Any other world

di reggina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Armadio ***
Capitolo 2: *** Appuntamento ***
Capitolo 3: *** Luna piena ***
Capitolo 4: *** Coperta ***
Capitolo 5: *** Zucca ***
Capitolo 6: *** Cerotto ***
Capitolo 7: *** Cartolina ***
Capitolo 8: *** Mattina ***
Capitolo 9: *** Lupo solitario ***



Capitolo 1
*** Armadio ***


Nelle pigre domeniche pomeriggio autunnali, Dillon è una tipica provincia di quel Deep South sperduto e dimenticato da Dio e dagli uomini.

Una di quelle cittadine che sorgono in mezzo al nulla, con la loro arcana atemporalità.

Lyla arriva a casa Street senza preavviso. Jason si muove sicuro, con la sua sedia a rotelle, nell’ex studio di suo padre Mitchell a piano-terra trasformato nella sua nuova camera dopo l’incidente.

Vederlo così indaffarato è un segnale positivo.

Fino a qualche mese fa, probabilmente, Lyla entrando avrebbe trovato un ragazzo apatico steso sul divano, la cui massima iniziativa sarebbe stata quella di sistemarsi un cuscino dietro la testa.


“Cosa stai facendo?”

“Voglio mettere a posto il mio armadio. Anzi, ti dirò di più: voglio rinfrescare completamente il mio guardaroba!”

Poiché l’ultima volta che lo ha sorpreso a fare pulizie era intenzionato a buttare tutti i suoi trofei, Lyla tira un sospiro di sollievo.

“Tutto qui?”

“Ah, ah. Magari ti immaginavi che volessi cambiare casa o partire per fare il giro del mondo?”

Il Jason dell’ultimo anno ha trovato nel fare ironia una leva per alleggerire una situazione pesante e talvolta insostenibile per un diciottenne.

“Magari volevi andare ad abitare con i fratelli Riggins!”


Cala un silenzio imbarazzante.

Lyla si morde la lingua senza potersi rimangiare quella battuta infelice.

Il tradimento è una ferita ancora aperta per Jason. Ha provato a perdonarla, a ricostruire la loro coppia da copertina ma hanno finito soltanto per farsi del male a vicenda.

Tuttavia si sente incompleto senza di lei e, dopo la vittoria del Campionato Statale da parte dei Panthers, stanno provando a tornare ad essere amici.

“Un uccellino mi ha detto che anche i tuoi pompon sono finiti nella spazzatura, signorina Garrity!”

Il tono di voce di Jason è mordace ma viene smorzato da un sorriso carico d’affetto. Le rivolge un ghigno malizioso ma pieno di stima e di rispetto nei suoi confronti.

È solo una dolorosa presa di consapevolezza: entrambi devono dire addio ad un passato che non tornerà più e ad un futuro diverso da come se lo erano immaginato.

Perché, quando si è rotto il collo, non è andato in frantumi soltanto il suo futuro. L’incidente ha ucciso anche i sogni e gli occhi felici di Lyla Garrity che, da fidanzata perfetta, si è trasformata in un deluso angelo custode dalle ali spezzate.

“Posso aiutarti a fare amicizia con il secchio della spazzatura e a resettare anche la tua esistenza?”


Se non si trattasse di Lyla, Jason troverebbe una certa petulanza in quell’atteggiamento e, invece, è contento di averla accanto mentre cerca di staccarsi dalla pelle vecchia, adesso che ha trovato il coraggio di liberarsi di un sacco di pesi morti che gli ingombrano i cassetti e lo tengono imprigionato ad un’idea vecchia di sé stesso.

Aprono l’armadio e guardano le grucce, gli abiti appesi, i colori dominanti…

Lui è di una bellezza quasi dolorosa, lei sembra in bilico tra l’innocenza e la malizia.

Tutte le divise da quarterback liceale americano sono ripiegate, con cura, in fondo ad uno scaffale.

Con le sue mani contorte, l’ex stella dei Dillon Panthers, afferra la giacca sportiva indossata prima di quasi ogni partita e ora impregnata di un forte odore di muffa.

La annusa e scoppia a piangere, ingoiato da un improvviso gorgo di tristezza senza soluzione.

Come se non aspettasse altro che quel segnale, Lyla si avvicina e lo abbraccia. Un attimo dopo piangono stretti in un abbraccio struggente.

Con la voce rotta da un altro singhiozzo, Jason le asciuga maldestramente una lacrima e riesce addirittura a farla sorridere.

“Chi lo avrebbe mai detto che riordinare l’armadio potesse apparire tanto affascinante in una pigra domenica pomeriggio di una sconosciuta città del Texas?”


***** ****

Questa raccolta è un secondo step del Writober di Fanwriter.it

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Capitolo 2
*** Appuntamento ***


Casa Saracen racchiude tutte le contraddizioni della periferia americana: ha un giardinetto curatissimo e una patriottica bandiera che sventola sulla veranda e, sullo sfondo, pali dell’elettricità.

Sembra congelata in una dimensione temporale indefinibile, da film.

Per Jason Street è impossibile salire i tre gradini che lo separano dalla porta, così si sistema ad un lato del prato appena falciato e incrocia le braccia. Aspetta.

Pochi minuti dopo compare Matt, sulle labbra un sorriso smagliante da babbeo innamorato.

“Allenamento speciale oggi per te, Seracen!”

Lo saluta con voce ferma il suo allenatore personale, masticando vistosamente una chewing-gum.

“Ve…Veramente avevo un appuntamento con Julie!”

È tenero mentre balbetta nelle situazioni che lo mettono a disagio ma Jason non si lascia raddolcire.

“I tuoi unici appuntamenti, nelle prossime due settimane, saranno esclusivamente con me!”

Si sistema gli occhiali da sole con un’inflessibilità e un’autorità che stonerebbero in un ragazzo così giovane se non si trattasse di lui.

Il fatto è che ha preso molto sul serio l’opportunità che gli ha offerto coach Taylor e aiutare Seracen a credere in sé stesso, contribuire a forgiare il suo fisico e il suo carattere, lo fa risentire nel suo ambiente naturale.


Alla fine dell’intenso allenamento Matt, stremato ma appagato, si lascia cadere piano sull’erba che inizia ad ingiallire.

“Stai facendo un ottimo lavoro, QB1!”

Jason è sincero, tuttavia non è bravo a nascondere un amaro sorriso di rammarico e di rimpianto mentre, in una simbolica staffetta, investe Matt di quel ruolo principale, da regista, con cui tutta Dillon ha sempre identificato lui.

Diciassette anni e un dio.

Matt invece, forse con poca discrezione, non riesce a distogliere lo sguardo da quelle gambe paralizzate. E, alla fine, colto in fallo sorride a disagio.

Jason ormai conosce quel sorriso che gli viene dedicato per compassione, in cui si mescolano una gioia addolorata e la più profonda, penosa pietà.

“Non sentirti a disagio, Matty. La mia sedia a rotelle è come un paio di scarpe per me. Uno strumento. Un aiuto. Certo, è insopportabile essere ridotto un tutt’uno con essa. “

“Beh io non ti vedo come il paralitico allenatore in seconda. Nonostante tutto, sei sempre il ragazzo a cui piacciono i Nirvana e le crocchette di pollo dell’Alamo Freeze, il compagno di scuola appassionato di ultime parole famose.”


Adesso non sono più maestro allievo ma si parlano alla pari, da amici schietti e sinceri.

“Sei un bravo ragazzo, Saracen. Ho sempre saputo che, chi ascolta Bob Dylan e ama la fotografia, è un tipo creativo. Quando ero in ospedale, l’ho detto al coach che se ti avesse lasciato libero di inventare, su quel campo, avresti fatto qualcosa di buono! Avevo ragione.”

È un attestato di stima che dà fiducia ad un ragazzino insicuro come Matt.

Lorreine Seracen si affaccia sulla veranda.

“Arrivo tra qualche minuto, nonna!”

L’anziana donna però non rientra in casa, anzi si rivolge a Jason con un sorriso ammirato e pieno di cortesia.

“Coach Street perché non resta a cena da noi?”

“È una bella serata. Potremmo fare un barbecue in giardino!”

Aggiunge svelto Matt, per sopperire alla barriera architettonica dei gradini.

“Sai Saracen questi appuntamenti di lavoro iniziano a piacermi!”

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Capitolo 3
*** Luna piena ***


La festa per il compleanno di Jason si è presto trasformata in un impietoso confronto con il passato.

Tra festoni, torte e un palloncino sfigato, e rigorosamente blu, appeso alla sua sedia l’ex quarterback è costretto a confrontarsi con l’amarezza di un anno passato tra difficoltà indicibili e gli auguri che gli lasciano un senso di vuoto.

Non sa a chi sia venuta la bella idea di mettere su un dvd delle sue partite: il confronto con il campione che era, appena dodici mesi fa, non lo aiuta di certo eppure Jason, con il suo sorriso da bravo ragazzo, commenta quella sua corsa sulle quaranta yard.

Commenta con leggerezza un passato che infierisce e mantiene un’espressione serena anche quando Buddy Garrity se ne esce fuori con una delle sue battute indelicate.

“I Panthers avrebbero fatto un mucchio di soldi con te, Jason! Mia figlia aveva investito bene per il suo futuro.”

Soltanto che la vita di Jason Street non sta andando per niente come se l’era immaginata.

Lyla non avanzerà mai lungo la navata a croce latina, nel suo vestito da sposa corto completato da stivali texani.

All’altare non troverà ad aspettarla nessuna stella dell’NFL.

Era pronto a conquistare il mondo prima dell’incidente e adesso non sa se quello stesso mondo sia abbastanza per lui.

Quando, a fine serata, consegna a coach Taylor tutti i nastri delle sue partite si sente leggero, sollevato, nonostante i suoi polmoni paiono pieni di acqua ghiacciata piuttosto che di aria.


Tim lo trova, dopo quasi mezz’ora, sulla rampa in pendenza all’esterno: le mani arpionate alle ruote della sedia a rotelle e lo sguardo puntato al cielo dove, magnifica e trionfale splende la luna piena.

“Ehi lupo mannaro hai risentito il richiamo della luna piena?”

“La luna è una compagna fedele!”

Non va mai via. È sempre di guardia, risoluta, ci conosce con il buio e con la luce, e come noi è in continua trasformazione. Ogni giorno è una versione diversa di sé stessa. A volte tenue e pallida, altre intensa e luminosa.

La luna sa cosa significa essere umani.

Insicuri. Soli .

Tim si siede accanto a lui sul marciapiede, posando la lattina di birra che gli si è riscaldata tra le mani, e aspetta.

Conosce troppo bene Jason per non sapere ha un lato oscuro che non mostrerà mai a nessuno.

Solitudine pura e pace profonda .


“Ho chiuso con il football!”

Jason lo scandisce piano, con determinazione e lentezza dolorosa.

La luna piena sembra produrre un miele bianco di sogni spezzati e di silenzio.

Lo sguardo di Tim indugia su quelle gambe immobili, come fossero due corpi a sé stanti.

C’è un grande spazio vuoto tra quello che doveva essere e quello che mai sarà e sarà per sempre.

Uno spazio che genera grandi distanze e profonde differenze tra loro .

Dillon, adesso, è il luogo in cui lottare con i rimpianti e con le delusioni.


Un’immagine si affaccia tra i ricordi del fullback. Quando in Pee Wee correvano già come campioni e aveva promesso a Jay che niente avrebbe potuto toccarli. Niente sarebbe potuto toccare a loro .

Ha quello stesso spirito d’invincibilità quando, trangugia un sorso di birra per farsi spavaldo, e si convince a riplasmare i progetti del loro carniere infantile.

La città pare fragile, sospesa come una ragnatela, ma la luna piena, come un prezioso alleato, rischiara il buio e calma le sue paure.

“Avrai il tuo per sempre, Six!”

La mano ruvida di Riggins che stringe su quella di Jason è più di un giuramento, è una garanzia.

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Capitolo 4
*** Coperta ***


Dalla sera dell’incidente di Jason, Joanne non riesce a stare in casa: freme al solo pensiero che suo figlio sia in un letto d’ospedale e lei debba accontentarsi di vederlo solo per un’ora al giorno.

Domani il ragazzo sarà trasferito in un centro di riabilitazione e mentre cerca di ricordare i particolari di quel maledetto venerdì sera deve asciugarsi, continuamente, le lacrime.

In ospedale aveva iniziato a pensare che lei e Mitchell non ce l’avrebbero mai fatta a tornare a casa in due, senza Jason, senza sentire il suo corpo girarsi e rigirarsi nel letto che cigola.

Non ce l’avrebbero mai fatta a fare colazione senza di lui.

Tornati a casa, quella sera, si sono sdraiati abbracciati. Lei continuava a tremare, ma era per la sofferenza e non per il freddo, e non riusciva a parlare.

In realtà è una settimana che non hanno nulla da dirsi, chiusi completamente nel terrore.


Joanne si arrovella con domande che non trovano risposta e la distruggono.

È difficile guardare il suo bellissimo ragazzo conciato in quello stato con collare cervicale rigido, tubicini e fili che gli attraversano un corpo per lo più insensibile.

È stordita.

Nei giorni scorsi ha avuto paura anche a toccarlo ma ora si attacca al suo braccio destro e, solo in un secondo momento, si rende conto che lui non può sentire nulla.

In quel letto sembra ancora più grande.


“Ti ricordi quando, il mese scorso, al telegiornale c’era un vecchio signore con le gambe paralizzate, che aveva vinto alla lotteria? Stava dritto e impettito sulla sedia a rotelle, con la coperta sulle gambe. Emanava una certa autorità, nonostante l’handicap!

Tuttavia, quel giorno, ho pensato che doveva avere un’esistenza complicata, anche se aveva appena vinto un mucchio di soldi…”

La voce strascicata di Jason viene fuori nasale, alterata dai naselli per l’ossigeno.

“Mi ha colpito quella coperta piegata con cura sulle sue gambe inutili.

Forse, che sarei diventato come lui, l’ho capito subito dopo l’incidente quando ancora ero immobile su quel campo…Mi è bastato sentire la tua voce lanciare un urlo fulminante, un pianto atroce…”


Come in un beffardo scherzo del destino, la finestra di quella camera d’ospedale affaccia sul campo da gioco e costringe Joanne ad entrare nell’ottica che Jason non sarà mai più il figlio che hanno cresciuto.

Le fa male al cuore vederlo immobile mentre, nonostante tutto, cerca di avvolgere nella mano quel pallone ogivale regalo della squadra, totem di sogni perduti.

Una coperta di Linus che si ritira in un fazzoletto .

“Jason non importa se non sarai più ciò che eri, ciò che sognavi di diventare…Lo so che l’incidente ti ha stravolto tutti i piani ma sono tua madre e so che tu non ci deluderai mai, qualsiasi cosa deciderai di fare della tua vita!”

Le parole della mamma sono una carezza, una coperta di stelle luminose , e per la prima volta Jason crede che avrà ancora un futuro.

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Capitolo 5
*** Zucca ***


In Texas la festa di Halloween ha un sapore sicuramente diverso, di zucca.

Ogni anno, sulla riva del lago White Rock, viene organizzato un grande villaggio realizzato con oltre cinquanta mila zucche di quarantacinque varietà diverse.

Anche Dillon in questo periodo dell’anno sembra un Pumpkin Village .

Un luogo singolare e a modo suo incantevole.

Quando è arrivato da Applebee Jason è stato accolto da un paio di zucche spettrali alla porta che, nel mese di ottobre, danno il benvenuto ai clienti.


Fino all’anno scorso Tyra Colette non sarebbe mai stata la ragazza che legge mentre aspetta in quella caffetteria in fondo alla strada.

Oggi, invece, è così assorta nella lettura che non si accorge nemmeno che la sua pausa è terminata da un pezzo.

“Oh mio Dio!”

Esclama, girando pagina. È appoggiata al bancone del locale, con il naso completamente immerso nella carta ingiallita.

“Lettrice sognatrice!”

Sente bisbigliare da una voce divertita. Si sposta quanto basta per trovarsi occhi negli occhi con un volto sorridente.

Esistono delle cose come il carattere, il sorriso, la personalità e l’intelligenza che non scompaiono con il tempo ed è incredibile come, nonostante tutto quello che abbia passato nell’ultimo anno, Jason Street non abbia perso il suo stile.

Con un’ironia leggera e gentile come una carezza si prende una rivincita sulla realtà.

“Pensavo che i Panthers fossero clienti abituali dell’Alamo Freeze!”

Il ragazzo arriccia il naso e si contorce in una smorfia disgustata.

“Lo sai che in questo periodo Matt e Smash sarebbero capaci di prepararmi un cappuccino alla zucca se andassi dalla concorrenza? Tutto questo arancione è inquietante…Nemmeno fossimo in Olanda!”

Con la mano spinge le ruote della sua carrozzina ed è così sciolto e spontaneo che, anche se non riesce a muovere alcune parti del corpo pare se ne dimentichi.

E anche Tyra riesce a vedere oltre quella sedia a rotelle.

“L’arancione è pericolo!”


“Allora cosa leggi di bello? Qualche romanzo consigliato dal signor Perry durante l’ora di letteratura? Quell’uomo c’ha la fissa per i lieti fine. Io, invece, credo che si debba diffidare dagli eroi romantici che amano una sola donna e odiano il resto del mondo…”

C’è una nota di nostalgia nella sua voce e la ragazza può indovinarne il perché.

“A me non piacciono gli eroi romantici.”

Le confessa.

“Direi che tu eri uno di loro fino a poco tempo fa. Amavi solo Lyla e credo che, per un periodo, tu abbia anche odiato il resto del mondo!”

“Touché. Fai bene ad essere diffidente verso gli eroi romantici letterali. Non me ne viene in mente nemmeno uno che sia degno di qualcosa.”

“Lo sapevo che facevo bene a partire prevenuta nei loro confronti…”

Gli risponde Tyra, ridendo. Tra loro c’è una complicità giocosa che li fa sentire compresi.


Poi lei ripone il libro e torna a svolgere il compito per cui è pagata, fino a prova contraria, ovvero versare il caffè.

“Secondo me dovresti tornare a scuola. Se anche due zucche vuote come me e Tim hanno possibilità di andare al college, non capisco perché tu voglia buttare alle ortiche le tue possibilità!”

Dice di punto in bianco. Quello di Tyra non suona come un’opinione non richiesta o come una critica mascherata quanto piuttosto come il consiglio spassionato e sincero di un’amica.

Jason non è come Tim che le causa palpitazioni eccessive e le fa raggiungere picchi non richiesti di agitazione.

No, lui ha un sorriso cordiale e un bel modo di fare rilassante. È quel genere di persona che ti fa stare bene.

Alla fine risponde ad un consiglio con un altro consiglio, dopo aver dato una sbirciatina alla copertina del libro abbandonato sul bancone.

“E tu dovresti finire di leggere Memorie di una geisha prima della prossima lezione!”

“Magari lo finirò per quelle di novembre, quando il periodo arancione si sarà tramutato in quello grigio . Persino in quel libro c’è un’apprendista che si chiama Zucca!”

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Capitolo 6
*** Cerotto ***


È la settimana dell ’homecoming e per le strade di Dillon si respira aria di festa.

Studenti, ex studenti e membri della comunità hanno installato tende in parcheggi, campi e strade vicino allo stadio per cucinare cibo, giocare, socializzare, abbuffarsi e persino ascoltare musica dal vivo.

È una settimana di tornei sportivi, parate e balli e per celebrare la ricca storia dei Dillon Panthers, in città è tornato anche Lucas Maze, quarterback della vittoria dello State nel 2000.


Jason, isolato in quel centro di riabilitazione da ormai quattro settimane, non riesce a condividere tutta questa euforia collettiva.

In questi giorni ha imparato a conoscere le sue forze e le sue barriere ma è ancora un continuo avanzare, come i bambini piccoli.

L’invito di coach Taylor lo ha colto di sorpresa e adesso non sa se è pronto a compiere quell’importantissimo passo per riprendersi un pezzetto di normalità.

Forse ha ragione sua madre: dopo la caduta degli dei, non è ancora pronto a mostrarsi ad una folla entusiasta che fino a poco più di un mese fa lo acclamava come un potenziale campione.

Forse ha ragione suo padre: le persone vedranno oltre la sua sedia a rotelle quando lo guarderanno.


“Anche io ho le mie buone ragioni per avere paura, Jason!”

La confessione di Mitchell, filtrata dalla cornetta, arriva dritta al cuore ed è un bene che questa discussione non avvenga faccia a faccia, perché è più facile essere sinceri per telefono.

“Tutti mi guarderanno come se fossi una specie di insetto raro. Non mi piace essere al centro dell’attenzione!”

Sentire suo figlio, che è sempre stato sicuro di sé, sminuire in questo modo la sua autostima è una ferita per Mitchell, tuttavia sorride.

“Tu sei sempre stato il centro del mondo Dillon, figliolo!” Può immaginarselo suo padre seduto in quel salotto, dove c’è la sua tomba anticipata contornata da trofei . “Era diverso. Ero il quarterback dei Panthers non il paralitico capitano onorario!”


Il signor Street tiene stretta la cornetta e ascolta il respiro spezzato di Jason attraverso il telefono, lasciando che il silenzio metta un po' d’ordine tra i suoi pensieri.

“Ahi!”

Sbotta all’improvviso.

“Che è successo?”

Nonostante il gemito flebile, i sensori dall’arme del ragazzo sono all’erta dall’altra parte della città.

“Mi sono appena ferito.”

“Com’è successo?”

“Mi sono pinzato un dito con la pinzatrice!”

Sembrerebbe una giustificazione quasi comica ma Jason non ci trova niente di divertente.

“Devi stare più attento!”

“È solo un microscopico graffietto. Lo disinfetterò con l’acqua ossigenata e ci metterò un cerotto.”


“Papà per me affrontare uno stadio gremito è come mettere un cerotto su una ferita aperta. Non sono più ciò che ero ma resterò ciò che sono diventato. Non voglio che la partita inizi in lacrime, per causa mia.”

Con la cornetta leggermente staccata dall’orecchio, anche Mitchell adesso sta piangendo in silenzio: quanti cerotti bisogna mettere in un’anima che continua a sanguinare?

“Jason certe cose non puoi prolungarle all’infinito. Viene il momento in cui devi strappare via il cerotto. Fa male ma poi passa e ti senti meglio.”

È l’incoraggiamento giusto, la frase che lo convince ad essere forte.

“È un bene allora che metà del mio corpo sia insensibile. Va bene verrò alla partita venerdì sera ma tienimi lontano dallo Smoky Brisket di Buddy Garrity. Non voglio entrare in campo come un barbecue umano!”

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Capitolo 7
*** Cartolina ***


Sono le undici di mattina e il sole picchia anche all’ombra nella metropoli texana dove, domani, i Panthers giocheranno per la gloria.

Certo Brian Williams non ha avuto l’idea più felice nell’uscire per le strade perpendicolari e roventi a quest’ora!

Ma ha fatto una promessa a Waverly prima di partire per la finale.

Spedirle una cartolina da Dallas, però, si sta rivelando un’impresa da mezza giornata. È vero che il loro albergo ha delle cartoline nel suo gift shop (anche se Brian ne ha selezionata una di quelle che l’hotel fornisce gratis per farsi pubblicità), rimane il fatto che adesso è alla ricerca di un francobollo o di un ufficio postale.


“Stiamo rischiando un colpo di calore solo per far contenta la tua fidanzata, Smash? Non era meglio usare il telefono?”

“Lo sai che Waverly ha dei problemi, Street. Se una cartolina dagli abissi del vecchio Far West, con Saloon da fine ottocento, può farla sorridere allora l’avrà!”

“Magari puoi raccontarle che i baristi tagliavano il whisky con la polvere da sparo. Una ragazza appassionata d’armi apprezzerà l’aneddoto!”

Afferra lo zaino attaccato sullo schienale della carrozzina, ne estrae fuori la borraccia piena d’acqua e se la versa sulla testa per rinfrescarsi.

“Suvvia Street, lo sai bene che per amore si fanno tante stupidaggini!”

Ha l’ultima parola Brian, per poi afferrare le manopole della sedia e spingere l’amico, in un gioco di squadra, in quella folle maratona.


Sfortunatamente è un giorno in cui all’ufficio postale c’è una fila pazzesca.

“Ehi Smash non dimenticarti di fare questa trafila anche dall’Indiana quando, tra un paio di anni, vivrai il tuo sogno americano. Diventerai il running-back più forte che abbiano mai visto alla TMU. “

Abbassa lo sguardo sulla cartolina che evoca immagini di risse, sparatorie bevute e pericolosi fuorilegge.

Nelle parole di Jason non c’è rimpianto e non c’è attesa: è come se si stesse arrendendo troppo presto nella vita.

“Io credo Henry Miller avesse ragione. L’America è meglio tenerla così, sempre sullo sfondo, una specie di cartolina postale a cui guardare nei momenti di debolezza. Così tu ti immagini che sia sempre lì ad attenderti, immutata, intatta, un grande spazio aperto patriottico con vacche, pecore e uomini dal cuore buono…Non esiste l’America. È un nome che si dà a un nome astratto !”


È sorprendente udire Smash declamare la frase celebre di uno scrittore.

Lui è sempre stato il jock dei Panthers, ossessionato dalla cultura sportiva e poco interessato alla cultura intellettuale.

È anche un bravo ragazzo e sa trovare le parole giuste per scuotere e rincuorare questo amico senza bussola. “Grazie per avermi fatto fare questa mini escursione per le vie di Dallas, Smash!”

Brian gli strizza l’occhio e poi si stringe nelle spalle con noncuranza. Sulle labbra gli spunta un sorrisetto furbo.

“Di nulla coach Street. Ricorda che sei il mio trucco per saltare la coda e tornare in tempo per l’allenamento del pomeriggio!”

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Capitolo 8
*** Mattina ***


Il tempo appena prima dell’alba contiene più energia di tutte le ore del giorno. È per questo che Jason è sempre stato un tipo mattiniero.

Quando era in ospedale la notte gli sembrava elastica e morbida come una gomma e la mattina spietatamente affilata.

Il mattino che scendeva violento e lo trovava immutabilmente verticale in quel letto .

E tutti i suoi problemi erano come pipistrelli diurni: appesi al soffitto di notte, che ti piombano addosso appena apri gli occhi.


Da quando è tornato a casa, invece, ha trovato buone ragioni per tirarsi fuori dal letto mentre ancora albeggia.

Ha labbra per respirare, il corpo per avanzare e gli occhi per guardare.

Manca solo l’anima del Jason di appena quattro mesi fa.

È bello ritagliarsi un’ora soltanto per lui, scegliere una playlist tutta sua e dedicarsi agli esercizi per il potenziamento delle braccia nella piccola palestra allestita nel garage dietro casa.

È una carica positiva a cui non può più rinunciare.


Oggi è stato preso da un’irrefrenabile voglia di infilare le scarpe sportive e andare a salutare il sorgere del sole.

Un’ abitudine fino ad un anno fa, un lusso oggi che non può più percorrere le strade di Dillon a ritmo di marcia.

A quest’ora insolita il paesaggio, liberato dalle ombre della notte, è bellissimo.

Un luogo vuoto con enormi praterie e orizzonti infiniti.

Niente montagne. Niente persone.

Poche auto.

Di solito le mattine sono tranquille ma oggi il silenzio sembra diverso.

Pesante. Cupo.

Sembra che l’aria sia carica di elettricità.

Un senso di aspettativa si impadronisce di Jason.

Impazienza e bisogno di agire.


All’improvviso un insieme di suoni informi e raccapriccianti, penetra carne, lo fa sussultare.

Incuriosito, spinge la sedia a rotelle fino alla porta laterale di un garage.

All’inizio nessuno si accorge di lui e Jason si stampa un sorriso sulle labbra e, con discrezione, resta ad ascoltare.

Il suono della chitarra è un ruggito uniforme. Il chitarrista probabilmente non sa che nella musica esistono le pause.

La cantante ha una bella voce seducente.

Questi ragazzi sono da ammirare. Stanno facendo una cosa meravigliosa, suonare insieme, ma annaspano e fissano la loro attenzione su cose irrilevanti come cambiare la chitarra tra un pezzo e l’altro.

Non è lì da molto quando la batteria si ferma e gli altri strumenti continuano un altro po' per poi fermarsi uno alla volta.

Alla fine tutti gli occhi sono puntati su Jason.

“Questa è una prova a porte chiuse!”

Dice Devin, con una nota seccata nella voce. Landry invece sembra entusiasta di quell’ascoltatore inaspettato.

“E dopo Tim Riggins anche Jason Street viene ad ascoltare la nostra musica. Si direbbe che stiamo diventando famosi. Facciamo cinque minuti di pausa, ragazzi!”


Landry manda giù un sorso di caffè e poi, senza bisogno di parole, convince Jason a uscire nel sole. Il profumo della mattina tiepida li sorprende.

“Allora cosa ne pensi della nostra band? I Crucifictorius ?”

Non è una domanda retorica, non è come chiedere a Landry Clark cosa pensa lui dei Panthers. Jason, infatti, ha una discreta conoscenza musicale.

“Sul serio siete un tale controsenso? Abbinate l’heavy metal, considerata la musica del diavolo, a testi cristiani?”

Landry sprofonda le mani nelle tasche dei jeans e ha gli occhi più chiari di quanto non siano mai stati.

“Negli anni 60 i concerti di Willie Nelson erano pieni di cowboy e di hippie. Che la serata finisse spesso in rissa era naturale. Ma ai cowboy piaceva l’anima country della sua musica, agli hippie piaceva l’energia rock. Nessuno voleva rinunciare al proprio idolo così Nelson si inventò un genere a metà fra i due: l’ha chiamata musica outlaw e ha invitato le fazioni a sotterrare l’ascia di guerra. Più che una tregua è stato un abbraccio.”

“Beh il Christian metal è la cosa peggiore che sia accaduta alla musica. Però quanto mi sarebbe piaciuto suonare in una band così!”

“Perché non lo hai mai fatto?”

“Gli atleti non suonano musica, fratello . Non sul serio. Avrei dovuto dire a coach Taylor: lascio la squadra, mi do alla musica!”

A immaginare quel passato ipotetico, i due ragazzi adesso ridono insieme, in un modello Austin dove gli opposti non solo convivono ma si tengono per mano.

“Sicuramente avresti avuto un motto diverso.”

Clear eyes, full hearts…Speed metal!”

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Capitolo 9
*** Lupo solitario ***


Com’è strana la vita!

Fino ad un anno fa Jason Street aveva tutto: una famiglia felice, un migliore amico da quando era piccolo, un grande amore, una futura carriera promettente.

Negli ultimi mesi la ruota della fortuna si è capovolta. I suoi genitori sono quasi arrivati alla separazione.

Tim lo ha colpito alle spalle.

Lyla lo ha ferito nel modo peggiore.

L’NFL resterà per sempre un’utopia velleitaria e irrealizzabile .

È passato dall’avere tutto al non avere più niente. Così, in un battito di ciglia.


Questa sera la pioggia prevista è arrivata davvero ed è proprio come diceva il meteo: battente, torrenziale, fitta. Un vero nubifragio.

Tuttavia il freddo, il fango e la pioggia non hanno fermato la partita dei Dillon Panthers che, con sudore e fatica, si battono sul campo improvvisato grazie all’inventiva di coach Taylor.

Dopo un consulto con l’arbitro è stato deciso che la partita non verrà sospesa per impraticabilità di campo.

Eric dà le ultime indicazioni e suona la carica per i suoi atleti che lo ripagano con quell’entusiasmo di chi segue un sogno grande, poi la sua attenzione viene catalizzata da una figura a bordocampo.

Avvolto nel suo impermeabile, infreddolito e zuppo in modo imbarazzante, Jason Street non smette di dare consigli a Matt Saracen come farebbe il più esigente degli allenatori.

Il suo ex quarterback, sempre al centro dell’attenzione, sembra star bene lì in quell’angolino. Un lupo solitario a cui non interessa più di piacere alla gente: primo perché non ama essere visto, secondo perché non ha per niente simpatia per la gente ultimamente.

Eric però conosce bene il ragazzo: sa che non ha bisogno di troppe parole, che sa star bene anche da solo.


Jason sa che non può avere indietro quello che ha perso e non può farci niente tuttavia è così triste che si stia abituando a questo nuovo grado di solitudine!

Non è un lupo solitario, è solo un ragazzo ferito, indifeso, spaventato.

Ha bisogno di far pace con quello che si porta dentro.

Eric Taylor ha la chiave giusta per trascinarlo fuori dal suo mondo deserto e isolato.

Alla fine di un’epica semifinale nel fango, che entrerà nella leggenda dei Panthers, lo avvicina.

“Hai mai pensato di fare l’allenatore?”

Jason sorride.

Tutti i lupi solitari, alla fine, vogliono trovare il proprio branco.

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