezzi… per lo stesso motivo per cui è stata loro lanciata.»
«Sei troppo criptico, vuoi essere più chiaro?!» sbottò Belzebù impaziente.
«Lo avete visto anche voi. È sempre la stessa storia, cosa succede, ogni volta, prima che muoiano?»
Gabriel ci pensò qualche istante, per poi guardarlo.
«Crowley dichiara il suo amore…»
«E Azraphel non riesce mai a rispondere», rifletté Belzebù, capendo finalmente.
«Avvicinarsi senza mai incontrarsi veramente. Essere ad un passo dalla felicità senza mai averla. È questa la maledizione.»
Belzebù scattò in avanti.
«E come si fa, allora?»
«L’angelo dovrebbe ricordare. Oh.. forse adesso capisco perché ci tenete tanto. Voi siete come…»
«Taci, demone!» lo zittì l’arcangelo. «Non posso credere di startelo chiedendo, ma tu devi… devi fare qualcosa.»
«Io sono imparziale, cosa che voi non siete.»
«Nessuno merita questo!»
Gabriel si stupì di se stesso. Forse era vero che con gli anni si era rammollito e che adesso non era più tanto in grado di nasconderlo. Guardò Belzebù, la quale a sua volta non riuscì a nascondere un’espressione sorpresa.
«Te lo sto chiedendo. Solo per questa volta non essere imparziale. Mi prenderò io tutta la responsabilità.»
«Io non morirò, nel mio futuro non c’è scritto. Ma il futuro non è mai certo, con tutte le sue variabili. Quindi chissà… chissà cosa succederà realmente…?»
 
Azraphel lo aveva chiamato più di una volta, ma il telefono di Crowley risultava occupato.
«Ma dove se n’è andato con questo tempaccio? Ha anche ripreso a piovere!»
Più delle altre volte, non aveva una bella sensazione, ma adesso era così soffocante da non farlo stare tranquillo. Doveva uscire di lì e andare a cercarlo. Sì, doveva farlo prima di impazzire, perché temeva che altrimenti sarebbe successo qualcosa di brutto. Uscì quindi dalla libreria, senza preoccuparsi neanche di chiuderla. Il cielo sopra la sua testa era grigio e la pioggia scrosciava fastidiosamente. Nonostante ciò, aveva visto due persone, un uomo che già conosceva, e una donna, intenti a discutere.
«Dov’è andato Amon adesso? E soprattutto, che stiamo facendo?» chiese Belzebù ad alta voce.
«Perché lo chiedi a me?»
«Perché tu per primo gli hai chiesto si salvarli! Hai sempre finto di essere indifferente alla cosa, ma con me è inutile. Io ti conosco, so chi sei, arcangelo.»
«Fa silenzio! Questo non doveva succedere. La colpa è di quei due, e la colpa è anche tua, demone!»
Belzebù avrebbe voluto ucciderlo. Avrebbe anche potuto farlo, ma si rese ben presto conto che Azraphel li fissava, senza sapere neanche lui perché.
«Scusate, io non…»
«Figurarsi, è andata oramai…» sbottò Gabriel, infastidito e rassegnato. Il demone alzò gli occhi al cielo.
«Va’ da Crowley prima che sia tardi. È corso da quella parte, ma immagino lo troverai comunque», gli disse. Azraphel si spaventò, chiedendosi cosa volesse dire con “prima che sia tardi”. Ma in verità lo sapeva molto bene.
Crowley? Allora avevo ragione? Morirai e morirò anche io?
Ma perché?
Doveva sbrigarsi, raggiungerlo, trovarlo. Salvarlo.
 
Crowley non riusciva più a trovare la sua pace, né a svuotare la mente. Sentiva che questa volta niente avrebbe potuto lenire il suo dolore, neanche l’alcol. Oh, quel dolore che pareva così antico e pesante, come un fardello. Quel delitto che sentiva di aver commesso, tutte quelle informazioni che gli si accalcavano nella mente, confondendolo.
Forse sono sempre stato pazzo. Forse è sempre stato così. Ma sì, sarebbe la soluzione più facile, indolore. Oppure no, no. C’è qualcosa, qualcosa! Ma perché non riesco a collegare?!
Si era tolto gli occhiali, infilandoli in tasca. Tutto gli pareva lontano e ovattato, come se si trovasse dentro un sogno. Ma sì, magari stava sognando davvero, per tutto quel tempo non era mai stato sveglio.
Se questo è un sogno, io posso fare come voglio. Aveva sentito la ragione abbandonarlo ed era entrato nel primo pub che aveva incontrato sulla strada. Aveva preso del whisky, forte e lo aveva tracannato. Dopodiché, con la scusa di cercare un bagno, era salito su, sul bagnata a causa della pioggia. Lì era tutto silenzioso, calmo, vuoto, ed alto.
Sento che un tempo ero in grado di volare, mi chiedo se posso ancora farlo.
Ascoltò il ticchettio dato dalla pioggia, senza badare che questa continuasse a bagnarlo. Se si fosse sporto troppo, avrebbe finito col cadere.
Ma io so volare, voglio volare. Pensando ciò si avvicinò al cornicione, contemplando il silenzio della città in un giorno grigio.
Se adesso io mi gettassi, le mie sofferenze finirebbero o tutto ricomincerebbe ancora una volta? Azraphel mi perdonerebbe? Mi odierebbe? Se non lo avessi conosciuto, non soffrirebbe. E forse non soffrirei nemmeno io.
Allungò una mano, come a voler sfiorare il cielo.
Dio, perché mi odi tanto?
Io cosa ho mai fatto di male, per meritare tutto ciò?
 
«Crowley!»
Non bastò la voce di Azraphel a farlo rinsavire. Lo aveva sentito, tuttavia si era voltato solo dopo pochi attimi, ritrovandoselo davanti col fiato corto e fradicio per colpa della pioggia che continuava a cadere. Gli sorrise, in modo agghiacciante.
«Angelo, perché mi hai seguito fin qui? Ti ammalerai, non dovresti.»
«Lascia perdere! Torna immediatamente qui, è pericoloso, tu cadrai!»
Protese la braccia verso di lui, come a volerlo afferrare, ma in verità era talmente spaventato da non avere il coraggio di muoversi.
«Cadere? Oh, no. Io volerò, lassù, lassù in alto. Fin ora ho dormito, sto ancora dormendo e tutto ciò è un sogno. Forse se cadessi, mi sveglierei. Ma certo, per forza…»
«Cosa stai dicendo? Se è per quello che ho detto poco fa, perdonami! Tu non sei pazzo!»
«Invece sì!», lo zittì, allargando le braccia. «Io lo sono, è logico. Sento cose che non esistono, è chiaro. Probabilmente io e te non ci siamo mai conosciuti. Ti ho proprio preso in giro, vero?»
Rise e Azraphel si innervosì. Se Crowley avesse compiuto un altro passo, sarebbe precipitato giù. Sarebbe morto.
E probabilmente si sarebbe ucciso con lui, a quel punto.
«Smettila e torna qui, ti prego…»
«Indietro! Rimani lì, angelo! Mi va bene che muoia io, purché tu continui a vivere. Mi lascerò cadere e tu tornerai ad essere felice, come se non fossi mai esistito.»
Azraphel avrebbe voluto dire tante cose, come: “Razza di idiota, non dire certe cose! Se muori tu, muoio anche io!”.
Ma il suo tentativo di esprimere parola fu sovrastato da una persona. Si chiese quest’ultima quando fosse arrivata e nel guardarlo gli diede l’impressione di non essere neanche umano. Amon non era disturbato né dal vento né dalla pioggia, fissava solo Crowley.
«Questa sofferenza… non ne sentivo di così pregiata da tempo.»
«Che cosa?! Chi sei tu?!» esclamò Azraphel nervoso. «Ti prego, aiutami a farlo scendere da lì! Crowley…»
Quest’ultimo indicò Amon.
«Tu! Tu mi sei familiare! Fai parte anche tu del mondo che ho costruito nella mia mente?»
Azraphel li guardò, stravolto.
«Vi conoscete? Ti prego, aiutami!»
Amon non rimase del tutto indifferente al dolore che l’angelo aveva negli occhi. Un dolore così antico e soffocante che avrebbe fatto male a chiunque. A lui, il più imparziale e oggettivo dei demoni, non faceva male. Ma qualcosa gli smuoveva, forse pietà, forse ammirazione?
Il futuro poteva avere tante diramazioni e tante possibilità. Per la prima volta, dipendeva da lui, in prima persona.
Crowley sospirò, guardando prima verso l’alto e poi guardando Azraphel. Sperò di addormentarsi per sempre, di non rinascere, e maledisse tutto, la sua vita e Dio, se davvero esisteva. Nelle sue iridi castane e dorate, c’era dolcezza, dolore e sofferenze. Azraphel ci si perse dentro.
«Perdonami, perdonami. Io ti amo!»
Quello il punto vero e proprio di non ritorno. Azraphel sgranò gli occhi, vedendolo fare un salto indietro.
«NO!»
Non avvertì nulla, in seguito, se non la mano di Amon che si poggiava sulla sua testa, con violenza, quasi a colpirlo.
«D’accordo, angelo Azrphel. Chiunque merita una seconda possibilità.  Quindi svegliati.»
E fu davvero come risvegliarsi da un sonno durato seimila anni. Il demone, attraverso quel tocco, gli mostrò il passato, tutto il passato, dalle loro mille vite insieme. Azraphel rivide loro in ogni epoca, vide il loro amore e nascere e morire ogni volta nel più terribile del modi. E poi rivide l’inizio, loro, dalle ali bianche e nere, in un bellissimo posto che era l’Eden.
Loro, all’inizio e alla fine di tutto, la maledizione che li aveva separati, tutto, ogni attimo, immagine, ogni singolo bacio, abbraccio, ogni “ti amo”, a cui non aveva mai risposto. Era sempre stato Crowley. Era sempre stato lui, in ogni vita. Era sempre stata sua, la promessa di ritrovarsi.
Tutto esplose nella sua mente, in quello che parve un secondo infinito, che in un primo momento lo lasciò sconvolto. Era come se anche il tempo si fosse fermato. E ancor in meno tempo, successe che ritrovò la coscienza di sé, di ciò che era stato e di ciò che era. Sollevò lo sguardo, con una nuova luce negli occhi.
«Crowley!»
Aveva ricordato e lo aveva afferrato. Crowley trattenne il respiro, guardandolo.
«…Cosa…?» sussurrò.
«Non pensare di poter morire di nuovo prima che ti risponda. Ti amo anche io, Crowley. Ho sempre amato solo te!»
Lo gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, dopodiché lo afferrò, lo strinse quasi con prepotenza. E lo baciò, come non aveva mai fatto per tutti quei millenni, perché finalmente era di nuovo lui, con la certezza che fossero sempre stati legati. Crowley sgranò gli occhi quando lo sentì così vicino a sé. Quel bacio era diverso da tutto, gli stava donando una sensazione così calda e familiare, da commuoverlo. E fu anche ciò che aprì la sua mente, portandolo a ricordare, finalmente, ogni cosa. Tutto ciò che era rimasto nella sua testa in modo confusionale, finalmente stava assumendo un senso, finalmente si era svegliato da un sogno troppo lungo.
Il sole si era incontrato con la luna. La luce col buio. Il bianco col nero.
Un’altra volta. Ed erano stati così forti che perfino una maledizione tanto potente si era spezzata.
Azraphel si scostò appena, studiando la sua espressione.
«Lo vedi, Crowley? Hai mantenuto la promessa. Mi hai trovato. Mi hai salvato.»
Lui scosse il capo, lentamente.
«No, angelo. Sei tu che hai salvato me.»
 
Nota dell’autrice
Scrivere questo capitolo è stato un botto difficile. Non so perché, forse perché si trattava di un momento particolarmente intenso e ho dovuto cercare sì di far trapelare tutto, gioia, dolore, ansia, ma anche di non farmi coinvolgere troppo, altrimenti non avrei portato a conclusione niente.
Mi piace pensare che ciò che lega Crowley e Azraphel sia in grado di scaldare il cuore un po’ a tutti (cioè, quasi a tutti), così com’è successo a Belzebù e Gabriel, e ora ad Amon, che con la sua aura da ragazzo apatico degli anime, ha donato la verità ad Azraphel, e si sono ricordati TUTTO.
Questa era una delle poche scene sicure che ho avuto in testa sin dall’inizio, finalmente ho potuto scriverla. E nulla. Un problema è risolto, vediamo ora che succede. Grazie a tutti coloro che sono arrivati fino a qui ^^
 
 
 

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Capitolo 9
*** I traditori vanno puniti ***


9
 
Per un breve attimo aveva smesso di piovere. E il cielo si era aperto, lasciando passare i raggi del sole. Belzebù sollevò lo sguardo e le sembrò di tornare a respirare dopo minuti interi di apnea. Subito aveva guardato Gabriel, e non c’era stato bisogno di dire nulla, perché avevano capito che la maledizione era stata spezzata.
«Doveva succedere questo?» mormorò, come se stesse parlando più con se stesso che con lei. Ma Belzebù lo sentì chiaramente. Quella maledizione si era spezzata anche per loro, che non avrebbero più dovuto assistere all’agonia e alla sofferenza del vedere un amore nascere e poi morire nel peggiore dei modi.
«Forse. Tutto succede per una ragione», spiegò il demone. Probabilmente tutti quegli anni accanto all’Arcangelo l’avevano troppo rammollita, resa troppo tenera, ma non si stava ponendo più quel problema. Perché in fin dei conti erano cambiati entrambi.
Questa storia ha tirato fuori la parte migliore di noi.
«Ci saranno delle conseguenze. Anche per noi, intendo», affermò mestamente Gabriel.
Lei si avvicinò.
«Non mi importa.»
«Lo vedi quello che è successo a loro. Noi non siamo esenti.»
«Non mi importa.»
«Laddove si ama c’è sempre dolore.»
«Non mi importa», soffiò infine Belzebù, arrivandogli così vicino da respirare la sua stessa aria. Non erano bastati seimila anni ad indebolire il legame tra Azraphel e Crowley. Loro erano la speranza, la speranza che faceva pensare che forse davvero l’amore – così assurdo, incomprensibile, ineffabile – potesse vincere su tutto.
Gabriel desiderò baciarla. Lo desiderò veramente, dopo aver messo da parte la ragione, il timore, tutto. Lo avrebbe anche fatto, aveva già portato un braccio intorno alla sua vita, se la terra non avesse preso a tremare sotto di loro. Questo fu per l’Arcangelo un po’ una scusa per stringerla maggiormente a sé, mentre guardava il cielo.
 
Il sogno durato un’eternità era finito e loro ora erano svegli. Crowley e Azraphel ricordavano tutto, tutto. Sulle loro menti gravavano seimila anni di ricordi, tutto era vivido, lo erano i ricordi, il dolore, la gioia, ogni singola sensazione che avevano vissuto. Se poco prima Crowley aveva desiderato togliersi la vita, adesso ne aveva appena ritrovato il senso.
Il senso di ogni cosa.
«Oh, angelo. Sei tu. Sei sempre stato tu!» Crowley era ancora bagnato di pioggia, ma non gli importò, non sentiva più il freddo, non sentiva più nulla.
«Anche tu sei sempre stato tu! Perdonami, ti prego!» Azraphel gli aveva afferrato la mano con fare esasperato, come se avesse avuto paura di perderlo di nuovo. «Io non avevo capito. Non avevo capito niente, e ti ho portato quasi ad ucciderti. Sono uno stupido. Perché non ho ascoltato le mie sensazioni, perché io…?»
Crowley lo zittì con un abbraccio. Lo aveva stretto a sé tante volte, senza sapere chi realmente fosse, e adesso che lo sapeva aveva tutto un significato diverso.
Era lui la chiave di tutto. Lui ci ha salvati.
«Nulla importa oramai», sussurrò con gli occhi lucidi. «Solo noi.»
Solo loro che avevano sfidato il tempo e lo spazio, che avevano sfidato Dio, la maledizione, la morte, la follia, tutto, per poi ritrovarsi.
Alla fine di tutto, o forse l’inizio.
Azraphel respirò il suo profumo, rimasto sempre uguale, e sentì il vuoto riempirsi.
Siamo morti così tante volte. Ci siamo venuti dietro nell’oblio, avvicinati e poi allontanati di nuovo.
«Solo noi», sussurrò, non riuscendo a trattenere le lacrime. Avrebbe pianto ancora, ma si augurò di felicità e non di tristezza.
Crowley lo strinse forte, sollevando poi lo sguardo. Aveva giurato che ci fosse qualcun altro.
«Ma… chi c’era qui con te?» sussurrò.
«Qui con me, dici? Non so il suo nome. Ma nel momento in cui mi ha toccato, mi ha mostrato… i miei ricordi, credo. È grazie a lui che ho ricordato. E se sono riuscito a dirti il mio tanto atteso ti amo
Crowley rabbrividì. Aveva atteso per millenni di sentirselo dire.
Allungò una mano, accarezzandogli il viso. Azraphel chiuse gli occhi, perdendosi nella pace, ma solo per qualche attimo. Perché sentì, anzi, sentirono entrambi la terra tremare.
«Ma che… oh, no. Che succede adesso?» sussurrò. Crowley assottigliò lo sguardo. Di quello che sarebbe stato non gli importava, ma mai più, mai più nessuno lo avrebbe separato dall’amore della sua vita.
«Non lo so. Ma andiamo via di qui, seguimi!» sussurrò, afferrandolo per mano. Scesero dal tetto e trovarono le strade bagnate, ma la gente comunque tranquilla, pareva che solo loro avessero avvertito quel tremore. Ben presto, gli occhi di Crowley si incrociarono con quelli di Gabriel, il quale mostrò un’espressione indecifrabile. Lo stesso Azraphel parve sorpreso di vederli.
«Voi due…»
«Tu!» esclamò Crowley furioso, raggiungendolo ad ampie falcate. «Ci sei anche tu dietro tutto questo, non è vero? Ovviamente, avrei dovuto aspettarmelo, maledetto bastardo!»
«Stai attento a come parli. Io sono un Arcangelo e tu non hai più i tuoi poteri»
«Allora ridammeli, così poi ti posso uccidere!»
«Silenzio!» esclamò  Belzebù. «Lui non c’entra!»
«E perché dovrei crederci? Ha sempre disprezzato me ed anche Azraphel. Lui lo sapeva!» lo accusò. E Gabriel rimase in silenzio, perché in fondo quella era una mezza verità.
«Sì, lui sapeva», dichiarò Azraphel, più tranquillo. «Per questo ha provato a mettermi in guardia. Ma io non l’ho ascoltato. Ora capisco cosa intendevi quando dicevi che ci sono punizioni ben peggiori della morte!»
Crowley guardò Azrpahel, certo con sorpresa, ma a poco erano servite le sue parole per cercare di calmarlo. Provava una rabbia e un rancore antichi verso coloro che li avevano gettati tra le fiamme, facendoli soffrire vita dopo vita, non avrebbe mai potuto perdonarli per questo.
«Questo conta poco oramai. Io vi maledico, vi maledico tutti, Paradiso, Inferno, angeli e demoni, che siate maledetti tutti!»
«Se fossi in te non peggiorerei la situazione, adesso», cercò di avvisarlo Belzebù, senza però alcun successo.
«Perché? Cosa succede altrimenti? Dio mi prende e mi cancella di nuovo la memoria? Oppure mi fa fuori direttamente? Non me ne importa, sono incazzato. Il dolore che ho provato… non potete capirlo!»
Rabbia e dolore uscivano dalle sue parole, il cuore faceva tanto male, perché se da un lato i ricordi gli avevano dato sollievo, dall’altro gli aveva fatto intendere quanto triste e maledetto fosse stato il loro destino. Il vento si era alzato, ancora, come se fosse una conseguenza della sua ira.
«Crowley, ti prego», gli sussurrò Azraphel, stringendolo, cercando di infondergli un po’ del suo calore. «Non lasciarti andare alla vendetta, al rancore. Ricordi? Nulla conta oramai.»
Parlava con tono calmo, ma anche lui provava rabbia. E delusione. Perché non avrebbe mai pensato si potesse venir puniti per aver amato fino a questo punto. E a giudicare dalla tempesta che si stava abbattendo su di loro, non era ancora finita.
No, non lo era per niente.
Amon comparve silenzioso come un fantasma, gli occhi trasparenti fissi verso l’alto.
«Lui!» lo indicò Crowley. «Sei stato tu, tu…!»
Il demone lo zittì con un gesto della mano.
«Non pensare di ringraziarmi, io non ho fatto niente.»
Passò loro davanti, continuando a guardare il cielo.
«Temo che i nostri capi si siano parecchio arrabbiati. Non che non lo avessi previsto, ovviamente, ma comunque io non morirò di certo, quindi la cosa mi riguarda fino ad un certo punto.»
«Cosa vuoi…?» Gabriel fece per chiedere qualcosa, ma il respiro gli mancò nell’avvertire il vento farsi gelido. Nient’altro si muoveva attorno a loro, un po’ come se si fossero spostati su un altro piano di esistenza, ed in effetti non era sbagliato come pensiero. Crowley si spaventò e strinse a sé Azraphel, protettivamente. La pioggia era caduta e la tempesta si era scatenata quando erano stati puniti. Ma adesso, quale punizione sarebbe loro toccata per essere andati contro il volere di Dio?
Loro parvero comparire dalla terra stessa. I demoni. Belzebù sgranò gli occhi, provando per la prima volta, nella sua lunga esistenza, un brivido di paura. Poteva essere forte e poteva aver guidato armate, ma adesso sapeva di essere diventata una traditrice.
Riconobbe immediatamente Hastur e Ligur, assieme a loro un terzo demone, che aveva fatto alzare gli occhi ad Amon.
«Per Satana», sospirò quest’ultimo stancamente. «Che seccatura.»
«Crowley!» esclamò Hastur divertito. «Ma tu guarda. Sapevo che il tuo essere sentimentale ti avrebbe portato a dei guai, ma non immaginavo che saresti arrivato a spezzare la maledizione.»
Crowley fece una smorfia. Quel maledetto bastardo era uno di quelli che gli era sempre andato contro, come tutti del resto.
«Tu, maledetto. Dopo seimila anni, te ne esci così? Io giuro che ti ammazzo, ammazzo tutti voi!»
«Taci!»
Ad averlo zittito era stato il terzo demone, che non conosceva. O per meglio dire, lo conosceva solo di nomina, ma non gli pareva di averlo mai visto. Aveva gli occhi rossi come sangue ed un serpente avvolto intorno al braccio.[1]
Mortalmente affascinante, ma con gli occhi pieni di odio, uno dei principi dell’inferno, che adesso stava guardando Amon.
«Il più imparziale dei demoni, eh? Cazzate, ti sei fatto abbindolare da questi due traditori che hanno osato spezzare l’equilibrio?»
«Ti prego. Non te n’è mai importato niente del bene comune, perché non vai a tentare qualcuno?»
«Come osi parlarmi così? Tu sei solo il mio assistente, quindi portarmi rispetto!» acido si rivolse poi a Belzebù. «Nostro Signore non è molto felice. Per questo ha mandato me. Allora hai infine ceduto? Traditrice», sibilò.
«Astaroth», sussurrò lei. «Non mi fai paura. Se mi consideri una traditrice, allora prova ad uccidermi.»
Gabriel si era sempre fatto gli affari suoi. Ma oramai c’era troppo dentro, anche sentimentalmente, per poter sperare di rimanerne fuori. Strinse a sé Belzebù, senza paura.
«Prima di toccarla dovrai strapparmi le ali.»
Astaroth rise, viscido.
«Divertente. L’Arcangelo più vicino a Dio che si innamora del demone più vicino a Satana. Non avete proprio imparato niente da questa vicenda, vero?»
Azraphel si era portato intanto una mano sul cuore, sentendolo battere veloce. Se erano arrivati i demoni, presto sarebbero arrivati anche gli angeli. Che lo ammettesse o no, loro erano coinvolti.
Anzi, loro erano la causa.
«Andiamocene via di qui!» esclamò Crowley afferrandolo per mano. Ma lui gli rivolse uno sguardo attonito.
«Andarcene? Non possiamo. Loro non ci lascerebbero andare. Ed anche se fosse… riguarda anche noi.»
«Noi abbiamo già sofferto abbastanza.»
«E chi mi dici di loro? Gabriel e Belzebù sono come noi. Amon mi ha permesso di riacquistare i ricordi. Che ci piaccia o no, abbiamo scatenato una maledettissima guerra tra fazione. È come se fosse una reazione a catena senza fine.»
Crowley odiava quando Azraphel aveva ragione, specie in  quei casi. Ed era anche molto più coraggioso di quanto fosse lui. Provava ancora tanto odio e tanta rabbia. Ma lui non era come coloro che lo avevano maledetto. Assottigliò lo sguardo e osservò Hastur e Ligur, che si erano fatti più vicini in modo minaccioso.
«Su, su. Non agitarti troppo», disse il secondo. «Magari qui sarai più fortunato. Magari avrai la pena massima, così smetterai di soffrire.»
«Qualsiasi cosa sarebbe meglio dell’inferno che ho vissuto», sibilò. «Che volete farmi? Qualunque cosa proverete a fare, sarà inutile, ho provato tutte le sofferenze al mondo, non ho paura di niente oramai.»
«Crowley…» Azraphel lo chiamò, avrebbe voluto chiedergli di trattenersi e di non provocarli. Dopotutto erano così deboli in confronto a loro.
Giusto, erano loro state strappate le ali, tecnicamente non erano più un angelo o un demone, ma allora perché non li lasciavano semplicemente in pace? Oramai era andata, il passato non poteva essere cambiato.
Azraphel indietreggiò appena. Oltre alla presenza dei demoni,  adesso percepiva anche quelli di coloro che un tempo erano stati i suoi compagni, gli altri angeli. Michael, Uriel e Jehudiel[2], dalle ali bianchissime e lo sguardo severo. Ma non si erano rivolti  a lui, probabilmente ci avrebbero pensato dopo, quanto più a Gabriel, che si aveva guardato Belzebù come per rassicurarla.
«Spiritus Sanctus superveniet in te[3]» disse l’Arcangelo mestamente.
Michael lo guardò con severità.
«Gabriel… per seimila anni hai svolto il tuo compito. Ma adesso che succede? Se perfino l’Arcangelo più vicino a Dio cede, allora è evidente che non esiste più un equilibrio.»
«Al diavolo l’equilibrio!» si intromise Belzebù. «Questo era troppo. Troppo! Una maledizione del genere è terribile, nessuno può rimanere del tutto indifferente!»
L’arcangelo la guardò. A giudicare da come si stringeva a Gabriel, non era difficile intuire cosa potesse legarli.
«Anche voi? Anche voi come loro? Volete che vi vengano strappate le ali?»
«No, no, no!» si intromise Azraphel. «Emh, salve, sì. Sono io, Azraphel, quello che avete maledetto. Non potreste fare un’eccezione? Loro non hanno a che fare con…»
«Silenzio!» lo rimbeccò Michael. «I traditori vanno puniti. Gabriel, tu sai cosa succede ai ribelli? Vengono fatti cadere. Vuoi questo?»
Gabriel divenne rigido, ma intimorito. Lui non poteva cadere, non aveva fatto niente di male.
«No. Voi non lo farete», sibilò Belzebù.
«Questo non è affar tuo, demone. Astaroth, tieni a bada i tuoi, come io terrò a bada i miei.»
Il demone schioccò la lingua, infastidito.
«E va bene, d’accordo! Oh beh, sarà un peccato perdere uno dei demoni più forti, ma tant’è», sospirò, rivolgendosi a Crowley. «E per quanto riguarda te e quell’altro, verrete bruciati dal fuoco e dall’acqua santa, morirete per sempre. Anzi, in realtà non è solo questo. Con la pena massima sarà come se non foste mai esistiti. Cancellati definitivamente.»
«Dannazione! Ma non potete lasciarci in pace e basta?!» sbottò Crowley.
Quanto dovevano soffrire ancora? Non erano bastati seimila anni di dolore e sofferenza da scontare?
«C’è un ordine che va stabilito. Eliminati i traditori, tutto tornerà come prima», disse Michael. «Ciò non sarebbe dovuto succede… come tante altre cose», e guardò Gabriel. «Ci occuperemo di loro, prima. Dopotutto voi non potete scappare.»
Se fosse stato quello di seimila anni prima, probabilmente Azraphel si sarebbe anche arreso a quell’evenienza. Gli sarebbe bastato morire, dissolversi del tutto. Ma non in quel modo, non così.
Perché lui e Crowley erano esistiti e ciò non poteva essere cancellato.
«Nessuno può fare niente, oramai?» sussurrò Crowley con lo sguardo vitreo.
Azraphel alzò gli occhi al cielo, determinato.
«Non so come, Crowley. Ma  io devo parlare con Dio.»
 
 
Nota dell’autrice
[1] Astaroth è uno dei principi dell’inferno che fra le tante cose, gira con una corona in testa e tiene un serpente in mano. E Amon è uno dei suoi assistenti.
[2]  Jehudiel è uno degli Arcangeli che rappresenta l’amore misericordioso di Dio e che sarà molto, MOLTO UTILE.
[3] È il motto dell’Arcangelo Gabriele, visto che a quanto pare ogni Arcangelo ne ha uno, adoro.
Con questo capitolo, posso dire che siamo in dirittura d’arrivo. Dovrebbero mancarne altri due, se non decido di dividere il finale in due o più parti, ma dipende quanto viene lungo. Ad ogni modo, anche questo capitolo è stato un botto difficile da scrivere, visti tutti i personaggi che compaiono e il casino che succede.
Shimba97, hai visto? È arrivato anche Astaroth, ma è leggermente più cattivo di quello che conosci tu, ihih.
COMUNQUE, non solo Azraphel e Crowley rischiano di essere cancellati dalla faccia dell’esistenza stessa [?], ma Gabriel rischia la caduta e Belzebù la morte con l’acqua santa. Non è che se lo meritino, non in questa storia. Quindi Azraphel vorrebbe parlare con Dio, ma come si fa?
E non lo so, io sono solo l’autrice, i personaggi fanno quello che dicono loro
A presto ^^
 
 
 

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Capitolo 10
*** Morirei per te ***


10
 
Due fazioni nemiche sin dall’inizio dei tempi, messe a dura prova dall’amore impossibile. Azraphel, che aveva letto molti libri, avrebbe detto che una storia del genere fosse molto simile a Romeo e Giulietta, con la differenze che qui nessuno sarebbe dovuto morire, un’altra volta. Gabriel, Blezebù, gli angeli e i demoni erano scomparsi e loro erano tornati su un normale piano d’esistenza, dove non pioveva più, né dove la terra tremava.
«Ah, quei…! Ah! Se ne sono andati! Hai sentito quello che vogliono fare? Vogliono punire quei due. Questo non è giusto!»
«Lo so che non è giusto! Ti senti in colpa?»
«Ma che razza di domanda è questa? Certo che mi sento in colpa. Non volevi parlare con Dio? Beh, allora, fallo!» esclamò Crowley nervoso.
Azraphel scostò lo sguardo.
«Io non so come fare, in realtà», ammise. «Siamo quasi completamente umani, non so se funzionerà.»
«Tu provaci, oppure… oppure giuro che ci parlo io, in qualche modo», alzò lo sguardo al cielo. «Sì, esatto mio caro Dio. Ti ho già sfidato una volta, non ho paura di farlo un’altra volta. Che cosa vuoi ancora? Andrà avanti all’infinito questa tortura? Forse abbiamo sofferto abbastanza!»
Azraphel chiuse gli occhi, avvilito. Avrebbe voluto dirgli di tacere e non peggiorare la situazione, ma dopotutto sarebbe stato inutile.
Perché in fondo neanche io capisco. Perché questo dolore?
Tutto ciò era proprio necessario?
Erano andati tutti via, tutti tranne uno. L’Arcangelo Jehudiel portava una corona d’oro sulla testa e aveva lo sguardo più dolce rispetto agli altri suoi colleghi angeli. Gli era stato ordinato di rimanere a controllare i traditori affinché non facessero nulla di strano. Ed effettivamente li stava controllando, ed osservando molto bene, il dolore nei loro occhi, ma anche la determinazione ferrea, anche esasperante. Angeli e demoni erano lungi dall’essere perfetti. Difatti sbagliavano di grosso se pensavano di poter fermare l’Amore. Quando esisteva un cerchio fatto di dolore e sofferenza, l’unica cosa da fare era rompere tale cerchio. Si avvicinò ai due, facendo sì che potessero vederlo.
«Deum laudantibus praemia retribuo»
Impauriti, si misero sull’attenti, anche se ad Azraphel non parve che l’Arcangelo fosse ostile.
«Tu… tu sei Jehudiel, non è vero?»
«Che importa chi è? Lui è come loro», disse Crowley, non fidandosi. «Che cosa vuoi? Vuoi ucciderci?»
«Santo cielo, no. Io sono un angelo.»
«Già. E sono angeli anche quelli che mi hanno maledetto», fece notare Azraphel. «Perché noi? Davvero è così sbagliato?»
C’erano domande a cui neanche un Arcangelo avrebbe saputo rispondere. Crowley e Azraphel erano stati l’imprevisto nella storia del mondo, l’inaspettato, l’eclissi. E ciò aveva scatenato una reazione a catena.
«Io non credo sia sbagliato. Penso che questo facesse parte del suo piano, in qualche modo»
«Oh, certo, gran bel piano! Maledirci e farci morire ogni volta? E ora che succede? Noi verremo cancellati, ma Gabriel cadrà e Belzebù sarà bruciata come una traditrice. E lo hanno fatto per aiutare noi. Questo non  è giusto», disse Crowley. «Dio non ci ascolta. Non ascolta me o quelli come me. Ha forse dimenticato che anche noi demoni un tempo eravamo degli angeli, proprio come voi? Alla base siamo uguali, dannazione!»
A Jehudiel venne da sorridere alle parole del demone. In fin dei conti un demone non era che un angelo con le ali nere e una parte più oscura, ma in principio erano stati la stessa identica cosa.
«Non posso negare che tu abbia ragione, demone Crowley. Il mio cuore sanguina nel vedere tutto ciò. Vi vedo, so che fareste di tutto per salvare loro, ma anche per salvare voi stessi.»
Azraphel strinse la mano di Crowley, serio.
«Noi vogliamo solo che tutto questo finisca.»
«Lo so. Come esistono demoni che hanno un lato buono, esistono angeli che fanno cose che non dovrebbero. Tu, Gabriel, e adesso anche io. Ma dopotutto… io rappresento l’amore misericordioso di Dio, sarebbe un controsenso, se adesso non vi aiutassi.»
«Tu? Oh, no. Abbiamo già messo troppa gente nei guai!» tentò di farlo resistere Azraphel.
«Pensavo volessi parlare direttamente con Dio, no?» gli domandò con un sorriso affabile. Inizialmente Crowley pensò che si trattasse di una trappola ben congeniata, ma gli ci volle poco per capire che non c’era menzogna nelle parole di Jehudiel. Non tutti i demoni erano cattivi e ribelli, non tutti gli angeli erano buoni e amorevoli. Di questo oramai ne aveva la prova concreta.
«Beh? Lo hai sentito, no? Se vuole aiutarci di sua spontanea volontà, chi sono io per dirgli di no? Va bene, arcangelo. Aiutaci. Ti prego.»
 
Amon era completamente indifferente mentre Astaroth gli girava attorno, come uno squalo pronto ad addentare la propria preda. Il suo superiore era sempre stato un po’ troppo eccentrico ed impulsivo, questa cosa gli si sarebbe rivoltata contro.
«Mi stai facendo perdere la pazienza, Amon!» sbottò il demone dagli occhi scarlatti. «Questa tua supponenza verrà punita. Tu brucerai.»
«Continua pure ad insistere con questa storia. Io non morirò.»
«Ah, no? E questo chi lo dice, il futuro che leggi? Non avresti dovuto immischiarti in faccende che non ti riguardavano. Per colpa tua la maledizione che abbiamo lanciato si è spezzata. Quei due dovevano dannare in eterno!»
Amon alzò gli occhi al cielo, stanco.
«Per l’ultima volta, io non ho fatto niente. Mi sono limitato a mostrare ad Azraphel il passato, la sua volontà ha fatto il resto. A quanto pare l’Amore può essere anche più forte di me o di te.»
«Non dire assurdità, stolto. Tu e Belzebù siete fra i demoni più potenti e adesso ci toccherà farvi fuori. Beh, poco male, vorrà dire che prenderò io il suo posto. Le armate demoniache non hanno bisogno di un traditore come leader.»
Amon distolse lo sguardo. Non era così che sarebbe andata. Certo, era una delle possibilità, uno dei possibili futuri, ma non il loro. Astaroth poteva illudersi quanto voleva. Ed effettivamente il demone dagli occhi rossi si accorse che Amon aveva assunto un’espressione strana.
«Beh? Perché fai quella faccia? Che succede nel futuro? Sono io quello a morire? Coraggio, parla»
Il suo sottoposto lo guardò, per la prima volta lasciandosi andare ad un sorriso, non di felicità, quanto più sarcastico.
«Ma Astaroth, non è mai un bene rivelare troppo del futuro. Me lo ripeti sempre.»
Astaroth fu colto da uno scatto d’ira che  probabilmente lo avrebbe portato a colpire con violenza Amon, se solo Ligur e Hastur non fossero arrivati in quel momento, tenendo con loro Belzebù, la quale non si era disturbata troppo di dimenarsi, non era da lei fare scenate.
«Capo, siamo qui», disse il secondo.
«Finalmente!» sbottò lui, guardandola divertito. Lui e Belzebù erano molto simili in forza ed abilità, eppure lei era sempre avuto un ruolo un po’ più di riguardo, cosa che non gli faceva proprio piacere. «Mentirei se dicessi che non ho bramato questo momento. Chi l’avrebbe mai detto che proprio tu ci avresti tradito?»
Si era fatto vicino e Belzebù aveva cercato di scostarsi.
«Se pensi che potrai eliminarmi così facilmente, ti sbagli di grosso.»
«Vuoi forse dirmi che credi che quell’Arcangelo ti salverà? No, oramai è troppo tardi. Tu la causa della sua caduta, lui la causa della tua dipartita prematura, ahimè. Ma non preoccuparti, prenderò io il tuo posto. Attendiamo solo che ci portino l’acqua santa… e allora smetterai di soffrire. E per quanto riguarda te», guardò Amon. «Penserò a qualcosa che possa farti passare quell’arroganza che hai.»
Amon lo osservò annoiato, senza dire una parola. Di fatto Astaroth non poteva ucciderlo. Lui serviva, conosceva ogni cosa, non era conveniente per nessuno eliminarlo. Sollevò lo sguardo verso Belzebù. Non disse una parola, ma con i soli occhi avrebbe voluto dirle: “Non è detto che andrai via così. È solo una delle possibilità”.
 
C’erano poche cose che Gabriel temeva. Tra queste, c’era sicuramente l’ira del suo Signore, la paura di cadere, e adesso si era insinuata anche la paura di perdere chi amava. Se qualche centinaio di anni prima gli avessero detto che avrebbe rischiato per aiutare l’amore tra un demone e un angelo (tra Crowley e Azraphel in particolare), si sarebbe fatto una risata. Ma il destino  aveva davvero un modo ironico di agire.
La caduta era per coloro che si erano ribellati. A quel punto le ali si tingevano di nero e si provava un dolore inenarrabile. Gabriel non voleva soffrire. Il cielo sopra la sua testa era grigio, in tempesta, esattamente come quel giorno, il giorno della maledizione. Sentì il vento gelido tagliargli il viso e poco dopo la volta si illuminò, come un fulmine che non preannunciava niente di buono. Dio non doveva essere affatto di buon umore. Anzi, no. Non lo era per niente.
«Lei dov’è?» sussurrò. Michael non gli chiese neanche chi, sapeva bene a chi si stesse riferendo.
«Quel demone verrà giustiziato con l’acqua santa»
«Piuttosto eliminatemi del tutto, ma lasciate stare lei.»
Aveva parlato d’istinto.
Per Dio, sarebbe stato disposto davvero a fare una cosa del genere, per un demone.
No, non per un demone, ma per lei, era diverso.
«Quello che vogliono fare nella fazione opposta non ci riguarda. Piuttosto, mi preoccuperei per te, perché la tua caduta oramai è imminente.»
Un fulmine, lo sentì così vicino che quasi tremò. Forse avrebbe capito, almeno in piccola parte, cosa dovevano aver provato Azraphel e Crowley.
Azraphel… non mi perdonerò mai per star pensando una cosa del genere, per starti supplicando. Ma questa sarà la prima e unica cosa che ti chiederò.
Se puoi salvami.
O almeno salva lei.
 
«Jehudiel? Non è che non mi fidi di te, ma dove stiamo andando?!»
Azraphel stava cercando di andare dietro all’Arcangelo. Perché ad un certo punto si stavano ritrovando a farsi spazio tra gli alberi? Non era il momento di una bella gita nel bosco.
«Scusate, mi serviva un posto tranquillo per invocarlo», disse lui indisturbato.
«Invocare chi?» sbuffò Crowley, stanco.
«Metatron»
«Chi?!»
«Metatron, Crowley», gli spiegò Azraphel. «Uno degli angeli più importanti. È un po’ il portavoce di Dio…»
«Credevo avremmo parlato con quest’ultimo in persona!»
«Nessuno può parlare con Dio in persona, ma magari questa volta farà un’eccezione», sospirò l’Arcangelo. Dopotutto, di fatto, Azraphel e Crowley erano già un’incredibile eccezione. A quel punto era necessario tentare, rischiare il tutto per tutto, per cercare di fermare l’ennesima ingiustizia. Fece segno ai due di fermarsi ed entrambi lo sentirono pronunciare delle parole sottovoce, pareva quasi un inquietante formula magica, anche se in realtà non era niente di maligno. Il vento in quel punto smise di soffiare e nacque una lucente energia bianca, tanto forte da costringere Crowley in particolare a chiudere gli occhi.
«Ma cosa…?»
«Deum laudantibus praemia retribuo. Sono l’Arcangelo Jehudiel. Parlo con Metratron?»
Di fatto non era apparso nessuno, era possibile solo percepire un’energia calda, rassicurante, ma anche distante.
«Sono l’angelo Metratron, il portavoce del nostro Signore. Perché sono stato invocato?»
Jehudiel guardò Azraphel.
«Qualsiasi cosa tu debba dire, dilla»
Lui guardò Crowley, che gli fece segno di andare. Cosa doveva esattamente dire? Come rivolgersi a quel Dio che millenni prima l’aveva maledetto? Colui che avrebbe dovuto essere misericordioso e che li aveva maledetti?
«Speravo di parlare direttamente con Dio.»
«Parlare con me è come parlare con Lui»
«Sì, d’accordo», sospirò. «Io sono… ero, l’angelo che è stato maledetto per aver amato un demone. Questo ha portato a delle conseguenze, non solo per me. Mio Dio… nessuno dovrebbe soffrire per aver amato. Sarebbe più logico punire per aver odiato.»
La sua voce tremava. Per rabbia, dolore, per tutto.
«Azraphel…calmo…», gli ricordò Crowley. Ma poteva capire il suo tormento, meglio di chiunque altro.
«C’è chi ci ha aiutato. Loro non possono essere puniti. E d’altronde, noi non vogliamo cancellato, né nuovamente maledetti. Digli di fermare tutto. Lui può farlo. Se c’è da sacrificare qualcosa, sacrificherò qualsiasi cosa!»
«Ma cosa dici, stupido!», gridò Crowley, ma Jehudiel gli fece segno di tacere.
«Amo Crowley più di quanto ami me stesso. Non voglio morire, né voglio separarmi da lui. Ma se con la mia morte potessi salvarlo, e anche Gabriel, che non merita la caduta, lo farei volentieri. Senza rimpianti.»
Quello stupido. Come gli saltava in mente una cosa del genere?
Come osi? Al massimo sono io quello che dovrebbe morire. Principalmente perché sono egoista e senza di te non potrei vivere.
Non potrei proprio, oramai.
Azraphel attese che Metatron parlasse.. A quel punto sentì qualcosa, lì, dove si trovava il cuore. Ma non fu una sensazione spiacevole, tutto il contrario. Si sentì stanco. E chiuse gli occhi. Tutto divenne buio.
 
 
 
Nota dell’autrice
Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che, come sempre, ci sono stata un po’ a buttarlo giù. Il prossimo, che sarà il finale, è già pronto, ed è tipo il doppio di questo, ma non potevo dividerlo. Onestamente non vedo l’ora di pubblicarlo, perché ne sono stranamente soddisfatta. Lo so, il finale di questo non è molto rassicurante, ma portate pazienza. Intanto vi voglio ringraziare per essere arrivati fin qui, sono troppo triste perché la storia è ad un passo dalla conclusione, ma non voglio lasciarmi andare alla malinconia…… A presto!
 
 
 

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Capitolo 11
*** L'amore vince ***


11
 
 
Crowley aveva sgranato gli occhi e subito aveva teso un braccio, come a volerlo afferrare. D’improvviso Azraphel aveva perso i sensi. Era… morto? Era possibile una cosa del genere?
«Angelo, ehi! Sveglia, non fare scherzi! Cosa cazzo sta succedendo qui?!» furioso si rivolse a Jehudiel. «Cos’hai fatto?»
«Calma, io non ho fatto niente», cercò di tranquillizzarlo. «Respira, non è vero?»
Crowely si avvicinò al suo viso, costatando che effettivamente il respiro, anche piuttosto regolare, c’era. Quindi non era morto. Era svenuto?
Azraphel sgranò gli occhi all’improvviso, ma le sue pupille erano vacue, come se stesse guardando nel nulla.
«Azraphel? Ma che diamine succede? Stai bene?»
Lui non rispose. Anche se era lì con il corpo, con la mente si trovava da tutt’altra parte, circondato da tanto bianco.
Eppure non era un brutto luogo. Per certi versi gli ricordava il Paradiso, ma non si trattava di questo. Non è che Dio lo aveva ascoltato e aveva davvero deciso di prendersi la sua vita per salvare gli altri?
Non conosco modo migliore per andarmene, se non per salvare chi amo. Ma così… a tradimento… almeno avrei potuto baciare Crowley per l’ultima volta? Avrei potuto dirgli che lo amo, dal momento che in seimila anni solo una volta sono riuscito a dirglielo? Davvero fino alla fine dovevo soffrire così?
«Azraphel.»
Udì una voce chiamarlo. Una voce che non era quella di Crowley, né di nessuno che conosceva. Una voce che non avrebbe potuto associare a nessun volto. Qualcosa che poteva sentire chiaramente nella sua testa.
«Ma… ma chi sei?» sussurrò. Qualche secondo di silenzio e poi la voce parlò di nuovo.
«Lo sai chi sono. In fondo, lo sai.»
Sollevò lo sguardo, pur sapendo che non avrebbe potuto vedere nulla. Si fece largo una certezza in lui, nonostante fu anche portato a chiedersi come fosse possibile. Stava parlando con Dio?
L’entità sopra ogni cosa, a cui si erano ribellati, che aveva sentenziato la loro punizione?
Quello stesso Dio?
Batté le palpebre, assumendo un’espressione stranita.
«Cosa…? Io… sono morto davvero?» domandò quasi impercettibilmente. «Sei… Dio… insomma…quello vero?» chiese in difficoltà. Non sapeva come doversi rivolgere ad un’entità del genere. Non credeva neanche che fosse possibile parlargli, anche se ci aveva sperato.
«Ma dove sono?» domandò poi.
«In un posto che non sta da nessuna parte, né in nessun punto del tempo. La tua anima è sospesa. Ho sentito ciò che hai detto a Metratron e non ho mai sentito o visto un angelo tanto impertinente, quanto testardo.»
Azraphel ebbe l’impressione di arrossire.
«Beh… io dovevo parlare con te… con voi…oh, insomma», sospirò. «Mio Dio, ti prego… le cose non devono andare così. Non possono. La maledizione che tormentava me e Crowley si è finalmente spezzata. Non voglio che ricominci e non voglio neanche che venga ucciso nessuno. Gabriel non merita la caduta. Lui, Amon e Belzebù hanno agito per salvare noi. Davvero si può essere puniti solo per aver amato? Per aver amato qualcuno che è diverso da me… ma forse neanch tanto?»
Aveva cercato di mantenere un tono calmo, ma non era servito. Era arrabbiato e anni e anni di rancore stavano lentamente venendo fuori. Adesso non stava più avendo paura, né stava temendo le conseguenze. Certo, il suo più grande desiderio era rimanere con Crowley, vivere con lui senza più doversi separare, ma se proprio doveva scegliere, preferiva morire, prendersi tutto il male, le colpe e le sofferenze e lasciarlo vivere, lasciarli vivere tutti.
Farei anche questo per te. Morire e rinascerei altre mille volte. Adesso aveva osato ribellarsi ancora e sicuramente non sarebbe rimasto impunito. Ma era stanco di scappare. Qualsiasi sarebbe stata la sua punizione, l’avrebbe affrontata a testa alta.
«Qualsiasi cosa tu voglia farmi, mio Signore, sia fatta. Ma che loro vengano lasciati fuori, perché non lo meritano», sospirò, chiudendo gli occhi. Poco dopo Dio parlò di nuovo.
«Verrai condannato a…»
A cosa?
Avrebbe voluto chiederlo, ma la voce di Dio era ora lontana e lui si stava risvegliando, con un profondo sospiro, come se non avesse respirato fino a quel momento. E tornò a respirare anche Crowley.
«Azraphel, dannazione! Mi hai fatto morire di paura, stai bene?!»
Batté le palpebre un paio di volte e prima che potesse parlare, Jehudiel prese il suo posto.
«Tu hai parlato con Dio, non è vero?» gli domandò. «Lui in genere… non parla con nessuno. Ma con te sì»
«Ebbene? Che ti ha detto? Che ti ha fatto? È arrabbiato, vero? Perché l’ho maledetto in tutti i modi», Crowley parlava con foga. «Vuole separarci di nuovo? Cosa…?»
Non lo avrebbe permesso.
Già, non lo avrebbe permesso. Ma cosa potevano fare loro, che adesso non avevano alcun potere?
Jehudiel sentì il vento gelido da est  venirgli addosso. Si sollevò appena, continuando a guardare in quella direzione.
«Sta iniziando», soffiò. Il cosa, non sarebbe stato necessario spiegarlo.
 
Inferno
Belzebù aveva assistito tante volte ai “processi” di morte per i traditori. Era una cosa a cui era oramai abituata, ma trovarsi dall’altro lato, dal lato dei traditori, era diverso. Ligur e Hastur la tenevano stretta affinché non scappasse, ma anche volendo non avrebbe avuto la forza di andare.
Andare dove?
Astaroth la precedeva, Amon invece le camminava accanto, in silenzio. Avrebbe voluto chiedergli: “Questo lo avevi visto, nel suo futuro?”, ma sarebbe stato inutile.
Lui sapeva tutto. Sapeva anche se sarebbe morta o meno.
Non era sicura di volerlo sapere. L’idea di morire in una vasca piena di acqua santa terrorizzava giustamente tutti i demoni.
Non era solo morire il problema, era smettere di esistere.
Fine dei giochi, non si torna più indietro.
Gabriel… quindi è così finisce? È così che finiamo noi?
Astaroth si fermò ad un tratto, voltandosi a guardarla.
«Sbrighiamoci a fare questa cosa. Ho degli impegni. Non preoccuparti, Belzebù. Sarà una cosa molto rapida e indolore, certo sei stata fortunata. Molto più del tuo amico arcangelo. Purtroppo la sua punizione è un po’ più cattiva. Ci vanno giù pesante nell’altra fazione, eh?»
Belzebù lo guardò e nonostante il tremore cercò di mantenere quella calma e dignità che di solito la contraddistingueva. Lentamente guardò Amon.
«Ebbene…? Quindi è così che finisce?» sussurrò.
Se glielo chiedo forse è perché ho ancora un minimo di speranza.
Il demone alzò gli occhi al cielo.
«Non lo sai che il futuro è una tela bianca dove nulla è scritto?» gli rispose con un’ennesima, evasiva domanda.
Certo che lo sapeva,  lo sapeva chiunque.
E questo forse avrebbe dovuto darle la speranza?
 
Paradiso
 
Una delle cose peggiori che poteva capitare ad un angelo era la caduta. Per un arcangelo forse era mille volte peggio. E anche se Gabriel non aveva termini di paragone, era sicuro che fosse così. Lo sentiva che qualcosa stava cambiando. Le sue ali, ad esempio, così bianche e candide, si stavano tingendo di grigio. E stranamente era doloroso, come se qualcuno lo stesse ripetutamente colpendo con del ferro incandescente.
«No…!» si chinò, senza respiro. «Non a me… non a me, dannazione. Io non ho fatto niente per meritarmi questo!»
Sollevò lo sguardo verso Michael, che lo guardava indifferente.
La stessa indifferenza che tutti gli altri avevano mostrato verso Azraphel e Crowley quando erano stati maledetti. La stessa indifferenza di cui accusava anche se stesso.
«Ti sei ribellato al volere di Dio. È questo quello che meritano gli angeli che osano andargli contro. E più sei in alto, più in fondo cadrai. Le nuvole si apriranno e ti lasceranno cadere giù, nell’oblio più profondo.»
Quella era la sua maledizione. Cader per aver fatto la cosa che riteneva più giusta.
Forse io e te non siamo poi così diversi, Azraphel. Vorrei odiarti per tutto, perché se non mi fossi intromesso, nulla sarebbe cambiato. Ma tu, lui, voi… avete tirato fuori la parte migliore di noi.
L’unica cosa che mi dispiace è… non aver avuto abbastanza coraggio.  Il suo pensiero andò a Belzebù, che per tutto quel tempo gli era rimasta accanto. Al ti amo che non c’era mai stato e al bacio che non le avrebbe mai donato. Adesso, se solo fosse potuto tornare indietro…
«Aspettate, fermi!»
La voce era quella di Jehudiel, ma Gabriel non aveva alzato lo sguardo, troppo impegnato ad autocommiserarsi. Quindi non aveva potuto vedere che l’angelo non era da solo.
«Jehudiel! Come osi portare in questo posto loro? Loro non dovrebbero stare qui!»
E con loro intendeva proprio Azraphel e Crowley, che si erano stancati di avere paura. Dopotutto sarebbero stati condannati comunque, tanto valeva giocarsi il tutto per tutto.
«Sì che possiamo. Una parte di me, anche se minuscola, è ancora angelica. Quindi qui posso starci eccome!»
Jehudiel gli fece un attimo segno di tacere, prima di rivolgersi all’Arcangelo.
«Inizio a pensare che il mio compito sia quello di fermare tutto ciò, in nome di ciò che rappresento. Spezziamo la catena una volta per tutte!»
Michael assottigliò lo sguardo.
«Vuoi ribellarti anche tu? Vuoi essere come loro? Perché non avrai un trattamento di favore.»
Azraphel fu colto da una sorta di scatto d’ira, cosa che in genere non accadeva mai. Ma al diavolo tutto, tanto sarebbe morto comunque, anche se ancora non sapeva in che modo.
«Me! Perché non prendete me al posto di tutti? La mia vita per espiare le colpe di tutti loro! Dopotutto è da me che è partito tutto, no?!»
«Azraphel, vuoi chiudere la bocca?!» lo zittì Crowley. «Smettila con tutto questo senso di sacrificio inutile! Vuoi morire, dopotutto?»
«No, non voglio, ma se servirà a rompere la ruota, allora lo farò.»
«Ha ragione lui», sospirò Gabriel. «Tu… tu non dovresti… non ci devi nulla…»
Azraphel lo guardò. Non c’era neanche più paura nel suo sguardo, era solo tremendamente stanco di soffrire.
«Faccio esattamente quello che voglio. Coraggio, prendetemi e cancellatemi. Fate finire questa cosa così com’è cominciata. Con me.»
Quello stupido angelo aveva sempre avuto un coraggio non indifferente. Dopo seimila anni, Crowley aveva avuto l’ennesima conferma. Avrebbe voluto odiarlo per quel suo modo di fare così impulsivo. Solo da un lato, perché dall’altro avrebbe solo potuto ammirarlo.
Ti seguirò anche lì dove non c’è il nulla. Come ho sempre fatto.
Ad un tratto tutto si fermò. La stessa aria e probabilmente anche il tempo. Tutto taceva e nemmeno le nuvole si muovevano più.
Gabriel, che finalmente era tornato a respirare, si era rialzato.
«Cosa…? Il tempo… non lo percepisco più… si è fermato.»
«C-Come? Che significa?! Questo è uno scherzo di voi arcangeli?!» chiese Crowley avvicinandosi ad Azraphale per stringerlo.
«Sciocchezze. Nemmeno un Arcangelo ha questo potere. L’unico sarebbe…»
Michael non ci aveva pensato fino a quel momento. Doveva essere per forza un intervento di Dio, l’unico a poter avere il potere di congelare il tempo, forse per impedire loro di fare qualcosa?
Sopra le loro teste, ancora più in alto, lassù nel cielo, le nuvole immobili furono trafitte da dei caldi raggi del sole. Era sparito il grigiore e ora c’era solo luce su di loro.
Crowley si coprì gli occhi con una mano.
«E adesso che succede? È la fine del mondo?»
«Non è la fine del mondo! È… è Dio!» mormorò Azraphal, che lo aveva riconosciuto. Dalle nuvole era disceso un altro angelo, che Jehudiel riconobbe essere Metratron. Se ne stupì, perché in genere appariva solo se invocato.
«Era proprio necessario far questo per fermarvi, vero?» domandò l’angelo richiudendo le sue ali bianche.
Gli altri arcangeli si ritrovarono sconvolto dinnanzi la sua presenza.
«Ma tu… tu sei…?» domandò Gabriel.
«Venuto qui per parlare con Azraphel a nome di Dio»
«Lui?!» esclamò Michael.
«Io?» sussurrò il diretto interessato. Cos’altro c’era ancora? Forse davvero Dio aveva deciso di prendere la sua vita per porre fino a quella serie di sofferenze?
«Proprio tu. Sei caduto nell’incoscienza e hai comunicato direttamente con Dio. Non hai sentito quale sarà la tua condanna?»
«No… io non l’ho sentita in tempo. Tutto è sfumato prima. Perché?»
Metratron si lasciò andare a qualcosa che pareva un sospiro.
«D’accordo. Allora sentitemi bene, tutti voi. I qui presenti Azraphel, ex angelo del Paradiso, e Crowley, ex demone dell’inferno, sono stati condannati a vivere sulla terra la loro ultima vita da mortali, insieme.»
Crowley si era già preparato per partire in quarta, ma nel sentire la parole di Metratron, poté solo provare stupore. Più che una condanna, quella sembrava la realizzazione di un sogno.
«Cosa…? Dio mi condanna… a vivere la mia ultima vita con Crowley?» domandò guardando quest’ultimo. Anche solo pronunciarlo aveva dell’incredibile.
«È perché saresti stato davvero disposto a sacrificarti per tutti loro», spiegò. «Ha visto cosa c’è nel cuore di entrambi. E non può ignorare la misericordia, ma soprattutto un amore così grande. La vostra maledizione, ufficialmente, si spezza qui e oggi.»
Ne seguirono svariati secondi di silenzio in cui Crowley e Azraphel si studiarono a lungo. Erano liberi? Voleva dire che dopo seimila anni dolore e sofferenze, erano finalmente liberi di amarsi e vivere insieme, senza più perdersi?
«Come sarebbe a dire?» sbottò Michael. «Questo è ridicolo!»
«Sono ordini dall’altro» soffiò Metratron.
«Sì, Michael. Vuoi andare contro il volere di Dio? Non avrai un trattamento di favore», Jehudiel, di solito così mite, si permise di prendersi una piccola rivincita.
«Non ci posso credere», sussurrò Crowley. «Basta con le reincarnazioni? Basta… con ogni cosa? Il morire ogni volta e perdere la memoria? Con…?»
«Sì, Crowley! Basta con tutto, finalmente! Saremo solo tu ed io!»
Lo attirò a sé, abbracciandolo, stringendolo, con la certezza assoluta – perché dopotutto era stato Dio a dirglielo! – che non lo avrebbe lasciato mai più.
«E di me cosa ne sarà?» domandò Gabriel, rivolgendosi a Metratron.
«Non preoccuparti, Gabriel. Tu non cadrai.. e per quanto riguarda la tua storia con il demone Belzebù… se Dio ha fatto un’eccezione, potrà farne anche un’altra… visto che si tratta di te.»
«La mia storia con…?» arrossì e per questo si maledisse subito dopo. Azraphal lo vide e non poté fare a meno di ridere.
«Dovresti andare a salvare la tua dama.»
L’Arcangelo lo guardò con severità. Chi avrebbe mai pensato che un giorno si sarebbe ritrovato a prendere esempio da lui? Tutto ciò che poteva fare era ammettere che fra tutti, Azraphel era il più coraggioso, nonché il più forte.
Chinò leggermente il capo, per la prima e possibilmente unica volta.
«Grazie», sussurrò, mesto.
Poco dopo, il tempo riprese a scorrere.
 
 
Il blocco o del tempo non era stata una cosa limitata al Paradiso. Anche laggiù all’Inferno lo avevano avvertito e subito Belzebù ci aveva visto, in ciò, una speranza di salvezza.
«Ahi», si lamentò Hastur. «Tutto ciò non mi piace. Perché ho l’impressione che ci sia lo zampino di quello lì
Amon chiuse gli occhi, concentrandosi e prendendo poi a parlare.
«Dio ha annullato definitivamente la maledizione. Ha liberato entrambi e anche Gabriel… lui sta venendo qui!»
«Cosa?!» esclamò Astaroth. «Non dire idiozie, questo non è possibile! Piuttosto gettiamo questa qui nell’acqua santa!»
«Se andiamo contro il volere di chi c’è superiore, andremo in contro a molti guai!» cercò  di farlo ragionare Hastur, guidato più dalla paura che da un’improvvisa saggezza. Astaroth lo afferrò malamente, furioso.
«Faccio quello che mi pare. E non sarai di certo tu o nessun altro ad impedirmelo!»
La terra tremò di nuovo, com’era successo tempo prima. Belzebù, finalmente libera dalla presa dei demoni, poté tornare a respirare, perché lo aveva sentito arrivare. Gabriel era sceso giù nell’inferno, lì dove non sarebbe mai voluto arrivare, per lei, ed era arrivato sulle sue ali bianche, ma in alcuni punti macchiate di grigio a causa della caduta che era stata fermata in tempo.
«U-un arcangelo all’Inferno!» esclamò Hastur indicandolo, indietreggiando.
«Lo vedo!» sbottò Astaroth. «Che cosa sei venuto a fare tu q-!»
«Ah, fa silenzio, tu!» gli intimò. «Puoi parlare quanto vuoi, ma dubito che il tuo Signore sarà felice del tuo tentativo di ribellione, quindi mi asterrò dal gettarti nell’acqua santa, d’altronde sono venuto per fare altro!»
Non lo guardò più neanche, piuttosto i suoi occhi si posarono su Belzebù, la quale arrossì, rimanendo seria.
«Pazzo…che ci fai qui? Io non avevo bisogno di essere salvata.»
Gabriel sorrise, attirandola a sé.
«Lo so. Ma sono venuto comunque per fare questo.»
La baciò. Dopo solo seimila anni, all’Inferno, circondato da demoni che li guardavano sconvolti, tutti eccetto Amon, ma lo fece. E fu, anche quello, come tornare a respirare.
O come respirare per la prima volta in vita sua.
Astaroth si portò una mano sul viso, disgustato.
«Un demone che si fa baciare da un arcangelo», borbottò.
Belzebù non si sarebbe staccata da quel bacio per nulla al mondo, se non fosse stato per dire qualcosa di importante.
«Dato che a quanto pare rimango dove sono… tu non puoi più toccarmi. Anzi, sono io che ho il potere su di te.  Com’era? Io faccio quello che mi pare? Adesso sei tu il ribelle. Quindi Hastur, Ligur, portatelo da Nostro Signore.»
«Cosa?! Non osare! Tu non puoi!» le sputò addosso Astaroth.
«Io posso», disse semplicemente. «Tranquillo. Gli chiederò di non essere troppo severo con te», Belzebù tornò a guardare Gabriel e accarezzò le sue piume macchiate di grigio.
«Sei quasi caduto per me.»
«Beh, all’inferno c sono finito comunque, mi pare. Che rimanga fra noi… ma ci finirei altre mille volte, se  fosse per te.»
Il demone arrossì e provò il desiderio di zittirlo malamente, certe cose erano ancora troppo per lei! Non si scordò di Amon, che era ancora lì, con un’espressione stranamente tranquilla e soddisfatta.
«Tu sapevi che sarebbe successo questo?»
«Ah, sì… era una delle opzioni», fece spallucce. «Ma come ti ho già detto, il futuro è solo una tela bianca dove ognuno può scrivere ciò che vuole. Vale per voi, per quei due, per tutti noi. Già… anche per me.»
Il futuro non aveva mai una solo direzione, ma infinite diramazioni, alcune belle, alcune un po’ meno. Ma Amon giurò solennemente di non rivelare più nulla, perché dopotutto ognuno meritava di scoprire da sé il proprio destino.
 
Sei mesi dopo…
 
«Accidenti? Perché a me?»
Disperato, Azraphel si guardava allo specchio. Forse avrebbe dovuto evitare di lasciarsi andare ai dolci e ai biscotti nell’ultimo periodo, ma era stato più forte di lui. E adesso, il suo smoking gli stringeva appena. Non esattamente ciò che si era aspettato, ma almeno poteva sperare sulla questione “il nero snellisce sempre”.
Crowley lo aveva atteso per troppo tempo, aveva bussato incessantemente contro la porta della camera da letto, fin quando, stufo, non si era deciso ad entrare.
«Ebbene, mia adorata sposa? Perché stai perdendo tutto questo tempo?»
«P-perché devo essere io la sposa, se sei tu quello vestito di bianco?» sbottò, arrossendo. «E comunque sia guardami! Sembro intrappolato qui dentro!»
Crowley si sforzò di non ridere e si avvicinò, stringendolo da dietro e osservando i loro riflessi sullo specchio.
«Io penso che tu sia bellissimo. E poi te ne farai una ragione, quando inizierai ad invecchiare e a mettere su altro peso.»
«Ah, non lo dire!» si lamentò.
Certo, sarebbero invecchiati. Oramai erano del tutto umani, oramai facevano tutto ciò che gli umani facevano. Erano andati a vivere insieme, nella casa di Crowley in realtà, che adesso oltre quadri e piante, si ritrovava ad avere attorno anche una moltitudine di libri. E adesso il matrimonio. Perché aspettare ancora, in fondo?
Azraphel ci pensò e per un momento fu colto dalla malinconia.
«Ma a te davvero va bene così? Avremmo potuto essere eterni, invece siamo umani. Un giorno finirà. Non che io abbia paura della morte, ovviamente, ero un angelo dopotutto. Ma seriamente, Crowley… tu rifaresti tutto da capo?»
Stupito, Crowley guardò gli occhi azzurri del suo angelo. Se avesse dovuto morire e rinascere altre mille volte, lo avrebbe fatto. Avrebbe affrontato l’inferno e il paradiso per lui, avrebbe preso con sé tutta la sofferenza del mondo, per poterlo guardare ancora in quel modo.
«Direi che abbiamo vissuto abbastanza da immortali. Hai rotto una maledizione crudele. Dell’immortalità non me ne faccio nulla. È vero, vivrò la mia ultima vita, ma sarà con te. Io non potrei chiedere di meglio.»
Erano sempre loro, dopotutto, con le ali o senza, immortali o meno. Azraphel sentì gli occhi divenire lucidi, tenendolo vicino a sé.
«Oh… volevo solo esserne sicuro», gli sorrise. «Adesso, complessi miei a parte, dobbiamo proprio andare, non c’è matrimonio senza di noi. Piuttosto… sei proprio sicuro che sia il caso di lasciare Cherubino con Lucifer?»
Cherubino era il criceto che Azraphel aveva preso appena qualche settimana prima. Era piccolino, rotondetto e pigro, molto pigro e goloso di semi di girasole, oltre che grande amico indiscusso di Lucifer. Quest’ultimo, sorprendentemente, se ne stava fuori la teca acciambellato, con il criceto dormiente addosso. Teoricamente non sarebbe dovuto essere così, ma visti i loro padroni, non c’era da sorprendersi.
«Certo che sarà il caso! Non lo vedi com’è protettivo? Penso di avere l’unico serpente al mondo che non mangi i criceti!» sospirò. «Lucifer, stai attento a Cherubino, lo sai com’è goffo. Noi torniamo stasera.»
Dopodiché strinse la mano ad Azraphel.
«Pronto?»
«Caro, sono pronto da circa sei millenni.»
 
 
Belzebù, a braccia conserte, era rossa in viso e imbronciata. E passasse il sole, gli uccellini che cinguettavano, i fiori, il verde, la gioia e l’amore… ma lei con un dannato abito addosso no!
Almeno aveva potuto scegliere il colore, rigorosamente nero, ma avere le gambe e le spalle scoperte non faceva per lei. Lo aveva fatto principalmente per Azraphel e Crowley, dopotutto era il loro matrimonio. Ah, sì, e lo aveva fatto anche per Gabriel, che a certe cose sembrava davvero tenerci.
«Tesoro, sei incantevole.»
«Stai z-i-t-t-o. Questa me la paghi. Io sono un demone, non dovrei essere incantevole, carina o chissà cosa!» si sistemò sulla sedia, sbuffando. «E comunque sia, sono arrabbiata con te.»
«Perché, questa volta che ho fatto?»
Lei distolse lo sguardo. Andiamo, davvero non ci arrivava?
«Beh… devo aspettare altri seimila anni per una tua proposta di matrimonio?!»
Lo aveva detto. Oh sì, lo aveva fatto davvero. Gabriel assunse un’espressione indecifrabile.
«Tu vuoi sposarmi?»
«Non si fa così!» lo rimbeccò. «Saranno usanze prettamente umane, ma devi chiedermelo bene, altrimenti è ovvio che ti dico di no.»
«Quindi… mi stai dicendo di no?»
Belzebù si coprì il viso con una mano. Accidenti a lui, e anche a lei per essere diventata così morbida.
«Ti dico di sì come preventivo, ma la proposta la voglio comunque. E chiariamo: io, al nostro matrimonio, non indosserò mai un abito bianco. Giusto per fartelo sapere.»
Gabriel fu felice di constatare che la sua compagna si fosse già spinta in là con la fantasia. Non se ne intendeva di certe cose, forse Crowley e Azraphel avrebbero potuto dargli una mano.
«Questo è tutto da vedere, Bel.»
 
L’Arcangelo Jehudiel non era potuto mancare al matrimonio di Crowley e Azraphel. Seduto dietro Gabriel e Belzebù, si sentiva incredibilmente nervoso, lui ai matrimoni non c’era mai stato.
E non c’era mai stato neanche Amon, che era venuto solo per gentilezza, nulla più. Da quando Astaroth era stato spedito nelle prigioni infernali – solo per un po’, giusto il tempo di far calmare i suoi bollenti spiriti – aveva fin troppo tempo libero.
Senza molta delicatezza si sedette accanto all’Arcangelo, il quale sussultò e poi lo guardò.
«Oh, mi ricordo di te, anche se non ci siamo presentati ufficialmente. Tu sei il demone Amon, vero? Io sono l’Arcangelo Jehudiel»
«Lo so chi sei. Tu li hai aiutati. Beh… d’altronde anche io», borbottò, seduto in modo disordinato. «È la prima volta che vengo ad un matrimonio.»
«Anche io. Ad ogni modo… grazie. Intendo, per averli aiutati. Il tuo contributo è stato importante.»
Amon si schiarì la voce.
«Dovere. In fondo non sono forse il più imparziale dei demoni.»
Jehudiel sorrise e senza capire il perché si ritrovò ad arrossire. I suoi occhi chiari ad un tratto brillarono.
«Ah, ecco Azraphel  e Crowley!»
Il demone lo guardò, e per la prima volta nel corso della sua esistenza si ritrovò a sorridere. Tra le loro opzioni per il futuro, ce n’erano davvero di meravigliose. Tipo quella per cui demoni e angeli avrebbero potuto amarsi, incontrarsi, come il sole e la luna, il bianco e il grigio, il giorno e la notte.
Amon mosse le labbra, parlando sottovoce.
«Dopotutto… Amor vincit omnia.»


Nota dell'autrice
Non ci posso credere, è finita. Sono felice, ma anche presa un po' a male, mi ero affezionata a questa storia ed è bello sapere che è piaciuta anche a tanti di voi. Difatti vi voglio ringraziare, perché questa è stata in assoluto la mia primissima - ed incerta - storia sul fandom. Così tutto finisce, non potevo non dar loro un lieto fine, dopo seimila anni se lo meritano, no? Avevo questo finale in mente dall'inizil, serpente e criceto compreso <3
Poi non so perché sul finale mi è nata la ship tra Amon e Jehudiel, penso si sia capito per come li ho fatti interagire. E niente, adoro.
Non vedo l'ora di tornare a scrivere su questa bellissima coppia. Dovrei tornare a scrivere con Shimba97 , che prima però deve finire la sua di storia (quindi si sbrighi, ma con calma). E visto che è la mia migliore amica, ringrazio in particolare lei che mi ha dato l'ispirazione e si è letta tutti i miei capitoli in anteprima, sclerando di brutto. E di nuovo grazie a tutti voi per il sostegno e per le bellissime parole. D'altro canto, spero che questo finale vi sia piaciuto! <3
A presto :)
 
 

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