Grandine estiva di Ofeliet (/viewuser.php?uid=114644)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cambiamenti non consenzienti ***
Capitolo 2: *** Discorsi da gradino ***
Capitolo 3: *** Con vicini così a che servono i nemici ***
Capitolo 4: *** Riunione di condominio bimestrale ***
Capitolo 5: *** Quel locale in centro ***
Capitolo 6: *** In vino veritas ***
Capitolo 7: *** E alla fine arriva Gilbert ***
Capitolo 8: *** Un amore fatto ad arte ***
Capitolo 9: *** Cena con cerimoniale spagnolo ***
Capitolo 10: *** Offerte che non puoi rifiutare ***
Capitolo 11: *** Litigio d'appartamento ***
Capitolo 12: *** Bacio d’addio che somiglia al saluto ***
Capitolo 1 *** Cambiamenti non consenzienti ***
A
Elena,
la mia Italia Veneziano parecchio romana.
Grandine
estiva
Era
iniziato tutto come un imprevisto temporale di metà luglio.
Quando Ludwig si era visto convocato nell’ufficio del capo
dipartimento aveva passato tutto il percorso preso in un mulinello di
pensieri che cercava di catalogare eventuali sbagli fatti durante il
tirocinio o qualche danno all'ambiente lavorativo, senza
però trovarlo.
Invece era stato trasferito in Italia. Aveva cercato di argomentare, o
almeno di capire la motivazione di quella decisione così
radicale, ma il suo superiore non sembrava capire la sua
preoccupazione. Era stato lui stesso a raccomandarlo, lodando le sue
capacità e commentando sul quanto fosse disposto a farlo
avanzare con la carriera. Ludwig non poteva che essergliene grato, ma
un simile imprevisto sembrava far deragliare ogni suo piano di una vita
a Berlino. Tutto sommato si era scoperto a non protestare apertamente e
si era ritrovato a fare le valigie con un biglietto per Roma. Gilbert
aveva speso i suoi ultimi giorni a casa a prenderlo in giro sulla sua
futura italianizzazione, ma l'ultima sera lo aveva portato fuori a bere
insieme e lo aveva rassicurato sul fatto che se la sarebbe egregiamente
cavato a vivere da solo. Lui non ne era molto convinto, ma aveva
lasciato correre la cosa a favore della birra che non avrebbe avuto
occasione di bere per un po'.
Nonostante i suoi foschi pensieri, però, si era sbagliato.
Si era innamorato.
Roma era un'antica signora che non ci aveva impiegato molto a
conquistarlo. Nel giro di tre anni era riuscito ad ambientarsi ai suoi
ritmi, ad apprezzarne le qualità e a riconoscerne i difetti.
Il suo lavoro gli dava molta più soddisfazione ora che si
trovava lì, e lentamente aveva lasciato morire i suoi timori
in braccio alla vita romana che conduceva. Aveva trovato un
appartamento non troppo lontano dall’ambasciata, un piccolo
condominio infilato in un vialetto quasi anonimo e escluso dal caos
cittadino che si consumava a pochi passi da lì. La
tranquillità era stato il primo requisito che aveva
concordato con l’agente immobiliare quando si erano
avventurati alla ricerca e questi, affabile, sembrava aver colto in
fretta le sue aspettative, presentandogli il luogo che ormai abitava da
tre anni.
Certo era molto più piccolo rispetto a quello che
condivideva con il fratello, ma una volta arredato a suo piacimento era
riuscito a renderlo quanto più familiare e confortevole. Le
sue finestre erano tutte rivolte verso il cortile interno,
garantendogli il massimo del confort che poteva richiedere a una
capitale. Il quartiere era piuttosto grazioso e non sembrava essere
soggetto alla criminalità, aveva più volte girato
l’isolato per tenere conto dei servizi e nonostante i
continui paragoni con Berlino la sua perlustrazione era terminata a
pieni voti.
Anche il vicinato non era male. Certo, non andava d’accordo
con tutti, ma la persona con cui condivideva il piano era degna di
rispetto e considerazione. Il signor Romolo era un romano fiero e
valente, nonostante sbottasse scherzosamente quando lui usava qualche
onorifico per parlargli, e Ludwig non avrebbe mai chiesto di meglio
come vicino. Certo aveva un’età, che non gli ha
mai rivelato, ma era sempre cordiale nei suoi confronti e ben disposto
a scambiare racconti di fronte a una bottiglia di vino. Probabilmente
era grazie a lui che Ludwig aveva iniziato ad apprezzarlo, collegando
il sapore alcolico ai racconti dell’uomo. Questi erano a
volte rocamboleschi e talvolta al limite del surreale, ma Ludwig non si
era mai spinto a metterne in dubbio nemmeno una parola. Gli piaceva
passare qualche serata in una simile maniera, con un uomo
così ricco di esperienza e carisma.
Era un qualcosa che il nipote non aveva ereditato da lui.
Conosceva Lovino solo di vista, quando questi veniva a trovare il
nonno. Inizialmente aveva trovato simile iniziativa encomiabile, almeno
finché Romolo non aveva bonariamente commentato –
di fronte al nipote stesso, tra l’altro – che
questi venisse da lui solo pe spizzasse la pischella del piano di
sotto. Aveva visto l’uomo avvampare, probabilmente
perché colto in pieno fallo, e aveva accantonato anche il
minimo interesse che poteva avere per un simile soggetto. Sapeva da
Romolo che ci fosse un altro nipote, fratello minore di quello di
prima, ma nella sua mente si era formata l’immagine di un
Lovino più piccolo ma probabilmente con la stessa indole, il
che l’aveva spinto a non interessarsi oltre.
Poi c’erano le visite di Gilbert.
Quelle erano spesso una tragedia, che faceva lievitare la sua bolletta
per tutte le chiamate oltre confine che il fratello faceva al canile
che teneva loro i cani, senza contare le perenni diatribe con la coppia
che abitava al piano di sopra. Sembravano obbligatorie ogni volta che
si presentava a casa sua senza preavviso ed era costretto ad accamparsi
sotto la porta in attesa del suo ritorno, non avendo imparato dopo anni
quali fossero i suoi orari lavorativi. Sembrava che infastidire i suoi
vicini ormai era diventato uno sport.
Nonostante questo, la sua vita procedeva tranquilla.
Almeno finché il signor Romolo non era morto. Era successo
in un tranquillo giorno di primavera, senza alcun segnale che lo
preavvertisse. L’uomo si era spento sereno nel sonno, trovato
quasi subito dalla sua famiglia che doveva venire a pranzo per la
giornata di festa.
Una simile notizia l’aveva scioccato. Non ricordava molto dei
giorni successivi, se non la veglia e poi il funerale. Si era
presentato tutto il condominio, e curiosamente era stato Lovino a
prendere le loro difese di fronte ai commenti materni sul come la loro
presenza non fosse adeguata. Ludwig non aveva compreso niente delle
loro strilla in romano stretto, ma alla fine era riuscito a dare il suo
saluto a quel vicino così singolare che sarebbe rimasto
impresso nella sua memoria per sempre.
Da quel giorno in poi, il suo piano era rimasto completamente in
silenzio.
Un improvviso boato lo aveva fatto saltare dalla sedia, facendogli
andare la sua colazione di traverso. Ludwig tossisce, cercando di darsi
dei colpi al petto per riprendere a respirare. Guarda verso la
direzione del corridoio, come se potesse vederlo attraverso la porta,
chiedendosi cosa potesse averlo prodotto.
Forse era l’ascensore, bloccato da tempo immemore, che era
finalmente caduto a causa della nulla manutenzione. Avrebbe dovuto
farlo presente all’ultima riunione condominiale.
L’ascensore era paragonabile a un reperto storico, e lui non
l’aveva mai visto funzionare. Da quello che era riuscito a
cogliere, non funzionava già dai tempi in cui Roderich ed
Elizaveta si erano trasferiti lì ma nessuno aveva mai
accennato a ripararlo. Sembrava quasi trattato come una reliquia che
semmai fosse ripartita avrebbe portato distruzione al mondo intero. A
poco erano valsi i suoi tentativi di chiamare un tecnico o sobbarcarsi
totalmente i costi di un’eventuale riparazione. Nessuno
sembrava essere ben disposto a farlo ripartire.
Sicuramente doveva andare a dare un’occhiata. Abbandonando la
sua colazione Ludwig si trascina alla porta, aprendola e vedendo
davanti a sé la porta dell’appartamento confinante
aperta. Era passato circa un mese dalla morte di Romolo, e
l’opzione più probabile erano dei nuovi inquilini.
Sapeva che doveva presentarsi o almeno controllare che quel rumore
provenisse dall’altro appartamento e non, come aveva pensato,
dall’ascensore.
Ludwig socchiude la porta, ripassando mentalmente ciò che
doveva dire, ma Lovino lo anticipa apparendo sulla soglia
dell’appartamento.
« Che vuoi? »
« Ah, sei tu. » il suo tono sembra non piacere a
Lovino, che assottiglia gli occhi. « Ho sentito un rumore,
pensavo- »
« Pensavi male. »
« Non si è fatto male nessuno? »
« No. » quando era con lui Lovino sembrava essere
di poche parole, il che era strano se ripensava a come Romolo lodasse i
monologhi del nipote, definendoli degni delle grandi commedie. Ludwig
non era d’accordo ma non aveva mai manifestato il suo
pensiero ad alta voce. Di fronte a simile muro, in fondo, non aveva
alcuna voglia di continuare.
« Allora ti saluto. » dice, prendendo la maniglia
della propria porta.
« Tu quando te ne vai? » una simile domanda lo
coglie di sorpresa, spingendolo a voltarsi nella direzione
dell’altro uomo.
« Come scusa? »
« Quando te ne vai. Nel senso. Ti trasferisci e vai altrove.
» ripete Lovino, scandendo le parole. Ludwig cerca di
mantenere la calma, mantenendo la presa sulla maniglia.
« Non credo me ne andrò presto. »
« Peccato. » concluso simile scambio di battute
Lovino sparisce nell’altro appartamento, lasciandolo da solo.
Simili parole continuano a tornargli in mente tutta la giornata,
rendendolo piuttosto confuso a riguardo. Non si spiega il
perché Lovino gli abbia rivolto una simile domanda. La
risposta gli giunge solo nel tardo pomeriggio quando torna a casa.
Roderich si trovava all’altezza del secondo piano quando lo
trova. Ludwig si avvicina, venendo presto notato dall’altro
uomo che muove la mano per farlo avvicinare.
« Buon pomeriggio. » dice allora lui, mentre
osserva l’altro riprendere fiato. « Roderich, ne
abbiamo già parlato, non puoi fare le scale e portare con te
una borsa più pesante di quella che contiene i tuoi
spartiti. » l’altro gli lancia
un’occhiata ma sembra essere senza abbastanza fiato per
rispondergli. Non aveva mai conosciuto una persona così
singolare come Roderich. Certo, era un ottimo pianista piuttosto
richiesto ma la sua forza fisica rasentava il nulla, tanto che
più di una volta la moglie – o lui stesso, se lo
trovava sulle scale – si era ritrovata a chiamare disperata
l’ambulanza a causa dello sforzo troppo elevato sul suo
debilitato fisico.
Ludwig prende con calma il sacchetto di plastica, ponderando se fosse
un buon momento per insistere sulla riparazione
dell’ascensore, ed insieme proseguono la strada verso il
quarto piano. Elizaveta era già sulla porta, probabilmente
aveva intuito che il marito fosse deceduto lungo il tragitto. Lui le
allunga il sacchetto che teneva in mano, provocando il cambiamento
dell’espressione della donna.
« Roderich, ancora? » esclama, battendo un piede,
ma non ottenendo nient’altro che un rantolio che suonava
tanto come una richiesta d’acqua. La donna allora si sposta
dall’uscio, permettendo a Roderich di entrare finalmente in
casa e scuote il capo, sconsolata. Poi alza il viso, sorridendo a
Ludwig.
« Grazie, non so come ringraziarti per averlo aiutato.
»
« Non c’è di che. »
« È che con questi ultimi cambiamenti sembra che
pure mio marito voglia dare prova di chissà quale
stupidità. »
« Che intendi? » Elizaveta si acciglia, guardandolo
seria.
« Non lo sai? Strano. »
« Non so cosa? » un simile risvolto non gli
piaceva. Rimanere all’oscuro non gli era mai piaciuto. Era
per quello che Gilbert aveva rinunciato a organizzare feste a sorpresa.
« Ho incontrato Lovino stamattina, sai, il nipote di Romolo.
Pace all’anima sua, eh. » la donna si fa un veloce
segno della croce. « Abbiamo parlato un po’, e
gliene ho pure dette quattro sul casino che ha fatto stamattina. Certo
che spostare mobili a quell’orario solo lui lo può
fare. »
« Elizaveta, ti prego, vieni al punto. »
« Ah, giusto. Abbiamo parlato e mi ha detto che ha ereditato
la casa. » non era ciò che avrebbe voluto sentire.
Ora si spiegava quella mattina e quella strana domanda. « Da
quello che ho capito alla lettura del testamento è scoppiato
il finimondo. Un po’ lo capisco, ha lasciato una casa come la
sua a solo due nipoti invece che ai figli. »
« Due? » la donna alza le spalle, per dissimulare
indifferenza.
« Sì, a Lovino e al fratello minore. »
No, decisamente la situazione non stava prendendo una buona piega. Se
Lovino e il fratello avessero preso residenza, non aveva idea di come
sarebbe cambiata la sua situazione. Certo con il signor Romolo i suoi
ritmi non erano stati cambiati o stravolti, ma stranamente
l’anziano uomo non era un vicino particolarmente rumoroso.
Ciò non si poteva dire di Lovino e del suo fratello
più giovane.
Forse doveva seriamente pensare di cambiare casa. No, gli dispiaceva.
Aveva trovato quel luogo e non se ne sarebbe andato solo
perché un burino con fratello annesso si sarebbe presto
trasferito di fronte a lui.
« Ludwig, stai di nuovo pensando troppo? »
La voce di Elizaveta lo riporta alla realtà, spingendolo a
salutarla e a scendere verso il proprio appartamento. Il piano sembrava
tranquillo, e la porta di fronte alla sua era chiusa. Non proveniva
alcun rumore. Probabilmente non c’era nessuno.
Ludwig apre la porta di casa, respirando l’aria tranquilla.
No, non era disposto a lasciare quel posto così presto e di
certo non quell’appartamento.
Magari, come spesso commentava Elizaveta, stava pensando troppo. Non
era nemmeno sicuro che Lovino andasse ad abitare lì. Forse
stava spostando i mobili per poter rendere la casa affittabile, il che
gli sembrava l’opzione più probabile – o
perlomeno quella che la sua mente sembrava desiderare di approvare al
più presto – o semplicemente voleva venderli.
No, le tasse sugli immobili erano lievitate in quegli anni, sarebbe
stato stupido lasciare l’appartamento vuoto. Già
il condominio ne aveva ben tre, rendendo le spese condominiali un
inferno, perdere un altro contribuente sarebbe stata una scocciatura.
Nonostante cercasse di non arrovellarsi troppo sulla questione, Ludwig
era consapevole che ci avrebbe rimuginato sopra per tutta la sera. Non
riusciva a rimanere tranquillo e la mancanza di informazioni lo stava
uccidendo. Non aveva idea di cosa potesse succedere una volta che
l’appartamento accanto fosse stato nuovamente abitato. Forse
avrebbe davvero dovuto cercarsi un nuovo alloggio.
No, stava vedendo la situazione in maniera troppo drastica. Magari non
sarebbe andata così e la situazione si sarebbe risolta in un
modo completamente diverso. Non aveva alcun bisogno di pensarci troppo.
Per tutta la settimana successiva per tutto il condominio i suoni di
mobili che venivano spostati, trascinati e mossi sulle scale avevano
scosso il condominio. Non aveva fatto domande, ma aveva notato dei
pezzi di arredamento nuovi sistemati temporaneamente sul pianerottolo
una sera, confermando la sua ipotesi dell’appartamento
nuovamente abitabile.
Ora rimaneva solo una questione. Non aveva idea di chi sarebbe stato ad
abitare lì. Aveva preferito non indagare, almeno per il
momento, come se una sua parola bastasse per cambiare il corso degli
eventi.
« Buon pomeriggio. » Arthur era nel corridoio
d’entrata. Era raro incontrarlo, per quanto ne sapeva
l’altro uomo faceva il professore universitario e aveva orari
completamente diversi dai suoi. Questi si volta in sua direzione,
mentre controlla le lettere ritirate dalla cassetta.
« Ed eccone un altro. » si scordava spesso del
pessimo carattere dell’inglese, anche a causa della poca
frequentazione che ne faceva. In realtà Elizaveta aveva
accennato qualcosa a riguardo delle storie che giravano su di lui come
insegnante – incentrate soprattutto alla poca sopravvivenza
dei suoi assistenti – ma non aveva voluto prestarci ascolto.
Certo Arthur era dotato di un pessimo carattere, ma oltre a quello lui
non aveva niente da recriminargli.
« Un altro? » Arthur sospira, come se avesse appena
detto un’ovvietà.
« È appena passato il nipote del vecchio Romolo.
»
« E ti ha salutato? »
« No, intendo l’altro nipote. Lovino non ha nemmeno
idea di che cosa sia l’educazione. » ora era
chiaro. Finalmente era arrivato il fatidico altro nipote. Nei suoi
ricordi il signor Romolo ne parlava spesso in maniera fiera, ma in quel
momento non riusciva a ricordarne il nome. Sicuro aveva un suono
singolare. « Non assomiglia per niente a suo fratello.
»
« Davvero? » Arthur si guarda attorno, per poi
avvicinarsi.
« Sì. Sembra essere meglio. » dice, per
poi allontanarsi. « Ma io non ti ho detto niente! »
esclama, sparendo dentro il suo appartamento e chiudendo la porta
sbattendola.
Ludwig non sapeva cosa pensare. Essere “meglio”
negli standard di Arthur era un parametro bizzarro. Si parlava della
stessa persona che durante una disinfestazione aveva proposto di
sgomberare l’appartamento di Francis. E per quanto lui non
avesse grande apprezzamento per l’altro uomo, aveva trovato
simile proposta piuttosto drastica.
Pieno di pensieri raggiunge il secondo piano, trovandoci
però Basch armato e la sorella che cercava di trattenerlo.
Era uno scenario insolito. Entrambi strillavano in qualche dialetto
strano, rendendogli impossibile comprendere la situazione. Non aveva
idea se intervenire o meno, ma alla fine il senso civico prevale con
prepotenza.
« Cosa è successo qui? » dice,
rivolgendosi alla ragazza, sull’orlo delle lacrime. Questa si
aggrappa con ancora più forza al fratello.
« Mio fratello dice che quelli al piano di sopra stanno
pattinando! »
« Lo fanno!! » strilla allora Basch, tentando di
farsi strada nonostante i tentativi di Erica di trattenerlo.
« Quest’ultima settimana non hanno fatto altro che
portare caos, io non posso più portare pazienza! »
La pazienza di Basch, però, non era tra le sue
qualità e Ludwig questo lo sapeva.
« Lo so, Basch, ma sono qui da una settimana e probabilmente
non hanno ancora ricevuto una copia del regolamento. Se ora tu andassi
da loro, armato, saresti dalla parte del torto e non credo tu lo
voglia. » Basch allora abbassa l’arma, guardandolo
negli occhi.
« Ciò non toglie che pattinano. »
« Andrò io a parlarci, e li farò
smettere se lo stanno facendo. » l’uomo assottiglia
lo sguardo, ma abbassa definitivamente il fucile.
« D’accordo. » borbotta, tornando dentro
casa, seguito da un’Erica che gli sorride grata per aver
temporaneamente sbrogliato la situazione. Ludwig sospira, osservando le
scale che l’avrebbero condotto al confronto con Lovino e
probabilmente anche col fratello. Non voleva farlo, ma ormai la
situazione lo costringeva.
Ogni gradino che faceva sembrava pesargli, ma gli permetteva di
costruire un discorso diplomatico e conciliante che avrebbe perlomeno
impedito un omicidio per quella sera. Giunto avanti alla porta lo aveva
già ripassato due volte, e si sentiva pronto a parlare.
Prova a suonare il campanello.
Questo non emetteva alcun suono. Forse era rotto, Romolo non faceva mai
caso a simili dettagli. Doveva bussare.
Una simile attività non lo attraeva, ma doveva almeno
provarci. Tenta dando due colpi secchi al legno, che riecheggiano, e
rimane in attesa. Passano diversi istanti ma non sente alcun rumore.
Decide di riprovarci, ottenendo però lo stesso risultato.
Era strano. Forse Basch si era immaginato i rumori, troppo stressato
dal lavoro. Dall’appartamento che aveva di fronte proveniva
solo un assordante silenzio. Ritenta una terza volta, ottenendo
comunque lo stesso risultato. Doveva desistere.
Non riusciva a spiegarsi quell’improvviso trambusto. Certo
dei nuovi vicini avrebbero portato dei cambiamenti, ma non aveva mai
immaginato che questi sarebbero stati così drastici. Decide
di cenarci sopra, lasciando che le sue congetture scivolino nuovamente
nell’oblio.
Solo quando ormai si stava preparando per dormire sente dei rumori di
chiavi che giravano. I suoi nuovi vicini erano rientrati. Non sapeva se
tentare un approccio nonostante l’orario. Lo sbattere della
porta, però, gli fa intuire che non era un buon momento.
Era come aveva immaginato. I suoi nuovi vicini non avevano niente da
spartire col precedente proprietario. Sicuro avrebbe dovuto acquistare
dei tappi con le orecchie.
Al di là della porta si fa la quiete per cinque minuti, poi
iniziano le urla. È un qualcosa che lo coglie di sorpresa,
facendolo sobbalzare dal divano. Non aveva mai sentito qualcuno urlare
in una tale maniera. Nell’altro appartamento stava succedendo
qualcosa.
Con una certa urgenza Ludwig si alza, per poi fermarsi. Forse stava
fraintendendo. Insomma, probabilmente era un litigio e non era affare
suo mettercisi in mezzo – già doveva pensare alle
beghe di Gilbert con Elizaveta, mettersi in mezzo ad altre discussioni
sarebbe stato decisamente troppo –. No, questa volta non era
affare suo. Se i suoi vicini non potevano rimanere tranquilli, non era
affare suo mettere quiete.
Rimpiangeva tanto i tempi di tranquillità.
Ritorna sul divano, cercando di riprendere la sua lettura nonostante il
rumore al di là del muro si stesse facendo sempre
più insistente. Il suo cervello percepiva ancora il suono,
ma aveva rinunciato a qualsiasi forma di interpretazione rendendo
quindi il litigio come una sorta di molesto sottofondo che sarebbe
presto finito.
Questo, però, non sembrava accennare a terminare, aumentando
invece di volume. Ludwig era piuttosto sorpreso dalla
vitalità che le due persone avevano per discutere
furiosamente così a lungo in quell’orario. Era
certo che stavolta non avrebbe fermato Basch se questi avesse voluto
fare un raid nell’appartamento.
Certo anche lui aveva litigato diverse volte con Gilbert, ma mai
così furiosamente e nemmeno così a lungo. Il
più delle volte era perché i loro cani si
mettevano ad abbaiare, facendo quindi in modo da terminare
definitivamente ogni loro tentativo di alzare la voce. I due fratelli,
invece, sembravano inarrestabili.
Ora che ci prestava attenzione, riconosceva la voce di Lovino e sentiva
anche un’altra voce, dal timbro più pacato ma dai
toni decisamente alti uguale. Probabilmente era il fratello.
Il suo orecchio non era ancora in grado di cogliere gli argomenti della
discussione, ma intuiva che fossero tutt’altro che pacifici.
Più sentiva le urla farsi acute e più desiderava
infilarsi nel letto e fingere di non aver sentito niente.
Si stava apprestando ad eseguire ciò che si era preposto,
quando l’improvviso rumore di un qualcosa di rotto non desta
la sua attenzione. C’è improvvisamente il
silenzio. Non era niente di buono.
Certo, forse lui era stato un po’ condizionato dalle sue
ultime letture thriller che riguardavano per lo più
intricate situazioni familiari e omicidi sanguinolenti, ma non riusciva
più a sentirsi sereno. Forse avrebbe dovuto almeno bussare,
per sincerarsi che fosse tutto a posto. Era il minimo che poteva
tentare nel caso lì accanto fosse davvero successo qualcosa
di grave.
Un altro rumore, un altro oggetto rotto, nuovamente il silenzio. Non
stava prendendo affatto una buona piega. Ludwig abbandona il suo libro,
alzandosi in cerca delle ciabatte e avviandosi a grandi passi verso la
porta. Non riusciva a sentirsi tranquillo.
Sul pianerottolo c’era silenzio, come se niente di quello che
aveva sentito fosse mai successo. Era tentato di andare a bussare da
Francis, al piano di sopra, ma probabilmente avrebbe dovuto fare i
conti anche con le battutine maliziose e domande inopportune, e non lo
voleva.
Non gli rimane altro che bussare alla porta. Ludwig picchia piano le
nocche contro il legno, sperando di riuscire ad attirare
l’attenzione, ma di nuovo il silenzio è come un
muro. Bussa ancora, ma ottiene sempre la stessa risposta.
Le urla riprendono, facendogli accapponare la pelle. Non era un buon
segno. Stavolta riprende a bussare con più foga, cercando di
farsi sentire, ed è tentato di urlare per richiamare
l’attenzione, ma non sa chi chiamare. Non sa chi siano le
persone che sono dentro, o se sia successo qualcosa di grave, se almeno
deve chiamare l’ambulanza. I suoi tentativi non ottengono
niente. Le persone al di là della porta sembrano non
prestargli attenzione.
Ludwig si allontana dalla porta, indeciso sul che cosa fare. Chiamare
la polizia gli sembrava affrettato, e l’ambulanza non si
sarebbe fatta bastare le sue sommarie descrizioni. Visto il suo stato
non era nemmeno certo di riuscire a parlare correttamente
l’italiano. Le cose che poteva fare erano poche e le aveva
già tutte esaurite. Tranne una.
Forse era l’opzione più rischiosa, ma doveva
tentare anche quella. L’uomo prende un lungo respiro,
cercando di caricarsi. Non sarebbe stato facile ma era quello che
poteva fare. Era un suo dovere accertarsi che lì dentro
stesse andando tutto bene.
Ludwig fissa la porta davanti a sé, osservandola quasi come
fosse una rivale. Non era particolarmente massiccia, ma non sapeva
ancora se sarebbe stato in grado di abbatterla con un solo colpo.
Doveva provarci.
Fa un passo indietro, prendendo la carica e sbattendo contro la
superficie di legno. Questa cigola, ma miracolosamente cede al primo
colpo, permettendogli di entrare. Ludwig corre in direzione delle voci,
stranamente più basse, nella speranza che non sia troppo
tardi e finalmente trova la scena del crimine.
C’erano due uomini, che stavano ridendo, e dei cocci sul
pavimento. Non sembravano essere feriti e, anzi, piuttosto divertiti.
Uno di loro è Lovino, mentre l’altro gli
assomiglia. Ha un’aria più delicata e meno
aggressiva rispetto all’altro, e si tiene ancora
l’addome, probabilmente per le risate.
E lì che finalmente entrambi lo notano, nel loro
appartamento, con una spalla arrossata per l’impatto di poco
prima. Ludwig arrossisce, rendendosi conto di aver con tutta
probabilità frainteso tutta la situazione.
Aveva fatto un danno.
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Capitolo 2 *** Discorsi da gradino ***
« Che cazzo
ci fai tu qui? » la domanda di Lovino era legittima. Ludwig
stesso se la stava ponendo, per quanto con toni più pacati.
Aveva frainteso il tutto, e ora ne stava pagando la conseguenza.
L’imbarazzo aveva preso il controllo della sua mente,
rendendolo incapace di articolare qualsiasi frase, facendogli solo
aprire bocca e richiuderla come farebbe un pesce rosso. « Ti
ho chiesto che cazzo ci fai qui. » ripete Lovino, facendo
diversi passi in sua direzione.
« Lovino,
calmati. Chi è? » Ludwig si sente grato per
l’intervento dell’altro uomo, che finalmente riesce
a identificare come il fratello minore.
«
È il tedesco. » brontola allora Lovino, mentre
l’altro sembra posare il suo sguardo su di lui. Emette un
lieve verso di sorpresa, per poi sorpassare il fratello e avvicinarsi.
Ora che lo vedeva più vicino, notava i capelli
più chiari e i lineamenti più delicati.
« Come mai
sei entrato nel nostro appartamento? » gli chiede lui, e
Ludwig riesce solo a boccheggiare di nuovo. Messo a confronto con
l’aria più disponibile dell’altro, la
sua mente sembra calmarsi e finalmente il raziocinio riprende la
direttiva.
« Ich- Io ho
sentito urla e mi sono preoccupato e… » il
fratello minore di Lovino alza una mano come per fermarlo, mettendolo
in pausa.
« Mi dispiace
se urlando abbiamo dato fastidio. » dice, con un sorriso,
facendolo sentire un po’ sollevato.
« Lo capisco,
ma io ho sfondato la porta- »
« Che cazzo
significa che hai sfondato la porta? » sbotta allora Lovino,
passandogli accanto per accertarsi dell’effettivo stato di
questa. Era in effetti fuori dai suoi cardini. « Sto stronzo
ha sfondato la porta. »
«
Sì, Lovino, lo vedo. » commenta l’altro,
che l’aveva raggiunto subito dopo. Il suo senso di colpa era
divenuto una voragine. Non avrebbe dovuto fare un’azione
simile.
« Mi
dispiace, domani stesso contatterò il falegname per farla
riparare- »
« E sarebbe
anche il minimo! » esclama Lovino, toccando la porta e
vedendola cadere definitivamente. Ludwig si avvicina, prendendola e
tentando di rimetterla sui cardini, riuscendoci. Non si chiudeva, ma
almeno poteva ancora rimanere in piedi. Sospira sollevato.
« Domani
mattina sarà la prima cosa che farò. »
Lovino continua a guardarlo male, e Ludwig non riesce a dargli torto.
Ha sfondato una porta che non andava toccata, ficcando il naso in una
faccenda dove lui non c’entrava per niente. La rabbia degli
altri due gli sembrava la reazione più spontanea a riguardo.
« Lo spero
per te. So dove abiti. »
« Lovino,
dai, non insistere, ha detto che già domani verrà
riparata. » nonostante il fratello cercasse di mantenere
un’aria di conciliazione, Ludwig non si sentiva a suo agio.
« Se la
situazione è a posto, credo sia meglio che io me ne vada.
»
«
Sì, decisamente. »
« Lovino!
» esclama l’altro, per poi voltarsi nella sua
direzione. « Buonanotte e a domani. »
Ludwig doveva sentirsi
più sereno, sapendo di non essere incappato nelle ire di
nessuno. Eppure anche una volta chiusa la porta dietro di sé
non riusciva a rimanere sereno. Aveva agito d’impulso. Non
era una cosa che faceva di solito. Non riusciva a spiegarsi come aveva
potuto sfondare una porta in quella maniera. Ormai aveva a che fare con
il fatto compiuto. Non gli rimaneva altro che aprire internet e cercare
qualcuno che potesse riparare quella porta prima che divenisse una
questione di stato.
Ludwig scorre la lista
sullo schermo del telefono, guardando minuziosamente le recensioni e i
servizi offerti da ogni singolo professionista, ma la sua mente
continuava a spostarsi altrove, al suo agire troppo impulsivo per
quella serata, al danno al quale cercava di rimediare il prima
possibile e anche al fratello di Lovino. La sua memoria confusa e piena
di adrenalina offuscava la sua mente, dandogli una vaga immagine del
soggetto, ma gli era apparso decisamente più conciliante del
fratello. Forse era un bene, oppure era un abbaglio preso dal suo stato
di agitazione. Non sapeva dirlo.
Ormai era vicino alla
mezzanotte, e doveva andare a dormire. Si segna il numero del falegname
più convincente che trova, e si mette a letto, cercando di
stemperare lo stato di ansia che continuava ad annebbiare la sua mente.
Domani sarebbe stata una lunga giornata.
Alzarsi era un incubo.
Non aveva dormito. Il
suo sonno era stato agitato e confuso, rendendogli impossibile un
riposo sereno. Non aveva idea di quando aveva dormito così
male l’ultima volta.
Con fatica Ludwig si
alza, infilandosi la tuta per la sessione di corsa mattutina. Correre
gli piaceva, e l’attività fisica aveva il potere
di rilassarlo. Si sentiva inquieto quella mattina, e soprattutto si
sentiva osservato. Non riusciva a spiegarselo. Con una certa
apprensione rientra in casa, infilandosi sotto la doccia. Si fa un
veloce piano della giornata, mettendo in cima alla lista la chiamata al
falegname. Questi, curiosamente, si dimostra ben disposto a venire nel
giro di mezzora. Era un comportamento atipico a detta della propria
esperienza, ma dentro di sé Ludwig è
profondamente grato di poter risolvere il problema così
velocemente. Prendendo dei grossi respiri raccatta coraggio e si avvia
verso la porta dei vicini. Questa, stranamente, gli appare intatta
dalla sua irruzione, ma ci bussa ugualmente.
Passa qualche istante,
e finalmente il pezzo di legno viene scostato, rivelando il viso del
fratello di Lovino. Questi lo osserva, inizialmente confuso, e poi gli
sorride.
« Buongiorno.
» gli dice, cercando di non morire di vergogna per ogni volta
che la sua mente tornava alla serata precedente.
« Buongiorno.
» gli risponde lui, con voce ancora assonnata. Probabilmente
l’aveva svegliato.
« Ho chiamato
per la porta, mi hanno assicurato che saranno qui tra mezzora.
» fa una pausa, in attesa di una reazione che non arriva.
« Ho pensato fosse giusto avvisare. »
L’altro si
appoggia alla porta ancora non scardinata, e Ludwig si sente scrutato.
« Visto che ci vorrà mezzora, perché
non entri per un caffè? L’ho appena messo su.
»
Una parte di lui non se
la sente di accettare, ma si ritrova a seguire l’altro quasi
ipnotizzato.
« Sai, Lovino
è già al lavoro e mi annoio a fare colazione da
solo. » gli dice lui, appoggiando la mano sullo schienale
della sedia. « Non stare in piedi, accomodati. »
Si ritrova ad obbedire
senza fiatare, osservando la cucina. Non era cambiata molto da quando
il signor Romolo abitava lì, ma aveva un’aria
diversa. C’era un tocco più delicato e accurato
nella tovaglia sul tavolo, e persino negli stracci che pendevano
accanto al lavandino.
« Ieri non
abbiamo avuto il tempo di presentarci. Io sono Feliciano. »
gli dice con un sorriso, allungando la mano che Ludwig stringe con
riflessi pronti. Aveva dita delicate e sottili, insolite per un uomo.
« Mi chiamo
Ludwig. »
« Un nome
insolito. »
« Sono
tedesco. » Feliciano fa un’espressione sorpresa,
forse un po’ troppo teatrale. Probabilmente uno scherzo della
sua mente stanca. Feliciano allora gli sorride, per poi volgere la sua
attenzione verso la caffettiera. Aveva una figura sottile, ora che
poteva osservarlo.
L’uomo si
volta verso di lui, appoggiando due tazzine sul tavolo insieme allo
zucchero, per poi versare il caffè. Lo faceva con
un’abilità che si scopre a invidiargli. Le poche
volte che aveva tentato di fare il caffè finiva per farci un
disastro.
Feliciano invece
finisce di riempire le tazze, per poi sedersi e prendere a sorseggiare
dalla sua. Lui fa lo stesso, rendendosi conto di non aver messo lo
zucchero, e si affretta a farlo, sotto lo sguardo dell’altro
uomo.
« Sei da
tanto tempo in Italia? »
« Ormai sono
tre anni. »
« Parli bene
l’italiano. » commenta Feliciano con un sorriso.
Era un apprezzamento che riceveva spesso, nonostante le gaffe fatte nei
primi mesi di permanenza.
« Mi piace
molto la lingua. » l’altro annuisce,
accondiscendente, riprendendo a sorseggiare il proprio caffè.
« Lavori qui?
Oppure sei all’avventura? »
« Lavoro
all’ambasciata. » non amava che gli si facessero
domande personali, ma l’uomo che aveva di fronte sembrava
avere il potere di ricevere ogni risposta che desiderava. Feliciano
abbandona la sua tazzina, appoggiandosi sulla mano.
« Quella
vicina a Villa Torlonia? »
« No, la mia
è dalle parti di piazza Repubblica. »
« Bel posto,
un mio amico abita da quelle parti. » Feliciano sembrava
avere amici particolari, e persino molto ricchi. Aveva cercato un
appartamento in zona, ma i prezzi erano decisamente da capogiro.
«
Sì, lo è decisamente. » la sua risposta
avrebbe certamente fatto calare il silenzio, probabilmente uno
imbarazzato, costringendolo a cercare una scusa per potersi defilare
velocemente.
« Lovino mi
ha detto che conoscevi mio nonno. » l’espressione
di Feliciano cambia, e Ludwig lo osserva alzarsi in piedi, raccogliere
la sua tazza e offrirgli ancora un po’ di caffè
che gentilmente rifiuta.
«
Sì, siamo stati vicini per… diverso tempo. Era
una brava persona. » non riesce a vedere
l’espressione dell’altro, impegnato a lavare le
stoviglie.
«
Sì, lo era. Dopo che ha lasciato questa casa a me e Lovino
sicuramente San Pietro gli aprirà le porte del paradiso
senza problemi. » Ludwig emette uno sbuffo, nel tentativo di
mascherare una risata divertita, e anche Feliciano ride, voltandosi
nella sua direzione dopo essersi asciugato le mani. « Spero
che anche noi due possiamo essere buoni vicini. »
« Spero non
mi porterai rancore per l’incidente di ieri sera. »
« Ma certo
che no! Quello che hai fatto è comprensibile, lo avrei fatto
anch’io se fossi in grado di buttare giù una
porta. »
Feliciano non
assomigliava per niente al fratello, e nel constatarlo Ludwig si sente
un po’ più sereno. Probabilmente la loro
convivenza non sarebbe andata così male. Feliciano non
sembrava un cattivo vicino, e non sembrava nemmeno condividere lo
stesso temperamento del fratello. Era piacevole.
Il rumore di un
citofono lo fa scattare in piedi. Era il suo.
« Credo sia
il falegname. Vado ad aprirgli. » Feliciano annuisce,
tornando ad asciugare il ripiano, e Ludwig si affretta a tornare al
proprio appartamento, dando le indicazioni all’operaio che ci
impiega un po’ a salire lungo le scale. L’uso
dell’ascensore non era contemplato. L’uomo esamina
i cardini, la struttura della porta, prende le misure con dei tempi che
sembrano durare un’eternità. Feliciano
è uscito sul pianerottolo e gli si è messo vicino
a rimirare il lavoro dell’artigiano. Non ha più
parlato, ed entrambi rimangono in attesa del responso.
« Allora, i
cardini di mezzo sono andati, e vanno cambiati, ma è andata
bene che la porta non si sia ammaccata perché sarebbe stato
un casino portarne una fino a qua per cambiarla. »
Ludwig tira un sospiro
di sollievo.
« Quanto
tempo ci vorrà? »
« Mezza
mattinata, massimo. » Feliciano tira un sospiro di sollievo.
« Visto,
niente di grave. » Ludwig vorrebbe condividerne il buonumore,
ma non ci riesce appieno.
« Sono
contento. » risponde, controllando l’orario.
« A lavoro terminato mi lasci una fattura,
provvederò a saldarla. » il falegname non fa
domande, concentrandosi sulla sua mole di lavoro, ma Feliciano sembra
piuttosto contrariato.
« No, non
serve. »
«
È un mio dovere, è colpa mia se si è
rotta. » Feliciano sospira, apparendo per niente soddisfatto.
« Io ora devo prepararmi per il lavoro, ma passerò
stasera per ritirare tutta la documentazione. » Feliciano
allora gli sorride, dandogli il saluto prima che lui chiuda la porta.
« Buongiorno
Ludwig. »
« Buongiorno
Feliciano. »
« Anche oggi
al lavoro? »
«
Sì. » ormai erano diventate frasi di rito. Non
riusciva a spiegarsi il perché le sue tempistiche
coincidevano perfettamente con quelle di Feliciano, ma già
da diversi giorni ogni mattina si ritrovava a fare le scale insieme al
suo vicino. Una parte di sé era contenta di scambiare due
parole al di fuori dell’ambito lavorativo, ma
l’altro temeva di essere molto presto a corto di argomenti di
conversazione. Feliciano, però, sembrava intuire la sua
mancanza e compensava il loro dialogo di curiosità che lo
avevano interessato.
Ludwig gliene era molto
grato. Feliciano parlava tanto, e la sua dialettica era piuttosto
vivace. Aveva una cadenza insolita, diversa da quella a cui era
abituato. « …e quindi gli ho detto “non
puoi muovere un affresco” ma questo non voleva starmi a
sentire”. »
Feliciano faceva il
restauratore. Probabilmente aveva una vastissima conoscenza
dell’arte, e un po’ moriva dalla
curiosità e della voglia di rivolgergli sempre
più domande, costringendosi subito al contegno. Era
consapevole che sarebbe stato inappropriato approfittarsi della
gentilezza dell’altro in quella maniera.
« Mi stai
ascoltando? » gli dice allora Feliciano, fermandosi e
voltandosi a guardarlo. Ora che era qualche gradino più
sotto sembrava ancora più piccolo.
«
Sì. Mi interessa. » Feliciano lo scruta per
qualche istante, per poi sorridergli e tornare al suo racconto. Con
calma raggiungono il piano terra, e si danno il saluto.
« Ludwig,
buon pomeriggio. »
« Buon
pomeriggio Feliciano. »
« Tornato dal
lavoro? » ancora una volta aveva incrociato Feliciano.
« Io sono sceso per vedere se c’è posta.
» aggiunge, guardandosi imbarazzato le ciabatte. Non ci aveva
fatto caso, ma non importava. Si sentiva piuttosto stanco, ma una parte
di lui aveva bisogno di essere almeno un po’ sociale. Con
calma Ludwig si avvicina, dando un’occhiata alla propria
casella postale. In realtà sapeva che non vi avrebbe trovato
nessuna busta, ma si era ritrovato a mimare i gesti
dell’altro uomo che osserva con curiosità la busta
di plastica che teneva in mano. « Lì che
c’è? »
« Ho fatto un
po’ di spesa. » dice lui, alzandola, permettendo a
Feliciano di osservarla con curiosità.
« Sento odore
di fragole. » commenta questi, sorridendogli. «
Spero tu abbia preso la panna. »
« No, me ne
sono dimenticato. » dice, sospirando scocciato. Aveva fatto
di tutto per evitare la calca alle casse e si era scordato una cosa
così importante. « Me le mangerò
così. »
« Io ne ho da
prestarti. » Ludwig scuote la testa.
« No, non
potrei mai chiedere una cosa simile. » Feliciano sospira,
mentre lui prende la strada delle scale.
« Ma siamo
buoni vicini! Se io ne avessi bisogno sono sicuro tu faresti lo stesso.
» non aveva idea come ma Ludwig sapeva che Feliciano aveva
centrato il punto. Si trova a girarsi nella sua direzione, e guarda
Feliciano che sembra in attesa di una sua risposta. « Non
farti pregare. »
Ludwig sospira,
riprendendo a salire le scale, sentendo Feliciano seguirlo. Gli
sembrava di approfittarsi della sua gentilezza. Una volta sul piano
Feliciano lo intercetta, sparendo dietro la porta
dell’appartamento. Era davvero un sacco gentile con lui,
tanto che aveva la sensazione di non meritarselo.
« Ecco qui!
» esclama Feliciano, apparendo sulla porta e dandogli in mano
la bomboletta di panna montata. « Puoi ringraziarmi dopo!
»
« Sei sicuro
di volermela dare così? »
«
Massì, le fragole vanno assolutamente mangiate con la panna.
Te lo dice un esperto, fidati! » Ludwig sorride, stringendo
meglio l’oggetto che aveva nelle mani.
« Allora ti
ringrazio. »
Un lieve bussare alla
porta lo distoglie dalla lettura del romanzo. Era insolito che qualcuno
bussasse alla sua porta, soprattutto di domenica mattina. Confuso si
alza sul divano, mettendo un segnalibro nella pagina dove si era
fermato, e a lunghi passi si avvicina alla porta.
C’era
Feliciano all’uscio.
« Scusami
Ludwig, so che è domenica e che forse hai da fare, ma avrei
bisogno di un favore. » non sapeva dire se fosse una sua
impressione ma l’altro gli appare un po’ teso.
« Dimmi.
»
« Non
è che hai un po’ di zucchero da prestarmi? Mi sono
accorto che è finito, e oggi sicuro non
c’è qualcuno aperto qui vicino, forse potrei
provare dallo spaccio- »
« Te lo posso
prestare, ho un pacco in più. » il viso di
Feliciano si distende, ma l’uomo pare mantenere una vaga
tensione nel suo corpo. « Entra pure. »
Ludwig si dirige verso
la dispensa, in cerca dello zucchero di scorta, non prestando
particolare attenzione a quell’ospite inusuale. «
Hai una bella casa. Molto tedesca. » commenta allora
Feliciano, per poi portarsi la mano alla bocca imbarazzato. «
Intendevo dire che ha un’aria molto organizzata. »
« Sono stato
cresciuto con l’ordine. Se c’è qualcosa
fuori posto non riesco a dormire la notte finché non
è tornato tutto ordinario. » Feliciano ride,
più sollevato, e poi guarda un’altra volta
l’interno della casa.
« Certo che
la forma è identica alla casa del nonno, ma ha
un’aria completamente diversa. Forse è per via
delle finestre. Qui non si sente il rumore del traffico. »
Ludwig arrossisce, come se fosse stato colto in flagrante. Non
c’era niente di imbarazzante nel desiderare una casa
tranquilla. Era più il pensiero che lui e Feliciano
pensassero in maniera affine, oppure che notassero gli stessi dettagli,
a metterlo in imbarazzo.
«
Sì ho scelto questa casa anche per la calma. »
« Anche
quando quelli del piano di sopra scendono le scale. »
« Quello
purtroppo era compreso nel pacchetto. » Feliciano ride, e
persino lui si scopre a sorridere. L’altro si appoggia sullo
schienale del divano, guardandolo direttamente.
« Ti piace
vivere qui? » era una domanda personale. Solitamente lui si
sarebbe infastidito e avrebbe cercato di chiudere la conversazione il
prima possibile. Invece aveva di fronte lo sguardo chiaro di Feliciano
che lasciavano trasparire una sincera curiosità, e lui non
si sentiva messo a disagio.
«
Tralasciando Francis e Antonio che urlano per le scale, sì.
» Feliciano ride, torna dritto in piedi e gli si avvicina.
Era raro che gli fosse così vicino. Ludwig deglutisce,
lasciando che l’altro entri nel suo ambiente vitale.
Feliciano allora allunga le mani, e prende il pacco di zucchero che
ancora aveva con sé. Se n’era completamente
dimenticato.
« A me piace
vivere qui. » gli dice, sorridendo. « Spero potremo
essere buoni vicini. Tu sicuramente lo sei. »
« Non sono
certo di esserlo. » stranamente aveva la gola secca.
« Certo che
lo sei! » esclama allora Feliciano, assumendo
un’aria seria. « Sei disposto a prestarmi lo
zucchero. È la prima regola da rispettare se vuoi essere un
buon vicino. » Ludwig non era certo che fosse la
verità, ma vedendo il viso sorridente di Feliciano non se la
sentiva minimamente di argomentare almeno per quella volta.
« Credo sia
saltata la luce a tutto il quartiere. » era una bella
scocciatura. Certo non era la prima volta che succedeva, ma quei
improvvisi e gratuiti black-out non facevano mai piacere. Ormai erano
le nove passate, il buio avvolgeva la casa. A tentoni aveva raggiunto
il mobile dove teneva la torcia, accendendola una volta presa, e si era
diretto verso il pianerottolo dove c’erano già i
due fratelli. Lovino nel vederlo aveva assottigliato lo sguardo, mentre
Feliciano gli si era avvicinato, commentando su quanto
l’esperienza fosse pessima. Non gli dava torto.
« Ehi, la
sotto, va tutto bene? » era la voce di Elizaveta, dal piano
di sopra. Ludwig vedeva una luce muoversi, probabilmente anche la donna
aveva una torcia.
«
Sì, qui tutto bene. »
« Qualcuno
chiami l’amministrazione. L’acea. La nasa!
» era stato Arthur. Si era affacciato alla tromba delle
scale. Sembrava piuttosto irritato.
« Oppure
chiamiamo il tuo assistente e lo facciamo correre per generare energia.
Diventeremmo energeticamente indipendenti. » dice Laura, che
si era affacciata. « Comunque mio fratello ha delle torce,
vengono due euro l’una. »
« Come
è possibile che tuo fratello riesce a fare lo strozzino pure
in una situazione del genere? » esclama Antonio.
«
È per questo che sei povero, spagnolo! » replica
la ragazza, defilandosi sotto le risate divertite di gente che Ludwig
non riesce a definire. Lovino allora si avvicina al corrimano,
guardando in alto e tentando di fulminare qualcuno al piano di sopra.
Ogni volta che c’era un black-out tutti loro si riversavano
nel corridoio, rendendo il palazzo un po’ più
vivace del solito.
« Se i black
out qui sono così, potrei abituarmi. » dice a
bassa voce Feliciano, che era rimasto accanto a lui per tutto quel
tempo. « Non mi piace molto il buio. »
« Non
durerà molto. » le poche luci illuminavano il viso
teso di Feliciano, che allunga la propria mano nella sua direzione e
tocca il bordo della sua maglia. In genere il contatto fisico lo
infastidiva, ma poi guardava il viso nervoso dell’altro e non
se la sentiva di scacciarlo. « È una cosa normale.
Dovreste comprare delle torce, succede quasi regolarmente. »
non era incoraggiante da dire, se ne rendeva conto, ma la sua mente era
rimasta fissa alle dita di Feliciano che gli sfioravano
involontariamente la pelle del braccio, impedendogli di fare pensieri
completamente razionali.
« Non
costringermi a venire lì sopra, stronzo! » lo
strillo di Lovino lo riporta alla realtà, e probabilmente
anche Feliciano che toglie la sua presa.
«
Sì, rissa! » sente esclamare Laura, e poi quella
più pacata di Ned che accettava scommesse su un eventuale
scontro. Non preannunciava niente di buono. Feliciano allora si
incammina verso il fratello, prendendolo per le spalle.
« Dai Lovino,
non ti ci mettere anche tu. Già la situazione non
è delle migliori. » l’altro scatta come
se fosse stato colpito, ma sembra dare retta al fratello, ritirandosi
dal corrimano. Finalmente la luce torna, e Lovino allora corre ad
affacciarsi, vedendo probabilmente il suo contendente.
« Ti vedo,
stronzo. » Antonio non sembra replicare, forse era stato
portato via da Francis alla stessa maniera, ma non ha molta voglia di
rimanere a indagare sulla faccenda. Era stanco e voleva solo tornare
alla sua lettura, dimenticando il contatto con Feliciano che ancora
bruciava. Non voleva pensarci.
« Ludwig.
» la voce dell’altro lo riporta alla
realtà, facendogli almeno spegnere la torcia.
«
Sì? »
« Grazie.
» gli sorride, facendolo arrossire imbarazzato.
« Non ho
fatto niente di speciale. » Feliciano di fronte a lui
sospira, ma riprende a sorridergli.
« Buonanotte
Ludwig. »
« Buonanotte.
» ignorando le nuove strilla, questa volta uno scambio di
battute tra Arthur e Francis, chiude la porta di casa dietro di
sé e si passa una mano sul volto. Si sentiva troppo stanco.
Non riusciva a capire cosa l’avesse esaurito così
velocemente. Per una volta non era lui a dover sedare le discussioni,
di rito, tra i vari condomini.
Con calma ripone la
torcia al suo posto, guardando poi il suo libro abbandonato sul divano.
Non aveva più desiderio di leggere per la serata. Forse
doveva provare ad andare a dormire.
Anche infilarsi a letto
non lo stava aiutando. Continuava a rimanere lì, sdraiato, a
fissare il soffitto con tante domande e, raro evento, senza alcuna
risposta da dare. Certo la sua esistenza era cambiata da quando i due
fratelli si erano trasferiti. Poteva dire di avere
un’interazione che era condizionata da semplice interesse che
Feliciano sembrava avere nei suoi confronti. Più ci pensava
e più si rendeva conto che non sapeva molto di lui.
L’altro faceva tante domande e forniva poche risposte alle
sue, sembrava essere circondato da un velo di mistero minuziosamente
costruito che gli faceva voglia di indagare per sapere.
No, non doveva. Lui
stesso non amava rilasciare informazioni personali, ficcare il naso
nelle faccende private di altri individui era un suo personale veto. Se
Feliciano non voleva andare oltre al suo amore per la pasta,
l’arte e la siesta non sarebbe stato di certo lui quello a
insistere.
Sì, la
faccenda non lo riguardava.
Per una volta era
contento di andare d’accordo con i propri vicini nonostante
le premesse e non avrebbe permesso a se stesso di rompere
l’equilibrio che si era formato.
Ludwig sospira,
rigirandosi nel letto. Era la cosa giusta da fare, e ora persino la sua
nascente curiosità era stata sedata senza alcun problema.
Poteva dormire tranquillo, eppure il sonno non sembrava giungergli in
alcuna maniera. Con una certa stizza si alza dal letto, riprendendo il
romanzo. Ora era sicuro di poter poi dormire.
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Capitolo 3 *** Con vicini così a che servono i nemici ***
Era andato a correre
nonostante non avesse dormito che per poche ore. Sperava di riuscire a
smettere di pensare almeno durante quello. Ci era riuscito, e una volta
rientrato nel cancello del palazzo la sua mente era molto
più sgombra e libera da pensieri di ogni tipo.
« Ludwig,
buongiorno. » l’uomo sgrana gli occhi, alzando la
testa per vedere Feliciano che si trovava sul balcone. Era una visione
insolita.
« Buongiorno.
» l’uomo gli sorride, rientrando in casa, e lui
segue il suo esempio, salendo le scale cercando di mantenere lo stesso
ritmo. Al pianerottolo c’è già
Feliciano alla porta, che gli sorride. Ludwig non sa se rivolgergli
ancora il saluto mattutino o fare un semplice cenno di intesa e
rientrare in casa, e per una volta persino Feliciano gli appare a corto
di idee per gestire la situazione.
« Vai a
correre ogni mattina? » aveva la voce un po’ roca
in quel momento, e il notarlo gli genera imbarazzo.
«
Sì. »
« Io non ci
riuscirei mai a farlo, fai un qualcosa di tutto rispetto. »
« Ci sono
abituato. Quando ero in Germania andavo spesso a correre insieme a mio
fratello. »
« Se io
chiedessi a Lovino la stessa cosa credo mi butterebbe fuori di casa
senza pensarci due volte. » ride allora Feliciano, seguito da
lui. Una volta che le risa si fermano cala di nuovo il silenzio, e
questa volta sembra essere più definitivo.
Con una certa
riluttanza Ludwig saluta il suo vicino, entrando in casa e infilandosi
sotto la doccia. Era triste che avessero esaurito gli argomenti di
conversazione. Probabilmente sarebbero finiti a rivolgersi solo blandi
saluti.
Si trova a considerare
che non dovrebbe sentirsi così triste.
Durante la colazione
sente suonare al campanello della porta. Probabilmente era Feliciano
che aveva bisogno di qualcosa, quindi con un vago entusiasmo si alza da
tavola e va ad aprire.
« Ma
buongiorno! » era Antonio.
Durante quei anni non
aveva interagito molto con lui. Non che questi fosse particolarmente
sgradevole, nonostante il suo pessimo vizio di continuare a parlare con
il coinquilino durante tutta la discesa lungo le scale fino al piano
terra. Che poi Francis non era il suo coinquilino. Ludwig aveva visto
la documentazione. Antonio non risultava nemmeno domiciliato in quella
casa, eppure abitava lì da molto più tempo di
lui, rendendo la sua condizione troppo singolare e probabilmente
potenzialmente illegale. Non aveva idea di come poteva trattare un
simile criminale, temendo un futuro arrivo della polizia che avrebbe
sequestrato tutto il condominio e arrestato tutti loro.
« Hai bisogno
di qualcosa? » sperava sinceramente di no, ma
l’altro non sembrava del suo stesso avviso.
«
Sì, volevo chiederti se avessi dello zucchero. »
sembrava essere diventato un vizio quello di farsi prestare le cose, ma
Ludwig era consapevole che non sarebbe mai venuto al codice del buon
vicino e roteando gli occhi si dirige verso la dispensa, seguito da
Antonio che chiude prontamente la porta dietro di sé.
« Ok, parliamo di cose serie. »
Non era un buon segno.
Antonio si avvicina, prendendolo per le spalle. Non era per niente un
buon segno. « Devi presentarmi il tuo vicino. » la
cosa lo coglie di sorpresa. Una parte di lui è lieta che non
fosse una richiesta illegale, ma l’altro non era per niente
contento. Non capiva perché dovesse fare una cosa simile.
«
Perché dovrei? Puoi andare a bussare tranquillamente senza
il mio aiuto. » Antonio toglie la presa, massaggiandosi una
tempia con fare piuttosto scocciato.
« Ma ti pare?
Non me lo posso permettere. »
«
Perché dovrei presentarti io, poi? »
« Me
l’ha detto Francis che tu vai molto d’accordo con
loro. » era vero per metà, ma l’idea di
presentare Antonio a Feliciano non gli piaceva per niente. «
Io non ho lasciato una buona prima impressione e vorrei rifarmi.
»
« Fossi in te
lascerei perdere, nessuno lascia mai una buona impressione a Lovino.
» Antonio aguzza lo sguardo. « Fidati, non
è un guaio in cui vorresti cacciarti. »
« Non mi
sembra di chiederti molto. Vai alla porta, bussi, io appaio da dietro e
ci presenti. »
« Non riesco
ancora a capire perché ti servo io per simile farsa.
»
« Ora mi
spiego perché sei ancora single. »
l’occhiata che gli lancia non sembra intimidirlo
più di tanto. Aveva l’impressione che Antonio
fosse quel genere di persona che ormai non aveva più niente
da perdere.
« Se non hai
altro da chiedermi devo chiederti di andartene. »
« Non mi
sembra di chiederti la luna. »
« Antonio,
non insistere. » dice, cercando di spingerlo verso la porta,
ottenendo solo l’altro uomo si aggrappasse a lui nel
tentativo di non essere sbattuto fuori di casa.
« Aiuta un
povero amico. »
« Noi non
siamo amici. » tuona, aprendo la porta nel tentativo di
staccarlo da sé. Sul pianerottolo, di fronte a loro,
c’era Feliciano. E lui aveva ancora Antonio appiccicato
addosso. La situazione era al limite del paradossale.
« Buongiorno.
» dice allora lui, sorridendo. Antonio, finalmente, si stacca
da lui e muove diverse volte lo sguardo nella sua direzione come a
incentivarlo a fare qualcosa. Tentativo inutile, la sua mente sembrava
essere in cerca di una spiegazione per quella situazione. «
Sei un amico di Ludwig? » chiede quindi Feliciano, sorridendo
nella direzione di Antonio. Finalmente qualcosa dentro di lui scatta.
« No, abita
al piano di sopra. »
« Piacere,
Antonio. » si presenta quindi l’altro, allungando
una mano che sempre sorridendo Feliciano stringe.
« Sono
Feliciano. Mi sono trasferito da poco e non ci siamo ancora incontrati.
»
« Meglio
tardi che mai. » ride Antonio, avvicinandosi di
più all’altro. Ludwig percepiva la scena come se
fosse lontana e come se lui non fosse presente in essa. Non
c’era molto spazio per lui.
« Io devo
tornare dentro. » dice più a se stesso, e non
attende nemmeno un responso. Probabilmente gli altri due erano
così presi a socializzare che non gli sarebbe importato
più di tanto se si fosse defilato. Una volta chiusa la porta
dietro di sé sospira.
Le sue interazioni col
vicinato erano arrivate al capolinea. Era consapevole che Antonio fosse
una persona più sociale e probabilmente più
interessante come compagnia di quanto lo fosse lui. Feliciano avrebbe
iniziato a farsi un piano di scale per chiedere il sale invece di
bussare alla sua porta per scambiare due parole. Non gli faceva piacere
pensarlo, ma era certo che sarebbe andata in quella maniera.
Dopo la colazione,
però, sente bussare alla sua porta. Sperava che non fosse
nuovamente Antonio che stavolta chiedere di metterci una buona parola
anche con Basch. Con una certa stizza va ad aprire la porta nella
speranza di chiudere la faccenda in fretta, trovando però
davanti a sé Feliciano. Non sa che cosa dire, non riesce a
capire cosa stia succedendo, se non che l’istante dopo
Feliciano si stringe a lui in un abbraccio che lo fa irrigidire. Non si
aspettava un simile gesto, ma lascia che l’altro continui a
stringerlo per qualche secondo, per poi prenderlo per le spalle e
cercare di scostarlo con gentilezza. Feliciano non sembra apprezzare, e
si riattacca a lui senza alcun problema.
« Antonio ti
può abbracciare e io no? » dice allora, alzando il
viso e guardandolo. Aveva le sopracciglia corrucciate, ed era in
effetti la prima volta che lo vedeva così da vicino.
« Antonio non
mi stava abbracciando. » replica, cercando le parole giuste.
« Lo stavo cacciando di casa e lui si era attaccato per non
finire fuori. »
Qualcosa in Feliciano
si irrigidisce, e Ludwig lo osserva staccarsi automaticamente,
arrossendo. Probabilmente aveva frainteso la situazione, ma non gli
dava poi così tanto torto. Qualsiasi occhio esterno lo
avrebbe fatto.
« Mi
dispiace. » mormora allora Feliciano con voce stridula,
arrossendo sempre di più. « Ho agito
d’impulso, e allora ho pensato se lui ti può
abbracciare, lo posso far anch’io, siamo amici in fondo, ma
lo capisco se non ti fa piacere essere toccato, non volevo essere
invadente- »
Lo abbraccia.
Vorrebbe dire che lo ha
fatto per farlo smettere di parlare, ma sa benissimo che non si tratta
di quello. « Non sei stato invadente. »
« Ma ti ho
messo a disagio. » pigola allora Feliciano, affondando il
viso nel suo petto.
« Mi hai
colto di sorpresa. » ammette lui, cercando di regolarizzare i
propri respiri nella speranza di calmare Feliciano. « Ma
l’hai detto tu, siamo amici. »
« Davvero?
» chiedere allora lui, speranzoso, guardandolo
un’altra volta nel viso. Ludwig si sente avvolgere i fianchi
dalle braccia di Feliciano, che ricambia la stretta e appare
più sereno rispetto a prima. Lui annuisce, ottenendo in
cambio una stretta ancora più forte, e finisce con
l’appoggiare il mento sul capo di Feliciano. Si stava
cacciando in un grosso guaio.
« Dovrei
organizzarvi un bel appuntamento a quattro. »
« Francis
spero che tu non stia parlando seriamente. »
«
Perché no? »
Non aveva mai avuto un
buon rapporto con Francis, e perciò non riusciva a capire
perché quella sera si era presentato da lui senza alcun
preambolo o spiegazione della sua visita e si era messo ad elencare
alcune delle idee più strampalate che aveva sentito.
« Ma poi a
chi ti stai rivolgendo? »
« A te,
Antonio, e ai due fratelli qui accanto. » dice fiero Francis,
sorseggiando dalla tazza di tè che gli aveva comunque
offerto. L’educazione, nonostante l’antipatia, era
prevalsa.
« Tu pensi
davvero che possa essere una buona idea? » Francis sbuffa, e
lo guarda come se fosse un bambino che non cogliesse la situazione.
« Ora mi
ricordo perché mi stai così sul cazzo.
» brontola, accavallando le gambe. « Certo che
penso che sia una buona idea, è la mia! »
« La tua
ultima idea che io ho sentito riguardava l’allagamento del
piano terra, quindi ho le mie ragioni per non darti retta. »
e c’era un motivo particolare, che Arthur ci viveva e che una
simile risoluzione per lui sarebbe stata un problema. Non aveva mai
indagato sulla loro discordia, ma aveva idea che si trattasse di
qualcosa di profondamente stupido.
« Quindi
è un no? » la sua occhiata sembra essere
esauriente, spingendo l’uomo ad alzarsi e a prendere la via
della porta, fortunatamente con i suoi piedi. Ludwig lo segue per
assicurarsi di chiuderla una volta che sarebbe stato fuori.
C’era Lovino sul pianerottolo, e Francis non tarda a
corrergli incontro, probabilmente per illustrargli chissà
quale idiozia. Chiude la porta, lasciando fuori le imprecazioni che
Lovino stava già strillando.
Non aveva idea di come
Francis avesse potuto pensare una cosa simile.
Certo lui e Feliciano
potevano definirsi amici, e fare un’uscita con lui era
un’idea che, se doveva essere sincero, gli piaceva ma di
certo non poteva prendere le connotazioni che aveva implicato Francis.
Uscire con Antonio e
Lovino, poi. Sarebbe finito arrestato per un motivo o un altro, ne era
sicuro. Non faceva per lui. Forse avrebbe comunque dovuto chiedere a
Feliciano di andare a bere qualcosa insieme, interagire al di fuori
dell’ambiente domestico poteva essere un progresso per la
loro amicizia. E se Feliciano gli avesse detto di no? Non aveva alcuna
certezza che la risposta sarebbe stata positiva. Non riusciva a
decidersi sulla strada da prendere.
L’idea un
po’ lo spaventava. Non aveva idea se avrebbe funzionato, ma
una volta che pensava a Feliciano veniva pervaso da un certo ottimismo.
Uno di quei giorni gliel’avrebbe sicuramente chiesto.
Avevano suonato ben due
volte alla porta quando era sotto la doccia. Con una certa fretta
Ludwig afferra l’asciugamano, avvolgendolo intorno alla vita,
e corre verso la porta. Qualsiasi cosa fosse era sicuro fosse
importante. Apre la porta, preparandosi a sentire delle pessime notizie.
« Apprezzo la
visione Ludwig ma sono già felicemente sposata. »
era Elizaveta. Arrossisce, stringendosi addosso l’asciugamano
anche se questo non lo avrebbe di certo coperto di più. La
donna pare intuire il suo disagio, ed entra in casa, permettendogli
almeno di chiudere la porta.
« Volevo
invitarti a bere da noi, la madre di Roderich ci ha mandato un pacco
pieno di ottima birra, e ti volevo chiedere se avessi ancora dei
braswurst, ma se ti vuoi offrire come pietanza principale a me va bene.
» Ludwig arrossisce, ma è consapevole che
Elizaveta sta scherzando.
« Me ne sono
rimasti un paio, ma posso chiedere a Gilbert di inviarmene ancora.
» la donna storce il naso nel sentire il nome di suo
fratello, ma gli appare comunque soddisfatta.
« Allora ti
aspettiamo stasera. Non essere troppo in anticipo. »
«
Sì, sì. » mormora lui, aprendole la
porta. Elizaveta gli sorride, attraversando la soglia.
« Buon giorno
Feliciano. » il sangue gli si gela, e con fatica muove la
testa, incrociando lo sguardo dell’altro uomo. Questo gli
sembra inizialmente spaesato, ma poi lo guarda sorridere in direzione
dell’altra donna. « Stavo invitando Ludwig a una
bevuta di birra tedesca tra amici stasera, vuoi unirti a noi?
»
« Birra
tedesca? Io ci sto! Ho dello stanga in dispensa, con la birra dovrebbe
andare bene. » gli occhi di Elizaveta si illuminano.
« Ora
sì che si ragiona! Vi aspetto entrambi! » dice
lei, prendendo finalmente le scale. Ludwig si ritrova solo, con
Feliciano di fronte e solo un asciugamano addosso. La sua mente non ha
idea di cosa dire, e si rimprovera per non essere furtivamente
rientrato mentre gli altri due parlavano.
« Non hai
paura di prendere freddo? » gli chiede allora Feliciano,
piegando leggermente la testa di lato. Vorrebbe replicare che tanto
ormai si era messo abbastanza in ridicolo, ma si trova ad annuire,
iniziando a chiudere la porta, per poi fermarsi.
« Senti,
Feliciano. » dice, cercando di ottenere la sua attenzione. Il
suo sguardo era in basso, probabilmente lo stava mettendo in imbarazzo.
« Mi chiedevo se, qualche volta, non oggi, ma in generale
quando ti va, di andare a prenderci da bere qualcosa insieme.
»
C’è
una pausa da parte dell’altro, e a mente fredda si rende
conto che persino lui esiterebbe. Stava ricevendo una simile proposta
da un vicino mezzo nudo aggrappato alla maniglia della propria porta,
sul pianerottolo del palazzo. Non era uno scenario rassicurante.
« Mi farebbe
piacere. » gli risponde quindi lui, sorridendo. «
Però ora ti prego rientra o ti ammalerai e non se ne
farà niente del nostro impegno. » si scopre a
sorridere, mentre chiude la porta dietro di sé e si passa
una mano tra i capelli ancora umidi. Feliciano aveva accettato il suo
invito. Si sentiva improvvisamente un adolescente, tanto era contento.
Un improvviso desiderio
di starnutire, però, lo riporta alla realtà.
Doveva tornare sotto la doccia, non aveva alcuna voglia di ammalarsi.
Alla fine erano andati
insieme al piano di sopra, Feliciano aveva insistito di sentirsi a
disagio nel presentarsi da solo in una casa che conosceva poco. Aveva
voluto commentare che nel suo caso non si era fatto troppi problemi, ma
alla fine avevano bussato ed Elizaveta li aveva accolti, aveva preso il
cibo dalle loro mani e li aveva fatti accomodare accanto a Roderich che
stava revisionando degli spartiti.
Ne era scaturita
un’accesa discussione musicale.
Lui si poteva
considerare un amatore, apprezzava la musica classica e andava ad
assistere alle opere quando ne aveva occasione, ma Feliciano sembrava
essere su un altro livello. Aveva una conoscenza che eclissava la sua,
cosa che Roderich sembrava apprezzare. Feliciano aveva
un’altra aria quando parlava di ciò che lo
appassionava. Ludwig passava il tempo ad osservarlo discutere col
pianista, non riuscendo a proferire parola.
Solo Elizaveta era
riuscita a porre fine alle ostilità, mettendo sul tavolo i
boccali e il cibo. Entrambi gli uomini, allora, avevano desistito dal
discutere nonostante avessero lasciato inteso che quella non sarebbe
terminata molto presto.
Si era parlato di
lavoro.
Era stato nuovamente
affascinato, e Feliciano aveva preso ancora un’altra luce ai
suoi occhi. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, forse anche a
causa della birra.
Feliciano aveva
raccontato della restaurazione di un affresco di cui il nome gli era
sfuggito, ma gli sembrava davvero appassionato del suo mestiere. Si
spiegava la grazia e la cura con cui teneva gli oggetti, e anche i
movimenti lenti e calcolati. Aveva un senso. Anche la coppia di coniugi
era rimasta piuttosto colpita da lui.
« Questa
birra è un sacco buona. » commenta quindi per
finire Feliciano, appoggiando il proprio boccale sul tavolo e prendendo
un pezzo di wurst. Ludwig stava iniziando a sentire l’effetto
dell’alcool. Certo lo reggeva bene, ma iniziava finalmente a
percepire la leggerezza che la bevanda alcolica sembrava donargli.
« A confronto
pare che io strimpelli il pianoforte. » dice Roderich,
bevendo a sua volta.
« Un tempo lo
strimpellavi per farmi delle bellissime serenate, quindi non essere
troppo severo con te stesso. »
Feliciano sorride,
prendendo un altro sorso. Ludwig continua a guardarlo, come se non
l’avesse mai visto in tutta la sua vita, e si trova a pensare
che era quello l’appuntamento a quattro che avrebbe voluto
veder organizzato. Arrossisce a un simile pensiero, cercando un
contegno.
« E per
favore, Feliciano qui è stato un’eccezione, ma se
vi sento parlare di lavoro vi prendere una padellata. »
Feliciano alza le mani in segno di resa, ridendo divertito e cercandolo
con lo sguardo.
« Lo ha fatto
con mio fratello. » dice allora Ludwig. « Due
volte. »
« Erano
meritate! » esclama piccata lei.
« Non ho
detto il contrario. » replica allora, prendendo un altro
sorso di birra.
« E poi non
è colpa mia se tuo fratello è uno scocciatore.
»
« Forse sei
un po’ prevenuta nei suoi confronti. » Elizaveta
gli lancia un’occhiataccia, ma è troppo rilassato
per lasciare che la cosa influisca su di lui più di tanto.
L’antagonismo che correva tra Gilbert ed Elizaveta non era
affare suo e non ci avrebbe mai messo naso. Non voleva farsi domande su
tante cose che riguardavano il fratello, e di certo non avrebbe
iniziato adesso.
Feliciano ha
l’accortezza di cambiare argomento, riprendendo il discorso e
spostandolo in un’altra direzione, permettendogli di
riordinare i pensieri. Si sentiva più leggero del solito, e
la sua mente iniziava a focalizzare la coscia di Feliciano che era
appoggiata contro la sua. Aveva un improvviso desiderio di toccarla.
No, non sarebbe stata
la cosa giusta da fare. Con uno scatto allunga la mano verso il cibo,
avrebbe aiutato a scacciare dalla testa i pensieri che aveva.
La serata procede in
maniera più tranquilla, e riesce ad aggiungere persino
qualche intervento nella focosa discussione che si era riaccesa tra i
due uomini a riguardo della musica, e si conclude con i saluti alla
porta.
« Fate
attenzione mentre tornate. »
« Non
c’è alcun problema. » dice Feliciano,
appoggiandosi allo stipite della porta. L’alcol alla fine
aveva fatto effetto anche su di lui. Elizaveta da loro
un’altra occhiata preoccupata, ma alla fine li saluta
entrambi, lasciandoli soli ad affrontare le scale.
« Se
l’ascensore funzionasse non avremmo questi problemi.
» brontola, facendo sorridere Feliciano.
« Credo
dovremmo arrangiarci. » replica, mettendo un piede sul
gradino e ondeggiando. Lui gli è subito accanto, tenendolo
per il fianco. « Grazie. »
Lui non risponde,
facendo un altro passo verso il basso, seguito dall’altro
uomo. Il corpo di Feliciano è caldo contro il suo, e un
secondo ondeggio lo spinge a stringerlo di più a
sé, appoggiando l’altra mano sul muro. Fanno
diversi gradini, poi Feliciano si ferma.
« Dici che la
serata è andata bene? » chiede, improvvisamente
serio.
« Credo di
sì. »
« Gli sono
piaciuto? Credi che ci inviteranno ancora? »
« Continuano
ad invitare me che non sono un gran conversatore. » dice,
ripetendo la frase dopo essersi accorto di averla detta in tedesco.
« Tu sei molto più sociale e gradevole.
» queste parole sembrano rincuorare Feliciano, che gli
sorride e gli si avvicina.
« Sono
contento che pensi questo di me. »
« Dico la
verità. » l’altro sorride, passando una
mano sul suo fianco e riprendendo la discesa verso il loro piano. Il
suo intero corpo brucia e la sua mente non riesce a staccarsi dalla
mano di Feliciano, almeno finché questa non si stacca.
È solo in quel momento che finalmente la sua testa sembra
riprendere a funzionare.
« Grazie per
la serata. » gli dice lui, avvicinandosi per un abbraccio.
Questa volta è più lento, come guardingo, in
attesa, ed è lui stesso ad avvicinarsi e a stringerlo. Sente
il cuore rimbombare nelle orecchie, e sente il profumo di Feliciano
avvolgerlo, e si sente bene. Felice con se stesso, e felice di essere
lì.
Era una sensazione che
non percepiva da diverso tempo.
Non ha idea di quanto
rimangano lì, in mezzo al pianerottolo, abbracciati, ma dopo
un po’ Ludwig capisce che deve lasciare la presa su
Feliciano, che tarda ad abbandonare il contatto. Questo si allontana di
un passo. Ha le guance rosse e sorride in una maniera più
delicata del solito.
« Buonanotte
Ludwig. »
« Buonanotte.
» l’uomo gli da un ultimo saluto, e poi entrambi si
voltano verso le proprie porte. Lui fatica a mettere la chiave nella
toppa, ma alla fine riesce nell’impresa e dopo un ultimo
saluto entra finalmente in casa. Si chiude la porta dietro,
appoggiandosi poi su di essa e scivolando per terra.
Il cuore ancora gli
rimbombava nelle orecchie, e continuava a sentire caldo. Prende dei
lunghi respiri, cercando di controllarsi, ma sapeva benissimo che in
tutto quel tempo speso fuori lui moriva dalla voglia di baciare
Feliciano. Era un bisogno impellente che l’alcool gli rendeva
difficile tenere a freno.
Si passa una mano tra i
capelli, non sapendo cosa fare.
Non ne aveva idea.
Di certo non avrebbe
potuto baciarlo.
Oppure la sua era
semplice frustrazione. Non lo capiva e la cosa lo faceva impazzire. Il
non avere risposte era probabilmente una delle condizioni
più frustranti che poteva vivere. Sospira, alzandosi in
piedi.
La sua mente gli faceva
tornare in mente il viso di Feliciano e l’idea che avrebbe
dovuto almeno sfiorare le sue labbra quella sera, ma le ricaccia in un
angolo della sua mente. Non avrebbe rovinato un buon rapporto per un
capriccio egoistico.
Con stizza prende
l’acqua, bevendone una generosa quantità, e va a
letto, dove ad attenderlo ci sono solo sogni che non gli danno tregua
per tutta la notte.
Alla fine era riuscito
ad andare al lavoro nonostante un post sbornia piuttosto fastidioso, e
al ritorno a casa sperava di riuscire a cenare e mettersi a letto per
riposare ancora. Nell’atrio del condominio, però,
c’erano Arthur e Basch. Non era un buon segno.
« Aspettavamo
te. » sente brontolare il professore, e spera che qualsiasi
cosa sia, non gli prenda più tempo del dovuto.
« Avete
bisogno di qualcosa? » Basch annuisce, allungandogli il
foglio che legge lentamente. Arrivato al termine, impallidisce.
« Come al
solito, il presidente sarai tu. » era la scelta
più ovvia, nessun’altro poteva ricoprire il ruolo
di capo della riunione condominiale, o finiva sempre con le botte
– e le scommesse su chi l’avrebbe spuntata
–.
« Avete
già deciso la data? » chiede, massaggiandosi una
tempia.
« Scegli
quella più consona, basta che sia dopo le sette di sera.
» dice Arthur, incrociando le braccia al petto. « E
assicurati di non farlo sapere al mangia escargot. »
« Credo
dovrò farlo, o manderà Antonio al suo posto e lo
sappiamo tutti come è finita l’ultima volta.
Basch, come al solito su di te vige il divieto di portare qualsiasi
tipo di arma. » il movimento delle sopracciglia che si
corrucciano non gli sfugge, ma decide di non insistere, e salutando gli
altri due prende le scale, iniziando a costruire mentalmente una
scaletta di argomenti che avrebbe dovuto presentare durante la
imminente riunione.
La sua uscita con
Feliciano avrebbe dovuto aspettare.
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Capitolo 4 *** Riunione di condominio bimestrale ***
Aveva iniziato a notare che
non importava la data, il mese o l’inclinazione del sole,
ogni riunione condominiale si era sempre tenuta di martedì.
Non era un giorno che considerava particolarmente di auspicio.
Di martedì
il hard disc del suo pc aveva deciso di esplodere, costringendolo a
ricopiare a mano pile di documenti – da lì in poi
aveva imparato a fare i back up con una certa regolarità
–. Sempre di martedì era finita la sua relazione
universitaria, giusto una settimana dopo la sua laurea. Per non parlare
che Gilbert era partito per il suo Erasmus in Russia di
martedì, ed era anche tornato sei mesi dopo nella stessa
giornata della settimana, per poi ammettere due settimane dopo
– sempre di martedì – di non ricordarsi
niente della sua esperienza semestrale da quelle parti.
Simile sventura
sembrava essersi riversata tutta su quel giorno e concentratasi nelle
riunioni condominiali dove si urlava, gente si picchiava e non si
risolveva mai niente. Non era certo un caso che lasciassero a lui la
parte organizzativa della faccenda – il suo proprietario di
casa gli aveva lasciato piena potestà di agire come suo
rappresentante in simile sede –. Anche quella volta aveva
tentato di scegliere un altro giorno, ma dopo una breve consultazione
della propria agenda si era reso conto che quella settimana era
l’unica sera disponibile e che non poteva posticipare la
riunione alla settimana prossima.
Aveva quindi stampato
un bollettino con ora e data e l’aveva appeso
all’entrata in modo che tutti potessero vederlo.
Era già
certo che gli inquilini al primo piano non si sarebbero presentati.
Non gli rimaneva altro
che rifinire gli ultimi dettagli.
Era rimasto immerso nel
lavoro in quei giorni, chiudendosi su di esso e non lasciando niente e
nessuno interferire. Non aveva visto molto nemmeno Feliciano, ora che
ci pensava. Certo questo lo salutava quando lo vedeva, ma le loro
conversazioni si erano fatte brevi perché la sua mente era
altrove. Temeva di averlo offeso con un simile comportamento, ma non
poteva porci alcun rimedio. Aveva tanto lavoro a cui stare dietro e non
poteva permettersi di perdere il ritmo.
Alla fine era arrivata
la sera, e anche l’orario. Si scopre a sospirare,
raccogliendo i fogli su cui aveva preparato ogni argomento di
discussione per quella riunione consapevole che non sarebbero riusciti
ad arrivare nemmeno a metà.
« Non ci
voglio andare! » sente esclamare Lovino, una volta che apre
la porta di casa. « Vacci tu! »
I suoi vicini
sembravano star discutendo, ma non era sicuro di volerci mettere naso.
Non bisognava mai mettersi in mezzo alle discussioni, soprattutto tra
fratelli. Ludwig sospira, attraversando la soglia di casa. Prima
oltrepassava simile tempesta e prima sarebbe stato al sicuro.
« Buonasera.
» era stato Feliciano a salutarlo. Aveva un’aria
più domestica quella sera, era la prima volta che lo vedeva
in quella maniera, ma in realtà erano diversi giorni che non
riusciva a vederlo e probabilmente era la sua nostalgia a fargli
credere una cosa simile.
« Buonasera.
»
« Dove vai di
bello? » la voce di Feliciano gli appare diversa, un
po’ più stridula.
« Alla
riunione condominiale. » replica come se fosse la cosa
più scontata. « La organizzo sempre io. »
D’improvviso
Ludwig vede la mano di Feliciano allungarsi verso la porta della sua
casa, chiudendola di scatto e sente le imprecazioni di Lovino per un
simile gesto.
« Ci sto
andando anch’io! » esclama. Lui batte un paio di
volte le ciglia, confuso da ciò che aveva appena visto, ma
decide di lasciar ugualmente correre.
« Andiamo
insieme? » il viso dell’altro sembra illuminarsi
nel sentire quelle parole, e Feliciano prima si getta sulle sue spalle,
ridacchiando, per poi camminare sulle sue gambe fino alla piccola sala
al pian terreno.
La sua scelta era
ricaduta su quel posto perché probabilmente il
più neutrale. Incontrarsi a casa di qualcuno avrebbe
certamente fatto incorrere in ogni tipo di protesta da parte di altri e
lui aveva già i suoi grattacapi a riguardo.
C’era
già Basch, seduto sulla sua sedia a braccia incrociate e con
un fucile appoggiato allo schienale.
« Avevo detto
niente armi. »
«
È scarica. »
« Questo non
ti giustifica. » Basch alza le spalle, incurante della sua
critica, mentre Feliciano fa un giro particolarmente largo dal
portatore dell’arma.
« Non mi
piacciono molto. » sussurra poi quando gli è
abbastanza vicino, e Ludwig gli passa una sedia pieghevole che
Feliciano sistema non vicino a Basch. È il turno di Arthur
di arrivare, questa volta già litigando con Francis. Se
già litigavano prima di iniziare non aveva idea di come
sarebbe andata a finire. Alla fine pure loro si sistemano, Francis
accanto a Feliciano e Arthur nel raggio completamente opposto,
limitandosi a fissarlo in cagnesco.
« Allora come
sta andando, cherì? » chiede Francis, guardando
Feliciano che lo osserva confuso.
« Che cosa?
»
« Non fare il
finto tonto con me. » aggiunge l’altro uomo,
appoggiando il braccio sulla sua spalla con fare ammiccante. Ludwig
vorrebbe intervenire, anche a causa dell’aria di disagio che
aveva preso piede sul viso di Feliciano.
« Se te ne
rimorchi un altro come la prenderà il tuo clandestino?
»
« Ma fottiti
Arthur. »
«
Clandestino? » chiede allora Feliciano, guardando lui.
L’uomo prende la sua sedia, avvicinandola alla propria,
guardandolo come se fosse in cerca di informazioni.
«
È solo un soprannome. » replica, cercando di
apparire il più naturale possibile, ma Feliciano alza un
sopracciglio e gli fa capire di non averci creduto nemmeno per un
attimo. « Diciamo che Antonio non è proprio
regolare da queste parti. »
« Ricordati
di non farlo presente a Lovino che è capace di mandare in
galera tutta la palazzina. » risponde allora Feliciano,
assumendo un’aria più seria.
« State
già litigando? » non aveva fatto caso a Elizaveta,
che era già entrata dentro. « Cavolo, almeno
fatemi salire per prendere la padella. »
« Ti prego,
Elizaveta, siediti. » la donna mette le mani sui fianchi,
guardandolo torva, ma poi segue il suo consiglio e prende il suo posto.
Fa velocemente la sua conta, appurando che gli inquilini del primo
piano alla fine non sarebbero stati presenti come ogni volta che non si
parlava di finanza.
« Allora,
riassunto breve. » inizia, alzandosi in piedi e dando una
veloce occhiata ai presenti nella speranza di ottenere la loro
attenzione. « Siccome è la solita riunione
bimestrale non c’è molto da discutere. »
Feliciano alza una
mano, non era un buon segno. Con un cenno gli permette di parlare.
« È la prima volta che partecipo. » dice
lui, sorridendo. « Di cosa parlate di solito? »
« Ci
lamentiamo di Antonio. » dice Arthur.
« Ci
lamentiamo anche dei tuoi incontri del club di Harry Potter se per
questo. » replica subito Francis e Ludwig fulmina gli altri
due con lo sguardo, nella speranza che ciò serva a placarli.
« Di solito
esponiamo i problemi e approviamo risoluzioni se
c’è qualcosa da pagare. » dice, cercando
di dare un tono alla faccenda. Purtroppo ciò che avevano
esposto Arthur e Francis era quello più affine alla
verità. Non importava. Feliciano sembra accontentarsi delle
loro risposte, e torna a guardarlo. Ludwig si schiarisce la voce,
prendendo l’elenco che aveva preparato.
« Per primo,
la siepe vicino al cancello avrà bisogno di essere potata.
»
« Manderemo
Antonio come sempre. »
« Ma
è legale farlo lavorare? »
« Se non vuoi
pagare un centino per un altro, sì. » Arthur
storce la bocca, ma non commenta altro, mentre lui prende un altro
grosso respiro. Non ce la poteva fare. Elizaveta, dal canto suo, non
aveva aperto bocca. Sembrava concentrata a prendere appunti su un
piccolo taccuino e non sembrava disposta a creargli problemi. Aveva
notato quel comportamento da diverso tempo, ma finché non
gli avrebbe recato fastidio avrebbe lasciato la cosa come stava.
« Comunque
uno dei problemi della lista è il fatto che parli con
Antonio per la tromba delle scale, Francis. Ho ricevuto delle
lamentele. » l’uomo guarda in direzione di Arthur,
ovviamente piccato.
« Puoi dire a
loro di ficcarsi le loro lamentele nel- »
« Francis.
» lo avverte con voce bassa, costringendo l’uomo a
ritrattare le proprie dichiarazioni.
« Dico solo
che dovrebbero farmele di persona. »
« Tu non le
ascolti! » esclama Arthur. « Io non voglio stare a
sentire ogni mattina voi due che vi comportate come due sposine.
»
«
Cos’è, sei geloso? »
« Ma chi
cazzo vuoi che sia geloso? »
La situazione stava
sfuggendo di mano e non era nemmeno a un quarto della sua lista. Al suo
fianco, Feliciano aveva accettato un sacchetto di patatine che gli
aveva offerto Elizaveta, sgranocchiandolo divertito, mentre questa
continuava a prendere nuovi appunti con una velocità
impressionante. Aveva paura di darci un’occhiata poi.
« Se volete
sfidarvi a duello ho due pistole d’epoca che fanno al caso
vostro. » dice allora Basch, attirando l’attenzione
di tutti. I due uomini si guardano, improvvisamente più
quieti, e si siedono nuovamente. Lui si schiarisce la voce, grato che
la proposta di Basch avesse il potere di calmare i bollenti spiriti.
« Gli
parlerò. »
« Lo dici a
ogni riunione. » commenta piatto lui, incappando nella sua
occhiataccia. « Personalmente non è un mio
fastidio, ma come responsabile devo tenere conto di tutte le lamentele.
»
«
Vedrò cosa posso farci. » risponde allora Francis,
e questa volta sembra convincerlo un po’ di più.
Non credeva sarebbe stato semplice riformare Antonio, ma almeno lui
aveva fatto il suo dovere. Sentiva lo sguardo di Feliciano su di
sé durante tutto il processo, ma non riusciva a ricambiarlo.
Forse si stava annoiando, oppure si era pentito di essere venuto.
« Sempre se si possa fare qualcosa per quello che quando
è ubriaco si spara a tutto volume
“you’ll never walk alone”. Speranza vana
ma tant’è. »
« E chi ti ha
detto che sono io? »
« Io non ho
fatto nomi. » Francis fa un sorrisetto, lieto di averlo colto
il fallo. A quel punto anche a lui non rimaneva niente da aggiungere,
se non sedersi e aspettare che avessero terminato. Arthur allora scatta
in piedi, pronto ad avventarsi fisicamente sull’altro.
«
È sempre così? » chiede allora
Feliciano, al suo orecchio. Si ritrova ad annuire. Ogni volta lavorava
allo sfinimento per proporre un programma serio che non veniva mai
rispettato. Avrebbe dovuto lasciar perdere, certo, ma il suo senso del
dovere glielo impediva. « È più
divertente delle riunioni dove abitavo prima. »
Non sapeva molto della
vita di Feliciano, e un simile dettaglio rimarcava la sua ignoranza in
merito. « Non so come tu possa considerare divertente due
uomini più vicini ai quaranta che ai trenta che si saltano
alla gola. »
« Ha un suo
fascino. » replica allora Feliciano, che gli allunga il
sacchetto di patatine che lui, alla fine, accetta. Non gli rimaneva
altro che attendere con pazienza la fine.
« E poi se
sai che passa il postino che ti costa ritirare i pacchi? »
« Non sono il
portiere! »
« Ma se ti
comporti come tale! » quello era decisamente un classico. Una
volta che Francis rinfacciava ad Arthur simile cosa spesso Basch
scattava in piedi, cosa che vede succedere.
« Ha ragione!
» esclama, e ormai Francis non si stupisce di avere
l’appoggio dello svizzero su quel punto, tanto che sorride
soddisfatto e vittorioso.
« Visto?
» dice, indicandolo.
« Ma sta
zitto. » replica Basch. « Non lo sto dicendo per
farti un favore. »
« Allora
perché parli? » scatta Arthur, avvicinandosi
all’altro e incrociando le braccia al petto. « Se
non hai intenzione di discutere seriamente, tanto vale stare zitti.
»
« Ecco,
diglielo! » non era nemmeno una novità che poi si
sarebbero alleati contro chiunque cercasse di intromettersi nelle loro
discussioni. Gilbert aveva definito quell’evento come
preliminari. Lui aveva alzato un sopracciglio e aveva finto di non aver
sentito simile commento. Stava di fatto che doveva ammettere che quei
due lavoravano bene quando erano insieme, peccato che farli collaborare
era un vero incubo.
Basch comunque stava
passando in svantaggio, contro due avversari come quei due era
difficile spuntarla da soli.
« Se queste
sono le discussioni provvederò a mettere un coprifuoco
sonoro. »
« Non ci
provare! Roderich ultimamente suona il pianoforte dopo la mezzanotte,
se non glielo permetti tanto vale aiutarlo a buttarsi giù
dal balcone! » esclama Elizaveta, taccuino abbandonato sulle
ginocchia.
«
D’accordo, accantoniamo questa idea. » mormora,
tracciando una linea sulla proposta. Almeno una delle cose era riuscito
a determinarla.
« Certo mica
possiamo avere un regime da caserma, a letto alle nove. »
brontola Francis, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio.
« Beh tu
inizi a lavorare da quell’orario in poi. » commenta
Arthur, a braccia sempre incrociate.
« Mi stai
dando della puttana, Arthur? »
« Chi, io?
Certo che no. Non è certo l’unico mestiere che si
può fare a quell’ora. »
« Stammi a
sentire, tu, piccolo- »
« Davvero, ho
delle ottime pistole per un duello, dovreste considerare
l’idea. »
« No Basch.
» si intromette allora lui, cercando di placare la situazione.
« E poi,
insomma, dove la vorrebbe organizzare, nel cortile interno? »
aggiunge Elizaveta, ma il sorriso sparisce sia dal suo volto sia da
quello dei due litiganti. Sapeva a grandi linee quale fosse
l’evento al quale avevano pensato gli altri tre, una sera il
signor Romolo aveva accennato allo studente americano che Arthur aveva
ospitato durante il suo dottorato in Italia. Non era finita bene,
almeno non per Antonio che era stato inseguito da un simile soggetto,
armato, per tutto il cortile interno. Inizialmente non ci aveva voluto
credere, ma più viveva lì e più
trovava le conferme sul fatto che le storie raccontate
dall’uomo erano per lo più vere.
Per qualche momento si
sente solo Feliciano che continua a sgranocchiare sereno, e poi
entrambi gli uomini scoppiano in una risata nervosa.
« No, ma ti
pare? »
« Un duello
mi sembra un po’ troppo. » aggiunge Francis, e
finalmente entrambi tornano a sedersi ai loro posti. Ora finalmente
è di nuovo il suo turno di parlare. In verità
qualsiasi cosa della sua lista avrebbe provocato una lite, ne era
sicuro. Basch, ora, sembrava essere sul punto di provocare lui stesso
un duello.
« Io avrei
una domanda. » dice Feliciano, cogliendolo di sorpresa.
« Io ancora non ho ricevuto le chiavi della cantina, e
nemmeno quelle del terrazzo. A chi devo rivolgermi? » Ludwig
non sa come essergli grato per una simile domanda, finalmente una
richiesta normale.
« Dovresti
inoltrare una richiesta all’amministratore, ma se vuoi posso
farti una copia delle mie. » in genere avrebbe incoraggiato
chiunque a seguire le regole, ma con Feliciano non era così
immediato. Questo gli sorride, contento, e torna a mangiare felice.
« Sembrate
andare d’accordo. » dice allora Francis,
assottigliando lo sguardo.
« Infatti
fanno spesso le scale insieme. » aggiunge Arthur, quasi
dandogli nuovamente man forte.
« La tua
abilità a non farti i cazzi tuoi mi sorprende, Arthur.
» dice Francis, rovinando la sua nuova alleanza.
« Che cosa
hai detto? »
« Non dirmi
che te la sei presa. Lo sanno tutti, non servo certo io per farlo
sapere. » le guance dell’inglese si arrossano,
probabilmente è tanto infastidito da un simile commento.
« Scusa tanto
se la mia vita non è così frizzante come la tua!
» esclama, alzandosi nuovamente in piedi. Era
l’inizio di un’altra discussione. La tregua era
durata meno del previsto. « Io sono una persona seria.
»
« Abbastanza
seria da sapere tutto di tutti. » incalza Francis, ancora
seduto e probabilmente divertito da un simile risvolto di eventi. Non
sembrava essere conscio della valanga di rabbia che probabilmente
l’avrebbe travolto, ma non era affare suo.
È un attimo
prima che Arthur gli salti letteralmente alla gola, prendendolo per la
collottola e strattonandolo più volte. « Dimmelo
ancora, stronzo! » strilla, rosso in viso, mentre Francis si
aggrappa alle sue mani nel tentativo di allentare la presa.
« Mi hai
capito! » urla, e quello era il momento di intervenire. Si
alza con uno scatto dalla sedia, dirigendosi verso i due uomini che
avevano preso a strillare nelle rispettive lingue. Con uno strattone
allontana Arthur, sorpreso dall’intrusione, mentre Elizaveta
di mette di fronte a Francis per arginare un eventuale contrattacco.
« Concludiamo
la riunione qui. »
« Io non ho
finito! »
« Allora
significa che finirai davanti alla polizia. » era la sua
ultima minaccia, e funzionava sempre. L’astio tra i due
sembra appianarsi, tanto che finalmente può lasciare Arthur
andare. Questo senza un commento lascia la stanza, e ben presto sentono
la sua porta di casa sbattere. È solo allora che Elizaveta
si scosta ad Francis, permettendogli di passare. Anche questo non dice
niente, prendendo a salire le scale.
« Prima o poi
si sfideranno a duello. » è il commento di Basch,
prima che raccolga il suo fucile e esca.
« Spero di
no. » dice Elizaveta. « Tu stai bene? »
« Questa
volta non mi ha tirato una testata. » risponde, facendo
sorridere sollevata la donna.
« Posso
lasciare a voi due il resto? » c’era Feliciano
accanto a lui. Era rimasto al suo fianco per tutto il tempo, anche se
per lo più come un silente spettatore.
« Si, certo.
» replica lui, e la donna sorride di rimando, lasciandoli
soli. Insieme risistemano le sedie, e una volta che chiudono la porta
dello stanzino, i tre fratelli del primo piano fanno finalmente la loro
apparizione. In realtà Ludwig poteva dire di conoscere Laura
e Tim, che abitavano l’appartamento, mentre Sebastiaan era lo
sfuggente fratello in giro per l’Europa ma che pagava ogni
loro spesa condominiale. I tre sembravano piuttosto divertiti dalla
serata trascorsa, ignari della tragedia che si era consumata pochi
minuti prima. Il terzetto li saluta entrambi, e loro li fanno passare
prima prendere la strada verso il terzo piano.
«
È stato… movimentato. » dice Feliciano,
dietro di lui.
« Faresti
bene ad abituarti, è così ogni volta. »
« Davvero?
»
« Questa
volta mi è andata bene, a volte Arthur è pure
più incazzato. » Feliciano non risponde,
facendogli credere che il loro discorso fosse finito, ma poi sente la
mano di Feliciano sulla sua spalla. Gli appare preoccupato. «
Ma non è mai successo niente di grave, le schermaglie di
Elizaveta con mio fratello, sono quelle che mandano sempre qualcuno
all’ospedale. » Feliciano non appare sollevato, ma
lo guarda respirare e togliere la mano. Non trovava qualcosa da dire.
Feliciano continuava a
camminargli dietro, ma il silenzio tra di loro aveva assunto
un’aria soffocante. Con le sue azioni lo aveva fatto
preoccupare. Non voleva di certo farlo ma era ciò che era
successo.
Una volta raggiunto il
loro piano sa che devono separarsi, ma non ha voglia di concludere la
serata in quella maniera.
« Senti,
Feliciano. »
«
Sì? »
« Mi
chiedevo, non so se ti ricordi. » lo guarda negli occhi,
cercando di non vacillare più di tanto. « Ti va di
andare a berci qualcosa insieme questo sabato? »
Feliciano rimane in
silenzio. Probabilmente se ne era già dimenticato.
Si sentiva un
po’ un idiota, e stava decidendo come ritrattare la frase
nella maniera più dignitosa possibile quando vede Feliciano
battere il palmo della mano contro la porta, sorridendo. Era un gesto
simile a quello che lo aveva visto fare anche prima, e poi il suo
orecchio coglie delle imprecazioni al di là della porta.
« Mi farebbe
piacere. » gli sorride, togliendo il contatto con la
superficie di legno e avvicinandosi. « Hai qualche idea di
dove andare? »
In realtà
no, preso come era dall’organizzare l’ennesima
riunione andata in fumo non aveva considerato nessuna opzione
passabile. Quando usciva a bere con i suoi colleghi si ripiegava spesso
su locali di stampo tedesco, rendendolo ignorante riguardo alla vita
notturna in stile italiano. « In realtà non sono
molto pratico di locali da queste parti. » Feliciano piega la
testa di lato, sorridendo.
« Io ne
conosco qualcuno carino. » dice, lanciandogli
un’occhiata. « Lascia fare a me. »
Era imbarazzante che
lasciasse organizzare la serata a lui nonostante fosse stato invitato,
ma per una volta doveva cedere terreno ad una persona con molta
più esperienza di lui. Stranamente non si sentiva in ansia
come avrebbe dovuto, ma per tutta la sua vita l’alternativa
era lasciar organizzare le cose a Gilbert e in quel caso davvero non
poteva rimanere sereno. Feliciano gli sembrava più
affidabile sotto quell’aspetto.
« Allora poi
ci sentiamo per i dettagli. » gli dice, recitando una simile
frase quasi in automatico. « Aspetta, credo di non avere il
tuo numero. »
« Nemmeno io.
» Ludwig arrossisce per la cosa, prendendo fuori il cellulare
e registrando quindi il numero dell’altro, dandogli poi un
veloce squillo. Feliciano tiene tra le mani il proprio telefono,
osservando lo schermo. « Così sarà
più facile parlare. » aggiunge, rimettendo
l’apparecchio in tasca. « Buonanotte Ludwig.
»
« Buonanotte.
» lo guarda scomparire dietro la porta, e poi si volta verso
la sua. Si sentiva piuttosto contento. Erano anni che non aveva un
appuntamento. Scuote la testa. No, non era un appuntamento.
Cioè, sì, lo era, ma era un appuntamento come
amici. Non c’era nessun sottinteso né da parte sua
né da quella di Feliciano.
Ci stava perdendo la
testa. In realtà l’idea che fosse un appuntamento
vero lo riempiva di vago entusiasmo.
Il suo telefono vibra,
e sulla schermata appare il nome di Feliciano.
Sorride.
Appuntamento o meno il
loro rapporto era progredito e di quello era contento. Non gli rimaneva
altro da fare se non di tentare di non mandarlo a monte come i
precedenti.
Il resto della
settimana stava trascorrendo senza problemi. Continuava a non vedere
Feliciano troppo spesso, ma ora che aveva il suo numero
l’altro compensava la comunicazione con notizie che trovava
interessanti e meme. La sua galleria si era riempita di quelli, e non
aveva cuore di cancellarli perché Feliciano lì
creava.
Si sentiva un
po’ sciocco a tenere in alta considerazione una cosa simile,
ma la sua memoria continuava a riempirsi e lui non sapeva cosa farci.
Una volta che la loro
comunicazione si era spostata sul digitale, comunque, aveva
l’impressione che fosse più sciolta. Aveva tutto
il tempo per riflettere sulla risposta da dare, e la conversazione
così sembrava proseguire liscia e senza alcun intoppo. Ne
era piuttosto grato.
Il suo telefono vibra,
e Ludwig prende il telefono, aspettandosi di trovarci un messaggio di
Feliciano, ma trovando invece quello di Gilbert che gli chiedeva di
chiamarlo quando avrebbe potuto. Non era un buon segno, e con una scusa
si defila dall’ufficio, infilandosi in corridoio e digitando
il numero del fratello. Questi risponde subito.
« Ehi, West.
»
«
È successo qualcosa? Non dirmi che ti sei dimenticato di
nuovo di pagare una bolletta e sono venuti- »
«
È morto Axel. » le parole di Gilbert erano
lapidarie. « Certo non se lo aspettava nessuno, era
già condannato quando lo abbiamo preso, ma se
n’è andato nel sonno questa notte. »
« Lo hai
portato dal veterinario? »
«
Sì, pensavo di seppellirlo in giardino. »
« Vuoi che
venga? » c’è una pausa
dall’altro capo del telefono.
« No, so che
sei impegnato. E dubito che ti lascerebbero andare per la morte di un
cane. » Ludwig sospira, continuando a chiedere domande quasi
in automatico a cui Gilbert risponde in maniera altrettanto meccanica.
Una volta chiusa la chiamata Ludwig si appoggia al muro, senza
realmente vedere davanti a sé.
Axel era il primo cane
che lui e Gilbert avevano adottato, considerato già
spacciato e nonostante questo aveva vissuto una decade insieme a loro.
Ora non c’era più. Era come se l’ultima
parte della sua infanzia si fosse infranta. Non si sentiva troppo bene,
ma era consapevole di dover tornare a lavorare.
Ora non era certo di
come si sarebbe presentato quel sabato.
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Capitolo 5 *** Quel locale in centro ***
Una volta giunto il sabato il
suo umore non si è per niente risollevato. La sua mente
tornava alla sua casa in Germania e sul come avrebbe dovuto farci
ritorno al più presto. Non riusciva a trovare niente che
potesse fargli tornare il buonumore, e per un momento aveva pure
considerato di disdire l’appuntamento con Feliciano,
pentendosi subito dopo di un simile pensiero. Aveva preso
quell’impegno e doveva portarlo a compimento.
Feliciano comunque
continuava a mantenere il segreto sulla loro meta, stuzzicando almeno
un po’ il suo interesse. Non passava giorno che non lasciasse
qualche piccolo indizio che coglieva la sua curiosità, ma
non abbastanza da farlo giungere a qualsiasi tipo di conclusione. Era
stato tentato di parlargli del proprio lutto ma aveva desistito, non
voleva appesantire altre persone con un suo problema personale.
Non aveva incrociato
Feliciano quella mattina, e ora che era arrivata la sera non aveva idea
di cosa mettersi. Certo non aveva chissà quale scelta, ma
voleva comunque dare una buona impressione. Alla porta bussano,
spingendolo ad andare ad aprirla. Era Feliciano, che in un attimo
l’aveva squadrato da capo a piedi. Si sente improvvisamente
nudo.
« Certo la
scelta è audace, ma credo potrebbe ugualmente andare.
» commenta, facendolo arrossire.
« No, non
sono ancora pronto! Sono ancora le sette. » esclama.
Feliciano allora sgrana gli occhi, indietreggiando di un passo.
« Scusa.
» sussurra, imbarazzato. « É
che sono tanto contento di uscire, poi il posto dove andiamo
è un sacco particolare, me l’ha consigliato un mio
amico, e dobbiamo andarci in metro quindi- » lui alza una
mano per bloccare il fiume di parole, scostandosi per invitarlo a
entrare.
« Non ti
preoccupare. » replica, vedendo l’altro tremare,
probabilmente dal nervoso. « Anzi, apprezzo che tu sia in
anticipo. » Feliciano si volta verso di lui, ancora
visibilmente nervoso. Con un gesto lo invita ad accomodarsi, nella
speranza di cavargli il genere di locale in cui sarebbero andati.
Doveva anche controllare di avere abbastanza soldi nel portafoglio.
« Io vado a
cambiarmi. » gli dice, per poi prendere la strada verso la
propria stanza e chiudere la porta dietro di sè. Si sentiva
improvvisamente agitato all’idea di spogliarsi con un altro
uomo a pochi metri di distanza da lui. Non era certo la prima volta che
gli succedeva, anche con un uomo nella sua stessa stanza, ma sembrava
aver completamente dimenticato quella sensazione di imbarazzo e
tensione che faceva tendere ogni cellula del suo corpo.
Il suo armadio ora gli
appariva come un temibile avversario, e qualsiasi capo
d’abbigliamento che possedeva gli sembrava inadatto.
Dopo diverse prove
aveva optato per un vestiario semplice, non troppo formale e
possibilmente comodo. La serata per lui sarebbe stata lunga.
Una volta riaperta la
porta cerca con lo sguardo Feliciano, che si trovava davanti al ripiano
dove teneva le sue foto di famiglia. O meglio, le fotografie di Gilbert
e dei loro cani. L’altro uomo sembrava molto preso dalla sua
osservazione, tanto che fa un balzo sorpreso quando lo sente
avvicinarsi.
«
É tuo fratello? » gli chiede, indicando
l’unico essere umano presente in tutte quelle fotografie.
«
Sì. »
« E tutti
questi cani? »
« Sono quelli
che abbiamo adottato o che abbiamo avuto in affidamento. »
« Sono tanti.
» ora che le guardava, la figura di Axel spiccava tra gli
altri. Probabilmente perché gli mancava. Entrambi rimangono
in silenzio, almeno finché Feliciano non gli tira la manica.
« Sei pronto
ad andare? » chiede, sorridendo.
« Mi metto le
scarpe e lo sono. » l’altro sembra compiaciuto
dalla sua risposta e lo precede all’entrata. Ludwig lo segue,
si assicura di chiudere la porta e si affida completamente alla sua
guida. Era strano prendere i mezzi senza avere una meta specifica, e
non aveva mai dimenticato la sensazione di smarrimento provata quando
per la prima volta il suo autobus aveva preso una deviazione senza
alcun tipo di avviso. Ora che aveva Feliciano vicino, però,
temeva un simile risvolto un po’ di meno.
La sua mente durante
tutto il tragitto era stata distratta da Feliciano, che aveva ripreso a
parlare, tanto che era sicuro che non sarebbe mai stato in grado di
ripercorrere quella strada alla stessa maniera. L’altro
però sembrava così sicuro di quello che stava
facendo da trasmettergli un vago senso di sicurezza.
Una volta fuori dalla
metro e dopo due autobus il percorso si era fatto più
tortuoso tra le vie del centro, almeno finché non erano
giunti ad una piccola piazza nel centro storico che sembrava sfuggire
all’occhio comune. Era tentato di cercare quel posto sulla
mappa ed era certo che non sarebbe stato in grado di trovarlo.
C’era una
piccola fontana su uno dei lati della piazza, circondata da un qualche
tipo di pianta rampicante che sembrava emettere un lieve bagliore alla
luce fioca dei lampioni. C’erano poche persone, e la maggior
parte di loro si stava dirigendo verso la loro stessa meta. Una piccola
e discreta enoteca.
« Certo, so
che preferisci la birra, ma hai detto che ti piace anche il vino quindi
credo il posto che ti piacerà. »
« Mi fido.
» gli risponde, ottenendo un sorriso raggiante. Una volta
entrati Feliciano si dirige subito verso un cameriere, che non tarda a
farli accomodare al più presto.
« Ho fatto
bene a prenotare. » gli dice, indicando con un cenno del capo
la breve fila di persone a cui era stato detto di attendere.
« Sarebbe stato imbarazzante portarti qui e farti rimanere in
piedi. »
Si sentiva riempito di
premura, e non riesce a smettere di sorridere debolmente nemmeno quando
il cameriere porta loro il menù. Feliciano ci impiega
un’infinità a scegliere cosa mangiare, ma entrambi
optano per la stessa bottiglia di vino e la loro cena può
finalmente iniziare.
« Sono
contento che il posto ti piaccia. » dice allora Feliciano,
appoggiandosi su una mano e piegando la testa di lato.
«
É molto… caratteristico. »
dice, dopo una ricerca della parola più adatta. La posizione
appartata del tavolo, la loro sistemazione uno di fronte
all’altro, la luce soffusa. Tutto lo faceva pensare a un
appuntamento in piena regola. Probabilmente era quello che desiderava.
« Nemmeno io
ci sono mai stato. » ammette l’altro, sorridendo.
« Ho passato l’intera serata a leggermi le
recensioni di questo posto. »
« Ne
è valsa la pena? »
« Lo sapremo
una volta aperto il vino. » a quelle parole arriva il
cameriere, portando loro la loro scelta, aprendola e elogiandone le
qualità. In effetti, mentre lo sorseggiava, Ludwig ammetteva
che fosse piuttosto buono. Feliciano fa lo stesso, rivolgendosi al
cameriere e facendosi lasciare la bottiglia.
Erano nuovamente soli.
«
É un po’ che non ci vediamo. »
esordisce Feliciano, sorridendo. « É
successo qualcosa? » la sua mente va subito alla chiamata
avuta col fratello, ma scaccia quel pensiero. Non doveva appesantire la
serata.
« Roderich ha
cambiato repertorio, è passato a suonare Haydn alle due di
notte. »
« Ed
è un bene? »
« Per quanto
ne so è il preferito di Elizaveta. »
«
É molto romantico. » dice Feliciano.
« Intendo, che lui suoni simili pezzi per lei. »
Ludwig torna a respirare, annuendo. Si sentiva messo sotto esame per
ogni parola o movimento.
« Quelli che
abitano sopra di te non sembrano apprezzare. Una volta ho sentito
Francis urlare di suonare almeno Debussy. » Feliciano
sorride, divertito.
« Lo ha
fatto? »
« Elizaveta
ha replicato che il marito non accettava commissioni. »
« Non sono
sorpreso. Sembrano molto affiatati. »
« Lo sono.
» vede l’altro assottigliare lo sguardo, prima di
assumere un’aria più curiosa.
« Come fai a
dirlo? »
« Non lo so.
É una sensazione. » Feliciano davanti a
lui torna a rilassarsi, e sorride al cameriere che appoggia gli
antipasti e li lascia nuovamente da soli. « Un matrimonio
così mi da l’impressione di essere felice.
»
« Non tutti
hanno questa fortuna. » dice allora Feliciano, guardando nel
suo calice di vino e prendendone un sorso.
« Lo penso
anch’io. » dice, imitandolo. « Pensavo
fossi un tipo più romantico. »
« Lo sono!
» esclama Feliciano. « Sono un vero esperto
dell’amore. Se hai problemi con la tua fidanzata puoi
rivolgerti a me! » Ludwig sorride, e prende un sorso di vino.
Era improbabile che si sarebbe mai rivolto a Feliciano per problemi di
cuore con le donne, ma non era certo di volerglielo dire. Apprezzava
però la buona volontà.
« Per ora non
credo ce ne sia alcun bisogno. » replica. « Non
sono fidanzato. »
« Come no?
Credevo che per come sei fatto fossi già prossimo al
metterti l’anello al dito. »
« Hai una
tale pessima immagine di me? » Feliciano emette una risatina.
« Comunque sono sempre stato troppo focalizzato sul mio
lavoro. »
« Ti capisco.
Quando lavoro non sento nemmeno quando qualcuno mi rivolge la parola.
» lo vede arrossire. « Forse sto esagerando.
»
« No, lo
capisco. » l’altro uomo appare più
sereno. « Quello che fai richiede certamente tanta passione e
anche più concentrazione. »
« Mi
lusinghi. Lovino non fa altro che ripetere che il mio lavoro
è inutile. »
« Restaurare
opere d’arte è un lavoro fondamentale. Senza
l’arte non saremmo diversi dagli animali. »
«
É un concetto piuttosto severo. »
« Forse lo
è. Ma voleva essere un complimento. »
«
L’avevo capito. »
Feliciano continuava a
stupirlo, a coglierlo di sorpresa. Se fino a poco prima lo aveva sempre
pensato come un vicino di casa spensierato e rilassato, la luce di
quella sera glielo presentava come un uomo completamente diverso.
Appassionato del suo lavoro e consapevole di ciò che amava.
« Comunque
è ammirevole che sei riuscito a trovare lavoro subito dopo
l’università. » dice, cercando di darsi
una calmata.
« Che
intendi? »
« Insomma,
sei molto giovane e già ti dedichi a lavori importanti.
Qualcuno avrà notato il tuo talento. » a quel
punto Feliciano scoppia a ridere, e cerca di coprirsi la bocca per non
alzare la voce e non farsi notare. Ludwig lo osserva per un
po’, chiedendosi cosa avesse detto di sbagliato.
« Se non
sapessi come sei fatto penserei che ci stai provando con me.
»
« Che
intendi? »
« Ludwig, io
ho passato la trentina d’anni da un po’.
» il vino che stava bevendo per poco non gli va di traverso.
« Stai
scherzando. » dice, cercando di non tossire.
« No.
»
« Mi stai
davvero dicendo che sei più grande di me? »
Feliciano inarca un sopracciglio, cercando di trattenere
un’altra risata.
« A quanto
pare sì. » una simile rivelazione lo aveva colto
di sorpresa. Feliciano sembrava essere nel pieno dei
vent’anni eppure ora scopriva che aveva una decade in
più. Certamente non li dimostrava. Certamente non sembrava
essere più grande di lui, eppure era così.
« Mi sembri sconvolto. »
« Solo, mi
sembri così giovane. »
«
É di famiglia. Persino nonno è arrivato
fino ai sessant’anni senza un capello bianco. Spero di avere
la stessa fortuna. »
« Sono sicuro
di sì. » è nuovamente il turno del
cameriere di interromperli, l’uomo appoggia i loro piatti e
dopo una breve presentazioni li lascia di nuovo da soli. La sua scelta
si era rivelata molto buona, tanto da destare persino la
curiosità di Feliciano.
« Me lo fai
assaggiare? » lui annuisce, allungandogli la forchetta quasi
senza pensare. Vede Feliciano arrossire, il che lo fa irrigidire. Aveva
agito d’impulso, come se fosse stato a casa con Gilbert, e
ora non sapeva se proseguire o ritrattare la sua azione. Feliciano,
comunque, allunga il suo corpo in direzione della posata e assaggia il
contenuto, per poi ritirarsi.
«
É buono. Vuoi sentire il mio? » non
aveva idea di cosa rispondere, e l’altro sembra intuire il
suo disagio, prendendo l’iniziativa e mettendo una piccola
parte sul suo piatto. Gli sorride, ancora pieno di imbarazzo, e lo
assaggia. Rimangono in silenzio fino al termine della pietanza, e lui
inizia a percepire nuovamente il disagio del silenzio.
« Mi avevi
detto che tu e tuo fratello avevate dei cani. »
«
Sì, un paio. »
« Mi
è sembrata più una dozzina dalle foto.
»
« Facevo
volontariato in un canile, mio fratello lo fa ancora. »
« Deve essere
stato bello. » commenta Feliciano.
« Non quando
Gilbert, la mattina presto, li sguinzaglia in giardino al ritmo di
“who let the dogs out”. Non ridere, il vicinato ci
odia abbastanza per questo motivo. » Feliciano si copre la
bocca, ma è visibilmente divertito.
« Non ti
sarai mai annoiato. »
« Con mio
fratello? Credo che sia impossibile, ovunque vada succede qualcosa.
É l’unico che ha mai avuto il coraggio di
infastidire Elizaveta, e pure quello che è finito per ben
due volte in pronto soccorso a causa di concussione da padellata. Ha
persino battuto il record di Francis, lui si era fermato a una.
»
« Mio nonno
mi aveva accennato di questo, ma ho sempre pensato che avesse
esagerato. Ora inizierò a pensare che pure la storia del
pony nell’ascensore sia vera. »
« No, quella
penso sia davvero la storia romanzata dell’ascensore rotto.
Non ci ho mai creduto. »
«
Sì, in effetti dubito che nell’ascensore del
condominio potesse davvero trovarsi un pony maritato con una senatrice.
» entrambi sospirano, vittime del racconti di Romolo.
Quell’uomo ne aveva sempre una da raccontare. «
Sarebbe davvero assurdo. »
« Il signor
Romolo aveva tanta fantasia. »
« Dillo a me.
Da bambino ha convinto Lovino che fossero gli scoiattoli a fare la
pipì nel letto, e lui ci ha creduto fino alle elementari.
Magari questo non dirgli che te l’ho detto. »
Ludwig si passa il pollice e l’indice sulle labbra, per
fargli capire che il suo segreto era al sicuro con lui.
La serata stava andando
piuttosto bene, nonostante le sue ansie. La bottiglia di vino stava
finendo e avevano iniziato a consumare il secondo.
« Ora che ci
ripenso, ogni giorno con mio nonno era un’avventura. Non ho
mai avuto la percezione che fosse un uomo anziano. »
Feliciano sembrava parlare più a se stesso che a lui, ma poi
lo vede sollevare il viso e sorridergli. « Di certo non posso
dire di essermi annoiato quando ero bambino. »
« Sono sicuro
che hai dei ottimi ricordi di lui. » il sorriso di Feliciano
si trasforma, diventa un po’ più malinconico.
«
Sì, è così, ma preferisco pensare a
questa cena e fare in modo che anche questa sera diventi un bellissimo
ricordo. » ormai non riusciva a capire se era sincero
imbarazzo a farlo arrossire oppure era il vino, ma arrivato a quel
punto della cena non gli importava più di tanto. Era
consapevole del fatto che ogni volta che Feliciano piegava la testa, o
si aggiustava i capelli, o incurvava le labbra all’angolo
destro la sua mente li percepiva come flirt. Non gli rimaneva altro da
capire se non che fossero volontari o meno.
« Sono sicuro
che lo sarà. » Feliciano apre bocca, appare
confuso, ma riprende la sua aria spensierata e allunga la mano verso il
calice, portandolo accanto al suo bicchiere e picchiettandolo
leggermente contro il suo.
« A questa
serata allora. » si trova ad annuire e finisce di bere la sua
parte, sentendosi più rilassato. Seguono racconti
d’infanzia, quei pochi che Feliciano ammetteva di ricordare
insieme al fratello, lui aggiunge i propri insieme a Gilbert, ridono
della propria ingenuità infantile.
Le risate terminano
quando si tratta di pagare il conto, che per una volta riesce a vincere
lui nonostante le proteste di Feliciano a riguardo.
« Allora io
offro il gelato. » esclama, aggrappandosi al suo braccio una
volta che sono usciti all’aria. Nonostante fosse notte
inoltrata nell’aria si sentiva ancora il calore estivo che
permeava la città. Era certo che per tornare indietro
avrebbero dovuto prendere un taxi.
«
D’accordo. » si trova a dargli retta, convincendosi
che ormai tanto valeva farlo. Feliciano lo porta in un luogo che sembra
conoscere bene. Anche in quel caso l’altro impiega tanto
tempo per scegliere i sapori che gli piacciono di più, ma
alla fine riescono ad uscire dalla gelateria, sistemandosi seduti su un
muretto lungo la strada.
« Mamma mia,
il gelato di qui mi era mancato così tanto. »
« Come mai?
»
« Non lo so.
Quando sono al nord non ne ho mai trovato di così buono.
Forse è perché ha lo stesso sapore della mia
infanzia. »
«
Cioè? » gli chiede lui, abbozzando una risata.
« Non so come
spiegarlo. » risponde Feliciano, prendendo un’altra
leccata dal suo cono. « É più
buono. »
Lui non inquisisce
oltre, cercando di non guardarlo in maniera troppo avida. La luce del
lampione illuminava Feliciano in maniera particolare, rendendolo come
una figura immortalata in una fotografia. Non sembrava nemmeno un
essere umano.
Era rimasto comunque a
fissarlo più del dovuto. « …vevo detto
che dovevi prendere la nocciola. » lo sente dire, e batte un
paio di volte le ciglia. Feliciano allunga il cono nella sua direzione.
« Avanti, assaggia. » un simile gesto lo coglie di
sorpresa, se fosse nelle sue condizioni normali avrebbe gentilmente
declinato, ma ormai aveva trascorso la serata con Feliciano, avevano
già condiviso il cibo, e mettere bocca dove fino a poco
c’era stata la sua non gli sembrava più
così inadeguato.
Con calma lecca uno
strato del gelato, portandosi una mano sulla bocca. «
É buono. » risponde, facendolo
sorridere. Feliciano riavvicina il gelato a sé, riprendendo
a mangiarlo proprio dal punto in cui lui l’aveva toccato.
Aveva un qualcosa di erotico con quel gesto. Non se lo spiegava.
Non si dicono
più niente, nonostante riesca a percepire lo sguardo
dell’altro su di sé, ma non si sente a disagio.
Era da tanto tempo che non riusciva a godersi serenamente una serata
estiva, e finalmente grazie a Feliciano ci stava riuscendo.
L’aria calda della notte lo faceva sentire bene, e
così anche la presenza di Feliciano al suo fianco.
Finiscono il gelato, e
con calma si avviano verso la strada principale alla ricerca di un
taxi. Feliciano estrae il telefono dalla tasca, impallidendo.
« Tutto ok? » lui annuisce, nonostante il visibile
nervosismo.
«
É Lovino. Mi sono scordato di dirgli quando tornavo.
» lo osserva armeggiare con il cellulare, concentrandosi
sulle sue dita sottili. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. E
non era certo colpa del vino. Doveva concentrarsi per cercare un taxi,
più che altro.
Per fortuna non ci
impiegano così tanto come avevano temuto, e il viaggio di
ritorno trascorre in completo silenzio. Nemmeno il tassista era di
troppe parole. Una volta arrivati Feliciano insiste a pagare, e lui si
sente improvvisamente troppo stanco per mettersi a discutere con lui.
Con calma apre il cancello, facendo passare l’altro.
C’era odore di bagnato, probabilmente Antonio aveva
innaffiato la siepe. Feliciano si trascina fino al portone del palazzo,
aspettando che sia lui ad aprire anche quella porta. La serratura
scatta, permettendo loro di entrare nell’atrio. Erano ormai
le tre di notte, quindi tentando di fare il meno rumore possibile
salgono le scale, Feliciano inciampa costringendolo a sorreggerlo per
il resto della salita. Sembrava improvvisamente più stanco
di lui.
« Lasciami
qui, Lud. Posso dormire sul pavimento. » roteando gli occhi
passa una mano sul suo fianco, spingendolo a camminare insieme a lui.
«Davvero, in questo momento mi sembra tanto comodo.
»
« Credo che
il tuo letto in questo caso lo sia di più. »
« Lo sarebbe
se ci fossi dentro anche tu. »
« Non
scherzare. »
« Non
scherzo. Mi dai l’idea di essere un enorme, caldo peluche.
»
« Fa
già caldo di suo, che ti servo io? » Feliciano lo
fissa con lo sguardo annebbiato, come se cercasse una risposta senza
trovarla.
« Soffro di
freddo. » dice, assumendo un tono fintamente serio.
« E io
soffrirò le urla di tuo fratello domattina se non ti riporto
a casa. » Feliciano corruccia le labbra, con contento di
simile risposta, ma non protesta più, facendosi accompagnare
per le scale. Quando raggiungono il loro piano sembra passata
un’eternità e gli sembra di aver svegliato tutto
il condominio facendo rumore. Feliciano è ancora appoggiato
al suo fianco, ma sembra più lucido rispetto a quando
stavano salendo.
« Hai le
chiavi? » l’altro le prende dalla tasca,
sventolandole.
« Ovvio.
»
« Allora
buonanotte. » Feliciano sembra sul punto di dire qualcosa, ma
finisce con l’avvicinarsi e lo abbraccia con improvviso
trasporto. Lui si irrigidisce, non sapendo come rispondere a
quell’inaspettata manifestazione d’affetto.
«
É stata una bella serata. Mi sono divertito tanto.
» Ludwig si sente felice, e riesce a ricambiare la sua
stretta. Feliciano emette una lieve risata, ma non da alcun cenno di
volersi togliere. Lui si sente bene, per la prima volta in quei giorni.
Feliciano era riuscito a fargli dimenticare le sue preoccupazioni e i
suoi problemi, anche se solo per una serata. Aveva un dono.
« Feliciano?
»
«
Sì? »
« Credo sia
meglio che tu torni a casa. »
«
Perché? »
« Ho
l’impressione che se continui così ti
addormenterai in piedi. » l’altro uomo emette uno
sbuffo, apparentemente divertito.
« Non
è colpa mia se sei comodo. » non trova niente da
replicare, ma lo accompagna comunque fino alla sua porta, guardandolo
maneggiare le chiavi e infilarle nella toppa, per poi girare il
chiavistello. Questa fa un suono meccanico, e finalmente la porta si
apre.
« Allora
buonanotte. » gli dice, togliendo l’ultimo contatto
fisico che avevano. Lui sente improvvisamente freddo, ma non se ne
lamenta, guardando Feliciano fino all’ultimo istante e solo
dopo che la porta si è chiusa si dirige verso la propria.
Una volta dentro prende
dei lunghi respiri, infilandosi sotto la doccia e cercando di mettere
in ordine i pensieri. Era stata una bella serata, forse addirittura un
po’ troppo per lui. Feliciano era stato affascinante,
ammaliante, piuttosto seducente nei suoi confronti. Non sapeva dire se
fosse un qualcosa di naturale o volontariamente diretto a lui.
Doveva solo chiedersi
se fosse quello ciò che voleva. Dentro di sé
sapeva la risposta. Lui voleva che Feliciano fosse interessato a lui.
Era un qualcosa che la sua razionalità aveva tentato di
reprimere, ma arrivato a quel punto doveva ammettere a se stesso che
l’interesse che provava non era per niente amichevole.
Avrebbe dovuto fare un
passo in avanti, ma un vago timore di aver frainteso la situazione si
annidava in un angolo della sua mente. D’altronde lui aveva
una maniera di approcciarsi completamente diversa, forse per
l’altro era la normalità.
Getta la testa sotto il
getto d’acqua, cercando di rifletterci in maniera
più chiara possibile. Voleva capire cosa fare, ma ormai
dovevano essere le quattro di mattina e lui sapeva che non avrebbe
cavato fuori nessuna buona idea. Sapeva solo che doveva fare un
tentativo, il come e il dove erano ancora una grande incognita.
Una volta uscito dalla
doccia si infila a letto, prendendo in mano il libro nella disperata
ricerca del sonno, ma non riesce nemmeno a vedere il testo davanti a
sé. La sua mente ripercorre la serata, analizza ogni
dettaglio, maledice di essere stata deviata con del buon vino. Non
poteva pensare in maniera lucida.
Sentendosi stanco
appoggia il libro sul comodino e spegne la luce, infilandosi sotto le
lenzuola. Dalla finestra proveniva una lieve brezza, ma nemmeno quella
riusciva a togliere la sua attenzione dalla serata e da Feliciano.
Continua a pensare al suo sorriso, alle sue dita sottili, a quel gelato
condiviso e ai loro ultimi istanti insieme. No, non c’era
niente di fraintendibile in quello.
Non poteva rimanere
passivo di fronte a tali provocazioni. Doveva provare, vincere o
fallire nel tentativo. Rimanere fermo non l’avrebbe portato
da nessuna parte, se rimanere così non avrebbe mai saputo
come sarebbe stato baciare l’altro. Simile pensiero lo fa
arrossire, facendolo tornare come quando aveva dato il suo primo bacio,
ed è allora che finalmente riesce a sprofondare in un breve
e disturbato sonno.
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Capitolo 6 *** In vino veritas ***
Era passata una settimana da
quella serata.
Ludwig non capiva cosa
avesse fatto di sbagliato. Non era più riuscito a vedere
Feliciano. Certo l’uomo rispondeva ai suoi messaggi, non
sembrava per niente indispettito nell’essere contattato, ma
la sua presenza era diventata un qualcosa di sfuggente e intangibile
per lui. Non riusciva più a incontrarlo.
Forse aveva davvero
frainteso il tutto. Così erano trascorsi dei giorni ed era
nuovamente arrivato un sabato. Non aveva il coraggio di invitarlo ad
uscire, così aveva scelto un museo da visitare e ci aveva
trascorso dentro tutta la giornata. Mentiva a se stesso se diceva di
non pensare a Feliciano. I suoi pensieri tornavano puntualmente a lui.
Era certo di non aver sbagliato niente, ma una simile reazione lo aveva
spiazzato. Forse Feliciano si era pentito e lo stava evitando per
quella ragione. La mattina si era svegliato, aveva riconsiderato la
serata e aveva scelto di non voler più parlare con lui. Non
riusciva a spiegarsi perché.
Il ritorno a casa gli
pesa, ma era stanco dalla giornata che aveva trascorso in solitudine e
desiderava solo dare un’occhiata ai documenti che si era
portato dal lavoro, per poi infilarsi a letto in compagnia del suo
nuovo libro. Dall’appartamento di fronte al suo non giunge un
suono, e lui si trova a sospirare, entrando in casa. Si era
così abituato al saluto di Feliciano che non riceverlo lo
faceva sentire a disagio.
In casa regna il
silenzio, e per una volta Ludwig lo trova soffocante. La serata
continua a scivolargli addosso, ma si sente così demotivato
che non ha alcun desiderio di cucinare qualcosa. Si siede sul divano,
scorrendo con lo sguardo i documenti, senza realmente vederli.
Continuava ad analizzare il suo comportamento, senza trovare delle
effettive falle in esso. Qualsiasi cosa avesse allontanato Feliciano
sicuro non sarebbe riuscito a porci alcun rimedio.
Un gentile bussare lo
desta dai suoi pensieri, spingendolo a voltarsi verso la porta. Solo
una persona bussava in quella maniera. Si alza di scatto, inciampando
nei suoi piedi, ma riesce ad arrivare alla porta e ad aprirla.
C’era Feliciano di fronte a lui. Sentiva l’impulso
di abbracciarlo, ma si trattiene, cercando di mantenere una
dignità.
« Tutto bene?
» gli chiede lui, sorridendo. Era lo stesso sorriso che ormai
riempiva la sua mente.
«
Sì, sì. Sto bene. »
« Mi fai
entrare? » lui si scosta in maniera quasi meccanica,
facendolo passare e chiudendo la porta dietro di sé.
L’altro uomo alza il braccio, facendogli notare una bottiglia
di vino. « Dobbiamo festeggiare. »
«
C’è qualche ricorrenza particolare? »
« Certo che
sì. » annuisce Feliciano. « Mi hanno
finalmente pagato l’ultimo lavoro di restauro. »
gli aveva accennato qualcosa a riguardo della diatriba riguardo quella
faccenda, ma Feliciano stesso l’aveva liquidata in poche
parole e questa era stata archiviata nell’angolo della sua
mente.
« Questa
è una buona notizia. » dice, guardandolo
appoggiarsi allo schienale del divano.
«
É un ottima notizia. É per
questo che ho portato il vino. »
« Vino?
»
« Per
festeggiare. » l’altro sembra dirlo come se fosse
la cosa più naturale al mondo. « Hai dei calici?
»
« Credo di
averne. » Feliciano sembra compiaciuto e lo osserva sedersi,
andando poi in cerca di due calici di vino e di un cavatappi. Il
secondo lo trova senza troppi problemi, ma per i primi non esita a
farsi qualche pensiero in più. Gli sembravano troppo scialbi
per quello che si apprestavano a celebrare. Non riusciva a capire
nemmeno perché Feliciano volesse festeggiare una cosa
simile, con lui poi. Sarebbe stato più sensato che lo
facesse con Lovino, non con un vicino conosciuto un mese fa con il
quale aveva avuto un appuntamento durante il quale l’aveva
conquistato senza riserve.
Lo aveva ammesso a se
stesso, Feliciano gli interessava, ma il lato più paranoico
del suo carattere metteva sempre in dubbio l’interesse
dell’altro, facendogli pensare di aver ingenuamente
frainteso.
« Ludwig?
» la voce di Feliciano lo richiama alla realtà,
facendogli afferrare in fretta i due calici e tornare verso il salotto.
Non voleva che nell’attesa Feliciano cambiasse idea.
«
Sì, arrivo. » quando rivede l’altro, il
viso di questi è raggiante. Con cura appoggia i due
bicchieri sul tavolino, per poi prendere la bottiglia che era ancora in
mano a Feliciano e aprirla con un certo tatto. Versa ad entrambi, per
poi prendere il calice e offrirlo a Feliciano, che lo accetta e ne
prende un sorso.
«
É più buono di quello che mi aspettavo.
» ne prende un sorso anche lui, osservando il liquido scuro.
« Ha un
sapore particolare. »
Tra di loro cala il
silenzio, ma Ludwig non sa dire se si sente a disagio o meno.
« Sai, ho
pensato molto a sabato scorso. » inizia Feliciano, spostando
lo sguardo su di lui. Si scopre a deglutire, nervoso. « Mi
sono reso conto che non so molto di te, Ludwig. »
« Sai dove
abito. » dice, rendendosi conto della sciocchezza
pronunciata. Feliciano emette uno sbuffo divertito, e immagina non se
la sia presa.
« Questo
depone a tuo favore. » commenta, prendendo un altro sorso.
« Intendevo che ho tante informazioni, ma non credo di sapere
di te come persona. »
« Cosa vuoi
sapere? » non era da lui aprirsi in quella maniera, ma
dà la colpa al vino e allo stomaco vuoto anche se ne aveva
preso un solo sorso. La verità era che si sentiva ubriaco di
Feliciano. Questi sembra rimuginare seriamente sulla risposta da dargli.
« Facciamo
così. Io prendo un sorso di vino, e ti faccio una domanda.
Tu dovrai rispondere nella maniera più sincera possibile.
Una volta finita sarà il tuo turno. » si trova ad
annuire. Aveva già giocato a qualcosa di simile quando era
all’università. Non gli sembrava niente di nocivo
o pericoloso.
«
D’accordo. Inizia pure. » Feliciano prende un lungo
sorso d vino, come se dovesse farsi coraggio, e si volta nella sua
direzione.
« Hai mai
preso delle multe? »
« Una volta,
quando dovevo andare a prendere mio fratello dall’aeroporto.
» Feliciano sembra compiaciuto, e lo fissa. Lui prende un
sorso, pensando sulla domanda da porre all’altro.
« Sei mai
stato all’estero? » Feliciano arriccia il naso nel
sentire simile domanda, ma sembra pensarci seriamente.
« Sono stato
in Francia per un corso d’aggiornamento, e andavo spesso con
mio padre in Austria. »
« Sei capace
di parlare tedesco quindi? »
« Eh no,
questa domanda te la devi tenere, è il mio turno.
» Ludwig arrossisce per essere stato ripreso, ma osserva
Feliciano finire il suo bicchiere, e si premura di riempirlo mentre
questi pensa alla domanda da fargli.
« Hai dei
tatuaggi? » arrossisce.
«
Sì. »
« Dove? Fa
vedere! » Ludwig sospira, tirandosi su la manica destra della
maglietta, e Feliciano si avvicina, osservando la figura stilizzata di
un’aquila nella parte interna del braccio. Percepisce le sue
dita toccare il lembo di pelle, accarezzarlo piano. « Wow,
sembra un sacco figo. Io non potrei mai, mi sembra fare un sacco male.
»
« In
realtà non più di tanto. » risponde,
abbassando poi la manica mentre Feliciano tornava al suo posto.
« Tocca a te.
» il vino scivola giù per la sua gola, e si trova
a fissare il soffitto in cerca di una domanda adatta. Non desiderava
farne di troppo personali, anche se la curiosità si stava
facendo strada verso di lui.
« Mai passato
la notte sveglio fino alla mattina? »
« Intendi la
mia normale giornata lavorativa? » replica Feliciano,
sorridendogli. Entrambi ridacchiano, e Ludwig percepisce il calore
farsi forte. Era certamente il vino. Anche le guance di Feliciano si
erano arrossate, e credeva non si trattasse del calore estivo.
Un altro sorso di vino,
un’altra domanda.
« La tua
prima ragazza? » sembrava che Feliciano l’aveva
battuto sul tempo. Era indeciso se essere sincero o aggirare la
domanda, ma arrivato a quel punto ormai la prima opzione gli sembrava
quella più scontata.
« Non ho mai
avuto ragazze. » fa una pausa, cercando di ordinare i
pensieri. « Ho avuto un ragazzo
all’università, però, e anche uno gli
ultimi due anni delle superiori. »
« Oh.
» Feliciano non dice altro, e lui non alza lo sguardo. Ha
paura di scoprire il disgusto nei suoi occhi, e preferisce non
guardarlo mentre si alza dal divano e se ne va. Passano diversi
secondi, ma non succede niente. « Ludwig, è il tuo
turno. » la voce gentile dell’altro lo riporta alla
realtà. Feliciano si trovava ancora lì, non
sembrava sconvolto o disgustato da lui. Si sente più
sollevato, e finisce il suo bicchiere, che viene subito riempito
dall’altro.
« Hai fumato
spinelli? »
« Durante le
superiori non hai idea quanti. Ora ho smesso, li fumo solo prima di
andare alle cene di famiglia. » una simile risposta lo
diverte, e Ludwig si sente scivolare, lasciandosi quindi andare verso
il pavimento che gli sembrava più fresco. Feliciano lo
raggiunge quasi subito, con bicchieri e bottiglia. Sembrava determinato
a far continuare il gioco.
Lo osserva bere
nuovamente.
« Io e Lovino
siamo troppo rumorosi come vicini? »
« Questa
è una domanda a trabocchetto? » Feliciano ride,
tentando di dargli una spinta.
« Tu rispondi
e poi vedrò che dire. »
« No, non
particolarmente. Trovo che Francis e Antonio abbiano un podio difficile
da farsi soffiare anche con nuova concorrenza. »
« Io e Lovino
saremmo la concorrenza? »
« Credo che
quando litighiate vi senta persino Arthur dal piano terra. »
Feliciano gli sembra arrossire, e lo guarda rifugiarsi dietro al suo
bicchiere di vino. Anche lui ne beve un po’, sentendosi
sempre più accaldato. Sentiva quasi il bisogno di togliersi
la maglietta, ma in presenza di Feliciano si sentiva piuttosto restio a
farlo.
« La tua
domanda? »
« Vai
d’accordo con tuo fratello? » il viso di Feliciano
si storce in una lieve smorfia, e il suo sguardo vada oltre la finestra.
« Direi di
sì. Ho passato così poco tempo con lui che non so
nemmeno che genere di persona lui sia. » Feliciano fa una
pausa, volgendosi poi verso di lui. « Sai, i nostri genitori
hanno divorziato quando eravamo bambini. Mio padre mi ha preso con
sé, mentre Lovino è rimasto qui con mamma.
L’unica cosa che ci ha mai tenuti uniti era il nonno, che
pretendeva che ci fossimo entrambi per le feste. Certo la sua premura
non è bastata per renderci due fratelli uniti. »
lo osserva passarsi una mano sul viso. « Quindi ci vado
d’accordo come con un coinquilino perennemente incazzato e al
quale non va mai bene niente di quello che fai. »
Sente il bisogno di
scusarsi per averlo forzato ad una simile confessione, ma il respiro
dell’altro è regolare e non sembra essersi
arrabbiato con lui. Questa volta bevono insieme, e finiscono
nuovamente il vino nei calici. Feliciano riempie per entrambi,
osservando poi la bottiglia quasi vuota.
«
É un vero peccato che il nostro gioco stia per
finire. » commenta.
« Ho una
bottiglia in dispensa. » dice subito lui, stupendosi della
sua reazione. Feliciano sorride, apparendogli più sornione,
e lo guarda alzarsi in piedi, appoggiandosi sul divano e camminare
verso lo stanzino. Accende la luce, rendendosi conto di come lui e
Feliciano fossero ormai nella penombra, e non fa fatica a trovare la
bottiglia, prendendola e tornando al suo posto. Il salotto era
illuminato solo dalla luce esterna proveniente dalla finestra aperta,
rendendo l’atmosfera particolare. Ludwig deglutisce, tornando
a sedersi e appoggiando la bottiglia lì accanto.
« Dove
eravamo? » chiede, mentre Feliciano beve.
« Era il mio
turno. » gli dice, per poi schioccare le labbra. «
Mai fatto sesso in pubblico? »
« No!
» esclama lui, arrossendo. Feliciano ridacchia divertito
dalla sua reazione. « Tu sì? » lo
osserva roteare platealmente gli occhi, abbozzando un sorrisetto
sarcastico. Tra di loro cade il silenzio, e lui non sa quale domanda
inventarsi. Di certo non avrebbe raccolto la sua provocazione.
Un altro sorso di vino,
un’altra domanda.
« Quale
è la cosa che ti piace più di me? »
vede Feliciano trattenere il respiro, e guardarlo dritto negli occhi.
Era contento di aver finalmente una posizione di vantaggio nei suoi
confronti. Osserva il suo rossore espandersi dalle guance fino alle
orecchie, facendogli assumere lo stesso colore di un pomodoro maturo.
« Non voglio
suonare banale, Ludwig. » dice, sussurrando. La sua voce era
bassa, difficile da sentire, quasi spezzata dall’imbarazzo.
« Mi piaci perché sei diverso. »
« Diverso
male? »
« Diverso da
tutti quelli che mi circondano. Sono talmente abituato alla mia
famiglia, ai miei temporanei colleghi, ai miei vicini, che sei
l’unico che mi sta dando delle certezze in questo momento.
Quando penso a te so che posso contare sul tuo aiuto. »
« Come fai a
dirlo? Ci conosciamo da così poco. »
« Questo
è vero. » replica lui, mentre il suo rossore
ritornava solo nelle sue guance. « Eppure ogni volta che io
avevo bisogno di te ci sei sempre stato, anche se si tratta di
sciocchezze. »
Doveva dargli ragione,
non sarebbe mai riuscito a prevalere completamente su uno come lui.
« Non sottovalutarti, tengo tanto alla tua compagnia.
»
Nessuno lo aveva mai
fatto sentire così. Certo, era abituato a sentirsi dire di
essere responsabile, quello affidabile e sul quale si poteva contare,
ma per la prima volta aveva la parvenza di un complimento piuttosto
intimo. C’era un qualcosa di ammaliante nei modi di fare di
Feliciano. Poteva anche dire di essere sceso a prendere la posta, e
simile frase in bocca a lui avrebbe sempre assunto una sfumatura
diversa da quella che chiunque altro potesse dargli. « Ho
esagerato? » gli chiede lui, appoggiandosi sul divano. Le sue
guance sono ancora rosse, e la luce esterna illumina il contorno del
suo viso. Poteva davvero essere un quadro, che solo lui aveva occasione
di ammirare in un’esposizione allestita unicamente per la sua
persona.
« No, per
niente. » Feliciano ride, si allunga verso di lui, toccano
nuovamente i bicchieri e riprendono a bere. Non proferiscono parola per
un po’, ma Ludwig non ne sente realmente il bisogno.
« Il tuo
dolce preferito. » dice all’improvviso Feliciano,
appoggiandosi per poterlo guardare meglio.
« Cosa?
»
« Quale
è il tuo dolce preferito? » ripete, scandendo.
« La torta
della foresta nera. »
« Avrei detto
la sacher. »
« Sono
così stereotipato ai tuoi occhi? » Feliciano
ridacchia, divertito. « É come se io assumessi che
il tuo dolce preferito sono i cannoli. »
« Ma io amo i
cannoli! » esclama lui, ridendo. « Però
preferisco il panettone con l’uvetta e Lovino mi odia per
questo. »
« Non gli do
torto. »
« Ludwig!
» ridono ancora, godendosi l’atmosfera. Lui
riprende il calice di vino, prendendone un altro sorso. Aveva una
domanda per Feliciano ed era curioso di conoscerne la risposta.
« Il tuo
primo bacio? » l’altro uomo si ferma, lo guarda,
apre leggermente la bocca. Sembra non avere parole da dire, oppure
è in cerca di quelle giuste. « Se non vuoi
parlarne non sei obbligato. »
« No, non
è quello. » mormora Feliciano, sorridendo
debolmente. « É una storia un po’
insolita. »
«
Perché? » l’altro sorride enigmatico,
tornando a guardare verso la finestra aperta.
« Avevo
undici anni. » dice, sistemandosi come se stesse per
raccontare una lunga storia. « Era la prima vacanza che
facevo con mio padre da quando lui e mia madre avevano divorziato. Ero
abbastanza triste e non avevo molta voglia di socializzare. »
«
Comprensibile. » Feliciano emette uno sbuffo divertito.
«
Già. Comunque eravamo in vacanza e nello chalet vicino
c’era questo ragazzino che sembrava avere un paio di anni in
meno di me, e sembrava mi odiasse. Non c’era giorno che mi
tirasse palle di neve o mi guardasse male. »
« Sembra
l’incipit di qualche romanzo. »
« Oh, lo era.
Conta che all’epoca non sapevo una parola di tedesco e lui
non conosceva l’italiano, quindi quando sono andato a
chiedergli perché mi trattava così è
scappato senza voltarsi indietro. Questo per i primi giorni, poi suo
padre ha avuto l’accortezza di introdurci. In quella
settimana siamo diventati amici. Non ci capivamo per niente eppure ho
solo ricordi felici di quella vacanza. »
Lui lo guarda, confuso.
Non sembrava rispondere minimamente alla sua domanda, ma probabilmente
anche Feliciano stava risentendo dell’alcool e aveva preso la
storia molto alla larga. Alla fine la faccenda gli interessava.
« Comunque
era arrivato l’ultimo giorno per lui, o almeno è
quello che ho capito io, dato che il giorno dopo non c’era
più. La cosa ironica è che non ricordo nemmeno il
suo nome. Ricordo solo di avergli dato il mio bastone da sci come
ricordo e lui per ricambiare mi ha baciato. »
Qualcosa in lui si
ferma. La sua mente smette di funzionare, e torna a
quell’inverno durante la sua infanzia, l’ultima
volta che era stato in vacanza con il padre. Ricordava la neve, i suoi
primi tentativi di sciare e il ragazzino della baita accanto. Aveva
archiviato quella memoria da diverso tempo.
« Feliciano.
» dice, voltandosi verso di lui. « Eri dalle parti
di Corvara? »
«
Sì, perché? »
« Avevi una
cuffia bianca e una sciarpa verde che ti scivolava sempre via?
» Feliciano si blocca, sgranando gli occhi.
« Come fai a
saperlo? » non sa cosa dire. Era una memoria della sua
infanzia, una che aveva seppellito dal successivo lutto, con la quale
non si era mai davvero confrontato. Quel ragazzino era stato la sua
prima cotta, la prima certezza. « Ludwig, come fai a saperlo?
»
« Ero io.
»
Cala il silenzio. Non
sapeva se voleva sbagliarsi o meno. Forse avrebbe dovuto fare
più domande. Forse si stava sbagliando e avevano avuto
un’esperienza simile. Eppure ricordava come era stato felice
di ricevere quell’oggetto, e di come lo aveva baciato
d’impulso. Di tutto il tempo che aveva trascorso con quel
ragazzino, anche se non ne aveva compreso nemmeno una parola.
« Stai
scherzando. »
« Non credo.
Chiedimi qualcosa. » Feliciano gli appare più
fragile, i suoi occhi iniziano a guardare in giro, come se fossero in
cerca di qualcosa.
« Una volta
mi hai offerto qualcosa. »
« Quella
volta che sei arrivato tardi al ristorante e la cucina era chiusa e io
ho saltato il pranzo per dare a te il mio piatto. » Feliciano
si porta una mano sulla bocca, apparendogli scioccato.
« Eri tu.
»
Scende il silenzio. Si
trovava davanti a quello che poteva definirsi il suo primo e ingenuo
amore. Si sentiva in imbarazzo, ora che nella sua mente riaffioravano i
ricordi di quel periodo.
« Il destino
è ironico. » mormora Feliciano, riprendendo il suo
calice.
«
Perché? »
« Siamo qui
dopo vent’anni. Io pensavo non ti avrei rivisto
più. » in cuor suo si trovava a dargli ragione. La
memoria di quel ragazzo era sfumata nella convinzione di essere un
incontro unico nella vita. « Ma hai ancora quel bastone?
»
« No.
All’aeroporto non me l’hanno fatto passare.
» sospira, e Feliciano ride. « Non ridere, piansi
per tutto il volo a causa della cosa. »
«
Addirittura. »
« Non era
cosa da tutti i giorni ricevere un regalo simile. »
« Col senno
di adesso lo trovo così stupido. »
« Il me
bambino lo aveva trovato molto originale. » ridono insieme.
« Ma ero certamente più creativo
all’epoca. »
« Io ora so
il tedesco. » commenta Feliciano. « Non avremmo
difficoltà a comunicare. » lui si scopre a
sospirare, prendendo un sorso di vino.
« Non lo so.
Parte del tuo fascino era perché non capivo cosa dicessi.
»
« Mi
preferisci muto? »
« Non ho
detto questo. » Feliciano si sistema meglio, avvicinandosi di
più a lui.
« Comunque mi
devi spiegare perché mi lanciavi le palle di neve.
» si scopre ad arrossire di più, distogliendo lo
sguardo.
« Non avevo
idea di come attirare la tua attenzione. »
« Potevi
chiedere a tuo padre. »
« Era banale.
» Feliciano emette uno sbuffo divertito, e si appoggia sul
suo fianco. Gli sembra di bruciare, ma cerca di non focalizzarsi
troppo. « Non mi andava di presentarmi in quella maniera.
»
« Hai proprio
ragione, è molto meglio sfondare la porta. Molto
d’effetto. » lui arrossisce ancora di
più, sotto la risatina divertita di Feliciano. «
Non ti porto rancore. »
« Lo spero.
» entrambi si guardano sorridere, godendosi il momento.
«
Perché mi hai baciato? » chiede allora Feliciano,
improvvisamente serio. Non sapeva che risposta dargli. Certo lo aveva
baciato d’impulso da bambino. Era stato pure un bacio
disastroso, affrettato, per niente soddisfacente se pensava a quelli
successivi che aveva ricevuto, eppure ora che era tornato alla sua
mente sembrava essere quello più speciale di tutti.
«
É stato istintivo. »
«
Perché? »
« Credo
avessi una cotta per te. » Feliciano sgrana di nuovo gli
occhi, deglutendo. Lui osserva ogni parte del suo viso contrarsi,
concentrandosi sulle labbra. Avrebbe volentieri tentato di replicare
l’esperienza.
« Davvero?
» la voce di Feliciano era più rotta,
più bassa. Lo guardava serio, ma lui non riusciva a
mantenere lo sguardo. La sua mente ormai era fissa sul bacio, e sul suo
desiderio di replicarlo. Si sente la gola secca.
«
Sì. » vorrebbe aggiungere che la cotta ce
l’ha ancora adesso per lui, ma simile frase rimane bloccata
nella sua gola. Feliciano sorride, e torna ad appoggiarsi sulla sua
spalla, il viso nella sua direzione. Lui ne osserva le ciglia corte,
gli occhi ora scuri, la forma del naso, e scende fino alle labbra. Il
suo intero corpo pare bruciare dal desiderio di avere quel bacio.
Feliciano non parla, ma
lo guarda dritto negli occhi. Ludwig non sa cosa stia vedendo nei suoi
occhi, ma lo percepisce staccarsi da lui, e poggiare la propria mano
sulla sua. Le sue palpebre si abbassano, e il suo viso si fa
più vicino. Vorrebbe stringerlo a sé, e
appoggiare le labbra su quelle di Feliciano, ma si rende conto di
quanto sia l’altro a dettare il ritmo del loro movimento. Si
percepisce avvicinarsi lentamente, vede Feliciano piegare il volto e
percepisce l’altra sua mano sulla spalla. Lui fa lo stesso,
accarezzandogli la guancia, gesto che l’altro sembra
apprezzare. Percepisce la sua pelle morbida al contatto, e finalmente
riesce ad avvicinarsi al suo viso. Feliciano continua a tenere gli
occhi socchiusi, e lui fa lo stesso, deciso a godersi il momento al
massimo. Lo percepisce sempre più vicino, sente il suo
respiro sulle labbra, lo sente mischiarsi al suo. Le punte dei nasi si
toccano, e anche lui si piega leggermente, riuscendo già a
percepire il labbro di Feliciano sfiorare il suo.
« Ludwig!
» d’improvviso la voce di Elizaveta lo fa scattare,
facendolo ritrarre da Feliciano. « Tuo fratello sta urlando
di essere nudo sul balcone, e se non ci pensi tu a lui, ci
penserò io! » lui batte le ciglia, confuso,
togliendo la mano dal viso di Feliciano che sembra ancora confuso dalla
situazione, e si alza quasi automaticamente, avvicinandosi al balcone.
Era certo che fosse la voce di Elizaveta.
« Cosa?
» chiede, appoggiandosi sulla ringhiera, cercando il viso
della donna.
« Hai
sentito. Tuo fratello sta da Francis e non ho idea di come tu non
faccia a sentire il casino che stanno facendo. » lui si passa
una mano sul viso, cercando di calmarsi, e il suo sguardo cade su
Feliciano, ancora seduto ai piedi del divano, rosso in viso.
« Comunque ti consiglio di andare a recuperarlo prima che ci
denuncino tutti per disturbo della quiete pubblica e
oscenità. »
«
Sì, lo farò, grazie. » la donna sembra
soddisfatta dalla sua risposta, e rientra, lasciandolo solo, con
Feliciano che si era alzato e gli si era avvicinato.
« Scusami.
» mormora in sua direzione. « Devo andare.
»
« Ti
accompagno. »
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Capitolo 7 *** E alla fine arriva Gilbert ***
Aveva fatto le scale in fretta
e furia per salire al piano di sopra, e aveva atteso nervoso che
Francis gli aprisse la porta. Ora che ci faceva caso, proveniva un
casino infernale dall’appartamento che aveva davanti. Il
proprietario aveva aperto poi la porta mentre Feliciano, con passo
più calmo, lo raggiungeva. Lo scenario che si presentava
davanti a lui era meglio di come lo aveva immaginato.
Per fortuna suo
fratello non era nudo, ma solo in mutande. Nel constatarlo Ludwig tira
un sospiro di sollievo, raggiungendolo.
« West!
» esclama questi, avvicinandosi e passandogli il braccio
lungo le spalle. « Finalmente sei qui. »
«
Perché non mi hai avvisato che venivi? » gli
chiede in tedesco.
« Volevo
farti una sorpresa. » si trova a sospirare nervoso. Suo
fratello, che non sapeva una parola di italiano e non aveva la minima
idea di come orientarsi a Roma, era riuscito a giungere sano e salvo al
suo condominio e non l’aveva avvisato. «
É colpa tua che non eri in casa. »
«
É crudele abbandonare il proprio fratellone. » fa
eco Francis, in italiano, ma lui gli lancia un’occhiataccia
che lo spinge a non aggiungere altro. La sua testa prende a girare un
po’, forse per via dell’alcol e soprattutto a causa
di quello stress improvviso. Non che volesse male a Gilbert, ma doveva
ammettere quanto il fratello fosse difficile da gestire. E non poteva
farlo soprattutto adesso che aveva Feliciano per le mani. Le sue labbra
pizzicavano ancora per quel bacio mancato. Era frustrante.
« Gilbert,
per favore, rivestiti. Dove hai lasciato la valigia? »
l’altro uomo sbuffa infastidito, indicandogli lo zaino che
aveva l’aria abbandonata nelle vicinanze della porta.
C’era anche Feliciano alla soglia. Aveva un’aria
spaesata, ma non accennava di voler entrare. Si trova a sospirare,
pensando a quello che avevano passato solo cinque minuti prima. Di
certo l’occasione, ora, non si sarebbe ripetuta.
« Tutto ok?
» gli chiede, una volta che gli è vicino. Lui
sospira, passandosi una mano tra i capelli.
«
Sì. » lo dice con un tono forse troppo duro, e
osserva il viso di Feliciano irrigidirsi. « Mi spiace, credo
dovremmo rimandare la serata. »
« Lo penso
anch’io. Credo sia meglio che io ti lasci parlare con tuo
fratello. Buonanotte Ludwig. »
« Buonanotte.
» con un certo peso nel cuore lo guarda prendere le scale, e
poi si gira verso il terzetto che stava ancora dentro
l’appartamento. Era entrato anche Antonio nel suo campo
visivo. Ora che ci faceva caso tutti e tre erano completamente
svestiti. Sperava di poter cancellare una simile visione dalla sua
mente presto.
Gilbert, comunque,
camminava per l’appartamento in cerca dei vestiti che gli
rimanevano, mentre Francis e Antonio si erano entrambi seduti sul
divano con aria cospiratoria. Non gli piaceva per niente, ma di certo
doveva aspettare il fratello.
« Serata
interessante? » chiede allora Francis, con sorriso malizioso.
« Non credo
di dover rispondere a uno che non ha niente addosso. »
« Eri con
Feliciano? »
« Feliciano?
» chiede allora Gilbert, curioso.
« Il vostro
nuovo vicino. » risponde Francis, in inglese. «
Ludwig non te l’ha detto? »
« Ho la
faccia di uno che ne sa qualcosa? » brontola allora Gilbert,
infilandosi i pantaloni. Non voleva sapere perché se li
fosse tolti. « Abbiamo dei nuovi vicini? » dice
rivolgendosi a lui.
«
Sì, i nipoti di Romolo. »
« I nipoti?
Quel vecchiaccio aveva accennato a dei nipoti. Come sono? »
« Prega di
non incappare in Lovino. » gli risponde Francis, sistemandosi
meglio sul divano.
« Ehi, non
parlare male del mi niño. »
« Il tuo
cosa? » dice Francis, cercando di reprimere una risata. Lui
li osserva, vede il fratello mezzo rivestito e decide che la sua
sopportazione aveva retto abbastanza per quella sera. Cercava di
mandare via la frustrazione per quel bacio, ma non ci riusciva.
« Gilbert,
andiamo. » sibila all’indirizzo del fratello.
Questi, stranamente, non se lo fa ripetere due volte. Lui si carica in
spalla lo zaino e si lascia seguire dal fratello, che saluta gli altri
due, promettendo loro di tornare una volta che avrebbe risolto con lui.
Con una certa urgenza Ludwig scende le scale, spinge il fratello dentro
casa, e incrocia le braccia.
« Sono qui
per te West! » esclama Gilbert, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo. « Io lo so che sei triste per
la morte di Axel, e so che le tue ferie sono ad ottobre, ovviamente,
quindi mi sono sentito magnanimo e ho deciso di venire per tenerti
compagnia finché non ti riprendi un po’.
»
Axel. Lui si era
completamente dimenticato di Axel perché…
Feliciano, era lui a riempire la sua mente in quel momento, e non dava
alcun cenno di andarsene. Non riusciva a darsi torto.
« Gilbert io
sono molto occupato- »
« Piuttosto,
come sono i nostri nuovi vicini? Ho visto prima, quello era proprio
carino! »
« Nostri?
»
« Sono tuo
fratello, è come se abitassi qui. »
« Quando
incontrerai Lovino credo ritratterai questa frase. »
« Non mi
sottovalutare, quest’ultimo anno mi sono esercitato con
l’italiano. » lui sospira, spingendosi verso la
camera da letto, in cerca di asciugamani da dare al fratello.
« Sono fluentissimo. »
« Non ne
dubito. Cerca di non spaventare nessuno. » Gilbert emette uno
sbuffo infastidito, ma non gli risponde, dandogli un attimo di tregua.
« Cerca anche di non infastidire Elizaveta. »
« Abitano
ancora sopra? »
«
Sì. » un sorriso per niente benevolo si disegna
sul viso del fratello, facendogli capire che il suo soggiorno sarebbe
stato tutt’altro che tranquillo.
Gilbert aveva portato
della birra dalla Germania. É calda una volta che la aprono,
ma alla fine entrambi finiscono col berla, una sorta di memento per il
loro trapassato e amato animale domestico. Quando lui si sveglia la
mattina successiva, la mattina è già tarda, e il
suo mal di testa non è così atroce come temeva.
Gilbert era ancora
sonoramente addormentato, e lui si alza con cautela, spingendosi in
cucina per u po’ d’acqua. La serata di ieri era
stata così surreale che stava iniziando a mettere in dubbio
di averla vissuta.
Feliciano era nella sua
mente. Quel quasi bacio continuava a tornargli, a renderlo frustrato.
Era una sospensione che lo tormentava, un millimetro dal sapere se
sarebbe andata bene o meno. Non ne poteva nemmeno parlare con
l’altro perché Gilbert aveva la sorprendente
capacità di essere inopportuno in qualsiasi luogo, e di
certo gli avrebbe fatto domande alle quali non sarebbe stato in grado
di rispondere.
Alla porta bussano, e
lui la guarda come se fosse un’allucinazione. Non sapeva dire
se fosse la sua mente a produrre quel suono o se fosse in effetti la
persona che desiderava vedere in quel momento. Si trascina fino alla
porta, aprendola. Era Feliciano.
Per un primo momento
è felice di vederlo, ma quello subito dopo è
consapevole di avere i capelli arruffati, le occhiaie e probabilmente
accenni di barba, che completava un aspetto trasandato e per niente
piacevole da guardare. L’altro uomo lo fissa per un lungo
istante, ma poi gli sorride.
« Sono venuto
a portarti dell’aspirina. » lui boccheggia,
guardando il flacone che l’altro teneva nelle mani, indeciso
su cosa replicare. « É colpa mia se ieri ci siamo
sbronzati. »
« No, no,
affatto. » si sente in imbarazzo, il suo sguardo continua a
focalizzare le labbra di Feliciano, ma è piuttosto certo che
l’altro non vorrebbe essere baciato da un tizio in condizioni
come le sue.
« Ludwig va
tutto bene? » lui sente che niente sta andando bene, e la sua
mente fa fatica a creare un pensiero coerente. « Mi dispiace
averti disturbato. »
« Non mi hai
disturbato. » l’altro lo osserva, confuso.
« É solo che ieri ser- »
« Weeeeeest.
» l’urlo di Gilbert riecheggia per
l’appartamento, e lui si trova a voltarsi di scatto verso la
propria stanza, guardando il fratello uscire da essa. « Ti
prego dimmi che hai qualcosa per il post sbornia. »
« Strano che
tu soffra comunque di post sbornia. » si trova a borbottare,
rientrando nell’appartamento. Sente Feliciano seguirlo,
probabilmente incuriosito dalla specie di animale che poteva emettere
quel verso.
« Feliciano,
ma chi cazzo ha urlato? » improvvisamente appare Lovino
dall’altro appartamento, anche lui con i capelli arruffati e
apparendo poco ben disposto a essere conciliante. « Ma che
cazzo, ma uno la domenica mattina può riposare tranquillo o
devo trasferirmi in un convitto? »
A grandi passi Lovino
entra nel suo appartamento, guarda prima il fratello, poi lui, e solo
alla fine focalizza Gilbert che stava ancora all’entrata
della camera da letto. Lo osserva sgranare gli occhi, e poi tornare a
prestare attenzione al fratello.
« Non dirmi
che ti sei fatto pure lu- » alla velocità della
luce Ludwig vede Feliciano scattare in direzione del fratello,
tappandogli la bocca e trascinandolo oltre la porta.
« Passo dopo
a vedere come stai. »
Lui rimane ad osservare
il punto dove fino a prima erano i suoi vicini, per poi voltarsi in
direzione del fratello che sembrava star vivendo il post sbornia molto
meglio di come facesse lui.
« Ma non era
lo stesso di ieri? »
«
Sì. »
« Aspetta, ma
lì accanto non abitava un vecchio? »
« Il signor
Romolo è morto questa primavera. »
« Cazzo,
è un anno sfigato questo. » lui lo fulmina con lo
sguardo, mettendosi a preparare un po’ di acqua per
l’aspirina. « Però ci hai guadagnato.
»
« Che intendi
dire? »
« Lo sai cosa
voglio dire. » Ludwig percepisce la sua pazienza scendere di
livello, ma decide di non dare troppa retta a Gilbert, quindi aspetta
che la sua medicina finisca di sciogliersi e intanto si gira in
direzione del fratello, appoggiandosi al bancone della cucina.
« Qualsiasi
cosa tu voglia dire, Gilbert, non importunare i nostri vicini.
Già me la devo vedere con Elizaveta. »
« Quella
donna è cotta di me. »
« Quella
donna ti ha mandato al pronto soccorso due volte, Gilbert. »
« Le vie
dell’amore sono misteriose. » lui rotea gli occhi,
scocciato, ma lascia correre. La fissazione del fratello nei confronti
di Elizaveta era diventato qualcosa di leggendario. « Ma non
ho problemi a spostare il mio obiettivo. »
« Non farlo.
»
«
Perché no? » lui rimane in silenzio, non sapendo
cosa dire. Certo di Lovino non gli importava molto, ma l’idea
che suo fratello potesse stare troppo vicino a Feliciano non incontrava
la sua sopportazione. « Non mi dire! Ci vai a letto!
» esclama allora Gilbert, riportandolo nella
realtà. Lui si sente tingere le guance di imbarazzo,
scattando in piedi.
« Non
è vero. »
« Non
mentirmi, West. Dì i tuoi problemi di cuore al tuo
fratellone. » Gilbert non era capace di mantenere segreti, e
certamente era un pessimo consigliere. Confidargli di quel qualsiasi
cosa fosse successo la sera prima non gli sembrava la migliore idea da
mettere in pratica.
« Non ho
niente da dire. »
« Allora ho
campo libero. »
« Ho
l’impressione che prima o poi mi chiameranno
perché hanno trovato il tuo cadavere in qualche cassonetto.
»
« Suvvia,
West, sono sopravvissuto a sei mesi in Russia. Ormai niente
può farmi fuori. » Gilbert non nominava spesso il
suo Erasmus, e lui aveva intuito che non ne volesse parlare, eppure di
tanto in tanto simile argomento saltava fuori nei momenti
più inaspettati.
« Mi stai
confermando che ti sei unito alla mafia russa? »
« Non ho
detto questo. » replica Gilbert, mettendosi le mani sui
fianchi. « Vado a farmi una doccia, spero tu abbia ancora
quella lozione presa nel negozio dal nome strano. » lui alza
di nuovo agli occhi al cielo, mettendosi a preparare la colazione nel
frattempo. La sua mente non riusciva a focalizzarsi su
nient’altro che su un particolare, e aveva
l’impressione che l’avrebbe perseguitato per tutta
la giornata.
Alla sua porta bussano
di nuovo, e dopo una veloce occhiata alla porta del bagno, Ludwig va
verso l’entrata, aprendo a Feliciano. « Scusa, non
volevo disturbarti. »
« Non lo stai
facendo. » lo osserva sorridergli.
« Hai preso
qualcosa contro il mal di testa? » la sua premura lo faceva
sentire imbarazzato, ma in una maniera completamente nuova.
«
Sì, mi sento meglio. »
« West, chi
c’è alla porta? » suo fratello,
puntualmente, aveva interrotto il suo tentativo di chiarire la
situazione, e lo sente arrivare nella sua direzione. Si gira, notando
il come sia ancora fradicio e con un solo asciugamano addosso. Si sente
sbiancare e quasi desidera mettersi tra lui e Feliciano, ma ormai
è troppo tardi.
Osserva Feliciano
sgranare gli occhi nel vedere Gilbert, e qualcosa dentro di lui smette
di funzionare.
« Oh, sei tu!
» esclama intanto Gilbert, avvicinandosi ancora, mentre lui
continuava a tenere la mano sulla porta, non reagendo.
« Molto
piacere, sono Feliciano. » dice l’altro uomo,
parlando direttamente in tedesco. Non aveva nemmeno bisogno di
tradurre, come invece doveva fare con Romolo. La sua presenza
lì era superflua.
« Io sono il
fratello di questo qui, ti avrà sicuramente parlato di me!
» non guarda nemmeno l’espressione di Feliciano,
ritirandosi dentro l’appartamento e smettendo di ascoltare.
Non vuole nemmeno rimbeccare Gilbert per l’acqua che ha
sparso per il pavimento, vuole solo fare colazione e fingere che suo
fratello, mezzo nudo, non stia parlando con quello che era il suo
vicino. La sua mente non riusciva a coniare un altro appellativo a
Feliciano in una situazione simile.
In fondo non erano
molto di più di quello. Il quasi bacio non significava
niente, se era un quasi.
Dopo un po’
sente la porta chiudersi, e controlla che Gilbert non sia uscito sul
pianerottolo in quelle condizioni, ma lo vede rientrare nel salotto con
aria piuttosto soddisfatta. Non era mai un buon segno.
« Abbiamo un
appuntamento West. »
« Un cosa?
»
« Un
appuntamento. Feliciano è stato così carino e mi
ha invitato a fare un giro in centro. »
« Buon per
te. » non ne era contento, ma non voleva renderlo troppo
palese.
« Mica tanto,
ha detto di portarsi dietro anche te. » quello l coglie di
sorpresa, facendolo voltare verso il fratello.
« Cosa
intendi? »
« Ha detto
che lui non sa bene il tedesco e ha aggiunto che sarebbe meglio ci
fossi anche tu, nel caso avessimo delle incomprensioni. Mi farai da
reggi candela, West! » lui si percepisce sospirare, ma lascia
cadere la faccenda. In realtà era in cerca di una scusa da
propinare a entrambi, non aveva alcuna voglia di andare con loro e
probabilmente sentire i suoi stessi sentimenti soffocare. Di certo
Gilbert era interessato a lui, e Feliciano sembrava aver ricambiato
l’interesse dato quell’inusuale invito.
Si sentiva
improvvisamente il cuore pesante, e ne aveva compreso la ragione.
Alla fine aveva ceduto
alle insistenze di Gilbert. Si era vestito, aveva sopportato le
lunghissime sfilate del fratello, lo aveva convinto a indossare vestiti
leggeri ed erano usciti sul pianerottolo. Feliciano non c’era
ancora, e lui si impunta con tutta la sua forza di volontà
per impedire a Gilbert di andare a suonare al loro campanello. Per
peggiorare la giornata gli mancava ancora una volta la presenza di
Lovino.
Dopo dieci minuti
finalmente Feliciano fa capolino dalla porta, salutando entrambi. Si
era cambiato e aveva un’aria diversa dal solito, o almeno
diversa a quella a cui era abituato.
« Possiamo
andare. » dice allora lui, e iniziano a scendere le scale.
Gilbert non coglie l’occasione di parlare, riempiendo
Feliciano di domande delle quali sa già la risposta,
ottenuta da lui mezzora prima. Durante tutto il tragitto percepisce
Feliciano gettargli qualche occhiata, ma non se la sente di
ricambiarla.
Una volta fuori dalla
metro si spostano verso la parte turistica del centro e Feliciano
inizia ad illustrare brevemente la zona. Lui smette di ascoltarlo,
concentrandosi sui dettagli degli edifici che li circondavano. Era
passato diverso tempo dall’ultima volta che aveva visitato
qualche monumento, e stava iniziando a percepirsi contento per esser
uscito. Più avanti c’erano Gilbert e Feliciano che
parlavano, e sembravano divertiti. Poi Feliciano si volta verso di lui,
facendogli segno di avvicinarsi. Lui si trova a seguirlo in maniera
ipnotica, e si ferma solo quando è vicino a loro.
« Tutto bene?
»
«
Sì, è ok. »
« Io e
Feliciano pensavamo di prenderci un gelato, sei con noi? »
annuisce, e Gilbert si porta più avanti, improvvisamente
entusiasta. Feliciano rimane a camminare al suo fianco, anche se non
parla. Lui percepisce le punta delle sue dita sfiorare le sue, ma non
riesce a togliere la propria mano come vorrebbe. Desidera afferrarla,
tenerla nella sua, ma sa di non poterlo fare.
« Sei sicuro
che ti andava di uscire? »
« Cosa
intendi? » Feliciano riprende a guardare in avanti, sembra
non voler incrociare il suo sguardo.
« Mi sembri
un po’ scostante oggi. Ieri sembravi diverso. »
arrossisce, e nota che lo è anche Feliciano. Sembrava non
aver dimenticato cosa fosse successo la sera precedente, e non voleva
lasciarla cadere nel dimenticatoio.
« Sono solo
un po’ stanco. Non è niente di serio. »
« Meno male.
» l’altro torna a guardarlo, e gli sorride. Lui si
sente più leggero, e percepisce ancora la pelle di Feliciano
contro la sua. « Mi chiedevo se ti andava di venire con me ad
una festa. »
« Una festa?
Credo mio fratello sia la persona più adatta a cui fare
questo tipo di richiesta. »
«
É un’esposizione d’arte. Credo tu sia un
compagno migliore per una serata simile. »
Non aveva idea di cosa
rispondergli. Ne era certamente incuriosito, eppure la sua mente era
ferma all’idea di essere stato definito un compagno da
Feliciano. Di certo l’altro non ci stava girando intorno, e
quindi decide che nemmeno lui l’avrebbe più fatto.
« Mi farebbe
molto piacere andare con te. » lo osserva arrossire, e
finalmente Gilbert li richiama, facendoli avvicinare per scegliere i
gusti. Una volta fuori la sua mente torna all’ultima volta
che avevano preso il gelato insieme, ma credeva che non avrebbero
replicato simile scena di fronte a suo fratello.
« Comunque
come mai sei venuto in Italia, Gilbert? » chiede Feliciano,
continuando a mangiare il suo gelato dalla coppetta.
«
Perché sono un bravo fratello! Il nostro cane di famiglia
è morto e sapevo che West fosse depresso, quindi sono venuto
per consolarlo! » Feliciano batte un po’ le ciglia,
confuso, per poi non parlare più, continuando a mangiare.
«
Perché lo chiami West? » Ludwig osserva il
fratello gonfiare il petto, come se stesse per raccontare la storia del
secolo. Non era raro che il suo nomignolo destasse la
curiosità altrui, e Gilbert era sempre disposto a spiegarlo.
« Quando
eravamo bambini, o meglio, quando Ludwig era bambino, la nostra camera
aveva due finestre. Una orientata a est, e una a ovest. I nostri letti
pure, e il suo era sotto la finestra che dava al tramonto, quindi io ho
avuto l’idea geniale di chiamarlo West. »
Feliciano emette una
lieve risata, e pure lui si rende conto di quanto simile racconto sia
sciocco. Certo Gilbert non aveva mai smesso di chiamarlo in quella
maniera, e non dava segno di voler smettere, e lui non aveva intenzione
di farci qualcosa a riguardo. Simile nomignolo lo faceva sentire un
po’ speciale.
«
É carino. Il massimo dei soprannomi che mi ha dato Lovino
è stato quello di “infame amico delle
uvette”. » Gilbert lo guarda confuso, e lui si
trova a dover tradurre simile espressione e spiegargliela.
«
É un peccato che tuo fratello non sia voluto venire con noi.
»
« Era stanco.
» commenta Feliciano con una smorfia. Il loro giro prosegue,
e il suo sguardo non si stacca da Feliciano, che sembra vivere e
respirare in quell’ambiente. Di tanto in tanto gli lancia
qualche occhiata, di sfuggita, e lui si trova a ricambiarla. Le loro
mani ancora non si tengono, ma ora continua a percepire la pelle
dell’altro sulla sua molto più spesso.
Con calma osservano il
sole tramontare tra gli edifici, e infine si infilano nella metro,
tornando a casa. Gilbert sembrava quello più entusiasta di
tutta la faccenda. Era da un po’ che non lo vedeva in quella
maniera. Feliciano era di nuovo al suo fianco, più vicino
del solito, ma la cosa non gli dispiaceva più di tanto.
Finalmente riusciva a sentirsi a suo agio con lui. Ora doveva iniziare
a fare lo stesso con quello che provava. Non sarebbe stato facile ma
avrebbe dovuto provarci.
Lentamente tornano a
casa, e solo una volta giunti al loro pianerottolo Feliciano lo ferma.
« Ludwig,
posso parlarti un momento? » gli ha parlato in italiano, e
lui si blocca, guardando il fratello che non aveva capito. Questi,
comunque, non sembra interessato al loro discorso e prende subito le
scale verso il piano di sopra.
Era sicuro di doverlo
andare a recuperare tra un paio d’ore e che sarebbe stato un
processo inutilmente lungo. Sospira, dando la sua attenzione su
Feliciano.
«
É successo qualcosa? »
« Volevo
parlarti di ieri. » lui sente qualcosa morire dentro, teme
ciò che Feliciano sta per dire, ma cerca di mantenere una
compostezza che percepisce faticosa. Ha paura delle parole di Feliciano
per la prima volta.
«
D’accordo. » l’altro abbassa lo sguardo,
prendendogli le punte delle dita. Il suo contatto è caldo e
piacevole, e tutto ciò che aveva desiderato.
« Non credo
di aver ancora trovato le parole giuste. » si ferma, lui vede
il suo rossore. « É che scoprire che eri tu quel
ragazzino è stata una grossa sorpresa. »
La tensione
accumulatasi nel suo corpo si perde completamente, tanto che si sente
d’improvviso molto debole. Spera che Feliciano non se ne
accorga. Questi però continua a guardare in basso e gioca
con le sue dita, non lo guarda mai direttamente.
« Insomma,
capisci che intendo? » annuisce, ma sta mentendo. Non lo
capiva. Percepiva il contatto con la mano dell’altro e
desiderava baciarlo in quel momento, fino allo sfinimento, ma sapeva di
non poterlo fare. Feliciano era lì, di fronte a lui, e si
stava aprendo. Non doveva rovinare un momento simile con i suoi
desideri. « Possiamo entrare in casa tua? Non mi sento
tranquillo a parlarne qui. »
Lui annuisce e gli apre
la porta, facendolo passare e chiudendola poi dietro di sé.
Feliciano si sta torturando le mani, e istintivamente gliene prende una
come aveva fatto lui poco prima. Questi sembra sorpreso, ma non la tira
via.
« Quello che
volevo dire, ecco, è che io… »
qualsiasi cosa gli voglia dire, sembra che sia difficile da dire. Lui
sorride, cercando di essergli di incoraggiamento, stringendogli piano
la mano. « Non so, l’incontro con te mi aveva
segnato davvero tanto. »
« Mi
dispiace. »
« No, intendo
che l’ha fatto in positivo. Quel periodo è sempre
rimasto nella mia mente, ogni volta che iniziavo una relazione. Non
credo di averlo mai dimenticato. » Feliciano prende un lungo
respiro, prima di riprendere. « Credevo anche che non avrei
mai avuto occasione di rivederti. »
« Nemmeno io.
» il sorriso di Feliciano diventa più malinconico.
«
Però siamo qui. E tu, tu hai ammesso che…
» ora è il suo turno di diventare rosso.
« Forse sto viaggiando un po’ troppo. »
vorrebbe dirgli che non si sbaglia, che lui prova nuovamente la stessa
cosa, ma la sua bocca rimane in silenzio. Non si sente ancora pronto ad
affrontare un simile discorso. Continua solo a tenere la mano di
Feliciano, che lentamente la sfila e gli sorride.
« Ci vediamo
questo giovedì, d’accordo? » non vuole
lasciarlo andare, ma deve farlo.
« Feliciano.
»
«
Sì. »
« Ne
riparleremo? » Feliciano gli sembra sorpreso, ma gli sorride
ugualmente.
« Certamente.
»
|
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Capitolo 8 *** Un amore fatto ad arte ***
Feliciano gli aveva chiesto di
vestirsi in maniera formale.
Gilbert non si era
risparmiato con le prese in giro per tutto il tempo che aveva trascorso
davanti allo specchio. Inizialmente suo fratello aveva protestato,
volendosi unire anche lui, ma una volta saputo che si trattava di una
mostra tutto il suo entusiasmo a riguardo si era spento, e si era
ritirato sul divano senza troppe proteste.
Alla fine era riuscito
a trovare la combinazione migliore e finalmente si era messo
l’anima in pace. La sua immagine allo specchio lo soddisfava.
Non gli rimaneva altro che aspettare Feliciano, che non gli aveva
più risposto per tutto il pomeriggio. Era un comportamento
strano, ma non aveva voluto insistere troppo, lasciandosi il pomeriggio
per riflettere. Aveva pensato tanto a ciò che si erano
detti.
Finalmente lo
ammetteva. Feliciano gli piaceva, e voleva piacergli a sua volta. Aveva
messo insieme i pezzi dei suoi sentimenti e aveva compreso che pure
l’altro non desiderava essergli semplicemente un amico.
Sapeva di dover fare qualcosa, eppure ogni volta che pensava di vedere
Feliciano qualcosa in lui si scioglieva, rendendolo facilmente
maneggiabile nelle mani dell’altro.
Con calma si
dà un’ultima controllata allo specchio, per poi
uscire dalla camera. Gilbert era ancora sul divano.
« Esci, West?
»
«
Sì, torno tardi. »
« Non
preoccuparti, stasera vado da Francis, sai, nel caso avessi bisogno
della casa libera. » si sente arrossire, e tira un coppino in
testa al fratello, cercando di levargli l’espressione
maliziosa.
« Ti prego di
non fare sciocchezze mentre non ci sono. » Gilbert non gli
risponde, ma è piuttosto certo che avrebbe dovuto tenere il
telefono vicino per ogni evenienza.
« Non ti
ansiare West, so che la serata per te è importante.
» si trova a guardare il fratello, ma non trova le parole
giuste con cui rispondergli. Gilbert aveva decisamente ragione, la
serata che si prospettava per lui era fondamentale.
Una volta uscito sul
pianerottolo, Feliciano non c’è, e lui cerca di
non appoggiarsi alla porta nel timore di sporcarsi. Era certamente in
anticipo, ma era la sua smania che l’aveva portato a uscire
così presto. La porta di Feliciano si apre, e finalmente la
persona che aveva desiderato tanto esce dall’uscio.
« Ludwig?
»
«
Sì. »
« Scusa se ci
impiego così tanto, è che la cravatta mi sta
dando un po’ di problemi. » lui sospira,
avvicinandosi.
« Posso?
» Feliciano non sembra reagire, ma poi gli si avvicina,
offrendogli il collo. Lui armeggia velocemente con la stoffa,
facendogli un nodo che reputava soddisfacente. « Ecco fatto.
»
Feliciano guarda in
basso, gli sorride. « Grazie, non so come farei senza di te.
Vado a mettermi le scarpe e sono subito da te. »
Lo osserva tornare
dentro, e lasciare la porta aperta. Può osservare la figura
dell’altro dalla sua posizione, in quella mise alla quale non
era abituato, alla sua figura che si chinava ad allacciare le scarpe
lasciando intravedere la curva del suo-
Scuote la testa,
spostando lo sguardo. Non poteva di certo degradare la figura di
Feliciano a quello.
« Ora sono
pronto. » sente dire, e si sposta per farlo passare.
« Lovino, io esco! Non aspettarmi alzato! »
dall’interno dell’appartamento sente provenire
qualcosa, ma non riesce a coglierne il significato, perché
Feliciano chiede subito la porta.
Con calma si avviano
verso l’uscita. Feliciano gli appare particolarmente
silenzioso, e non sa che dire. Vorrebbe fare domande, ma non ne trova
alcuna adatta.
« Per fortuna
che ci sei tu a farmi arrivare puntuale, o Kiku ci lascerebbe entrambi
a piedi. »
« Kiku?
»
« Ah, mi sono
scordato di parlartene. É un mio amico, andiamo con lui
all’esposizione, altrimenti col cavolo che riuscivo a
imbucarmi a una festa simile. »
Feliciano sembrava
conoscere un sacco di gente strana. Una volta fuori dal cancello la
prima cosa che nota è una limousine, e sposta lo sguardo su
Feliciano in cerca di risposte. Questi sorride, scostandosi e aprendo
la portiera, infilandosi velocemente dentro la macchina. Lui rimane a
fissare il vuoto per un attimo, e poi decide di seguire
l’altro dentro. Con cura abbassa la testa per non battere
contro il tettuccio, e finalmente entra nell’ambiente.
Feliciano si era seduto, e gli stava facendo segno di avvicinarsi.
Seduto di fronte a lui c’era un altro uomo. Sembrava sperso
nel vuoto, ma poi lo vede spostare lo sguardo su di lui.
« Questo
è Ludwig, te ne ho parlato. » l’altro
annuisce, esibendosi in un lieve inchino. Lui si sente di ricambiare, e
finalmente prende posto accanto a Feliciano.
« Io sono
Kiku. » gli dice. Aveva un tono di voce particolare, come se
non appartenesse al loro stesso mondo. « É la
prima volta che porti qualcuno con te. » dice a Feliciano,
che sorride.
« Finalmente
ho trovato qualcuno che apprezza l’arte come
l’apprezzo io. » si sente intimamente lusingato, e
persino Kiku appare sorpreso da simile constatazione.
«
É curioso. » si sente nuovamente osservare, questa
volta percependo un cipiglio critico. Lo stava valutando, ne era
sicuro. « Che lavoro fate, Ludwig? »
Era strano sentire un
linguaggio cortese, ma considerando come già fosse
particolare la persona che aveva davanti non aveva più molto
di cui stupirsi.
« Lavoro
all’ambasciata tedesca. » vede l’altro
piegare lievemente la testa.
« Un
italiano, un tedesco e un giapponese. Potrebbe essere
l’inizio di una barzelletta. » dice Feliciano,
sorridendo divertito.
« O una
riunione dell’asse. » commenta Kiku, ottenendo un
sospiro esasperato da parte di Feliciano.
« Vedo che
sei hai ancora un senso dell’humour molto pessimista.
»
«
É la mia natura. » nonostante avesse sempre
più l’impressione di come quei due fossero
diversi, sembravano andare molto d’accordo. Forse era a causa
di Feliciano, che aveva un atteggiamento che lo portava a essere
piacevole a chiunque avesse il piacere di interagirci. Non ne aveva
alcuna idea, sentiva il suo corpo vicino al proprio e prestava
attenzione ai discorsi degli altri due.
Una volta che la
limousine si ferma, Kiku li ferma dall’uscire. « Ci
tengo ad avvisarvi, ci sono esponenti molto importanti a questa serata.
Non fate sciocchezze. Parlo soprattutto con te, Feliciano. »
« Non
preoccuparti, ho Ludwig con me! » risponde lui, afferrandogli
il braccio. L’altro uomo sembra soddisfatto dalla situazione,
e finalmente esce dall’abitacolo. Lui lo segue, trovandosi
davanti a una sontuosa villa. Nuovamente non sa dire di dove si trovi,
ma ormai ha iniziato a farci l’abitudine con Feliciano.
Osserva l’autista prendere una valigetta e consegnarla a
Kiku, che inizia ad avviarsi. Feliciano lo segue subito dopo,
spingendolo a chiudere quella strana fila che avevano creato.
C’erano
già diverse persone all’interno, e il corridoio
era già disseminato di opere d’arte. Vorrebbe
fermarsi ad osservarle, ma Feliciano lo intercetta, portandosi accanto
a lui.
« Non
fermarti. Quelle che espongono qui sono sempre delle croste.
» sussurra al suo orecchio, prendendolo sotto braccio. Si
sente in imbarazzo per la cosa, ma non vuole essere duro con se stesso.
Era la prima volta che partecipava a una festa
dell’élite romana. Doveva rimanere con Feliciano
per tutto il tempo, e il pensiero non gli dispiaceva. Sentiva il suo
braccio sul proprio e si sentiva felice.
Seguono entrambi Kiku
dentro la sala principale, illuminata ad arte per far risaltare un
palcoscenico al centro. « Credo faranno dipingere qualcuno
sul momento. » mormora Feliciano, lasciandogli il braccio.
Lui si trova ad annuire, e finisce per perdere di vista entrambi gli
accompagnatori con cui si era presentato. Non aveva alcuna idea di cosa
dire nel caso qualcuno avesse fatto domande sulla sua presenza
lì. Dopo poco, però, si rende conto che a nessuno
importava l’identità dei presenti una volta
varcata la soglia. Un cameriere gli offre un calice di champagne, che
lui accetta mentre osserva una prima opera.
L’atmosfera
era soffusa, rendendo il quadro che aveva di fronte più
reale di come lo immaginasse. Ne osserva i dettagli, li imprime nella
sua mente, cerca di capire quale tecnica sia stata usata e anche di
coglierne l’autore. Non c’era alcuna targhetta
esplicativa dell’opera, spingendolo a fantasticare
sull’eventuale soggetto che aveva di fronte.
Una volta risolto il
mistero del primo pezzo passa con calma all’altro. Questa
volta era un paesaggio di montagna, probabilmente le alpi. Si trova a
sorridere ingenuamente, cercando di coglierne i dettagli. Ogni albero,
ogni sfumatura della roccia, ogni traccia di neve, sembravano tutti
dipinti con molta cura.
« Ti piace
quello che vedi? » una voce sconosciuta lo ridesta dalla sua
perlustrazione, e si trova a voltarsi verso un altro uomo. La luce
soffusa rende difficile vederne chiaramente i tratti, ma gli sta
sorridendo. Annuisce.
«
Sì, è uno splendido paesaggio. »
l’altro uomo annuisce, facendosi più vicino.
«
L’artista l’ha dipinto apposta per farsi osservare.
»
« Non ne
dubito. » parla quindi un’altra persona dietro di
loro, e Ludwig si volta per vedere Feliciano, sorridente. «
É certamente un ottimo pezzo da acquistare. »
l’uomo fa qualche passo avanti, portandosi tra di loro.
« Peccato che non sia in vendita. »
l’altro fa una lieve smorfia, ma si allontana.
« Ti ho perso
di vista. » dice, mentre Feliciano allunga la mano verso il
colletto. Lui glielo lascia fare, e sente le dita dell’altro
avvicinarsi alla pelle della sua gola mentre glielo sistemava.
« Non
preoccuparti, ora ci siamo ritrovati. » la luce rendeva anche
Feliciano diverso. Era una visione simile a quella avuta durante la
loro cena insieme, e ora la situazione si stava replicando. «
Hai trovato qualcosa di interessante? »
« Guardavo in
giro. » Feliciano emette una lieve risata.
« I quadri
esposti qui sono interessanti, ma sono una minima parte del patrimonio
privato del padrone di casa. »
« Cosa
intendi dire? » Feliciano fa una pausa, sembra indeciso su
cosa dire di preciso.
« Intendo che
nelle sue stanze, nascoste, ha opere d’arte che è
troppo geloso di mostrare agli altri. » simili parole lo
colgono di sorpresa. « Non hai idea di quanti collezionisti
privati vengano a queste feste per cercare di riuscire a dare solo
un’occhiata. »
« Anche tu?
»
« No, io qui
cerco solo clienti. » ora che lo guardava, Feliciano aveva
un’aria diversa. Sembrava più serio,
più maturo. Più professionale, se doveva essere
sincero, e ne capiva il motivo. « Ma non stasera. Oggi voglio
godermi la tua compagnia. »
Simili parole lo fanno
arrossire, tanto che prende un sorso dal bicchiere e cerca di
dissimularlo. Avrebbe voluto avere la stessa scioltezza nel parlare in
maniera così spontanea, ma sapeva di non averla.
« Sono
contendo di trascorrere la serata in questa maniera. »
risponde, facendo sorridere l’altro.
« Allora
continuiamo il giro. Posso comunque dirti qualcosa a riguardo dei
dipinti esposti. »
La serata prosegue con
più calma, e Ludwig si lascia andare alla voce di Feliciano
che, probabilmente con esperienza, gli racconta qualcosa di ogni quadro
che hanno davanti. Nessuno pare importunarli, anche se con la coda
dell’occhio vede aumentare il numero di persone che li segue
a distanza, incuriositi dalla narrazione di Feliciano. Una scintilla di
gelosia si accende in lui, e desidera avere la voce di Feliciano solo
per sé, che non fosse ascoltata da altri.
Entrambi vengono
richiamati da un uomo che era al centro della sala e che aveva dietro
di sé un ragazzino molto giovane.
« Sono lieto
della vostra presenza oggi. Vedo volti nuovi e vecchi. »
dice, guardandosi intorno. « Spero la mia
ospitalità sia stata gradita. » si alza un lieve
applauso, che l’uomo riceve con una certa deferenza. Si
avvicina, curioso, e sente Feliciano fare lo stesso. Gli tiene la mano,
ora, e lui la stringe della sua. Gli sembra la cosa più
giusta da fare.
« Ma non fare
caso a me, so che volete vedere questo giovane prodigio
all’opera. » l’uomo lascia il centro
della casa, lasciando il centro dell’attenzione ad un
ragazzino spaurito. Questi si guarda intorno con occhi grandi e chiari,
per poi prendere tavolozza e colori e dirigersi verso
l’enorme telo.
Sente Feliciano tirare
la mano, e si percepisce allontanare da lì. Guarda
l’altro uomo, che ha un’aria piuttosto cospiratoria.
« E se ti
dicessi che possiamo assistere a della vera arte, Ludwig, tu cosa mi
diresti? » lui batte un paio di volte le ciglia, confuso, ma
si trova ad annuire. Feliciano continua a tenergli la mano e camminano
al lato della sala, almeno finché non intravedono Kiku.
Feliciano, allora, lo lascia andare. « Rimani qui.
» mormora, avvicinandosi poi all’altro uomo. Questi
non sembrava minimamente interessato all’evento principale,
tanto che gli dava le spalle e fissava distratto oltre la finestra. Una
volta che Feliciano gli è vicino sembra reagire alla sua
presenza. Questi gli si fa vicino, gli parla all’orecchio, e
sorride quando questo annuisce. Feliciano torna da lui, riprendendogli
la mano.
« Andiamo.
» lui si lascia condurre, ed escono silenziosamente dalla
villa. Kiku ha di nuovo la valigetta in mano, e si trova a chiedersi se
riguardasse la loro destinazione. Il loro percorso non è
particolarmente lungo e si svolge in silenzio. Lui pensa alla mano di
Feliciano ancora nella sua, e alla serata che sta trascorrendo. Era
consapevole che non avrebbe più avuto occasioni come quella.
Kiku si ferma davanti
ad un portone, e finalmente apre la valigetta. Dentro, ordinate,
c’erano chiavi scintillanti ed elaborate. Si trova a guardare
Feliciano, che gli sorride in risposta, e la porta davanti a loro si
apre. Lentamente salgono le scale mentre la grande porta si chiude
dietro a loro. Una volta sul piano davanti a loro si staglia una grande
finestra e la visione notturna della città. Un panorama
unico e sconosciuto ai più.
« Da questa
parte. » dice loro Kiku, e loro lo seguono senza proferire
parola. Li fa entrare in un lungo corridoio disseminato di quadri e
statue. Il primo che vede lo coglie di sorpresa. Lo aveva visto solo
una volta dentro il libro di storia dell’arte. Era di una
collezione privata, e ora lo aveva davanti. Con calma si avvicina,
rimirando la fattura del dipinto.
«
É molto bello vero? » si scopre ad annuire,
guardandolo. Feliciano appoggia il viso contro la sua spalla, ed
entrambi tornano a contemplare l’immagine.
« Come
possiamo stare qui? »
« Kiku
è amico della nobiltà, qui. La sua efficienza e
discrezione lo ha fatto diventare il padrone delle chiavi di tutta
Roma. »
« Conosci
persone singolari. » Feliciano annuisce, ma rimane appoggiato
al suo braccio. Con calma si spostano ad osservare un altro dipinto,
più esplicito, ma ugualmente attraente. Feliciano gli parla,
racconta quello che sa, e lui aggiunge le proprie conoscenze e
riguardo. Lentamente passano da marmo d’arte a tela dipinta,
parlando piano, come se fossero in un luogo sacro. Sente Feliciano
vicino e nel sentirlo inciampare passa una mano sul suo fianco per
sorreggerlo. L’altro sembra apprezzare e fa lo stesso, mentre
raggiungono Kiku, che apre loro un’altra porta.
La stanza successiva
è molto più grande ed è spoglia. Si
guarda confuso, ma poi osserva Kiku indicare in alto e alza gli occhi.
L’affresco sul soffitto dipinge il paradiso, e le luci
sapientemente posizionate fanno apparire lo scenario come ultraterreno.
« Credo sia
in parte opera di Raffaello. » mormora Feliciano. «
Sono sicuro che almeno le basi siano le sue. »
« Come fai a
dirlo? »
« Le sue
figure sono uniche. Le riconoscerei ovunque. » si trova a
guardare lo stesso punto che l’altro sta fissando, in cerca
di risposte. Feliciano sembrava sinceramente in estasi. La loro visita
prosegue in una sala attigua, piena di nuove opere d’arte, e
la loro pacata conversazione riprende. Ormai non fa nemmeno caso alla
mano di Feliciano, gli sembra quasi che debba rimanere lì
nella propria.
« E questo
è l’ultimo. » dice Kiku, attirando la
loro attenzione.
« Grazie per
questo favore. » l’altro uomo esegue un breve
inchino, e estende la mano verso l’uscita.
« Dobbiamo
andare. » una volta fuori li coglie la brezza notturna, e
quando guarda l’orologio si rende conto che sono le
due di notte.
« Abbiamo
fatto tardi. » mormora Feliciano, passandosi le mani sulle
braccia per scaldarsi.
« Sicuramente
la festa di là è ancora in pieno svolgimento.
Potete tornare lì. » dice Kiku, camminando davanti
a loro.
« Non credo,
avranno finalmente messo in circolo qualche sostanza nuova e saranno
strafatti. » brontola Feliciano. Ludwig lo osserva tremare
leggermente e si toglie la giacca, appoggiandola sulle sue spalle.
L’altro lo osserva grato e se la infila meglio.
L’effetto è piuttosto buffo vista la differenza
tra i loro corpi, ma si sente più tranquillo nel saperlo al
caldo.
«
Probabilmente hai ragione. Ormai avranno riaccompagnato quel povero
ragazzo a casa, non è rimasto niente se non
un’élite annoiata. »
Ludwig osserva gli
altri due uomini, evidentemente più esperti di lui di quel
tipo di società. Lui non era mai stato a contatto con essa,
e di certo non ne avrebbe avuto più l’occasione.
« Allora vi riaccompagno a casa. » dice quindi
Kiku, facendo aprire la porta dall’autista e infilandosi in
macchina. Feliciano annuisce, per poi fermarsi.
« Ludwig, tu
vuoi rimanere? » lui nega con la testa. La sua serata era
stata con Feliciano, e così sarebbe finita.
« No, non ha
senso rimanere quando tu vuoi andartene. » non sa se
Feliciano sia arrossito sotto la luce dal lampione, ma lo osserva
infilarsi in fretta nella macchina, e con più calma lo
segue. Il tragitto si svolge nuovamente nel silenzio, ma Feliciano
è nuovamente appoggiato sulla sua spalla e lui non ha alcuna
voglia di parlare.
La macchina si ferma, e
lui si trova a dover scuotere piano l’altro uomo, che si
passa una mano sul viso.
« Grazie
della serata Kiku. » mormora, e anche lui si trova a
ringraziare di riflesso. L’uomo fa un altro inchino, e poi
chiude la porta, mentre lui cerca le chiavi di casa. Con calma allunga
le mani nella tasca della giacca, ancora addosso a Feliciano, che
è girato in direzione della macchina, probabilmente ancora
per salutare l’altro.
Con calma apre la
porta, per poi prenderlo per mano e portarlo dentro. Feliciano ride
debolmente, e nuovamente in silenzio fanno le scale. Era la seconda
volta nel giro di poco tempo che rientravano così tardi, e
stavolta era contento che non fossero sbronzi.
Una volta sul
pianerottolo si ferma, indeciso su cosa dire.
« Grazie per
la bella serata. » Feliciano piega la testa di lato,
sorridendo.
« Grazie a te
per avermi detto di sì. »
« Non ho mai
avuto occasione di vedere così tanto. »
« Non ci
vuole molto, basta chiedere alla persona giusta. E poi volevo tirarti
su il morale. »
« Cosa
intendi? »
« Gilbert mi
ha raccontato del vostro cane di famiglia. » una parte di lui
si stringe, addolorata e imbarazzata per simile rivelazione.
« So che non abbiamo questo gran rapporto perché
non me ne hai parlato, ma volevo comunque fare qualcosa per te.
»
Qualcosa dentro di lui
si stringe ancora di più. Con calma si avvicina a Feliciano,
e lo stringe a sé. « Grazie. » mormora
contro di lui. Feliciano avvolge le mani sui suoi fianchi, lasciandosi
andare a quel contatto. Non ha idea di quanto tempo rimangono
così, ma quando si stacca si percepisce a farlo controvoglia.
« Avrei
preferito me lo dicessi tu. » mormora allora Feliciano,
abbassando lo sguardo. « Siamo amici, no? »
La sua domanda era
più che legittima, eppure lui sapeva che non era quella la
verità. Lui non era amico di Feliciano, lui non voleva
essere suo amico.
« No, non lo
siamo. » qualcosa negli occhi di Feliciano si spezza, ma lui
continua a tenerlo vicino a sé. Gli prende il viso, tentando
di tenerlo accanto. « La verità è che
io non posso considerarti un amico, Feliciano. » le parole
nella sua gola di fanno più pesanti. Sa che sta per cambiare
tutto ciò che lo circonda, e non sa come reagirebbe
l’altro alle sue parole, e forse sta per fare un grandissimo
errore, ma lo deve dire. « Tu mi piaci. »
C’è
improvvisamente silenzio. Silenzio da parte di Feliciano, silenzio
nella sua mente. « Io non ti ho detto di Axel
perché ogni volta che ti vedo qualsiasi cosa passa in
secondo piano. Sono giorni che penso solo a noi due che ci siamo quasi-
»
Viene interrotto dalle
labbra di Feliciano sulle sue. L’altro gli getta le braccia
al collo, alzandosi probabilmente sulla punta dei piedi. Lui porta le
mani sui suoi fianchi, attirandolo fino a sé. Mentirebbe a
se stesso se dicesse di non averci pensato a come sarebbe stato
baciarlo.
E baciare Feliciano era
diverso. Aveva baciato altra gente, eppure ora aveva tra le mani la
prima persona che avesse mai baciato. Non era strano. Lo sentiva
perfetto. Percepiva le sue labbra morbide, il suo profumo che
nonostante la serata non era svanito, il suo lieve tremare per essere
in punta di piedi. Era tutto perfetto.
Lentamente Feliciano si
stacca, e lo guarda negli occhi. Anche lui aveva desiderato la stessa
cosa, lo comprende.
Lo percepisce
avvicinarsi con più calma, e piega il viso di lato,
stringendolo a sé e permettendogli di tornare sui suoi
piedi. Dal sorriso che sente capisce che Feliciano apprezza il suo
gesto. Questa volta il loro contatto è meno improvviso,
più dolce e calcolato e gliene è grato. Feliciano
gli dà diversi baci sulle labbra, uno dopo
l’altro, facendolo arrossire. Gli appare particolarmente
contento. Sente una delle sue mani passargli tra i capelli, e lui per
replicare gli tocca il viso.
Non sente alcun bisogno
di parlargli, i baci che si stanno scambiando parlano già
abbastanza.
Non sa dire quanto
tempo sia passato da quando hanno iniziato a baciarsi, ma quando
finalmente si staccano col fiato corto e le labbra che pizzicano,
Ludwig capisce che di tempo speso a baciarsi ne hanno speso abbastanza.
Quelle di Feliciano sono arrossate, e lo vede portarsi una mano alla
bocca.
« Buonanotte,
Ludwig. » mormora, e gli rivolge un breve saluto, per poi
vederlo sparire dietro la porta di casa. Rimane lì a fissare
il vuoto per un po’, cercando di capire se ciò che
aveva vissuto fosse frutto di qualche allucinazione.
No, tutto
ciò che aveva provato era reale. Feliciano tra le sue
braccia era reale, l’averlo baciato era più che
reale. Il solo pensiero del suo sapore in bocca bastava per fargli
girare la testa. Prende un lungo respiro, prendendo le chiavi e aprendo
la porta, percependosi sorridere. Gilbert non c’era.
Probabilmente non lo aveva visto rientrare ed era rimasto a dormire al
piano di sopra. Forse era un bene, non aveva alcuna voglia di dare
spiegazioni o essere particolarmente descrittivo.
Con calma si sposta
verso la camera da letto, iniziando a spogliarsi. Sentiva ancora su di
sé le mani di Feliciano, erano una sensazione che non se ne
stava andando. Gli piaceva.
Una volta cambiato si
rende però conto di come mancasse un pezzo al suo completo.
La giacca era rimasta tutto il tempo addosso a Feliciano. Si percepisce
arrossire al pensiero dell’altro che portava addosso qualcosa
di suo. Un gesto innocente si era trasformato in qualcosa di
terribilmente malizioso.
Sospira.
Sarebbe stata una buona
scusa per poterlo rivedere l’indomani dopo il lavoro. Era
certo che dovevano comunque parlare della loro situazione e chiarire.
Con un leggero sorriso
si butta sul letto, affondando il viso dentro il cuscino. Tutto quello
lo avrebbe fatto il giorno successivo. Ora, in quel momento, rimaneva
su di lui la sensazione delle labbra di Feliciano sulle sue, delle sue
braccia sulle spalle, del suo corpo premuto contro il proprio. Ed era
felice così.
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Capitolo 9 *** Cena con cerimoniale spagnolo ***
Aveva dormito per poche ore,
ma una volta sveglio continuava a sentirsi in piena fibrillazione. A
stento credeva di essere davvero riuscito a baciare Feliciano. Forse la
sua era stata una mera illusione, ma ogni volta che ci pensava la sua
mente riproponeva il tocco delle sue labbra sulle proprie e di come
fosse stato piacevole stringerlo tra le braccia.
Certo alla fine era
stato Feliciano a baciarlo, ma ogni dettaglio diventava irrilevante
ogni volta che tornava a pensarci.
Con fatica Ludwig si
alza dal letto, decidendo di essercisi rotolato sopra come un
adolescente alla prima cotta un po’ troppo, e si sposta in
cucina. In casa c’è silenzio, probabilmente
Gilbert stava ancora dormendo nell’appartamento del piano di
sopra e sicuramente doveva andare a recuperarlo prima di andare al
lavoro.
Con calma Ludwig fa
colazione, si veste, ed esce di casa tenendo sempre d’occhio
l’orologio. Sulla porta c’è un post-it,
che stacca osservando una calligrafia sottile e piuttosto frettolosa.
« Hai
lasciato a me la giacca. Vieni a riprenderla quando puoi. »
legge ad alta voce. Si era completamente dimenticato della giacca.
Controlla velocemente l’orario, decidendo che aveva ancora
tempo per recuperare quella e poi salire per recuperare anche il
fratello. Con calma si avvicina alla porta dei vicini, e bussa piano.
Forse non era una buona idea e Feliciano, dopo la serata trascorsa,
stava ancora dormendo.
« Arrivo.
» sente dire dall’altro lato della porta, e
improvvisamente si rende conto che non sa cosa dire una volta che lo
avrebbe avuto di fronte. Non aveva idea di cosa si dicesse ai ragazzi
che hai baciato la sera prima e ai quali abiti accanto. «
Ludwig, buongiorno. »
Il viso di Feliciano
è assonnato, lo vede strofinarsi un occhio.
« Ti ho
svegliato? »
« No,
affatto. Ti aspettavo. »
« Sono qui
per la giacca. » Feliciano lo guarda per un momento, e gli
sorride.
« Vado a
prenderla. » lui rimane alla porta, congratulandosi con se
stesso per essere riuscito a non mettersi in imbarazzo durante quella
breve conversazione. Osserva la figura di Feliciano sparire in una
stanza attigua, e poi uscire con la sua agognata giacca. «
Ecco qui. » gli dice Feliciano, mettendogliela in mano.
Dovrebbe dire qualcosa,
ne è consapevole, ma non ha idee. Feliciano sembra
però intuire la sua situazione, e si sporge per primo,
avvicinandosi al suo viso. Questa volta è lui a toccargli il
volto per avvicinarlo a sé, e Feliciano gli si stringe,
baciandolo. Questa volta è una sensazione diversa, e Ludwig
sente la lingua dell’altro sfiorare le proprie labbra. Lo
stringe a sé, portando l’altra mano sul suo
fianco, cercando di non far cadere a terra la sua giacca. La sua mano
si tende, desiderosa di infilarsi sotto la camicia, ma lui cerca di
mantenere il controllo, concentrandosi sul bacio che Feliciano stava
approfondendo.
Era caldo e piacevole,
e doveva ammettere che ci sapeva fare. Lui non aveva tanta esperienza,
ed erano passati anni dall’ultima relazione, quindi farsi
guidare dall’altro gli sembrava un’ottima idea.
Sente le labbra di Feliciano schioccare, allontanarsi dalle sue.
Questa volta
è di nuovo lui a baciarlo, e l’altro sospira
soddisfatto contro le sue labbra, unendole in un altro bacio. Non si
vorrebbe mai staccare da lì, e qualsiasi altro pensiero
passa in secondo piano nella sua mente. Ora è focalizzata
totalmente su Feliciano, e non ha alcuna intenzione di cambiare idea.
« Ma che
piccioncini! » l’improvvisa voce di Francis lo
riporta alla realtà. Con uno scatto si allontana da
Feliciano, confuso anche lui da simile interruzione, e si voltano
entrambi in direzione delle scale. Sull’ultimo gradino
c’era Francis. Non presagiva niente di buono. «
È così rincuorante vedere l’amore
così presto di mattina. » dice, passandosi una
mano sul viso. « Non pensi anche tu, Antonio? »
Ludwig si percepisce
impallidire mentre vede l’altro uomo sbucare da dietro le
spalle dell’altro. « Se io avessi visto qualcosa,
certo. » brontola, portandosi accanto all’altro
uomo e lanciandogli un’occhiata. « Ho sbattuto
contro la tua schiena. » Francis gli lancia
un’occhiataccia divertita, prendendo poi il proprio
coinquilino per le spalle e spingendolo verso le altre scale.
« Oh, non
fate caso a noi. Se hai bisogno, Ludwig, posso tenermi tuo fratello
ancora per un po’. » lui arrossisce, staccandosi
quindi da Feliciano, confuso quanto lui.
« Stavo
salendo da te per recuperarlo. » dice, cercando di mantenere
un tono di serietà. Difficile da fare se pensava al fatto
che li avessero beccati due persone che non erano capaci di tenersi una
singola informazione solo per sé.
« Ma certo.
» cantilena Francis. « Puoi salire con calma, noi
ti aspettiamo. »
«
È meglio se salgo adesso, devo andare al lavoro. »
Francis inarca un sopracciglio, lanciando una veloce occhiata a
Feliciano, e poi rotea gli occhi, continuando a spingere Antonio,
confuso da simile comportamento.
« Io-
»
«
É meglio che tu vada. » gli dice Feliciano,
sorridendo. Gli appare teso, forse nemmeno a lui faceva piacere
l’idea di essere stati visti. Non riusciva a dargli torto.
«
Sì, grazie per la giacca. » il sorriso che gli
rivolge gli sembra più naturale, e Feliciano si avvicina per
un altro bacio, che lui è felice di ricevere, per poi
prendere le scale e arrivare alla porta di Francis. Era sinceramente
preoccupato dall’eventuale stato del fratello, ma non aveva
più molto tempo a disposizione. Doveva portarlo a casa e poi
uscire, senza deviazioni. Con calma suona alla porta, e ben presto
Francis viene ad aprirgli, con espressione maliziosa.
« Sei stato
veloce. » cantilena, ma lui lo ignora, cercando con lo
sguardo Gilbert. Questo era seduto sul divano e si stava massaggiando
le tempie. Non era un buon segno.
« Gilbert,
avanti, devi tornare a casa. »
« West?
» borbotta quello, aumentando il ritmo del suo massaggio.
« Che ore sono? »
«
É l’ora che ti riporto giù. »
Gilbert in post-sbornia
era curiosamente più malleabile, e lui ne è
particolarmente grato. Infatti il fratello si alza in piedi,
obbediente, e saluta un’ultima volta gli altri due uomini.
Con calma lo fa scendere le scale, e lo porta in casa. La situazione di
Gilbert non gli appare disperata, ma gli allunga comunque
dell’acqua con aspirina preparata in precedenza. Gilbert gli
sembra grato e beve tutto, buttandosi poi dritto sul divano. Quando lo
controlla si accorge che si è già addormentato,
quindi gli mette addosso una coperta e chiude la porta di casa,
avviandosi al lavoro.
La giornata trascorre
tranquilla, e Gilbert poi dà segno di essersi svegliato e di
stare bene, e la sua mente allora si rilassa, pensando a quella mattina
e a Feliciano. Ciò che era successo gli metteva addosso
diversi dubbi. Tante domande si erano affacciate alla sua mente, ma al
termine della giornata lavorativa non riesce a trovare risposta a
nessuna.
Con fare sconsolato
ritorna a casa, e fa stanco le scale, giusto per trovare Lovino davanti
alla porta di casa. Non era per niente un buon segno.
« Tu!
» esclama l’altro, puntandogli il dito addosso. Si
sente confuso, e passa lo sguardo dal viso arrabbiato
all’indice puntato nella sua direzione. « Come hai
osato? »
« Cosa?
»
« Tu, mio
fratello non lo devi toccare! Hai capito!! » la sua mente ci
impiega un po’ a registrare le imprecazioni di Lovino, ma una
volta incanalate non ci mette molto a fare i conti. Fratello.
Feliciano. Toccare. Bacio.
Alla fine la notizia
era arrivata a lui. Probabilmente non ci aveva impiegato molto, il
telefono senza fili che mettevano in piedi Francis e Antonio era in
grado di arrivare dall’altro lato della città nel
giro di mezza giornata.
« Lovino, ma
che cazzo? » Feliciano d’improvviso sbuca fuori
dalla porta dell’appartamento, avvicinandosi al fratello.
« Ma che
cazzo lo dico io! » strilla l’altro, venendo quindi
afferrato dal fratello che cerca di trascinarlo via, nonostante i suoi
tentativi di divincolarsi. Feliciano lo guarda negli occhi,
sembrandogli sinceramente dispiaciuto.
« Ne parliamo
dopo. » gli dice.
« Tu non gli
parlerai mai più! » urla Lovino, per poi essere
buttato senza grazia dentro l’appartamento, seguito quindi da
Feliciano. Giusto in tempo per vedere la scena Gilbert apre la porta,
confuso almeno quanto lui. L’altra porta si chiude, e lui
percepisce chiaramente degli strilli così acuti che non
sembravano provenire da due esseri umani. Gilbert fa un passo in
avanti, ma lui lo spinge dentro e chiude la porta dietro di
sé.
Le urla si sentono
anche dentro il suo appartamento, e probabilmente le sta sentendo tutto
il palazzo. Sente un alternarsi di bestemmie, di “sono un
cazzo di adulto” e “hai rotto il cazzo
Lovino” dalla voce che identifica come quella di Feliciano.
Non aveva mai avuto l’occasione di percepirlo così
arrabbiato, e non voleva mai incappare nella sua furia in quella
maniera. Dal canto suo Gilbert aveva aperto un pacchetto di patatine, e
nonostante non ci capisse niente sembrava divertirsi un mondo per la
situazione surreale creatasi.
Dopo una ventina di
minuti le urla di affievoliscono.
« Non vai a
controllare? » gli chiede divertito Gilbert, e lui gli lancia
un’occhiata da sopra il giornale che stava leggendo. Come una
delle poche volte della sua vita, era sinceramente preoccupato. Un lato
di lui voleva andare a bussare, a sapere come stesse Feliciano o se
fosse successo qualcosa, ma temeva di venire divorato direttamente
sullo zerbino.
Dopo cinque minuti
bussano alla sua porta, e lui titubante va ad aprire.
« Hai un
minuto? » chiede Feliciano, sorridendo, e lui annuisce,
uscendo sul pianerottolo e socchiudendo la porta. « Mi
dispiace se hai dovuto assistere a una scena simile. Non si
ripeterà. » lui deglutisce, ma si scopre ad
annuire.
Feliciano lo fissa per
qualche momento. « Mi rendo conto di non aver dato una buona
impressione. » sospira, abbassando lo sguardo. era vero, di
certo non si aspettava che lui avesse un simile tratto caratteriale.
« Noi due non
ci conosciamo molto bene. » gli dice, prendendogli il volto e
spingendolo a guardarlo. « Ma ciò non toglie che
possiamo conoscerci meglio. » Feliciano abbozza un sorriso e
lui si trova a guardare i suoi occhi lucidi.
« Anche se
mio fratello è un cagacazzi assurdo? » lui si
trova a emettere uno sbuffo per mascherare una risata, ma alla fine lo
bacia, trovando finalmente una risposta alle sue domande. Lui e
Feliciano avevano una relazione, senza alcun dubbio.
La settimana successiva
era stata un’autentica passeggiata. Certo aveva ancora il
fratello a cui badare, ma la sua novella relazione mi faceva sentire
decisamente più leggero. Feliciano non aveva cambiato molto
la loro routine, ma si trovavano comunque a fare spesso le scale
insieme. Al primo piano sfuggiva ad entrambi un intenso amoreggiamento,
più di una volta.
Anche quel pomeriggio
Ludwig riesce a intravedere la figura di Feliciano che lo attende
all’entrata, ma sembra essere orientato alla piccola bacheca.
Lui attraversa la porta, avvicinandosi quindi e prendendolo per i
fianchi. Feliciano emette un verso divertito, e lui lo bacia sulla
tempia, improvvisamente disinibito. Non avrebbe mai pensato che la
presenza dell’altro potesse renderlo più sciolto.
« Cosa
guardi? »
« A quanto
pare sabato Antonio ha invitato tutti ad una cena sul terrazzo.
» anche lui allora guarda il volantino colorato, che
illustrava il citato invito. L’ultima frase invitava a
scrivere della propria partecipazione così avrebbe saputo
per quanti cucinare.
« Tu ci
andrai? »
«
L’idea sembra carina. e poi per una sera non dovrò
sorbirmi Lovino che critica qualsiasi cosa io cucini, quindi credo
proprio che scriverò il mio nome. Hai una penna? »
lui gli sorride, prendendola dalla propria ventiquattrore, e lo osserva
scrive entrambi i loro nomi sul foglio. Feliciano lo guarda, e lui nota
il vasto rossore sulle sue guance.
« Ho fatto
qualcosa di sbagliato? » l’altro scuote la testa, e
si appoggia sul suo corpo. Sente il suo calore addosso, e continua a
tenergli i fianchi. « Andiamo di sopra? » Feliciano
annuisce, gli prende la mano, e si avvia alle scale.
Antonio era stato
elusivo sulla faccenda. Lui aveva tentato, da solo e anche con
Feliciano, di capire se dovesse portare qualcosa o dare il proprio
contributo in qualche maniera, ma Antonio li aveva dismessi entrambi,
dicendo che sarebbe stato contento anche della loro sola presenza
all’evento.
Alla fine, fatto
curioso, avevano scelto di partecipare tutti. Persino Arthur.
Probabilmente tutti
erano rimasti incuriositi da quello strano invito, oppure era
l’idea di avere cibo gratis che alla fine era prevalsa. Lui
non ne aveva idea, ma alla fine ci sarebbe andato insieme a Feliciano.
All’ultimo aveva anche aggiunto in nome del fratello, e si
era dovuto sorbire le battutine di Francis sul come la sua fiamma gli
facesse dimenticare persino il suo stesso sangue. Lo aveva ignorato, ma
alla fine aveva scoperto che Gilbert sapeva già di tutta la
faccenda, rendendo il suo gesto ancora più imbarazzante.
La fatidica sera era
arrivata. Gilbert si era avviato prima di lui, adducendo ad un aiuto
che aveva assolutamente promesso, e lui l’aveva lasciato
andare senza fare domande. Qualsiasi fosse la faccenda che necessitasse
del suo aiuto non intendeva metterci il naso.
Feliciano come suo
solito bussa alla sua porta. « Ludwig, sei ancora qui?
»
Lui si affretta ad
aprire, trovando l’altro uomo con diverse bottiglie in mano.
Gliene prende qualcosa, gesto che Feliciano apprezza. « Meno
male che sei qui, Lovino si è dimenticato di prendere la sua
parte e io non ho abbastanza mani. »
« Anche
Lovino è già salito? »
« A quanto
pare sì, era di un nervoso insopportabile per tutto il
pomeriggio. » lui non trova niente da replicare, e prende le
chiavi, chiudendo la porta dietro di sé. Feliciano gli
è davanti, e sembra dondolare lievemente sotto il peso delle
bottiglie. Con calma raggiungono la porta del terrazzo, e lui si
affretta ad aprirla, facendo passare l’altro.
Non era stato spesso in
quella parte del palazzo, ma la zona sembrava essersi trasformata. Il
sole ancora non accennava a tramontare, ma erano state attaccate
diverse lanterne che probabilmente sarebbero state accese dopo. Accanto
intravedeva dello zampirone, unica arma valida contro le zanzare.
C’erano già diverse persone lì, e lui
segue Feliciano, appoggiando quindi le bottiglie sul tavolo
già apparecchiato.
Mancavano solo gli
inquilini del primo piano, e poi sarebbero stati al completo.
C’era qualcosa di strano nell’aria ma non ha tempo
d chiedersi cosa sia che suo fratello gli si getta addosso.
« West!
» esclama. « Finalmente sei qui! »
« Sono venuto
puntuale. » replica, mentre Gilbert gli passa una mano lungo
le spalle.
« E meno
male, altrimenti ti saresti perso la bomba. »
« Cosa?
»
Il loro discorso viene
interrotto da Laura, che aveva sonoramente aperto la porta, trascinando
i suoi due fratelli. Il terzetto era una rara visione tra quelle mura,
ma Antonio saluta affettuosamente tutti e tre e li invita tutti a
prendere posto. La tavola era piena di cibo e il tramonto rendeva tutto
molto suggestivo.
Antonio aveva cucinato
un sacco di pietanze spagnole per l’occasione. Non aveva mai
avuto occasione di provare qualcosa di suo, e ora che lo faceva ne era
pentito. Antonio cucinava parecchio bene.
La serata procede
liscia, e nonostante Lovino di tanto in tanto lo guarda male, niente va
storto. Lui è seduto tra Gilbert e Feliciano, e di tanto in
tanto scambia due parole con entrambi. É solo una volta
svuotati i piatti per una terza volta che Antonio si alza in piedi, dal
capotavola. Sembra piuttosto serio, nonostante abbia ancora un sorriso
sul volto.
« Signori e
signore, vorrei la vostra attenzione. » Ludwig lo osserva
tenere il calice, la sua mano trema appena. « Devo fare un
annuncio importante. »
« Te ne torni
in Spagna? » brontola allora Arthur, facendo imbronciare
l’altro.
« Non
spoilerare! » esclama, piccato. Simile frase cogli di
sorpresa l’altro, che batte le ciglia.
« Cos-
»
« Ebbene
sì, lunedì torno finalmente a casa. »
dice Antonio, sorridendo. « Ho voluto fare una bella cena
prima di partire, così da lasciare un bel ricordo.
» Ludwig dà un’occhiata al fratello, che
non sembrava per niente sorpreso. Probabilmente lo sapeva
già, o l’aveva intuito. Feliciano, al suo fianco,
sembra genuinamente colto alla sprovvista.
« No, ma
davvero? » esclama Laura, accanto a lei persino Sebastiaan
aveva distolto gli occhi dal suo palmare, stupito.
« Non credevo
questo giorno sarebbe mai arrivato. » dice Basch, e persino
Erica si trova ad avere un’espressione triste.
«
Dovrò suonare qualcosa di adatto al pianoforte. »
« Non serve
caro. » dice Elizaveta, fermandolo. Antonio ride divertito, e
Ludwig sposta lo sguardo su Francis, che allunga il suo bicchiere per
picchiettarlo con quello dell’amico. Ha un’aria
insolitamente triste. Non era sorpreso di vederlo in quella maniera.
« Al tuo
viaggio. » dice, ottenendo un sorriso entusiasta da parte di
Antonio.
« Non ti
preoccupare, tornerò ad infestare il tuo appartamento prima
o poi. »
« Non ci
pensare proprio. » replica Francis, sorridendo divertito.
« Finalmente potrò portare della compagnia
notturna senza avere paura che tu ti metta a cucinare la paella alle
due di notte. »
« Sempre
meglio di svegliarsi abbracciato a Gilbert. » punzecchia
l’altro, e tutti e tre gli uomini rabbrividiscono,
probabilmente preda di chissà quale ricordo del quale non
voleva essere partecipe. In tutto questo, Lovino sembrava essere
rimasto in silenzio. Sembrava una statua, tanto era immobile.
Continuava a fissare Antonio, e lui non si spiegava il motivo.
«
É un vero peccato non aver avuto occasione di conoscerci
meglio. » dice allora Feliciano, alzandosi in piedi e
allungando il proprio bicchiere per brindare ad Antonio.
L’altro accetta, e bevono insieme. « Non
è vero Lovino? »
« Cosa?
» dice l’altro, finalmente reagendo
all’ambiente che lo circondava. « Che hai detto?
» Feliciano lo fissa per un momento, e si siede.
« Ho detto
che è un peccato non essere uscito più spesso con
Antonio. »
«
Chissà come mai. » replica acido lui, prendendo un
sorso dal suo bicchiere. Feliciano gli lancia
un’occhiataccia, ma Lovino non sembra reagire ad essa.
« Lovino,
lascia che faccia un brindisi anche a te. » dice allora
Antonio, alzando il suo calice. Lovino sgrana gli occhi, portandoli
sull’altro uomo. « Grazie per la tua compagnia.
»
Ludwig batte le ciglia,
confuso da un simile sviluppo degli eventi. Non aveva idea che quei due
fossero amici.
« Ehi, se lo
fai a lui devi fare un brindisi così anche a me! »
strepita Gilbert.
« E anche a
me che con te ci ho vissuto tutti questi anni. » aggiunge
Francis. Antonio ride divertito dalla situazione, ma poi brinda anche
con i calici degli amici. Lentamente l’uomo fa il giro del
tavolo, brindando con tutti per un motivo o per un altro. Quando gli
è di fronte Ludwig si sente in imbarazzo, non trovando un
motivo per brindare. Antonio picchietta il proprio bicchiere con il
suo, sorridendo cordiale.
« Grazie per
il favore. » dice, per poi bere, e passare a Gilbert, che si
era attaccato al suo braccio per capire di cosa l’altro
stesse parlando. Ludwig osserva la figura di Antonio, confuso. Era
così abituato a vederlo che la sua assenza sarebbe stata una
cosa strana da vivere. Era come se si fosse conclusa un’epoca
di quel palazzo, e Antonio se ne stava portando via un pezzo.
« Basta, io
me ne vado. » dice allora Lovino, alzandosi malamente in
piedi.
« Ma come?
Manca ancora il dolce. »
« Non lo
voglio. » ringhia quindi lui, e a grandi passi prende la via
della porta nel completo silenzio dei presenti. Persino Antonio rimane
senza parole, ma poi questi appoggia il proprio bicchiere sul tavolo.
« Datemi un
momento, torno subito. » dice, sparendo anche lui dietro la
porta.
«
É un po’ strano fare la festa senza il
festeggiato. » mormora Laura, abbassandolo sguardo sul suo
piatto.
« Se volete
festeggiare qualcuno, io sono sempre disponibile. » dice
Gilbert, ma lui si rifiuta di tradurre la frase in italiano. Laura,
invece, sembrava capire il tedesco e la osserva lanciare
un’occhiata divertita in direzione di suo fratello.
Dopo poco vedono
Antonio rientrare, ma da solo. Ha un’aria piuttosto insolita,
ma una volta che si sente i loro sguardi puntati addosso riprende a
sorridere. « Lovino ha un carattere proprio difficile, non
vuole ammettere per niente che gli mancherò! »
A quel punto
è il turno di Feliciano di alzarsi da tavola. « Se
vuoi posso parlarci io, è stato davvero maleducato.
»
« No, non
c’è alcun bisogno. Ci siamo già detti
addio. » replica Antonio, mettendolo a sedere con un gesto
della mano. « Ora dovrò dire addio a tutti voi.
»
La serata riprende con
più calma, ma Ludwig percepisce la lieve tensione che aveva
lasciato l’abbandono di Lovino. Avrebbe voluto chiedere a
Feliciano se ne sapesse qualcosa, ma non era certo il momento migliore
di parlarne. Sospira, prendendo dei churros che Antonio aveva messo sul
tavolo come dolce.
La serata si stava
concludendo in maniera strana. Certo le lanterne rendevano il terrazzo
un luogo particolare, e c’era della musica non troppo alta
che alleggeriva l’atmosfera, eppure riusciva ad avvertire
l’aria del cambiamento più radicale. E molto era
cambiato dall’inizio di quell’estate.
L’uomo che si era appoggiato sulla sua spalla era il suo
partner, una novella relazione. Gli sembrava che fosse passata
un’eternità da quando lo aveva visto per la prima
volta.
Ora, invece, Antonio se
ne andava e con lui una parte della sua quotidianità. Era
una sensazione strana ma alla quale si sarebbe presto abituato.
«
É una bella serata. » mormora Feliciano,
prendendogli il braccio e sistemandosi meglio sulla sua spalla.
« Vero.
»
« Vorrei che
non finisse mai. » lo desiderava anche lui, ma non aveva il
coraggio di ripeterlo. era il primo a sapere il come niente fosse
eterno e duraturo nella vita, ma non se la sentiva di rovinare
l’atmosfera, quindi appoggia la propria mano sopra a quella
di Feliciano, che sorride contento.
Quelli del primo piano
sono i primi a congedarsi, e Antonio saluta con affetto tutti loro.
Sembrava essere piuttosto legato con loro, ma non aveva idea di quando
fosse successo. I successivi sono Basch e la sorella, e Antonio in
segno di buona fede gli stava donando dei dolci.
Quando fu il turno
della coppia sposata, Ludwig lo osserva abbracciare entrambi con
trasporto, sussurrando qualcosa all’orecchio di Elizaveta e
ottenendo in risposta un sonoro scappellotto. I saluti con Arthur sono
tesi, ma Antonio riesce a dargli qualche pacca sulla spalla e a
congedarlo con un certo affetto.
Rimangono solo lui e
Feliciano, insieme a Gilbert.
« Andiamo?
» chiede, voltandosi verso il fratello.
« Eh no, deva
aiutarmi a portare giù questo tavolo! » esclama
Francis, afferrandolo per un orecchio. « Non credere di
scapparmi. » Gilbert strilla qualcosa a riguardo di
maltrattamento, e viene presto trascinato via dall’altro.
« Non
rimanete che voi. » dice allora Antonio, e Feliciano si
protende in un lungo abbraccio. « Non ti ingelosire eh!
» gli dice, facendo l’occhiolino. Consegna anche a
loro dei dolci. « Vi auguro ogni bene. » aggiunge,
facendo arrossire entrambi, e insieme prendono le scale. Le scendono in
silenzio, tenendosi per mano, e una volta davanti alla porta si
baciano. Feliciano sembra contento di un simile saluto, ma poi si
stacca da lui, lo saluta e scompare dietro la sua porta. Lui fa lo
stesso, rientrando in casa, e si siede sul divano, respirando
l’aria della sera.
Qualcosa stava
cambiando per sempre.
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Capitolo 10 *** Offerte che non puoi rifiutare ***
Antonio era andato via in
pompa magna, e l’aria del palazzo era mutata completamente.
Era come se mancasse un pezzo fondamentale della sua
quotidianità. Le giornate si erano rallentate, ma non la sua
mole di lavoro. Anzi, con l’estate sembrava aumentare a
dismisura. A fatica Ludwig riusciva a tornare a casa, combattendo il
caldo asfissiante, e una volta a casa passava il tempo prima della cena
con Feliciano, che sembrava non volersi allontanare troppo da lui.
La loro relazione stava
andando sorprendentemente bene, anche se era appena iniziata.
Spendevano tanto tempo a parlare degli interessi in comune e a
discutere delle questioni su cui divergevano. Non importava quanto
cercasse di argomentare, l’altro continuava a preferire il
panettone al pandoro e persino per lui sembrava una preferenza davvero
estrema. Poi finalmente Gilbert tornava a casa, dopo essere stato da
Francis, e Feliciano abbandonava la sua casa per tornare nella propria.
« Senti, Kiku
mi ha chiesto di uscire questo venerdì, e ha detto che non
è un problema se vieni anche tu. » la sua mente
torna alla serata in cui aveva conosciuto l’uomo giapponese,
e a ciò che simile conoscenza aveva portato. Non poteva che
essere più che ben disposto ad incontrarlo nuovamente.
« Ti va bene
che venga anch’io? » Feliciano sorride, divertito,
e annuisce.
« Kiku
è un tipo solitario, se ti ha nominato devi avergli fatto
un’ottima impressione. » un tale complimento lo fa
arrossire, e si scopre a distogliere lo sguardo dal viso di Feliciano,
che si acciglia. « Ma tu guarda, stai già pensando
ad un altro uomo! » esclama.
« No, non
potrei mai! » risponde subito lui, cercando di non arrossire
di più. Feliciano gonfia le guance, ma dopo una seconda
occhiata riesce a cogliere il divertimento nella sua espressione.
L’altro lo abbraccia, stringendolo a sé, e lui
ricambia il gesto. Per un po’ rimangono così, e
poi Feliciano alza il viso, in cerca di un bacio che lui gli da senza
alcun problema. Sente le sue mani muoversi sul suo corpo, e scendere
fino al suo fondoschiena. Un simile gesto lo fa arrossire, ma non
toglie il contatto con le labbra, lasciando che l’altro
faccia rimanere le mani dove stanno.
Dopo un po’
è Feliciano a porre fine al loro bacio, e gli sorride.
« Ci sentiamo. » gli dice, lasciandolo
lì a fissare il vuoto.
« Ma sei
davvero sicuro che va bene che vengo anch’io? »
Feliciano rotea gli occhi, stringendogli il braccio e facendogli fare
altri scalini. Non aveva un buon presentimento per quella uscita. Certo
la sua presenza era legittimata, quasi richiesta, ma non riusciva a
togliersi di dosso la sensazione di fare da incomodo per tutto
l’incontro.
« Mamma mia,
Ludwig! » esclama l’altro. « Per la
millesima volta, sì, gliel’ho anche chiesto e ti
ho mandato lo screen con la risposta. » lui sospira,
lasciandosi condurre lungo le ultime rampe di scale. « Dai
che dobbiamo andare a prendere la metro. »
Questa volta avrebbero
dovuto fare affidamento a se stessi. Ludwig si lascia condurre da
Feliciano per tutto il percorso, ignorante sul luogo della loro
destinazione.
« Se non ti
andava di venire potevi dirmelo. » mormora Feliciano, dopo
essersi seduto. Lui sospira.
« Mi andava
di venire. Mi sento solo un po’ nervoso. »
«
È Kiku, non morde. »
« Non
è così semplice. » replica lui.
« È comunque una persona che conosco poco, e non
sono a mio agio in simili situazioni. » Feliciano si
ammutolisce, poi appoggia la propria mano sulla sua.
« Ci sono io
con te. » gli dice sorridendo, e ciò lo fa sentire
un po’ più sereno. « Non sei da solo.
»
« Lo so.
Grazie. » il resto del tragitto prosegue in maniera
più serena, e Feliciano stesso appare più
rilassato. Con calma raggiungono il locale designato per
l’appuntamento, e trovano Kiku lì davanti. Questi
nel vederli esegue un breve inchino, e li invita ad entrare. Feliciano
una volta vicino lo abbraccia, ma simile gesto non sembra infastidire
l’altro uomo, che lo accetta con pacifica rassegnazione.
« Buon
pomeriggio. » dice poi nella sua direzione.
« Anche a
lei. » ricambia quindi lui, e tutti e tre proseguono il
tragitto verso un tavolino appartato. Era un luogo particolare,
nuovamente nel cuore del centro ma nascosto agli occhi dei
più. Era un mistero sul come Feliciano conoscesse simili
luoghi, o che almeno conoscesse persone che lo conducevano
lì. Feliciano ordina un caffè, e lui fa lo
stesso, mentre Kiku prende un tè freddo.
«
É insolito che sia tu a chiedermi di vederci. »
inizia quindi Feliciano, appoggiandosi sul palmo della mano.
« Sono qui
per un motivo. » replica l’altro uomo, mettendo
quindi sul tavolo una busta sigillata. Feliciano la guarda un attimo, e
qualcosa dentro di lui si irrigidisce.
«
É lavoro, vero? » Kiku annuisce, allungandogliela.
«
Sì. A quanto pare hai attirato l’attenzione
all’ultima festa. » simile affermazione non gli fa
piacere, ma l’arrivo del cameriere interrompe ogni suo
sentimento di rimostranza. Questi appoggia sul tavolo le loro
ordinazioni e si defila in fretta. « In realtà ne
ho ricevuto diverse, ma conoscendoti ho selezionato quella migliore.
»
Feliciano sospira, ma
prende comunque la busta e la apre. Dentro c’è un
nutrito plico di fogli, ma lui non ha il coraggio di sbirciare per
vedere di che cosa si tratta. Guarda invece l’espressione di
Feliciano, che passa da rigida e annoiata ad una molto più
sorpresa e interessata.
« Questa
proposta è seria? »
« Ho chiesto
delle conferme, ovviamente, prima di proportela. » vede
Feliciano scorrere freneticamente lungo i fogli, guardare in cerca di
chissà che cosa, con l’espressione che si faceva
sempre più eccitata. Non l’aveva mai visto in
quella maniera.
« Davvero,
è una cosa fantastica, Ludwig- » nel chiamare il
suo nome qualcosa dentro l’altro si ferma, e
l’espressione contenta si incrina un po’. Non ne
comprende il motivo, ma vede l’altro appoggiare sul tavolo i
fogli, con fare più composto rispetto a prima. «
Grazie per l’offerta Kiku. Ci devo pensare. »
L’altro uomo
alza leggermente un sopracciglio, e sembra confuso, ma non dice niente
e prende a sorseggiare il suo tè. « La scelta
è la tua, io sono solo un tramite. Posso solo dirti che sono
interessati a te abbastanza da attendere una tua risposta. »
Feliciano sorride, abbassa lo sguardo.
« Non so come
farei senza di te. » dice, sorridendo. « Conosci un
sacco di gente importante. » Kiku alza lievemente le spalle,
ma ora sta guardando lui. Ludwig non capisce il motivo, ma si
percepisce profondamente scrutato e messo sotto esame.
« Non
importante abbastanza. » risponde con un debole sorriso,
facendo tornare i propri occhi su Feliciano. Da un ultimo sorso al
proprio tè, e poi si alza in piedi. « Io devo
congedarmi. É stato un piacere passare il tempo in vostra
compagnia. Feliciano, quando avrai una risposta contattami, il cliente
vuole avere una risposta, positiva o negativa che sia. »
l’uomo annuisce, sorridendo.
« Non ti
preoccupare, te lo farò sapere. » Kiku si inchina
e se ne va, lasciandoli da soli. Feliciano riprende in mano i fogli,
rimettendoli nella busta. Ancora non aveva idea di cosa si trattasse.
L’altro sembra percepire il suo sguardo, perché
prende la busta e la appoggia sul divanetto accanto sé,
togliendolo definitivamente dalla sua vista. « Ora che ci
penso, siamo rimasti soli, ed è il nostro primo
appuntamento. » gli dice, facendolo arrossire per una simile
nomea. Appuntamento. Gli sembrava di essere una adolescente, non un
uomo adulto, ma nel vedere il viso sorridente di Feliciano non
può fare altro se non sorridergli di ricambio.
« Potremmo
andare da qualche parte insieme. »
«
Sì, è un’ottima idea. A
quest’ora le gallerie non dovrebbero essere troppo affollate.
» lui annuisce, lasciandosi condurre lungo le antiche vie del
centro, godendosi l’atmosfera. Non può tenerlo per
mano, ma di tanto in tanto l’altro sfiora casualmente il
dorso della sua, o gli si fa improvvisamente vicino, e si sente bene in
quella maniera. Sul viso di Feliciano non c’è
più nessuna ombra, e sembra quasi che l’episodio
di prima non fosse mai avvenuto.
C’era tante
cose che ancora non conosceva di Feliciano, ma lentamente gli veniva
voglia di venirci sempre più a contatto, piacevole o
sgradevole che fosse. Non aveva idea se l’altro volesse lo
stesso da lui, e non gliene dava torto. Avevano appena iniziato una
relazione, e ci certo arrabattarsi su queste cose non era ancora giunto
il momento.
« Io te
l’avevo detto che questo film faceva paura. » con
vago sconforto Ludwig accende la luce, giusto per vedere il suo ragazzo
con fratello annesso nascosti tra i cuscini del divano non
può fare altro che sospirare. Certo Gilbert era un gradasso,
ma non riusciva mai a reggere oltre dieci minuti di film, ma
l’insistenza di Feliciano nel vederlo per poi aggrapparsi a
lui urlando destavano in lui più di una
perplessità.
« Oh, meno
male che ora c’è la luce. » borbotta
Gilbert, tornando a sedersi in maniera più composta.
Feliciano si passa una mano tra i capelli, tremando ancora un
po’.
« Pensavo che
lo avrei retto. » commenta, cercando poi qualcosa con lo
sguardo. Sembrava aver cercato lui, tanto che una volta avvistato gli
sorride. « Come mai a te non fa paura? »
« Sono cose
finte. »
«
Sì ma sullo schermo sembra tutto così vero!
» esclama Gilbert, portandosi nuovamente la mano sulla testa.
Lui alza gli occhi al cielo, sedendosi accanto a Feliciano. «
É evidente che hai preso da mamma. » borbotta
quindi, ricevendo un’occhiata. Feliciano, tra di loro, li
guarda entrambi.
« Possiamo
guardarci qualcosa di più leggero. » propone,
sorridendo.
« Io devo
andare in bagno. » dice quindi Gilbert, alzandosi e
defilandosi in fretta. Ludwig sente la porta sbattere, e torna a dare
la sua attenzione a Feliciano.
« Hai ancora
paura? »
« Un
po’. » risponde lui, facendosi vicino al suo corpo.
Aveva notato che col tempo Feliciano si era fatto molto più
fisico nei suoi confronti. La cosa non gli dispiaceva, ma doveva fare i
conti con i suoi stessi limiti sul contatto fisico. Desiderava
toccarlo, ma c’era sempre una voce nella sua testa che
continuava a ripetere sul come conoscesse Feliciano da poco, sul come
non era sicuro di volerlo toccare di più, e sul proprio
pudore. Con una certa cura gli accarezza la testa, gesto che
l’altro sembra apprezzare.
« Questa
serata è andata così, ma possiamo sempre
rimediare la prossima. »
« No, domani
sera credo la passerò a casa con Lovino. » dice
improvvisamente Feliciano. Gli sembra un po’ dispiaciuto, ma
non comprende la ragione. « Io starei volentieri con te, ma
lui è ancora di cattivo umore e vorrei stargli vicino.
»
« Lo capisco,
non ti devi spiegare a me. » Feliciano gli sorride, e poi si
alza dal divano, tenendogli la mano per spingerlo ad alzarsi.
« Gilbert, io
torno a casa! » esclama in direzione della porta del bagno.
L’altro sbuca fuori da essa quasi subito.
« Ma come?
» dice, piccato. « E la nostra serata horror?
»
« Credo non
dovremmo replicarla, ma possiamo comunque vederci qualcosa una di
queste sere. »
« Ci conto!
» esclama Gilbert, sparendo quindi di nuovo
nell’altra stanza. Ludwig si dirige verso la porta,
accompagnando Feliciano, che gli sorride. L’altro indugia un
poco sulla soglia, lo guarda, e lui lo stringe a sé
all’improvviso. Feliciano emette un verso di sorpresa, ma si
lascia stringere e baciare. Non avrebbe scambiato quella sensazione per
nulla al mondo.
« Pensi che
io sia assillante? » gli chiede all’improvviso
Feliciano, giocherellando con il ghiaccio dentro al proprio bicchiere.
Lui si trova a stringere lievemente la presa sul proprio, ponderando la
domanda. Feliciano gli aveva chiesto di uscire insieme dopo il lavoro,
e lui aveva accettato, prendendosi quindi quell’insolito
aperitivo. Se avesse risposto alla domanda di certo Feliciano avrebbe
voluto una risposta articolata.
« No, non lo
sei. »
« Lovino dice
di sì. Non riesco a capire che sto facendo di sbagliato.
» Feliciano sospira, alzando lo sguardo. « Per una
volta che sono io a voler riprendere i rapporti con lui e fare il buon
fratello è lui a fare l’isterico asociale.
»
«
Probabilmente sta avendo un momento no, anche Gilbert ne ha. »
« Il suo
momento no dura da due settimane. » brontola Feliciano,
passandosi una mano sul viso. « Certo non vincerò
il premio del fratello presente e premuroso, ma il suo comportamento
nei miei confronti è talmente gratuito…
»
« Forse
dovresti lasciarlo stare. »
« Per poi
sorbirmi le sue frecciate passivo aggressive? » si
irrigidisce, non sapendo più cosa dire. Feliciano ribatteva
con efficacia a qualsiasi cosa dicesse. L’altro stringe le
labbra, apparendo dispiaciuto. « Scusa, non so cosa mi sia
preso. »
« Sei nervoso
a tua volta, è comprensibile. » Feliciano abbassa
il proprio sguardo, ma non aggiunge altro, facendo scendere un silenzio
piuttosto pesante tra di loro. Lui non sa cosa dire, e non sa nemmeno
da che lato prendere la questione. Il suo telefono vibra, e si trova a
leggere il messaggio del fratello che gli annunciava che avrebbe
trascorso la cena da Francis. Da quando era partito Antonio, Gilbert
sembrava non volersi schiodare dall’appartamento al piano di
sopra. Certo sapeva che tutti e tre avevano una chat dal nome delirante
e che si sentivano ugualmente spesso, ma era ben conscio che un
cellulare era una magra consolazione rispetto alla solida presenza di
un amico vicino. Lui stesso aveva sperimentato una forte nostalgia di
casa, e ogni volta che tornava dalla Germania la sensazione non lo
abbandonava.
« Che dici,
torniamo a casa? » lui si trova ad annuire, facendosi portare
il conto e convincendo Feliciano a lasciarlo saldare a lui.
L’altro si acciglia, ma glielo lascia fare. Non si parlano
per tutto il tragitto, e probabilmente ad occhio esterno non sembrano
nemmeno viaggiare insieme.
Una volta attraversato
la soglia del palazzo Ludwig sente il proprio tempo scorrere
inesorabile, e il momento in cui avrebbe dovuto dirgli qualcosa
più vicino. Non sapeva cosa.
Una volta sul
pianerottolo Feliciano gli sorride, ma è
un’espressione un po’ forzata. Aveva fatto un
errore.
« Mi dispiace
per questa serata. » si scopre a dire lui, cogliendo di
sorpresa l’altro. Feliciano apre un poco la bocca, ma non ne
esce alcun suono. « Voglio dire, mi dispiace averti messo di
pessimo umore. »
L’altro
scuote la testa. « No, scusami tu, non dovevo gettarti
addosso i miei problemi personali. »
« Avrei
comunque dovuto tirarti su il morale ma non ho detto niente. »
« No,
davvero, scusami, avrei dovuto- »
« E che due
palle che siete, Feliciano! Entra in casa e non mettere in piedi una
scenetta drammatica. » dice Lovino, aprendo la porta
dell’appartamento. Simile comparsa lo irrigidisce, facendolo
quasi scattare in piedi. L’altro uomo rimane alla porta, a
braccia incrociate.
« Adesso
vengo Lovino, fammi finire qui. » l’altro emette un
verso di disappunto, ma rientra in casa, lasciandoli soli. Feliciano
appoggia una mano sullo stipite della porta, e fa fatica ad incrociare
il suo sguardo. « Non so cosa dire. »
mormora.
« Se non te
la senti, non è importante. Salutiamoci qui. » per
la prima volta, non si baciano per dirsi arrivederci. Un po’
gli dispiace, ma nemmeno lui ormai era dell’umore per farlo.
Una volta in casa
Gilbert lo guarda, confuso. « L’ultima volta che
avevi quell’aspetto ti aveva lasciato- »
« Gilbert,
non ne voglio parlare. » l’altro fa
un’alzata di spalle.
« Se non ne
vuoi parlare, almeno possiamo berci sopra. » non è
da lui accettare così facilmente una tale proposta, ma con
un vago sconforto si trova a prendere due bottiglie dal frigorifero e a
bere insieme al fratello fino a tarda sera.
Avevano fatto
un’uscita insieme a Kiku.
Ludwig non sapeva dire
se fosse un appuntamento organizzato o se Feliciano avesse insistito
perché presenziasse come terzo incomodo. Certo la situazione
tra di loro era decisamente calma, ma aveva la sensazione che non
stesse andando come doveva.
Kiku, comunque, aveva
libero accesso a qualsiasi luogo d’arte e una simile
opportunità non voleva farsela sfuggire. L’uomo
era silenzioso, ma li aveva condotti entrambi attraverso passaggi
sconosciuti ai più e tramite porte solitamente non aperte
per ammirare capolavori desiderati da persone di tutto il mondo.
Aveva ascoltato
Feliciano parlare di un dipinto specifico, e Kiku aveva aggiunto le sue
conoscenze a riguardo. Anche lui aveva commentato, più
volte, e la loro visita stava lentamente proseguendo.
Alla fine si erano
separati. Lui era rimasto affascinato da una scultura ed era rimasto
indietro, anche se non aveva alcuna fretta di raggiungere gli altri
due. L’arte era un qualcosa che lo toccava fin nel profondo,
e non ne avrebbe mai avuto abbastanza. Quando si sente prendere la
mano, però, il suo corpo si irrigidisce, e si trova accanto
Feliciano, che gli sorride. Gli era mancato quel genere di contatto.
« Tutto bene?
» gli chiede allora, e l’altro uomo annuisce.
«
Sì. Ammiravo la migliore opera d’arte che si trova
qui. »
«
Sì, hai ragione, questa scultura è fatta in
manie- »
« Ludwig,
stavo parlando di te. » una simile realizzazione lo fa
arrossire, e anche Feliciano, che si appoggia alla sua spalla,
nascondendogli il volto.
« Beh,
grazie, anche se non credo di poter essere paragonato nemmeno a uno dei
lavori d’arte che si trovano qui. » Feliciano
annuisce piano, ma non replica, e tornano entrambi a guardare
ciò che hanno di fronte. Di certo la comunicazione tra di
loro non si era mai affievolita, ma finalmente il silenzio aveva smesso
di essere pesante.
Con calma tocca la sua
mano con la propria, intrecciando le loro dita.
« Siete qui.
» mormora allora Kiku, facendosi vicino. Feliciano non
abbandona la sua posizione e nemmeno lui tenta di sciogliere il loro
contatto. « Pensavo vi foste persi. »
« No, ci
siamo trovati. » mormora Feliciano, continuando a rimanere
appoggiato a lui.
« State
osservando un ottimo lavoro. » dice quindi Kiku, guardando
anche lui la scultura davanti a loro. « Avete buon occhio.
»
« Ludwig era
qui prima di me. » replica lui. « Dovresti
complimentarti con lui. »
Ludwig incrocia gli
occhi con quelli di Kiku, che sorride debolmente, e lui ricambia.
« Vogliamo proseguire? » dice, quindi,
più a Feliciano che a se stesso e l’altro
annuisce, non lasciando però più andare la sua
mano.
Una volta fuori dalla
mostra l’aria calda del pomeriggio li investe appieno, e Kiku
si offre di portarli in un locale, in attesa del tramonto. Feliciano
non si fa pregare, e di conseguenza nemmeno lui. Sistematosi sui tavoli
e prese le loro ordinazioni continuano il loro commentario su quella
esposizione, fornendo critiche che Kiku si premura di raccogliere.
« Comunque
non mi è stata fornita alcuna risposta. » dice
quindi l’uomo, guardando Feliciano. Questi non appare troppo
sorpreso di quelle parole, ma si stiracchia e prende un sorso del suo
aperitivo.
« Ci sto
ancora pensando. »
«
Solitamente, conoscendo la vostra indole, non avresti atteso un giorno
per accettare una simile proposta. »
« Questa
volta sì. » replica secco Feliciano.
« Sono
consapevole di risultare fastidioso, ma il cliente sta facendo
pressioni a me finché la risposta si riveli positiva.
» Feliciano sospira, appare scocciato, e lui appoggia una
mano sopra la sua. Simile gesto invece di tranquillizzarlo sembra
invece irrigidire ulteriormente Feliciano.
« Ho preso
l’impegno di fornire una risposta, e non ho mai mancato alla
mia parola. » dice Feliciano, sfilando la propria mano da
sotto la sua. « Ma devo riflettere seriamente sulla cosa.
» simile risposta sembra soddisfare Kiku, che assume una
postura leggermente più rilassata.
«
Riferirò questo nella speranza di non venire quotidianamente
invaso dalla messaggistica. »
« Ti sta
dando un tale tormento? »
« Vuole a
tutti i costi un restauratore bravo, e a quanto pare tu l’hai
convinto. » Feliciano schiocca le labbra, sembra pensare a
qualcosa, ma poi il suo sguardo si posa su di lui. « Scusa
Ludwig, dovremmo decisamente cambiare argomento, sarà una
noia. »
« No,
affatto, sono un completo estraneo ma simile argomento mi interessa.
» Kiku sorride debolmente.
« Per fortuna
non dovete avere a che fare con un simile ambiente, alle lunghe diventa
piuttosto stressante. » Ludwig vorrebbe fare ulteriori
domande, ma viene fermato da Feliciano.
« Grazie per
il pomeriggio e per la visita anticipata alla mostra, Kiku, ma io e
Ludwig dobbiamo proprio andare. » l’altro uomo
inarca un sopracciglio, per niente convinto da simile uscita, ma sembra
voler lasciar andare la faccenda.
«
D’accordo, non voglio che la nostra amicizia si deteriori a
causa di un cliente troppo insistente. » Feliciano sorride,
questa volta con più sollievo, e si salutano. Con calma si
mettono ad attendere l’autobus, e l’altro uomo pare
chiudersi in un lungo silenzio meditativo.
Lui fa lo stesso. Aveva
tante domande sulla questione, ma non riusciva a formularle e nemmeno
ad esprimerle. Non riusciva spiegarsi il perché Feliciano
sembrasse restio ad accettare una mansione che, a quanto aveva inteso,
gli competeva e lo entusiasmava.
Durante il tragitto
Feliciano quindi riprende a parlargli, distraendolo dalla questione, e
l’atmosfera tra di loro torna come lo era prima. Si sfiorano
le mani durante la strada verso casa, e l’altro apre pure
galantemente la porta, inchinandosi al suo passaggio. Lui ne ride, lo
fa anche Feliciano, e attraversano insieme la soglia del condominio,
adesso mano nella mano.
« E comunque
io avevo ragione a dire che accostare due quadri di quel genere
è una follia. » brontola quindi Feliciano, mentre
fanno le scale. « Insomma, non ci sta, per niente. »
« Ti do
ragione. » replica lui, ottenendo in risposta un sorriso. Una
volta sul pianerottolo Ludwig apre la porta di casa, e Feliciano ci si
fionda dentro senza alcun problema. Dentro c’era il silenzio.
Gilbert gli aveva scritto che sarebbe uscito, ma non aveva specificato
quando sarebbe tornato.
Feliciano quindi aggira
il divano, sedendosi sopra e guardandolo, nel tentativo di fargli fare
la stessa cosa. Lui, con calma, prima prende dell’acqua
fresca dal frigorifero e riempie i due bicchieri, e solo dopo si
accompagna all’altro. Feliciano lo prende grato, e si
appoggia sul suo fianco. Il momento in cui si erano quasi baciati in
quel luogo gli appariva così lontano, e invece era passato
solo un mese. Erano cambiate tante cose da allora.
Era certo che sarebbero
nuovamente cambiate quando Gilbert sarebbe tornato a casa, ma ora aveva
Feliciano con sé, e probabilmente il suo appartamento non
sarebbe stato più così silenzioso. Un
po’ gliene era grato.
In fondo alla sua mente
fluttuava ancora la questione di quel pomeriggio. Feliciano respirava
tranquillo al suo fianco, e forse quello era il momento giusto per
capirne di più.
« Credo
dovresti accettare il lavoro. »
« Cosa?
»
« Il lavoro
di cui parlava Kiku. Credo dovresti almeno provare. » il
corpo di Feliciano si fa improvvisamente rigido, e l’uomo si
mette improvvisamente seduto dritto accanto a lui. Con calma volta in
viso nella sua direzione, e la sua espressione gli appare nuovamente
tesa. Non era affatto un buon segno per lui.
Non sa cosa aggiungere.
D’improvviso la sua mente non riesce a trovare qualcosa da
dire che spezzi la tensione, e non lo fa nemmeno Feliciano, facendo
cadere di nuovo un lungo silenzio che sembrava pesare come un macigno.
Gli occhi di Feliciano
si muovevano in brevi scatti, fissi nei suoi, e dal suo sguardo
sembrava come se stesse guardando uno sconosciuto che gli ha appena
detto qualcosa di sgradevole.
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Capitolo 11 *** Litigio d'appartamento ***
Feliciano non apre bocca, e
sembra non voler dire niente.
« So che-
»
« No, non lo
sai. » il suo tono è gelido, ed è la
prima volta che lo percepisce in quella maniera. « Non
capisco perché ne stai parlando. »
Nemmeno lui sa il
perché. In realtà non ha tutta la situazione
chiara davanti a sé, e forse Feliciano ha i suoi motivi per
non voler accettare quel lavoro, e lui in effetti non è
nessuno per metterci bocca in qualche modo.
« Penso che
se Kiku stia insistendo sulla questione, questa sia importante.
» Feliciano assottiglia gli occhi, ma non replica.
« Certo non so il motivo per cui sei così mal
disposto, ma credo che servirebbe almeno una spiegazione. »
L’uomo
accanto a lui sospira, gli appare improvvisamente più stanco
o almeno più abbattuto.
« Vuoi sapere
perché? » il suo tono è piatto,
improvvisamente tranquillo. Non sembra nemmeno voler attendere una sua
risposta. « Ho davanti probabilmente l’occasione
più grande della mia vita. E non dovrei tergiversarci sopra,
eppure lo sto facendo. »
« Cosa
intendi? »
« Mi hanno
offerto la restaurazione degli affreschi di palazzo Borromeo.
» lui non capisce, e si trova a guardarlo confuso.
« Dovresti
accettare una simile possibilità, non fartela sfuggire.
» l’uomo di fronte a lui sembra improvvisamente
farsi di cristallo. Feliciano trema, stringe le mani nei pugni e si
alza in piedi. I suoi occhi si riempiono di lacrime, anche se cerca di
scacciarle con una certa foga. Non capisce perché sia
così, non trova una spiegazione.
«
É la tua ultima parola? » gli chiede, la voce
tremante. Lui non sa cosa dire, non sa quale sia la risposta migliore
da dare in una simile situazione.
«Credo che
sia la cosa migliore per la tua carriera. » replica, e a
quelle parole le lacrime prendono a scorrere sulle guance
dell’altro uomo. Si sente improvvisamente in colpa,
perché ha causato quelle lacrime anche se non ne conosce la
ragione. Si tende verso Feliciano, ma questo indietreggia di un passo,
togliendosi dalla sua vicinanza. Ludwig lo osserva asciugarsi le
lacrime, e desidera toccarlo, per quanto sa che Feliciano non glielo
permetterebbe.
« Quindi ti
va bene che io vada a Milano. » qualcosa in lui si ferma.
« Cosa
intendi? »
« Il mio
lavoro, Ludwig. É a Milano. Dovrei iniziarlo a settembre.
» qualcosa in lui vacilla. Rimaneva convinto del fatto che
Feliciano doveva accettare l’opportunità, fare un
passo avanti nella sua carriera, ma l’improvvisa distanza che
si sarebbe creata tra di loro sarebbe stata come una voragine. Non
sapeva a quale lato di sé dare ragione, quello razionale o
quello innamorato. Si percepisce a boccheggiare, non trovando niente da
dire, e Feliciano assottiglia il proprio sguardo, voltandogli le spalle
e andandosene.
Lui rimane seduto
lì, a fissare il vuoto.
Non aveva idea di quale
fosse la cosa più giusta da fare. Non poteva avere entrambe
le cose, ma non voleva nemmeno che tutto finisse in quella maniera. Non
aveva idea se doveva incoraggiare Feliciano o chiedergli di rimanere.
Rimanere, poi.
Certo avevano una
relazione, ma non aveva un ego talmente smisurato da chiedere
all’altro di lasciar perdere una tale opportunità
per lui. No, non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo anche se lo
avesse desiderato con tutto se stesso.
«
É da un po’ di giorni che non vedo Feliciano.
» dice Gilbert durante la cena. Lui lo guarda di traverso, ma
non riesce ad ottenere alcun effetto sul fratello. « Avete
litigato? » lui rimane silente in cerca delle parole giuste.
«
Più o meno. »
« Certo che
se litigate già adesso la vedo dura per il futuro.
» lui lancia un’altra occhiata al fratello, ma
nuovamente niente sembra fare alcun effetto su di lui. « Gli
hai almeno chiesto scusa? »
« Non credo
di aver detto qualcosa che necessita di scuse. »
« Io non ci
credo che la tua relazione sia durata quattro anni. » replica
Gilbert. « Bisogna sempre chiedere scusa, sono le basi!
»
« Gilbert, tu
a livello di relazioni sei peggio di me, non voglio le tue lezioni a
riguardo. » l’altro si acciglia, guardandolo.
« Non
c’è alcun bisogno di essere così
cattivo, West. » lui sospira, tentando di sciogliere la
tensione che albergava nel suo corpo.
« Scusami,
sono un po’ nervoso. »
« No, ora
sono profondamente offeso e l’unico modo per farti perdonare
è cedermi la tua fetta di dolce la prossima volta che ne
mangiamo uno. » Ludwig sorride, contento che almeno il
fratello non l’avesse presa troppo a cuore. «
Comunque credo che tu e Feliciano dovreste parlarne, è un
peccato che lasciate naufragare una rapporto così. Rimanete
almeno amici, così io avrò una
possibilità con lui. O con il fratello, mi va bene uguale.
» lui gli scocca un’occhiata confusa e divertita
insieme, ma Gilbert poi ride per celebrarsi e lascia cadere
completamente la cosa.
Di certo avrebbe dovuto
parlarne con Feliciano, ma questi sembrava non volerlo vedere. Non gli
dava torto, era stato lui stesso a sacrificare il loro eventuale
rapporto in favore del lavoro. Aveva tutta la ragione di essere
arrabbiato con lui, ma più passavano le ore e più
trovava soffocante il silenzio che percepiva dall’altro.
Desiderava tornare a parlare con lui, a trascorrere il tempo insieme, a
passare le giornate a fare niente come prima. Non sapeva se poteva
ancora chiedergli una cosa simile oppure se Feliciano considerasse il
loro rapporto come completamente chiuso.
« Non credo
vorrà vedermi più. » dice
all’improvviso, cogliendo l’attenzione di Gilbert.
L’uomo lo guarda, abbassando anche la testa per guardarlo
meglio.
« Ora non
esagerare West. »
« Sono serio.
» Gilbert rimane in silenzio, e anche lui non sa cosa
aggiungere.
« Io
scherzavo, prima, non ci proverei mai con lui. » Ludwig si
percepisce a sorridere in maniera amara. « La situazione
è davvero così grave o sei nuovamente tu che ti
stai facendo condizionare dalla situazione? »
« Non lo so.
» ammette. Gilbert gli appoggia una mano sulla spalla.
« Prima
finiamo di cenare e poi ne parliamo. » gli dice, finendo in
fretta il proprio piatto e lavando tutto alla velocità della
luce. Gilbert sapeva essere un fratello maturo e premuroso, quando ne
aveva voglia. Ludwig si fa spingere fino al divano, si fa mettere in
mano un cuscino e guarda il fratello sedersi accanto, in attesa.
« Non so da
dove iniziare. »
« Partiamo
dal fatto che Feliciano è arrabbiato con te, e per me ha
pure ragione ad esserlo. » lui inarca un sopracciglio,
chiedendosi da quale parte stia Gilbert, ma lascia perdere.
« Ha ricevuto
una proposta di lavoro, a Milano, e io gli ho detto che dovrebbe
accettarla. »
« Spero tu
l’abbia detto prima di sapere dove andasse. »
« Anche.
»
« Che cosa
significa “anche”, West? » lui fa una
pausa, abbassando lo sguardo.
« Che
l’ho ripetuto anche una volta saputo il luogo. »
Gilbert si batte la fronte con la mano.
« West!
» esclama. « Ma cosa ti diceva il cervello! Non
bisogna mai, mai, mettere il lavoro davanti alla relazione. Sono le
basi. » lui gli lancia un’occhiata confusa.
« Ma
è un’ottima esperienza per la sua carriera.
»
« Ma fanculo
la carriera, West. Voi due avete una relazione da quanto, due
settimane? Se hai una reazione significa solo due cose. »
Gilbert fa una pausa ad effetto e lui si trova a sporgersi in attesa.
« Che sei completamente indifferente al vostro rapporto o sei
così fiducioso di esso che pensi possa funzionare anche a
distanza. E vi frequentate davvero poco perché la seconda
regga, quindi ovviamente lui ha pensato alla prima. »
« Ma non
è così. »
« Ah no?
Insomma, West, sii realista. Che intenzioni avevi per voi due?
» non ha una risposta a tale domanda. Certo Feliciano gli
piaceva, e c’era sempre il retrogusto della loro infanzia, ma
si conoscevano davvero da così poco da non avere alcuna
certezza. Voleva che lui avesse pieno successo e soddisfazione nella
sua vita lavorativa, e avrebbe fatto di tutto per aiutarlo in qualche
modo, ma che sicurezza aveva nel pensare che un loro rapporto potesse
durare, e chiedersi quanto a lungo sarebbe rimasto. Non aveva alcuna
risposta da dare alla domanda di Feliciano. Non voleva che se ne
andasse lontano ma sapeva che era necessario.
Gilbert lo guarda.
« Prima trova una risposta a questa domanda, West. E poi
agisci di conseguenza. » lui abbozza un sorriso. «
Questo è il massimo dell’aiuto che
potrò darti, dato che la settimana prossima torno a casa.
»
« Cosa?
»
« Non te
l’ho detto? »
« Non mi dici
mai quando te ne vai, Gilbert. »
« Ora lo sai.
» risponde lui, sorridendo alla solita maniera. Non voleva
che Gilbert se ne andasse, ma sapeva di non poterlo costringere a
rimanere in qualche modo. Sarebbe rimasto nuovamente da solo.
« Ma non sentirti triste, perché anche se
andrà male il tuo meraviglioso fratello ti farà
vivere il miglior oktoberfest dell’ultimo decennio.
»
Ludwig si scopre a
sorridere, e annuisce.
Alla fine Gilbert era
riuscito a convincere la coppia del piano di sopra ad organizzare una
serata prima che partisse. Non riusciva a spiegarsi il
perché il fratello, nonostante andasse d’accordo
con tutt’altra gente, insistesse ad avere la loro compagnia.
Le sue beghe con Elizaveta erano al pari di una leggenda, eppure ogni
anno Gilbert non rinunciava a farle perdere la pazienza almeno una
volta. Quest’anno sperava fosse diverso.
In effetti la donna
aveva accettato di organizzare una cena per quattro –
“Volevo dire cinque ma i tuoi rapporti sono più
tesi dei nervi di quello che sta al piano di sotto West”
– e li aveva addirittura invitati in casa propria. Aveva
pensato che Gilbert le avesse detto che fosse prossimo alla morte per
ricevere un simile trattamento.
Nonostante questo erano
arrivati a metà serata relativamente tranquilli e piuttosto
sbronzi, sempre lode alla madre di Roderich che mandava loro birra
germanica.
« E quindi
gli ho detto, suonerò quello che mi pare! »
esclama Roderich. Lui non aveva ascoltato la discussione, la sua mente
era divagata sul lavoro, ma cercava almeno di fingersi presente.
« Ben detto,
io avrei anche lanciato in aria lo spartito per rafforzare il concetto!
» esclama Gilbert. Roderich alza il braccio, puntando
l’indice nella sua direzione.
« Giusto, la
prossima volta farò proprio così. »
« Roderich
no. » aggiunge Elizaveta, che si era completamente rilassata
sul divano. L’atmosfera era completamente diversa da quando
era stato lì con Feliciano. La sua mente tornava sempre
all’altro uomo, anche se cercava di non pensarci
più del dovuto. C’era un teso silenzio tra di
loro, e lui non riusciva a spezzarlo in alcuna maniera. Non si sentiva
completamente nel torto, non c’era alcuna malizia o
cattiveria nelle sue parole.
« E invece ti
dico che questo qui ha delle ottime idee. » aggiunge
Roderich. « Inizierò a portarmelo alle prove.
»
L’idea di
Gilbert nel bel mezzo di un ambiente classico come un concerto era
un’immagine paragonabile a quella di un elefante in una
cristalleria. Un disastro annunciato.
« Non vedo
l’ora! » esclama Gilbert, scattando in piedi e
scatenando l’ilarità di Elizaveta.
«
Sì, certo, voi due insieme. » aggiunge, tenendosi
la pancia mentre cercava di non far traboccare la birra dal proprio
bicchiere. « Se proprio devo mandare qualcuno insieme a
Roderich probabilmente chiederei a Feliciano. »
Lui si irrigidisce,
cercando di non darlo troppo a vedere. « A proposito, Ludwig,
come sta? » lui chiude gli occhi, cercando di metabolizzare
la domanda. Non ne ha la più pallida idea. Non glielo ha
chiesto, e Feliciano sicuramente non glielo avrebbe detto.
« Feliciano
sta benissimo! » esclama quindi Gilbert, tornando a sedersi.
« Anche se mi ferisce che preferisci lui a me. »
« Chiunque
è preferibile a te, Gilbert. » dice la donna.
« Sei
cattiva! » esclama l’uomo, portandosi la mano al
cuore con fare tragico. Tutti ridono, e Ludwig è grato che
l’attenzione sia scivolata via da lui. Non sa nemmeno se
può dire di avere ancora una relazione con Feliciano, a
questo punto.
La serata termina in
maniera calma, e per fortuna l’argomento di Feliciano non
viene più ripreso. Ludwig cerca di aiutare Elizaveta a
rimettere in ordine, ma lei lo liquida con un gesto, rimandando la cosa
al giorno successivo. Gilbert sembra essere meno ubriaco di lui, mentre
si percepisce dondolare sulle proprie gambe, confuso dal loro
movimento. Sente la donna salutarli entrambi, e una volta fuori
dall’appartamento davanti a loro si stagliano le scale. Bere
così tanto non gli è sembrata una buona idea.
Gilbert lo precede,
mentre lui si siede sugli scalini, massaggiandosi una tempia.
« West?
»
« Prendi le
chiavi e vai avanti, quando la testa smette di girarmi ti raggiungo.
»
« Ok, ti
lascio la porta aperta. » la sua mente continua a girare,
piena di pensieri e di alcol. Non doveva bere così tanto, ne
era consapevole, ma per una volta ne sentiva davvero il bisogno. Non
sapeva dire se beveva per pensare a Feliciano o per dimenticarlo, ma
era certo che qualsiasi fosse il caso il suo metodo non stava
funzionando. Non ha idea di quanto rimanga seduto lì, ma
finalmente il cerchio alla testa si allenta, permettendogli di tornare
in piedi e a tentare di scendere le scale. Il suo percorso è
tortuoso, ma scalino dopo scalino riesce finalmente a portarsi fino al
proprio piano.
Una volta messo piede
sulla superficie liscia, però, sente dei passi venire
nell’altra direzione. Il suo cuore spera si tratti di
Francis, o di Antonio che in realtà non se n’era
mai andato, in una simile situazione avrebbe persino preferito avere a
che fare con un Romolo tornato tra i viventi. Invece si sbagliava, e si
trova davanti entrambi i fratelli. Non riesce ad alzare lo sguardo,
tiene una mano sul muro per non cadere, ma non riesce ad accennare
nemmeno un saluto.
« Se ora
sviene io non lo porto dentro. » dice uno, è la
voce di Lovino. Lui alza lo sguardo, notando che Gilbert gli ha
lasciato la porta aperta. Non sono molti passi, eppure nota anche un
paio di scarpe farsi più vicine.
« Ludwig,
tutto bene? » era Feliciano, ovviamente era lui. «
Sei ubriaco? »
« Un
po’. » ammette, sentendo le sue mani sul viso.
Feliciano gli prende il volto, costringendolo a guardarlo negli occhi.
« Gilbert
dov’è? »
« Dentro.
» Feliciano sospira, togliendo le mani, e lui non fa in tempo
ad afferrarle per tenerle vicine a sé. Ora che lo ha
così vicino, ammette pienamente a se stesso che Feliciano
gli manca. Non l’ha visto per diversi giorni e abitava a un
passo di distanza, l’idea di saperlo lontano migliaia di
kilometri non era per niente sopportabile. Avrebbe dovuto dirglielo, ma
la sua bocca sembrava impastata.
« Entra in
casa Lovino, cinque minuti e ti raggiungo. »
l’altro uomo emette un verso di fastidio, ma non replica e
Ludwig sente una porta chiudersi. Feliciano è ancora davanti
a lui, lo prende per i fianchi e lo guida gentilmente dentro casa. Lui
si lascia condurre improvvisamente docile.
Gilbert era crollato
sul divano. Dovrebbe portargli una coperta, ma non riesce ad esprimere
la sua intenzione. Sente nuovamente le mani di Feliciano su di
sé, si sente spingere gentilmente verso la camera da letto.
Si gira febbrilmente in direzione del fratello, ma non riesce a parlare.
«
Porterò una coperta a Gilbert, dopo. » dice allora
Feliciano, che sembrava aver intuito la sua apprensione. « Ma
ora bisogna pensare a te, Ludwig. » si trova a dargli
ragione, e si fa sistemare sul letto. Il viso di Feliciano è
nella penombra, non riesce a vederlo, ma allunga ugualmente una mano
per cercare di toccarlo. Stranamente riesce nel suo intento. La pelle
del suo viso è più fresca della propria. La mano
di Feliciano è sulla sua.
« Ludwig?
»
Vorrebbe dirgli di
rimanere. Dirgli che vorrebbe che lui rimanesse, che non se ne andasse,
che la loro relazione aveva molto più valore del lavoro, ma
ogni suono nella sua gola rimane incastrato, e non riesce ad uscire. Si
butta all’indietro, frustrato, e si sente la morbidezza del
letto sotto di sé. Il sonno lo afferra subito dopo.
« Sei sicuro
di aver preso tutto? »
«
Sì, West, l’ho fatto. » lui alza gli
occhi al cielo, sicuro che una volta tornato a casa avrebbe trovato
qualcosa che apparteneva a Gilbert che avrebbe dovuto mettere in
valigia quando sarebbe tornato in ottobre.
Alla fine era arrivato
il giorno della partenza di Gilbert. Per quanto ne sapeva aveva speso
l’ultima sera da Francis, collegati con Antonio, come ormai
erano soliti fare da tre anni. La mattina poi era andato a trovare i
due fratelli della porta accanto, e nonostante le reticenze di Lovino
nel vederlo lì, era rimasto dentro piuttosto a lungo.
Quando era tornato
dentro aveva un’aria piuttosto seria, ma non gli aveva
riferito niente di particolare, e insieme avevano preso la via
dell’aeroporto. Era un miracolo che, per una volta, Gilbert
fosse riuscito a prenotare un volo in un orario che non li avrebbe
costretti a dormire sulle panchine di Fiumicino.
« Non
dovresti essere così ansioso, abbraccerò i nostri
cani anche per conto tuo. » lui si scopre a sorridere, dando
una pacca sulla spalla del fratello.
« Ci conto.
» Gilbert allora lo abbraccia, stringendolo forte a
sé.
« Ho fatto il
possibile per te, West. Ora tocca a te. »
« Cosa
intendi dire? » il fratello non gli risponde, prendendo
invece la via del gate, salutandolo. Lui rimane lì fermo, e
solo dopo essersi assicurato che il fratello ha passato i controlli
senza alcun intoppo prende la via di casa. Ora che anche Gilbert era
partito, il silenzio sarebbe stato molto più pressante.
Con calma riprende la
strada di casa, anche se controvoglia. Gli sembra improvvisamente vuota
e per niente accogliente. Una volta dentro fa le scale a fatica, come
se ai suoi piedi ci fossero macigni. Davanti alla porta rimane immobile
per qualche momento, prima di prendere le chiavi. Ogni volta che il
fratello ripartiva si sentiva invaso di nostalgia.
« Ludwig?
»
Si volta di scatto,
trovando Feliciano davanti a sé.
« Ciao.
»
« Ciao.
» nuovamente il silenzio, non crede di riuscire a sopportarlo
a lungo. « Possiamo parlare? » con un cenno lui lo
spinge a proseguire, ma Feliciano abbassa lo sguardo. «
Preferirei farlo in un luogo più tranquillo. »
Lui annuisce, aprendo
quindi la porta di casa ed entrando. Aveva una vaga idea di cosa
Feliciano volesse dirgli, e più i secondi passavano
più lo temeva. Era deteriorante. Una volta chiusa la porta
dietro di sé era come se un macigno si fosse piazzato tra le
sue costole. Feliciano non si siede sul divano come fa suo solito, ma
rimane accanto alla porta, come se fosse pronto a fuggire alla prima
occasione. Lui sente la gola secca, deglutisce a fatica, e rimane in
attesa. Non voleva essere lui quello che poneva fine a tutto.
Osserva Feliciano
tergiversare, spostare il suo corpo da una gamba all’altra,
probabilmente in cerca delle parole più giuste. Non sembrava
averne.
« Non voglio
prendere il tuo tempo più di quanto io non abbia
già fatto. » gli dice, e lui annuisce, guardandolo
negli occhi. « Io ho accettato il lavoro a Milano. »
Ogni parola che dice si
conficca nella sua mente, ogni lettera è come un ago che gli
procura dolore. « Capisco. » in realtà
non lo capiva, ma non trovava niente di giusto da dirgli. Non
c’era niente che poteva dirgli, ora che la decisione era
stata presa. Non poteva fare più niente.
« Mi
prenderà probabilmente fino a dicembre. » aggiunge
quindi Feliciano. « Non so cosa farò dopo, ma non
credo tornerò qui a Roma. »
Avrebbe voluto dirgli
di non aggiungere altro, ma voleva comunque che Feliciano gli parlasse
di nuovo, anche solo per ferirlo. « In realtà non
so nemmeno perché ti sto dicendo questo. Forse ti
renderà felice. »
Non lo rendeva felice,
nemmeno un po’. Voleva stringerlo a sé e non
lasciarlo partire, e il non poterlo fare lo faceva in tanti piccoli
pezzi. Feliciano stava disegnando con la sua stessa mano una voragine
insormontabile tra di loro, e lui non stava facendo niente per fermarlo.
«
Spero… » si ferma, un lungo sospiro esce dai suoi
polmoni. « Spero tu riesca ad esserne soddisfatto. »
« Non credo
lo sarò. » Feliciano fa una pausa, passandosi una
mano sul viso. « Io ero disposto a rinunciare a questa
opportunità, ma ti ringrazio per avermi dato una spinta
nella giusta direzione. »
« Non devi
ringraziare me. » Feliciano emette una lieve risata, con un
tono più amaro del solito.
«
Perché? Io ero disposto a rinunciare per stare con te. Io
volevo stare con te, anche se significava perdere l’occasione
di una vita. »
Una simile
dichiarazione lo colpisce, lasciandolo senza fiato. «
Feliciano, ascolta- »
« No, ti ho
già ascoltato Ludwig. » lo ferma
l’altro, avvicinandosi. « Avrei preferito che la
mia partenza fosse più felice, ma credo dovrò
accontentarmi di questo. »
A grandi passi
Feliciano sia avvicina, prendendogli il viso e alzandosi in punta di
piedi. Il bacio che si scambiano è sinceramente disperato.
Lui lo prende per i fianchi, stringendolo a sé nella
speranza di non farlo più andare via. Lo sa che non
può. Può solo baciare le labbra di Feliciano, in
un ultimo bacio disperato, salato e amaro.
Feliciano allora si
stacca, lo guarda negli occhi. Sembra essere in attesa di qualcosa, ma
lui non sa cosa dire e probabilmente l’altro non sa cosa
vuole ricevere. Gli si avvicina di nuovo, tenendogli in viso e
appoggiando la propria fronte contro la sua. Ludwig percepisce il suo
profumo, accarezza piano la curva dei suoi fianchi, cerca di imprimere
nella sua mente ogni dettaglio dell’altro. Non sa se ne
avrà ancora l’occasione.
Lentamente Feliciano si
stacca, e lui lo lascia andare. Non si dicono più niente, e
lui lo osserva aprire la porta e andarsene. Non può fare
niente per fermare lui o le proprie lacrime.
Era una relazione da
considerare finita.
Ne era consapevole.
Forse un giorno, in
futuro, ci avrebbe ripensato e alla sua mente sarebbero riaffiorati i
ricordi felici del tempo passato insieme. Lo avrebbe ricordato come un
amore estivo, una figura che lentamente sarebbe stata sbiadita e
idealizzata. Un giorno non avrebbe avuto desiderio di piangere nel
pensarci, nel reprimere il desiderio di correre da Feliciano e gettarsi
alle sue ginocchia, chiedendogli di non partire.
Ma lui lo sapeva. Non
era nessuno, non poteva di certo pretendere chissà che cosa.
Feliciano era una persona libera, da lui e da chiunque altro.
Rinchiuderlo in una gabbia, anche se d’amore, non gli avrebbe
fatto bene.
Anche se lui lo amava,
o forse non aveva mai smesso di amarlo da quel pomeriggio assolato di
vent’anni prima. Non lo sapeva, l’unica certezza
che aveva era che Feliciano non era più con lui e non ci
poteva fare più niente. Le loro strade sembravano essere
destinate a essere separate, non importava quanto tentasse di riunirle.
Con una certa
stanchezza si passa una mano sul viso, cercando di asciugare le ultime
lacrime che solcavano il suo viso. Lui amava Feliciano, ma ormai
sembrava essere troppo tardi per dirglielo.
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Capitolo 12 *** Bacio d’addio che somiglia al saluto ***
Non si erano più
parlati dopo quel giorno. In realtà Ludwig non aveva nemmeno
idea se Feliciano abitasse ancora nella casa accanto oppure fosse
già partito. C’era un silenzio assordante anche
dall’altro lato del muro, e lui cercava di non pensarci in
alcuna maniera, di divagare, aveva persino ripreso a leggere da capo il
thriller che aveva iniziato all’inizio di
quell’estate, mettendolo quindi da parte perché
persino quello lo faceva pensare a Feliciano.
Le sue
giornate sembravano improvvisamente vuote, ma non si dava troppa pena.
Gli era una sensazione familiare. Doveva solo trovare il modo di
riempire il suo tempo in attesa che il suo dolore sparisse.
Il sabato
mattina, però, sente suonare alla porta. Con calma va fino
ad essa, aprendola e trovando davanti Lovino. Era una visita insolita.
L’uomo di fronte a lui aveva le braccia incrociate e
l’espressione corrucciata.
«
Beh, perché non gli stai correndo dietro? »
«
Prego? »
«
A Feliciano. » dice, acuendo la sua perplessità.
« Perché non stai andando a fermarlo? »
«
Continuo a non capire, Lovino. »
«
Parte oggi. É già andato alla stazione, ma
dovresti essere in grado di raggiungerlo. »
«
Io non sapevo nemmeno che partisse oggi. Io e lui ci siamo lasciati.
» simile frase pare infastidire ancora di più
l’altro uomo, che batte un piede per terra.
«
“Lasciati” un par di palle! » esclama.
« Feliciano ha aspettato fino all’ultimo che tu
venissi a dirgli di non partire! » lui inarca un
sopracciglio, confuso.
«
Cosa? »
«
Non fare il finto tonto. Sono io che me lo sono sorbito quando piangeva
di notte, a causa tua ovviamente. »
«
Se è così perché dovrei andare-
»
«
Tu non mi piaci. » lo interrompe Lovino. Vorrebbe replicare
di ricambiare il suo sentimento, ma l’altro non vuole
lasciargli alcuno spazio per replicare. « Te lo dico
così non ti fai strane idee. Ma rendi Feliciano contento. Io
non l’ho mai visto felice, lui non è mai stato
davvero felice con me. Ma con te è diverso. Non sono un
esperto dell’amore, ma lo vedo quanto lui sia innamorato di
te. Ed è pure strano se penso che vi conoscete da
così poco tempo. »
Si
acciglia, continuando a guardare Lovino davanti a sé.
« Quindi tu ora vai a prenderlo, gli dici qualche cavolata
melensa da film e lo riporti qui. »
«
Non posso. Sono io che gli ho detto di partire. »
«
Appunto per questo, idiota. Motivo in più per andare a
prenderlo. Altrimenti te ne pentirai. » c’era un
lieve fuoco dentro di lui che stava crescendo.
«
Quando è il suo treno? » chiede, tremando con
improvvisa anticipazione.
«
É quello delle una e trentadue. Va direttamente a Milano.
Non puoi sbagliarti. »
«
Grazie Lovino. » l’altro uomo rotea gli occhi,
scostandosi dalla porta.
«
Basta che non fai tardi. » replica, e sparisce dalla sua
vista. Lui si infila le scarpe in fretta, quasi incespicando sui piedi,
e si getta fuori dall’appartamento, pensando alla via
più veloce per arrivare alla stazione. Probabilmente ad
usare i mezzi non avrebbe fatto in tempo, ed è con una certa
urgenza che chiama un taxi, attendendolo con parecchia tensione in
corpo. Il suo tragitto fino alla stazione dura
un’infinità, ma una volta arrivati paga il
tassista con una certa urgenza e si getta all’interno, in
cerca del tabellone di orari.
Una volta
trovato cerca febbrilmente il treno, e il suo sangue si gela. Non
c’era nessun treno che corrispondere alla descrizione di
Lovino a quell’orario. Cerca di calmarsi, pensando alla
conversazione che aveva avuto. Forse ricordava male, eppure no, i suoi
ricordi erano ancora più vivi con l’adrenalina in
corpo. Forse Lovino si era sbagliato, oppure il treno di Feliciano era
già partito e lui era arrivato tardi. Un simile pensiero lo
faceva sentire peggio, tanto che controlla nuovamente il tabellone in
cerca del treno, sperando di esserselo fatto sfuggire nella foga. Non
si era sbagliato, non c’era. Si dà
dell’idiota per non aver nemmeno chiesto il numero, e di
certo non poteva chiamare Lovino. Si sentiva sconfitto.
Forse
c’era ancora la possibilità, magari Feliciano era
sui binari. Con una rinnovata speranza prende la strada verso quelli,
trovandoli però sbarrati. C’era bisogno del
biglietto per potervi accedere. Forse sarebbe riuscito a
passare per un breve momento, o lo spera, spingendosi verso i binari
dedicati ai treni dell’alta velocità.
«
Biglietto, per favore. » gli dice il controllore
all’ingresso.
«
No, mi scusi, un mio amico- »
«
Ha il biglietto? »
«
No. »
«
Allora per favore si sposti e non blocchi la fila. » il tono
dell’uomo era definitivo. Non l’avrebbe lasciato
passare. Con una certa disperazione si tende in direzione delle
banchine, nella speranza di avvistare Feliciano. Non lo vedeva. Forse
avrebbe dovuto tentare nuovamente di passare, ma l’occhiata
del controllore non sembra una delle più concilianti nei
suoi confronti.
Non aveva
molte opzioni.
Con un
certo sconforto Ludwig si toglie dalla fila, allontanandosi dai binari.
Aveva perso la sua occasione. Feliciano sarebbe partito, se
già così non era, e lui non l’avrebbe
visto più. La rottura in quel caso diventava definitiva.
Chiamarlo al telefono quando sarebbe tornato a casa per parlarne di
certo non avrebbe avuto lo stesso impatto. Con un certo sconforto si
appoggia ad una colonna, guardando il passaggio della gente.
Non aveva
idea di cosa fare, la sua mente era improvvisamente vuota e stanca.
Aveva tentato, e aveva fallito. Era una magra consolazione, si era
lasciato sfuggire l’uomo che amava dalle dita. Non lo avrebbe
potuto rivedere mai più probabilmente. Feliciano sarebbe
rimasto dove stava, avrebbe fatto faville, forse si sarebbe innamorato
di un altro uomo e lui lo avrebbe sicuramente saputo da Lovino, o da
Elizaveta, o da Feliciano stesso. Sarebbe stato crudele ma era la
giusta punizione per lui, lo sapeva.
Sentiva
nuovamente il bisogno di piangere, ma non ci riusciva. Il suo orgoglio
teneva a freno ogni sua lacrima, anche se moriva dalla voglia di
versarne. Era finita, per sempre, e lui non aveva fatto del suo meglio.
La sensazione aveva un sapore particolarmente amaro in bocca.
«
Ludwig? » si trova a battere più volte le ciglia,
cercando di capire se avesse sentito davvero una persona rivolgersi a
lui. Con un vago sconforto si gira nella direzione della voce, trovando
Feliciano davanti a sé. Batte ancora un paio di volte gli
occhi, confuso.
«
Che ci fai qui? »
«
Questo dovrei chiedertelo io. » risponde l’altro,
abbozzando un sorriso. Feliciano era davvero lì, di fronte a
lui. Non sembrava un’allucinazione della sua mente.
«
Io- » ancora una volta non sapeva cosa dire. Nella vita vera
non venivano mai le parole giuste in momenti come quelli. «
Tu non sei partito? »
«
Il mio treno è tra almeno cinquanta minuti. » dice
Feliciano, tornando serio. « Ho preso l’abitudine
di venire qui con largo anticipo perché ho già
perso il treno più di una volta a causa dei mezzi pubblici.
»
«
Capisco. » c’era una fioca speranza che si era
accesa dentro di lui. « Io ho bisogno di parlarti. »
«
Prima andiamo a sederci da qualche parte. » propone
Feliciano, maneggiando la sua valigia. « Non mi va di dare
spettacolo. » lui si trova ad annuire, e insieme cercano il
luogo migliore dove potersi finalmente parlare. Feliciano non gli aveva
più rivolto la parola per tutto il tragitto, mentre la sua
mente cercava di mettere in piedi un discorso che potesse risultare
almeno convincente. Non ci stava riuscendo.
Una volta
al tavolino Feliciano si appoggia allo schienale della sedia,
incrociandole braccia al corpo. « Perché sei qui,
Ludwig? » gli chiede, scrutandolo. Lui guarda in basso,
tergiversando.
«
Non sono qui per impedirti di partire. » gli dice.
« Tutt’altro. »
«
D’accordo, mi fa piacere che tu sia venuto a salutarmi
allora. »
«
Non si tratta di questo. Mi rendo conto di non essere un ottimo
oratore, e non è facile trovare le parole giuste per un
simile momento. » Feliciano inarca un sopracciglio, ma non lo
interrompe. « Mi rendo conto di non essere stato chiaro
l’ultima volta che ci siamo parlati. »
«
Sei stato chiarissimo. » replica Feliciano. Il suo sguardo
era piuttosto rigido, e quasi gelido.
«
No, non è vero. » gli dice allora lui, sostenendo
il suo sguardo. Feliciano tiene il suo fisso su di lui, ma dopo qualche
momento cede e lo sposta di lato.
«
Ludwig, se sei venuto qui per ripetere le stesse parole di ieri, ti
prego, torna a casa e dimentichiamo questa faccenda. Io ci sono stato
davvero male. » simili parole sono come una stilettata nel
petto, ma lui cerca di non soffrire troppo il colpo. I suoi sensi di
colpa per ciò che aveva fatto provare a Feliciano non si
sarebbero affievoliti tanto presto, o forse non se ne sarebbero mai
andati se il loro dialogo fosse proseguito in quella maniera.
« Mi rendo conto che non ci conosciamo da molto, e siamo
stati insieme per così poco che- » Feliciano si
blocca, portandosi una mano alla bocca.
«
Continua. »
«
Noi due stiamo stati insieme. » dice allora a bassa voce,
guardandolo negli occhi. C’è un sincero dolore
nella sua espressione. Lui muore dal desiderio di poterlo stringere a
sé, tentare di togliere ogni sentimento di
infelicità dal cuore dell’altro uomo, ma deve
attendere che lui dica tutto ciò che pensava. Voleva capire
ciò che provava Feliciano nei suoi confronti, e confermare i
suoi stessi sentimenti.
«
Sì. » dice, anche lui a bassa voce.
«
É la mia relazione più breve, nonostante pensassi
che sarebbe durata a lungo. Mi hai reso una persona felice, Ludwig. Per
poco tempo, vero, ma non credo potrò mai dimenticarlo.
» c’era un sapore amaro in ciò che
l’altro diceva. « Non sono nemmeno riuscito ad
arrivare al momento in cui ti avrei detto che ti amavo. »
Feliciano
arrossisce a simile confessione, e probabilmente lui rispecchia appieno
la sua espressione.
«
Nemmeno io. » gli dice, ottenendo un sorriso un po’
sarcastico.
«
Quel treno è stato perso, a quanto pare. »
Feliciano sospira, cercando di ritornare al suo discorso. «
Credo dovrei ringraziarti per tutto, Ludwig. I sentimenti che provo per
te non credo se ne andranno mai, rimarranno sempre in fondo al mio
cuore, insieme a quel bacio che mi hai dato quando eravamo bambini.
Sì, non ho mai dimenticato nemmeno quello. »
C’era
un’altra aria intorno a Feliciano. L’uomo sembrava
aver dismesso il suo atteggiamento spensierato e felice, ammantandosi
in uno più malinconico e amaro. Non gli dava torto. Era la
prima volta che lo vedeva in quella maniera. Probabilmente quella era
un’altra cosa che non avrebbe dimenticato di lui.
«
Vorrei dire di non avere rimpianti di alcun tipo, ma ne ho. Ne ho
così tanti che continuerò a portarmeli dietro per
chissà quanto tempo. Conviverò anche con questo
dolore. »
Lo
percepiva estremamente sofferente, ma anche terribilmente sincero.
Aveva di fronte a sé la parte più spontanea e
vera dell’uomo che amava, e si tratteneva dal toccarla, per
paura che si infrangesse al minimo soffio di vento. Feliciano, davanti
a lui, era certo un uomo vivace e spontaneo, ma era anche pieno di
dolore, rimpianti e chissà quante altre cose che ancora non
aveva avuto occasione di vedere. Certo era una sensazione che lui
ricambiava. Nemmeno lui si era aperto appieno all’altro, e
arrivato a quel momento un po’ se ne pentiva. Entrambi erano
sinceri in ciò che provavano, ma finalmente lui poteva dire
che ciò che provava era vero.
«
Sei silenzioso. » dice allora Feliciano, guardandolo.
«
Ti sto ascoltando. » Feliciano si stringe su se stesso,
inarcando leggermente la schiena.
«
Finora ho parlato solo io. Vorrei sapere cosa hai da dire tu su questa
faccenda. » si trova a deglutire. Nuovamente, non era
riuscito a prendere per sé le parole giuste, ma di certo era
arrivato il suo momento per essere sincero. Non era facile. Aveva
già ferito Feliciano, e ogni parola che diceva poteva
ferirlo ancora di più.
«
Sono comunque convinto che tu debba accettare una simile esperienza.
» l’espressione di Feliciano si incrina, ma lo vede
prendere un lungo respiro, e spera che sia in grado di continuare.
« Sono sempre cresciuto nell’idea che tutti noi
dobbiamo fare esperienze che ci fanno crescere. » Feliciano
sospira, abbassando lo sguardo. « Io ci ho pensato tanto alla
tua reazione di quanto hai ricevuto il lavoro. Eri entusiasta.
»
«
Lo ero. »
«
Probabilmente lo sei ancora adesso, anche se per colpa mia non lo stai
vivendo appieno. » Feliciano allora si acciglia, alzando lo
sguardo. « Io sono un disastro nel capire le emozioni degli
altri. Ho sempre avuto pochi amici, e poche relazioni, ma ogni volta
che ti avevo accanto i suoi sentimenti erano sempre cristallini, anche
se io negavo a me stesso la comprensione. » ora è
il suo turno di respirare, cercare altre parole per ciò che
voleva dire. « Voglio dire che capisco i tuoi sentimenti per
questo lavoro. Tu stai facendo ciò che ami, e ora ti sta
portando in un altro luogo, lontano da qui. »
«
Per questo non mi stai fermando. »
«
Non voglio che tu continui a fraintendermi. Io voglio che tu rimanga
qui, con me. Io credo di essere davvero innamorato di te, Feliciano. Ma
la tua felicità è anche nel tuo lavoro, e io non
voglio essere un ostacolo per esso. Non voglio che tu rimanga qui e un
giorno ti penta di non essere andato. »
Finalmente
le parole che cercava stavano fluendo, più che dalla sua
mente, dal suo cuore. Una volta che aveva iniziato a dirle non era
più riuscito a fermarle in alcun modo. « Con le
mie parole e azioni non voglio dire che valuto il nostro rapporto, e la
nostra relazione, come un qualcosa di inferiore, ma di certo voglio
mettere la tua felicità sopra i miei desideri. »
Feliciano,
davanti a lui, si era portato una mano sulla bocca. Era rosso in viso,
e per un attimo teme che sia la rabbia nei suoi confronti. Le lacrime
si affacciano sugli angoli degli occhi, ma Feliciano le scaccia. Lo
stava facendo piangere un’altra volta. Il suo senso di colpa
si acuisce.
«
Davvero? » gli chiede, con voce stridula. Lui annuisce,
abbassando lo sguardo.
«
E so di non essere nessuno per chiederti una cosa simile,
ma… » si ferma, guardando l’uomo che
aveva davanti a sé. « Una volta che avrai compiuto
ciò che devi fare, e raggiunto la tua felicità,
ti prego di tornare qui da me. »
Era una
richiesta egoista, lo sapeva. Non era davvero nessuno per poter fare
una simile richiesta. Feliciano, invece porta una mano avanti, toccando
il suo braccio e cercando la sua mano, che lui si lascia stringere.
L’uomo davanti a lui non piangeva più, anche se
era ancora rosso in viso.
«
Grazie, Ludwig. » gli dice, con voce spezzata. Lui si trova a
sorridere debolmente. Era sceso nuovamente il silenzio tra di loro, ma
finalmente non era colmo di disagio.
Continua a
tenere la mano di Feliciano, sorridendogli, cercando di imprimere nella
propria mente ogni dettaglio del viso dell’altro uomo. Ora la
consapevolezza di non poterlo più vedere ogni giorno era
diventata pesante, ma non si sentiva angosciato da essa. In quel
momento non temeva per niente l’eventuale distanza che li
avrebbe separati per quel periodo di tempo.
«
In realtà non credevo saresti venuto davvero. »
mormora allora Feliciano, attirando la sua attenzione.
«
Che vuoi dire? » gli chiede, cercando il suo sguardo.
L’altro sembra arrossire, e sfugge con gli occhi.
«
Gilbert è venuto a parlarmi prima di partire. »
lui si trova a inarcare un sopracciglio, confuso. « In
realtà ero ancora arrabbiato per tutta la situazione tra di
noi, ma lui mi ha detto che anche se sei un pezzo di granito a riguardo
dei rapporti, saresti ugualmente venuto a cercarmi. »
Si scopre
ad arrossire imbarazzato. « E io, preso dall’ansia,
sono venuto a cercare prima te. Non è andata proprio bene.
» aggiunge quindi Feliciano, sorridendogli. Lui lo osserva,
da una lieve stretta alla sua mano.
«
Mi dispiace non essere chiaro nelle mie parole. »
«
Ludwig, anche questo fa parte del tuo fascino. » replica
Feliciano.
«
Preferiresti che io non parlassi? » l’altro scoppia
in una breve risata.
«
Non ho detto questo. » lui si scopre a lanciargli
un’occhiata fintamente infastidita, che pare divertire ancora
di più l’altro uomo.
«
Cercherò di essere più chiaro d’ora in
poi. »
«
Quindi mi dirai finalmente che mi ami? » si sente arrossire
con una certa violenza, e si percepisce andare a fuoco, sempre sotto le
risate di Feliciano, sempre terribilmente divertito da quella
situazione. La sua mente continua ad andare in escandescenze,
facendogli quasi sentire odore di bruciato, come se un rivolo di fumo
uscisse davvero dalla sua mente. A quel punto Feliciano pare
sinceramente allarmato dalla sua condizione, tanto che si allunga sul
tavolo, toccandogli una guancia e chiamandolo più volte. Lui
si focalizza sul suo viso, sulla sua bocca che parlava anche se non gli
giungeva il suono, e lentamente si calma. « A saperlo prima,
non avrei detto una cosa simile. » mormora Feliciano,
passandogli una mano tra i capelli.
«
É una cosa privata! » sbotta allora lui, ottenendo
un’espressione sorpresa da parte dell’altro uomo.
«
Anche baciarmi sul pianerottolo di casa lo è, ma con quello
non ti sei fatto molti problemi. » la sua mente riprende a
vorticare con sempre più furia, ma questa volta Feliciano
gli prende il viso tra le mani, fermando qualsiasi suo tentativo di
auto-combustione. « D’accordo, va bene, non
scherzerò su questi argomenti. » borbotta, mentre
lui riprendeva a respirare in maniera più tranquilla. Certo,
aveva ammesso a se stesso di amare Feliciano, mai simile concessione fu
facile per lui, ma dirlo ad alta voce all’uomo che aveva di
fronte improvvisamente sembrava così intimo e speciale da
non riuscire a spiccicare parola.
Forse
avrebbe dovuto dirglielo, ma qualcosa in gola glielo impediva. No, non
aveva alcuna fretta. Avrebbe certamente avuto altre occasioni, migliori
di quella, per dirglielo. Non serviva che glielo dicesse in maniera
affrettata, nel mezzo di una stazione, senza alcuna atmosfera.
Feliciano meritava di meglio, questo lo sapeva.
L’uomo
davanti a lui toglie finalmente le mani dal suo viso, e torna a sedersi
in maniera più tranquilla. Ha un’aria
completamente diversa. Più dolce e affettuosa,
più morbida.
Con calma
entrambi guardano l’ora, non era nemmeno uscito il binario
del treno di Feliciano. Questo sorride, riprendendogli la mano, e anche
lui cerca di godersi appieno quel momento.
«
Mi mancherai. » dice allora Feliciano. « Ti
chiamerò ogni giorno e andrò in paranoia se non
mi risponderai per almeno due ore ai miei messaggi. » lui si
trova a sorridere, ma vedendo l’espressione seria
dell’uomo desiste dal fare una battuta.
«
Cercherò di fare del mio meglio. » risponde.
«
Avrei preferito un “certo che sarò attaccato
sempre al telefono aspettando i tuoi messaggi, Feliciano” ma
non riusciresti a mentire nemmeno per farmi contento. » lui
arrossisce, imbarazzato. « É un complimento.
» gli sussurra quindi l’altro uomo.
«
Mi mancherà passare il tempo con te. » gli dice,
ottenendo una reazione sorpresa. « La casa sarà
molto vuota ora che non ci sei più. »
«
Puoi sempre chiedere a Lovino di venire per ravvivare
l’ambiente. Pure lui sarà parecchio depresso.
»
«
Sarà anche arrabbiato a morte con me, dato che mi ha chiesto
di riportarti indietro. » Feliciano alza leggermente le
spalle, simulando indifferenza.
«
Sarà parecchio arrabbiato. Se vuoi un consiglio, procurati
dei pomodori da dargli prima che inizi a sbraitarti contro. »
lui inarca un sopracciglio, confuso. « É una
tecnica brevettata da Antonio, ma posso assicurarti che funziona a
meraviglia. »
Lui ha
tante domande a riguardo, ma non ne fa nessuna. In quel momento
c’erano lui e Feliciano, e lì voleva rimanere.
Ormai lo considerava una tale parte della sua quotidianità
che non sapeva immaginare come sarebbe stato trascorrere una giornata
senza di lui. Certo il pensiero che sarebbe tornato era confortante, ma
non sarebbe bastato per levigare la sua sensazione di solitudine.
«
Oh, hanno messo il binario. » dice allora Feliciano,
guardando in direzione del tabellone. Lui fa lo stesso, percependo il
loro tempo arrivare fino alle ultime gocce. Si alzano entrambi, e lui
prende la valigia di Feliciano, ottenendo commenti sulla sua galanteria
ai quali risponde con un imbarazzato rossore di guance. Con calma si
avvicinano al posto di blocco che faceva accedere ai binari. Ludwig
sapeva di non poter seguire Feliciano fino a lì, e che
quindi quello era il loro ultimo saluto. Vede l’uomo accanto
a lui armeggiare con il telefono, probabilmente in cerca del biglietto,
e pensa già a ciò che vuole dirgli prima di
vederlo partire.
Feliciano
sembra trovare ciò che cerca, e finalmente si volta nella
sua direzione.
«
Credo sia ora di andare. » mormora, e lui annuisce. Feliciano
allunga la sua mano verso la valigia, e torna a guardarlo. Per una
volta anche lui sembra a corto di parole. Si guardano a lungo, e lui
stenta a lasciarlo andare. In preda all’impulso, allora, lo
stringe a sé. Feliciano emette un verso di sorpresa, ma
ricambia il suo abbraccio. Lui gli bacia i capelli, e poi passa alla
fronte. Feliciano sembra apprezzare, e gli sorride. Si danno un veloce
bacio sulle labbra, e poi lui da una veloce occhiata per vedere se
qualcuno li avesse notati. Non era il caso, tutti erano troppo presi da
se stessi per vederli. Feliciano gli bacia la guancia, allora, e lui lo
stringe in un ulteriore abbraccio.
Questo dura
più a lungo, e Ludwig non vuole lasciarlo, cercando di
imprimersi nella mente la forza del suo corpo, l’odore della
sua pelle, il suo respiro contro la propria pelle. Non voleva
tralasciare alcun dettaglio. Sente la mano di Feliciano nuovamente tra
i capelli, e si rilassa al suo tocco.
«
Ti prego, non esagerare con il lavoro mentre non ci sono. »
mormora Feliciano, e lui annuisce.
«
Non innamorarti di qualche quadro mentre sei lontano. »
Feliciano sorride, divertito, e gli prende il viso tra le mani,
facendosi più vicino.
«
Ti amo da quando ho undici anni, Ludwig, non smetterò certo
adesso. » simili parole lo fanno arrossire, ma non
può fare niente a riguardo, perché Feliciano gli
da un altro veloce bacio, e gli rivolge un ultimo saluto, afferrando la
propria valigia e sfuggendogli di mano. Quando si volta nella sua
direzione per salutarlo ancora, prima di farsi controllare il
biglietto, Ludwig nota le sue guance arrossate, e lo saluta
un’ultima volta con la mano, guardandolo sparire dietro il
muro di plastica e strisce.
Feliciano
non era più visibile, ma lui rimane ugualmente a guardare
nella direzione in cui era scomparso. Si sentiva triste, ma dentro di
sé non lo era più di quanto avesse voluto.
Feliciano gli aveva promesso che sarebbe tornato, e lui gli credeva.
Sorride
leggermente, e guarda in direzione del tabellone che segnava le
partenze. Attende fino a quando il treno di Feliciano non scompare
dalla lista, e solo allora decide di tornare a casa. Lo attendeva il
silenzio e la solitudine, ma nel suo cuore sapeva che non sarebbe stata
definitiva.
Feliciano
sarebbe tornato, ne era sicuro. E lui lo avrebbe atteso, per quella
volta e molte ancora.
Ed eccoci qui,
al termine di questa trimestrale avventura.
Non avevo
pianificato questo capitolo il 24, ma ecco a voi questo ultimo regalo
di Natale.
Ci ho
impiegato un mese per scrivere questa storia, tre a pubblicarla. A
conti fatti, credo sia una sorta di pietra miliare del mio percorso e
ogni volta che ci penso, provo tanto affetto a riguardo. Spero che la
narrazione abbia coinvolto, e che il finale asiatico sia soddisfacente.
L'ho volutamente lasciato aperto, cercando di darci un realismo
speranzoso sul come andrà il rapporto tra loro due. Le
speculazioni al lettore, io vi ho portati fino a qui.
Voglio
ringraziare DrFox, AngelDeath e mughetto
nella neve
per aver recensito questa storia, e mughetto
nella neve,
__Dreamer97, Lady
Itasil
e Roberta
0401
per averla inserite nelle preferite/seguite.
Dulcis in
fundo, è stato un piacere passare di qui.
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