Segreto di famiglia

di ONLYKORINE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Iris Rivera ***
Capitolo 3: *** Elisabeth Rivera ***
Capitolo 4: *** Edith Spencer ***
Capitolo 5: *** William Spencer ***
Capitolo 6: *** William Rivera ***
Capitolo 7: *** Epilogo - I Rivera ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



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Prologo
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Novembre 1829

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Edith cercò di salire le scale il più velocemente possibile e sospirò quando imboccò il corridoio. Per fortuna il folto tappeto attutiva i suoi passi pesanti. Poteva vedere i chiari bagliori delle fiamme attraverso il vetro della finestra che dava sul ballatoio: la piccola casetta in fondo al giardino stava andando a fuoco.

Il corridoio sembrava lunghissimo e lo studio del padrone un miraggio in fondo a un tunnel buio. Si fece forza e cercò di allungare il passo ma inciampò nel tappeto e per poco non cadde distesa. Sentì le grida spaventate delle giovani cameriere arrivare dal piano di sotto.

Arrancò ancora. Riuscì ad arrivare in fondo al corridoio e si fermò davanti allo studio. Aprì la porta e scoprì che anche lì il chiarore del fuoco che passava attraverso l’enorme finestra rischiarava tutto. Si guardò alle spalle prima di entrare nella stanza: nessuno. Nessuno l’aveva vista. Si infilò dentro e chiuse l’uscio alle sue spalle.

Appoggiò il suo fagotto sul divano vicino alla scrivania perché già sapeva che avrebbe avuto bisogno di tutte e due le mani libere. Di tutte e due le mani e di una buona dose di coraggio. Sperò di averne a sufficienza e guardò di nuovo il suo fagotto, nel tentativo di non cedere proprio in quel momento.

Lo faccio per te, William.

Spostò una delle poltrone contro il focolare spento e ci salì in piedi. Si alzò sulle punte per riuscire a raggiungere la mensola alta. Si allungò ancora e riuscì a sfiorare ciò che stava cercando: il trofeo di New York.

Quando era stato inaugurato il Canale Eire, quattro anni prima, il naviglio che avrebbe permesso a New York di commerciare più facilmente con le città non troppo vicine, il sindaco Paulding aveva donato personalmente il trofeo d’oro a forma di sole alla famiglia Rivera per il loro impegno e il contributo che avevano dato per la realizzazione del canale. Quella costruzione artificiale aveva permesso ai Rivera di crearsi una certa importanza presso New York visto che avevano investito nel commercio e quindi il loro era stato un investimento mirato e altamente personale. Edith sapeva che il padrone e sua moglie, Iris, ne andavano particolarmente fieri.

Era il posto giusto. Il segreto più grande custodito dal simbolo più importante. Sarebbe stato ben protetto.

A Edith tremarono le mani mentre afferrava il trofeo e lo tirava giù. Scese dalla sedia con attenzione e appoggiò la statua d’oro sulla scrivania. Le sue mani non smisero di tremare neanche quando coricò il sole, per poter sganciare il doppio fondo sulla base.

Una piccola botola si aprì ed Edith portò la mano alla tasca del grembiule. Controllò ancora la porta mentre un foglio piegato fece capolino fra le sue dita e lo lesse per l’ultima volta.

William le aveva insegnato a leggere. A leggere e a scrivere. Lui l’amava. E lei amava lui. Ma Edith non poteva più rimanere, sarebbe stato troppo pericoloso. Baciò il foglio e lo nascose nel doppio fondo. Sobbalzò quando sentì un rumore venire dal corridoio. Doveva fare presto. Dei passi veloci la convinsero a chiudere velocemente la botola e a risalire sulla poltrona per riposizionare la statuetta al suo posto.

Raccolse il fagotto e aprì la porta dello studio, assicurandosi che non ci fosse nessuno prima di uscire. Percorse il corridoio al contrario e aprì un’altra porta. Conosceva quella casa come le sue tasche. Doveva solo nascondersi e aspettare il momento giusto.

Il piccolo William si svegliò e pianse. Li avrebbero trovati. Sganciò la veste e si denudò un seno, attaccando il bambino al capezzolo. Il bambino iniziò a succhiare con vigore.

Non morirai, mio piccolo bastardo. Non oggi e non di fame.

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***Eccomi con una nuova storia!!! Diversa dalle precendenti e nuova nel genere, per me, siate clementi!!!😅

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Capitolo 2
*** Iris Rivera ***


Iris Rivera

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Aprile 1885

William Alexander Rupert Spencer si guardò intorno: il corridoio era deserto. Poteva essere un buon momento. Forse l’unico. Prese un grosso respiro e si avventurò nei meandri di Rivera Manon.

In quel pomeriggio di sole, William era andato in visita alla famiglia di Elisabeth, la sua fidanzata. Erano due mesi che aveva mandato al padre della bionda fanciulla la sua richiesta formale per il matrimonio e presto avrebbero dato il party per annunciare il fidanzamento, ma ancora non c’era stato niente di ufficiale.

Davanti alla porta dello studio ebbe lo scrupolo di fermarsi e guardarsi intorno. Poteva farcela. Per sua nonna, per l’anima di suo padre. Doveva farcela.

Quando mise mano sulla maniglia, già pronto a profanare il rifugio di Archibald Rivera, una voce squillante lo chiamò e lui si irrigidì.

“Mr. Spencer!” William si girò verso la fidanzata e si sforzò di sorridere. Dannazione! Non sarebbe riuscito a entrare nello studio.

“Mrs Rivera, Miss Elisabeth” disse, con un sorriso forzato. Fece un lieve cenno del capo e della schiena, per rispetto alla ragazza e all’anziana che aveva a fianco.

Elisabeth sorrise. Era di una bellezza canonica: bionda con gli occhi chiari e la carnagione pallida. Una vera signora. William sapeva che la fidanzata assomigliava alla madre, una signora dalla corporatura minuta e i capelli chiari, che il ragazzo aveva visto solamente in una fotografia istantanea qualche tempo prima.

“La nonna è stanca e l’accompagno nella sua stanza…” disse l’affettuosa nipote, sottobraccio alla donna anziana, che si appoggiava a un costoso bastone con l’impugnatura in corno. William osservò il viso della nonna e fece un altro sforzo. Presto sarebbe finito tutto, doveva solo mettere le mani sul trofeo.

“Perché non andate a cavalcare anche voi, Mr Spencer? Siete l’unico a non aver ancora visitato Central Park. Dovreste farlo. Potreste raggiungere mio figlio e gli altri uomini che si stanno preparando alla scuderia.”

Dal tono della vecchia sembrava più un ordine che un mite consiglio, così William strinse le labbra e annuì, prima di dire: “Sarei lusingato di partecipare a una gita di questo calibro con Mr. Rivera. Mi unisco nel giro al parco. Signore…” Con un elegante baciamano alla fidanzata e alla nonna di lei, salutò e imboccò le scale per andare al piano di sotto.

 

Elisabeth lo osservò finché i suoi riccioli non sparirono alla vista delle due donne. La giovane accompagnò la nonna nelle sue stanze e la fece sedere su una poltroncina prima di chiederle: “Volete riposare subito o chiamo la cameriera per far portare un po’ di tè?”

Iris Eleanor Elisabeth Rivera, nata Abbott, si sedette guardando la nipote. Non era una creatura troppo intelligente secondo l’anziana e, sempre secondo la nonna, era proprio questa la sua fortuna. “Fai portare una tazza di tè nero, grazie” disse, sottovoce, ma in tono autoritario.

Appoggiò il bastone al bracciolo della poltrona e lasciò che la ragazza ordinasse il tè alla cameriera, poi le fece cenno di sedersi.

Aspettarono in silenzio che la cameriera tornasse e, una volta sole, Elisabeth servì la nonna.

“Nonna…” iniziò sospirando la ragazza. La donna la guardò di sottecchi mentre controllava come versava il tè e quanto latte ci mettesse. Le fece cenno con la mano rugosa di non aggiungere altro zucchero e si fece passare la tazza.

“Dimmi, cara” disse, concedendole il permesso di parlare.

“Nonna… voi… eravate innamorata del nonno?” chiese la nipote, preparandosi una tazza per sé. Iris fece una smorfia quando aggiunse troppo latte.

“Tieni la schiena più dritta, innanzitutto, Elisabeth!” esclamò, facendo il gesto con la mano per correggerle la postura. Aspettò che la ragazza eseguisse l’ordine e poi continuò: “I matrimoni non sono tutti d’amore, Elisabeth. Quelli delle persone meno importanti lo sono, solo la servitù o la gente che vive di là dal fiume si sposa per amore. Loro non hanno nient’altro. Noi Rivera, invece, ci sposiamo per stringere alleanze e patti, per arricchire il patrimonio familiare e rafforzare l’importanza della famiglia. Così feci io con tuo nonno. L’amore va e viene, non conviene basare un matrimonio, che dura tutta la vita, su qualcosa di così futile”. E assurdo. Pensò in ultimo, l’anziana donna.

La ragazza annuì assorta nei suoi pensieri. “Quindi… è giusto che io non provi… niente… per Mr. Spencer?” chiese ancora, guadando la nonna. Iris bevette un sorso di tè e appoggiò con lentezza la tazza sul piattino, lisciandosi delle pieghe inesistenti sulla manica del vestito. Lo fece apposta, mentre la ragazza continuava a guardarla.

“Certo. È giusto. Sarà un gran matrimonio, il vostro, vedrai. Sarete molto felici.”

Si sforzò di sorridere quando sorrise la nipote. Elisabeth avrebbe sposato Mr. Spencer, Iris non poteva permettere che non succedesse, la famiglia era piena di debiti, anche se nessuno lo sapeva e il patrimonio di lui, che era un abile commerciante nonostante la giovane età, avrebbe aiutato tutti loro. Da quando il nipote si era sposato e si era trasferito nella proprietà del padre era venuta a mancare una solida entrata e ora Iris doveva riuscire a risolvere la cosa.

Era stata lei a consigliare al figlio Archibald, padre di Elisabeth, di farla maritare al più presto. Non che fosse giovanissima, ormai aveva compiuto diciannove anni ed era ora che facesse anche lei la sua parte. In fin dei conti le figlie femmine servivano solo a quello: aumentare il patrimonio di famiglia. Patience, la primogenita di Iris, si era sposata a diciassette anni, in fin dei conti.

Era riuscita a organizzare tutto, come chaperon della ragazza e quando si erano presentati svariati pretendenti, Iris era riuscita a mandare avanti quelli che a lei sembravano i più appropriati: giovani con una buona rendita e con una famiglia poco numerosa. Suo figlio non si era neanche accorto della sua strategia.

Sua nipote, quindi, doveva assolutamente sposare Mr. Spencer, un ragazzo in gamba anche se dal passato un po’ buio, Iris aveva dovuto sguinzagliare un investigatore per assicurarsi che non ci fossero brutte sorprese. Il suo uomo era riuscito a scoprire che il patrimonio di Mr. Spencer era reale e la sua reputazione impeccabile, anche se non era riuscito a scoprire molto sul suo passato. Avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti.

Elisabeth guardò la nonna. Avrebbe voluto chiedere se fosse giusto che a lei battesse forte il cuore quando incontrava a Central Park Mr. Riney e desiderasse tantissimo passare del tempo con lui, mentre invece con Mr. Spencer le piaceva solo chiacchierare. Mr. Spencer, anche se lui le aveva detto chiaramente di chiamarlo ‘William’, era un bravo ragazzo e le piaceva la sua compagnia, ma lei non si sentiva così bene in sua compagnia come quando rideva con Mr. Riney. Non era sicura di come dovesse sentirsi in una situazione del genere.

“E nonna… cosa… dovrò fare la prima notte di nozze?” Elisabeth divenne rossa sulle guance e abbassò gli occhi, vergognosa. “Scusate se lo chiedo a voi, ma non so a chi chiedere, la mamma è morta e io…” Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime.

Iris sospirò cercando di non fare rumore. Si allungò verso la nipote e le posò una mano sulla sua, per consolarla. “Non dovrai fare niente, cara. Farà tutto lui. Tu starai ferma e prima che tu possa pensarci, sarà tutto finito”.

Elisabeth annuì. Non avrebbe dovuto fare niente? Non ne era tanto convinta ed era ancora confusa all’idea di non sapere cosa sarebbe successo di preciso, ma decise di non chiedere più niente alla nonna.

Chiamò la cameriera per sparecchiare il servizio da tè e si congedò. Quando uscì in corridoio, incontrò zia Patience che le andò incontro sorridendo.

“Tesoro, dove vai?” La zia, sempre gentile e amorevole, era vedova da tanto tempo e da quando suo figlio si era sposato, aveva scelto di tornare nella casa paterna per lasciare alla nuova coppia un po’ di intimità.

“Ho accompagnato la nonna, zia…” Si asciugò una lacrima che era scesa sulla guancia e la donna le fu subito accanto.

“Elisabeth, cara… ti senti bene?” La ragazza scoppiò a piangere e Patience, dopo averle circondato le spalle con un braccio, l’accompagnò verso la sua stanza. “Vieni con me, cara, c’è sempre una soluzione per tutto, vieni… è per il matrimonio?”

Patience, che era stata una giovane debuttante e mandata in pasto alla realtà matrimoniale ancora prima di Elisabeth, cercò di rassicurarla. Qualcuno doveva calmare quella ragazza. Sua madre non era proprio la persona adatta per parlare di matrimonio, Patience lo sapeva bene. Chissà cosa le aveva detto per spaventarla così! Sperò che non le avesse fatto il discorso sul fatto che avrebbe potuto tradire il marito solo dopo avergli partorito un erede, come aveva fatto con lei. Patience ne era rimasta così sconvolta da non riuscire a mangiare a cena, quella volta.

Scosse la testa, decisa a tranquillizzare la ragazza.

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Capitolo 3
*** Elisabeth Rivera ***


Elisabeth Rivera

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La festa era stupenda. Elisabeth guardava dall’alto della scalinata il grande salone da ballo. Sospirò, più tranquilla di tre giorni prima.

Zia Patience le aveva spiegato che anche lei, alla vigilia delle nozze, aveva provato il suo stesso stordimento e, dopo che la nipote le ebbe spiegato tutti suoi timori, la zia l’aveva tranquillizzata. Neanche Patience amava suo marito, prima di sposarlo. Ma poi, aveva scoperto che Mr. Thompson, che lei chiamava ‘il mio Timothy’ era un uomo gentile e timido, con un’intelligenza acuta ma non sbandierata e che si era rivelato il marito migliore del mondo. Ancora adesso, dopo più di vent’anni di vedovanza, zia Patience ne era ancora innamorata.

Elisabeth salutò con la mano la zia, che, essendo ancora una bella donna, era circondata da svariati gentiluomini che le chiedevano il permesso di ballare. Lei sorrise in risposta.

Sbirciò ancora fra gli invitati: Mr. Spencer aveva detto che si sarebbe presentato con sua nonna ed Elisabeth voleva assicurarsi che fossero accolti nel migliore dei modi e che, all’anziana parente non mancasse niente. Proprio come se fosse la sua di nonna, anzi, come quando sarebbe diventata sua nonna.

“Elisabeth!” La ragazza si girò verso nonna Iris che, con la gonna alzata per non inciampare e un’espressione dura sul viso, camminava verso di lei.

“Nonna…” disse, un po’ stranita a vedere l’espressione sul viso dell’anziana.

“È più di mezz’ora che ti cerco. Non sapevo dove fossi!” La ragazza sorrise, scambiando il tono di voce dell’anziana in preoccupazione.

“Non dovevate preoccuparvi. Ero qui, nonna” disse ancora Elisabeth andandole incontro.

Iris guardò stizzita la nipote: la ragazza non poteva capire. Lei non sarebbe stata tranquilla finché il fidanzamento non sarebbe stato ufficiale e loro non avevano ancora dato l’annuncio.

Aveva incontrato, poco prima, Mr. White, il direttore della ‘National Bank’ che le aveva ricordato la scadenza dell’ipoteca sulla proprietà, quella che aveva stipulato all’insaputa di Archibald. Se non fosse stata saldata entro due settimane, avrebbero perso la casa e la loro reputazione. Non poteva assolutamente permetterlo.

Una volta annunciato il fidanzamento, non si sarebbe più potuto annullare, non senza uno scandalo e Iris sapeva che Mr. Spencer non avrebbe scatenato uno scandalo per pochi dollari, non ne sarebbe valsa la pena, avrebbe pagato e basta.

Ma prima dovevano dare l’annuncio.

“Dov’è Mr. Spencer?” chiese la nonna, affacciandosi e guardando giù dalla balconata. Elisabeth si avvicinò di nuovo alla balaustra e guardò di sotto insieme all’anziana.

“Eccolo laggiù. È insieme a zia Patience. Guardate, c’è anche sua nonna.”

La ragazza indicò con il braccio il punto in cui si trovavano la zia e il futuro fidanzato. Iris fu così colpita dalle sue parole che non la sgridò per il gesto sconveniente. “Sua nonna?” chiese infatti.

Iris aggrottò la fronte, aggravata da una preoccupazione in più. Non era a conoscenza del fatto che Mr. Spencer avesse parenti in vita. “Ma Mr. Spencer non è orfano?” chiese ancora, alla nipote.

Elisabeth sorrise. “Sì, i suoi genitori sono morti, ma lui ha ancora la nonna paterna. Io l’ho conosciuta la settimana scorsa al party pomeridiano di Mrs. Ward, quando voi non siete venuta perché non vi siete sentita bene…”

Iris guardò la nipote sempre più preoccupata. Chi era questa ‘nonna’ e perché lei non ne era a conoscenza? Non era andata a casa di Mrs. Ward perché quella stupida donna era la sorella del direttore della banca e lei l’aveva voluta evitare accuratamente per paura che ficcanasasse nelle questioni di famiglia. Era stato un errore. Tieni gli amici vicino e i nemici ancora più vicino, glielo aveva insegnato la sua, di nonna. E Iris se l’era scordato.

Avrebbe dovuto conoscere prima la vecchia signora. Sperò che fosse una matrona stupida e pettegola, che potesse essere utile manovrare a suo piacimento.

“Allora andiamo, tesoro. Diamo loro il benvenuto in casa nostra e nella nostra famiglia”, disse alla fine Iris, trattenendo il fiato.

Elisabeth guardò stranita la nonna. Non l’aveva mai chiamata tesoro. Mai. In nessuno dei suoi diciannove anni di vita. “Sì, andiamo”.

Iris camminò velocemente per scendere le scale e quasi non si accorse di non appoggiare mai il bastone sul pavimento. In fondo alla scala, Mrs. Ward si materializzò al loro cospetto. Iris digrignò i denti, ma si sforzò di sorridere quando la donna la salutò.

“Carissima Mrs. Rivera! Vi vedo in gran forma! Si mormora qui ai bordi della pista da ballo che stasera ci sarà un annuncio importante…” disse la donna, con un sorriso sul volto. Iris fece una smorfia e strinse forte l’impugnatura del bastone, tanto da farsi venire le nocche della mano bianche.

“Sì, effettivamente, cara Mrs. Ward, è proprio quello che stavamo per fare io e mia nipote Elisabeth, se vuole scu…” Iris provò ad avere un tono di voce non impaziente e non agitato e sperò che funzionasse. Dovevano dare l’annuncio. E non aveva ancora conosciuto la nonna: non aveva tempo.

“Mrs. Rivera, Miss Elisabeth, buonasera…” La nonna venne interrotta dal bel giovanotto che portava il nome di Mr. Riney. Elisabeth lo guardò a bocca aperta e il suo cuore prese a battere furioso come se lei avesse corso per raggiungere la fine della pista.

Mrs Ward si girò verso il ragazzo e sorrise, alzando lo sguardo per dirgli: “Oh, Theodore, caro, eccoti qui. Ti ricordi di quando ti ho presentato Mrs. Rivera e sua nipote Elisabeth?”

Il sorriso del ragazzo si allargò ed Elisabeth pensò di morire lì, nel bel mezzo di una festa a casa sua. Poi si ricordò che la festa era stata organizzata per il suo fidanzamento. Con Mr. Spencer. Volse altrove lo sguardo e lo riportò su Mrs. Ward che la guardò sorridendo.

Quando l’orchestra intonò un nuovo ballo, Mr. Riney si inchinò al cospetto delle signore e chiese, direttamente alla giovane bionda: “Mi fareste l’onore di questo ballo, Miss Elisabeth?”

Elisabeth si sentì arrossire fino alla punta dei capelli. Ballare con Mr. Riney l’avrebbe resa felicissima. Solo al pensiero di farsi stringere la mano da lui… da Theodore… si gustò il suo nome come una caramella al miele. Ma scosse la testa quando incrociò lo sguardo della nonna. “No, mi spiace, non…” iniziò, abbassando gli occhi.

“Oh, cara, non vorrete stare qui a tenere compagnia a due vecchie matrone come noi!” esclamò Mrs. Ward gaia “Andate, andate a divertirvi, voi che siete giovani!”

Theodore non se lo fece ripetere due volte, prese per mano la ragazza e la trascinò al centro della sala da ballo. Quando le posò la mano sul fianco e prese l’altra fra le sue dita, gli sembrò di tenere fra le mani una pietra preziosa che brillava di luce propria.

Elisabeth trattenne il respiro per l’emozione e non riuscì a rilassarsi mentre ballava con lui, vedeva le occhiatacce che le lanciava la nonna dal bordo della pista e la cosa non le piaceva per niente.

“Mr. Riney…” disse, cercando di spiegargli i suoi problemi, ma lui la interruppe subito: “Chiamatemi Theo, vi prego…” Elisabeth arrossì ancora, ma annuì. “Theodore… preferirei non ballare, mi piacerebbe…”

Il ragazzo annuì e, ancora tenendola per mano, la condusse fuori, sulla terrazza. “Va meglio?” le chiese, una volta fuori al fresco. Elisabeth, lontano dalla nonna, dal caldo e da tutta quella gente annuì, sorridendo. “Grazie” disse alla fine.

Theodore si avvicinò a lei e le accarezzò una guancia, con la stessa delicatezza con cui l’aveva presa fra le braccia poco prima, sulla pista da ballo.

Elisabeth trattenne ancora il respiro. “Theodore…” iniziò lei, con il cuore in gola. “Theo, vi prego chiamatemi Theo, e permettetemi di chiamarvi Elisabeth anche in privato” la interruppe lui. La ragazza scosse la testa, scostandosi da lui.

“Vedete, stasera io…” disse, con le lacrime agli occhi. Doveva spiegargli che si sarebbe fidanzata. Che lui non poteva toccarla in quel modo così delicato e non doveva assolutamente farla sentire così. Così bene. Così come non si era mai sentita con Mr. Spencer.

Ma Theo la interruppe ancora: “So cosa succederà stasera. Sono venuto a impedirlo. Non so perché vostro padre abbia rifiutato la mia proposta, ma io…”

Elisabeth si fece più attenta: “Che proposta?” chiese, con la fronte corrugata. “La mia proposta di matrimonio!” rispose lui.

“Voi… volete sposarmi?” Per un attimo, solo per un attimo, il cuore di Elisabeth fece una capriola.

“Sì, Elisabeth, io vorrei sposarvi. So di non avere il patrimonio di Mr. Spencer, ma ho una buona attività e potrò offrirvi tutto ciò di cui avrete bisogno e farvi felice sarebbe la mia priorità…” Elisabeth temette di svenire. Mr. Riney, no, Theodore voleva sposarla. Voleva stare con lei. Ma lei aveva già dato la sua parola a Mr. Spencer.

“La mia famiglia ha preso degli impegni…” cominciò lei, con un nodo in gola.

“Elisabeth, il vostro fidanzamento non è ancora ufficiale e io ti amo. Vorrei sposarti e invecchiare con te…” la interruppe ancora Theodore, stavolta cercò di essere più diretto e mise a nudo i suoi pensieri per farle capire come si sentisse.

La ragazza scosse la testa poco convinta e Theo fece due passi, allungò una mano al suo viso e si chinò sulle sue labbra, posandole l’altra mano sulla schiena e circondandole la vita.

I brividi che scesero sulla schiena di Elisabeth facendola vibrare come una canna in balia del vento, le fecero capire chiaramente ciò che intendeva zia Patience quando aveva detto: ‘Non avrei voluto essere da nessun’altra parte se non fra le sue braccia’.

Le loro labbra si toccarono lievemente e lei poté soltanto sentire la morbidezza della bocca di lui, prima che Theodore si spostasse.

“Elisabeth…” Theo non sapeva cosa gli fosse preso, non era riuscito a non farlo, lei era lì, così bella e con quegli occhi così lucidi da sembrare un angelo e lui non aveva potuto fare altrimenti. “Elisabeth, dimmi che lo vuoi anche tu. Dimmi che provi anche tu qualcosa per me. Se invece non vuoi sposarmi, torna in casa adesso e io capirò…” Allargò le mani per lasciarla andare via.

“Oh, Theo…” disse lei, tentennando ma senza spostarsi. Bastò quel sospiro, quella piccola parola e lui capì che anche la ragazza provava qualcosa e non era del tutto indifferente. Si chinò di nuovo su di lei, per riassaporare quel dolce nettare quando sentirono un rumore provenire dalla porta finestra che dava sulla terrazza.

Si girarono insieme e, insieme, videro, stagliato sulla porta, l’ultima persona che Theo avrebbe voluto incontrare: Mr. Spencer.

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Capitolo 4
*** Edith Spencer ***


Edith Spencer

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Iris non trovava più Elisabeth. Dove si era cacciata quella sconsiderata ragazza? Sperò non fosse scappata con il nipote di Mrs. Ward che, per quanto avesse un patrimonio del dovuto rispetto anche lui, aveva alle spalle una famiglia troppo numerosa perché Iris potesse considerarlo un buon partito.

L’anziana donna era riuscita a slegare quella pettegola della sorella del banchiere in pochissimo tempo, pensando di recuperare la ragazza e andare da Mr. Spencer per convincerli ad anticipare l’annuncio, ma quando si ritrovò finalmente da sola, sulla pista da ballo la ragazza non c’era più. Si guardò intorno ancora una volta e vide Patience chiacchierare con Mr. Spencer e quella che doveva essere la famosa nonna. Iris era troppo lontana per vederla bene. Sospirò ancora e si diresse verso la figlia. Avrebbe bacchettato la nipote appena l’avesse avuta sotto mano. Sparire così!

“Buonasera” disse, interrompendo il gruppetto che stava chiacchierando. Doveva assolutamente conoscere la parente di Mr. Spencer, per poter stare tranquilla.

“Buonasera, mamma” le rispose Patience, con il suo tono dolce, “avete già conosciuto la nonna di Mr. Spencer?”

“Chiamatemi William, in fin dei conti siamo parenti, Mrs. Thompson…” La donna sorrise al ragazzo e annuì. “Allora potete chiamarmi zia Patience anche voi, William!”

Patience continuò a sorridere e poi si voltò di nuovo verso la madre ma, prima di poter dire qualsiasi cosa, William si voltò verso una delle finestre che davano sulla terrazza, vedendo Elisabeth uscire all’aperto. “Scusatemi…” disse, prima di congedarsi un po’ frettolosamente.

William allungò il passo verso una delle uscite per poter accedere alla balconata. Cosa ci faceva Elisabeth in terrazza? Con chi era? Vide, passando davanti a una delle finestre, la ragazza in piedi vicino a un altro uomo. Affrettò il passo.

Riuscì ad arrivare alla portafinestra ma si bloccò prima di uscire: Elisabeth stava baciando qualcuno. Quando i due ragazzi si staccarono l’uno dall’altra riconobbe Mr. Riney.

William conosceva Mr. Riney: era una brava persona e aveva avuto il sospetto che provasse qualcosa per la ragazza. Non immaginava però che anche lei…

L’uomo disse a Elisabeth di tornare in casa se non avesse voluto stare con lui ma la ragazza non si mosse e lo chiamò per nome. Poco prima che le loro labbra si incontrassero di nuovo, William si rese conto di aver appoggiato la mano alla porta a vetri e di aver fatto cigolare l’anta. Gli amanti clandestini si girarono verso di lui e lo videro.

William si girò per tornare dentro. Doveva trovare Archibald Rivera e al più presto: quella farsa doveva finire. Sentì i passi della ragazza risuonare sul balcone per avvicinarsi, ma accelerò il passo: doveva raggiungere lo studio al piano di sopra. Doveva fare tutto quella sera.

***

“Mamma, lei è Mrs. Spencer, la nonna di William. Mrs Spencer, le presento…” Patience venne interrotta dalla nuova arrivata che disse: “Io e vostra madre ci conosciamo già, Mrs. Thompson. Piacere di rivederti, Iris cara, come stai?”

Iris guardò la donna che le sorrideva. Non le piaceva. Non le piaceva la sua espressione. Era… sembrava furba. Non ci voleva. E il suo viso era familiare, come se l’avesse già vista, ma non riusciva a capire chi fosse. Proprio non lo ricordava, finché gli occhi della donna, per un attimo velocissimo, brillarono di una luce strana. Un dubbio si insinuò nella mente. No, non poteva assolutamente essere. No.

“Perché non mi chiamate per nome anche voi, Mrs. Thompson? Come detto poco fa, ormai siamo parenti…” chiese la donna, voltandosi verso Patience, che accolse la proposta festosamente.

“Ma certo! Sarebbe un piacere per me. Potete chiamarmi Patience” rispose, con un cenno del capo e una leggera riverenza di rispetto.

“E voi potete chiamarmi Edith, allora, cara Patience.”

Il grido di Iris fece sì che tutti i visitatori più vicino si girassero verso di loro, così la figlia posò una mano sulla schiena della madre, cercando di spingerla di più verso una zona meno frequentata. “Mamma vi sentite bene?”

Iris spalancò gli occhi e strinse fortissimo il suo bastone. Non poteva essere Edith… Edith era morta. Quella donna era un’impostora. Non c’era altra spiegazione. Quando il suo respiro tornò normale, l’impostora le sorrise ghignando e chiese: “Tutto bene cara Iris? Ti senti meglio? Sembra che tu abbia visto un fantasma!” E la donna rise.

Il cuore di Iris si bloccò e lei ebbe quasi il timore di morire sul colpo. Edith! Quella donna era Edith! Era viva. Spencer! Avrebbe dovuto capirlo. Aveva dato per scontato che fosse un cognome comune. Allora, il nipote… si guardò intorno, ma Mr. Spencer si era allontanato poco prima.

“Cerchi William, Iris? Sai dov’è andato? Nello studio di Archibald, a prendere il Trofeo del Sole. Lì c’è la prova di quello che volevi tenere nascosto. E quindi di quello che hai fatto. O di quello che pensavi di aver fatto.”

Patience non capiva lo scambio di sguardi e di frasi fra le due donne. Di cosa stavano parlando? Cosa c’era dentro il prezioso trofeo di famiglia? Per un attimo rimasero tutte e tre in silenzio, poi, con un’agilità che non ci si sarebbe mai aspettati da una donna della sua età, sua madre si voltò e iniziò a correre verso le scale.

Patience ne fu così stupita che non si rese conto di gridare il nome della madre a voce alta, finché, di nuovo, qualcuno si voltò verso di loro. Si scusò e rincorse l’anziana, con tutta la grazia che richiedeva l’occasione, insieme a Mrs. Spencer.

***

Elisabeth correva dietro a Mr. Spencer e quando lo vide salire le scale, capì che stava andando nello studio, dove suo padre stava intrattenendo il sindaco, il governatore e Padre Brown, il pastore che avrebbe dovuto sposarli. Non poteva permettere che andasse da suo padre e la svergognasse in quella maniera.

“No… da mio padre… no…” disse la ragazza, fermandosi improvvisamente, più a se stessa che all’uomo che aveva accanto.

“Elisabeth, non preoccuparti. Vengo con te, non ci sarà nessuno scandalo, nessuno penserà male, io… ti sposerò, qualsiasi cosa racconti Mr. Spencer a tuo padre, qualsiasi cosa succederà, io ti sposerò.”

La ragazza si voltò verso il compagno con le lacrime agli occhi. “Allora seguiamolo e andiamo da lui” disse, con voce un po’ strozzata. Theo le sorrise e le prese la mano. “Andiamo”.

***

Archibald stava offrendo il suo miglior liquore alle persone più influenti di New York, nel suo piccolo studio. Hill, il governatore, a capo della polizia, nonché braccio destro del sindaco Grace, Riney forse il capitalista più famoso e ricco di New York, uomo con cui Archibald aveva spesso fatto affari e brindato alla riuscita di un buon investimento e, per ultimo, ma non per importanza, Padre Brown il pastore della Church of Saint Mary the Virgin, la nuova chiesa cattolica.

Stava ancora sorridendo, chiacchierando con il governatore, quando la porta dello studio si spalancò e il giovane Mr. Spencer entrò nella stanza a passo sostenuto.

***

Elisabeth allungò il passo quando raggiunse l’ultimo scalino e imboccò il corridoio che portava allo studio del padre. Vide Mr. Spencer sparire oltre la porta e questa richiudersi alle sue spalle. Doveva entrare nello studio prima che lui potesse raccontare a tutti quello che aveva visto. Il suo respiro si fece corto e affaticato, lasciandole un blocco all’altezza del petto. Theo le strinse forte la mano, come se sentisse i suoi pensieri, donandole giusto un po’ di coraggio. Si voltò a guardarlo e gli sorrise.

“Elisabeth!” Si voltò quando si sentì chiamare: la nonna, con un’andatura più agitata che veloce, cercava di avvicinarsi. No! Lo sapeva anche lei? Li aveva visti o glielo aveva detto Mr. Spencer? No! Neanche si rese conto di non riuscire a ragionare lucidamente. Si voltò di nuovo verso il corridoio e iniziò a correre per non farsi raggiungere dall’anziana. Ormai mancava poco e avrebbe potuto aprire la porta dello studio.

***

Quella stupida ragazzina l’aveva vista ma non l’aveva aspettata. Iris non pensò al fatto che la ragazza tenesse per mano un altro pretendente e non quello che avrebbe dovuto sposare, né si chiese come mai stesse correndo, proprio come lei, verso lo studio.

Si girò quando sentì dei passi ovattati sul tappeto del corridoio e vide la figlia, insieme a Edith, tentare di correrle dietro. Doveva entrare nello studio prima di loro. Doveva assicurarsi che nessuno prendesse il Trofeo del Sole. Doveva arrivarci prima lei.

Si bloccò a metà corridoio quando si rese conto che la nipote era entrata proprio nello studio. Ma Elisabeth cosa ci andava a fare?

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Capitolo 5
*** William Spencer ***



William Spencer 

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“Buonasera…” disse William, sorpreso di trovare così tante persone della stanza. Si guardò intorno velocemente, indeciso se parlare di ciò che era venuto a dire oppure aspettare un secondo momento. No. Non poteva aspettare un secondo momento. Ci sarebbe stato l’annuncio da lì a poco e lui non poteva permettere che accadesse. Doveva farlo subito.

“William! Entra, ragazzo!” lo salutò l’ormai ex futuro suocero. “Immagino tu abbia già avuto il piacere di conoscere il nostro sindaco e il nostro governatore, conosci anche Padre Brown e Mr. Riney? Vi ho già presentato?”

Il ragazzo strinse mani e lanciò cenni del capo come richiedeva l’educazione e, dopo poco, si ritrovò con un bicchiere in mano a osservare la stanza. “Mmm, posso scambiare due parole in privato con voi, Mr. Rivera?”

L’uomo alzò il suo bicchiere esclamando: “Ma quale ‘Mr. Rivera’, chiamatemi Archibald!”

William si avvicinò a lui e sussurrò solo per le sue orecchie: “È una questione di elevata importanza, potremmo… andare da qualche parte a…” Si interruppe quando il suo sguardo incontrò, sulla mensola sopra il caminetto, il Trofeo del Sole.

“Padre, posso spiegare!” Elisabeth entrò nello studio, seguita dal giovane Riney, cercando di parlare il più velocemente possibile.

La ragazza si bloccò sulla soglia con ancora la porta aperta, quando notò che nella stanza c’era anche Mr Riney, il padre di Theo. Ma Theo fece un passo avanti e le afferrò la mano.

William vide la scena e si chiese cosa fossero venuti a fare. A meno che Elisabeth non pensasse che lui sarebbe andato dal padre di lei per raccontare del bacio fra i due. Non ci aveva pensato. Si avvicinò alla ragazza dicendo ad alta voce: “Elisabeth, vieni, ti stavamo aspettando”.

Elisabeth guardò stranita il ragazzo che si stava avvicinando, che faceva strani cenni con gli occhi e che, una volta davanti a loro, disse sottovoce, in maniera che potessero sentire solo lei e Theo: “Lascia parlare me, per l’amor del cielo!” La ragazza annuì meccanicamente, mentre lui le prendeva la mano per il baciamano e si rivolgeva al ragazzo sussurrando: “Spero per voi che abbiate intenzioni serie, Riney”.

Theo annuì. Cosa aveva intenzione di fare Spencer? Lanciò un’occhiata al padre, che ricambiò con un’espressione curiosa senza dire niente e aspettò che il non più fidanzato di Elisabeth, parlasse.

“Elisabeth e io abbiamo parlato un po’ questa sera e ci siamo resi conto che preferiremmo una conclusione diversa per noi, data una recente scoperta di cui vorrei mettervi a conoscenza…” Ma cosa voleva fare? Theo non avrebbe mai permesso che macchiasse la reputazione di Elisabeth! Fece per dire qualcosa, ma Spencer gli fece cenno di tacere e si allungò a prendere il bicchiere che poco prima aveva posato sul tavolo, bevendolo tutto d’un fiato.

“Dicevo… Elisabeth e io abbiamo pensato che non sarebbe giusto sposarci visto che abbiamo scoperto di essere parenti e che queste cose sarebbe meglio…”

Ma cosa stava dicendo? Elisabeth non ascoltò la fine del discorso del ragazzo. Capiva che lui volesse tirarsi via dall’impegno matrimoniale senza colpo ferire, ma inventarsi addirittura di essere un loro parente, era esagerato. Oppure no?

“…essendo cugini di primo grado e anche se non sarebbe il primo matrimonio fra consanguinei, preferiremmo non avventurarci su questa strada…”

Cugini? Cosa diceva Spencer? Theo cercò di seguire meglio il discorso del ragazzo davanti a lui, ma si perse un po’, così quando la voce di Spencer si spense lentamente, decise di intervenire.

“Io ho intenzione di sposare Elisabeth… Miss Rivera. Miss Rivera e io vorremmo sposarci e avere la vostra benedizione, Mr. Rivera” disse, rivolto al futuro suocero, stringendo più forte la mano di Elisabeth, che ricambiò la stretta. Vide suo padre alzare il bicchiere in un muto brindisi e lanciargli un sorriso. Gli sorrise anche lui, sospirando.

“Sì… beh, immagino che vada bene… ma… chi è che sei tu?” chiese Archibald rivolto a Spencer.

La porta si spalancò ancora e, per fortuna, Elisabeth e Riney si spostarono velocemente di lato o sarebbero stati investiti dalla vecchia che entrò con irruenza nella stanza. William guardò l’anziana che, con gli occhi spalancati e il fiato corto, gridò: “Non fateglielo prendere! È nostro!”

Poi la vecchia si accasciò sul divano vicino alla parete.

“Nonna!” gridò anche Elisabeth, staccandosi dalla mano del fidanzato e correndo al capezzale della donna. Mentre era chinata sulla nonna, altre due persone entrarono nello studio di corsa.

“Mamma!” gridò Patience, quando vide la madre semisdraiata e con la bocca aperta.

Quella stanza stava diventando troppo affollata. Quando anche zia Patience si chinò sulla donna, William scambiò un’occhiata con sua nonna. Lei sorrise e annuì, indicandogli con un cenno del capo la mensola sul caminetto.

“Buonasera a tutti, se è una questione di famiglia, forse dovremmo lasciare…”Padre Brown cercò di scivolare verso la porta per defilarsi, ma quando anche il sindaco fece un passo verso la porta, la voce di Edith fermò tutti e due: “Preferirei che rimaneste tutti, a dir la verità. O che restasse almeno il governatore, c’è una storia da raccontare e vorrei che fosse ascoltata”.

Il tono di sua nonna era fermo, William sapeva perfettamente che era una gran donna, dal temperamento forte, che aveva cresciuto un figlio da sola e ne aveva fatto una brava persona.

“Allora, magari, possiamo aprire la finestra?” chiese Mr. Riney. Quando nessuno gli rispose, andò ad aprire le ante della finestra da solo. L’aria fresca della sera entrò nella stanza, portando leggerezza e spazzando via un po’ di tensione.

“Nonna, vuoi raccontarla tu, questa storia?” chiese William, mentre passò un bicchiere nuovo al giovane Mr. Riney che era l’unico senza.

Edith annuì e fece un passo avanti.

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 ****scusate, so che il capitolo è cortissimo, ma non sono riuscita a dividerlo diversamente... 😢

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Capitolo 6
*** William Rivera ***


William Rivera

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“No!” gridò Iris, alzandosi a fatica dal divano. Stringeva ancora la mano intorno all’impugnatura del bastone, come se ne andasse della sua vita. “Non racconterai proprio niente!” continuò l’anziana Rivera.

La forza che veniva da quella donna era sorprendente, ma si trovò di fronte una donna con la stessa energia. “Adesso è il mio turno. Non sono più una povera serva spaventata, non ti permetterò più di decidere per la mia vita o per quella dei miei cari. Siediti, Iris!” ordinò Edith alla coetanea. Lo sguardo duro di Iris rimase sul suo viso mentre si sedeva e non abbassò gli occhi.

“Vuole sedersi anche lei, Mrs. Spencer?”

La voce del padre di Elisabeth riempì la stanza, nonostante il suo tono esprimesse gentilezza e garbo. Mrs. Spencer scosse la testa. “In verità, Mr. Rivera, non sono mai stata sposata, ma la ringrazio per la cortesia. Gradirei che potesse prendere per me il Trofeo del Sole, lì sul ripiano più alto. Anche l’ultima volta che l’ho preso, non ci arrivai da sola”.

Archibald, dopo aver lanciato un’occhiata alla madre che, accudita dalla figlia, continuava a digrignare i denti, si apprestò a fare quello che gli era stato chiesto. Prese il trofeo dalla mensola e lo porse alla donna, ma lei scosse di nuovo la testa.

“Può aprire il doppiofondo?” chiese lei. Un silenzio tombale riempì la stanza, mentre tutti osservavano l’oggetto.

“Ho paura di non sapere come fare” rispose Mr. Rivera. William fece un passo in avanti.

“Posso farlo io. Mia nonna mi ha spiegato come fare: aveva paura di non vedere mai questo momento…” spiegò il ragazzo. Archibald gli consegnò il trofeo e William si avvicinò alla scrivania.

Edith osservava tutto: quella era la stessa scrivania su cui lei aveva posato il Sole d’oro, più di cinquant’anni prima. Guardò il nipote tentare di spostare il raggio sinistro senza riuscirci così spiegò: “Devi prima coricare la statua. Il raggio girerà su se stesso solo quando il sole sarà appoggiato sul lato”.

William la guardò, non disse niente e coricò il trofeo per il lungo. Fece scattare il meccanismo girando il raggio sinistro in basso e una piccola botola si aprì alla base della statua.

La stanza si riempì di esclamazione e tutte le persone, tranne Edith, allungarono la testa verso la scrivania. Archibald si avvicinò e tirò fuori un pezzo di carta dal fondo del Trofeo e, con attenzione, spiegò il foglio ingiallito.

 

“Ottobre 1829

Carissima Edith,

è con gioia che ho accolto la notizia che tu e il piccolo William Archibald Rivera Spencer siate in salute. Prima del parto non sono riuscito a vederti e ora sono felice di sapere che è andato tutto bene.

La cara Violet, la stessa levatrice che ha fatto nascere me, mi ha detto che il piccolo mi somiglia e ha la stessa voglia sulla coscia che ho io e che aveva mio padre.

Sarete i benvenuti nella mia casa e William potrà crescere insieme a Patience, come avevo promesso. Avrò cura di lui. E di te. Parlerò con Iris e la cosa si sistemerà. Anche se non potrà ereditare le proprietà dei Rivera, William farà parte della famiglia e non gli mancherà mai niente, come ti avevo promesso.

Ti mando l’anello con lo stemma di famiglia nella parte interna e le iniziali del bambino su quella esterna, forgiato dal nostro orafo, come quello di Patience e degli altri Rivera.

Vi aspetto qui a Rivera Manor.

Tuo Willy,

William Geoffrey Nicholas Rivera”

 

“C’è la firma di nostro padre, in fondo. E il sigillo di famiglia” disse Archibald alzando gli occhi e mostrando la lettera alla sorella. Tutti e due guardarono l’anello menzionato dal padre al loro dito. Subito dopo guardarono quello al dito del giovane Spencer: uguale al loro nella forgiatura e la struttura, ma con le iniziali del padre. William lo sfilò e mostrò lo stemma di famiglia all’interno.

 Poi Archibald voltò lo sguardo verso la madre.

La smorfia sul viso di Iris era indecifrabile. Fremeva di rabbia, vergogna e indignazione. Quella sgualdrina aveva conservato una lettera così compromettente per i Rivera proprio dentro casa sua, dentro il simbolo più importante alla sua famiglia. Era un affronto. Si alzò, tremando. “Quel piccolo bastardo non doveva vivere” declamò, con voce tirata.

Tutta la stanza si voltò verso di lei, qualcuno aveva occhi gli occhi sbarrati, qualcuno era incredulo, qualcuno con la fronte aggrottata. “Per questo hai tentato di ucciderci, Iris?” chiese Edith, con una calma ricavata da anni di tempeste.

Iris la guardò esattamente come l’aveva guardata cinquantasei anni prima: con disprezzo e superiorità. “Non so come hai fatto a scappare dalla dependance quando le ho dato fuoco, Edith, ma è stata la tua fortuna fuggire e non tornare più” disse Mrs. Rivera.

“Eppure sono tornata. Sono tornata adesso, però. Anche se mi dispiace non essere potuta tornare con mio figlio…” La voce di Edith tremò, al pensiero dell’unico figlio avuto, morto pochi mesi prima.

“Hai fatto bene a tenere quel bastardo lontano da casa mia. Anzi, avresti dovuto tenere lontano anche questo…” continuò acidamente l’anziana, indicando William.

“Lascia mio nipote fuori da questa storia! È grazie a lui che sono riuscita a entrare in questa casa e far sapere a tutti com’è andata veramente la storia dell’incendio. La pagherai. Devi pagarla!” Anche Edith, ora, si stava agitando. Suo nipote era l’ultimo legame di sangue che le era rimasto. Aveva cresciuto quel bambino quando sua madre era morta di parto e suo figlio non si era più risposato, quindi era anche lui un suo bambino e lei avrebbe ucciso, per difenderlo.

“Nonna…” William si avvicinò a Edith e le mise un braccio intorno alle spalle. Finalmente era tutto finito. Ora avrebbero trovato un po' di pace. Ne avevano bisogno, tutti e due.

“Quindi mi hai usato…” Elisabeth era ancora vicino alla nonna e fece un passo verso il ragazzo.

“Mi spiace, Elisabeth. Ho tentato di entrare qui senza dover per forza andare avanti con il fidanzamento, ma non ci sono mai riuscito. Mi dispiace davvero…” William sembrava veramente mortificato e lei non riuscì a dire più niente. Da un lato era contenta del fatto di non dover sposare una persona che non la convinceva fino in fondo, anche se dall’altra le dispiaceva tantissimo per quello che aveva dovuto subire il padre di William da sua nonna.

Infatti, fu la prima a chiedere: “Nonna, ma quindi non volevi che si sapesse? Ma perché tentare di ucciderli? Sei la prima ad aver ammesso che molte famiglie hanno figli illegittimi e che i matrimoni, dopo il primo erede, spesso non sono più consumati, quindi…”

Iris gracchiò come una vecchia cornacchia e disse: “Quello stolto di tuo nonno voleva crescere il piccolo bastardo in casa mia. In casa mia! Voleva far sapere a tutti di avere un figlio maschio illegittimo. Un bastardo. Non potevo permetterglielo! Sarebbe stato controproducente per la campagna elettorale per diventare sindaco…”

“Vostro marito non si è mai candidato alla carica” constatò Grace, il sindaco in carica e la vecchia si girò verso di lui con uno sguardo di disprezzo dicendo: “No, non ha voluto quando ha saputo che il figlio era morto nell’incendio”. L’uomo fece un cenno con il capo e non disse più niente.

Poi Iris fece una cosa che destabilizzò tutti: impugnò il bastone diversamente e schiacciò un brillante incastonato nell’impugnatura di corno. Il bastone perse una parte e, in mano all’anziana, rimase solo l’impugnatura con una lama di almeno sei pollici. William sgranò gli occhi: era un bastone animato!

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Capitolo 7
*** Epilogo - I Rivera ***


  I Rivera

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L’anziana signora aveva gli occhi spalancati mentre faceva oscillare la lama. Non sembrava proprio stabile, notò William.

“Mamma! Cosa fate! Potreste farvi male!” gridò Patience andandole vicino. Purtoppo le andò troppo vicino, impedendo a William e Riney senior di disarmare la donna senza implicazioni, così, dopo essersi lanciati un’occhiata d’intesa, si tennero pronti a intervenire. Gettando lo sguardo intorno, William notò il giovane Riney spostarsi davanti a Elisabeth per proteggerla e Hills e Archibald farsi più attenti. Non riusciva a vedere Grace e Padre Brown, ma sperò che non facessero avventatezze.

“Oh, Patience smettila di gridare. So usare questo arnese benissimo. Ho ucciso tuo marito con questo e lui non se n’è neanche accorto” disse la donna, con cattiveria. Patience impallidì e ondeggiò pericolosamente. William sperò che non svenisse.

“Timothy? Ma-mamma, avete ucciso il mio Timothy? Con una… spada? Perché lo avete fatto?” Patience non riusciva a credere a ciò che aveva sentito. Perché sua madre avrebbe dovuto uccidere suo marito? Perché? La risata di scherno di Iris riecheggiò nella stanza. Lei tremava ancora e questo rendeva la sua lama ancora più pericolosa.

“Perchè? Perché era troppo pesante. La madre della ragazzina, qui, l’ho spinta dal balcone del terzo piano, ma con lui non ci sarei mai riuscita. L’ho dovuto trafiggere. L’ho addormentato con la belladonna, comunque. Quando non ha smesso di respirare, ho dovuto trafiggerlo. Convincere il dottore che fosse morto per arresto cardiaco è stato più difficile, ho dovuto corromperlo.”

Iris parlava senza sosta. L’adrenalina data dalla situazione la stava agitando, così William non si accorse di Elisabeth che, uscendo dalla protezione del fidanzato, balbettò: “La mamma? Nonna avete…” Mentre Archibald, con gli occhi sbarrati, portandosi una mano alla bocca, sussurrò: “Amelia…”

Iris guardò prima la nipote e poi il figlio, poi spiegò a lui: “Dovevi risposarti. Lei non voleva più darti figli e tu avevi bisogno di un erede. Tutti noi avevamo bisogno di un erede. Ma non ti sei risposato e abbiamo dovuto accontentarci della ragazzina!” Iris gridò e anche Archibald e Patience lo fecero.

Ormai Iris aveva gli occhi vacui e non era più lucida. Il governatore Hill prese parola: “Signora, ha per caso ucciso qualcun altro?”

Tutti si voltarono verso di lui, come se la sua domanda fosse stata fuori luogo, ma il suo sguardo rimase puntato su quello della donna più anziana. “Solo mio marito. Non ho mai ucciso nessuno senza motivo, governatore. Ed è sempre stato per la famiglia. Dopo la nascita di Archibald non avevo più bisogno di un marito. Lui non volle più giacere con me perché diceva che ero fredda e cattiva e che un erede adesso c’era già. Quando disse che preferiva la sua vecchia amante a me, cosa avrei dovuto fare? Era meglio fingere di piangere un marito buono e comprensivo su una lastra di marmo ben curata…”

Nessuno osò dire niente. Così Iris pensò di aver vinto. Nella silenziosa distrazione si spostò lentamente di lato, la brezza primaverile che entrò dalla finestra aperta sulla sua sinistra le rinfrescò i pensieri, prima di rabbrividire quando suo figlio fece una cosa inaudita dicendo, rivolto all’altro bastardo: “Benvenuto in famiglia, ragazzo. Spero che d’ora in poi potremmo…”

Iris non ci vide più dalla rabbia e gridò: “No! Non farà parte della famiglia! No!” Neanche si accorse di fare un passo avanti e di brandire l’impugnatura del bastone come se dovesse colpire qualcuno.

Archibald e William videro arrivare la donna ma non si preoccuparono, era lenta e i suoi movimenti impacciati, sicuramente non sarebbe riuscita neanche a sollevare l’arma abbastanza da colpire. Appena fosse stata più vicina sarebbero scattati e in due, dopo un’occhiata complice, avrebbero potuto disarmarla facilmente.

Tutto questo però Edith non lo sapeva, lei vide soltanto il nipote in pericolo e corse verso di lui per proteggerlo, come aveva sempre fatto. Fece tre passi quasi correndo e gridò: “Non farai del male a mio nipote!”, prima di lanciarsi senza cognizione contro la donna armata.

Purtroppo le due anziane, quando si scontrarono, non riuscirono a rimanere in equilibrio e Iris cadde sul davanzale, insieme all’ex cameriera. La lama cadde dalla finestra e Iris fece l’errore di voltarsi a seguirne il tragitto e il suo corpo si sbilanciò cadendo oltre l’apertura, nel buio, tirandosi dietro anche l’altra donna nel tentativo di afferrarla per salvarsi.

Nessuno nello studio fece in tempo a fare niente: in pochissimo era tutto già successo. Si udì il rumore dell’impugnatura che si ruppe e il fragore sordo e raccapricciante dei due corpi che si schiantarono sulla graniglia di cemento furono subito seguiti dal clamore delle grida degli invitati alla festa di cui tutti, nello studio, si erano completamente dimenticati.

***

Dieci mesi dopo

“Oh, è così bella Elisabeth al braccio del padre! È una sposa deliziosa!”

William si girò verso la ragazza che aveva parlato a voce troppo alta in chiesa e che era stata subito sgridata da una signora anziana che si era girata dal banco davanti.

Una ragazza dai capelli mori e gli occhi chiarissimi che, in quel momento, mostrava la lingua alla donna che l’aveva appena sgridata. Lei venne sgridata bonariamente anche dalla donna che aveva accanto e questa volta rise, con una smorfia così adorabile che William non riuscì a frenarsi dall’attraversare la navata e affiancarla.

“Buongiorno, siamo stati presentati?” chiese, con tutto il rispetto che richiedeva l’occasione e, probabilmente, il rango della ragazza.

“Di solito mi presento da sola. Ma siete venuto voi da me. Presentatevi per primo” disse, ammiccando divertita.

“Hanna!” venne sgridata nuovamente dalla donna che aveva accanto.

“Zia Caroline!” rispose bonariamente al rimprovero della zia. La ragazza sbuffò in un modo molto poco elegante e William provò una sensazione al petto che non aveva mai provato: quella ragazza era unica.

“Sono William Spencer Rivera, il cugino di Elisabeth” si presentò porgendole la mano. Quando la donna di prima, dal banco davanti si girò ancora e disse: “Il cugino illegittimo”, squadrandolo dalla testa ai piedi, il ragazzo, forse per la prima volta in vita sua, si sentì fuori posto e, lentamente, abbassò la mano.

“Oh, Mrs. Fardys, dovete origliare con più attenzione. Non è lui, a essere illegittimo, era suo padre. Mi raccomando, quando spettegolerete al ricevimento, almeno, fatelo bene!” sussurrò al cospetto della matrona impicciona.

“Siete una ragazza veramente maleducata! Ecco perché non trovate marito” l’accusò Mrs. Fardys, rigirandosi in avanti mentre Padre Brown iniziava la cerimonia.

Hanna rise ancora, per niente turbata e gli prese la mano quando William stava per ritirarla. Lo guardò negli occhi e si presentò: “Piacere William Spencer Riviera cugino di Elisabeth, sono Hanna Riney, la sorella di Theo e, per la cronaca, mio padre ha promesso di non svendermi mai a un idiota qualsiasi che gli chiede la mia mano; per questo non sono sposata!”, poi si voltò di nuovo verso la matrona e alzò appena la voce dicendo: “Se vuole, lo ripeto a voce più alta per lei, Mrs. Fardys, così potrà raccontarlo in maniera corretta, dopo!”

William rise insieme a Hannah mentre guardavano Mrs. Fardys indignarsi e rivoltarsi verso l’altare.

“Potreste tenere libero un ballo per me al ricevimento, Miss Riney?” le sussurrò William, sorpreso che la sua voce tremasse così tanto.

Lei alzò un sopracciglio mentre lo guardava. “Non concedo balli, Mr… com’è che vi devo chiamare?”

“William, potete chiamarmi William. Non concedete balli? Avete paura che vi pesti i piedi?” le chiese lui.

Hanna rise, mentre Padre Brown li invitava a sedersi. “Sono piuttosto sicura del contrario, in verità. Vi farei fare brutta figura” ammise la ragazza, ma il suo sorriso non vacillò, come se lei non si vergognasse della cosa.

“Ho sopportato cose peggiori di una bella fanciulla che mi pesta i piedi mentre la stringo per un valzer. Ballate con me” sussurrò ancora, quando seduti, si avvicinò al suo orecchio. Vide la ragazza arrossire e il suo petto si riempì di aspettativa.

“E io che pensavo che voi Rivera foste noiosi; devo ricredermi. Potrei quasi accettare quel ballo” disse Hanna, ridendo.

“Non ve ne pentirete, ve lo prometto. Parola di Rivera.”

Hanna sorrise mentre annuiva e William le prendeva la mano per portarsela alle labbra.

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