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Una fresca brezza proveniente dal
mare stava rinfrescando quello che altrimenti poteva essere tranquillamente il
giorno più caldo di quell’estate del 1995, almeno che gli abitanti della baia
di Hamilton potessero ricordare. La giornata stava volgendo al termine quando
la calura estiva sembrò essere mitigata tutta a un tratto da una rapida
brezza che, nel giro di una mezz’ora, crebbe spingendosi dalla baiafino a spazzare le colline sassose ed i
rilievi circostanti.
In una radura lì vicino Daniel
tirò un sospiro di sollievo, lasciandosi accarezzare dolcemente da quel
vento che gli toglieva di dosso non solo la calura della giornata
ma anche quella di una bella scarpinata con i suoi amici, Blaise e Rachel, che
si erano addormentati accanto a lui. Daniel sospirò strappando una pagliuzza e
mettendosela tra i denti, mentre si ributtava sul prato a guardare il cielo rosso
della sera che ogni tanto era attraversato da qualche gabbiano particolarmente
intraprendente.
Daniel Nighingale era un ragazzo
alto, di corporatura media, dai capelli ribelli castano scuro e gli occhi
color nocciola, che in quel momento teneva chiusi, assaporando il tepore della
sera. Era felice. Nella semplicità di una giornata passata all’aria aperta con
i suoi migliori amici. Il nuovo anno scolastico era ancora lontano e questo gli
permetteva, come diceva sua madre, di fare lo stambecco sui sentieri più
impervi, fino a sfinirsi di fatica. Ma a Daniel non gli importava, lui era fatto
così e per niente al mondo avrebbe cambiato la sua vita. Da figlio unico i suoi
due amici erano la cosa a cui teneva di più al mondo, dopo sua madre. Amava
Hamilton Bay e la Nuova Zelanda e l’aveva visitata quasi tutti, zaino in spalla,
cappello a tesa larga e pantaloncini sotto al ginocchio.
Girandosi un attimo di lato vide
la mano leggermente paffuta di Rachel cercare nel sonno quella di Blaise;
Daniel sorrise. I suoi amici erano già una coppia anche se nessuno dei due se
ne era ancora accorto. Pur molto diversi di carattere si completavano spesso a
vicenda ed anche nei momenti peggiori erano sempre stati vicini. Daniel provò un
sentimento di invidia: sapeva bene che il carattere era forse il maggiore dei
suoi problemi nel trovarsi una ragazza ma scacciò quei pensieri dalla mente
mentre con gli occhi aperti fissava il volo di un gabbiano sopra di lui. Alle
volte gli sarebbe piaciuto volare lassù con loro con la sua scopa, anche se
sapeva che, se ci avesse anche solo lontanamente provato, sua madre
l’avrebbe fatto dormire fuori all’addiaccio per minimo una settimana.
Dopo qualche minuto la stanchezza
ebbe la meglio e Daniel scivolò lentamente in un sonno dapprima tranquillo ma che
poi lo riportò indietro fino ad un ricordo che aveva cercato di dimenticare.
Il rumore di un tuono lo fece
trasalire, sentì su di sé l’umida pioggia fredda ed il rumore di passi
frettolosi, prima di rendersi conto di essere trasportato di peso da una figura
alta e massiccia, ansimante. Rumore di molti altri passi echeggiavano attorno a
lui. Si trovava in un giardino, tra due filari di siepi sotto un violento
temporale. All’improvviso il rumore di qualcosa di pesante che si sgretolava
alle sue spalle lo fece trasalire ed un lampo di luce verde lo spinse a
guardare in altro dietro di lui. Il terrore lo colpì come cento stilettate al
cuore mentre vedeva, sulla torre est di quella che un tempo aveva chiamato casa,
una figura perdere lentamente l’equilibrio, un braccio proteso leggermente in
avanti con la bacchetta che gli scivolava dalle mani al rallentatore e la schiena
inarcata al contrario proprio quando un'altra figura alta torreggiava sopra di
lui e lo spingeva giù dalla torre.
NOOOOO!!!!!
Un urlo lancinante riportò Daniel
nel mondo dei vivi. Sì alzò di scatto tanto da non vedere Blaise che gli
scuoteva il braccio preoccupato e i due si tirarono un bella zuccata l’uno
contro l’altro.
“Ahia!” gridarono all’unisono
Daniel e Blaise.
“Che cavolo ti prende amico?” gli
chiese il ragazzo alto e magro al suo fianco, massaggiarsi la fronte sotto la
folta chioma di capelli corvini. “Sembravi come in coma. Non riuscivamo quasi a
svegliarti...che ti succede?”
Daniel rimise a fuoco il mondo
rimettendosi a sedere con la schiena diritta, massaggiandosi la fronte con la
mano destra. Ancora aveva la vista annebbiata ed era madido di sudore, un
sudore freddo, inusuale per quella calda sera d’estate.
“Era quel ricordo Blaise, ero in
Inghilterra a casa mia quella maledetta notte, quando...quando...” disse Daniel
recuperando piano piano le vista e sentendosi un tumulto dentro che gli si
estendeva fino alla bocca amara impastata e che gli faceva salire il vomito in
bocca. Erano ormai diversi anni che quell’incubo non lo tormentava più.
“Quel ricordo Daniel?” disse
Rachel preoccupata porgendogli un fazzoletto per asciugarsi ed una bottiglietta
d’acqua.
“Tieni” disse la ragazza
sinceramente preoccupata.
“Erano tre anni che non pensavo
più a quella maledetta notte di quando mio padre è stato ucciso” disse Daniel
asciugandosi la fronte.
Quella sensazione di paura mista
ad orrore che per diversi anni era riuscito a ricacciare indietro sembravano
essere riemerse con forza dall’antro della sua mente, dove era riuscito dopo
molti anni a confinarle; per troppo tempo si era svegliato nel cuore della
notte urlando immaginandosi quel ghigno, il Signore Oscuro che uccideva suo
padre e lo buttava giù dalla torre est, mente suo nonno e sua madre lo
portavano, nell'infuriare della battaglia.
“Non preoccuparti amico” disse Blaise
stringendogli la spalla. “Forza ti accompagniamo a casa stasera e no, non
accetteremo un “no” come risposta” disse vedendo lo sguardo del tipo “non sono
un bambino frignone” dell’amico.
Daniel fece per voltarsi quando
Rachel gli lanciò uno sguardo determinato e capì di essere in trappola. Si
maledisse in quel momento e sì odiò dentro di sé ancora un volta, dopo tanti
anni non sopportava che i suoi amici stessero male per lui, per una cosa
avvenuta molti anni prima, a migliaia di chilometri di distanza. Un
ricordo su cui non era ancora riuscito a metterci una pietra sopra a quanto
pare.
“Perché ancora?!” si chiese Daniel
fra sé alzandosi in piedi e riafferrando con uno scatto iroso lo zaino per
rimetterselo in spalla. Non riusciva a capire ciò che non andava in lui, perché
non riusciva a chiudere i conti col passato. Rachel e Blaise sapevano bene
ormai dopo tanti anni che non era il caso di riaffrontare l’argomento e Daniel
li ringraziò di cuore per il loro silenzio: era stato fortunato a trovare due
amici come loro.
Il profilo delle colline sassose
si fece più dolce mentre il sole scompariva ormai sotto il profilo dell’orizzonte
a pelo dell’acqua in lontananza sul mare quando il sentiero svoltò verso un
cottage isolato sulla collina. Daniel sorrise dentro di sé, rivedendo la sua
casa e scrollandosi di dosso i brutti ricordi di quel pomeriggio.
Arrivati al limitare del giardino
recintato che confinava con un piccolo orto, la passione di sua madre Anne,
Daniel vide gli alberi di pesche maturi ed estraendo la bacchetta fece volare
tre pesche nelle sue mani, dandone una a Blaise ed una a Rachel. I due lo
ringraziarono con lo sguardo e fu quella piccola merenda a togliere il peso di
quanto era successo quel pomeriggio dallo stomaco di Daniel.
“E’ meglio lasciare il passato
dove sta e concentrarsi sul presente” pensò, ricordando quanto gli aveva detto
un volta Nino, uno dei più cari amici di suo padre, quello che più di tutti gli
era stato vicino dopo i tragici eventi di dieci anni prima.Daniel sorrise pensando a cosa avrebbe potuto
dare per avere il suo senso dell’umorismo.
“Ehi amico, domani andiamo a
farci una nuotata al largo della baia, che ne dici?” la voce di Blaise lo
riscosse dai suoi pensieri.
Daniel sorrise annuendo. “Certo,
portiamo anche le tavole? Non si sa mai...”
“Certamente, vediamo di andare un
po’ al largo, fa schifo stare a riva. Non siamo turisti no?” disse Blaise,dandogli il cinque.
“Certo che no, risposero gli
altri due in coro, scoppiando un istante dopo tutti e tre a ridere.
“A domani allora” disse Daniel
salutando i suoi amici “ e ragazzi....grazie”.
“Non dire niente” lo salutò Rachel
con un sorriso. “A domani”.
Daniel vide le sagome dei suoi
amici svoltare sul sentiero per continuare verso la baia, fino a scomparire
alla sua vista, prima di spingere la pesante porta di legno ed entrare in casa.
“Sono tornato, mamma”
Non ricevendo alcuna risposta si
avviò in cucina dove trova sua madre, una donna magra con volto affilato ma gentile
e premuroso, che lo accolse con un sorriso, staccandosi dalla lettera che stava
leggendo, vedendo Daniel che si versava un bicchiere di succo.
“Ne vuoi un po’?” chiese il
ragazzo.
“No, non importa” disse la donna
rimettendosi a leggere la lettera.
Daniel che quasi non l’aveva
notata, vide che la lettera che stava leggendo sua madre era di pergamena
spessa, e portava una filigrana dorata che si avvinghiava ad uno simbolo di una
grande “M” color mogano con una bacchetta in mezzo, sormontata di una corona
con le iniziali....“EIIR”.
Al notare quest’ultimo dettaglio
Daniel quasi si strozzò col succo, mentre una sensazione di paura mista ad una
grande rabbia sembrò avvamparlo come dal nulla.
“Che vogliono quelli del
Ministero da noi?” chiese il ragazzo con un tremito nella voce, pregando Dio
che la risposta non fosse quella che si era immaginato.
La donna staccò gli occhi dalla
lettera, si tolse gli occhiali e con uno sguardo deciso squadrò Daniel. Poi
fece per alzarsi dalla sedia con un sospiro ed in quel momento Daniel sapeva
che i suoi peggiori timori si erano avverati.
“No...no...no...no....NO!” la
rabbia che gli bruciava dentro esplose in tutta la sua forza mentre il
bicchiere si infrangeva sul pavimento di cotto, andando in mille pezzi.
“Non ne hanno il diritto! Rispondigli
di no! Io non ci torno....hai capito, NO!” disse Daniel mentre la sensazione di
vomito gli risaliva in bocca.
“Daniel, lo sai, non è
possibile...” disse la donna cercando di prenderli la mano ma Daniel si
allontanò prontamente con un scatto rabbioso.
“Rendilo possibile, digli di no,
che rinunciamo, che lo diano a qualcun altro quel maledetto posto, glielo
regalo”. Poi un pensiero gli fece raggelare il sangue. “Aspetta ma...è in
anticipo...se la lettera...allora...” farfugliò il ragazzo cercando sul tavolo
la conferma di quello che il suo cervello non riusciva ad immaginare, o meglio
che non voleva.
Fu un istante quando guardando la posta sul
tavolo Daniel vide un'altra busta più piccola, già aperta, sempre con simbolo
della lettera precedente con una striscia nera in tralice, nell’angolo
superiore destro. Quella visione gli diede conferma dei suoi peggiori timori.
“No....” emise con un sospiro
mentre le lacrime gli salivano agli occhi. Poi, prima che sua madre potesse
toccarlo o dire alcunché, Daniel si voltò e corse in camera sua sbattendo la
porta con una forza tale da farla rimbombare in tutta casa.
“No, Dio fa che non sia vero”
disse il ragazzo mentre con le unghie affondava nel cuscino, rigandolo di
lacrime, scosso dai tremiti. Quante volte si era promesso che avrebbe trovato
un modo per evitarlo, e ora, ancora una volta era arrivato troppo tardi. Era
sempre in ritardo.
“Da sempre” disse una vocina
nella sua testa, maledicendolo.
“Nonno...” sussurrò Daniel fra i
singhiozzi abbandonandosi sul letto.
La sua vita sarebbe cambiata, da
quel giorno in poi lo sapeva, ma prima di sprofondare in un sonno agitato il
ragazzo sperò che fosse quello tutto un sogno e sperò che quando si sarebbe
svegliato niente di tutto quello che era successo quel maledetto undici luglio
sarebbe stato vero.
Note dell’autore. In questo primo
capitolo, in termini di modifica al canon, introduco
il ruolo dello Speaker del Wizengamot, una sorta di Presidente del Parlamento e
della Corte, visto che il Wizengamot per i maghi svolge entrambe le funzioni.
Il ruolo è ereditario per i Nightingale fin dalla sua creazione in Inghilterra
dopo l’entrata in vigore dello Statuto di Segretezza del 1692.
Daniel si svegliò a notte fonda,
gli occhi incrostati dal pianto della sera prima. Guardò l’orologio sul suo
comodino, erano le quattro di notte ma ormai lui non aveva più sonno. Di colpo
si ricordò di quanto accaduto e fu come se il mondo gli cadesse
sulle spalle. Immerso in una miriade di pensieri si mise al riflettere sul
letto, la schiena appoggiata contro l’armadio a muro e le gambe rannicchiate. Sentiva un freddo cane, benché fosse il 12 luglio e ci fossero
venti gradi quella notte.
Sapeva che prima o poi il giorno
in cui sarebbe dovuto tornare in Inghilterra sarebbe arrivato ma non doveva
succedere prima del suo diciottesimo compleanno e si era dato del tempo per
pensare ad una soluzione ma il fato l’aveva colto impreparato. Il suo
destino, come tutti i primogeniti della sua famiglia, era di
diventare Speaker, ovvero presidenti del Wizengamot, l’alta corte dei maghi
nonché l’equivalente del parlamento dei Babbani. La
carica era ereditaria in Inghilterra dall’entrata in vigore dello Statuto
Internazionale di Segretezza del 1692, da quando Fenir
Nightingale, suo avo, era stato chiamato a ricoprire il ruolo grazie alle sue
eccezionali doti diplomatiche che avevano messo fine alla Terza Guerra Magica
contro i Giganti; tale impresa gli era valsa la carica e la residenza di Merrist Wood, nel Surrey. Lo
Speaker infatti doveva essere l’emblema dell’imparzialità, mantenere i rapporti
col suo equivalente babbano e a fungere da mediatore
nelle questioni che li interessavano.
Un ruolo che molti avrebbero
trovato eccellente ma che era costato a molti della sua famiglia una morte
prematura: in tempi recenti sia suo bisnonno Albert che suo padre
Robert erano stati assassinati rispettivamente da Grindelwald
e da Voldemort.
Daniel si strinse le gambe al
petto: lui non voleva morire giovane, né voleva andarsene da casa sua in Nuova
Zelanda, stava bene lì, aveva buoni amici, una buona scuola ed era sicuramente
più felice di quanto lo fosse mai stato in Inghilterra nei suoi primi cinque
anni di vita.
Ma sapeva di non avere scelta.
Lui era l’ultimo della sua famiglia, figlio unico, non c’era nessun altro se non
lui. Se avesse rinunciato la carica sarebbe stata abolita o probabilmente ci
sarebbe voluto molto tempo per trovare un successore; questo Daniel non lo
voleva: l’aveva promesso a suo padre la notte in cui l’aveva visto morire,
prima di fuggire con sua madre.
“Cavolo, non ho via d’uscita” si
maledisse Daniel, appoggiando la testa contro l’armadio. Il lento mormorio dei
grilli che increspava il fruscio del vento fra gli alberi erano gli unici
rumori che gli tenevano compagnia nel flusso dei suoi pensieri.
Inoltre se la lettera era già
arrivata questo significava una cosa sola: suo nonno era morto. Daniel si
diresse in cucina sperando che sua madre avesse lasciato entrambe le lettere
del ministero sul tavolo, aveva bisogno di risposte. Sgattaiolando in punta di
piedi nell’altra stanza con la bacchetta in mano, Daniel intravide le lettere
sul tavolo.
“Lumos”
disse con un sussurro, sentendosi sulla sedia più vicina e prendendo la più
piccola delle due. La scorse velocemente non volendo indugiare troppo sulle
parole. A quanto pare suo nonno era morto di morte naturale all’età di 80 anni
per un attacco di cuore nel sonno; secondo la lettera si era spento
serenamente.
Daniel non poté fare in tempo a
ricacciare una lacrima indietro prima che gli solcasse il viso. Non aveva avuto
mai un gran rapporto con suo nonno, ma gli voleva bene e sapeva che il burbero
mago, pur con tutti i suoi pregiudizi e le sue rigidità ne voleva molto anche a
lui. Il funerale si
sarebbe tenuto il giorno successivo nella chiesa di Merrist
Wood, secondo le sue ultime disposizioni e Daniel sapeva che per quel giorno
avrebbe dovuto dire addio alla sua vita. Lui sarebbe diventato Speaker una
volta ottenuto il MAGO, fino ad allora sua madre era chiamata a ricoprire il
seggio vacante.
Daniel si insultò in silenzio
dandosi del miserabile, anche per lei non sarebbe stato facile: un conto era
esercitare la professione di avvocato ad Hamilton Bay, un’altra cosa era il
Wizengamot. Non temeva per la sua competenza ma perché si sarebbe trovata
nell’occhio del ciclone, se le notizie che gli erano arrivate dall’Inghilterra erano
vere.
Albus
Silente in un intervista si poche settimane prima aveva annunciato il ritorno
di Lord Voldemort, per poi essere smentito dal Ministro della Magia in persona.
Sembrava un dannato casino agli occhi di Daniel e non avrebbe mai voluto mettere
sua madre in prima linea ma non c’era niente che potesse fare.
“Come sempre, sei inutile” gli
disse una voce malevola dentro di sé e lui dovette ammettere con rabbia che
aveva ragione.
Posando la lettera, Daniel decise
di tornare il camera sua e di mettersi ad ascoltare il suo walkman, sperando
che un po’ di musica potesse distrarlo dalle ultime notizie. Non era passata
che una mezz’ora quando vide un bagliore dalla porta aperta provenire dalla
cucina; si tolseimmediatamente le
cuffie e fece per alzarsi dal letto quando sentì una voce calma e profonda dire:
“Oh, cielo, speriamo che funzioni...Signora Anne, Signorino Daniel?”.
Daniel si tolse immediatamente le
cuffie e volò in cucina con un sorriso riconoscendo la faccia che torreggiava
tra le fiamme del camino. Il volto apparteneva d un uomo vestito
impeccabilmente, sulla sessantina con capelli grigi accuratamente tirati
all’indietro e folte sopracciglia grigie anch’esse, un volto gentile e uno
sguardo pronto dietro un paio di occhiali tondi, portati su di un naso
leggermente schiacciato.
“Michael!” esclamò Daniel,
contento di rivedere dopo anni il viso del maggiordomo di suo nonno. Il suo
volto si distese in un sorriso misto a sorpresa.
“Oh cielo, Signorino Daniel,
quanto è cresciuto! Mi dispiace non poterle stringerle la mano, conto di
poterlo fare presto però.” concluse l’uomo con un leggero inchino della testa.
“Niente formalità Michael, ti
prego” rispose Daniel. “Come va alla villa, cercavi mia madre? Ho paura che
stia ancora dormendo, credo tu abbia sbagliato il fuso orario di qualche ora”.
sopraggiunse con un sorriso.
Il maggiordomo sembrò guardare
qualcosa verso il basso e poi esclamò sconcertato. “Oh cielo, sembra proprio
che lei abbia ragione, mi dispiace per questa intrusione nel cuore della
notte”.
“Non ti preoccupare, parliamo
solo a voce bassa” riprese il ragazzo mentre il sorriso gli si spengeva nel
volto. “Immagino tu sia qui per il nostro rientro di domani. Quand’è il
funerale?” chiese sbattendo le palpebre due volte ed abbassando lo sguardo.
“Sì infatti, le porgo le mie più
sincere condoglianze per la morte di suo nonno, signorino Daniel, era un grande
mago e nessuno più di me sente la sua mancanza. Il funerale è stato fissato per
domani sera alle 18 nella chiesa di Merrist Wood, in
una cerimonia strettamente privata, quindi non dovrà preoccuparsi di niente. In
ogni caso, quando sua madre sarà sveglia, la prego di farmi sapere l’ora del
vostro rientro, così che tutto sia pronto ed impeccabile” disse il maggiordomo
con tono professionale.
“Ti ringrazio Michael, dirò tutto
a mamma appena si sveglierà, non temere” concluse Daniel riabbozzando un sorriso tirato.
“Perfetto signorino Daniel, non
vedo l’ora di poterle stringerle la mano di persona, anche se avrei di gran
lunga preferito circostanze più felici di queste. Sono a sua disposizione per
qualsiasi cosa avesse bisogno.” concluse il maggiordomo con un altro inchino.
“Grazie Michael, ci vediamo domani,
anzi, questo pomeriggio” disse Daniel guardando l’orologio.
“A presto, signorino Daniel”
rispose l’altro prima di scomparire dal camino dopo un ennesimo inchino.
Daniel si sentiva già a disagio
con le formalità del suo vecchio maggiordomo e si ricordò perché se ne stava
bene ad Hamilton Bay: non c’era bisogno di queste cose, solo un po’ di
gentilezza. Con un sospiro tornò in camera e appena toccò il letto il sonno lo
colse all’improvviso, facendolo sprofondare come un sasso fra le braccia di
Morfeo.
Il giorno successivo fu sua madre
a svegliarlo ed il sole era già altro da un pezzo. “Svegliati dormiglione”
disse Anne entrando e aprendo la finestra della camera.
“Forza devi fare colazione,
sistemare le tue cose, poi salutare Blaise e Rachel e prepararti a partire. Coraggio
c’è poco tempo, non è il caso di continuare a poltrire!” concluse la donna
tirandogli giù di forza le coperte.
“Eddai
mamma!” esclamò Daniel rintontito prima di vedere l’ora, erano già le undici
suonate. “Cazzo, quanto è tardi!” disse chiudendo la porta della stanza dietro
alla madre e vestendosi in fretta.
Riemergendo come un tornado dalla
sua stanza volò in cucina e, sbrigandosi a finire i cerali col latte, chiese
a sua madre “FaffoveffonoRafef e Blafiel?” chiese con la
bocca piena. Doveva assolutamente avere del tempo coi suoi amici, non poteva
andarsene così su due piedi, senza nemmeno slautarli.
“Manda giù” disse Anne con uno
scappellotto versandogli un bicchiere di succo d’arancia, saranno qui fra
un’ora circa gli ho invitati per pranzo e mi aspetto che tu abbia preparato le
tue cose per quell’ora” aggiunse guardandolo con uno sguardo penetrante che non
ammetteva repliche.
Daniel annuì sbrigandosi a finire
la colazione per poi chiudersi in camera e aprire la scaletta che portava alla
soffitta da cui portò giù due grandi valige. Quando le apri vide che erano
quelle piene di scompartimenti già fatti.
“Bene, ora mi serve solo la
bacchetta” si disse mentre tirava fuori le sue cose dai cassetti. Passò una
buona ora a preparare tutto e a ridurlo per farlo entrare nelle due valige. La
cosa a cui teneva più di tutte, un proiettore con tanto di schermo lo ripose
accuratamente in una scatolina di polistirolo, pregando che reggesse bene il
viaggio.
Proprio quando mentalmente
passava in rassegna tutte le sue cose sentì squillare il campanello e si
precipitò fuori ad accogliere i suoi due amici. I loro sguardi dicevano tutto
più di mille parole; anche se sapevano che quel giorno sarebbe arrivato non
riuscirono a nascondere la tristezza per quanto stava per accadere.
“Ti verremo a trovare, quando non sarai a scuola” disse Blaise
“E non dimenticare di scrivere”,
aggiunse Rachel coi lucciconi agli occhi.
“Mai” esclamò Daniel
abbracciandoli entrambi. “Mi mancherete tantissimo” disse non celando una
lacrima.
“Anche tu!” risposero in coro i
due rispondendo all’abbraccio.
Il pranzo fu felice e gioioso,
nonostante presto tutti dovessero sentire la mancanza gli uni degli altri.
Anche Anne che esteriormente non dava nulla a vedere, internamente le
dispiaceva strappare il figlio dalla piccola dimensione di felicità che si
erano costruiti. Ed era ancor più spaventata da quanto stava accadendo in
Inghilterra ma c'era poco da fare, anche lei aveva fatto una promessa a suo marito
Robert, che non avrebbe mai infranto, altrimenti la
sua morte sarebbe stata vana e questo lei non l’avrebbe mai permesso.
Nel primo pomeriggio i tre amici
fecero una rapida passeggiata nei dintorni per togliersi di dosso il peso di
quello che stava per succedere, anche se tutti sapevano che presto sarebbe
giunta l’ora di salutarsi.
Fu la voce risoluta di Anne a far
suonare la campana degli addii. “Forza Dan, è era di sbrigarsi” gli disse sua
madre dalla finestra che dava sul giardino. “Non possiamo arrivare in ritardo”.
Daniel abbracciò per l’ultima
volta Blaise e Rachel coi lucciconi agli occhi prima di salutarli ed entrare in
casa. I bagagli erano tutti riuniti davanti al camino acceso e Anne stava
aspettando il figlio con in mano il sacchetto della metropolvere.
“Sarà un viaggio un po’ brusco,
non ne hai mai fatto uno di così lungo” disse la donna.
“Non preoccuparti mamma, andiamo”
disse Daniel risoluto.
“Come è diverso da ieri!” pensò
fra sé la donna sistemandogli il colletto prima di preparare il camino per il
viaggio. Poi gli fece cenno di proseguire porgendogli un pizzico di polvere.
“Villa Nightingale. Surrey” disse Daniel
a voce alta e mentre la vista della sua vecchia casa scomparivaed un turbinio di fiamme lo inghiottiva;si sentì tirato come da un aspirapolvere ed
in quel momento il giovane mago pregò Dio con tutto il suo cuore di riuscire a
cambiare vita senza cambiare se stesso. In quel momento si ricordò del film che
aveva visto al cinema qualche settimana prima con Rachel e Blaise “Le ali della
libertà” e sperò davvero di non finire chiuso in una prigione per il resto
della sua vita.
Note dell’autore. In questa fanfiction saranno esplorate anche tematiche come la
religione non trattate di proposito dalla Rowling nel canon
originale. Nello specifico Daniel è cattolico. A differenza dell’Inghilterra,
dove né il primo ministro né lo Speaker dei Comuni possono essere di un’altra
religione che quella anglicana, nel 1902 tale similitudine col mondo babbano è stata cancellata dal Wizengamot, che ha garantito
la neutralità più completa del Ministero nei confronti di qualsiasi fede
professata.
Daniel si svegliò presto quella
mattina; erano le sette del dodici agosto e sua madre avrebbe presieduto la
prima udienza del Wizengamot che aveva imputato niente poco di meno che il
famoso Harry Potter. Daniel aveva sentito tante cose sul giovane mago ed era
ansioso di incontrarlo, anche se avrebbe preferito non vederlo sul banco degli
imputati. Da quanto aveva letto sembrava un tipo più che a posto, tuttavia
qualcosa doveva essersi incrinato nei rapporti col Ministro Caramell, senza
dubbio a seguito dell’incidente nel Torneo Tremaghi, che aveva portato alla morte
di Cedric Diggory, avvolta ancora in un alone di mistero. Leggendo degli eventi
sulla Gazzetta del Profeta si rimaneva con un pugno di mosche in mano e poi
quella lotta tra il Ministro e Silente sul ritorno di Lord Voldemort sembrava
assurda al giovane ragazzo. C’era qualcosa sotto, ne era sicuro. Dagli articoli
del Profeta non sapeva a chi credere, decisamente incompleti,
anche se
insinuanti tanti dubbi su quanto fosse realmente accaduto.
Non avendo mai conosciuto nessuno
delle parti di persona, Daniel voleva assistere come spettatore in galleria
all’udienza, anche se il suo interesse principale era il giovane Harry.
Leggendo di lui sulla Gazzetta del Profeta, sapeva che era stato circondato da
un’aura di popolarità, anche se come carattere Harry appariva sempre molto
schivo e questo interessava particolarmente Daniel, ci si rivedeva nel suo
carattere e voleva studiarlo per vedere se poteva essere un buon amico in una
scuola in cui non conosceva nessuno.
Appena sveglio il giovane recitò
una preghiera per suo nonno e poi si recò in sala da pranzo dove già sua madre
stava facendo colazione, leggendo la Gazzetta del Profeta del giorno. Appena
Daniel entrò, lei sollevò lo sguardo e lo invitò a sedersi accanto a lei mentre
Michael, il maggiordomo, gli servì la colazione.
“Grazie Michael” lo ringraziò il
giovane, affondando il cucchiaio nella tazza di latte e cereali, poi vedendo la
splendida torta di mele danti a sé si ricordò del progetto messo in ponte poco
dopo il loro arrivo a Villa Nightingale. Si schiarì la voce e chiese al
maggiordomo:
“Michael come stanno andando le
cose con Goldey e gli altri elfi? Ci sono progressi?”
Il maggiordomo tirò fuori il
fazzoletto da taschino, si asciugò leggermente la fronte e poi rispose: “Non di
nuovi signorino Daniel, ho paura che ci vorrà ancora tempo prima che Goldey
riesca a convincerli tutti, mi ha detto comunque che un gruppo dei più giovani
sono quasi d’accordo, sono i più anziani i più restii, purtroppo, ma anche
quelli con maggiore influenza”.
“E’ un peccato, se possibile
vorrei convincerli tutti, sono parte di questa casa dopotutto” disse Daniel
mentre si tagliava una fetta di torta.
“Daniel” esordì sua madre, “Io
fra poco devo andare. Fai in fretta o faremo tardi, sempre che tu voglia
venire, s’intende.” esclamò la donna con un sorriso in tralice: sapeva bene
infatti che il figlio per niente al mondo si sarebbe perso il suo primo caso.
“Ferto,
affifosufigo” disse il
ragazzo quasi strozzandosi con la torta. Nel giro di cinque minuti aveva finito
la colazione ed era volto in camera a cambiarsi.
Pochi minuti dopo era pronto ad
uscire con sua madre; il giovane aveva uno sguardo interrogativo sul volto: “Ma
non ti vesti...” disse con fare incerto squadrandola da capo a piedi.
“Ma no sciocco mi cambierò là, te
lo immagini andare a giro con la parrucca e la gorgiera?!” esclamò Anne
divertita. Detto questo fece un cenno a Michael che le passò un sacchetto di
polvere volante.
“Bene, siamo pronti, non so
quanto durerà l’udienza Michael, poi porto Daniel a fare spese per la scuola
quindi non aspettarci per pranzo, va bene?” disse la donna rivolta al
maggiordomo.
“Certo, signora” esclamò questi.
“Vi aspetto nel pomeriggio e, buona fortuna per il suo primo caso.” disse
inarcando un sopracciglio.
“Grazie, ho come la sensazione che
ne avrò bisogno” riprese la donna prima di posizionarsi nel camino e
pronunciare ad alta voce “Ministero della Magia. Atrio.” con un rapido
risucchio ed una fiamma verde smeraldo la donna scomparve.
“Buona fortuna anche a lei
signorino Daniel” esclamò il maggiordomo porgendo anche a lui il sacchetto con
la polvere.
“Grazie Michael, ma come ti ho
già detto venti volte, solo Daniel, per favore” esclamò il ragazzo mentre il
maggiordomo gli lanciava un piccolo segno di evidente disapprovazione con la
testa.
“E poi non è me che guarderanno
oggi, no?” riprese mettendosi nel camino.
“Non tutti forse, ma stia all’erta
mi raccomando” concluse il maggiordomo.
“Ministero della Magia. Atrio.”
ripeté Daniel a sua volta prima di essere risucchiato nella metropolvere.
Quando le fiamme si diradarono e
i suoi occhi tronarono a funzionare normalmente, Daniel si trovò in un lunghissimo
salone antico, con pavimento di mogano ed il soffitto blu notte. Ai lati nelle
pareti rivestite di legno più chiaro si aprivano tanti camini da cui maghi e
streghe di ogni tipo andavano e venivano in maniera ordinata. Daniel seguì la
madre con gli occhi voltati per vedere il più possibile, era uno spettacolo
grandioso.
Fatti pochi passi la sua
attenzione venne catturata dalla fontana nel mezzo del salone che raffigurava
tute le creature magiche, anche se ovviamente la posizione centrale era
occupata da un mago con la bacchetta puntata verso l’altro da cui zampillava
una piccola cascata d’acqua, così come dalle altre creature, un centauro, un goblin,
un elfo domestico ed una strega. Non poté fermarsi ad ammirare la statua che
sua madre avanzò con passo deciso verso i banchi della sicurezza, così Daniel
si promise di esaminarla meglio all’uscita: quel posto era magnifico, ancora
più bello di come l’aveva immaginato.
Un mago dall’aria stanca si
rivolse alla coppia borbottando un “Bacchetta”, così i due gli consegnarono le
bacchette per quello che Daniel immaginava fosse un controllo di routine, cosa
che venne confermata quando un piccolo nastro si allungò dal congegno in cui il
mago aveva infilato la sua bacchetta e questi lesse: “undici pollici ed un
quarto, anima in crine di unicorno, in uso da quattro anni, coretto?”
“Sì” rispose Daniel distratto da
un gruppo di appunti a forma di areoplanino che gli avevano appena sfiorato
l’orecchio.
Finito il controllo della
sicurezza i due si avviarono più in fondo in una grande sala piena di
ascensori. Presero il primo arrivato che a quanto pare faceva tutti i piani ed
era bello pieno. Fu un viaggio piuttosto scomodo e Daniel sarebbe voluto scendere
ad ogni piano ma uno sguardo eloquente di Anne gli fece capire quanto non fosse
il caso. Finalmente, dopo quella che sembrò un eternità, la voce dell’ascensore
esclamò “Primo livello. Uffici del Ministro della Magia e dello Speaker del
Wizengamot”.
I due uscirono fuori e Anne lo
guidò verso la porta sulla sinistra di un breve corridoio, su di essa era
raffigurata una grande esse dorata. Affondando la mano sulla maniglia la
serratura scattò e rivelò ai due uno splendido ufficio, ampio rivestito ai lati
da molti ritratti, tutti dei suoi avi nella loro veste da cerimonia. Il
pavimento era di acero rosso, mentre alle pareti vi erano due grandi arazzi,
uno raffigurante la giustizia ed uno la temperanza; nel centro della stanza
davanti ad una grande libreria a muro si trovava una grande scrivania di legno
di castagno finemente lavorata.
Daniel non fece in tempo a
squadrare la metà delle cose nell’ufficio quando un messaggio arrivò attraverso
il canale delle comunicazioni fino a posarsi sulla grande scrivania, contemporaneamente
si sentì un leggero bussare provenire da una porta laterale.
“Avanti, Wilkins” disse Anne
mentre esaminava velocemente il messaggio appena giunto. “Ma cosa...?” le senti
dire Daniel con voce colpita, mentre Wilkins, il fidato segretario di sua madre
faceva il suo ingresso. Daniel sorrise contento che lei fosse riuscita a
portarsi dietro quello che per sua stessa bocca era il membro più valido del
suo ufficio di Hamilton Bay.
Wilkins era un giovane mago di
circa ventitré anni, giovane secondo molti ma lucido, sveglio e fedele, secondo
sua madre che l’aveva promosso dopo soli due mesi dopo che era entrato nel suo
ufficio; anche a Daniel, nelle poche volte in cui i due si erano incontrati
aveva fatto una buona impressione. Wilkins era magrolino, di corporatura esile
con una zazzera di capelli biondo sporco, un paio di occhiali squadrati sul
naso leggermente appuntito.
“Signora, mi spiace informarla
che l’ora dell’udienza è cambiata. Si deve vestire immediatamente, ho già
pronto il fascicolo sul caso, potremo ripassarlo meglio in ascensore. Siamo in
aula 10, nel vecchio tribunale” disse il giovane con fare affrettato.
Perché non ne sono stata
informata ieri, Tom?” chiese Anne con fare interrogativo, poi continuò prima
che l’altro potesse rispondere. “Lascia stare, ho come la sensazione che non
sarà la prima delle sorprese di oggi. Poi si rivolse a Daniel:
“L’aula dieci, è al livello
dieci, devi scendere al nove, girare a sinistra e alla fine di un corridoio a
elle troverai delle scale che scendono, fermati al primo pianerottolo: la
porta davanti è quella della galleria”.
Conosceva bene quella vecchia aula di tribunale. “Coraggio vai” disse indicando
al figlio la porta.
Daniel la salutò con un cenno
della testa e si avviò di fretta verso l’ascensore. Ci vollero diversi minuti
buoni per arrivare in fondo, non senza una buona calca di persone, nessuna
delle quali sembrò comunque degnarlo di uno sguardo.
Arrivato al nono livello Daniel
girò nel corridoio e trovò senza problemi la rampa, fermandosi su un
pianerottolo di fronte ad una porta di legno. Spingendo la maniglia entrò in
una loggia rialzata con diversi posti a sedere che dava su di una balaustra
sotto la quale si apriva un emiciclo in pietra, illuminato neanche troppo bene
dalla luce di numerose torce ad intervalli regolari.
Daniel non riuscì ad esaminare
meglio la stanza che era ancora deserta: c’erano numerose panche in tutta
l’aula, vuote.
Numerosi occhi si posarono su di
lui una volta entrato. Daniel riconobbe dal tesserino sul petto l’inviato della
Gazzetta del Profeta ma decise di non mantenere il contatto visivo, già
il giornalista lo stava squadrando, mormorando qualcosa ad una piuma
che scribacchiava velocemente su una pergamena. Ignorando i molti sguardi che
diversi maghi gli avevano lanciato addosso fin da quando era entrato ed i mormorii
che ne erano scaturiti, Daniel si mise a sedere. Passarono pochi minuti quando
la porta d’ingresso che dava sulla parte inferiore della sala si spalancò
lasciando entrare sua madre, vestita di tutto punto con gli abiti tradizionali
da Giudice Capo, seguita dal Ministro della Magia, dai rispettivi assistenti,
dedusse Daniel e dai membri della corte, tutti vestiti nei loro classici abiti
neri.
Ci fu un brusio diffuso una volta
che tutti ebbero preso posto, infatti ancora l’imputato e la sua difesa
mancavano all’appello ed i minuti passavano. Daniel cercò di sporgersi più che
poteva per vedere la parte bassa dell’aula, quando la porta accanto a lui si
aprì lentamente con un leggero cigolio.
Ne emerse la figura di un ragazzo
della sua età, snello, dalla carnagione molto chiara e capelli biondo platino
portati all’indietro, con freddi occhi grigi e sguardo altezzoso. Il ragazzo
era vestito elegantemente con un vestito verde scuro; avanzava lentamente nella
stanza, zoppicando con la mano destra appoggiata ad un bastone nero con il
manico perlaceo. Daniel lo guardò ipnotizzato per un istante prima di alzarsi e
andargli incontro; nonostante stesse chiaramente zoppicando l’altro riusciva a
mantenere un distacco che andava dalla punta dei suoi capelli fino alle sue
estremità leggermente appuntite.
“Ciao, siediti pure al mio posto,
io posso stare in piedi” gli disse Daniel indicandogli la sua sedia con un
leggero sorriso.
Le iridi fredde si contrassero
per un nanosecondo in un’espressione a metà fra lo sdegno e l’indagatore, come
se l’altro le stesse studiando Daniel dalla testa ai piedi prima di
rispondergli con voce gelida:
“Grazie, ce la faccio benissimo”
disse a Daniel facendo per proseguire, distogliendo lo
sguardo, ma l’altro riprese:
“Io posso stare tranquillamente
in piedi...”
“Sei sordo?!” lo bloccò l’altro
con gli occhi ancora più duri. “Ti ho detto di no!”.
E con queste parole andò a
sistemarsi vicino alla balaustra, appoggiandosi lungo il muro.
Daniel si scrollò di dosso la
sensazione di gelo che l’aveva colpito, pensando che se l’altro ragazzo era
così arrogante da non ammettere la verità lui non si sarebbe immischiato oltre.
Con questi pensieri si rimise a sedere proprio nell’istante in cui il rumore di
una porta nella parte inferiore della sala lo fece sporgere in avanti, cercando
di capire chi fosse appena entrato.
Vide un ragazzo non molto alto
dall’incarnato leggermente scuro, con ribelli capelli neri che si guardava
intorno con aria spaesata, boccheggiando. Non fece in tempo ad osservare meglio
quello che doveva certamente essere Harry Potter che unapotente voce maschile risuonò nella aria.
“Sei in ritardo” disse,
chiaramente indirizzata al ragazzo che era appena entrato, il quale, guardando
in alto, rispose: “ Mi dispiace, io...io non sapevo che l’orario era stato
cambiato”.
“Non per colpa del Wizengamot”
ribatté la voce che Daniel identificò essere quella del ministro Caramell. “Ti
è stato mandato un gufo questa mattina. Siediti al tuo posto”.
Il giovane moro si diresse verso
la sedia con le catene ai braccioli che tentennarono leggermente appena lui si
sedette, prima di levare il suo sguardo verso l’alto per osservare meglio le
persone che gli sedevano di fronte, più in alto.
Daniel fu distratto da quella
scena da un suono di un qualcosa di gomma che grattava il pavimento; alzò lo
sguardo alla sua sinistra un istante prima di accorgersi che il giovane pallido
davanti a lui si era sporto troppo verso la balaustra, allentando la presa sul
bastone, che stava per scivolargli di mano e farlo cadere sulla caviglia
chiaramente slogata.
Daniel reagì d’istinto e si alzò di scatto dalla sedia, riuscendo ad afferrare
il braccio e la schiena del giovane prima che questo perdesse totalmente
l’equilibrio, cascando all’indietro.
Al tatto Daniel poté sentire che
l’altro era molto leggero e tremava leggermente per lo spavento, ma in un
battito di ciglia, parve riprendere l’equilibrio e ricomporsi.
“Grazie...” disse l’altro con
voce strascicata, a stento lasciava trasparire la paura del momento precedente,
evitando il suo sguardo mentre si appoggiava con la mano sinistra al muro.
“Quella stramaledetta scopa di
merda!” sbottò l’altro a bassa voce contro se stesso.
Daniel non capiva ma si affettò a
lasciarlo, sentendo che chiaramente l’altro era a disagio nel contatto fisico,
ma guardandolo fisso in faccia gli disse:
“Di niente ma ora siediti, non
sei in grado di stare in piedi” gli ribatté Daniel sfoggiando il suo miglior
tono risoluto. L’altro lo guardò per un istante poi abbozzò un leggero sorriso
altezzoso prima di dirigersi verso la sedia.
“Prego” pensò con uno sbuffo
Daniel andandosi ad appoggiare al muro accanto. La scena aveva fatto voltare
diversi sguardi ma ben presto l’attenzione si rivolse nuovamente al Wizengamot.
“Molto bene” cominciò Caramell.
“Dal momento che l’accusato è presente, finalmente, cominciamo. Sei pronto?”
chiese, rivolto ad una figura di un giovane alto con la chioma rossa, seduto
poco più in basso.
“Sissignore” rispose questicon voce zelante, alzando lo sguardo oltre il
Ministro.
“Draco Malfoy” la voce
strascicata dell’altro ragazzo prese in contropiede Daniel che quasi ne aveva
dimenticato la presenza, con l’attenzione tutta rivolta all’udienza. Appena
voltatosi vide che una parte di gelo negli occhi dell’altro ragazzo se ne era
andata e che il leggero sorriso che sembrava tingergli leggermente le labbra
pallide sembrava sincero.
“Daniel Nightingale” dissestringendogli la mano e ricambiando con un
ampio sorriso quello dell’altro.
Appena Malfoy realizzò le sue
parole un guizzo di interesse gli balenò negli occhi gelidi come un fulmine, ma
la voce femminile che risuonò nella sala gli vece voltare entrambi verso lo
scranno più alto.
Note dell’autore. Rispetto al canon originale sono stati modificati gli abiti del
Wizengamot che sono di colore nero invece di quello viola descritto nei libri.
Lo Speaker è vestino invece in modo più formale come i giudici inglesi babbani: parrucca, gorgiera bianca semplice che si biforca
sul collo, tunica e calze nere, scarpe nere con fibbia.
“Udienza disciplinare del dodici
agosto” disse una voce femminile che fece alzare lo di colpo lo sguardo di
Harry verso l’altro della sala. Non aveva mai visto quella donna vestita con
una lunga veste nera, una parrucca color sabbia che le ricadeva fin sopra le spalle
ed un collare bianco, diviso in due sul davanti, come aveva visto alcune volte
in televisione quando suo zio Vernon vedeva i servizi di politica.
Sotto lo scranno del ministro,
Percy cominciò subito a prendere appunti. La voce proseguì:
“Per violazioni commesse contro
il Decreto per la Ragionevole Restrizione delle Arti magiche tra i Minorenni e
lo Statuto internazionaledi Segretezza
da Harry James Potter, residente al numero quattro di Privet Drive, Little Whinging,
Surrey.
Di colpo la voce tacque facendo
piombare la sala in un innaturale silenzio. Molti sguardi, notò Harry si
rivolsero sullo scranno in alto, come se vi fosse qualcosa che non andava. La
donna sembrava guardare in basso aspettandosi di vedere qualcosa che a quanto
pare non riusciva a vedere. Sentì il suo sguardo su di sé per qualche secondo,
prima che la sua voce riprendesse con tono interrogativo:
“Non possiamo procedere senza che
l’imputato sia assistito da un suo Rappresentante per la Difesa” concluse
rivolta poi ad Harry che sembrò leggere una nota di stupore quando i loro
sguardi s’incrociarono.
“Signor Potter, dov’è il suo
difensore?”
Harry non sapeva cosa rispondere:
“Io...”
Una voce lo bloccò ancora prima
che potesse continuare: “Signora Speaker il difensore dell’imputato è stato
informato del cambio d’orario, non ho spiegazioni sul perché non si si sia
presentato” intervenne Percy, controllando alcuni documenti che aveva sottomano
con voce leziosa.
Seguirono istanti in cui rapidi
borbottii si diffusero in tutta l’aula; Harry si sentì sprofondare nella sedia
in quegli istanti di silenzio. Era solo e non sapeva chi potesse aiutarlo, il
signor Wealsey era stato fermato all’ingresso, forse poteva chiedere alla donna
di farsi difendere da lui. Fu in quell’ultimo istante che sentì la porta
dell’aula spalancarsi ed una voce calma e profonda dire:
“Rappresentante per la Difesa:
Albus Percival Wulfric Brian Silente”.
Harry voltò la testa di scatto
così in fretta da farsi male al collo; la sagoma del Professor Silente che
avanzava nell’aula, sfoggiando una lunga veste blu mezzanotte e un’espressione
di calma perfetta, fecero sorgere in lui una sensazione di calore e di speranza
nel petto che sembrarono dissolvere tutta la sua paura ed incertezze. Gli occhi
dei membri del Wizengamot erano tutti su Silente; alcuni sembravano seccati,
altri un po’ spaventati, altri, tuttavia, levarono la mano e salutarono in
segno di benvenuto.
Harry fece per incrociare lo
sguardo dell’anziano mago, ma Silente non guardava verso di lui, continuava a
guardare in su, verso la donna e più in basso verso un Caramell in evidente
stato di agitazione che parlottava fitto fitto con una strega che intravedeva a
mala pena nella luce fioca della sala.
“Professor Silente, benvenuto”
disse la donna con un cenno di saluto all’anziano mago che le rispose con un
leggero inchino della testa.
“Ora che è qui possiamo
procedere...Non vedo però una sedia per lei. Signor Weasley, se
cortesemente...”
“Non c’è problema, non c’è
problema, Madama Nightingale” disse Silente in tono amabile, estrasse la
bacchetta, la agitò appena , e una soffice poltrona apparve dal nulla vicino ad
Harry. Silente si sedette, unì le punte delle dita e guardò Caramell sopra di
esse con un’educata curiosità, per poi spostare il suo sguardo sulla donna più
in alto.
“Inquisitori...” continuò la
donna schiarendosi la voce e riprendendo il foglio di pergamena posato poco
prima.
“...Cornelius Oswald Caramell,
Ministro della Magia; Amelia SusanBones, Direttore dell’ufficio Applicazione della Legge sulla Magia; Dolores
Jane Umbridge, Sottosegretario Anziano del Ministero. Scrivano della Corte:
Percy Ignatius Weasley.”
Fece una pausa e poi sollevando
una mano esordì: “A lei la parola signor Ministro per la lettura delle accuse”
dopo di che si sedette.
Caramel si alzò e, con un leggero
inchino verso la donna, si voltò verso Harry. I loro sguardi si incrociarono
per un istante e lui poté vedere che il solito tono indulgente degli anni
precedenti era svanito e al suo posto vi era uno sguardo freddo e calcolatore.
In quel momento Harry si voltò un'altra volta verso Silente ma l’anziano mago
continuava a non degnarlo di uno sguardo, la sua attenzione rivolta verso
Caramell. Una parte della sensazione di gioia di poco prima si spense nel cuore
del ragazzo. “Perché mai Silente non incrociava il suo sguardo?”, si chiese il
giovane Grifondoro.
“Le accuse sono le seguenti”
cominciò Caramell, schiarendosi la voce: “Che consapevolmente, deliberatamente
e in piena conoscenza dell’illegalità delle sue azioni, avendo ricevuto un
precedente avvertimento scritto dal ministero della Magia per un’accusa
analoga, l’imputato ha prodotto un incanto Patronus in una zona abitata da
babbani, in presenza di un babbano, il due agosto alle ventuno e ventitré, ciò
costituisce una violazione del Decreto per la Ragionevole Restrizione delle
arti Magiche tra i Minorenni, 1875, Comma C, nonché all’articolo 13 dello
Statuto di Segretezza della Confederazione Internazionale dei Maghi”.
“Lei è Harry James Potter e vive
al numeroquattro di Privet Drive, Little
Whinging, Surrey?” chiese Caramell, scrutando Harry torvo da sopra la
pergamena.
“Sì” rispose Harry
“Lei ha evocato un Patronus, la
sera deldue agosto?” chiese Caramell.
“Sì” disse Harry, “Ma...”
Sapendo che non le è permesso
usare la magia al di fuori della scuola fino al raggiungimento dei diciassette
anni?”
“Sì, ma...”
“Sapendo di trovarsi in una zona
piena di babbani e per giunta in presenza di un babbano in quel momento?”
“Sì” disse Harry irato, “Ma l’ho
usato solo perché stavamo...”
La strega alla destra di Caramel
lo interruppe alzandosi e guardando Harry da dietro un monocolo, con voce
tonante chiese:
“Hai prodotto un Patronus
completamente formato?”
“Sì” rispose Harry, “perché...”
“E hai quindici anni?” continuo
Madama Bones
“Sì, e...” rispose Harry
“L’hai imparato a scuola?”
Sì, il Professor Lupin me l’ha
insegnato al terzo anno, perché...”
“Notevole...” esclamò madama
Bones, fissandolo dall’alto, “Un vero Patronus alla sua età....davvero
notevole” disse sedendosi.
Alcuni maghi e streghe attorno a
lei borbottarono ma altri scossero il capo incupiti.
“La questione non è quanto notevole sia stata
la magia” disse Caramell con voce stizzita alzandosi mentre madama Bones si
sedeva. “In effetti, più è impressionante peggio è direi, dal momento che il
ragazzo l’ha compiuta davanti agli occhi di un babbano!”
Coloro che prima erano accigliati
mormorarono in segno d’assenso ma fu la vista dell’ossequioso breve cenno di
Percy che spinse Harry a parlare.
“L’ho fatto per i Dissennatori!”
esclamò, prima che qualcuno potesse interromperlo di nuovo.
“Dissennatori?” chiese Madama
Bones dopo un attimo, le folte sopracciglia tanto alzate che il suo monocolo
parve sul punto di cadere. “Che cosa intendi dire, ragazzo?”
“Intendo dire c'erano due
Dissennatori lungo il vicolo ed hanno aggredito me e mio cugino!”
“Ah,” disse Caramell di nuovo,
con uno sgradevole sorriso allusivo mentre guardava tutto il Wizengamot, come
se li invitasse a condividere uno scherzo.
“Sì. Sì, lo immaginavo che
avremmo sentito qualcosa di questo genere.”
“Dissennatori a Little Whinging?”
chiese Madama Bones, con un tono di enorme sorpresa. “Non capisco...”
“Davvero, Amelia?” disse
Caramell, sempre con un sorrisetto compiaciuto. “Lascia che ti spieghi. Il
ragazzo ci ha riflettuto molto e ha deciso che i Dissennatori avrebbero fornito
una bella storiella come alibi, molto carina, davvero. I Babbani non possono
vedere i Dissennatori,vero, ragazzo?
Decisamente conveniente, decisamente conveniente… in questo modo è solo la tua
parola e non ci sono testimoni…”
“Non sto mentendo!” disse Harry
con forza, sopra un'altra esplosione di borbottii della corte. Prima di poter
continuare tuttavia fu interrotto di Madama Nightingale che si era appena
alzata in piedi: “Ordine, Ordine, cari colleghi, vi prego” esclamò la donna
ponendo rapidamente fine alla confusione.
Prima di continuare lanciò uno
sguardo penetrante verso Harry che si sentì come trafitto da parte a parte.
“Tutto ciò è irrilevante signor
Ministro, non sono i commenti personali che interessano a questa corte ma solo
la ricostruzione dei fatti. La prego di astenersi da ora in poi da simili
affermazioni che senza motivo mettono in dubbio la veridicità dell’imputato”
disse la donna con tono aspro.
Il volto grassoccio di Caramell
parve afflosciarsi e tingersi di una vago rossore dalla rabbia. Harry si sentì
rincuorare da quella piccola scena, a quanto pare non era solo contro Caramell.
Questi scrutò la donna per un
attimo e poi continuò abbassando leggermente la testa:
“Certamente Madama Speaker, mi
perdoni. Ma dove sono le prove di quanto afferma il ragazzo?! Sono certo di
poter affermare che nessun Dissennatore si trovasse a Little Whinging per
ordine del Ministero la sera del due agosto scorso, ve ne sarebbe traccia nei
registri, e quindi...”
“Questo non se i Dissennatori di
questi tempi prendessero ordini da qualcuno che non è il Ministero dellaMagia” intervenne Silente tranquillo. “Ti ho
già esposto le mie opinioni in proposito, Cornelius”, intervenne Silente con
voce calma.
“Sì, è vero”, rispose Caramell
accalorandosi, “Ed io non ho ragione di credere che le tue opinioni siano altro
che sciocchezze, Silente. I Dissennatori stanno al loro posto ad Azkaban e
fanno tutto ciò che ordiniamo loro di fare. E poi non vi sono prove...” esclamò
rosso in volto rivolgendo lo sguardo da una parte all’altra dell’aula
“...chevi fossero dei Dissennatori...”
“In effetti abbiamo un testimone
della presenza dei Dissennatori in quel vicolo, oltre a Dudley Dursey, intendo,
la signora Arabella Figg, vicina di casa dei signori Dursey”. disse Silente
tranquillamente.
A questa affermazione si levò un gran brusio
da ogni parte dell’aula. Harry dal basso vide Madama Nightingale rialzarsi in
piedi. “Ordine, colleghi, Ordine!”. Il brusio parve attenuarsi dopo qualche istante.
“Visto gli sviluppi la Corte
chiama a testimoniare Arabella Figg, come test della Difesa”, concluse
sedendosi e facendo un cenno verso Percy.
A queste parole Percy si alzò
immediatamente, corse giù dalla gradinata della giuria per la scalinata di pietra
e passò frettolosamente davanti a Silente e a Harry senza degnarli di uno
sguardo.
Un attimo dopo, Percy tonava,
seguito dalla signora Figg. Sembrava più spaventata e più svitata che mai.
Harry guardandola avrebbe voluto che si fosse cambiata le pantofole di feltro.
Silente si alzò e cedette la sua poltrona alla Signora Figg, evocandone
un’altra per sé.
“Nome completo?” chiese Madama
Nightingale a voce alta, quando la signora Figg si fu appollaiata nervosamente
sull’orlo della poltrona.
“Arabella Doreen Figg,” rispose
la signora Figg con la sua voce tremula.
Madama Bones si alzò in
piediguardando la signora Figg
intensamente da dietro il suo monocolo dorato e con voce profonda le disse:
“Signora Figg, non abbiamo alcuna traccia di
maghi o streghe che abitino a Little Whinging, a parte Harry Potter. La
situazione è sempre stata attentamente tenuta sotto controllo, dati… dati gli
eventi del passato.”
“Sono una Maganò,” le rispose la
Signora Figg. “Quindi non mi avete censita, vero?”
“Una Maganò, eh?” intervenne
Caramel, scrutandola sospettoso. “Controlleremo. Lasci i dettagli della sua
ascendenza al mio Assistente Weasley. Per inciso, i Maghinò sono in grado di
vedere i Dissennatori?” aggiunse, guardando alla sua destra e alla sua
sinistra.
“Sì che possiamo!” esclamò la
signora Figg indignata.
La Madama Nightingale la guardò
dall’altro e con un cenno della mano le chiese: “Molto bene, qual è la sua
versione dei fatti?”
“Ero uscita per comprare del cibo
per gatti al negozio all’angolo in fondo a Wisteria Walk, erano circa le nove,
la sera del due agosto,” borbottò la signora Figg subito, come se avesse
imparato a memoria quello che stava dicendo, “quando ho sentito un rumore nel
vicolo che unisce Magnolia Crescent a Wisteria Walk. Mi sono avvicinata all’imbocco
del vicolo ho visto dei Dissennatori che correvano...“
“Che correvano?” intervenne
Madama Bones in tono aspro. “I Dissennatori non corrono, scivolano.”
“Era quello che intendevo dire,”
aggiunse in fretta la signora Figg, e macchie rosse le apparvero sulle guance
avvizzite. “Che scivolavano lungo il vicolo verso quelli che sembravano due
ragazzi.”
“Che aspetto avevano?” chiese
madama Bones, stringendo gli occhi tanto che l’orlo del monocolo scomparve
nella carne.
“Beh, uno era molto grosso e l'altro
molto magro...“
“No, no,” disse Madama Bones
impaziente. “I Dissennatori… li descriva.”
“Oh,” mormorò la Signora Figg,
mentre il rossore le si propagava al collo. “Erano grossi. Grossi e portavano
il mantello.”
Harry provò una terribile sensazione
di vuoto alla bocca dello stomaco. Qualunque cosa potesse dire la signora Figg,
gli pareva che al massimo avesse visto un'immagine di un Dissennatore, e
un'immagine non avrebbe mai potuto rivelare com'erano davvero quegli esseri: il
modo strano di muoversi, aleggiando a qualche centimetro da terra; o il loro
odore di putrefazione; o quel terribile rumore metallico che facevano quando
risucchiavano l'aria tutto intorno…
Nella seconda fila, un mago tarchiato
con i baffoni neri si chinò verso la vicina, una strega con i capelli crespi,
per sussurrarle qualcosa all'orecchio. La strega fece un sorrisetto e annuì.
“Grossi, e portavano il mantello”
ripeté Madama Bones gelida “Capisco.
Nient'altro?”
“Sì” disse la signora Figg. “Li ho
sentiti. Tutto è diventato freddo, ed era una sera molto calda d'estate,
sapete. E mi sono sentita… come se tutta la felicità fosse sparita dal mondo… e
ho ricordato… cose terribili…”
La sua voce si spezzò e si spense.
Gli occhi di Madama Bones si dilatarono
appena. Harry vide i segni rossi sotto il sopracciglio, dove il monocolo aveva
scavato un solco.
“Che cos'hanno fatto i
Dissennatori?” chiese, e Harry provò un moto di speranza.
“Hanno aggredito i ragazzi” disse
la signora Figg con voce più forte e sicura, mentre il rossore le defluiva dal
viso. “Uno di loro era caduto. L'altro indietreggiava, cercando di respingere
il Dissennatore. Era Harry. Ha provato due volte ma ha fatto solo del vapore
d'argento. Al terzo tentativo, ha prodotto un Patronus, che ha cacciato il primo
Dissennatore, e poi, su esortazione di Harry, ha cacciato via il secondo da suo
cugino. E questo… questo è quel che è successo” concluse la signora Figg
debolmente.
Madama Bones guardò la signora
Figg in silenzio. Caramell non la guardava affatto, ma giocherellava con le sue
carte. Lo sguardo della Madama Nightingale era indecifrabile.
Infine ella si alzò e chiese in tono
deciso: “Questo è ciò che ha visto, vero?”
“Questo è quel che è successo”
ripeté la signora Figg.
“Molto bene” disse la Speaker.
“Può andare”.
La signora Figg lanciò uno sguardo
spaventato da Caramell a Silente a madama Nightingale , poi si alzò e stava per
allontanarsi quando una gelida voce fece voltare Harry di scatto; il ragazzo si
sentì mozzare il fiato, come se avesse appena sbattuto contro qualcosa di duro.
Lucius Malfoy era in piedi
davanti a lui, il viso pallido e affilato che lasciava trasparire un ghigno
appena accennato. L'ultima volta che aveva visto quei freddi occhi grigi era
stato attraverso le fessure di un cappuccio da Mangiamorte, e l'ultima volta
che aveva sentito la voce beffarda di quell'uomo era stato in un cupo cimitero,
mentre Lord Voldemort lo torturava. Harry non riusciva a credere che Lucius
Malfoy osasse guardarlo in faccia; non riusciva a credere che fosse lì, tra i
membri della corte, per giunta!
“Perdonatemi, signora Figg, voi
avete detto di essere una Maganò, corretto?” disse con una falsa
accondiscendenza che Harry vide non si estendeva agli occhi gelidi.
“Sì signore, è esatto” rispose
lei pallida, ravvicinandosi alla sedia da cui si era appena alzata.
“E allora, mia cara signora le
chiedo...Perché ha testimoniato il falso di fronte a questa corte?!” esclamò
Malfoy con un dito puntato verso di lei in segno d’accusa. Il sorriso maligno
stampato sul volto si alimentava dagli occhi gelidi che sembravano bruciare di
gioia.
Improvvisamente un borbottio
concitato si levò da più parti, Harry si sentì afferrare da un senso di
stupore, guardò velocemente prima Lucius Malfoy che se ne stava lì
sogghignante, con una chiara espressione di malvagia soddisfazione stampata sul
volto e poi Silente che sembrava improvvisamente serio, immobile con le mani
appoggiate sul naso adunco, con un’espressione indecifrabile stampata sul
volto.
“Ordine, colleghi. Ordine”
intervenne la Speaker dall’alto alzando il tono della voce per sovrastare il
crescente brusio che si levava ormai forte da ogni lato mentre molti dei membri
del Wizengamot parlottavano concitatamente mentre aspettavano che Lucius Malfoy
continuasse.
“Signor Malfoy” disse infine
rivolgendosi alla figura più in basso alla sua destra. “Che prove ha a sostegno
della sua affermazione?” chiese all’uomo sedendosi e guardandolo con estrema
attenzione. Harry intravide una goccia di sudore scenderle dalla parrucca.
Lucius Malfoy si rivolse alla
donna sullo scranno in alto e con un leggero cenno del capo disse “Perché mia
signora, la qui presente Arabella Figg ha affermato di essere una Magonò ed io
ho un documento, firmato da Archibald Frost, rispettato esimio medico e
luminare di Fisiologia all’Ospedale San Mungo” disse interrompendosi e
sollevando con enfasi teatrale un plico sigillato con la ceralacca, “...Che
afferma, inequivocabilmente, di come i Maghinò non siano in grado di vedere
molte delle creature magiche, tra cui, appunto i dissennatori” concluse posando
il plico nuovamente sul banco.
“No, è vero” esclamò la signora
Figg con un misto di paura ed isteria nella voce, guardando velocemente i
banchi della corte per poi voltarsi verso il professor Silente, immobile nel
suo scranno.
Harry si sentì sprofondare il
cuore nel petto e guardò il professor Silente che però non accennava a muoversi
dalla sua sedia, guardando con sguardo fermo ma indecifrabile il banco del
signor Malfoy. Harry dal canto suo era spaventato per la prima volta; se
l’accusa fosse stata confermata lui si sarebbe trovato in grossi guai e con lui
il professor Silente. Si strinse nella sedia e guardò in alto, sperando in un
miracolo che cambiasse le carte in tavola.
“Ordine colleghi. Ho detto ORDINE!” disse la
Speaker alzandosi e alzando al massimo il tono della voce. “Vi invito alla
calma, altrimenti dovrò sospendere l’udienza!”
A questo parole molti si
sedettero ma continuavano a borbottare concitatamente e far gesti verso il
signor Malfoy. Dal canto suo Caramell, vide Harry con la coda dell’occhio, era
raggiante e guardava Lucius Malfoy con malcelata ammirazione.
“Vi prego, colleghi...Signor
Malfoy” esordì dopo aver ripreso il controllo della situazione, con sguardo
duro: “La invito a presentare tali documenti alla corte...Signor Weasley,
cortesemente...” disse rivolta a Percy il quale si diresse velocemente al banco
del Signor Malfoy per portare il plico ancora sigillato al banco dello Speaker.
Mentre la donna apriva il sigillo
e cominciava ad esaminare i documenti Lucius Malfoy riprese a parlare rivolto
all’aula. “La sua testimonianza è una beffa, un oltraggio a questa corte e mi
chiedo...perché se la difesa è così certa di quanto accaduto, abbia ricorso a
espedienti così meschini!”.
Di nuovo il brusio salì di un
livello nell’aula; ormai tutti pendevano dalle labbra del signor Malfoy che con
veemenza concluse: “Non sarà forse questa un'altra delle menzogne portate
davanti a questa spettabile assemblea?! Un’altra delle SUE menzogne, professor
Silente?!”.
A quel punto il brusio raggiunse
un livello tale da far posare alla Speaker il plico per rialzarsi in piedi per
invitare l’aula alla calma, anche se con molte difficoltà. Harry per la prima
volta provò il terrore di non riuscire a cavarsela. Guardò prima il signor
Malfoy che gli rivolse un compiaciuto sguardo glaciale, mal celando la propria
euforia. Di nuovo Harry cercò lo sguardo del preside e fece per parlargli, ma
Silente lo bloccò alzano una mano, non guardandolo in faccia. Harry sentì una
strana rabbia montargli nel petto:
“Ma come?!” pensò “Perché Silente
non dice nulla per difendersi? Per difendermi?! Non è possibile che sia vero
quanto dice Lucius Malfoy, ma allora perché?!” il suo fluire di emozioni fu
bloccato dalla figura dell’anziano mago che finalmente si alzò in piedi e
schiarendosi la voce catalizzò su di sé l’attenzione di tutti, facendo
ripiombare l’aula in uno stato di pericolosa calma.
Quando Silente parlò fu con un
tono diretto e voce profonda, rivolto tanto a Lucius Malfoy, quanto a tutti
maghi e streghe presenti nell’aula. “Né io né la mia testimone né Harry Potter
hanno mai mentito a questa corte Lucius e lo studio a cui tu ti riferisci è
limitato e ne posso citare altri a confutare la tua tesi ma non è questo il
punto. Lo scopo di questo processo è valutare la veridicità di quanto avvenuto
la sera del due agosto scorso. Un solo mago era presente sulla scena, Harry,
appunto.” Silente fece una pausa e per la prima volta guardò Harry negli occhi.
Questi vide per un segno di timore scintillare dietro i familiari occhiali a
mezzaluna ed in lui la paura crebbe sempre di più.
“Se riesco ad uscire con la
bacchetta da questo processo giuro che donerò mille galeoni al San Mungo!”
giurò il ragazzo in cuor suo. Sentiva il cuore battere a mille, per la prima
volta sentì davvero materializzarsi nella sua mente la possibilità di non poter
più tornare ad Hogwarts ed il solo pensiero gli fece gelare il sangue.
“Non vi sono prove che possiamo acquisire
dalla scena di quanto sia accaduto” esordì il preside“Ma per testimoniare la veridicità di quanto
espresso fino a qui da Harry invito questa corte a permettere l‘uso del
Veritaserum. So bene...” aggiunse prima che Caramell potesse interromperlo.
“..che questa prova non è ammissibile nei processi per imputati minorenni ma
numerosi pareri ben più competenti del mio in materia, hanno
dimostrato la utilità per i maghi e le streghe non
dotati di capacità rilevanti di Occlumanzia. E’ per questo che la difesa chiede
l’ammissibilità di questa prova, l’unica in grado di far luce sulla veridicità
della testimonianza, e fugare qualsiasi ipotesi di menzogna”.
Detto questo, senza aggiungere
altro, l’anziano mago si rimise a sedere con lo sguardo rivolto alla
presidenza, lo sguardo imperturbabile ed indecifrabile. La sala era sprofondata
in un’attesa piena di trepidazione. Caramell confabulava sottovoce con una
strega dalla faccia di rospo accanto a lui, vide Harry, Lucius Malfoy era
intento a scambiare parole con un mago alla sua sinistra con sguardo
interrogativo.
Harry alzò la testa verso lo
scranno più alto. Non sapeva cosa pensare, aveva visto gli effetti del
Veritaserum alla fine dell’anno scorso e non era affatto sicuro di volerli
sperimentare di persona. Dopo qualche istante in cui la donna seduta in alto
sembrò consultarsi con un giovane mago alla sua destra, si alzò nuovamente in
piedi spezzando con la sua voce il silenzio dell’aula.
“La prova suggerita della difesa
è da considerarsi inammissibile per il procedimento disciplinare qui in corso.
Questo infatti non è un processo professor Silente, benché sia tenuto di fronte
alla corte plenaria. Sono state sollevate pesanti accuse sulla test da lei
fornita che saranno accuratamente vagliate in seguito” concluse la Speaker con
lo sguardo che passava lentamente dal professor Silente al signor Malfoy prima
di continuare lentamente rivolta verso tutti i membri della corte.
“Credo di poter affermare che
questa corte ha ormai sentito le testimonianze di entrambe le parti nonché le
principali obiezioni a tali testimonianze ed accuse. Detto questo sarei quindi
procedere al voto finale”.
Detto questo la donna si
interruppe per qualche secondo. Un mormorio generale di assenso si diffuse per
tutta l’aula.
Harry guardò Silente e Caramell, entrambi
immobilia studiarsi fra loro. Per la
prima volta non sapeva cosa pensare: una parte di lui avrebbe voluto bere il
Veritaserum ma in cuor suo sapeva di aver detto la verità e sperava che fosse
stato evidente dalla sua testimonianza. Posando lo sguardo su una ancora mezza
terrorizzata signora Figg Harry ne ebbe pietà in cuor suo; aveva fatto già
abbastanza per lui, non le poteva chiedere di più. Harry sapeva che non era
colpa sua; per la prima volta un potente sentimento di risentimento si sviluppò
nel cuore di Harry verso Silente; era evidente che aveva fatto un passo falso,
non considerando un eventualità che Malfoy senior era stato abile nello
sfruttare e ora lui stava per pagarne le conseguenze.
“Coloro che sono per l'assoluzione
dell'imputato da tutte le accuse dicano “Sì” , i contrari “No” chiese infine la
voce tonante della Speaker.
La testa di Harry scattò in su.
Un coro di voci che gridavano “Sì” e “No” invasero l’atmosfera della sala.
Harry ebbe un tuffo al cuore, non riuscendo a capire qualche delle due parti
avesse la meglio in quella confusione.
Qualche secondo dopo la voce di
Madama Nightingale suonò forte nell’aria sopra tutte le altre, con quattro
parole che, Harry si disse, si sarebbe ricordato per anni.
“Divisione, sgombrate la sala”.
Note dell’autore. L’udienza disciplinare
di Harry non è un processo e come tale la massima pena che la corte può
infliggere è l’espulsione da scuola ed eventuali pene coercitive e di
riabilitazione, un po’ come i riformatori babbani, ma non la perdita della
bacchetta. Il Veritaserum non è utilizzabile in un processo, questo perché i
suoi effetti possono essere contrastati dall’Occlumanzia e dall’aver ingerito l’eventuale
antidoto. L’uso di tale pozione è consentito solo ai processi minorili, non in
caso di un’udienza disciplinare, per questo Anne rifiuta a Silente l’uso di
questa prova.
Lucius fa parte del Wizengamot in
quanto questo, nella mia fanfiction, è formato da ottantuno membri eletti, uno
per contea inglese, scozzese, gallese e dell’Irlanda del Nord più trenta membri
non eletti, uno per ogni famiglia purosangue con discendenza accertata (le
sacre ventotto del saggio di Cantankerus Nott a cui sono state aggiunte la
famiglia Nightingale e quella dei Potter; tale numero trova fondamento legale nel
trattato “Le sacre trenta” del figlio di Cantankerus, Edgar Nott del 1954 che
si basa su testi antichi risalenti a prima ancora dell’entrata in vigore dello
Statuto di Segretezza stesso). In totale sono 110 membri più lo Speaker, che
non ha diritto di voto se non nel raro caso in cui l’assemblea si spacchi esattamente
a metà.
In una votazione del Wizengamot,
alla fine della discussione, lo Speaker pone la domanda finale, che può essere
l’approvazione di una legge o l’assoluzione dell’imputato ed i membri devono
rispondere “Sì” o “No” a voce alta, tutti assieme. Se chiaramente una delle due
parti è in netta maggioranza i voti non vengono contati singolarmente e lo
Spaeker annuncia direttamente l’esito della votazione; in caso contrario quest’ultimo
chiama una “divisione” cioè una conta singola che i rappresentati eseguono
dividendosi in due file e risalendo dal basso all’alto dell’aula, venendo
quindi contati dallo scrivano di corte e dal segretario dello Speaker. Tradizionalmente
la fila che sale a destra dello Speaker è quella dei favorevoli mentre quella
alla sua sinistra, quella dei contrari.
A differenza del canon tutte
queste famiglie hanno eredi ancora in vita; un solo scranno rimane vuoto,
quello dei Potter visto che Harry non è ancora maggiorenne e non ha ancora
conseguito i M.A.G.O. in almeno cinque discipline, le uniche due condizioni
necessarie per occupare il proprio posto all’interno dell’assemblea. Se
qualcuno avesse domande o dubbi in merito mi chieda pure.
Daniel sembrò uscire da una specie
di trance quando vide sua madre sedersi e avvicinare l’orecchio a Wilkins, in
piedi sulla destra accanto al suo scranno, mentre questi le indicava alcuni
passaggi probabilmente da usare nella scrittura del verdetto. La tensione
sembrava scivolargli via lentamente mentre molte delle figure sedute in
galleria cominciavano ad alzarsi e a lasciare la stanza; anche nell’aula
sottostante diversi membri del Wizengamot avevano iniziato a abbandonare i loro
posti sulle panche, alcuni parlottando fra loro, altri lanciando occhiate più o
meno interessate al giovane Harry ancora immobile sulla sua sedia, altri,
raccolti attorno al Ministro Caramell, sembravano riuniti a formare un piccolo
consiglio.
“Se l’è cavata anche stavolta”
disse una voce gelida dietro Daniel, facendolo girare con uno scatto che gli
fece male al collo.
Draco Malfoy si era alzato e stava
camminando lentamente verso la balaustra, un’espressione di disgusto stampata
sul volto appuntito, gli occhi più gelidi di un pezzo di ghiaccio.
Daniel si alzò e si avvicinò
velocemente a lui; chiaramente l’altro stava squadrando Harry con malcelato
risentimento, mentre questi si alzava e finalmente si avviava verso la porta
d’uscita. Osservando attentamente il viso del ragazzo, Daniel capì all’istante
che non doveva scorrere buon sangue fra i due, qualcosa che andava oltre il
fatto che questi se la fosse cavata per soli tre voti, vanificando l’intervento
di quello che sicuramente era il padre del ragazzo che gli stava accanto.
“Tu credi davvero che fosse
colpevole?” gli chiese Daniel per saggiare la sua ipotesi.
L’altro si girò verso di lui con un
sorrisetto maligno stampato sul volto pallido. “Ovviamente!” gli rispose con
determinazione, poi con un cenno di saluto cominciò a zoppicare verso la porta
d’uscita. Daniel gli rispose e ritornò indietro per un attimo a guardare di
sotto dalla balaustra, l’aula era chiaramente un vecchio tribunale probabilmente
usato in passato per procedimenti ben più gravi. Lo sguardo del ragazzo si fissò prima sulla
sedia con le catene manette ai lati, poi verso sua madre che per ultima stava
scendendo la scalinata di destra parlando fitto fitto con Wilkins, che stava
prendendo velocemente appunti annuendo di tanto in tanto con la testa.
“Ti va un gelato da Florean Fortebraccio?” chiese una familiare voce
strascicata alle sue spalle, facendolo voltare di scatto.
Daniel vide che lui e Draco Malfoy
erano rimasti i soli nella stanza, il ragazzo in piedi appoggiato alla porta
chiusa con lo stesso sorriso senza malizia di alcune decine di minuti prima. Un
grande sorriso gli si materializzò sul volto a quelle parole.
“Certo, ma dov’è questa
gelateria....Draco?” aggiunse con una
nota di forte timore nella voce. Anche se non sapeva il perché, quel ragazzo
dal viso affilato gli metteva uno strano senso di soggezione, o meglio, non
sapeva come prenderlo...dalle poche parole scambiate prima si era reso contro
che poteva passare da un freddo distacco aristocratico ad una timida gentilezza
con una mezza parola. A Daniel sembrava di camminare in una cristalleria ma la
voglia di farsi qualche amico prima di arrivare in quella scuola di cui
conosceva per ora soltanto il nome “Hogwarts” e qualche vecchia storia ebbero
la meglio sulla sua iniziale diffidenza, che fu spazzata via alle successive
parole dell’altro.
“E’ vicina, Daniel, basta uscire dal ministero e percorrere tutta Diagon Alley,
fin quasi in fondo”. disse Draco, col sorriso che gli si estendeva leggermente
agli occhi.
Daniel scattò in avanti e gli aprì
la porta per aiutarlo ad uscire: “D’accordo, andiamo, devo finire di comprare
le ultime cose per la scuola ma posso farlo dopo con mia mamma. Anzi se vuoi te
la presento, tanto la devo avvertire comunque.” riprese l’altro.
“Certo, volentieri, anche io devo
avvisare mio padre, dovrebbe essere qui appena usciti” gli rispose l’altro
uscendo lentamente dalla stanza con un sorrisetto.
I due percorsero in silenzio il
corridoio che li separava dall’ingresso al nono livello, arrivati alla base
della scalinata Daniel vide uno sguardo di impazienza misto a rabbia tingere le
iridi grigie di Draco.
“Maledette scale...” disse come
rivolto alla rampa di pietra che lo separava dal piano superiore. Prima che
Daniel potesse offrirgli una mano l’altro aveva già puntato il bastone sul
primo gradino e si era dato la spinta con la gamba buona per salire. Tutto
sembrò andare per il meglio solo che, da ultimo, tentò naturalmente di
bilanciarsi sull’altro piede che si piegò in un angolo strano, facendogli
scappare un “Ahia!” prima di dondolare pericolosamente in avanti col peso del
corpo.
Daniel reagì d’istinto e gli tirò
indietro le spalle, facendogli riguadagnare l’equilibrio mentre con una mano
gli prese il braccio per assicurarne la presa sul bastone. Ci fu uno scambio di
sguardi dove una miriade di espressioni sembrarono passare negli occhi di
Draco, ficnhé questi disse con un sospiro: “Grazie, a
scendere non ho avuto grossi problemi ma a salire è ancora peggio!”.
“Beh non vedo molte altre
soluzioni. Passami il bastone” disse rivolto all’altro porgendogli la mano.
Draco lo guardò con uno sguardo di stupore misto a una smorfia cattiva.
“Cosa?!” gli disse con tono minaccioso.
“Non ti serve e cadrai se lo usi
per salire” gli disse Daniel porgendogli la mano sinistra, poi con sguardo
deciso aggiunse: “L’unico modo è che ti appoggi a me, con la destra, così da
salire senza scivolare”.
Draco sembrò valutare le sue
opzioni e quanto gli aveva detto l’altro, poi con sguardo freddo e determinato
rispose: “Non preoccuparti il bastone va benissi...”
disse mentre teneva di superare il secondo gradino. Il piede nuovamente
sovraccaricato gli cedette completamente, storcendosi sotto il suo peso ed il
bastone gli scivolò via di mano, non riuscendo a fare presa sulla liscia pietra
della scalinata. Draco ondeggiò di nuovo pericolosamente verso destra e di nuovo
Daniel lo afferrò da dietro facendogli riguadagnare l’equilibrio un istante
prima di cadere in avanti.
“Visto?!” gli Daniel l’altro serio.
“Non riuscirai a salire, ti devi appoggiare a me. Arrivati su poi col bastone
ce la farai da solo” aggiunse cercando di ignorare lo sguardo duro ed il lieve
rossore che tinse le guance dell’altro.
Passarono un paio di secondi immobili
dove Daniel pensò che Draco stesse cercando un modo per evitare di essere
aiutato “Cavoli, mi sembra Blaise...” pensò il ragazzo mentalmente.
“E va bene” gli disse Draco con una
nota di risentimento e di noia nella voce. “Tieni” concluse, dandogli il bastone.
Daniel lo prese e afferrò immediatamente la mano destra del ragazzo che si
irrigidì nel tentativo di trovare l’equilibrio. Dopo qualche secondo Daniel gli
dette la spinta per salire il terzo gradino, stupendosi nel mentre di come
l’altro fosse leggero. Così nel giro di qualche minuto i due riuscirono ad
arrivare senza ulteriori problemi in cima alla rampa; Daniel porse nuovamente
il bastone all’altro che si ricompose nel giro di un nanosecondo, ritrovando
l’equilibrio e il distacco di prima.
“Grazie...” gli disse Draco.
“Di niente, figurati.” gli rispose
l’altro. “Sei molto leggero, saresti un buon cercatore” concluse squadrandolo
da capo ai piedi.
“Tsk.”
riprese Draco con una finta nota di stizza nella voce “Io SONO un OTTIMO
cercatore. Serpeverde mi deve molte vittorie” disse con una grande nota
d’orgoglio nella voce, rivolgendo all’altro un’occhiata da superiore.
Daniel ignorò il tono di superbia
dell’altro e con un’espressione di sincero interesse gli chiese: “Sei il
cercatore della tua casa?! Che bravo! Che scopa usi?” aggiunse con gli occhi
che gli luccicavano, mentre svoltavano l’angolo reimmettendolsi
nel lungo corridoio ad elle. Era un grande appassionato di Quidditch.
“Una Nimbus
duemilauno” disse Draco con voce orgogliosa.
“Figo!” esclamò Daniel. Era uno
degli ultimi modelli usciti, secondo solo alla Firebolt
per velocità: una scopa perfetta per un cercatore.
“E da quanto...” la voce di Daniel
si affievolì e si spense mentre il suo sguardo si posava sulle due figure poco
più avanti. Anche Draco girò la testa e uno sguardo di timore misto a rispetto
gli dipinse il volto nel vedere poco distante il padre parlare con la nuova
Speaker.
“Come sa, signor Malfoy, la
sentenza non può essere appellata ulteriormente, ma può star certo che farò
luce sulla falsa testimonianza della signora Figg. Ha già dato istruzioni al
signor Shacklebolt di condurre un interrogatorio
preliminare ed un’indagine approfondita in materia. Sicuramente...” disse la
donna interrompendosi poi di fronte a Daniel.
Il signor Malfoy si voltò
leggermente ed un sorriso gli illuminò il volto, senza estendersi però agli
occhi gelidi, alla vista del figlio e del ragazzo che gli camminava accanto:
"Draco, ti stavo cercando, ma
vedo che sei già in buona compagnia. Chi è questo giovanotto?" chiese con
interesse.
Draco non fece in tempo ad aprire
bocca che Daniel porse la mano in direzione dell'uomo, dicendo: "Daniel
Nightingale, piacere signor Malfoy".
Guardandolo mentre l'altro mago gli
porgeva la mano guantata di nero e lui la stringeva, Daniel ebbe un leggero
brivido lungo la schiena, non sapeva perché. Fu sua madre a riprendere il
discorso, posando i suoi occhi fra Daniel e Draco:
"Questo è mio figlio, signor
Malfoy e questo immagino sia il suo disse porgendo la mano a Draco, che la
strinse con un leggero inchino della testa.
"Sei un ragazzo di buone
maniere" aggiunse Anne, rivolta a Draco con un sorriso. " poi
continuò rivolta al figlio:
"Daniel io avrò ancora un po'
da fare in ufficio, perché non inizi a vedere ciò che ti serve per la scuola?
Ci possiamo vedere alla Gringott fra un'ora circa" concluse guardando
l'orologio.
"Certo mamma, non
preoccuparti." le rispose Daniel sorridente. Poi si rivolse al signor
Malfoy che lo stava squadrando dall'alto.
"Le dispiace se le rubo Draco
per un gelato?" gli chiese mentre il volto di Lucius si schiudeva in un
sorriso misto a trepidazione.
Daniel incrociò lo sguardo di Draco
e si incupì all'improvviso. Gli era sembrato per un attimo che una traccia di
paura avesse traversato gli occhi dell'altro per una frazione di secondo, anche
se non ne capiva il perché.
Quando Draco parlò però non c'era
traccia di timore nel suo sguardo solo, una nota d'impazienza: "Faremo
presto, padre."
Lucius batté per due volte il nero
bastone da passeggio che portava sul pavimento, prima di rispondere con un
sorriso ancora più ampio:
"Ma certo, figlio mio. Io fra
poco avrò una riunione importante. Troviamoci qui nell’atrio fra una mezz’ora."
Con un cenno della testa Draco
annuì prima di salutare la Speaker e proseguire velocemente, quanto più la
gamba gli permettesse, lungo il corridoio verso gli ascensori. Daniel, con un ultimo
cenno d'intesa a sua madre cominciò a rincorrerlo, fino a raggiungerlo
velocemente:
"Ehi, rallenta, che fretta
hai?" disse Daniel affiancandolo, schivando due messaggi diretti verso il
piano superiore.
"Voglio uscire, mi manca
l'aria, tutto qui" rispose l'altro con sufficienza, senza degnarlo di uno
sguardo.
Daniel rimase in silenzio per
qualche istante ma arrivato agli ascensori chiese a Draco: "Sei sicuro non
ci sia niente altro?".
L'altro si voltò verso di lui e con
uno sguardo duro e con tono gelido gli disse: "Non c'è nulla che non vada
te l'ho già detto!.”
Daniel rimase in silenzio fino alla
gelateria, per Diagon Alley non pronunciò parola, lo sguardo basso che ogni
tanto fissava il ragazzo accanto a lui. Proprio non riusciva a capirlo, Draco.
Un attimo era freddo e disinteressato, poi si mostrava gentile, poi tornava ad
essere orgoglioso ed infine si chiudeva in se stesso, mostrando più aculei di uno
Schioppodo Sparacoda.
Guardando l'altro che entrava nella
gelateria, reggendogli la porta per un nanosecondo, Daniel capì in cuor suo che
per diventare suo amico avrebbe dovuto sudare sette camice; ma c'era qualcosa
in quel ragazzo pallido che lo attirava, qualcosa di empatico, nonostante il
suo carattere scostante, a cui non riusciva ancora a dare un nome.
La gelateria di Florian
Fortebraccio era una vera magia per gli occhi, gusti dai più classici ai più
esotici, cialde di ogni forma, granelle e coperture di ogni natura illuminavano
un ambiente variopinto e pieno di maghi e streghe di tutte le età. Daniel
raggiunse Draco di fronte alla grande vetrina dei gusti e si mise ad osservare
tutte le opzioni; alcuni dei gusti non li conosceva neppure...ce ne era ad
esempio uno grigio chiaro con dei piccoli semini scuri in rilievo che il suo
compagno sembrava puntare con avidità.
Appena una giovane commessa sulla
ventina si avvicinò a loro, Draco le chiese con tono deciso:
"Un cono medio, sesamo nero e
menta".
Poi aggiunse rivolto a Daniel:
"Tu cosa prendi?".
Il ragazzo che stava ancora
leggendo gli ultimi gusti gli rispose, mentre l'altro prendeva il suo cono ed
iniziava a leccarlo:
"Dunque...Anch'io un cono
medio... liquirizia nera ecrema"
disse Daniel avviandosi alla cassa.
Il cassiere era un mago sulla
trentina, che appena vide il ragazzo avvicinarsi gli disse, facendo scattare il
registratore di cassa:
"Due coni medi sono 12
falci" disse con un leggero sorriso.
"Aspetta Daniel..." lo
raggiunse Draco col gelato che stava già iniziando lentamente a sciogliersi,
cercando con la mano destra il suo portamonete in varie tasche del vestito
verde.
"Lascia stare Draco", lo
tranquillizzò l'altro aprendo il suo e allungando le monete al cassiere.
"Ti sta colando la menta, attento."
L'altro ragazzo riprese a leccare
il cono appena in tempo ed indicando un tavolino libero all'aperto disse a
Daniel: "Sediamoci là".
I due si sistemarono su un lato del
piccolo giardino esterno che dava su Diagon Alley; Draco fu il primo a rompere
il silenzio:
"Grazie per il gelato, Daniel.
Ho sentito da mio padre che sei tornato da poco dalla Nuova Zelanda, immagino
verrai ad Hogwarts quest'anno".
"Certo!" rispose l'altro
addentando un pezzo di crema. "Ad Aotearoa, la nostra scuola di magia, non
avevamo case come da voi, sarà una cosa strana essere smistati".
"Davvero?!" chiese
l'altro inarcando un ciglio per la sorpresa. "Beh, spero finirai a
Serpeverde, avresti tanti buoni amici lì, fra cui me ovviamente!" aggiunse
gonfiando leggermente il petto. Poi d'improvviso s'incupì:
"Sai che se finirai a
Grifondoro, sarò costretto a toglierti il saluto, vero?" aggiunse con uno
sguardo così torvo che a Daniel andò di traverso la saliva.
"Ma....cough...come mai tutto
questo odio?" poi all'improvviso il suo cervello fece due più due e si
ricordò del processo: "Non sarà mica per Harry Potter, vero? Che cosa c'è
che non va tra voi?" chiese con sincero interesse.
Dall'espressione dura e
dall'occhiataccia di Draco, capì di aver toccato un tasto delicato.
"Lascia stare quello stupido
di uno Sfregiato! Non siamo mai andati d'accordo, fin dal primo anno"
esclamò l'altro con le guance leggermente rosate e uno sguardo glacialmente
infuocato. "Siamo nemici da sempre, lui e quel gruppo di sciocchi sudici mezzosangue!"
concluse con odio.
Daniel lo guardò straniato. Mai ad
Aotearoa aveva visto niente del genere. Parole come "mezzosangue" non
venivano praticamente mai usate, e anche se le antipatie non erano infrequenti,
percepiva che c'era molto di più fra Draco Malfoy ed Harry Potter.
"Non sono un tipo molto
coraggioso, quindi non dovrei rischiare, no? aggiunse concentrandosi sul suo
cono, ormai alla fine.
L'ira di Draco si spense
rapidamente così come era scoppiata e quando gli parlò di nuovo fu con un tono
tranquillo e amichevole: "Scusami, tu non sei stato quattro anni ad
Hogwarts ma vedrai presto con i tuoi occhi, spero potremo essere amici"
aggiunse con un leggero sorriso.
Daniel lo guardò negli occhi e
rimase senza parole. Un turbine di emozioni gli si agitava dentro ma vedendo la
sincerità nel volto dell'altro cercò di controllarsi più che poteva.
"Lo spero" disse,
ricambiando lo sguardo. "Anzi ne sono certo, ad una sola
condizione..." concluse specchiandosi negli occhi dell'altro. "Che tu
non tradisca mai la mia fiducia emi
accetti come sono, io prometto di fare lo stesso con te". concluse
tendendogli la mano.
Dallo sguardo incerto di Draco,
Daniel sperò in cuor suo che gli avrebbe stretto la mano; qualcosa in quei
freddi occhi di ghiaccio gli ricordava se stesso prima di incontrare Blaise e
Rachel e anche se il suo carattere era molto diverso da quello dell'altro,
poteva percepire un senso di solitudine che gli era familiare.
Draco sembrò immerso nei suoi
pensieri per qualche secondo prima di prendergli la mano e dire con voce bassa:
"Andata, ma ad un unica condizione, che tu non ti intrometta mai fra me e
Potter, mai, per nessun motivo".
Daniel gli strinse forte la mano,
sentendo le dita fredde e sottili dell'altro tra le sue ed ebbe la sicurezza di
essersi imbarcato in una bella sfida con Draco.
"Hai mai giocato a Quidditch,
gli chiese questi con tono decisamente più rilassato.
Il viso di Daniel si illuminò:
"Certo! A Aotearoa abbiamo cinque squadre di Quidditch, io ho giocato per
un anno nei "Blue Tornado", siamo arrivati secondi ma ce la siamo
giocata bene, abbiamo perso per dieci punti, non me lo ricordare mi brucia
ancora la sconfitta!" esclamò battendo un pugno sul tavolo.
Draco lo guardò con un sorrisetto
amaro: "Ti capisco, Serpeverde è arrivata terza nell'ultimo campionato,
uno schifo".
"Vabbè dai quest'anno vi
dovete rifare allora" disse Daniel con fare incoraggiante, poi aggiunse, “Come
funziona lo smistamento nelle case ad Hogwarts? Ho letto che viene fatto da una
specie di cappello."
"Sì, c'è una specie di
cappello parlante, te lo mettono in testa e lui ti smista a seconda di quanto
tu rispecchi i valori di uno dei fondatori di Hogwarts; Serpeverde premia
astuzia, lignaggio, essere pieni di risorse ed un certo odio per i Grifondoro
come ti ho già spiegato." aggiunse gonfiando leggermente il petto.
Daniel rise. "Specialmente nei
confronti di un certo Harry Potter, immagino" aggiunse con un ghigno.
"Soprattutto!" esclamò
l'altro sgranocchiando l'ultimo pezzo di cialda. "Lui, quel traditore
pezzente Weasley e quella mezzosangue della Granger" aggiunse con odio.
"Tu che ne pensi del ritorno
di Tu-Sai-Chi? Silente sembra in aperto conflitto col Ministro Caramell.” disse
Daniel cercando di cambiare argomento.
"Silente crede a Potter,
l'anno scorso c'è stato un incidente alla fine del torneo Tremaghi e Potter era
lì accanto al cadavere di Cedric Diggory, un Tassorosso, nonché il vero
campione di Hogwarts. Per farla breve Potter sostiene di essere stato testimone
del ritorno del Signore Oscuro, tutte sciocchezze secondo me. Il Ministero
della Magia non ha trovato alcuna prova, per me si è inventato tutto."
concluse con una smorfia di disgusto.
"Perché avrebbe dovuto fare
qualcosa di simile, Draco? Non ha senso!"
"Per cercare attenzioni, non è
la prima volta che lo fa. Manie da protagonismo da Grifondoro senza dubbio!”
Era evidente che Draco era
adamantino nelle sue convinzioni e che non sembrava minimamente intenzionato a
sentire repliche ma in questo caso Daniel decise di non darsi per vinto:
“Secondo me la cosa è molto più
complicata di così, Draco, altrimenti la Gazzetta del Profeta non passerebbe
tutto questo tempo a smentire false affermazioni se fossero del tutto infondate
come dici”
Il Serpeverde stava per rispondere
caparbio quando un rintocco in lontananza fece voltare Daniel. Erano già le 11;
era passata più di un’ora. Anche Draco se ne accorse ed i due si alzarono
immediatamente di scatto e con passo veloce si diressero verso il fondo della
via. Draco si stava maledicendo e zoppicando più in fretta che poteva. Daniel
era sicuro che dovesse fargli un male cane la gamba ma non si intromise,
chiedendo soltanto:
“Com’è che ti sei storto la
caviglia?”
“Questa? Solo una stupida caduta
dalla scopa, niente di più” rispose l’altro in tono freddo e asciutto.
Erano arrivati al punto dove si
sarebbero dovuti dividere; Diagon Alley si biforcava, a destra verso la
Gringott mentre a sinistra andava verso il Ministero della Magia.
“Mi ha fatto molto piacere
conoscerti Draco” disse Daniel porgendogli la mano in segno di saluto. Poi
guardando la gamba dell’altro aggiunse. “Quando ti sei rimesso passa pure da me
che giochiamo un po’ a Quidditch insieme, ti va?” gli chiese con un gran
sorriso. Era da tanto che ton toccava una scopa. A Blaize e Rachel non piaceva
giocare a Quidditch e un’intera estate era troppo lunga per un appassionato
come Daniel.
Le guance di Draco si tinsero di un
colorito rosa pallido ed un sorriso comparve sui suoi lineamenti glaciali:
“Certo, mi farebbe molto piacere, appena questa cavolo di gamba guarisce”. gli
disse l’altro stringendogli la mano e salutandolo.
“Bene, allora ti aspetto allora!”
disse Daniel salutandolo con la mano e affrettandosi di corsa verso la
Gringott. Draco rimase lì immobile per diversi secondi prima di riprendere il
suo cammino, impassibile come al solito.
Arrivato di fronte all’entrata del
Ministero vide suo padre che lo aspettava chiaramente spazientito con
un’espressione dura dipinta sul volto. Quando lo raggiunse gli parlò fu con un
tono duro ed infastidito: “Spero che questo tuo ritardo sia servito a qualche
cosa almeno!” disse chiudendo con uno scatto della mano destra un costoso
orologio da taschino d’oro con inciso sopra un serpente su di una grande emme.
Draco abbassò lo sguardo, non
riuscendo a sostenere né lo sguardo del padre, né il vortice di emozioni che
gli si aggrovigliava nel petto. Si sentiva la bocca amara quando rispose con un
leggero tremito nella voce:
“Sì, mi ha invitato a casa sua.
Credo...credo voglia essere mio amico”.
Lucius Malfoy a queste parole si
avvicinò all’orecchio del figlio, l’espressione dura svanita e rimpiazzata da
un ampio sorriso. “Perfetto figlio mio, ti sei comportato bene....ma ricorda è
solo il primo passo”, disse dandogli una leggera pacca sulla spalla di
approvazione.
Draco sentì un sentimento di odio
mischiarsi ad una ferita nel petto che sembrava crescergli dentro; nonostante
si trovasse in un atrio pieno di persone, si sentì, una volta di più, più solo
che mai.
La luce alta del sole filtrava
oltre le bianche tende dalla grande finestra della camera di Daniel, mentre
questi si trovava a gambe incrociate sul suo letto a baldacchino, lo walkman
buttato dietro, intento a parlare con volto raggiante a due volti familiari nel
camino acceso davanti a sé.
“E così anche la storia
dell’udienza è passata. Ma come sta andando laggiù ad Hamilton Bay? Ho sentito che l’altra notte c’è stata una tempesta
che ha danneggiato gravemente il vecchio faro in cima alla collina. Immagino
che anche Oak House sia andata...” aggiunse Daniel
con un tono di tristezza nella voce.
“Ha subito parecchi danni ma ha
retto. Che credi che costruisca mio padre, Daniel?!” disse Blaize
con evidente risentimento nella voce ed un mezzo sguardo torvo. “Ci ha anche
piazzato una bella runa di protezione che ha salvato l’area. Pensa che i nostri
sono l’unico gruppo di quattro alberi ancora in piedi nel raggio di duecento
metri.” concluse con evidente soddisfazione nella voce.
“Daniel ci dispiace ma non so se
riusciremo a venire a trovarti prima dell’inizio della scuola” s’intromise Rachel con un’occhiata dispiaciuta verso l’amico.
“Purtroppo la tempesta ha fatto molti danni e dobbiamo rimanere qui a dare una
mano, ci dispiace”.
“Ah, non preoccuparti Rachel, lo capisco. Vorrei tanto poter tornare io....”
aggiunse Daniel abbassando gli occhi su una mappa della costa di Hamilton Bay che aveva preso per localizzare la loro vecchia casa
sull’albero; era un’istituzione per loro tre.
Un leggero bussare sulla porta fece
alzare lo sguardo a Daniel che, posandosi sull’orologio, trasalì. “Cavolo sono
già le tre!” aggiunse rimettendosi in piedi mentre Michael, il maggiordomo,
apriva leggermente la porta.
“Signorino Daniel, il giovane
signor Malfoy è arrivato. L’ho fatto accomodare nel
salotto est. Le consiglio di sbrigarsi” aggiunse con tono preoccupato.
Daniel sistemò il walkman e le
mappe alla buona e poi si rivolse al maggiordomo. “Arrivo subito Michael,
grazie.” Questi richiuse la porta con un cenno della testa.
Rivolgendo lo sguardo a Blaize
e a Rachel che lo stavano guardando con aria
interrogativa, disse: “Vi ricordate il ragazzo di cui vi avevo parlato
all’udienza? Draco Malfoy? L’ho invitato a casa mia...ma
mi ero scordato dell’ora. Scusatemi ragazzi devo scappare. Se vi va, possiamo
rivederci domani...” aggiunse in piedi davanti al camino.
“D’accordo nessun problema” disse Rachel con un sorriso, non seguita però da Blaize che squadrò l’amico con sguardo preoccupato. “Stai
attento Daniel, lo sai....no?” aggiunse sollevando il sopracciglio destro con
sguardo eloquente.
“Sì, Blaise.
Dai, non tutti sono Nathan Drake. Non posso chiudermi in casa solo perché
qualcuno è figlio di qualcun altro brutto e cattivo. Di questo passo non
conoscerò mai nessuno. Ti ho già promesso che starò attento...”
“Bene, allora divertiti. Mi auguro
con tutto il cuore di sbagliarmi...”aggiunse Blaise
con un sospiro amaro.
“A domani allora!” disse Daniel
salutandoli un istante prima di afferrare la sua Tornado Nove ed imboccare la
porta della camera per dirigersi verso l’ala est. Apprezzava la preoccupazione
che Blaize aveva verso chiunque lui conoscesse e, se
da una parte sapeva che l’amico lo faceva per il suo bene, alle volte era di un
soffocante da esplodere.
Percorrendo velocemente i vari
corridoi della grande villa Daniel cercò di evitare di incrociare lo sguardo di
molti dei quadri alle pareti; non si era ancora abituato alla pompa e alla
rigidità che trasparivano da ogni angolo di quella vecchia casa, men che meno
allo sguardo di alcuni dei suoi avi. Giunto di fronte al portone del salone est
emise un sospiro e aprì la porta.
Il salone est era ancora pieno di
luce nonostante il pomeriggio inoltrato; i molti specchi alle pareti
riflettevano la luce di quella bella giornata facendola riflettere su un
mobilio color crema, insolitamente leggero nello stile di Villa Nightingale. Seduto
su una delle tre poltroncine a lato di un grande divano color perla, stava il
suo futuro compagno di scuola, vestito in nero ebano con un serpente in verde
giada che gli percorreva tutto l’abito; stava chiaramente esaminando il
soffitto della sala mentre la sua scopa, una Nimbus duemilauno, era posata al
lato della sedia.
“Ti piace il dipinto sul soffitto?”
chiese Daniel avanzando verso l’altro tendendogli la mano con un leggero
sorriso.
“Oh” esclamò Draco colto alla
sprovvista. Si ricompose e strinse la mano al ragazzo. “Sì molto…è molto
strano” continuò poi con il naso appuntito rivolto verso l’alto “Sembrano come
delle nuvole che nascondono una specie di città fra la neve”.
“Aspetta, l’avevo letto....Ah sì!”
esclamò Daniel buttandosi a sedere sulla sedia accanto a quella di Draco con lo
sguardo rivolto verso l’alto. “Se non ricordo male questo dipinto, dovrebbe
essere la spianata di Krelyn, l’entrata della città
di Ilnys.
Draco si girò verso Daniel con un’espressione
di stupore mista a sarcasmo sul volto. “La città perduta? Non sapevo che i tuoi
avi avessero la passione delle leggende.”
Daniel scrollò le spalle, alzandosi
dalla sedia e si avviò verso la porta dall’altra parte della sala. “Un mito
forse, affascinante da raccontare però non trovi? Ma basta storia, andiamo nel
parco fuori? Abbiamo un volo da fare!” prendendo Draco per il polso.
“Ehi, piano! Lascami Daniel”
esclamò l’altro esaminando meglio il dipinto.
“Guarda che se t’interessa ti
presto un libro” disse ridendo l’altro.
“Non importa” disse Draco
afferrando la scopa, posando finalmente lo sguardo sull’altro ragazzo: “In che
ruolo giochi tu a Quidditch?” gli chiese con fare indagatore, squadrandolo
dalla testa ai piedi, con lo sguardo che indugiava per un secondo sul manico di
scopa.
“Portiere!” esclamò Daniel con
orgoglio. “Non me la cavo neanche male, o almeno questo è quello che Steven Kelby mi diceva sempre”
“Chi?” chiese Draco.
Daniel fece un gesto con la mano
“Lascia perdere, è il capitano della squadra di Quidditch in cui giocavo l’anno
scorso. Scommetto che mi avrà già rimpiazzato a dovere.”
“Da quanto giochi a Quidditch come
portiere?” gli chiese Draco mentre, seguendo Daniel, i due si facevano strada
per i corridoi fino ad arrivare all’ingresso principale sul lato del parco.
“Quattro anni!” esclamò Daniel con
orgoglio. “Tu invece da quanto da un cercatore?
“Quattro anch’io! Spero che
quest’anno sia la volta buona per Serpeverde, dovremo impegnarci al massimo se
vogliamo vincere il campionato!” affermò Draco con aria risoluta, uno sguardo
di gelido fuoco negli occhi: da troppo tempo la coppa mancava alla sua casa.
Dopo qualche altra svolta i due
ragazzi si trovarono di fronte al lungo corridoio che dava sull’esterno; il
parco di villa Nightingale era un grande giardino all’inglese, un luogo
perfetto per allenarsi sulle scope.
Daniel fermò Draco a metà del
corridoio, mettendogli una mano sulla spalla destra: “In fondo, dopo l’entrata
c’è su una piccola isola completamente piatta, un posto perfetto per allenarci,
ti va di fare a chi arriva prima?” chiese con uno sguardo di sfida all’altro.
Draco lo guardò con aria di
superiorità, inarcando un sopracciglio e dicendo: “Non c’è gusto senza una
posta in gioco...”
“Cosa vorresti scommettere?” gli
chiese Daniel divertito.
“Una domanda” rispose l’altro con
un leggero ghigno.
“Cosa?” ribatté Daniel, certo di
non aver capito bene.
“Chi vince potrà chiedere all’altro
qualsiasi cosa, qualsiasi domanda sarà lecita. Ci stai?” disse Draco con
sguardo serio e risoluto con la mano aperta verso Daniel.
L’altro rimase un attimo spiazzato
ma poi, ricomponendosi con aria di sfida, gliela strinse dicendo: “Va bene, ci
sto!”
I due ragazzi si posizionarono
sulle scope, tendo gli occhi l’uno sull’atro. Daniel poteva sentire lo sguardo
magnetico di Draco su di sé e si sentì a disagio per un attimo di troppo.
All’improvviso l’altro dette un colpo di gambe e partì in velocità. Daniel si
maledisse lanciandosi all’inseguimento.
Usciti all’aria aperta, il sole del
pomeriggio illuminò i volti dei due ragazzi; Draco era in testa ma Daniel gli
stava alle costole. I due si tenevano bassi, schivando i rami degli alberi;
Daniel cercò più volte di driblare Draco, cercando un
passaggio più veloce fra le chiome dei sempreverdi ma per poco non riusciva mai
a superarlo, gli era incollato dietro ma l’altro era sempre di un soffio più
veloce di lui. Fu così che, dopo un inseguimento di diversi minuti, Draco toccò
per primo terra sull’isola che si trovava al centro del parco di villa
Nightingale. Squadrandola dal basso effettivamente il giovane Serpeverde notò
subito che questa sembrava quasi un campo da Quidditch regolamentare, con tanto
di anelli e tutto. Nel centro del campo si trovava un forziere con quello che
Draco immaginò essere l’occorrente per giocare.
“Ho vinto!” esclamò Draco con un
sorriso compiaciuto guardando con soddisfazione malcelata lo sguardo incredulo
di Daniel.
“Sei veloce, cavolo se sei veloce…”
esclamò l’altro ancoro non capacitandosi di essere stato battuto in casa sua.
L’amico volava davvero bene, in più squadrandolo ora poteva vedere, come nei
sotterranei del Ministero qualche giorno prima, che l’altro era estremamente
leggero, una caratteristica che gli donava un’agilità davvero eccezionale.
Draco lo squadrò con aria pensosa, poi dopo
qualche secondo gli chiese: “Vorresti essere un Serpeverde a scuola?”
Daniel si sentì in imbarazzo a
quella domanda anche se non sapeva il perché. Sentiva lo sguardo dell’altro su
di sé, era uno sguardo strano, indagatore, ma al tempo stesso sincero. Daniel
capì che le parole che avrebbe pronunciato sarebbero state molto importanti per
la loro amicizia. Rimanendo in silenzio per qualche istante mille pensieri gli
invasero il cervello, mille possibilità ma alla fine un ricordo sgombrò il
campo da tutto il resto.
“Sì, certo. Non mi dispiacerebbe
affatto ma…”
Draco lo interruppe con voce dura:
“Non ti ho chiesto un’opinione!”
A queste parole Daniel lo guardò
stupito. Lo sguardo dell’altro sembrò addolcirsi un po’, mentre il respiro si
faceva più pacato. “Scusami. Non so se sai come funziona lo smistamento” continuò
con un tremito nella voce.
“So che c’è una specie di cappello
che assegna gli studenti alle quatto case…” gli rispose Daniel.
“Esatto…sai…ecco…” il tono di Draco
si fece incerto e le sue guance parvero tingersi di un lieve rossore. “Il
cappello tiene molto in considerazione quello che gli dici.”
Daniel parve non capire il senso di
quelle parole, poi qualcosa scattò nel suo cervello, e si sentì profondamente
in imbarazzo, allontanando subito lo sguardo dall’amico, sentì le sue guance
avvampare.
“D’accordo…” disse quasi
farfugliando.
Quello che successe dopo durò una
frazione di secondo; Daniel pensò di avere avuto un’allucinazione ma qualcosa
in lui gli disse che non era così: per un attimo Draco gli aveva sorriso. Non
era un ghigno, né una smorfia, ma un vero sorriso, come non aveva mai visto fin
dal momento in cui l’aveva conosciuto. Per una piccolissima frazione di secondo
qualcosa nell’altro era cambiato, per un brevissimo istante aveva visto
qualcosa di più in quel ragazzo dai mille pregiudizi, qualcosa che gli fece
pensare che forse c’era moltissimo altro ancora dell’amico che non conosceva.
Ma qualcosa in lui capì che non era
quello il momento di andare oltre; così rapidamente lo sguardo di Draco era
tornato quello di sempre, solo con un leggero rossore residuo sulle guance.
Qualcosa in lui gli disse che era meglio tornare a volare.
“Ti va di fare qualche lancio?”
disse passando all’altro la palla più grande di quelle contenute nel forziere
ai loro piedi, una pluffa rossa di dimensioni regolamentari.
Draco la guardò per un attimo poi
con rinnovata aria di sfida disse a Daniel: “Perché no, vediamo come te la cavi
come portiere!”
I due passarono una mezz’ora buona
a giocare con sfida degna di due avversari; per quanto Draco cercava di tirare
angolato o di sorprendere l’amico, facendo tiri diretti, a effetto o cercando
di usare tattiche a sorpresa, questi gli si trovava sempre davanti nel momento
giusto, pronto a deviare il colpo verso gli anelli.
Alla fine, chiaramente affaticato,
Draco decise di smetterla di tirare. “Sei più bravo di quanto pensassi! Nemmeno
quel diavolo di Baston era così bravo!” aggiunse con un rancore mal celato
nella voce.
“E chi sarebbe?” gli chiese Daniel
con un sorrisetto compiaciuto. Gli era piaciuto da matti prendersi la sua
rivincita.
“Ahh…la
scia stare, era il portiere di Grifondoro, ma ormai
ha finito di starci tra i piedi.”
“Ti va di tornare?” chiese l’altro
tenendo la scopa ferma dopo una forte raffica di vento. Guardando l’orizzonte,
il tempo stava cambiando velocemente e dai nuvoloni in rapido avvicinamento,
stava arrivando un bell’acquazzone.
Draco si girò un attimo con un’espressione
di dolore, toccandosi il piede destro. “Sì è meglio tornare, devo aver fato un
movimento stupido nell’ultima azione”
“Ti fa ancora male?” gli chiese
Daniel stupito, mentre, lasciata l’isola, avevano ripreso la strada di ritorno per villa Nightingale. “Non è
niente”, riprese Draco con fare sbrigativo, accelerando la cosa e superando
l’altro.
Daniel sapeva che quella era la fine della conversazione, ma
c’era qualcosa che lo turbava. Quando Draco si era toccato la caviglia aveva
chiaramente visto un ematoma profondo come una striscia. Non sapeva ancora come
l’amico si era fatto male ma era sicuro su una cosa, stava quasi sicuramente
mentendo sulla storia della caduta dalla scopa.
Note dell’autore. Chiedo scusa a tutti per la mia lunga
assenza. Purtroppo non ero mai soddisfatto di questo capitolo. L’ho scritto,
cancellato e riscritto tante volte. Spero davvero che superato questo scoglio
di poter tornare ad un aggiornamento più regolare della fanfiction.