Love is a strange thing

di RosaRossa_99_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** The End ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era il mio ultimo giorno di scuola, l'ultimo che avrei affrontato in questa città.

Erano passati solo due anni ma avevo incontrato tantissime persone disponibili e gentili… erano esattamente come me, sempre solari e disposte ad aiutare. La gente era così diversa qui a Tokyo… nulla a che vedere con la freddezza dell'Italia. Anche se Milano doveva essere casa mia io non l'avevo mai sentita tale, forse proprio perché a causa del lavoro di mio padre non ci eravamo mai fermati per più di tre anni nello stesso posto. Dopo la mia nascita avevamo girato un po' per il mondo, praticamente nei miei diciassette anni di vita avevo vissuto nella maggior parte dei paesi dell'Europa e in molti altri al di fuori di questa.

Mio padre era un ambasciatore e per questo io, lui e mia madre eravamo costretti a girare il mondo. Quando avevo sei anni mia madre però si ammalò gravemente: le venne diagnosticato il morbo di Parkinson, lei aveva soli trent'anni e il suo destino era stato già scritto. Partimmo verso l'America, andando in una delle cliniche migliori specializzate in questa malattia, presentata in pazienti giovani. Restammo a Los Angeles per due anni, stando vicino a mia madre che nel frattempo peggiorava in maniera incontrollabile. L'ultimo anno mia mamma fu attaccata da una brutta polmonite che quasi la uccise, così quando ormai la situazione era incontrollabile, fu spostata in una casa di riposo per malati terminali in campagna, lontana da tutti i rumori della città, lontana da tutta la vitalità che stava scomparendo da lei. I medici ci avevano detto che non le restavano più di due anni e che aria pulita e silenzio le avrebbero facilitato il passaggio, così restammo lì con lei, in attesa che la morte se la portasse via. Nell'ultimo periodo ricordo soprattutto il suo sguardo vuoto, spento quando vedeva me o mio padre: non ci riconosceva, non sapeva chi eravamo. I medici ci avevano avvertito di questa possibilità, la sua memoria non sarebbe più stata la stessa. Così io e mi padre ci fingevamo volontari, medici o infermieri. Non volevamo riempirle la testa di informazioni e farla stancare ulteriormente.

Poi, dopo quasi un anno che era in quella casa, lei se ne andò. Si spense di colpo, andandosene nel sonno. Semplicemente il suo cuore smise di battere, i dottori dissero che non aveva sofferto, che Dio era stato gentile a darle una morte così veloce e silenziosa… ma io non capivo, non capivo perché a soli nove anni Dio avesse voluto punirmi e portarmi via mia madre.

Riuscivo ancora a ricordare la sua stanza, una finestra coperta da una tenda verde menta era sempre aperta, così che mia madre dal suo lettino in legno potesse sempre vedere il cielo azzurro, le nuvole, le distese di verde e soprattutto il sole. Lei amava sentire il calore dei raggi sulla sua pelle, quando questo era abbastanza forte lei adorava sedersi sulla sedia a dondolo di fianco alla finestra e stava lì ore, con gli occhi chiusi e beandosi di quel calore. Anche se non si reggeva in piedi non voleva che le fosse portato via quell'unica fonte di piacere. Io e mio padre stavamo sullo stipite della porta, ad osservare la sua pelle bianca essere illuminata, i suoi capelli biondi che con i raggi del sole sembravano dorati e le sue labbra pallide socchiuse. Era bellissima, la donna più bella che avessi mai visto.

Dopo la sua morte mio padre volle ritornare a casa, in Italia. Era così stanco di viaggiare e aveva bisogno di riprendersi, lei era l'amore della sua vita. Stavano insieme da quando avevano solo dodici anni, era stato amore a prima vista. Mio padre mi raccontava sempre del loro primo incontro: era il suo primo giorno di scuola alle medie e non conosceva nessuno, si era seduto in un banchetto in fondo alla classe mentre tutti gli altri bambini iniziavano a parlare tra loro. Dopo poco una bambina lentigginosa si avvicinò a lui, sorridendogli. Lui rimase estasiato dalla sua bellezza, i capelli dorati raccolti in due treccine, il suo sorriso, le sue lentiggini. Gli si presentò, porgendogli una caramella, e da quel momento divennero inseparabili. Dove c'era Elia vi era anche Cristina e presto si resero conto che il loro non era solo un rapporto di amicizia. Si erano sposati a ventidue anni e due anni dopo arrivai io, la gioia dei loro occhi.

Non avevo molti ricordi felici di quei due anni a Milano, anzi, non ne avevo nessuno. Avevo solo nove anni e avevo appena perso mia madre, conoscevo poco la lingua, e quel poco che sapevo era grazie a lei che si ostinava a parlarmi in italiano, dicendo di non voler farmi perdere le mie origini, e in più mio padre era sempre rinchiuso all'ambasciata: non avevo nessuno. A scuola non riuscii mai ad integrarmi con i miei compagni, la gente mirava sempre ad essere migliore in tutto e, anche se solo bambini, erano tutti falsi e menefreghisti. Pregai mio padre di traferirci di nuovo e di ritornare magari in Germania, o in qualsiasi altro posto, e finalmente, dopo due anni tremendi, fui accontentata. Andammo in Svizzera dove restammo per un anno, poi andammo in altri continenti fino a due anni fa, quando ci trasferimmo a Tokyo.

Adorai il Giappone fin da subito per la sua cultura, la sua organizzazione, le sue persone. A scuola non ebbi nessun problema ad integrarmi, anche perché mi ero inscritta in una scuola internazionale, dove ebbi l'occasione di incontrare diverse persone dalle varie culture e dai vari paesi, molti dei quali avevo visitato. Ma anche questi due anni passarono in fretta, mio padre aveva deciso che non appena avessi terminato il mio penultimo anno ci saremmo trasferiti, di nuovo. E oggi era l'ultimo giorno di scuola.

Non avrei detto niente ai miei compagni, odiavo gli addii. Non sarei neanche andata se non fosse stato per Martha, una ragazza greca, e Anita, che veniva dal Vietnam. Le volevo vedere per un'ultima volta, loro erano state le mie uniche vere amiche in tutti quegli anni, e sapevano che quello sarebbe stato il mio ultimo giorno, ma avrebbero mantenuto il segreto.

Il primo giorno di scuola ero così spaesata… mi ero persa nei corridoi della scuola non riuscendo a trovare la classe. Mentre correvo, essendo in ritardo, sbattei contro Martha, cadendo entrambe come due pere. Anche lei come me era nuova e aveva il mio stesso corso, così dopo esserci fatte due risate mi alzammo in piedi e finalmente riuscimmo a trovare l'aula. Anita la conoscemmo qualche giorno dopo, in mensa. Era seduta sola, essendo molto timida, così io e Martha ci avvicinammo, sedendoci con lei. Da quel momento eravamo diventato un trio inseparabile.

Quando suonò l'ultima campanella, ci abbracciammo forte, promettendoci di sentirci almeno una volta alla settimana, e speravo davvero che tutto ciò potesse accadere, ma sapevo che la cosa sarebbe durata poco.

 

Tornai a casa, trattenendo le lacrime. Aprii la porta di casa entrandovi e iniziando a fare un ultimo giro, prima di lasciarla del tutto. Era stato l'unico posto degno di essere chiamato casa, per me questa lo era stato più di qualsiasi altro posto.

I teloni coprivano i mobili rimasti, le finestre erano sbarrate e vi erano cartoni pieni di roba, che avremmo lasciato lì, ovunque. Mio padre era partito qualche giorno prima per cercare una nuova casa in cui stare per i prossimi anni ed io lo avrei raggiunto in seguito, con le ultime valigie. Mi scese una lacrima: questa era davvero la fine di quel poco di felicità che avevo trovato.

Il campanello bussò forte, riportandomi alla realtà: un uomo sulla quarantina, vestito in giacca e cravatta e con un berretto d'autista si piazzò di fronte a me, inchinandosi come era solito per i giapponesi salutare. Ricambiai anch'io, inchinandomi leggermente e facendolo entrare in casa. Gli porsi le ultime valigie che avevo con me, che lui afferrò con le sue mani coperte da guanti neri in pelle, e ci avviammo verso la limousine posteggiata nel vialetto di casa. Mi girai un'ultima volta, cercando di memorizzare più dettagli possibili dell'ingresso, delle scale che portavano al piano superiore, dei divani… poi richiusi la porta alle spalle, sospirando: avrei dovuto ricominciare tutto d'accapo.

 

 

 

Eccomi qui con una nuova storia!

Spero che vi piaccia e intrighi, così come sta divertendo me a scriverla!
XX

-R

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


L'autista mi accompagnò all'aeroporto, aiutandomi con le valigie che imbarcammo. Poi mi scortò verso la sala d'attesa per i "vip", facendomi superare i controlli velocemente, e andandosene, dandomi il suo saluto con un inchino. I giapponesi erano tutti così cordiali e rispettosi… anche se devo ammettere che l'inchino all'inizio mi aveva imbarazzato. Ma poi avevo capito che per loro era un'usanza normale, anzi era più offensivo non accettarlo, e così anch'io avevo iniziato a farlo.

Mi sedetti in uno di quei divani dall'aria molto chic e sicuramente anche costosa, guardandomi intorno: la sala era enorme, con una trentina di divanetti e poltrone tutte del medesimo blu notte e tutte in velluto; le pareti avevano una delicata carta da parati con delle rifiniture in oro e dei quadri appesi con una simmetria perfetta rappresentavano dei disegni astratti, i cui colori richiamavano quelli dell'intera sala. Dal soffitto scendevano tre eleganti lampadari, sempre in oro, che illuminavano la sala, e i pavimenti, in marmo bianco, riflettevano la luce creando dei giochi magnifici. Le tende aperte mostravano la città, ormai il sole era calato e tutta Tokyo era illuminata dalle luci, rendendo lo spettacolo mozzafiato.

Non avevo ancora avuto il coraggio di guardare il mio biglietto, non volevo sapere dove avrei dovuto passare i prossimi due/tre anni della mia vita… ma il tempo stava per scadere: l'autista mi aveva riferito che il mio volo sarebbe partito alle 19.35 ed erano le 18.50.

Mi feci coraggio, sfilandomi dalla tasca del giubbino il biglietto aereo e leggendo la meta: Vienna.

Avevo sempre desiderato andarci… era una città magnifica, con quei palazzi ricchi di storia.

Chissà però se sarei riuscita ad integrarmi… avrei dovuto terminare l'ultimo anno di liceo, poi chissà. Non sapevo davvero cosa aspettarmi, sicuramente la gente non sarebbe stata come quella di Tokyo ma speravo che non fosse neanche come quella di Milano… in quel caso penso che me ne sarei tornata indietro senza battere ciglia. Il mio telefono vibrò dalla tasca dei pantaloni così lo afferrai: era un messaggio di Anita.

 

  • Buon viaggio, amica mia. Ti auguro davvero il meglio e spero tanto di non perdere i rapporti con te… già ci manchi, sia a me che a Martha. Quest'ultimo anno non sarà lo stesso senza di te… ti vogliamo bene,

Le tue amiche

 

Sorrisi, mentre una lacrima silenziosa scendeva sulla mia guancia. Stavo per rispondere quando una voce al megafono catturò la mia attenzione

 

"Si pregano i signori passeggeri del volo AY 0968, diretto a Vienna, di recarsi al Gate 24. Stiamo per iniziare l'imbarco"

 

Lo stesso messaggio venne ripetuto in almeno cinque lingue diverse, alcune poco riconoscibili, altre invece un po' più familiari. In questi due anni avevo imparato poco e niente del giapponese… era una lingua estremamente complicata e infatti di quelle semplici parole ero riuscita a captarne solo qualcuna. Misi via il telefono, decidendo che avrei risposto dopo, non appena salita sull'aereo. Mi aspettavano quasi due giorni di volo.

Uscii dalla sala vip, trascinando il borsone di Louis Vuitton, regalatomi da mio padre, con le cose per il viaggio e mi iniziai a dirigere verso il gate. L'aeroporto era davvero enorme, con gente che correva a destra e a manca, eppure io ci stavo bene lì, immersa da tutte quelle culture così diverse. Ho sempre amato gli aeroporti, così pieni di gente che va e viene, perone da tutto il mondo, con le loro abitudini e con le loro usanze.

Mi incamminai, cercando di non farmi trascinare dal flusso di gente e cercando il gate. Dopo dieci minuti finalmente lo trovai così mi misi in coda, aspettando che le hostess iniziassero a fare i controlli necessari per farci accedere all'aereo.

Una persona dietro di me iniziò a chiacchiere animatamente al telefono, parlando in italiano. Forse pensava che così facendo nessuno lo avrebbe capito, eppure la sfiga volle che quella fosse la mia lingua madre, anche se era piuttosto arrugginita. I due anni a Milano e tutte le lezioni di mia mamma mi avevano aiutato, ormai la padroneggiavo abbastanza bene, anche se non la parlavo da anni. Con mio padre parlavo sempre in inglese, lui si era rifiutato di parlare nella nostra lingua di origine dopo la morte della mamma, anche a Milano. Non c'era stata una volta per cui lui avesse parlato in italiano.

 

"Ei amico!"

 

Dalla voce sembrava un ragazzo, forse mio coetaneo o poco più grande. Parlava così forte che era impossibile non sentirlo

 

"Derek, non puoi capire. Tokyo è meravigliosa"


Una risata fragorosa gli uscì dalla bocca. Una risata non divertita, direi più sadica o non saprei come identificarla…

Continuai ad origliare, anche perché era impossibile non sentirlo

 

"Ma che! Ti pare che mi sono messo a fare il turista? Beh si, ho visto un bel po' di 'monumenti'. Ho avuto modo di… entrare MOLTO a contatto con la cultura del luogo… soprattutto con la gente devo dire"

 

Altra risata, ma di che diavolo stava parlando? Mi girai leggermente per poter attribuire un volto a quella voce. Non lo avessi mai fatto. Un ragazzo alto e ben piazzato stava poggiato sul manico della sua valigia Gucci, il suo braccio piegato per tenere il telefono mostrava il suo muscolo e dalla t-shirt fuoriuscivano vari disegni neri, oltre i due pettorali gonfi che si potevano tranquillamente vedere dalla maglietta bianca, firmata Prada. I capelli neri corvini erano tirati indietro in maniera naturale, i bordi rasati e la chioma mossa. Quando si accorse che lo stavo fissando con la bocca mezza aperta, si girò mostrandomi i suoi occhi dalle ciglia lunghe. Quelli erano gli occhi più belli che avessi mai visto, di un verde bosco così profondo… avrebbero potuto tenermi lì incollata, mandandomi in un mondo del tutto nuovo. Era di una bellezza spiazzante.

Mi sorrise, facendomi l'occhiolino e risvegliandomi dai miei pensieri. Mi voltai di scatto, scuotendo la testa e cercando di riprendermi da quell'ondata di calore che aveva invaso la mia faccia. Probabilmente ero diventata più rossa di un pomodoro.

Continuò a parlare al telefono, non prestandomi tanto caso ma potevo sentire il suo sguardo bruciare sulla mia nuca.

 

"Le giapponesi ci sanno proprio fare devo dire… quella lingua la usano… in maniera egregia, oserei dire. Sembrano tanto suore all'esterno… ma fidati, sono tutt'altro. Ora devo andare, Der, il dovere chiama"

 

E riattaccò, probabilmente senza dare il tempo all'amico di replicare. Se prima lo trovavo un ragazzo affascinante, ora, con quelle poche parole, mi aveva scatenato solo ribrezzo. Avrei dovuto capirlo prima, un ragazzo così bello non poteva che essere un puttaniere. Andare a Tokyo solo per una bella scopata. Mi faceva davvero schifo. C'era così tanto da vedere… e lui pensava a QUELLO.

Sentii un colpetto di tosse e una presenza accanto a me. Sul pavimento, oltre le mie Chanel beige (sempre regalate da mio padre, che credeva di compensare la mancanza di mia mamma ricoprendomi di regali costosi), vi erano anche un paio di Alexander Mcqueen. Alzai lo sguardo, ripercorrendo quel fisico perfetto fino a rincontrare il suo viso che mi osservava ammaliante. Alzai un sopracciglio, senza dire niente. Perché si era messo accanto a me?

Parlò in inglese, pensando probabilmente che non lo avessi capito prima, quando parlava in italiano

 

"Piacere, sono Stefan. Ma tu puoi chiamarmi Stef"

 

Mi porse la mano, sorridendomi sfacciatamente e mostrandomi la sua dentatura perfetta. Rimasi interdetta, nonostante la sua innegabile bellezza. Tutto il fascino che aveva esercitato un momento prima non mi faceva più effetto.

Vedendo che il mio sopracciglio rimaneva alzato e la sua mano continuava ad essere tesa, senza che io la stringessi, la ritirò schiarendosi la voce. Probabilmente non era abituato a qualcuno che non gli cadesse subito ai piedi. Spostai lo sguardo allo schermo appeso al volo. Merda. C'era scritto che l'imbarco era stato ritardato. Roteai gli occhi al cielo, incrociando le braccia e sbuffando. Lui, che ancora non si era tirato indietro, fece una risatina, non mollando la presa

 

"Di dove sei? Una bellezza come la tua è rara qui in Giappone…"

 

Ma chi si credeva di essere? Era così stressante e fastidioso. Stavo per sbottargli addosso quando riaprì quelle sue labbra carnose e rosee, parlando di nuovo

 

"Facciamo così. Se indovino… mi darai il tuo numero. Se invece dovessi perdere… ti farai offrire un cocktail, in aereo. Sarà un viaggio lungo… un compagno di viaggio potrebbe farti comodo… soprattutto la notte"

 

Disse ammiccando e portandosi la lingua fra i denti, sorridendo sornione. Io sgrani gli occhi, incredula. Ma per chi diavolo mi aveva presa?! Mi girai, fulminandolo con lo sguardo. Se solo i miei occhi avessero potuto uccidere… in quel momento sarebbe ridotto come un mucchio di cenere.

Decisi di rispondere, in inglese.

 

"Senti, non so se questa tecnica da gatto morto ti aiuta a conquistare le tue povere prede… ma con me non attacca"

 

Lui mi guardò confuso, probabilmente non aspettandosi un rifiuto… né tanto meno il 'gatto morto'. Ma tuttavia rimase lì, imperterrito. Prima che potesse riaprire bocca, lo zittii parlando in italiano sta volta

 

"E ho capito perfettamente tutto prima, durante la chiamata. Mi fai veramente pena"

 

Il gate finalmente aprì facendo scorrere la fila, così lo sorpassai, passando il mio documento all'Hostess ed entrando nel corridoio che portava all'aereo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Non appena entrai nell'aereo un uomo, in giacca e cravatta, probabilmente un concierge, mi prese la valigia, scortandomi verso la mia stanza. Mio padre aveva insistito a darmi una cabina lusso, il che era alquanto ridicolo. Odiavo ostentare la nostra ricchezza, detestavo quando mio padre tornava a casa con un'ultima edizione di Valentino, o altro. Non volevo che lui spendesse tutti quei soldi per me, ma quello lo rendeva così felice che era impossibile dirgli di no. Ogni volta che scartavo i suoi regali mi sembrava come un bambino in attesa di ricevere un dolce, gli occhi luminosi e le mani che battevano impazienti. Ed io ogni volta mi fingevo felice per quel maglioncino Chanel o per quella borsa Hermes; non volevo farlo dispiacere e renderlo triste.

Il concierge mi aprì la porta della stanzina dove avrei passato le prossime ore. Un piccolo letto era posizionato sotto l'oblò e una sedia in pelle nera era messa accanto ad esso con un piccolo televisore di fronte. Il tutto era illuminato da dei led posizionati intorno la parete.

Posò la borsa su un comò accanto l'ingresso e dopo avermi detto che il bagno si trovava nel fondo del corridoio se ne andò, richiudendosi la porta alle spalle.

Mi distesi sul letto, togliendomi i tacchi che mi stavano uccidendo i piedi. Avevo decisamente sbagliato a mettere quelle scarpe, anche se avevano il tacco squadrato e non troppo alto, erano davvero scomode. E a pensare quanto mio padre le aveva pagate...

Dopo poco l'aereo partì, sollevandosi alto nel cielo, lontano dalle luci di Tokyo; restai lì, immobile, con una mano posata sulla piccola finestra, vedendo la mia città essere inghiottita dal buio.

Un piccolo brontolio mi fece ricordare che ormai era ora di cena; rimasi ancora per qualche momento ferma a fissare il buio che mi circondava, per poi scuotere la testa e afferrare il telefono. Ancora il messaggio di Anita lampeggiava sullo schermo. L'uomo che mi aveva accompagnato alla stanza mi disse che sul volo era possibile l'uso del Wi-Fi, così mi attaccai alla rete dell'aereo, rispondendo al suo messaggio:

 

  • Mi mancate tanto anche voi…

Mentre ero al gate un ragazzo voleva attaccare bottone con me… devo dire che era proprio bello… peccato che fosse veramente un cretino

 

Inviai il messaggio, rimettendomi le scarpe e guardandomi nello specchio appeso alla porta d'uscita. Il vestito beige lungo dalla gonna larga nascondeva il mio fisico leggermente in carne ma slanciato, i capelli dorati, che avevo preso dalla mia mamma, cadevano mossi sulla schiena, raccolti in una coda con un foulard a fantasia, che richiamava il beige del vestito e delle scarpe, e con il nero, che era sulla punta delle scarpe. Allisciai il vestito, cercando di stirare il più possibile le pieghe formate sulla gonna che arrivava un po' sopra le caviglie, e rimisi apposto le ciocche di capelli che erano scappate dalla coda bassa. Aprii la borsa, cacciandone fuori la trousse di trucchi. Applicai un po' di mascara sulle ciglia lunghe che mi incorniciavano gli occhi color miele, presi da mio papà, e poi stesi un po' di blush, ridando colore alle mie guance. Le lentiggini, che da piccola erano molto accentuate, mi ricoprivano il naso, percorrendo le gote, e dandomi un aspetto quasi da bambina. Mi ricordavano tremendamente la mia mamma, da piccola mi piaceva stare in braccio a lei e contarle… una mano involontaria raggiunse la mia guancia, sfiorandola. Certe volte rivedevo lei nello specchio, molti mi dicevano che ero la sua fotocopia. A volte papà non riusciva neanche a guardarmi, le ricordavo troppo lei.

Un altro brontolio mi fece risvegliare dai miei pensieri. Sorrisi tristemente allo specchio, uscendo dalla cabina e dirigendomi verso il ristorante del Boeing.

Percorsi il corridoio fino ad arrivare ad una sala con un bar al centro, doveva servivano alcolici.

 

"Scusi"

 

Chiesi al cameriere biondo dietro il bancone, lui mi sorrise

 

"Potrebbe indicarmi il ristorante?"

 

Lui mi mostrò i denti, ampliando il sorriso, e annuendo

 

"Certamente, signorina! Imbocchi il corridoio sulla destra e continui dritto, il ristorante sarà sulla sua sinistra"

 

Gli sorrisi, ringraziandolo con un cenno del capo. Ma prima che potessi andarmene richiamò la mia attenzione

 

"Ehm… le andrebbe se le offrissi un cocktail, dopo la cena? Sempre se ha tempo…"

 

Lo guardai, era molto in imbarazzo. Le guance gli si erano colorate di rosso e aveva la mano dietro la nuca, grattandosi il collo. Era poco più grande di me, ma comunque mi sembrava un bravo ragazzo.

 

"Certamente, ti ringrazio. Ma solo se mi darai del tu"

 

Dissi, intenerita dal suo imbarazzo. Odiavo aver dato del 'lei', ero solo una ragazzina…

Il suo sguardo si illuminò non appena accettai l'offerta

 

"La- ti ringrazio molto!! Beh… allora a dopo"

 

Così mi incamminai, seguendo le sue indicazioni e ritrovandomi dopo poco nel locale del ristorante. Tutto in questa parte dell'aereo era così sofisticato… il piano era riservato interamente alla 'classe alta' e avevamo il personale al nostro servizio per tutto il giorno e per tutta la notte.

Un uomo, vestito in modo impeccabile con tanto di guanti bianchi, mi aprì la porta vetrata, permettendomi l'accesso. Una donna, vestita anche lei di tutto punto, mi venne incontro, con un sorriso cordiale

 

"Signorina Fiore, la stavamo aspettando. Suo padre le ha fatto riservare un tavolo. Prego, mi segua"

 

Annuii, ringraziandola e iniziando a seguirla. Mi fece accomodare in un tavolo attaccato alla vetrata dell'aereo, da cui potevo vedere il cielo buio e qualche luce fioca, di qualche città lontana.

Ordinai un secondo di carne che non tardò ad arrivare e lo mangiai lentamente, fissando il vuoto di fronte a me. Sentii una sedia spostarsi così mi girai, rincontrandomi con quei due occhi che mi avevano stregato tanto. Di nuovo lui.

 

"Che fai? Mi segui?"

 

Inarcai il mio sopracciglio, incrociando le braccia al petto. Era proprio impertinente con quel sorrisetto strafottente

 

"No, mi dispiace deludere le tue aspettative. Devo andare"

 

Mi alzai, lasciando l'ultimo pezzo di carne nel piatto. Mannaggia a te, non ti conoscevo neanche ma già non ti potevo più vedere.

Non mi girai neanche a guardare la sua espressione, ma riuscii a sentire comunque quello che disse

 

"Nessuno mi resiste. Vedrai, anche tu cadrai ai miei piedi"

 

Non amavo usare le parolacce, ma quando ci vuole ci vuole. Che gran testa di cazzo che era…

Strinsi i pugni, avviandomi verso l'uscita, dopo aver pagato.

Non appena fui fuori mi ricordai del ragazzo che mi aveva offerto un drink. Era proprio quello di cui avevo bisogno, anche perché mio padre non c'era e avrei potuto bere tranquillamente. Così senza troppi pensieri mi diressi a passi svelti verso il bar, cercando di ricompormi durante la strada. Non appena il ragazzo mi vide, sorrise a trentadue denti, sorpreso; forse non si aspettava che sarei andata.

Il bar era vuoto, forse per l'ora, così mi accomodai nello sgabello centrale, di fronte il biondino che mi guardava compiaciuto. Mi porse un cocktail rosastro con una ciliegia all'interno

 

"Io sono Louis, molto piacere"

 

Mi disse porgendomi la mano e mettendomi il drink d'avanti

 

"Sofia, ma puoi chiamarmi Sophie"

 

Gli strinsi la mano, sorridendo. Presi il bicchiere, facendo attenzione a non rovesciarmi il liquido addosso, sotto i suoi occhi azzurri che mi guardavano in attesa. Era davvero molto buono e dolce, sapeva di fragole e zucchero. Non lo avevo mai bevuto ma era rientrato nella mia top five.

 

" Sofia, non ti hanno mai detto di non accettare niente dagli sconosciuti?"

 

Strabuzzai gli occhi, affogandomi quasi con il liquido e rovesciandomene un po' sul vestito che si macchiò all'istante. Iniziai a tossire compulsivamente per non strozzarmi ulteriormente e vedendo lo sguardo di Louis vagare tra me e il ragazzo dietro mi calmai prendendo ampi respiri. Mi girai a guardarlo, vedendolo appoggiato alla porta del corridoio che mi guardava con un sopracciglio alzato e uno strano sorrisetto.

 

"Mi fa piacere che io ti faccia questo effetto, Sophie"

 

Il mio nome uscì da quelle labbra in modo così soffice, come un soffio di vento. Quasi rabbrividii

 

"Cosa vuoi?"
 

Lui sorrise avvicinandosi. Vedendo il mio sguardo preoccupato, il biondo decise di intervenire

 

"Non credo che la sua presenza sia gradita, signore…"

 

Stefan si bloccò di colpo, guardandolo con un ghigno, per poi riprendere a camminare imperterrito

 

"Invece io non credo che il tuo capo voglia sapere che hai servito alcolici ad una minore… Sparisci"

 

Louis sgranò gli occhi, guardandomi.

 

"S-sei… minorenne?"
 

Lo guardai, mordendomi il labbro. Colpevole.

 

"S-si, ma non ti preoccupare. Questo stronzo non dirà niente a nessuno. Tranquillo"

 

Cercai di riparare la situazione

 

"M-mi dispiace, signorina. Ma le devo chiedere di allontanarsi dal bar"

 

Disse prendendomi il drink, ancora pieno, dalle mani e svuotandolo in un piccolo lavabo nascosto dietro il bancone.

 

"Avanti, Sophie. Ti riaccompagno in stanza. È ora di andare a nanna"

 

Quel ragazzo stava davvero urtando il mio sistema nervoso. Non erano passate neanche quattro ore e già avrei voluto essere da qualsiasi parte del mondo. Anche Milano mi sarebbe andata bene, pur di non stare con lui. Avrei passato il resto di tutto il viaggio nella mia cabina se sarebbe servito a non doverlo più vedere.

Mi alzai dallo sgabello, salutando con un cenno del capo Louis, che aveva il viso abbassato per non incontrare il mio sguardo, e mi diressi verso la mia camera. Con lui alle calcagna. Non appena arrivai nella mia stanza, mi girai ritrovandomelo di fianco.

 

"Cosa diavolo vuoi da me ancora? Non ti è bastato rovinarmi la serata? E poi come fai a sapere che sono minorenne?"

 

Lui si appoggiò con nonchalance alla parete, guardandomi e alzando le spalle

 

"Ho la stanza di fronte alla tua. Qualcosa mi fa pensare che tu l'abbia fatto di proposito di scegliere questa… che ne dici?"

 

Disse sorridendomi maliziosamente e ammiccandomi. Avrei tanto voluto rovinargli quel bel visino che si ritrovava. Perché i maschi dovevano essere tutti senza cervello? E poi? Porca miseria… era la mia rovina. Aveva la camera di fronte la mia. Era ufficiale: sarei rimasta rinchiusa nella cabina per l'intero viaggio. Non sarei neanche andata in bagno pur di non vederlo più.

 

"Non hai risposto. Come sai la mia età?"

 

Lui sorrise sornione, frugandosi nelle tasche e uscendone un passaporto.

 

"Sofia Fiore, devo dire che è molto carina questa foto"

 

Disse girando il documento e mostrandomi la MIA foto. Quello era il mio passaporto. Sgranai gli occhi

 

"D-dove lo hai trovato? Ladro!"

 

"Calma, calma, calma. Lo hai lasciato sul tavolo del ristorante"

 

Merda. Pur di fuggire da lui avevo dimenticato il mio documento

 

"Ridammelo"

 

Dissi cercando di afferrarlo, ma lui era decisamente più alto di me. Con un movimento svelto mi bloccò contro la parete, bloccandomi le vie di fuga con le sue braccia

 

"Lo vuoi riavere?"

 

Era così vicino che potevo sentire il suo respiro caldo sul mio collo e il suo profumo, il suo odore di vaniglia e cannella. Mi bloccai per un secondo, perdendomi in quelle due gemme che aveva al posto degli occhi. Ora che lo osservavo da vicino mi ero accorta delle due fossette ai lati della bocca. Era mozzafiato.

Quando si rese conto dell'effetto che mi faceva ne approfittò per avvicinare il suo viso al mio, i nostri nasi quasi si sfioravano. Fu come uno scossone che mi risvegliò da quell'incantesimo. Lo spinsi indietro con tutta la forza che avevo, riuscendolo a spostare di poco ma il giusto per liberarmi da quella morsa ed entrare nella mia stanza, chiudendomi la porta alle spalle. Mi poggiai addosso a quella, cercando di regolarizzare il respiro. Il mio cuore batteva ad una velocità anormale, le guance rosse e calde, brividi in tutto il corpo… ma che?? Mi dovevo dare un contegno, non era possibile. Da dietro la porta sentii una risata

 

"Se lo vuoi indietro, domani vieni a pranzo con me. Sarò qui davanti all'una puntuale. Mettiti qualcosa di carino"

 

Detto questo sentii un'altra porta chiudersi. Porca miseria.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 

Dovevo assolutamente andare in bagno… così mi alzai dal letto e infilai la vestaglia in seta azzurra, coprendo il pigiama coordinato composto da pantaloncino e canottiera. Socchiusi la porta, notando con piacere che la sua stanza era chiusa e il corridoio sgombero. Corsi con passi felpati verso il bagno a fine corridoio, che in quel momento sembrava lontanissimo. Non appena vi entrai chiusi la porta, tirando un respiro di sollievo. Quel bagno era tra i più belli che avessi mai visto, tutto in oro con i sanitari neri. Vi era persino una doccia e un mobiletto con asciugamani dalle taglie più svariate. Mi sciacquai la faccia, lavandomi anche i denti. Non appena finii riaprii la porta con più tranquillità: erano le tre del mattino e dormivano tutti in quell'aereo, anche se da quanto avevo visto, era praticamente vuoto. Mi girai, chiudendomi la porta alle spalle, cercando di fare il meno rumore possibile

 

"Che ci fai in piedi a quest'ora?"

 

Sgranai gli occhi. Era una persecuzione. Poggiai la testa alla porta, disperata

 

"Mi lascerai mai in pace?"

 

Sussurrai, tenendo la fronte premuta sulla porta

 

"Mh… no. O almeno, non fin quando non avrò ottenuto quello che voglio"
 

Mi girai, guardandolo malamente. Era senza maglietta. Mio dio. I suoi addominali, i suoi pettorali. Riuscivo a vedere i suoi lineamenti nella penombra delle luci fioche provenienti dai led appesi al tetto del corridoio. Aveva più tatuaggi di quelli che mi aspettavo: la spalla sinistra era piena di piccoli e grandi disegni, tra cui riconobbi una rosa e un drago che gli si attorcigliava lungo il braccio, sopra il gomito. Il busto era altrettanto colorato: due rami di palma erano disegnati sopra i suoi fianchi, seguendo la linea V che finiva sotto i suoi pantaloni di tuta messi fin troppi bassi; una scritta invece gli metteva in evidenzia il pettorale destro, ma non riuscii a decifrarla, c'era troppo buio. Dovevo andarmene subito, stavo per perdere ogni freno inibitorio

 

"Bene, allora potrai aspettare"

 

Lo superai con una spallata per tornare in stanza. Ma prima di fare un altro passo, mi girai

 

"Tienitelo pure il documento, probabilmente è l'unica cosa che avrai di me"

 

Lui sorrise leccandosi le labbra e squadrandomi da testa a piedi

 

"Questo pigiama è molto… sexy"

 

Abbassai lo sguardo, notando che la vestaglia si era slacciata lasciando vedere le mie gambe e le curve del mio seno, coperto da quella stoffa leggera e sottile. Mi ricoprii velocemente, riallacciando la vestaglia e incrociando le braccia davanti al seno.

Mi girai e continuai a camminare velocemente, sentendo lui dietro di me che se la rideva

 

"All'una pronta! E magari rimettiti questo completino… ti sta molto bene, tesoro"

 

Iniziai a correre, arrivando in camera e chiudendomi la porta alle spalle. Mi buttai sul letto soffocando le mie urla di frustrazione sul cuscino. Lo odiavo!!!

Dopo circa venti minuti passati a tirare pugni e grida contro il mio povero cuscino, mi addormentai.

 

Una luce debole mi fece risvegliare. I raggi del sole entravano dall'oblò posto sopra il letto. Amavo vedere l'alba, per questo non avevo chiuso la tapparella. Era un modo per ricordarmi di mia mamma, lei si alzava sempre un po' prima per ammirarla con un caffè rovente tra le mani; da quando se n'era andata anch'io avevo preso questa abitudine, in una qualche maniera mi faceva sentire vicina a lei.

Rimasi per qualche minuto seduta sul letto, con le gambe rannicchiate e lo sguardo puntato verso fuori, con il sole che piano piano saliva alto in cielo. Poi mi alzai, andando a lavarmi e portandomi un cambio.

Per fortuna non incontrai nessuno di sconveniente, tranne una signora sulla cinquantina che entrò nel bagno di fianco al mio e mi sorrise cordiale. Ritornai in camera, posando il pigiama nella valigia. Mi specchiai, applicando del correttore sulle occhiaie dovute alle poche ore di sonno e del mascara sulle ciglia. Avevo indossato un abitino color panna con le maniche a farfalla di Twinset, che arrivava poco sopra il ginocchio, e ai piedi degli stivali Givenchy in pelle nera alti. Misi un po' di rossetto rosso sulle labbra e uscii, prendendo il libro che stavo leggendo: Madame Bovary, di Gustave Flaubert. Una lettura non proprio leggera, ma comunque molto interessante.

Uscii in corridoio dirigendomi al ristorante, dove si sarebbe tenuta la colazione. Al bar non c'era Louis, ma una ragazza dai capelli castani che mi diede il buongiorno con un sorriso, a cui ricambiai.

Al ristorante mi sedetti al solito posto e subito mi immersi nella lettura, sorseggiando un buon cappuccino che nel frattempo mi era stato servito.

Ero così assorta nella lettura da non sentire la sedia spostarsi

 

"Non capisco perché a voi donne piacciano tutti questi libri così… deprimenti"

 

Abbassai il libro, trovando il mio incubo peggiore che mi guardava con il viso tenuto tra le sue mani, sorretto dai gomiti sul tavolo

 

"Io invece non capisco perché voi ragazzi siate tutti così senza cervello"
 

Alzai di nuovo il libro, sperando che ignorandolo se ne sarebbe andato. Ma in tutta risposta lui mi prese il libro dalle mani

 

"Lei alla fine decide di suicidarsi… e facendo così vuole passare solo dalla parte della vittima. Quando invece è stata tutta colpa sua. Non trovi sia abbastanza ridicola? Bastava cedere…"
 

Non ero sicura che l'ultima parte fosse riferita al libro

 

"Lei si rende conto di aver sbagliato e vuole mettere fine al suo dolore"

 

Risposi socchiudendo gli occhi. Conoscevo bene quel libro

 

"Mh, forse. Ma così facendo fa morire il marito di crepacuore…"

 

Sollevai gli occhi, riprendendomi il libro, strappandoglielo dalle mani.

 

"Vado in camera mia…"

 

Dissi alzandomi dalla sedia

 

"È un invito?"

 

Lo guardai malamente

 

"Ti ringrazio per avermi fatto passare una 'splendida' mattinata"

 

Virgolettai splendida con le dita, per poi girarmi e andarmene

 

"Vedrai il pranzo allora!"

 

Era assolutamente, estremamente odioso.

 

Avrei TANTO voluto non andare a quel dannato pranzo, ma il documento mi serviva… mi specchiai un'ultima volta: avevo indossato un tubino smanicato di Alexander Wang con un cinturino dorato e gli stivali Givenchy. Non so perché avevo indossato un vestito così corto e così carino… era decisamente sprecato, avrei fatto meglio ad indossare una tuta da ginnastica. Quando stavo per cambiarmi bussarono alla porta. Guardai l'ora: era l'una meno dieci.

La aprii, trovandomi il mio incubo poggiato sullo stipite. Una camicia bianca gli fasciava il torace perfetto, lasciando intravedere le macchie d'inchiostro da quanto era sottile, aperta per tre bottoni, mostrando la leggera peluria che aveva sul petto e un ciondolo a forma di croce che scendeva cadendo in mezzo ai pettorali. Aveva dei jeans che gli fasciavano le gambe e ai piedi degli stivaletti in camoscio marroncino. I capelli sta volta non erano tirati indietro ma ricadevano mossi sui suoi occhi.

 

"Anche tu sei uno splendore. Avrai tutto il tempo di ammirarmi a pranzo, andiamo"

 

Che arrogante. Incrociai le braccia al petto, senza muovermi

 

"Il passaporto prima"
 

Lui ghignò sornione

 

"Non sono così stupido. È qui"

 

Disse indicandosi la tasca del jeans sul sedere, che notai essere perfettamente tondeggiante

 

"Quando finiremo il nostro pranzo e riterrò più opportuno lo riavrai. Su forza. Andiamo, ho un certo languorino"

 

Disse toccandosi la pancia. Sollevai gli occhi al cielo, distendendo le braccia ormai sconfitta. Speravo solo che avremmo parlato il meno possibile e che il tempo sarebbe volato.

Sta volta Louis era al bar e non appena ci vide passare abbassò lo sguardo, notando lo sguardo di Stefan.

Arrivati al ristorante io stavo per dirigermi verso il mio solito tavolo, quando il ragazzo mi afferrò il polso

 

"Ho fatto riservare un tavolo più appartato"

 

Disse scuotendo la testa. Ottimo. Di bene in meglio, davvero. Sarei dovuta stare anche isolata con questo pezzo di zulù…

Il cameriere ci condusse in un tavolo a fine stanza, separato dal resto della sala attraverso un separè e ci fece accomodare l'uno di fronte l'altro. Prima di andarsene versò una coppa di champagne ad entrambi e ci diede i menù.

Lo bevemmo in silenzio mentre decidevamo cosa ordinare. Dopo cinque minuti il cameriere arrivò. Decisi di ordinare una sola portata, così da far finire quel supplizio il più velocemente possibile, e decisi anche di prendere la cosa più cara del menù: un'aragosta fatta non so con quale spezia proveniente da qualche paese molto lontano. Sicuramente i soldi non gli mancavano e poi volevo farlo pentire di quella cena…

Quando fu il suo turno, sogghignò divertito

 

"Porti anche a me un'aragosta, poi prendo il caviale, gli gnocchetti con la tartare di gamberi, eh oh. Prendo anche la setteveli, con due cucchiaini. Inoltre gradirei una bottiglia di Cabernet Sauvignon Inglenook"

 

Sorrise al cameriere che aveva iniziato a guardarlo come se avesse due teste. La bottiglia che aveva appena ordinato costava più di diecimila fottuti euro!

Mi sa che non ci avevo concluso niente ordinando una misera aragosta…

Non appena il cameriere se ne andò lui mi iniziò a parlare

 

"Non avrai mica pensato di uscirtene con una sola portata, vero?"

 

Sollevai gli occhi al cielo, sbuffando

 

"Come fai ad essere così fastidioso?"
 

Lui rise, mettendo la lingua tra i denti

 

"Anni e anni di esperienza, tesoro"

 

Roteai gli occhi, sbuffando e procurandogli una risatina. Lo guardai: quando rideva portava sempre la lingua tra i denti, perfettamente bianchi, e due fossette spuntavano ai lati della sua bocca rendendo il suo viso quasi innocente. L'orecchino, un piccolo cerchio argentato, sul lobo sinistro catturò la mia attenzione: ogni volta che lo guardavo notavo sempre dettagli in più. Ci credevo che non avesse mai ricevuto un rifiuto… era capace di stregarti con una sola occhiata. Ma io non ero così stupida come tutte le ragazze che aveva sedotto.

 

"So benissimo a cosa stai pensando"

 

Ghignò e io alzai un sopracciglio in attesa che continuasse

 

"Eh si, non ho mai ricevuto un rifiuto. Ecco perché non perderò le speranze con te, Sofia Fiore. Cadesse il mondo io ti conquisterò"

 

Prima che potessi battibeccare due camerieri arrivarono con i nostri ordini, portandoli in un carrellino dorato e lasciandolo davanti il nostro tavolo. Il cameriere che aveva preso prima l'ordine stappò la bottiglia di vino, riempendo i nostri due calici. Poi Stefan li liquidò con un gesto della mano.

Iniziammo a mangiare silenziosamente. Io cercai di evitare il suo sguardo, che era puntato su di me. Lo sentivo bruciare sulla mia pelle. Non appena finimmo l'aragosta lui ricominciò a parlare, con il suo solito tono arrogante

 

"Come mai Tokyo?"

 

Risposi evasiva, per tagliare il discorso. Era ancora una ferita aperta e non avevo voglia di ripensare alla mia vita lì

 

"Mio padre ed io ci siamo trasferiti lì per lavoro…"

 

Lui annuì

 

"Hai origini italiane? Il tuo nome…"

 

Era un interrogatorio?

 

"Uhm… si. Ho origini Italiane, Milano"

 

Un sorriso, quasi malinconico, comparve sul suo viso

 

"Beh, io ho vissuto a Roma per ben quattro anni della mia vita. Mio padre è un ambasciatore inglese"

 

Perfetto… magari si conoscevano anche

 

"Mhmh, anche il mio"

 

Sussurrai, sorseggiando il vino

 

"Quindi la prossima tappa è Vienna?"

 

Annuii, guardandolo. Questa conversazione stava andando leggermente meglio di prima. Lui sembrava interessato alla mia vita, anche se ero consapevole che era solo una facciata. Un bel sorriso con tanto di fossette apparve sul suo viso

 

"Anche la mia… mi sa che il destino ci vuole dire qualcosa"

 

Ecco di nuovo Mr. Arroganza… evitai di rispondere, guardandolo mangiare le ultime portate in silenzio. Non appena arrivò al dolce lo mise al centro, porgendomi un cucchiaino.

Lo guardai storto

 

"Non dividerò il dolce con te"

 

Lui ghignò

 

"Peccato, non sai quello che ti perdi, mia cara"

 

Sollevai gli occhi al cielo, mentre lui iniziò a gustare la torta facendo uscire forti suoni al quanto compromettenti dalla sua bocca. Lo guardai spalancando gli occhi

 

"Shhh, cosa fai? Ti sentiranno tutti!"

 

Lui ghignò divertito, aumentando il tono della sua voce

 

"Oh. Mio. Dio. Sei pazzesca"

 

"Stefan!!!"

 

Lui ridacchiò

 

"Mangiala con me e la smetterò"

 

"NO!"
 

"Come vuoi"

 

Rispose sussurrando, per poi iniziare quasi a gridare

 

"HAI UN SAPORE COSÌ BUONO"

 

"OKOK! Però stai zitto"

 

Dissi afferrando il cucchiaino e iniziando a mangiare la torta che era davvero buona in effetti. Lui sorrise sotto i baffi

 

"Ottengo sempre quello che voglio"

 

Lo fulminai con lo sguardo. Era così dannatamente arrogante, sfacciato, insopportabile e… dannatamente bello.

Finimmo la torta e poi ci alzammo dopo che Stefan pagò il conto saliente. Poi ci dirigemmo verso le camere e non appena arrivammo mi voltai verso di lui

 

"Bene. Grazie per il pranzo. Ora il passaporto"

 

Dissi tendendogli la mano con il palmo aperto, in attesa di riavere quel dannatissimo documento. Lui rise

 

"Non così in fretta, principessa"

 

Assottiglia gli occhi

 

"Il patto era un pranzo"

 

"Mh, si è vero. Ma non mi sembra che tu abbia tanta voce in capitolo in questo momento"
 

Sbuffai

 

"Cosa vuoi ancora da me"
 

Lui ghignò, avvicinandosi e facendo indietreggiare me fino a farmi toccare con la schiena la parete dell'aereo. Mi mise le mani ai lati della testa, per non farmi scappare iniziando ad avvicinarsi lentamente

 

"Un bacio. E il passaporto sarà di nuovo tra le tue manine"
 

Rimasi lì, immobile. Inchiodata al muro come una cretina che pendeva dalle sue labbra. Il suo viso che piano piano si andava avvicinando… potevo sentire l'odore di cioccolato che proveniva dalla sua bocca, così invitante… ma presi in mano la situazione, risvegliandomi dal torpore. Mi avvicinai al suo volto, notando il suo sguardo all'inizio sorpreso ma poi compiaciuto, e prima che le nostre labbra potessero toccarsi le deviai, stampandogli un bacio sulla guancia

 

"Cos'era questo?"

 

Io alzai le spalle, approfittando del suo momento di confusione per sfuggire alla sua presa

 

"Hai detto un bacio, non hai mica specificato dove"

 

Una scintilla balenò nei suoi occhi. Rise

 

"Sei proprio furba, Sophie. E va bene. Te la darò vinta per sta volta"

 

Si allontanò da me, frugandosi nelle tasche e tirandone fuori il documento. Io mi affrettai a prenderlo, ma prima di poterlo solo sfiorare, lui alzò il braccio in alto, e approfittando del mio avvicinamento con la mano mi afferrò la vita, baciandomi. Rimasi bloccata. Fu un bacio casto, a stampo, ma comunque fu in grado di farmi muovere le interiora. Le sue labbra, anche se per quel breve contatto, erano esattamente come le avevo immaginate: morbide e lisce al tatto, e avevano il sapore di cioccolato, probabilmente dovuto alla torta mangiata prima.

Si staccò, rimanendo comunque così vicino da far sfiorare i nostri nasi e sussurrò

 

"Te l'ho detto. Ottengo sempre quello che voglio"

 

Prima che potessi anche solo muovermi, lui si chiuse nella sua stanza, lasciandomi nel corridoio come una cretina. Deglutii, cercando di stabilizzare il mio respiro e il mio cuore che erano accelerati e portandomi una mano la petto. L'altra stringeva qualcosa: il mio passaporto, con un foglietto all'interno, il suo numero di telefono.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 
Un suono proveniente da un megafono mi fece risvegliare
 
"Signori e signore, si comunica che atterreremo tra circa trenta minuti. Si prega la gentile clientela di iniziare a lasciare le stanze e riunirsi negli appositi punti di sbarco. Vi ringraziamo per aver scelto la Lines Boeing Airplain e speriamo di riavervi presto in uno dei nostri voli."
 
Mi stiracchiai nel letto, guardando fuori dall'oblò: piano piano potevo vedere la terra avvicinarsi e il sole, ancora debole, iniziare a splendere nel cielo. Da lì a pochi momenti avrei cominciato una nuova vita.
Dopo il pranzo mi ero rinchiusa in camera, non uscendo se non per andare al bagno una volta. Quel bacio mi aveva scosso dentro, facendo aumentare il mio battito. Mai nessuno ne era stato in grado, avevo avuto delle relazioni, anche se brevi a causa dei miei continui spostamenti, ma mai nessuno di quei ragazzi era riuscito a farmi sentire così… sopra le nuvole.
Avevo passato l'intero pomeriggio a fissare il soffitto, ripensando a quelle labbra, così morbide e rosee. Mentre ci pensavo le mie dita involontariamente sfioravano la mia bocca, ancora in grado di sentire il suo sapore. Mi sentivo come in un altro universo e non capivo perché… lui era davvero insopportabile, ma nonostante questo mi ero lasciata stregare alla fine. Per fortuna le possibilità di rincontrarlo erano davvero basse…  e anche se questo pensiero da una parte mi rassicurava, dall'altra avrei tanto voluto rivederlo solo per sentire ancora il suo tono arrogante e rivedere quelle due fossette, in cui avrei tanto voluto affondare le dita… ero stata in quello stato confusionale fin quando non mi ero addormentata, in un sonno profondo e senza sogni.
Mi alzai, vestendomi velocemente con un paio di jeans, una maglietta bianca e un tailleur beige, mettendo ai piedi le Chanel. Raccolsi i capelli in uno chignon basso e poi mi truccai velocemente.
Raccolsi tutte le mie cose, guardandomi indietro prima di uscire: il bigliettino con il suo numero era sul comodino accanto al letto.
Ero tentata di prenderlo ma mi autoconvinsi a lasciarlo lì, chiudendomi la porta alle spalle e dirigendomi verso il nostro punto per sbarcare. Avevo deciso di lasciarmi tutto alle spalle, non avevo bisogno di nuovi problemi.
Quando arrivai di lui non vi era alcuna traccia. Tirai un respiro di sollievo, anche se nel profondo avrei voluto vederlo. Era incredibile come si fosse insinuato nella mia testa con tale facilità…
Quando la porta dell'aereo si aprì iniziammo a sbarcare, prima di scendere mi voltai di nuovo cercandolo, fino a quando il mio sguardo non si incrociò con il suo, non molto lontano da me. Tirai un sospiro, prima di girarmi e accodarmi al flusso di gente che usciva.
Non appena arrivai nell'aeroporto notai mio padre con un mazzo di fiori bianchi che mi aspettava sorridente, con accanto il facchino che aveva già caricato tutti i miei bagagli sul carrello. Gli sorrisi, correndogli incontro e non appena fui fra le sue braccia mi sentii di nuovo un po' a casa.
 
"Benvenuta a Vienna, piccola gemma"
 
Disse baciandomi la testa, mentre ancora ero sepolta fra le sue braccia. Mi era mancato il suo profumo.
Papà mi chiamava sempre così da quando la mamma se n'era andata, forse perché ero il suo tesoro più grande…
 
"Grazie papino"
 
Lo guardai sorridente, lui mi porse il mazzo di fiori che io annusai, e poi gli presi la mano, uscendo dalla Hall e dirigendoci verso una Jaguar nera posteggiata di fronte. Il facchino ci seguiva con un po' di difficoltà a spingere il carrello, talmente pieno che sembrava che la pila di valigie potesse collassare da un momento all'altro. Mio padre mi fece accomodare nel sedile posteriore, aprendomi lo sportello, per poi fare il giro della macchina e salire dietro, sedendosi accanto a me. Non appena tutte le valigie furono caricate nell'auto (non so come fecero ad entrare) mio padre allungò una banconota dal finestrino, dandola al facchino, per poi dire all'autista di partire.
 
Le strade di Vienna erano così poco affollate rispetto a Tokyo… lì si camminava ognuno di fianco all'altro, così vicini che le spalle si potevano sfiorare. I palazzi eleganti si ergevano al contrario dei grattacieli di Tokyo, tutti moderni e nuovi; erano due città così diverse… una era ultra moderna, l'altra invece sembrava essere uscita da un documentario storico.
Percorremmo il Danubio fino ad arrivare nelle vicinanze del centro della città. La macchina si fermò davanti un cancello in ferro battuto molto elegante che si aprì dopo che mio padre pressò un bottoncino su un piccolo telecomando. Non appena questo si aprì del tutto la macchina ripartì, entrandovi. Un viale alberato si parò dinanzi ai nostri occhi, con una strada grigia al centro e ai lati due viali alberati con tante ville una di fianco all'altra. Tutto in quella strada era così sofisticato e in ordine, persino i giardinieri che potavano i cespugli che dividevano le varie case, dando un po' di privacy, sembravano essere usciti da qualche rivista: tutti sorridenti, puliti e sistemati. Era tutto così surreale…
Dopo pochi minuti la macchina si fermò dinanzi ad una villetta in fondo la strada: un cancello bianco attorniato da siepi verdi delimitava i suoi confini.
 
"Benvenuta a casa"
 
Mio padre mi sorrise, porgendomi lo stesso telecomando che prima aveva aperto il cancello, e indicandomi il bottone da premere. Appena aperto, la macchina vi entrò, percorrendo una viottola in mattoni bianchi, circondata da un prato inglese. Girò intorno ad una fontana posta al centro per poi fermarsi dinanzi alla casa: un porticato alto con un elegante portone in legno bianco entrò nella mia visuale. Mio papà, che era sceso dalla macchina mentre ero rimasta imbambolata a guardare quella meraviglia, mi venne ad aprire lo sportello, porgendomi la mano e facendomi scendere.
 
"Allora? Che ne dici?"
 
Ero senza parole. Solo l'esterno sembrava un castello, era la casa più bella che avessi mai visto
 
"È stupenda"
 
Gli dissi, facendolo sorridere
 
"Avanti, entriamo. Ti faccio vedere il dentro"
 
Mi mise una mano dietro la schiena, spingendomi a camminare. Al di sotto del porticato vi era una verandina ammattonata con delle mattonelle dalle fantasie colorate e dei vasi alti ed eleganti con all'interno piante verdi; mio padre aprì la porta, spingendomi all'interno.
La sala d'ingresso aveva un tavolo rotondo posto al centro, dove vi erano stati accuratamente posizionati dei libri, un vaso con dei fiori appena raccolti e una foto mia e di mio padre, scattata in uno dei tanti nostri viaggi. Le pareti erano di un grigio perla mentre il pavimento era un parquet chiaro. Dinanzi a questo vi era il soggiorno: tre divani bianchi con dei cuscini blu notte erano posizionati di fronte un camino, anch'esso bianco, e sotto di essi vi era un tappeto dello stesso colore dei cuscini, così come le tende che coprivano le finestre vetrate. Sopra il camino un quadro moderno che riprendeva i colori della stanza e al tetto scendeva un elegante lampadario bianco. Vi era una porta con un elegante studio e una scrivania in mogano, già piena di pile di documenti. Due poltrone in pelle nera erano sistemate nell'angolo e vi erano molti scaffali con libri, documenti vari e raccoglitori. Tornando nel salotto sulla destra cominciava una fila di librerie in legno bianco, con rifiniture eleganti che facevano da decorazione e tra queste una porta scorrevole a vetri. Vi entrammo e accanto vi era una cucina moderna con tanto di isola e sgabelli per fare la colazione e, dietro di essi, un tavolo ovale in legno con sei sedie. Un'altra porta scorrevole dava sulla sala da pranzo, da cui vi si poteva accedere anche dall'ingresso. La stanza era tutta interamente vetrata e dava sulla fontana posta all'ingresso. Aveva tende grigie perla abbinate alle otto sedie dallo schienale alto, accompagnate da un tavolo in vetro. La lampada Castiglioni, con la base in marmo bianco, si ergeva da un angolo, illuminando il centro del tavolo.
Tornammo indietro, fino ad arrivare di nuovo alla sala d'ingresso, dove mio padre aprì la porta sulla sinistra, di fronte a quella della sala da pranzo. Delle scale in marmo con la ringhiera in ferro si pararono dinanzi a noi: la casa era tutta in stile classico ma allo stesso tempo con un tocco di classico.
Le percorremmo arrivando in un altro piccolo soggiorno con i divani grigi, attorno ad esso vi erano tre porte: entrammo nella prima dove vi era un letto dai toni scuri con una spalliera in ferro, un tappeto e una chaise-longue nera in pelle, aveva due porte in cui vi era un bagno e una cabina armadio con dei vestiti maschili. Era la stanza di mio padre.
La seconda porta era un altro bagno, un po' più grande, interamente in marmo. Aveva una vasca in stile classico, come quelle che si vedono nei film romantici, e un lavabo con due lavandini.
La terza porta infine era la mia stanza: aveva un letto a baldacchino in ferro battuto con delle tende bianche, un tappeto bianco e una grande finestra che dava su una piscina rettangolare, probabilmente nel retro della casa. Anche la mia stanza aveva un bagno privato, con delle mattonelle bianche e beige, e un guardaroba.
 
"Allora… che ne dici?"
 
Mi voltai verso mio padre, correndogli incontro con un sorriso stampato in faccia.
 
"La adoro, davvero"
 
Lui mi carezzò la testa
 
"Per la mia gemma questo e altro. Ti voglio così bene, bambina mia"
 
Lo strinsi più forte a me
 
"Anch'io, papà"
 
L'autista che ci aveva accompagnato si presentò alla porta, tossendo imbarazzato.
 
"Scusate l'interruzione. Dove metto le valigie?"
 
Mio papà si girò, guardandolo
 
"Può lasciarle pure qua, la ringrazio"
 
Intervenni, così l'uomo iniziò a lasciare tutti i miei pacchi
 
"Ti lascio sistemare, se hai bisogno sono di sotto nello studio"
 
Annuii e dopo che mi lasciò un altro bacio sulla fronte, uscì dalla stanza, fermandosi prima di scendere dalle scale
 
"Vorrei che la mamma potesse vedere che donna meravigliosa sei diventata. Sarebbe tanto orgogliosa quanto lo sono io"
 
Un sorriso malinconico sul suo volto stanco e con qualche ruga. I suoi occhi miele erano diventati lucidi, si tirò i capelli brizzolati indietro, sospirando prima di scendere. Mancava così tanto ad entrambi la mamma…
Sospirai anch'io, dirigendomi verso il bagno: avevo bisogno di una bella doccia.
Mi spogliai, gettando i vestiti nel cesto di vimini per la biancheria sporca, ed entrando nella doccia vetrata. Aprii l'acqua rilassandomi subito non appena il gettò colpi le mie spalle.
Uscii dalla doccia, avvolgendomi un asciugamano intorno al corpo ed un altro intorno ai capelli bagnati. Mi diressi in camera, frugando tra le varie valigie per cercare qualcosa di comodo da mettere: trovai dei pantaloncini di tuta e una canottiera, così l'infilai. Alzai lo sguardo, guardando fuori dalla finestra: vi era un'altra villetta accanto la nostra e la mia finestra dava su una camera da letto tutta scura all'interno. Addio alla privacy… una figura si mosse all'interno della stanza, ma prima che potesse vedermi, tirai le tende della finestra.
Iniziai a sistemare tutti i vari pacchi, posando i vestiti nel guardaroba insieme a scarpe e borse, fin quando mio padre non mi chiamò per pranzare.
Scesi di corsa recandomi in cucina
 
"Sono in sala da pranzo!"
 
Non appena vi entrai, vidi mio padre vestito di tutto punto. Lui mi guardò, unendo le sopracciglia
 
"Che ci fai ancora vestita così? Abbiamo ospiti! Vatti a cambiare e mettiti qualcosa di elegante!"
 
Corsi di nuovo di sopra, prendendo dal guardaroba un vestito rosso in pizzo di Valentino e abbinandogli delle Louboutine nere. Misi un  po' di mascara e sciolsi i capelli, ormai quasi asciutti, lasciandoli ondulati.
Sentii il campanello: giusto in tempo.
Scesi le scale di corsa, cercando di non prendermi nessuna storta. Sentii mio padre accogliere i nostri ospiti
 
"Aron! Prego accomodatevi"
 
Una voce maschile profonda gli rispose
 
"Ciao, Elia. Da quanto tempo. Questo è mio figlio…"
 
Prima che potesse pronunciare il nome, completai io la frase, che nel frattempo ero arrivata sul pianerottolo
 
"Stefan?! Che ci fai qui?"
 
Vidi il suo sguardo incontrare i miei occhi, per poi percorrere attentamente il mio corpo, con un ghigno in faccia
 
"Ciao anche a te Sophie. Non l'hai saputo? Siamo vicini"
 
Addio mondo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


 

Mio padre spostò lo sguardo confuso da me a quel ragazzo che se ne stava tranquillamente davanti l'ingresso di casa mia. Era anche più bello di come lo ricordassi… anche se erano passate poche ore. Indossava un jeans nero molto attillato, che gli metteva in risalto il sedere perfettamente tondeggiante, e ai piedi degli stivaletti in pelle neri. Il torso era fasciato da una camicia bianca larga, con le maniche arrotolate fino a poco sotto il gomito, lasciando intravedere alcuni dei suoi tatuaggi. I capelli tirati indietro, con un ciuffo che gli cadeva scombinato sull'occhio destro. Mio dio.

 

"Voi due vi conoscete?"
 

Chiese il padre di Stefan, Aron, da quanto avevo sentito.

Prima che potessi aprire bocca, lui rispose per me

 

"Si papà, abbiamo viaggiato insieme da Tokyo"

 

Vidi mio padre guardarmi in confusione, per poi sorridermi e rispondergli

 

"Che meraviglia! Sono felice che andiate d’accordo, io e tuo padre siamo amici di vecchia data"

 

Stavo per controbattere sul fatto di 'andare d’accordo', ma di nuovo Stefan mi fermò

 

"Signore, sua figlia è una ragazza davvero… notevole"

 

Disse guardandomi maliziosamente con un ghigno stampato in faccia. La mia bocca si spalancò, ma che stava facendo?? Mio padre in tutta risposta, al posto di farsi due domande su quella definizione, rise, tirandogli una pacca sulla spalla

 

"Ti prego, chiamami Elia. Non sono poi così vecchio e poi gli amici di mia figlia, sono anche i miei"

 

Lo spinse dentro, richiudendosi la porta alle spalle e avviando una conversazione con Aron, dirigendosi vero la sala da pranzo. Io rimasi sul pianerottolo delle scale, con le braccia conserte e le sopracciglia unite. Lui mi si avvicinò con le braccia spalancate

 

"Non vuoi dare un bell'abbraccio al tuo 'amicone'?"

 

Prima che potesse solo sfiorarmi, passai sotto il suo muscoloso braccio, schivandolo

 

"Evapora"

 

Lo guardai malamente, mentre rideva sotto i baffi. Mi diressi anch'io verso la sala da pranzo, con lui al seguito.

La tavola era apparecchiata per quattro, con due posti per lato. Sfortunatamente mio padre e Aron si erano seduti accanto, così mi sarebbe toccato sorbirmelo per l'intera cena. Potevo fingere un malore improvviso… ma prima che potessi solo pensare a cosa mio padre parlò

 

"Su ragazzi, accomodatevi. Abbiamo pensato che vi avrebbe fatto piacere sedere accanto"
 

Sorrisi forzatamente, sussurrando a denti stretti un 'grazie', non molto convincente. Così mi accomodai di fronte a mio padre, con Stefan accanto. La sua colonia subito invase le mie narici, era così buona…

Una donna con un grembiule bianco entrò, servendoci da mangiare, e mettendomi di fronte un piatto di pasta al ragù. La mamma usava spesso farlo…

 

"È una delle cose che mi manca di più dell'Italia"

 

Disse Aron, guardando la forchetta piena di pasta, in ammirazione, per poi portarsela alla bocca, socchiudendo gli occhi in pura beatitudine

 

"È assolutamente ottima. Devi darmi la ricetta"

 

Mio padre rise

 

"Senza alcun dubbio, è la ricetta che faceva sempre Cristina… ma non sono mai riuscito a farla buona come la sapeva fare lei"

 

Un sorrise triste spuntò sui nostri visi, mentre Stefan mi guardava confuso, non capendo. Dopo un minuto di silenzio, i nostri genitori ritornarono a parlare spensieratamente. Aron poi mi chiese, puntando il suo sguardo su di me: ecco da chi aveva preso i suoi occhi Stefan, solo che quelli del padre erano leggermente più scuri

 

"Sophie, tu devi fare l'ultimo anno di liceo, giusto?"

 

Io annuii educatamente

 

"Sono iscritta alla 'American International School of Vienna'"

 

I suoi occhi si illuminarono spostandosi sul figlio

 

"Anche Stefan è iscritto in quella scuola. Già ha frequentato un anno e come te deve fare l'ultimo, quindi puoi rivolgerti a lui per qualsiasi cosa"

 

Che bello. Di bene in meglio.

Sentii qualcosa afferrami il ginocchio, e un calore diffondersi per tutta la mia gamba. Abbassai lo sguardo e notai la mano piena di anelli di Stefan, ferma sulla mia coscia, stringendola lievemente e iniziando a fare movimenti circolari con il pollice. Si avvicinò sussurrandomi

 

"Il destino ci vuole proprio insieme a quanto pare"

 

Arrossii di colpo, sentendo la sua mano iniziare a salire, alzandomi il vestito. Scattai in piedi, con il respiro affannato, attirando gli sguardi confusi dei nostri genitori

 

"Tesoro? Tutto bene? Sei un po' rossa in viso…"

 

"Ehm, ehm. Si… sento un po'- di caldo. Devo- devo andare in bagno"

 

Biascicai, correndo verso il giardino esterno. Feci il giro della casa, andando verso la piscina: un prato curato la circondava, insieme a una pavimentazione in legno chiaro su cui erano posizionate delle sdraio bianche e un lettino matrimoniale con delle tende che svolazzavano.

Levai le scarpe, sedendomi sul bordo piscina e immergendo le gambe fino al ginocchio, tirando un respiro di sollievo alla sensazione di freschezza sulla mia pelle. Il sole caldo batteva e il cielo era limpido, in Giappone era sempre tutto così cupo a causa dell'inquinamento e spesso ero stata costretta ad uscire con una mascherina. Qui invece si respirava solo aria pulita e frizzantina. Non avrei mai pensato di dirlo, ma questa cosa mi piaceva decisamente di più rispetto a Tokyo.

 

"Eccoti qui"
 

Mi girai, notando Stefan che si avvicinava. Sbuffai pesantemente

 

"Lasciamo in pace, per favore"
 

"Mhh… no"

 

Disse sedendosi di fianco a me, incrociando le gambe e guadando l'acqua limpida della piscina

 

"Il fatto che siamo vicini di casa non ti permette di immischiarti nelle mie cose. Questa staccionata è un confine. Chiaro?"

 

Dissi guardandolo di sottecchi

 

"Beh… mi piacerebbe. Ma si da il caso che le nostre stanze siano una di fronte l'altra…"

 

Mi guardò malizioso. La camera che avevo visto prima, merda. Addio privacy

 

"Dio, ma perché tutte a me…"

 

Mugolai, lamentandomi e procurandogli una risatina

 

"Piuttosto dovresti dire: dio grazie per avermi dato la possibilità di poter vedere tutti i momenti intimi di Stef"

 

Lo guardai, disgustata

 

"Sei proprio schifoso"

 

"Mh, preferisco attraente, affascinante e incredibile. Ma grazie comunque"

 

Sbuffai. Volevo tornare a Tokyo. Ora. Non avevo neanche più controllato se Anita aveva risposto al mio messaggio. Ma forse era meglio iniziare già a tagliare i rapporti da ora…

 

"Sai, potresti tenere impegnata la bocca in maniera migliore piuttosto che sbuffare…"

 

Mi girai, ritrovandolo a pochi centimetri dal mio volto. Sobbalzai in aria, rischiando quasi di cadere nella piscina

 

"Non ti azzardare. Mai più. Già mi è bastata una volta"

 

Lui sogghignando, continuandosi ad avvicinare. Così mi alzai in fretta, afferrando le mie scarpe e iniziando a camminare a passi veloci, ma prima di potermi allontanare una mano avvolse il mio polso, tirandomi forzatamente indietro. Vidi i suoi occhi accendersi in una scintilla e un ghigno prendere il possesso della sua faccia, che piano piano si avvicinava sempre di più. Ogni volta che il mio sguardo incontrava il suo, che lui si faceva più vicino, io ero come portata in un'altra dimensione, bloccata e impossibilitata dal muovermi.

Quando i nostri nasi ormai erano a pochi centimetri, lui mi spinse indietro. I miei occhi si sgranarono mentre precipitavo nella piscina che era alle mie spalle. Velocemente fui sommersa dall'acqua. Riemersi, annaspando dalla sorpresa e vedendolo piegato in due dalle risate, così decisi di fargliela pagare: iniziai a boccheggiare, andando sott'acqua e riemergendo, fingendo di affogare. Vidi il suo sguardo preoccuparsi e subito lui si tuffò vicino a me, afferrandomi per la vita per cercare di 'salvarmi'

 

"Cascato"

 

Dissi, sta volta ridendo io. Le sua mani ancora sui miei fianchi e i nostri corpi vicini. Lui si accigliò, notando che in effetti mi stavo mantenendo in superficie da sola

 

"Tu… piccola stronza!! Credevo stessi annegando!!"

 

Disse con uno sguardo confuso

 

"Oh beh… magari hai visto male, chissà"

 

Dissi schizzandogli. Vidi sul suo viso comparire un'espressione divertita

 

"Ah si? Vieni qui che ti annego io allora"

 

Sgranai gli occhi, cercando di divincolarmi dalla sua presa, ma lui era più forzuto, portandomi sott'acqua

 

"Stefan!!!"

 

Gridai non appena riemersi e guardandola stupita. Gli afferrai le spalle, mandandolo giù di conseguenza e iniziando una lotta all'ultimo sangue. Stranamente ci stavamo divertendo… le nostre risate erano gli unici rumori udibili

 

"Ma che state facendo?!"

 

Ci girammo di scatto, io con le mani sulla sua testa e lui sulle mie spalle, vedendo i nostri padri guardandoci con un'espressione tra il divertito e l'arrabbiato

 

"P-papà. Ha cominciato lui!"

 

Dissi, rompendo il contatto e indicando Stefan, che, con un'espressione da finto innocente, si portò le mani al petto

 

"Non potrei mai!"

 

Mio padre ci guardava con un sopracciglio alzato

 

"Avanti fuori dall'acqua. Tutti e due"

 

Decretò prima di girarsi e scuotendo la testa andarsene, con al seguito il padre di Stefan

 

"Stef, andiamo. Si è fatto tardi"

 

"Subito papà"
 

Disse Stefan, nuotando verso il bordo piscina e sollevandosi sugli avambracci. Rimasi lì, nel mezzo della piscina, a mangiarmi con gli occhi la sua schiena forzuta e le sue spalle muscolose flettersi, messe in evidenzia dalla camicia che era diventata una seconda pelle. Non appena fuori dall'acqua scosse la testa, liberando i suoi capelli dall'acqua in eccesso; i ricci subito gli ricoprirono gli occhi e lui con un gesto della mano se li portò indietro, portando il mio sguardo sul suo torace, perfettamente in evidenzia grazie alla camicia bianca che lasciava vedere ogni singolo tatuaggio e lineamento del suo fisico perfetto

 

"Uhm, vuoi restare ancora lì a mangiarmi con gli occhi oppure vuoi uscire?"

 

Scossi la testa, risvegliandomi. Mi immersi, nuotando velocemente verso la scala che conduceva fuori dalla piscina. Non appena fuori, strizzai i capelli e il vestito. Mi sentivo una sciocca, mi facevo sempre beccare a sbavargli dietro…

 

"STEFAN!"

 

"ARRIVO PAPÀ"

 

Aron gridò dall'entrata della casa

 

"Beh, immagino che ci vedremo presto, allora"

 

Prima di andarsene mi fece un occhiolino, per poi girarsi e camminare verso l'uscita, lasciandomi lì, fracida e con la bocca ancora mezza aperta. Cosa diavolo era appena successo? Io e lui che ci divertivamo, schizzandoci e affogandoci come due bambini?

Scossi la testa, dandomi della stupida mentalmente, e rientrai in casa.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 

Erano due giorni che ero rinchiusa in quella casa, con la finestra sbarrata e la paura di rincontrarlo di nuovo. Non riuscivo a capire perché fosse in grado di tenermi così… sotto controllo. Quando era vicino a me era come se il mio corpo non mi appartenesse più, come se fosse lui a gestire i fili: ero un marionetta al suo servizio, e questo non mi piaceva affatto. Mi sentivo soggiogata da lui, attratta. Troppo attratta.

 

"Sophie!"

 

Mio padre urlò dal piano di sotto per farsi sentire. Così mi alzai dal letto, sporgendomi dalla ringhiera delle scale

 

"Dimmi pa!"

 

"Tesoro c'è una bella giornata. Perché non esci un po'? Ancora non hai fatto un bagno in piscina… beh un bagno vero e proprio"

 

"Uhm… non lo so pà"

 

"Suvvia! Tra poco riinizierà la scuola… goditi questi ultimi giorni. Io sto uscendo comunque, tornerò per cena. Per pranzo se vuoi ordina pure qualcosa, ti ho lasciato il numero di un ristorante molto buono"

 

"Va bene papà, grazie. Buon lavoro"
 

Forse aveva ragione… non potevo restare per tutto il tempo rinchiusa in casa solo per paura di rivederlo… e poi mi piaceva così tanto nuotare e prendere un po' di sole. E poi prima o poi sarebbe successo, eravamo vicini di casa, di stanza e saremmo anche stati a scuola insieme. Insomma, non c'era proprio modo di evitarlo tanto valeva convivere con l'idea…

Ritornai in stanza, recandomi nel guardaroba che finalmente ero riuscita ad ordinare in quei due giorni. Era così spazioso che nonostante tutti i vestiti che avevo rimaneva ancora spazio. Frugai nei cassetti dove tenevo l'intimo e i costumi, afferrandone uno intero bianco con la schiena scoperta e dei fiorellini in tulle rosa che la attorniavano. Presi un cappello a falda larga bianco, un telo e un paio di occhiali da sole a cerchio grandi. Poi mi diressi verso la toilette cercando le protezioni solari e trovandole. Infilai le infradito rosa e il libro che ancora non avevo finito di leggere e scesi, dirigendomi verso la piscina.

La giornata era proprio calda in effetti e il sole picchiava alto; poggiai tutta la roba sul lettino a baldacchino grigio chiaro, aprendo le tendine e agganciandole ai pali della struttura. Stesi il telo e mi ci sdraiai, iniziando a spalmarmi la crema su tutto il corpo: la mia pelle non era abituata a tutto quel sole e avrei rischiato seriamente di diventare un aragosta, spettacolo che volevo evitare.

Mi sdraiai a pancia in giù, cercando di mettere la crema anche sulla schiena

 

"Vuoi una mano?"
 

Alzai lo sguardo e lo vidi fissarmi da oltre la staccionata

 

"No grazie. Sto bene così"

 

In un battito di ciglia, senza troppi impegni nonostante la ringhiera fosse alta più di due metri, lui scavalcò prendendomi la crema dalle mani

 

"Ei!! Ma che fai?!"

 

"Ti aiuto"

 

Disse alzando le spalle e versandosene un po' sulle mani

 

"Ho detto di no, me la cavo benissimo da sola. Ritornatene da dove sei venuto"

 

"Dai fatti aiutare, per favore. Abbiamo iniziato con il piede sbagliato, lo ammetto, ma a quanto pare dovremmo sopportarci per molto, molto tempo. Vale la pena andare d'accordo. Che ne dici?"

 

Lo guardai di sottecchi, cercando di capire se fosse sincero o meno

 

"Niente doppi fini?"

 

Lui scosse la testa

 

"Assolutamente no, certo a meno che tu non cambi idea eh… in quel caso"

 

"STEF!"

 

"Va bene, va bene. Amici e basta… per ora"
 

Disse portandosi le mani impomatate davanti e sussurrando all'ultimo il 'per ora'. Era incorreggibile… ma io ero sempre per dare una seconda possibilità e poi era vero, lo avrei dovuto sopportare per i prossimi due o tre anni. Valeva la pena tentare ad essere amici, magari chissà, si sarebbe rivelato una persona diversa. Oppure no

 

"Avanti, aiutami con la crema. MA solo sulla schiena, guai a te se provi a scendere, ti avverto"
 

Lui ridacchiò, iniziando a massaggiarmi le spalle, cospargendomi di crema. Mi sentivo nervosa sotto il suo tocco

 

"Hai i muscoli tesi"

 

Mi fece notare lui. Lo aveva notato che non ero a mio agio

 

"Uhm si, sono un po' stanca ultimamente"

 

Lo sentii salire sul divanetto e mettersi a cavalcioni sulla mia schiena, un po' il mio sedere. Sgranai gli occhi, alzandomi di scatto con il busto. Meno male che mio padre non era in casa, se avesse assistito a quella scena penso che gli sarebbe venuto un infarto, come minimo

 

"Ma che fai?! Levati!!"

 

"Rilassati! Ti sto sciogliendo la tensione, tesoro"
 

Pressò una mano tra le spalle, facendomi ridistendere con il busto, e iniziando a massaggiarmi meglio le spalle e la schiena. Tirai un sospiro di sollievo, era davvero bravo. Il disagio e la tensione piano piano stavano sparendo, lasciandomi solo un senso di rilassatezza

 

"Solitamente preferisco che sia la ragazza a stare sopra… ma per te farò pure un'eccezione"

 

Sgranai gli occhi, risvegliandomi da quello stato di beatitudine. Mi divincolai, facendolo cadere di fianco a me. Scoppiò a ridere, guardando la mia faccia rossa per la rabbia

 

"Non sei divertente"

 

"Questo perché non puoi vedere la tua faccia, rilassati. Stavo scherzando. Se dico una cosa la mantengo, ero serio quando ho detto 'solo amici'"

 

Scossi la testa, alzandomi e dirigendomi vero la piscina. Salii sul trampolino facendo un tuffo a testa, l'acqua subito mi rilassò, abbassando la temperatura del mio corpo, dovuta alla rabbia… oppure a quel massaggio.

Non appena riemersi, uscendo dalla piscina, lo trovai lì a guardarmi con la mascella spalancata

 

"Chiudi la bocca o ti entreranno le mosche"

 

Dissi con un sopracciglio alzato

 

"Uhm… ehm… il- costume"
 

Mi accigliai

 

"Cos'ha il mio costume…"
 

Abbassai lo sguardo, sbiancando. Il tessuto si era appiccicato al mio corpo, diventando trasparente e lasciando vedere il mio fisico. Arrossii di colpo

 

"NON GUARDARE!"
 

Lui si portò una mano davanti gli occhi, tirandomi l'asciugamano. Questa sarebbe stata la prima e ultima volta che avrei messo un costume bianco

 

"Questo momento resterà nella mia memoria fino alla fine dei miei giorni"
 

Mi avvolsi l'asciugamano, dirigendomi verso di lui e tirandogli uno schiaffetto sul braccio muscoloso. Spostò la mano, lasciandomi perdere in quei due occhi. Ghignò, probabilmente consapevole dell'effetto che mi faceva

 

"Non pensavo fossi tipa da piercing"

 

Disse indicando il mio ombelico

 

"Uhm, cos'ha che non va?"

 

Il suo sorriso si aprì ancora di più

 

"È molto… sexy"

 

Mi accigliai, incrociando le braccia al petto

 

"Stai dicendo che non sono sexy?"

 

"Nah, sei molto sexy, se no io non sarei qui a spalmarti la crema. Dico solo che QUEL piercing non è esattamente qualcosa da 'brava ragazza'"

 

Roteai gli occhi. Mi aveva appena detto che ero sexy. Io, sexy.

 

"STEFAN?!"
 

Vidi il suo sguardo accigliarsi alla voce di suo padre che lo chiamava, era una cosa che effettivamente aveva fatto anche quando erano venuti a pranzo da noi…

 

"S-SI! ARRIVO!"

 

Lo guardai stranita. Era paura quella che gli leggevo in faccia?

Deglutì

 

"Allora a presto, amica sexy"
 

Disse, facendomi un occhiolino e cercando di mostrarsi spavaldo, ma non convincendomi del tutto. Esattamente come all'andata scavalcò senza problemi, superando le alti siepi che davano la privacy alle due case, e sparendo così dalla mia visuale.

Il suo atteggiamento mi aveva davvero stranito… era come se lui fosse intimorito da suo padre, ma non come un figlio dovrebbe esserlo cioè rispettandolo, il suo era più un atteggiamento di sottomissione o non saprei come definirlo. C'era qualcosa che non quadrava, me lo sentivo. Alla cena non avevo notato niente, troppo confusa dalla sua presenza, anche se… lui non aveva mai guardato in faccia il padre.

Rimasi su quel lettino, avvolta nell'asciugamano, per ancora qualche minuto, prima di sentire un languorino provenire dalla mia pancia. Scossi la testa, raccogliendo tutte le mie cose e rientrando in casa. Guardai l'orologio appeso all'ingresso ed era l'una passata; non mi andava di cucinare così mi diressi verso il telefono nello studio di mio padre, notando il bigliettino di mio padre con su il numero:

 

VERANDA +43 1 5222520194

Ordina quello che vuoi, ti consiglio la tartare di manzo e la zuppa viennese.

Buon pranzo, ti voglio bene piccola gemma

 

Sorrisi leggendo quelle parole, mio papà era sempre così buono e dolce con me.

Chiamai il numero ordinando le cose suggerite da mio papà che era davvero un buongustaio e se la cavava in cucina. Il cibo sarebbe arrivato tra un'ora così decisi di andare a fare una doccia.

Non appena infilai dei pantaloncini di tuta e un top azzurro, che mi lasciava intravedere l'ombelico, il citofono suonò. Tamponai i capelli ancora bagnati con un asciugamano mentre correvo giù dalle scale, andando ad aprire il cancello del residence e poi quello di casa con un bottone e dopo poco la porta: un fattorino sulla trentina mi sorrise porgendomi un sacchetto di carta bianco. Lo presi sorridendo e pagando il conto. Richiusi la porta con un calcio andando in cucina e poggiando il cibo sul tavolo. Non appena stavo per sedermi a mangiare il campanello di casa risuonò. Mi alzai di malavoglia dirigendomi verso la porta, la aprì ritrovandomi Stefan con il sopracciglio sanguinante e la guancia rossa.

 

"S-stefan? Che è successo??"
 

Dissi mettendomi da parte e facendolo entrare

 

"Io… s-scusa. Non sapevo dove andare"

 

"N-non capisco… che ti è successo?"
 

Vedendo che lui non rispondeva, rimanendo sulla porta d'ingresso in silenzio e con lo sguardo abbassato, parlai di nuovo

 

"Vieni, andiamo in cucina"
 

Gli dissi, spingendolo dalla schiena verso la cucina, ma al mio tocco sul suo viso comparve una smorfia di dolore. Mi accigliai, alzandogli la maglietta e notando un livido nero percorrere il suo fianco sinistro.

Sgranai gli occhi portandomi una mano davanti la bocca

 

"Mio dio… chi ti ha fatto questo?"

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 
Lo feci sedere sulla sedia della cucina, correndo verso il freezer e prendendo dei paletti di ghiaccio che avvolsi in dei panni. Ritornai da lui, che aveva lo sguardo perso e vuoto, il colore dei suoi occhi non più limpido e chiaro ma scuro… come se un'ombra se ne fosse impossessata. Mi avvicinai cautamente, alzandogli la maglietta di poco, ma venni fermata dalla sua mano che bloccò il mio polso. I suoi occhi mi guardavano riflettendo tutta la loro oscurità
 
"Stef… se non metti il ghiaccio peggiorerà… fatti aiutare"
 
Lui lasciò andare il mio polso, levandosi a fatica la maglietta e buttandola sul tavolo. Gli sistemai il ghiaccio sul livido che era molto più grande di quello che sembrava. Percossi con i miei occhi tutto il suo torso nudo: non lo avevo mai visto così da vicino sotto la luce… e questo mi permise di vedere più dettagli. Sotto le foglie di palma dei fianchi vi erano delle piccole cicatrici circolari, tondeggianti, con qualche graffio poco visibile sotto tutto quel nero; ebbi modo anche di leggere la scritta che aveva sotto il pettorale: "the one who does not kill you strengthens you" ("quello che non ti uccide ti fortifica"). Involontariamente il mio indico tracciò quelle parole, notando una cicatrice al di sotto di essa. Un lungo taglio andava da parte a parte e la cicatrice era poco visibile grazie al tatuaggio che la copriva. Al mio toccò lo sentii trasalire, così ritirai subito la mano, riportando il mio sguardo nei suoi occhi.
 
"C-cosa…?"
 
Lui mi afferrò la mano, portandosela sul petto, come a non volere interrompere quel contatto. I suoi occhi piano piano stavano tornando al normale colore.
 
"Non sarei dovuto venire… scusami"
 
Disse di colpo, lasciando andare la mia mano e cercando di alzarsi a fatica. Gli misi le mani sulle spalle, facendolo tornare a sedersi
 
"Se non ne vuoi parlare va bene. Non ti chiederò nulla. Però ti prego, lascia che ti aiuti"
 
Lui annuì, sedendosi pesantemente sulla sedia e tenendo il ghiaccio sul suo fianco.
Non capivo neanch'io perché mi importasse così tanto di aiutarlo… solo che vederlo così, con tutte le sue difese abbattute mi aveva scatenato qualcosa. Gli era costato caro venire a bussare alla mia porta, ne ero certa, e non lo avrei cacciato via.
Corsi nel bagno, aprendo la teca e tirandone fuori degli antidolorifici e dell'acqua ossigenata con della bambagia.
Tornai in cucina, trovandolo piegato in due probabilmente per il dolore. Presi un bicchiere e lo riempii d'acqua, porgendoglielo con una pillola di antidolorifico. Lui mi guardò, alzando leggermente l'angolo della bocca, ingoiando a secco la pillola.
Aprii la bottiglietta di acqua ossigenata, versandone un po' sul cotone, e portandoglielo sul sopracciglio tagliato. Non appena la garza toccò il taglio lui si tirò indietro di scatto
 
"Brucia!"
 
Roteai gli occhi. Era tanto grosso e aveva paura di un po' di bruciore
 
"Avanti, non fare il bambino. Devo disinfettartelo se no potrebbe venirti un'infezione e magari potresti perdere il sopracciglio"
 
Vidi il suo viso sbiancare. Mi aveva creduto veramente.
Colsi l'occasione per afferrargli la testa con una mano e premere il cotone sul taglio, sentendo lui che cercava di dimenarsi ma senza successo a causa dei dolori.
 
"Suvvia, resisti. Sei grande e grosso"
 
Non appena decisi che poteva bastare tolsi la garza, soffiandoci lievemente sopra. Era una cosa che faceva sempre la mia mamma…
Sentii il suo corpo bloccarsi al mio soffio così realizzai che il mio seno era effettivamente quasi sul suo naso. Mi ritirai indietro, tossendo in agitazione e procurandogli una risatina mezza soffocata
 
"Devo ammettere che mi piace la versione crocerossina di te…"
 
Roteai gli occhi, guardando come il suo sguardo si era fatto malizioso. Un brontolio alla mia pancia attirò la mia attenzione, ricordandomi che non avevo ancora mangiato
 
"Hai fame?"
 
Lui annuì. Mi diressi verso la credenza afferrando due piatti con delle posate e apparecchiando velocemente. Presi il sacchetto tirando fuori i due contenitori di cibo
 
"Uhm ho della tartare di manzo e della zuppa. Cosa preferisci?"
 
"Bleh… come fai a mangiare carne cruda? Non ti disgusta?"
 
Ridacchiai, passandogli la zuppa ancora calda
 
"No, beh. Non ci penso"
 
Mi sedetti accanto a lui iniziando a guastare la tartare: davvero ottima.
Vedendo che io avevo iniziato a mangiare anche lui prese una cucchiaiata della zuppa portandosela alla bocca e soffiandoci, proprio come avrebbe fatto un bambino. Sorrisi a quella scena
 
"Perché sorridi?"
 
Mi svegliò dai miei sogni, riportandomi sulla terra ferma
 
"Uhm… la tartare è molto buona"
 
Buttai lì, senza pensarci troppo. I suoi occhi ancora puntati su di me.
Mangiammo in silenzio, io con lo sguardo puntato sul mio piatto e lui su di me. Non appena finimmo entrambi mi alzai, iniziando a sparecchiare e a lavare i piatti nel lavabo
 
"I-io… ti prego. Non raccontare niente di oggi, io non sono stato qui e tu non mi hai visto"
 
Mi girai, guardandolo. Si stava mordendo il labbro e i suoi occhi erano puntati dritti su di me
 
"Non lo farò, rimarrà tra di noi"
 
Lui annuì ringraziandomi con un cenno della testa. Non appena finii di sistemare la cucina lui si alzò, gli antidolorifici avevano fatto effetto, rimettendosi la maglietta con una smorfia sta volta più leggera di dolore
 
"Beh… grazie per il pranzo e beh per… lo sai"
 
Annuii accompagnandolo alla porta, ma prima di aprirgli gli chiesi
 
"Se vuoi puoi restare un altro po'… e poi mio padre rientrerà per cena"
 
Lui sorrise malizioso
 
"Per quanto il tuo invito mi alletti, devo rifiutare"
 
Riusciva a cogliere doppi sensi in tutto… gli aprii la porta salutandolo con la mano, ma prima che se ne andasse una sua mano si posizionò sulla mia schiena attirandomi a se e stampandomi un bacio in guancia, poi si girò, andandosene.
Questa decisamente non me l'aspettavo. Mi portai una mano sulla guancia, sfiorandomi il punto in cui mi aveva baciato. Il mio cuore andava a mille per un semplice bacio in guancia.
 
Erano le quattro e ancora il sole era alto in cielo, così decisi che finalmente era arrivato il momento di visitare Vienna. Indossai un paio di jeans a zampa con una camicia bianca allacciata sulla pancia e un paio di stivaletti ai piedi e uscii di casa, andando verso il garage e prendendo la bici che mio padre mi aveva regalato.
La casa non era troppo lontana dal centro, in una decina di minuti arrivai e iniziai a girovagare senza meta, beandomi di quella città così diversa da Tokyo. I palazzi erano eleganti e bianchi, tutti così classici e sofisticati… sembrava di essere in un reame lontano nel tempo. I miei occhi vagavano, da un palazzo all'altro, Vienna mi stava proprio piacendo. Magari ci sarei stata bene…
 
"ATTENTA!!"
 
Mi girai, frenando bruscamente. La mia bici stava per urtare un ragazzo che stava attraversando, persi il controllo cadendo atterra e sbattendo il mento e le ginocchia, aprendomi i pantaloni.
 
"Oddio, stai bene?"
 
Mi misi una mano sulla testa ancora confusa, una folla di gente aveva iniziato a circondarci
 
"I-io… scusami. Non ti avevo visto…"
 
Farfugliai, mettendo a fuoco il ragazzo che se ne stava chinato su di me con aria preoccupato. Aveva due occhi azzurri come il cielo e i capelli castani corti, la mascella ben definita insieme agli zigomi
 
"Stai sanguinando"
 
Disse accigliandosi e mettendomi una mano sotto il mento, guardando la mia ferita. Si alzò di colpo
 
"Sgomberare! Non è uno spettacolo!"
 
Non appena la folla si disperse, si chinò su di me, prendendomi da sotto le braccia e tirandomi in piedi. Ebbi un capogiro ma prima che potessi cadere lui mi afferrò, prendendomi in braccio
 
"Ok, tranquilla. Ti aiuto io"
 
Chiusi gli occhi, svenendo tra le sue forzute braccia e con la sua fragranza amarognola nel naso.
 
 
"Ei? Tutto bene?"
 
Riaprii gli occhi lentamente, venendo investita da un fascio di luce. Un viso angelico entrò nella mia visuale
 
"Sei in ospedale, hai sbattuto la testa e sei svenuta. Ti hanno dato dei punti sul mento e hai una contusione al polso, ma niente di grave. Un controllo e ti lasceranno andare"
 
"Chi sei tu?"
 
"Scusami, non mi sono presentato. Io sono Dave, piacere"
 
"Sophie"
 
"Si già lo sapevo"
 
Disse sorridendomi
 
"C-come?"
 
Si frugò nella tasca tirando fuori il mio documento e poggiandomelo accanto al comodino.
 
"Sofia!! Che è successo??"
 
Mi girai verso la porta, guardando mio padre preoccupato correre verso di me
 
"L'ho chiamata io signore. Nulla di grave per fortuna, con qualche giorno di riposo se la caverà"
 
Dave disse alzandosi e stendendo una mano a mio padre. Ora che era in piedi notai il camicie bianco
 
"Grazie, lei è?"
 
"Dave, un tirocinante. Sua figlia è caduta sbattendo la testa e il mento, dalla TAC non risulta niente quindi è tutto tranquillo. Sul mento le sono stati dati cinque punti e ha una contusione al polso. Niente che con un poco di riposo non possa guarire"
 
Mio padre annuì, lasciando la sua mano
 
"Come stai, piccola gemma?"
 
Mi chiese, rivolgendosi verso di me e accarezzandomi dolcemente la guancia
 
"Sto bene papà, non preoccuparti. Il dottore ha detto che devo fare un ultimo controllo e poi potrò andare"
 
"Bene, allora aspetto fuori"
 
Uscì, chiudendosi la porta alle spalle e lasciandomi sola con il mio salvatore. Mi girai guardandolo, mentre lui prendeva una macchinetta per misurarmi la pressione
 
"Beh… grazie per avermi… salvata?"
 
Dissi arrossendo, cercando di non sembrare stupida. Lui mi guardò e mi sorrise
 
"Diventerò un medico un giorno, non potevo lasciarti mica sul ciglio della strada"
 
Arrossii ancora di più, guardandomi le mani
 
"La pressione è apposto. Ora sentiamo i battiti"
 
Si avvicinò, togliendosi dal collo lo stetofonendoscopio (strumento per sentire il battito) e aspettandomi. Lo guardai con aria interrogativa e lui tossì imbarazzato
 
"Ehm… devo sentirti il petto…"
 
Realizzai. Dovevo spogliarmi davanti ad uno sconosciuto… 
 
"C-certo"
 
Annuii, slacciandomi la camicia e lasciando vedere il reggiseno in pizzo grigio. Il suo sguardo imbarazzato vagava per la stanza. Richiamai la sua attenzione con un colpetto di tosse e quando i suoi occhi caddero sul mio pezzo di biancheria dovette boccheggiare, schiarendosi la voce e avvicinando lo strumento al mio corpo.
Rabbrividii al contatto con la mia pelle: era ghiacciato. Il mio cuore sentivo che batteva ad una velocità elevata, forse per la vicinanza con Dave, era proprio un bel ragazzo.
Dopo aver spostato lo strumento su varie parti del mio addome, si staccò da me, riposizionando lo stetofonendoscopio sul collo
 
"O-ok. Puoi rivestirti. Sembra tutto nella norma ma se dovessi avere capogiri, nausea o sintomi strani non esitare a chiamare"
 
Mi riabbottonai la camicetta velocemente
 
"Senti, so che non è proprio professionale. Anzi, non lo è per niente… ma ti andrebbe… ecco, ti andrebbe di venire a cena con me? Anche per ripagare i danni alla tua bici…"
 
Si portò una mano dietro la nuca, imbarazzato. Il mio cuore perse un battito, mi aveva appena visto in reggiseno e ora voleva uscire con me? In fondo però era davvero un bel ragazzo e mi aveva aiutato quando avrebbe potuto lasciarmi per terra da sola. Così decisi di accettare, provando a conoscere il mio 'salvatore'
 
"Ehm… s-si, va bene. Questo è il mio numero"
 
Dissi scrivendoglielo velocemente in un bigliettino e porgendoglielo, prima che la porta si spalancasse lasciando entrare mio padre
 
"È tutto apposto, signore. Firmate i moduli di dimissione e potete andare"
 
Disse Dave con tono professionale. Mio padre annuì, dandogli la mano, per poi aiutarmi ad alzare.
Firmammo i moduli e andammo in macchina. Il viaggio fu silenzioso, io guardai per quasi tutto il tragitto fuori dal finestrino pensando a tutti gli eventi di oggi, a Stefan, a Dave…
La voce di mio padre mi riportò all'attenzione
 
"Sophie… per caso hai sentito il tuo amico? Stefan?"
 
Lo guardai interrogativa. Forse era venuto a sapere di oggi?
 
"N-no, perché?"
 
Mentii. Lui mi aveva pregato di non dire niente e avrei mantenuto la promessa. Se me lo aveva chiesto c'era un valido motivo, ne ero sicura
 
"Beh… suo padre è preoccupato. Sta mattina è uscito di casa e non l'ha più rivisto… sperava che tu lo avessi sentito, ecco"
 
Era sparito?? Era successo qualcosa di grave… me lo sentivo.
Arrivammo a casa subito dopo e io salii le scale di corsa. Spalancai la finestra, cercando di vedere all'interno della stanza di Stef ma non vedendolo. Cercai il mio cellulare, trovandolo e aprendo la rubrica scorrendo tra i numeri, fino a raggiungere quello di Seth. Durante la cena avevo visto che aveva salvato il suo numero di nascosto nel mio telefono, e per fortuna. Lo chiamai, lasciando il telefono squillare fino alla segreteria. Lo richiamai per altre cinque volte ma in tutte continuava a rispondere la segreteria così decisi di mandargli un messaggio
 
  • Stef, sono Sophie. Ma dove sei?? Tuo padre è in ansia… ha parlato con il mio e gli ho mentito riguardo oggi, dicendogli di non averti sentito. Ti prego, rispondimi, sono preoccupata…
 
Pressai invio, senza pensarci. Avevo scritto quelle parole di getto, soprattutto il 'sono preoccupata', ma che mi era saltato in mente? Forse lui mi stava entrando nel cuore più di quanto non volessi ammettere…
Mi buttai sul letto, guardando il soffitto e cercando di fare chiarimenti. Ero così confusa da quel ragazzo… non riuscivo a capire chi era realmente delle tante personalità che mi aveva mostrato, lo spaccone, il donnaiolo, lo stronzo, il simpatico, il giocherellone, l'amico… o di più?
Mentre ero sovrappensiero sentii il mio telefono accanto a me vibrare incessantemente. Lo afferrai velocemente, senza guardare chi stesse chiamando
 
"Pronto?!"
 
Sentii una risata di sottofondo, una risata dolce e calma, non sadica e presuntuosa come quella di Stefan…
 
"Non pensavo stessi contando i secondi da quando ci siamo salutati in ospedale"
 
Sorrisi, dandomi della stupida mentalmente
 
"Ciao Dave"
 
Dissi ridendo imbarazzata
 
"Beh… che ne dici di quella cena? Lo so, lo so che è presto, che ci siamo appena visti e che dovrei farti aspettare almeno una settimana prima di farmi sentire… ma proprio non ci riesco"
 
Solitamente un qualsiasi ragazzo, Stefan, avrebbe veramente aspettato una settimana prima di chiamare, invece lui si era preso di coraggio e non aveva aspettato. Ero davvero stupita da lui. Dovevo dargli un'opportunità, sembrava gentile ed era davvero un bel ragazzo
 
"No! Hai fatto benissimo! Va bene per la cena, per che ora e dove?"
 
Sentii un sospiro di sollievo, forse si aspettava un rifiuto…
 
"Ti passo a prendere per le otto, il posto è una sorpresa"
 
Risi. Mi veniva a prendere a casa, wow. Sembrava essere uscito direttamente dal passato. Gli dissi dove abitavo, mettendo giù. Mi alzai di corsa dirigendomi verso la cabina armadio, scegliendo un top argento con un tailleur abbinato ad un pantalone stretto sulla coscia e largo da sotto il ginocchio nero, per coprire le escoriazioni sulle ginocchia, e dei tacchi squadrati neri in coccodrillo con pochette abbinata. Era un total black ma doveva andare bene, non era eccessivo né troppo poco. Corsi in bagno, facendomi una doccia veloce, cercando di non bagnare troppo le ferite, e poi mi vestii e truccai. Non appena finii il campanello richiamò la mia attenzione. Corsi di sotto
 
"È PER ME!"
 
Troppo tardi. Non appena arrivai sul pianerottolo mio papà già stava discutendo allegramente con Dave. Lo guardai bene, wow. Era elegantissimo con quel completo e la camicia bianca perfettamente abbottonata e stirata, il contrario di Stefan… dovevo smetterla di pensare a lui! Qualsiasi cosa stava diventando un paragone con lui…
In mano teneva un mazzo di fiori. Si, era decisamente di un'altra epoca. Nessun ragazzo si sarebbe presentato a casa, iniziando a parlare con mio padre come amici di vecchia data e addirittura portandomi dei fiori.
Non appena si accorse di me mi guardò, socchiudendo leggermente la bocca e lasciandosi sfuggire un 'wow'. Gli sorrisi, diventando rossa, e spostandomi una ciocca di capelli che mi era caduta sull'occhio. Nonostante i punti sul mento e il grosso cerotto che li copriva lui mi trovava bella
 
"Gemma! Questo ragazzo mi piace molto"
 
Mio padre si avvicinò a me, porgendomi il braccio per poi ritornare da Dave che aveva ancora un'aria estasiata. Poi si rivolse a lui
 
"Ma questo non vuol dire che hai il via libera con lei, sia chiaro"
 
Roteai gli occhi per il fare protettivo di mio padre, che tra l'altro era serio quando minacciava. Cercava sempre di proteggermi, fin da quando la mamma se n'era andata. Dopo la sua morte ero come cresciuta in una campana di vetro, accontentata in tutto e per tutto. Ero esattamente una di quelle persone che si potrebbero definire 'viziate', ma senza volerlo. Mi sarebbe piaciuto non essere cresciuta in tutto questo lusso, non che me ne stia lamentando, ma mio padre per essere arrivato dov'era ora era quasi scomparso dalla mia vita. Io volevo solo stare con lui… mi avevano cresciuto babysitter e governanti, Tokyo era stato l'unico momento in cui avevamo passato un po' più di tempo insieme: per questo la sentivo casa.
 
"Dai, papà. Dobbiamo andare"
 
Dissi, baciandolo sulla guancia
 
"Riportala alle undici puntuale"
 
Sbuffai per i modi di mio padre, non avrei biasimato Dave se avesse cambiato idea.
 
"Alle undici meno dieci sarà qui"
 
Mio padre sorrise, alzando l'angolo della bocca, e ci accompagnò fuori. Mentre chiudeva la porta sussurrò tra se e se "mi piace questo ragazzo, si si. Mi piace"
 
Non appena raggiungemmo la sua macchina, un BMW bianca, mi scusai con lui
 
"Mi dispiace per mio padre… tende ad essere un po' protettivo"
 
Lui rise, scuotendo la testa e aprendomi lo sportello permettendomi di entrare
 
"Ci tiene molto a te, anch'io avrei fatto così se avessi avuto una figlia"
 
Chiuse lo sportello, facendo il giro della macchina ed entrando, iniziando a guidare per le strade di Vienna fino ad arrivare ad un parchetto non troppo lontano da casa mia. Posteggiò di fronte al cancello, scendendo e venendomi ad aprire la porta, porgendomi la mano. Arrivammo al cancello e un uomo con una tuta verde ci venne incontro, aprendoci il cancello
 
"Avete due ore"
 
"Grazie Toby"
 
Lo guardai confusa, mentre lui faceva strada in quel parco fino a condurmi in un gazebo, non molto lontano da dove eravamo.
 
"Come sei riuscito a…?"
 
"Ho curato il figlio di Toby, il guardiano di questo parco"
 
Lui mi guardò alzando le spalle e aprendo il cancelletto e lasciandomi entrare: vi erano un sacco di piante che pendevano da tutte le pareti del gazebo in metallo e vetro, era una sorta di serra con tanto di alberi alti fino al soffitto a cupola. Mi guardai meravigliata, tutto era così fiabesco… la luce della luna illuminava fiocamente il tutto con l'aiuto di alcune luci e candele poste a fare un percorso. Non potevo credere che qualcuno avesse fatto una cosa del genere per me…
 
"Allora… ti piace?"
 
Mi girai, guardandolo con pura estasi e shock
 
"S-se mi piace? Sono… senza parole"
 
Gli dissi, sorridendogli e avvicinandomi, tendendogli la mano che lui afferrò, arrossendo timidamente. Era tutto così perfetto…
 
"Vieni"
 
Disse, trascinandomi lungo il sentiero illuminato fino ad arrivare ad un tavolo apparecchiato per due con del cibo. Mi fece accomodare, spostando la mia sedia proprio come un gentlemen, per poi accomodarsi.
 
La cena proseguì nel migliore dei modi, lui era esattamente come me lo ero aspettato: dolce, simpatico, gentile. Niente battutine squallide o a doppio senso… non era Stefan. Cavolo, di nuovo lui. Se ne era andato senza dire niente a nessuno, proprio mentre stavamo iniziando ad avvicinarci e forse era proprio per questo che la mia testa ricorreva sempre a lui… controllai il telefono, cercando di non farlo notare a Dave che nel mentre parlava dei suoi anni in college, infatti era più grande di me. Era al secondo anno di università e aveva già iniziato il tirocinio, giostrandosi con gli studi. Appena afferrai il telefono lo sbloccai, ma niente, zero messaggi o chiamate da Stefan… totalmente sparito, guardai l'ora: erano già le dieci… il tempo era proprio volato con lui e mi ero divertita… forse Vienna non era così male.
Non appena fu l'ora mi riaccompagnò a casa, alle undici meno dieci precise come aveva detto, con grande sorpresa di mio padre. Al contrario di qualsiasi altro ragazzo, si limitò ad un bacio sulla mano, lasciandomi stupita in positivo, poi mi diede la buonanotte e se ne andò, lasciandomi all'entrata di casa con le guance rosse.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


 
Erano passate due settimane e ancora di Stefan nessuna traccia. Suo padre non aveva neanche avvertito la polizia, tranquillizzando il mio, che sembrava più preoccupato di lui, dicendo che suo figlio era solito sparire per mesi per poi tornare senza preavviso. Sembrava così tranquillo quando si parlava di lui… eppure c'era qualcosa che non andava, quando mio padre gli chiedeva se avesse novità lui si irrigidiva e iniziava a torturarsi le mani, non come farebbe un genitore preoccupato però.
Per tutta la prima settimana lo avevo chiamato e tempestato di messaggi, ma non avevo mai ricevuto una risposta e al telefono attaccava sempre la segreteria. Era sparito nel nulla senza dire niente a nessuno… e chissà se sarebbe mai ritornato. Nel mentre le cose con Dave erano andate avanti e ora ci sentivamo sul serio: lui mi piaceva sul serio, era così pieno di carisma e gentilezza, era il ragazzo dei sogni di qualsiasi ragazza, un bel principe azzurro uscito direttamente da una favola. Però la sua pelle era così pulita… i capelli sempre messi in ordine con il gel… sempre vestito in maniera impeccabile. Il mio pensiero in un modo o nell'altro era rivolto a Stefan… chissà che faceva, dov'era e perché se n'era andato soprattutto.
 
"SOPHIE?"
 
Sentii mio padre gridare dal piano di sotto così mi affrettai a prepararmi, mettendo in ordine i capelli mossi dietro l'orecchio e applicando un lucidalabbra. Quel giorno Dave avrebbe portato me e mio padre nella sua residenza estiva, a quanto pare era di famiglia ricca e aveva una villa da qualche parte vicino a Vienna, così avremmo passato tre giorni da lui… con i suoi genitori.
Non li avevo mai visti e mi sarebbe piaciuto aspettare ancora un po' prima di rendere la nostra relazione così 'ufficiale', ma quando lui ne parlava gli si illuminavano gli occhi… doveva volergli davvero molto bene. Quando mi aveva chiesto di accompagnarlo con mio padre e passare tre giorni con lui non ero stata in grado di dirgli di no… tantomeno mio padre che era riuscito a prendersi tre giorni di pausa, pur portandosi il lavoro.
Mi guardai un'ultima volta allo specchio: avevo indossato un vestito bianco in lino dalla gonna ampia che arrivava al polpaccio con delle ballerine, volevo fare una buona impressione ai suoi. Afferrai la valigia e prima di uscire lanciai un ultimo sguardo alla camera di Stef, sperando di vedere un cenno di vita, ma niente. Sospirai scendendo e non appena arrivai a metà delle scale vidi Dave corrermi incontro e togliermi di mano la valigia, dandomi un bacio casto sulla guancia
 
"Sei splendida, vedrai che i miei si innamoreranno di te"
 
Mi sussurrò, scendendo dalle scale e porgendomi la mano. Io annuii, imbarazzata
 
"CIAO MELA!"
 
Gridai, salutando la domestica di casa, la donna che avevo conosciuto alla cena con Seth. Poi uscimmo, chiudendoci la porta alle spalle e dirigendoci verso la macchina di Dave, che era parcheggiata davanti al cancello della villa. Mio padre poggiato con le braccia conserte sullo sportello non appena ci vide ci sorrise. Dave gli era subito piaciuto, era esattamente quello che aveva sperato per me: un bel ragazzo, dalla famiglia ricca, educato e gentile.
 
"Pensavo che mi avreste trovato morto…"
 
Scherzò, riferendosi ai cinque minuti in cui aveva aspettato. Gli sorrisi dandogli un bacio sulla guancia e aprendo lo sportello posteriore
 
"Siediti tu davanti, piccola gemma"
 
Mi fermò mio padre, aprendomi lo sportello anteriore e facendomi sedere.
Il viaggio durò circa un tre ore in cui parlammo del più e del meno e dove Dave ci spiegò per filo e per segno la sua genealogia. Da quanto avevo capito i suoi antenati erano degli aristocratici molto importanti e avevano acquistato quella villa come residenza di famiglia e da quel momento l'avevano passata di erede in erede, e alla morte del padre, figlio unico, questa sarebbe passata a lui.
Stavamo vagando per la campagna ormai da una decina di minuti quando finalmente la macchina si fermò dinanzi ad un cancello alto almeno tre metri in ferro battuto, il quale si aprì lasciandoci entrare in un viale alberato. Dopo cinque minuti che lo percorrevamo la villa, o meglio dire castello, si parò davanti i nostri occhi. La guardai a bocca aperta: era tutta in pietra, con tanto di torrette, e sembrava avere almeno quattro piani.
 
"Ti piace?"
 
Sussurrò al mio fianco Dave, che mi guardava sorridendo avendo notato la mia espressione sbigottita
 
"Ma… questo è un castello!"
 
Si spiegava perfettamente perché lui fosse così principesco nei suoi modi, probabilmente aveva ricevuto un'educazione impeccabile ed ero anche abbastanza sicura che conoscesse il galateo a memoria.
La macchina si fermò dinanzi il portone della reggia così scendemmo, prendendo i bagagli. Dave ci fece strada, spalancando la porta e permettendoci di entrare in una sala dal tetto altissimo, con un elegante e imponente lampadario che fluttuava illuminando la stanza. Quadri imponenti raffiguranti ritratti la percorrevano per intero, mi avvicinai leggendo il nome dell'uomo paffuto e vestito in maniera ottocentesca
 
"Questo è il mio tris, tris, trisavolo. In questa stanza, che noi chiamiamo la sala dei ritratti, potete ben capire perché, vi sono i ritratti di tutti i nostri antenati, dal primo all'ultimo"
 
Spiegò Dave, mentre io e mio padre ci guardavamo attorno estasiati. Mentre lui continuava a spiegare, raccontandoci la storia e le imprese di alcuni di loro, una donna, con dei pantaloni bianchi fluttuanti e un tailleur abbinato, entrò spalancando le braccia
 
"David!"
 
Lui si girò guardandola e aprendosi in un sorriso radioso
 
"Madre!"
 
Disse, andandola ad abbracciare. Era una delle donne più belle che avessi mai visto, i capelli corti castani erano perfettamente mossi sul suo volto e il suo trucco era assolutamente impeccabile. Non appena i due si salutarono con un abbraccio e due baci lei si rivolse verso me e mio padre sorridendo e avanzando con suo figlio accanto
 
"Scusate i miei modi, non vedevo Dave da molto tempo"
 
Disse porgendo la mano a mio padre, che la strinse prontamente
 
"Io sono Diana Wortswoth, la madre di David"
 
Mio padre le rispose cordiale
 
"Elia Fiore e questa è mia figlia, Sofia"
 
Feci uno dei sorrisi più belli porgendole la mano a che lei non strinse. Piuttosto si avvicinò abbracciandomi calorosamente
 
"David ci ha parlato così tanto di te… sei ancora più bella di quanto ci aveva detto"
 
Arrossi, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio
 
"Grazie, signora Wortswoth"
 
"Ti prego! Via con queste formalità! Solo Diana, per favore"
 
Disse ridendo e scuotendo la mano. Mio padre rise
 
"Concordo a pieno con te, Diana. Siamo ancora troppo giovani per farci dare del lei"
 
Lei rise
 
"Vedo che io e tuo padre la pensiamo allo stesso modo. Ora suvvia, sarete stanchi dopo il viaggio immagino! David mostra la camera ad Elia, io accompagnerò Sofia così la potrò conoscere un po' meglio"
 
Disse senza dare il tempo al figlio di controbattere. Mi prese per braccetto, conducendomi verso una sala altrettanto grande come l'ingresso ma sta volta con delle statue, e portandomi verso delle scale in marmo.
 
"Allora, cara. Parlami un po' di te"
 
"Io e mio padre ci siamo appena trasferiti qui a Vienna, suo figlio è la prima persona che ho incontrato"
 
Le risposi sorridendo
 
"Siamo stati a Tokyo per due anni e poi mio padre è stato chiamato per venire a lavorare qui, è un ambasciatore italiano"
 
Appena sentì 'Italia' Le si illuminarono gli occhi
 
"Io AMO l'Italia, siamo stati in Toscana tempo addietro e l'abbiamo girata un bel po'. Non ti nascondo che in quel viaggio ho preso cinque chili, il cibo era qualcosa di così… superbo"
 
Disse ridendo. Sembrava una donna davvero simpatica e gentile, proprio come il figlio. Durante il viaggio verso la mia camera continuammo a parlare del più e del meno fino a quando, dopo ben dieci minuti arrivammo davanti una porta in legno bianco decorata con dei fiori rosa. Lei si fermò, aprendola e facendomi entrare
 
"Questa è la tua stanza, lì infondo c'è un bagno privato. Accanto a questa stanza vi è quella di David. Ho pensato che un po' di privacy vi avrebbe fatto piacere. Io, mio marito e tuo padre invece saremo nell'altra ala"
 
Arrossii, imbarazzata.
 
"Ora ti lascio sistemare, per qualsiasi cosa non esitare a chiedere a me o a David"
 
E se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle.
La stanza era abbastanza grande, con un grande letto pieno di cuscini decorativi e i mobili in stile Art Deco, molto classici ed eleganti. Il tetto era in legno a cassettoni e il pavimento invece era di un marmo giallognolo, che richiama il giallo ocra delle pareti abbellite da disegni floreali. La stanza aveva anche un camino in stucco con un grande specchio dalla cornice dorata.
Posai la valigia in un angolino, sistemando i vestiti nel grande armadio accanto al letto. Non appena finii sentii bussare alla porta
 
"Avanti!"
 
La testa di Dave fece capolino dalla porta
 
"Posso?"
 
"Si, certo. Entra!"
 
Dissi e lui entrò chiudendosi la porta alle spalle e venendomi incontro, baciandomi dolcemente mettendo le sue mani sulle mie guance. Sorrisi a quel bacio così casto
 
"Volevo farlo da quando ti ho vista questa mattina"
 
Sussurrò ancora sulle mie labbra. Io lo abbracciai, poggiando la testa sul suo petto: era molto più alto di me, anche se non tanto quanto Stefan.
 
"Allora? Che ne pensi di mia madre?"
 
Gli sorrisi, facendolo sedere sul letto, vicino a me
 
"È davvero una splendida donna, posso capire perché le sei così legato. E poi è così bella…"
 
Lui rise, spostandomi una ciocca di capelli dal viso.
 
"Immaginavo che sareste andati d’accordo… comunque mettiti qualcosa di comodo! Ho una sorpresa per te"
 
Disse alzandosi dal letto, lo guardai ridendo
 
"Non pranziamo con i tuoi? Ancora non ho conosciuto tuo padre…"
 
Lui scosse la testa
 
"Avrai tutto il tempo del mondo per conoscerlo. Ti aspetto tra venti minuti fuori dalla villa"
 
Non appena chiuse la porta mi precipitai verso l'armadio. Per fortuna ero venuta preparata, portando molti vestiti e scarpe: indossai dei jeans con degli stivali alti in camoscio marrone e una camicetta bianca, legai i capelli in una coda bassa con un foulard di Hermes e corsi di sotto.
Non appena uscii dal castello vidi Dave con dei pantaloni beige e una giacca blu che teneva le briglie di due cavalli. Sgranai gli occhi, andando verso di lui
 
"Mio padre mi ha detto che era una delle tue cose preferite quando stavate in Svizzera"
 
Gli sorrisi a trentadue denti, abbracciandolo. Non cavalcavo ormai da anni ma non potevo dimenticare quella sensazione di libertà e il vento mentre galoppavo e correvo
 
"Grazie, grazie, grazie!"
 
Inizia a saltellare come una bambina, non riuscendo a contenere la mia gioia e procurandogli una risata profonda
 
"Lei è Sky mentre questo qui è Thunder"
 
Disse indicando prima il cavallo bianco e poi quello nero. Erano entrambi così maestosi, tra i più belli che avessi mai visto. Mi porse il caschetto, che io prontamente indossai e allacciai, e poi mi diede le redini di Sky, facendomi cenno di montare. Non me lo feci dire due volte, salendo sulla sella con agilità e prendendo la redini, poi lui fece lo stesso e con un colpetto di tallone iniziò a fare galoppare Thunder, con me appresso.
Era così bello sentire il vento tra i capelli, seguire i movimenti del cavallo ed essere quasi un tutt'uno… iniziammo a galoppare tra prati verdi della sua residenza, che era enorme, fino ad arrivare nei pressi di un lago dove ci fermammo. Lui smontò dal cavallo, attaccando le sue redini ad un albero, così feci lo stesso, seguendolo poco più in la, dove a pochi passi dal lago, per terra vi erano delle coperte con dei cuscini e un paniere. Mi fece cenno di sedere e lui si mise accanto a me, coprendoci con la coperta dato che la temperatura si stava abbassando. Il cielo piano piano si stava coprendo da una coltre di nuvole grigie, forse avrebbe piovuto.
Afferrò il paniere, tirandone fuori due panini e una bottiglia di vino rosso con due calici. Era sempre così dolce… in grado di stupirmi con poco.
Iniziammo a mangiare, godendoci il panorama del lago
 
"Quindi David?..."
 
Chiesi riferendomi a come lo aveva chiamato sua mamma 
 
"Si, solo loro ormai mi chiamano così. Per tutti gli altri sono solo Dave, è meno sofisticato"
 
Mi spiegò sorridendomi e posandomi un bacio sulla punta del naso, cosa che mi fece arrossire.
Continuammo a parlare del più e del meno fino a quando una goccia ci distrasse dai nostri discorsi e in cinque secondi iniziò a diluviare. Ridemmo alzando e correndo verso i cavalli, bagnandoci tutti
 
"A chi arriva primo!"
 
Urlai io, sciogliendo le briglie e montando con un salto su Sky, partendo al galoppo
 
"Non è valido!! Sei partita prima!!"
 
Rise lui, rimasto indietro.
Sky era velocissima ma anche Thunder che in un battito di ciglia era accanto a me.
Alla fine arrivai per prima io, correndo verso la stalla
 
"Ti ho battuto!! Noi siamo i più veloci e forti!"
 
Lui scoppiò a ridere
 
"Ti ho lasciata vincere!!"
 
"Non è vero! Non vuoi ammettere di aver perso"
 
Lui scosse la testa ridendo e smontando dal cavallo
 
"Va bene, va bene. Come vuoi"
 
Fece entrare i cavalli nei loro box, per poi iniziare a correre
 
"MA NON VINCERAI STA VOLTA!"
 
Gridò, correndo sotto la pioggia. Io scoppiai a ridere iniziando ad inseguirlo e non appena gli fui dietro gli saltai addosso, facendoci cadere entrambi nel fango e facendoci rotolare dal ridere
 
"Guarda cosa hai fatto!! Ora ci penso io a te"
 
Disse, alzandosi con un sorriso maligno e prendendo un po' di fango nella mano. Io sgranai gli occhi
 
"Non oserai mica…"
 
Prima di poter finire la frase, ero ricoperta di fango
 
"Allora è la guerra che vuoi"
 
Dissi pulendomi la faccia, e prendendo una vagonata di fango tirandogliela addosso. Iniziammo a ridere, correndo verso casa sporchi di fango dalla testa ai piedi. Ormai aveva smesso di piovere, lasciando spazio alla luce del sole
 
"David!!"
 
Ci bloccammo entrambi, girandoci verso quella voce solenne che lo aveva richiamato
 
"P-padre!"
 
Lui lo guardò con un sopracciglio alzato, facendo ricomporre Dave.
 
"L-lei è Sophie, la mia ragazza"
 
Disse, presentandomi. Mi aveva definito per la prima volta la sua ragazza, ma mi piaceva come suonava. Sorrisi timidamente
 
"Salve signore… scusi le nostre condizioni"
 
Mormorai, in imbarazzo. Lui annuì
 
"Prima di farvi vedere da tua madre così e sporcare tutta casa, andate a sciacquarvi con il tubo dietro casa"
 
Poi si girò e se ne andò
 
"Dio che imbarazzo…"
 
Dave scosse la testa, prendendomi la mano e conducendomi dietro casa, come aveva detto il padre
 
"Non preoccuparti, mio padre è sempre stato così freddo, ma se lo conosci a fondo si rivela davvero una buona persona, anche se può sembrarti intimidatorio. Allora pronta?"
 
Disse afferrando il tubo e prima che io potessi accennare iniziò a schizzarmi con l'acqua ghiacciata
 
"DAVE! È GELATA!"
 
Gridai, cercando di schivare il getto freddo. Lui scoppiò a ridere
 
"Avanti!! Solo per poco!"
 
Disse, avvicinandosi e avvolgendo le sue braccia intorno a me, impedendomi di muovermi e iniziando a bagnarmi, pulendomi dalla maggior parte del fango. Scoppiai a ridere, divincolandomi dalla sua presa di ferro e non appena riuscii a liberarmi, afferrai il tubo con un ghigno
 
"Ora è il tuo turno!"
 
Urlai, iniziando a schizzarlo mentre lui cercava di scappare.
Non appena fummo abbastanza puliti, corremmo in casa cercando di evitare sua madre e suo padre per poi correre nelle stanze. Ci fermammo davanti la mia porta e io gli sorrisi
 
"Grazie, sono stata davvero bene…"
 
Lui si avvicinò baciandomi con trasporto e sbattendomi sulla porta della stanza. Mi aggrappai al suo collo, mentre lui con la mano girava la maniglia, facendoci entrare in stanza e buttandomi sul letto, dopo aver richiuso la porta. Mi sorrise, malizioso, salendo su di me e baciandomi di nuovo con trasporto, portando le sue mani sui miei fianchi e stringendoli, procurandomi un sorriso.
 
"Stef…"
 
Mugugnai sulla sua bocca. Lui si staccò immediatamente guardandomi accigliato
 
"Come?"
 
Sgranai gli occhi, realizzando cosa avevo detto. Merda, merda, merda, MERDA
 
"Ho detto cena!"
 
Me ne uscii
 
"Tra poco è ora di cena! Dobbiamo docciarci e-e andare a cena con i tuoi!"
 
Lui mi guardò poco convinto, ma annuii scendendo dal letto. Lo rincorsi prima che potesse uscire dalla stanza, baciandolo
 
"Scusami… ancora non mi sento pronta"
 
Annuì, spostandomi la ciocca che mi era ricaduta sugli occhi e portandola dietro l'orecchio
 
"Scusami tu, non ti volevo forzare"
 
Mi baciò a stampo, uscendo e lasciandomi davanti la porta.
Avevo bisogno di una doccia per carburare tutto quello che era successo e per levarmi il fango rimasto dai capelli, così mi spogliai buttando i vestiti bagnati in un angolino e andando nella doccia, aprendo l'acqua calda e facendola scorrere sul mio corpo.
Non riuscivo a capire perché, in un modo o nell'altro, nella mia testa vi fosse solo Stefan. Dave mi piaceva, e tanto, mi faceva stare bene e mi trattava come una regina… ma non era lui, con i suoi modi rudi e le sue battutine a doppio sfondo. Mi stava fottendo la testa… e a peggiorare tutto lui se n'era anche andato, lasciandomi confusa e spaesata.
Non appena finii di lavarmi uscii dalla doccia, indossando l'accappatoio piegato sul lavandino e tamponando i capelli con un telo. Presi l'asciugacapelli lasciando asciugare un po' i capelli per poi, quando erano solo umidi, dirigermi verso l'armadio. Guardai l'ora ed erano le sette e mezza, dovevo spicciarmi perché Dave mi aveva detto che solitamente ci si riuniva per la cena per le otto. Indossai la biancheria intima per poi scegliere un vestito di Valentino rosa con delle rose stampate e con la gonna larga e corta. Indossai dei tacchi rossi e mi portai i capelli quasi asciutti dietro l'orecchio, appuntandoli con una forcina. Misi un po' di mascara e del blush rosa per poi andare a bussare alla porta di Dave, che mi aprì subito dopo avvolto solo da un asciugamano. La pelle luccicava ancora per le goccioline d'acqua che lo ricoprivano e per la prima volta lo vedevo con i capelli disordinati e non perfettamente tirati indietro con il gel. Era molto muscoloso e la sua pelle era perfetta e pulita, al contrario di quella di Stefan…
 
"Oh, scusami. Mi vesto e sono subito da te"
 
Scomparì dietro una porta, probabilmente il bagno, per poi ritornare perfettamente vestito con un pantalone blu e una camicia bianca messa dentro e i capelli di nuovo in ordine.
 
"Andiamo a cenare"
 
Disse porgendomi il braccio e conducendomi verso le scale che salivano; non ero mai stata al piano superiore né nell'altra ala della casa, ma ovunque fossi questa era sempre elegante e piena di oggetti antichi o quadri di chissà quanti anni prima. Mi lasciai guidare da lui, arrivando in una sala da pranzo con un tavolo che aveva almeno venti posti, sormontata da un lampadario in oro che illuminava la stanza. Le pareti erano in stoffa, di un colore rossiccio, e i mobili erano in un legno elegante, con le rifiniture in oro, tutto in quella stanza gridava lusso e ricchezza; mi sentivo come catapultata indietro nel tempo, all'epoca di principi e principesse.
A capotavola vi era il padre di Dave, un uomo paffuto dai baffi bianchi arrotondati sulla fine, che incuteva un certo rispetto e quasi timore, accanto a lui sulla destra vi era la madre, sorridente e così diversa nei modi di fare, sulla sinistra invece vi era mio padre. I tre sembravano essere talmente impegnati a discutere su qualche questione politica che non si accorsero del nostro arrivo.
Dave si schiarì la voce
 
"Padre, madre, Elia. Scusate il nostro ritardo, è stata colpa mia"
 
Disse con fare solenne, era così strano sentirli chiamare 'padre' e 'madre'. Lui non era proprio di quest'epoca.
Sua mamma ci guardò sorridendo e alzandosi, venendoci incontro e abbracciando prima suo figlio poi me
 
"Sei splendida, tesoro"
 
Mi sussurrò all'orecchio, facendomi arrossire. Poi parlò a voce alta
 
"Non credo che cinque minuti di ritardo abbiano fatto freddare la cena. Suvvia sedetevi"
 
E così ci sedemmo, io accanto a mio padre e lui vicino sua madre, iniziando ad essere serviti da tre camerieri; appena il mio bicchiere si svuotava, subito veniva riempito. Mi sentivo quasi in imbarazzo ad essere servita e riverita in quel modo.
La cena proseguì bene, mio padre e il padre di Dave, Eric, parlarono interrottamente di politica e cultura, coinvolgendo anche me e Dave che per fortuna eravamo ben preparati.
Lui aveva ragione a dire che suo padre alla fine era buono, dopo averlo conosciuto meglio in effetti cambiò totalmente atteggiamento, arrivando a fare addirittura una battuta riguardo a quando ci aveva beccati ricoperti di fango.
Finimmo la cena e restammo ancora un po' a chiacchierare, poi Dave mi riaccompagnò in stanza
 
"Dave?"
 
Lo richiamai prima che se ne andasse; lui si girò
 
"Si?"
 
"Uhm, ti andrebbe di… entrare?"
 
Dissi abbassando lo sguardo e portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio
 
"Non credo sia il caso…"
 
Io annuii, un po' delusa
 
"Va bene… buonanotte Dave"
 
Lui annuì
 
"Buonanotte, Sophie"
 
E richiusi la porta, ripensando alla brutta figura di oggi. Forse aveva sentito cosa avevo detto e non voleva stare più con me…
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Spero che la storia vi piaccia e vi intrighi!
Personalmente ho dato dei volti ai miei personaggi quindi ecco qui i nomi! Voi ovviamente siete liberi di immaginarli a vostro piacimento ;)
 
Sofia Fiore: Katherine McNamara
Stefan Huston: Stephen James
Dave Wortswoth: Harris Dickinson
 
Elia Fiore: Hugh Jackman
Cristina Fiore: Scarlett Johansson
Aron Huston: Peter Gallagher

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


 
Per tutto il giorno successivo lui quasi non mi parlò, ci limitammo a stare nella grande biblioteca che stava all'ultimo piano, leggendo libri antichi e prime edizioni. Lui sapeva quanto io amassi la letteratura e come questa fosse un rifugio per me, quindi mi piaceva pensare che lo avesse fatto per me, non per avere una scusa per non parlarmi.
Pranzammo e cenammo con i suoi genitori e mio padre, parlando del più e del meno. Dave sembrava quasi comportarsi  con me quando era davanti loro, ma lo vedevo che non mi rivolgeva le stesse attenzioni… non potevo più sopportare quella situazione, anche perché la mattina dopo avremmo dovuto affrontare il viaggio di ritorno con mio padre, senza via di scampo.
Non appena finimmo di cenare, Dave si alzò per tornare in camera, così lo seguii bloccandolo prima che potesse sparire nella sua stanza
 
"Dave!"
 
Lui si girò, guardandomi con sguardo neutro
 
"Dimmi"
 
Mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, deglutendo e cercando di trovare le parole
 
"Scusa… io non volevo chiamarti Stefan…"
 
Sussurrai, abbassando lo sguardo, incapace di sostenere il suo, così freddo e distaccato.
Lui sospirò
 
"Chi è? Un tuo ex?"
 
Disse potandosi una mano sulla fronte. Io lo guardai, avvicinandomi
 
"No, Dave. Lui è un mio amico… è scomparso da più di una settimana e… nessuno sa dove sia. Per ora ho la testa a lui, sono preoccupata… Non mi risponde ai messaggi e l'ultima volta che l'ho visto…"
 
Stavo per dirgli in che condizioni era, ma poi mi ricordai che lui mi aveva pregato di non farlo sapere a nessuno
 
"L'ultima volta che l'ho visto mi sembrava molto preoccupato e triste. Ho paura che gli sia successo qualcosa di brutto"
 
Optai per una mezza verità, sperando che mi credesse, lasciando stare. Lui si accigliò
 
"Non avete chiamato la polizia?"
 
"N-no. Suo padre ha detto che non ci si deve preoccupare… ma io lo sono ugualmente"
 
Lui sembrò addolcirsi, venendomi ad abbracciare
 
"Non ti preoccupare, piccola. Sono sicuro che sta bene"
 
Io annuii, non convinta, stingendomi a lui e posando la testa sul suo petto. Sentii il suo petto vibrare
 
"Mi dispiace di essere stato freddo con te… è che… forse è presto per dirlo. Però credo che sto iniziando ad innamorarmi di te…. Quando hai sussurrato quel nome mi è caduto il mondo addosso perché pensavo di averti perso, o meglio, di non averti mai avuto, e di conseguenza mi sono chiuso in me stesso. Mi dispiace piccola, ci tengo davvero a te e a questa relazione e non voglio perderti"
 
Alzai il viso, guardando i suoi occhi azzurri erano diventati quasi cristallini, lucidi, mentre pronunciava quelle parole. Aveva appena detto che stava iniziando ad innamorarsi di me… ed io? Io non lo sapevo, quando stavo con Dave era come se niente potesse andare meglio di così, mi faceva stare bene e mi divertivo sempre a stare con lui, era sempre in grado di farmi sorridere e di sorprendermi… ma Stefan, con Stefan era diverso. Tutto con lui era un'incertezza, i suoi doppi sensi e le sue battutine sfrontate che mi procuravano un rossore sulle guance e un sussulto al cuore, quando i suoi occhi verdi si scontravano con i miei era come se lui fosse in grado di leggermi dentro, di capire cosa mi mettesse a disagio. Lui piano piano si stava aprendo con me, ne ero sicura; gli era costato molto presentarsi a casa mia combinato in quel modo, era come se stesse abbattendo il muro da cattivo ragazzo per farmi conoscere il suo vero io, un ragazzo sconfitto e spaventato.
Non sapevo cosa provavo per lui, né tanto meno per Dave. Stefan aveva deciso di sparire, senza nessun preavviso, e questo Dave non lo avrebbe mai fatto. Sarei restata con Dave, almeno fin quando non avrei fatto chiarezza sui miei sentimenti. Ero sicura che tra qualche tempo mi sarebbe passato e mi sarei potuta dedicare interamente a quel bel ragazzo che ci teneva così tanto a me, dimenticandomi di Stefan, del ragazzo pieno di problemi e menefreghista degli altri.
 
"Neanch'io voglio perderti"
 
Sussurrai, per poi portare le mie mani al suo collo, avvicinandolo e baciandolo. Il mio cuore martellava nel petto, ma la mia testa aveva solo delle labbra nella sua mente, e non erano quelle di Dave.
Lui mi spinse con dolcezza contro la porta della sua stanza, al contrario di come avrebbe fatto Stefan, portando le sue mani sui miei fianchi e carezzandoli dolcemente. Una mano corse alla maniglia, aprendo la porta e permettendoci di entrare. Il bacio stava diventando sempre più esigente, desideroso, le sue mani ora erano sopra il mio sedere, sotto la camicetta.
Non era la mia prima volta, avevo già fatto sesso con un ragazzo che mi aveva fatto sentire così importante per poi, dopo aver preso la mia verginità, era sparito, facendo finta di non conoscermi neanche. Ecco perché ero stata così cauta con Stefan, o almeno all'inizio: sembrava interessato solo ad una casa, ma dopo l'ultima volta che lo avevo visto avevo capito che lui nascondeva qualcos'altra cosa. Il cattivo ragazzo puttaniere era solo una facciata, solo un suo piccolo aspetto.
Si chiamava Mark, era stato un mio compagno di scuola a Tokyo, e mi aveva conquistata fin dal primo istante. Era il più popolare della scuola e aveva puntato alla nuova arrivata, io. Mi era venuto dietro per molto tempo e quando finalmente avevo ceduto, convinta del fatto che i suoi 'ti amo' e i suoi 'ci tengo davvero a te' fossero veri, lui mi aveva buttato come se fossi stata rotta. Ero stata male per i primi tempi, ma Anita e Martha mi erano state vicine aiutandomi a superarlo e a dimenticarlo, e così era stato. Me ne ero pentita, avrei dovuto capirlo che voleva solo usarmi, ma ormai quello che era fatto era fatto, non potevo tornare indietro ma solo guardare avanti.
Ero sicura di Dave, lui ci teneva davvero a me, lo dimostrava il fatto che avesse conosciuto mio padre e che mi avesse presentato i suoi, cosa che con Mark non era mai successa. Ogni volta che gli proponevo di andare a casa sua o di venire lui da me si inventava sempre qualche scusa, né tanto meno eravamo mai usciti in pubblico insieme o scambiati effusioni a scuola.
Sentii il suo respiro farsi più veloce e le sue mani ora scendere, poggiandosi sul mio sedere ma senza stringerlo. Ogni cosa che faceva era così delicata…
Si staccò da me, poggiando la sua fronte contro la mia, interrompendo quel bacio che piano piano si stava riscaldando. Il suo petto che si alzava e abbassava velocemente e il suo respiro pesante
 
"Ancora forse è troppo presto… mi dispiace"
 
Disse tirandosi indietro e lasciandomi spiazzata. Però aveva ragione… io non avevo neanche la certezza dei miei sentimenti e non volevo prenderlo in giro… sospirai, sedendomi sul brodo del suo letto dalle coperte blu. Venne a sedersi accanto a me, poggiando la sua mano sul mio ginocchio, coperto dal jeans blu
 
"Vorrei che la prima volta con te fosse speciale, davvero speciale. Non voglio che tu pensi che per me sei solo una ragazza da una botta e via, sei importante e voglio che tu lo capisca"
 
Disse alzando lo sguardo e guardandomi negli occhi
 
"Sono… sono stato con qualche ragazza ma per me non avevano mai significato niente, erano solo da una botta e via. Con te voglio aspettare, non voglio correre. Voglio che sia importante"
 
Io sorrisi debolmente, poggiando la mia mano sopra la sua
 
"Anch'io sono stata con un ragazzo, ma…"
 
Il suo sguardo si fece interrogativo, spingendomi a continuare, così mi schiarii la voce
 
"Si chiamava Mark, l'ho conosciuto a Tokyo, era un mio compagno di scuola. Lui era il più popolare in effetti"
 
Dissi ridacchiando, per smorzare la situazione
 
"Uhm… lui mi ha fatto sentire importante, facendomi credere che gli importasse qualcosa di me, e quando io ho… ceduto, bhe lui è scomparso. Non gli interessava niente di me, fin dal primo momento lui aveva puntato solo a quello"
 
Mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, abbassando lo sguardo, non volendo vedere il suo. Chissà cosa pensava di me… invece sentii due braccia avvolgermi. Alzai lo sguardo, incontrando il suo
 
"Lo sai che non ti farei mai una cosa del genere, vero?"
 
Sussurrò, non staccando i suoi occhi dai miei
 
"Si, lo so…"
 
Sussurrai, ripensando a quanto mi aveva fatto sentire un oggetto, di cui non appena ti stancavi buttavi via. Non ero arrabbiata o triste, mi sentivo quasi apatica nei suoi confronti e riguardo quell'esperienza; anche con le ragazze, Anita e Martha, non avevo mai pianto su questa cosa.
Notando il mio sguardo perso nel vuoto e la mia mente nei pensieri, richiamò la mia attenzione con voce triste
 
"Ei… stai tranquilla, piccola. Purtroppo capita di farsi un'idea sbagliata delle persone, ma dagli errori si impara"
 
Io annuii, rifugiandomi nel suo petto e nascondendo il mio viso nell'incavo del suo collo e aspirandone il profumo amarognolo. In risposta lui mi avvolse con le sue braccia, stringendomi più forte a lui
 
"Tranquilla, ci sono io qui con te"
 
Sussurrò, accarezzandomi la testa.
Restammo per tutta la notte abbracciati, lui con le braccia avvolte a me e il mio viso sul suo petto, ascoltando il suo battito tranquillo e regolare. Si era addormento dopo poco, tenendomi stretto vicino a lui, chiedendomi di restare con lui, e io avevo accettato. Stare vicino a lui mi faceva stare bene ma ogni cosa sua mi ricordava Stefan, era un continuo paragone con lui. Non capivo perché non riuscivo a smettere di pensarci… forse perché era scappato, senza dire niente, o forse perché mi aveva mostrato il suo lato debole e impaurito…
Avevo pensato e ripensato quella notte cercando di chiarire i miei sentimenti, ma senza riuscirci, o meglio, senza portarli dove volevo io. Sapevo che nel profondo io volevo Stefan, ma sapevo anche che non avrei mai potuto averlo come avrei voluto io, invece con Dave era tutto una certezza. Con il passare del tempo ero convinta che i sentimenti per Stef sarebbero scemati, lasciando crescere quelli per Dave. Mi addormentai dopo quello che mi era sembrata un'eternità, cullata dal respiro e dal battito di Dave.
 
Un movimento sotto di me mi strappò lentamente dalle braccia di Morfeo. Mi accigliai, girando la testa, e cercando di riaddormentarmi, ma una risatina soffocata me lo impedì. Aprii un solo occhio, alzando lo sguardo e incontrando due occhi dal colore del mare
 
"Buongiorno dormigliona"
 
Dave sussurrò, sorridendo. Io ricambiai, imbarazzata
 
"'Giorno"
 
Mugolai. Sentii il suo petto vibrare, facendomi realizzare che ero letteralmente coricata su di lui, come se fossi un koala, seduta sul suo stomaco e con le gambe ai lati dei suoi fianchi. Arrossii di colpo, facendolo ridere ancora di più e cercando di rotolare nel lato libero del suo letto, ma prima che potessi spostarmi le sue braccia mi avvolsero
 
"Dove pensi di andare?"
 
"Uhm… ti sto schiacciando"
 
Lui sorrise, alzando la testa dal cuscino e baciandomi la punta del naso
 
"Effettivamente sta notte ho avuto qualche difficoltà a respirare…"
 
Arrossii fino alla punta del naso, divincolandomi dalla sua presa e rotolando alla sua sinistra
 
"Però è stato bello averti così vicina"
 
Sussurrò, mettendosi su un fianco e fissandomi negli occhi. Portò un mano sul mio fianco, avvicinandosi e baciandomi le labbra. Chiusi gli occhi a quel gesto, posando una mano sulla sua guancia e avvicinandomi
 
"Non sono così pesante"
 
Sussurrai sulle sue labbra. Lo sentii sorridere
 
"Un piccolo elefantino"
 
Gli diedi uno schiaffetto sul braccio
 
"Ei!"
 
Procurandogli una risata che contagiò anche me
 
"Dave, che ore sono?"
 
Lui si girò, prendendo il suo cellulare dal comodino accanto al letto
 
"Le dieci e venti"
 
"Merda!"
 
Balzai in piedi, scendendo dal letto di corsa e osservando Dave che mi guardava con un sopracciglio alzato
 
"Cosa stai facendo?"
 
"Dave!! Tra poco abbiamo appuntamento con mio padre!!"
 
Lui sembrò realizzare, alzandosi di conseguenza e iniziando ad afferrare vestiti da terra e buttarli nella valigia
 
"Merda! Abbiamo dieci minuti! Ci vediamo di sotto"
 
Disse venendomi incontro e accompagnandomi alla porta, baciandomi la guancia prima di aprirla, lasciandomi uscire. Corsi in stanza e non appena vi entrai, chiudendomi la porta alle spalle, sentii bussare
 
"Gemma? A che punto siete?"
 
"Papà! Un attimo!"
 
Mi guardai intorno, afferrando la vestaglia e buttandomela addosso, per coprire i vestiti, e correndo alla porta. Mio padre si sarebbe arrabbiato molto se avesse scoperto che avevo dormito con Dave, anche se avevamo veramente solo dormito
 
"Uhm, scusa, mi sono appena alzata"
 
Dissi aprendo la porta e vedendo mio padre con già la valigia pronta in mano. Lui mi squadrò con un sopracciglio alzato
 
"Vestiti in fretta, ho un appuntamento di lavoro nel primo pomeriggio e non posso fare tardi"
 
Disse uscendo dalla stanza e facendomi tirare un respiro di sollievo, ma prima di andarsene si girò
 
"La prossima volta che vuoi nascondere qualcosa, fallo meglio. Posso vedere che indossi i vestiti di ieri"
 
Merda. Ero nei casini fino al collo
 
 
Il viaggio di ritorno fu silenzioso, mio padre si sedette davanti accanto a Dave, e io rimasi nel posto del passeggero al centro, guardando gli sguardi silenziosi di Dave, preoccupato della tensione in macchina.
Dopo qualche ora finalmente arrivammo nel nostro residence dove Dave posteggiò la macchina di fronte casa per poi venirmi ad aprire lo sportello. Mio padre scese velocemente, aprendo casa e girandosi a guardarci
 
"Dave è stato un piacere. Ringrazia ancora i tuoi. Una buona giornata"
 
Per poi girarsi e scomparire dietro la porta di casa, senza aspettare una risposta da parte sua. Sospirai, guardando Dave che aveva uno sguardo perplesso
 
"Non preoccuparti… gli passerà. Ha capito che non ho dormito in camera sta notte…."
 
I suoi occhi si spalancarono per lo stupore e si portò le mani davanti, scuotendole
 
"Non abbiamo fatto niente!! Oddio cosa penserà di me… "
 
Si portò le mani tra i capelli, cominciando a mormorare disperatamente
 
"Ei, ei! Calmati! Non preoccuparti, gli parlerò e si risolverà tutto. Non cambierà opinione su di te"
 
Gli misi le mani sulle spalle, cercando di calmarlo. Lui annuì abbassando lo sguardo
 
"Ok… ora vado a parlargli, ci sentiamo dopo"
 
Sussurrai, alzandomi sulla punta dei piedi e baciandolo a stampo, per poi prendere il mio bagaglio e rientrare in casa. Mi fermai sulla porta d'ingresso, salutandolo ancora una volta con la mano e aspettando che mettesse al macchina in moto per poi partire ed io entrare in casa, pronta ad affrontare il mio destino.
Non appena chiusi la porta di casa, subito sentii la voce severa di mio padre
 
"Sofia! In studio. ORA"
 
Posai il bagaglio all'ingresso, prendendo un profondo respiro e dirigendomi a passi lenti verso il suo ufficio. Non appena entrai, lo vidi seduto sulla sua poltrona con gli occhiali sul naso e un giornale sulle gambe. Appena alzò lo sguardo, si tolse gli occhiali e posò il giornale sul tavolino alzandosi e poggiandosi alla scrivania, tirando un sospiro
 
"Sophie…"
 
Lo interruppi, prima che potesse continuare
 
"Abbiamo solo dormito papà!! Stavamo parlando del più e del meno e ci siamo addormentati! Te lo giuro!"
 
Venne verso di me, abbracciandomi
 
"Lo sai che quello che faccio è solo per il tuo bene, vero?"
 
Io annuii sul suo petto
 
"Sei agli arresti domiciliari per una settimana, va bene?"
 
"Papà non sono più una bambina"
 
Lui ridacchiò, interrompendo l'abbraccio e guardandomi negli occhi
 
"Ai miei occhi sarai sempre la mia bambina, piccola gemma"
 
Per poi toccarmi il naso con fare giocoso, e a quel gesto gli sorrisi, roteando gli occhi
 
"Devo andare al mio appuntamento, Mela ti ha lasciato da mangiare. Ci vediamo sta sera, cercherò di tornare per cena"
 
Annuii, lasciandolo andare, per poi prendere la valigia e dirigermi in camera, iniziando a sistemare i vestiti e andando a fare una doccia. Non appena uscii dal bagno andai al balcone, con la speranza di vedere un movimento… di Stefan ancora nessuna traccia. Sospirai, richiudendola e andandomi a cambiare per poi pranzare.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


*Tre settimane dopo*

Ci siamo, oggi è il grande giorno: inizierò la mia nuova avventura all'American International School of Vienna.

La sera prima avevo puntato la sveglia alle 6am, così da avere il tempo di prepararmi con tutta calma e arrivare un po' prima dell'inizio delle lezioni. Mi ero imposta il buon proposito di cercare di essere il meno timida possibile e di stringere quante più amicizie possibili.

Non avevo conosciuto nessun altro a parte Dave e Stef, ma il mio ragazzo non frequentava più il liceo e beh… di Stefan ancora nessuna traccia. Era completamente sparito e ormai avevo smesso di chiedermi dove fosse, o almeno, ci provavo. All'inizio ogni mattina, non appena mi svegliavo mi dirigevo verso la mia finestra, cercando di vedere all'interno della sua stanza, ma ogni volta la trovavo vuota e abbandonata. Suo padre era anche lui partito per qualche viaggio di affari da circa una settimana, lasciando la casa totalmente vuota.

La vibrazione del mio telefono mi riportò alla realtà

 

- Buongiorno e buon primo giorno Sof

XX, D

 

Sorrisi al pensiero del mio ragazzo. Con lui le cose erano normali, andava tutto bene e anche con mio padre le cose si erano aggiustate. Dave era venuto a casa il giorno dopo la sua sfuriata e si era scusato personalmente con mio padre, guadagnandosi la sua fiducia e il suo rispetto. Certo, la punizione era ancora valida ma la settimana era passata in fretta, e poi… non avevo con chi uscire se non con Dave.

Risposi velocemente al messaggio con un 'grazie XX' per poi alzarmi dal letto. Mi diressi velocemente vero il bagno per fare una doccia fredda per svegliarmi ulteriormente e insaponai i capelli con il mio solito shampoo alla vaniglia e miele. Non appena finito mi avvolsi un asciugamano al corpo e un altro ai capelli, tamponando l'acqua dalle punte, per poi dirigermi verso il guardaroba.

Scrutai bene i vestiti, accarezzandoli con le mani in cerca di ispirazione: volevo fare una bella figura.

Optai per un pantalone nero a gamba dritta, con dei sabot neri Gucci e una camicia bianca larga, con le maniche arrotolate fino al gomito. Legai i capelli in una crocchia disordinata, lasciando libere alcune ciocche e presi uno zainetto nero in pelle dove infilai alcuni quaderni con l'astuccio. Mi truccai con del semplice mascara, mettendo in risalto i miei occhi e poi scesi di corsa dalle scale, prima di uscire di casa salutai mio padre, trovandolo al solito nel suo ufficio. Gli stampai un bacio in guancia e poi corsi verso il boxe, prendendo la mia bici e iniziando a correre per le strade di Vienna, fino ad arrivare alla scuola.

Era un grosso edificio interamente bianco e imponente, con delle bandiere che sventolavano poste sulla sua facciata. Salii i gradini che mi condussero in un atrio spazioso e illuminato dalle finestre a vetri poste su tutta la facciata e mi diressi verso la segreteria per chiedere il mio orario e armadietto. Erano solo le sette e mezza ma c'era una gran massa di persone che correvano da un corridoio all'altro, per la maggior parte professori. Dopo aver girovagato per cinque minuti finalmente trovai l'ufficio informazioni, ritirando il mio foglio degli orari e iniziando a studiarlo: oggi avrei avuto lezione di letteratura inglese e poi di storia, finendo le lezioni alle dodici, prima di pranzo.

Iniziai a dirigermi verso la prima aula che mi avevano spiegato essere al secondo piano. Le scale che mi condussero al piano superiori erano in marmo, con alti gradini, e un corrimano in ferro le percorreva da ambedue i lati. Tutto in quel posto gridava lusso e ricchezza.

Arrivata al secondo piano trovai subito l'aula entrando e trovando una sola ragazza dai capelli corvini che se ne stava seduta nella seconda fila con un libro in mano. Mi schiarii la voce, non sicura di dove sedermi e lei non appena alzò lo sguardo occhialuto, mi sorrise, facendo un cenno con la testa verso il posto vuoto accanto a lei. Le sorrisi di ricambio, posando lo zaino sulla sedia accanto a me. Lei posò il libro e mi porse la mano

 

"Ciao, piacere. Sono Kylie"

 

Le strinsi la mano

 

"Sophie, molto piacere"

 

Lei annuì, mostrandomi le fossette sulle sue guance

 

"Sei nuova, non è vero?"

 

Mi chiese, alzando un sopracciglio, ed io ridacchiai imbarazzata

 

"Si vede molto?"

 

Lei buttò la testa all'indietro, ridendo

 

"Beh si, sembri un po' disorientata! Ma tranquilla, ti piacerà questo posto. Solo… evita le Madame, loro sono una vera rogna ai piedi"

 

Io annui, guardandola confusa

 

"Beh, sono cinque ragazze che si sentono le padrone di questa scuola… sai? Le tipiche ragazze che pensano solo a quanti ragazzi si sono fatte e all'ultima borsa di Chanel uscita"#

Disse virgolettando ogni parola. Le sorrisi, ridendo anch'io. Era proprio buffa e non la smetteva di parlare, mi raccontò ogni cosa di quella scuola fino a quando non fummo interrotte dall'entrare dei nostri compagni, che iniziarono a sedersi rumorosamente nelle file dietro. Non appena cinque ragazze, vestite coordinatamente e di marca dalla testa ai piedi, tutti si zittirono, iniziandole a fissare e procurando un sorriso soddisfatto alla bionda ossigenata che se ne stava al centro di esse. Il suo sguardo percorse tutta la sala, fino a scontrarsi con il mio. Si girò sussurrando qualcosa alle altre quattro che annuirono ridacchiando, per poi farsi strada verso la mia direzione

 

"Oh oh, hanno notato la nuova arrivata"

 

Disse Kylie, coprendosi la bocca con il libro, e facendomi scuotere la testa. Non appena il gruppetto si fermò, la bionda prese parola, con una voce acuta e stridula, tanto da perforarmi le orecchie

 

"Una nuova arrivata a quanto vedo… Piacere mi chiamo Molly. E tu chi sei?"

 

Alzai un sopracciglio, cercando di non riderle in faccia al suo modo altezzoso

 

"Sophie"

 

"Sophie, che bel nome! Perché non ti vieni a sedere con noi… piuttosto che con, beh, con questa PERSONA. Non mi sembra molto adatta a te"

 

Guardai Kylie che adesso aveva lo sguardo furioso, e prima che potesse aprire bocca, sicuramente per dirle qualcosa di poco carino, la interruppi

 

"No grazie. Sto benissimo qui dove mi trovo, e poi penso che con la tua voce così soave non riuscirei a seguire la lezione… scusami"

 

Dissi facendo spallucce e facendole spalancare la bocca, probabilmente non si aspettava una reazione del genere. Girò le spalle, tirando fuori il petto e iniziando a sculettare verso le sedie più in alto, seguita dalle sue cagnoline che se la ridevano sotto i baffi.

 

"Sei. Stata. GRANDE"

 

Mi disse Kylie, guardandomi con ammirazione. Io le sorrisi, spolverandomi le spalle

 

"Niente a cui non so tener testa"

 

La nostra conversazione venne interrotta da un omino basso e paffuto, tutto rosso in viso e con il fiatone che entrava in aula. Gettò la valigetta sulla cattedra, asciugandosi con un fazzoletto il sudore dalla fronte per poi prendere fiato e ricomporsi, girando il suo sguardo verso di noi.

 

"Sono il professor Forlich, benvenuti a Letteratura Inglese"

 

Si girò, iniziando subito a scrivere qualcosa sulla lavagna, iniziando la sua spiegazione sulla nascita della Letteratura. La sua voce, profonda e bassa, spiegava le cose con calma, approfondendo ogni argomento e rendendo la lezione interessante da seguire. La mia mano scriveva veloce nel foglio, tracciando ogni parola detta da lui.

Non appena il professore si interruppe, alzai lo sguardo dal foglio, vedendo il professore accigliato che guardava fuori dalla porta

 

"Signor Huston, quale onore averla a lezione. Le ricordo che le vacanze sono finite e non sono tollerati ritardi"

 

I miei occhi si sgranarono, incontrandosi con quegli occhioni verdi che mi avevano tenuta sveglia per notti intere. Dopo un mese era di nuovo qui, davanti ai miei occhi, sano e salvo. Lo guardai con la bocca spalcata, e lui mi fece un ghigno. Una gomitata richiamò la mia attenzione

 

"Chiudi la bocca, o ti entrerà qualcosa"

 

Kylie ridacchiò accanto a me, scossi la testa, girandomi verso di lei e sorridendole. Il mio non era stupore per la sua bellezza, ma piuttosto non ero preparata a vederlo di nuovo.

 

"Si vada a sedere, oggi tollererò il suo ritardo perché è il primo giorno. Ma che non si ripeta"

 

Disse il professore, puntandogli un dito minaccioso contro e procurando una risatina e un'alzata di mani da parte di Stef. Non appena iniziò a salire le scale, il suo sguardo non lasciò il mio, che gli mandavo occhiatacce e insulti mentalmente. Non si era fatto sentire, poteva essere morto! Invece eccolo di nuovo qui con la sua aria strafottente e menefreghista. Ed io che mi ero dannata l'anima per lui!

Continuai a seguirlo con lo sguardo, notando come Molly si era gonfiata tutta, mettendo in mostra la sua scollatura e iniziandolo a chiamare, procurandogli un'alzata di occhi. Si sedette accanto a lei che subito non perse tempo a toccarlo e palpeggiare le sue braccia, mandandomi scariche elettriche in tutto il corpo. Mi rigirai, fumante di rabbia

 

"Stefan Huston, il più desiderato della scuola. Fossi in te gli starei alla larga, non promette niente di buono uno come lui… e poi girano delle voci"

 

Mi girai, guardando con aria interrogativa Kylie e spingendola a continuare

 

"Umh, diciamo che si pensa che sia immischiato con dei brutti affari"

 

Un colpo di tosse ci riportò al professore, che ci guardava con aria arrabbiata. Sussurrammo uno "scusi" prima di riprendere a seguire la lezione, o almeno provare, perché le parole di Kylie mi frullavano in testa, non permettendomi di seguire.

Al suono della campana tutti scattarono in piedi, non dando il tempo al professore di finire di spiegare l’ultima parte del brano di Geoffrey Chaucer, I Racconti di Canterbury, e procurandogli un rossore in viso, simbolo che stava per iniziare ad urlare

 

“Ragazzi! RAGAZZI! Non andrete da nessuna parte fin quando non sarò IO a dirvelo!!!”

 

Urlò, indicando con il dito chi si era già affrettato alla porta, tra cui anche Stefan.

Si fermò, sistemandosi la giacca e pulendosi le mani dal gesso per poi riparlare

 

“Bene, ora siete liberi. Una buona giornata”

 

Prese la sua cartella e se ne andò, procurando risatine sotto i baffi di tutti i presenti, comprese me e Kylie che ci guardavamo ridacchiando

 

“Piuttosto unico direi...”

 

Io annuii al suo riferimento del professore, mentre raccoglievamo i nostri quaderni e li riponevamo nelle borse. Vidi Stef guardarmi con la coda dell’occhio, uscendo dalla classe seguito da quell’oca giuliva di Molly, che si stava letteralmente facendo trascinare appesa al suo braccio, faticando a stargli dietro. Dovevo parlargli, non l’avrebbe passata liscia

 

“Kylie… scusami, io devo scappare. Questo è il mio numero! Scrivimi!”

 

Diedi un fogliettino con su il mio numero, per poi girarmi e correre fuori dalla classe. Non appena fui fuori mi guardai a destra e a sinistra, cercandolo con lo sguardo, fino a quando non lo intravidi più in là, poggiato con aria strafottente su degli armadietti, Molly sempre appiccicata a lui che gli carezzava il petto.

Mi sistemai lo zaino in spalla, iniziando a marciare verso di lui, con un’espressione omicida addosso

 

“TU!”

 

Alzai la voce, avvicinandomi e puntandogli un dito contro. Alla mia voce Molly si girò, squadrandomi dalla testa ai piedi con aria superiore

 

“Oh Stef caro… andiamo via”

 

Disse staccandosi da lui e afferrandogli il bicipite, iniziando a tirarlo. Ma lui rimase immobile, puntando il suo sguardo sul mio, con un sopracciglio alzato.

Non appena gli fui di fronte quella serpe parlò di nuovo, procurando a Stef uno sbuffo e un alzata di occhi

 

“Se non vuoi stare qui puoi anche andartene, Milly”

 

Lui la guardò scocciato con un sopracciglio alzato e un mezzo sorrisetto, non appena vide la sua reazione

 

“Mi chiamo Molly!! E poi… e poi io faccio quello che voglio!”

 

Urlò con voce stridula, prima di girare i tacchi e andarsene tutta impettita, lasciandoci finalmente soli.

Non appena aprii la bocca per parlare, lui mi bloccò

 

“Non qui”

 

Disse, afferrandomi il braccio e tirandomi verso una porta, che aprì tirandomici dentro, per poi richiudersela alle spalle. Non appena si girò a guardarmi io di istinto gli diedi uno schiaffo sulla guancia, facendogli voltare la testa.

 

“Ouch”

 

Si portò una mano a massaggiare il punto in cui avevo colpito e che iniziava a diventare rosso

 

“Ok, forse me lo merito...”
 

Rimasi a guardarlo con le braccia conserte e lo sguardo accigliato, prima di iniziare a parlare, camminando avanti e indietro per l’aula, gesticolando per cercare di calmarmi

 

“Tu… come hai potuto fare una cosa del genere!!! Sei scomparso per un fottuto MESE!!! Eravamo tutti così preoccupati Stefan! Non una chiamata! Non un fottutissimo messaggio! Cosa dovevo pensare, eh? Dopo che ti sei presentato a casa mia pieno di lividi e tagli! COSA DOVEVO PENSARE?? E poi te ne spunti così… come se nulla fosse! Per dio!! Siamo vicini di casa! Potevi anche avvertirmi che saresti tornato! Io non ci posso credere, mi sono dannata l’anima per te! Ero così fottutamente preoccupata!”

 

Una sua risatina mi fece voltare a guardarlo, se fossi stata in un cartone animato avrei avuto il fumo che usciva dalle orecchie. Mi avvicinai a grandi falcate verso di lui, puntandogli il dito contro il petto

 

“Lo trovi divertente?!”
 

Lui scosse la testa, mordendosi il labbro e cercando di non ridere, ma invano

 

“Cosa c’è di così divertente?!”

 

La sua risatina si fermò e alzò lo sguardo verso il mio, tornando con una faccia seria

 

“Eri preoccupata per me”

 

“Beh… si, cioè no”

 

Lui scosse la testa, afferrando il mio polso, con il dito ancora puntato sul suo petto, e tirandomi vicina a lui

 

“Non era una domanda. Tu eri preoccupata per me”

 

abbassai lo sguardo imbarazzata, un leggero rossore che si diffondeva sulle mie guancie

 

“Io… Stef insomma, certo che lo ero… dopo averti visto in quelle condizioni chi non lo sarebbe stato”

 

Lui scosse la testa, portando una mano sotto il mio mento per farsi guardare in quelle due gemme di occhi, carezzando la mia guancia e procurandomi brividi, l’altra che teneva ancora il mio polso. Mi ero scordata del suo tocco, dell’effetto che aveva su di me

 

“Sto bene, Sophie. Avevo bisogno di andare via per un po', sto bene. Non ti devi preoccupare per me”

 

Disse accigliandosi, senza interrompere il contatto. Poggiai la mano sul suo petto, aprendola nel mezzo di esso, per poi avvicinarmi e abbracciarlo. Non so neanch’io perché lo avevo fatto, però ne avevo bisogno. Era un modo per sentirlo vicino, per essere sicura che stesse bene.

Sentii il suo respiro tentennare, anche lui era rimasto sorpreso dal mio gesto, ma dopo poco portò una mano dietro la mia schiena e una sulla nuca, accarezzandomi i capelli

 

“Scusami”

 

Mi sussurrò tra i capelli. Io annuii, nascondendomi nell’incavo del suo collo e sentendo il suo profumo: vaniglia e cannella.

Restammo lì ancora per qualche secondo, fin quando lui non si schiarì la voce, facendo interrompere quell’abbraccio

 

“Uhm, io devo andare. Ci vediamo, Sophie”

 

Mi diede un ultimo sguardo prima di uscire e lasciarsi la porta aperta alle spalle. Io mi sedetti su un banco, cercando di metabolizzare il tutto: in cosa mi stavo cacciando?

 

 

 

 

 

 

 

SCUSATE L’ENORME RITARDO! Ma ecco qui un nuovo capitolo… con il ritorno di Stefan soprattutto! Chissà perché era fuggito di casa… qualche idea?

Alla prossima!

XX

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Ero ancora seduta su quel banco quando il cellulare mi squillò, riportandomi nel mondo reale. Lo sfilai dalla tasca e notai un numero sconosciuto, così risposi accigliandomi

 

“Si? Chi parla?”

 

Nessuna risposta. Solo strani brontolii e un respiro affannoso

 

“Chi è?!”

 

Poi una risatina femminile arrivò alle mie orecchie

 

“BUH!”

 

Roteai gli occhi, avendo riconosciuto la voce

 

“Kylie? Mi hai fatto prendere un colpo!”

 

La sentì ridere ancora più forte, decidendosi finalmente a parlare

 

“Ciao Sophie! Scusami ma è stato più forte di me”

 

Disse, scoppiando nuovamente a ridere e contagiando anche me

 

“Sei ancora a scuola?”

 

Mi chiese, fermando le nostre risate

 

“Uhm, si. Ma stavo per andarmene”
 

“Uh”

 

Potei sentire la delusione nella sua voce, così mi affrettai a continuare la frase

 

“Avevi qualcosa in mente?”
 

Lei si schiarì la voce con un colpetto di tosse

 

“Che ne dici di andare a pranzo insieme? Sai, anche se ormai sono due anni che frequento questa scuola non ho mai trovato un’amica… e mi farebbe piacere conoscerti meglio!”

 

Sorrisi, capendo la sua situazione in un certo senso

 

“Ci vediamo all’ingresso tra cinque minuti”

 

E dopo aver sentito un suo urletto felice riattaccai, dirigendomi verso il bagno. Non appena entrai in una delle cabine, subito sentii una certa voce stridula parlare, o meglio, urlare

 

“Ma chi si crede di essere? Trattarmi in quel modo per una sgualdrinella da quattro soldi!! Mi ha cacciata per parlare con quella… quella stronza! Neanche si ricordava il mio nome!! MILLY!!!! Ma che poi… chi preferirebbe Kylie Quattrocchi a ME?! Ridicola… ci perderà lei”

 

Stava parlando di me e nella prima parte ero abbastanza sicura si riferisse a Stef. Beh in qualsiasi altro caso non avrei origliato… ma ero IO l’argomento in questione quindi… potevo fare un’eccezione. Aprii leggermente la porta per vedere Molly che si spalmava un rossetto rosa shock sulle labbra gonfie, probabilmente rifatte. In effetti ora che la osservavo meglio sembrava proprio una Barbie implasticata, i capelli biondi ossigenati, quel trucco eccessivo, il seno che praticamente le usciva dalla scollatura della camicetta…

 

“Vedrete, Stefan sarà MIO. D’altronde, chi potrebbe mai rifiutare una come me? Dico io, mi avete vista? Entro la fine dell’anno io e lui ci metteremo insieme… vedrete. Nessuno può dirmi di no, sono irresistibile ”

 

Fece una piroetta sotto gli sguardi approvatori delle altre quattro. Io mi tappai la bocca, per cercare di trattenermi dal ridere. Era davvero ridicola…

Appena se ne andarono dal bagno, io ebbi il via libera per uscire e dirigermi verso l’ingresso. Non appena scesi le scale in marmo, subito mi ritrovai nella Hall affollata da studenti che correvano da un lato e da un altro. Mi girai intorno, alla ricerca della mia nuova amica, trovandola seduta poco più in là sul davanzale di una finestra, con il solito libro aperto sulle gambe. Le corsi incontro sorridendo

 

“Ma tu sempre che leggi sei?”

 

Le chiesi ridendo, non appena la raggiunsi. Lei alzò lo sguardo, sorridendo imbarazzata

 

“Bhe… si, è un rifugio per me”

 

Mi sedetti accanto a lei, guardando fuori dalla finestra e notando le macchine e le bici correre per le strade affollate, il sole splendeva ancora alto nel cielo, illuminando tutto

 

“Ti capisco. È una cosa che faccio spesso anch’io...”

 

Spostai l’attenzione su di lei, che aveva stampato un sorriso a trentaquattro denti

 

“Siamo più simili di quel che pensavo”

 

Io annuii, sorridendo. Forse non sarebbe stato così male quest’ultimo anno al liceo…

Decidemmo di andare a mangiare dei dolci tipici del posto, dal momento in cui entrambe li adoravamo e io ancora non ne avevo assaggiati. Appena lo aveva sentito, Kylie subito mi aveva trascinato verso un chioschetto vicino la scuola dall’aria calda e accogliente, sedendoci in un tavolo al primo piano davanti la finestra. Ordinammo due fette di strudel (una torta alle mele), delle krapfen ripiene di marmellata e vaniglia e per finire due kaiserschmarren, una sorta di impasto di crepes con zucchero, uvetta e marmellata, il tutto accompagnato da due coppe di gelato alla vaniglia e cioccolato. Penso che avrei fatto indigestione di dolci…

 

“Kylie!! Io sto scoppiando!”

 

Dissi poggiandomi sullo schienale del divanetto e tenendomi la pancia. Lei mi imitò, facendosi uscire uno sbuffo dalle labbra cosparse di zucchero a velo

 

“Anch’io… ma ne è valsa la pena”

 

Io annuii, ridacchiando e guardando il tavolo ormai svuotato e cosparso solo da briciole e piatti vuoti.

Era una ragazza molto dolce e di buona compagnia, le si poteva parlare di tutto. Mi aveva raccontato che la sua famiglia era di Vienna e che lei non si era mai spostata dalla città, aveva sempre vissuto lì. I suoi possedevano una catena di ristoranti in tutta l’Austria e programmavano di espandersi anche in America nei prossimi anni, e lei probabilmente ne avrebbe preso le redini, ecco perché era stata mandata in una scuola internazionale. Le raccontai di tutti i miei viaggi e di Tokyo, omettendo però il viaggio di ritorno con il mio vicino di casa… poi mi saltò in mente quello che mi aveva detto durante la lezione, così mentre passeggiavamo per le strade le chiesi

 

“Quando in classe hai detto che Stefan è immischiato in affari pericolosi… cosa intendevi di preciso?”

 

Lei si fermò senza preavviso, afferrandomi per le spalle e fissandomi negli occhi

 

“Sophie, devi stargli lontana, per favore…”

 

La guardai accigliandomi

 

“Si, ma… perché”

 

Lei lasciò andare le mie spalle, portandosi una mano sugli occhi, sotto gli occhiali, strofinandoseli

 

“Non girano belle voci sulla sua famiglia, Sophie. Non so i dettagli, so solo che sono immischiati in faccende losche e che… forse il padre ha ucciso la madre. Ma sono solo voci, nulla di certo!!”

 

Io spalancai la bocca, paralizzandomi. Avevo un possibile omicida che viveva accanto casa nostra? In effetti sua mamma non l’avevo mai vista… e poi anche la tranquillità del padre quando il figlio era scomparso… e l’improvvisa partenza di Aron? C’era decisamente qualcosa che non quadrava in tutta quella storia

 

“Comunque lui è un puttaniere… si è fatto ogni ragazza presente a scuola”

 

Disse Kylie, cercando di farmi riprendere dal mio shock

 

“Beh, tutte tranne me… e te”

 

Mi ripresi, scuotendo la testa e sorridendole, portandole un braccio intorno al collo, cercando di non pensare al bacio rubato dell’aereo...

 

“Questo perché noi teniamo duro e non gliela lasciamo vinta”
 

Lei rise, avvolgendo il suo braccio alla mia vita e iniziando a camminare

 

“Hai ragione, hai ragione”

 

Ritornammo a scuola, dove io avevo lasciato la mia bici. Kylie abitava dall’altra parte rispetto casa mia, così ci salutammo e andammo nelle direzioni opposte.

Mentre stavo pedalando verso casa la suoneria del telefono chiamò la mia attenzione, così fermai la bici e riposi

 

“Pronto?”

 

“Tesoro! Come è andato il primo giorno di scuola?”

 

Sorrisi alla voce di Dave

 

“Ciao Dave! È andato… tutto bene, ho già stretto molto con una ragazza e abbiamo conosciuto il professore di letteratura inglese… è molto buffo”

Decisi di omettere il piccolo, minuscolo, insignificante rientro di Stefan e concentrarmi invece sul resto della giornata

 

“Sophie? Scusami un momento”

 

Mi interruppe mentre gli stavo per raccontare della nostra abbuffata di dolci. Lo sentii mormorare al telefono per poi sbuffare

 

“Tesoro, mi dispiace. Devo scappare, sai… il lavoro”

 

“Oh, si certo, capisco Dave. Ci sentiamo”
 

“Sisi, a dopo, ciao”
 

Mi chiuse il telefono praticamente in faccia. Lo avevo visto poco e niente… era sempre in ospedale a fare turni su turni e il tempo libero che aveva lo doveva impiegare per studiare. Noi ci vedevamo una volta a settimana ma non mi lamentavo, lo capivo. E poi le cose erano così normali tra di noi… sembravamo quasi una vecchia coppietta, al contrario di Stef. La sua vicinanza mi aveva scatenato qualcosa, qualcosa che Dave non riusciva proprio a farmi provare.

Scossi la testa, rimontando in bici e tornando a casa, raggiungendola poco dopi minuti. Non era così lontana da casa mia in effetti, avrei anche potuto farla a piedi; mio padre mi aveva proposto l’autista ma io mi ero rifiutata e glielo avevo proibito, non volevo dare l’idea della ragazzina viziata, servita e riverita, non volevo essere quel tipo di persona. Così con mio padre eravamo giunti al compromesso che l’autista mi sarebbe venuto a prendere solo in caso di diluvio universale o tempesta di neve, non fermandosi tutta via di fronte scuola.

Posai la bici nel box, entrando in casa venendo accolta da Mela. Era una donna molto materna nei miei confronti, bassina e paffutella, sempre con le gote rosse e un sorriso stampato in faccia. L’abbracciai velocemente, stampandole un bacio sulla guancia e procurando una risatina da parte sua per poi dirigermi allo studio, trovando mio padre seduto dietro la scrivania chinato e intento a leggere vari fogli

 

“A stare così ti verrà la gobba”

 

Lo presi in giro e lui a sentire la mia voce alzò lo sguardo, sorridendomi e facendomi cenno di sedermi in una delle due sedie poste davanti lui

 

“Com’è andato il primo giorno?”

 

“Uhm, direi piuttosto bene. La scuola è bellissima, gli studenti un po' meno… ma ho fatto amicizia con una ragazza che ha i miei stessi gusti, si chiama Kylie! Poi abbiamo conosciuto il professore di letteratura, il Professor Forlich. Dovevi vederlo papà, è un omino così buffo… poi sono andata a pranzo con Kylie e mi ha fatto assaggiare tutti i dolci tipici di Vienna!! Ti ci devo proprio portare, erano buonissimi”

 

Lui mi guardava sorridendo e annuendo ogni tanto, per farmi capire che mi stava ascoltando

 

“Beh e poi è successa una certa cosa...”

 

Dissi abbassando lo sguardo sulle mani e iniziando a giocare nervosamente con gli anelli. Alzai lo sguardo vedendo il suo sorriso scomparire e le sue sopracciglia unirsi, guardandomi con aria interrogativa

 

“Uhm… Stefan è tornato”

 

All’inizio sembrò non capire; ovviamente, avendolo visto così poche volte non se lo ricordava così lo aiutai

 

“Il vicino di casa papà”

 

Vidi la consapevolezza farsi strada nei suoi occhiali

 

“Oh”

 

Fu tutto quello che disse

 

“Già… Sta bene solo che...”

 

Volevo chiedergli di sua madre, magari lui sapeva qualcosa dato che era amico di vecchia data di suo padre

 

“A scuola girano delle voci… su suo padre”

 

Lo vidi accigliarsi e sporgersi in avanti, sostenendosi il mento con le mani e invitandomi a continuare

 

“Uhm… dicono che lui abbia ucciso sua moglie”

 

Mio padre sgranò gli occhi, incredulo e aprì la bocca sorpreso dalla mia affermazione

 

“Papà tu sai qualcosa di questa storia?”

 

Lui scosse la testa, prendendo parola

 

“Aron amava Lucy, Sophie. Non penso che sia stato lui ad ucciderla”

 

“Com’è morta?”

 

Chiesi. Forse non avrei dovuto immischiarmi negli affari di Stefa, ma la curiosità era troppa. Lui si poggiò sullo schienale della sedia, togliendosi gli occhiali e strofinandosi le tempie con la punta delle dita

 

“Sophie… non credo siano affari nostri, perché non chiedi a Stefan? Non siete amici?”

 

“Beh si… però non credo che lui ne voglia parlare”

 

“Allora non dovrò essere io a dirtelo, mia piccola gemma. Se lui non vuole parlartene non è giusto che sia io a farlo. Sono più che sicuro che quando sarà pronto, sarà lui a raccontarti di sua madre. Nel mentre ti basta sapere che sono più che sicuro che non sia stato Aron ad ucciderla”

 

Io annuii, abbassando la testa

 

“Forse hai ragione, papà”

 

“Su, vieni qui. Dai un bacio al tuo vecchio e lasciami finire di lavorare”

 

Disse ridacchiando, guardandomi con sguardo amorevole

 

“Va bene, papà”

 

Risposi ridacchiando, alzandomi dalla sedia in pelle e girando dalla scrivania, avvolgendo le braccia la suo collo e stampandogli un bacio sulla tempia

 

“Ti voglio bene”

 

“Anch’io, piccola gemma, anch’io”

 

Rispose prima che uscissi dal suo studio. Mi chiusi la porta alle spalle, decidendo di andare a casa di Stefan. Dovevo vederlo e cercare di capire cosa fosse successo

 

“Sto uscendo!!”

 

Gridai, per poi dirigermi velocemente all’ingresso, uscendo di casa e iniziando a incamminarmi vero la villa accanto alla nostra.

Non appena fui davanti al cancello notai che questo era aperto e vi erano due macchine posteggiate, una Mercedes-Benz 280 nera e una Fiat 500 rosa. Mi accigliai, pensando che quella macchina ovviamente non poteva essere sua, ma comunque mi diressi a passo svelto vero la porta d’ingresso. Avevo così tante domande che mi frullavano in testa e lui non mi aveva fatto parlare prima a scuola…

Bussai al campanello insistentemente e dopo poco la porta si spalancò, mostrandomi uno Stef a torso nudo e avvolto solo da un asciugamano, i capelli ancora bagnati da cui piccole goccioline scendevano, cadendo sul suo torace. L’unica cosa che riuscii a pensare fu “Porca puttana”, mi ero scordata del suo fisico, di tutti quei tatuaggi, della collanina che gli scendeva in mezzo ai pettorali… Ogni livido che prima gli ricopriva il fianco ora totalmente sparito, e sul sopracciglio una leggera cicatrice. Non appena si accorse chi aveva bussato si accigliò

 

“Sophie? Che ci fai qui?”

 

Quando stavo per rispondergli, dopo essermi ripresa dalla trance, una voce stridula ci interruppe

 

“Stefyyyy, non è educato lasciare gli ospiti da soliiiii”
 

Ormai potevo riconoscere quella voce stridula ovunque

 

“Dimmi che scherzi… lei?”

 

Lui sogghignò, vedendomi infastidita, e alzando un sopracciglio. Anche se ad infastidirmi era la sua presenza, quella oca giuliva…

 

“Qualche problema?”

 

Scossi la testa, iniziando ad indietreggiare

 

“No, nessuno”

 

Ma prima che potessi allontanarmi, il mio polso venne stretto dalla sua morsa

 

“Perché sei venuta?”

 

Mi richiese, scontrando il suo sguardo con il mio, cercando di leggermi dentro e capirmi. Ma il problema? Neanch’io lo sapevo

 

“È stato un errore, scusami”

 

Liberai il mio polso dalla sua stretta per poi girarmi ed andarmene, guardando i miei piedi che si muovevano sul suolo ma tuttavia sentendo il suo sguardo sulla mia nuca. Lo sentii sospirare prima di richiudersi la porta alle spalle.

Avrei dovuto immaginare di chi era quella macchina.



Per chi volesse la storia è presente pure su Wattpad! 
Alla prossima 
XX
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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Appena arrivai a casa, corsi in camera mia, chiudendomi la porta alle spalle e buttandomi sul letto. Perché doveva essere tutto così complicato? Perché ero così infastidita dalla presenza di quell’oca??

Perché sembrava così sorpreso di vedermi? Iniziai a dimenarmi sul letto, soffocando le mie urla nervose nel cuscino e prendendo a pugni il materasso. Era scomparso per un mese e ora era tornato come se nulla fosse, senza nessuna spiegazione valida, non me lo bevevo il suo “avevo bisogno di andare via per un po’”. Andare via perché? Da chi? Avevo tremila pensieri che mi frullavano in testa e tremilioni di domande a cui non sapevo dare risposta.

Mi girai, sdraiandomi sulla schiena e fissando il soffitto. Pensai a Dave e ai momenti trascorsi insieme, ma nessuno di quelli era paragonabile a cinque minuti con Stef… eppure io gli volevo bene, era un ragazzo fantastico e un fidanzato magnifico, tranne per il troppo lavoro, ma quella non era una sua colpa.

Decisi di chiamarlo per cercare di distrarmi e staccare un attimo il cervello. Scesi dal letto, cercando il telefono che avevo lanciato da qualche parte sul tappetto, trovandolo sotto il letto, per fortuna intero, e composi il suo numero che ormai sapevo a memoria. Dopo pochi squilli ecco la sua voce rassicurante

 

“Tesoro!”

 

Sospirai, sedendomi sul letto e portandomi le ginocchia al petto, rannicchiandomi

 

“Ei Dave...”

 

“Sophie, che succede?”

 

Immaginai il suo sguardo accigliarsi e le sue sopracciglia unirsi, formando una rughetta tra di esse e sorrisi a quel pensiero. Lui mi faceva stare bene

 

“Solo stanchezza… devi lavorare?”

 

Lo sentii sospirare

 

“Dammi un’ora e sono da te”

 

Sorrisi alla sua premura nei miei confronti, capiva sempre quando c’era qualcosa che non andava

 

“Dave non ti preoccupare… non fa niente se-”

 

Mi interruppe prima che potessi finire la frase

 

“Sei più importante tu del mio tirocinio… e poi ti ho trascurata un po' ultimamente. Non fa niente se salto un turno, non ti preoccupare. A tra poco”

 

Tirai un sospiro, distendendomi sul letto

 

“Grazie...”

 

E riattaccai, chiudendo gli occhi e cercando di dormire un po' nell’attesa del suo arrivo.

 

Un ticchettio piano piano mi fece riemergere dal mio sonnellino; richiusi gli occhi, cercando di ritornare tra le braccia di Morfeo, ma questo si fece più insistente. Spalancai gli occhi, alzandomi dal letto e cercando di capire la sua provenienza, irritata dal brusco risveglio. Passai davanti la finestra, guardando fuori, quando la faccia di Stef entrò nella mia visuale, facendomi indietreggiare e cadere sul letto dallo spavento. Mi portai una mano al petto, cercando di calmare il respiro, alzandomi e spalancando la finestra

 

“Che cazzo stai facendo?!”

 

Gli urlai contro, notando che era in bilico su un ramo dell’albero che stava tra le nostre due case

 

“Posso entrare?”

 

“Stef!! Scendi di lì! Non puoi presentarti davanti la mia finestra in questo modo! Mi hai fatto prendere un infarto!”

 

Lui sogghignò

 

“Spostati”

 

Lo guardai accigliandomi, cercando di capire cosa avesse in mente, ma prima che il mio cervello decidesse cosa fare, Stef saltò dal ramo, atterrando nel davanzale della mia finestra, con una tale agilità da farlo sembrare un gioco da ragazzi, quando invece c’era più di un metro di distanza e altrettanti metri da terra. Indietreggiai, colta alla sprovvista, e lui colse l’occasione per entrare nella mia stanza, richiudendosi la finestra alle spalle come fosse stata la cosa più normale di questo mondo

 

“Stefan!!”

 

Lui si girò, guardandomi con un sopracciglio alzato

 

“Cosa?”

 

Lo guardai con la bocca spalancata, non trovando le parole. Non riusciva a capire quello che aveva appena fatto?

 

“Esci fuori! Non puoi entrare nella mia stanza così! Se fossi stata con Dave o… o nuda?!”

 

Lui sogghignò, accigliandosi subito dopo

 

“Chi è Dave?”

 

Roteai gli occhi, portandomi le mani sui capelli. Perché non riusciva a capire?

 

“N-nessuno”

 

Perché non gli avevo detto che era il mio ragazzo? Che tra parentesi, poteva arrivare da un momento all’altro. CAZZO. Dave! La realizzazione mi travolse come un treno in corsa, cosa avrebbe pensato se mi avesse trovato qui con lui, da soli??

Corsi verso il letto, recuperando il telefono da sotto il cuscino e guardando l’orario

 

“Merda, merda, merda. Te ne devi andare. ORA”

 

Dave mi aveva mandato un messaggio con scritto dieci minuti fa che tra quindici minuti sarebbe arrivato.

Stefan alzò un sopracciglio, mentre io cercavo di spingerlo verso la porta

 

“Chi aspetti, Fiorellino?”

 

Fiorellino?? Mi voleva proprio fare impazzire

 

“Stefan, ti prego. Non ora. Vai via”

 

Il suono del campanello mi riportò all’attenzione e la voce di Mela arrivò alle mie orecchie

 

“Sophie!! C’è Dave!!”

 

“S-Si!! Dammi un attimo che scendo!!!”

 

Chiusi la porta a chiave, poggiandomi su questa e cercando di capire come far uscire Stef senza che Dave lo vedesse. Lo guardai con un sorrisino in faccia e le braccia conserte, poggiato sulla scrivania

 

“Dave eh? Magari dovrei scendere a presentarmi”

 

Fece per superarmi ma lo bloccai

 

“NO! T-tu sta qui, appena Dave se ne sarà andato ti farò uscire. Non provare a uscire dalla finestra! Ci manca solo che tu ti rompa una gamba. Aspetta qui e fai silenzio”

 

Aprii la porta, non dandogli il tempo di rispondere e sbattendogliela in faccia, per poi correre al piano di sotto. Scesi i gradini in fretta, inciampando nell’ultimo e quasi cadendo, salvandomi grazie al corrimano della scala

 

“Ei tutto apposto?”

 

Alzai lo sguardo, trovando Dave che mi fissava con un sopracciglio alzato e un sorrisetto in faccia, probabilmente dopo aver visto la mia quasi caduta

 

“S-si, scusa”

 

“Com’è che hai il fiatone e sei tutta rossa?”

 

“Uhm…”

 

Pensa in fretta Sophie… pensa in fretta

 

“C’era… c’era uno scarafaggio in camera”

 

In effetti… c’era uno scarafaggio a dimensione di uomo nella mia stanza.

Dave si accigliò, avvicinandosi

 

“Aspetta che lo vado a stanare io”

 

Disse superandomi e andando verso le scale

 

“NO!”

 

Urlai e lui si voltò guardandomi stupito

 

“V-voglio dire… la camera è un totale casino… e poi ormai sarà- sarà volato via ecco. Gli ho lasciato la finestra aperta”

 

Lui si accigliò, facendo un sorrisino strano

 

“Uhm… ok”

 

Tirai un sospiro di sollievo

 

“Vieni, andiamo in cucina. Ho bisogno di un bicchiere d’acqua”

 

Lo presi per mano, dirigendomi verso la cucina per poi afferrare due bicchieri e versargli l’acqua, porgendone uno a Dave. Il campanello suonò

 

“Sophie!? Puoi andare tu per favore?? Ho le mani impegnate!!”

 

Sentii Mela gridare da qualche parte della casa

 

“Tranquilla, tu siediti. Vado io”

 

Si propose subito Dave, andando poi verso la porta. Io nel mentre mi sedetti sull’isola, lasciando penzolare le gambe e continuando a sorseggiare l’acqua.

Sentii delle voci maschili, per poi, dopo qualche minuto, sentire quella di Dave

 

“Sophie? Guarda un po' chi è arrivato!”

 

Alzai lo sguardo, puntandolo su chi stava entrando dalla porta e l’acqua che stavo ingoiando mi andò di traverso, facendomi iniziare a tossire compulsivamente e quasi cadere dal bancone. Subito sentii Dave correre verso di me

 

“Ei! Ei, guarda in su e prendi profondi respiri”
 

Disse dandomi pacche sulla schiena, cercando di aiutarmi.

Cazzo, cazzo, cazzo

 

“Sophie, mi fa piacere che tu sia così sorpresa di vedermi, sono appena tornato”

 

Lanciai uno sguardo di fuoco a Stef, che se ne stava poggiato sullo stipite della porta con un ghigno compiaciuto in faccia.

 

“Tesoro, tutto bene? Passato?”

 

Mi chiese Dave, mentre continuava a massaggiarmi la schiena, aiutandomi a riprendere fiato. Io annuii

 

“G-grazie, Dave”

 

Lui sorrise, smettendo i movimenti della mano, ma mantenendola sulla schiena

 

“Hai visto che stava bene? Mi ha detto che era partito in vacanza! E tu che eri così preoccupata, piccola sciocchina”

 

Feci un sorriso forzato, cercando di sembrare il più naturale possibile

 

“E già… che bello che tu sia tornato, Stefan. Dimmi un po', che ci fai qui?”

 

Lo guardai minacciosa a denti stretti, cercando di sembrare normale agli occhi di Dave. Gli avevo detto di restare in camera cazzo

 

“Beh, sono venuto a salutare la mia vicina di casa preferita. Non pensavo di trovarti in compagnia, e poi invece… vengo a scoprire che ti sei fidanzata? Brava, vicina”

 

Ghignò lui, ma con uno strano sguardo negli occhi. Fissava Dave e le sue mani su di me come se fosse stato un cane digiuno da giorni e quelli un bel pezzo di carne fresca, pronti per essere divorati

 

“S-si. Lui è Dave, il mio ragazzo”

 

Gli risposi a denti stretti.

Dave spostava lo sguardo tra me e lui, cercando di cogliere i segnali ma pur non capendo, guardandoci con un sorriso imbarazzato. In questo momento si potevano sentire anche le mosche volare e la tensione poteva essere tagliata con un coltello

 

“Allora, Stefan. Dove sei stato di bello?”

 

Dave ruppe il silenzio, procurandosi uno sguardo annoiato da Stef

 

“Un po' di qui, un po' di lì. Da nessuna parte in particolare”

 

“Uhm… bello, già”

 

Di nuovo la stanza piombò nel silenzio assoluto, che venne rotto da Stef

 

“Ti ero solo venuta a salutare, ora me ne vado. È stato bello rivederti, ciao Fiorellino”

 

Disse guardandomi con un ghigno, per poi rivolgersi a Dave

 

“Dave”

 

Disse facendo un cenno della testa come saluto

 

“Oh aspetta che ti accompagno”
 

Stefan fermò subito Dave

 

“Conosco la strada. Piuttosto pensa a far riprendere Sophie, sembra che abbia visto un fantasma”

 

Sparì dalla stanza e dopo poco sentimmo la porta di casa sbattere. Dave si spostò, mettendosi di fronte a me con un sopracciglio alzato

 

“Strano il tuo amico”

 

Io feci una risata forzata, sembrando quasi una iena, per poi annuire

 

“Già”

 

Dave avanzò, posizionandosi tra le mie gambe e poggiando le mani sulla mia vita

 

“Ancora non ti ho salutato per come si deve”

 

Mi disse con un sorriso malizioso, alzando un angolo della bocca e avvicinandosi ancora di più, al che io avvolsi le game intorno al suo bacino, portando le mani dietro la sua nuca, sporgendomi in avanti e facendo incontrare i nostri petti

 

“Ciao”

 

Mi sussurrò lui, facendo sfiorare le punte dei nostri nasi

 

“Ciao”
 

Ricambiai io, facendo scontrare le nostre labbra. Le sue labbra si muovevano all’unisono in u bacio dolce e casto, non c’era desiderio né voracità nei suoi movimenti. Sentivo il suo cuore contro il mio petto battere ad un ritmo leggermente accelerato, mentre il mio era così tranquillo e pacato… tra di noi ancora non era successo niente, le sue mani non avevano mai percorso il mio corpo se non per qualche carezza innocente al mio fondoschiena, e a me andava bene così… però adesso avevo bisogno di altro, avevo bisogno di distrazioni.

Decisi di portare il bacio ad un livello successivo, avvicinando il mio bacino al suo, facendoli scontrare e procurando un ansimo a Dave, che subito però si staccò dalle mie labbra, portando le sue braccia sulle mie spalle

 

“Ei, c’è tuo padre nello studio e Mela che gira per casa… cosa vuoi fare?”

 

Mi chiese con un tono tra lo shockato e il nervoso

 

“Quindi? Mela è in giardino e mio papà è chiuso nello studio… abbiamo tutta la privacy che vogliamo”
 

Sussurrai, riavvicinandomi per baciarlo ma lui mi interruppe di nuovo

 

“Sophie, che ti succede? Perché ti comporti così?”

 

Mi accigliai, staccandomi da lui e incrociando le braccia al petto

 

“Così come Dave? Non posso baciarti?”

 

Lui sbuffò, portandosi una mano tra i capelli

 

“Senti, forse è meglio che io me ne vada”

 

Socchiusi gli occhi, guardandolo in cagnesco

 

“Forse si”

 

Lui si allontanò da me, dirigendosi a passi svelti fuori dalla cucina ma fermandosi sullo stipite prima di uscire

 

“Chiamami appena sarai cresciuta”

 

Lo guardai incredula. Crescere?? Solo per una strusciatina innocente?? Chi è che aveva bisogno di crescere?!

Non appena se ne fu andato, tornai a passi svelti verso la mia stanza, salendo i gradini a due a due per cercare di sbollire.

Non lo capivo, perché mi rifiutava e si tirava sempre indietro? E perché soprattutto io continuavo a provarci? Perché con lui non provavo lo stesso di quando ero con Stef?

Presi il cellulare, trovando un messaggio da un numero sconosciuto

 

- Festa inizio anno, confraternita Omega, ore 22

 

Una festa era esattamente quello che ci voleva. Non ero mai stata ad una, non ero proprio tipo da bere fino a dimenticare il proprio nome e ballare fino all’alba; nelle vecchie scuole avevo sempre evitato di uscire e andare a questi tipi di eventi. Ma sta sera avevo voglia di un cambiamento, avevo voglia di divertirmi, provare ad essere la ragazza senza freni e lasciarmi andare.

Chiamai Kylie, sperando che lei volesse accompagnarmi, e fortunatamente rispose dopo poco

 

“Sophieee”

 

“Ei Kylie! Ti disturbo?”

 

“No! Dimmi tutto!”

 

Mi sdraiai sul letto a pancia all’aria

 

“Uhm… ti andrebbe di accompagnarmi in un posto sta sera?”

 

“In un posto…?”

 

“Si! C’è una festa alla confraternita Omega e io avrei proprio bisogno di svagarmi...”

 

“Sophie, non so… non sono proprio tipo da feste”

 

“Neanch’io! Però non sono mai andata ad una e sento che ci divertiremo… ti prego, ti prego, ti prego?”
 

“Ufffff… Va bene, va bene!! Ti accompagno!”

 

“Si!”
 

Urlai al telefono

 

“Si ma… non ho niente da mettermi, Sophie!”

 

“Non preoccuparti! Ci penso io a te. Vieni a casa mia per le 20 e ti preparerò da testa a piedi, te lo prometto. Ci divertiremo”

 

“Se lo dici tu...”

 

Così chiudemmo e io corsi da mio papà, per avvertirlo.

Entrai nel suo studio, trovandolo al suo solito immerso tra le scartoffie

 

“Papà?”

 

Lui alzò lo sguardo

 

“Gemma, dimmi”
 

Iniziai a giocare nervosamente con il bordo della camicetta

 

“Uhm sta sera c’è una festa a casa di una mia compagna e mi farebbe piacere andare… ci saranno i genitori a casa e non sarò sola! Kylie sarà con me”

 

Lui alzò un sopracciglio

 

“Va bene. Ti chiamo l’autista”

 

Lo fermai, prima che potesse digitare il numero

 

“No! Tranquillo! Voglio guidare io, d’altronde la patente l’ho presa per un motivo”

 

Lui roteò gli occhi

 

“Va bene… però per favore, stai attenta. E non bere!”

 

“Certo papà!”
 

Corsi dietro la scrivania, stampandogli un bacio sulla guancia per poi correre di sopra.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Erano le 20.05 quando la porta di casa suonò e una Kylie affannata si presentò alla mia porta. Le feci posare la bici nel box, per poi presentarla velocemente a mio papà e correre in camera, trascinandomi Kylie dietro.

 

“Forza, siediti. Diamo inizio alla trasformazione”

 

La spinsi per le spalle, facendola sedere sullo sgabello posto davanti la toilette, posizionandola di spalle allo specchio per non farla sbirciare.

Afferrai la piastra, iniziando ad arricciarle i capelli. Aveva dei capelli così neri e lunghi e li teneva sempre legati. Poi passai al trucco

 

“Riesci a vedere senza occhiali?”

 

Le domandai

 

“Beh, si… in realtà… non sono graduati”

 

La guardai spalancando gli occhi

 

“Non sono graduati?”

 

Lei scosse la testa, portandosi le mani sul volto e abbassando lo sguardo, imbarazzato, scuotendo la testa

 

“Quando ero più piccola mi mancava qualche grado ma crescendo la mia vista è migliorata… solo che non sono mai riuscita a separarmene. Per me sono come uno scudo, senza mi sento vuota”

 

Le poggiai una mano sulla guancia per farmi guardare

 

“Hai un volto così bello e degli occhi così profondi… perché nasconderli? Facciamo così. Fammi finire di sistemarti e se non ti piacerai allora terrai gli occhiali, ma mi piacerebbe che tu cercassi di uscire dalla tua comfort-zone per provare ad essere più sicura di te stessa. Anch’io non mi sento sicura di me stessa, parecchie volte. Ma cerco sempre di mettere queste insicurezze da parte e sforzarmi a provare cose nuove, a uscire da me stessa. In ogni caso, si può sempre tornare indietro, no?”

 

Lei annuì, sorridendomi

 

“Hai ragione. Proviamo. Vediamo che sai fare, Sophie”

 

Ghignai, facendole l’occhiolino

 

“Ti lascerò a bocca aperta, amica mia”

 

Dopo una mezz’oretta finalmente era pronta e vestita. I capelli le ricadevano mossi incorniciandole il volto, l’eye-liner nero e dalla linea sottile le metteva in risalto lo sguardo accattivante.

Per fortuna avevamo un fisico abbastanza simile al mio, così le feci indossare un mio vestito nero attillato, con il sopra a forma di corpetto, che le metteva in risalto il seno.

Era divina

 

“Sei pronta?”

 

Le sussurrai, portandola allo specchio, coprendole gli occhi con le mani. Lei annuì poco convinta e così le scoprii gli occhi, indietreggiando per lasciarle un po' di spazio

 

“Oh mio...”

 

Il suo sguardo era pure shock

 

“Non-non ti piace? Se vuoi posso struccarti e ricominciare...”

 

Lei si girò, iniziando a fare comparire un sorriso sul suo volto

 

“Sophie… non mi sono mai sentita così bella prima d’ora”

 

Alzai lo sguardo, sorridendole

 

“Davvero??”

 

Lei annuì, girandosi e avvicinandosi allo specchio, esaminando il trucco e il vestito

 

“Chi è questa donna sexy nello specchio?”

 

Rise e io inseguito a lei.

 

Dopo essermi preparata anch’io uscimmo di casa, prendendo la macchina posteggiata davanti il cancello dell’ingresso. Io avevo indossato un vestito nero con uno scollo profondo sul davanti e corto e attillato con dei tacchi.

Guidai, sotto indicazioni di Kylie, arrivando in una strada affollata da ragazzi ubriachi che correvano o camminavano barcollando, con birre e bicchieri rossi in mano. Posteggiammo la macchina poco più avanti della confraternita, preparandoci mentalmente.

Dopo un momento di silenzio Kylie si portò le mani avanti la faccia, nascondendola

 

“Sophie non ce la faccio! Guardami! Sono imbarazzante!!”

 

Mi girai a guardarla, portandole via le mani dal viso e lasciandomi guardare

 

“Kylie sei bellissima. Non lasciarti condizionare dalle altre persone, fidati di me”

 

Lei annuì, poco convinta per poi aprire lo sportello e prendere un profondo respiro. Non appena mise un piede per terra e scese dalla macchina sentii un tonfo, mi girai per vedere Kylie alzarsi frettolosamente da terra e sistemarsi il vestito

 

“Kylie!!”

 

“Sto bene! Sto bene!”

 

Scoppiai a ridere e lei appresso a me. Forse avevo fatto male a prestarle i tacchi…

scesi anch’io dalla macchina, facendo il giro e porgendole il braccio, vedendola in difficoltà

 

“Maledetto chi ha inventato i tacchi...”

 

Borbottò tra se e se, facendo qualche passo con me. Non appena capii che si era stabilizzata la lasciai, pur standole vicino come si farebbe per un bambino che ha appena iniziato a camminare.

Non appena percorremmo il vialetto che portava alla confraternita, parlai

 

“Pronta?”

 

Kylie mi guardò

 

“Spacchiamo tutto”

 

Risi alla sua battuta, per poi entrare nel grande salone. Odore di sigaretta e alcool investì le mie narici, la musica pompava a tutto volume nelle casse, stordendomi e rendendomi immune a tutti gli altri suoni esterni

 

“Benvenute belle ragazze! Ecco a voi!”

 

Un ragazzo biondo, piuttosto alticcio, si avvicinò porgendoci due bicchieri rossi con un liquido trasparente all’interno, per poi andarsene. Mi girai verso Kylie che aveva un sorriso stampato in faccia

 

“Mai nessuno mi aveva chiamato bella!”

 

Mi urlò nell’orecchio per farsi sentire, io risi, scontrando i nostri bicchieri

 

“Tutto d’un fiato?”

 

Kylie annuì, portandosi il bicchiere alla bocca

 

“Tutto d’un fiato”

 

Senza pensarci due volte bevvi tutto il contenuto del bicchiere, sentendo un bruciore propagarsi in gola insieme al sapore di menta. Mi girai verso Kylie

 

“Ancora!”

 

Era gasatissima, aveva un sorriso a trentadue denti stampato in faccia e sembrava essere più sicura di sé stessa. Annuii iniziando a farci strada verso quella che doveva essere la cucina: c’era un tavolo con molti bicchieri rossi e altrettante bottiglie di vari alcolici. Ci avvicinammo iniziando a guardarli, cercando di capire cosa versarci. Né io né Kylie eravamo esperte in alcool.

Un ragazzo vedendoci in difficoltà si avvicinò, poggiando le mani sulle nostre schiene

 

“Posso offrirvi qualcosa?”

 

Io e Kylie ci guardammo, per poi alzare lo sguardo sul ragazzo castano che spostava lo sguardo da me a lei

 

“Uhm, cosa ci consigli?”

 

Decisi di prendere la parola io, vedendo le guance di Kylie iniziarsi a tingere di rosso sotto lo sguardo persistente del moretto. Questo si staccò da noi, avvicinandosi al tavolo e prendendo due bicchieri, iniziando a versare vari tipi di alcool con fare esperto. Non appena finì ci porse i bicchieri

 

“Buon divertimento”

 

Ci disse con un occhiolino. Lo ringraziammo allontanandoci e fermandoci poco più avanti. Scolammo anche quel bicchiere e la mia amica iniziò a ridere. Io la guardai, non capendo, ma poi iniziai a sentire tutto girare e la testa farsi più leggera. Scoppiai a ridere anch’io, prendendo Kylie per un polso e trascinandola nel salone dove la gente ballava o si strusciava a ritmo di musica. Entrambe ci abbandonammo al suono incalzante della musica, sentendo i bassi di questa e cercando di ancheggiare a ritmo. Chiusi gli occhi, lasciandomi andare a quella sensazione di libertà e spensieratezza, alzando le braccia e spostandomi i capelli. Li riaprii per vedere Kylie che rideva con un ragazzo con degli occhiali sottili, dicendosi cose alle orecchie come due scolaretti innamorati. Mi piaceva vederla così tranquilla e rilassata, come se nulla la potesse fermare. Le sorrisi e lei ricambiò, avvicinandosi e portandomi le mani intorno al collo

 

“Ho una cotta per questo ragazzo da anni!! E guarda!! Finalmente gli sto parlando! Non ti potrò mai ringraziare abbastanza!”

 

Risi, abbracciandola a mia volta

 

“Vai da lui! Sei stupenda!”

 

Lei mi sorrise per poi tornare dal ragazzo che la guardava con aria incantata. Io invece mi diressi di nuovo verso la cucina, versandomi da bare. Scolai un altro bicchiere di una sostanza rosa che subito mi diede di nuovo alla testa per poi ricorrere verso la pista da ballo dove iniziai ad ancheggiare e muovermi a tempo di musica.

Due mani si poggiarono sulla mia vita e mi riportarono alla realtà, mi girai osservando il ragazzo che mi guardava desideroso, leccandosi le labbra. Era piuttosto alto, con i capelli biondo cenere e due occhi castani profondi.

Si avvicinò al mio orecchio

 

“Come ti chiami, bellissima?”

 

Una risatina mi uscii dalla mia bocca e mi portai una mano davanti per smorzarla. L’alcool aveva cancellato ogni mio freno inibitorio

 

“S-Sophie!”

 

Cercai di farmi sentire, sovrastando la musica

 

“Come? Sara?”

 

Io scossi la testa, ripetendo il mio nome a voce più alta e il ragazzo alzò le spalle

 

“Ah che importa...”

 

Sussurrò tra se e se, per poi tirarmi vicino a lui e iniziando a strusciarsi su di me. Io ero troppo ubriaca per capire la situazione, troppo ubriaca per ricordarmi di Dave e troppo ubriaca per capire cosa stava succedendo. Non appena riaprii gli occhi castani erano spariti e al suo posto due gemme verdi mi guardavano accigliati. Non ebbi il tempo di dire parola, che il ragazzo mi afferrò per il polso, trascinandomi da qualche parte e girandomi vidi il ragazzo per terra che si teneva il naso sanguinante tra le mani, guardandoci e urlando insulti

 

“S-Stef, che f-fai? Mi stav-vo diver-rtendo”

 

Biascicai ridendo e inciampando sui miei stessi piedi. Stef si fermò di colpo, facendomi andare a sbattere contro la sua schiena muscolosa

 

“Ouch”

 

Dissi, strofinandomi il naso. Lui in compenso si girò abbassandosi

 

“C-che fa-ai?”

 

Terminata la frase, si avvicinò e con un gesto veloce mi sollevò, poggiandomi sulla sua spalla. Lanciai un urletto, aggrappandomi ai suoi fianchi

 

“Questo vestito è dannatamente corto”

 

Lo sentii sbuffare e io risi

 

“E-e tu non g-guardare!”

 

Dopo poco, che per me sembrò un’eternità, mi fece scendere dalla sua spalla, poggiandomi a terra e facendomi perdere l’equilibrio, ma le sue mani prontamente mi afferrarono per le spalle

 

“Neanche ti reggi in piedi cazzo”

 

Con un calcio chiuse la porta per poi ritornare da me. Mi aveva portato in un bagno

 

“Cosa hai bevuto Sofia?”

 

“Copha HaI bEphUtO Phophia?”

 

Gli feci il verso, incrociando le braccia al petto e imitando la sua espressione incazzata ma scoppiando a ridere. Lui in compenso si portò una mano davanti gli occhi sfregandoli

 

“Ti riaccompagno a casa”

 

“Nooooo”

 

Dissi come una bambina

 

“Sofia non iniziare! Come sei venuta?”

 

Sbuffai, frugando nella borsetta e tirando fuori le chiavi della macchina

 

“Sei venuta in macchina?! E poi come avresti fatto al ritorno?? Avresti guidato ubriaca?! Sofia! Ma che cazzo ti salta per la testa!”

 

“Smettila di urlare, mi fai venire mal di testa...”

 

Lui strinse le mani a pugno, lanciandole uno sul muro e facendomi saltare per la botta. Lo spavento colpì il mio stomaco, facendomi risalire tutto quello che avevo bevuto; velocemente mi portai le mani davanti la bocca, inginocchiandomi e iniziando a vomitare

 

“Merda”

 

Senti Stef dietro di me e poi una sua mano prese i miei capelli, spostandomeli da davanti la faccia e l’altra sulla fronte, sorreggendomi

 

“Almeno ora siamo pari...”

 

Sussurrò.

Appena smisi di vomitare mi tirai su

 

“Non ci credo… mi hai appena visto vomitare...”

 

Sussurrai, guardandolo imbarazzata

 

“Possiamo dire che la nostra amicizia è definitamente passata al livello successivo”

 

Mi rispose lui, con un sopracciglio alzato.

Mi aiutò ad alzarmi dal pavimento, scortandomi verso il lavandino dove mi sciacquai la bocca

 

“Andiamo, ti riaccompagno a casa”

 

“Stef non ce n’è bisogno… mi sono ripresa, ce la faccio da sola. C’è Kylie con me”

 

Lui si poggiò sulla porta, guardandomi con un sopracciglio alzato

 

“Intendi la ragazza che era con te e che ha lasciato la festa mezz’ora fa con il ragazzo occhialuto?”

 

“Merda”

 

Borbottai, cercando il telefono nella borsa e accendendolo. Kylie mi aveva scritto un messaggio mezz’ora fa

 

- Amicaaaa! Sto tornando con Jeff! Si è proposto di lasciarmi a casa!! Ti ho visto impegnata, scrivimi appena arrivi a casa!

 

Le risposi velocemente che ero felice per lei per poi rimettere il telefono nella borsa

 

“Immagino che tu sia sola ora”

 

Sbuffai, cedendo

 

“Va bene! Portami a casa!”

 

Lui ghignò

 

“Te l’ho detto che ottengo sempre quello che voglio...”

 

Roteai gli occhi, uscendo dal bagno con Stef alle calcagna. Vedendomi camminare ancora un po' incerta mi pose una mano sulla schiena, aiutandomi a mantenere dritta e a camminare, iniziando a farsi strada verso l’uscita. Non appena usciti una voce ci fermò

 

“Amore!! Dove stai andando!?”

 

Ci girammo, per vedere Molly tutta impettita, guardarmi in cagnesco con le mani sui fianchi. Stef roteò gli occhi sbuffando

 

“Vatti a scopare qualcun altro e lasciami vivere, non ho mai apprezzato le barbie rifatte”

 

La liquidò lasciando sia me che lei con la bocca spalancata, per poi riportare la mano sulla mia schiena, incitandomi a camminare verso la sua macchina, posteggiata poco più in la

 

“Tu e lei…?”

 

Iniziai prima di salire in macchina, dopo che lui mi aveva aperto lo sportello. Fece il giro, salendo al posto del guidatore per poi sbuffare

 

“No Sofia”

 

Alzai un sopracciglio

 

“Neanche quando era a casa tua?”

 

“No Sofia. Mai. Non mi piacciono le ragazze tutte tette e culo, non sono quel tipo di ragazzo”

 

Mi accigliai, ricordandomi la conversazione con cui si era fatto conoscere

 

“Ma pensavo… Tokyo?”

 

Lui ghignò

 

“A volte è meglio far credere la gente di essere esattamente come ti immagina”

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Il ritorno a casa fu lungo e silenzioso, nessuno dei due disse più mezza parola. Ma la sua frase mi continuava a frullare per la testa “A volte è meglio far credere la gente di essere esattamente come ti immagina”, cosa voleva dire? Era così misterioso… avrei voluto chiedere cosa intendesse, chiedergli di tutte le ragazze della scuola, delle voci da corridoio, di suo padre, di sua madre. Avrei voluto chiedergli il mondo, ma non appena aprivo bocca la voce mi moriva in gola, rifiutandosi di uscire. Ero come bloccata, non riuscivo a pensare correttamente.

Dopo circa un quarto d’ora arrivammo a casa; lui si accostò dinanzi il mio cancello, spegnendo il motore e girandosi a guardarmi, cercando di leggere le emozioni che mi passavano dentro. I suoi occhi verdi erano puntati nei miei, catturandomi in una trappola da cui non sarei riuscita ad uscire facilmente, inchiodandomi e ipnotizzandomi quasi, mandandomi in una sorta di trance.

Restammo così per quello che mi sembrò un’eternità, fin quando il suo viso non iniziò ad avvicinarsi lentamente al mio, i suoi occhi in cerca di una qualche reazione da parte mia. Io restai impalata sul mio sedile, incapace di reagire. Si passò la lingua sulle labbra screpolate, mentre continuava ad avanzare con il busto, fino a sfiorare il mio naso. Una parte di me voleva annullare quella distanza ma l’altra, quella sensata, pensava a Dave. Non appena le nostre labbra stavano per sfiorarsi, il mio telefono iniziò a squillare insistentemente, rompendo quell’atmosfera che si stava piano piano creando. Stef si tirò indietro immediatamente, schiarendosi la gola e passandosi una mano sui capelli, lasciandomi ancora intontita per quello che stava per accadere. Che poi… cosa stava per accadere?

 

“Uhm… forse dovresti rispondere”

 

la sua voce arrivò come un macigno, risvegliandomi

 

“C-come?”
 

Lui mi guardò con un sopracciglio alzato, facendo un cenno con il mento verso la mia borsetta

 

“Il telefono”
 

“Uh, s-si”

 

Sussurrai, afferrando la borsetta con mani tremanti e aprendola, cercando il cellulare. Il nome di Dave lampeggiava sullo schermo, come se avesse saputo quello che stava per accadere e mi avesse voluto interrompere prima che fosse stato troppo tardi. Accettai la chiamata, portandomi il telefono all’orecchio e schiarendomi la voce

 

“D-dave?”

 

Tentennai, dicendo il suo nome, notando le nocche di Stef farsi bianche e i suoi pugni serrarsi sul volante, la sua mascella indurirsi. Spostò lo sguardo da me, per fissare avanti a lui, come se io non fossi accanto a lui

 

“Sophie!!! Dove cazzo sei?! Tuo padre mi ha detto che sei andata ad una festa! Ti sto venendo a prendere!!! Non ti muovere!”

 

Le sue urla dall’altro capo del telefono mi fecero allontanare il telefono dall’orecchio

 

“N-non ce n’è bisogno… sono-”
 

Prima che potessi terminare la frase, il mio cancello si spalancò mostrando un Dave trafelato che correva. I capelli scompigliati e la camicia sbottonata e sgualcita. Era la prima volta che lo vedevo così scomposto e in disordine…

Non appena vide la macchina si fermò di colpo, abbassando il telefono che aveva ancora all’orecchio e avvicinandosi. Il suo sguardo tra l’arrabbiato e l’incredulo.

Io velocemente mi slacciai la cintura, spalancando lo sportello

 

“Dave… che- che ci fai qui?”
 

Cercai di riordinare i pensieri, componendomi e abbassando il vestito che nel frattempo era salito lasciando scoperta quasi tutta la coscia. Il suo sguardo si indurì non appena vide come ero vestita e poté solo peggiorare quando vide chi era alla guida della vettura.

La sua mascella si indurì e i pugni si serrarono, cominciando a camminare a passo spedito verso di me e afferrandomi un polso con una morsa dura

 

“Ed io che ero venuto qui per scusarmi… guarda come ti ritrovo, vestita da sgualdrina e con questo… questo sprovveduto”

 

Io mi accigliai

 

“I-io-”

 

La voce mi morì in gola, quando la sua stretta si fece ancora più forte sul mio polso, scavandomi la pelle e lasciandomi un senso di bruciore

 

“Senti che puzza di alcool che fai… non appena tuo padre lo verrà a sapere...”

 

Mi guardò con disprezzo, girandosi e iniziando a camminare, trascinandomi. Io mi opposi, cercando di restare immobile e facendolo girare di colpo e torcendomi il polso, procurandomi un guaito di dolore

 

“Cammina”
 

Disse a denti stretti. Io scossi la testa con le lacrime agli occhi. Avevo paura, avevo una fottuta paura. Questo non era il Dave che conoscevo

 

“Sophie ho detto CAMMINA, cazzo!!”

 

Mi strattonò, facendomi perdere l’equilibrio e cadere a terra, sbattendo le ginocchia e la mano sul pietrisco del viale, procurandomi una fitta di dolore, il mio polso ancora stretto dalle sue mani.

Sentii lo sportello aprirsi e sbattere furiosamente e passi pesanti e svelti avvicinarsi. Alzai lo sguardo sulla sinistra, notando Stef che camminava spedito verso di noi con i pugni serrati e le nocche talmente bianche da far paura. Il suo sguardo di pietra puntato su Dave e la mascella tesa, la vena sul suo collo pulsante.

Prima che potessi sbattere gli occhi lui portò indietro il braccio destro, sferrando un pugno sulla mandibola di Dave, che nella colluttazione lasciò andare il mio polso che cadde a terra con un tonfo. Le sue mani corsero a tenersi il punto colpito, un alone rosso iniziava a propagarsi

 

“Con che gente stai, Sophie? Io posso darti il mondo!”
 

Fece per avvicinarsi, facendomi indietreggiare e portando Stef a pararsi davanti a me

 

“Vai via, prima che ti spacchi quel faccino perbene che ti trovi”
 

Sussurrò a denti stretti, bloccando l’avanzata di Dave, che scosse la testa

 

“Appena ti avrà spezzato il cuore, come Mark, sappi che io non sarò qui a consolarti”
 

Lo guardai con occhi spalancati, incapace di realizzare che mi aveva appena gettato contro un qualcosa che gli avevo confidato, una mia debolezza. Lui si girò, dirigendosi verso la sua macchina posteggiata di fronte e non appena vi salì sfrecciò via.

Io poggiai la schiena sullo sportello della macchina, portandomi le mani tremanti sui capelli e le ginocchia al petto, iniziando a tremare e a singhiozzare. Stef subito si abbassò alla mia altezza, tirandomi tra le sue braccia, poggiando una mano sulla mia schiena e una sui miei capelli, cercando di consolarmi e sussurrandomi parole confortanti all’orecchio, dondolandosi in avanti e indietro. Io mi aggrappai con tutte le mie forze alla sua maglietta, dipendendo da quell’abbraccio come se fosse la mia ancora di salvezza

 

“Shh, ci sono io. Tranquilla. Non permetterò che ti si avvicini di nuovo, shh”

 

Mi sussurrò all’orecchio, continuando a cullarmi in un movimento ripetitivo.

Restammo così fino a quando non mi calmai e il mio respirò tornò regolare

 

“Vieni, andiamo a pulirci”

 

Io annuii, allentando la presa sulla sua maglia permettendogli di alzarsi e trascinare me con lui. Mi prese dagli avambracci per reggermi, per poi portare una mano dietro la mia schiena e una dietro le mie ginocchia sanguinanti, sollevandomi. Non avevo la forza di replicare, non avevo la forza di contrastare, semplicemente mi lasciai andare tra le sue braccia. Avanzò verso casa mia ma lo bloccai, prima che potesse fare un solo passo al di là del cancello

 

“N-no! P-possiamo andare d-da te?”

 

Lui mi guardò, annuendo debolmente, per poi chiudere la porta del cancello con il piede e affrettarsi verso la casa vicina. Per aprire la porta mi fece poggiare i piedi per terra, continuando comunque a sorreggermi con il braccio dietro la schiena e appena questa si aprì non perse un attimo a sollevarmi di nuovo. Accese la luce, illuminando quello che era un grande salotto dai colori scuri e dai divani in pelle nera, con delle pellicce per terra e un grande camino in pietra di fronte questi. Svoltò verso destra iniziando a salire delle scale in mogano fino ad arrivare al piano superiore, entrando nella penultima porta: la sua stanza.

Mi poggiò delicatamente sul suo letto

 

“Torno subito”

 

Mormorò per poi sparire in una porta sulla destra, dove probabilmente vi era il bagno.

La stanza era piuttosto ordinata, dai colori scuri. La parete con la finestra che dava sulla mia stanza era di un bordeaux scuro e le altre erano di un nero opaco, così come i mobili che erano tutti di tonalità scure. Accanto alla finestra vi era una grossa libreria piena di libri e volumi massicci; mi alzai lentamente dal letto, zoppicando verso di essa e passando il dito tra i titoli riconoscendo molti classici, tra cui Madame Bovary. Lo estrassi dallo scaffale per aprirlo, notando quanto il libro fosse usurato, sottolineato e con delle pagine stropicciate: sembrava che aveva vissuto una propria vita.

Iniziai a sfogliare quelle pagine, notando una frase sottolineata più volte: “Nel profondo del suo cuore, aspettava che accadesse qualcosa. Come i marinai naufraghi, rivolgeva uno sguardo disperato alla solitudine della sua vita, nella speranza di scorgere una vela bianca tra le lontane nebbie all’orizzonte… Ma non accadeva nulla; Dio voleva così! Il futuro era un corridoio oscuro e la porta in fondo era sbarrata”. Mi accigliai, cercando di capire il profondo significato di quelle parole e il motivo per cui erano state sottolineate così tante volte da lasciare dei solchi, come se avesse voluto sfogarsi e gettare via tutto il suo dolore e rabbia con quel gesto. Le rilessi più volte ma venni interrotta da un colpo di tosse che per lo spavento mi fece scivolare il libro dalle mani, facendolo atterrare con un tonfo sulla moquette scura

 

“Non lo conosci di già quel libro?”

 

Mi voltai ad osservarlo, notandolo poggiato sullo stipite della porta con un sopracciglio alzato e in mano un kit di pronto soccorso

 

“Uhm… s-si, lo conosco”

 

Lui annuì, avvicinandosi a passi calmi e cauti fino ad arrivare di fronte a me, inchiodandomi sul pavimento. Si chinò lentamente afferrando il libro accanto ai miei piedi e sollevandolo, per poi spolverarlo con attenzione e riposarlo nel suo scaffale con cura

 

“Siediti”
 

Mi fece cenno con il capo verso il letto e io deglutii per poi ritornare sul bordo del letto, cercando di non pensare al bruciore sulle ginocchia. Lui, che mi seguiva da dietro come se potessi cadere da un momento all’altro, si chinò, afferrando un pouffe blu notte portandolo davanti a me e sedendocisi sopra. Afferrò il kit che aveva posato per terra iniziando ad estrarre disinfettante e tutto l’occorrente per poi prendere un batuffolo di cotone e versarci il liquido, portandolo al mio ginocchio destro, quello messo peggio, e iniziando a tamponare delicatamente, proprio come avevo fatto io in quella giornata ormai così lontana. Sobbalzai leggermente per il bruciore e lui subito spostò il cotone soffiando sulla sbucciatura. La mia mente si staccò totalmente a quel gesto, non sentendo più il bruciore ma concentrandosi sulle sue azioni così delicate e attente nei miei confronti. Dopo aver messo un grosso cerotto ripeté le azioni sull’altro ginocchio, per poi afferrarmi piano la mano e disinfettare anche quella. Buttò il cotone impregnato di sangue nel cestino e afferrò un paletto di ghiaccio, avvolgendolo in un panno e portandolo sul mio polso, dove un livido nero si stava facendo strada, dovuto alla stretta di Dave

 

“Perc-chè lo stai f-facendo?”

 

Sussurrai insicura. Lui alzò lo sguardo sul mio viso per un secondo, per poi riportarlo al mio polso concentrandosi su quello

 

“Uhm, anche tu mi hai aiutato quando sono venuto a casa tua”

 

“Si ma… ti sei già sdebitato, quando mi hai aiutato a vomitare prima”

 

Lui sbuffò, spostando lo sguardo di nuovo su di me. I suoi occhi di un verde più intenso

 

“Non puoi accettare il mio aiuto e basta? Non deve esserci per forza una motivazione, Sophie”

 

Chiusi la bocca di colpo, irrigidendomi e strattonando il polso dalle sue mani, ignorando il dolore a quel gesto

 

“Ho sbagliato a chiederti di portarmi qui… scusami”

 

Dissi a denti stretti per poi alzarmi dal suo letto e dirigermi verso la porta della sua stanza, ma prima che potessi uscire lo sentii sbuffare

 

“No aspetta… ti prego”

 

Mi girai a guardarlo, poggiandomi allo stipite della porta, incitandolo a continuare

 

“N-non lo so perché lo sto facendo Sophie, io non so propria cosa mi succede quando tu sei nelle vicinanze...”

 

Mi accigliai, notando il suo sguardo confuso, ma non tanto confuso quanto il mio. Cosa voleva dire? Prima che potessi aprire bocca continuò a parlare, avvicinandosi lentamente

 

“Io non so cosa è questo”

 

Disse spostando il dito tra di noi

 

“Non so perché ogni volta che ti sono vicino riesco a controllarmi a malapena”

 

Mentre sussurrava quelle parole chiuse la porta alle mie spalle, bloccandomi tra quella, portando le sue braccia tatuate ai lati della mia testa, come se avessi potuto scappare; le mie gambe mi sembravano di gelatina, probabilmente non sarei riuscita a fare mezzo passo

 

“Non so perché la cosa che vorrei di più al mondo è assaggiare ancora e ancora queste tue labbra”

 

Sussurrò, portando la sua mano sul mio collo e passando il suo pollice sul mio labbro inferiore. Il suo naso ora sfiorava il mio, e potevo sentire l’odore di alcool e tabacco provenire da lui. Il mio cuore aveva iniziato ad accelerare talmente tanto che non mi sarei stupita più di tanto se mi fosse uscito dal petto

 

“Perché non lo fai allora...”

 

Non so con quale coraggio quelle parole uscirono dalla mia bocca, procurando in lui un sorrisino che gli fece spuntare le sue due fossette

 

“Non sai davvero quanto vorrei, Sophie”

 

Scosse la testa, come se avesse riacquistato la ragione e si allontanò da me, pur mantenendo una mano sul lato della mia testa e l’altra sul collo

 

“La mia vita è un casino, non voglio tirare anche te dentro”

 

Detto questo si allontanò, mollando la presa su di me e lasciando calore, lì dove mi aveva toccato. Mi accigliai

 

“Lascia decidere me”

 

Lui rise, una risata triste e piena di rammarico

 

“Non vuoi sapere la merda in cui sono coinvolto, Sophie”

 

Si girò di spalle, iniziando a camminare verso la sua finestra, guardando vero la mia stanza. Io ero ancora inchiodata alla porta, cercando di capire e decifrare tutte le cose dette e soprattutto i miei sentimenti, perché anch’io avrei tanto voluto sentire le sue labbra sulle mie

 

“Forse è meglio che tu torni a casa tua, tuo padre potrebbe preoccuparsi”

 

Scossi la testa, per poi parlare dato che era messo di spalle e non mi vedeva

 

“Mio padre va a lavoro di mattina presto, non si accorgerà che non sono a casa”

 

Sussurrai, staccandomi dalla porta e avvicinandomi a lui a passi lenti. Non appena arrivai alle sue spalle allungai una mano, poggiandola sulla sua schiena che subito si tese per poi rilassarsi, come se il mio tocco gli aveva portato per un attimo dolore e poi subito dopo sollievo

 

“Guardami”
 

Sussurrai, portando una mano sul suo bicipite per farlo girare. Lui resistette per un attimo, chinando il capo ma poi lasciandosi andare e voltandosi lentamente verso di me

 

“Non so della tua vita, non so la merda in cui sei coinvolto. Ma quello che so è che neanch’io voglio starti lontano, neanch’io ci capisco più niente quando mi sei vicino e soprattutto quello che so...”

 

Dissi facendo un passo avanti e portando le mie mani ai lati del suo viso, fissandolo dritto negli occhi per fargli capire la sincerità delle mie parole

 

“Quello che so è che sogno queste labbra dal momento in cui pensavo di averti perso per sempre”

 

Finalmente ero riuscita ad accettare i miei sentimenti, a dirli ad alta voce e ad ammetterli. Era vero, non avevo smesso di pensare un attimo a lui da quando era scappato di casa, da quando avevo pensato che non lo avrei più rivisto. Cercavo di nascondere tutto con Dave, di giustificarli con il fatto che ero preoccupata per lui. Ma era tutta una bugia. I miei sentimenti per Dave erano una bugia, erano solo un ripiego, niente di più che una distrazione.

I suoi occhi mi scrutarono, cercando un qualsiasi segno di tentennamento o rimorso, ma non ne trovarono perché gli avevo detto esattamente quello che provavo

 

“Cosa stiamo facendo Sophie…?”

 

Sussurrò lui, avvicinando il volto al mio e io di conseguenza

 

“Non lo so e non mi importa. Zitto e lasciati andare”

 

Finita la frase le sue labbra si scontrarono con le mie, in un gesto brusco ma allo stesso tempo delicato, iniziando a muoversi freneticamente con le mie, come se lui dipendesse da questo. Erano esattamente come le ricordavo, lisce e morbide, ma il sapore di cioccolato era stato sostituito da quello di tabacco e un accento di alcool, probabilmente dovuto al festino.

Le sue mani si posizionarono una sul basso schiena e l’altra sulla mia guancia, portandomi ancora più vicina a lui, mentre le mie afferrarono la sua nuca, afferrando i suoi capelli corti e tirandoli, procurandogli un gemito sommesso. Iniziò ad indietreggiare, facendo camminare anche me, fin quando il dietro delle mie ginocchia non toccarono il bordo del letto, cadendoci con un tonfo e trascinando lui che però riuscì a non atterrare con tutto il suo peso, sostenendosi con un braccio mentre l’altro stava al lato della mia testa.

Il suo bacio si stava facendo esigente e potevo sentire un rigonfiamento sul cavallo dei suoi pantaloni che mi spinse ad alzare il mio bacino per scontrarlo contro il suo, facendogli sfuggire un gemito dalle sue labbra che mi fece venire la pelle d’oca e ripetere il gesto, sta volta con un gesto circolare che però lo fece staccare da me e alzarsi dal letto velocemente. Mi sollevai, poggiandomi sugli avambracci per guardarlo: aveva le mani sui capelli, tirandoseli nervosamente, il petto che si abbassava e alzava velocemente e il respiro affannato.

Mi alzai dal letto, avvicinandomi a lui

 

“No Sophie, se continuiamo così non sarò più in grado di fermarmi… ti prego”

 

Lo guardai accigliandomi

 

E chi ti dice che io voglia che tu ti fermi?

 

 

 

***

 

TADAAAN

Grande svolta nella storia. Finalmente i due hanno capito, o meglio, stanno iniziando a capire che c’è qualcosa tra loro. Fatemi sapere che ne pensate! Correzioni o altro! Detto questo vi auguro un buon natale e ci vediamo presto!

XX

-R

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


“E chi ti dice che io voglia che tu ti fermi?”

 

Lo guardai fisso negli occhi. Perché dovevamo fermarci se non era quello che volevo? Sentivo che in lui c’era molto di più di quello che dava a vedere, che la sua realtà fosse molto ben diversa da tutti i pettegolezzi. Ormai ero legata a lui, in un modo che non capivo neanch’io a pieno, ma non ne ero spaventata; volevo solo sapere dove saremmo andati a finire.

Mi avvicinai fino ad arrivare di fronte a lui e gli afferrai il volto, ma lui sciolse la presa dalle mie mani scuotendo la testa e abbassando lo sguardo, che sembrava un misto di paura e rimorso, come se si fosse pentito di quel bacio

 

“Sophie...”

 

Sussurrò con voce soffusa. Mi bloccai, accigliandomi non capendo quel rifiuto: fino ad un momento prima mi aveva dimostrato tutt’altro che volersi fermare. Indietreggiai, allontanandomi da lui fino a toccare con il retro delle ginocchia il materasso del suo letto

 

“T-tu non mi vuoi?”

 

Alla mia voce tremante lui alzò lo sguardo shockato, iniziando a scuotere la testa e avvicinandosi

 

“N-no, Sophie. Non lo pensare mai più, non è questo...”

 

Mi sedetti sul letto quando lui si piazzò di fronte a me, le mani tremanti come se volesse toccarmi ma immobili ai lati dei suoi fianchi, strette in due pugni

 

“E allora cosa? Non capisco… un momento ti comporti come se… come se ci fosse qualcosa tra di noi… e quello dopo invece”

 

Lo indicai con la mano

 

“Guardati. Quello dopo fai il pentito, come se vorresti rimangiarti tutto. Perché?”

 

Lui sbuffò, il suo volto pieno di confusione, come se volesse riordinare i pensieri che gli frullavano in testa. E non era l’unico, anch’io non sapevo cosa stesse succedendo, ma di una cosa ero certa: non volevo più sopprimere quello che provavo, o stavo iniziando a provare, per lui.

Si portò una mano agli occhi, sfregandoli con il pollice e l’indice, per poi abbassarsi alla mia altezza, piegandosi sulle ginocchia e portando le sue mani sulle mie cosce, per tenersi in equilibrio.

Alzò il viso, puntando il suo sguardo nel mio. Nei suoi occhi potevo leggere mille sensazioni diverse, ma di sicuro tra queste c’era il desiderio

 

“Non sono pentito di averti baciato, Sophie. Solo che… le cose sono più complicate di quello che immagini. Non sai quanto vorrei avere una vita normale, una famiglia normale… ma non è così. Io ti voglio, ti ho voluta dal primo momento in cui ti ho vista, molto prima della coda al gate. Quando sei entrata in quella sala d’attesa all’aeroporto con quell’aria così triste, quando ti guardavi intorno con gli occhi così vuoti, quando hai guardato il telefono e quella singola lacrima ti è scesa da quest’occhio...”

 

Sussurrò sfiorandomi la guancia, le sue parole erano sussurrate, creando un’atmosfera nostra

 

“Ho pensato che non potesse esistere ragazza più bella di te. Mi hai levato il fiato dalla bocca. Poi la chiamata al gate mi ha fatto perdere di vista il tuo viso triste e io mi sono diretto al nostro imbarco, convinto di non rivederti mai più; invece eccoti lì, di fronte a me. I tuoi capelli biondi che ti ricadevano sulle spalle e i tuoi continui sbuffi. E quando ti sei girata e mi hai lanciato quello sguardo pieno di disgusto ho capito che eri diversa dalle altre”

 

Rise leggermente, procurando un sorrisino anche a me, ricordando il modo in cui ci eravamo conosciuti

 

“Eri la cosa più bella che avessi mai visto, ancora di più di quanto avevo immaginato. Mi hai intimorito, lo sai? Non sapevo come iniziare a parlarti e me ne sono uscito con...”

 

“… Piacere, sono Stefan. Ma tu puoi chiamarmi Stef. Sei stato così arrogante...”

 

Finii la frase per lui, procurandogli una risatina che gli fece spuntare le sue fossette. Annuì, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e a quel gesto mi venne la pelle d’oca sul collo

 

“Solitamente funzionava con tutte le altre ragazze. Bastava un sorrisino ammiccante e il gioco era fatto. Non ero mai stato rifiutato e la cosa mi ha fatto impazzire, volevo conoscerti, ero avido di sapere tutto di te… ecco perché potrei averti rubato il passaporto”

 

Sgranai gli occhi e lui fece un sorrisino beffardo

 

“Non lo avevo dimenticato al ristorante?”

 

Lo guardai con un sopracciglio alzato e lui scosse la testa, soffocando un’altra risatina

 

“Potrei aver modificato leggermente la storia…”

 

Socchiusi gli occhi, spingendolo a parlare e lui si portò le mani davanti a difesa

 

“Te l’ho sfilato dalla borsa quando sei andata via tutta trafelata… le mie mani sanno bene come muoversi”

 

L’ultima parte la disse con un tono malizioso, che mi procurò un brivido lungo tutta la schiena

 

“Pensavo che l’unico modo per levarti dalla mia testa fosse quello di portarti a letto… ma dopo quei pochi secondi in cui ho assaporato queste labbra...”

 

Sussurrò sfiorandomi il labbro inferiore con il pollice, mordendosi il labbro e puntando i suoi occhi dai miei alle mie labbra. Il battito del mio cuore era a mille e un calore si stava diffondendo in tutto il mio corpo partendo dal mio centro

 

“Quei pochi secondi sono stati capaci di farmi sentire qualcosa che non mi sarei neanche lontanamente immaginato di poter provare… era come se il mio corpo fosse costantemente attratto da te, come una calamita. Non volevo, non voglio starti lontano Sophie. Ma non posso fare altrimenti”

 

Disse alzandosi in piedi all’improvviso e portandosi le mani tra i capelli

 

“Ci sono dei segreti, delle cose che potrebbero metterti in pericolo riguardo me e mio padre. Non voglio coinvolgerti in tutta questa merda perché una volta che ci entrerai, una volta che io non sarò più in grado di lasciarti andare, sarà impossibile per te uscirne. E se ti dovesse succedere qualcosa… io non potrei mai perdonarmelo… Sei ancora in tempo, sei ancora in tempo per uscire dalla mia vita per sempre. Ti prego, io sono troppo egoista per lasciarti andare… quindi ti prego, ti scongiuro. Stammi lontano, Sophie”

 

Lo guardai accigliata, un senso di vuoto nel petto. Avevo ricevuto troppe informazioni che mi avevano confuso, alcune così contraddittorie… e poi di che segreti parlava? In cosa erano immischiati lui e Aron? Perché doveva succedermi qualcosa?

 

“Stef… come ti sei procurato tutte queste cicatrici?”

 

Chiesi, cercando di trovare una risposta alle mille domande nella mia testa. Lui mi guardò con il vuoto negli occhi, come se avesse staccato tutte le emozioni

 

“Credo che tu debba andare”

 

Mi stava respingendo, lo sapevo. Così come sapevo che non era quello che volevo, che voleva lui. Perché non poteva parlarmi apertamente, senza segreti?

Scossi la testa, alzandomi e avvicinandomi a lui a passi lenti

 

“Io non vado da nessuna parte”

 

Le sue narici si dilatarono, il volto contratto dalla rabbia

 

“Non ti voglio, vai VIA!”

 

Mi urlò contro, raggiungendomi con un passo, come se volesse attaccarmi ma fermandosi non appena i nostri nasi quasi si sfiorarono. Se ero spaventata? Forse un po', ma sapevo che non mi avrebbe fatto del male, anche le sue parole mi avevano ferito. Sapevo che stava cercando di fare, allontanarmi dicendomi cose che non pensava e non avrebbe vinto così, non avrei lasciato che accadesse.

Scossi nuovamente la testa, portando le mani sul suo petto e sentendo il suo cuore che pompava all’impazzata. Al mio tocco i muscoli contratti si rilassarono, così come i lineamenti del suo viso

 

“Io non me ne vado”

 

Sussurrai, puntando il mio sguardo sul suo

 

“Ti prego… non posso lasciare che ti succeda qualcosa...”

 

Il suo tono si ammorbidì e le sue mani tremanti raggiunsero il mio viso, mantenendo una presa salda sulla mia mandibola.

Scossi la testa di nuovo

 

“Voglio te…”

 

Sussurrai sicura, avvicinando il mio viso al suo. Vedendo che non si tirava indietro, lasciai scontrare nuovamente le nostre labbra in un bacio urgente e disperato, portando le mie mani alla base della sua nuca, aggrappandomi alle ciocche corte dei suoi capelli come se il mio respirare dipendesse da questo.

Una sua mano si chiuse sul mio collo, applicando una leggera pressione, mentre l’altra prese in una morsa i miei capelli, tirandomi più vicino a lui. Il suo tocco, seppur rude, non era violento e non faceva male, ed era così diverso da quello di Dave…

Mi spinse all’indietro, facendomi atterrare con un tonfo sul suo materasso, per poi guardarmi dall’alto. Si passò la lingua sulle labbra gonfie cercando di riprendere fiato

 

“Sei ancora in tempo, Fiorellino”

 

Scossi la testa

 

“Non vado da nessuna parte”

 

Dissi con decisione per la millesima volta, e procurandogli un sorriso contraddittorio con fossette, mordendosi il labbro

Mugugnò, per poi allargare le mie gambe e posizionarmi tra queste, inginocchiandosi sul materasso e sostenendosi con una mano per non gravare su di me, schiacciandomi.

Una sua mano corse al mio viso, accarezzando i lineamenti del mio naso, per poi scendere e passare sulle labbra, sul mento, sul collo e scendere ancora, passando ad accarezzare le clavicole scoperte dal vestito, e dove passava lasciava una scia di brividi e pelle d’oca. La sua mano giunse alla spallina destra, abbassandola lentamente, mentre il suo sguardo era puntato nel mio, pronto a leggere un qualsiasi segno di incertezza o rimorso, ma non trovandolo. Spostò le sue dita portandole verso l’altra spallina, lasciando sta volta un bacio sulla spalla, prima coperta dal tessuto, e facendomi sfuggire un ansimo

 

“Fermami...”

 

Sussurrò portando la sua fonte contro la mia

 

“Non voglio”

 

Con un movimento di fianchi e cogliendolo di sorpresa riuscii a farlo distendere, alzandomi sotto il suo sguardo confuso. Scesi dal letto posizionandomi tra le sue gambe e guardandolo fisso negli occhi mi portai le mani dietro la schiena, cercando la cerniera e raggiungendola la abbassai, lasciando scivolare il vestito sulle mie braccia e sui fianchi, fino a farlo cadere ai miei piedi ormai scalzi

 

“Merda...”

 

Lo sentii sussurrare mentre i suoi occhi vagavano sul mio corpo coperto solo da delle mutande in pizzo nere. Non sentii l’esigenza di coprirmi, per qualche motivo con lui mi sentivo al sicuro. Mi guardava come se fossi la cosa più bella che avesse mai visto, come se fossi perfetta ai suoi occhi, e questo mi fece prendere di coraggio. Mi chinai, rimanendo in piedi e facendo scontrare le nostre labbra, portando le mie mani ai bordi della sua maglietta, tirandola su fino a sfilarla dalle sue braccia. Le sue mani ferme sui miei fianchi, si stringevano di tanto in tanto, irradiandomi calore e mandandomi brividi in tutto il corpo.

Ruppi il bacio, passando le mie labbra sul suo collo, iniziando una lenta discesa. Sentii il suo corpo tremare e i suoi sbuffi farsi più persistenti. Non so da dove venisse tutta quella spavalderia, forse era ancora quel poco alcool che girava in circolazione.

Le mie mani si fermarono sui suoi pettorali, per poi scendere ai bordi dei suoi jeans, la mia bocca ferma su uno dei due tatuaggi floreali sul fianco, le sue mani ora tra i miei capelli e i suoi ansimi che si facevano più esigenti. Mi presi di coraggio, tracciando il confine del bordo dei suoi pantaloni con un dito, procurandogli un sussulto. Alzai lo sguardo, guardandolo che mi fissava con la bocca semiaperta e gli occhi pieni di lussuria.

Arrivai al bottone, sganciandolo e tirando la zip lentamente, sentendo la sua erezione ormai troppo gonfia per stare rinchiusa in quel tessuto. Agganciai le dita sui bordi delle mutande, afferrando anche i pantaloni, e li feci scorrere giù dalle sue gambe, facendoli poi scivolare a terra, lasciandolo totalmente nudo sotto di me. La sua erezione pulsante premuta contro la pancia e la sua punta rosa, bagnata dal liquido preseminale. Mi chinai alla sua altezza, notando lui che trattenne il fiato, per poi lasciarlo andare con un gemito quando le mie labbra racchiusero la punta rosa, facendola scivolare nella mia gola e prendendone quanta più potevo, afferrando il testo con una mano, iniziando a salire e scendere lentamente, aumentando la velocità fino a colpirmi il dietro della mia gola, facendomi quasi soffocare. Le sue mani strette tra i miei capelli mi tirarono via dal suo membro, e prima che potessi protestare mi gettò sul letto, sovrastandomi

 

“Mi stai facendo impazzire...”

 

Sussurrò, per poi baciarmi con voracità, portando la sua mano lungo il mio corpo, percorrendo il profilo del mio seno e del mio capezzolo ormai duro. La sua bocca riprese la discesa, rincorrendo la mano ma soffermandosi sul capezzolo turgido, racchiudendolo nella sua bocca e succhiandolo, facendomi inarcare la schiena e sfuggire un gemito. L’altra sua mano corse a massaggiare l’altro seno, stuzzicando il capezzolo con le dita e facendo accrescere la sensazione umida nel mio centro.

Le sue labbra e dita si staccarono da me, ricominciando la discesa verso il mio centro. La sua bocca si fermò sul mio ombelico, facendo uscire la sua lingua e iniziando a fare movimenti circolari, mandandomi scariche elettriche, le sue dita invece arrivarono dritte sul mio centro, premendolo da sopra il tessuto

 

“Cazzo… sei così bagnata per me”

 

Fece un lento movimento circolare con le dita, procurandomi un altro sussulto e gemito

 

“Voglio assaggiarti, voglio sentirti sulla mia bocca, Sophie. Voglio farti urlare il mio nome, bimba. Me lo lascerai fare?”

 

Io annuii, disperata e ansiosa di far smettere quella sensazione opprimente sul mio basso ventro

 

“Voglio sentirtelo dire, bimba. Cosa vuoi che ti faccia?”

 

La mia mente era come sulle nuvole, sospesa nell’oblio. Presi fiato, cercando di cacciare via l’imbarazzo

 

“Voglio che tu senta il mio sapore, voglio urlare il tuo nome, Stef. Ti prego”

 

Non perse un attimo e subito agganciò le sue dita ai bordi del mio intimo, tirandolo giù e facendolo atterrare ai miei piedi. Poi scese dal letto inginocchiandosi tra le mie ginocchia aperte e mi afferro da dietro di queste, trascinandomi fino a che il mio bacino era sul bordo del materasso, portandosi una gamba sulla sua spalla

 

“Non sai da quanto aspetto questo momento, guardami bimba”

 

Mi feci forza, alzandomi e poggiandomi sugli avambracci, guardandolo con la bocca semiaperta e lui non appena incrociò il mio sguardo mi fece un sorrisino malizioso, iniziando a baciarmi l’interno coscia, risalendo fino a sfiorare con la punta del naso il mio centro. A quel minimo tocco buttai la testa all’indietro e lui si fermò

 

“Guardami bimba, voglio che tu mi guardi”

 

Riaprii le palpebre, riportando lo sguardo su di lui forzandomi a tenere gli occhi fissi su di lui

 

“Brava bimba”

 

Disse lui soddisfatto, uscendo la lingua e leccandomi le mie labbra fino al clitoride, procurandomi un gemito. Lui si staccò compiaciuto

 

“Esattamente come ti immaginavo. Non mi stancherò mai del tuo sapore e dei tuoi gemiti bimba”

 

E avidamente si richinò sul mio centro, iniziando a fare dei movimenti circolari sul mio clitoride lavorandolo e procurandomi gemiti e tremolii. La mia mano si aggrappò alla sua nuca, tirando i capelli volendo di più, desiderando di colmare quel vuoto che sentivo nel basso ventre

 

“Cosa vuoi, bimba?

 

Miagolò, leccando ancora una volta il mio fascio di nervi

 

“D-dita, per f-favore!”

 

Lui sorrise compiaciuto dall’effetto che aveva su di me

 

“Qualcuno qui è voglioso… non mi dispiace affatto, bimba”

 

La sua bocca si racchiuse nuovamente sul mio clitoride, mentre un suo lungo dito iniziò a percorrere la fessura tra le mie due labbra, fino a infilarlo lentamente, alleviandomi un po' della tensione che si era formata sul mio bacino

 

“Cazzo, sei così stretta, bimba… non vedo l’ora di sentirti intorno al mio cazzo”

 

Iniziò a pompare il dito fuori e dentro, lentamente, e portandomi ad impazzire

 

“Stef! Ti prego! C-cazzo!”

 

“Mh si… implorami, bimba”

 

Inserì un secondo dito, iniziando a pompare più velocemente, portandomi ad inarcare la schiena e a gemere il suo nome

 

“S-sto per ven-nire!”

 

Lui si fermò, al sentire le mie parole

 

“Voglio che tu venga attorno a me, voglio sentire il tuo orgasmo contro il mio cazzo”

 

Uscì le sue dita, facendomi lanciare un gemito di protesta

 

“Prendi la pillola?”

 

Io annuii, incapace di parlare. Lui sorrise soddisfatto, spingendomi nel centro del letto e intrufolandosi tra le mie gambe, sostenendosi con le braccia

 

“Dopo di questo non potrò più tornare indietro. Ne sei ancora convinta?”

 

Lo guardai fisso negli occhi

 

Si

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


ATTENZIONE
Contenuti violenti


***

“Si”
 

Non appena pronunciai quelle parole dei tonfi al piano di sotto richiamarono la nostra attenzione. Gli occhi di Stef, da pieni di desiderio, si sgranarono e un velo di puro terrore sostituì i sentimenti precedenti.

 

“Alzati, veloce”

 

Lo guardai, corrucciando le sopracciglia

 

“Che succede?”

 

Lui si spostò dal mio corpo, scendendo dal letto e tirandomi a sedere, lanciandomi il mio intimo insieme ad una sua maglietta

 

“STEFAN!”

 

Una voce rauca provenne dal piano di sotto, e solo a quel punto capii che suo padre era rientrato in casa. Mi alzai di corsa, saltellando da un piede all’altro per infilarmi la biancheria intima e la sua maglietta, mentre anche lui si vestiva in tutta corsa.

Non appena indossò dei boxer e un paio di pantaloncini di tuta, mi spinse verso la porta del bagno, raccogliendo il mio vestito e le mie scarpe da terra, lanciandole sul pavimento, da qualche parte vicino la vasca. Non appena mi spinse all’interno mi prese il volto tra le mani

 

“Non uscire per nessun motivo da questa stanza, non fare alcun rumore. Qualsiasi cosa sentirai, ti prego, giurami di stare qui, nascosta e in silenzio. Ti prego, Sophie...”

 

Io annuii, guardandolo confusa

 

“Te lo prometto”

 

Sentimmo dei passi pesanti che salivano le scale e la voce di Aron urlare il nome del ragazzo terrorizzato davanti a me; avrei tanto voluto sapere il motivo di tanto paura, avrei voluto potere prenderlo e cacciarlo via, stringendolo tra le mie braccia

 

“Chiuditi a chiave e tappati le orecchie, mi dispiace”

 

Disse prima di lasciarmi un bacio a stampo sulle labbra, trascinandosi la porta alle spalle, appena prima che quella della sua stanza venisse spalancata.

Chiusi la porta a chiave, sedendomi per terra, sul pavimento freddo, e poggiando la schiena sul muro dietro di me; cosa stava succedendo? Perché era così terrorizzato?

 

“Cosa cazzo ci fai a casa?! Come hai osato sparire di casa in quel modo! Hai fatto insospettire tutto il vicinato!! Dannato figlio di puttana! Sei un ingrato!”

 

Le urla di suo padre riempirono ogni angolo della stanza, giungendo alle mie orecchie. Cosa stava succedendo? Perché Stef non si difendeva? Perché si faceva urlare in quel modo da suo padre?

 

“Avrei dovuto lasciarti morire con tua madre! Non sai fare altro che complicarmi la vita!”

 

Sgranai gli occhi, sentendo dopo queste parole, un colpo forte e un gemito strozzato. Lo aveva appena colpito?? cosa intendeva con “Dovevo lasciarti morire con tua madre”? Le voci che giravano a scuola erano vere?

 

“Sei una cosa inutile!”

 

Un altro colpo e un altro gemito mozzato

 

“Perché non puoi morire e fare un favore a tutti?!”

 

Parole avvelenate e altrettanti colpi e grugniti di dolore. Perché non si difendeva? Perché non reagiva??

 

“Ti odio!”

 

Mi rannicchiai, portandomi le ginocchia al petto e cercando di tapparmi le orecchie, dondolandomi avanti e indietro, cercando di allontanare tutti i suoni provenienti dall’altra parte della porta, mentre le lacrime iniziavano a correre lungo le mie guance.

 

“Avevano ragione! Non dovevo permettere che tu entrassi nei nostri affari! Manderai tutto a monte! Bastardo!!”

 

Un colpo più forte mi fece balzare, facendomi lanciare un gridolio dalla bocca. Sgranai gli occhi, portandomi le mani a coprirmi la bocca per fermare tutta la voce che cercava di risalire dalla mia gola. Nell’altra stanza i tonfi cessarono, tranne in gemiti sofferenti di Stef, e la sua voce mi arrivò dritta alla spina dorsale, facendomi venire la pelle d’oca e brividi lungo tutto il corpo. Mi sentivo come se il tempo si fosse bloccato improvvisamente, come se fossi rimasta sospesa in una bolla d’aria che sarebbe scoppiata di lì a poco

 

“Chi c’è nel bagno, Stefan?”

 

Sentii dei passi pesanti farsi sempre più vicini, e io iniziai ad indietreggiare carponi, cercando di allontanarmi il più possibile dalla porta, anche sapendo di non avere via di scampo. Un’ombra attraversò lo spiraglio della porta, segno che Aron era esattamente di fronte a questa. Cercai di tapparmi la bocca, evitando che i miei singhiozzi arrivassero alle sue orecchie.

Cercai ti trattenere il respiro, spingendomi ancora di più verso la vasca posta a fine stanza, quando la voce rotta di Stefan richiamò l’attenzione di entrambi. Era la prima volta che rispondeva a suo padre da quando era entrato nella stanza

 

“Vorrei che tu morissi di una morte lenta e dolorosa, magari sarò proprio io a dartela”

 

Le sue parole, pronunciate con calma e fermezza, arrivarono alle mie orecchie, procurandomi una scarica di brividi freddi lungo tutta la schiena

 

“Cosa hai appena detto?”
 

Sentii il tono di suo padre farsi sempre più arrabbiato

 

“Cosa cazzo hai appena DETTO?!”

 

Vidi l’ombra allontanarsi dalla porta e i passi dell’uomo farsi più pesanti, poi la voce di Stefan riecheggiare tra le pareti, fermandoli, bloccando anche il mio respiro

 

“Hai sentito perfettamente cosa ho detto”

 

Perché stava cercando di farlo incazzare ancora di più, perché rispondergli ora? Che stava facendo?

 

“Tu… come osi rispondermi?! Non hai imparato niente in tutti questi anni?!?!”

 

Le percosse cominciarono, sta volta più forti e più violente, tanto da chiudermi in una bolla dove solo quei rumori mi circondavano. Mi riportai le mani alle orecchie, cercando di allontanarli il più possibile; perché gli stava facendo una cosa del genere? Che padre era? Ma soprattutto, gli aveva risposto per deviare l’attenzione da me? Era colpa mia se ora suo padre si era accanito senza alcun controllo verso di lui?

Un ultimo colpo e un ultimo gemito sommesso e poi il silenzio.

 

“Ho proprio bisogno di una birra. Cerca di riprenderti figlio mio, abbiamo del lavoro da fare domani”

 

La voce apatica di Aron e poi la porta della stanza chiudersi mi riportarono alla realtà, segno che l’inferno era finito. Aspettai ancora qualche minuto, fino a sentire la porta di casa sbattere violentemente, simbolo che se n’era andato. Mi alzai lentamente, avvicinandomi alla porta. In che condizioni lo avrei ritrovato? Perché si era lasciato fare tutto questo? Perché non poteva denunciarlo??

La mia mano tremante arrivò alla chiave, girandola piano, non pronta alla scena che mi aspettava nell’altra stanza. Presi un profondo respiro e abbassai la maniglia, aprendo la portando

 

“Stefan...”

 

Lo chiamai con la voce tirata per il pianto. Mi guardai intorno, notando lo stato della sua stanza: libri, cuscini, piume sparse ovunque. Sembrava che un uragano fosse passato dalla sua stanza

 

“Stef?...”

 

Cercai di riportare indietro le lacrime, facendo qualche passo incerto dentro la stanza. Un gemito attirò la mia attenzione alle spalle del letto, così mi avvicinai verso quel suono con le gambe che non la smettevano di tremare. Non appena svoltai l’angolo del materasso vidi Stef cercare di sollevarsi dal pavimento, il viso rivolto verso il basso, le sue braccia scosse da spasmi che non riuscivano a reggere il suo peso, facendolo riatterrare sul pavimento con un tonfo. La moquette intorno a lui sporca di macchie circolari scure.

 

“Mio dio...”

 

Sussurrai, portandomi le mani davanti la bocca. Tirai un respiro per poi chinarmi alla sua altezza, avvicinando una mano verso di lui

 

“Ti aiuto”

 

Non appena la mia mano si posò sul suo braccio, lui ringhiò, allontanandosi con uno strattone che gli procurò un gemito

 

“Vattene”
 

Lo stava facendo di nuovo, cercare di cacciarmi dalla sua vita. Ma io non ne avevo alcuna intenzione, soprattutto sapendo il motivo di tutte quelle ferite. Era suo padre, suo padre era il motivo per il quale era terrorizzato, per il quale il suo corpo era costellato da cicatrici e lividi, per il quale la sua mente respingeva chiunque cercasse di avvicinarsi a lui. Che infanzia aveva avuto? Sua madre permetteva tutto questo? O forse era morta, o meglio uccisa, proprio per questo? Mille domande mi frullavano per la testa senza trovare una risposta, risucchiandomi in un vortice; ma dovevo resistere, Stefan aveva bisogno di me, e io ci sarei stata

 

“Non lo farò”

 

Dissi in un sussurro, afferrandogli le braccia, cercando di sollevarlo, cosa che mi venne difficile considerato il suo peso. Non appena riuscii a farlo poggiare con la schiena sul bordo del materasso, lui si lasciò sfuggire un gemito pieno di dolore. Gli occhi sigillati

 

“O-ok, va tutto bene. Va tutto bene”

 

Gli sussurrai, iniziando a vedere le condizioni in cui era il suo corpo. Lividi neri gli ricoprivano il torace e le braccia, il labbro tagliato così come lo zigomo, l’occhio destro gonfio e rosso. Con le mani tremanti raggiunsi il suo viso, fermandomi un attimo prima di toccarlo, avendo paura di fargli del male

 

“Sophie… ti prego”

 

Rimasi lì, con le braccia sospese a mezz’aria, incapace di muovermi. Quel “ti prego” era pieno di dolore, dolore che avrei tanto voluto portargli via

 

“Mi dispiace...”

 

Sussurrai, ingoiando il groppone che si era fermato in gola. Le mie mani finalmente trovarono il coraggio di sfiorarlo, procurandogli un sussulto e facendomele ritirare all’istante. Ma quando il contatto si interruppe, i suoi occhi si scontrarono con i miei. Così pieni di paura, tristezza e… dispiacere? Era dispiaciuto che avevo assistito, o meglio, sentito, tutto questo?

 

“Non smettere, ti prego...”

 

Lo guardai accigliandomi

 

“Non voglio farti male...”

 

Sussurrai procurandogli un sorriso tirato

 

“È l’unica cosa che non saresti in grado di farmi...”

 

Sussurrò anche lui, facendomi riportare le mie mani al suo viso. Le mie dita si aprirono sui suoi zigomi, accarezzando i suoi tratti lentamente, come a voler cancellare tutto il dolore inflittogli da suo padre

 

“Lasciati curare...”
 

Lui annuì lentamente, richiudendo gli occhi e interrompendo il contatto con i miei, in questo momento troppo carichi di tutto. Mi alzai, cercando il kit di prontosoccorso finito da qualche parte indefinita della stanza, e trovandolo sotto la scrivania. Mi avvicinai di nuovo a lui, iniziando a cercare di far guarire le sue ferite, lasciando baci e carezze, lì dove l’odio si suo padre aveva lasciato i segni, cercando di portargli via un po' di dolore, sostituendolo con qualcos’altro…

 

Non appena finii di medicarlo, mi sedetti accanto a lui, portandomi le ginocchia al petto, restando in silenzio e cercando di confortarlo con la mia presenza. I nostri sguardi puntati su un punto indefinito della stanza, vuoti, ma non come le nostre menti che viaggiavano alla velocità della luce, formulando mille e mille altri pensieri.

Lo sentii prendere il respiro, per poi buttarlo fuori con uno sbuffo, iniziando a parlare

 

“Mio padre… lui…”

 

Mi girai a guardarlo, tirando indietro le gambe e sedendomi sui polpacci, portando le mie mani ai lati del suo viso, girandolo dolcemente per far incontrare i nostri sguardi

 

“Non sei obbligato a parlarne”

 

Lui scosse la testa, non interrompendo il contatto visivo

 

“Lo so, ma con te sento di poterlo fare”

 

Annuii, incrociando le gambe e rivolgendomi verso di lui, spostando le mani dal suo viso ma portandole sulla sua mano, non interrompendo il contatto

 

“Succede ormai da quando avevo otto anni. Lui arrivava a casa e si sfogava con me, dicendomi di quanto fossi una delusione per lui, di come avrebbe voluto sbarazzarsi di me… mia madre cercava di difendermi, cercò pure di portarmi via… ma-”

 

Un singhiozzo interruppe il suo discorso ed io mi avvicinai a lui, iniziando ad accarezzargli la mano, facendogli capire che io c’ero

 

“Non capivo perché lo facesse, qualsiasi cosa facessi lui era sempre lì a punirmi… una volta entrai nel seminterrato, dove lui aveva il suo studio, interrompendo un colloquio con dei suoi… uhm… colleghi. Avevo solo dieci anni e non capivo cosa stesse succedendo, mia mamma non c’era e io avevo fatto un incubo. Avevo solo bisogno di essere rassicurato… in tutta risposta lui prese un coltello e incise la mia carne”

 

Sbiancai di colpo. Era solo un bambino… come ha potuto fare del male ad un innocente?? Un coltello…

Lui si toccò il tatuaggio sotto il pettorale, quello che nascondeva una lunga cicatrice. La frase “the one who does not kill you strenghtens you”ora stava iniziando a prendere senso.

Rimasi in silenzio, incapace di dire qualsiasi cosa

 

“Mia madre arrivò poco dopo, trovando mio padre con il coltello insanguinato e io rannicchiato in un angolo, svenuto. Non ricordo molto, ma so che fu in quel momento che lei decise di andare via, ma non ci allontanammo di molto… mentre eravamo in strada un auto ci venne incontro, spazzandoci via dalla carreggiata e facendo ribaltare la macchina. La tanica della benzina si ruppe, iniziando a riversarsi ovunque. Potevo sentire le urla di mia madre disperate, le sentivo come se fossero a distanza, ovattate da un fischio persistente. Mi capita di sentirle tutt’ora...”

 

Fece una pausa, perché sapevo che ora sarebbe arrivata la parte difficile

 

“Mio padre mi trascinò fuori dalla macchina, riuscendo a farmi allontanare, appena prima che un boato si portasse via mia madre. La macchina fu avvolta dalle fiamme e per mia madre non ci fu via di scampo. Dicono che sia morta sul colpo, senza sentire niente. Ma so che non è così. Riuscii a sentire ogni grido straziante, ogni urlo agghiacciante. Tutto. Cercai di andare da lei, ma Aron me lo impedì, mi tenne stretto a lui, guardando la scena con un luccichio negli occhi”

 

Lui aveva assistito alla morte di sua madre… nessun bambino dovrebbe passare quello che ha passato lui, nessuno.

 

“Non ha fatto niente per salvarla. È rimasto lì, a guardare le fiamme portarsela via. Lui non ha fatto niente”

 

Si portò le mani tra i capelli, iniziando a piangere e singhiozzare. Io lo guardai con gli occhi sgranati e pieni di lacrime, che iniziarono a scendere lungo le mie guance. Mi avvicinai ancora di più a lui, fin quando le mie ginocchia non toccarono la sua coscia, e portai le braccia intorno al suo collo, stringendolo al mio petto e cercando di assorbire il suo dolore. Lo sentii cercare di riprendere a respirare regolarmente, nascondendo il suo viso pieno di dolore sul mio pettorale

 

“Qualche anno fa ho scoperto che era stato lui a portarmela via”

 

Mi bloccai di colpo, incapace di credere a quella confessione. Le voci a scuola erano vere? Lui aveva davvero ucciso sua moglie? Perché Stef non lo denunciava? Perché questo figlio di troia era ancora a piede libero??

 

“Stef… perché non hai detto niente alla polizia?”
 

Lui fece una mezza risata soffocata, staccandosi dal mio abbraccio e portando la testa all’indietro, poggiandola sul materasso e fissando il soffitto

 

“Ci ho provato… ci ho provato Sophie. Ma mio padre ha quasi tutta la polizia dalla sua parte... è intoccabile"


Mi accigliai
"Ci sarà pure qualcosa che potrai fare"


Lui sbuffò, portandosi le mani tra i capelli, gesto che faceva quando nervoso


"No Sophie, fidati. Ho provato di tutto. Non posso incastrarlo"


"Ti voglio aiutare... tu non meriti tutto questo, non è colpa tua se tua madre è morta. Lo sai vero?"


Gli chiesi, perché sapevo che i rimorsi lo mangiavano vivo, lo avevo capito. Mi aveva rivelato il suo passato, così per com'era. Mi aveva rivelato ogni carta, ogni segreto, ogni scheletro del suo armadio. E io non lo avrei deluso, poteva fidarsi di me, e lo avrei aiutato. Suo padre avrebbe ricevuto ciò che si meritava


"Grazie per avermi ascoltato"


Disse, spostando lo sguardo sui miei occhi e facendo un sorriso tirato


"Ora mettiamoci a dormire, mio padre passerà la notte fuori e tornerà di mattina tardi. Fa sempre così"


Sussurrò, e io non potei che fidarmi di lui. Anche perché, diciamolo sinceramente, non avevo alcuna intenzione di lasciarlo di nuovo da solo.

****
Scuuuusate la mia assenza ma domani ho un'esame (che sono convinta andrà male) e non avevo la testa di scrivere ma... eccomi qui!
Per farmi perdonare ecco qui un capitolo fresco di stampa, come si suol dire. il passato di Stef è stato svelato, povero bambino e dannato suo padre! Sophie non scappa, resta al suo fianco e vuole aiutarlo a incastrare il padre. Cosa combineranno? E si a quanto pare è stato proprio suo padre a uccidere la madre? Ma come? E soprattutto perché? 
Immagino che lo scopriremo nei prossimi capitoli 
Una buona serata/ giornata a tutti!! 
XX
-R

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Un fascio di luce arrivò dritto ai miei occhi, risvegliandomi lentamente dal mio stato di tranquillità. Strinsi gli occhi, girandomi dall’altra parte con un movimento veloce e arrabbiato. Stavo sognando due occhi, due gemme verdi piene di tristezza e terrore… spalancai gli occhi di colpo, alzando il busto dal letto di scatto

 

“Stef!”

 

Sentii una mano sulla schiena riatterrarmi sul materasso, facendomi finire con la faccia seppellita sul cuscino, cuscino che sapeva del suo profumo così intrigante. Lo inspirai a pieni polmoni per un istante, prima che una voce, la sua voce, mi riportasse alla realtà

 

“Solitamente ti risvegli sempre in modo così tranquillo?”

 

Alzai la testa, girandola verso di lui e trovandolo poggiato sulla spalliera del letto a torso nudo: i lividi ancora freschi gli ricoprivano la pelle, mescolandosi e quasi mimetizzandosi con i tatuaggi. Il suo viso martoriato dai piccoli tagli, l’occhio avvolto da un alone nero, il labbro gonfio e la ferita sullo zigomo ancora aperta, con piccole gocce di sangue. Ma nonostante il suo stato era mozzafiato, i suoi occhi più brillanti del solito, i capelli scombinati che gli cadevano in modo disordinato sul viso, le sue fossette che si fecero spazio sulle sue guance non appena notò il mio stato di trance. Scossi la testa, schiarendomi la voce e cercando di riprendermi dallo shock di questo risveglio. Avevo dimenticato per un attimo tutto quello successo la sera prima, tutto fin quando i suoi occhi non mi ritornarono in testa, pieni del dolore subito. Ero ancora sconvolta, incredula, senza parole. Come ha potuto e può ancora reggere tutto questo? Perché non denunciarlo? Per quale motivo non dire niente dell’incidente di sua madre? Perché suo padre aveva la polizia dalla sua parte? Non pensavo avesse così tanto potere...

 

“Smettila di pensare”

 

Aggrottai le sopracciglia, scuotendo la testa e cercando di scacciare tutte le domande. Di sicuro non era il momento giusto per porgliele

 

“Non lo stavo facendo”

 

Lui alzò un angolo della bocca, facendo un’espressione da “so tutto io”

 

“Mh, come no. Quando sei nel tuo mondo hai sempre quell’espressione persa nel vuoto e inizi a mordicchiarti il labbro”

 

Mi fermai di colpo, realizzando che in effetti era esattamente quello che stavo facendo. Mai nessuno me lo aveva fatto notare ed ormai era talmente un’abitudine a cui non prestavo più caso.

Mi girai su un fianco, cercando di spostare l’attenzione da me

 

“Come stai?”

 

Lui sorrise, scuotendo la testa

 

“Sto bene, Sophie. Niente che non possa gestire. Tra qualche giorno sarà andato tutto via”

 

Mi tirai a sedere con uno scatto, puntandogli il dito contro il petto

 

“Non farla passare come se fosse una cosa normale, perché non la è. Stef non va assolutamente bene, e il fatto che tra qualche giorno, forse, ti sarai ripreso non cambia il fatto che potrebbe succedere ancora e ancora e che tu non lo impedirai. Io non ti capisco! Non capisco perché gli hai detto quelle cose… per farlo arrabbiare ancora di più… che credevi di fare?? Era meglio se mi avesse scoperto! Almeno si sarebbe fermato! Non ti avrebbe ridotto così...”

 

Lui mi prese per il colletto della maglietta, tirandomi a se e facendo scontrare le nostre labbra, zittendomi. Lacrime amare avevano preso a scendermi sulle guance, mischiandosi al suo sangue, che aveva ripreso a fuoriuscire dal labbro, e creando un sapore metallico e salato. La sua bocca si muoveva avida sulla mia, le sue mani serrate sul tessuto della sua maglietta che mi ricopriva il corpo, come se avessero paura che io potessi svanire da un momento all’altro.

Ci staccammo, tenendo le fronti poggiate l’una sull’altra; le nostre palpebre si alzarono lentamente lasciando scontrare i nostri occhi e cercando di calmare i nostri respiri appesantiti

 

“Non potevo permettere che ti trovasse Sophie…”

 

“Perché...”

 

Lui sospirò, rompendo il contatto delle nostre fronti ma mantenendo una presa salda sulla maglietta

 

“È una persona pericolosa. Non so cosa avrebbe potuto fare… dovevo fermarlo. Non potevo permettere che ti facesse del male, non me lo sarei mai perdonato...”

 

Io scossi la testa, avvicinandomi a lui e avvolgendo le braccia intorno la sua schiena, accarezzandola dolcemente, mentre le sue mani si spostarono sui miei fianchi, stringendoli e avvicinandomi ancora di più, fino a farmi mettere a cavalcioni sulle sue gambe

 

“Mi dispiace che hai dovuto affrontare tutto questo da solo. Ma non dovrai più farlo, ci sono io. Non intendo lasciarti, non più. Quindi non provare a respingermi ancora perché mi farai solo avvicinare di più”

 

Gli sussurrai, stringendolo e sentendo il suo viso nascondersi nell’incavo del mio collo, annuendo

 

“Ora devi proprio andare… non ti deve trovare qui”

 

Io annuii, beandomi di quegli ultimi momenti per poi lasciarlo andare, dopo aver posato un bacio delicato sulle sue labbra. Non so cosa eravamo diventati, non credo che la nostra si potesse definire una relazione ma tanto meno un’amicizia… si sarebbe dovuto inventare un nuovo termine per descrivere la nostra situazione.

 

***

 

Per fortuna il sabato non avevamo scuola. Il primo giorno era stato di venerdì in modo da lasciarci il weekend per organizzarci con i primi libri e ambientarci meglio, beh e anche per festeggiare l’inizio del nuovo, dell’ultimo, anno. Cosa avrei fatto dopo? Non ne avevo la più pallida idea, mio padre si aspettava che seguissi la sua strada quindi giurisprudenza, possibilmente in Italia, ma io sentivo che non era la mia strada, anche se allo stesso tempo non volevo deluderlo. Invece la mamma sapeva che quella non era la mia strada, lei mi vedeva più come uno spirito libero, questo perché amavo disegnavo. Ma dopo la sua morte quella passione svanì, tutti i miei disegni erano per lei, era lei l’unica a cui li facevo vedere e a cui erano dedicati; mio padre era sempre troppo preso dal lavoro e non si era mai soffermato più di tanto, ma lei invece mi spronava a continuare e a fare del mio meglio. Tutti i miei disegni e scarabocchi lei li aveva conservati in vari raccoglitori, che io non ebbi più il coraggio di guardare, non ne trovavo una motivazione senza di lei.

Il bussare insistente alla porta mi riportò sul pianeta terra. Mi misi seduta, avvolgendomi la coperta: da quando ero rientrata di soppiatto mi ero precipitata in doccia e avevo cercato di dormire, ma riuscendo solo ad agitarmi nel letto a causa dei mille pensieri che mi avevano tormentato. Stef era sparito dalla sua camera, probabilmente suo padre era tornato e lui era uscito per non incontrarlo.

 

“Gemma? È l’una, sei sveglia?”

 

A mio padre non importava molto degli orari che facevo dato che a scuola avevo sempre reso bene e praticamente non uscivo mai

 

“Si papà. Puoi entrare”

 

La porta si aprì di poco, lasciandomi intravedere il suo viso sorridente

 

“Sei presentabile? C’è una persona qui fuori che vorrebbe parlarti”

 

Una persona?? Stef??? Doveva essere lui dato che non era a casa

 

“Si, aspetta un attimo”

 

Mio padre si richiuse la porta alle spalle, permettendomi di saltare giù dal letto e cambiarmi, indossando una salopette con una t-shirt bianca. Buttai il pigiama sotto il cuscino, coprendo il letto con la coperta quando un altro colpetto alla porta richiamò la mia attenzione

 

“Avanti”

 

La porta si riaprii, lasciando entrare l’unica persona che non mi aspettavo più di rivedere. Istintivamente portai la mano ad avvolgere il polso con ancora il livido ben impresso e indietreggiai, finendo contro la parete, vicino al letto

 

“V-vai via”

 

Lui in tutta risposta entrò nella stanza chiudendosi la porta alle spalle e girando la chiave, estraendola dalla toppa e mettendola in tasca. Sentii le labbra e le gambe tremare, mi mancava l’aria, non riuscivo a respirare. Guardai verso la finestra, sperando di vedere Stef, ma trovando la stanza vuota

 

“T-ti prego, vattene v-via”

 

Lui si girò guardandomi e io mi sentii inchiodata in quell’angolino e in trappola. Aprii la bocca pronta ad urlare per chiamare mio padre, ma prima che una singola lettera uscisse dalla mia bocca la sua voce la rimandò indietro

 

“Inutile che chiami tuo padre. Non c’è nessuno, gli ho chiesto se poteva lasciarci da soli e sai com’è… lui si fida di me e poi doveva andare a lavoro”

 

Neanche Mela era a casa dato che il sabato e la domenica le aveva libere. Merda. Ero totalmente sola

 

“C-cosa vuoi, Dave?”

 

Lui sorrise, facendo dei passi verso di me e facendomi bloccare il respiro in gola

 

“Finire quello che avevo iniziato”

 

Mi accasciai a terra, portandomi le ginocchia al petto e sentendomi per un attimo di nuovo in quel bagno, impaurita e totalmente sola

 

“Stai lontano da me. È finita, non ti voglio più vedere!”

 

In un momento di coraggio gli urlai contro, forse mostrandomi forte se ne sarebbe andato rassegnandosi. Ma lui ghignò, avvicinandosi fino ad arrivare dinanzi a me

 

“No che non è finita. Quello ti ha fatto il lavaggio del cervello, tu mi ami e io amo te. Noi siamo destinati a stare insieme, perché non lo capisci?”

 

Mi alzai, strisciando la schiena sulla parete. Rannicchiata ai suoi piedi ero come alla sua mercé

 

“Io non ti ho mai amato, mai”

 

Pronunciai quelle parole sibilando e mostrando lo sguardo più cattivo che potessi fare

 

“So che non è così. Se no perché stare con me?”

 

Io ghignai

 

“Stavo con te per coprire i miei veri sentimenti, sentimenti che ho sempre provato per Stef. Tu eri solo un ripiego, una sorta di chiodo scaccia chiodo. Niente di più che un modo per non pensare a lui”

 

Gli sputai contro quelle parole, non mi importava della sua reazione, non mi importava più di niente. Lui mi aveva fatto male fisicamente e anche psicologicamente, o ci aveva tentato, ma non glielo avrei più permesso. Tutte quelle storielle da bravo ragazzo e fidanzato perfetto erano solo quello, storielle.

Vidi il suo sguardo scurirsi, la mascella serrarsi. Almeno sapevo di avergli procurato una reazione, di averlo scosso in qualche modo. Le sue mani mi bloccarono le spalle in un secondo, spingendomi contro la parete procurando un tonfo e facendomi sbarrare gli occhi, ma ormai mi ero spinta troppo oltre per tirarmi indietro

 

“Puoi sbattermi al muro e spingermi tutte le volte che vuoi, puoi farmi tutto il male di cui sei capace. Ma non avrai niente da me. Non l’hai mai avuto. Sai solo farmi del male e farmi paura, perché non puoi ricevere nessun’altra reazione da me. Niente di niente. E quindi sai che ti dico? Vai al diavolo, non mi fai più paura. Picchiami fino a farmi sanguinare, prendimi a schiaffi fino a farmi svenire, i lividi che mi lascerai saranno l’unica cosa che avrò di te sul mio corpo. Nient’altro. Tu non sei niente per me”

 

Il suo sguardo era pieno di shock, non si aspettava questa reazione da me; probabilmente aveva pensato che con il terrore sarei ritornata da lui o con un lavaggio del cervello. Ma io ero più forte, dovevo. Non mi sarei più fatta intimorire da lui, non aveva il controllo su di me. Anche se all’inizio ero impaurita, non mi sarei fatta mettere i piedi in testa e non glielo avrei fatto vedere. Ad ogni parola uscita dalla mia bocca sentivo un senso di potenza crescere in me insieme all’adrenalina. Dovevo mostrarmi forte e non spaventata da lui, cosa che funzionò perché le sue mani allentarono la presa sulle mie spalle, dandomi l’occasione di sfuggire alla sua presa.

Mi allontanai, dandogli una ginocchiata sullo stomaco, facendolo piegare in due e dandomi l’occasione di aprire la finestra e saltare sul ramo vicino. Ero piena di adrenalina, sentivo che niente avrebbe potuto fermarmi, e il mio pensiero ora era rivolto solo a lui, a Stef e ai suoi due meravigliosi occhi verdi

 

“Sophie??”

 

Alzai lo sguardo e un sorriso si fece strada sulle mie labbra vedendolo. Era affacciato alla finestra della sua stanza e mi guardava con aria interrogativa.

 

“Che stai facendo?”

 

Non gli risposi ma piuttosto iniziai a camminare sul ramo, avvicinandomi sempre di più a lui, e non appena fui abbastanza vicina con un salto atterrai sul suo davanzale e le sue mani subito si posarono sui miei fianchi, aiutandomi a non perdere l’equilibrio

 

“Che è successo?”

 

Scossi la testa, avvolgendo le braccia al suo collo e fiondando le mie labbra sulle sue, cosa che inizialmente lo colse alla sprovvista ma subito ricambiò il bacio, avvolgendo le mani alla mia schiena e portandone una dietro la nuca, avvicinandomi ancora di più a lui. Per un attimo mi ero dimenticata di tutto, persino di Dave che ora ci guardava dalla mia finestra. Ci staccammo riprendendo fiato dal bacio, e poggiando le fronti le une contro le altre

“Cazzo… se entrare dalla finestra ti fa questo effetto allora dovresti usarla più spesso”

 

Disse procurandomi una risata

 

“In realtà...”

 

La mia frase fu interrotta dalla voce di Dave

 

“Sei solo una lurida puttana. Neanche il tempo di rompere con me che già te la fai con un altro, con lui poi… pensavo che tu puntassi al meglio, ma a quanto pare non è così”

 

Stef si accigliò, spostandomi dal davanzale della finestra facendomi scendere, per vedere da dove provenisse la voce. Non appena i loro sguardi si incontrarono, lui mi portò dietro la sua schiena con fare protettivo

 

“Rimangiati tutto quello che hai detto”

 

Sibilò, iniziando a scavalcare seppur con fatica, a causa di tutti i lividi. Io lo afferrai da un braccio, impedendogli di uscire. So che avrebbe potuto tranquillamente scavalcare e andargli a spaccare la faccia, ma non volevo, non mi importava niente di quello che gli usciva dalla sua bocca. Sarebbe stata una soddisfazione per lui vedere sofferenza da parte mia e rabbia da parte di Stef, e non lo avrei accontentato. Riportai l’attenzione di Stef su di me, mettendomi avanti a lui e posando le mie mani sul suo petto

 

“Vuole ottenere solo questo da te. Mostrati indifferente, non mi interessa più quello che pensa, non mi è mai interessato. Ora tutto quello che voglio sei tu, tutto quello di cui mi importa sei tu. Non lasciargli questa soddisfazione, non ascoltarlo”

 

Lui posò una mano sulla mia guancia, accarezzandola lentamente con il pollice

 

“Ti ha fatto del male?”

 

Scossi la testa

 

“Gliele ho cantate, come si suol dire. Si è pure preso una ginocchiata...”

 

Stef alzò l’angolo della sua bocca, mostrando una fossetta e chinandosi lasciandomi una bacio a stampo

 

“Brava la mia ragazza”

 

Mi sentii mancare il fiato per un attimo. Mi aveva definito la sua ragazza? Anche lui sembrò rimanerne sorpreso, dato la bocca semiaperta, ma la nostra attenzione venne deviata di nuovo da Dave che sembrava non volersi dare pace dal non avere nessuna reazione

 

“Sei solo una feccia umana! Uno scarto della società!! Lei si stancherà presto di te e tornerà strisciando da me!!!”

 

Le sue urla isteriche gli procurarono una risata

 

“Tutto quello che vuoi, fighetta isterica!”

 

Disse, prima di chiudere la finestra alle sue spalle e prendermi in braccio, facendo scontrare nuovamente le nostre labbra. Le mie gambe immediatamente si avvolsero al suo bacino e le mie braccia al suo collo, stringendomi a lui.

Mi sentivo più viva che mai.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


I due giorni seguenti li passammo insieme in piscina o sul mio letto, abbracciati. Si offrì anche di riaccompagnarmi a recuperare la macchina, che per fortuna trovammo intera e dove l’avevo lasciata. Non si parlò più degli eventi successi, né di suo padre né di Dave. Volevo che fosse Stef a raccontarmi di lui, avevo capito che insistere non avrebbe portato a nulla e che quando sarebbe stato pronto ne avrebbe parlato lui stesso.

Era lunedì e la sveglia suonò puntuale. Mi portai il cuscino sopra gli occhi, cercando di cancellare il rumore assordante, ma invano, così sbuffando mi alzai, recuperando il cellulare dalla scrivania. Era un ottimo metodo quello di tenerlo così lontano: non potevo far altro che alzarmi per zittirlo. Quando lo sbloccai notai un messaggio di Kylie:

Sophie! Buongiorno, oggi ci vediamo all’ingresso? Ho molte cose da raccontarti -K

Sorrisi, felice di aver trovato una nuova amica e le risposi:

Buongiorno a te! Farai meglio a raccontarmi tutti i dettagli… 

Decisi di non dire niente ancora di Stef, non volevo correre troppo. Bloccai il telefono e corsi in bagno, facendo una doccia veloce e uscendo dal bagno con un asciugamano avvolto al corpo. Iniziai a canticchiare una musichetta, entrando nella stanza e dirigendomi verso il guardaroba per vestirmi.

“Killer Queen? Non pensavo che ti potessero piacere i Queen”

Saltai in aria, spalancando gli occhi e guardando Stef coricato tranquillamente sul mio letto ancora disfatto, il suo sguardo puntato su di me, i lividi e i tagli ormai quasi scomparsi. Indossava una maglia nera, con i suoi soliti jeans del medesimo colore leggermente strappati e un paio di stivaletti sempre neri in pelle. I capelli poco tirati in su gli incorniciavano il viso e una leggera barba era spuntata sul suo mento, probabilmente la mattina non si era rasato. Si leccò le labbra, percorrendo il mio corpo con lo sguardo, facendomi realizzare che ero ancora in asciugamano. 

“Che ci fai qui? Mi hai spaventato da morire”

Dissi stringendomi l’asciugamano ancora di più e arrossendo sotto il suo sguardo. Lui alzò un sopracciglio, scendendo dal letto e avvicinandosi fino ad arrivare di fronte a me. Abbassai lo sguardo ma lui prontamente portò due dita sotto il mio mento, facendomi alzare lo sguardo e facendolo scontrare con il suo. Un sorrisetto gli fece spuntare una fossetta sulla sua guancia destra

“Pensavo avessimo superato la fase d’imbarazzo”

Disse riferendosi alla mia timidezza sull’essere praticamente nuda di fronte a lui.

“Uhm… beh si, suppongo”

Si chinò leggermente, continuando a guardarmi negli occhi come per chiedere il permesso, e io in risposta mi misi sulla punta dei piedi, facendo scontrare dolcemente le nostre labbra. Le sue mani si spostarono subito una sul mio collo e l’altra dietro la schiena avvicinandomi ancora di più a lui e facendomi portare le mani sul suo petto, per non perdere l’equilibrio. Le sue labbra si muovevano dolcemente, accarezzando le mie con attenzione. Un bacio diverso da tutti quelli scambiati fino ora, che mi fece perdere qualche battito. Ci staccammo, mantenendo le fronti a contatto e lui gemette in approvazione

“Buongiorno”

Sussurrò sulle mie labbra, prima di lasciarvi un altro bacio a stampo

“Giorno”

Gli sussurrai con un sorriso stampato in faccia

“Ora forza, per quanto mi piacerebbe vedere quello che c’è qui sotto… vatti a vestire o arriveremo in ritardo. Veloce, prima che cambi idea. Ti aspetto davanti casa, ti do un passaggio”

Io risi, anche se una parte di me desiderava che lui mi tirasse via l’asciugamano e mi spingesse su quel letto. Mi girai, dopo avergli dato un ultimo veloce bacio, iniziando a camminare verso l’armadio, e appena lo feci uno schiaffo sulla natica mi fece saltare in aria. Mi girai con un sopracciglio alzato, guardandolo mentre cercava di trattenere un sorriso

“Me ne vado, me ne vado”

Disse, scavalcando la finestra e iniziando a scendere dal tronco dell’albero. Roteai gli occhi, correndo verso l’armadio e cercando qualcosa da mettere. Ero decisamente in ritardo. Optai per una gonna beige, una tshirt e delle sneakers bianche e leopardate. Raccolsi velocemente i capelli in una crocchia scombinata e applicai un po' di mascara e una spolverata di fard color pesca.

Scesi le scale di corsa, salutando mio padre, che o era nello studio o era già uscito per andare a lavoro, e poi uscii fuori di casa, trovando Stef ad aspettarmi poggiato sul cofano della sua auto, intento a lanciare un mazzo di chiavi in aria e riprenderlo al volo. Al gesto i muscoli del braccio si flettevano e rilassavano, dando vita alle macchie d’inchiostro che lo coloravano. Si alzò gli occhiali da sole, portandoseli sulla testa, e si staccò dalla macchina, aprendo lo sportello e facendomi cenno di salirvi

“Vuoi farmi aspettare ancora?”

Disse con un sorrisetto beffardo, facendomi risvegliare dal mio stato di trance; scossi la testa

“Di sicuro non ti farebbe male aspettare altri cinque minuti”

Dissi scuotendo la testa ed entrando in macchina. Richiuse lo sportello ridacchiando per poi girare e venire a sedersi al posto del guidatore, girando la chiave nel cruscotto e facendo partire la macchina. Durante il viaggio ascoltammo la radio, cantando le canzoni che passavano nelle varie stazioni, inventando le parole per la maggior parte del tempo e esibendoci con le nostre stonature. Lui sembrava così diverso dal ragazzo che si era mostrato all’inizio… sembrava più rilassato e più libero.

Dopo circa dieci minuti arrivammo all’istituto dove lui posteggiò la macchina nel parcheggio riservato. Si girò verso di me, portandomi dietro l’orecchio una ciocca di capelli che si era liberata dalla crocchia, sorridendomi. Come avrei dovuto comportarmi? Non stavamo neanche insieme… non c’era una definizione per quello che c’era tra di noi, anche se di sicuro era più che amicizia. Accennai anch’io un sorriso, abbassando lo sguardo non sapendo che fare. Lui si schiarii la voce, allontanandosi da me e interrompendo il contatto

“Uhm… forse è meglio tenere la cosa per noi”

Dissi senza riflettere e alzai lo sguardo incrociandolo con il suo. Un qualcosa passò dalle sue iridi, ma non seppi riconoscerlo. Subito dopo ruppe di nuovo il contatto

“Si, forse è meglio”

Disse a denti stretti e accigliandosi. Sembrava quasi arrabbiato da questa mia risposta. Prima che potessi chiedergli cosa avesse, lui aprì lo sportello, uscendo dalla macchina e sbattendolo, provocandomi un sussulto. Pensavo che lui volesse tenere la cosa nascosta, se no non lo avrei mai detto… ero stata una stupida a pensarlo. Scossi la testa, scendendo anch’io dalla macchina e vedendolo poggiato poco più in là su un muretto con una sigaretta tra le labbra. Non appena chiusi lo sportello lui fece scattare la sicura, gettando il mozzicone mezzo finito per terra e pestandolo con gli stivaletti, per poi girarsi e raggiungere un gruppo di ragazzi che salutò con un cenno della testa. Abbassai la testa, iniziando a camminare verso la gradinata dell'entrata e alzai lo sguardo quando mi sentii chiamare: Kylie mi stava correndo in contro tutta trafelata. Indossava una camicetta azzurra con dei jeans aderenti, e cosa più importante, i suoi occhiali erano spariti.

“Sophie!!”

Disse abbracciandomi, e procurandomi una risatina

“Eilà”

La salutai avvolgendo le braccia intorno al suo busto

“Mi dispiace un sacco averti lasciata da sola alla festa!! Prima di andare ti ero venuta a cercare ma ti avevo vista impegnata… così mi ha fermato Stef. Mi ha detto che siete vicini di casa e che ti avrebbe lasciato lui, se no ti giuro! Non ti avrei mai lasciata!!”

Mi accigliai, ricordandomi come Stef avesse saltato totalmente questa parte del racconto. 

“Non preoccuparti! Piuttosto… Jeff, eh?”

Dissi con un sorriso malizioso, dandole una piccola gomitata per poi prenderla a braccetto e iniziare a incamminarci verso l’interno della scuola. Lei arrossì, nascondendo il viso con i suoi capelli e procurandomi una risata

“Deve piacerti proprio tanto eh”

Lei alzò il viso, mostrandomi le sue guance rosse e un sorriso che andava da una parte all’altra del viso, annuendo

“Su, raccontami. Voglio i dettagli”

Lei mi trascinò verso il davanzale della finestra, quello un po' più appartato, sedendovisi di sopra e io la imitai

“Beh… dopo che sono tornata da lui, abbiamo iniziato a parlare. Lo abbiamo fatto per tutta la sera, in effetti. Lui è così… intelligente, simpatico, bello! Abbiamo così tante cose in comune. Amiamo entrambi i libri, i vecchi film in bianco e nero, i Beatles!! Mi sembrava di conoscerlo da così tanto...”

Si interruppe, con un sorriso stampato sulle sue labbra, probabilmente ricordandosi di quella sera

“Poi mi ha chiesto se volevo essere riaccompagnata a casa e beh… ho accettato”

A quel punto il suo sorriso si spense ed io mi accigliai

“Pensavo che avrebbe provato a baciarmi, ma… si è limitato a stamparmi un bacio sulla guancia”

“Ti ha detto qualcosa prima che tu scendessi?”

Lei annuì

“Che non passava una serata come quella da tanto tempo… e che mi avrebbe voluta rivedere”

Le sorrisi teneramente

“Probabilmente non vuole correre. È meglio che non ti abbia baciato perché se lo avesse fatto avrebbe potuto significare che non gli interessava altro che quello. Invece così ti ha detto che ti vuole vedere ancora! Secondo me gli piaci”

I suoi occhi si illuminarono e mi ritrovai in un altro dei suoi abbracci, che mi fece ridere

“Grazie, grazie!! Sei il mio cupido personale”

La campanella richiamò la nostra attenzione, segno che le lezioni stessero per iniziare

“Cosa hai a prima ora?”

Mi chiese Kylie e io guardai la mia scheda

“Matematica”

Risposi

“Mamma mia che palle… tutti quei numeri mi fanno solo girare la testa! Non credo la capirò mai”

Disse ridendo e io di seguito a lei. In realtà non mi dispiaceva affatto, anzi. Era sempre stata una delle mie materie preferite, e si lo so, è strano, parecchio strano. Kylie aveva storia a prima ora così ci salutammo sulle scale, prima che io cercassi la mia aula, che trovai dopo poco. Entrai andandomi a sedere in quarta fila, dato che le prime erano tutte occupate. Iniziai a prendere il quaderno con l’astuccio quando un colpo di tosse richiamò la mia attenzione. Un ragazzo biondo con la giacca della squadra scolastica di football mi guardava con un sopracciglio alzato

“Posso?”

Disse indicando il posto vuoto accanto al mio. Annuii, spostando le mie cose e lasciandogli più spazio libero sul tavolo. Lui si accomodò, iniziando a fissarmi poggiato su un gomito. Dopo qualche minuto in cui non si decideva a parlare o a smetterla di guardarmi, mi girai abbastanza infastidita con un sopracciglio alzato

“Vuoi farmi un ritratto per caso?”

Lui scosse la testa, ridacchiando

“Ho sentito che hai messo a tacere quella troia di Molly, volevo conoscerti di presenza. A quanto pare le voci sono proprio vere...”

Disse accarezzandosi il mento. Lo guardai stupita

“Perdonami?”

Lui inclinò la testa, avvicinandosi ancora di più con la sedia, procurando un rumore stridulo

“Dicevano che fossi una gran bella ragazza con un bel caratterino. Dovevo per forza conoscerti”

Disse ammiccando, e io lo guardai con uno sguardo disgustato

“Sono Ben, onorato della tua conoscenza”

Mi tese la mano con un sorriso che lasciò scoperti i suoi denti, talmente bianchi da potermi accecare se un raggio di sole li avesse colpiti

“Direi che per me non è esattamente un piacere”

Risposi, rigirandomi e lasciandolo in tredici con ancora la mano tesa. Forse ero stata sgarbata, ma avevo vissuto un’intera vita a riconoscere il classico stronzetto montato di turno. E lui era esattamente quello. Delle risatine giunsero alle mie orecchie, probabilmente la classe aveva assistito alla scenata

“Acida del cazzo. Non hai la fica d’oro, non fare tanto la profumiera”

Stavo per controbattere ma non appena mi rigirai vidi Stef sovrastarlo e afferrarlo per il colletto, sollevandolo di poco da terra, come se fosse stato un bambino di appena qualche chilo

“Ritira immediatamente quello che hai detto”

Sputò tra i denti, lo sguardo nero e la mascella tesa. Il biondino lo guardò con gli occhi spalancati, portandosi le mani davanti

“S-si scherzava, mica te la sei presa… non è vero S-sophie?”

Disse cercando il mio aiuto, e per quanto fosse comica la situazione, io roteai gli occhiali

“Mettilo giù Stef, avanti”

Gli dissi alzandomi, ma non appena poggiai una mano sul suo braccio, per fargli lasciare la presa, il professore entrò in classe

“Huston! Metti subito giù Wright!!!”

Il ragazzino si girò verso il professore

“Ha iniziato lui!! Insieme a lei!!!”

Urlò, indicando me e Stef. Io rimasi con la bocca aperta pronta a controbattere, ma lo sguardo infuriato del professore mi fece ingoiare tutte le parole che avrei voluto dire

“Lei è la nuova arrivata, la signorina...”

“Fiore”

Risposi e lui annuì

“Di lei non mi stupisco, signor Huston. Non riesce a tenersi lontano dai guai neanche per due giorni! Per quanto riguarda lei, signorina Fiore, imparerà che queste aggressioni non vengono prese sotto gamba. Entrambi in presidenza. ORA!”

Urlò, indicando con l’indice la porta. Sentivo tutti gli sguardi della classe addosso, così abbassai lo sguardo imbarazzata. Non ero mai stata richiamata, mai fatto niente di sbagliato, mai stata in presidenza se non per essere complimentata dei mie voti… cazzo. Che poi neanche era stata colpa mia… né tanto meno di Stef, lui aveva cercato di proteggermi

“Come dice lei, Signor Professore”

Rispose Stef con un tono canzonatorio, lasciando il colletto del ragazzo e sistemandoglielo, per poi dargli uno schiaffetto sulla guancia, come si farebbe ad un bambino, e facendolo diventare rosso dalla rabbia. Sembrava prendere tutto con così tanta leggerezza, come se fosse normale essere mandati in presidenza. Raccolse il suo zaino da terra e senza guardarmi uscì dalla classe. Io afferrai velocemente le mie cose, lanciando uno sguardo di fuoco al ragazzo e correndo fuori, vedendo Stef svoltare l’angolo. Iniziai a correre, cercando di non far cadere i libri che avevo raccolto di corsa e non posato nella borsa. Quando lo raggiunsi lo vidi fermarsi di colpo, facendomi sbattere contro la sua schiena e facendomi finire per terra

“Ouch...”

Dissi massaggiandomi la fronte. Lui si girò, sbuffando e prendendomi da sotto le ascelle, facendomi rialzare come se pesassi quanto una piuma, per poi chinarsi e raccogliere i miei libri. Senza parlare, bussò ad una porta a cui rispose una voce femminile che disse di entrare e così Stef spalancò la porta, mostrando una stanza con tanti scaffali pieni di libri e una scrivania in mogano a cui stava seduta una donna sulla cinquantina, con i capelli castani perfettamente acconciati e un completo blu. La targhetta poggiata dinanzi a lei recitava “preside Fuller”. Alzò lo sguardo su di noi, spostandosi sulla punta del naso gli occhiali dalla montatura rossa, per poi scuotere la testa

“Cosa ha combinato sta volta, Signor Huston?”

Chiese sconsolata, come se fosse abituata alla sua presenza. Prima che potesse parlare, io mi feci avanti

“È stata colpa mia, Signora Preside. Stefan mi ha solo difesa”

La donna spostò lo sguardo su di me, facendomi cenno con un dito di avanzare, e così feci

“Lei è la signorina?”

“Fiore, Sofia Fiore. Sono nuova”

“Oh lo vedo, signorina. Presto imparerà che in questa scuola ognuno è responsabile delle proprie azioni, ma se proprio la mette così… bene. In punizione. Entrambi”

Disse spostando lo sguardo da me a Stef, che notai roteare gli occhi come ad esserne scocciato. Io ero mortificata, neanche una settimana e già ero stata messa in punizione. Abbassai lo sguardo, annuendo

“Dopo la fine delle lezioni, presentatevi nella biblioteca dell’ala nord. Il signor Jeremy avrà del lavoro per voi. Questo è tutto, ora fuori”

Si riposizionò gli occhiali sul naso, e ritornò a leggere i documenti impilati dinanzi a lei. Uscimmo dal suo ufficio, richiudendoci la porta alle spalle, e vidi Stef iniziare a camminare lungo il corridoio

“Ei aspetta!”

Gli gridai contro, accelerando il passo ma non correndo, per evitare di finire di nuovo a terra.

“Stef! Cos’hai? Perché non mi parli?”

Lui sbuffò

“Lasciami in pace, Sofia. Non è il momento”

Disse prima di aprire una porta di emergenza e iniziare a scendere le scale metalliche che conducevano nel cortile interno. Io rimasi a guardarlo, decidendo di non seguirlo. Avremo avuto tutto il tempo per parlare e chiarire.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Il resto delle lezioni passò in fretta. Ne ebbi solo una in comune con Kylie dove non potemmo neanche sederci accanto a causa del professore di letteratura, che ricordandosi della scorsa lezione ci fece sedere a distanza l'una dall'altra, confermando la nostra tesi sulla sua isteria.

Ora avremmo avuto la pausa pranzo e poi un'ultima lezione. Al suono della campana ci alzammo silenziosamente, uscendo dall'aula di geografia, e io iniziai a seguire il resto dei miei compagni che scendevano le scale.

Entrammo in una stanza dai soffitti alti e con vari lampadari che scendevano dal soffitto. Era interamente bianca, tranne il pavimento in parquet chiaro, e con le pareti vetrate da cui entrava luce che risultava quasi accecante in mezzo a tutto quel bianco. Lunghi tavoli in legno erano posti al centro accompagnati da panche e intorno vi erano vari tavolini con delle sedie di un colore verde menta, che davano un po' di colore alla stanza. Notai Kylie seduta in uno di questi tavolini che si sbracciava per farsi notare e ridendo mi avvicinai

 

“Ciao! Ti ho preso un posto e il pranzo”
 

Mi mostro fiera il vassoio con del pollo e del purè di patate

 

“Grazie mille!”

 

Mi sedetti di fianco a lei, notando quanto la sedie in velluto fosse comoda, e tirai un sospiro di sollievo. Dopo cinque ora in sedie a dir poco scomode era un vero piacere per la mia schiena.

Iniziammo a chiacchierare del più e del meno e io le dissi della punizione, raccontandole di Ben e di come Stef aveva provato a difendermi, ma facendosi beccare dal professore

 

“Neanche il secondo giorno e guarda cosa mi combini!”
 

Disse ridendo e io appresso a lei, alla fine sarei potuta stare con Stef e cercare di capire un po' più di lui, e della sua reazione soprattutto.

 

“Secondo me Stef ci prova… con te si comporta in modo diverso, non so. Ti sta fissando, guarda”
 

Alzai lo sguardo, notando il suo dall’altra parte della sala, fisso su di me, il che mi fece affogare con il pezzo di pollo che stavo masticando

 

“Ei, ei, bevi un po' d’acqua”

 

Kylie mi diede leggere pacche sulla schiena, avvicinandomi la bottiglietta che io afferrai bevendola e sentendomi meglio

 

“Non vorrai mica farlo preoccupare… guarda come si è imbronciato”
 

Mi sussurrò facendomi rispostare l’attenzione su di lui, che in effetti trovai con le sopracciglia arcuate, in un’espressione quasi preoccupata, che si rilassò non appena notò che avevo smesso di tossire

 

“N-non credo che si preoccupi, Kylie”

 

Lei scosse la testa ridacchiando.

Dopo qualche momento dove cambiammo argomento, una voce attirò la nostra attenzione

 

“Uhm, K-kylie?”

 

Alzammo gli occhi in contemporanea, trovandoci davanti un Jeff imbarazzato. Era un ragazzo molto carino, con gli occhiali dalla montatura sottile, due occhi castani e i capelli biondo cenere. Kylie strabuzzò gli occhi,

 

“J-eff! Ciao!”

 

Disse con un acuto, probabilmente non si aspettava di lui. Erano così imbarazzati… ma estremamente carini

 

“L-lei è Sophie”

 

Mi presentò Kylie per spezzare il silenzio imbarazzante

 

“Si, ci siamo visti di sfuggita alla festa. Io sono Jeff, come avrai già capito”

 

Disse lui, grattandosi il collo imbarazzato e io gli annuì stringendogli la mano

 

“Bene ragazzi. Io… devo andare”
 

“Di già?”
 

Mi chiese Kylie con un acuto nella sua voce, probabilmente era spaventata di essere lasciata sola

 

“Si, ho quell’impegno… te ne avevo parlato, ricordi?”

 

Le dissi guardandola con un sopracciglio alzato e lei capì

 

“Ah già, si, l’impegno...”
 

“Ma tu Jeff puoi prendere il mio posto! Ancora c’è tempo prima delle lezioni!”

 

“Uh, immagino di si...”

 

“Bene! A presto allora! Ciao!!”

 

Dissi scattando in piedi e afferrando la mia borsa. Non appena mi allontanai mi girai a vedere come ridevano, probabilmente l’imbarazzo del primo momento era passato. Sorrisi tra me e me e uscii dalla mensa, dirigendomi verso il cortile interno; avevo ancora un po' di tempo a disposizione.

Iniziai a camminare nell’enorme cortile, ombreggiato da vari alberi: quella scuola era davvero una delle più belle e più grandi in cui fossi mai stata, oltre ad essere un palazzo imponente aveva anche questo cortile, che più che cortile era un giardino dalle dimensioni spropositate, interamente in prato inglese ad eccezione delle varie stradine in pietrisco su cui si poteva camminare. Sul prato vi erano vari ragazzi seduti sulle panche o poggiati al tronco di un albero, godendosi quell’aria così fresca e frizzantina. Continuai a camminare, non sapendo bene dove stavo andando: non mi ero mai addentrata così tanto.

Arrivai verso la fine del giardino, dove gli alberi iniziavano a farsi più fitti, non facendo passare molta luce, incutendo timore. Guardai indietro, notando come quella parte del giardino fosse desolata e più malconcia rispetto l’altra: chissà perché. Scossi le spalle, sistemando meglio la borsa sulla spalla e riniziando a camminare sulla stradina non più bianca per le pietroline ma tracciata sulla terra.

Dopo qualche altro minuto vidi qualcosa che non mi sarei mai aspettato: un edificio in vetro malmesso si ergeva, nascosto dagli alti alberi e dai rampicanti, che avvolgevano le sue grandi finestre in vetro, a volte penetrandovi e creando delle fessure e degli spacchi.

Rimasi con il naso all’insù, ammirandolo e chiedendomi perché fosse così nascosto e mal messo. Iniziai a percorrere il perimetro, fino a trovare una finestra rotta che mi permetteva l’accesso. Lanciai la borsa al di là per poi scavalcare, facendo attenzione a non tagliarmi con il vetro scheggiato: non appena vi entrai rimasi senza parole: l’edificio all’interno era composto da colonne in marmo, dove altri rampicanti vi si attorcigliavano, alti alberi sembravano contenersi a malapena, arrivando al soffitto e facendo sbattere i grossi rami sul vetro, un po' più in là un ramo di questi aveva sfondato il soffitto, trovando la libertà ricercata. Il pavimento era sporco di terra ma si potevano intravedere le mattonelle bianche e nere e al centro vi era una grossa fontana. Sembrava di essere in un posto incantato, non a due passi dalla scuola.

Stavo ancora camminando osservando intorno, quando delle voci richiamarono la mia attenzione: mi accigliai, cercandone la provenienza. Mi nascosi dietro un vaso di una palma, affacciandomi e notando un gruppo di ragazzi mai visti. Uno di questi era ricoperto di tatuaggi, con un grosso teschio disegnato sul lato del collo; aveva una sigaretta che si portava alla bocca, aspirando e sbuffando il fumo, mentre gli altri tre ragazzi stavano qualche passo indietro da lui, con le braccia incrociate. Era di una bellezza indescrivibile, ma tanto era bello quanto sembrava poco raccomandabile.

Un’altra voce richiamò la mia attenzione; mi sporsi leggermente in avanti per avere più visuale

 

“Il carico arriverà domani”

 

Il ragazzo con la sigaretta scosse la testa, gettando il mozzicone a terra e non curandosi di spegnerlo

 

“Tuo padre non ne sarà felice. L’appuntamento era per oggi”

 

L’altro ragazzo fece un passo in avanti

 

“Mio padre non lo verrà a sapere, è chiaro Zayn?”

 

Lui ghignò, alzando un angolo della bocca. Guardai meglio il ragazzo: la giacca di pelle, i capelli tirati indietro, le spalle possenti… Stefan.

Feci un passo indietro, spaventata, pestando però un pezzo di vetro che nel silenzio risuonò, facendo girare gli sguardi su di me. Mi bloccai all’istante, quando i miei occhi si scontrarono con quelli marroni di uno dei tre ragazzi

 

“Ma guarda un po' chi abbiamo qui. Che ci fai da queste parti dolcezza? Non ti hanno detto che spiare non è educato?”

 

Disse avvicinandosi, leccandosi le labbra, e squadrandomi da testa a piedi. Feci un altro passo indietro ma prima che potessi darmi alla fuga, questo mi afferrò il polso, trascinandomi via dal mio nascondiglio.

 

“Lasciami!”

 

Provai a dimenarmi, ma invano considerando che il ragazzo era il doppio di me

 

“Zayn! Guarda chi ha ben pensato di origliare”

 

Mi tirò in avanti facendomi perdere l’equilibrio e atterrare direttamente nelle braccia di quel Zayn, che afferrò le mie braccia, sorreggendomi

 

“Sophie?!”

 

Mi girai, scontrandomi con lo sguardo scioccato di Stef

 

“Bene, bene. Stefan, vuoi spiegarmi chi è questa bella signorina?”
 

Lui si mise sulla difensiva, stringendo i pugni lungo i suoi fianchi

 

“Lasciala, Zayn”

 

Disse a denti stretti. Lui ghignò, stringendo la presa sulle mie braccia e facendomi sussultare, facendo tendere la mascella a Stef

 

“Ti ho detto di lasciarla andare. Ora”

 

Riprovò, facendo un passo in avanti

 

“Devi essere importante per lui, tesoro. Solitamente è così menefreghista...”

 

Guardai Stef, cercando di dimenarmi alla presa stretta di Zayn che mi attirò contro il suo petto prendendomi il viso e sussurrandomi all’orecchio

 

“Grazie a te sapremo come tenerlo sotto controllo. Sei il suo punto debole”

 

Il suo alito sapeva di fumo e alcool, cosa che mi fece arricciare il naso. Dopo aver pronunciato queste parole, lasciò la presa, permettendomi di correre da Stef, che subito mi mise dietro di sé, facendomi da scudo

 

“Noi adesso andiamo. Avvicinati di nuovo a lei e te la vedrai con me, e sai quanto poco buono io sia, Zayn”

 

Lui ghignò, salutandoci con la mano come si farebbe con un bambino

 

“Ci vediamo presto, Sophie”

 

Sentii i muscoli della schiena di Stef tendersi, così vi poggiai una mano

 

“Andiamo, Stef. Ti prego”
 

Sembrò rilassarsi, girandosi e poggiando una mano sulla mia schiena, incitandomi a camminare. Uscimmo da quel luogo e ci avviammo verso l’edificio della scuola in silenzio. Mille domande mi frullavano in testa ma non appena provavo ad aprire bocca, Stef mi guardava in cagnesco, facendomi zittire e abbassare la testa.

Arrivammo all’ingresso che ormai la campana dell’inizio delle lezioni era suonata, facendo svuotare così i corridoi solitamente affollati. Stef continuò a camminare a passo veloce nel cortile ed io a mala pena riuscii a stargli dietro, dovendo correre a tratti per non rimanere troppo indietro. Non appena giungemmo ad un grosso albero Stef mi strattonò, facendo scontrare la mia schiena sul tronco di questo e portando le sue mani ai lati della mia testa, inchiodandomi con uno sguardo di fuoco

 

“Cosa cazzo ti è saltato in mente?”

 

Lo guardai bocheggiando, cercando le parole per non farlo infuriare ancora di più

 

“I-io non lo sapevo...”

 

Sussurrai. Lui si staccò dal tronco portandosi una mano sui capelli, con fare nervoso

 

“Cazzo”

 

Iniziò a camminare avanti indietro, continuando ad inveire e imprecare

 

“Stef io non ti stavo seguendo o altro! Stavo camminando e ho trovato il posto… tutto qui! E poi non ho sentito niente, quasi niente...”
 

Lui si fermò di colpo, procurandomi un sussulto

 

“Non mi importa se mi stavi seguendo o meno! Quello che importa è che ora lui ti ha visto!!”
 

Corrugai le sopracciglia

 

“N-non capisco”

 

Sospirò pesantemente, avvicinandosi e poggiando la sua fronte contro la mia

 

“Zayn lavora per mio padre… e ora sa che sei la mia debolezza. Dovevi restare nascosta, non voglio che ti accada nulla di male e ora invece…”
 

Si staccò di nuovo da me

 

“Te lo avevo detto che è pericoloso questo, che sono pericoloso”
 

Disse indicando prima me e lui e poi sé stesso, puntandosi il dito controllo

 

“Stef, non è successo nulla… non capisco perché stai facendo così”

 

“Invece si che è successo qualcosa! Lui non doveva sapere di te!”

 

Mi staccai dal tronco, avvicinandomi cautamente a lui e abbracciando la sua vita, portando la guancia sul suo petto e sentendo il suo cuore battere a mille e il suo respiro pesante sulla testa

 

“Non mi succederà niente… te lo prometto. Ti prego non mi respingere, lo abbiamo già superato questo”

 

Sussurrai. Lui sospirò, avvolgendo le braccia intorno a me e tirandomi più stretta a lui

 

“Mi dispiace di essere così incasinato”
 

Sussurrò tra i miei capelli, lasciandoci un bacio

 

“Lo so… e a me dispiace di averti fatto arrabbiare sta mattina in macchina… pensavo che volessi tenere la cosa nascosta”

 

Lui sospirò, aumentando la stretta

 

“Volevo. Però quando sei stata tu a proporlo mi sono sentito… non voluto. Come se tu ti imbarazzassi di noi”
 

Io alzai lo sguardo, poggiando il mento sul suo petto, e lui abbassò lo sguardo, facendo incontrare i nostri occhi

 

“Non potresti mai imbarazzarmi… io ti voglio Stef, vorrei urlarlo a tutta la scuola ma… dopo tutti i discorsi che mi hai fatto”
 

“Si lo so… pensavo fosse meglio tenerlo per noi. Ma oggi ci sono rimasto troppo male, non penso di riuscire ad evitarti e a non fare questo ogni volta che ti vedo”
 

Sussurrò per poi lasciarmi un bacio casto sulle labbra

 

“No, non credo neanch’io”

 

Sorrisi, alzandomi sulla punta dei piedi e facendo scontrare nuovamente le nostre labbra, sta volta approfondendo il bacio

 

“Quindi non lo teniamo più nascosto?”

 

Chiesi sulle sue labbra e lui scosse la testa

 

“Chi non doveva saperlo lo ha scoperto ugualmente… quindi perché no. Non voglio starti troppo lontano e poi… non posso permettere mica a quella testa di cazzo di Ben di continuare a provarci”
 

Sorrisi, scuotendo la testa e ridendo alla sua gelosia. Lui sorrise, per poi ritornare serio

 

“Lo so che hai mille domande in testa, lo so che stai cercando di capire in cosa sono coinvolto, ma ti chiedo di pazientare ancora un po'. Risponderò a tutto, prima o poi”

 

Sorrisi debolmente

 

“Va bene”
 

Mi baciò un’ultima volta dolcemente

 

“Per quanto mi piacerebbe restare ancora qui, dobbiamo andare. Non possiamo saltare un’altra ora”

 

Annuii ridendo e iniziando ad incamminarci verso le nostre rispettive aule.

Dopo altre due ore strazianti ed estremamente lunghe, le lezioni finirono, ma non la nostra giornata. Iniziai a camminare per l’edificio, cercando la biblioteca dove avremmo dovuto spendere ancora qualche ora del nostro tempo. Finalmente, dopo aver girovagato per circa dieci minuti, giunsi ad una porta imponente in legno scuro, con una targhetta affissa che recitava “Biblioteca” a caratteri dorati, accompagnata da “Luogo sacro alla cultura, vietato disturbare”. Abbassai la maniglia lentamente e la porta cigolò pesantemente; sbirciai all’interno, notando un lungo corridoio dove vari scaffali pieni di libri polverosi si ergevano, scandendo i vari reparti dei vari generi. Entrai ammirandomi intorno: era diventato uno dei miei luoghi preferiti della scuola, mi avevano sempre affascinato le biblioteche piene di libri di ogni genere e periodo, con libri polverosi e malmessi ed edizioni nuove, ognuno di questi aveva una storia dietro, ognuno di questi era passato dalle mani di chissà quanti studenti.

Continuai a camminare, ammirando gli alti scaffali, fino a che non raggiunsi una sala con dei lunghi tavoli posti al centro e una grossa scrivania poggiata su una pedana rialzata, dietro di essa vi era un uomo chino su un malloppo polveroso. Gli occhiali gli cadevano in continuazione sulla punta del naso arcuato, facendogli alzare le dita callose per il troppo lavoro e aggiustarli nuovamente, le sopracciglia quasi bianche erano aggrottate in un’espressione concentrata, i pochi capelli grigi sistemati con il gel: il classico bibliotecario.

Mi avvicinai, leggendo la targhetta sulla scrivania “Sg. Jeremy Button” e mi schiarii la voce, attirando la sua attenzione. Lui alzò lo sguardo, perforandomi con i suoi occhi verdi e inchiodandomi sul posto

 

“Signorina Fiore...”

 

Parlò con una voce rauca e lentamente

 

“La Preside ha detto di rivolgersi a lei, Sg Button”

 

Lui annuì, toccandosi il mento

 

“E dov’è il Signor Huston?”

 

“I-io non...”
 

“Sono qui, Jeremy”

 

Tirai un sospiro di sollievo, sentendo la sua voce

 

“In ritardo come al solito. Come hai trovato Guerra e Pace?”

 

Stef frugò nello zaino, estraendo un libro polveroso e porgendoglielo

 

“Interessante, Tolstoj riesce a dipingere perfettamente il profilo dei suoi personaggi”

 

Jeremy annuì con un mezzo sorrisino

 

“Bene. Il prossimo sono convinto ti interesserà ancora di più, è della letteratura italiana. È un romanzo psicologico di Italo Svevo, La coscienza di Zeno, credo possa piacerti”

 

Il bibliotecario frugò nei cassetti, estraendo un altro libro che porse a Stef, il quale lo ripose subito con attenzione nello zaino, ringraziandolo

 

“Ora veniamo a noi. Come ben sai a fine lezioni gli studenti non riescono a posizionare i libri nelle loro postazioni originali, lasciandoli abbandonati sui tavoli. Voglio che li sistemiate, ognuno al proprio posto. Qui ci sono le schede di tutti i libri presi oggi con le loro postazioni, ognuno di essi dovrà essere riposto nel suo scaffale. Appena finite sarete liberi di andare. Buon divertimento”

 

Ci porse le schede, che erano una decina di pagine stampate in avanti e indietro, con più di venti libri per pagina. Sarebbe stato un lavoro estremamente lungo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


“Stef hai finito con la sezione Storia?”

 

Chiesi ad alta voce, posizionando un libro nello scaffale di Letteratura Greca

 

“Si! E tu con Letteratura Greca?”
 

Presi l’ultimo libro dal pavimento, spolverandolo e levandogli lo strato polveroso che ricopriva la copertina. Presi la piccola scala e vi salii sopra, allungandomi e cercando di raggiungere il suo posto in alto, mettendomi in punta dei piedi

 

“Stef! Potresti aiutarmi?”
 

Chiamai cercando di alzarmi ancora di più sulla punta dei piedi, però mi spinsi troppo in avanti, facendo perdere l’equilibrio alla scala e cadendo

 

“Presa”
 

Il mio corpo al posto di toccare il pavimento duro, atterrò su qualcosa di più morbido. Aprii gli occhi, trovandomi tra le braccia di Stef

 

“Grazie”

 

Arrossii, lasciandogli un bacio sulla punta del suo naso e procurandogli un sorriso

 

“Proprio non puoi essere lasciata sola… me ne combini sempre una, eh Sophie?”
 

Risi sotto i baffi, avvolgendo le braccia al suo collo

 

“Magari lo faccio di proposito…”
 

Lui ghignò, facendomi ritoccare con i piedi il pavimento e chinandosi a raccogliere il libro che mi era caduto, arrivando allo scaffale allungandosi leggermente: era molto più alto di me, io gli arrivavo a mala pena alle spalle. Messi a confronto lui sembrava potesse spezzarmi con un semplice abbraccio, considerata la sua stazza; incuteva timore, con tutti quei tatuaggi e muscoli.

 

“Con questo abbiamo finito”
 

Disse spolverandosi le mani sui jeans. Annuii contenta: eravamo stati rinchiusi in quella biblioteca per tre ore intere, cercando di ritrovare tutti i libri messi nel posto sbagliato e sistemandoli. Per agevolare il compito ci eravamo divisi gli scaffali e non avevamo fatto neanche una pausa. Ora erano le sette passate e già fuori si era fatto buio

 

“Forza, andiamo via”

 

Mi prese la mano conducendomi all’uscita, dopo aver lasciato il malloppo di schede sulla scrivania del signor Button.

Ci recammo al posteggio ormai vuoto

 

“È stata una fortuna che ci hanno messo in punizione insieme… almeno così non sei rimasta a piedi”

 

Disse Stef con un ghigno

 

“Una fortuna enorme. Dovremmo farlo più spesso”

 

Scherzai anch’io entrando in macchina

 

“Mi piacerebbe portarti in un posto… se vuoi”

 

Disse accendendo la macchina e io annuii. Anche se ero stanca, dopo le lezioni, Zayn e aver ordinato la biblioteca, volevo ancora passare del tempo con lui. Poggiai la testa sul finestrino

 

“Come mai chiami il Signor Button per nome?”
 

Chiesi ricordandomi la loro conversazione iniziale, mi girai a guardare i suoi tratti, il naso dritto e lo sguardo profondo fisso sulla strada. Una fossetta si formò sulla sua guancia, ammorbidendo i tratti del suo volto

 

“Sei proprio curiosa tu...”
 

Sorrisi

 

“Spesso mi rifugiavo nella biblioteca per prendere una pausa dal mondo circostante. Leggere per me è sempre stato un modo di scappare dalla realtà, mi aiuta a staccare la testa e a perdermi in mondi perfetti che per me non esisteranno mai. A casa con… con mio padre non è una cosa che potevo fare, inizialmente dovevo nascondere i libri dalla sua vista, anche se ora è diventato un po' più tollerante ma ha sempre da ridire se mi trova con un libro in mano… comunque, mi intrufolavo sempre alla fine delle lezioni, quando la biblioteca era sul punto di chiudere, cercando di passare inosservato. Sai, ho sempre avuto la fama del bad boy e non volevo che si sapesse in giro. Così, mentre ero intento a leggere Il Ritratto di Dorian Gray, Jeremy mi beccò. All’inizio pensava fossi solo un teppistello che voleva rubare qualche libro o fare qualche atto di vandalismo, ma l’ho fatto ricredere. Mi iniziò a tener d’occhio e a cercare di capirmi, fino a quando non guadagnai la sua fiducia. Da quel momento mi consiglia i libri da leggere e me li fa portare a casa, anche se non è concesso dal regolamento”

 

Ascoltai attentamente, rapita dal muoversi delle sue labbra

 

“Anche per me è un modo di scappare dalla realtà… quando mia madre è… morta, leggere era l’unica cosa che riuscisse a distrarmi e a non farmi pensare a lei. Anche se ero una bambina, iniziai a leggere i libri di mia mamma e mi appassionai fin da subito alla letteratura inglese. Per me era anche un modo per sentirla vicina… pensare che quei libri lei li aveva sfogliati, sottolineati, amati...”

 

La mano di Stef trovò la mia, stringendola lievemente e confortandomi. Una lacrima silenziosa scese sulla mia guancia, che prontamente asciugai

 

“Ora dimmi dove andiamo. Sto morendo dalla curiosità”

 

Cercai di alleviare l’atmosfera, riuscendo a far ridacchiare Stef

 

“Pazienta ancora un po', ci siamo quasi”

 

Sbuffai scherzosamente, girandomi a guardare le strade ormai desolate della città. Dopo circa un’altra decina di minuti Stef posteggiò sulla riva del Danubio

 

“Avanti, vieni”
 

Disse scendendo dalla macchina e io lo seguii. Scavalcò la piccola ringhiera, porgendomi la mano ed aiutandomi, per poi scendere sul piccolo pendio. Camminammo per qualche metro lungo la riva, fino a giungere un grosso salice, le cui fronde toccavano l’acqua, creando cerchi concentrici ad ogni soffio di vento. Intorno vi era un prato verde, illuminato dalla poca luce della luna e dei lampioni posizionati sulla strada, creando un’atmosfera suggestiva e quasi magica.

Stef spostò i le foglie di questo, permettendomi di entrare in quella sorta di riparo costituito dai rami che creavano una sorta di scudo tra noi e il mondo di fuori. Si avvicinò al tronco spostando del fogliame ed estraendone una coperta ben nascosta

 

“Spesso vengo qui per leggere o anche per pensare”
 

Disse stendendo la coperta sull’erba e sedendovisi, facendomi cenno di mettermi accanto a lui, cosa che feci timidamente. I rami creavano delle finestre naturali da cui poter vedere l’acqua pulita del fiume, sui cui si specchiava la luna, facendola luccicare. Era incantevole

 

“È bellissimo...”
 

Dissi estasiata da quei giochi di luce, dal movimento calmo delle fronde causato dal frusciare del vento e dal suono dei grilli

 

“Si, lo è”

 

Mi girai, sorridendogli dolcemente, felice che lui avesse condiviso qualcosa di così personale con me. Mi avvicinai, lasciandogli un bacio leggero sulle labbra e facendolo sorridere a sua volta

 

“Sophie, ti chiedo di stare più attenta… per favore. Stai attenta alle persone che frequenti e soprattutto stai attenta a quel Zayn. Se dovesse farsi vivo… corri il più lontano possibile e chiamami immediatamente”

 

“Va bene Stef… non ti devi preoccupare per me, so badare a me stessa”
 

Lui annuì, lasciando un bacio prolungato sulla mia fronte.

Restammo lì fino a quando il mio telefono squillò, risvegliandoci dallo scorrere del tempo

 

“Pronto?”
 

“Gemma, dove sei? Sono le nove passate!”

 

Balzai in piedi, portando sull’attenti Stef

 

“Papà, s-scusa. Ero con Kylie a studiare, non ci siamo accorte del tempo. Sto tornando”
 

Stef alzò un sopracciglio

 

“Da quando in qua sono diventata una donna?”
 

Risi, scuotendo la testa e dandogli un colpetto sul braccio

 

“Dobbiamo andare”

 

Lui si alzò, raccogliendo la coperta da terra e ripiegandola, riposizionandola da dove l’aveva presa, per poi prendermi la mano e ricondurmi verso la macchina.

Dopo circa dieci minuti di viaggio arrivammo davanti il portone di casa mia

 

“Ci vediamo domani allora… ti do passaggio a scuola”
 

Io annuii, sporgendomi e dandogli un bacio veloce sulle labbra, per poi scendere dalla macchina e correre a casa e da mio padre.

 

“Sophie??! Sei tu?”

 

Gridò lui non appena mi richiusi la porta alle spalle

 

“Si!”

 

Mi diressi verso il suo studio, trovandolo al suo solito chino su quintali di scartoffie, e andando a dargli un bacio sulla guancia al quale sorrise

 

“Come mai così tardi?”
 

“Beh… oggi sono stata messa in punizione… Ma non per colpa mia! Un ragazzo ha iniziato a dire cose poco carine su di me e io beh… mi sono difesa rispondendogli. Ho dovuto pulire e riordinare la biblioteca della scuola con... Kylie. Appena abbiamo finito ci siamo messe subito a svolgere i compiti per domani e abbiamo perso la cognizione del tempo”
 

Lui ascoltò con un sopracciglio alzato, sospirando e levandosi gli occhiali, poggiandoli sulla scrivania

 

“E che mi dici di Stefan?”

 

Io sussultai, non aspettandomi una domanda del genere e soprattutto così dal nulla

 

“Cosa Stefan? Siamo amici e mi ha dato passaggio oggi a scuola”

 

Lui annuì

 

“Stai attenta, non mi piace affatto quel ragazzo...”

 

Mi accigliai, annuendo, non volendo aprire una questione infinita

 

“Papà ora se non ti dispiace vorrei andare a mangiare un boccone e poi coricarmi… tu hai già cenato?”

 

“Si, piccola gemma, avevo e ho ancora molto lavoro da fare. Mela ha lasciato gli avanzi nel frigo. Buonanotte, ti voglio bene”
 

Io annuii, scuotendo la testa. Mio padre lavora davvero troppo

 

“Ti voglio bene anch’io”

 

Uscii dallo studio e andai a mangiare gli avanzi, fare una doccia rilassante e poi coricarmi, distrutta.

 

Un ronzio mi risvegliò dal mio stato di torpore e una fioca luce riuscì ad attraversare la barriera delle mie palpebre. Gemetti, per essermi svegliata, allungando il braccio e afferrando la causa del mio malessere momentaneo. Sbloccai il telefono, notando l’ora: le cazzo di 5.10. Chi diavolo mi cerca a quest’ora?! Spero per chi mi ha scritto che questo messaggio sia di vitale importanza

 

Da: sconosciuto

Ciao, tesoro. Spero che non ti sia già scordata di me e della mia promessa, sai… quella di rivederci presto. Se ancora non lo avessi capito, sono Zayn.

 

Saltai seduta sul letto, fissando a bocca spalancata lo schermo del telefono, iniziando a comporre subito il numero di Stef per avvertirlo, esattamente come mi aveva detto di fare. Come diavolo aveva avuto il mio numero poi???

Quando ero sul punto di chiamare Stef, il mio cellulare iniziò a squillare con la scritta “Sconosciuto” piantata sullo schermo. Rimasi bloccata, non sapendo che fare, per poi accettare la chiamata, portandomi lentamente l’apparecchio all’orecchio

 

“Buongiorno, tesoro! Alzati e risplendi! Il sole è ormai alto nel cielo!!”
 

Gridò la sua voce allegra, facendomi soltanto prendere un infarto

 

“C-come fai ad avere il mio numero?”
 

Sussurrai, cercando di fermare i tremolii che si erano impossessati del mio corpo

 

“Quante cose che non sai, piccola Sophie… io posso arrivare a qualunque cosa, ho occhi ovunque. Ricordatelo”

 

Ci fu un momento di silenzio, dove stavo per riattaccare, ma la sua voce mi fermò

 

“Fossi in te non riferirei niente a nessuno… sai, non vorrei che qualcuno a cui tieni si facesse male. Come ad esempio… chi è la ragazza occhialuta con cui stai sempre?”
 

Sussultai, pensando a Kylie

 

“Ah già, Kylie. La piccola innocente Kylie… oppure che ne dici del tuo caro vecchio babbo? Com’è che ti chiama? Piccola Gemma? Mh, vorrei proprio sapere il motivo di questo nimignolo… oh, ma aspetta! Io lo so già”

 

Scoppiò in una risata sinistra, facendomi tremare il labbro

 

“N-non dirò niente. L-lo giuro. Lasciali stare, non hanno fatto nulla”

 

“Sarà meglio per te e per loro. Non vorrei arrivare a dover fare qualcosa di… irreparabile. A presto, Sophie. Mi farò sentire presto”

 

Detto questo la linea cadde ed io buttai il telefono ai piedi del letto, rannicchiandomi e portando le mani tra i capelli, scoppiando in un pianto.

Cosa voleva da me?

 

 

 

 

XXX

Ciao a tutti… mi spiace per il capitolo corto ma non sono molto in vena di scrivere…

Voi come la state vivendo la quarantena?

Ne approfitto per pregarvi, pregarvi con tutte le mie forze: vi prego, state a casa. Per quanto difficile possa essere, è un piccolo sacrificio che dobbiamo essere pronti a fare per noi stessi e per gli altri. Se ci ammaliamo tutti insieme il sistema sanitario rischia di collassare, non avrebbero dove metterci materialmente! Poi pensate ai vostri cari, alle persone anziane… potreste prendervi questo maledetto virus in maniera asintomatica e contagiarlo!

Quindi vi prego, vi scongiuro. State a casa, convincete i vostri amici e chi dei vostri conoscenti!
Detto questo, speriamo solo che la situazione possa migliorare il prima possibile…

Un grosso bacio e abbraccio, vi sono vicina

-R

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Riaddormentarmi era al quanto impossibile e avevo ancora un’ora prima che la sveglia suonasse, quella chiamata mi aveva al quanto scossa, anche perché non mi aveva chiesto niente… aveva solo minacciato le persone a cui volevo bene. Avevo bisogno di schiarirmi le idee, capire cosa volesse da me, così mi alzai, scalciando le coperte, e mi vestii con il mio completo da corsa nero, indossando le scarpe, per poi scendere silenziosamente e uscire di casa.
Non appena aprii la porta, avvertii il venticello fresco accarezzarmi il volto, facendomi rabbrividire. Il tempo caldo stava cambiando, sostituendosi con il freddo secco.
Mi tirai su i capelli in una cosa stretta e infilai le Airpods, uscendo dal cancello e iniziando a correre. Passando davanti casa di Stef non potei fare a meno di girarmi a guardarla, notando il silenzio assoluto e le imposte del piano superiore tappate: stavano ancora dormendo tutti, e come biasimarli… era ancora l’alba. 
Aprii il cancello del residence, immettendomi nella strada e iniziando la mia corsa disperata, cercando di ordinare i fatti e gli avvenimenti dell’ultimo periodo.
Ormai conoscevo una mezza verità su Stef, la sua storia, o almeno una parte. Ero consapevole che non mi avesse detto tutto e che ci fossero molte cose ancora all’oscuro. 
Sapevo che suo padre era immischiato in faccende losche, coinvolgendo anche lui, e in qualche modo di tutto questo facevano parte anche Zayn e un carico. La polizia era dalla parte di Aron, rendendo tutto ancora più sospetto, e c’era anche sua madre… suo padre aveva commesso il suo assassinio quando lui era solo un bambino… e io mi ero appena andata ad impelagare in tutto quello, ma non me ne pentivo. Volevo davvero aiutare Stef, non lo avrei lasciato solo. Ma la chiamata di Zayn complicava tutto… perché ora sapevano che probabilmente io ero un qualcosa con cui ricattare Stef. Forse ora riuscivo a capire perché volesse allontanarmi a tutti i costi...
Non mi ero resa conto di quanto stessi correndo veloce, fin quando le mie gambe cedettero esauste, facendomi atterrare a terra in ginocchio. Riuscii ad atterrare sulle mani, evitando di finire con la faccia spalmata sul pietrisco della strada, e rimasi in quella posizione per qualche minuto, mentre le lacrime rigavano le mie guance e mille pensieri frullavano nella mia testa, togliendomi il fiato. Chiusi gli occhi, tappandomi le orecchie

“BASTA!”

Urlai. Probabilmente se qualcuno mi avrebbe visto non avrebbe pensato due volte ad etichettarmi come folle, e come dargli torto… 
Cercai di stabilizzare il respiro rotto dai singhiozzi e regolarizzare il mio battito cardiaco. Non potevo mostrare nessuna emozione a Stef, o avrebbe capito che era successo qualcosa. Così mi sollevai da terra, spolverando le ginocchia e guardando i palmi delle mani, leggermente scorticati dall’impatto con il terreno. Guardai il telefono, notando che oramai si erano fatte quasi le sei e mezza, e così ricominciai a correre verso casa. 
Ero arrivata a circa metà strada quando con la coda dell’occhio notai una macchina nera; avrebbe potuto essere normale, magari qualcuno che andava a lavoro, eppure questa si ostinava a non sorpassarmi, mantenendo un’andatura calma, andando esattamente al mio passo.
Sbiancai, non riuscendo a guardare chi ci fosse alla guida, ma a questo punto avevo le mie ipotesi. Non dovevo mostrare paura, non potevo farmi mettere i piedi in testa. Così mi fermai, non cercai di scappare, e probabilmente questa sarebbe stato una grandissimo sbaglio.
Anche la macchina si arrestò non appena giunse davanti a me e mi avvicinai cautamente, notando il finestrino oscurato abbassarsi lentamente e un ciuffo nero corvino farsi spazio nella visuale

“Buongiorno tesoro! Sapevo che il mio consiglio “alzati e splendi” avrebbe dato i suoi frutti”

Serrai i pugni, cercando di mantenere la calma, e presi un profondo respiro prima di parlare

“Cosa cazzo vuoi”

Lui ghignò e i suoi occhi castani scrutarono il mio viso, ancora con gli occhi gonfi e rossi per il pianto di poco prima. Probabilmente cercava un qualche sentore di paura o sottomissione, ma trovò solo uno sguardo di marmo e impassibile, cosa che fece aumentare il suo sorriso perverso

“Smettila di giocare all’eroina e di impicciarti in cose che non ti riguardano, prima che qualcuno possa farsi male”

Strinsi ancora di più i pugni, conficcando le unghia nel palmo per mantenere il controllo, cosa non affatto semplice. Mi sarebbe proprio piaciuto fargli sparire quel sorrisetto dalla faccia a suon di pugni, almeno avrei messo in pratica il corso di Boxe che avevo fatto qualche anno prima…

“Non mi fai paura, Zayn”

Lui si avvicinò, sporgendosi dal finestrino e facendomi indietreggiare, colta dalla sorpresa

“Io credo proprio di si”

Sussurrò, a pochi passi dal mio volto, per poi ritornare nell’abitacolo della sua vettura

“Stai attenta a quel che fai. Non vorrei proprio rovinare il tuo bel faccino”

Serrai la mascella, mollando un calcio alla fiancata dell’auto e lasciando un’ammaccatura al quanto pronunciata

“Vaffanculo”

Sputai tra i denti, facendo scoppiare in una fragorosa risata Zayn

“Stef se l’è scelta proprio bene… non oso immaginare come sarai a letto… ci vediamo in giro, tesoro”

Fece l’occhiolino, per poi partire a tutto gas per la strada, e io alzai il dito medio, mandandolo ancora una volta a farsi fottere.
Fanculo le sue minacce, fanculo tutto. Avrei aiutato Stef, non importava il prezzo, anche a costo di sparire dal paese e cambiare identità. Papà magari mi avrebbe aiutato… lavorando in un certo senso per il governo avrebbe potuto conoscere qualcuno in grado di far sparire le sue tracce… o le nostre, insomma, chi volevo prendere in giro? Sicuramente non sarei rimasta lontana da lui, a non fare niente. E poi… un po' di brivido non ha mai ucciso nessuno, no?
Ricominciai a correre, spingendo oltre i miei limiti, arrivando in pochi minuti a casa. Feci doccia e shampoo e mi vestii di fretta, indossando un paio di jeans strappati sulle ginocchia, delle sneakers bianche e una blusa del medesimo colore, accompagnata da una giacchetta e da una borsa beige. Lasciai i capelli ancora umidi sciolti e scesi di corsa le scale, salutando mio padre, e uscii di casa, notando già la macchina di Stef davanti l’ingresso

“Ei”

Mi salutò lui con un bacio a stampo, che mi fece sorridere

“Ciao a te”

Ricambiai.
Arrivammo a scuola e dopo esserci salutati, andai alla ricerca di Kylie, non trovandola da nessuna parte. Le lezioni stavano per iniziare e mi ricordavo che avremmo avuto lezione insieme, così afferrai il telefono per chiamarla, ma non rispose. 
Un senso di ansia si fece spazio nello stomaco, stringendolo come una morsa. Corsi in bagno per sciacquarmi la faccia ma sentii dei pianti provenire da un cubicolo, così bussai

“Ei? Tutto bene?”ù

I singhiozzi cessarono 

“S-sophie?”

Riconobbi la voce spezzata

“Kylie?! Che è successo? Apri!”

La porta si sbloccò subito dopo, facendomi notare la mia amica seduta sulla tavolozza del gabinetto; grosse lacrime le cadevano dagli occhi. Mi affrettai ad entrare, richiudendomi la porta alle spalle, e l’abbracciai, accarezzandole i capelli per cercare di farla calmare

“Ei, ei. Che è successo?”

“I-il ristorante”

Cercò di parlare ma la voce era spezzata continuamente dal pianto

“Prendi un bel respiro, Ky, respira”

Cercai di tranquillizzarla

“I-il rist-torante ha preso f-fuoco. M-mio padre...”

La frase venne rotta da un ulteriore singhiozzo

“mio padre era dentro!”

Sbiancai di colpo, cercando di negare l’evidenza in tutti i modi. Zayn non poteva, non doveva

“Oddio...”

Sussurrai, abbracciandola più forte

“È in os-spedale… ha un ustion-ne di s-secondo grado su buona parte del braccio e della sc-chiena”

Tornai a respirare, non rendendomi conto di aver trattenuto l’aria. Avevo pensato al peggio

“Ma si riprenderà, Ky. Stai tranquilla, lui starà bene”

Lei annuì, stringendosi a me. Restammo così fin quando lei si calmò del tutto, per poi uscire dal cubicolo

“Scusami… ti ho fatto perdere la lezione...”

Sorrisi

“Per favore! Sai che è una noia mortale la Benson…”

Ridacchiai riferendomi alla professoressa di Scienze, e lei annuì

“In effetti...”

Uscimmo dal bagno, per recarci alla prossima lezione che avremmo avuto separate, e così ci salutammo per poi dirigerci nelle due direzioni opposte. 
Non appena raggiunsi la porta dell’aula, il mio cellulare cominciò a squillare, così lo estrassi dalla tasca leggendo l’anonimo e sapendo già a chi appartenesse quella chiamata

“Come sta il padre di Kylie?”

Serrai la mascella, allontanandomi dall’aula 

“Tu! Come hai potuto?!”

Lui ridacchiò al telefono, cantilenando 

“Ti avevo avvertito, piccola Sophie. Stai attenta, la prossima volta potrebbe non cavarsela con delle semplici bruciature. Magari potrei prendere di mira Kylie… forse così capiresti meglio”

“Non oser-”

“A presto, tesoro”

Non mi diede il tempo di rispondere che attaccò il telefono, lasciandomi con la rabbia ribollire nelle vene.

Erano passate ormai sei ore e la scuola era finita, così mi recai nel parcheggio in cerca di Stef, vedendolo non lontano da me, poggiato sul cofano della macchina intento a fumarsi una sigaretta.
Presi un respiro profondo mettendo su il sorriso più finto possibile, avvicinandomi. Non appena si accorse di me gettò la sigaretta a terra, incrociando le braccia e mettendo in evidenza i suoi muscoli e i suoi tatuaggi. Era proprio una bella visione, in grado di attirare l’attenzione di chiunque

“Ciao, splendore”

Mi salutò, mostrando una fossetta.
Mi avvicinai a lui, avvolgendo le braccia al suo collo e baciandolo. Lui ridacchiò, portando le sue mani sulla mia schiena, avvicinandomi di più a lui, e ricambiando il baci appassionato

“Ti fanno bene tutte queste ore di scuola vedo...”

Sussurrò sulle mie labbra con un ghigno, e io gli diedi un pugno sul braccio, facendolo ghignare ancora di più

“Sta zitto”

Mi diede un altro bacio, sta volta più calmo per poi staccarsi dalla macchina

“Andiamo”

Mi girai per entrare in macchina, ma prima di salire notai gli sguardi di puro shock dipinti sui volti degli altri ragazzi, in particolare potei bearmi dello sguardo di pura rabbia sulla faccia di Molly, così alzai una mano muovendo le dita per salutarla, cosa che le fece sbattere il piede a terra come se fosse stata una bambina e andarsene. Okay, forse ero stata leggermente stronza… ma una volta ogni tanto ci stava. E poi lei si sentiva la proprietaria del mondo intero, era divertente smontarle almeno una volta quella condizione.
Non appena chiusi lo sportello e mi girai a guardare Stef notai il suo sopracciglio alzato

“E quello cos’era?”

Alzò un angolo della bocca

“Quello cosa?”

Sbattei le ciglia innocentemente, cosa che lo fece ridere e scuotere la testa

“Sei incredibile, Sofia Fiore”

Disse in italiano, facendomi venire brividi lungo la colonna vertebrale. Era proprio sexy quando parlava un’altra lingua con il suo accento inglese.
Durante il tragitto pensai a quello che era successo al padre di Kylie e alla chiamata di Zayn… ormai ci ero dentro fino alla testa, non potevo fermarmi. Dovevo solo cercare di stare più attenta, continuare a investigare per conto mio senza farmi scoprire e trovare una situazione che potesse aiutare Stef.

Erano le due e non riuscivo a prendere sonno, mi giravo e rigiravo nel letto, troppo presa dai miei pensieri. E questo restare sveglia mi fece sentire dei suoni provenienti dall’esterno, così mi alzai incuriosita, sbirciando dalla finestra e notando Stef sulla porta di casa sua dirigersi alla macchina. Cosa stava facendo a quell’ora? 
Non persi tempo, infilando un leggigns e una felpa con cappuccio neri, correndo al piano di sotto silenziosamente dirigendomi verso il boxe. Quando stavo per entrare in macchina, notai la moto di mio padre e sorrisi tra me e me. Con quella di sicuro sarei passata più inosservata e avrei potuto pedinarlo meglio, così senza pensarci un secondo di più infilai il casco integrale, saltando sul sellino e accendendo la moto, sentendo l’adrenalina a mille, e uscendo dalla villa e dal residence. 
Vidi in lontananza la sua macchina viaggiare ad una velocità sostenuta, e così feci rombare la moto iniziando il mio pedinamento, mantenendo una certa distanza.
Probabilmente se si fosse accorto di essere seguito sarebbe stato un bel problema, ma a mio vantaggio andava il fatto che lui non sapesse dell’esistenza della mia moto, e il casco copriva il mio volto, rendendomi irriconoscibile.

Dopo circa venti minuti la sua macchina entrò in un’area industriale al quanto mal ridotta, rallentando e fermandosi dinanzi un capannone dismesso e decadente.
Certo che avevano proprio una passione per le cose vecchie e rotte…
Posteggiai la moto dietro un muro lì vicino, nascosta ad occhi indiscreti, e dopo essermi tolta il casco mi feci strada avvicinandomi cautamente all’ingresso del capannone, dove avevo visto Stef. 
Vi entrai facendo scorrere lo sguardo a destra e sinistra, per poi seguire le voci nascondendomi dietro delle casse e delle scatole depositate in un angolo. 
Mi sporsi, assicurandomi di non essere vista, notando uno di quei ragazzi che avevo visto già alla serra prendere da un furgone nero dei grossi container in legno con delle cifre e numeri stampati in grassetto sui lati, aiutato da un altro che non seppi riconoscere

“Sono tutte?”

Stef entrò nella mia visuale di spalle. Era teso, lo potevo notare dalle tensione accumulata sulla sua schiena 

“Si sono tutte”

Lui annuì, avvicinandosi ad un contenitore già scaricato e togliendo il coperchio, sporgendosi e controllandone il contenuto.
Da questa posizione non ero in grado di vedere cosa ci fosse all’interno e la mia curiosità mi stava divorando viva, così cercai di sporgermi ancora di più, ma mi bloccai sentendo la voce di Zayn

“Come sta la ragazzina?”

Notai i pugni si Stef serrarsi fino a far diventare le nocche bianche

“Lasciala fuori da tutto questo”

La sua voce uscì severa cupa

“Oh, ma il problema non sono io… è lei che continua ad impicciarsi in cose che non la riguardano. Non è vero, tesoro?”

Il respiro mi si mozzò in gola, non poteva avermi visto, ma quando notai il suo sguardo puntato sul mio nascondiglio cambiai idea. Merda 

“Avanti, Sophie. Che ne dici di uscire da là? Oppure preferisci che venga a prenderti con la forza?”

Strinsi i pugni, uscendo lentamente allo scoperto, e subito mi scontrai con gli occhi estremamente arrabbiati di Stef

“Sofia, cosa cazzo ci fai qui?!”

Parlò a denti stretti, ed io mandai giù il grumo formatosi in gola, bloccandomi sul posto. Stef si girò, puntando il suo sguardo su Zayn

“Sono tutte, ora noi ce ne andiamo”

Fece per avvicinarsi a me, ma Zayn scosse la testa divertito, portandosi una mano dietro la schiena ed estraendone una pistola. Sgranai gli occhi a quella vista e lanciai un urlo non appena la puntò verso di me, premendo sul grilletto.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Le orecchie iniziarono a fischiare terribilmente per lo sparo. Non avevo il coraggio di aprire gli occhi, anche se non sentivo dolore da nessuna parte; quando però il mio udito tornò a funzionare sentii Stef pronunciare il mio nome, anche se ovattato. Il labbro iniziò a tremare e le gambe mi cedettero, facendomi sbattere le ginocchia contro il pavimento sporco di quel magazzino. Quando sentii delle mani toccarmi, spalancai gli occhi terrorizzati, scontrandoli con le due pozze di verde profondo

 

“Sophie”

 

Mi scosse nuovamente, cercando la mia attenzione, e io lo guardai confusa, non capendo cosa fosse successo. Ma quando alzai lo sguardo, puntandolo oltre la sua spalla, vidi Zayn impugnare l’arma ancora fumante con un ghigno stampato in volto, e la realtà mi colpì in piena faccia

 

“S-stai bene? I-io s-sto bene?”

 

Mormorai a Stefan, che mi guardava ancora preoccupato, sostenendomi dalle spalle

 

“Si, stiamo bene”

 

“Non vorrei interrompere questo momento così dolce ma… ho del lavoro da sbrigare”

 

La voce divertita di Zayn arrivò alle mie orecchie, e il mio coraggio per un momento perso mischiato ad una buona dose di adrenalina e rabbia mi fece scattare verso di lui

 

“Che cazzo ti è saltato in mente?! Sei un pazzo!!”

 

Le braccia di Stefan avvolsero la mia vita, impedendomi di compiere qualsiasi movimento avventato, facendo ghignare Zayn ancora di più

 

“La prossima volta potresti non essere così fortuna, tesoro… ringraziami che non volevo realmente ferirti”

 

“Lasciami”

 

Sputai tra i denti a Stefan, cercando di divincolarmi

 

“Zayn, non ti conviene scherzare con me. Se l’avessi solo graffiata... ti ritroveresti a otto metri sotto terra”

 

Stefan strinse la presa sui miei fianchi, lanciando sguardi torvi

 

“Sai, Stef… potrebbe farci comodo una ragazzina così grintosa”

 

“Non ci provare”

 

“Mi sa che non hai la voce in capitolo a questo punto… e poi sa troppo”

 

Stavo in silenzio, bloccata dalle braccia di Stefan cercando di capire come si sarebbero evoluti gli eventi. In ogni caso, non sarebbe finita bene, lui era uno solo ed io… nonostante avrei tanto voluto togliergli quel ghigno dalla faccia, non sarei stata molto di aiuto, essendo incapace di combattere o difendermi, e loro erano in cinque.

 

“Ci sono due modi per uscire da tutto questo, e tu non potrai opporti a nessuno dei due.

Il primo, che è quello che preferisco, è che lei si unisca a noi. Come ho già detto prima sarebbe un buono acquisto e potremmo farle indirizzare tutta questa rabbia e coraggio verso di qualcosa di… più utile”

 

Sentii Stef irrigidirsi, stringendo ancora di più i miei fianchi, tuttavia senza farmi male

 

“Scordatelo, lei rimane fuori da tutto questo”

 

Zayn sorrise, ricaricando la pistola e tendendo il braccio in avanti, puntandomela nuovamente addosso e facendomi sgranare gli occhi. Stef si parò di fronte a me, facendomi da scudo, ma lo stronzo con un cenno della testa richiamò due dei suoi ragazzi, che si precipitarono sul mio protettore, afferrandolo per le braccia e trascinandolo via da me. Cercò di dimenarsi in tutti i modi, e per un attimo ci era anche riuscito, se non fosse stato per gli altri l’altro ragazzo che era corso in soccorso dei due, tramortendolo con un colpo della testa

 

“LASCIATELO!”
 

Urlai, correndo verso di loro, ma due braccia mi bloccarono, impedendomi di nuovo di muovermi, ma a differenza di Stefan queste avevano una presa talmente ferrea da scavarmi la pelle

 

“Stavo dicendo… la seconda opzione è la seguente”
 

La pistola, da che era puntata verso di me si spostò sul corpo tramortito di Stefan, e io smisi di divincolarmi, restando bloccata a guardare. Sospirò teatralmente

 

“Se non vuoi unirti a noi... lui muore”

 

Mi accasciai a terra, ancora trattenuta per le braccia. Avevo combinato un casino senza uscita non ascoltando Stefan. Mannaggia a me e la mia imprudenza

 

“Ti prego, abbassa l’arma”
 

Sussurrai

 

“Quindi immagino che tu abbia scelto la prima opzione…”

 

Annuii

 

“Mi unirò a voi, ma tu devi giurarmi che non gli torcerai un capello”

 

Lui ghignò, riponendo nella cintura dei pantaloni la pistola, e battendo le mani

 

“Sono contento che tu abbia deciso di tua spontanea volontà!”

 

Digrignai i denti e mi morsi la lingua, cercando di non rispondergli male

 

“Lasciala andare, non penso che abbia intenzione di scappare”

 

Disse poi al bestione dietro di me, che mollò la presa sulle mie braccia, facendomi correre verso Stefan. Mi inginocchiai dinanzi a lui, scostandogli il ciuffo che gli copriva il viso

 

“Stef”
 

Lo scocci, cercando di fargli riprendere coscienza e vidi le sue palpebre tremare e le sue sopracciglia aggrottarsi, simbolo che si stava risvegliando; poco dopo i suoi occhi si scontrarono con i miei e una sua mano corse verso il mio viso, posandosi sulla mia guancia

 

“Sophie”
 

Gli sorrisi in modo rassicurante, premendo di più la mia guancia sulla sua mano, ma il momento venne interrotto da Zayn

 

“Awwww, non sono carini ragazzi?”

 

Mi girai a guardarlo, aiutando Stefan ad alzarsi, facendolo poggiare sulle mie spalle e sostenendolo dalla vita

 

“Andiamo via”
 

Sussurrai a Stefan, iniziando a camminare verso l’uscita

 

“Non così in fretta, tesoro”

 

Mi girai guardandolo negli occhi

 

“Cosa cazzo vuoi ancora? Hai ottenuto quello che volevi, ora lasciaci in pace”

 

Lui si portò una mano al mento, strofinandosi la poca barba con fare pensieroso

 

“Mhhh, no, ancora non ho ottenuto un bel niente. Seguitemi, dobbiamo parlare di affari”

 

Si girò facendo cenno con due dita di andargli dietro, entrando in una porta nascosta un po' più avanti.

I suoi scagnozzi, vedendo che io fossi ancora ferma, mi si avvicinarono con fare minaccioso, costringendomi ad avanzare

 

“Sophie, cosa cazzo hai fatto”
 

Sussurrò fra i denti Stefan, che era ancora leggermente tramortito dalla botta ricevuta poco prima

 

“Andrà tutto bene, tranquillo”

 

“Come cazzo posso stare tranquillo?! Ti avevo detto di non immischiarti in tutto questo e tu come al solito non mi hai ascoltato. Solo che ora l’hai fatta grossa, ti sei andata ad infilare in una cosa più grande di te e da cui non ne uscirai più”
 

Il suo tono si andava alzando di tonalità, ma rimanendo pur sempre basso, in modo da essere sentito solo da me. Deglutii

 

“Dovevo farlo”

 

Lui scosse la testa, stringendo la presa sul mio fianco

 

“No che non dovevi, dovevi lasciare che mi uccidessero e andartene via”

 

Mi bloccai, puntando i piedi

 

“Sei solo uno stupido se pensi davvero che li avrei lasciati ucciderti”

 

Lui scosse la testa, abbassando lo sguardo

 

“La mia vita non vale tanto, Sophie”

 

Mi misi di fronte a lui, portando le mani sulle sue guance e facendogli alzare lo sguardo su di me

 

“Non so come questo possa soltanto passarti dall’anticamera del cervello… ma si, vale tanto. Vale tanto per me, quindi smettila di colpevolizzarti e di dire stronzate, perché non ci porterà a niente. È stata una mia scelta quella di starti accanto, lo sapevo a cosa stessi andando in contro e ho comunque deciso di non scappare via. Quindi per una volta, renditi conto che per me ne vale la pena, tu ne vali la pena”

 

I suoi occhi scrutarono la mia espressione, cercando un qualsiasi cenno di cedimento o tentennamento, ma non trovandolo. Ero convinta di quello che gli avevo detto, non so per quale motivo ma avrei fatto qualsiasi cosa per lui. C’era qualcosa che mi legava a lui, un sentimento radicato nel profondo che mi riconduceva sempre a lui, un qualcosa che cresceva lentamente ma potentemente.

La mia espressione rimase imperturbata e lui si arrendette, portando le sue mani sui miei polsi, compiendo dei movimenti circolari con i pollici e procurandomi brividi

 

“Ne vali la pena”

 

Ripeté con un piccolo sorriso e io annuii ricambiando il sorriso

 

“Ma voi due siete proprio culo e camicia o cazzo e culo o… insomma, avete capito il concetto. Però per quanto carini possiate essere, mi state davvero rompendo la minchia, quindi scollatevi e muovetevi”

 

Stefan annuì, mollando la presa sui miei polsi e assumendo una posizione eretta e tesa, cominciò a guidarmi verso di lui, mantenendo una mano sul mio fianco

 

“Da questo momento tu starai in silenzio, non voglio che ti cacci ancora di più nei guai. Non sappiamo cosa ha in mente Zayn e sinceramente non lo voglio scoprire”

 

Io annuii, pensando che peggiorare ancora di più la mia situazione non avrebbe giovato nessuno.

Entrammo in uno stanzone con delle sedie polverose poste a cerchio e in una di queste Zayn, che era concentrato a guardarsi le unghia

 

“Oh eccovi qui. Prego, accomodatevi, sentitevi liberi di scegliere il vostro posto ”

 

Stefan mi guardò, facendomi segno di prendere la sedia opposta e più lontana da quella di Zayn, ma prima che potessi anche solo avvicinarmi, questo mi fermò

 

“Oh, tesoro, mi spezzi il cuore che vuoi sederti così distante da me. Dov’è finita tutta la spavalderia di poco prima? Avanti, vieni qui accanto a me. Ah, non te lo sto chiedendo. Invece Stefan, tu vai benissimo lì”

 

Deglutii, allontanandomi da Stef, che dopo essersi irrigidito e aumentato la presa per un attimo, mi lasciò andare, seguendo i miei movimenti e quelli del moro con sguardo guardingo.

Zayn avvicinò la sedia alla sua, sbattendo la mano sul sedile facendomi cenno di sedermi, e così feci, seppur cercando di mettere più distanza possibile tra me e lui, che, capendolo, portò il braccio sulla spalliera, iniziando ad accarezzarmi la spalla e procurandomi brividi, ma non erano brividi come quelli di quando Stefan toccava o persino sfiorava qualsiasi parte del mio corpo, questi erano brividi di puro disgusto. Vidi Stefan irrigidirsi sulla sedia e stringere i pugni, facendo diventare le sue nocche bianche, e il ragazzo accanto a me ghignò

 

“Zayn…”
 

Parlò in modo autorevole, avvertendolo, cosa che gli fece crescere ancora di più quello stupido ghigno

 

“Bene, iniziamo. Diamo tutti il benvenuto alla nostra nuova recluta, Sofia Fiore. Tutti, salutate Sofia”

 

Gli scagnozzi, che nel mentre avevano preso posto tra me e Stefan riderono sotto i baffi

 

“Ora parliamo del prossimo obiettivo. Mitch, lo hai?”

 

Il ragazzo interpellato, si irrigidì sulla sedia, spalancando gli occhi e iniziando ad aprire e chiudere la bocca

 

“I-io… v-veramente”

 

“Gneee, risposta sbagliata”

 

Zayn sfilò in un movimento fluido la pistola, sparando e colpendo in fronte il ragazzo, che finì a terra con un tonfo. I miei occhi si sgranarono e mi immobilizzai sulla sedia, vedendo la macchia di sangue allargarsi a dismisura.

 

“Zayn! Ma che cazzo?!”

 

Stefan si alzò, cercando di avanzare verso la mia direzione, ma Zayn gli puntò la pistola contro

 

“Nah, nah. Torna al tuo posto. Stai bene bambolina, non è vero?”
 

Disse accarezzandomi la guancia, e io mi allontanai dal suo tocco. Deglutii, cercando di riprendermi e spostando lo sguardo su Stef che mi guardava preoccupato, non per il cadavere ma per me. E questo mi fece pensare, come poteva rimanere così tranquillo dinanzi a quella scena? Aveva mai ucciso? Mi sforzai di parlare, schiarendomi la voce

 

“S-sto bene”

 

“Prima o poi ti ci abituerai. Ora, qualcuno di voi può rendersi utile e andare a prenderlo?”

 

Il ragazzo con la cicatrice in faccia, si alzò dalla sedia correndo verso l’uscita e tornando poco dopo con un computer che posizionò su una sedia dinanzi al nostro semicerchio, accendendolo e proiettando le foto di un uomo sulla cinquantina con i capelli biondi, sicuramente tinti, e due occhi color caramello

 

“Il prossimo obiettivo è Leinen Straswosky, un miliardario che darà un banchetto di beneficenza la prossima settimana al Vienna Imperial Hotel, dove alloggerà per i prossimi tre mesi. Pensiamo che questo stia rivelando informazioni al Diamante Grezzo riguardo i nostri affari”

 

Io mi accigliai, ero convinta di aver letto quel nome da qualche parte, ma non riuscivo a ricordare dove.

Un ragazzo riccioluto chiese

 

“Perché non ucciderlo direttamente?”

 

Zayn rise di gusto

 

“Perché ci serve più da vivo che da morto, stupidino. Dobbiamo averne la conferma e sfruttarla a nostro vantaggio, disorientando l’associazione. Se invece ci sbagliamo non avremo perso un buon acquirente inutilmente. Così lo capisci o vuoi un disegnino?”

 

Il ragazzo abbassò la testa, mordendosi il labbro impaurito

 

“Prego, continua Hannibal”
 

“Ho pensato a come avvicinarlo e penso che questo evento sarà l’occasione perfetta, soprattutto ora che abbiamo un’ottima esca”

 

Lo sguardo del ragazzo si piantò su di me, così come quello di tutti gli altri

 

“I-io?”
 

Zayn strisciò la sedia, ponendosi di fronte a me

 

“Tu sei la nostra gallina dalle uova d’oro. Nessuno sa di te né tanto meno potrebbe pensare ad un tuo coinvolgimento”

 

“Non se ne parla”
 

Stefan intervenne, facendo roteare gli occhi del ragazzo di fronte a me

 

“E ti pareva… mi sembrava di aver chiarito che non avete voce in capitolo?”

 

Mi schiarii la voce, guardando con la coda dell’occhio Stefan scuotere la testa rassegnato al fatto che non mi sarei tirata indietro

 

“Cosa dovrei fare”
 

Zayn ghignò

 

“Sapevo che ti avevo adocchiata bene. Hannibal, spiega”

 

“Come qualsiasi miliardario, lui è noto per circondarsi di bella compagnia. Ha un debole per le bionde, da quanto ci hanno riferito, e così useremo te per adescarlo. Andrai alla festa di beneficenza e lo sedurrai, in modo da portarti nella sua stanza dove tu piazzerai delle cimici. Tutto qui”
 

Sentii una sedia strisciare sul pavimento e la voce di Stefan

 

“Non se ne parla”

 

“Ancora...”

 

“No, Stef posso farcela. Non mi succederà niente”

 

Interruppi Zayn, che mi guardò approvando e battendo le mani

 

“Bene! È deciso! Per quanto mi piacerebbe essere il tuo accompagnatore… purtroppo non potrò esserci, quindi Hannibal e, a mio malincuore, Stefan staranno con te. Lì ci sono le vostre nuove identità e gli inviti. Ricordatevi, se qualcosa va storto...”
 

“Ammazzo prima la ragazza, e poi Stefan”

 

Zayn annuì ad Hannibal, alzandosi e stiracchiandosi con uno sbadiglio rumoroso

 

“Si è fatta una certa ora. Domani ti contatterò”
 

Disse toccandomi una guancia, ed io mi allontanai con faccia disgustata, facendolo ridacchiare. Quando si allontanò, i suoi scagnozzi lo seguirono, afferrando per le braccia il ragazzo morto e trascinandolo, lasciando dietro di se una scia di sangue. Non appena Zayn scomparve, Stefan si affrettò a venirmi in contro e ad avvolgermi in un abbraccio rassicurante

 

“Sto bene”

 

“No che non stai bene… hai appena visto morire qualcuno”

 

Presi un respiro tremolante, portando una mano sul suo petto

 

“Andiamo a casa”

 

Lui annuì, stringendomi per qualche altro secondo per poi condurmi fuori e alla mia moto, che per fortuna ritrovai integra

 

“Io...”
 

Provò a parlare ma lo fermai

 

“Non scusarti, ce la posso fare e andrà tutto bene. Te lo prometto”

 

Lui mi guardò poco convinto, ma poi annuì, tirandomi verso di sé e baciandomi. Rimasi per un attimo bloccata ma poi avvolsi le mani al suo collo, tirandolo verso di me.

Le sue labbra si muovevano esperte sulle mie, mordendo ogni tanto il mio labbro inferiore, procurandomi brividi, accompagnati da pelle d’oca formatasi sulla pelle dei miei fianchi, dove le sue mani irradiavano il loro calore.

Dopo una quantità di tempo che sembrò essere troppo poca, interruppe il bacio, poggiando la sua fronte contro la mia. I nostri petti che si alzavano e abbassavano velocemente e il nostro respiro affannato

 

“Da domani ti insegnerò un paio di mosse su come difenderti. Se qualcosa dovesse...”
 

“Non succederà”

 

Lo interruppi di nuovo

 

“Se qualcosa dovesse andare male almeno saprai come difenderti”

 

Mi tirò al suo petto, avvolgendo la mia schiena con le sue braccia

 

“Ti proteggerò a costo della mia vita”
 

Sorrisi sul suo petto

 

“Lo so”

 

Sussurrai, pensando a quanto la nostra relazione fosse inusuale e totalmente sbagliata ad occhi esterni, ma non per me. Perché in quel momento realizzai una cosa. Realizzai che tutti quei sentimenti che provavo per lui non erano altro che amore. Io ero fottutamente, irrimediabilmente e follemente innamorata di Stefan Huston, e questo non avrebbe portato a nulla di buono.

 

 

 

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NON UCCIDETEMI!

Sono scomparsa per un tempo alquanto imbarazzante… ma avevo degli esami e dovevo restare concentrata. Spero di riuscire ad aggiornare un po' più spesso a questo punto…

Comunque, come state? Come vi sta andando la quarantena?

Fatemi sapere i vostri pareri e sopratutto contattatemi se avete bisogno di parlare con qualcuno, sono tempi difficili e avere supporto morale o di qualsiasi altro genere di sicuro non fa male.

XX

-R

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 


 

 

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


La settimana era passata: Stef mi aveva insegnato un paio di mosse di autodifesa, inserendo anche come maneggiare un coltello per ferire senza uccidere, perché sapeva che non ne sarei mai stata in grado. In questo ero stata abbastanza agile, aiutata dal mio fisico mingherlino che mi aiutava a muovermi velocemente, ma tenere in mano unarma mi scombussolava e mi faceva sentire in modo terribile, tanto che anche Stef alla fine aveva ceduto, lasciando perdere e concentrandosi più sulla lotta a corpo libero, abbandonando totalmente anche l'idea di farmi solo impugnare una pistola.

 

L'addestramento aveva anche compreso come maneggiare e dove nascondere le cimici, compito facilitato dal fatto che quello fosse un albergo e non casa sua, infatti queste dovevano essere posizionate in luoghi sia nascosti che poco spostati o toccati, come cornici o vasi di fiori.

 

Zayn in effetti si era fatto vivo ma graziandomi e limitandosi semplicemente ad un messaggio con i dettagli essenziali e aggiungendo una frase che mi fece venire i brividi: 

 

Stefan 19.30, vestito lungo e rosso. Non vedo l'ora di vederti, bambolina. Ah, indossa una giarrettiera

 

E così alle 19.20 di quel sabato sera io mi stavo guardando allo specchio, lisciando il tessuto del vestito che mi avvolgeva il busto per poi scendere più morbido sulle gambe. Ripassai il rossetto rosso valentino sulle labbra e aggiustai i capelli che mi scendevano con onde perfettamente pettinate sulla schiena, indossando due orecchini di diamanti. 

 

 

 

Era un peccato sprecare labito per quell'occasione ma non avevo avuto il tempo di cercarne un altro. Mi guardai un'ultima volta per poi afferrare il cellulare dove trovai il messaggio da parte di Stefan che mi diceva di essere sotto casa, non che comunque mi avrebbe fatto aspettare chissà quanto considerando la vicinanza tra le due ville. 

 

Scesi le scale mantenendomi sul corrimano a causa dei tacchi vertiginosi e uscii di casa e dal cancello, trovando subito una macchina scura mai vista e Stefan appoggiato sullo sportello dal lato passeggero. Mi fermai un attimo ad ammirarlo non avendolo mai visto così elegante: indossava una completo nero con una camicia del medesimo colore, i capelli portati allindietro e il suo orecchino sparito. 

 

Dopo aver percorso il suo corpo con uno sguardo, notai che lui aveva fatto la stessa identica cosa con me, leccandosi il labbro inferiore

 

"Cazzo"

 

Si lasciò sfuggire, portandosi una mano tra i capelli

 

"Se mi distraggo dalla missione la colpa è tua"

 

Sussurrò avvicinandosi a passo sicuro e afferrando i miei fianchi, posando un bacio leggero sull'angolo della bocca, per poi arrivare al mio orecchio

 

"Sono profondamente combattuto tra lo strappartelo di dosso o prenderti con questo addosso"

 

Deglutii, sentendo la pelle d'oca formarsi dove aveva sussurrato quelle parole che di casto non avevano un bel niente, procurandomi un calore sul petto e più giù, portandomi a stringere le gambe

 

"Ma per quanto mi piacerebbe"

 

Continuò staccandosi e porgendomi il braccio, che afferrai

 

"Prima dobbiamo portare a termine questa maledetta stronzata"

 

Aprì lo sportello, facendomi accomodare e aiutandomi con il vestito, per poi richiudere lo sportello e fare il giro della macchina, sedendosi sul sedile del guidatore e facendo girare la chiave 

 

"Nel cruscotto c'è il tuo documento con un cellulare, lascia il tuo lì dentro. Inoltre c'è una scatola con le cimici, nascondile da qualche parte"

 

Disse indicando una scatola in metallo su un angolo. Afferrai il tutto, notando il mio nuovo nome sul documento "Amelia Fredrich", e poi cercai di capire dove inserire le cimici, capendo subito dopo il motivo della giarrettiera e alzando gli occhi al cielo. Alzai il vestito fino alla coscia, prendendo le cimici e iniziandole ad inserire all'interno di questa, cosa che attirò lattenzione di Stefan, facendolo distrarre dalla strada e perdere per un attimo il controllo dell'auto, procurandomi un gridolino

 

"Tu mi vuoi proprio morto"

 

Scosse la testa, mordendosi il labbro e cercando di non distrarsi ulteriormente, procurandomi una risata

 

"Peccato che stavi per uccidere anche me"

 

Lui scosse la testa alzando un sopracciglio

 

"Era tutto sotto controllo, non esagerare"

 

"Come no"

 

Lui ghignò, schiarendosi la voce

 

"Io sarò Harriet Gherish, un miliardario americano, e tu sarai la mia compagna. Hannibal sarà il mio collega in affari, cercherete di distrarlo mentre io accederò alla stanza dell'obiettivo inserendo le cimici che mi lascerai nel bagno"

 

Mi accigliai

 

"Non era questo il piano Stefan"

 

Lui scosse la testa

 

"Non ti lascerò da sola con quell'uomo, non mi interessa"

 

"Stefan non ti faranno passare, hai visto anche tu le planimetrie e i video di sorveglianza. Non c'è modo di accedere al piano se non accompagnati da lui stesso per via dell'ascensore, e tu non hai come accedere. Andrò io, come si era stabilito e dopo venti minuti mi farete uscire. Il piano funzionerà e Zayn non si incazzerà inutilmente, ti prego fidati di me. Ce la posso fare"

 

Lui sembrò non essere sicuro, ma alla fine cedette

 

"Sophie, voglio che se le cose si mettono male tu farai qualsiasi cosa in tuo potere per uscire da quella stanza. Non mi interessa come, anche al costo di ferirlo. Uscirai da quella stanza entro diciannove minuti e se in venticinque minuti non uscirai dall'ascensore, verrò io stesso a prenderti, e non mi importa come ci arriverò"

 

Annuii, felice di averlo convinta e quindi tenuto fuori pericolo. Se fosse andato lui lo avrebbero sicuramente scoperto e chissà come sarebbe finita a quel punto.

 

Il piano era semplice, sedurlo, farmi portare in stanza, distrarlo e sistemare le cimici per poi alla prima occasione o scusa ritornare alla Hall dove si sarebbe tenuto il banchetto.

 

Dopo qualche minuto in cui mi arrovellai su tutte le cose possibili che avrebbero mandato a monte il piano, arrivammo dinanzi all'imponente Hotel dove Stefan fermò la macchina, facendo il giro e porgendomi la mano per scendere, lasciando poi le chiavi e una mancia sostanziosa al valletto che avrebbe parcheggiato l'auto. Ci avviammo verso l'ingresso, dove trovammo Hannibal vestito in modo altrettanto elegante ad aspettarci, che non appena ci vide ci corse in contro con un sorriso stampato in faccia

 

"Mio caro Harriet! Amelia! Che piacere immenso vedervi"

 

Diede una stretta di mano con una pacca a Stefan, per poi afferrare la mia mano e lasciarvi un bacio, procurandomi un sorriso forzato

 

"Stesso piacere per me, Walter"

 

Stefan lo liquidò, trascinandomi con lui verso l'ingresso e dando i nostri documenti e inviti ai due buttafuori, che subito dopo ci lasciarono entrare aprendoci le porte. 

 

La sala era maestosa ed elegante, camerieri vestiti in bianco la percorrevano trasportando vassoi dorati con calici di cristallo pieni di champagne, i lampadari che pendevano dal soffitto alto erano drappeggiati da gocce vetrate che facevano riflettere la luce sul pavimento marmoreo e sulle pareti affrescate da dipinti di scene rurali. Probabilmente il costo del banchetto stesso sarebbe bastato per sfamare lintera popolazione dell'Africa, evitando a tutti questa falsa composta da gente interessata solo ai propri profitti e affari, infatti quale modo migliore per portarli avanti se non in un evento ricco di gente pronta ad investire e sperperare le proprio fortune?

 

Stefan mi riportò alla realtà, sussurrandomi all'orecchio

 

"L'obiettivo è davanti a noi. Sii naturale e cerca di farti notare, ma sta attenta, ti prego"

 

Poi diede un leggero bacio sulla mia guancia, facendomi sorridere e immaginare per un momento solo quanto mi sarebbe piaciuto essere davvero quella coppia felice e spensierata che stavamo mostrando, senza alle spalle il passato oscuro di Stef e uno Zayn dal grilletto facile.

 

Afferrammo due calici, posizionandoci di fronte l'obiettivo e iniziando a parlare, cercando di attirare la sua attenzione, cosa che avvenne poco tempo dopo. L'uomo incuriosito, non avendoci mai visto e non potendosi fare sfuggire l'occasione di non conoscere un altro milionario pronto a spendere il suo patrimonio, si avvicinò, richiamando l'attenzione con un colpetto di tosse

 

"Buona sera signori e signora. Spero che la vostra serata sia di vostro gradimento"

 

Ebbi l'occasione di guardarlo da vicino, notando i suoi lineamenti duri e il suo viso ricoperto da qualche ruga, sarebbe stato anche un bell'uomo se non fosse stato per la carnagione decisamente troppo abbronzata, dovuta ad una lampada di troppo, e ai capelli biondo ossigenati, che possibilmente lo invecchiavano anche più del dovuto. 

 

Mi sforzai di sorridere, sbattendo le ciglia lunghe e accettando la mano offerta da questo, che prontamente la strinse con entrambe le sue, mantenendo un contatto visivo e lasciandovi un bacio, al quale reagii non tirandogli una sberla, come mi sarebbe piaciuto, ma piuttosto ridacchiando e sorridendogli in modo il più ammaliante possibile. Cosa che fece stringere la presa di Stefan al mio fianco 

 

"Oh, lei deve essere il Signor Straswosky"

 

Si intromise Stefan, spostando l'attenzione su di sé

 

"Proprio io in persona. E voi siete? Scuso la mia scortesia, ma non credo di esserci mai incontrati e di sicuro una donna come lei non sarebbe sfuggita dalla mia mente"

 

Risi alla sua battuta che di divertente non aveva proprio un bel niente

 

"Ha ragione, infatti. Harriet Gherish, molto piacere. Questa è la mia compagnia, Amelia Fredrich, e il mio collega in affari Walter Dominic"

 

L'uomo strinse la mano anche ad Hannibal, spostando poi di nuovo l'attenzione su di me

 

"Com'è che una signora come lei non è mai stata presente a nessuno dei miei eventi? Forse non sono abbastanza sofisticati?"

 

Mi sforzai di sorridere. Che uomo avrebbe flertato così apertamente nonostante il proprio compagno accanto? Stefan mi aveva appena definito la sua fidanzata e per lui era come se questa piccola informazione fosse totalmente sfuggita

 

"Non dica sciocchezze! Purtroppo noi abitiamo in America, siamo qui solo di passaggio per un affare di Harriet, non è vero caro?"

 

Almeno aver viaggiato così tanto diede i suoi frutti per cercare di emulare la cadenza americana. Stefan annuì, sfoderando un sorriso

 

"È proprio così, mia cara. Certo, ancora niente di certo, ma detto tra noi, mio caro Leinen, posso chiamarla così, no?"

 

"Come io posso chiamare voi Harriet e Amelia, certamente. La cosa rimarrà tra noi, prego mi dica pure"

 

"Qui si parla di miliardi di profitto, mio caro. Talmente tanti soldi da poterci vivere almeno cento vite nel miglior modo possibile e comunque non finirli"

 

Sussurrò, come se fosse una confidenza. 

 

Mi venne quasi da ridere nell'immaginare Stefan come l'uomo imprenditore e scherzoso che si stava dimostrando

 

"Però, certo che lei ha proprio occhio per i suoi affari. E mi dica, è per caso il qui presente Walter a saperle consigliare così bene?"

 

Era il mio momento di conquistarlo definitivamente, così prima che Stefan potesse solo aprire bocca parlai 

 

"No mio caro Leinen. Mio padre ha avuto l'accortezza di instradarmi verso il mondo degli investimenti fin da bambina, essendo l'unica figlia"

 

Leinen, evidentemente stupito, mi guardò con aria adorante

 

"Oltre ad essere una splendida donna ha anche un ottimo naso per gli affari. Se l'è scelta proprio bene, Harriet. Non se la lasci scappare, una donna come lei non si trova facilmente"

 

"No, infatti. Lei è la donna che chiunque vorrebbe accanto"

 

Quelle parole sembravano quasi essere vere, dette con un significato più profondo e celato

 

"Le dispiace se allora chiedessi alla nostra splendida Amelia qualche consiglio su un investimento che vorrei svolgere?"

 

Centro.

 

"Ma certo che no, Harriet sa bene quanto sia importante un parere esterno"

 

Afferrai il braccio porto dall'uomo, baciando la guancia di Stefan sussurrandogli

 

"Venti minuti da quando entrerò in quell'ascensore"

 

Lui annuì, sembrando comunque riluttante dal lasciarmi andare, infatti anche se ci allontanammo potei sentire il suo sguardo bruciare sulla mia schiena. 

 

"Le dispiace andare in un luogo più appartato? Non amo parlare di affari in pubblico"

 

"Certo che no, mi faccia strada. Qui c'è decisamente troppa confusione"

 

Gli sorrisi in modo lasciva, e lui ricambiò, portando una mano sulla schiena, spingendomi verso l'ascensore ed entrandovi. Arrivando al piano due guardie subito lo accolsero con un "Buona sera"

 

"Mia cara, spero che non le dispiaccia aprire la borsetta. Sa com'è... la sicurezza non è mai abbastanza di questi tempi"

 

Gli sorrisi, aprendo la borsetta e lasciando che la controllassero, per poi richiuderla e seguirlo verso una porta bianca decorata con degli intarsi in legno, che aprì per lasciarmi entrare, mostrando un ingresso e subito dopo una stanza rettangolare con tre divani posti davanti un caminetto sormontato da una televisione, dietro di questi due librerie interrotte da due porte, dove probabilmente vi erano il bagno e la stanza da letto. Iniziai subito ad inquadrare i punti in cui inserire le microspie, trovandone subito tre perfetti e cercandone altri due per le cinque cimici. 

 

"Prego mia cara, si accomodi pure"

 

Presi posto sul divano laterale, trovando un altro punto. 

 

L'uomo si sedette di fianco a me

 

"Mi dica, è sempre stata portata per gli affari?"

 

Io ridacchiai

 

"Mi dica lei. Se Harriet è dove è adesso, è solo grazie a me"

 

Lui ghignò

 

"Allora mi dica cosa posso fare per farla passare dalla mia parte? Mi servirebbe proprio una consigliera così... dotata"

 

Disse leccandosi le labbra e puntando gli occhi sulla mia scollatura. Maiale

 

"E poi non credo che Harriet sia alla sua stessa altezza, non per essere offensivo"

 

Stronzo e testa di cazzo

 

"No, non lo è difatti. Ma io non parlo di affari se non davanti un buon Bourbon"

 

Lui rise di gusto

 

"Che donna... arrivo subito"

 

Si allontanò recandosi nella sua stanza, socchiudendo la porta e lasciandomi il tempo di sfilare dalla giarrettiera le cimici e dirigermi verso la televisione, posizionandone una il più nascosta possibile, poi un'altra tra le pietroline decorative di una pianta posta allangolo, ringraziando mentalmente il fatto che fosse finta, un'altra dietro dei libri che sembravano non essere stati toccati da secoli, per come erano puliti solo sulle copertine, un'altra ancora su un quadro, e quando stavo cercando il posto per l'ultima l'uomo uscì dalla stanza con due bicchieri di cristallo in mano, e io nascosi la cimice nella mano, stringendola e portando le braccia sulla schiena

 

"Le piace?"

 

Chiese riferendosi al quadro davanti cui mi trovavo

 

"Trovo l'arte ottocentesca interessante, ma se devo essere onesta preferisco il settecento"

 

Lui annuì, per poi farmi cenno di sedermi e porgendomi un bicchiere. Guardai l'orologio appeso al muro, notando che mancassero a malapena due minuti. Cazzo 

 

"Quindi oltre di economia, si intende anche di arte. Una donna dalle mille qualità"

 

Io risi

 

"Mio padre ha sempre pensato che riempirmi la testa di informazioni mi avrebbe giovato, e così è stato. Se non fosse stato per lui di sicuro non avrei-"

 

Il mio discorso venne interrotto dallo squillare del suo cellulare 

 

"Scusami mia cara, i miei uomini sanno che se non è una questione vitale non devono disturbare. Torno subito"

 

Così si alzò, richiudendosi nella stanza dove era scomparso poco prima, dandomi il tempo di nascondere l'ultima cimice nel telaio del divano. 

 

La porta si aprì poco dopo

 

"Mia cara, la conversazione dovrà finire in un altro momento. La mia presenza è richiesta di sotto"

 

Scattai in piedi, ringraziando che tutto sembrava essere filato per il verso giusto

 

"Oh, certo lo capisco"

 

Uscimmo dalla stanza, scendendo e ritornando nella hall, trovando subito lo sguardo preoccupato di Stefan, che non appena incontrò il mio si rilassò, per poi riguardarmi con ansia. Per fortuna luomo mi liquidò, scusandosi, permettendomi così di correre da Stefan che subito mi attirò tra le sue braccia

 

"Non avevi detto che saresti stata sola a casa per le prossime due settimane?"

 

Mi accigliai

 

"Si, perché?"

 

"Girati"

 

Mi sussurrò, indicandomi con il mento l'uomo che ora stava dando forti pacche sulla schiena di Leinen e gli sorrideva, come si farebbe con un amico di vecchia data.

 

"Cosa ci fa mio padre qui?"

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


“Stefan, non capisco… mio padre doveva essere via per le prossime due settimane. Perché tornare senza avvertire?”

 

Gli occhi del ragazzo erano fermi sui due uomini che sembravano troppo in confidenza, troppo in confidenza per un uomo che era un criminale e mio padre che lavorava per il governo. Poi un dubbio si insinuò nella mia testa, mi colpì così forte quasi da farmi girare la testa. Se tutto questo non era una semplice e pura coincidenza? Se ci fosse qualcosa altra cosa che mio padre mi teneva nascosta?

 

“Andiamo via”

 

Sussurrai a Stefan, scuotendogli il braccio e risvegliandolo dai suoi pensieri. Il suo cipiglio rimase fermo sul suo bel viso, chissà se pensava la mia stessa cosa…

 

“Hannibal, abbiamo terminato qui. Noi andiamo”

 

Disse al ragazzo, che annuì, guardandoci con un sopracciglio alzato, probabilmente accorgendosi che qualcosa non andava.

 

“Da questa parte”

 

Mi fece strada Stefan, portando una mano sulla parte bassa della schiena, e cercando di farsi strada verso un’uscita senza farci notare da mio padre, non potendo usare la principale perché troppo esposta.

Ci addentrammo all’interno della cucina, facendo slalom tra i camerieri che uscivano trasportando vassoi e ignorando i rimproveri dei cuochi. Raggiungemmo un’uscita secondaria, ritrovandoci su un vicolo secondario, su cui lati vi erano cassonetti della spazzatura e una puzza di marcio aleggiava nell’aria. Stefan si sporse sulla strada principale, aspettando il via libera per uscire e recuperare le chiavi dal valletto, praticamente prendendolo a parole per andare lui stesso a prendere la macchina, finendo quasi per mollargli un pugno considerata l’insistenza del ragazzo che stava solo facendo il suo lavoro.

Entrati nel parcheggio non impiegammo molto ad individuare la macchina ed entrati Stef iniziò a sfrecciare per le strade della città.

 

“Dobbiamo andare a casa mia”

 

Lui annuì, continuando a stare in silenzio. Dopo qualche minuto lo richiamai

 

“Stef?”

 

Lui mugugnò

 

“T-tu conosci i membri del Diamante Grezzo?”
 

Domandai incerta, sperando che lui potesse negare tutti i pensieri che mi si stavano formando in mente. Magari erano davvero tutte coincidenze, insomma, eravamo benestanti e mio padre poteva aver pensato che quella fosse solo una serata di beneficenza, no?

Ma perché non avvertirmi? C’era qualcosa che non tornava in questa storia.

Lui si accigliò, stringendo il volante fino a farsi diventare le nocche bianche

 

“Sophie cosa vuoi sapere veramente?”

 

Io abbassai lo sguardo, iniziando a giocare con il tessuto del vestito, cercando le parole adatte per dare vita ai miei pensieri

 

“I-io… insomma. Non è che mio padre…?”

 

Lui mi guardò con la coda dell’occhio, tirando un sospiro

 

“Nessuno ne conosce l’identità. Nessuno sa chi siano ne tanto meno quanti. Ho scoperto di quest’organizzazione solo da pochi mesi, da quando hanno iniziato a mandare a monte le nostre operazioni. È come se fossero comparsi dal nulla, nessuno sapeva di loro eppure hanno sempre agito nel silenzio, sotto il nome di varie organizzazioni. È da qualche mese dopo che Straswosky è diventato un nostro cliente che le operazioni vanno storte, per questo lui è il primo sospettato. Avevamo pensato ad una talpa, hanno persino indagato su di me… ma non hanno trovato niente”

 

“Quindi mio padre...”

 

“… potrebbe farne parte per quel che sappiamo”

 

Presi un respiro profondo, dovevo indagare a fondo

 

“Dobbiamo entrare nel suo studio, se nasconde qualcosa lì troveremo sicuro le risposte”
 

Affermai sicura, lui mi guardò con sguardo incerto e preoccupato

 

“Ne sei sicura? Magari sono solo coincidenze…”

 

“Si Stefan, io devo sapere con chi ho a che fare. Devo sapere se mio padre è coinvolto o no. Lo farò con o senza il tuo aiuto”

 

Lui annuì

 

“Va bene, ti aiuterò ma ad una condizione”

 

“Quale?”

 

“Qualsiasi cosa verremo a scoprire voglio che tu non ti metta ancora più nei guai. Se tuo padre è davvero coinvolto ti metterai da parte e lascerai gestire la situazione a me. È gente pericolosa, più pericolosa di Zayn e mio padre, non voglio che tu ti faccia male”

 

“Cosa mi stai chiedendo di preciso”

 

Lui prese un respiro profondo

 

“Quel passaporto non è l’unico documento falso che ho. Se la situazione dovesse complicarsi tu prenderai il documento e sparirai dal paese, andando in un posto che conoscerai solo tu e nessun altro. Neanche io. È chiaro Sophie? Me lo devi promettere”
 

Nel mentre arrivammo di fronte casa e Stefan fermò la macchina dinanzi il cancello. Mi girai a guardarlo con la fronte corrucciata

 

“Vuoi dire che dovrò sparire, da sola? Che dovrò lasciare mio padre, a prescindere dal suo coinvolgimento? Te?”

 

Lui mi guardò, prendendomi le mani nelle sue

 

“Me lo devi giurare. Non posso stare sapendo che corri pericolo ogni giorno della tua vita, pure a casa tua! Con Zayn posso gestirla, ma con tuo padre… con lui è un discorso diverso. Non sappiamo con chi abbiamo a che fare e non lo voglio scoprire, non mettendoti in pericolo. Ti prego, Sophie. Fidati di me e giuramelo. Giurami che se tuo padre fa parte del Diamante Grezzo tu farai i bagagli e te ne andrai senza voltarti indietro, né per me né per nessun altro. Quando le cose si sistemeranno ti giuro che ti troverò, ma non prima di allora”
 

“Stef...”
 

Mi interruppe prima ancora di farmi finire la frase

 

“Promettilo, per favore”
 

“Lo prometto. Ma a patto che tu verrai via con me, ricominciamo insieme, allontaniamoci da tutta questa merda. Vieni via con me”

 

Lui stette in silenzio, riflettendo sulla mia proposta, guardandomi negli occhi e notando la mia determinazione. Non mi importava niente, senza di lui non sarei andata da nessuna parte, e questo lo sapeva infatti lentamente annuì

 

“Va bene. Verrò via con te”

 

Lo guardai negli occhi, volendo vedere in quello sguardo insicuro una promessa

 

“Andiamo”
 

Annuii, scendendo dalla macchina e aprendo il cancello di casa, seguita da Stefan. Entrammo in casa e mi levai le scarpe, per poi dirigermi verso lo studio di mio padre e abbassando la maniglia

 

“Stefan… è chiuso a chiave e mio padre se la sarà portata dietro come al suo solito”
 

“Fammi vedere”

 

Disse, prendendomi per i fianchi per spostarmi, e chinandosi per guardare la serratura

 

“Posso aprirla”

 

Lo guardai con un sopracciglio alzato, mentre il ragazzo si frugava nelle tasche, estraendo un astuccio contenente vari attrezzi dalle sottili dimensioni. Ne scelse due, iniziando a lavorare la serratura, fino a quando dopo qualche secondo non si senti un “click”, segnale che la porta si era sbloccata

 

“Come...”

 

Lui mi guardò con un sorrisetto

 

“Le mie mani sono capaci di tante magie, piccola”
 

Roteai gli occhi, dandogli un colpetto sul braccio, per poi abbassare la maniglia ed entrare nella stanza, accendendo la luce. Non appena feci un passo un “bip” fastidioso iniziò ad echeggiare nella stanza, accompagnato da una luce rossa lampeggiante

 

“Merda. Tuo padre proprio non vuole intrusi… L’allarme suonerà tra 47 secondi esatti. Qualche idea per la password? Quattro numeri ed una lettera”


Mi portai due dita alle tempie, spolverando nei ricordi per poi avere un’illuminazione

 

“Ci sono! Prova 0410C”

 

“Ne sei sicura? Abbiamo solo una possibilità”

 

“Si, Stef, ne sono sicura”

 

Lui sospirò, premendo i pulsanti. La luce iniziò a lampeggiare più velocemente per poi spegnersi, e lui tirò un sospiro di sollievo

 

“Come facevi ad esserne certa?”

 

Io scrollai le spalle

 

“Non lo sapevo, sono andata ad intuito. È… era la data del compleanno di mia mamma e la C era la sua iniziale. Mio padre è sempre stato un sentimentale e ricordo che questa era la password per il vecchio allarme, nella casa di Tokyo”

 

Lui annuì, guardandomi con tristezza

 

“Vediamo se troviamo qualcosa sul computer”
 

Suggerii, riprendendomi dai pensieri tristi. Lui scosse la testa

 

“Se sono furbi non avranno niente in digitale, troppo rischio di essere hackerati. Una cassaforte magari?”

 

Io mi acciglia, guardandomi intorno

 

“Non ricordo di cassaforti in questa stanza...”
 

“Cerchiamo. Sarà nascosta da qualche parte”

 

Iniziammo a guardare in giro nella stanza, spostando tutti i quadri e oggetti possibili ma non trovando niente. Mi sedetti sulla grossa poltrona dietro la scrivania

 

“Qui non c’è niente… è già mezz’ora che cerchiamo. Sei sicuro del computer?”

 

Stefan si sedette di fronte me, con sguardo pensieroso

 

“Si… avremmo trovato qualcosa nel web ma non c’è assolutamente niente. L’unica spiegazione è che tengono tutti gli affari su carta, in modo da non poter essere tracciati”

 

Annuii, tirando un respiro di sollievo. Magari mio padre non c’entrava niente

 

“Andiamo, tuo padre non nasconde niente”
 

Io annuii, alzandomi e poggiandomi sul bordo della scrivania. Mi accigliai, sentendo qualcosa sotto il palmo: gli intagli della scrivania

 

“Aspetta! Forse c’è un posto in cui non abbiamo controllato”
 

Richiamai Stefan che era uscito dalla stanza

 

“Forse ho visto troppi film, ma vale la pena tentare...”

 

Mi chinai, osservando meglio i decori della scrivania, tracciandoli con il dito, notandone uno che era leggermente diverso dagli altri e anche più rientrato; vi passai il dito applicando un po' più di forza e un rumore provenne dalla libreria, che con un cigolio si aprì come se fosse stata una portando

 

“Non ci posso credere...”

 

Sussurrai, avvicinandomi. Mi sentivo ufficialmente in un film

 

“Sophie! L’hai trovata!”

 

Si avvicinò anche Stefan, studiando la cassaforte grigia appesa sul muro

 

“Puoi aprirla?”
 

Lui scosse la testa, sospirando

 

“No… è una degli ultimi modelli. Impossibile da scassinare. Dobbiamo scoprire la password…”
 

Scossi la testa, portandomi la mano sotto il mento e cercando di riflettere

 

“La mai data di compleanno!”
 

Stefan scosse la testa

 

“Troppo semplice… è qualcosa che tutti potrebbero sapere. Pensa Sophie… deve essere qualcosa di cui solo poche persone ne sono a conoscenza, qualcosa che magari accomuna te e lui”

 

Gemma.

 

“Gemma, lui chiama sempre gemma”

 

Scosse di nuovo la testa

 

“Servono numeri… però. Cazzo si, ci sono”

 

Digitò velocemente dei numeri e la cassaforte si aprì. Lui si girò guardandomi con un sorrisetto furbo

 

“7511111”

 

Lo guardai accigliato

 

“Cosa dovrebbero dirmi questi numeri?”
 

“Sono i numeri corrispondenti alle lettera della parola. La lettera G è settima nell’alfabeto, la E è la quinta, M undicesima e la A è la prima”

 

Lo guardai sorridendo, e avvicinandomi per dargli un bacio sulle labbra

 

“Bravo il mio genio”

 

Lui ghignò, dandomi un altro bacio a stampo per poi guardare nella cassaforte, tirandone fuori una cartella piena nera e poggiandola sulla scrivania

 

“Puoi ancora tirarti indietro. Quando aprirò questa cartella ogni cosa che sapevi su tuo padre potrebbe cambiare...”

 

Io annuii

 

“Fallo. Devo sapere”

 

Tirò un sospiro, per poi aprire il contenitore iniziando a studiare con la fronte accigliata i fogli. Mi avvicinai, guardando anch’io e leggendo cifre, descrizioni di persone, cose sul governo

 

“Tuo padre non è un membro dell’organizzazione”

 

Mi accigliai, non capendo la connessione tra tutti quei fogli che sembravano suggerire il contrario, ma poi continuò a parlare e il mondo si sgretolò sotto di me. Ogni piccola cosa che sapevo su mio padre era stata inventata di sana pianta.

 

“Tuo padre è un agente sotto copertura dei “Servizi Segreti Italiani”

 

“Cosa?”

 

Mi sedetti, portandomi le mani sulla testa. Almeno non faceva parte di qualche organizzazione di delinquenti...

Ora mi spiegavo molte cose: perché ci spostavamo in continuazione, perché non voleva che camminassi da sola, perché non approvava la mia relazione con Stefan. Perché ci eravamo trasferiti esattamente nella casa accanto alla sua

 

“Mio padre sta tenendo d’occhio tuo padre, non è così?”

 

Stefan annuì

 

“Il Diamante Grezzo non è un’organizzazione, o meglio lo è. Sono agenti dei Servizi Segreti che smantellano le cellule terroristiche e a delinquere, infiltrandosi e non lasciando tracce. Ecco perché vi spostavate di continuo Sophie… Ecco perché fra tutte le casualità, tuo padre ha comprato la casa esattamente di fianco la mia”

 

Sospirai, portandomi le mani sulle tempie sfregandole

 

“Cazzo...”

 

Lo sentii sussurrare. Alzai lo sguardo su di lui, accigliandomi. Stava fissando con gli occhi sbarrati un foglio

 

“Stef cosa? Che altro c’è?”

 

Lui alzò lo sguardo su di me lentamente, deglutendo

 

“Sophie… forse è meglio che...”
 

Lo interruppi, alzandomi

 

“Dimmelo Stefan”
 

Lui scosse la testa, passandomi il foglio che teneva in mano. Mi acciglia prendendolo e leggendo. Era un certificato di nascita, il mio certificato di nascita. Ma il mio cognome non era Fiore, e il nome di mio padre non era Elia

 

“Chi diavolo è Cesare Moretti!?”

 

 

 

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NON ODIATEMI

Spero che l’attesa sia valsa la pena… la vicenda si complica e si vengono a scoprire sempre nuovi dettagli… povera Sophie.

Fatemi sapere se la storia vi sta piacendo!

XXX

-R

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Cesare Moretti. Cesare Moretti. Cesare Moretti

Questo nome continuava a ripetersi nella mia testa senza sosta.

Mio padre non era mio padre. Quella persona su cui avevo sempre contato, che mi aveva curato le ferite, che mi aveva asciugato le lacrime in realtà era uno sconosciuto.

Perché tenermi nascosto tutto? Perché non dirmi la mia storia e parlarmi di mio padre, del mio vero padre? E in più questa stessa persona che mi aveva tenuto all’oscuro di tutto era un agente segreto.

 

“Sophie?”

 

Stefan richiamò la mia attenzione, facendomi riportare il mio sguardo vuoto e confuso sul suo preoccupato. Strinsi tra le mani il mio certificato di nascita prendendo un respiro profondo e cercando di far smettere di girare tutte quelle informazioni

 

“Ho… ho bisogno di un po' d’aria, credo”

 

Stefan annuì, prendendo con cautela dalle mie mani quel foglio che aveva appena distrutto ogni mia certezza, per riporlo nella cartella e richiudendo la cassaforte, rimettendo tutto apposto

 

“Vieni”

 

Mi tese la mano, che io tremante afferrai, conducendomi fuori dallo studio e sul cortile con la piscina. Si tolse le scarpe, arrotolando i pantaloni fin sotto il ginocchio e si sedette, immergendo i piedi e facendomi segno di imitarlo. Slacciai i sandali, scalciandoli, e mi slacciai il vestito, troppo ingombrante e fastidioso per tenerlo ancora addosso. Entrai in acqua, sotto lo sguardo attento di Stefan, per poi infilarmi tra le sue gambe, poggiando le mani sulle sue cosce e alzando lo sguardo, incontrando il suo

 

“Ho bisogno di te”

 

Lui cercò nel mio sguardo segni di titubanza, ma trovò solo sicurezza. Avevo bisogno di lui, di sentirlo vicino, il più vicino possibile. Avevo bisogno delle sue attenzioni, del suo tocco delicato e allo stesso tempo deciso.

Avvicinai il mio volto al suo, facendo scontrare le nostre labbra in un tenero bacio. Portai le mani dietro la sua nuca, intimandolo ad entrare in acqua, cosa che fece in un secondo, avvolgendo subito le sue braccia intorno la mia schiena e stringendomi a se, mentre il bacio iniziava a farsi sempre più infuocato. Le mie mani corsero alle sue spalle, scendendo per il petto e iniziando a sbottonare velocemente la camicia, gettandola da qualche parte. Passai a i pantaloni, e tirando in giù la cerniera, passai la mano sopra la sua già pronta erezione procurandogli un gemito.

Le sue mani correvano dai miei capelli al mio sedere, stringendo ogni tanto pezzi di pelle o tirando ciocche di capelli, procurandomi sospiri affannati. La sua corsa si fermò sul gancio del reggiseno, slacciandolo con movimento veloce e facendogli fare la stessa fine di tutti gli altri vestiti. Quando le mie mani raggiunsero il bordo dei suoi boxer, lui afferrò le mie mani, invertendo le posizioni e alzandomi dal bacino, facendomi sedere sul bordo dalla piscina. Brividi e pelle d’oca si mischiarono alle mille sensazioni, mentre le sue mani si fermarono ai lati delle mie cosce iniziando la loro lenta corsa.

 

“Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata”
 

Sussurrò, guardandomi fisso negli occhi, e proprio in quelli io vi lessi quanto quello che provava per me fosse forte, e così semplicemente lo dissi, con un sorriso in faccia e gli occhi lucidi

 

“Ti amo”

 

Il sorriso nel suo viso si aprì ancora di più, fino a far comparire quelle due fossette di cui andavo matta

 

“Ti amo”

 

Le sue mani furono subito sul mio viso, avvicinandomi a baciandomi, mettendoci quanta più passione possibile, ed io ricambiai. Lì stretta tra le sue braccia ero la persona più felice e amata del mondo, non importava tutto quello che era successo perché mi aveva portato a lui. Lui era il mio porto sicuro, il mio rifugio, il mio protettore.

Uscì dall’acqua, sollevandosi sulle braccia, e tirandomi in piedi. Afferrò le mie cosce, sollevandomi con facilità, e come di riflesso le mie gambe gli avvolsero il bacino e le mie braccia il suo collo. Iniziò a camminare, distendendomi sul lettino per il sole in cui tempo addietro mi aveva spalmato la crema. Sembravano passati secoli da quel giorno ed erano accadute così tante cose… non avrei mai pensato che alla fine mi sarei innamorata proprio di lui.

Si stese su di me, sostenendosi su un avambraccio mentre con l’altra mano mi accarezzava il viso, portando le ciocche ribelle dietro le orecchie

 

“Sei così bella, così fottutamente perfetta...”

 

Gli sorrisi, arrossendo leggermente sotto il suo sguardo attento. I suoi occhi vagavano sul mio viso come a voler studiare ogni mio dettaglio, ogni mia imperfezione, per imprimersela nella mente in modo permanente.

Portai le mani sulle sue guance, tirandolo verso di me e baciandolo. Il fuoco presto si riaccese di nuovo e le sue mani non persero tempo a posizionarsi sui lati dei miei slip, agganciandoli e tirandoli con una lentezza agognante verso il basso, lasciandomi interamente nuda sotto di lui

 

“Stupenda”
 

Sussurrò, baciandomi la punta del naso, per poi scendere verso le clavicole. Lasciò baci languidi su ogni parte del mio corpo, alternandoli a complimenti e frasi pieni di adorazione. Mi sentivo come se fossi una dea, un oggetto prezioso a cui dedicare tutte le cure possibili.

Quando la sua lingua incontrò il mio ombelico, iniziando a giocare con il mio piercing mi lasciai sfuggire un gemito profondo, inarcando la schiena, e lui sorrise sulla mia pelle, continuando la sua discesa verso il basso, ma prima di arrivare a destinazione lo fermai

 

“Non oggi. Ho bisogno di te, niente giochetti. Voglio te, ora”

 

Vidi i suoi occhi incupirsi ancora di più e le sue pupille dilatarsi.

Avvolsi le gambe intorno al suo bacino, facendo forza con i talloni per avvicinarlo e facendo scontrare le nostre parti più intime, procurando ad entrambi gemiti.

Una mia mano scese verso il basso, fino a raggiungere la sua erezione e afferrandola, procurandogli un mugolio di sollievo. La pompai lentamente, per poi condurla verso la mia entrata, lasciandogli sentire l’effetto che aveva su di me. E con una spinta mi fu dentro; strinsi gli occhi per il bruciore che nel mentre si era propagato sul basso ventre, mentre lui stava immobile dentro di me, lasciandomi abituare alla sua lunghezza. Quando quello iniziò ad attenuarsi, alzai il bacino, procurandogli un gemito strozzato

 

“Ti prego...”

Supplicai di muoversi e lui subito ubbidì ai miei ordini; con movimenti lenti e profondi iniziò ad affondare in me, lasciandomi estasiata e senza fiato.

Le mie mani correvano lungo la sua schiena muscolosa, graffiandola e accarezzandola con i polpastrelli, sentendo ogni tanto dove la pelle era stata deturpata da cicatrici; una delle sue corse sulla mia coscia, afferrandola, mentre l’altra sosteneva tutto il suo peso.

 

“Cazzo Sophie…”
 

Mugugnò nel mio orecchio, mordendo la pelle del mio collo. Iniziò ad aumentare le spinte, procurandomi gemiti e brividi di piacere lungo tutto il mio corpo.

Si sollevò, mettendosi in ginocchio e afferrando entrambe le mie cosce, continuando con quelle spinte così forti e profonde che mi facevano tremare il corpo.

Aprii gli occhi, vendendo come mi guardava estasiato, con la bocca leggermente aperta e gli occhi pieni di lussuria.

La luna illuminava i nostri corpi, facendo brillare le gocce di acqua mischiate ormai al sudore, e i nostri gemiti vibravano nell’aria.

Una spinta prese una parte del mio corpo che mi fece incurvare la schiena e gemere il suo nome, procurandogli un sorriso. Continuò a stimolare quella mia parte, con spinte sempre più veloci, spingendomi sempre di più al limite

 

“Stefan!”
 

“Cazzo...”
 

Una delle sue mani si staccò dalla mia coscia, dove ero sicura sarebbero restate le impronte delle sue dita, raggiungendo il mio fascio di nervi e iniziando a stuzzicarlo, aggiungendo talmente tanto piacere da farmi girare gli occhi all’indietro

 

“S-sto… Stefan!”
 

“Vieni per me”

 

I movimenti del suo bacino e delle sue dita bastarono a mandarmi oltre il limite, facendo tremare tutto il mio corpo e gettare la testa all’indietro. Dopo qualche altra spinta anche lui si lasciò andare, gemendo il mio nome.

Si sdraiò accanto a me, avvolgendo le braccia intorno al mio bacino e tirandomi verso di lui, lasciandomi un bacio sotto l’orecchio

 

“Ti amo”

 

Mi continuò a sussurrare, mentre le sue mani mi accarezzavano e il suo corpo mi teneva al caldo. Piano piano la stanchezza prese il sopravvento e i miei occhi si chiusero, riuscendo a percepire solo un qualcosa di morbido avvolgermi e il suo respiro e battito regolari, che aiutarono solo a portarmi tra le braccia di Morfeo.

 

 

Strizzai gli occhi, cercando di tornare a dormire, ma quella luce fastidiosa continuava ad accecarmi. Mugolai infastidita, cercando di portare le braccia sui miei occhi, ma una risata soffocata mi fece svegliare ancora di più. Aprii lentamente gli occhi, sbattendo le palpebre più volte per abituarmi a quella luce accecante. Alzai lo sguardo, incontrando quello ancora assonnato di Stefan

 

“Buongiorno dormigliona”

 

Disse con un sorriso stampato su quelle labbra che amavo tanto baciare. I ricordi del giorno prima si fecero spazio nella mia testa e arrossii di colpo, cercando di coprirmi ancora di più con quella tovaglia posta come coperta, procurando una risata a Stef

 

“Ieri non mi sembravi così timida...”
 

Gli diedi un colpetto sul petto ma lui afferrò il mio polso, tirandomi e facendomi finire a cavalcioni su di lui. Arrossii ancora di più sentendo l’erezione mattutina, e procurandogli un’altra risata

 

“Posso avere il bacio del buongiorno?”

 

Gli sorrisi, chinandomi e baciandogli le labbra, lasciandolo con un sorriso soddisfatto

 

“Buongiorno”

 

Mugugnai con ancora la voce rauca e lui si morse il labbro

 

“Sei dannatamente sexy di prima mattina”
 

Roteai gli occhi

 

“Vado a farmi una doccia”

 

Dissi alzandomi dal suo bacino, portandomi con me l’asciugamano e lasciandolo nudo. I nostri vestiti erano sparpagliati tra il bordo piscina e il prato mentre il mio reggiseno galleggiava indisturbato nell’acqua limpida della piscina.

Entrai in casa, andando verso il bagno e chiudendo la porta. Accesi l’acqua aspettando la giusta temperatura per poi fiondarmi dentro, lasciando che questa spazzasse via il trucco della sera precedente e tutta la stanchezza. Dopo poco sentii la porta chiudersi e il vetro del box doccia aprirsi, e Stefan entrare e avanzare, portando le mani sui miei fianchi

 

“Perché sprecare l’acqua?”

 

Scossi la testa ridacchiando per la sua scusa. Afferrò lo shampoo iniziando a strofinarlo sui miei capelli facendomi rilassare, per poi passare al bagnoschiuma, iniziando a massaggiare il mio collo, le spalle, fino a scendere sui seni, sulla pancia e più giù. In un attimo mi ritrovai con la schiena attaccata al muro della doccia

 

“Fammi finire quello che avevo cominciato”
 

Sussurrò in modo seducente nel mio orecchio, iniziando a lasciare baci languidi sul mio collo, mordendo e succhiando ogni tanto. Una sua mano strinse il mio seno, stuzzicando il capezzolo turgido mentre l’altra riprese la discesa verso il basso, fino ad arrivare in mezzo alle mie gambe

 

“Sempre così pronta per me”

 

Mi morsi il labbro per non farmi sfuggire un gemito, cosa inutile quando un suo dito percorse la mia entrata stuzzicandomi. In un attimo lui fu in ginocchio davanti a me, con un sorriso malizioso stampato in faccia. Mi afferrò una gamba, alzandola e portandola sulla sua spalla, per poi far scorrere la lingua lungo tutto la mia apertura. Le mie mani subito si intromisero fra i suoi capelli, tirandoli e facendolo gemere di conseguenza.

I movimenti della sua lingua e delle sue dita mi spinsero al limite nel giro di pochi minuti, ma questo non gli bastò: si alzò, girandomi e facendomi poggiare le mani sulla parete della doccia, e con una spinta mi fu di nuovo dentro. Ancora non ripresa dall’orgasmo precedente, le sue braccia sulla mia vita mi tenevano in piedi, mentre lui con spinte forti mi penetrava facendomi quasi urlare dal piacere. Una sua mano corse sul mio collo, stringendolo leggermente e facendomi inarcare la schiena, procurandogli un grugnito

 

“Non hai idea di quello che vorrei fare a questo corpo… ti vorrei prendere in tutte le posizioni possibili, ti vorrei fare urlare il mio nome fin quando tutta la tua voce se ne sarà andata, ti vorrei far venire tante volte da non farti più reggere in piedi”

 

Il famoso formicolio iniziò a farsi strada sul mio basso ventre e le mie gambe iniziare a tremare in modo incontrollabile

 

“Sento come stai per venire, sento le tue pareti stringersi contro di me”
 

Lasciai un mugolio, spalancando la bocca per il piacere così intenso

 

“Vieni, Sophie. Grida il mio nome”
 

E così feci. Venni urlando il suo nome, e lui mi raggiunse poco dopo, sussurrando il mio nel mio orecchio.

 

 

“Stefan?! Cosa vuoi mangiare per pranzo?”
 

Gridai dalla cucina, sperando che mi sentisse. Avevamo passato tutta la mattina abbracciati a letto, non facendoci sfiorare dalla realtà delle cose. Non avevamo parlato di tutto quello che era successo ieri sera, preferendo rimandare il più possibile e godendoci gli ultimi momenti di tranquillità. Momenti che sarebbero terminati proprio di lì a qualche minuto.

Sentii la porta dell’ingresso aprirsi

 

“Stefan?”
 

Chiamai ancora e sentii dei passi avvicinarsi, così alzai lo sguardo

 

“Ei, cosa vorresti mang-”

 

I miei occhi però non incontrarono quelli verdi smeraldo del ragazzo, ma piuttosto due occhi che ora sprizzavano rabbia da tutti i pori

 

“Piccola, sai benissimo cosa mi piacerebbe...”

 

Stefan si bloccò sulla porta della stanza non appena vide la schiena di mio padr-, di Elia

 

“Oh merda...”

 

Sussurrai

 

“Sophie, cosa cazzo ci fa questo… LUI qui? Non ne avevamo già discusso?!”

 

Abbassai lo sguardo, mordendomi il labbro e cercando di contenermi, perché sapevo benissimo che sarei scoppiata di lì a poco. Stefan percependolo si spostò accanto a me, poggiando una mano sul mio fianco

 

“Stai lontana da lei, ragazzo. Non ti voglio più vedere in casa mia”

 

Stefan strizzò il mio fianco, prima di lasciarmi un bacio sulla guancia, sussurrandomi all’orecchio

 

“Ti chiamo dopo”

 

E poi fece per andarsene

 

“Se provi di nuovo ad avvicinarti a lei farò in modo che qualcosa di brutto, molto brutto ti accada. Non ti conviene sfidarmi. Stai alla larga”

 

Alzai lo sguardo, non potendo più contenere quella rabbia che mi stava facendo formicolare le mani

 

“SMETTILA DI DARMI ORDINI! NON SEI NESSUNO PER POTERLO FARE!”

 

Stefan si bloccò sulla porta, girandosi e guardandomi scuotendo leggermente la testa, cercando di convincermi a non aprire una discussione, ma lo lasciai perdere.

Mio… Elia mi guardò sbalordito, non avevo mai alzato la voce con lui, ma ero stanca. Dovevo sapere la verità, tutta la verità. E la volevo sentire da lui

 

“Sofia Fiore. In camera tua, ora. E non uscire fin quando non sarai pronta a delle scuse sentite”

 

Sussurrò tra i denti, indicando con l’indice la porta. Ma io mi avvicinai a lui con i pugni stretti

 

“Non dirmi cosa devo fare. Non permetterti di dirmi cosa cazzo devo fare”

 

“NON TI HO CRESCIUTA COSÌ! MIA FIGLIA NON SI PERMETTEREBBE MAI DI RISPONDERMI IN QUESTO MODO. È la sua influenza che ti fa comportare così? Eh? Dimmi, chi diavolo sei tu?!”
 

Una risata amara lasciò la mia bocca, facendomi buttare la testa all’indietro, e lacrime di rabbia iniziarono a scendere dai miei occhi

 

“Infatti. Hai detto bene, io non sono tua figlia, non è così, papino? Oh meglio, Elia, sempre se è questo il tuo vero nome”

 

Mio padre rimase bloccato, non sapendo che dire

 

“Cosa stai dicendo… certo che sei mia-”
 

“NO! Non mentirmi ancora! Io lo so! So cosa mi hai, mi avete, tenuto nascosto per tutta la mia vita!”

 

Lacrime continuavano a scendere copiose dai miei occhi, e l’uomo fece per avvicinarsi, tendendo una mano e cercando di toccare il mio braccio, ma io lo ritrassi, come se il suo tocco potesse bruciarmi

 

“Per favore… se mi vuoi bene, ti sto supplicando. Spiegami perché mentirmi per tutti questi anni”
 

Mio padre si portò una mano tra i capelli, frustato

 

“E’ stato lui, non è vero? Cosa le hai detto per mettermela contro eh?!”
 

Disse rivolgendosi verso Stefan

 

“Non tirarlo in mezzo! Lui non c’entra un bel niente in questa storia! Non mi ha detto un bel niente per mettermi contro di te, siete stati tu e le tue bugie a farlo”

 

Mio padre scosse la testa

 

“Parlerò, ma lui se ne deve andare”
 

Scossi la testa

 

“Lui rimane esattamente dov’è, non sei tu a dettare le regole”

 

“Sophie, non puoi fidarti di lui… tu non sai! Non sai con chi ha a che fare!”
 

“Invece so perfettamente in cosa è immischiato, so tutto di Stefan e lui ha provato più volte di potermi fidare di lui, al contrario di te. Io non so chi sei!”
 

“Sophie… io sono tuo padre!”
 

“NO CHE NON LO SEI! Smettila di dirlo! Dimmi la verità! Chi è Cesare Moretti!? Per chi lavori!? Cos’è il Diamante Grezzo?! Dimostrami che posso fidarmi di te, ti prego...”
 

“Come fai a sapere-”
 

“Non importa come, l’importante è che ora so tutto”

 

Lui sospirò, arrendendosi

 

“Non qui, seguitemi”

 

Guardai Stefan, che mi fece cenno di seguire l’uomo. Aprì la porta dello studio, facendoci cenno di entrare e di accomodarci nelle due sedie. Lui si diresse verso la scrivania, premendo il pulsante nascosto e facendo aprire la libreria

 

“Come avete fatto a trovare la cassaforte?”

 

“Prima inizia tu. Raccontami tutto e non tralasciare niente”

 

Lui annuì, estraendo la cartella che mi aveva rovinato la vita ed estraendone delle foto, porgendomele

 

“Quello è tuo padre”
 

Mi accigliai, prendendo le foto ed osservando l’uomo su di esse: aveva i capelli castani e due occhi così scuri da mischiarsi quasi con la pupilla nera, la fronte corrucciata e le labbra sottili. Visto così non sembrava avere niente in comune con me, ma guardandolo meglio potei notare le somiglianze… come il naso, o la stessa forma degli occhi. Erano piccole cose, ma la somiglianza c’era.

 

“Non capisco… perché tenermelo nascosto? Cosa gli è successo?”

 

Mio padre prese un respiro profondo, sedendosi sulla poltrona dietro la scrivania

 

“Quello che vi dirò non deve uscire da questa stanza. Sei sicura di potermi fidare di lui?… non è chi credi che sia”

 

“So perfettamente per chi lavora e chi è suo padre. Gli affiderei la mia stessa vita, mi fido di lui”

 

Lui annuì, iniziando a parlare

 

“Amavo tua madre. L’ho sempre amata, dal primo momento in cui la vidi alle medie, con quelle sue treccine bionde e le lentiggini… era la bambina più bella che avessi mai visto”

 

Sorrisi, ricordandomi quante volte lui mi avesse raccontato quella storia

 

“Ma io non fui il primo amore di tua madre… eravamo un gruppo di tre bambini inseparabili, io, tua madre e… e Cesare. Lui era l’esatto opposto di me, così testardo e monello… era il terrore di tutti gli altri bambini e degli insegnanti”
 

Si lasciò andare in una risata, trasportato dai ricordi

 

“Solo con noi sembrava calmarsi e mostrarsi un bambino buono. Ci difendeva sempre dai bulletti della classe, soprattutto tua madre. La aiutò tanto, sai? E lei se ne innamorò, perdutamente. Crescendo acquistava sempre più il fascino del cattivo e misterioso ragazzo, sempre immischiato in guai. E fu questo che le fece totalmente perdere la testa per lui. Cristina era come te, la classica figlia modello, voti perfetti e un curriculum impeccabile, gentile con tutti e talmente buona da poter credere… da poter credere di poterlo cambiare. Ma è qui che si sbagliava… i cattivi ragazzi non cambiano, Sophie. Io non voglio che tu commetta il suo stesso errore…”
 

Disse guardando Stefan

 

“Cesare iniziò ad avere brutte influenze, si infilò in un gruppo di teppisti… cercando di trascinare anche me, all’insaputa di tua madre. Iniziò da piccole cose, come piccoli furterelli, per poi passare a cose ben più gravi. Fino ad arrivare all’omicidio. Tua madre non ne sapeva niente, vedeva solo la facciata di Cesare e nient’altro, e anche se io cercavo di convincerla ad allontanarsi lei non mi credette. Nel mentre io entrai nei Servizi Segreti e Cesare invece in una delle bande più ricercate d’Italia, e così perdemmo le nostre tracce per qualche tempo, anche se tenevo sotto controllo Cristina, non riuscendo a lasciarla andare. Non avevo il coraggio di denunciarlo, non fin quando Cristina sarebbe stata al sicuro. Lui la trattava bene, non le faceva mancare niente… ma poi la situazione cambiò. Lei rimase incinta, di te. Sophie venne da me, dandomi la notizia. Era così felice… anche se era ancora giovane lei era la persona più felice del mondo. Ed in quel momento realizzai che non volevo che una vita innocente fosse immischiata in tutto quello, in pericolo. Provai a convincere tua madre a lasciarlo, le raccontai di tutto quello in cui era coinvolto, di tutto ciò che aveva fatto, ma lei non mi credette. Sapeva che io ero innamorata di lei e sapeva che ero disposto a tutto pur di averla. Così se ne andò e io persi le sue tracce fin quando non nascesti tu. Avevi solo un mese quando tua madre si presentò alla mia porta in lacrime: mentre tu dormivi una banda avversaria a quella di Cesare aveva fatto irruzione in casa, minacciando la tua vita. Lui riuscì a fermarli, ma non a fermare tua madre, che si rese conto che tutti i miei racconti erano veri e scappò di casa”

 

Le lacrime avevano preso a scendere sulle mie guance e Stefan mi strinse la mano, cercando di confortarmi

 

“Così escogitammo un piano. Tuo padre era una persona vendicativa, estremamente vendicativa, e non avrebbe rinunciato così facilmente a te e tua madre. Scappammo quella stessa sera, io sposai Cristina in segreto e tu prendesti il mio cognome, o meglio il mio finto cognome. Io assunsi una nuova identità, Elia Fiore, per non farci trovare da Cesare, e scappammo dal paese, facendo perdere le nostre tracce. Tu eri troppo piccola per ricordarti di tutto questo, eri ancora un neonato… restammo nascosti fin quando… fin quando tua madre non morì. I Servizi Segreti erano a conoscenza di tutto ora mai, e cercarono di portarti via da me, ma non glielo permisi. Ma questo ebbe un costo: avrei dovuto entrare a far parte di questa organizzazione… il Diamante Grezzo. Ci occupavamo di smantellare le organizzazioni terroristiche e malavitose dall’interno, lavorando in prima fila. Ecco perché eravamo costretti a viaggiare ogni anno, sotto copertura di Ambasciatore Italiano e sua figlia, in modo da non avere mai troppi problemi con controlli e altro… nel mentre continuai a cercare Cesare, non trovandolo fino a qualche mese fa. Con la scusa di Aron, venimmo qui. Io e tuo padre ci conosciamo da anni. Venne qualche anno barattando delle informazioni, informazioni che ci aiutarono a smantellare cinque cellule terroristiche pronte ad attaccare cinque paesi diversi, scatenando una guerra mondiale. In cambio di quelle però lui avrebbe continuato a lavorare indisturbato, non più perseguitato dallo Stato Italiano. O almeno fin quando non avrebbe intralciato il nostro cammino. I Servizi Segreti se ne sono pentiti e vogliono ritirare il patto, ecco perché ci siamo trasferiti accanto alla sua villa, volevano che io lo tenessi d’occhio e che provassi a conquistare la sua fiducia. Lui non sa il motivo del mio ritorno, non sa che ha i Servizi Segreti alle calcagne, ma sospetta qualcosa. Con il Diamante Grezzo riuscimmo a trovare un contatto...”

 

“Straswosky...”
 

Sussurrai io, e mio padre si accigliò

 

“Si… come lo sai?”

 

Scossi la testardo

 

“Prima finisci”
 

Lui mi guardò non convinto, ma ricominciò a parlare

 

“Riuscimmo ad estorcere informazioni da Straswosky, informazioni utili per incastrare la banda di Aron, ma non abbastanza. Avevamo bisogno di coglierli sul fatto, ma lui non è stupido, così come non lo è Aron. Straswosky ci dava sempre informazioni incomplete, senza i dettagli fondamentali, e Aron non lavora mai in prima persona, delegando i suoi schiavetti”

 

“Che fine ha fatto Cesare?”

 

“Lo stiamo ancora cercando. Ma crediamo che sia coinvolto con Aron, se giochiamo bene le carte riusciremo a prendere due piccioni con una fava”
 

Io annuii, cercando di metabolizzare tutte le informazioni; abbassai lo sguardo, portando le mani sulle tempie, sfregandole, ma un rumore di un click mi fece alzare gli occhi. Elia aveva una pistola puntata contro Stefan

 

“Mi dispiace, ma non posso permettere che tu vada a riferire tutto a tuo padre”

 

Mi alzai di scatto, parandomi davanti Stef

 

“NO!”
 

“Sophie! SPOSTATI! Lui deve morire, non dovevi tirarlo dentro questa storia!”
 

“No! Ascoltami! Ascoltalo! Abbassa la pistola, ti prego...”

 

Lui scosse la testa

 

“Non posso permettere che lui vada a spifferare tutto a suo padre. Ci sono troppe vite in gioco e troppi segreti che devono rimanere tali. Non mi posso fidare di lui”

 

“ti prego, papà…”

 

Nei suoi occhi lessi titubanza e la sua mano fece per abbassarsi, così mi avvicinai cautamente

 

“Può aiutarti… per favore, ascoltalo”

 

“Lo ascolterò. Ma non posso assicurarti che la sua vita sarà al sicuro”

 

Annuii, portando una mano sull’arma facendogliela abbassare

 

“Stefan?”
 

Lui si schiarì la voce

 

“Lui ha ucciso mia madre. Quello che tu chiami mio padre… per me non è altro che una persona a cui sono costretto ad ubbidire, ma non voglio più farlo. Non da quando la vita della persona che amo è in pericolo”

 

Vidi mio padre prendere un respiro profondo, stringendo il pugno sul manico dell’arma

 

“Non volevo tirarla in mezzo… ho cercato di tenerla lontana; sono pure sparito per dei mesi nella speranza di farmi odiare… ma non è servito a molto. Lei è così caparbia… mi ha seguito, per colpa della sua curiosità, e Zayn l’ha scoperta, tirandola in gioco e obbligandola… obbligandola ad entrare nella banda”

 

“COSA?!”
 

Mio padre scattò in piedi, ma prima che potesse raggiungerlo portai le mani sul suo petto, facendolo risedere

 

“Non è colpa sua! Lui mi ha salvato la vita, papà! Stava per farsi uccidere pur di tirarmi fuori! È tutta colpa mia!”

 

“Ieri sera siamo stati al ballo di Straswosky e ti abbiamo visto. Sophie ha iniziato a pensare che anche tu facessi parte di qualche banda malavitosa e così siamo venuti qui e abbiamo trovato la cassaforte”

 

Stef fece una pausa

 

“Io lo voglio morto. Voglio uscire da tutto questo, sono disposto a tutto, anche a dare la mia vita se questo aiuterebbe ad averlo fuori dai giochi. Voglio che lei sia al sicuro e so che fin quando lui sarà in vita non lo sarà. Posso aiutarvi, posso giocare dall’interno, posso essere la vostra talpa”

 

“Pensaci papà, avresti due talpe all’interno! Potremmo catturarlo e-”
 

“-Tu non farai un bel niente!”
 

Dissero all’unisono mio padre e Stefan, per poi guardarsi

 

“Almeno siamo d’accordo su qualcosa”

 

Stefan annuì, assecondando mio padre

 

“Lui sa che lei è stata coinvolta?”

 

Stefan scosse la testa

 

“Zayn non è stupido. Sa perfettamente che dicendo a mio padre di questo nuovo acquisto rischia la vita… lei è dentro a tutto questo solo per il suo odio verso di me, sa che può usarla contro di me. È una pedina nel suo fottuto gioco e vuole usarlo bene”
 

Mio padre annuì

 

“Tu sparirai dalla circolazione, ti mando in America fin quando tutto questo non sarà risolto”

 

“NO!”

 

“Non voglio sentire scuse”
 

“Sophie, tuo padre ha ragione… è troppo pericoloso”
 

“No ora ascoltatemi voi. Se io sparissi da un momento all’altro Zayn potrebbe sospettare qualcosa. Sfruttatemi, posso aiutare”
 

“No, è fuori discussione. Non ti metterò in pericolo”

 

“Stefan non sta a te decidere, e no. Neanche a te papà. Per favore, fatemi aiutare. Sono più utile qui!”

 

I due si guardarono negli occhi, conoscendo ormai troppo bene la mia caparbia. Se mi impuntavo in qualcosa nessuno mi avrebbe potuto far cambiare idea.

 

“Ad una condizione”

 

Guardai mio padre

 

“Quale”
 

“Dovrai portare un localizzatore sempre con te e mai allontanarti da Stefan. Cercherai di non partecipare più a nessuna missione e se io o lui, sotto mia approvazione, ti diremo di fare qualcosa tu ubbidirai senza controbattere. E inoltre da questo momento in poi non camminerai più da sola”

 

Alzai un sopracciglio

 

“Queste sono più di una condizione...”
 

Feci per controbattere ma Stefan si intromisero

 

“Sophie, sono d’accordo con lui. O stai a queste condizioni o verrai spedita fuori dal paese”

 

Sbuffai, alzando gli occhi al cielo, arrendendomi

 

“E va bene! OK! Ma non potete impedirmi di-”
 

“SOPHIE!”

 

Urlarono tutti e due con sguardo corrucciato. Portai le mani davanti

 

“Siete insopportabili…”

 

I due sorrisero, ma quando i loro sguardi si incrociarono subito assunsero espressioni serie. Chissà, magari questo bisogno di controllarmi li avrebbe fatti andare d’accordo…

 

 

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Questo capitolo è stato a dir poco un parto… ma spero che vi piaccia!

Finalmente sono venute fuori un bel po' di cose riguardo il “padre” di Sophie.

Ve lo aspettavate?

Votate e fatemi sapere se la storia vi piace!!
XX

-R

 

 

 

 

 

 


 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


POV Stefan (so che lo aspettavate)

Erano passate due settimane da quando Sophie aveva scoperto di Cesare e di Elia, ma le cose ancora non erano tornate normali tra loro due… ma come biasimarla? Scoprire così che la persona che ti aveva cresciuto non aveva fatto altro che rifilarti cazzate su cazzate. Eppure lei era una persona buona, avrebbe perdonato Elia, era solo questione di tempo prima che accadesse, prima che lei accettasse la verità.

In compenso le cose tra noi andavano a gonfie vele… non so bene l’effetto che questa ragazza aveva su di me. Ma una cosa era sicura: l’amavo più di quanto io avessi mai amato nessuno e avrei fatto tutto, di tutto, pur di tenerla al sicuro. Proprio per questo motivo mentre lei era uscita con la sua amica, Kylie, io mi ritrovavo davanti la porta della sua villa, in attesa che Elia mi venisse ad aprire. Avevo ricevuto notizie che mio padre avrebbe avuto un incontro proprio con la persona di cui Sophie non avrebbe mai dovuto scoprire. I dettagli del motivo non mi erano noti, ma ero riuscito a risalire al luogo dell’incontro, bastava mettere qualcuno di sorveglianza e avremmo potuto sorprenderli con le mani in flagrante o comunque saremmo riusciti a prendere qualche informazione, utile ad incastrarli.

Elia, finalmente, venne ad aprirmi la porta, facendomi cenno di entrare senza neanche rivolgermi un saluto, non nascondendo il disprezzo nei miei confronti. Né tanto meno io avrei nascosto il mio nei suoi. Avremmo dovuto mantenere i rapporti professionali, per Sophie e per la sua sicurezza; questa era l’unica motivazione per cui ancora non ci eravamo saltati alle gole.

 

“Cosa ti porta qui? Sophie non è in casa”
 

Lo seguii mentre andavamo nello studio, probabilmente unico posto sicuro da cimici e altro

 

“Ho delle informazioni utili”

 

Lui si sedette nella poltrona dietro la scrivania, incrociando le mani sotto il mento, non prima di avermi fatto cenno di sedermi su una di quelle di fronte, ma io rifiutai, avvicinandomi semplicemente e poggiando le mani sui bordi della scrivania, chinandomi e mantenendo un contatto visivo

 

“Mio padre si incontrerà con Cesare Moretti, domani”
 

Elia mi guardò con sguardo diffidente

 

“Come faccio a fidarmi?”
 

Roteai gli occhi al cielo

 

“Non devi. Neanche io mi fido di te. Ma qui non si tratta né di me, né tanto meno di te. Si tratta di Sophie. E stai certo che io farò qualsiasi, QUALSIASI, cosa pur di tenerla al sicuro. Non piace neanche a me lavorare con te, ma so che tu le vuoi bene e che sei disposto a tutto per lei. Esattamente come me. Mi basta questo”

 

Lui annuì

 

“Cosa proponi? È rischioso mandare degli agenti segreti. Non sappiamo neanche il motivo dell’incontro… non devono sospettare che sono tenuti sotto sorveglianza”

 

“Andrò io. Tu non puoi andare di sicuro, Cesare conosce la tua faccia. A me non ha mai visto, e se mi dovessero scoprire… dubito che mio padre mi possa uccidere. Ho fatto ben di peggio che spiarlo...”

 

“Sophie non deve saperlo”

 

Scossi la testa

 

“Non lo saprà. Mi inventerò qualcosa per tenerla fuori da tutto questo”

 

Feci per uscire dalla stanza, ma la sua voce mi fermò

 

“So che la ami. Ma anche Cesare amava Cristina, eppure questo non gli ha impedito di mettere a rischio la sua vita. Io non voglio che succeda lo stesso con Sophie. Non me lo perdonerei mai. Lei è mia figlia, è la cosa che amo di più al mondo”

 

Girai la testa, guardando l’uomo che sembrava tanto impassibile e privo di emozioni, in realtà essere divorato dalla paura

 

“Voglio che tu sappia che se le accadesse qualcosa, verrò a cercarti fino all’angolo più remoto sulla terra, e quando ti troverò, perché lo farò, stai certo che la tua vita diventerà un vero inferno. È una promessa”

 

“Se le dovesse succedere qualcosa, sarò io stesso a venire. La mia vita è insignificante senza di lei. Se non dovessi riuscire a tenerla al sicuro, rinuncerò alla mia vita volontariamente”

 

“Siamo d’accordo”

 

Annuii, prima di girare e andarmene.

Era vero quello che gli avevo detto: la mia vita aveva perso senso da quando mia madre mi era stata portata via, e ne aveva riacquistato con Sophie. Se avessi perso anche lei non ci sarebbe più stato niente da fare per me e per la mia anima. Non sarei stato in grado di perdonarmi, non sarei stato in grado di accettare di non aver potuto fare niente per tenerla al sicuro. Non avrei permesso che me la portassero via, così come per mia madre. Ero troppo piccolo per alzarmi e combattere, ora invece non avrei esitato a spararmi una pallottola tra gli occhi se questo mi avrebbe dato la certezza che lei sarebbe stata al sicuro. E non ne ero spaventato. Ero pronto a dare la mia vita per la sua.

 

 

Ero nel luogo dell’incontro già da otto ore e nessuno si era ancora presentato. Mi ero nascosto dietro dei cespugli incolti che mi permettevano di vedere e sentire ma allo stesso tempo di stare nascosto e al sicuro da tutti gli angoli. Guardai l’orologio che segnava le tre di notte passate, forse avevo capito male il giorno o l’incontro era stato annullato… oppure avevo dato per scontato che si sarebbe tenuto di notte. Stavo per rinunciare, quando un van nero dai vetri oscurati entrò nella mia visuale, posteggiandosi poco più in là, vicino la casa diroccata. Da questo scesero mio padre, Zayn e degli scagnozzi che iniziarono a guardarsi intorno con fare circospetto. Mi accucciai ancora di più, estraendo la pistola e stringendola nella mano. Dopo qualche minuto un audi del medesimo colore si fermò dinanzi il van, iniziando a lampeggiare, e da questa scesero quattro uomini di grossa stazza, con pistole sfoderate. Uno dei quattro si diresse verso il lato del passeggero, aprendo lo sportello e facendo uscire il quinto uomo, Cesare Moretti. Era più vecchio delle foto, dato le grosse rughe percorrevano il suo viso stanco, ma nonostante queste era rimasto identico.

 

“Cesare”

 

Mio padre lo richiamò e l’uomo gli rivolse uno sguardo glaciale

 

“Cosa hai per me, Aron. Sai che non sbrigo mai le commissioni in prima persona. Se mi hai fatto venire di prima persona spero per te che ne valga la pena”

 

Iniziò a camminare seguito dai quattro uomini, ponendosi di fronte mio padre. La tensione si poteva tagliare con un coltello.

 

“Oh fidati, mi ringrazierai dopo questa notizia”

 

“Parla. Non ho molto tempo”
 

Mio padre ghignò, un ghignò crudele e freddo

 

“L’abbiamo trovata”

 

Lo sguardo di Cesare saettò su mio padre, gli occhi sorpresi

 

“Dov’è?”

 

“Vedi, è una cosa molto buffa. Pensavamo che lei fosse chissà in quale parte del mondo… ma in realtà è sempre stata ad un schiocco di dita da noi. Ti ricordi di Elia?”
 

Non prometteva bene.

Cesare si accigliò

 

“Cosa dovrebbe dirmi questo nome?”

 

Mio padre ridacchiò

 

“Oh già, già, tu lo conosci come Carlo Rizzo”

 

Al sentire quel nome Cesare sgranò gli occhi

 

“Quel bastardo...”

 

“Si da il caso che abbia commesso un errore non da poco… ha acquistato una villa. Esattamente accanto la mia… quel povero bastardo pensava di spiarmi, quando in realtà era l’esatto contrario”

 

“Cosa c’entra lui con lei”
 

“è proprio qui il divertimento! A quanto dicono le mie fonte dopo che la tua quasi mogliettina è scappata si è recata da Carlo per protezione. E lui come poteva dire di no al suo amore? L’ha sposata, cambiando il nome e prendendo quello di Elia Fiore. E dando il suo cognome alla bambina”
 

“Sofia...”

 

Mio padre annuì

 

“L’ha lui. L’ha sempre avuta lui”

 

“Quel bastardo… me la pagherà. Dove sono? Dov’è Cristina?”
 

“Cristina è morta nove anni fa”

 

Cesare si portò una mano sugli occhi, sfregandoseli. Si girò iniziando ad avanzare verso la macchina e fermatosi davanti lo sportello da cui era sceso si rivolse a mio padre

 

“Rivoglio mia figlia. Non mi importa quale sia il costo. E portatemi anche Carlo, vivo. Deve pagare per avermi portato via le due persone più importanti della mia vita”

 

Mio padre annuì, facendo cenno ai suoi uomini di ritornare in macchina.

Merda, loro non dovevano scoprire niente di tutto questo. Ora la vita di Sophie era in pericolo. Mandai un messaggio ad Elia

 

/ Sanno tutto. Devi portare via Sophie. Immediatamente /

 

Aspettai dieci minuti, per dare il tempo alle due macchine di allontanarsi, e poi mi precipitai verso il motore nascosto a cinque minuti da lì. Iniziai a chiamare Elia, erano ormai le quattro ed era probabile che stesse dormendo e per quello non mi aveva risposto, ma dovevo esserne sicuro. Dovevano andarsene da quella casa, il prima possibile.

 

“Avanti… rispondi cazzo”

 

Il telefono continuava a squillare a vuoto, così iniziai a chiamare Sophie. Per fortuna dopo il terzo squillo la sua voce assonnata rispose

 

“Pronto…?”
 

“Sophie!! Dov’è tuo padre?! Dovete andarvene immediatamente!”

 

Sembrò risvegliarsi improvvisamente

 

“Stefan? Che succede? Stai bene?? Perché mi chiamai a quest’ora?! Dove sei stato tutto il giorno-”

 

Iniziò a riempirmi di domande, così la interruppi

 

“Non ora! Passami tuo padre. SUBITO”

 

“O-ok, aspetta”

 

Sentii dei rumori, simbolo che si era alzata dal letto e dei passi

 

“Papà?”
 

Sentii bussare e una porta spalancarsi, tirai un sospiro di sollievo che mi si bloccò in gola quando sentii un urlo

 

“Sophie?!”
 

“Lasciatelo! Cosa volete da lui?!”

 

“Sophie?! Cosa succede?!”
 

Sentii dei tonfi e la linea cadere

 

“Merda!”
 

Aumentai la velocità, arrivando ai 180km/h. Mancava poco alla villa ma in quel lasso di tempo sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa.

Continuai a chiamare Sophie ma ricevendo sempre la sua segreteria, simbolo che avevano staccato il suo telefono. Finalmente arrivai a destinazione, buttai il motore a terra incurante dei danni che sicuramente gli avrei procurato, precipitandomi verso il cancello e la porta di casa spalancate. Non era un buon segno.

 

“SOPHIE?!”
 

Urlai, sfoderando la pistola, e salendo le scale a tre a tre. Entrai nella stanza di Elia, trovando i mobili rovesciati e il letto distrutto, con piume dei cuscini ovunque e macchie di sangue sulle lenzuola. Poco più in là il telefono di Sophie con lo schermo rotto

 

“Ti prego...”
 

Iniziai a pregare, era un incubo ad occhi aperti. Mi precipitai nell’altra stanza, trovandola vuota. Diedi un calcio per la frustrazione alla porta, procurandogli un ammaccone.

 

“Merda!”

 

Scesi al piano di sotto, portandomi le mani tra i capelli e cercando di pensare, ma dei rumori provenienti dall’ingresso mi portarono sull’attenti

 

“Sophie??”
 

Mi precipitai verso il rumore, ma trovando solo mio padre con un finto sguardo preoccupato sulla faccia

 

“Ma che è successo qui?!”
 

Strinsi i denti e serrai i pugni sul manico della pistola, talmente forte che potei giurare di aver sentito qualcosa rompersi

 

“TU! DOVE CAZZO SONO?!”
 

Mi precipitai su di lui, afferrandolo per il colletto e facendolo sbattere sulla parete, procurando un ghigno sulla faccia di mio padre

 

“Non so di cosa tu stia parlando figliolo, avanti. Mettimi giù”

 

Lo risbattei al muro più forte, procurandogli un grugnito di dolore

 

“Dimmi dove sono”
 

Sputai tra i denti

 

“Vedo che la ragazzina fa uscire gli artigli eh?… è una scopata così tanto bella? Magari dovresti farla provare anche a me…”
 

Strinsi gli occhi, cercando di mantenere la calma ma me lo stava rendendo difficile

 

“Non ho tempo per i tuoi giochetti. Dimmi dov’è, so che l’hai presa tu”

 

“Oh, ma chi ti interessa quindi? Sophie o suo padre? Scusami, mi hai confuso...”

 

Gli diedi un pugno sul naso, rompendoglielo. Lui scoppiò a ridere

 

“Magari prima di consegnarla a Cesare potrei farla passare dal mio letto...”

 

“Parla. Adesso. O ti sparo”
 

Presi la pistola, puntandola sulla sua tempia

 

“Non ne avresti il coraggio, figliolo… e poi ormai è troppo tardi. Se n’è andata e tu non la troverai mai”
 

Non avrebbe parlato.

 

“Sai cosa, papà? Ti ringrazio per avermi fatto crescere in questo inferno di vita, ti ringrazio per avermi fatto diventare quello che sono ora, ti ringrazio per avermi fatto sentire una nullità. Ora so perché l’hai fatto. Hai riversato tutti i tuoi insuccessi su di me, non sei altro che un fallito che non è riuscito a tenersi stretto neanche sua moglie…”

 

Mio padre sorrise, un sorriso che voleva nascondere la sua paura

 

“Addio”

 

Premetti il grilletto. Vidi la sua vita scivolargli via dagli occhi, la sua bocca spalancarsi ed esalare l’ultimo respiro, sentii il sangue rallentare la sua corsa sotto le mie mani. Lasciai andare il suo corpo inerme, che cadde scomposto sul pavimento, una macchia scarlatta iniziare ad espandersi.

Mi portai il braccio sul viso, pulendo via il sangue che mi aveva macchiato la pelle

 

“Questo era per mia madre”
 

Finalmente uno dei miei peggiori incubi se n’era andato, ma aveva lasciato dentro me una tempesta. Ora dovevo trovare Sophie, prima che potesse sparire definitivamente.

 

 

 

 


 



 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


POV Sophie

Strinsi gli occhi, sentendo del bruciore al lato della testa. Aprii leggermente le palpebre, richiudendole subito dopo per via della luce accecante, e mi portai una mano sugli occhi, sfregandoli e cercando di fare andare via quella sensazione di intorpidimento. Riaprii lentamente gli occhi, iniziando a guardarmi intorno la stanza dalle pareti color panna, una stanza che non era la mia.

Mi alzai di colpo, procurandomi un capogiro alla testa che per un attimo mi fece vedere nero. Ero su un letto ben fatto, dalle lenzuola in lino di un rosa pallido; la finestra da cui entrava tutta la luce mostrava un paesaggio rupestre, con una valle verde e con delle montagne lontane; ma oltre a questo, non c’era né una casa né segni di civiltà.

Scesi dal letto, toccando con la punta dei piedi nudi il pavimento freddo, che mi mandò una scarica di brividi lungo la schiena; barcollante iniziai a girovagare, cercando di fare mente locale su dove fossi e come ci fossi arrivata soprattutto. La mia immagine riflessa su uno specchio catturò la mia attenzione, così mi avvicinai, notando come una banda macchiata leggermente di rosso mi avvolgesse la fronte: probabilmente era dovuto a questo il bruciore per cui mi ero svegliata. La spostai attentamente verso l’alto, scoprendo un taglio ricucito alla perfezione sul lato della mia fronte, e guardando quello ricordai. Degli uomini avevano fatto irruzione in casa, quando stavo parlando con Stefan e avevano bloccato mio padre e poi tramortito me con un colpo alla testa. Sudore freddo iniziò a percorrermi il corpo, se prima ero spaventata ora ero terrorizzata.

Notai all’angolo della stanza dei vestiti perfettamente piegati e stirati, con sopra un bigliettino con scritto in una calligrafia perfetta e pulita

 

/ Non appena sarai sveglia, cambiati e scendi al piano terra.

Non vedo l’ora di conoscerti, papà /

 

Il bigliettino cadde a terra, svolazzando con un movimento ondulato prima di finire ai miei piedi. Cesare Moretti mi aveva trovato. E questo voleva dire che né mio padre, quello che consideravo il mio vero padre, non era al sicuro e tanto meno Stefan. Sapeva che qualcosa non andava, considerando che era al telefono con me e aveva sentito tutto, e probabilmente era già sulle nostre tracce… il che era incoraggiante, sapevo quanto era bravo nel suo lavoro e sapevo che avrebbe fatto di tutto pur di ritrovarmi. Ma sapevo anche che era solo.

Lasciai perdere i vestiti, infilandomi solo le scarpe e scendendo con i vestiti macchiati di sangue, quelli con cui mi ero addormentata a casa mia.

Prima di uscire, notai una penna stilografica su una scrivania e l’afferrai, incastrandola nell’elastico dei pantaloncini e coprendola con la maglietta. Almeno avrei potuto usarla come arma per difendermi, anche se non era mortale, ma di sicuro avrebbe fatto male infilzata nel punto giusto e con la giusta forza.

Aprii la porta, cercando di non fare rumore, e guardai il lungo corridoio vuoto, aspettando qualche minuto per vedere se arrivava qualcuno, cosa che non avvenne. Cautamente cercai con lo sguardo le scale, trovandole poco più avanti sulla destra. La casa sembrava una residenza estiva di campagna, dai pavimenti in marmo e dipinti ottocenteschi appesi sulle pareti, le scale avevano il corrimano con motivi dorati ed erano percorse da un tappeto grigio perla, perfettamente pulito e lucente. Scesi le scale, cercando di non fare rumore, aiutata dal tappeto che attutiva i miei passi, e mi ritrovai in una grande hall, anche questa piena di dipinti e statue

 

“Ti sei svegliata a quanto pare”

 

Ero troppo impegnata a studiare l’ambiente intorno a me per rendermi conto della presenza alle mie spalle. Mi girai di scatto, guardando l’ultima persona che mi sarei mai aspettata di rivedere, osservarmi con un angolo della bocca alzato

 

“Tu...”
 

Il ragazzo di cui mi fidavo e che poi si era rivelato una serpe era davanti a me, con le braccia conserte e poggiato sullo stipite della porta. Dave.

 

“Da tanto che non ci vediamo, eh Sophie?”
 

Iniziai ad avanzare con i pugni serrati, pronta a sferrargli un destro sulla mascella, che gli avrebbe di sicuro tolto quel ghigno dal suo bel visino

 

“Dave! Sophie!”
 

Una terza voce fece bloccare i miei passi. Lanciai un ultimo sguardo di fuoco verso il biondino, che dopo avermi lanciato un ultimo ghigno se ne andò, lasciandomi sola con lo sconosciuto. Presi un respiro profondo prima di girarmi lentamente, facendo scontrare il mio sguardo con un uomo sulla quarantina, con il viso solcato da profonde rughe, e due occhi perforanti.

Rimasi immobile, e lui iniziò ad avvicinarsi, fin quando non fu di fronte a me. Il suo sguardo severo si addolcì di colpo e gettò le sue grosse braccia intorno alla mia vita, tirandomi sul suo petto in un abbraccio. Rimasi impassibile, cercando di prendere la mia arma

 

“Bambina mia… sei così… sei uguale a lei...”
 

Mi bloccai di colpo. Quell’uomo non era un uomo qualsiasi. Quello era Cesare Moretti, il mio vero padre.

Mi scostò dal suo corpo, tenendomi per le spalle e osservandomi, studiando il mio viso

 

“Sei così bella… hai i suoi occhi, e i suoi capelli… però il naso è tutto il mio”

 

Aveva gli occhi lucidi, come se fosse veramente emozionato di vedermi. Ma io non mi sarei fatta abbindolare così facilmente, non conoscevo quest’uomo. Non mi aveva cresciuto lui, Elia lo aveva fatto, non mi aveva protetto, non aveva protetto la mamma, Elia lo aveva fatto. Per me quest’uomo non era altro che una persona qualunque.

 

“Dov’è mio padre”
 

Dissi decisa, guardandolo negli occhi. Lui aggrottò le sopracciglia

 

“Sophie, sono i-”

 

Non lo lasciai finire

 

“Il mio vero padre, dov’è Elia”

 

I suoi occhi di colpo si fecero di ghiaccio, e la sua presa sulle mie spalle si strinse un attimo, prima di lasciarmi andare

 

“Non è tuo padre. Lui ti ha, vi ha, portato via da me. Avrà quel che si merita”

 

Iniziai a sentire la rabbia ribollire in me, e sta volta non mi fermai. Afferrai la penna con un movimento veloce, alzando il braccio e puntando contro il suo collo. Ma la sua mano fu più veloce della mia, fermando il mio movimento e afferrandomi e torcendomi il polso, facendo cadere la penna per terra e poi le mie ginocchia per il dolore

 

“Cosa credevi di fare, mocciosa? Inizia a portarmi un po' di rispetto, o te ne pentirai”

 

Sputò fra i denti, continuando a girarmi il polso e procurandomi un urlo di dolore e lacrime copiose. Stringendo i denti riuscii a dire

 

“Ci credo che mia mamma è scappata da te”

 

I suoi occhi si fecero di fuoco, e con uno strattone mi fece finire per terra, lasciando andare il mio polso indolenzito, che afferrai con l’altra mano per cercare di placare il dolore

 

“DAVE!”

 

Dall’altra stanza comparve il ragazzo

 

“Riportela nella sua stanza e fasciale quel polso”

 

Lui annuì in silenzio, avvicinandosi e porgendomi una mano che rifiutai, tirandomi su da sola

 

“Non ho bisogno né tanto meno voglio il tuo aiuto”

 

Ricominciai a salire le scale, infilandomi nella stanza, che sbattei con forza. Subito dopo questa venne aperta da un Dave arrabbiato

 

“Ti ho già detto che non voglio il tuo aiu-”

 

Una sberla mi fece girare la testa. Mi portai una mano sul labbro spaccato, leccando il sangue che iniziò ad uscire, gocciolando sulla maglia già sporca

 

“Vieni in bagno”
 

Lo seguii senza più parlare, troppo impaurita da un suo altro attacco improvviso. Mi fece cenno di sedermi sul ripiano elegante del lavabo, ma io rimasi inchiodata sulla porta, così lui mi afferrò dal polso già dolorante, tirandomi in avanti e alzandomi dai fianchi, facendomi sedere con poca delicatezza sul ripiano freddo. Aprii il rubinetto e vi bagnò un panno, avvicinandolo alla mia bocca, ma io mi ritrassi

 

“Non volevo colpirti così forte”
 

Lo guardai in silenzio. Lui sospirò riavvicinando il panno al taglio, iniziando a tamponarlo con delicatezza, ripulendo il sangue che era colato fino al mento. Lo osservai in silenzio, troppo spaventata per parlare, mentre lui mi muoveva come fossi una marionetta priva di vita. Dopo aver messo un cerotto apposito sul labbro, si chinò prendendo una cassetta di primo soccorso e afferrò il mio polso, rigirandoselo fra le mani e osservandolo, procurandomi una smorfia di dolore

 

“Non è rotto, ma hai una slogatura quindi dovrai tenerlo a riposo”
 

Iniziò a fasciarlo con delle bende ed io mi decisi a parlare

 

“Perché…”

 

Lui si bloccò per un momento, guardandomi negli occhi

 

“Perché sono qui con tuo padre? Volevo vendicarmi di Stefan. Mi ha fatto perdere il lavoro e diseredare dalla mia famiglia…”

 

Iniziò a stringere il polso gradatamente, procurandomi nuove fitte di dolore. Non ne avevo la più pallida idea…

 

“Dopo l’ultima volta che ci siamo visti ho incontrato Aron, il padre di Stefan, e abbiamo iniziato a parlare, dicendo di rivolgermi a lui per qualsiasi cosa. Dopo aver perso tutto così l’ho chiamato e lui mi ha fatto investigare un po' su di te e su Elia… essendo già venuto in questa casa per me era semplice muovermi e così ho scoperto che tu eri esattamente quello che Aron cercava. Tuo padre mi ha promesso che se mi fossi unito a lui, allora avrei potuto averti… e avrei potuto uccidere Stefan. Mi sembra equo, no? Lui mi ha portato via tutto, e ora farò la stessa cosa con lui”
 

Lo guardai con gli occhi spalancati. Come poteva permettere una cosa del genere? Ero pur sempre sua figlia… come poteva svendermi come un oggetto qualsiasi? E poi che c’entrava Aron con mio padre?

 

“Non mi avrai mai, Dave”

 

Sussurrai, cercando di tenere a bada le lacrime. Lui ghignò, un ghigno malefico

 

“Ed è proprio qui che ti sbagli principessa… non c’è più Stefan a proteggerti, non c’è più Elia. Sei sola, sola e indifesa”
 

“Stefan mi troverà e quando lo farà-”
 

“Quando lo farà verrà accolto da cinquanta uomini armati fino alla punta del naso”
 

Disse toccandomi il mio, come se fossi una bambina

 

“Ed io sarò il primo di quelli”

 

Sgranai gli occhi. Non c’era via di uscita, se lui fosse venuto qui lo avrebbero fatto fuori, e io non avrei potuto farci niente. Ero sola, per la prima volta, ero davvero sola.

 

“Ora lavati, sei sudicia da far schifo. E cerca di essere più educata con tuo padre, abbiamo precisi ordini su ogni tuo atto di ribellione”

 

Disse con un sorriso malefico, spostandomi e tirandomi giù dal mobile. Non riuscii più a contenere le mie lacrime che presero ad uscire copiose dai miei occhi

 

“Avanti? Che stai aspettando?”

 

Le mie mani tremanti arrivarono al bordo della maglietta, tirandola sopra la testa e lasciandomi con il petto scoperto, che coprii tremante con le braccia. Magari se non avessi combattuto le cose sarebbero state più facili per me…

 

“Visto quanto è stato semplice addomesticarti? Ora sotto la doccia, e indossa il completino rosa. Sta notte recupereremo, non preoccuparti”

 

Disse accarezzandomi sotto il seno, facendomi venire la pelle d’oca per il ribrezzo. Non appena se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle, mi accasciai per terra, portandomi le ginocchia al petto e nascondendoci il viso, lasciandomi andare in un pianto disperato.

 

 

Mi guardai allo specchio, mi sentivo un corpo privato della sua anima, pieno di lividi e ormai rotto in mille pezzi. La guancia e il labbro rossi e gonfi, il taglio marcato sulla fronte, il polso ormai di un colore livido. Indossai il vestito che era stato posizionato sul mio letto, con la biancheria rosa di pizzo: sembravo una bambola, una bambola rotta. Il vestito era anch’esso rosa, di un rosa confetto, con un’ampia gonna a ruota e con un grosso fiocco sulla schiena e il corpetto in pizzo ricamato. Sembravo una bambina, forse quello che si proclamava come mio padre avendo perso la mia infanzia voleva riviverla ora, vestendomi e trattandomi da bambina.

Indossai le ballerine, lasciando i capelli bagnati sulle spalle, non preoccupandomi neanche di pettinarli, per poi scendere le scale, ritornando nella stanza in cui avevo il primo incontro con i due mostri.

Mi fermai nel mezzo della stanza, abbassando la testa e incrociando le braccia sul mio corpo, cercando di confortarmi in qualche modo

 

“Potevi anche metterlo un po' di trucco… sei bianca cadaverica in viso e quel livido non ti dona per niente”
 

Strinsi di più le mani sui miei fianchi, infilzandovi le unghia per controllarmi dal fare qualcosa di stupido

 

“Vedo che hai imparato a stare al tuo posto. Vieni, la cena è pronta”

 

Quante ore erano passate? Quando ci avevano rapito era quasi l’alba… quanto avevo dormito?

Lo seguii a distanza di due metri, tenendo sempre la testa bassa. Entrammo in una stanza da pranzo con un tavolo in ciliegio apparecchiato alla perfezione e sormontato da lampadari di cristalli

 

“Bambina mia, vieni accomodati accanto a tuo padre”

 

Dave, vedendo che non mi ero ancora mossa, mi spinse dalla base della schiena, facendomi sedere nella sedia alla sinistra di Cesare, e prendendo posto accanto a me. Subito dopo un piatto pieno di cibo mi venne posizionato davanti, aveva l’aspetto parecchio invitante ma nonostante questo il mio stomaco era chiuso. Rimasi con lo sguardo sul piatto, non azzardandomi ad alzarlo

 

“Mangia, hai già saltato il pranzo”
 

Scossi leggermente la testa

 

“Ho detto MANGIA!”

 

Cesare urlò, sbattendo violentemente un pugno sul tavolo, facendo cadere alcuni calici e facendoli rompere. Singhiozzai, afferrando con mano tremante la forchetta e iniziando a prendere bocconi piccoli, mandando indietro la nausea

 

“Brava, bambina”
 

Dopo qualche minuto la grossa porta si spalancò e io alzai lo sguardo, sbiancando di colpo e alzandomi, ma Dave mi afferrò le spalle, facendomi rimanere seduta

 

“Oh, guarda chi si è unito a questa cena di famiglia”

 

Cesare fece cenno ai due uomini di far sedere l’uomo, quasi irriconoscibile, sulla sedia di fronte la mia

 

“Papà...”

 

Sussurrai, incominciando a piangere e cercando nuovamente di alzarmi, ma non riuscendo a causa di Dave.

 

“S-sophie”

 

Mio padre tossì, sputando sangue che finì sulla tovaglia avorio macchiandola. Il suo volto sporco quasi irriconoscibile, un occhio gonfio e chiuso, il naso totalmente sfracellato. Lo avevano torturato, e ora avevano deciso di torturare me, mostrandomelo

 

“Cosa gli hai fatto!”

 

Urlai contro Cesare, che si fermò con la forchetta sospesa a mezz’aria

 

“Non osare alzare la voce con me”
 

“Cosa gli hai fatto! Ti prego! Lascialo andare! Ha bisogno di un medico”

 

I singhiozzi erano tornati prepotenti e le lacrime che mi appannavano la vista, mi rendevano la visione dell’uomo accasciato sulla sedia più sopportabile

 

“Ti prego… Dave! Ti prego, aiutalo! Farò qualsiasi cosa! Te lo giuro! Non combatterò più, farò tutto quello che vuoi! Ma aiutalo, ti prego”

 

Cercai pietà verso Dave, sapendo che se solo avesse voluto avrebbe potuto aiutarlo

 

“Allora, bambina. Raccontami un po' cosa mi sono perso in tutti questi anni”

 

“C-cosa… no, no. Ti prego… aiutalo”

 

Faceva finta di non sentire, di non vedere l’uomo mezzo morente e la mia disperazione

 

“Rispondi alla domanda, Sophie”

 

Scossi la testa, e mio padre sospirò, facendo cenno ad uno dei due uomini che si avvicinò a mio padre, iniziando a colpirlo ripetutamente

 

“NO!! FERMI! VI PREGO! PAPA’!”

 

Cesare alzò una mano e l’uomo si fermò

 

“Mi dispiace, mi dispiace”
 

Sussurrai in lacrime a mio padre, che con la poca forza che aveva mi sorrise, come per perdonarmi e dirmi di stare tranquilla. Lo avrebbero usato come arma contro di me, mi avevano in pugno

 

“Quindi? Un fidanzatino c’è?”

 

Ricominciai a piangere

 

“N-no”
 

Mio padre si protese in avanti, corrugando le sopracciglia

 

“Non ti hanno detto che le bugie non si dicono?”
 

Fece segno a Dave, che prontamente mi diede un pugno sullo stomaco. Se avessi mangiato un po' di più avrei di sicuro vomitato. Mi piegai in due, mordendomi il labbro con forza fino a farlo sanguinare

 

“N-no, S-s-sop-hie”

 

Mio padre cercò di parlare, tra un colpo di tosse e l’altro

 

“S-sto bene”

 

Lo rassicurai

 

“Stefan, non è così? Ho sentito tante cose su di lui. Mi chiedo quanto ancora ci metterà a trovarti… alla fine è abbastanza logico no?”

 

Lo guardai spaesata, continuando a mantenere lo stomaco

 

“Bentornata a casa, Sofia! Sei in Italia, dove tua madre è nata: Viterbo”

 

Sbiancai di colpo, i miei occhi rotearono all’indietro e caddi dalla sedia.

 

 

 

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Si, so di essere scomparsa, ma è stato un periodo pieno. Ho avuto esami no stop e non ho avuto il tempo di scrivere… ma eccoci qui.

Ps preparatevi al prossimo capitolo che sarà bello tosto :)

A prestissimo…

XX

-R

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Una voce risvegliò il mio sonno, e aprii gli occhi, trovandomi davanti quelli azzurri di Dave che un tempo mi avevano stregata

 

“Alzati. Abbiamo delle cose da fare”

 

Lo guardai in silenzio, alzandomi solo quando uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle. Mi feci la doccia, vestendomi con i vestiti che trovai sul letto: mio padre aveva un’ossessione con il rosa a quanto pare… infilai i pantaloni dritti e la blusa, incastrandone i bordi nel pantalone, e infilai le ballerine con il fiocchetto, facendo una faccia disgustata.

Scesi le scale, ma sta volta non venni accolta da mio padre o da Dave…

 

“Zayn?”

 

Lui ghignò, squadrandomi da testa a piedi

 

“Ciao, tesoro”

 

Non prometteva bene. Perché era qui? Dov’era Aron?

 

“Lavori con Cesare? Dov’è Aron?”

 

Il suo ghigno svanì, lasciando spazio ad un’espressione torva. Avanzò lentamente verso di me, afferrandomi il collo con una mano, facendomi sussultare

 

“Il tuo caro fidanzatino l’ha ucciso”
 

Mi sussurrò all’orecchio, iniziando a stringere la presa, ma non tanto da non farmi respirare. Stefan aveva ucciso suo padre… Aron era fuori dai giochi. Questo voleva dire che ora lo avrebbero voluto ancora più morto, se prima aveva una possibilità di salvarsi… ora questa si era azzerata del tutto

 

“Per questo siamo qui… lo attireremo nella trappola grazie a te, e io prenderò il comando. Lo ucciderò davanti i tuoi begli occhioni, in modo lento e doloroso…”

 

Lacrime di rabbia iniziarono a scendere dai miei occhi, e gli sferrai uno schiaffo, facendogli girare la testa. Si toccò la parte colpita, guardandomi con sguardo divertito

 

“Ci divertiremo proprio tanto, tesoro”
 

Cesare a quel punto entrò nella stanza

 

“Malik, benvenuto nella mia umile dimora”

 

Zayn lasciò la presa sul mio collo, andando verso l’uomo che mi aveva generata, e facendo un inchino

 

“Signor Moretti, è un onore per me”

 

Lecca culo di merda.

 

“Vedo che già sei stato accolto da mia figlia… ma ora vieni, seguimi. Discuteremo di affari nel mio ufficio”

 

Iniziarono a camminare, ma prima di uscire dalla stanza Cesare mi chiamò

 

“Bambina, anche tu”

 

Magari sentire i loro discorsi mi avrebbe potuto aiutare, o avrei potuto ricevere qualche informazione su Stefan. Li seguii a distanza di sicurezza fino ad un grande ufficio, dove Cesare prese posto dietro la grossa scrivania e fece accomodare Zayn su una sedia di pelle nera di fronte questa, e fece cenno a me, di sedermi nell’altra

 

“Allora, dimmi pure”

 

Zayn si scharì la voce

 

“Aron è morto. Per la precisione ucciso da suo figlio, Stefan”

Cesare si accigliò

 

“E dov’è ora il ragazzino”

 

Zayn abbassò lo sguardo sulle sue mani incrociate sul tavolo

 

“Abbiamo perso i contatti con lui… non sappiamo dove sia”

 

“Bene. Lo voglio morto e sepolto”
 

I miei occhi si spalancarono, ritrovando il coraggio. Mi alzai dalla sedia di scatto

 

“Non osare sfiorarlo con un solo dito”

 

Cesare mi guardò divertito

 

“E che intendi fare, bambina mia?”

 

Mi guardai intorno, notando un taglia carte appuntito sulla scrivania. Lo afferrai velocemente

 

“Uccidermi non lo salverà, anzi...”
 

Io scossi la testa, cambiando la direzione della lama e puntandola sulla mia gola. Come una molla Cesare scattò, i suoi occhi colmi di preoccupazione

 

“Devi giurarmi che lo lascerete in pace, non lo cercherete e lui vivrà”

 

“Avanti, bambina. Posa il taglia carte”

 

“GIURALO”

 

Premetti di più la lama, sul mio collo, incidendolo leggermente. A quel punto ero solo un corpo morto che camminava, se questo fosse servito a tenergli salva la vita non avrei esitato due volte

 

“Va bene, va bene”

 

Un sospiro tremolante mi lasciò le labbra e allentai la presa sull’arma, ma fu un errore: in un secondo due uomini mi afferrarono le braccia, facendo cadere il taglia carte con un tonfo, e bloccandomi sulla scrivania. Mi dimenai, cercando di liberarmi dalla loro presa ma che si rafforzava sempre di più

 

“Portatela di sotto, magari andare a trovare il buon vecchio Elia la farà ammansire”

 

Mi trascinarono di forza, svoltando vari angoli della casa per poi arrivare in una parte metallica con delle scale che si immergevano nel buio. Mi trascinarono di sotto, gettandomi sul pavimento ruvido, ma prima che potessi alzarmi e correre il mio polso venne circondato da qualcosa di freddo. La porta subito dopo si chiuse con un tonfo e io rimasi seduta, cercando di liberarmi dalla presa della catena tirando ma non procurandomi altro che dolore. I miei occhi pian piano si abituarono al buio, illuminato solo dalla poca luce che filtrava da sotto la grossa porta, facendomi intravede la figura di un uomo ricurvo su una sedia: papà.

Iniziai a singhiozzare, avvicinandomi il più possibile a lui, riuscendo ad arrivare quasi a sfiorarlo

 

“Papà, cosa ti hanno fatto...”

 

Dissi fra i singhiozzi, e l’uomo sembrò sentirmi, alzando di poco la testa

 

“S-sohpie, che c-ci fai q-qui”

 

Sputò fra un colpo di tosse

 

“M-mi dispiace… ti tirerò f-fuori di qui”

 

Iniziai a tirare nuovamente le catene, cercando di liberarmi, ma procurandomi solo dolore

 

“Sophie…”

 

Mi richiamò, ma non lo ascoltai, continuando a tirare e non trattenendo le lacrime di dolore

 

“Gemma… ascoltami”

 

Mi fermai, continuando a singhiozzare

 

“I-io, n-non ci r-riesco. M-mi dis-spiace”

 

“Piccola Gemma… ti amo e lo farò sempre. Non è colpa tua, darei la mia vita per te”
 

Quelle parole suonavano come un addio

 

“P-perchè dici così. Noi ce la faremo, usciremo di q-qui. Stefan ci t-troverà”

 

Lui scosse la tesa

 

“Mi dispiace averti tenuta nascosta la verità. Non doveva andare così… tu meritavi il mondo”

 

“Papà… tu sei il mio mondo. Non avrei potuto chiedere genitore migliore”

 

Sorrise amaramente

 

“Avrei dovuto essere più presente nella tua vita… e non pensare solo al lavoro. È colpa mia se ti hanno trovato, non me lo perdonerò mai”
 

Scossi la testa

 

“Non è colpa tua… va bene così. Vedrai, andrà tutto bene”

 

“Gemma, ascoltami. Sii forte. Devi essere forte”

 

Io annuii velocemente

 

“Combatterò papà, lo farò”
 

Ma lui scosse la testa con un sorriso amaro

 

“Non voglio che tu lo faccia. Non combattere, piccola mia. Sii forte ma arrenditi a loro… ti faranno del male se non lo farai, e non posso permetterlo. Ubbidisci e non rischiare la tua vita… Non opporre più forza, ti voglio sapere al sicuro quando io non ci sarò più. Giuramelo, Sophie”

 

“M-ma papà, n-no. Non mi voglio arrendere, non-”
 

“Ti prego, mia piccola gemma. Loro non esiteranno a farti del male, e io non posso permetterlo. Ti prego”

 

Perché mi stava chiedendo di arrendermi? Non mi aveva cresciuto così. E io mi ero arresa, fino a quel momento, ma non era servito lo stesso a niente. Dovevo combattere, per me e per lui. Lo avrei portato fuori di qui, e sarei morta provandoci.

Toccai il polso, accorgendomi che era una manetta quella cosa che mi circondava il polso. Avevo visto tanti polizieschi e gialli nella mia vita, e c’era un modo per riuscire a liberarmi. Presi un respiro profondo, chiudendo gli occhi e contando fino a tre. Un crack riecheggiò nella stanza, rimbalzando nelle pareti. Mi morsi il labbro per non urlare dal dolore, stringendo gli occhi e sfilando la manetta dal polso

 

“Sophie! Cosa hai fatto”
 

Mi portai al petto la mano con il pollice rotto, alzandomi dal pavimento e avanzando verso mio padre

 

“Tu non mi hai cresciuta così. Mi hai insegnato a non arrendermi mai, ed è quello che ho intenzione di fare. Noi usciremo di qui, o moriremo provandoci”
 

Mi chinai dietro lo schienale della sedia, sciogliendo i nodi che lo tenevano fermo con la mano buona, per poi passare a liberare i piedi

 

“Andiamo, alzati”
 

Lo presi da sotto le ascelle, cercando di alzarlo, ma era un peso morto

 

“Non- riesco. Hai una possibilità senza di me, vai via”

 

Scossi la testa, avvolgendo un suo braccio sulla mia spalla e avvolgendogli il fianco

 

“Non ti lascio qui”
 

Riprovai ad alzarlo, ma era troppo pesante

 

“Devi farlo… ti rallenterei solo. Tornerai a prendermi, ma ora devi andare”

 

“M-ma-”
 

“Starò bene, gemma. Appena esci dalla porta svolta a destra, c’è un piccola porta che da su un garage. Prendi una macchina e scappa lontana da qui. Ti prego”
 

Lo guardai, cercando altre opzioni ma non trovandone

 

“Tornerò a prenderti. Te lo giuro”

 

Lui sorrise

 

“So che lo farai. Ti voglio così tanto-”

 

“NO! Non dirlo! Lo dirai quando saremo fuori di qui, non è un addio papà. Resisti”

 

Lui annuì, per poi piegarsi in avanti, troppo stanco per parlare ancora.

Seguii le sue istruzioni, salendo le scale silenziosamente e aprendo la porta metallica che cigolò. Il respiro mi si mozzo in gola e pregai che nessuno fosse nei dintorni e la avesse sentita. Mi affacciai, guardando il corridoio vuoto, così uscii seguendo le indicazioni e trovando la porta che aprii, ritrovandomi in un garage con varie auto. Puntai lo sguardo su una Range Rover: veloce e perfetta per una fuga. Vi montai, iniziando a cercare freneticamente le chiavi, ritrovandole nel cruscotto. Azionai la macchina, e la feci partire accelerando di colpo per sfondare il cancello, che si aprì con un colpo secco. Ma la mia corsa finì lì, in men che non si dica trovai l’entrata circondata da uomini armati e da macchine, impedendomi l’uscita. Zayn in prima fila, con una sigaretta accesa sulle labbra, dall’aria annoiata

 

“Avanti, tesoro. Scendi e finiamo questa ridicolaggine. Non hai dove andare”
 

Mi accigliai, cercando un’uscita, ma non trovandola. Non avrei potuto sfondare il blocco delle macchine neanche volendo: ero in trappola

 

“Sparate alle gomme”

 

Spalancai gli occhi, abbassandomi e nascondendomi il viso nelle mani, sentendo diversi pari e la macchina abbassarsi progressivamente. Avevano forato tutte e quattro le ruote, rendendo la macchina del tutto inutilizzabile. Diedi un pugno al volante, notando sotto il sedile il manico di una pistola. Non era finita.

Scesi dalla macchina, nascondendo l’arma dietro la schiena

 

“Abbiamo iniziato a ragionare vedo”

 

Non appena fui a qualche metro, uscii la pistola puntandola su Zayn, che rimase per un secondo sorpreso, per poi fare un sorrisetto divertito

 

“Sophie, Sophie, Sophie… cosa credi di fare? Non vedi che sei sola?”

 

“Non è sola”

 

Una voce giunse alle mie orecchie, riscaldandomi il cuore. In un attimo la casa fu circondata da macchine dell’FBI, elicotteri iniziarono a girare sul cielo, creando un gran caos

 

“Siete circondati. Abbassate le armi”
 

Mi girai con un sorriso stampato in faccia, quanto mi era mancato il suo viso…

 

“Ciao, amore”
 

Mi sorrise anche lui, e io mi precipitai tra le sue braccia, che subito mi accolsero. Il gruppo di uomini in divisa che lo avevano scortato, ci superarono iniziando ad ammanettare Zayn e gli altri uomini, che non avevano neanche provato a fare mezza mossa, consapevoli che se solo ci avessero provato si sarebbero ritrovati con un buco in testa

 

“Come…”
 

“Il tuo messaggio è arrivato”

 

Mi accigliai

 

“M-ma che messaggio, io n-non ho mandato niente, Stef”

 

Lui si accigliò

 

“Cazzo. È una trappola!!”

 

Urlò, prima di afferrarmi per un braccio e iniziare a correre verso una delle volanti. A quel punto dalla casa uscì Cesare, accompagnato da un’orda di uomini

 

“Finalmente ci conosciamo”

 

Stefan si parò davanti il mio corpo

 

“Hai perso. Sei circondato”

 

Cesare alzò le spalle

 

“Forse si, forse no. Ma posso ancora avere la mia vendetta”

 

In quel momento mio padre venne gettato a terra, ed io urlai, superando Stefan che mi attirò per i fianchi

 

“Digli addio, bambina mia”
 

Il volto di mio padre mi rivolse per un’ultima volta un sorriso, prima che una pallottola gli attraversasse il cranio. Successe tutto così velocemente, tutto così in fretta. Rimasi lì, con le orecchie che mi fischiavano e lo sguardo fisso sul corpo privo di vita dell’uomo che mi aveva cresciuto e amato. Il sorriso ancora stampato sul suo volto pallido e deturpato. Non gli avevo detto che gli volevo bene, lui non me l’aveva detto perché lo avevo fermato. Voleva darmi il suo addio perché sapeva ciò che sarebbe successo e io glielo avevo impedito. Se n’era andato senza un addio. Caddi sulle ginocchia, sulla terra, con lo sguardo fisso sul suo corpo, incurante di tutto quello che stava succedendo intorno a me. Sentivo urla, spari, gli elicotteri, sirene. La voce di Stefan

 

“Stefan...”
 

Sussurrai, guardando il ragazzo che cercava di riportarmi alla realtà. Mi alzai lentamente, ancora con i sensi intorpiditi, ma una figura dietro di lui catturò la mia attenzione. Dave. Sgranai gli occhi, spingendo il suo corpo e parandomi davanti.

Tutto successe in un battito di ciglia, senti tre colpi attraversarmi il corpo, e mi girai verso Stefan che mi guardava con gli occhi spalancati e il viso pallido

 

“T-ti am-mo”

 

Dalla bocca iniziò a sgorgarmi sangue. Non avevo paura, non sentivo dolore, ero felice. Gli avevo salvato la vita. In un secondo le sue braccia afferrarono il mio corpo barcollante e senza forze, accompagnandomi sulla terra e avvolgendomi. Il suo viso entrò nella mia visuale sfocata e la sua voce era l’unico rumore percepibile alle mie orecchie.

 

POV esterno

Erano in mezzo al campo di battaglia, la ragazza con tre pallottole da cui uscivano fiumi di sangue, e il ragazzo disperato che cercava di tenerla in vita. La scuoteva, incredulo di non essere riuscito a fermarla dal mettersi in mezzo alla traiettoria, perché quelle pallottole erano per lui. Lui doveva trovarsi steso in quella terra fangosa, fangosa per il sangue scarlatto che fuoriusciva dalla ragazza, mescolandosi con la terra e formando quella poltiglia disgustosa che li stava ricoprendo. La stese a terra, cercando di fermare il sangue che le usciva dallo stomaco, mentre lei lo guardava sorridente, con il volto pallido, prossimo alla morte. Nella sua testa pensava che lo avrebbe fatto altre mille volte, che ne valeva la pena, lo aveva detto tante volte che avrebbe dato la sua vita in cambio di quella del ragazzo, e quel momento era arrivato.

Lui la guardava disperato, piangendo per la prima volta dopo tanto, perché stava perdendo l’unica persona che avesse mai amato, l’unica persona che era riuscito a fargli abbattere tutte le pareti e i muri, insinuandosi nella sua vita con prepotenza.

Le sussurrò che l’amava, che non doveva sacrificare la sua vita preziosa per la sua inutile, perché era così: la sua vita senza di lei non aveva valore. La strinse a sé, mentre il suo respiro rallentava e le sue palpebre si chiudevano. La mano che teneva la sua perse la stretta, lasciandola andare e cadendo con un piccolo tonfo sulla terra fangosa. Il ragazzo si lasciò andare in un urlo disperato, mentre tutto intorno si fece il silenzio. Degli agenti corsero verso di lui, prendendogli dalle braccia la ragazza, e urlando ordini a lui, che rimase con lo sguardo perso e il desiderio di vendetta che gli bruciava le viscere

 

“Portatemi Dave”

 

Gli uomini si guardarono, non sapendo che fare, mentre la ragazza venne caricata su una barella e portata via.

 

“Dove cazzo è”

 

Era come un treno in corsa, nessuno avrebbe potuto fermarlo, ma d’altronde nessuno ne aveva intenzione. Quel ragazzo gli aveva consegnato uno dei più ricercati trafficanti e malavitosi. Così gli fecero spazio, indicandogli una volante parcheggiata poco più in là, da cui il biondo gli sorrideva con uno sguardo soddisfatto. Anche se le pallottole non erano per la ragazza, aveva ottenuto la sua vendetta, una vendetta migliore. Come Stefan gli aveva portato via tutto, lui gli aveva portato via l’unica cosa che gli era rimasta.

Stefan spalancò lo sportello, afferrando per il colletto il ragazzo dagli occhi azzurri, tirandolo fuori dalla macchina e lanciandolo sulla fiancata dell’auto con tanta forza che questo si ammaccò, procurando un grugnito di dolore al ragazzo. Intorno a lui si era formata una cerchia di agenti, d’altronde anche loro cercavano vendetta: vendetta per il loro agente e per la sua bambina, che in fin dei conti tutti avevano aiutato a tenere al sicuro, pur non riuscendoci.

Stefan subito gli fu al collo, alzandolo e stringendo le sue mani, bloccandogli il respiro e facendogli arrossare il volto, ormai il sorrisino spavaldo scomparso dal suo viso

 

“Mi hai portato la cosa più importante della mia vita”

 

Sussurrò, con il volto rigato dalle lacrime. Lo tenne sollevato in aria fin quando i suoi occhi non iniziarono a chiudersi, e il suo corpo non smise di muoversi, ma a quel punto mollò la presa, permettendogli di tornare a respirare

 

“Ho il potere di ucciderti. Ma non lo farò. Se tu vivi è perché io te lo permetto, ma sappi che da questo momento la tua vita non ti apparterrà più, sei una marionetta al mio servizio”

 

Il ragazzo si portò le mani al collo ricoperto dal sangue della ragazza, tossendo convulsivamente e cercando di regolare il respiro. Gli agenti subito lo afferrarono, facendolo risalire in macchina e chiudendo lo sportello. Se il ragazzo aveva deciso di lasciarlo in vita, avrebbero rispettato il suo volere.

Il corpo di Elia venne coperto con un lenzuolo e portato via, così come i corpi di quelli che avevano provato a ribellarsi.

Stefan si infilò in macchina, scortato dagli agenti, correndo verso l’ospedale. Non sapeva se la sua ragazza ce l’avrebbe fatta, non sapeva se era troppo tardi, ma quel che sapeva era che se lei non ce l’avesse fatta allora non avrebbe buttato la sua vita come si era giurato di fare, come aveva giurato ad Elia qualche giorno prima. Se lei aveva sacrificato la sua vita per salvargli la sua lui l’avrebbe vissuta, usandola nel modo giusto e non gettandola al vento. Non avrebbe reso la sua morte inutile.

E così arrivò in ospedale, non sapendo il destino che lo avrebbe atteso. Chiese al bancone della ragazza e gli dissero che stava lottando per la vita in sala operatoria e così corse per i corridoi di quell’ospedale dai muri immacolati, sembrando essere uscito dall’inferno per il sangue che lo ricopriva. Corse in quei corridoi fino a fermarsi nella sala d’attesa, cercando e aspettando con lo sguardo che un medico o un infermiere uscisse da quelle porte, portandogli notizie.

Le ore passarono, e il pavimento di quella stanza si ricoprì delle sue orme infangate.

Finalmente la porta si aprì, e da questa ne uscì un dottore che si guardò intorno, incontrando il sua sguardo con quello disperato del ragazzo. Stefan in un balzò gli fu davanti

 

“Come...”

 

Il medico gli annuì e lui per un secondo si sentì sollevato

 

“Siamo riusciti a salvarla per un pelo. I proiettili hanno colpito una parte del polmone che è stata danneggiata, e abbiamo dovuto esportarlo di urgenza. Gli altri hanno colpito lo stomaco e il fianco. Ancora non è fuori pericolo, ha perso molto sangue; dovremo aspettare le prossime ore per vedere se si risveglia”
 

Stefan si portò una mano alla bocca, pensando alla povera ragazza che avrebbe potuto non svegliarsi mai più

 

“Posso vederla?”
 

Chiese in un sussurro e il medico annuì

 

“È in un ambiente sterile, prima si deve pulire e cambiare. Non possiamo rischiare che le ferite si infettino. Da quella parte c’è una doccia, le faremo trovare dei vestiti puliti”

 

Stefan annuì, precipitandosi nella stanza indicata, lavandosi in modo frettoloso e cambiandosi con una divisa dell’FBI pulita. Si precipitò dalla stanza, con ancora gocce d’acqua che gli scendevano per il corpo non essendosi preoccupato di asciugarsi. Entrò nella stanza, trovando la ragazza distesa sul lettino bianco, tubi e cavi erano attaccati alla sua pelle, e fasce bianche la circondavano varie parti del corpo. Ma nonostante tutti i lividi e graffi e la sua pelle pallida, per Stefan rimaneva la ragazza più bella del mondo.

Le si avvicinò cautamente prendendole la mano pallida con il polso fasciato, e si chiese l’inferno che aveva passato in quella casa, maledicendosi per non essere riuscita a trovarla prima.

Rimase lì, immobile ad osservarla, fin quando un bussare leggero richiamò la sua attenzione: tre uomini in divisa entrarono nella stanza, guardando con pietà il ragazzo distrutto

 

“È il momento”

 

Stefan annuì

 

“Ho bisogno ancora di qualche minuto, e di un foglio e una penna”
 

Gli uomini annuirono, lasciandolo solo nella stanza.

Dopo qualche minuto Stefan piegò la carta, posandola sul comodino della ragazza, e le si avvicinò, premendo le labbra sulla fronte pallida che in qualche modo lo confortò, sentendo quel lieve calore della sua pelle

 

“Vivi per me”

 

Dopo queste ultime parole uscì, non guardandosi più indietro.

Non sapeva se ce l’avrebbe fatta, ma quello su cui aveva certezza era che quella sarebbe stata l’ultima volta per molto tempo che i suoi occhi l’avrebbero vista.

 

------------------

Ve lo avevo detto a prestissimo...

Siamo giunti alla fine della storia, forse manca un ultimo capitolo, senza contare l’epilogo.

Secondo voi che accadrà? Sophie si risveglierà? E la lettera cosa dirà? E soprattutto, perché Stefan è così sicuro che non la vedrà per molto tempo?

Vi lascio così, mi raccomando: continuate a votare e commentare se volete, conta molto per me. Un grosso bacio

XX

-R

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


POV Sophie

bip bip bip

 

Un rumore costante e ripetitivo scandiva il tempo, risuonando nelle mie orecchie e svegliandomi dallo stato in cui mi trovavo

 

Bip bip bip

 

Il suono si faceva più insistente, più forte. Spalancai gli occhi di colpo

 

“Papà!”

 

Urlai, guardandomi intorno freneticamente, cercando di mettere a fuoco il posto in cui mi trovavo, ma le pareti bianche rendevano difficile vedere, facendo rimbalzare la luce e rendendola accecante.

Sfregai gli occhi, sentendomi il braccio limitato nei movimenti. Quando riaprii gli occhi, mi resi conto di essere attaccata a delle macchine con dei tubicini e che la stanza bianca era una stanza di ospedale. Cercai di alzarmi, ma un bruciore al torace mi riportò giù, distesa sullo scomodo materasso. Subito dopo sentii un gran vociare provenire dai corridoi, e una equipe di medici invadere la mia stanza

 

“È sveglia!”

 

Guardai con occhi corrucciati il dottore in camice che si fece avanti

 

“Dov’è mio padre?”

 

Pronunciai con voce gracchiante, la gola secca che urgeva acqua. Dietro di questo gli infermieri si scambiarono sguardi pieni di pietà

 

“Signorina, cosa si ricorda?”

 

Chiese lui incerto. Cercai di fare mente locale, sfregandomi debolmente le tempie

 

“I-io… ricordo Cesare, Stefan che urlava e...”

 

Sbiancai di colpo, alzando lo sguardo e incontrando quello del medico che mi guardava afflitto.

Cesare aveva sparato a mio padre. I ricordi mi investirono, lasciandomi solo paura e terrore

 

“V-voi l’avete s-salvato, non è così? Insomma, l-lui non p-può...”

 

Il medico abbassò lo sguardo, incapace di sostenere il mio, e così provai a guardare quello degli infermieri dietro di lui, ottenendo gli stessi sguardi colmi di pietà

 

“D-dov’è… perché nessuno me lo vuole dire”

 

Lacrime iniziarono a scendere dai miei occhi, perché sapevo. Sapevo che lui era… non riuscivo neanche a pensarlo

 

“Signorina, il signor Elia Fiore è stato ucciso in una sparatoria, il giorno in cui lei è stata salvata. Cesare Moretti insieme a tutti i suoi complici hanno ricevuto l’ergastolo”
 

Mi portai una mano sulla bocca, cercando di nascondere i singhiozzi, consolandomi solo con il pensiero di sapere Cesare, l’uomo che mi aveva rovinato la vita, rinchiuso in una cella. Mio padre non c’era più… anche l’ultimo genitore che avevo mi era stato portato via precocemente. Una morsa mi stringeva a livello del cuore, rendendomi difficile respirare, e il medico se ne accorse, avanzando e toccandomi il braccio

 

“Signorina, so che è una notizia tremenda… ma deve cercare di calmarsi, per la sua salute”
 

Io annuii, cercando di regolare il respiro, e riuscendoci qualche minuto dopo. Strinsi gli occhi, e accettai il bicchiere d’acqua offertomi da uno degli infermieri, sorseggiandolo con calma.

Avevo bisogno di un abbraccio dall’ultima persona che mi era rimasta… avevo bisogno che mi tenesse stretta a sé, dicendomi che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma perché lui non era qui aa tenermi la mano?

 

“S-stefan. Dov’è il mio ragazzo”

 

Il medico mi lanciò un altro sguardo pieno di pietà, e mi sentii morire. Anche lui no

 

“Non mi dica che...”
 

Sussurrai, sentendo le lacrime rifare il loro corso verso gli occhi. L’uomo iniziò a scuotere la testa, facendomi tirare un sospiro di sollievo

 

“E allora dov’è”

 

“Ne parleremo tra un momento. Intanto ho bisogno di fare un controllo per vedere se è tutto apposto, tre mesi in coma possono aver influenzato le funzioni motorie”

 

Sbiancai

 

“T-tre m-mesi…? C-coma?”

 

Il medico mi guardò incerto

 

“Signorina, lei è qui perché le hanno sparato tre colpi. Due hanno colpito non parti vitali, ma uno le ha perforato il polmone destro che abbiamo dovuto esportare di urgenza. Se l’avessero portata in ospedale due minuti più tardi probabilmente lei non sarebbe qui in questo momento. Il recupero è stato lungo, e per questo all’inizio, per i primi giorni, è stata indotta in un coma farmacologico, per accelerare la sua guarigione. Ma anche dopo averlo interrotto non si risvegliava. È stata dormiente per tre mesi e sette giorni”

 

Il mio cervello elaborò le informazioni velocemente. Non avevo più un polmone, questo era il motivo del bruciore. Ed ero stata in coma, per tre fottuti mesi e sette cazzo di giorni. Questo voleva dire solo una cosa:

 

“Il suo… funerale”

 

Il medico si sedette accanto a me, stringendomi l’avambraccio, cercando di darmi una qualche sorta di conforto

 

“È stato fatto due mesi fa, hanno aspettato un suo risveglio fino all’ultimo momento... ma non potendo più attendere… lo hanno seppellito accanto a sua madre, qui a Viterbo”

 

Il mio cuore martellava nel petto. Non ero riuscita a dirgli l’ultimo addio, e neanche a presenziare al suo funerale. Non ero stata in grado di vedere il suo viso per un’ultima volta, di dirgli quanto lo avevo amato, che padre fantastico era stato nonostante tutto. Lacrime iniziarono a scendere dai miei occhi. Avrei voluto non risvegliarmi più, il dolore sarebbe stato di meno...

I medici iniziarono a fare i vari controlli, mentre io ero come estraniata da tutto. Non sentivo neanche più dolore. Volevo solo Stefan, il suo abbraccio confortante che mi avrebbe fatto sentire meglio.

 

“Dov’è Stefan”

 

Chiesi nuovamente e con voce ferma. Non volevo più aspettare, non potevo più aspettare.

Il medico sospirò, dirigendosi verso il comodino sulla mia sinistra e aprendone il cassetto, tirandone fuori un foglio piegato con il mio nome scritto su

 

“Questa risponderà alle sue domande. Le lasciamo un po' di tempo, sembra andare tutto apposto, la terremo qui ancora per qualche giorno poi sarà libera di andare”

 

Andare dove? Non avevo più una casa, una famiglia, non avevo niente da cui ritornare.

Dicendo così, uscì dalla mia stanza, seguito dal gruppo di infermieri, lasciandomi più confusa che altro.

Mi rigirai il foglio in mano, incerta se aprirlo: non poteva premettere nulla di buono.

Presi un respiro profondo, prima di aprirlo con mani tremati e iniziare a leggere quelle parole scritte con mano inferma, con l’inchiostro sbiadito lì dove le sue lacrime era state assorbite dalla carta

 

 

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Sophie,

quando leggerai questa lettera io probabilmente non sarò lì con te, ad abbracciarti e darti quel conforto di cui avresti bisogno.

So che dopo che avrai letto queste parole probabilmente mi odierai, e mi sta bene così, amore mio. Perché tutto quello che ho fatto, è stato solo per te. E se mi detesterai… sarà più semplice per te andare avanti e lasciarmi come una piccola virgola della tua vita.

 

Non dovevi farmi da scudo. Quelle pallottole erano destinate a me, solo a me; a quest’ora ci sarei io su questo lettino a combattere per la vita, non tu.

Sei così innocente, così pura Sophie. Non ti meriti tutto questo dolore. Ti meritavi qualcuno di normale, un ragazzo con cui passeggiare mano nella mano nel parco, andare al luna park, dividere un frappè con due cannucce. Non ti meritavi me, pieno di problemi e con la storia già scritta, senza un lieto fine.

 

Sono stato un egoista a non lasciarti andare, se fossi riuscito a frenare i miei istinti niente di tutto questo sarebbe successo, o almeno non la parte in cui tu sei distesa su quel cazzo di letto.

Non poterti stare accanto mi distrugge l’anima, vederti stesa qui ha frantumato gli ultimi pezzi del mio cuore. Ho una paura folle di perderti, Sophie. Ma so che non ho scelta.

 

I dottori hanno detto che il peggio è passato, ma che non sei fuori pericolo, e io sarei voluto rimanere lì al tuo fianco, a stringerti la mano e aspettare il tuo risveglio. Perché si Sofia Fiore, tu ti risveglierai. Io sono sicuro che combatterai con le unghia e con i denti e ti risveglierai, amore mio. Lascerai tutti a bocca aperta, riprendendoti completamente, così come riuscivi a stupire ogni giorno me.

Ma non sarò lì con te.

 

Quando ti hanno portato via da me sono impazzito e ho smesso di ragionare. E le mie azioni hanno avuto delle conseguenze: ho ucciso mio padre, gli ho piazzato una pallottola nel cervello, Sophie, e non me ne pento.

Con lui una parte dei miei demoni se ne sono andati. Ma ne sono arrivati degli altri: dovevo trovarti, a qualunque costo. Non potevo lasciare che Cesare ti avesse senza combattere, e così ho fatto l’unica cosa che mi avrebbe dato qualche chance: sono andato all’FBI.

Ho stretto un patto con loro Sophie, un patto che non potrò spezzare.

All’inizio non riuscivamo a localizzarti, poi è arrivato un messaggio da un telefono sconosciuto che rivelava la tua posizione, e ci siamo cascati tutti. Non mi importava se era una trappola, quel che sapevo era che quella era l’unica pista possibile, e l’ho seguita. Se non fossi stato così irruente, così imprudente, forse avremo potuto organizzare un piano migliore e magari Elia sarebbe vivo… è colpa mia se lui non c’è più. Questo fardello lo porterò per tutta la vita.

 

Ti starai chiedendo perché non posso essere lì con te e so che appena lo leggerai, mi odierai. Ma non avevo scelta, perché la mia libertà viene e verrà sempre dopo la tua salvezza.

Mi sono consegnato all’FBI, Sophie.

Ho confessato tutti i miei crimini, compresa l’uccisione di mio padre, e in cambio loro mi hanno aiutato a ritrovarti, mettendomi a capo di una squadra. Ho ottenuto una riduzione di pena per aver collaborato con loro, fornito tutte le attività illegali di mio padre e aiutato nella cattura di Cesare, di Zayn, di Dave.

È finita, sono tutti in carcere in attesa del processo che non potrà fare altro che ritenerli colpevoli. E tu sarai libera, amore mio. Libera da tutta quella merda, libera da me.

Sophie, starò in carcere per dieci anni, otto con la buona condotta. È questo il motivo per cui non mi vedrai al tuo risveglio, per cui non mi rivedrai mai più.

 

Per questo ti chiedo, ti prego: dimenticami. Vai avanti con la tua vita, trova un ragazzo che ti ami almeno quanto ti ho amato io, che ti porti fiori e cioccolatini a San Valentino, che ti tenga per mano mentre camminate in spiaggia all’alba, che ti sappia consolare e tenere stretta.

Io sono stato solo una piccola parte nella tua vita, non era nel destino un nostro lieto fine, ma tu puoi ancora averlo. Non sprecare la tua vita ad aspettarmi, amore mio. Vai avanti.

Il tuo cuore è così pieno di amore. Sarà capace di provarlo di nuovo, più forte e intenso di prima, Sophie.

 

Non ti dimenticherò mai, Sofia Fiore. Rimarrai sempre la parte più importante della mia vita, e per questo, finalmente, riesco a lasciarti andare. Ti rendo libera da tutto questo male, puoi ricominciare la tua vita d’accapo.

 

Ho caricato tutti i miei risparmi in un conto a nome tuo. Voglio che tu li prenda, insieme a quelli di tuo padre, e che tu vada dove ti porta il cuore, che sia l’Italia, l’America o anche l’Antartide. Vai dove sarai felice e ricomincia la tua vita.

Sii felice.

Per sempre tuo,

Stefan

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Osservai il foglio, con un’espressione marmorea. Nessuna lacrima scese dai miei occhi. Nessun urlo uscì dalla mia bocca. Non provavo niente, niente rabbia, niente tristezza. Il nulla assoluto.

Quella lettera era stata la molla per spegnere qualsiasi cosa dentro di me, ogni tipo di sensazione e sentimento. Ero un corpo privo della sua vitalità, un corpo vuoto.

Richiusi la lettera e la posai nel cassetto.

 

 

Era passata una settimana ed ero stata dimessa dall’ospedale. Ora stavo camminando a passo lento sul prato verde, con qualche fiore che sbucava regalandogli chiazze di colore. Il sole alto e il cielo più azzurro che mai, ma il clima e il tempo non rispecchiavano il mio umore, né tanto meno il luogo in cui mi trovavo.

Avanzai con passo incerto, le mie ballerine nere lucide, affondavano sul terreno lasciando impronte leggere. Era da anni che non venivo in questo posto, viaggiando sempre e spostandoci di paese in paese l’ultima volta che vi ero stata ero piccola, talmente piccola da non ricordamelo neanche.

Ed eccole lì, le due lapidi una di fianco all’altra, di un marmo candido che faceva riflettere la luce, facendola rispecchiare sulle targhette dorate: Cristina ed Elia Fiore.

Lo avevano seppellito con il nome che aveva preso dopo aver adottato me, cancellando il suo passato da Carlo Rizzo.

Accarezzai le due foto, ritraenti i volti dei miei genitori, troppo giovani per trovarsi lì, troppo sorridenti e felici.

Le lacrime iniziarono a scendere copiose, e le mie ginocchia tremarono, facendomi finire a terra, ma non mi curai di sporcare il vestito o la mia pelle

 

“Mi avete abbandonata”

 

Dissi tra le lacrime e i singhiozzi

 

“Dovevamo essere una famiglia felice”

 

Poggiai la testa sulla lapide di mio padre

 

“Non ti ho potuto neanche dire addio. Tu non hai potuto, te l’ho impedito… se solo- se solo potessi tornare indietro papà… ti amo così tanto e non te l’ho potuto dire un’ultima volta! M-mi dispiace, papà! Sono una delusione, non riesco ad essere forte. Mi hanno lasciato tutti, sono sola! Perchè non potevi lasciare tutto e vivere una vita felice con me… perché hai deciso di indagare? PERCHÈ?!”

 

Iniziai a prendere a pugni la lapide, fino a farmi sanguinare le nocche. Urlai dalla disperazione. Probabilmente sembravo una pazza, ma d’altronde lo ero. Ero disperata, una pazza disperata.

Non mi rimaneva più niente.

 

 

Tre anni dopo

Aprii la porta di casa, cercando di mantenere in equilibrio i sacchi della spesa con una mano, e girare la chiave con l’altra, ma fallii miseramente, rovesciando tutto il contenuto per terra

 

“Merda”

 

Mi chinai, cercando di raccogliere tutto velocemente

 

“Ei, aspetta. Ti aiuto”
 

Una voce profonda attirò la mia attenzione, e sollevai lo sguardo incontrando due occhi color nocciola e capelli ricci che ricadevano sulla fronte

 

“Uhm, grazie”

 

Gli sorrisi, mentre mi porgeva le ultime cose. Ci alzammo, mentre lui mi prese due dei sacchi che avevo in mano facendo guizzare i muscoli, porgendomi quella libera

 

“Sono Leone, Leo, piacere”

 

Gli sorrisi cordiale, stringendo la sua mano

 

“Sofia, ti ringrazio per i pacchi. Puoi darmeli, ce la faccio”

 

Feci per prenderli ma lui indietreggiò

 

“Non sarei un gentiluomo”
 

Gli sorrisi, spostando una ciocca dietro l’orecchio. Il suo sguardo in un certo senso mi intimoriva

 

“Non ti avevo mai visto in questo palazzo, appena trasferito?”
 

Lui annuì, chiamando l’ascensore e facendomi cenno di entrare

 

“Giusto ieri. A che piano sei?”

 

“Ultimo”

 

I suoi occhi si illuminarono, e per la prima volta mi rivolse un sorriso con i denti

 

“Saranno le coincidenze… ma anch’io sto all’ultimo”

 

Sentii le guance arrossarmi e abbassai lo sguardo

 

“Cosa ci fai qui, a Viterbo?”

 

Gli chiesi

 

“Mi sono appena laureato e mi hanno assunto come tirocinante in uno studio veterinario”
 

Gli sorrisi

 

“E tu?”

 

Nel mentre le porte dell’ascensore si aprirono e io gli feci strada verso il mio appartamento

 

“È una storia lunga… ma sono all’ultimo anno di lingua e letteratura inglese”

 

Lui si lasciò sfuggire un “wow” di ammirazione, al cui ridacchiai

 

“Ho tutto il tempo che vuoi… sono curioso di sentire la tua storia”

 

Richiusi la porta alle spalle

 

“Beh, sto scrivendo un libro su questa… non è una storia normale”

 

Dissi ridacchiando, ripercorrendo la mia vita.

Erano passati ormai tre anni e qualche mese da quel giorno, quel giorno che aveva cambiato la mia vita per sempre.

Il primo anno era stato il peggiore, ero rientrata a Vienna dove avevo terminato i miei studi, ma non ero rimasta nella stessa casa… troppi ricordi ovunque.

Così avevo affittato un appartamento vicino scuola con Kylie, con cui tutt’ora ero in contatto e che mi aveva aiutato tantissimo per quel periodo così buio.

Dopo aver terminato gli studi, seppur a fatica, avevo girato un po' il mondo, cercando di capire cosa volessi fare, ed ero arrivata ad una conclusione: Viterbo.

Qui era dove la mia vita era finita, e dove sarebbe ricominciata. Avrei avuto i miei genitori vicini, anche se non fisicamente, e Stefan… non trovai mai il coraggio di andare a trovarlo, troppo dolore. Ma non lo avevo dimenticato e con il tempo avevo imparato a perdonarlo per avermi abbandonato, perché mi aveva salvato. Se non fosse stato per lui a quest’ora non do dove sarei stata…

Dopo lui il mio cuore non era più riuscito ad aprirsi, ma con il tempo le sue ferite si stavano rimarginando.

 

“Non vedo l’ora di leggerlo allora”

 

La voce profonda del ragazzo richiamò la mia attenzione.

Sembrava così diverso da tutti quelli incontrati in questi anni e c’era qualcosa che mi attirava, che mi faceva venir voglia di conoscerlo…

Chissà cosa mi avrebbe preservato il destino.

 

 

 

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Capitolo 31
*** The End ***


POV esterno

Cinque anni dopo

 

Eccoci qui, cinque anni dopo quel giorno che aveva cambiato le vite dei due ragazzi.

Oggi Stefan sarebbe stato libero, libero di poter tornare dalla sua amata Sophie, perché in fondo, anche se in quella lettera la aveva pregata di andare avanti, lui sperava che lei lo avesse aspettato. Era stato meno doloroso il tempo passato in cella, con la foto della ragazza a cui aveva consegnato la chiave del suo cuore, stretta al petto. Stefan passava le notti a guardare quella foto, accarezzando il viso ritratto e immaginando di sentire la soffice pelle sotto le sue dita, i capelli morbidi e quelle labbra, che in quella foto non rendevano giustizia. Ma lui le aveva ben impresse nella sua mente, quelle labbra che aveva baciato così tante volte da conoscerle sotto ogni aspetto. E allora lui si passava le dita sulle sue, di labbra, immaginando di sentire quelle di Sophie lasciargli dolci baci.

Il suo amore verso la ragazza era cresciuto ogni giorno, come se l’attesa di rivederla, di poterla toccare e sentire il calore della sua pelle, avesse amplificato quel suo unico sentimento.

Lei non era mai andato a trovarlo, ma gli andava bene così. Forse la ragazza lo aveva dimenticato, accantonandolo in un angolino della sua mente e rifacendosi una vita, una vita senza di lui. E in quel caso Stefan non avrebbe potuto far altro che perdonarla, perché, anche se la colpa non era sua, lui non era stato presente in quegli otto lunghissimi anni.

Ma a lui bastava sapere che Sophie stesse bene e fosse felice. Perché amare vuol dire anche questo, gioire della felicità della persona amata, anche se questo vuol dire lasciarla andare.

 

Una guardia gli andò ad aprire la cella, lanciandogli uno sguardo di ammirazione. Il ragazzo infatti si era fatto una certa fama, chiunque lì conosceva la sua storia, il sacrificio che aveva fatto, ed era ammirato e guardato con invidia dagli altri compagni di cella.

Uscito da lì, aveva fatto patti con i Servizi Segreti Italiani e avrebbe iniziato a lavorare per loro. Si era reso conto che poteva essere utile, usare tutti gli insegnamenti del padre in maniera corretta, aiutando il prossimo, e i SSI conoscevano le potenzialità del ragazzo, e non avevano esitato a prenderlo sotto il loro comando. Sarebbe potuto diventare il prossimo Elia, il ragazzo.

 

Mentre Stefan raccattava i suoi averi, che non erano poi tanti, fuori dal cancello del carcere che li aveva tenuti separati per otto anni, una Sophie nervosa camminava avanti e indietro, torturandosi le mani sudate e toccandosi continuamente i capelli.

La ragazza era andata avanti, proprio con quel Leo del suo palazzo, ma un pezzo del suo cuore era rimasto al ragazzo che aveva sacrificato la sua libertà per la sua salvezza. Aveva amato Leone, ma niente in confronto a quel sentimento che continuava a provare per Stefan, non lo aveva mai dimenticato, forse accantonato per quei pochi anni in un angolino, cercando di concentrarsi su quello che aveva in quel momento, perché si, qualcosa di importante era successo e le aveva stravolto la vita.

Sophie continuava a camminare, pensando se avesse fatto la scelta giusta a presentarsi lì, magari il ragazzo la aveva dimenticata, o peggio, si era pentito di aver messo la sua libertà dopo la vita della ragazza e ora la odiava. E come biasimarlo? Lei non lo aveva mai chiamato, mai una visita. Non aveva mai fatto niente per mostrargli la sua gratitudine. Ma questo perché lei, in Italia, si era trasferita solo dopo aver finito gli studi a Vienna, e subito dopo aveva incontrato Leone, con cui si era fatta una vita.

 

Scosse la testa, facendo retromarce verso la macchina, pentita di essersi presentata lì, ma nel momento esatto in cui lei aprì lo sportello della sua macchina, il cancello arrugginito con un ringhio si aprì, permettendo al ragazzo di uscire e prendere il suo primo respiro di libertà, che gli morì in gola non appena il suo sguardo incrociò quello della ragazza che si era bloccata

 

“Sophie...”

 

Sussurrò lui, incredulo di averla lì, e pensando per un momento che se la stesse immaginando, tanto era la voglia di rivederla. Ma lei era lì, eccome se era lì.

La ragazza si riprese dallo shock, immergendosi e perdendosi nel verde dei suoi occhi, che non ricordava essere così belli. Era cresciuto, Stefan, e il suo viso era più da adulto, perfino con qualche ruga vicino gli occhi dovuta alla stanchezza, e si era fatto anche più muscoloso, più grosso. Ma era sempre il ragazzo che era capace di rubare battiti del cuore della ragazza.

 

“Stefan...”

 

Sussurrò in risposta lei, accennando un sorriso timido.

Stefan la guardò bene. La sua Sophie non era più una ragazzina, ma una donna. I capelli che ricordava lunghi fino alla schiena, ora corti alle spalle, con una frangetta ad incorniciarle quel viso dalla pelle di porcellana. Le sue curve ora erano morbide, i suoi fianchi candidi coperti da quella giacca dal colore blu scuro, e quei pantaloni a sigaretta del medesimo colore che le fasciavano perfettamente le gambe. Era più bella di quanto si ricordasse e riusciva ancora ad emanare quel calore che lo faceva sentire a casa.

Anche lui le sorrise, percorrendo cautamente ma con una certa fretta quei pochi metri che li separavano, fermandosi a meno di un metro da lei, e allungando una mano verso il suo viso, sfiorandole una gote che si colorò subito di rosa, facendolo sorridere ancora di più. Era sempre la sua Sophie

 

“Sei più bella di quanto mi ricordassi”

 

Sussurrò lui, tirandola stretta tra le sue braccia. Il suo corpo che quasi riusciva a nasconderla dal mondo esterno, proteggendola.

In quel momento Sophie fece un respiro di sollievo, Stefan non la odiava e non provava rammarico, così anche lei si lasciò andare tra quelle braccia, poggiando l’orecchio sul suo petto e sentendo il battito del cuore di entrambi aumentare. Quelle braccia le aveva sognate così tanto da ricordarsi ogni singolo dettaglio, ogni singolo neo o tatuaggio. Il corpo del ragazzo aveva ancora quella capacità di calmarla. E così si lasciò cullare, cercando di respirare il più possibile il profumo della pelle del ragazzo e di assimilare il suo calore.

Quando lui la lasciò andare, si guardarono negli occhi, leggendovi dentro l’amore provato e mai esaurito

 

“Ti va un caffè?”
 

Gli chiese Sophie, imbarazzata da quel lungo scambio di sguardi. Il ragazzo ridacchiò, annuendo.

Così si infilarono entrambi nella macchina di Sophie, che iniziò a guidare verso la città, in silenzio. Ma mentre lo sguardo suo era concentrato sulla strada, quello di Stefan era su di lei, cercando di cogliere quanti più dettagli possibili, perché non sapeva se quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe rivisto la ragazza

 

“Uhm… scendiamo?”

 

La voce timida della ragazza lo risvegliò dalla trance, e lui arrossì sentendosi uno stupido per essersi fatto cogliere in flagrante ad osservarla.

Entrarono nel bar poco affollato, prendendo due caffè al volo e sedendosi in un tavolo separato dagli altri.

Sophie sorseggiò la sua bevanda, cercando di non scottarsi la lingua, e cercando di pensare a come dire quello che era successo in quegli anni, perché non era una cosa semplice.

Stefan invece teneva il bicchiere tra le mani, osservando la ragazza torturandosi il labbro, perché sapeva che lei doveva dirgli qualcosa, ma non sapeva come farlo. Così prese parola, sorridendole teneramente

 

“Allora… cos’hai fatto in questi anni? Sei rimasta qui in Italia o…?”
 

Lei scosse la testa, abbassando lo sguardo e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio

 

“Dopo che papà… insomma, dopo che lui se n’è andato sono ritornata a Vienna e ho finito gli studi. Poi sono ritornata qui, in Italia, e ho iniziato a studiare per diventare professoressa di letteratura inglese. Mi sono laureata due anni fa e sono stata assunta a tempo pieno all’Università”

 

Stefan le sorrise, la vedeva proprio bene seduta su una di quelle cattedre, mentre spiegava i grandi classici ai ragazzi, facendolo con passione. Quando lei parlava era impossibile non pendere dalle sue labbra, beh forse su questo lui era un po' di parte… ma non c’era dubbio che Sophie avesse una grande passione verso la Letteratura Inglese e di sicuro sarebbe stata capace di passarla anche al più testardo dei testardi.

Sophie continuò a parlare del suo lavoro, raccontando dei suoi studenti e di come ogni tanto le facessero perdere la pazienza, ma lei era buona, e sapeva di certo come comportarsi con loro. Il ragazzo le sorrideva, guardando le sue labbra chiudersi e aprirsi e perdendosi nella sua voce e nelle sue parole. Beh, questo fin quando una terza voce non giunse alle orecchie dei due ragazzi, ormai non tanto ragazzi

 

“Mamma! Mamma!”

 

Un bambino di circa quattro anni corse verso il loro tavolo, rischiando quasi di far cadere un cameriere. Sophie si bloccò, guardando il piccolino con la bocca mezza schiusa e uno sguardo pieno di paura sul viso. E lì, Stefan capì chi fosse quel bambino, e le sorrise teneramente, per tranquillizzarla che tutto andava bene, anche se dentro si sentiva morire.

Sophie si alzò dal tavolo, accucciandosi accanto al bambino che la abbracciò

 

“Elia! Vi avevo detto di aspettare fuori, dov’è Anna?”

 

Gli chiese, scostando i ricciolini ribelli che gli scendevano sulla fronte. Ma quella domanda si rispose da sola, perché poco più indietro una donna trafelata sulla sessantina, si faceva strada tra i tavoli, tenendo per mano una bambina dai capelli lunghi e biondi

 

“Elia! Quante volte ti ho detto di non scappare in questo modo! Mi farai morire di infarto!”

 

La donna disse, arrivando al tavolo e portandosi una mano sul petto. Sophie prese in braccio il piccolo, rivolgendosi alla donna con sguardo dispiaciuto

“Anna, scusami se ti fa disperare…”

 

Ma quella frase fu interrotta da quella curiosa e piccolina della bambina, che si era avvinghiata al braccio della signora

 

“Sei il nostro papà?”

 

Sophie sbiancò di colpo, sentendosi morire dentro. Povero Stefan, non avrebbe dovuto saperlo così di quei due bambini, ma Sophie si era fatta prendere dal racconto del suo lavoro e non si era resa conto dell’ora. Stefan le sorrise tristemente, perché avrebbe voluto avere dei figli un giorno con la ragazza amata, ma questo non sarebbe stato possibile, perché lei era andata avanti

 

“Lucy, amore mio, perché non aspettate fuori con la tata? Ora vi raggiungiamo”

 

La bambina annuì, facendo svolazzare i suoi capelli dorati

 

“Va bene mammina”
 

E così uscirono. Il ragazzo guardò Sophie che si mordeva un labbro, non riuscendo a sostenere il suo sguardo. E lui le prese una mano, per rassicurarla che tutto andava bene

 

“Non volevo che lo venissi a sapere così...”
 

Annuì, sorridendole con tristezza

 

“Sophie, non sono arrabbiato con te… ti avevo chiesto io di andare avanti. E sono felice che tu l’abbia fatto”
 

Lei alzò lo sguardo, lasciando vedere quelle due gemme preziose ora lucide dalle lacrime

 

“Quanti anni hanno?”

 

Lei sorrise, con lo sguardo pieno di amore, un amore che solo una mamma può capire

 

“Sono gemelli, hanno quattro anni”

 

Stefan le sorrise, perché la vedeva felice

 

“Dov’è il padre?”
 

Ma a quella domanda gli occhi castani si velarono improvvisamente di tristezza

 

“Lui… si chiamava Leone. È morto due anni fa in un incidente stradale”

 

E così anche il sorriso del ragazzo si spense, anche se, egoisticamente, era sollevato dal fatto che non ci fosse nessun altro. E quel pensiero lo fece sentire male, perché Sophie soffriva, e aveva dovuto crescere i gemellini da sola, lavorando pure

 

“Sei così forte, Sophie...”

 

Lei sorrise e prese un respiro profondo prima di parlare

 

“Stef… io non ti ho mai dimenticato. Ho amato Leone, l’ho amato davvero, e grazie a lui, grazie ai miei due figli, ho trovato la mia felicità. Ma mi mancava sempre qualcosa, qualcosa per completare il puzzle”

 

Sophie dicendo così gli stava confessando l’amore che non aveva mai smesso di provare, e si sentiva egoista, perché lei rivoleva Stefan nella sua vita, ma non sapeva se lui avrebbe rivoluto lei, sapendo che era andata avanti e ora aveva una famiglia

 

“In carcere eri tu quella che mi spingeva ad andare avanti. Sapevo che ce l’avresti fatta, che avresti combattuto. E sono così fiero di te… per la donna che sei diventata, per essere andata avanti e aver tenuto stretto i denti. Sarei voluto essere lì con te… non abbandonarti, starti accanto per stringerti e consolarti. Ma non potevo, Sophie, e mi dispiace così tanto...”
 

Stefa le confessò, perché sapeva che sei lei gli avesse chiesto di rimanere, lui non avrebbe esitato. Avrebbe amato quei due bambini come se fossero stati suoi, perché erano una parte della donna che aveva amato e continuava ad amare

 

“Ei, ei. Nulla di tutto questo è colpa tua. Sai, all’inizio, quando ho letto questa lettera”
 

Sophie gli rispose, frugando nella borsa ed estraendone il pezzo di carta, ormai ingiallito e con qualche piega, simbolo che era stato letto e riletto

 

“non riuscivo a provare niente. Pensavo che anche tu mi avessi abbandonata, ma ora so che non è così. Dovevi farlo, non avevi altro modo. E ti ringrazio per aver messo la tua libertà dopo la mia… se non fosse per te a quest’ora non so dove sarei...”

 

Lui sorrise, cercando di rompere la tensione che si era formata

 

“Siamo pari, tu hai rischiato la tua vita e io ho dato la mia libertà”

 

E lei ridacchiò, asciugandosi una lacrima che si era formata all’angolo del suo occhio

 

“Pari”

 

Stefan si riscosse, lasciando andare la mano morbida della ragazza

 

“Vuoi presentarmi i tuoi figli?”
 

Lei annuì felice, con un sorriso sincero in volto. Stefan non era scappato a gambe levate.

Uscirono trovando la donna, Anna, seduta su una panchina di fronte il bar, che cercava di tenere fermo il bambino, mentre la bambina lo guardava confusa dal suo atteggiamento.

E in quel momento Stefan si bloccò, realizzando

 

“Aspetta… Lucy?”

 

Lei lo guardò mordendosi il labbro e annuendo

 

“Ho pensato che così una parte di te sarebbe rimasta sempre con me… e so che amavi moltissimo tua madre… quindi… Lucy”

 

Lui le sorrise, mentre sentiva gli occhi farsi lucidi, e la attirò tra le sue braccia, sussurrandole un dolce grazie nel suo orecchio, e facendola annuire.

Quel gesto era una delle cose più belle che qualcuno avesse mai fatto nei suoi confronti.

I due ripresero a camminare, mano nella mano, fermandosi davanti i tre

 

“Elia, Lucy… vi voglio presentare una persona molto speciale per me. Lui è Stefan”
 

I piccolini guardarono con curiosità il ragazzo alto e tatuato che però non incuteva timore, anzi, aveva qualcosa di rassicurante.

Lui si chinò, porgendo la mano ad Elia (non ci sapeva fare con i bambini, ma avrebbe imparato) che la strinse guardandolo in cagnesco. Già così piccolo e pronto a difendere la sua mamma…

 

“La MIA mamma vuole più bene a me”

 

Il ragazzo trattenne una risata, mentre Sophie si diede uno schiaffo in fronte. Elia era sempre stato così, instancabile e protettivo verso la mamma e la sorellina, perché non essendo cresciuto con un padre si sentiva l’ometto di casa, sempre pronto a difendere le sue ragazze. Era piccolo, eccome se lo era, ma era furbo ed intelligente

 

“Ma certo, Elia. La tua mamma ti ama proprio tanto”
 

Stefan gli disse, guardando poi Lucy, che si nascondeva timida dietro il braccio di Anna, guardandolo con un occhio e cercando di capire quel ragazzo. Non avevano conosciuto il padre, troppo piccoli per ricordarselo, ma la mamma gli aveva sempre raccontato di lui, e di un altro ragazzo, che era proprio quello che ora era lì di fronte loro, sorridendogli teneramente e guardandola con amore. Perché quello che Stefan non sapeva, era che quei due bambini gli avevano già conquistato il cuore

 

“E tu devi essere Lucy… sai che hai un nome proprio bello?”

 

Lei sorrise annuendo, e lasciando il braccio della signora, mostrando i suoi occhietti vispi. Era uguale a Sophie, ma in miniatura

 

“Mamma ha detto che il mio nome apparteneva ad una persona speciale”

 

Il ragazzo rimase scosso da quella affermazione, perché non sapeva che Sophie aveva raccontato di lui ai suoi figli, così si limitò a dire

 

“È proprio così”

 

Le accarezzò teneramente il viso, e la bambina, che solitamente non dava confidenza facilmente, trovò quel gesto così confortante da avvinghiare le sue braccina al collo del ragazzo, lasciandolo per un momento stupito. Sophie, che guardava i suoi figli rapportarsi con l’uomo che amava, si asciugò di nascosto una lacrima. Lei sapeva nel suo cuore che quella era la sua famiglia e che Stefan aveva accettato i suoi figli, e che li avrebbe cresciuti come se fossero stati suoi. Perché no, non c’era bisogno di dirlo. I gesti e gli sguardi che si stavano scambiando i due ragazzi avevano già chiarito tutto, Stefan non se ne sarebbe andato. Lui sarebbe rimasto lì, con Sophie. Avrebbe rifiutato il lavoro ai Servizi Segreti, e chissà, magari avrebbe ripreso a studiare.

Elia si avvicinò a quell’abbraccio, bussando sulla spalla muscolosa e richiamando l’attenzione del ragazzo

 

“Il mio nome è quello di un eroe. Conosci la sua storia? La mamma mi racconta sempre del mio nonno”

 

Stefan gli sorrise, allargando le braccia e avvolgendo la schiena del bambino, sollevandoli poi entrambi, ognuno su un fianco. Non aveva mai tenuto un bambino in braccio, ma sapeva esattamente come fare, era un istinto innato in lui

 

“Conoscevo molto bene tuo nonno”

 

Disse Stefan, ridacchiando e pensando a quanti battibecchi aveva avuto con l’uomo, ma in fondo gli voleva bene e lo ammirava. Elia lo guardò con ammirazione

 

“Raccontami di lui! Raccontami di lui!”

 

Disse tutto eccitato, di sapere qualche nuovo aneddoto su suo nonno. E Stefan rise

 

“Mamma, mamma! Può stare da noi? Mi piace il tuo fidanzato”
 

Sia Stefan che Sophie arrossirono, perché quel bambino ci aveva visto bene. Non era un amico speciale, ma l’uomo che la sua mamma amava

 

“Sempre se lui vuole…”
 

Disse Sophie, chiedendogli con lo sguardo di rimanere per sempre, e così Stefan la guardò con un sorrisetto impertinente

 

“Rimarrò fin quando non sarà la vostra mamma a cacciarmi di casa”

 

E poi aggiunge, avvicinandosi all’orecchio di Sophie

 

“…e spero che tu non lo faccia mai”

 

Lei gli sorrise, annuendo freneticamente. Non desiderava altro.

 

E così Stefan, con ancora i due bambini avvinghiati al suo collo, Sophie e la tata Anna, si avviarono verso la casa che da quel momento sarebbe stata riempita di amore e tenerezza, completando la famiglia che Sophie aveva creato.

E Leone? Lui dal cielo guardava quella strana famiglia, sorridendo, perché sapeva che Stefan sarebbe stato un ottimo padre per i suoi figli e un ottimo compagno per la ragazza che aveva amato. E gli andava bene così. L’importante era che erano felici, ed eccome se lo erano...

 

THE END

 

aaaaaand, siamo giunti alla fine :(

Ringrazio tutti coloro che sono arrivati fino a qui, che mi hanno sopportato e atteso i capitoli (scusate ancora), che hanno votato, commentato o anche letto in silenzio.

Per un’ultima volta vi chiedo di farmi sapere cosa vi è piaciuto e cosa no, cosa avreste migliorato e cosa avete adorato.

E adesso vi saluto, chissà magari ci rivedremo per un’altra storia :)

 

XX

La vostra -R

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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