More indelible than ink

di uriel_s_gate
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Castagne ***
Capitolo 2: *** 2. Bacio ***
Capitolo 3: *** 3. Lenzuola ***
Capitolo 4: *** 4. Champagne ***
Capitolo 5: *** 5. Fantasma ***
Capitolo 6: *** 6. Promemoria ***
Capitolo 7: *** 7. Bagno Caldo ***
Capitolo 8: *** 8. Agenda ***
Capitolo 9: *** 9. Bosco ***
Capitolo 10: *** 10. Gatto ***
Capitolo 11: *** 11. Armadio ***



Capitolo 1
*** 1. Castagne ***


1. Castagne
 
 
A volte ti sento.

Magari sono lì a non pensare proprio a un bel niente, le mani sul volante, le luci dell’automobile di fronte un ipnotico accendersi e spegnersi. Magari piove pure. Mi piace quando piove e tu lo sai. Poi come sempre la sera scende indifferente e diventa solo l’ennesima casella superata sul calendario. Magari poi sono sul divano ad aspettare che finisca questo aspettare. E l’occhio inciampa sul tavolo che abbiamo comprato insieme e cade sul tuo cesto. Sai, sta andando a pezzi quell'accidenti di cesto che amavi tanto. Dovrei decidermi a liberarmene. Ma ogni volta che sono sul punto di riuscirci rivedo la luce di quell’Ottobre, i tuoi capelli che diventavano oro. E tu che mi sorridevi. E i nostri passi che si inoltravano senza pensieri tra le foglie cadute. E tu che mi tenevi per mano. Avresti mai detto che sarebbe andata a finire con me lasciato qui a odiare questo cesto pieno dei ricci delle castagne che abbiamo raccolto quel giorno?
Non sarò mai forte abbastanza per buttarlo.
E tu lo sai.

Perché a volte ti sento.

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Capitolo 2
*** 2. Bacio ***


2. Bacio
 
 
 
È ancora lì che mi guarda con quell’espressione da rincoglionita. Con i suoi capelli strozzati in una crocchia troppo stretta e le sue occhiaie torbide. A volte tenta perfino di sorridermi la scema e allora io guardo via. Vorrei dirle che tanto non mi frega, che le crepe dietro il suo intonaco io le vedo comunque. Le conosco fin troppo bene. Le conosco una per una. Come conosco la solitudine con cui cerca il mio sguardo e che confessa solo quando siamo sole. E per una volta provo a sostenere il peso di quegli occhi che gli altri credono invincibili e allora la vedo per quello che è. Una donna che non riesce ancora ad amarsi. Allora decido di sporgermi verso lo specchio e lascio che la mia compassione si posi lieve in una tregua.

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Capitolo 3
*** 3. Lenzuola ***


3. Lenzuola
 
 
 
Ricordi?
Sono tornato da te una mattina d’estate. Sono tornato da te perché, dopo averla tanto invocata, ho scoperto che la libertà mi stava troppo stretta. Perché mi mancava la prigione gentile delle tue braccia, l’abisso dei tuoi occhi. È stato il tuo silenzio a riportarmi a casa. L’ho riconosciuto subito mescolato al vento e all’odore abbagliante delle lenzuola che affidavi al sole. Ti ho riconosciuta subito, nell’eleganza inconsapevole e ribelle di ogni tuo gesto. Ti ho chiamata per nome attraverso il profumo del sapone di Marsiglia. Fino a quando la tua ombra mi ha restituito la promessa del tuo volto.
 

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Capitolo 4
*** 4. Champagne ***


4. Champagne


Ti guardavo indossare un sorriso, falso come le parole con ogni sera cui adorni i miei polsi. Non sai con quanto sollievo accolgo il buio tra noi quando con l’ultimo gesto ancora umano che ti è rimasto allunghi la mano e spegni la lampada sul comodino. Non sai con quanta pietà poi rimango a misurare la marea inquieta dei tuoi respiri. Mi chiedo quando questa voragine abbia spaccato a metà i nostri giorni. Quando l’inverno sia sceso sulle nostre notti.

I nostri ospiti non lo vedono il palcoscenico su cui scivoliamo lievi come nebbia. Non sentono l’odore del sipario pesante di polvere che da troppo tempo freme per calare sull’oscenità di questo ultimo atto. E io ti guardavo. I sogni del ragazzo che sei stato ridotti a placche di ruggine sotto la camicia di lino. Ti vedevo stringere la mano dei tuoi colleghi, ubriacarli con il miele della tua voce. Così sicura. Così fragile. Ti dimenticavo in un docile sorso di champagne.

 

 

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Capitolo 5
*** 5. Fantasma ***


5. Fantasma


Dicono che siamo nate abbracciate.

Solo una di noi piangeva e tu avevi gli occhi verdi, proprio come il nonno, prima che cominciasse a passare le giornate sulla panchina della stazione. Dicono che qualcosa si è rotto nella sua testa, ma si sbagliano. Sta solo aspettando che passi il treno giusto.
Dicono che non hai nemmeno avuto il tempo di soffrire. Che ora sei felice assieme alla nonna e alla mia tartaruga. Ma la pancia della mamma è ancora dura e fredda e io lo so che è lì dentro che è rimasto il tuo dolore, aggrappato forte al suo. Dove nessuno lo vuole vedere. E la nonna non può farci niente. E nemmeno la mia tartaruga.

Oggi papà ha comprato la mia torta preferita, quella al limone con la panna. Ci ha messo sopra sei candeline e mi ha detto di esprimere un desiderio prima di spegnerle. Allora io ho pensato a te, ai tuoi occhi verdi.

E senza che nessuno mi vedesse ti ho abbracciata.


 

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Capitolo 6
*** 6. Promemoria ***


6. Promemoria


Ciao bambina mia,

Sì, lo so che detesti essere chiamata così e, credimi, lo so che non sei più una bambina da una pezzo e che di certo non appartieni a nessuno. Se non a te stessa. Il mio è solo il tentativo abbastanza goffo e nemmeno troppo originale di dirti che, se mai tu ne sentissi il bisogno o il desiderio, io ci sarò sempre. E che questa, anche se ora capisco che ti stia stretta, sarà sempre casa tua.

Ricordati di mandare qualche messaggio alla mamma. Lo sai che in fondo basta poco per rassicurare le persone che amiamo e che ci amano. Per tutti gli altri invece ricorda che nulla sarà mai sufficiente. Impara a riconoscere il prima possibile la differenza e non pentirti mai delle scelte che farai. Soprattutto se c’è in gioco l’amore. Oppure un viaggio verso te stessa ancora più importante come l’amicizia.

Ricordati di non mancarti mai di rispetto. Ricordati che dire di no è un tuo diritto. Esattamente come dire di sì.

Infine ricordati di splendere, soprattutto quando la cosa attirerà delle critiche. Perché essere scomodi è a volte l’unico promemoria da ricordare se vogliamo restare vivi davvero. 

Con amore, quello vero. Però quando arrivi chiama la mamma.


Papà





 

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Capitolo 7
*** 7. Bagno Caldo ***


7. Bagno Caldo



 

Già a metà della terza udienza, l’onorevole giudice Ciavarella avrebbe voluto fracassare il martello direttamente in fronte all’ennesimo delinquente in potenza che si vedeva passare sotto la cattedra. Fosse stato per lui li avrebbe mandati tutti alla forca senza nemmeno uno straccio di processo. Sarebbe stata senza dubbio una soluzione più sensata rispetto all’inutile dissanguamento di tempo e denaro pubblico a cui lo obbligava l’ordinamento giuridico di quello stramaledetto paese che aveva pure l’ardire di dirsi civile. Cosa c’era mai di civile nel tentare di recuperare quell’orda interminabile e cenciosa di morti di fame messi al mondo con l’unico scopo di rubare alla gente per bene, ragionava l’onorevole giudice Ciavarella, mentre si sfilava via i calzini dai piedi gonfi prima di entrare nella vasca sibilando un’ultima maledizione a denti stretti. Passandosi la spugna sul viso, il magistrato gorgogliò soddisfatto ed era quasi riuscito a dimenticarsi dell’ennesima giornata da cani quando dal vapore emerse qualcosa che mai si sarebbe aspettato di dover confrontare. L’acqua della vasca si era fatta torbida, fredda e densa come fango di palude. Lambiva come inchiostro le ginocchia sporche della bambina che appena una settimana prima grazie a una sua sentenza era stata ammazzata di botte dal padre. E fu allora che l’onorevole giudice Ciavarella comprese troppo tardi che non esiste nulla di più terribile della condanna del sorriso di un innocente che ci guarda dritto negli occhi. 

 

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Capitolo 8
*** 8. Agenda ***


8. Agenda


ore 7.30: caffè

ore 8.00: barba e doccia. Asciugare il piatto della doccia e il lavandino. Lavare i pavimenti. Spegnere il boiler

ore 8.30: innaffiare le piante. Potare il pitosforo. Spostare la sterlizia in sala

ore 9.00: colazione, fette biscottate. Lavare i piatti. Chiudere il gas. Portare giù l’immondizia

ore 9.30: stirare la camicia azzurra. Cravatta nera. Completo grigio granito. Calze blu. Scarpe regalate da Giulio. Rimettere a posto le grucce. Controllare lo stato dei cassetti

ore 9.45: chiudere le persiane. Riempire la ciotola di Catullo di croccantini. Controllare la ciotola dell’acqua. Chiudere l’acqua

ore 10.00: Inserire Vospominániye di Mussorgsky nel cd player. Volume non troppo alto Attenzione soprattutto a Gnomus. Il povero Catullo si spaventa sempre

ore 10.15: Controllare il gancio alla trave centrale del soffitto. Controllare l’integrità della fune. Sistemare lo sgabello

ore 10.30: Attendere La Grande Porta di Kiev. Attraversarla a testa alta

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Capitolo 9
*** 9. Bosco ***


9. Bosco


Cosa sei venuto a farci qui tra l’ombra carica dell’odore del muschio selvatico. Con quali intenzioni oggi penetri nel silenzio interrotto solo dal sussurrare delle foglie delle felci e dal respiro delle mie figlie e dei miei figli. Quali sono i tuoi pensieri mentre ripercorri con il tallone pesante dei tuoi stivali la traccia lasciata nel terreno umido dal cinghiale, quale il tuo sguardo mentre schivi la carezza dell’ortica. Ti ho visto seguire il volo del corvo e poi accompagnare la curva del ruscello fino a quando i rovi ti hanno ricordato quanto nuda è la tua pelle. Ho guardato la tua bocca sporca di more, le tue mani scorrere lungo la corteccia del sambuco. Ho sentito la nostalgia che sotto tutti quei vestiti nemmeno tu sai di custodire, i tuoi occhi diventare puliti.

E per un momento, nell'impercettibile fremito all’angolo del tuo sorriso, sei tornato libero.

 

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Capitolo 10
*** 10. Gatto ***


10. Gatto
 
La prima volta che ti ho incontrato non mi sei piaciuto per niente.
Volevi per forza prendermi in braccio e non c'è stato verso di spiegarti che tirarmi per la coda non era affatto una buona idea. Non l'hai capita nemmeno quando ti ho graffiato una mano. Cosa di cui confesso non mi sono pentito affatto. Ma tu niente. Ti sei fermato a osservare il sangue giusto un momento, hai scrollato le spalle e poi hai ripreso a essere insopportabile. Per giorni mi sono nascosto sotto al divano sperando che tu ti dimenticassi di me. Ma tu ogni volta mi trovavi e mi trascinavi fuori ignorando le mie proteste. Per non parlare degli altri graffi che ti sei giustamente beccato. Mi hai dato un nome ridicolo e pretendevi che mangiassi gli avanzi della tua minestra come se fossi uno stupido cane. Giuro che quella non te l'ho mai perdonata.
Poi una notte ti ho sentito piangere. Sono uscito da sotto il divano e sono entrato nella tua stanza. Era buia ma io sono un gatto e ti ho visto rannicchiato contro la testiera del letto. Nella tristezza soffocata a stento dei tuoi singhiozzi ho capito che ti sentivi solo, proprio come era successo a me quando mi hanno separato dalla mia mamma. Allora sono salito sul letto, ho annusato il tuo naso. Ti sei lasciato cullare dalle mie fusa e poi, affondando il viso nel mio pelo, hai smesso di piangere.
Dopo quella notte ho smesso di nascondermi sotto il divano.

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Capitolo 11
*** 11. Armadio ***


11. Armadio


Siamo tutti qui.
Nel buio gonfio di naftalina e ricordi. 

Ti basterebbe ruotare la chiave e schiudere le ante per vederci emergere dall’ombra ancora una volta. Quando eri piccola era sempre da noi che correvi quando giocavi a nascondino, ti infilavi tra il cappotto del nonno e la pelliccia di zia Lina e ti coprivi la bocca con la mano per non ridere. Ci piaceva sentire il tuo calore, ci piaceva averti tra noi. Ogni tanto ci accarezzavi, sceglievi uno di noi e ci indossavi davanti allo specchio. Senza conoscere le emozioni, i dolori, le delusioni rimasti aggrappate alle cuciture, nascosti nelle tasche, imprigionati sotto i bottoni. Senza conoscere l’intreccio di storie da cui anche tu sei nata. E che ti porti dentro.

E ora che non hai più tempo per giocare a nascondino, ora che già i primi dolori si posano sulle tue spalle e che l’immortalità dell’infanzia è stata lavata via a forza dai tuoi occhi, torni a trovarci solo quando non puoi proprio farne a meno. Come quando ti serve una coperta in più. O come quando sei costretta a infilare uno scatolone pieno di libri sotto i nostri orli consumati.

Ti illudi di non sentire più le nostre voci. 
Ma noi siamo ancora qui.

 

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