INSEGNAMI A SORRIDERE // Solangelo

di Alis97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Avvertenze! ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Avvertenze! ***


Avvertenze!



Ciao carissimi semidei!
Sono passati più due anni dall’ultima fanfiction solangelo che pubblicai per la prima volta ed ora, come molti mi hanno richiesto, ecco qui il continuo.

Vi devo avvertire però che contiene degli spoiler de “Le sfide di Apollo”. La fanfiction è ambientata durante la ricerca degli oracoli e questa altro non è che il mio punto di vista su ciò che potrebbe intanto accadere al Campo Mezzosangue.

Vi prego di non leggerla se non avete letto gli ultimi libri, se lo farete non mi riterrò responsabile di eventuali e tragici spoiler.

Io vi ho avvertito.

Detto questo, buona lettura ♥

Alis

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Capitolo 2
*** Prologo ***


Prologo





Essere un semidio significa che spesso non si può ottenere ciò che si vuole. Ogni mezzosangue lo deve mettere subito in conto appena varcata la porta del campo. Ognuno di essi ha le sue battaglie, le proprie guerre da combattere, e non sempre sono contro i mostri, spesso le peggiori sono proprio contro se stessi e da quelle non ci si può ritirare. Non si può scappare da se stessi, non ci si può nascondere, si deve solo affrontare la propria paura, affrontare la persona che dallo specchio ti guarda con giudizio.
Nico di Angelo di battaglie simili ne aveva sempre avute. Non poteva fuggire dall'ombra di suo padre che vedeva riflettersi nei suoi occhi; non poteva aggrapparsi ai bei ricordi perché non ne possedeva. Per tanti anni era rimasto solo, in compagnia di spettri e ombre di defunti cercando tra di essi la sorella scomparsa, per rivederla ancora, per ricevere da lei un'ultima carezza, per dirle addio. Ha vagato da solo per la terra dei mortali, ha affrontato con le sue forze il Tartaro e ne è sopravvissuto, è scampato dai giganti – figli di Gea – e ha udito la melodiosa voce di Cupido, che come una spada l'ha dolcemente trafitto. Per anni ha sempre creduto di stare combattendo da solo, ma si sbagliava. È stato salvato infinite volte dagli amici, porgendogli una mano, riscaldandolo con un sorriso, rimanendogli accanto quando Cupido stesso gli parlava e lo metteva a nudo davanti ad un estraneo. Quella volta era così arrabbiato con se stesso che doveva prendersela con quell’unica persona che era con lui quella volta, che in qualche modo stava cercando di sollevargli l’umore, non sapendo però chi avesse davanti. "L'unica persona che mi abbia mai accettato in vita mia è stata Bianca, ed è morta!” gli aveva urlato contro. “Non ho scelto niente di tutto questo, mio padre, i miei sentimenti…" quelle parole che pensanti gli vorticavano ora nella mente. Jason c'era quel giorno, lui che tutti amavano era lì ad aiutarlo, stava dalla sua parte, provando a essere suo amico. Probabilmente Jason gli era stato più amico di chiunque altro.
Tuttavia Destino nella vita di un semidio sa essere anche clemente. Semina in quella tela colorata della vita piccole perle di felicità, consentendogli anche di ricominciare da capo, offrendo un'occasione per permettere anche al più sfortunato tra i mezzosangue di essere di nuovo felice e Nico – quella felicità – l'ha trovata nel sorriso di Will.
Will Solace, non altro che uno dei bellissimi figli di Apollo, era riuscito con poco a riportare la luce tra le tenebre che avvolgevano Nico di Angelo. "Potresti avere dei nuovi ricordi" gli disse Will un pomeriggio alla baia, dove lanciavano contro la superficie piatta del mare dei sassi. Al tempo a Nico venne quasi da ridere, gli unici ricordi nuovi che aveva
di sicuro non erano i migliori a cui aggrapparsi durante la notte. Will lo sapeva ed era pronto ad essere lui stesso l'artefice di quei nuovi ricordi, voleva donargli qualcosa che lo riscaldasse di notte, lo abbracciasse in quei momenti di malinconia. Voleva essere lui e soltanto lui a riportargli la luce. Passarono un mese insieme al Campo Mezzosangue, consumando i pomeriggi a ridere, a combattere all'arena, a parlare di loro e del futuro che li attendeva fuori dal campo. Nico in quei giorni si sentiva un comune ragazzo, alleggerito dal peso che ogni semidio era costretto a portarsi appresso. Will era aria fresca e Nico ne respirava più che poteva: con Will accanto si sentiva davvero di nuovo felice.
Le cose stavano iniziando ad andare bene anche a lui: aveva degli amici che si interessavano alla sua vita, aveva un amico al quale affidarsi e confidarsi quando le cose iniziavano a farsi pesanti, aveva conosciuto un nuovo amore e una sera di dicembre suggellò quell'amore con un bacio.


Per una settimana al Campo Mezzosangue non si fece altro che parlare di loro, della nuova relazione tra il Re degli Spettri e un figlio di Apollo. Molti puntarono su una rapida rottura di questa strana relazione, altri li guardavano con interesse e curiosità, solo gli amici si congratularono. Jason, che quell’inverno passò alcuni giorni al campo, non poté trattenersi dallo spifferare le paranoie che Nico si era fatto ben prima di incontrarlo alla baia. Will, con un sorriso, raccontò lo stesso di sé.
Passarono delle settimane stupende insieme, settimane spese a conoscersi, a fidarsi, a lasciarsi andare al pianto. Fu la prima volta che Will vide Nico piangere, e in quelle lacrime altro non c'era che la sofferenza di anni passati a reprimerla, ma con essa c'era anche la libertà; Nico era finalmente libero di ricominciare ed era felice che a dargli questa opportunità fosse Will.


Lento anche dicembre terminò, alcuni tra i mezzosangue dovevano tornare a scuola, o così sarebbe dovuto essere se non fosse che un giorno Chirone mormorò: "I tempi stanno cambiando" guardando pensieroso il cielo plumbeo, prossimo ad una tempesta che non voleva scatenarsi.
I semidei avevano ora una scelta da fare, restare al campo e aspettare o tornare alle loro abitazioni. Chirone non glielo avrebbe impedito.
Nico sapeva che doveva restare, a malincuore avvisò Reyna al Campo Giove: non poteva tornare a Nuova Roma all'inizio di gennaio, non sapeva nemmeno quando o se sarebbe potuto mai ritornare. Poi fu la volta di Will a decidere, non fu nemmeno per lui una scelta facile, ma il suo posto era insieme a Nico. "Resto" pronunciò quelle parole con la leggerezza di chi non ci aveva dovuto riflettere, stringendo la mano non più tanto gelida del figlio di Ade. Tutta la cabina di Apollo seguì il loro capogruppo e restarono al campo, se fosse scoppiata un'altra guerra avrebbero avuto bisogno di arcieri e guaritori.
La maggior parte dei semidei restò al campo ad allenarsi, ad aspettare qualcosa o qualcuno che avrebbe fatto presto il suo ingresso al Campo Mezzosangue.

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Capitolo 3
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1






Un tuono scosse il cielo.
Per i mortali ciò significava solo che da lì a poco sarebbe scoppiato un temporale o, peggio, una bufera di neve. Per i semidei al Campo Mezzosangue invece significava che Zeus era adirato. Molto altro era in arrivo per il gruppo dei mezzosangue.

Da giorni il cielo di New York non dava segno di miglioramenti, dense e grigie nuvole formavano un unico e compatto blocco. I lampi illuminavano i riccioli di vapore, tuoni che ponevano fine al silenzio. Qualcosa di grave stava accadendo su nell’Olimpo, qualcosa cui i mortali non era tenuto sapere e tanto meno ai semidei, figli degli olimpi. Un altro tuono, seguito da un graffiante fulmine che spaccò in due il cielo, poi di nuovo il silenzio. Lento quel brontolio andò a scemare fino a scomparire del tutto.
I campeggiatori fissarono per lunghi interminabili secondi quella lastra grigia, nessuno parlò più, tutti trattennero il fiato. Dopo il fulmine si poteva avvertire nell’aria una vibrante ondata di novità, e spesso le novità giunte dagli dei portavano solo guai.
I campeggiatori ripresero con i loro compiti, sussurrando solo tra di essi cosa poteva essere successo, perché Zeus era da tempo così furibondo? Chi era l’artefice della sua ira? E soprattutto si chiedevano se sarebbero stati coinvolti ancora in mezzo ai capricci dei loro genitori divini. Poi un giorno quella muta richiesta dei semidei venne esaudita.
Si presentò al campo un nuovo ragazzo, goffo, con i capelli ricci e scompigliati sulla fronte. Era stato accompagnato di corsa all’infermeria del campo, si vociferava si dovesse trattare di Apollo in persona, spedito per punizione tra i mortali da Zeus. Eppure quel corpo esile e malconcio non poteva appartenere al glorioso e potente Apollo, si doveva trattare assolutamente di uno sbaglio. Assieme al ragazzo c’era anche una ragazzina che giocherellava con tutto ciò che trovava sottomano, come se tutto doveva in qualche modo appartenerle. La portarono alla Casa Grande, per farla parlare con Chirone, così da lasciare in pace i ragazzi all’infermeria.
Dopo qualche ora il ragazzo che tutti pensavano fosse Apollo si ridestò, la testa gli girava, borbottava che ciò si doveva trattare di un sogno e poi, messa a fuoco la vista, si ritrovò in una specie di infermeria, con un volto familiare che lo guardava con profonda preoccupazione.
Il ragazzo giunto al campo era davvero Apollo, reso mortale dal suo stesso padre. Ognuno dei campeggiatori lo fissava con curiosità, badando bene a non dire nulla di troppo davanti al dio. I figli erano sia lieti che intimoriti dalla presenza del padre al campo: pochi tra i semidei erano stati così fortunati a conoscere il proprio genitore divino, ed altri, quelli ancora più fortunati, a spendere più di una parola con essi. Eppure, l’idea che Apollo fosse ora un comune mortale faceva nascere nei figli un senso disagio: cosa significava questo per loro? Erano costretti a rinunciare alle proprie doti canore? Non sarebbero mai più riusciti a qualificarsi per il tiro con l’arco alle olimpiadi? Sarebbero scomparsi? Apollo si rallegrò vedendo quanto a cuore stesse il successo nei suoi bellissimi figli, e li rassicurò dicendo che nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto: il dono che lui gli aveva fatto non sarebbe mai scomparso.
Ma il dio del Sole, delle arti e della profezia non si fermò molto a lungo in quel campo, doveva riprendere la sua missione e liberare gli oracoli dalle mani del Triumvirato. I campeggiatori vociferavano fosse strano che per una volta fosse un dio ad occuparsi di una missione così rischiosa, probabilmente doveva essere una faccenda più seria del previsto dato che Zeus aveva mandato suo figlio, il potente e luminoso Apollo, a liberare i suoi fedeli oracoli fatti schiavi dagli imperatori romani. Ciò spiegava anche l’assenza degli incubi che accompagnavano le notti dei semidei. Qualcuno ironizzò che forse era meglio se continuavano a starsene imprigionati là dov’erano, perché era la prima volta in tanti secoli che non si dormiva così bene al campo. Eppure quella battuta non fece nascere molte risate, era vero che finalmente riuscivano a dormire meglio, ma i sogni e le profezie facevano parte della loro scomoda vita, era un modo per restare all’erta anche se spesso si finiva per destarsi bruscamente dal sonno.
Dopo che Apollo se ne andò dal campo l’aria sembrò farsi sempre meno elettrica, forse era un buon segno per i campeggiatori, forse non sarebbero stati invischiati in qualche guerra. Nonostante ciò, i figli dell’ex dio erano preoccupati: il Sole era scomparso dai loro occhi, risucchiato da un fastidioso senso di disagio che aveva iniziato a divorarli lentamente da quando loro padre aveva messo piede al campo. Nico studiò accuratamente l’espressione di rammarico che nasceva in Will, dubbioso se parlare o meno di ciò che aveva avvertito quando ha parlato con Apollo. Will era presente quando Nico disse davanti a suo padre che avvertiva un’aurea decisamente negativa, non indagò però sul significato di quelle parole, quel giorno era forse troppo turbato dall’idea che suo padre era lì e che era riuscito a conoscere il suo ragazzo, dando ad entrambi la sua benedizione. Nico aprì lentamente le labbra, richiudendole il momento dopo: non voleva allarmare Will, probabilmente quello che aveva sentito era dovuto al fatto che Apollo non era più fatto di luce.
« Se la caverà » lo rassicurò, stringendogli la mano. « È pur sempre un dio anche se ora è nei panni di un mortale. » sapeva che non era vero, ma non voleva allarmare ancora di più il suo ragazzo e i suoi fratelli. A quelle parole Will sorrise, felice che con lui in quel momento ci fosse Nico.


Pochi giorni dopo dalla partenza di Apollo tutte le attività ripresero come al solito: c’era chi si andava ad allenare all’arena, chi al tiro con l’arco, chi giocava a basket o semplicemente chi andava a plasmare con l’argilla un nuovo vaso, restando così per alcune ore al caldo. Lo sguardo di Nico non poté che ricadere su quell’edificio, da cui usciva una nuvola di fumo emanata dal camino. Mentre ci passava davanti – con Will che gli raccontava qualcosa su un medicinale che non riusciva a preparare – i pensieri di Nico si andarono subito a posare su Jason. L’amico era partito dopo Natale, alle prime luci dell’alba. Nessuno gli disse perché, il ragazzo non riuscì nemmeno a contattarlo con dei messaggi Iride. Jason se ne era andato un mattina di dicembre e non sapeva il perché. Si chiese se non ci fosse in mezzo una qualche missione segreta, dopotutto apparteneva ancora al campo romano, possibile che fosse stato richiamato?
Will intanto continuava a parlare, riottenendo l’attenzione di Nico che si era perso da qualche parte tra le foglie di ortica e le bacche di ginepro.
« Will » il ragazzo si fermò di colpo, facendo voltare il ragazzo che si era fatto silenzioso.
« Tu lo sai dov’è andato Jason? » quel pensiero lo stava logorando, quel ragazzo non se ne sarebbe mai andato senza dirgli una parola.
Will dischiuse le labbra, il figlio di Ade sapeva che non si faceva sfuggire nessun pettegolezzo del campo e che era sempre aggiornato su ciò che i semidei si raccontavano. Bene o male tutti i campeggiatori sapevano tutto di tutti. I semidei convivevano sotto lo stesso tetto, per modo di dire. Ma Will non sapeva nulla di Jason e dubitava che anche gli altri ne sapessero più di lui.
« No, mi dispiace. » sembrò la risposta migliore da dare in quel momento. « Forse Chirone sa qualcosa » aggiunse, cercando di dargli qualche speranza. Nico fece una smorfia, Chirone non gli avrebbe mai raccontato nulla.
I due ripresero a camminare, diretti all’arena. Will non parlò più di erbe medicinali e Nico non parlò più di Jason.


Lenta la sera scese sul campo e quella fu la serata più tranquilla mai avuta fin’ora. Le voci si fecero basse, il tavolo di Apollo non era energico come le altre sere, molti pensarono fosse dovuta alla presenza del figlio di Ade a quel tavolo, che portava via ogni forma di allegria. La verità era decisamente un altra. Da un po’ di giorni i figli di Apollo non si sentivano più gli stessi: dopo aver visto il loro padre ridotto in una simile condizione, sapere che stava rischiando la propria vita per liberare gli oracoli, essere a conoscenza che forse non sarebbe più tornato un dio, tutto ciò gli aveva lasciato impresso nella loro mente un senso di smarrimento. Era come se la loro stessa identità dipendesse da Apollo. Nico a quel tavolo si sentiva di troppo.


Al falò le cose non andarono molto meglio, la solita energia sprigionata dal coro sembrava come scomparsa, divorata dalle fauci dello sconforto. Le luci del fuoco restarono basse e opache, simbolo che nessuno al campo era troppo in vena di scherzi e risate. Anche se non direttamente i semidei erano stati coinvolti ancora una volta nei capricci dei loro genitori. Al termine dell’ultima canzone i campeggiatori si salutarono, prendendo strade diverse e spostandosi ognuno verso le proprie cabine.
Prima di andarsene nella sua cabina Nico chiamò Will, ritagliandosi un momento per stare da solo con lui nell’oscurità, illuminati solo dalla debole e gialla luce del fuoco – che lento si stava spegnendo. Nico gli prese la mano, intrecciando le dita con le sue, non era bravo a risollevare il morale degli altri, quel compito spettava al suo ragazzo, ma in quel momento Will gli stava chiedendo di essere forte anche per lui e Nico non si sarebbe per nulla al mondo tirato indietro.
« Solace » lo richiamò con serietà, volendo che il ragazzo lo guardasse negli occhi.
« Sei tu che decidi chi essere, non dipendi da Apollo. Perciò domani voglio rivedere il Sole nei tuoi occhi. Non mi deludere. »
Per un attimo entrambi si guardarono negli occhi, perdendosi nello sguardo dell’altro. Le labbra di Will si ripiegarono in un sorriso, andando ad illuminare quel viso che per dei giorni era stato spento.
« Non ti deluderò » rispose con un mezza risata, abbassando lo sguardo verso le loro mani, giocando con le dita del suo ragazzo. Anche le labbra di Nico si piegarono in un sorriso udendo quella risposta, era così che lo voleva vedere: felice, con il Sole ad illuminargli il viso.
I due si salutarono, prendendo strade opposte. Nico entrò nella sua cabina, illuminata solo da verdi fiaccole appese al muro. Ancora non era riuscito a cambiare l’aspetto di quel suo lugubre rifugio, forse un giorno lo avrebbe fatto.
Steso sul letto fissò il soffitto, dove le ombre delle fronde degli alberi danzavano per lui, e Nico si addormentò guardando quella danza.

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Capitolo 4
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2





Buio.


Nico era avvolto dalle tenebre. Un nero denso lo avvolgeva, non vedeva se stesso, non vedeva i propri passi, non sapeva dove stesse andando. Una voce roca, calda e secolare lo attirava a sé. Non serviva sapere dove si trovava, lo sapeva, doveva solo seguire quella voce. Non era in grado di stabilire da quanto tempo stesse camminando, probabilmente non da molto, quella voce continuava a sussurrargli nell’orecchio, una mano invisibile lo accarezzò lungo il braccio, prendendolo per mano guidandolo verso la fonte della voce. Non vedeva ancora niente, tutto era ancora buio davanti a sé.
Ricordava che quando era bambino il buio lo aveva sempre spaventato, ricordava anche che era sempre stato una presenza costante nella sua vita, ovunque andasse il buio gli restava accanto. Bianca lo aiutò a superare quella paura, raccontagli storie affascinanti, facendo con lui giochi che solo avvolti dall’oscurità si era in grado di fare. Bianca aveva dato luce al buio, dopo la sua scomparsa quell’oscurità era tornata quella di una volta, ma non gli faceva più paura. Le tenebre, le ombre, loro erano i suoi sudditi. Si inchinavano davanti al suo passaggio, il buio era un suo amico. Quello però era diverso. Lo percepiva anche senza vederlo, era più forte, più minaccioso, era un’oscurità che in passato aveva già incontrato e conoscendolo non poteva mostrare esitazione.
Continuò a camminare, consapevole che se le cose fossero andate male bastava solo svegliarsi, il problema era che si chiedeva se fosse stato in grado di farlo. La mano lo fece fermare. Si bloccò da qualche parte, convinto che qualcosa di terribile sarebbe arrivato. Si accese allora una luce, illuminando tre vecchiette che sferruzzavano una sciarpa gigante. Il sangue gli si raggelò nelle vene, sapeva chi aveva davanti. Una vecchietta sollevo un paio di vecchie forbici arrugginite, avvicinandole al filo per chiudere la sciarpa, per concludere la vita di qualcuno. Era vicina dal tagliare quel filo quando Nico si svegliò.
Il ragazzo era madido di sudore, con il fiatone che non smetteva di cessare, si portò una mano al petto stringendo nel pugno la maglia. Era possibile che le avesse sognate per davvero?
Si costrinse a calmarsi, facendo profondi sospiri per regolarizzare il respiro. Quella notte sapeva che non avrebbe più dormito.


Il mattino seguente si accorse di avere due profonde occhiaie sotto gli occhi. Per settimane non erano state più così evidenti da quando Will era entrato a far parte della sua vita, e la notte riusciva a prendere sonno più facilmente, consapevole del fatto che il mattino seguente ci sarebbe stato Will ad attenderlo. Ora invece sembrava essere tornato il Nico di una volta, con lo sguardo tetro, gli occhi persi a guardare qualcosa che non c’era più in questo mondo, come se fosse alla ricerca di qualcosa o qualcuno.
Si sciacquò più di una volta il viso, provando a cancellare quello sguardo dal suo viso; provando a togliere l’ombra di suo padre che gli si rifletteva in volto. Sospirò. Purtroppo senza successo, dovette uscire esattamente come si era svegliato, sicuro che avrebbe dovuto dare qualche spiegazione a Will per quello sguardo funereo. Alla mensa del campo non c’erano ancora molti semidei, per fortuna nessuno gli rivolse uno sguardo. Si sedette con il suo vassoio al proprio tavolo, guardando con aria distratta la cicatrice che aveva lasciato la notte in cui sparì dal campo. Da quel giorno erano cambiate molte cose nella sua vita, eppure sentiva che qualcosa del suo passato stava per ritornare. Sperò di sbagliarsi, sperò che il sogno fatto quella notte non significasse nulla; sebbene una parte di sé sapeva che non poteva ignorare quel sogno, specialmente se ad essere presenti erano…
« Buongiorno raggio di Sole! » esclamò Will, sedendosi davanti al ragazzo, recuperandolo dai suoi pensieri.
« Buongiorno » riuscì inaspettatamente a sorridere, nonostante le sue preoccupazioni.
Il sorriso di Will si abbassò appena notò gli occhi stanchi di Nico. Per settimane aveva avuto un aspetto più o meno riposato, considerando che non era proprio nei suoi geni il riuscire a dormire di notte, ma quegli occhi spettrali lo misero in allerta.
« Will non fare quella faccia » sospirò, abbassando lo sguardo, imburrandosi una fetta di pane.
« Non hai dormito stanotte, vero? » chiese serio, preoccuparsi faceva parte di lui, Nico lo sapeva da molti anni.
« Ho dormito » rispose. « Per un po’ » concluse, mettendosi in bocca la fetta di pane.
Will cercò di farsi andare bene quella risposta, non insistendo troppo con le domande. Lo aveva capito da parecchio che era inutile sforzarlo a parlare, se lo voleva, l’avrebbe fatto da solo.
« Me lo diresti se ci fosse qualcosa che ti preoccupa, vero? » allungò la mano, lasciando che l’altro gli sfiorasse il palmo con le dita.
« Saresti il primo semidio » scherzò, da solo con Will gli veniva spontaneo.


Dopo un’abbondante colazione Nico salutò Will, lasciandolo andare in infermeria a completare quei farmaci che gli stava raccontando ieri. Il figlio di Ade se ne andò da solo all’arena, recuperando però prima la spada lasciata nella sua cabina. Si fermò un istante a fissare l’entrata, quegli alti rilievi sembravano divertiti di vederlo tornare. Si costrinse a pensare che fosse solo frutto della sua immaginazione dovuta al fatto che non aveva dormito granché quella notte. Recuperò la spada, andando così all’arena per allenarsi su qualche manichino.
Da quando Jason e Percy se ne erano andati non aveva trovato più nessuno contro cui combattere; era vero che c’era sempre Will, che da un po’ era migliorato come spadaccino, ma non era esattamente la stessa cosa. Si buttò con la spada addosso al manichino che immobile incassò i colpi. Alcuni tra i semidei si fermarono a fissare la sua tecnica, era decisamente diversa da quella usata da loro, i movimenti del bacino erano fluidi e seguivano con armonia i gesti delle braccia. Nico non stava nemmeno pensando a quello che stava facendo, le azioni non erano collegate ai pensieri, tutto avveniva secondo lui in maniera macchinosa, ma che vista da fuori doveva sembrare molto elegante.
I pensieri di lui si concentrarono su quei volti incartapecorita, come dolci visi di nonnine che si erano date appuntamento sulla tarda sera per terminare una trapunta, per cucire la vita di qualcuno. Le voci calde e accoglienti, le stesse voci che accompagnano le persone al momento della loro dipartita. Come potevano essere quelle vecchiette così spaventose? Nico lo sapeva cosa significava l’averle viste, conosceva i nomi di quelle tre signore anziane: Cloto, la tessitrice, colei che genera vita; Lachesi, il destino, che avvolge la vita degli uomini mortali, decidendo ella stessa quanto filo donare a quella vita e infine Atropo, la sola a tenere tra le sue vecchie e storte dita le cesoie dalle punte scintillanti, recidendo la vita. Sognarle o vederle significava presagio di morte. Nico con troppa forza tagliò via di netto un braccio del manichino, non riuscendo in alcun modo a darsi pace.
Rinfoderò la spada, spostando il manichino insieme ad altri che erano stati distrutti. Essere figli di Ade significava avere a che fare con la morte ogni giorno, non che questo volesse dire accettarla. Ci si abitua a quella presenza che alita senza sosta sul collo di ognuno.
Nico racchiudeva la parte spettrale di suo padre, se troppo stanco riesce a vedere quelle anime varcare le porte, perse, smarrite, impaurite, che urlano per voler tornare indietro, piangendo perché la fine è arrivata troppo presto, ma chiudendo gli occhi e concentrandosi esse si dileguano. Quella, era convinto, fosse la peggiore delle maledizioni: vedere ogni giorno le anime dei defunti, udire le loro voci che gli martellavano in testa, per anni si era allenato per non vederle, per non sentirle più. Ricordava ancora la prima anima che vide, non poteva dimenticare l’anima della sorella: luminosa, forte, consapevole che era arrivata la fine. Da allora i suoi occhi si aprirono al regno delle anime e tutto divenne buio.


Nico non si rese effettivamente conto dell’ora che si era fatta finché non suonò la conchiglia, richiamando i semidei al padiglione centrale. Decise di mettere da parte i suoi pensieri che lo avevano divorato per tutta la mattina. Al suo tavolo trovò Will, assieme ai suoi fratelli che lo attendevano. Li ringraziò con un cenno, da quando i suoi amici erano andati via la casa di Apollo cercava di farlo sentire più o meno a proprio agio e poi volevano in qualche modo conoscerlo visto che usciva con il loro capogruppo, nonché fratellastro. Nico si lasciò portare dalle ninfe dell’ottimo cibo, chiedendo al proprio calice di riempirsi di una bevanda zuccherata per riprendersi dopo il duro allenamento. Fecero tutti la propria offerta agli dei, Nico chiese in una muta preghiera aiuto a suo padre, l’unico tra gli dei in grado di dargli una spiegazione. Tornando al tavolo sperò di non essere ignorato, suo padre non era decisamente migliore rispetto agli altri dei, era burbero, scontroso, cupo, avere a che fare con i mortali lo infastidiva, la verità era che lui un figlio non sapeva nemmeno come trattarlo. Era stato in sua compagnia per alcuni anni, aveva speso del tempo provando a farsi conoscere, eppure non ottenne mai dei risultati positivi. Rifiutato dal campo e rifiutato anche dal padre.
« Nico! » lo richiamò Kayla, passandogli una mano davanti per ridestarlo dai suoi pensieri. « Oggi sei più cupo del solito » gli disse appena riuscì ad ottenere la sua attenzione.
« Pensavo. » rispose, consapevole che quella risposta avrebbe generato altre domande.
La figlia di Apollo si fece curiosa, sporgendosi teatrale in avanti per sapere cosa occupava l’intricata mente di Nico. « A cosa pensavi? » sussurrò la ragazza, non volendo che nessuno sentisse quello che avevano da dire, cosa che non riuscì particolarmente bene dato che con quel fare sospetto aveva attirato l’attenzione di molti semidei.
Nico scosse le spalle. « Niente di importante. » rispose neutro, lanciando un’occhiata a Will che rispose con un imbarazzato sorriso.
Kayla sbuffò, togliergli le parole di bocca risultava un’impresa a dir poco eroica, si chiedeva come facesse Will a decriptare i suoi pensieri. Nico lasciò allora che i tre ragazzi riempissero il suo tavolo di luce, portando canzoni e poesie, chiedendo anche un parere a Nico su un pezzo arrangiato lì sul momento. Il ragazzo non ne capiva molto di musica, ma gli sembrava buono.
« Non essere timido, puoi dircelo se non ti piace! » disse Kayla.
« Anche noi figli di Apollo non siamo perfetti » ironizzò Austin.
« È un buon pezzo » ripeté Nico, anche se al momento aveva ben altro per la testa a cui pensare. La musica e la dolce voce di Will non riuscivano a distrarlo da quel fastidioso e macabro pensiero. « Scusatemi » fece per alzarsi, lasciando nel piatto qualche avanzo.
« Già te ne vai? » la ragazza fece un piccolo broncio, che suscito in Nico un leggero sorriso.
« Ritorno all’arena » rispose il ragazzo, intercettando lo sguardo serio e preoccupato di Will; il quale non gli chiese se poteva venire anche lui, lo lasciò andare aspettando di parlare con Nico quella sera.
Il figlio di Ade entrò nell’arena, sicuro che a quell’ora non ci avrebbe trovato nessuno. Evocò allora dalla terra uno scheletro, volendo duellare con qualcosa di semi-mobile e che parasse bene i colpi. I primi scambi di spada furono fluidi, lo scheletro non gli stava dando modo di riprende fiato e per questo lo ringraziò mentalmente. Quel mucchio d’ossa gli stava dando la possibilità di stare alla larga dai suoi pensieri che per buona parte della giornata lo aveva accompagnato senza farlo respirare un solo secondo. Parò anche gli altri colpi che seguirono, restando in movimento per un buona mezzora finché non sentì il peso della spada gravarsi su se stesso, a quel punto decise fosse ora di smettere e congedò – con un colpo fatale della spada – il suo degno avversario, rispedendolo da dove l’aveva evocato. Dopo quel lungo combattimento ritornò nella sua cabina, pensando solo alla doccia calda che lo stava aspettando.
Il pomeriggio lo trascorse sui libri, non aveva intenzione di rimanere indietro con il programma. A Nuova Roma erano stati clementi con lui esclusivamente perché sapevano il ruolo che occupava, ma ciò non significava che poteva adagiarsi sugli allori, al suo ritorno avrebbe dovuto dimostrare di aver appreso gli stessi argomenti dei suoi compagni di classe. Aprire di nuovo quei libri gli dava in qualche modo un senso di pace, scoprì che studiare non era decisamente il suo forte, si impegnava molto questo era certo, ma tutte quelle materie non gli sarebbero mai servite a qualcosa. All’interno di quella classe, e forse in tutta la scuola, era l’unico discendente diretto di un dio, a soli undici anni aveva affrontato il suo primo mostro nel mondo mortale, ha imparato più cose di quante mai ne imparerà sui banchi. Quello, si ripeteva, era solo uno sfizio che si voleva togliere: stare sui banchi di scuola significava vivere una vita più o meno normale, ed era solo questo quello che voleva.


Presto il Sole tramontò sul campo. Nico sbadigliò, richiudendo il libro sul letto, uscendo dalla sua cabina. Il Sole bruciava il chiarore del cielo, attratto dall’oscurità dell’orizzonte, inghiottendolo fino a farlo scomparire.
Nico giunse al padiglione centrale, prendendo posto al tavolo attendendo l’arrivo degli ultimi semidei. Solo Will quella sera si sedette vicino a lui, il ragazzo aveva passato gran parte della sua giornata a interrogarsi su ciò che poteva essere successo a Nico, perché d’improvviso si era fatto così distante e senza permettere a nessuno di capire. Will aveva notato un cambio nella sua espressione dal momento in cui aveva visto Apollo, dopo la sua sentenza si era chiuso in se stesso, forse dietro a quelle parole pronunciate davanti a suo padre c’era dietro qualcosa di molto più grave che non gli era dato sapere.
Will guardò Nico, intento ad ordinare al suo calice di riempirsi, e volte si dimenticava di non avere davanti un comune campeggiatore. Nico stesso si comportava come se fosse figlio di una divinità minore, sperando così di risultare abbastanza normale, eppure entrambi sapevano che lui era il figlio di Ade, dio degli inferi, signore dei morti, colui che sottomette le tenebre al suo volere. Nico racchiudeva in sé una forza e un potere spaventoso.
Una volta – ma solo perché Will stesso aveva insistito per saperlo – gli aveva confidato di riuscire a vedere l’ombra delle anime che giungevano da Caronte e qualche volte la notte spendeva un paio di parole con alcuni spettri. Quel giorno al ragazzo vennero i brividi, non tanto per le anime dei defunti, ma per la semplicità in cui glielo disse, come se per lui fosse la cosa più normale del mondo e forse lo era davvero. Aveva intuito da tempo che probabilmente Nico sapeva più di qualsiasi altro campeggiatore lì al campo. Conosceva i segreti della morte e questo spesso lo rendeva fragile.
Il figlio di Apollo decise di non chiedergli niente, sarebbe stato lui a parlare per primo e solo quando lo avrebbe ritenuto opportuno, trascorsero quindi la cena a parlare di altro, Nico gli raccontò del libro che stava studiando, ripetendo più o meno a memoria alcune parti. Will gli fece i complimenti, incoraggiandolo a continuare.


Al termine della cena i ragazzi si radunarono attorno al falò, venendo deliziati dalle voci dei figli di Apollo, scusandosi per le serate precedenti se non erano riusciti a riscaldare l’atmosfera. La sera continuò tra canzoni, storie e risate, il fuoco divampò in aria, scoppiettando vivace insieme alle azzurre risate dei campeggiatori. Solo qualche ora più tardi giunse il coprifuoco, i semidei si ritirarono uno ad uno nelle proprie cabine, anche Will e Nico si salutarono con un bacio, promettendosi a vicenda di rivedersi alla mensa l’indomani.
Nico entrò nella sua cabina, appoggiandosi con pesantezza alla porta. Non poteva ignorare quelle tre vecchiette, anche quella notte avrebbe dovute vederle e seguirle finché non ci avrebbe capito qualcosa. Sospirò e si avvicinò al letto, allontanando il libro che aveva lasciato lì quella sera. Si stese su quel letto che per quella notte gli sembrava essere fatto di schegge di vetro e spine. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non essere così, ma se stava accadendo qualcosa al di fuori del Campo Mezzosangue, sapeva che era l’unico ad essere in grado di poter reggere quella situazione. Chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare nel regno delle tenebre.







 

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n.d.a.

Ancora una volta EFP mi blocca la pubblicazione degli altri capitoli, credo ci siano dei bug o qualcosa del genere. Comunque, se la fanfiction vi piace e volete leggerla per intero la trovate conclusa su Wattpad 

Mi dispiace non essere riuscita a portarla per intero anche su questo sito, mi sarebbe piaciuto scriverla anche qui…

 

Vi lascio alcuni link utili se volete seguirmi, restare in contatto o sapere in anticipo della pubblicazione di nuove storie e fanfiction:

Instagram: _alicebellucci
Wattpad: _akindofmagic


In oltre vi consiglio di seguirmi su Instagram perché in futuro porterò in PDF questa fanfiction e molte altre e comunicherò lì dove trovarla.

 

Un bacio a tutti,
Alis

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