Come un colpo di fulmine

di EleWar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ti odio ***
Capitolo 2: *** Amnesia ***
Capitolo 3: *** Guardarsi dentro ***
Capitolo 4: *** In cerca della verità ***
Capitolo 5: *** Ritorni ***



Capitolo 1
*** Ti odio ***


Cap. 1 Ti odio
 
L’aria era satura di elettricità, immobile.
Una cappa scura incombeva sui cieli di Tokyo: grossi nuvoloni carichi di pioggia si erano accumulati nel cielo, e in poco tempo avevano oscurato il sole. Pur essendo giorno pieno, sembrava che fosse già scesa la sera.
Non tirava un alito di vento e il caldo era soffocante.
Due persone si fronteggiavano sulla terrazza di un palazzo di mattoni.
I loro occhi fiammeggiavano, i loro corpi tesi erano un fascio di nervi, tutto esprimeva rabbia e animosità.
 
Una tempesta stava per scoppiare.
 
Un brontolio lontano, roboante, rotolante, poi un altro ancora, e ancora, sempre più vicino.
Un boato assordante e un’unica goccia d’acqua, poi un’altra e un’altra.
Cadevano sparse, senza un ordine preciso. Quasi sfrigolavano sul cemento infuocato. Evaporavano all’istante.
Un odore nauseabondo di asfalto bagnato saliva dalla strada.
Poi una raffica di vento improvvisa, a scompigliare una zazzera rosso fuoco e una massa corvina.
 
“Basta! Sono stufa! Sono stufa dei tuoi silenzi, dei tuoi mutismi… non ne posso più!”
“Kaori…”
“Sono senza forze. Per quanto ancora vuoi prendermi in giro? Quanti mesi sono passati dal matrimonio di Miki? E cosa è cambiato?? Te lo dico io: niente! Un emerito grandissimo niente!”
“Kaori ti prego…”
“Cosa? Cosa vuoi dire ancora? Parla Ryo! Anzi no, non dire niente, se devono essere parole senza senso, come quelle che hai detto quel giorno nella radura… Ed io stupida, ad illudermi che fossero per me! Povera scema! Quante volte ho sperato che dessi seguito a quelle belle parole che ti hanno solo riempito la bocca!”. E alla ragazza uscì una risatina secca, sarcastica.
“E invece… No, non parlare che è meglio. Tanto ti riesce bene di non dire mai le cose come stanno. Sei solo capace di sputare sentenze, di offendermi, di denigrarmi in ogni modo possibile”
“Sugar, non dire così…”
“Così come? Non è forse vero? Io per te non sono mai stata abbastanza, mai. Abbastanza in gamba per essere la partner del grande Ryo Saeba, nonostante io abbia fatto di tutto per migliorare ed essere degna di te! Ah ah ah! Degna di te! Mi viene da ridere. Degna di un allupato cronico il cui solo desiderio è quello di farsi più donne possibili e immaginabili; tutte tranne me ovvio! Perché io non sono abbastanza bella per i tuoi gusti, abbastanza affascinante, seducente e sexy. Non sono nemmeno abbastanza brava a cucinare, visto che invariabilmente ti lamenti di quello che preparo! Chissà se come sguattera o donna delle pulizie ti ho mai soddisfatto? Di sicuro pensi che non sono nemmeno abbastanza intelligente. Forse simpatica, sì, in maniera passabile, ma sai che me ne faccio della simpatia? Tutte le donne che sono entrate nella nostra vita sono state tutte migliori di me, tutte! E tutte ti sono piaciute, ti hanno intrigato e ti sei dato da fare per conquistarle, e a me che restava ogni volta? Le briciole. Un contentino ogni tanto: un abbraccio, una pacca fraterna, un brava a denti stretti. Quando hai voluto dare il massimo di te, mi ha rifilato un bacio sulla fronte, e chissà che poi non sia corso a lavarti la bocca… No, non provare ad interrompermi! Eppure io, la brava e comprensiva Kaori, ero sempre qui a medicarti le ferite, a consolare il tuo cuore spezzato, quando al grande seduttore andava buca e le strafighe lo piantavano in asso. Ed io pazientavo, speravo, sognavo… che illusa!”.
Fece una pausa. Poi come a ricordarsi improvvisamente una cosa:
“E non chiamarmi Sugar! Io non sono zucchero, sono veleno, perché sei stato tu a farmici diventare!”.
 
Un altro tuono, seguito da un lampo.
Poi, d’improvviso, le gocce di pioggia: goccioloni gelidi sulla pelle accaldata e sudata, sui capelli che si afflosciavano e ricadevano sulla fronte, gocce insistenti che si appiccicavano ai vestiti leggeri.
In poco tempo prese a riversarsi sulla testa dei due sweeper una cascata d’acqua, che li bagnò fino alle ossa, ma entrambi sembravano insensibili a tutto questo, come se fossero diventati due statue di marmo scolpite.
Il vento sferzava i loro visi cosparsi di acqua, ma non si preoccupavano di cercare un riparo; continuavano a rimanere lì, imperterriti, uno di fronte all’altro, come se ne andasse della loro stessa vita anche solo muovere un muscolo.
 
Il temporale era scoppiato con una violenza inaudita!
 
Tutto quello che la socia gli aveva appena urlato contro, ogni singola frase, era stata come un coltello affilato che si conficcava ripetutamente nel cuore e Ryo si sentiva morire; fece un passo avanti verso di lei, un braccio teso.
“Kaori, lasciami spiegare…”
Gli occhi della ragazza erano inondati di lacrime di rabbia, di dolore, d’incomprensione, ma quelle parole vi riaccesero una nuova ondata di risentimento.
“Stai lontano da me! E poi non c’è nulla da spiegare. Di’ una volta per tutte che mio fratello ti ha incastrato, che ti ha obbligato ad accollarti una palla al piede come me! Sii sincero una volta tanto! E poi dopo corri pure da una delle tue donnine, e restaci, passaci la notte, trovati un’altra pazza adorante! Ah giusto, perché non vai da Reika? Ti aspetta a braccia aperte e non vede l’ora di prendere il mio posto!”
“Smettila di dire queste cose!”
“La verità ti fa male vero? Allora corri da Saeko e chissà che stavolta non ti saldi tutti i debiti con gli interessi? O da Kasumi che ti aspetta come un cagnolino scodinzolante! Anzi, non andare tu. Me ne vado io direttamente, così potrai portare qui tutte le donne che vorrai! In fondo questa è casa tua, e senza di me fra i piedi, senza questa matta isterica e gelosa che ti assesta martellate madornali, avrai campo libero.”
“No-non dirai sul serio!”
“Mai stata più seria di così. Hai finito di calpestare i miei sentimenti… anche se proprio io, da cretina qual sono, ti ho sempre permesso di farlo”.
A quelle parole Ryo, sgomento e atterrito, le si parò davanti, quasi incombente.
Kaori era furiosa e piangeva da straziare il cuore.
Quando il suo socio le fu vicino, la ragazza gli afferrò con violenza i risvolti della giacca fradicia, il suo sguardo era colmo di collera, i suoi occhi erano pieni di dolore e tormento.
Quasi con voce stridula disse, scuotendolo:
“Sono stanca Ryo, sono stanca! Sono stanca di te! Ti odiooooooo!!”
Nel momento esatto in cui Kaori pronunciò la sua sentenza, Ryo sentì mancargli la terra sotto i piedi. Stava succedendo quello che lui aveva sempre temuto: Kaori voleva lasciarlo. Ma fu una frazione di secondo, perché entrambi furono investiti da una luce fortissima, un bagliore accecante, seguito da un boato spaventoso, come un’esplosione.
Una saetta fulminea si era abbattuta a terra, aveva scaricato la sua potenza distruttiva proprio lì, sulla terrazza.
Ryo si sentì istantaneamente percorso da una scarica elettrica, che dal corpo della socia si era trasferito su di lui, prima di essere sbalzato all’indietro a diversi metri di distanza.
Quel rumore come di scoppio era stato così assordante che non riusciva più a sentire niente, le orecchie gli ronzavano, ed era tutto ovattato.
Frastornato, si ritirò su a fatica; la testa gli pulsava e uno strano odore di bruciato, di pelle e vestiti bruciati, invadeva le sue narici.
Il suo primo pensiero coerente fu “Kaori!” e appena fu in grado di rimettersi in piedi corse da lei.
Lei giaceva a terra, a faccia in giù. La schiena era percorsa da una scia bruciata, i vestiti erano arsi e fumanti, e i brandelli lasciavano intravedere la pelle ustionata sotto, per tutta la lunghezza di quel corpo tanto amato. I capelli erano in parte bruciati e anneriti dalla fiammata.
Kaori era stata colpita dal fulmine.
Ryo prese ad urlare:
“Nooooo!! Kaori, noooooo!!!” ma era come in un incubo, urlava e gli sembrava che dalla gola non uscisse suono alcuno.
S’inginocchiò per prenderla fra le braccia e quando le voltò delicatamente la testa, le sue mani vennero a contatto con un liquido vischioso e appiccicaticcio che niente aveva a che fare con la pioggia. Era rosso: era sangue e l’acqua non riusciva a lavarlo via, lo stingeva solamente.
Con cautela, nonostante il panico che lo attanagliava, rigirò il corpo esamine della sua amata socia, per controllare che non ci fossero altre ferite. Apparentemente, a parte quella sulla fronte dovuta alla caduta, e l’ustione sul dorso del corpo, sembrava che non ce ne fossero altre; ma quando andò a sentire il polso, questo era assente.
Possibile?
Kaori non respirava?
Kaori non respirava più?
Il suo cuore… il suo cuore perché non batteva più?
Ryo fu preso dall’angoscia e, ancora stringendola fra le braccia, iniziò a dondolarsi e a ripetere:
“No, no, ti prego Kaori, non morire, non morire, è colpa mia, è colpa mia” e già sentiva il pianto strangolargli la gola.
Poi, con un guizzo di lucidità, pensò bene di riadagiarla a terra e provare a rianimarla. Intanto l’acqua inclemente continuava a scrosciare su di loro e sul dramma che stavano vivendo.
Ryo sbottonò la camicetta della ragazza con mani tremanti e iniziò col massaggio cardiaco, poi passò alla respirazione bocca a bocca; e, nonostante la situazione al limite del tragico, pensò ironicamente che non si sarebbe mai aspettato che il loro primo bacio sarebbe stato così.
Instancabile, proseguì per attimi che gli parvero secoli, e non smetteva di parlarle, d’incitarla:
“Dai Kaori, non fare scherzi! Dai Sugar, sì Sugar! Torna, torna da me!” e poi ancora “Non puoi lasciarmi proprio adesso! Chi mi prenderà a martellate? Chi mi rimetterà in riga? Kaori? Kaori? Smettila con questa farsa!”.
Tutto sembrava inutile: il corpo della ragazza sussultava sotto le pressioni energiche del socio, come una bambola di pezza, e l’angoscia dell’uomo minacciava di rendere tutto inutile.
Ryo era arrivato al limite, lo sconforto stava per prendere il sopravvento, stava urlando ma non se ne accorgeva nemmeno:
“Kaoriii! Ti prego, Kaoriii! DEVI VIVERE, DEVI VIVERE!”
E poco prima che si lasciasse andare senza più speranza, quando ormai in quell’ennesimo bacio aveva profuso tutto il suo amore e la sua disperazione, la ragazza, con un colpo di tosse, rinvenne.
Improvvisamente lo sweeper smise di agitarsi, e dolcemente le sollevò la schiena:
“Respira amore mio, respira!”.
Faticosamente la giovane riprese a respirare, prima in maniera affannosa e poi sempre più regolare.
Tirandosi su a sedere, emise un gemito che non sfuggì all’uomo: molto probabilmente lui le aveva incrinato lo sterno, facendole il massaggio cardiaco, e si maledisse per questo, ma si consolò pensando che l’importante era che lei fosse viva, e che quello prima o poi sarebbe guarito. Al limite, Kaori l’avrebbe preso a martellate per fargliela pagare.
A quel punto lacrime copiose presero a sgorgare lungo le guance dello sweeper numero 1 del Giappone, ma lui nemmeno se ne accorse.
Era tornato a respirare anche lui, e sembrava che quel macigno che fino a poco prima gli stava schiacciando il cuore, si fosse finalmente dissolto.
La strinse dolcemente a sé, poi si alzò e la prese in braccio: doveva portarla in clinica dal Doc al più presto.
Kaori non aveva emesso una sola parola ed era ancora frastornata, e quando fu tra le braccia forti di Ryo, si lasciò andare nuovamente, svenuta. Però… viva.
 
 
Ryo, impaziente, misurava a grandi passi il perimetro della sala d’attesa della clinica. Aveva guidato come un matto, con le strade allagate, per portare Kaori prima possibile dal Doc, affinché la visitasse e curasse.
Una porta lo separava dal suo unico bene, e se ripensava che più che a causa della sua fuga volontaria, aveva rischiato di perderla seriamente per colpa di quel maledetto fulmine, si sentiva stringere il cuore in una morsa di ferro.
Inoltre non poteva non constatare che loro due, insieme, erano una calamita ambulante di guai. Veramente gliene succedevano di tutti i colori, ci mancava anche essere colpiti da un fulmine durante un temporale! Colpiti… colpita! Povera Kaori, non bastava che fosse furente con lui; era stata investita da una scarica elettrica ad alto voltaggio ed era un vero miracolo che fosse ancora viva. Altra stretta al cuore. Viva era viva, ma ora sperava con tutto sé stesso che non avesse subito danni gravi o permanenti.
Per il momento non aveva avvertito gli amici dell’incidente, anche perché non sapeva ancora come sarebbero andate le cose fra loro due: durante il temporale stavano litigando furiosamente e aspettava con ansia il momento in cui avrebbe potuto riparlare con la sua partner.
Cosa si sarebbero detti?
Di sicuro non le avrebbe permesso di riprendere da dove erano rimasti… almeno non subito.
Sarebbe tornata sui suoi passi? Sarebbe rimasta con lui dopo lo scampato pericolo? Magari la botta le aveva fatto dimenticare che voleva andarsene e che… lo odiava.
Meglio non avere fra i piedi un pubblico fin troppo interessato alla loro storia.
 
Finalmente il Doc uscì dalla stanza di Kaori: il suo viso era imperscrutabile. Ryo gli si fece incontro, e impaziente chiese:
“Allora? Come sta? Posso vederla?”
“Con calma Baby face!” e si permise di sorridere bonariamente.
“Kaori è una ragazza forte, si riprenderà velocemente. È una fortuna che sia stata solo sfiorata dal fulmine: un centimetro più in là ed ora noi…” fece una pausa, poi riprese “Ad ogni modo, i parametri vitali si sono stabilizzati, non sembra avere altre lesioni oltre a quelle superficiali. Certo l’ustione sul dorso del corpo le darà un po’ di noia, soprattutto i primi tempi, ma con una cura antibiotica e impacchi con pomate specifiche, presto guarirà e non le rimarranno troppe cicatrici. I capelli ricresceranno sicuramente e la ferita sulla fronte è poco profonda. Sono sicuro che con il tuo aiuto” e gli strizzò l’occhio significativamente “guarirà presto”
“Posso vederla?”
“Sì, ora sta riposando però. Magari non svegliarla.  Il sonno è da sempre un gran toccasana”.
Ryo ringraziò il Doc con un cenno della testa ed entrò silenziosamente nella stanza di Kaori.
Appena varcata la soglia, si richiuse la porta alle spalle e rimase lì ad osservarla a distanza, come se temesse di avvicinarsi. Ma già il fatto che non fosse intubata o attaccata a macchinari pigolanti, lo confortò; se non avesse avuto quella vistosa fasciatura sulla testa, che spiccava bianca sulla fronte e fra i capelli fulvi, sarebbe parso che dormisse soltanto. Era molto pallida, quello sì, ma almeno era lì davanti a lui e fuori pericolo.
Si avvicinò titubante. Non sapeva cosa augurarsi: che si svegliasse e lo vedesse lì, oppure che continuasse a dormire tranquilla e riprendesse le forze.
Afferrò uno sgabello e vi si lasciò cadere sospirando.
Il braccio della ragazza era abbandonato mollemente lungo il corpo, sulla coperta, e lui le prese la mano; era così fredda! Istintivamente lei la strinse, nel sonno, e Ryo si sentì rinascere.
 
Passò il resto della nottata a vegliarla, anche se Kazue aveva assicurato che non ce ne fosse bisogno. Ma lui non voleva allontanarsi da lei, e voleva essere il primo che avrebbe visto risvegliandosi.
Le ore passavano lente, però, e Kaori sembrava dormire profondamente; lui non le staccava gli occhi di dosso, ma vedendola così serena e tranquilla si rilassò anche lui, e sul far del mattino si addormentò sfinito, la testa appoggiata sul bordo del letto. Lei così lo trovò al suo risveglio.
La ragazza era ancora abbastanza frastornata e non riusciva a capire dove fosse, ma la presenza di Ryo accanto a lei, e il fatto che le tenesse la mano, le diede un senso di benessere; sorrise fra sé e si riaddormentò.
Nemmeno un’ora dopo fece la sua entrata il Doc, accompagnato da Kazue, per il consueto giro di visite, e Ryo, sentendoli entrare, si svegliò di soprassalto, con aria colpevole.
Si tirò su di scatto e bofonchiò qualcosa d’incomprensibile. Poi chiese:
“Devo uscire mentre la visitate?”
“Sì grazie” risposero.
Ne approfittò per sgranchirsi le ossa e andare a prendersi un caffè. Quando si sentì sufficientemente in forma, dopo quella nottata d’inferno, si decise ad avvertire il resto della banda: se non avesse chiamato Miki, di sicuro avrebbe preso una bella strigliata da lei, seguita dai rimproveri di suo marito, Umibozu.
Nel giro di poco tempo la notizia si sparse a macchia d’olio e arrivarono tutti alla spicciolata.
Quando il Doc uscì dalla stanza di Kaori, la sala d’aspetto era affollata dalla famiglia più atipica del Giappone: due ex-mercenari, uno sweeper americano, una poliziotta, un’investigatrice privata, una ladra di professione. Invece delle solite armi, imbracciavano voluminosi mazzi di fiori e pupazzetti, ed erano tutti in trepidante attesa.
Ryo li guardò con riconoscenza.
Ancora non era riuscito a parlare con Kaori, ma i ragazzi erano abituati alle loro epiche litigate e quindi, si disse, non sarebbe stata poi la fine del mondo se, al risveglio della socia, avessero ricominciato a bisticciare, anche se… stavolta lei gli aveva rinfacciato cose pesantissime, che altro non erano che la verità. Sospirò.
 
Infine il Professore si palesò dando la notizia più bella che potessero aspettarsi:
“Bene ragazzi, direi che la nostra piccola grande Kaori è fuori pericolo e presto potrà tornare a casa. E sì, avete il permesso di entrare a vederla!”.
Si precipitarono sulla porta, spintonandosi, mentre Ryo entrò per ultimo.
Subissarono la ragazza di saluti, baci, abbracci, battute, e lei ringraziava e sorrideva a tutti quanti felice. Non si preoccupò più di tanto dell’atteggiamento defilato di Ryo, e quando Mick lo prese per un braccio e lo trascinò al letto della socia, lei sorrise divertita. Vedendola ben disposta e apparentemente dimentica degli insulti della sera prima, gli si aprì il cuore e le disse:
“Finalmente ti sei svegliata, bella addormentata!”
E lei guardandolo gli rispose:
“Direi che ho fatto un sogno strano… ” e quando provò a mettersi a sedere mugolò per la ferita sulla schiena e per lo sterno; subito Miki si affrettò a rincuorarla:
“Non preoccuparti tesoro, con le cure del Doc e del nostro Saeba” e rifilò una pacca sulle spalle al sopracitato “guarirai prestissimo”.
Kaori, sempre sorridendo, guardò tutti loro, ad uno ad uno, poi disse:
“Siete tutti molto cari, ma… chi siete?”


Ebbene sì, eccoci di nuovo alle prese con l’ennesima amnesia di Kaori. Idea non originalissima, lo stra-ammetto, lo stesso Hojo l’ha usata ampiamente e soprattutto nell’anime, e assente nel manga, c’è un episodio completamente dedicato a questa situazione. Però un giorno m’è venuta in mente questa cosa, che prende spunto da amnesie già raccontate, ma che è vista dal mio personalissimo punto di vista… Be’ se avrete la pazienza di leggerla fino in fondo (è cortina cmq ;-) ) capirete di cosa parlo.  
Questa fic è molto diversa dalle altre, è più seria, ma spero che l’apprezzerete ugualmente.
In fine, non posso che RINGRAZIARE la mia amichetta Brizzetta, che ha letto in anteprima la fic e soprattutto si è prestata pazientemente (santa subito) al “duro” lavoro di betatura della stessa. ^_^
Ciao al prossimo capitolo!!
Eleonora

 

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Capitolo 2
*** Amnesia ***


Eccomi con il secondo capitolo. Sono contenta dei commenti incoraggianti che ho ricevuto da voi che sempre mi leggete, vuol dire che sono riuscita a farvi appassionare a questa storia anche se "sembra" assomigliare ad altre... amnesie ^_^
Grazie di cuore.
Vi lovvo



Cap. 2 Amnesia
 
Il silenzio piombò sulla stanza.
Tutti erano rimasti interdetti e senza più parole; lentamente presero a guardarsi l’un l’altro, poi, inaspettatamente, Reika sbottò con:
“Di nuovo??? Kaori, non è possibile che ogni volta perdi la memoria!”
“Reika smettila!” la redarguì subito sua sorella Saeko.
“E perché dovrei? Non è mica la prima volta che succede!” e si rivolse a Ryo in cerca di sostegno. Sperava che lui se ne uscisse con una battutaccia delle sue, invece lui la guardò severamente.
Reika si zittì all’istante.
“Ragazzi, non litigate per colpa mia. Io sto bene, e voi siete stati così gentili con me!” poi, rivolgendosi direttamente a Ryo: “Signore? Mi farebbe un favore?”
Ryo taceva, l’espressione imperturbabile, ma a quella domanda, annuì; lei proseguì: “Potrebbe far in modo di avvertire mio fratello? Si chiama Hideyuki Makimura, se non mi vede tornare poi si preoccupa, è così apprensivo!” e il sorriso dolce che gli rivolse, parlando in quel modo di suo fratello, gli lacerò il cuore.
Come era possibile? Kaori aveva perso la memoria, non li riconosceva, eppure era convinta che suo fratello fosse ancora vivo.
Il suo socio non si era ancora riavuto dallo shock, che lei riprese:
“Le do l’indirizzo di casa e il numero di telefono che è….” ma Ryo la interruppe con un gesto della mano. Non sopportava di sentirla parlare così. Davvero aveva dimenticato che Maki non c’era più? Che era stato ucciso per colpa delle Union Teope… che lei d’allora era andata a vivere con lui; che erano diventati colleghi, partner; che si amavano, anche se ancora non se lo erano detti apertamente. Non era forse questo il motivo per cui stavano litigando la sera prima sulla terrazza? Davvero lei aveva dimenticato lui?
Ryo nascondeva il suo profondo turbamento dietro la solita maschera da duro: si sentiva sotto la lente d’ingrandimento del resto della banda, e davanti a sé aveva la sua amata Kaori in quello stato.
Raccolse le sue forze e le rispose, più dolcemente che poté:
“Non ce n’è bisogno, io conosco Maki, siamo colleghi di lavoro”
“Ah ecco bene… e lei è…è Saeba…?”
“Il mio nome è Ryo Saeba, sì…”
“Ryo Saeba… non credo che ci siamo mai incontrati, altrimenti me ne sarei ricordata… ma non fa niente” e gli regalò un sorriso che per Ryo fu come uno schiaffo “allora mi farebbe il favore di avvertirlo?”
“Maki non è in città attualmente” riuscì ad improvvisare “è impegnato in un caso e non ho modo di contattarlo, eravamo d’accordo che appena avesse terminato il lavoro si sarebbe fatto sentire lui. Ma stai tranquilla, solo lavoro di routine, niente di pericoloso”.
Kaori parve credere alle parole di Ryo; quell’uomo, inspiegabilmente, le ispirava tanta fiducia, e si rilassò.
Il resto della compagnia era rimasto in un silenzio imbarazzato; la sorpresa era stata spiazzante per tutti quanti, e chi meglio di Ryo avrebbe potuto gestire quella strana situazione con la sua compagna? Loro due insieme erano City Hunter e qualunque cosa ne dicesse Ryo, loro erano molto di più che partner di lavoro: erano due anime gemelle destinate a stare insieme; la loro sintonia aveva qualcosa di soprannaturale, a volte: si capivano anche senza parlare e, soprattutto, si amavano profondamente.
Ma, inaspettatamente, prese la parola proprio il più taciturno fra i presenti, Falcon, che disse:
“Bene, direi che è ora di andare”
Ma sua moglie non riuscì a trattenersi e, avvicinandosi al letto di Kaori, le disse:
“Tornerò a farti visita, anche a casa se vorrai. Magari potrei aiutarti a cambiare la medicazione…”
“Oh grazie, sei davvero un’amica” rispose con occhi luminosi la sweeper.
“Sì, e lo siamo… realmente… io sono… io sono Miki”
“Piacere Miki, io sono… Kaori Makimura” e le allungò una mano, che l’ex mercenaria strinse nella sua. Era così strano doversi ri-conoscere, dopo tutto quello che avevano passato insieme.
Gli altri non aggiunsero altro, ma poco prima che scomparissero dietro la porta Kaori li richiamò:
“Scusate? Volevo… volevo dirvi grazie. Sento che siete delle persone straordinarie anche se non vi conosco”
Le donne, profondamente commosse, repressero un singhiozzo, qua e là, mentre Mick si attardò un attimo sulla porta, aprì la bocca come per dire qualcosa, poi la richiuse pensoso, infine sorrise e le inviò un bacio con la mano che la fece arrossire enormemente.
 
Quando nella stanza rimasero solo Ryo e il Doc, quest’ultimo disse alla convalescente:
“Kaori come ti senti?”
“Un po’ dolorante, ma per il resto bene. Cosa mi è successo esattamente?”
“Ieri sera sei stata colpita di striscio da un fulmine, durante un temporale”
“Veramente? Che fortuna poterlo raccontare! Quando lo dirò a Hide ci rideremo come matti” e le sfuggì una risatina.
Ryo si sentì stringere lo stomaco da una mano gelida.
“Lo immagino” rispose bonariamente il professore “Ora cerca di riposare un po’, poi ti farò portare una bella colazione sostanziosa. E quando ti sentirai sufficientemente in forze, potrai lasciare la clinica”
“Va beeeooooohhhwwwne” rispose sbadigliando. Poi si ridistese sul letto, e si addormentò quasi subito.
 
I due uomini uscirono dalla stanza, e una volta fuori si allontanarono in silenzio; percorsero i lunghi corridoi della clinica senza dire una parola, fino a raggiungere il giardino.
Si fermarono nei pressi dello stagno. Il Doc aveva ancora un’aria meditabonda e continuava a tacere esasperando Ryo, che, nonostante anche lui non fosse da meno a mutismi, sbottò con un:
“Allora? Come la spieghi questa cosa?” C’era una nota di panico nella sua voce.
“In realtà ci sto ancora pensando e una risposta non ce l’ho. Le ho fatto tutti gli accertamenti del caso, non ha lesioni cerebrali e questa specie di amnesia selettiva è davvero strana…”
“Questo l’avevo capito anche io!” rincarò la dose lo sweeper “È vero che non è la prima volta che ha un’amnesia, ma ora sembra diverso: è convinta che suo fratello sia ancora vivo. Ha dimenticato gli ultimi dieci anni della sua vita, ha dimenticato tutto quello che è successo dopo… Ha dimenticato… me
“Già, molto strano…” commentò il Doc “Sembra quasi che oltre a non ricordare, lei abbia voluto rimuovere un trauma, di sicuro la morte dell’amato fratello, ma non è escluso che inconsciamente voglia dimenticare anche qualcos’altro… Cosa stavate facendo sulla terrazza, poco prima che scoppiasse il temporale?”
“È colpa mia” rispose seccamente Ryo, e fece per andarsene, senza rispondere al professore.
“Aspetta, Ryo!”
Lo sweeper si fermò sul vialetto, continuando a dargli le spalle.
“Entro oggi credo che potrai portarla a casa. Questa volta dovrai aiutarla a ritrovare la memoria: dovrai starle vicino, perché tu sei l’unico che può farlo. Tu hai conosciuto suo fratello e soprattutto… tu sei il suo partner, e lo sai che lei ti ama”
“Lei voleva lasciarmi!” rispose lapidario. Poi, dopo una pausa carica di dolore, riprese: “Quando è scoppiato il temporale stavamo litigando… ha detto che mi odiava e voleva andarsene”.
Doc trasalì; mai avrebbe pensato di udire una cosa simile! Kaori, la ragazza più dolce e pazza della terra, che si era innamorata di quello sweeper donnaiolo e perennemente allupato, che la trattava male e la umiliava; Kaori che, nonostante questo, vedeva in lui un uomo giusto e onesto capace di fare tanto del bene; Kaori che gli perdonava tutto, che lo amava più della sua stessa vita e che, pazientemente, aspettava che lui si decidesse a ricambiare i suoi sentimenti… Kaori, si era infine stancata di aspettare e aveva deciso di lasciarlo.
Non riusciva ancora a crederci, poi guardò le grandi spalle di Ryo, che sembravano sempre reggere tutto il peso del mondo, ma che in quel momento erano piegate in avanti in segno di sconfitta, e seppe che era vero.
“Ora che farai?”
“Sistemerò un paio di cose, poi tornerò a riprenderla. La porterò a casa con me… m’inventerò una scusa per farla restare. Ma di sicuro, quando avrà riacquistato la memoria, lei vorrà andarsene, quindi… Non so cosa farò dopo”
“Ryo… nulla è perduto. Questa potrebbe essere un’opportunità per te, per voi… ”
Ma l’uomo era già scomparso dietro l’angolo.
Doc sospirò.
Non aveva mai conosciuto una coppia d’innamorati impossibili come loro due: riuscivano a complicarsi la vita in ogni modo possibile e immaginabile, pur di non confessarsi apertamente che si amavano.
 
Le ombre si allungavano per le strade di Shinjuku e il caldo si stava lentamente attenuando.
Un uomo dal passo pesante, mani in tasca, aveva varcato la soglia della clinica e si dirigeva verso la stanza n. 19-11. Bussò leggermente e una voce femminile, gioiosa e squillante, rispose “Avanti!”
Ryo non si era fatto vedere tutto il giorno, aveva la testa piena di pensieri e non era sicuro di saper affrontare quella prova, da solo, senza l’aiuto della sua formidabile socia che, in quel momento, non sapeva nemmeno chi lui fosse.
Nonostante avesse il cuore perennemente stretto in una morsa d’acciaio, aveva pensato di andare da lei con un mazzo di fiori, i suoi preferiti: i garofani bianchi.
Quando entrò nella stanza, inondata dalla calda luce del tramonto, Kaori sembrava circonfusa da un’aura di dolcezza ed era più bella che mai, anche se aveva ancora quella vistosa fasciatura sulla testa. Aveva uno sguardo luminoso e fiducioso, e un pensiero attraversò la mente dell’uomo, fulmineo e doloroso insieme: era proprio perché aveva dimenticato lui e tutto il male che le aveva sempre fatto, che lei poteva essere così serena e felice. Quello evidentemente era il suo vero io, ciò che era costretta a nascondere perché sopraffatto dalla rabbia, dalla frustrazione, dalla gelosia. A vederla così non sembrava affatto una ragazza irascibile, pronta a brandire martelloni di svariate tonnellate da schiantare sulla sua testa bacata. In ogni caso, da dopo l’incidente, non aveva nessunissima voglia di provare se ne fosse ancora capace.
Era tutto troppo tragico e penoso.
Non riusciva ad interessarsi alle altre donne che aveva intorno, si sentiva prigioniero di un incubo, e il senso di colpa lo stava strangolando ogni minuto di più.
Stare in sua compagnia era un tormento, e non sapeva come avrebbe fatto a gestire la cosa quando sarebbero tornati a casa, ma Doc aveva ragione: lei aveva bisogno di lui e lui era l’unico che poteva prendersi cura di lei, magari fingendo tutto il tempo che Maki fosse ancora vivo, rimandando il più possibile il momento della verità. Per Kaori sarebbe stato come perderlo di nuovo e lui non voleva che soffrisse… ancora.
Però, più lei era solare e sorridente, e più lui s’incupiva e chiudeva in sé stesso.
 
Le porse i fiori, impacciato, ma lei, che già lo aveva accolto col sorriso, vedendoli s’illuminò ancora di più.
“Grazie, signor Saeba, sono i miei preferiti!”
“Ti prego… chiamami solo Ryo”
“Come vuole, signor Ryo”
“No-no, non hai capito: diamoci del tu”
“Ah… va-va bene, come vuole, ehm come vuoi tu” e le venne da ridere.
Perché era tutto così difficile?
“Il Doc ha detto che puoi tornare a casa, ma visto che Maki è fuori città e potresti avere bisogno di aiuto, propongo di ospitarti a casa mia. Giusto il tempo di rimetterti un po’ in sesto, poi ritornerai al vostro appartamento”.
Kaori si fermò un attimo a valutare la proposta.
Poteva fidarsi di un uomo incontrato così per caso? Aveva detto che era un collega di Maki e le era stato vicino fin dall’inizio. Quando si era svegliata quella notte, lo aveva ritrovato lì, che dolcemente le teneva la mano. Emanava una tale forza, che se ne sentiva rassicurata appena lo vedeva. Anche tutte quelle persone che aveva conosciuto quella mattina sembravano avere fiducia in lui. E poi… i suoi occhi… avevano qualcosa di magnetico, così neri, così profondi, ma anche così tristi. Si sentì stringere lo stomaco. Forse quell’uomo stava soffrendo tantissimo e lei magari avrebbe potuto aiutarlo. Sì, avrebbe ricambiato così il suo favore. Giusto il tempo che Hide finisse il suo lavoro.
Guardò Ryo dritto negli occhi e, arrossendo suo malgrado, rispose:
“Va bene”.
Provò a scendere dal letto, ma le sfuggì un gemito; subito Ryo fu da lei per sorreggerla.
“Mi sentivo così bene, che ho dimenticato di avere la schiena ustionata e lo sterno malconcio” sorrise a denti stretti.
“Aspetta, ti aiuto io”
“Oh grazie Ryo, sei così gentile” e gli scoccò un sorriso disarmante, che lo fece vacillare. Immediatamente desiderò che lei lo guardasse sempre così, liberamente, come non aveva fatto mai.
Appena Kaori si rimise in piedi e fu in grado di camminare, con naturalezza si aggrappò al solido braccio dell’uomo, e lo guardò con gratitudine e infinita dolcezza.
Per la prima volta da quella notte sulla terrazza, Ryo sentì nascere dentro di sé un sorriso e lo lasciò andare. Per un attimo il suo cuore si alleggerì.
Forse non sarebbe stato così difficile ricominciare a vivere con lei.
 
Durante il tragitto fino a casa, Kaori non la smise di ciarlare allegramente; era così piena di vita, così piena di progetti; era la classica persona felice di stare al mondo, e Ryo ascoltava divertito i suoi discorsi, scoprendo di volta in volta tantissime cose della sua socia, che evidentemente lei aveva tenuto per sé e che aveva preferito tacere davanti a lui, con il timore di essere presa in giro o sminuita. Ma ora lei aveva davanti una persona nuova, con cui fare amicizia, e poter parlare di tutto e di niente; non aveva remore perché non conosceva il carattere bizzoso dell’uomo seduto accanto a lei.
 
Quando arrivarono al palazzo di mattoni era già sera.
Ryo l’aiutò a scendere dalla macchina e le fece strada su per le scale fino all’appartamento.
Era così strano riportarla a casa, in quella stessa casa da cui lei voleva fuggire… L’aveva definita casa tua, negandosene l’appartenenza, come se in quei dieci anni che avevano vissuto insieme sotto lo stesso tetto, lei fosse stata solamente un’ospite di passaggio.
Basta Ryo”, si disse, “smettila di rimuginare su ogni cosa, altrimenti non andrai da nessuna parte e presto o tardi t’impantanerai in qualche situazione strana e non saprai come uscirne”.
Aprendo la porta dell’appartamento le disse:
“Mi scuserai, ma vivo da solo e non ho fatto in tempo a preparare la cena. Ti andrebbe bene, magari solo per stasera, un po’ di pizza? Poi da domani ci organizzeremo diversamente”
“Oh certo, adoro la pizza, potresti prendermela…”
“… sì, funghi freschi e cipolla, come piace a te…” gli sfuggì.
Kaori, stupita, rimase a bocca aperta giusto una frazione di secondo, poi disse:
“Sì, è la mia preferita! Ma come facevi a saperlo?”
Ryo, preso alla sprovvista, non sapeva come rimediare alla gaffe appena fatta; iniziò a sudare freddo, ma lei venne in suo aiuto: prima scoppiò a ridere con quella sua bellissima risata argentina, poi disse:
“Ma certo! Non ho smesso di parlare per tutto il tempo, di sicuro te l’ho detto io prima, quando eravamo in macchina!”.
Ryo riprese a respirare. C’era mancato poco. Annuì e non aggiunse altro.
 
Quando Kaori si trovò nell’ampio soggiorno, iniziò a guardarsi intorno meravigliata.
“Complimenti! Hai davvero un bellissimo appartamento, spazioso e moderno, non come il nostro; lo dico sempre a Hide che dovremmo trovarcene uno più grande, ma lui ci è così affezionato…” poi sfiorando i mobili riprese “Devi averne gran cura perché non c’è un filo di polvere” e poi portandosi la mano alla bocca “Ops, scusa!” e ridacchiò a disagio “non avrei dovuto dirti una cosa del genere, ma sai, sono una vera maniaca delle pulizie, e per essere un uomo che vive da solo, tieni molto bene questa casa… quasi quasi ci vedo una mano femminile…”
Lui bofonchiò qualcosa, poi, per rompere l’imbarazzo:
“Dovremmo mettere i fiori in un vaso, prima che appassiscano” e borbottando si mise a cercarlo “… se solo riuscissi a trovarne uno… chissà dove li tiene Kao…” e si bloccò appena in tempo, ma lei non aveva colto il senso della frase.
Accidenti, devo stare più attento!” si redarguì mentalmente.
Vedendolo aprire forsennatamente tutti gli sportelli dei mobili, la ragazza suggerì:
“Perché non provi nello sportello in basso a destra?”
Ryo eseguì senza pensarci e tac! Trovò il vaso. Si voltò di scatto a guardare la sua socia: che avesse ricordato qualcosa? Ma lei sorrideva serenamente e non sembrava particolarmente interessata a quel suo guizzo.
Lui, che per un attimo ci aveva sperato, si sentì deprimere.
 
Finì di farle fare il giro della casa, ed ogni stanza era una sorpresa per lei; ma più di tutto rimase stregata e affascinata dal poligono.
Esordì con:
“Non ho mai preso in mano una pistola in vita mia, perché anche quando Maki faceva il poliziotto, non me la lasciava nemmeno guardare, figurarsi maneggiare! Ad essere sincera, anche se mi fanno un po’ paura le armi, mi piacerebbe saperle usare, per difendermi e per difendere… Tu dici che è sbagliato tutto questo?”
Ryo deglutì a fatica; cosa poteva risponderle?
Lui le aveva lasciato proprio la pistola di Hideyuki; all’inizio gliel’aveva modificata affinché non potesse mai uccidere nessuno, e lei si era esercitata parecchio a sparare proprio perché pensava che fosse un’inetta; sospettava che addirittura Mick l’avesse aiutata di nascosto da lui. Ma quando gliel’aveva restituita, ormai perfettamente funzionante, le aveva fatto promettere che l’avrebbe usata solo come arma da difesa.
In quel momento avrebbe potuto dissuaderla definitivamente, così, se proprio non fosse ritornata quella di prima, non avrebbe provato il desiderio di rimanere in quel mondo maledetto, e ne avrebbe preso le distanze. Aveva la possibilità di plasmare la sua personalità, ma ne aveva il diritto?
Ma soprattutto, pensò, se lei non fosse ritornata quella di prima, lui, lui cosa avrebbe fatto? Sarebbe stato in grado di andare avanti per la sua strada? Sarebbe stato capace di vivere senza di lei, senza di lei come era prima?
Perché lui non voleva una nuova Kaori, voleva quella di prima, con le sue sfuriate, le sue martellate, il suo entusiasmo di salvare il mondo, con il suo grande cuore pieno d’amore, con la sua sconfinata fiducia nel prossimo.
Di certo anche questa Kaori gli piaceva tantissimo: era così dolce, così tranquilla, che avrebbe potuto amarla lo stesso; ma era anche così ingenua, così indifesa, così trasparente nei sentimenti. Lui invece era pazzo della Kaori combattiva, della Kaori casinista che, dopo aver fatto un guaio, scoppiava a ridere e a cui non si riusciva mai a dire di no; amava quella Kaori che si era fatta donna affrontando le difficoltà giorno dopo giorno; quella Kaori così come era diventata dopo aver perso l’amato fratello. Quella Kaori che… amava lui e che infine, esasperata, aveva deciso di lasciarlo.
Si trovava ad un bivio.
Doveva aiutarla a ricordare, anche se l’avrebbe persa, o doveva instillarle nella testa false verità per preservarla, nella sua ingenuità di persona normale, da quella vita e da lui?
L’avrebbe persa in ogni caso.
Sospirò.
Ma prima che potesse rispondere alla domanda della sua amata, lei cambiò repentinamente discorso esordendo con un:
“Perdonami se ti ho annoiato con questi discorsi da ragazzina” e gli regalò un altro dei suoi soliti sorrisi disarmanti.
 
Risalirono al piano di sopra e poco dopo arrivò la pizza che avevano ordinato. La cena si svolse senza intoppi, ma al termine la ragazza iniziò a sbadigliare rumorosamente:
“Scusami, non sta bene, ma credo che sia colpa di quegli antidolorifici… mi danno una tale sonnolenza” e sbadigliò ancora “Non so ancora come riuscirò a dormire però, con tutte queste scottature”
“Vieni, ti mostro la tua stanza e poi magari, se vuoi, ti spalmo un po’ della pomata che ti ha dato il Doc” ma a quell’ultima frase, Kaori arrossì come un peperone, e iniziò a ridacchiare:
“Emmm emmm emmem, non so se è il caso… intendo della pomata”
“Oh perdonami, hai ragione, in fondo io sono un perfetto sconosciuto…” e, contagiato dal suo imbarazzo, iniziò a ridacchiare anche lui. Poi però la razionalità prese il sopravvento e disse:
“Però il Doc è stato categorico: devi metterci l’unguento, se no le ustioni potrebbero infettarsi e darti la febbre; e poi prima guarisci e meglio è, no?” e le sorrise: un altro sorriso nato spontaneo, un raro sorriso che la ragazza apprezzò profondamente, e che le fece provare un brivido di piacere; si sentì arrossire.
Finì per capitolare, e convenne che Ryo aveva ragione.
Giunti davanti alla porta della sua stanza, Kaori lesse soltanto stanza degli ospiti sulla targhetta, perché lui si era premurato di togliere il suo nome e di far sparire tutti i suoi effetti personali. Gli era costata fatica, ma non si sentiva ancora pronto a forzarla. E poi come avrebbe fatto a spiegarle che lei viveva lì, che era la sua collega, e che quindi Maki non c’era più? Era troppo ingarbugliata la cosa. Per il momento quella era la soluzione migliore.
Le aveva lasciato nell’armadio solo un po’ di vestiti, mentre aveva messo via la foto incorniciata con suo fratello e, naturalmente, aveva nascosto tutto l’arsenale dei suoi martelli.
La ragazza sorrise entrando in quella stanza e disse:
“Che strano, mi sento così a mio agio in questa camera da letto…”
Ryo però non commentò. E quando Kaori trovò sul letto, piegato, un bel pigiamone comodo, guardò interrogativamente quello che considerava il suo ospite; allora lui si affrettò a dire:
“Sono passato a casa tua a prendere qualche vestito di ricambio e i tuoi pigiami, ricordi che so dove abiti?”
“Ah sì, è vero” e poi “Però è davvero strano… se tu conosci così bene Maki e casa nostra, vuol dire che ci sei stato diverse volte. Allora perché io non mi ricordo di te? Possibile che non ci siamo mai incontrati, nemmeno sulle scale?”
Ryo accusò il colpo e imbarazzato fece spallucce.
 
Poco prima di uscire le disse:
“Quando sei pronta, chiamami che vengo a spalmarti l’unguento”
“Ok, non ci metterò molto”.
Infatti, poco dopo lo sweeper era di nuovo lì dentro, e seduto sul letto con il tubetto in mano, rabbrividiva di fronte alle ustioni della ragazza. Provava una tale pena immaginando il suo dolore, e soprattutto temeva di fargliene ancora. Non riusciva a guardare la sua bellissima schiena, deturpata da quella specie di squarcio incandescente; si augurò che guarisse al più presto, e che non le lasciasse dei segni indelebili.
Intuendo la sua ritrosia, la ragazza gli venne incontro dicendo:
“Su, non farti scrupolo: sono ancora sotto effetto degli antidolorifici e sono sicura che sarai delicato. E poi l’hai detto anche tu: prima guarisco e meglio è” e pur non vedendola in viso, capì dal tono della voce che stava sorridendo.
Quando Ryo finì di medicarla, Kaori dormiva già; lui allora, dopo averle messo delle garze pulite, le riabbassò la casacca del pigiama e tirò su le coperte. Ogni gesto era carico d’amore e gentilezza, e lasciandola, mentalmente le disse “Buona notte amore mio”.
 
Tornò in soggiorno, e si accese una sigaretta, non prima di aver spalancato la finestra sulla città in pieno fermento notturno.
Di sicuro non sarebbe uscito quella sera; non poteva lasciarla sola e soprattutto non ne aveva voglia. Non c’era gusto a sgattaiolare via da lei senza il timore di essere beccato a martellate, non c’era gusto a trasgredire, anche se… lui più di bere e fare un po’ lo stupido non faceva mai, ma questo lei non lo poteva sapere.
Negli ultimi tempi, soprattutto dopo la confessione della radura, usciva solo per abitudine e per fare il giro consueto degli informatori. E molto più di prima, quando lo faceva, era per scappare da lei, e dalla sua presenza. Perché pur avendole confessato i suoi sentimenti, poi non era riuscito ad andare oltre, si era bloccato e la situazione fra loro si era fatta tesa; non erano tornati semplicemente indietro, si erano impantanati in un menage fatto di ripicche, screzi e litigate furiose, che non erano altro che lo sfogo di una frustrazione che li stava lentamente rovinando.
Non erano più il Ryo e la Kaori di una volta, che si amavano e che avevano paura di dirselo; erano… erano cosa? Due estranei? Due persone logorate dall’attesa, dai mutismi, dalle parole non dette che pesavano molto di più di quelle estorte.
Kaori aveva avuto ragione, la sera prima, lassù sulla terrazza.
Lui era un vigliacco, che si era tirato indietro per l’ennesima volta, che si ostinava a recitare la parte del cinico sweeper che non ha bisogno di niente e di nessuno.
Da quanto tempo non si facevano più una bella risata? Da quanto tempo non uscivano per una semplice passeggiata? Non erano più nemmeno amici come prima.
 
Rilasciò con un fiotto rabbioso il fumo che aveva trattenuto, e si passò una mano fra i capelli.
Poi il suo udito fine percepì dei rumori indistinti provenire dalla camera di Kaori; gettò il mozzicone e corse da lei.
Si stava agitando nel sonno, ma non era per via delle ferite: stava avendo degli incubi, ed era in un bagno di sudore; emetteva frasi smozzicate senza senso, brandelli di parole che lui faticava a capire: odio, belle donne, travestito, mokkori, mezzo uomo, Sayuri; poi la sentì pronunciare più volte il suo nome, detto prima con rabbia, poi con disperazione, poi con il pianto nella voce, e poi ancora il nome di suo fratello, fra i singhiozzi.
Era uno spettacolo da stringere il cuore. Ryo si sentiva morire, ma non sapeva cosa fare; avrebbe dovuto svegliarla?
Forse stava lottando con la sua memoria che voleva tornare.
Non poteva però restarsene lì impalato, doveva farla smettere in qualche modo, stava soffrendo troppo.
Decise di avvicinarsi: Kaori era ancora bocconi, come l’aveva lasciata; lui si sedette sul pavimento e le prese la mano che agitava fuori dal letto. A quel tocco parve calmarsi.
Ryo si accomodò meglio con la schiena appoggiata alla parete, e con l’altra mano prese ad accarezzarle il braccio. Nonostante il sonno, quel gesto arrivò fino a lei, si tranquillizzò definitivamente e, in un sospiro dolcissimo, disse: “Ryo”.
Lui si sentì rimescolare tutto e fu preso da un’emozione indicibile.
Tante volte l’aveva vegliata nel sonno, e aveva passato ore e ore di nascosto nella sua stanza, a guardarla dormire. Era una cosa che lo faceva stare bene e gli calmava lo spirito sempre in subbuglio, ma mai si era azzardato a toccarla; al massimo le aveva sfiorato un ciuffo di capelli, ma era sempre stato attento a non svegliarla. Ora si era permesso di prenderle la mano per rassicurarla e lei… lo aveva sentito. Nel sonno si era ricordata di lui e l’aveva riconosciuto. Certo, evidentemente aveva passato in rassegna tutte le emozioni che lui le suscitava, però quell’ultimo tenerissimo bisbiglio lo aveva definitivamente annientato.
Nella loro vita di prima, raramente lei lo aveva chiamato con quel tono di voce, e lui ne era rimasto affascinato, completamente avvinto. Prepotentemente sentì nascere dentro di lui il desiderio di udire ancora quelle tre sole lettere, che formavano il suo nome, ma che se dette da lei e in quel modo, erano come la poesia più bella che lui avesse mai udito.
Per un attimo ripensò a ciò che gli aveva detto il Doc, quando affermava che quella poteva essere un’occasione per entrambi, un’opportunità per ripartire da zero ed essere finalmente felici.
Sarebbe stato davvero così?
 
 

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Capitolo 3
*** Guardarsi dentro ***


Care lettrici, intanto GRAZIE dal profondo del mio cuore matto per la vostra pazienza, e per le vostre belle rec; Grazie anche a chi legge in “silenzio”… spero che anche voi apprezzerete lo stesso.
Bene, eccoci arrivati a questo 3° capitoletto un po’ più lunghetto, in cui ci addentriamo nel vivo della storia. Il titolo la dice lunga… quindi basta tediarvi e…buona lettura.
Vi lovvo





Cap.3 Guardarsi dentro
 
La mattina seguente Saeko si presentò alla porta di City Hunter.
Ryo la fece entrare ed accomodare sul divano, le offrì una tazza di caffè fumante. Lei sedendosi si guardò intorno e chiese:
“Kaori dov’è? Dorme ancora? Come sta?”
“Sì, dorme ancora: quelle medicine che gli ha dato il Doc sono molto forti, la fanno dormire tantissimo, ma è un bene, così se ne sta tranquilla e guarisce”
“E tu? Come stai?”
Saeko conosceva Ryo e sapeva quanto fosse legato alla sua socia, nonostante lui minimizzasse sempre la cosa, e soprattutto immaginava quanto il suo amico stesse soffrendo in quel momento. Veramente non era la prima volta che Kaori, in seguito ad un trauma, perdesse la memoria, ma questa volta non aveva semplicemente avuto un’amnesia, aveva principalmente dimenticato lui e la loro vita insieme. Ryo poteva recitare la parte del duro quanto voleva, ma quella ragazza gli era entrata dentro, era la sua ragione di vita, l’aveva cambiato con la sola presenza, l’aveva reso un uomo migliore.
A quella domanda diretta, lo sweeper non rispose subito, ma indubbiamente con Saeko non poteva fingere più di tanto; si passò una mano fra i capelli, in un gesto di frustrazione, e disse:
“È convinta che Maki sia ancora vivo… è straziante questa cosa” e incredibilmente ammise: “Non so cosa devo fare”.
Il giorno prima l’ispettrice era presente nella stanza di Kaori, quando se ne era uscita tranquillamente con quelle parole, e lei aveva avuto una stretta al cuore: irrazionalmente una parte di lei avrebbe voluto che fosse davvero così, che Hideyuki fosse vivo e semplicemente assente, perché impegnato in una missione. In quel caso, quando sarebbe tornato gli avrebbe detto finalmente che lo amava, che sceglieva lui, che voleva stare con lui e non avrebbero più perso tempo. Ma la parte razionale avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto tapparsi le orecchie con le mani, per non sentire la sorella del suo amore parlare in quel modo, così serenamente come se niente fosse, ignara della tragedia che si era abbattuta su di loro. Si era trattenuta a stento, e un nodo le si era stretto in gola impedendole di dire alcunché. Anche gli altri non erano stati in grado di dire niente, del resto, anche se in quella stanza solo lei e Ryo avevano conosciuto Makimura, e solo loro due sapevano quanto dolore suscitasse quella situazione paradossale.
Saeko capiva l’indecisione di Ryo, perché anche lei, al suo posto, non avrebbe saputo da dove cominciare; però il particolare legame che lo univa alla ragazza, era talmente esclusivo che solo lui, infine, sarebbe riuscito a trovare il modo di aiutarla.
Per un attimo tacquero, ognuno chiuso nei propri dolorosi pensieri, poi Ryo con un sospiro disse:
“Per il momento l’asseconderò, le farò credere che può rimanere qui temporaneamente finché non si ristabilisce, finché… finché non torna suo fratello a riprenderla” era difficile anche dirlo, poi aggiunse: “Ma non potremo continuare in eterno. Doc dice che la devo aiutare a ritrovare la memoria, forse sarebbe meglio che le parlassi di lei, di chi è in realtà, della vita che ha vissuto con me, di me… ma…”
“Che c’è Ryo? Perché non vuoi che ricordi? Non vorrai di nuovo approfittarti di questa situazione per ritrattare, per tirarti indietro ancora una volta?” ribatté Saeko, con la voce alterata dalla rabbia crescente.
Era stanca del comportamento immaturo del suo amico: aveva la felicità a portata di mano e la sprecava inutilmente; non gli avrebbe permesso di fare il suo stesso errore, di perdere l’amore della sua vita per orgoglio, per poi pentirsene amaramente quando era troppo tardi ormai.
“No, non è questo… stavolta non è per questo…” non riusciva a dirglielo.
“Allora cos’è che ti frena? Non ti sembra di aver deciso per lei fin troppo a lungo?”
“Ho detto che non è questo!” rispose esasperato e arrabbiato insieme “L’altra sera, quando è caduto il fulmine, stavamo litigando e lei… lei… voleva andarsene, aveva deciso di lasciarmi!” esplose.
“Ecco! Lo sapevo che sarebbe andata a finire così” e gli assestò un bello scappellotto “E certo! L’hai esasperata così tanto che alla fine si è stancata! Vorrei dirti che mi dispiace, ma non è così! Sei un idiota, un idiota senza speranza, anzi un idiota doppio…”
“Saeko non esagerare io…”
“Zitto, non dire niente! Mi fai una rabbia che ti ucciderei con le mie stesse mani… Ma non capisci?”  
Ma lui la guardava con sguardo ebete.
“No, non capisci, è chiaro!”
Erano seduti vicini, sullo stesso divano; lei posò la sua tazza di caffè sul basso tavolino e si girò per guardarlo meglio, con l’aria accigliata, pronta a farsi sentire.
“L’hai esasperata e lei è scoppiata, ovvio! Ed ora, alla prima difficoltà, ti arrendi. Tu lo sai che ti ama, come sai che tu ami lei, e lascerai che se ne vada così, senza lottare? Vuoi buttare all’aria tutti gli anni che avete passato insieme? Lei avrà pure perso la memoria ma tu, santi numi! Hai la possibilità di rimediare ai tuoi errori… e DEVI sfruttare quest’opportunità, perché forse non ce ne saranno altre!” poi, facendosi improvvisamente triste: “Ti prego, non fare come me” e le si riempirono gli occhi di lacrime.
La gelida, sensuale, professionale Saeko, aveva infine deposto la maschera, e si mostrava al suo amico per quella che era: una donna fragile, che viveva di rimpianti e che non riusciva a darsi pace.
Ryo ne rimase sconvolto: anche lei celava i suoi veri sentimenti, e si era costruita una corazza per non soffrire; in questo erano molto simili, ma la strana amnesia di Kaori li aveva costretti a guardarsi dentro, e a fare i conti con sé stessi.
Lo sweeper, ammutolito, le prese delicatamente una mano e lei si rifugiò nelle sue braccia soffocando i singhiozzi.
Quando Kaori entrò nella stanza li trovò ancora abbracciati e, stupita, trasalì.
Si sentì improvvisamente imbarazzata, convinta di aver sorpreso due innamorati.
Si schiarì la voce e abbozzò un:
“Scusate… io… io non volevo…”
Ryo si voltò di scatto sentendo la voce della socia, e come riflesso condizionato si portò le mani sulla testa, aspettandosi la solita martellata, e iniziò a farfugliare:
“Scusa, scusa, scusa non lo farò più!”
Ma Kaori lo guardava con sguardo limpido e sereno, e quando si accorse che la donna lì presente aveva pianto e si stava asciugando discretamente le lacrime, sentì un moto di compassione.
Vedendo la non-reazione della ragazza, l’uomo, sorpreso, dovette constatare dolorosamente che… Kaori non era nemmeno più capace di esternare la sua rabbia e la sua gelosia; fino a quel punto non ricordava?
All’improvviso fu preso dall’angoscia, ma poi si ricordò delle raccomandazioni che gli aveva fatto poco prima Saeko e si riscosse; quella doveva pensarla e viverla come una situazione temporanea, tutto si sarebbe risolto e Kaori sarebbe tornata quella di prima, nel bene e nel male.
Si tirò su in piedi e, riacquistato il suo aplomb, disse rivolto all’ispettrice:
“Visto che ci sei tu, ne approfitto per fare dei giri. Potresti tenere compagnia a Kaori per un po’?” e la guardò con occhi supplicanti; lei era l’unica che poteva continuare la farsa di Maki ancora vivo.
Saeko annuì e Ryo, poi, poco prima di uscire, le bisbigliò:
“Di’ agli altri che per un po’ fingeremo… Così se dovessero passare, sapranno come comportarsi”
“Va bene. Ma Ryo… non mi deludere”.
Lui le fece un sorriso storto e si diresse alla porta. Poi, come a ricordarsi di qualcosa, si voltò e, rivolgendosi alla socia, disse:
“Kaori, visto che esco, ti serve qualcosa?”
“Be’ non saprei… oggi mi sento meglio e vorrei darti una mano in cucina. Me la cavo ai fornelli, sai? Magari potrei preparare il pranzo” rispose torturandosi le dita.
Lei era lì, ritta al centro del salotto, ed era così indifesa, sembrava un cucciolo smarrito. Lo sweeper si sentì travolgere dalla tenerezza che lei gli suscitava; avrebbe voluto correre da lei, abbracciarla e poterle trasmettere tutto il suo affetto, ma allo stesso tempo doveva uscire da lì: si sentiva in gabbia, aveva bisogno di pensare e riordinare le idee. Si sforzò di sorriderle e rispose brevemente: “Va bene”.
E se ne andò.
 
Uno strano silenzio era sceso nella stanza; le due donne, a disagio, non sapevano come comportarsi.
Infine l’ispettrice disse:
“Kaori, hai fame? Ryo ha preparato la colazione… magari ti farebbe bene mangiare qualcosa”.
La ragazza, sempre sensibile alle gentilezze, le rivolse un sorriso e rispose:
“Oh grazie, effettivamente ho un leggero languorino. Siete tutti così gentili con me, mi chiedo come farò a sdebitarmi con voi”
Ma Saeko dolorosamente pensò:
Sapessi invece quanto bene ci hai fatto tu con la tua sola presenza, durante tutti questi anni!”
Poi Kaori, rivolgendosi di nuovo alla donna:
“Se non ha già fatto colazione, vorrebbe unirsi a me?”
Questa nuova Kaori non era minimamente in soggezione nei confronti della bella poliziotta: nella sua amnesia non la vedeva come una rivale che voleva portarle via Ryo; non si sentiva costantemente in gara con le altre donne; non si confrontava con loro sminuendosi. Semplicemente, l’aspetto fisico per lei era indifferente. E Saeko ebbe la percezione dell’enorme influenza che il suo amico aveva sulla sua collega. Gran parte dell’insicurezza della ragazza, inevitabilmente era colpa sua.
Però ad essere sincera, anche lei, Saeko, con quel continuo far ricorso al suo fascino per convincere Ryo a lavorare per lei, alla lunga aveva danneggiato l’autostima della giovane. Onestamente anche lei aveva fatto la sua parte.
Mentalmente sospirò.
In ogni caso l’ispettrice raggiunse l’amica al tavolo della cucina, vi appoggiò i gomiti e s’incantò a guardarla: mangiava con appetito ed era di buon umore; per un attimo la invidiò e avrebbe tanto voluto essere come lei, spensierata; probabilmente era proprio così, prima della perdita dell’amato fratello.
Kaori, sentendosi osservata, alzò lo sguardo dalla sua tazza di caffè e sorrise alla bella poliziotta: Saeko si sentì a disagio sotto quello sguardo candido, quasi che potesse leggerle dentro; che enorme potere aveva su di lei! Non se ne era mai accorta. In un certo senso si condizionavano a vicenda.
Kaori disse:
“E così lei è l’ispettrice Saeko Nogami… mio fratello mi ha parlato molto di lei”.
La donna si sentì male a quelle parole, ma aveva promesso a sé stessa che sarebbe stata forte: doveva fingere, fingere sempre, e non perse tempo a crogiolarsi nel dolore, quindi l’interruppe subito con:
“Ti prego non essere così formale, diamoci del tu, vuoi?”
La ragazza annuì.
“Sono contenta di poterti conoscere, mio fratello ha una tale stima di te, sei una donna eccezionale e a quanto vedo anche molto bella” e le sorrise ancora.
Saeko inghiottì il nodo che aveva in gola.
“Ti ringrazio. Anche io stimav… stimo molto tuo fratello, era un collega davvero speciale, abbiamo lavorato sempre molto bene insieme. Mi è dispiaciuto quando ha lasciato la polizia”
“Già… non ho capito molto bene che tipo di lavoro sia quello che fa attualmente, ho anche scoperto che ha un collega, il signor… emm cioè Ryo; anche lui mi sembra un tipo in gamba. È così gentile con me…” e Saeko si stupì non poco, ma apprezzò che il suo amico testone tirasse fuori il meglio per Kaori “… è stata davvero una fortuna che lui mi abbia trovata subito dopo essere stata colpita dal fulmine, e portata immediatamente in clinica. Gli devo la vita”
“Sì, sei stata fortunata a trovare Ryo” disse la poliziotta, con un tono indecifrabile.
“A proposito…” riprese Kaori, stavolta con la voce malferma e in imbarazzo “scusami per prima… io non volevo… non volevo interrompervi”.
Saeko trasalì.
Se Kaori avesse ricordato tutte le volte che li aveva interrotti, tempestivamente per giunta e a suon di martellate! Ma la donna si affrettò a chiarire l’equivoco:
“Niente scuse, quello era semplicemente un abbraccio. Siamo vecchi amici e lui mi stava solo consolando… io, lui e Maki siamo grandi amici”.
Kaori parve rasserenarsi.
Poco dopo l’ispettrice si alzò dicendo:
“Sono desolata, ma ora devo proprio andare. Mi dispiace lasciarti qui da sola, in questa grande casa, ma il lavoro mi chiama”.
Non era una fuga, quella, ma veramente la donna doveva tornare alla centrale, e soprattutto sentiva di aver terminato gli argomenti di conversazione con la ragazza, e preferiva andarsene prima che il disagio scendesse di nuovo su di loro.
Kaori si alzò a sua volta e l’accompagnò alla porta, come fosse effettivamente la padrona di casa e le disse:
“Oh non preoccuparti per me. Qui è così accogliente, che mi sembra come… come di essere a casa mia” e le sorrise in maniera disarmante.
Saeko non riuscì ad aggiungere nient’altro, si sentiva totalmente spiazzata da quella situazione e sperò ardentemente che tutto si risolvesse in breve tempo. Temeva però che, una volta che a Kaori fosse tornata la memoria, la ragazza sarebbe andata in mille pezzi e avrebbe perso questa meravigliosa, ritrovata innocenza.
 
Quando la sweeper rimase sola nel grande salotto, sospirò: ed ora che cosa avrebbe potuto fare? Si annoiava già al solo pensiero di starsene lì con le mani in mano. Decise allora di fare un giro per la casa; incredibilmente sapeva già cosa trovarsi di fronte ogni volta che apriva una porta, e provava sentimenti contrastanti: a volte si sentiva serena, poi improvvisamente triste, poi arrabbiatissima, poi ancora felice ed emozionata. Le sembrava strano provare tutte quelle emozioni solo varcando la soglia delle stanze.
Finì nella camera di Ryo, indubbiamente la stanza di uno scapolo a cui piacevano le donne poiché c’era un grande poster di nudo che campeggiava sulla parete, e  giornaletti di dubbia moralità sparsi qua e là; il disordine la faceva da padrone. Inconsapevolmente, si mise a riordinare i vestiti lasciati in giro dall’uomo, come se lo avesse sempre fatto. Ripose quelli sporchi nel cesto della biancheria e le sfuggì un sospiro esasperato e divertito insieme. Era un po’ come prendersi cura di suo fratello; finì per pensare che tutti gli uomini erano uguali e che senza la presenza di una donna sarebbero stati persi.
Si ritrovò nella stanza degli ospiti, quella in cui aveva dormito la notte prima, e più per noia che per curiosità, iniziò ad aprire i cassetti, rovistò in giro e si convinse che lì avesse abitato una ragazza; lo capiva da tanti piccoli indizi.
In fondo ad un cassetto trovò una scatolina da orefice, l’aprì e poté ammirare così un bellissimo anello, con una pietruzza rossa. S’incantò a guardarlo, rigirandolo tra le dita, lo infilò… le andava a pennello. D’improvviso provò un tale senso di nostalgia che le si riempirono gli occhi di lacrime, inspiegabilmente. Ebbe una tale voglia di chiamare suo fratello, sentire la sua voce, ma poi si ricordò che era in missione e che non aveva lasciato un recapito.
Quel testone”, sbuffò, “sempre a fare il misterioso”.
Rimise l’anello nella custodia e la ripose dove l’aveva trovata.
Sospirò di nuovo, frustrata.
L’ustione sulla schiena le dava fastidio; il dolore era già scomparso con quelle dosi massicce di unguento, però si sentiva tutta appiccicosa e soprattutto iniziava a sentire prurito. Pensò che una doccia non le avrebbe fatto male, di sicuro sarebbe stata attenta e non si sarebbe strofinata la schiena.
Raggiunse il bagno, dove lentamente si spogliò di fronte allo specchio.
Prima si sciolse la fasciatura sulla testa: constatò che la ferita sulla fronte si stava già rimarginando e che un semplice cerotto sarebbe stato più che sufficiente. Poi si portò una mano ai capelli bruciacchiati e inspirò pesantemente.
Quando, ormai completamente nuda, cercò di guardarsi la schiena, rabbrividì. Sì, decisamente era stata fortunata a riportare solo un’ustione; con quel fulmine sarebbe potuta morire.
S’infilò sotto la doccia e non seppe se l’acqua tiepida le desse più sollievo o pena, quindi non indugiò a lungo.
 
Nel frattempo Ryo era tornato all’appartamento, e non trovando la socia, iniziò a chiamarla allarmato girando tutte le stanze con crescente apprensione. Dove poteva essere andata? Lei non conosceva la casa, o meglio, non si ricordava che quella fosse casa sua; cercava di ripetersi che aveva avuto una semplice amnesia e che non era diventata una pazza furiosa che poteva farsi del male così, solo vagando da una stanza all’altra.
Quando arrivò davanti alla porta del bagno, udì il rumore dell’acqua scorrere, e si sentì improvvisamente sollevato: che sciocco era stato a preoccuparsi, lei si stava facendo semplicemente una doccia.
Si allontanò senza farsi sentire, non voleva che lei lo sorprendesse lì a spiarla, anche se non era propriamente così.
 
Kaori scese più tardi al piano di sotto e trovò Ryo seduto sulle scale che, assorto nei suoi pensieri, stava fumando una sigaretta. La ragazza vedendolo esordì:
“Oh ciao, Ryo, sei tornato!”
Era così allegra! Era davvero la gioia di vivere fatta persona; lo sweeper si voltò a guardarla e si sentì rimescolare dentro.
Era bellissima, come sempre del resto, e quel suo sorriso sincero era come un abbraccio caloroso.
Lei gli faceva sempre questo effetto: quando rientrava e la trovava lì, sapeva di essere tornato a casa. Se ne rendeva conto solo nel momento in cui lei lo accoglieva; e gli andava bene anche quando era arrabbiata e furiosa con lui e lo prendeva a male parole, perché significava che lei si era preoccupata; oppure quando, stizzita, non lo calcolava affatto, perché anche così, al contrario, voleva dire che lui era importante e presente nella sua vita. Quando invece lo accoglieva con il sorriso sulle labbra, come in quel momento, si sentiva al settimo cielo, e non vi avrebbe rinunciato per niente al mondo.
E dalla sera in cui avevano litigato, e da quando lei aveva perso la memoria, ogni volta che dimostrava di avere un debole per lui, d’interessarsi a lui, si emozionava come un adolescente alle prese con la prima cotta.
Lei si sedette sul suo stesso scalino e le sfuggì un piccolo gemito. Lui, subito apprensivo, le chiese:
“Tutto bene? Come stai?”
“Meglio grazie. Mi sono fatta una doccia, che proprio non ne potevo più” e sorrise ancora; quei suoi sorrisi avevano il potere di stregarlo, si sentiva senza difese. Mascherò l’improvviso imbarazzo chiedendo ancora:
“Ho visto che non hai più quella brutta fasciatura”
“Sì, mi dava parecchio fastidio, ma tu non dirlo al Doc” e gli fece l’occhiolino; poi proseguì: “Ah i miei poveri capelli! Si sono danneggiati parecchio, spero che ricrescano presto, altrimenti dovrò andare in giro con un cappello per un po’” e ridacchiò.
C’era da incantarsi a sentirla ridere.
“Magari, se avrò pazienza, li farò allungare ancora, tu che ne dici? Non starei meglio con i capelli lunghi?”
A Ryo sfilarono in testa tutte le volte in cui lei aveva messo una parrucca, come quella sera che si era finta Cenerentola, e pensò che ogni volta era sempre fantastica, ma lui la preferiva così; e già stava per allungare la mano a scompigliarle i capelli come faceva spesso, quando si trattenne e disse invece:
“Io dico che sei bellissima anche come sei ora”.
Lei arrossì vistosamente, ma subito disse, abbassando lo sguardo:
“Ti ringrazio, ma scommetto che lo dici a tutte. Io penso che tu ci sappia fare con le donne, hai l’aria del seduttore. Immagino che tutte cadranno ai tuoi piedi, dico bene?” e scoppiò a ridere di cuore, ma non era una risata sarcastica, o una presa in giro.
Ryo rimase a bocca aperta, senza riuscire a ribattere.
Implicitamente gli stava dicendo che era un bell’uomo e forse ammetteva che le piacesse, ma era triste e frustrante insieme constatare che non sapesse come stessero in realtà le cose. Lui era un allupato, un dongiovanni sfortunato, che non riusciva mai a sedurre una donna perché sul più bello gli partivano le fregole da maniaco. Ma soprattutto non voleva mai concludere, perché l’unica donna che gli interessava veramente era lì accanto a lui, l’unica con cui però non ci provava mai.
La guardò, e improvvisamente la desiderò come mai prima d’ora, ne era così tanto attratto che tutto sembrava possibile; stavano incredibilmente flirtando, proprio loro due! Pensò allora di stuzzicarla e le rispose con un’altra domanda:
“E cosa te lo fa pensare?”
“Be’, di sicuro non sei brutto, con questa tua aria da bel tenebroso: non sorridi quasi mai e nel complesso sembri misterioso e inaccessibile, atteggiamenti questi che, al contrario, attirano molto noi donne. E poi ho visto come ti guardavano ieri quelle ragazze alla clinica, quella… quella… come si chiamava? Ah, sì: Reika. Per non parlare dell’ispettrice Nogami. Lei mi ha detto che siete solo amici, ma secondo me c’è sotto  qualcosa di più. Comunque, tu e lei formate una bella coppia” e sorrise di nuovo in un misto d’innocenza e malizia.
Ryo ne rimase sconvolto.
No, no, no, non poteva, non doveva pensare una cosa del genere.
Normalmente con Saeko faceva lo stupido solo perché… era da tanto che andava avanti quel loro giochetto, anche se inevitabilmente questo scatenava le ire della collega che finiva per prenderlo a martellate. E quella mattina, quando li aveva visti insieme, erano seri, certo, ma non in atteggiamento amoroso; non c’era niente fra loro, e anche Saeko sapeva che il suo cuore apparteneva all’altra metà di City Hunter.
Riuscì solo a dire:
“Non è come credi. Reika… be’, Reika scherza sempre; e Saeko è una cara e vecchia amica”.
Kaori a quelle ammissioni, e notando l’espressione seria dell’uomo accanto a lei, fu presa dalla vergogna; quello che era iniziato come uno scherzo, sembrava aver impressionato tantissimo il suo ospite, tanto da rattristarlo, e si affrettò a scusarsi:
“Scu-scusami, ho parlato a sproposito… non dovevo…” e si chiuse a bozzolo, imbarazzata.
Ma Ryo allungò una mano a toccarle il ginocchio e, quando lei risollevò lo sguardo, lo vide sfoggiare uno di quei suoi rari sorrisi, prima di dirle:
“Non devi scusarti per così poco”.
E poi, incredibilmente, successe.
Non seppero mai chi dei due avesse iniziato, ma si ritrovarono uno nelle braccia dell’altra, persi in un bacio dolcissimo, che li lasciò senza fiato, e profondamente turbati.
Quando si ritrassero, si guardarono con occhi sognanti e per un attimo rimasero senza parole. Kaori si riscosse per prima e disse:
“Oh scusami, non volevo… non dovevo… non so cosa mi sia preso. Di solito non sono così audace… col primo che capita… ma è come se ti conoscessi da sempre” e mentalmente finì la frase con “e mi piaci da impazzire”.
A quelle parole Ryo trattenne a stento l’emozione, e fu assalito da una folle speranza: allora lei provava ancora qualcosa per lui! Da qualche parte, nella sua mente, lui c’era, tornava a galla il suo ricordo e, soprattutto, ancora lo voleva.
Più sconvolto di lei, rispose:
“No, no tranquilla… va tutto bene…”.
Avrebbe voluto dirle che era successo perché anche lui lo aveva desiderato dal primo momento che l’aveva vista scendere quelle scale, anzi da moltissimo tempo prima, ma era tutto così strano.
Si erano baciati, il loro primo vero bacio, e lei era convinta che si fossero conosciuti giusto il giorno prima!
Fu preso dalla disperazione.
Lei lo aveva baciato, ma ignorava chi lui fosse in realtà, non lo aveva riconosciuto, tutti i loro anni passati insieme, non esistevano...
Lui non voleva sedurla, o era lei che aveva sedotto lui?
Che confusione!
Ma di una cosa era certo: rivoleva la Kaori di prima, la sua partner, la sua compagna, quella che sapeva tutto di lui, che lo aveva accettato così com’era nonostante tutti i suoi lati negativi.
Kaori doveva ricordare, doveva ricordare lui.
E poi… e poi avrebbe fatto di tutto per convincerla a restare! L’avrebbe riconquistata se necessario!
Certo, baciarla era stata l’esperienza più eccitante della sua vita, qualcosa che nemmeno nei suoi sogni era mai stato così dolce e coinvolgente, ma sentiva che mancava qualcosa.
Mancava, forse, la consapevolezza da parte della sua Kaori.
 
Ma ora come fare? Cosa dire? Da dove cominciare?
Iniziò con la prima cosa che gli venne in mente:
“Sai, un tempo avevo una collega che viveva qui con me”
“Dormiva forse nella camera degli ospiti, dove ora sto io?”
Ryo rimase spiazzato e annuì.
“Allora deve aver dimenticato qui il suo anello. Scusami, ma mi annoiavo qui a casa da sola e… e… ho curiosato un po’ e ho rovistato nei cassetti” ridacchiò portandosi la mano alla bocca.
Ma anche l’uomo sorrise divertito, pensando che la curiosità fosse una sua fantastica caratteristica, e che oltre ad averla cacciata, a volte, in un mare di guai, molto spesso, però, li aveva aiutati nel lavoro: almeno quella dote non l’aveva persa.
Vedendo che il ragazzo sorrideva, e non se l’era presa per quella sfacciataggine, Kaori proseguì:
“È un bellissimo anello, ed è un peccato che l’abbia lasciato qui. O forse conta di tornare?”
Lo sweeper fece una smorfia indecifrabile, allora la ragazza chiese:
“Parlami di lei, vuoi?”
Ancora una volta Kaori lo aveva sollevato dall’empasse. Quella benedetta ragazza era un dono del cielo! Sorrise dentro di sé e iniziò.
“Dunque, cosa vuoi che ti dica? È una bellissima giovane donna, ha un fisico atletico e tonico che tiene in forma con l’aerobica e con lo sport. Ha un fascino particolare che… non sa nemmeno di avere; è testarda, ma è anche molto dolce e generosa, sempre pronta a spendersi per chiunque. Io e lei sul lavoro andavamo sempre molto d’accordo, ci capivamo con un semplice sguardo, eravamo molto affiatati e ci fidavamo totalmente uno dell’altra. Lei si è sempre impegnata tantissimo e, anno dopo anno, è diventata una sweeper davvero molto in gamba: non avrei potuto desiderare una partner migliore. È un’ottima cuoca, anche se io, per farla arrabbiare, criticavo sempre la sua cucina” entrambi sorrisero a questa celia “Spesso mi rimetteva in riga in maniera energica, quando facevo il cretino, ma se non ci fosse stata lei non so dove sarei finito. Mi ha cambiato tantissimo, in meglio. È…  fantastica. ” concluse con un filo di voce, che tradiva una profonda tristezza.
Kaori notò subito il cambiamento d’umore del suo ospite e immaginò che fra i due intercorresse un legame molto profondo. Provò a chiedere:
“Ed ora dov’è? Perché non lavorate più insieme?”
Dov’è, chiedi? Sembra lontanissima… ” rispose in maniera sibillina, e poi aggiunse: “È andata via perché… perché abbiamo litigato ”
“Ah, scusa…” pareva che parlare della partner lo facesse soffrire, ma era stato lui ad iniziare; era come se volesse sfogarsi con qualcuno, e lei era così inspiegabilmente curiosa di sapere.
“No, non fa niente… e comunque è colpa mia, abbiamo litigato per colpa mia e per colpa mia se n’è andata”
“Ma a te… a te manca tanto, vero?”
“Sì, mi manca da morire, e non credevo che potesse essere così”.
Kaori era intrigata dalla storia che gli stava raccontando quel giovane uomo, lui che sembrava poter avere tutte le donne che voleva, magari con un semplice schiocco delle dita, sempre circondato da belle ragazze, si struggeva per una collega, per una collega di lavoro! Allora lei doveva essere davvero speciale.
Il suo istinto di donna le diceva che sotto c’era molto di più.
Provò a spingersi oltre, tanto l’atmosfera che si era venuta a creare fra loro due era intima e predisponeva alle confidenze.
“Ne sei forse innamorato? Perché non mi spiego questo tuo attaccamento… oh, scusami, l’ho fatto di nuovo! Perdonami se sono stata troppo indiscreta. Se vuoi puoi anche non rispondere ”.
Era una situazione talmente paradossale, quella che stavano vivendo: Ryo le confessava di tenere a lei; e Kaori ignorava che quelle parole fossero indirizzate proprio a lei!!
“Oh, non ho nulla da perdere, a questo punto, e per una volta voglio essere sincero, con te…” fece una pausa “Sì, ne sono perdutamente innamorato: la amo più della mia stessa vita, ma non sono mai riuscito a dirglielo. Ecco perché abbiamo litigato e lei se n’è andata”
“Allora vuoi dire che anche lei ti ama?”
“Una volta credevo che fosse così, ed egoisticamente me ne stavo tranquillo, tanto sapevo che lei non mi avrebbe mai lasciato, anche se io non ricambiavo i suoi sentimenti. Poi però… ho messo a dura prova la sua pazienza, e la sua sopportazione, e alla fine, esasperata… be’ insomma, il resto lo sai”.
Kaori si fece pensierosa.
Come poteva spiegarsi una situazione del genere? Se erano così affiatati, se lavoravano bene insieme, se erano innamorati, perché non si erano mai messi insieme? Cosa gli impediva di diventare una coppia anche nella vita? Le sembrava tutto così assurdo: condannarsi all’infelicità per cosa?
Le scappò detto:
“Ma scusa, se è vero che l’ami, te la sei lasciata sfuggire così? Non hai lottato per farla restare? E soprattutto perché non hai mai voluto confessarle i tuoi sentimenti?”
Ryo tagliò corto con un:
“Perché sono un idiota ed un codardo”.
Kaori non aggiunse altro. Non le piaceva immischiarsi nelle faccende altrui, e sentiva che il tempo delle confidenze era finito; evidentemente per Ryo era doloroso parlare di queste cose, e non chiese più nulla.
La ragazza allora si alzò in piedi, e guardandolo gli disse:
“Allora, signor Saeba, andiamo a preparare il pranzo? Mi permetterà di darle una mano in cucina?” e gli sorrise con uno sguardo luminoso, che in un attimo spazzò via i cattivi pensieri che si erano insinuati nella mente dello sweeper.
Di rimando lui sorrise a sua volta, e pensò che effettivamente niente fosse perduto: Kaori era lì con lui, e davvero doveva a tutti costi sfruttare quella seconda possibilità.
Alzandosi anche lui e spolverandosi i pantaloni rispose divertito:
“Signorina Makimura, per quanto mi riguarda le cedo il pieno dominio della mia cucina, ne faccia tutto ciò che vuole”
“A patto che mi aiuti però! Dai, sarà divertente!”
Sarebbe stata una cosa inedita quella, di cucinare insieme; però Ryo era felice perché avevano recuperato un po’ di buonumore, lei era allegra e solare e non c’era motivo per avercela con lui, e anzi, quella era la prima volta che scherzavano dopo tanto tempo, da molto prima che lei perdesse la memoria.

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Capitolo 4
*** In cerca della verità ***


Salve a tutte! E siamo al capitolo 4, il penultimo, di questa mia fic che, sono contenta, vi appassiona così tanto.
Quindi non posso non ringraziare le mie care e fedeli Briz65, Kaory06081987, 24giu, Valenicolefede, e tutte le lettrici silenziose, vecchie e nuove.
GRAZIE!!! *.*
Se avrete ancora voglia di seguirmi, sappiate che ho in serbo per voi altre cosucce ;-)




Cap. 4 In cerca della verità
 
Si diressero in cucina, e diedero inizio ai preparativi per il pranzo.
Ridevano come matti divertendosi un mondo; ogni tanto Ryo pensava al fatto che Kaori non fosse veramente la sua Kaori, ma poi si convinceva che lei era anche così, era lì con lui, tutto il resto non contava.
Passarono delle ore spensierate, prima a cucinare, poi a mangiare con appetito, e poi ancora a riordinare la cucina; sempre insieme, e non bisticciarono quasi mai, in ogni caso erano piccole prese in giro, ironie e scherzetti a cui sottostavano con allegria.
Quando, esausti, si buttarono sul divano, si lasciarono sfuggire entrambi un sospiro soddisfatto.
Si sorrisero.
Poi, improvvisamente, tacquero.
Tutta quella vicinanza, la forte attrazione che provavano reciprocamente, il ricordo di quel bacio che, per tutto il tempo, era tornato prepotente alla mente dei due, li faceva sentire di colpo in imbarazzo.
Kaori non avrebbe voluto lasciarsi andare di nuovo, anche se quel ragazzo esercitava su di lei un richiamo molto intenso; non riusciva a spiegarsi perché, ma sentiva che non era solo attrazione fisica. Però, da quando aveva saputo che lui era innamorato di un’altra, non voleva approfittarne; se il suo cuore apparteneva alla sua collega, di sicuro non si sarebbe innamorato di lei, e non voleva che fosse solo un’avventura, la loro, di poco conto.
Ryo, esaltato da quella ritrovata atmosfera complice e rilassata, si sentiva più che mai attratto dalla compagna, e il desiderio di riaverla indietro lo spingeva dove non era mai arrivato prima, anche se una parte di lui gli ricordava che ancora Kaori non lo aveva riconosciuto. Ma lei era così arrendevole, senza filtri, senza remore, spontanea, che ne era stato contagiato anche lui, e gli veniva di essere più espansivo e di scoprirsi di più. Per una volta nessuna barriera o paura li frenava.
Poi un pensiero malizioso gli balenò in testa e, accomodandosi meglio, disse:
“Ora tocca a me fare le domande”.
Lei si voltò a guardarlo con disinvoltura, in atteggiamento aperto e disponibile e rispose:
“Spara!”
“E tu? Una bella ragazza come te, chissà quanti spasimanti avrai alla tua porta! Non hai un innamorato che ti fa battere forte il cuore?”
Kaori rimase un attimo stupita da quella domanda, poi si disse che effettivamente era il suo turno di confidarsi e… perché no? Si concentrò e iniziò a dire:
“In realtà io… in realtà… io…” poi fece una smorfia di dolore e terrore, e si portò una mano alla testa.
Ryo, pentitosi di averla costretta a ricordare e vedendola soffrire, balzò più vicino a lei e subito prese a dire:
“Scusami, scusami… non dovevo… lascia stare”.
Ma lei gli sedeva di fronte con sguardo attonito, perso chissà dove, con le pupille dilatate, e non lo vedeva nemmeno.
Nella sua mente vorticavano immagini sovrapposte: le sembrava di cadere all’interno di un gorgo spaventoso, fatto di istantanee di vita più o meno familiari, e ogni volta che cercava di afferrare un brandello di ricordo, questo inesorabilmente scappava via, si dissolveva, esplodeva in mille frammenti, ed era così frustrante! Improvvisamente si sentì la gola secca, la bocca aperta esprimeva tutta la sua incomprensione; non capiva, non ricordava, era come rivedere milioni di film tutti insieme, con le scene in sequenza sfalsata, storie che conosceva, ma che improvvise prendevano un'altra via, e lei si ripeteva che no, non doveva andare così, che conosceva il finale, e appena era sicura di aver trovato un filo logico, un secondo dopo le idee si confondevano ancora.
Lacrime di rabbia iniziarono a pungerle gli occhi.
Perché non ci riusciva? Perché?
D’improvviso tornò in sé, e si trovò a stringere le mani del suo ospite, così tanto che le nocche erano sbiancate. Non si era nemmeno accorta di averle afferrate con disperazione; finalmente mise a fuoco quel volto turbato e preoccupato che la stava fissando.
All’inizio sembrava non riconoscerlo, e apparve sul suo viso un’espressione interrogativa, che lentamente si addolcì e si fece tenerissima, tanto che Ryo si sentì sciogliere; poi, come la notte precedente, quando l’aveva bisbigliato nel sonno, lo chiamò per nome, con lo stesso tono caldo e avvolgente; e lui, sentendolo, ebbe come una vertigine.
Avrebbe voluto baciarla ancora, ma si trattenne; l’attirò a sé in un abbraccio rassicurante, con il cuore impazzito, sicuro che lei se ne sarebbe accorta.
Lei si rannicchiò sul suo petto e disse soltanto:
“Perché?”
 
Fino a quel momento non si era pienamente resa conto di aver perso la memoria, perché quelle persone, quegli ambienti, si era detta, semplicemente non li aveva mai conosciuti prima di allora, visto che abitava dall’altra parte della città; lei aveva la sua vita, aveva suo fratello, perché avrebbe dovuto frequentare il quartiere di Shinjuku?
Ma in quella specie di incubo ad occhi aperti, aveva finalmente capito che c’era una parte della sua vita che non le tornava, che sotto c’era qualcosa di più.
Ryo era in preda a sentimenti contrastanti: voleva proteggere la sua amata Kaori dai tormenti che stava vivendo, ma voleva anche che ricordasse, e il tutto era esasperato dal bisogno prepotente di baciarla ancora, di sentire ancora il sapore di quelle morbidissime labbra, perché da che si erano baciati, lì sulle scale, aveva capito che non sarebbe più riuscito a farne a meno.
Stringerla così, fra le sue braccia, non gli bastava più, e non era un impulso erotico che lo muoveva, ma una voglia di condivisione, di fusione, voleva dimostrarle quanto l’amasse, ma lei… lei non lo riconosceva!
Non poteva, no, non poteva baciarla ancora, anche se un fuoco lo stava consumando dall’interno; sentiva che stava perdendo la ragione, e ne era esaltato e spaventato insieme, perché non gli era mai successo prima con nessuna donna, mai.
Senza che se ne accorgesse iniziò a bisbigliare: “Kaori, Kaori” con un’intonazione così accorata e struggente, che la ragazza rialzò il viso a guardarlo, e lui annegò definitivamente in quei magnifici occhi nocciola, ripetendo il suo nome come una preghiera.
Lei, turbata e avvinta dallo sguardo trasognato e adorante di Ryo, immobile lo fissava, come se non esistessero altri al mondo che loro due.
Allungò una mano a sfiorargli la guancia virile, e lui per un attimo socchiuse gli occhi, come qualcuno che trovasse temporaneamente sollievo da un tormento, poi lei si sporse verso di lui e lo baciò.
Fu un bacio travolgente, che li catapultò a mille miglia dalla terra, che li portò lontano; fu un bacio carico di passione, ma anche di tormento, amore e desiderio.
E quando si ritrovarono lì, in quell’accogliente salottino, dentro quel palazzo di mattoni, nel quartiere di Shinjuku, ansanti faticarono a ritornare alla realtà.
Appena riacquistato un barlume di lucidità, Kaori si sentì estremamente in colpa, perché c’era ricaduta un’altra volta e le sembrava di essere diventata improvvisamente l’altra donna, nel complesso rapporto che legava Ryo alla sua collega, mentre lui si dava dello stupido per non essersi sottratto in tempo.
La ragazza si ritrasse in un moto di profondo disagio e, arrossendo fino ai capelli, riuscì a dire:
“No-non avremmo dovuto, io non avrei dovuto… tu… tu ami la tua partner”.
Ryo, tornato improvvisamente con i piedi per terra, si sentì male a quelle parole: aveva dimenticato l’amnesia della sua amata, e in più ora lei era convinta che lui fosse innamorato di un’altra.
Certo, anche lui pensava che non avrebbero dovuto baciarsi, ma solo perché lei non sapeva chi fosse lui in realtà.
Sentì formarsi dentro di sé come un nodo di angoscia, e avrebbe voluto urlare; si dominò a stento e disse:
“Sugar, baciarti è stata l’esperienza più incredibile che mi sia mai capitata di fare, e non rinnego niente… non l’ho fatto perché volevo approfittarmi di te o sedurti, io… io… sono innamorato di te!”
Lei lo fissò allibita: come poteva dire una cosa del genere, se le aveva appena confidato di amare la sua socia? Non era possibile amare due donne contemporaneamente!
L’uomo, vedendola smarrita e incredula, proseguì con più ardore:
“Kaori, ascolta, SEI TU LA MIA COLLEGA!!”
Ma la giovane non reagì, troppo frastornata dalla situazione: prima quel bacio fantastico, poi quelle parole… cosa stava dicendo quel Ryo Saeba?
Lui riprese, incalzante:
“Sì, sei tu la mia collega, la donna che amo! Sei tu quella che ha litigato con me e che aveva deciso di andarsene perché io non ti dicevo mai che ti amavo. Sono io che ti ho fatto sempre soffrire e ti chiedo perdono. Sono io che sono disperato, perché tu ora non mi riconosci e hai dimenticato chi sono. Sono io che odi…”
A quelle parole veementi, Kaori si sentì mancare.
Fin dall’inizio aveva provato una forte attrazione per quel giovane uomo, così ombroso e tormentato, che però le dava sicurezza e a cui doveva la vita; un uomo che si era dimostrato così tanto dolce e gentile con lei, che si era ritrovata a pensare, in un attimo di follia, che sarebbe stato bello essere la sua ragazza.
Era stato come un colpo di fulmine, e in un certo senso si era subito innamorata di lui.
Ma Ryo era così bello, affascinante, così carismatico… come poteva anche solo sperare che s’interessasse ad una come lei?
E poi cosa voleva dire che lei era la sua collega? Non era Maki il suo partner? Inoltre, esattamente, che lavoro facevano?
Nella sua mente ripresero a vorticare le immagini che poco prima l’avevano sconvolta, ma cercava di tenerle a bada perché voleva concentrarsi sul presente, e su ciò che le stava dicendo quell’uomo.
La testa aveva ricominciato a dolerle e pensò che fosse sul punto di scoppiare.
Lui riprese a parlarle in maniera pressante, perché voleva disperatamente spiegarle cosa provasse per lei, e allo stesso tempo voleva richiamare la sua memoria:
“L’altra sera eravamo sulla terrazza, stavamo litigando, tu eri furente, a ragione, e mi hai gridato che eri stanca della nostra situazione, e del fatto che non mi decidessi mai a ricambiare i tuoi sentimenti, perché tu mi ami… mi amavi… Poi hai detto che mi odiavi e che volevi andartene. Ma mentre eravamo lì è scoppiato un temporale, e sei stata colpita da un fulmine… Kaori, quando ti ho visto a terra, priva di sensi, sanguinante, ho creduto d’impazzire, pensavo di averti perso per sempre, ero disperato! Ho cercato di rianimarti e quando sei rinvenuta ti ho portato in clinica”.
Fece una pausa, e la guardò intensamente per vedere se era riuscito a smuovere qualcosa, ma lei si era presa la testa con entrambe le mani, e la scuoteva ripetendo sommessamente:
“No, no, no, non può essere”.
Allora lui riprese:
“Sei tu che normalmente dormi nella stanza degli ospiti: l’anello che hai visto è il tuo. Insieme siamo City Hunter e ci occupiamo di ripulire la città dalla feccia dei criminali, aiutiamo la gente. E quelle persone che hai visto ieri mattina, sono i nostri più cari amici, la nostra famiglia”.
Però ancora Kaori non ricordava; l’uomo si spinse ancora più avanti e disse:
“Seguimi” la prese per mano, e la condusse davanti alla porta di uno sgabuzzino. Quando l’aprì, rotolarono fuori decine di martelloni di diversi tonnellaggi.
“Questi li usi con me, quando faccio lo stupido e il maniaco con le altre: con Miki, Saeko, con le clienti, con le donne incontrate per caso. Avanti, imbracciane uno e dammi una martellata!”
“Ma che stai dicendo??? Com’è possibile che io riesca a sollevare un affare di quel peso?”
“Tu ci riesci sempre, perché quando ti arrabbi con me o sei gelosa, diventi fortissima, sei una forza della natura…”
Kaori era sempre più sopraffatta da quei ricordi che disordinatamente vorticavano nella sua mente, uniti alle parole dello sweeper, così incomprensibili, così inverosimili.
La testa le pulsava e si portò di nuovo entrambe le mani alle tempie; con una smorfia di dolore cadde in ginocchio, si piegò in due e un rivoletto di sangue uscì dal naso, gocciolando sul pavimento. La ragazza fece giusto in tempo a guardare l’uomo, e a rivolgergli un “Ryo?” interrogativo, che si accasciò fra le sue forti braccia e svenne.
Questi la sollevò amorevolmente e, senza farsi prendere dal panico, che minacciava di travolgerlo, la portò in camera sua e l’adagiò delicatamente sul letto, poi telefonò al Doc perché venisse a visitarla.
 
Il professore fu subito da lui e, dopo averla esaminata, disse ad un angosciato Ryo:
“Tranquillo, ha solo avuto un crollo emotivo, ma è normale nella sua situazione. Quella parte di lei che ha temporaneamente dimenticato, sta cercando di riemergere, e si scontra con delle barriere invisibili che, chissà perché, proprio lei ha eretto. Quando è stata colpita dal fulmine, stava vivendo un forte stress, e il cervello ha attuato un meccanismo di difesa, rimuovendone il trauma. Lo shock ha fatto il resto. Kaori però vuole ricordare, perché quello che ha dimenticato è troppo importante per lei”.
Il Professore tacque. Poi toccò leggermente il braccio di Ryo, che sembrava essere perso nei suoi pensieri, e guardandolo negli occhi aggiunse:
“So che può sembrarti doloroso, ma quello che stai facendo è necessario. Se ha avuto questa reazione alle tue parole, vuol dire che sono state efficaci, che hanno raggiunto il suo subconscio. Lei vuole ricordarsi di te, e della vostra vita insieme; quella che si sta svolgendo dentro di lei è una dura battaglia. Non forzarla, questo no, però stalle vicino, e prenditi cura di lei; parlale e vedrai che tutto si sistemerà”.
Lo sweeper sospirò:
“Non sopporto di vederla in quello stato, però… ho bisogno che lei torni da me… mi manca così tanto… ”
Il Doc sorrise benevolo; era la prima volta che lo sentiva ammettere apertamente i suoi sentimenti verso la sua partner; quella strana avventura non sarebbe finita senza conseguenze, magari sarebbe stata la volta buona, per quei due ragazzi.
Prima di prendere congedo si voltò un’ultima volta verso il giovane e gli disse:
“Ora sta riposando, ma è perfettamente cosciente… vai da lei” e gli strizzò l’occhio.
 
Ryo si fermò sulla porta, e cercò con lo sguardo la sua socia; la trovò supina, con gli occhi al soffitto, aveva ripreso colore, ma sembrava pensierosa.
Avvertendo la sua presenza, si voltò verso di lui e gli fece segno di entrare.
Lui avanzò silenziosamente, poi si sedette sul bordo del letto. Lei cercò la sua mano e gliela strinse e, vedendolo preoccupato, gli sorrise. L’uomo si rincuorò.
“Allora caro il mio Ryo, puoi smettere di preoccuparti per me!”
“Per il momento!” rispose deciso, poi però sorrise anche lui “Come ti senti ora? Sei ancora confusa?”
“No, ora sto bene: la mia mente è sgombra e limpida, anche troppo!” ridacchiò. Poi più seria, e con aria dispiaciuta, aggiunse “però ancora non mi ricordo di te, di prima intendo. Di… di noi…” Era davvero affranta.
“Tranquilla, abbiamo tutto il tempo, non c’è fretta” e le regalò un sorriso accattivante. Poi, con tono più grave, aggiunse:
“Ascolta, io stasera devo uscire per fare il giro dei miei informatori, ed accertarmi se è vero o meno che sta per scoppiare l’ennesima guerra fra capi yakuza. È importante che mi faccia vedere per calmare gli animi. Devo proprio, non posso farne a meno ma, credimi, non sai quanto vorrei restare qui con te, specialmente ora che… che… insomma, non sei completamente tu”.
Stava pensando che se Kaori non ricordava di essere una sweeper esperta, se aveva anche dimenticato come fare per maneggiare un martellone, era potenzialmente indifesa; e se uno qualsiasi, di quei malviventi da strapazzo, avesse provato a farle del male, non sarebbe stata in grado di difendersi. Ma non voleva spaventarla inutilmente; lei non ricordava i pericoli che costantemente costellavano la loro vita; era così ignara che voleva lasciarla tranquilla.
“Preferirei che ci fosse qualcuno qui con te, che ne so, magari Miki, o Mick che abita qui di fronte…”
“Ma io sto benone! E anzi, sta di nuovo facendo effetto quel dannato antidolorifico, e ho un sonno…” e sbadigliò rumorosamente, e poi: “Scusa” e gli fece la linguaccia come una bambina birichina, “Penso che, giusto il tempo di uscire da quella porta, e io crollerò addormentata, quindi per quanto mi riguarda, non credo di aver bisogno di niente. Tu, piuttosto… Tu… torna presto, ok?” e arrossì vistosamente.
Ryo sentì un rimescolio strano nello stomaco, e d’improvviso desiderò con tutto sé stesso di poter rimanere lì con lei, anche solo seduto sul suo letto come ora, e guardarla dormire, o continuare a parlarsi in quel loro modo così intimo e dolce. Dannazione, quella bega proprio non ci voleva! Non sarebbe stato meglio che quei balordi si uccidessero a vicenda, tutti, finché non ne fosse rimasto nessuno? Ma lui era un giustiziere e sapeva fin troppo bene che in queste guerre fra criminali, ci andavano di mezzo sempre gli innocenti, non poteva restarne fuori.
Sospirò, fra il frustrato e lo sconfitto.
“Dai, non pensare a me. Vai a fare il tuo la-la-lavorooo…” concluse sbadigliando, prima di crollare addormentata.
Lo sweeper si rialzò lentamente, per non svegliarla; s’incantò ancora una volta a guardarla: come era bella, nonostante quel vistoso cerotto sulla fronte, che la faceva sembrare così piccola e indifesa, e quei capelli ora più che mai arruffati; si chinò di nuovo a sfiorarglieli con le labbra.
Doveva proprio andarsene, altrimenti, se avesse tardato un secondo di più, non si sarebbe più staccato da lei, a costo di dormire lì sul pavimento.
Si riscosse e si disse che prima fosse andato, prima sarebbe tornato. Avvertì Mick di stare all’erta e di tenere d’occhio il suo appartamento. Non lo voleva dentro casa però, sia per non impensierire Kaori, sia perché quello era un vecchio seduttore, che avrebbe potuto approfittarsi della debolezza della sua socia e, dopo, chi l’avrebbe protetta da lui? Senza martelli per giunta?
 
Scese in garage, salì sulla Mini e partì sgommando. City Hunter stava arrivando.
 

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Capitolo 5
*** Ritorni ***


Cap. 5 Ritorni
 
Era passata già più di un’ora dalla partenza di Ryo, e Kaori si dibatteva nel sonno in preda a incubi spaventosi, come la notte precedente, ma stavolta non c’era la presenza rassicurante del suo socio a calmarla. Continuava a rigirarsi nel letto e si lamentava: quel turbinio di immagini incomprensibili ed angoscianti la facevano agitare, e più si agitava, più si riacutizzava il dolore dell’ustione lungo la schiena. Tentava disperatamente di riemergere da quell’inferno onirico, e quando, infine, riuscì a svegliarsi, era madida di sudore e ansante.
Si passò una mano tra i capelli umidi, cercando di normalizzare il respiro e di calmare il cuore impazzito.
Quando si sentì sufficientemente tranquilla, la mente sgombra e lucida, si sedette sul letto e si prese la testa fra le mani: perché non riusciva a fare ordine nei suoi pensieri?
Aveva bisogno di risposte, aveva bisogno di uscire da lì; quella stanza, quella casa, la stavano soffocando.
Si alzò e si diresse al cassettone dove la mattina prima aveva trovato l’anello, lo prese e, dopo averlo rimirato lungamente, se lo mise al dito.
In bagno si sciacquò il viso sudato e pallido; l’immagine che le rimandò lo specchio era preoccupante: i suoi occhi cerchiati sembravano enormi e quasi non si riconosceva.
Quando tornò in camera si vestì in fretta, poi infilò la porta dell’appartamento e scomparve nel buio della notte.
Non pensò neppure per un istante che Ryo si sarebbe preoccupato non trovandola al ritorno; doveva uscire!
Girò senza meta per la città. Tutto le appariva così familiare, ma anche così sconosciuto; la brezza notturna, però, le dava un piacevole refrigerio.
Si ritrovò, inspiegabilmente, di fronte al cancello sbarrato del cimitero.
Un secondo dopo lo aveva agilmente scavalcato, ed era già dentro, a girare per i vialetti ordinati, e le lapidi grigie e spettrali. Ma lei non aveva paura: una forza misteriosa guidava i suoi passi e sapeva dove portarla. Esattamente lì.
La luna, che aveva giocato a nascondino con le nuvole tutto il tempo, scelse quel momento per mostrarsi, e un raggio blu-argenteo illuminò una lapide in particolare. Lei si fece avanti e ne lesse il nome.
Un grido improvviso, quasi sovrumano, squarciò il silenzio della notte: era un lamento come di animale ferito, che si affievolì fino a diventare un mormorio indistinto.
 
Ryo aveva fatto visita a tutti i capi della mala, trincerati nei vari privée dei night più rinomati del quartiere. Aveva ascoltato tutti, aveva mediato, aveva minacciato, aveva dovuto scolarsi qualche drink per omaggiare l’ospitalità di quei personaggi sordidi e potenti. Aveva anche finto d’interessarsi alle donnine che, sculettanti e ammiccanti, gli si strusciavano addosso. Ma il suo pensiero correva sempre da lei, all’unica donna che contasse veramente per lui, e che dormiva beata nel suo letto, a casa sua, così indifesa, così lontana.
Quella sera il suo lavoro, seppure di routine, gli pesava enormemente: non voleva essere lì, non voleva essere lo sweeper numero 1 del Giappone, non gli interessava nemmeno di essere lo stallone di Shinjuku. Voleva correre a casa, ed essere semplicemente il compagno affettuoso e premuroso di quella donna fantastica, che il destino gli aveva messo accanto, e nulla di più.
 
Alle prime luci dell’alba riuscì a portare a termine il suo lavoro di mediazione; per un po’ quella stupida guerra fra bambini troppo cresciuti, sarebbe stata rimandata.
Prese la macchina e filò per le vie semi-deserte della città. Per le strade, solo gli ultimi tiratardi e i primi mattinieri che si recavano al lavoro.
Era distrutto, la tensione per quelle trattative interminabili e la preoccupazione per Kaori iniziavano a farsi sentire.
 
Salì quasi di corsa le scale dell’appartamento, ma dovette fermarsi di colpo quando, nella luce fioca del mattino, scorse un’ombra informe, che gli sbarrava la strada.
Il suo cuore perse un battito: riconobbe subito la persona che era rannicchiata lì, ripiegata su sé stessa, con la testa appoggiata sulle ginocchia e le braccia strette intorno alle gambe.
Fu assalito da un vortice di emozioni contrastanti, e mille domande si accavallarono nella sua testa: perché Kaori era lì fuori dalla porta? Perché era uscita? Non doveva uscire! Dove era stata? E Mick? Non si era accorto di niente? L’aveva lasciata che dormiva serenamente, perché non era in camera sua? Dentro casa? Perché era vestita di tutto punto?
Stava per esternare la sua frustrazione nell’unico modo che conosceva, e cioè arrabbiandosi, e già alla bocca gli erano saliti i peggiori rimproveri. Ma non riuscì a dire nulla perché lei, sempre con la testa incassata nel petto, lapidaria gli chiese:
“Perché non me l’hai detto?”
Se in quel momento gli avessero sparato, avrebbe provato meno dolore.
Aveva afferrato all’istante il senso di quelle parole, senza bisogno di ulteriori chiarimenti.
Provò a dire:
“Sugar… io…”
“Non ti avevo proibito di chiamarmi così?”
Ryo trasalì.
Allora aveva riacquistato la memoria? Cosa significava?
Non fece in tempo a pensare altro che lei, sollevando infine la testa, e sorridendogli con un misto di rassegnazione e sarcasmo, aggiunse:
“Ma tu non mi ascolti mai e fai sempre come ti pare”.
Finalmente lo sweeper si decise ad avanzare, e si sedette uno scalino al di sotto della ragazza. Non sapeva come comportarsi: aveva paura di ciò che lei gli avrebbe potuto dire, che non avesse riacquistato la memoria, che avesse sofferto inutilmente.
Appena le fu più vicino, notò subito che aveva pianto, il viso scavato, ancora qualche lacrima le brillava sulle ciglia.
L’ondata di tenerezza che sentì per quella donna meravigliosa fu tale, che non resistette, si protese verso di lei e l’abbracciò, cercando di trasmetterle tutto l’amore che provava.
Non sapeva ancora cosa aspettarsi dal futuro, ma il suo unico desiderio era di poterlo trascorrere con lei, ad ogni costo.
Se non avesse riacquistato la memoria, lui le avrebbe raccontato ogni giorno la storia della loro vita insieme, affinché capisse quanto erano stati felici; le avrebbe parlato di tutte le avventure vissute, dei casi, delle clienti… non le avrebbe risparmiato niente, neanche le volte in cui aveva fatto il maniaco e il pervertito. Le avrebbe anche insegnato a maneggiare di nuovo i martelli, cosicché avrebbero ripreso le antiche abitudini, anche se… non si sentiva più di fare il farfallone in giro come prima. Era come se fosse cresciuto di colpo.
Di sicuro l’avrebbe corteggiata, l’avrebbe fatta sentire importante, proprio come si meritava; si sarebbe preso cura di lei e l’avrebbe resa felice e orgogliosa.
Sempre che avesse deciso di rimanere con lui…
 
Kaori si era rifugiata nell’ampio petto del socio, l’unico posto dove si sentiva davvero al sicuro. Fra le sue braccia poteva sentir battere all’impazzata il cuore dell’uomo che amava, ed era al settimo cielo perché finalmente sapeva di essere corrisposta.
Scostò leggermente la testa, e cercando il suo sguardo nella penombra, gli disse:
“Ryo, sono così confusa, non so più chi sono”.
Lui la strinse più forte, incapace di dirle alcunché.
Lei proseguì:
“Mi dispiace che l’altra sera abbiamo litigato, ti ho detto cose orribili”.
L’uomo sussultò: allora era vero, aveva recuperato la memoria! La sua Kaori era tornata.
Con un sussurro le rispose:
“Non fa niente Sug… emmm, volevo dire Kaori-chan”
“Ma, davvero vuoi smettere di chiamarmi così, con quel nomignolo bellissimo, che proprio tu mi hai dato? Mi è sempre piaciuto tanto” e gli sorrise.
Lui sentì il sollievo invadere il suo cuore, e proseguì dicendo:
“E comunque ne avevi tutto il diritto di dirmi quelle cose, ti ho sempre fatto soffrire, e l’altra sera io avrei meritato di essere colpito dal fulmine e non tu! E avrei dovuto restarci”.
Stavolta fu il turno di Kaori, di trasalire:
“Che stai dicendo? Ed io? Come avrei fatto io, senza di te? Avresti voluto lasciarmi qui da sola?”
“Oh no, tesoro mio, ma non vedi? Sono un buono a nulla, capace soltanto di farti del male. E avevi ragione, sono un vigliacco e un codardo…”
“Però questi giorni mi hai fatto sentire così tanto amata, ti sei preso cura di me. Non ricordavo chi tu fossi, ma mi hai conquistato lo stesso… ed io… mi sono innamorata di te!” e seppure arrossendo, lo guardò intensamente, poi proseguì: “Eri così tormentato per la tua socia, per me! E poi mi hai detto delle cose bellissime, come nessuno mai. Quando ho riacquistato la memoria, ho provato un dolore lancinante, era come se avessi perso Maki di nuovo, ero disperata… Però poi ho anche realizzato che non ero da sola, che ero io la donna di cui mi avevi parlato, la collega che ti mancava così tanto; ho creduto alle tue parole… e, be’… ho provato una tale felicità, Ryo!”
“Oh, Sugar… non sai quanto mi sei mancata! Se tu non fossi tornata quella di prima, sarei impazzito! Però sappi che, quando ti ho baciato la prima volta, era te che baciavo, perché desideravo farlo da… da sempre”.
“Ora però sono qui, sono tornata e voglio poterti amare” e gli rivolse uno sguardo dolcissimo, che si accompagnò ad una carezza leggera sul viso; Ryo chinandosi, le regalò un bacio struggente.
Era stato sul punto di perderla non una, ma due volte, e non voleva più lasciarla andar via.
Quando Kaori aveva perso la memoria, lui, con essa, aveva perso la sua identità: perché se lei non lo riconosceva, allora lui non esisteva più.
In quei giorni, in poco tempo, aveva capito quanto lei fosse importante per lui, molto di più di quello che immaginava, ed ora non voleva più perdere altro tempo: voleva solo stare con lei.
Baciandosi, sospirarono con soddisfazione.
 
I primi timidi raggi di sole scesero ad illuminare le scale, e quei due innamorati che, infine, si erano faticosamente ritrovati.
Quel bacio, che era iniziato come una preghiera, come una richiesta, si era trasformato ben presto in un’esperienza intima e intensa, quale nessuno dei due aveva mai provato; si era fatto esigente e pieno di desiderio, un invito ad andare oltre, oltre tutte quelle stupide barriere che li avevano tenuti lontani così tanto a lungo.
Kaori, scostandosi appena da quelle labbra dolci e morbide, gli sussurrò:
“Perché non entriamo?”
C’era ancora una porta da oltrepassare.
“A casa nostra?”
“Sì, a casa nostra”.
Allora l’uomo la prese in braccio senza sforzo alcuno, aprì la porta di quell’appartamento che tanta parte aveva nella loro vita, che li aveva visti così spesso litigare, fare la pace, divertirsi, ridere; che era stato ripetutamente distrutto da criminali, da bombe, da martellate e kompeiti, addirittura una volta da un Cessna, e che da adesso in poi li avrebbe anche visti innamorati e felici.
 
 
 
A volte il passato è un pesante fardello, scomodo da portare come una vecchia valigia; ma senza di esso non saremmo quello che siamo ora, nel bene e nel male: non si dovrebbe mai rinnegare ciò che si è vissuto, ciò che è stato.
 
 
Ed eccoci arrivati alla fine di questa storia, e lo so, il capitolo è il più corto di tutti ed è proprio quello che contiene il finale, ma tutto era stato già detto e doveva concludersi così.
Spero che questa mia storiella, un po’ più “profonda” delle altre, vi sia piaciuta. So che le mie amate Briz65, Valenicolefede, Kaory06081987 e 24giu hanno gradito, e hanno gioito, penato, sperato con me (che l’ho scritta) che tutto andasse per il meglio. Tanto a noi sti due innamorati senza speranza piaceranno sempre e non smetteremo di sognare che “invece” insieme ci si sono messi lo stesso ^_^
Grazie a tutti quelli che hanno letto, anche silenziosamente, o messo fra le preferite/ricordate, la mia fic.
Per il momento è solo un arrivederci (promessa o minaccia sta a voi dirlo ;-) )
A presto
con simpatia
Eleonora

 
 

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