You are my destiny.

di Federica_97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1-il ritorno ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2-bugie e verità? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3-Punto ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4-Guai ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5-tempo di burrasca ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6-Verità ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7-Nostalgie ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8- tutto è bene quel che finisce bene. ***
Capitolo 9: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1-il ritorno ***


Il volo Londra-Tokyo, era appena atterrato.

Erano le 11.45 del mattino, nessuno sapeva del suo rientro in Giappone...

A dire la verità, poche ore prima, non lo sapeva nemmeno lei. Aveva agito d'impulso, non aveva più nessun motivo per rimanere a Londra, per rimanere con lui.

Nella testa della ragazza ciò che aveva fatto era comprensibile, cercava di giustificarlo. Aveva avuto paura.

Anche lei ne aveva. Aveva lottato contro gli alieni, aveva pronunciato frasi buffe e con buffe conseguenze. Era stata fasciata da un buffo abito rosa, troppo corto per i suoi gusti, ma adesso aveva paura.

Strawberry aveva paura di non farcela.

Prese il suo bagaglio, il quale aveva sperato che non venisse smarrito dagli addetti del l' aeroporto, come era precedentemente successo.

Fece un bel respiro e chiamò il primo taxi disponibile, era sempre così trafficata quella città.

Diede l'indirizzo del caffè mew mew al taxista, e guardava fuori dal finestrino la città scorrere.

Chissà se i ragazzi erano ancora in Giappone, Strawberry non aveva più avuto notizie di Kyle e Ryan... o almeno, Kyle lo aveva sentito un paio di mesi prima, del biondo invece, nessuno traccia.

Pagò la corsa trascinandosi dietro il suo enorme bagaglio, non aveva tralasciato nulla, aveva portato tutto con sé, nemmeno una piccola parte di lei era rimasta a Londra.

Era orario di pranzo, il suonare della campana della chiesa aldilà della strada, glielo ricordò.

Era orario di pranzo ma lei non aveva fame.

Si ritrovò ad osservare la struttura, erano passati solo due mesi da quando aveva lasciato Tokyo e le sue amiche, ma le sembrava così tanto tempo...

“Strawberry??”.

Sobbalzò, riconoscendo la voce.

“Lory? Ma lavorate ancora qui??”. Era sorpresa, ma non ebbe subito una risposta, l'amica l'abbracciò immediatamente.

“Sì, certo, siamo tutte dentro eccetto Pam, in giro per il mondo... ma tu?! Non eri a Londra??”, quasi urlava, era così carina e gentile, non era cambiata nemmeno di una virgola.

Ma poi, pensò, in due mesi quante cose possono cambiare?

Si ritrovò a pensare al motivo per cui era lì: tante, si disse.

“Io... ecco...” borbottava cose incomprensibili. “niente è che... la vita londinese non faceva per me, ecco”.

“Aaah...” fece l'amica. “Andiamo dentro! Saranno tutti felici di vederti!”, non riuscì a proferire parola, Lory la stava già trascinando dentro insieme a quell'ingombrante valigia rosa.

“Ragazze guardate chi c'è!”. Urlò talmente forte che tutti i clienti si voltarono verso di loro. Era ovvio che quel locale non avrebbe mai chiuso per mancanza di clientela. Era sempre strapieno di gente.

La prima ad avvicinarsi fu Paddy, con la sua enorme palla gialla e un set di bicchieri in equilibrio: “Strawberry che bella sorpresa! Mark? Lo hai lasciato fuori? Poverino fallo entrare!”.

“Ti calmi? E' qui da sola”, intervenne Lory.

“E perché!? Tu e Mark vi siete lasciati???”.

Strawberry non rispose, sorridendo soltanto, era così...Paddy!

“La smetti? Vai a servire quei succo di frutta prima che li rovesci a terra, muoviti”

“Come dici?? Io sono una grandissima acrobata, non cadranno mai!”, si imbronciò con Mina, corsa in aiuto delle due ragazze.

“Vai su”, sbuffò portandosi le mani ai fianchi.

Paddy in risposta borbottò qualcosa e sparì a servire i clienti che iniziavano già a lamentarsi.

“Ciao”, disse la ballerina.

“Ciao, Mina”, Strawberry sorrise, stava crescendo pure lei, non aveva più quei ridicoli chignon ai lati della testa, adesso portava una bellissima coda di cavallo alta, almeno a lavoro.

“Come state tutte?”, continuò Strawberry.

“Bene, tutto sommato. Tu? Come mai qui?”.

Fece spallucce. “Non mi piaceva Londra”.

Mina la guardò, la conosceva bene, sentiva che dentro di sé ci fosse qualcosa in più di un “non mi piaceva Londra”.

Si limitò ad annuire semplicemente, senza dire nient'altro.

Erano rimaste lì per qualche minuto di troppo, senza rendersi conto della povera Paddy che si faceva in quattro per servire tutti.

“Ragazze che succede? I clienti si lam... Strawberry???” .

La rossa alzò gli occhi, sorridendo all'espressione sorpresa di Kyle.

“Ciao, Kyle. Scusa è colpa mia”.

“No, tranquilla...”, la scrutò ancora, anche lui pensava che ci fosse qualcosa di diverso in lei. “Come stai principessa?”, dopo qualche secondo, invece, l'abbracciò stringendola forte.

“Bene grazie, tu?”. Anche lei ricambiò l'abbracciò, facendolo diventare più lungo di quello che doveva.

Kyle era sempre stato come un fratello maggiore per lei, gentile e premuroso un po' con tutti.

“Vieni di là in cucina, oggi chiudiamo prima, tra due orette il locale sarà vuoto”, le prese la valigia, da vero gentil uomo. “Ragazze voi continuate, per favore?”, sorride a Mina e Lory che in risposta annuirono. Non potevano dire di no davanti a tanta gentilezza, anche se avrebbero voluto, visto che la loro amica, che non vedevano e sentivano da due mesi, era tornata inspiegabilmente da Londra.

Strawberry entrata in cucina si mise buona buona su uno degli sgabelli, guardando Kyle impastare dolci e cuocerli.

Si guardò intorno, verso il cortile interno, sulle scale... mancava qualcuno lì dentro.

“Non c'è, tornerà stasera. Ha da fare delle commissioni per il locale”, Kyle intuì i pensieri di Strawberry. La stava guardando, aveva l'aria più matura... aveva un qualcosa che fino a due mesi fa non aveva.

“No io... non pensavo a Ryan”.

“Non ho mai detto che mi riferivo a lui, Straw”, sorrise vedendo la ragazza avvampare per la vergogna. “Stai bene? Sembri... diversa, non so”.

Vide la ragazza pensarci qualche minuti e poi annuire: “sto bene, solo stanca per il viaggio”.

Chiusero il discorso, non voleva forzarla a parlare, avrebbe aspettato che fosse pronta per aprirsi con lui o con le sue amiche.

Il pomeriggio passò in fretta, prima che se ne accorgessero era già sera.

Nonostante tutti i rimproveri di Kyle, Strawberry si diede da fare lo stesso nella pulizia finale del locale. Lo faceva un po' per abitudine, un po' perchè quel lavoro le mancava davvero tanto.

Aveva trascorso lì dentro la sua adolescenza e adesso che aveva quasi vent'anni, nulla sembrava essere cambiato, eccetto che stavano crescendo.

Paddy studiava, era alle superiori, Pam aveva da poco iniziato un nuovo film, Mina non lasciò la danza fino a diventare prima ballerina, Lory studiava diritto all'università ma... tutte erano d'accordo sul fatto che il proprio lavoro non lo avrebbero lasciato.

E Strawberry? Beh, lei aveva provato a studiare medicina a Londra, ma c'era stato un impedimento che le aveva stravolto i piano, qualcosa che aveva avuto da subito tutta la sua attenzione, spingendola a rinunciare anche ai suoi studi.

“La smetti di lavorare?”, l'ennesimo rimprovero di Kyle.

“Dai lasciami fare, sono stata ferma tutto il giorno. Le altre sono andate via, almeno mi rendo utile. Vai a pulire la tua cucina, io penso alla sala”.

Kyle scosse la testa divertito, sempre la solita testarda. Alzò le mani in segno di resa e sparì dietro la porta della cucina.

Strawberry aveva quasi finito, quando la porta principale del salone si spalancò, facendola rabbrividire per il gelido vento di ottobre.

Rimase in silenzio, riconoscendo la sagoma che stava avanzando verso la sua direzione.

Alzò gli occhi per guardare quelli gelidi del ragazzo di fronte a lei.

“Ciao...” mormorò soltanto, quasi ad aver timore della sua stessa voce.

Ryan la fissò, sorpreso, ma senza scomporsi più di tanto, con la sua solita aria indifferente che da sembra lo caratterizzava.

“Che ci fai qui?”, non la salutò, dritto al punto, senza voler sentire altre spiegazioni.

“Io... sono tornata stamattina e...”.

“Quando vai via?”.

Lei abbassò lo sguardo, non era la benvenuta lì dentro, per lui, questo era chiaro.

“Sono tornata per restare...”

“Bene”. La superò, senza degnarla di altri sguardi o parole, sparendo dietro il muro che lo avrebbe condotto alle scale e successivamente alla sua stanza. Dove si sarebbe rintanato, quasi a proteggersi dal mondo intero, sperando che quell'incubo finisse presto.

Era tornata, e allora? Che gli importava a lui.

Lei aveva scelto, mesi prima, lui era rimasto per l'ennesima volta fuori dalle scelte della ragazza. Senza dire parola, soffrendo in silenzio.

L'aveva dimenticata, basta. Era un libro chiuso.

Si stese sul letto, ripassando a mente tutti i momenti insieme i mesi prima.

Poteva realmente dimenticare ciò che era successo tra di loro? I baci, le carezze, l'amore...

Poteva dimenticarsi dell'unica ragazza che gli aveva risvegliato il cuore?

Poteva?...

Probabilmente no.

 

 

 

 

 

CIAO! Sono tornata con una nuova storia... sinceramente ce l'ho in mente da tantissimo tempo ma... non ho mai avuto tempo per scriverla.

Al solito ringrazio in anticipo tutti coloro che hanno letto il capitolo (e i mei deliri) e chi ha commentato per farmi sapere cosa ne pensava...

Secondo voi, qual è il segreto di Strawberry? Perché è tornata da Londra senza Mark?

Via alle supposizioni!

Ci vediamo alla prossima, un bacio grande! <3

P.S. Perdono per gli errori di battuta...

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Capitolo 2
*** Capitolo 2-bugie e verità? ***


Capitolo 2-bugie e verità?

 

Inevitabilmente Strawberry aveva dovuto dire ai suoi genitori del suo rientro in Giappone. Aveva atteso la chiamata quotidiana di sua madre per tutto il giorno, sapeva che prima di andare a dormire, l'avrebbe chiamata.

Erano rimasti molto sorpresi dalla sua decisione e dalle sue poche spiegazioni.

Era stata riaccompagnata a casa da Kyle, non aveva più visto Ryan da quando si erano scontrati nel salone del suo locale. Era arrabbiato, ma non lo biasimava: era partita senza neanche salutarlo, era rimasta fuori due mesi senza scrivergli mai nemmeno un messaggio e ora? Cosa pretendeva, che l'avrebbe accolta a braccia aperte?

Era stato ferito, proprio dall'unica persona che aveva sempre amato.

Lei questo lo sapeva, Ryan le aveva detto mille di non aver mai provato amore per qualcuno, prima che arrivasse lei. Ryan era un tipo di poche parole ma si era completamente aperto a lei, rivelandole tutti i suoi sentimenti.

Adesso lei se ne stava in camera sua a disfare la valigia piena, riponendo tutti i suoi vestiti nell'armadio.

Ripensava alla conversazione coi suoi genitori e alle mille domande che suo padre, Shintaro, le aveva posto su Mark.

Ma lei rimaneva sempre vaga: ''la convivenza non faceva per noi. Magari doveva solo andare così'', aveva risposto, semplicemente. Senza andare oltre con le spiegazioni.

Sentì bussare alla porta, sua madre non attese il permesso per entrare, lo fece e basta guardando sua figlia:

“Tutto bene, tesoro?”.

Strawberry annuì senza smettere di fare le sue cose.

“Sicura?”.

“Mamma, davvero sto bene. Passerà”.

Sua madre le fece segno di sedersi sul letto con lei, con la sua solita aria gentile e premurosa che solo una mamma poteva avere.

Non si fece pregare, l'affetto di sua madre era l'unica cosa di cui adesso aveva bisogno per sentirsi un po' meglio.

“Bambina mia...”, Sakura la guardò, “ti prometto che andrà meglio. Magari non era destino, no? Adesso so che stai male perché tu e Mark vi siete lasciati, ma passerà, promesso”.

Strawberry annuì e sorrise, magari fosse solo questo. Tenne il suo pensiero per sé mentre abbracciava la sua mamma.

Da sempre avevano avuto un solido rapporto, basato sulla fiducia reciproca.

“Mamma senti...”, la fermò prima che potesse uscire dalla camera, “io... ti devo dire una cosa”.

Sakura la guardò sorridendo: “tutto quello che vuoi, amore”.

La ragazza rifletté due minuti prima di ricominciare a parlare: “io... ecco... è che, niente. Solo felice di essere tornata a casa. Tu e papà mi mancavate”.

“Anche tu mancavi a noi tesoro, soprattutto a tuo padre. Non puoi capire quanto ha pianto appena te ne sei andata”, adesso Sakura rideva ripensando a suo marito coi lacrimoni.

Strawberry non aveva dubbi sul fatto che suo padre si fosse disperato per la partenza. Per la prima settimana non la lasciava in pace nemmeno mezzo secondo, la chiamava a tutte le ore. Lo aveva dovuto letteralmente pregare di smetterla, la deconcentrava e avrebbe avuto i test per entrare all'università solo dieci giorni dopo; con suo padre che continuava a darle il tormento, non li avrebbe mai superati.

 

 

 

Al caffè mew, invece ormai c'era un silenzio tombale, Kyle se ne stava in cucina a preparare alcuni impasti per l'indomani, mentre Ryan lo osservava in silenzio, assorto nei suoi pensieri.

“Quindi vi siete parlati...”

“No”, rispose subito il ragazzo biondo. “E no, non ho intenzione di parlare con lei”.

“Ryan...”, Kyle sospirò. “Lo so che ti ha ferito, ma siete grandi ormai. Cerca di passare sopra a tutto questo. E' andata così, piccolo, si vede che non era destino”.

Destino... doveva tutto essere per forza predestinato? Lui non credeva a queste cavolate. Le conseguenze cambiavano in base alle azioni della gente, e non per il loro ''destino''.

“Il fatto che tu a 22-quasi 23-anni continui a chiamarmi piccolo, mi inquieta e non poco. E poi il destino è una cavolata. Lei ha scelto Mark,” lo disse con una punta di disprezzo mentre addentava un pezzo di pane, “quindi non è stato il destino. E' partita con lui, e adesso per chissà quale ragione è tornata a nemmeno 3 mesi. E poi sai che c'è? Non mi importa”.

Il moro lo guardò, quel ragazzo seduto di fronte a lui rappresentava tutta la sua famiglia, lo aveva considerato un fratellino minore e poi il suo migliore amico, man mano che cresceva nutriva sempre più affetto per lui. Lo aveva visto piangere, ridere, soffrire, gioire. E come lo conosceva lui, non lo conosceva nessuno.

“E se non ti importa, perché me ne stai parlando?”.

“Hai iniziato tu, non ci provare”.

“Ma tu non mi hai fermato...”.

“Kyle, davvero, basta. Smettiamola di parlare di Strawberry. Ti ho già detto che sono in pace con me stesso. E' un capitolo della mia vita che ho già chiuso da tempo”.

Kyle scosse la testa: “Sei stato tu a lasciarla per primo, ricordi?”.

Ryan sbuffò, cercava sempre di giustificarla, secondo lui non prendeva mai le sue parti; sempre e solo Strawberry.

“Sai benissimo perché sono andato via. Ma poi sono tornato, ho chiesto mille volte scusa e lei non ha voluto sentire ragioni. Quindi non è colpa mia”.

“Lasciarla nel cuore della notte, Ryan, non è una cosa da niente. Era arrabbiata, non puoi biasimarla”.

E questo era anche vero, mesi prima l'aveva lasciata mentre dormiva, con una stupida lettera, senza darle più notizie di sé per settimane e poi... era tornato. Ma lei non lo aveva più voluto.

“Perché la difendi tanto? Ti ho già detto che l'ho fatto perché voleva mandare a puttane il suo futuro, quindi adesso smettiamola e basta. Sono stanco”, si alzò dalla sedia.

“Okay, okay...” alzò le mani, “non la difendo, ti faccio solo capire che non ha fatto nulla di diverso da quello che hai fatto tu”.

Ryan continuò a camminare verso fuori: “Tanto non è tornata qui per me”.

“Non puoi saperlo se non le parli”.

Il biondo si girò: “magari più avanti, okay? Adesso c'è Alexandra con me, ricordi? Non posso mandare la mia relazione all'aria solo per una supposizione”.

“Quindi ti importa...” Kyle sorrideva.

“Non l'ho mai detto. Buonanotte imbroglione”, ed uscì dalla cucina.

 

 

La mattina arrivò in fretta, Strawberry aveva dormito male e alle 8.30 del mattino si rese conto di non aver niente da fare per l'intera giornata.

Le squillò il cellulare per poco attimi, segno che le fosse arrivato un messaggio:

''vieni al locale a darmi una mano in cucina? -Kyle''.

Pochi secondi dopo un altro sms: ''se non hai niente da fare, chiaramente''.

Sorrise, certo che sarebbe andata!

Come cameriera non poteva lavorare, si era licenziata e non aveva il permesso del capo per poter svolgere quella mansione, quindi si limitava a dare una mano in cucina, rimanendo lontana da occhi indiscreti.

Indossò i pantaloni che preferiva di più, erano comodi e non stringevano troppo sulla pancia, cosa che ultimamente odiava, essendo ingrassata di qualche chiletto.

Una maglia comoda e non troppo aderente ed era pronta.

“Mamma vado al locale, okay? Ci vediamo stasera”.

“Stai attenta per le strade, tesoro!” urlò sua madre prima che la porta si richiudesse.

 

 

Il locale già a quell'ora del mattino era pieno di clienti, la maggior parte erano studenti, ma anche uomini e donne d'ufficio facevano parte della vasta clientela del caffè mew.

“Buongiorno principessa”, Kyle la salutò sorridendole. “Oggi Lory non c'è, e come ben sai Pam è in giro per lavoro... siamo un po' accorti di personale”.

Strawberry annuì, rimboccandosi subito le maniche.

“Penso ai tavoli? Non ho l'uniforme però...”

“No, mi aiuti in cucina, alla sala pensano Paddy e Mina. Oggi è sabato e la piccola non ha la scuola, quindi è qui anche per il turno mattutino”.

“Mina lavora?”. Le sembrava quasi una battuta. Per tutto il tempo in cui erano rimasta a lavorare lì dentro, non l'aveva mai vista muoversi dalla sedia. Sempre a sorseggiare tè. Cosa aveva poi di così speciale, Strawberry non lo sapeva. A lei non piaceva il tè.

“Strano ma vero”, il moro ridacchiò tra sé.

Strawberry sorrise, aiutandolo a montare la panna che gli sarebbe servita per farcire una della sue buonissime torte.

La crema pasticcera poi, aveva un profumo talmente buono che l'avrebbe mangiata tutta.

“Hai fatto colazione?, Kyle di asciugò le mani appena lavate e si voltò verso Strawberry, intenta a togliere un po' di farina sul bancone.

Scosse la testa. “No, sono uscita di casa appena mi hai mandato il messaggio”.

“Male, devi mangiare”, si avviò verso il frigo tirando fuori una di quelle enormi torte alle fragole che lei adorava veramente tanto.

Le brillarono gli occhi, non appena Kyle le mise di fronte un enorme fetta.

Era risaputo quanto Strawberry adorasse i dolci, soprattutto quelli alle fragole... andava pazza per le fragole.

I suoi genitori non potevano azzeccare nome più adatto a lei.

La sua gioia, però, duro poco.

Fu colta da una sensazione sgradevole che la costrinse a correre in bagno, per evitare che rimettesse anche l'anima in cucina, tra le cose che poi andavano serviti ai clienti.

Per poco non andò a smettere contro Ryan, che la seguì con lo sguardo fino a vederla sparire nei bagni degli spogliatoi.

“Che le prende?”, aveva domandato a Kyle, che ne sapeva quanto lui.

Il moro scosse la testa confuso: “forse ha un sapore sgradevole?”, assaggiò la torta ma secondo lui era tutto apposto.

“No, non l'assaggio e non ci provare”, Ryan non gli diede neanche il tempo di formulare un pensiero, che subito lo bloccò. “E poi, che ci fa lei qui? Non mi risulti che lavori ancora con noi”.

Il ragazzo più grande fece spallucce. “Mi serviva una mano in cucina”.

Il biondo sospirò pesantemente. Non avrebbe mai smesso di fare cupido.

“Piuttosto, vai a vedere come sta? Io sono impegnato qui”.

“Non mi importa”. Si portò le mani dietro la testa.

“Ryan”, lo riprese a mo di rimprovero. “Per favore, ci sarei andato io, ma non posso”.

“Sei insopportabile”. Il ragazzo si alzò. “Ma se litighiamo, non è colpa mia”.

“Devi solo vedere come sta”.

Il biondo non rispose, uscendo dalla cucina per dirigersi in bagno.

Bussò: “Tutto okay?”.

Non parve preoccupato più di tanto, conosceva Strawberry e quanto fosse golosa. Sicuramente aveva mangiato qualcosa che le aveva fatto male, e quelle erano le conseguenze.

La aspettò uscire, cinque minuti dopo dalla sua domanda, era abbastanza pallida.

La guardò, in attesa di una risposta.

“Sì, scusa io...”, si portò una ciocca ribelle dietro l'orecchio, “sto bene... grazie per...”

“Ringrazia Kyle, non me”. E iniziò ad avviarsi.

“Ryan...”, quasi lo sussurrò. Per un attimo sperò che il ragazzo non la sentisse, ma quando si ritrovò i suoi occhi azzurro cielo fissarla, capì che era tardi.

“Mi dispiace...”.

Il biondo la fissava torturarsi le mani, era tipico di Strawberry. Essere costantemente in imbarazzo.

“Io sono tornata perché...”

“Perchè?”, sembrava incitarla a parlare, ma non le diede il tempo, “te lo dico io perché, Strawberry. In poche parole con Mark non è andata, quindi hai deciso di tornare, ovviamente che fai? Ti presenti qui perché speri in... non so che cosa da parte mia. Adesso mi chiedi scusa perché speri che tutto torni come prima. Sbaglio, Strawberry?”.

La vide abbassare gli occhi e quindi continuò: “ma sai che c'è? Non penso tornerà mai come prima. Te ne sei andata, con lui, dopo aver passato la notte con me. Come pensi che mi sia sentito? Come pensi che...” inspirò profondamente, iniziava ad alzare la voce, ma non era quella la sua intenzione. “Sai che c'è? Sei egoista, lo sei sempre stata. Me ne rendo conto adesso. Hai scelto la via più semplice. Avevi paura? Anche io ne avevo. Sono consapevole di non sono facile, ti dicevo sempre che sono complicato, che probabilmente molte volte non saresti riuscita a capirmi. Ma nonostante ciò hai rinunciato”.

“Ryan ascoltami io... sono qui perché...”

“Nemmeno un messaggio, Strawberry. Te ne sei andata senza neanche un messaggio”

“Nemmeno tu mi hai più cercata”.

“E perché avrei dovuto? Dopo essere stata con me, te ne sei andata con lui. Era chiaro come messaggio, no? Per l'ennesima volta io ero quello sbagliato”. Non aveva più voglia di discutere. Più parlava e più gli faceva male.

“Sei stato tu a lasciarmi per primo!”, adesso era lei ad urlare.

Ryan la fulminò, facendola rabbrividire solo con lo sguardo.

“Sai bene perché sono andato via. Ti ho chiesto perdono mille volte!”.

Strawberry rimase in silenzio. E Ryan continuò: “volevi mandare il tuo futuro a puttane, per me! Sapevo quanto ci tenessi all'università, a laurearti e trovare il lavoro dei tuoi sogni! Non puoi biasimarmi perché ho voluto il meglio per te!”.

“Ma ti amavo, Ryan! Mi hai lasciato con la consapevolezza che avrei sofferto come un cane!”.

“Ti amavo anche io. Per questo sono andato via. Magari un giorno lo capirai, Strawberry”. Chiuse il discorso, non voleva più discutere con lei. Non ne vale la pena. Non capiva.

“Ho comunque mandato tutto a puttane”, disse, facendolo bloccare sulla soglia, prima che uscisse definitivamente dal suo campo visivo. Non si voltò, aspettando che parlasse ancora. Ma non lo fece.

Andò via, lasciandola da sola.

 

 

Ciao ragazzeeeee.... eccomi tornata. Come va?

Questo è il secondo capitolo. Finito alle 01.49 di notte! Evvivaaaa!

Spero vi piaccia... che ne pensate, troppo lungo? Fatemi magari sapere se farli più corti, o se modificare qualcosa sul mio stile di scrittura. Accetto tutto, vorrei agevolare la vostra lettura il più possibile.

Detto ciò, ancora grazie per aver seguito anche questo capitolo.

Un bacio grande e alla prossima! <3

P.S. Al solito perdono per gli errorini di battuta e non.

Ho poco tempo per rileggere molte volte, il lavoro purtroppo mi chiama. Ma spero vi piaccia lo stesso!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3-Punto ***


Capitolo 3-Punto.

Molte volte, bisogno pur metterlo il punto. Alla fine di una frase, alla fine di una storia. Si chiama ortografia. O, più comunemente, coraggio.

Ryan questo lo aveva fatto, aveva definitivamente messo un punto alla sua storia con Strawberry. Lo aveva fatto mesi prima e continuava a farlo adesso.

Punto. Basta.

Non c'era più niente. Alcune volte, ripensando alla loro conversazione, si chiedeva il perché dell'ultima frase della ragazza; ma poco importava. Ormai c'era un enorme e vistoso punto alla fine del suo nome.

“Ryan, che c'è? Non dici parola da quando siamo usciti”. La ragazza con gli occhi scuri come la notte lo guardava. Era distratto, perso nei suoi pensieri.

“Uhm?”, il biondo rivolse la sua attenzione su di lei, “nulla, Alexandra, pensavo ad alcune cose”.

“E questo lo avevo capito, ma a cosa pensavi?”.

Lei era una brillante professoressa di letteratura di 26 anni, si era trasferita in Giappone qualche mese prima, per poi trovare lavoro nello stesso liceo dove andava Paddy.

Per carità, una bravissima persona, ma ritrovarsela molte volte anche a lavoro non era esattamente il massimo, per la piccola delle mew.

“E' tornata Strawberry”. Lo disse secco, senza girarci intorno. “E abbiamo discusso, tutto qui”.

“Ah”, fece lei, ammutolendosi.

Lei, Strawberry, la conosceva bene. Sapeva della storia passata con Ryan, il ragazzo le aveva raccontato qualcosa. Ed era stata, niente di meno, che la sua commissaria esterna, agli esami di maturità della rossa.

“E quindi...?”, chiese incerta lei, guardando il suo ragazzo.

“E quindi niente. Abbiamo, anzi ho, chiarito che tra me e lei non ci potrà mai essere più niente. No che sia tornata per questo, ma volevo solo mettere le cose in chiaro”.

Alexandra annuì, ma non era del tutto convinta.

Ryan se ne accorse, tirandola a sé e abbracciandola. “Te lo giuro”.

Lei sorrise, baciandolo delicatamente sulle labbra, prima di ricominciare a camminare per le via buie di Tokyo.

In lei aveva trovato qualcosa che subito le era piaciuto. Era una ragazza sveglia, brillante, sempre disponibile. Era una donna, a lui serviva una donna.

La differenza d'età non era mai stato un problema per nessuno dei due. Si volevano bene, e questo era l'importante.

“Hai fame?” chiese lui.

“Da morire, sbuffò lei, “Oggi a scuola non ho potuto nemmeno pranzare, erano tutti di fretta. Non capisco cosa abbia questa città”.

Ryan ridacchiò. “Capita”.

“Ah, guarda che Paddy è sotto con la letteratura e ho sentito il suo professore di chimica lamentarsi per i suoi scarsi voti”.

Ryan la guardò confuso. Cosa c'entrava Paddy con loro, adesso?

“Voglio dire...”, chiarì subito, “devi darle qualche giorno in più, ancora siamo ad inizio anno scolastico, riuscirebbe a recuperare senza problemi se non lavorasse tutto il giorno”.

“Ah! La colpa è mia adesso?”, la afferrò per i fianchi facendole il solletico.

“Dai no! Non dico questo!!”, rideva mentre lo allontanava.

“Okay, ci penserò”, ridacchiò lui mentre la afferrava per mano per condurla all'auto.

 

 

Il sole era tornato a splendere da poco, su Tokyo, erano le 9 e mezza del mattino, e faceva un freddo cane.

Era indecisa se tornare al caffè, oppure no.

Dopo la discussione avuta precedentemente con Ryan, non le sembrava una buona idea.

Era arrabbiato, come non l'aveva mai visto prima. Non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi, che la fulminavano.

Kyle le aveva accennato che frequentava un'altra ragazza, ed era giusto così. Non poteva essere gelosa o altro, Ryan era andato avanti. Esattamente come aveva provato a fare lei, con Mark, mesi prima.

Non poteva incolparlo di nulla.

Decise di mettersi a studiare, magari avrebbe avuto l'opportunità di continuare i suoi studi a Tokyo, di entrare all'università e diventare dottoressa.

Ma in quel momento, quel sogno, sembrava non appartenerle più. In quel momento aveva altro a cui pensare.

“Tesoro”, sua madre bussò.

“Mamma, entra”, disse lei, sedendosi alla scrivania e aprendo uno dei pensanti libri.

“Ti ho portato qualcosa da mangiare, vuoi?”, le mostrò le fette biscottate spalmate di marmellata alle fragole.

Lei annuì contenta, le piacevano tanto.

“Grazie!”, ne afferrò uno divorandolo. Era affamata.

Sua madre sorrise. “Resti in casa oggi?”

“Sì, non credo di usc...” lo squillò del cellulare la interruppe.

''Strawberry cara, verresti al locale? Ryan ha deciso di punto in bianco di dare almeno tre settimane libere a Paddy, Lory va e viene, Mina ha l'esaurimento nervoso. Lui, chiaramente, mi ha abbandonato, sono solo e devo andare a ritirare le scorte per i dolci. Rimarresti in cucina? Salvami ti prego!!''.

Strawberry sospirò, addio giornata di studio: “mi correggo, mamma, devo andare al locale ad aiutare Kyle”.

“Kyle o Ryan?”, Sakura fece mezzo sorrisetto birichino.

“Kyle, con Ryan nemmeno ci parliamo, e se lo facciamo litighiamo”, si alzò prendendo dei vestiti dall'armadio.

Stava per togliersi la comoda tuta che aveva indossato dopo la doccia, ma si bloccò.

“Mamma... potresti...?”

“Ti vergogni di me? Ti ho vista svestita mille volte, tesoro”. Sakura era sorpresa. Strawberry non si era mai fatta problemi a vestirsi davanti a sua madre.

“Lo so è che... per favore, mamma. Faccio tardi”.

Sakura annuì poco convinta, lasciandola da sola in camera. Libera di cambiarsi.

Si svestì, guardandosi allo specchio. La pancia... le cadde lì l'occhio. Era più piena, più rotonda.

Abbandonò quei pensieri e si vestì velocemente.

 

 

Arrivata al locale, salutò le ragazze per poi dirigersi dritta da Kyle.

“Okay, che succede?”, fece non appena entrò.

“Grazie al cielo sei qui!”, sospirò di sollievo lui, “come ti ho già spiegato ho mille cose da fare. Devo uscire, ma torno presto, promesso”.

“E io cosa devo fare?”

“Tu, Strawberry cara...”, le poggiò le mani sulle spalle, guidandola dietro il bancone, “...rimani qui a cucinare i dolci”.

Non che l'idea le dispiacesse, ma al solo pensiero le veniva da vomitare.

Ma non poteva rifiutare, Kyle era sempre stato gentile con lei, in un certo senso glielo doveva.

“Va bene... ma ti prego, fa presto”, sospirò rassegnata.

“Sissignora!”, le diede il grembiule, che con grande sorpresa della ragazza era rosa. Qui capì che era tutto premeditato.

“Grazie mille, a dopo!”, uscì di fretta prima che la rossa potesse fargli qualsiasi domanda e lei, rassegnata all'idea di dover stare a sfornare muffin e farcire torte, si mise a lavoro.

“Ha lasciato te, in cucina Kyle?”. Mina era appena entrata con almeno 5 ordinazioni.

Lei annuì, sbuffando. “Purtroppo”.

“Come purtroppo? Saremo fortunati se a fine giornata rimane qualcosa per i clienti”, la guardò, con la sua solita aria altezzosa, “conoscendoti non farai altro che mangiare”.

“Non mi va nemmeno la metà di queste cose, Mina. Quindi tranquilla che troveranno di tutto, i clienti”, la schernì, facendole la linguaccia.

Prese le ordinazioni, sistemandoli sui vassoi.

La ragazza dai capelli blu la osservava, quasi sicura che stesse nascondendo qualcosa. Ma non chiese, aveva troppo lavoro da fare per fermarsi a chiacchierare. Magari le avrebbe parlato dopo.

E così, combattendo con la nausea tutto il giorno, Strawberry ce l'aveva fatta.

Erano le sette di sera, Kyle non si era più visto. Chissà cosa stava cercando di fare.

Aveva incontrato Ryan un paio di volte, ma non si erano degnati di uno sguardo.

“Stai bene?”.

Quasi le venne un colpo. “Cavolo Mina! Ma non eri andata via?”, si portò una mano al cuore.

“No, Lory è andata via, io no”, la continuava a guardare, in attesa di risposte.

“Sto bene, comunque, grazie per l'interesse”.

“Davvero?”.

Strawberry la guardò, cercando di capire a cosa si riferisse.

“Voglio dire, sei stata tutto il giorno sommersa di dolci e non ne hai mangiato nemmeno uno. E' strano”.

“Mi mantengo in linea, che vuoi che ti dica”.

“Ah, certo”, fece Mina per niente convinta. “Va bene, allora io vado. Domani ci sarai?”.

“Credo, non lo so”.

La mora annuì, prima di salutarla nuovamente e andare via.

Aveva pulito la cucina, erano le otto di sera e di Kyle nemmeno traccia.

“Kyle?”, Ryan le aveva rivolto la parola.

Lei fece spallucce. “Mi ha affidato la cucina e non è più tornato”.

Il biondo scosse la testa, sicurissimo di quello che stava cercando di combinare il suo migliore amico.

“Lo ha fatto apposta”.

Strawberry ripose la pezzetta pulita e lo guardò. “In che senso?”

“Per lasciarci soli, sa della discussione”.

“Ah”.

“Già”. Andò verso il frigo, chiudendo il discorso.

La ragazza lo seguì con gli occhi, tutto il tempo, senza dire nulla.

“Ryan?”

“Mhm?”, mugugnò con la bocca piena d'acqua.

“Possiamo parlare?”.

“Non mi va, Strawberry”, e se ne andò, lasciandola nuovamente sola.

Era stufa di quella situazione, lui aveva parlare, le aveva detto ciò che pensava. Adesso toccava a lei.

Lo seguì, bloccandolo prima che potesse entrare in camera sua.

“E invece mi ascolti”.

Ryan si voltò, era quasi certo che l'avrebbe seguito. Non era da lei arrendersi ad un no.

“Che vuoi?”.

“Dirti il motivo per cui sono tornata”.

“Ieri mi è sembrato chiaro”.

“No, ti è sembrato chiaro quello che pensi tu”, disse la ragazza slacciandosi il grembiule, “sono tornata perchè con Mark, non è andata, è vero. Ma non pretendo nulla da te, Ryan. Ti ho ferito, mi hai ferita, ci siamo feriti. Entrambi, abbiamo le stesse colpe”.

“Ah, stesse colpe, Strawberry? Hai fatto l'amore con me, e poi sei partita con lui, queste sono stesse colpe?”.

La rossa lo guardò, tornandole in mente un particolare. “So della tua relazione, Ryan, e se...”

“Kyle deve stare zitto, una buona volta”, la interruppe lui.

“Sta zitto tu e fammi parlare” sbuffò lei, ammutolendolo, “stai con lei da quasi quattro mesi, il che significa che la frequentavi anche la notte in cui sei stato con me. L'hai tradita, esattamente come io ho fatto con Mark. E non è una cosa di cui vado fiera”.

Ryan la guardava, aveva ragione. Ma non aveva resistito. L'aveva baciata, lei aveva ricambiato. E si era dimenticato del mondo intero.

In cuor suo sperava che quella notte passata insieme, le avrebbe fatto cambiare idea circa la partenza. Ma così non era stato.

Non disse nulla e fece nuovamente per rientrare in camera, sotto lo sguardo stupido della ragazza.

“Ma che fai? Non ho finito!”. Se c'era una cosa in cui riusciva benissimo, era farla innervosire.

“Io sì. Vado a farmi gli affari miei, esattamente come tu ti sei fatta i tuoi per due mesi”. E si voltò.

Strawberry prese un bel respiro, doveva dirglielo. A qualsiasi costo.

“Sono incinta”.

Lo vide sussultare un attimo, prima di arrestarsi definitivamente.

Era quasi sicura di averlo scioccato.

“E' di Mark. Non l'ha voluto. Ecco perché sono tornata”. Continuava a guardarlo. Lui non si mosse.

“Ryan...”, fece per toccarlo ma lui si scostò.

Si voltò a guardarla, senza espressione, senza saper che dire.

“E cosa vuoi? Cosa pensi che possa fare io?”.

Strawberry alzò gli occhi cioccolato per incrociare quelli ghiaccio di lui e non disse nulla.

“Vattene”. Fece per andare ma la ragazza lo trattene per il polso.

“Ryan io...”

“Cosa!? Torni qui, e stravolgi tutto! E adesso cosa vuoi da me!?”.

“Non urlare...”

“Vattene Strawberry!”.

Si richiuse la porta alle spalle, lasciandola da sola nel corridoio del locale che ormai sentiva casa...

Da sola, esattamente come aveva fatto Mark. Piangendo si rese conto di non aver nessuno.

 

Incinta.

Roba da pazzi.

Strawberry incinta.

Si butto sul letto, ancora sconvolto dalla notizia.

Incinta.

Continuava a ripeterlo.

Era un incubo e si sarebbe svegliato.

Strawberry, la sua Strawberry, incinta.

La ragazzina dai codini rossi conosciuta anni prima sarebbe diventata mamma.

Non ci credeva.

Ma lui aveva messo quel benedetto punto alla loro storia, alla fine del suo nome, c'era un punto, no?

Non ne era più sicuro, quel punto, da quando lei era lì, iniziava a sbiadire.

 

 

 

 

Buongiornoooo! Come state bimbe?

Io bene, al solito.

Il capitolo vi è piaciuto?

Vi confesso che a me non tantissimo, era meglio nella mia testa...

Boh!! ahahahah

al solito mi scuso per eventuali errori di battitura e non. Adesso scappo a lavoro che sono le 14.07 di pomeriggio!

Segreto svelato e.... che ve ne pare?

Io ce la vedo mamma single a Strawberry!

Un bacio grande e alla prossima. Grazie mille per chi mi segue! <3

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4-Guai ***


Capitolo 4-Guai

 

 

“Che cosa è successo? Ho visto Strawberry uscire dal locale come una furia. Quasi mi veniva addosso”. Kyle era rincasato giusto dieci secondi prima che la ragazza scendesse le scale per poi uscire dall'edificio.

Non aveva avuto il tempo di chiederle niente, aveva farfugliato qualche scusa incomprensibile ed era scorsa via.

“Niente”, rispose secco lui, rimanendo sdraiato.

Kyle lo osservò, possibile che quei due non si fossero ancora chiariti. O forse sì?

“Ryan... mi dici che è successo?”, si sedette accanto a lui.

“Niente”, ripeté. “Solo, smettila di fare queste cose, okay?”.

“Quali cose?”.

“L'essertene andato lasciandole la cucina, non serve a niente. Le cose tra me e lei non torneranno mai come prima”, ora più che mai, avrebbe voluto aggiungere, ma non lo fece. Tenendoselo per sé.

“Ryan ascolta... vedo ancora come la guardi, come le parli, anche per litigare ci metti tutto te stesso, come hai sempre fatto. Volevo solo essere d'aiuto”.

“Bene, non lo sei stato. Io non la guarda e non ci litigo in nessun modo”, rispose freddo, mettendosi a sedere.

Il moro annuì, sconfitto per l'ennesima volta.

Quei due, testardi per com'erano, non avrebbero mai fatto pace.

“Ho tradito Alexandra”, il biondo aveva rotto il silenzio. Doveva dirlo a qualcuno, non riusciva più a tenerlo dentro.

Kyle lo guardò, in attesa che continuasse.

“La notte prima che Strawberry partisse, siamo stati insieme”.

Kyle annuì, adesso riusciva a capire il perché ti tanta rabbia repressa. Adesso capiva perché il suo migliore amico era così in collera con quella ragazza.

“Cosa avete fatto?”.

“Secondo te? Speravo non partisse più, invece lo ha fatto comunque. Ero pronto a rinunciare a tutto per lei. Ero pronto ad affrontare le più grandi sfide”.

Il moro sospirò, gli leggeva ancora il dolore negli occhi, anche se non lo avrebbe mai ammesso.

Ryan era sempre stato un tipetto bravo a nascondere le proprie emozioni, ma con Kyle riusciva a far cadere tutte le sue barriere. Era l'unico con cui si apriva. C'era stato un tempo in cui l'aveva fatto anche con Strawberry, ma era stato solo un errore.

“Lo dirai a qualcuno?”. Chiese Ryan, guardandolo.

“No, certo che no. Suppongo che Alexandra non lo sappia allora”.

“Supponi bene, avevamo appena iniziato a vederci e se le dicevo una cosa simile mi avrebbe mollato subito. Non volevo perdere anche lei”.

Kyle annuì ancora, rimanendo in silenzio. Era comprensibile.

Decise di lasciarlo solo, prima di dirgli un'ultima cosa: “ti ho lasciato la cena di sotto, ho comprato qualcosa. Mangia, okay? Non farmi preoccupare”. Gli disse prima di avviarsi alla porta.

“Non ho due anni”, disse il biondo, facendolo sorride prima di augurargli buonanotte.

Rimasto solo, Ryan, non faceva altro che pensare.

La sua storia con Strawberry era finita nel più male dei modi, e di certo non sarebbe migliorata nemmeno adesso che era tornata.

Non che gli interessasse, ormai lei era un capitolo chiuso. Ma... era incinta.

Non ci avrebbe scommesso mezzo yen su una cosa del genere.

Strawberry era infantile, impulsiva, poco affidabile il più delle volte. Come poteva adesso badare ad una creaturina innocente, da sola per giunta?

E poi Mark. Come aveva potuto lasciarla sola in una situazione del genere?

Abbandonata a sé stessa, incinta di suo figlio.

Ryan non l'avrebbe mai fatto, non avrebbe mai lasciato la sua ragazza.

Sbuffò, rigirandosi nel letto, la sveglia segnava le 01.55 del mattino, e lui ancora non dormiva.

Decide di scendere sotto, non aveva mangiato e la fame si faceva sentire.

Kyle gli aveva comprato la pizza. Sorrise ripensando a quanto fosse premuroso l'amico suo. La pizza margherita, gli piace tanto e Kyle lo sapeva.

Semplice ma buona.

Stava mangiando quando sentì il telefono del piano superiore suonare, non ebbe il tempo di risalire che subito un Kyle preoccupato fece capolinea dalle scale.

“Beh? Che succede?”, aveva chiesto Ryan guardando l'orologio, erano le 02.15 del mattino.

“Era Sakura Momomiya, Strawberry non è tornata a casa stasera. Le ho detto che era rimasta qui e al solito ha dimenticato di avvertire, fortuna che ci ha creduto e messo a tacere suo marito”.

Ryan fece spallucce: “si starà schiarendo le idee”.

“Ryan, è da sola, fuori di notte, fa freddo e ci potrebbero essere mille malintenzionati a farle del male”, continuò Kyle, “vado io a cercarla, magari la trovo”. Fece per andare ma lo sbuffò di Ryan lo fermò.

“Sta qui, in caso tornasse. Vado a cercarla io”, si vestì velocemente infilandosi un maglione blu pesante.

Uscì prendendo le chiavi della macchina, nemmeno tre giorni e già lo stava facendo impazzire.

Era completamente pazza.

Ma lui era quasi certo di dove l'avrebbe trovata.

 

 

 

Le piaceva tanto quel posto, una collinetta aldilà del parco, isolata doveva poteva sedere e stare in pace per ore.

Di giorno era poco trafficata quella via, di notte, nemmeno l'ombra di una persona.

Lo sentivo solo suo, quel posto.

Ce l'aveva portata Ryan quando stavano insieme, ''il nostro posto'' lo aveva chiamato lui. Le era piaciuto molto avere un posto da condividere con lui, ma adesso che Ryan non c'era più, era diventato suo. Almeno per quella notte, per fuggire da tutto il caos che era diventata la sua vita.

Si toccava la pancia, le veniva da ridere solo al pensiero.

Era già vistosa, nonostante fosse di poche settimane. Ma lei era magra, e non sarebbe passata inosservata ancora per molto tempo.

Si sentiva piccola, e adesso c'era qualcosa di ancora più piccolo dentro di lei.

Non faceva altro che chiedersi come avrebbe fatto, se ne fosse stata in grado. Ma prima, doveva dirlo ai suoi genitori.

Faceva freddo quella notte, più del solito. O forse era l'erba su cui era seduta ad essere gelata.

“Sono quasi le tre del mattino, dovresti tornare a casa”.

Quella voce la fece sobbalzare, prima di alzare lo sguardo e trovarsi un Ryan con le mani dentro le tasche a fissare le poche macchine che passano da sotto di loro.

“Ryan... che ci fai qui?”, gli chiese con un filo di voce.

“I tuoi sono preoccupati, volevano sapere dove fossi. Kyle ha detto che eri al caffè”.

“Ah...”. Si abbracciò le ginocchia, nascondendo il viso tra di esse.

Non aveva il coraggio di tornare a casa, non aveva il coraggio di affrontarli.

“Non lo sanno, vero?”, Ryan si era seduto accanto a lei.

Lei scosse la testa, guardandolo. “No. Non ho ancora detto niente”.

“Non credo potrai nasconderlo ancora per molto”, le fissava la pancia.

Strawberry si ritrovò d'accordo, faceva già fatica, indossando roba larga. Ma quella aiutata fino ad un certo punto, tra qualche settimana non sarebbe più servita a nulla.

“Strawberry...”, sospirò. “Che diavolo hai combinato?”.

Lei lo guardò, fissava sempre altrove. Più che a lei, la domanda l'aveva rivolta a sé stesso.

“Sono stata una stupida”.

“Sei stupida e basta, secondo me”.

“Ehi!”. Si accigliò, offesa. “Sei tu lo stupido.”

“Ah sì, io non mi faccio ingravidare”.

Pensò un attimo a quello che aveva detto e quasi scoppiò a ridere: “cioè, non metto incinte le persone”.

Lei invece ridacchiava. “Già, sono stupida”.

“Oh! Per una volta siamo d'accordo!”.

La rossa sorrideva mentre si accarezzava la pancia.

“Fammi vedere”, gli aveva detto Ryan, “solleva la maglia”.

Lei lo fece, mostrandogli quella rotondità tanto carina che le spuntava dalla pelle.

“Cavolo, è proprio lì”, fece per toccarla ma poi si bloccò. “Che intendi fare?”.

“Lo tengo, questo è sicuro...”.

“Con quel cretino, dico, che intendi fare? Lo chiamerai?”.

“Ci ho provato, ma non mi risponde”.

“Che idiota. Meriterebbe la faccia rotta”.

Strawberry fece spallucce.

“Che ti ha detto? Quando glielo hai detto, intendo”.

“Niente, semplicemente che era la notizia più brutta della sua vita, che non lo voleva e che forse era stato tutto un errore”.

“Pezzo di...”, Ryan ispirò. Doveva stare calmo. “Hai fatto delle visite? A quante settimane sei?”

“No e non lo so, non ho fatto niente”.

“Strawberry”, era proprio ingenua, “quando hai avuto le tue ultime cose?”.

“Che domande, Shirogane! Non lo so! Non mi ricordo, inizio agosto credo”.

“Allora...”, fece due calcoli, “dovresti essere di 12 settimane”.

“Ah wow, non lo sapevo”.

“Non hai perso tempo ad andare con lui, eh?”

“Ne dobbiamo parlare?”, Strawberry diventò rossa. Non le andava di parlare con lui di certe cose.

“No, certo che no. Era una riflessione”, disse lui, “comunque se non fai gli esami di routine, il bambino rischia e non sappiamo se è sano o meno”.

“Lo so, Ryan, ma non ho avuto il tempo e l'ospedale e lontano. Non posso chiedere ai miei di accompagnarmi”.

“Hai almeno la ginecologa e chi può seguirti?”.

Dall'espressione di lei, capì che era veramente senza speranza.

Sospirò. “Okay, ci penso io. Ma solo per questa volta”.

Strawberry lo guardò. “Perché?”

“Cosa perché?”

“Perché mi aiuti? Non sei obbligato a fare niente, e io non posso accettare”.

“Perché mi va, e perché nonostante tutto quello che è successo, questo bambino è innocente”.

Strawberry gli sorrise, era felice in un certo senso che si interessasse così tanto a lei.

“Adesso ti porto a casa, devi dirlo ai tuoi”.

Sapeva che aveva ragione, doveva tornare a casa e dirlo ai suoi. Non poteva aspettare oltre, quindi annuì.

Aveva paura, ne aveva tanta. Ma doveva farlo.

“Sta tranquilla, oltre ad ucciderti non succederà niente”.

“Sei d'aiuto sai!”, lei era già terrorizzata di suo, mancavano solo quelle battutine idiote.

“Scherzo, non ti scaldare”, si tirò in piedi porgendole la mano.

Lei l'afferrò guardandolo, era da tanto tempo che non sentiva le sue mani calde.

“Grazie”, mormorò richiudendosi la felpa.

Sta per rivelare il suo segreto ai suoi genitori, il vero motivo per cui era tornata. Temeva tantissimo una reazione esagerata e poco civile da parta di suo padre. Ma doveva farlo lo stesso.

 

Finalmente Ryan poteva andare a dormire. Dopo aver tranquillizzato Kyle dicendogli che la ragazza era sana e salva a casa, si trovava nuovamente in camera sua.

Erano le 4 di mattina, con un po' di fortuna sarebbe riuscito a dormire almeno un paio d'ore.

Sentiva la stanchezza iniziare a pesargli e anche se non voleva, gli occhi gli si chiusero da soli.

La quiete non durò tantissimo, erano solo le 5.30 quando il suo cellulare squillò, una, due tre volte. Fino a quando non lo afferrò e rispose a quella chiamata poco educata.

“Che c'è?”, aveva mormorato, assonnato e arrabbiato allo stesso tempo.

Scattò a sedere quando sentì la voce di Strawberry rotta dal pianto, era andata male.

“Calmati, dove sei?”, si stava infilando i pantaloni della tuta, con una mano, molto goffo.

“Davanti al caffè... se suonavo svegliavo Kyle e io non volevo e...”, un singhiozzo.

Ryan si precipitò di sotto, aprendole la porta. Non ebbe il tempo di realizzare nulla, che lei lo abbracciò, singhiozzando sulla sua magliettina troppo leggera per il periodo.

Sorpreso dal contatto, si irrigidì istintivamente, ma non la scostò, la lasciò sfogare, mentre lentamente la trascinava dentro.

Solo quando si calmò un po', lui parlò: “adesso, mi spieghi cosa è successo?”.

Strawberry ripensò alla discussione coi suoi e iniziò a raccontarla:

 

Ryan l'aveva appena lasciata fuori casa sua, le aveva augurato buona fortuna e poi, a bordo della sua fiammante macchina, si era allontanato.

Aveva raccolto tutto il coraggio che possedeva, ed era entrata.

Sua madre era sveglia, l'aspettava.

L'aveva rimproverata per non aver avvertito, ma era felice di sapere che stava bene.

Shintaro, invece, se ne stava in silenzio. Lui si arrabbiava più facilmente quando si trattava di sua figlia, era iperprotettivo. Non gli andava proprio che passasse la notte fuori, con dei ragazzi poi.

Scusate...”, aveva mormorato lei, ad occhi bassi.

Sakura vedeva comportamenti strani da parte della figlia da quando era tornata, ma non riusciva a capire cosa potesse esserle successo di tanto grave da non potergliene parlare. E allora chiese: “Strawberry, dimmi la verità, cosa succede?”.

Aveva visto la rossa ispirare profondamente, invitandoli a sedersi. Shintaro non l'aveva fatto, era rimasto in piedi, di fronte a lei, in attesa.

Si era lentamente abbassata la zip della felpa larga che la copriva. Non servivano parola, bastava mostrare.

Erano rimasti un attimo in silenzio, a bocca aperta.

Aspetto un bambino, è di Mark, ma non ne vuole sapere niente”, non aveva girato intorno alla verità, non serviva più ormai.

Aveva visto il fuoco accendersi negli occhi del padre, uno schiaffo, un sonoro e doloroso schiaffo l'aveva colpita.

Non si mosse, se lo meritava e se lo aspettava.

Sei un'irresponsabile!”.

Sakura si era messa immediatamente davanti alla figlia, proteggendola.

Shintaro!”. Lo aveva rimproverato. “Smettila!”.

Smetterla?! Torna qui incinta e senza quella sottospecie di carciofo sottolio, e io dovrei stare calmo!?”.

Strawberry aveva abbassato lo sguardo, aveva ragione suo padre.

Ma non è comunque il modo di affrontare le cose! Non metterle le mani addosso!”.

Mamma, va bene... ha ragione lui...”.

Shintaro le aveva detto chiaramente di non volerla più a casa.

L'aveva letteralmente buttata fuori casa: “Vattene da qui, Strawberry. Non ti voglio vedere. Né te, né quella cosa che hai dentro”. E se n'era andato. Lasciandola in lacrime.

Inutili erano stati i tentativi di sua madre di convincerla a rimanere, gli sarebbe passato. Ma Strawberry aveva bisogno di allontanarsi.

Non voleva più stare lì. Non la sentiva casa, almeno per ora.

 

 

Ryan era rimasto in silenzio, ad ascoltare il racconto dell'amica.

“Beh, non lo biasimo. Anch'io ti ho cacciata via quando me lo hai detto”.

“Sì ma... con te è diverso.... Lui lo sai com'è...”.

“Già”, disse solamente lui, prendendole dall'acqua. “Quindi, adesso non hai dove stare”, indicò il trolley.

Lei scosse la testa, abbattuta.

“Stai qui, per il momento. Magari tra qualche giorno troviamo una soluzione migliore”.

La rossa lo guardò. “E' una buona idea?”.

Per niente. “Certo, nessun problema”.

Avevano chiacchierato ancora, Ryan l'aveva convinta a fare le visite mediche e richiamare Mark, non appena si fosse saputo qualcosa del bambino e del suo stato di salute.

Non poteva sottrarsi così alle sue responsabilità. Era inaccettabile un comportamento simile.

“Ragazzi che succede?”, Kyle era sceso assonnato, svegliato per l'ennesima volta quel giorno.

Il suo sguardo passò velocemente da Ryan a Strawberry, ed infine al trolley poggiato a terra, abbandonato in una parte indefinita della cucina.

“Allora?”, li spronò a parlare.

“Strawberry rimarrà un po' qui con noi, okay?”.

Kyle parve più confuso di prima. Prima litigavano, poi non si parlavano, litigavano ancora e infine? La ospitava a casa loro come se nulla fosse.

Di essere, era strano abbastanza, Ryan.

“Certo, ma che è successo? Mi date almeno una spiegazione?”.

Ryan guardò Strawberry, era arrivato il momento di dirlo anche a lui.

Lei sospirò, capendo cosa volesse dire il giovane e si alzò, posizionandosi davanti al moro.

“Questo, Kyle...”, si sbottonò il cappotto che aveva tenuto fino ad allora, rivelandogli la pancia.

Il ragazzo si portò la mano alla bocca, coprendola per lo stupore.

“Dimmi che hai mangiato solo un po' troppo...”

“E' quello che sembra, amico. E suo padre non l'ha presa bene, ecco perché è qui”.

“Mio Dio, Strawberry...”, le allargò le braccia delicatamente, per osservarla meglio. “Congratulazioni, principessa...”, l'aveva abbracciata, stringendola a sé.

Era così piccola, eppure così grande...

“Resta quanto vuoi, davvero”. Le aveva detto, prima di lasciarla andare.

Quel giorno sarebbe stato domenica, non avrebbero aperto.

Strawberry si sarebbe addormentata, mentre un certo ragazzo l'avrebbe osservata tutto il tempo, senza lasciarla nemmeno un secondo.

Non era stata una buona idea, ma non aveva altra scelta. Dentro di sé, sentiva di doverle tenere vicino.

Ma non sapeva, che quello era l'inizio di mille guai che sarebbero arrivati.

 

 

Buona sera ragazzeeeee. Sono tornata!

Vi confesso che non credo ci saranno ancora molti capitoli, vorrei terminarla senza prolungare troppo.

Questi erano capitoli per far capire un po' tutta la situazione. Dal prossimo, credo che accelererò un po' il passo.

In ogni caso, l'idea di non farglielo dire subito ai genitori mi è piaciuta abbastanza. Voleva far passare del tempo insieme ai due ragazzi, prima di far finire tutto.

Spero in ogni caso che vi sia piaciuto, fatemelo sapere in caso.

Sono le 00.21 del 29 agosto ma sicuramente lo pubblicherò un po' dopo, e adesso vi auguro una buonanotte (o buongiorno, in base a che ora lo stiate leggendo) un paio grande e grazie mille a chi mi segue! <3

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Capitolo 5
*** Capitolo 5-tempo di burrasca ***


Capitolo 5- tempo di burrasca.

 

 

 

Era passato ormai un mese da quando Ryan e Kyle avevano ospitato Strawberry.

La pancia della ragazza cresceva di settimana in settimana. E già sembrava quasi scoppiarle.

Aveva eseguito degli esami al sangue, delle ecografie, il bambino sembrava stare bene, ma ancora non si era fatto vedere. Non sapevano se era un maschio o una femmina.

Le ragazze, alla notizia della gravidanza dell'amica, rimasero molto sorprese. Non si aspettavano una cosa del genere.

Mina sembrava quella meno sconvolta di tutte.

Lory era rimasta tutto il giorno a bocca aperta a fissarle la pancia.

E Paddy... lei era Paddy e basta. Non faceva altro che toccarla, nella speranza di sentirlo muoversi, ma invano. Il bambino dormiva beatamente e non si faceva sentire.

“Uffa! Con Ryan si muove e con me no!”, aveva protestato la piccola.

Effettivamente era vero, quasi tutte le volte che parlava col biondo, suo figlio faceva le capriole e si faceva sentire.

Avevano riso tutto, era solo una coincidenza.

Alexandra, aveva preso bene la notizia di Strawberry sotto lo stesso tetto del suo ragazzo. Non aveva fatto scenate e nulla, era felice di vedere il suo lui così altruista.

Era andata a trovarla anche lei, congratulandosi con la rossa per il coraggio che stava dimostrando a portare avanti la gravidanza alla sua giovane età.

La madre della ragazza era andata spesso a trovarla. Suo padre, invece, non si era ancora fatto sentire.

Ma chiedeva sempre di lei a sua moglie.

Pian piano, gli stava passando l'arrabbiatura iniziale.

Per quanto riguarda Mark, non si era ancora fatto sentire. Strawberry gli aveva lasciato messaggi in segreteria, avvisandolo che era tutto okay.

Ryan, invece, l'aveva accompagnata ad ogni visita. Non perdendosi nulla.

La trovava abbastanza strana come situazione, lo scambiavano sempre per il padre del bambino, ad ogni ecografia. Nonostante ripetessero mille volte che non era così.

Ma era difficile crederlo, curioso per com'era.

Rimaneva in silenzio, ma sbirciava in continuazione sul monitor, come se cercasse di vedere qualcosa che il dottore non vedesse.

Ma nulla di nuovo, sempre immagini confuse in bianco e nero.

Un giorno invece, Paddy aveva insistito così tanto per andare con loro, non potettero fare a meno di portarsela dietro.

Aveva fatto mille domande, e anche il dottore si era quasi esaurito ad averla tra i piedi. Ma tutto sommato, era durato poco.

In quel momento era sera, le ragazze erano rimaste tutte al locale, eccetto Mina, e avevano deciso di organizzare una cena. Quella sera sarebbe tornata Pam, aveva finito di girare il suo film.

“Straw, vuoi una mano?”, Lory era appena entrata in cucina, mentre la rossa sfornava una delle sue prelibatezze.

“No, grazie mille Lory”, aveva sorriso lei, togliendosi il guantone da cucina.

La verde le aveva sorriso gentile, aiutandola lo stesso a sistemare un po' il casino che si era formato.

“Ragazze, aiutino?”, Alexandra era tra gli invitati della serata e si era appena offerta di aiutare.

“In realtà abbiamo finito”, disse Lory sorridendole.

“Oh, capisco”, rispose gentile lei, “Strawberry cara, dovresti riposare tu, non fare sforzi”.

“No figurati, sto bene”, disse lei sorridendo e togliendosi il grembiule rosa, regalato precedentemente da Kyle.

“Ehi balenottera, sta per arrivare Pam, che ne dici di sistemarti quei capelli e venire in sala?”. Mina aveva appena fatto capolinea in cucina.

Era bellissima come sempre, nel suo abitino da cocktail. Nonostante fossero passati anni, l'ammirazione per Pam era rimasta.

La stimava molto e voleva essere sempre impeccabile.

“Sentila! Potevi arrivare un po' più tardi, sai!”. Strawberry aveva portato le mani ai fianchi.

“Le brave signorine si fanno attendere. E poi dovevo essere bellissima”. Mina rispondeva sempre a tono, con la sua solita aria.

“Ma tu sei bella sempre, Mina!”. Anche Paddy si era unita in cucina.

Lì dentro si iniziava a stare stretti.

Erano tutte in perfetta armonia, come era sempre stato. Senza quei battibecchi, non sarebbero state loro.

“Ehi, che state combinando qui dentro?”., Ryan le osservava una per una. “Perché siete tutte qui?”.

“Magari tramiamo qualcosa contro di te, che ne sai”, disse Alexandra sorridendogli e andando ad abbracciare.

“Una vendetta per il fatto che stai sempre in disparte e il lavoro sporco lo facciamo noi”, aveva continuato Strawberry.

“Già! Concordo!”, disse Paddy.

Solo Mina parve prendere le difese del ragazzo: “Lasciale perdere, Ryan. Loro non capiscono che per gente come noi, è difficile fare certe cose”.

“Già”, fece il finto altezzoso, facendo ridacchiare Kyle che li osservava in disparte.

Aveva apparecchiato il tavolo, con Paddy tra i piedi che continuava a mostrargli i giochi di prestigio che aveva imparato da poco.

Nonostante i suoi 17 anni, era rimasta sempre la stessa bambina di 10 anni che tutti conoscevano.

Da un lato, era meglio così.

“Ma sentilo!”, fece Alexandra pizzicandolo sul fianco. “Il principino di casa!”.

Tutti scoppiarono a ridere, erano felici quella sera. Si respirava aria di complicità, e tutti erano al proprio agito.

Sentirono una macchina fermarsi nel vialetto, ed inutile dire che Mina si irrigidì così tanto da sembrare surgelata.

“E' arrivata!”, aveva esclamato, sistemandosi i lunghi boccoli blu, semi raccolti in una morbida acconciatura.

Pam entrò con la sua solita eleganza. Era bellissima, portava gli occhiali da sole, nonostante fosse già sera. Sicuramente per non farsi riconoscere in giro. Un enorme cappello dalle finiture viola scuro. Un bellissimo vestito corto, ma non volgare, nero. Era semplicemente stupenda.

“Bentornata!”, gridarono tutti insieme, accogliendo l'amica che li saluto calorosamente.

Anche lei, esattamente come Ryan, era un tipetto abbastanza freddo. Ma con le sue amiche questa sua maschera cadeva. Voleva bene loro, così come loro ne volevano a lei.

“Ragazze, sono felice di rivedervi”, disse Pam, osservandole ad una ad una. “Mina, complimenti per l'abito. E' di mio gusto”.

La blu farfugliò dei ringraziamenti molto imbarazzati. Le faceva sempre quell'effetto essere così vicina al suo idolo.

Poi, Pam, si fermò su Strawberry, che cercava di far smettere Paddy di accendere torce col fuoco. Prima o poi avrebbe mandato tutto in cenere.

“Strawberry...”, si era soffermata sulla pancia. “Wow! E che pensavo fosse tutto uno scherzo. Eccola lì, invece”.

La rossa sorrise. “Eh già, Pam. Adesso siamo in due”.

“Congratulazioni, piccola”, l'aveva abbracciata. Suscitando un po' la gelosia in Mina. A lei non l'abbracciava mai.

Finiti i saluti, decisero di mettersi a tavola. Avevano tutti fame e il profumino invitante di tutta la cena, non aiutava a distogliere il pensiero.

“Stasera mangio per due, avvertiti!”, mise le mani avanti Strawberry, prendendo posto accanto a Paddy.

“Perchè, non lo fai sempre?”, disse Mina.

“Già! Questo mese ho dovuto sborsare il doppio solo di alimenti che tu hai consumato!”. Disse Ryan, prendendola in giro.

Lei diventò rossa. “Sei bugiardo! Non è vero!”.

“Oh sì, ho le fatture”, continuò lui ridendo.

“Dai poverina, non essere cattivo”, lo rimproverò Lory, difendendo l'amica. Ma infondo anche lei era divertita da quelle battutine.

“AH!”, sospirò Paddy, attirando l'attenzione di tutti i presenti. “Era tantissimo che non stavamo così bene. Insomma, quando Strawberry era partita Ryan era sempre zitto zitto, per conto suo. Non litigava con nessuno. A me mancavano le loro liti”.

Si guardarono scambiandosi un mezzo sorrisetto.

“Era come quando c'era Mark tra i piedi, lui non si faceva vedere mai. Perché gli dava fastidio che stessero insieme. E si vedeva tantissimo che lei gli manc.... Ahi Mina!”. La ballerina le aveva tirato un calcio da sotto il tavolo. Stava già parlando troppo.

“Sta zitta, non dire nient'altro”, la rimproverò lei facendola sbuffare.

Alexandra aveva guardato il suo ragazzo. Non avevano mai parlato di Strawberry, se gli mancava o meno. Aveva troppo paura per chiedergli una cosa del genere.

“Dai, mangiamo”, era intervenuto Kyle, col suo solito fare gentile. “Buon appetito!”.

“Buon appetito!”. Ricambiarono gli invitati.

Tutto procedeva per il meglio, scherzavano, ridevano.

Pam aveva raccontato loro solo qualcosa riguardante il film. Era una storia d'amore drammatica. Non sapevano altro. Non voleva fare spoiler, sarebbe uscito tra solo 3 mesi.

Paddy invece intratteneva gli ospiti coi suoi giochi da equilibrista. Faceva invidia a dei professionisti per quanto era brava.

“Come hai imparato a fare tutto questo, Paddy?”, chiese Alexandra.

“Lavorato per strada per sfamare i miei fratellini, prof!”, rispose la biondina con tutta la naturalezza del mondo.

“Oh”.

“E poi da mew mew er...”

“Paddy! Perché non aiuti Lory in cucina?”, avevano urlato Pam e Mina, prima che parlasse ancora una volta troppo.

Inutile dire che non era per niente d'accordo, ma lo fece lo stesso.

“Strawberry?”, chiese Ryan guardandosi intorno.

“Ha detto di aver bisogno d'aria. Le girava un po' la testa”, gli rispose la sua ragazza.

“Ti dispiace se vado a controllare?”.

“No tesoro, va pure”, sorrise lei. Tornando a chiacchierare con Mina.

Pam seguì con lo sguardo Ryan, fino a vederlo sparire dall'altro lato del salone.

Voleva parlare con lui, magari appena preso a solo lo avrebbe fatto.

Il biondo invece seguì la voce di Strawberry, la sentiva parlare. Probabilmente al cellulare.

Ciao Mark, sono ancora io...” stava dicendo “...lo so che magari i miei messaggi li trovi invadenti ma... questo è l'ultimo giuro. Ti volevo solo dire che noi stiamo bene. Tuo figlio è qui con me, dentro di me, per essere precisi. Non so se è un maschio o una femmina. È birichino, tiene le gambette chiuse per non farsi vedere. Ecco io... ci tenevo solo che tu lo sapessi. Quindi... ciao”.

Aveva riattaccato, attivando il blocca schermo.

Quella sera c'era la luna piena, ed era bellissima. Le piaceva tantissimo osservarla. Si incantava davanti alla sua maestosa eleganza.

“Ancora niente?”, Ryan la riportò sulla terra.

“Hai sentito?”. Lui annuì. “Non credo risponderà, sai?”.

“Prendo il primo aereo e lo riporto qui a calcio nel sedere”.

Strawberry sorrise. “A che scopo? Se non è quello che vuole fare, non mi sento di costringerlo”.

“Straw... parliamo della vita di quel bambino. Non credo che ''non è quello che vuole'' sia una scusante. Ci pensava prima, non credi?”.

Lei non rispose, rivolgendo di nuovo lo sguardo alla luna.

Lui fece la stessa cosa. Incantato anch'esso.

“Siamo proprio dei gatti, eh?”, disse lei.

“Già”.

La ragazza sgranò gli occhi, un pensiero le aveva attraversato la testa: “Ryan! Ma se nascesse con le orecchie da gatto o la coda?!”.

Il biondo quasi gli venne un colpo per come aveva urlato. Non ebbe la forza di rispondere subito e scoppio a ridere.

“Dio Strawberry. Sei sempre la solita!”.

“Che ridi! Sono seria, scemo!”.

“Non essere ridicola. E' perfettamente normale”. Ancora rideva.

Lei sbuffò, finiva sempre per prenderla in giro.

“Dov'è Mash?”.

Il giovane la guardò. E adesso che c'entrava Mash?.

“Il robottino rosa che mi avevi regalato. Dov'è?”.

“So chi è Mash”, disse lui scostandosi i capelli dagli occhi. “E' giù in laboratorio, l'ho disattivato poco dopo la fine della battaglia”.

“Lo riattiveresti?”.

“Perché mai? E' programmato per captare alieni, non serve ad altro”.

“Era mio amico. Mi teneva compagnia”.

Ryan sospirò. E adesso chi gliela levava quella malsana idea in testa di riavere Mash con sé?.

Poi, le venne in mente un'altra cosa: “E Art?”.

Il biondo la guardò confuso. E Art, cosa?.

“Art sono io, che vuoi dire?”

“Lo so che sei tu, genio della lampada. Dico, riesci ancora a trasformarti?”.

Lui ci pensò. Effettivamente non ci aveva più provato. Ma pensava di sì. “Credo, perché?”.

“Perché tu riesci a trasformarti e noi no?”.

“Sono un esperimento fallito io, Strawberry. Credo me lo porterò dietro per tutta la vita”.

“Ah”, disse solamente. Poi la vide guardarlo, con uno sguardo strano. Chissà cosa stava partorendo la sua mente ancora.

“Ti trasformi?!”.

“Non ci penso nemmeno”.

“Dai Ryan! E' tanto carino quel micio!”.

“No”. Si portò le mani dietro la testa, avviandosi verso l'ingresso.

“Dai!”, lo seguì. “Senti, dammi la mano” gliela afferrò poggiandola sul pancione. “Vedi, anche lui/lei è d'accordo”.

Il biondo sospirò. “Lui/lei, non capisce nemmeno cosa la sua pazza madre abbia, figuriamoci se è d'accordo per una trasformazione sovrannaturale. Quindi no”. E ricominciò a camminare.

“Antipatico”, si arrese, almeno per il momento, seguendolo dentro.

C'era silenzio. La cucina era già in ordine. Erano tutti in sale, eccetto Paddy.

“Che succede?”, chiese Ryan alla piccola, vedendola muta. Non era mai successo.

“C'è il papà di Strawberry!”. Aveva esclamato lei, facendo sbiancare la rossa.

“E che vuole?”. Chiese la rossa.

“Ti cerca, vuole parlare con te”.

Lei scosse la testa, non se la sentiva.

“Vai su”, la spronò Ryan. “Vai a parlare con tuo padre”.

Dopo svariati tentativi e l'intervento di Pam, interpellata per via del quasi attacco di panico si Strawberry, si convinse e uscì fuori.

Shintaro se ne stava in un angolo indefinito della sala, non parlava con nessuno, e nessuno parlava con lui.

Erano tutti in silenzio.

La ragazza andò da lui, ad occhi bassi. “Ciao papà”.

L'uomo la scrutò. “Ciao Strawberry, possiamo parlare?”.

Lei annuì, poco convinta.

“Da soli, magari”. Lanciò un'occhiata a Paddy che nel frattempo di era avvicinata il giusto per sentire.

La rossa annuì ancora, portandolo in cucina.

“Come stai?”. Chiese il padre.

“Bene. Tu? A casa?”.

“Bene”, la osservava ancora.

“La smetti? Mi metti a disagio. Mi guardi come se avessi qualcosa che non va”.

“In effetti, Strawberry... non è del tutto normale”.

Lei sbuffò: “se sei venuto qui per litigare, tornatene a casa”. Fece per andare la Shintaro la fermò.

“Aspetta... in realtà sono qui per chiedere scusa...”.

Lei rimase sorpresa, difficilmente chiedeva scusa.

“Per il mio comportamento. Ci ho pensato molto, sono arrivato alla conclusione che... Mark è stato un bastardo, ma io non da meno. Ti ho fatto la stessa identica cosa che ha fatto lui”.

La rossa annuì. In effetti era vero. Suo padre l'aveva cacciata via, esattamente come il suo fidanzato mesi prima.

“Quindi, scusami tesoro...” la guardava. “Torna a casa con noi, ci manca averti tra i piedi”.

“Insieme alla ''cosa''?”, gli fece il verso, accarezzandosi la pancia. “Se me lo devi far pesare, allora no. Preferisco rimanere qui con Kyle e Ryan”.

In tutta risposta Shintaro l'abbracciò, lasciandola un po' spaesata. Ma era felice. Le mancava il contatto con suo padre. “Niente peso, giuro”, le aveva sussurrato, mentre lei ricambiava l'abbraccio.

Rimasero così per alcuni minuti, godendosi l'attimo.

“Mark? Dov'è?”.

Lei scosse il capo. “Non ne ho idea. Ancora a Londra, credo”.

“Quindi non ti da nemmeno notizie di lui?”.

Di nuovo un segno negativo con la testa.

“Vado a prenderlo io. Prendo il primo aereo e lo riporto qui. Chi si crede di essere? Deve assumersi le sue responsabilità. Anche tua madre rimase incinta giovane, ma io le rimasi accanto tutto il tempo e anche dopo”.

Lei sorrise, chissà come sarebbe stata la sua vita se suo padre non ci fosse stato. Chissà come sarebbe stata la vita di questo bambino, non appena fosse nato, senza un padre.

Decise di non pensarci. Voleva solo pensare al presente.

“Come mai hai cambiato idea? Su di me, dico. Solitamente rimani fermo alle tue idee ed è difficile”, chiese lei.

Lui ci pensò: “a parte tua madre che mi sgridava tutto il giorno? Ci ho pensato, davvero. Mi sono reso conto che ti stavo lasciando sola, e non volevo...”. C'era qualcosa che non le stava dicendo.

“E..?”

“E... ho avuto una spintarella da qualcuno che in questo ultimo mese ti ha sopportata, testuali parole”, ridacchiò.

Sopportata? Chi avrebbe mai usato il verbo ''sopportare''? Solo una persona.

“Ryan...”, mormorò lei. “Quando avete parlato?”.

“Non lo sai? Un paio di giorno fa. E' spuntato a casa di punto in bianco, non ha voluto sentire ragioni. Doveva parlare con me”.

Lei sorrise, tipico del biondo. Si impuntava e difficilmente rinunciava a qualcosa.

Effettivamente ora che ci pensava, un paio di giorni prima era uscito ad orario di cena, non aveva dato spiegazioni a nessuno. Nemmeno Kyle sapeva dove stesse andando. E poi, era rincasato un paio di ore dopo.

“E' un bravo ragazzo. Ha la testa sulle spalle”, disse Shintaro.

Lei annuì, era vero. Molto più maturo dei ragazzi della sua età, che tipicamente pensavano solo a sballarsi e andare in discoteca.

“Quindi pace fatta?”, chiese ancora suo padre.

Lei si strinse nuovamente tra le sue braccia e annuì. “Pace fatta, papà”.

Il resto della serata passò in fretta.

Shintaro rimase solo qualche altro minuto, trovandosi d'accordo su Ryan su come andare a riacciuffare Mark e ucciderlo.

Si era aggregata anche Paddy, con le sue mille idee assurde.

E avevano avuto l'approvazione di Pam. Tipetto sempre molto sulle sue, non dava quasi mai la sua opinione, tenendola per sé. Ma stavolta aveva parlato. Anche secondo lei doveva assumersi le sue responsabilità.

Lory invece, era rimasta a parlare con Alexandra.

Mina prendeva in giro Strawberry, che di conseguenza rispondeva a tono, imbronciandosi puntualmente.

C'era una serenità tale, che faceva invidia alla pubblicità della mulino bianco.

Erano tutti in sintonia perfetta. Nessuno si sentiva a disagio con nessuno.

Strawberry era tornata a ridere come quando aveva 13 anni, stesso sorriso, stessa spensieratezza.

Non si accorgeva, che nonostante fossero passati anni, lo sguardo di qualcuno non era mutato.

La guardava esattamente come 7 anni prima. Se la ricordava servire ai tavoli, lamentarsi, combinare guai, litigare con lui per la qualunque cosa. Morire di caldo in quella divisa tutta pieghe e merletti.

Kyle si era accorto di tutto, osservava e basta. Senza dire nulla.

Sorrideva, scuotendo il capo.

Non era il solo ad accorgersi dello sguardo del biondo, di seguirlo per vedere dove andava a finire.

Alexandra lo osservava anche. Rendendosi conto, in quel momento, che probabilmente lei non l'avrebbe mai guardata così.

In quell'aria di serenità, che si era venuta a creare, forse si nascondeva un uragano.

Forse era tempo di burrasca, e non se ne rendevano ancora conto.

 

 

 

Sono tornata ragazze mie!

Capitolo pressoché di passaggio, dovevo far chiarire Strawberry e suo padre.

E mi piaceva molto l'idea di farli incontrare tutti insieme, in armonia. Alexandra compresa. Mi piace come personaggio, anche se non è tra i miei piani farla durare con Ryan... credo che questo si fosse capito!

In ogni caso, ringraziamento speciale a Sissi1978 e a Ladyathena, per esserci sempre ad ogni mio capitolo. E ovviamente a tutti coloro che la seguo pur rimanendo in silenzio.

Grazie mille ancora e un bacio grande!

Alla prossima! <3

P.S. Solo io adoro Paddy in un modo assurdo? La amo troppo aahahhahaah

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Capitolo 6
*** Capitolo 6-Verità ***


Capitolo 6- Verità.

 

 

Un altro mese era passato, Strawberry era tornata a casa, nel dispiacere generale di Kyle. Gli piaceva averla in giro per il caffè, a stuzzicarsi costantemente con Ryan.

Ma tutto sommato, sapeva che era giusto così.

Ryan, invece, era sollevato di non vederla più a tutte le ore della giornata. Questo gli permetteva di ragionare più lucidamente, e pensare alla sua relazione con la bella insegnante.

Di Mark non c'era ancora traccia. Non si era fatto sentire, nemmeno con un messaggio.

La ragazza dal canto suo, aveva smesso di chiamarlo e informarlo.

Se non gli interessava, allora, meglio non insistere.

Ormai lei era quasi al limite. La pancia sembrava scoppiarle nonostante mancassero ancora altri 3 mesi al parto. Sembrava avesse due gemelli lì dentro, o che la gestazione fosse più avanti di quello che il medico era riuscito a stabilire.

Ma poco importava, era stanca. E non vedeva l'ora che nascesse. L'appesantiva, e per lei che non stava mai ferma, era un bel problema.

Le notti le passava insonni, non riusciva a chiudere occhi 5 notti su 7, e questa cosa la snervava da morire.

I vestiti non le entravano più, nonostante fosse ingrassata solo di pancia.

Ma pazienza, si diceva, presto lo avrebbe avuto con sé.

Erano le 10.15 di un mercoledì mattina, lei camminava per le strada di Tokyo, tagliando dal parco per raggiungere il caffè.

Shintaro si era offerto di accompagnarla, ma lei non aveva voluto. Aveva bisogno di camminare, o davvero rischiava di impazzire.

Quella mattina, a mezzogiorno, avrebbe avuto una delle ultime ecografie. Non vedeva l'ora, sperava tanto che stavolta riuscissero a stabilirne il sesso.

Era appena giunta davanti alla porta, e sentiva un sacco di voci miste. Il locale era come al solito pieno.

Decise di fare il giro, per non entrare dalla porta principale. Odiava gli sguardi che molte sue coetanee le rivolgevano.

“Buongiorno Kyle”, sorrise, poggiando la borsa che aveva a tracolla. “Come stai?”.

“Strawberry cara, bene e tu? Come mai qui? Sei venuta piedi?”, il pasticcere si voltò verso di lei, con le mani immerse nella farina.

Lei annuì. “Avevo bisogno di camminare, ma sto bene giuro”.

“Ah, Strawberry. Non riesci proprio a startene buona, eh?”.

Lei rise, facendo no con la testa.

“Ma se ti avevo detto che venivo a prenderti io, perché non mi ascolti mai?”, la voce di Ryan la fece sobbalzare.

“Uffa, stai sempre a rimproverarmi. Mi sono svegliata presto e sono venuta io, tutto qui”, gli fece la linguaccia.

“Tu che ti svegli presto? Stai male?”, le poggiò una mano sulla fronte, e per mezzo secondo i loro occhi si incrociarono.

La ragazza si beò di quel contatto. Ma durò poco, doveva rispondere o l'avrebbe data vinta a lui!

“Sto benissimo, caro Shirogane!” gli scostò la mano. “E' lui/lei che non mi fa dormire. Si muove tutta la notte e dorme il giorno. Renditi conto” sbuffò.

L'americano scoppiò a ridere, così piccolo ma già così dispettoso come lei.

“Te lo meriti!”, le disse, facendola imbronciare.

Kyle sorrise, scuotendo la testa. Passavano gli anni, ma quei due sarebbero rimasti uguali per sempre.

“Buongiorno balenottera. Ero sicura fossi tu”.

“Ciao Mina, Ryan mi prende in giro e... EHI! Ma perché mi chiami balenottera!”.

“Perché lo sei”, rispose la ballerina, consegnando l'ordinazione a Kyle.

Gliela preparò Ryan, considerando che l'amico aveva ancora le mani sporche di impasto.

“Non essere cattiva. Buongiorno Strawberry”. Sorrise Lory, entrata per lo stesso motivo di Mina.

“Buongiorno Lory. Ecco impara da lei! E' sempre così gentile!”.

Mina non rispose, scostandosi una ciocca dietro l'orecchio. Con il suo solito fare altezzoso.

“Che ne dici se andiamo?”. Aveva parlato Ryan, finendo di sistemare i vassoi alle ragazze.

“Di già? E' presto ancora”.

“C'è traffico, Straw, e dobbiamo arrivare dall'altro lato della città. Se non ci muoviamo, saltiamo il turno”.

La rossa annuì, era vero.

“Tieni, inizia ad andare in macchina, 5 minuti e ti raggiungo”. Le diede le chiavi dell'auto.

Lei le prese. “Posso guidare?!”.

“Nemmeno sai come si fa. E in ogni caso la risposta sarebbe stata no. Ci tengo alla mia auto”.

“Ma quanto sei cattivo!”. Prese la borsa iniziando ad avviarsi in macchina.

“Non demolirla in questi pochi minuti, per favore!”. Le urlò dietro. Poi sorrise, sicuro che lei non lo vedesse. Amava prenderla in giro e farla arrabbiare.

Era rimasto a fissare il punto dove era scomparsa.

“Ehi Einstein, cerca di evitare di farlo davanti ad Alexandra”, aveva detto Mina, prima di sparire dalla cucina.

Lui si voltò confuso. Guardando Lory in cerca di spiegazioni.

Lei fece spallucce. “I tuoi occhi, Ryan. Si illuminano ogni volta che la guardi, è difficile non notarlo”, gli sorrise uscendo anche lei.

Il biondo sospirò, guardando Kyle che stava per dire qualcosa. “Non dire niente, ti prego”, e se ne andò, prenderlo la giacca. Senza dare il tempo al moro di esprimersi.

 

 

 

Come previsto dal giovane, erano arrivati lì alle 11.30. Il traffico per le strade di Tokyo era impressionante.

Era quasi impossibile dover andare da qualche parte di fretta. Di settimana poi, il tutto si quadruplicava.

Se ne stavano seduti sulla sedia, in silenzio ad aspettare di venire chiamati.

Strawberry era nervosa, come ogni volta che doveva farsi visitare.

“Si può sapere perché sei tesa tutte le volte? Non fa male, lo sai”.

“No... lo so, è che... ho paura”, aveva sussurrato.

Il biondo la guardò, in attesa che si spiegasse meglio.

“Voglio dire, e se nell'ecografia vede che ha le orecchie o la coda? O peggio, se si fosse trasformato in un gatto?”.

Ryan si batté la mano sulla fronte. “Sei ridicola”, le aveva semplicemente detto. “Non succederà niente di tutto ciò”.

Lei aveva borbottato qualcosa, incrociando le braccia al petto.

Non indifferenti erano gli sguardi che mamme e infermiere lì dentro lanciavano a Ryan.

Se n'era accorta già da un po', ogni santa volta che venivano lì, il ragazzo era praticamente un'attrazione turistica. A forza di guardarlo, prima o poi lo avrebbero consumato.

Anche lui si era reso conto di questa cosa, ma ignorava e basta.

“Momomiya?”, l'infermiera chiamò la ragazza, nell'esatto momento in cui il cellulare di Ryan squillò.

Lei lo guardò, “Fai tranquillo, entrò da sola”, gli sorrise.

Lui annuì. “Faccio presto e ti raggiungo”, le promise.

Lei si incamminò verso l'infermiera, mentre lui rispondeva alla chiamata.

“Pronto?”.

Ryan! E' tutta la mattinata che ti mando messaggi, si può sapere dove sei?”.

Alexandra...

“Ehi, Ale... scusa io... non li ho sentiti, perdonami”.

Fa nulla dai! Vieni? Sono in pausa pranzo”.

“Adesso? Non posso, mi spiace”.

Che stai facendo?”.

Ryan ci pensò due volte, che sta facendo? Glielo avrebbe detto? Guardò Strawberry entrare dentro la stanza e la porta che si richiudeva.

“Sono in giro a fare delle commissioni per il caffè, scusami”.

Non aveva avuto il coraggio di dirle la verità. Un po' perché temeva la sua reazione, nonostante avesse preso bene il suo essere buon samaritano. Un po' perché voleva stoppare al più presto quella conversazione.

Si sentiva un verme, ma in quel momento l'unico suo pensiero era la rossa.

Ah”, fece lei delusa, “va bene dai. Ci vediamo stasera allora!”.

“Certo”, disse lui, prima di salutarla e chiudere la chiamata.

Entrò nella stanza di fretta, vedendo la ragazza già pronta al controllo e super tesa sempre per le sue solite fantasie.

“Stai tranquilla”, aveva preso posto accanto a lei, sedendosi in uno sgabello.

“Buongiorno, signor Shirogane, giusto?”. Un dottore che non aveva mai visto prima, gli parlò. “La dottoressa si scusa infinitamente, oggi stava male. Sono il sostituto”.

“Piacere”, Ryan le aveva stretto la mano, prima di lasciarlo lavorare.

Strawberry rabbrividì quando il gel freddo entrò a contatto con la sua pelle.

Aveva iniziato l'ecografia ed era tutto nella norma.

Per grande sollievo della rossa, niente sembrava strano in quel bambino.

“E' sanissimo. Sa che si prepara già ad uscire? Inizia a mettersi a testa sotto”, diceva il medico, mentre lei sorrideva.

Si era voltata verso di Ryan, che curioso sbirciava sullo schermo.

Aveva attirato la sua attenzione, con un colpettino sulla mano.

“E' normale”.

Lui sorrise e basta, non disse niente prendendole la mano e stringendola.

Stretta ricambiata anche da lei.

“Ecco fatto. Abbiamo finito”. Il medico riposizionò l'attrezzatura, prima di darle dei fazzoletti per pulire l'eccesso di gel che aveva sulla pancia.

La ragazza si ricompose, seguendo il dottore che si era seduto alla scrivania.

“Allora signora. E' tutto perfettamente nella norma. Il bambino sta bene e non c'è niente di cui preoccuparsi”, scriveva una ricetta, “prenda questi integratori per il restante delle settimane”, strappò via la ricetta, rivolgendosi a Ryan. “Suo figlio non si fa vedere, sa? Si nasconde, non sono riuscito a stabilirne il sesso”.

L'americano guardò Strawberry, che ridacchiava divertita.

“Ah”, aveva detto Ryan continuando a guardare Strawberry. E poi aveva sorriso anche lui, dimenticandosi del mondo fuori.

Avevano salutato, rimettendosi in marcia.

Il biondo stava riaccompagnando Strawberry a casa, mentre lui sarebbe tornato al caffè.

“Contenta?”.

Lei annuì, sorridendo. “Non ha le orecchie da gatto”.

Lui scosse la testa, divertito e non rispose. Continuando a tenere gli occhi sulla strada.

“Ryan...”

“Uhm?”.

“Grazie”.

L'americano la guardò. “Per cosa?”.

“Per tutto questo, grazie... non eri nemmeno tenuto a farlo”.

“Sei mia amica, mi fa piacere farlo”. Le poggiò una mano sul ginocchio, un gesto che gli venne naturale fare.

Lei sorrise, senza dire nient'altro.

 

 

“Allora?! Come sta?!”. Paddy aveva assalito Ryan. Non gli aveva dato nemmeno il tempo di togliersi la giacca.

Gli saltellava intorno, ansiosa di avere una risposta.

“Sta calma. Sta bene, il bambino cresce e si prepara ad uscire”.

“Divento zia!!”, era euforica all'idea di insegnare a quel bambino come arrampicarsi sui lampadari e fare acrobazie sui palloni.

Kyle sorrise. “Dai, vai a portare questi al tavolo”, aveva consegnato a Paddy un vassoio.

“Ah, dì alle ragazze che stasera la mamma di Strawberry organizza una festa per lei, siamo tutti invitati”, le disse Ryan prima che uscisse.

“Vai! Una festa!”. Sparì a raccontarlo alle sue amiche, tutta contenta.

Il biondo sospirò, sedendosi su uno degli sgabelli. Pensieroso.

Kyle lo notò, osservandolo. Aveva gli occhi persi, le braccia incrociate sul tavolo e il mento su di esse.

“Okay, cosa è successo?”.

Ryan alzò solo gli occhi, osservando l'amico che stava di fronte a lui.

“Nulla”.

“Non dire bugie, parlami”.

Sospirò nuovamente. “Oggi ha chiamato Alexandra”.

Lui annuì. “Anche a me”.

“Cosa? Che le hai detto?”.

“Lei voleva sapere se eri a fare le consegne...”

“E tu?”.

“Le ho mentito, Ryan. Che potevo fare? Mi spieghi perché non lei hai detto che sei rimasto tutto il tempo in ospedale con Strawberry?”.

Il giovane non rispose.

“Ryan”, fece il giro del bancone, fermandosi proprio davanti a lui, “devi parlare con lei. Capisci che più tempo passa e più la fai soffrire?”.

Lui annuì, sapeva che aveva ragione. “Oggi... il medico mi ha nuovamente scambiato per il padre del piccolo...”.

“E tu stavolta non hai negato”.

Lui scosse la testa. “Sono un disastro”.

Kyle sospirò, poggiandogli le mani sulle spalle. “Sei un disastro”.

Il biondo sorrise leggermente.

“Va a parlare con Alexandra, Ryan. Non perdere tempo”.

“Sì, hai ragione. Vado!”. Si alzò.

Magari sarebbe stata la cavolata dell'anno. Magari si sarebbe pentito di ciò che stava andando a fare. O magari era semplicemente la cosa giusta. Sapeva di non amare quella ragazza, ci aveva provato. Non ci era riuscito.

Ci era ricascato con tutte le scarpe. Si era nuovamente fatto mettere nel sacco da quel sorriso che per anni lo tormentava.

Non era riuscito ad andare avanti nonostante lui ci avesse provato con tutto se stesso.

Ammettere i proprio sentimenti, per lui non era mai stato facile. E sapeva che nemmeno quella volta sarebbe stato facile. Ma doveva essere sincero, principalmente con quella che per mesi era stata la sua ragazza.

Erano le 17.00, l'avrebbe sicuramente trovata a casa.

La macchina era nel vialetto, le luci di casa accese.

Suonò il campanello.

Alexandra aprì, gli sorrise, scostandosi per farlo entrare.

“Ciao”. Aveva salutato lui.

“Ciao”.

Si tolse la giacca, poggiandola sulla sedia.

“Senti... io ti devo parlare”.

Lei annuì. Sapeva che sarebbe arrivato il momento. Sapeva che era lì per questo.

Non era da lui arrivare senza avvisare.

Si sedette sulla sedia, in attesa che lei prendesse posto accanto a lui.

“Non ti siedi?”. Le chiese quando la vide fare avanti e indietro, senza guardarlo.

“No. Se mi guardi magari fatichi a dirmi la verità”.

Il biondo annuì, magari aveva ragione.

“Alexandra io...”.

“La ami?”. Dritta al sodo, senza girarci intorno, non aveva bisogno di scuse. Voleva solo la verità. “Oggi sei stato con lei tutto il giorno, vero?”.

Lui annuì, inutile negare ormai.

“La ami, Ryan?”.

“Non lo so... sono confuso...”.

“No Ryan, non sei confuso. Devi dirmi la verità. La ami?”. Si sedette accanto a lui, guardandolo dritto negli occhi. “Ho bisogno della verità”.

“Sì, la amo”.

Lei chiuse gli occhi, per mezzo secondo, prima di riguardarlo. “Sin dall'inizio? La amavi anche mentre stavi con me?”.

“No, all'inizio mi sembravi tu la risposta a tutte le mie domande”.

“Cos'è cambiato? In cosa ho sbagliato?”. Lei tratteneva le lacrime.

“Non hai sbagliato niente io...”.

“Cavolate! Tutti sbagliamo! Dimmi dove ho sbagliato io con te, Ryan!”.

“Ale non lo so, okay? Non vedo i tuoi errori, non vedo i suoi. Vedo solo i miei. Tu eri la risposta a tutto, eccetto ad una domanda che avevo deciso di non farmi più!”.

Aveva paura a chiedere quale fosse quella domanda. Aveva paura di scoprire altre cose che l'avrebbero fatta stata male il doppio di quello che già stava. Ma doveva sapere, non poteva vivere nel dubbio.

“Quale?”. Chiese con un filo di voce.

“Se posso essere felice senza di lei”. Diretto, secco, senza giri di parole. Non servivano più.

Era tutto ciò che pensava.

Le lacrime ormai scendevano sul volto della ragazza, che si alzò. “Vattene, Ryan”. Lo invitò, pacatamente.

Non voleva fargli scenate, non voleva dargli nessuna colpa.

Voleva rimanere da sola, nient'altro. “Per favore”, insistette quando notò che lui non si era ancora alzato.

Il biondo si alzò, mettendosi la giacca.

“Alexandra... mi dispiace”.

Lei scosse la testa, incrociando le braccia al petto. Come se un forte freddo l'avesse colta all'improvviso.

“Non è colpa tua...”, aveva mormorato.

Ryan uscì di casa, lasciandola da sola.

Adesso toccava essere sincero con qualcun'altra.

Adesso doveva dire ciò che provava realmente a Strawberry.

Doveva andare da lei e dirle quanto felice si sentisse all'idea di poter fare da padre a quel bambino.

Voleva dirle che nonostante tutti i casini in cui si era messa, lui c'era. Ci sarebbe sempre stato.

E non gliene fregava niente se aspettava un figlio da un altro. Lui voleva essere parte della sua vita. Ora e per sempre.

 

 

A casa Momomiya, invece, la sera era arrivata presto.

La piccola festicciola che sua madre aveva organizzato in onore della figlia, non era altro che una cenetta tranquilla e rilassante, con tutte le persone che sua figlia voleva bene.

“Le volete vedere le ecografie?”. Aveva chiesto Strawberry, ascoltando le suppliche che Paddy rivolgeva al piccolo, nella speranza di sentirlo muoversi.

“Sì!”. Aveva esclamato subito la biondina.

La rossa le tirò fuori, mostrandole alle amiche. “E' bellissimo e sanissimo. Questa è la testa, vedete?”. Aveva indicato.

“Che carino. Ma è un maschio o una femmina?”.

“Non lo so, non si fa vedere. Ci farà una sorpresa, no?”.

“Eh già”. Aveva detto Mina.

Pam aiutava la signora Momomiya in cucina, mentre Kyle parlava con Shintaro.

“Kyle, Ryan?”. Gli chiese Lory, non si era ancora fatto vedere.

“Aveva una cosa da fare, penso che tra poco arriverà”, rispose il moro gentile.

La verde annuì, sorridendo a sua volta. Prima di tornare dalle sue amiche.

“Secondo me è femmina”, disse Paddy.

“Che dici, è un maschio. Sono sicura”, ribaltò Mina.

“Scommettiamo?!”, disse la più piccola. “Se vinco io fai il mio lavoro per una settimana!”.

“Se vinco io, invece, svolgi il mio per due”.

“Affare fatto!”. E si erano strette la mano, facendo ridere tutti i presenti.

“Su ragazze”, rise Strawberry.

Il campanello suonò, ma lo ignorarono tutti, nessuno aveva voglia di andare ad aprire.

“Oh ragazze, non vi muovete tutte insieme eh. Ad una ad una!”, esclamò Lory, prima di avviarsi alla porta. “Ryan pensavano che non sares...”, le parole le morirono in gola, scoprendo chi realmente era davanti a lei. “Mark...”.

“Ciao Lory...”. Aveva salutato il ragazzo.

La rossa si pietrificò al suono della sua voce.

“Posso?”, indicò dentro. La ragazza si scostò, facendolo passare.

Shintaro balzò in piedi, mentre Sakura cercava di tenerlo buono almeno in quel momento.

Lo sguardo del ragazzo cadde su Strawberry, che lo stava guardando seria.

Lory fece per chiudere la porta, ma una mano la bloccò.

Ryan era appena entrato, ritrovandosi davanti il suo più grande rivale. Mark.

Il sorrisetto che gli dipingeva il viso, scomparve. Lasciando posto ad una espressione che era tra metà delusa e metà arrabbiata.

Anche Mark lo guardò, ma al momento non era Ryan che a lui interessava. Il suo unico pensiero era Strawberry.

“Ecco...”, mormorò Lory, prima di chiudere la porta.

Erano tutti in silenzio.

“Straw...”, Mark fece per avvicinarsi, ma lei indietreggiò, iniziando a salire le scale che la portavano al piano di sopra.

Si voltò un'ultima volta, osservando il ragazzo per mesi si era fatto negare. Che non aveva risposto alle sue chiamate.

Non voleva vederlo. Non voleva averlo accanto.

Sparì in camera sua.

 

 

 

Buona sera ragazze.

Questo capitolo l'ho scritto tutto d'un fiato. In questi giorni non ho avuto ispirazioni e netflix non aiutava affatto!

Detto questo, spero che vi piaccia.

Ahimè, Alexandra è fuori... ma è tornato Mark!

Chissà come finirà.

Al solito ringrazio tutti coloro che mi seguono.

Un bacio grande alla prossima! <3

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Capitolo 7
*** Capitolo 7-Nostalgie ***


Capitolo 7- Nostalgie

 

 

In cucina regnava un silenzio imbarazzante, perfino Paddy non osava fiatare. Potevano benissimo sentire le saette che Shintaro lanciava con gli occhi a Mark; che dal canto suo rimaneva in silenzio ad osservare la scalinata dove pochi minuti prima la rossa era sparita.

“Bene!”, esclamò Sakura, nella speranza di interrompere i pensieri omicidi del marito, “hai fatto buon viaggio, Mark?”.

Lui annuì. “Grazie signora”.

“E' solo gentilezza, non ti gasare troppo”. Aveva mormorato Ryan, rimanendo a braccia conserte, poggiato alla parete.

“Di che di impicci tu?”, gli chiese poco gentile Mark.

Lui fece spallucce, non volendo iniziare una discussione inutile.

“Secondo me Strawberry in questo momento è così arrabbiata che non ti vorrà mai più vedere”. Aveva detto la piccola, trovandosi d'accordo anche con Lory, che annuì.

Mark sospirò. Forse era vero.

“Che cosa ti fa pensare che tu sia il benvenuto a casa mia, carino?”. Shintaro aveva parlato. “Hai lasciato mia figlia sola nel momento del bisogno e ti stai facendo rivedere dopo 7 mesi, con chissà quale pretesa”, si era alzato per guardarlo dritto negli occhi. “Se lei non ti vorrà più vedere, credimi che avrà tutto il mio appoggio”. E se ne andò. Rientrando in cucina per evitare di ucciderlo.

La madre della rossa cercava di essere il più possibile gentile, ma infondo anche lei era arrabbiata con il ragazzo.

Ryan invece si staccò dalla parete, muovendo qualche passo in direzione delle scale.

“Dove vai, caro?”. Fu la domanda di Sakura.

“Da lei”. Rispose solamente iniziando a salire le scale.

Mark lo osservò: “e perchè vai tu?”.

Il biondo si voltò con una lentezza che parve infinita, guardandolo con degli occhi che avrebbero freddato chiunque. “Perchè io, a differenza tua, non l'ho lasciata sola in questi mesi”. E sparì dietro il muro, senza altre spiegazione. Non sentiva di dovergli delle spiegazioni, non a lui. Non in quel momento.

 

Anche in camera della ragazza regnava il silenzio più assoluto. Il suono che la porta emise quando qualcuno bussò, la fece sobbalzare.

“Vattene via. Non ti voglio vedere”. Disse fredda.

Ryan aprì la porta, affacciandosi all'interno. “Okay, allora torno indietro”. Fece per chiudere.

Straw sorride e fermò la porta prima che la chiudesse del tutto. “Credevo fosse lui...”

Lui scosse la testa. “Sono solo io”.

Strawberry non disse nulla, sedendosi sul letto. Il biondo la imitò.

“Stai bene?”.

Lei scosse la testa. “Chi si crede di essere, non si fa sentire per mesi e poi piomba qui all'improvviso, aspettandosi chissà cosa da parte mia. Lo picchierei!”. Esclamò arrabbiata.

“In un certo senso vi somigliate”. Disse lui, riferendosi al fatto che anche lei era piombata all'improvviso nuovamente nella sua vita.

“No!... cioè forse. Ma io non pretendevo nulla da nessuno. Ero solo tornata”.

Lui annuì. “E' il padre di tuo figlio, Straw. Non puoi negargli di stare accanto a lui/lei”.

La rossa lo guardò, sapeva che aveva ragione. Lo sapeva perché aveva pensato mille volte all'evenienza di un suo ritorno.

Ma si era ormai abituata all'idea di essere da sola.

“Lui non c'è mai stato”. Disse soltanto.

Ryan la guardava ancora, mentre lei si torturava le mani.

“Che cosa faresti al mio posto?”, gli chiese.

Lui fece spallucce, volendole consigliare di cacciarlo via e di non farlo mai più entrare nella sua vita. Ma così facendo sarebbe stato solo egoista. E Ryan Shirogane non era egoista. Non quando si trattava di lei.

“Secondo me devi parlare con lui e dargli una possibilità. Possiamo sbagliare tutti. Persino io sbaglio”, abbozzò un sorriso. “Raramente, sia chiaro, ma sbaglio”.

“Ma sentitelo che modesto!”, ridacchiò dandogli una leggera spinta. Poi annuì, volendo accogliere il consiglio dell'amico più caro che avesse mai avuto.

Il biondo le lasciò una leggera carezza sui capelli, per poi alzarsi e tornare di sotto.

“Ehi tu, vuole parlare con te”. E senza dire niente uscì dalla porta d'ingresso.

Mark non se lo fece ripetere due volte, salendo le scale a due a due.

Kyle sospirò, alzandosi per seguire l'amico. Ma fu preceduto da Shintaro. Che chissà per quale motivo, stava raggiungendo Ryan in giardino.

“Ehi ragazzo”, si avvicinò poggiandogli una mano sulla spalla. “Non eri tenuto a farlo”.

Il biondo lo guardò quasi confuso.

“Andiamo, lo vedo come la guardi. Ma nonostante ciò metti il suo bene davanti al tuo”.

Ryan si strinse le spalle, forse per il freddo o forse semplicemente perchè aveva ragione l'uomo.

“Mi scuso”.

“Per cosa signore?”, lo guardò negli occhi.

“Per le fette di prosciutto che mia figlia ha sempre avuto davanti agli occhi”. Adesso Shintaro guardava le foglie mosse dalla lieve brezza serale. “Sì, insomma, tu sei sempre stato il mio preferito. No che non ti abbia voluto strangolare, ma mi piaci di più di quel sottospecie di carciofo”. Sospirò afflitto. “Forse si renderà conto di essersi fatta scappata un ragazzo d'oro solo quando effettivamente non ci sarai più per lei”. Gli diede una pacca sulla spalla e rientrò dentro.

Ryan si scostò le ciocche bionde dagli occhi; dopo quello che era successo in quei mesi, dopo essersi lasciato alle spalle tutto ciò che aveva costruito senza di lei, e dopo essersi reso conto che a rimetterci era sempre e solo lui, era impensabile che un giorno lui non ci sarebbe più stato per la sua gattina.

 

 

* * *

 

 

Tra meno di due settimane il mese di sarebbe concluso e più passavano i giorni e più cresceva il timore della rossa.

Aveva paura di tutto, del dolore, del parto, del dopo parto ecc. ma il suo timore più grande era il bambino.

Ryan continuava a rassicurarla, ma lei continuava a pensare che sarebbe nato con almeno un orecchio da gatto, o con una mini coda da micio nero.

“Poverino, l'unica sorte che toccherà a questo bambino è il non avere cervello”. L'aveva presa in giro Mina.

“Ma come sei acida!”.

“E' la verità, cara Strawberry. Sei pazza”. E aveva continuato a sorseggiare il suo thè.

Tra meno di due giorno sarebbe stato il compleanno di Strawberry.

Tra lei a Mark le cose non andavano ancora bene, ma piano piano il moro stava riconquistando la sua fiducia.

Aveva iniziato con il comprare alcune cosette per il bambino che da lì a poco sarebbe arrivato. Ma poi, si era reso conto che quella tecnica non funzionava. E allora aveva iniziato a passare semplicemente del tempo con lei. Facendosi raccontare tutto ciò che si era perso in quei mesi.

Le ecografie, le sue paure, la strigliata presa dal padre ecc ecc...

Stavano ricostruendo il rapporto a poco a poco.

“Strawberry, ma Mark dove lo hai lasciato??”. Aveva chiesto Paddy, curiosa del perchè quella mattina la sua amica fosse al caffè da sola.

“E' dovuto partire per dare un esame importante. Tornerà tra qualche giorno”. Aveva risposto lei, mangiando una fetta di torta al lampone.

“Ah...” la bionda la guardò. “Sicura che torna??”.

Lory scosse la testa alzando gli occhi al cielo. “Certo che torna. Fatti gli affari tuoi, impicciona!”. La richiamò.

La rossa sorrise, dicendole di lasciarla stare. La conoscevano ormai, lei era così e basta.

“Dai, tutti a lavoro che tra un po' apro il locale!”, Kyle si era unito al gruppetto, con il suo solito sorriso gentile.

Ryan invece, se ne stava dall'altro lato della sala, con la sua solita espressione vuota, a braccia conserte, senza proferire parola con nessuno.

Da un paio di giorni, lui e Strawberry sembravano come evitarsi. La rossa lo salutava a malapena, abbassando lo sguardo imbarazzata ogni volta che si incrociavano.

Lui invece, non aveva chiesto spiegazioni. In un certo senso, secondo lui, era inutile voler andare infondo alla questione. Lei stava per uscire definitivamente dalla sua vita. Probabilmente, l'aveva sentire raccontare alla amiche, dopo la nascita del bimbo lei e Mark si sarebbero trasferiti. Il ragazzo aveva deciso di continuare gli studi.

“Tutto bene?”. Ad interrompere i suoi pensieri fu Mina, che passando accanto a lui si era resa conto che il biondo era imbambolato a fissare l'altro lato della sala.

Lui abbassò lo sguardo, annuendo soltanto.

La blu continuò a guardarlo.

“Che c'è, Mina?”, si spazientì lui.

“Niente. Solo che secondo me stai facendo una grandissima cavolata ad arrenderti così presto”.

“Arrendermi riguardo cosa, sentiamo”. Incrociò le braccia.

L'amica mosse qualche passo in direzione della cucina. “Solo perché tu lo sappia, lei non è così tanto convinta di ritornare con Mark”. E se ne andò lasciandolo lì da solo.

Il biondo dal suo canto non diede così tanto peso alle sue parole. Insomma, loro erano Strawberry e Mark. Sempre e solo Strawberry e Mark. Ovvio che lei fosse convinta a dargli una seconda chance. E oltretutto stavano per avere un figlio.

Se ne andò in laboratorio, dove neanche Kyle sapeva cosa stesse combinando. Fatto sta che lì rimase tutta la giornata.

 

 

 

* * *

 

 

La sera arrivò presto e Mark si era fatto sentire svariate volte, raccontando alla sua ragazza che l'esame era andato benissimo e che a breve, l'indomani forse, sarebbe tornato da lei.

Strawberry aveva silenziato il cellulare, dopo l'ennesimo saluto di Mark e si era sdraiata sul letto. Guardava il soffitto, ripensando al fatto che per l'intera giornata non aveva visto Ryan. Chissà cosa stava combinando. Forse faceva delle ricerche per assicurarsi che tutto andava bene il città. Nessun attacco, nessun alieno e niente di niente.

O semplicemente, pensò lei, se ne stava davanti al computer a guardare serie TV. Perchè sì, Ryan Shirogane amava le serie TV.

Ti facevo più un tipo da film storici e documentari”, le aveva detto lei, quasi prendendolo in giro.

Guarda che, anche se sono un genio, non vuol dire che io non sappia divertirmi. E comunque questa serie e molto bella”.

Lei lesse il titolo e scoppiò a ridere: “Once upon a time? Dai Ryan, è ridicolo!”.

Il biondo si fece coinvolgere dalla sua risata, ma senza scomporsi più di tanto.

Guarda una sola puntata con me, e poi se non ti piace giuro che guardiamo quello che vuoi tu per un mese intero”.

Lei accettò immediatamente, convinta che quella fosse la serie TV più ridicola che esistesse. Ma a malincuore, dovette ammettere che, nonostante fosse estremamente infantile alcune volte, era veramente bellissima.

E così iniziarono a guardarla insieme, tutta la notte. Fino a che sfiniti, non si addormentarono su quel divano scomodo del seminterrato del locale.

Lei sorrise ancora e, quasi malinconica, le venne voglia di guardarla ancora.

Un miagolino però la fece sobbalzare. Si sporse dal letto verso terra e vide un micio tutto grigio dagli occhi azzurro cielo leccarsi una zampina.

“ART!”, esclamò balzando in ginocchio sul letto.

In meno di un istante una luce bianca quasi la accecò.

“Scusa, non volevo suonare e rischiare di svegliare qualcuno. Ho visto la luce accesa e...” lasciò la frase in sospesa facendo spallucce.

“Che ci fai qui??”. Chiese lei. “E' successo qualcosa?”.

Lui scosse la testa. “Nulla, volevo solo salutarti”.

Straw lo osservò interrogativa. “Salutarmi per...? Mi volevi dare la buonanotte? Potevi mandarmi un messag...”

Il biondo la interruppe, “vuoi stare zitta trenta secondi?”. Sbuffò. Non sarebbe mai cambiata. Nemmeno tra vent'anni. “Salutarti perché domani parto, Straw”.

Lei spalancò gli occhi, non nascondendo il suo stupore. “E dove vai?” riuscì a mormorare.

Il ragazzo prese posto accanto a lei. “Torno in America per un po'. Ho delle cose di cui devo occuparmi, ho rimandato fin troppo tempo”.

“Ah...” fece lei, abbassando lo sguardo.

In quel momento l'unica cosa che avrebbe voluto era tornare indietro a mesi prima. A quando loro due stavano bene.

“Ehi”, le sollevò il viso. “Tornerò, non è un addio. Kyle rimane qui, e io non lo lascio da solo”.

Lei annuì e basta, incapace di proferire parole di senso compiuto.

“Tieni”. Le porse un piccolo pacchettino che fino a quel momento non aveva assolutamente notato. “Consideralo il mio regalo di compleanno anticipato”.

Lei lo prese, titubante. “Cos'è?”

“Aprilo ragazzina”, fece lui gentile.

La rossa scartò la piccola scatola e quando vide il contenuto le si allargò un sorriso enorme sul viso.

“Mash!”.

Ryan sorrise. “Ho passato l'intera giornata per riattivarlo. Era malconcio”.

“Ecco cosa stavi facendo. Grazie è il regalo più bello che potessi farmi”. Lo abbracciò d'istinto e lui non le negò il contatto stringendola a sé come non aveva fatto per mesi.

Ciao Strawberry, ciao Strawberry!”.

Anche il piccolo robottino sembrava felice di vederla.

Ma in quel momento l'unica cosa che realmente le importava era quell'abbraccio che tanto desiderava da tempo.

Ryan lo sciolse lentamente. “Devo andare adesso. Il mio aereo parte domani all'alba”. Si alzò.

“Torni davvero?”. Lo imitò.

Sapeva che non aveva nessun diritto a chiedergli una cosa del genere.

Lui annuì. “Te l'ho detto: Kyle è qui, non posso lasciarlo da solo per molto tempo”. Le lasciò un dolce bacio sul capo. “Nel frattempo ti lascio in ottime mani”. Indicò il robottino che le si era attaccato sul cellulare, come anni prima.

Senza dire nient'altro il biondo si avviò alla finestra e stavolta balzò giù senza l'aiuto di Art.

Si allontanò, sentendo gli occhi della ragazza che amava puntati addosso.

Era la scelta migliore. Allontanarsi da lei per un po' di tempo gli avrebbe fatto bene.

In cuor suo sperava, di farsene una ragione una volta per tutte.

 

 

 

Tah dah! Rieccomi! Sono imperdonabile. Sono qui dopo un sacco di mesi lo so! Perdonatemi.

Ho visto “i cesaroni” ed effettivamente la mia storia è similissima. Era indecisa se continuare oppure no. Ma poi ho deciso di sì. Mi piace e molte di voi mi hanno sostenuta e quindi ho deciso di continuare!

Quindi! Che ne pensate?

Vi avviso che non ci sarebbe tantissimi altri capitoli. La mia idea era di farsi 9, come i mesi di gestazione!

Non so se però ne uscirà uno in più. In ogni caso grazie a tutti quelli che mi seguono e perdonatemi se non ho risposto a tutte, ma leggo tutto e ne sono davvero felice!

Adesso vado perchè al solito sennò parlo mille ore.

Grazie mille ancora!

P.S. Io ho adorato ''ONCE UPON A TIME'' voi la conoscete??

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Capitolo 8
*** Capitolo 8- tutto è bene quel che finisce bene. ***


Capitolo 8- Tutto è bene quel che finisce bene

 

Avvisiamo tutti che il volo Giappone-America sarà in ritardo per motivi tecnici. Ci scusiamo i disagi”.

Ryan sospirò, passandosi le mani tra i capelli biondi. Perfetto, anche il volo in ritardo. Quella giornata era cominciata già male. Ed erano solo le 6 del mattino.

Aveva preparato la valigia di fretta, la sera stessa per poi uscire e dirigersi direttamente lì. Portandosi dietro cose che probabilmente non usava da anni, ma aveva voglia di cambiamento. E tornarsene per un po' ''a casa'', male non gli avrebbe fatto.

Guardò fuori dalla grande finestra dell'aeroporto, il cielo quella mattina era grigio e pioveva. Scuro come il suo cuore in quel momento.

Probabilmente quando sarebbe tornato lei avrebbe già avuto il bambino in braccio. Pronta a combinare disastri con quel piccolo angioletto.

Gli venne da sorridere a pensarla in certe circostanze. Lei era... semplicemente lei.

“Che cavolo stai facendo?”.

Era talmente immerso nei suoi pensieri che sobbalzò al suono di quella voce femminile.

“Non credevo fossi un tipo che scappasse”.

“Alexandra...” mormorò, “che ci fai qui?”.

Lei prese posto sulla sedia accanto alla sua: “mi sembra ovvio. Ti impedisco di fare la più grande cavolata della tua vita”.

Lui scosse leggermente la testa, come se non avesse capito il senso delle sue parole.

“Te la faccio breve: se tu adesso scappi, la perderai per sempre”.

Lui sospirò: “l'ho già persa”.

“Non ancora, se smetti di fare il coniglio”. Incrociò le braccia.

“Non faccio il coniglio semplicem... ma tu come sapevi dov'ero?”.

“Ero venuta a riportarti delle cose ieri sera e Kyle mi ha detto tutto”.

“Kyle parla troppo”. Sbuffò.

“Kyle ti vuole bene. E comunque non cambiare discorso” si portò le lunghe ciocche scure dietro l'orecchio. “Perchè stai scappando, Ryan?”.

“Ale, davvero, non mi va di parlarne e tanto meno con te. Scusa”.

“E invece ne parli. E con me soprattutto”. Sbuffò spazientita. “Vuoi passare il resto della tua vita a piangerti addosso? Vuoi davvero lasciarla andare così? Dimmi tu, Ryan. Senza neanche provarci?”.

“E cosa dovrei fare? Aspetta un figlio da un altro. E' innamorata di un altro. Ti bastano come motivazioni?”.

Lei scosse la testa per niente sconfitta. “No. Perchè sarà pur vero che aspetta un figlio da un altro; ma non ci giurerei sul fatto dell'esserne innamorata”.

Lui la guardò.

“Oh, cristo! Sei proprio un uomo” sospirò. “Ma tu te ne accorgi come ti guarda? Ma lo vedi che per ogni singola cosa cerca te e nessun altro? Ryan quella ragazza è cotta di te. E sei tu ad essere lo stupido se la lasci andare così”.

“Resta il fatto ch-”

“Sì, sì. Aspetta un figlio da un altro. E quindi? Quante persone ci sono al mondo così? Dai fammi il piacere”. Si alzò. “Usi come scusa questa cosa per evitare di dirle cosa realmente provi per lei”.

“Non è per niente vero”.

“E invece sì. Per te è più semplice rifugiarti in questa realtà che provarci”.

Lui non disse nulla. Forse quella era una delle poche volte in vita sua che qualcuno lo azzittiva.

“Ryan”, gli prese la mano, “non fare qualcosa di cui potresti pentirti. Non ha nulla da perdere”. Gliela lasciò sistemandosi per bene la borsa sulla spalla. “Adesso però scusami ma devo andare. Ho fatto trenta chilometri per venire qui e rischio di arrivare tardi a lavoro”. Gli sorrise.

“A presto, biondino”. Si avviò verso l'uscita.

“Alex!” la chiamò alzandosi. “Grazie”, le disse una volta avuta la sua attenzione.

Lei gli sorrise nuovamente prima di oltrepassare la porta.

Il ragazzo da perdere aveva molto invece. Se lei lo avesse rifiutato, avrebbe perso l'ultimo coccio del suo cuore probabilmente rimasto integro. Con questa considerazione, si sedette nuovamente aspettando il volo...

 

 

* * *

 

Quasi in contemporanea a quella conversazione, una ragazza dai capelli rossi fragola se ne stava con l'ombrello aperto sotto la pioggia a cercare un mazzo di chiavi che trovò solo dopo qualche tentativo.

Aveva inserito una grossa chiave all'interno della serratura e girandola aveva appena aperto un grande portone. E cercando di non fare rumore lo richiuse alle spalle dopo essere entrata.

La sala del caffè era buia e con le sedie tutte issate sui tavoli. Faceva strano vederla così e non luminosa e piena di gente, come era al solito.

Anche la luce della cucina era ancora spenta. Kyle non si era ancora svegliato.

Straw sentì la nostalgia coglierla e solo in quel momento si rese davvero conto di quante cose erano cambiate in quei pochi mesi.

Posò l'ombrello bagnato all'ingresso e camminò piano.

Inconsciamente si ritrovò a scendere la scale, dirigendosi dove anni prima conducevano le ricerche.

I computer erano ancora lì, ma spenti. Le tastiere e le mensole a prendere polvere. Era tutto uguale ma anche tutto diverso.

Si sedette sul divano e ne accarezzò il tessuto. Sorrise.

Ci avevano passato le nottate su quel divano a guardare serie TV, per poi ritrovarsi il giorno dopo con delle occhiaie da paura ed a sbadigliare per tutta la giornata.

Ricordava la faccia confusa di Kyle quando li vedeva commentare insieme qualcosa a lui incomprensibile. Faceva spallucce tutte le volte e sorrideva, non gli interessava sapere cosa combinassero ma solo che fossero felici.

Si accarezzò la pancia e un quel momento un ''POOF'' la fece sobbalzare.

“Mash...” sorrise.

Perché sei triste, perché sei triste?”. Volteggiava in cerchiò davanti a lei.

Lo afferrò delicatamente e lo poggiò sul pancione guardandolo. “Non sono triste piccolo”. Mormorò appena.

Sei triste invece, sei triste”. Insistette il robot.

Lei non disse niente. Quel robottino era bravo a percepire tutto. Ma non si meravigliava, era sveglio come chi lo aveva inventato.

“Strawberry?”.

La voce di Kyle la fece sobbalzare.

“Principessa che ci fai qui?”.

Lei si alzò di scattò. “Io... niente...” si schiarì la voce. “Buongiorno Kyle scusa se sono entrata senza permesso. Ho ancora la chiave, ma volevo restituirla per questo sono qui” gliela porse. “Scusa davvero, non volevo spaventarti”.

“Non mi hai spaventato tranquilla. La chiave puoi tenerla.” le sorrise e non la prese.

“Okay, grazie...” la intascò. “Io ero venuta solo per questo davvero. Adesso vado”, lo oltrepassò.

Il ragazzo sospirò: “Strawberry”. Disse soltanto e bastò per fermarla.

Lei rimase ferma e si voltò.

“Che succede?”.

Lei scosse la testa. “E' che... non lo so Kyle. Sento di aver sbagliato tutto”.

“Tesoro”. L'abbracciò stringendola forte. In quel momento le sembrava così piccola e fragile. “Vieni, ti preparo la colazione”.

“Non voglio disturbare”, mormorò.

“Non dirlo nemmeno per scherzo”. La prese per mano e la condusse in cucina.

Mentre lui preparava la colazione lei se ne stava seduta sullo sgabello pensierosa.

“E' questo che stava facendo ieri?”. Indicò Mash che volteggiava contento con un cenno di capo.

Lei annuì. “Ha detto che era malconcio”.

“Ci credo” sorrise. Le mise davanti una calda cioccolata dei muffin che aveva preparato la sera prima.

Strawberry soffiò all'interno della tazza gustandosi la bevanda a poco a poco.

“Grazie” gli disse tenendo gli occhi bassi.

Il moro prese posto accanto a lei. “Mi dici che succede? Puoi parlare con me, lo sai”.

Lei lo guardò. “Perché tu non sei andato via?”.

Lui fece spallucce. “Io ho il locale da gestire”.

Annuì. “Ieri è venuto in camera mia e mi ha portato Mash dicendomi che se ne andava per un po'”.

Il ragazzo l'ascoltò.

“Non ho il diritto nemmeno di pensare a lui. Non me lo merito”.

“Perché dici così?”.

Lei sospirò afflitta. “Perché sì, Kyle. Ha tutto il diritto di andarsene altrove a rifarsi una vita. Lontano da me e dalle mie mille indecisioni” si legò i capelli un po' umidi dalla pioggia. “Io non l'ho mai meritato, ero sbagliata per lui e nonostante lo sapessi sono stata egoista. Perché lo amavo”.

“Non dire così, vi siete scelti a vicenda”.

“No Kyle, perché nonostante questo-” indicò la pancia, “-nonostante Mark sia tornato per me, nonostante lui mi ami; io continuo ad essere egoista”.

Kyle la osservò prendendole le mani. “Non sei egoista”.

“Invece sì, e mi sento terribilmente in colpa per Mark, per Ryan, per il bambino. Per tutto. Perché mi rendo conto che lui è stato il mio primo vero amore. E probabilmente lo sarà per sempre e non posso dimenticarmi di lui” si passò le mani sul viso. “Ho rovinato tutto”.

“Ryan mi ha detto che siete stati insieme la notte prima che tu partissi”.

Lei arrossì. “Parla troppo” borbottò.

“No tranquilla” le sorrise lui. “E' per questo che ti senti in colpa?”.

Lei annuì. “Se solo avessi riflettuto qualche secondo in più...”.

Il moro le lasciò una carezza sui capelli. “Mangia su, non ci pensare”. Si alzò girando in bancone e pulendo due cosette che trovo dentro il lavello.

Il silenzio era quasi assordante e fu allora che il ragazzo pensò ad una cosa: “Straw...” la chiamò attirando la sua attenzione. “Di quanti mesi sei?”.

Lei ci pensò. “non lo so con certezza perché il mio dottore non ha saputo stabilirlo con certezza. Sai com'è, ero impegnata a nasconderlo che non ho subito fatto le visite”. Fece spallucce. “Ma probabilmente sono già entrata all'ottavo mese. Perchè?”.

“Senti te lo devo chiedere, magari mi sbaglio ma mi è venuta questa folle idea in testa: tu e Ryan siete stati a letto insieme, ma avete pensato a proteggervi?”.

“Che domande Kyle!” diventò rossa come un pomodoro. “Non lo so, non mi ricordo! Probabilmente no però!”. Sentiva caldo.

Gli passò una strana luce negli occhi. “Hai mai pensato che questo bambino potrebbe non essere di Mark? E se avessi sbagliato i calcoli?”.

Passò da un colorito rosso acceso ad uno bianco cadavere in dieci secondi.

“Impossibile perché...” perché? Perchè niente, in realtà non ci aveva mai davvero pensato. “Non è possibile sarei qualche settimana avanti e...” una smorfia di dolore le si dipinse in faccia.

“Ehi, stai bene?”.

“Sì, è solo lui/lei che fa i capricci” fece un enorme respiro.

“Sicura? Io potrei chiamare...”.

“No Kyle, grazie mille davvero” si alzò. “Devo andare”.

“Ti accompagno io, non sei in condizioni di camminare”.

“Vado a piedi davvero, non mi fa male” insistette lei. Prendendo la borsa.

“Straw, non è impossibile quello che ho detto. Magari mi sbaglio, ma non è impossibile”.

Lei scosse la testa. “Se fosse vero, significherebbe che ho combinato un bel casino” mormorò e se ne andò. Il cielo si era schiarito all'improvviso. Le strade iniziavano ad essere affollate, gli studenti correvano per non arrivare tardi al suono della prima campanella della giornata.

Il pensiero che quel bambino potesse non essere di Mark, le rimbombava violento nella testa.

Non aveva il coraggio di rivelare al suo attuale fidanzato i suoi timori. Non aveva il coraggio di dirgli che la sera prima della loro partenza lo aveva tradito e tenuto nascosto per tutto quel tempo.

Probabilmente l'avrebbe odiata.

Il suono del cellulare la destò dai suoi pensieri.

“Pronto?”.

“Strawberry dove sei? Pensavo di trovarti a casa”.

“Mark...”. Prese un bel respiro, “ero andata da Kyle”.

“Ah”, fece lui senza aggiungere altro.

“Mark, dobbiamo parlare”.

“Sì, dobbiamo parlare. Ti vengo a prendere, dove sei?”.

“Al parchetto dietro il caffè”.

“Arrivo, ferma lì”. E chiuse la conversazione.

 

 

Passarono poco più di dieci minuti prima di incontrarlo.

Troppo poco tempo e si ritrovò faccia a faccia con quel ragazzo a cui avrebbe spezzato il cuore di lì a poco.

“Ciao” mormorò lei.

“Ciao” ricambiò il saluto.

“Com'è andato l'esame?”.

Lui annuì. “Bene grazie”.

“Mi fa piacere”.

Mark sbuffò spazientito: “Strawberry andiamo dritti al punto, senza giri di parole. Che succede?”.

“Io...” si torturò le mani.

“Per favore, chiara e diretta. Non ci girare troppo intorno”.

Lei sospirò. “Vieni”. Si avviò alla panchina più vicina e si sedette lì.

Il moro la imitò.

“Quello che sto per dirti probabilmente ti ferirà...”.

“Posso sopportarlo”.

Lei annuì continuando a torturarsi le mani.

“La sera prima di partire per Londra...”.

“Sì?”.

“Quando mi hai chiamata per darmi la buonanotte...”. Si bloccò di nuovo.

“Per favore”, la supplicò.

“Okay!” prese un bel respiro e lo guardò in faccia, “dopo aver chiuso con te, non sono rimasta a casa”. Si fermò qualche secondo. “Probabilmente non c'è bisogno di dirti dove io sia andata-”

“No, non c'è bisogno. Lo immagino”.

“-e...” non ebbe il coraggio di continuare. Si vergognava troppo per quello che aveva fatto ad entrambi.

“Siete stati a letto insieme”. Finì lui per lei, e non era una domanda.

Lei annuì semplicemente. Non ebbe il coraggio di sostenere lo sguardo del ragazzo e abbassò gli occhi ad osservare le sue mani.

Lo sentì portarsi le mani ai capelli e riavviarli, in un gesto di frustrazione.

Passarono secondi che sembrarono ore, prima che lui riprese la parola.

“Forse l'ho sempre saputo”.

Lei lo guardò, confusa.

“Andiamo, ti conosco fin da bambina. Quella mattina eri strana, quasi non parlavi. C'era chiaramente qualcosa che non andava, e dentro di me sapevo che c'entrava lui”.

“Mi dispiace...”

“Il bambino è davvero mio?”.

Lei scosse la testa: “non lo so... non ci avevo mai pensato fino ad oggi io...”.

Mark si alzò. “Se non chiedo troppo, vorrei il test del DNA una volta nato”.

“Ryan non lo sa”.

“Male, dovrebbe sapere che probabilmente porti in grembo suo figlio”.

“In questo momento è su un aereo per l'America”.

Lui scosse la testa. “Sai che c'è? Non mi interessa Strawberry, ho perso totalmente interesse per tutto in questo momento”. Si alzò.

Lei rimase immobile senza dire nulla. Non poteva dire nulla.

“Tu lo ami?”. La domanda le arrivò alle orecchie chiara e decisa.

Lo amava?

Certo, l'idea che lui adesso era lontano la faceva stare male.

L'idea che a spingerlo ad andarsene era stata lei, la faceva stare anche peggio.

Se amarlo significasse rifugiarsi nei ricordi, per averlo con sé anche solo qualche secondo; allora sì, lo amava.

“Sì”. Stavolta niente esitazioni, niente borbottii, niente giri di parole.

Sì e basta.

Il moro annuì. “Ti porto a casa”, si girò e inizio ad incamminarsi. Senza aggiungere altro.

Si alzò anche lei e nuovamente lo stesso dolore di prima la colpì. Ma stavolta più violentemente, tanto da farla piegare.

Strawberry sta male, Strawberry sta male”.

La vocina meccanica di Mash attirò l'attenzione del moro che andò a soccorrerla.

“Che hai?”. La fece sedere.

“Sono un paio di giorni che sento questa fitte atroci”.

“Ti porto in ospedale”, la aiutò ad alzarsi e un'altra fitta la colpì.

“Non mi merito di essere aiutata da te, faccio da sola”.

“Non dire idiozie. Non ti lascio qui da sola mentre stai male”.

Senza più ascoltarla la caricò in macchina in direzione dell'ospedale più vicino.

 

 

* * *

 

 

L'attesa infinita per l'aereo super in ritardo era appena finita.

Ryan era in fila per consegnare passaporto e biglietto aereo. E finalmente avrebbe messo fine a quella tortura.

Erano ore che aspettava seduto lì, per di più con le parole di Alexandra che gli risuonavano nelle orecchie.

Da un lato sapeva di aver ragione, dall'altro l'istinto di proteggersi da un eventuale rifiuto era forte.

“Signore?”. La signorina attirò la sua attenzione.

Era talmente in sovrappensiero che non si era nemmeno reso conto che la fila diminuiva pian piano.

“Scusi”, sbadatamente le diede solo il biglietto.

“Mi serve anche il passaporto, signore”.

“Certo”, lo consegnò e in quel momento il suo cellulare si illuminò.

Un messaggio da Kyle.

Ciao amico, come va? Quando leggerai questo messaggio sarei già atterrato in America...”

Se non ci fossero state mille ore di ritardo, sì. Pensò lui e poi continuò a leggere.

...mi raccomando chiamami appena arrivi e stai attento. Non fare cavolate. Ti voglio bene”.

Il biondo sorrise, il solito Kyle premuroso.

Bloccò il cellulare ma quasi immediatamente si illuminò di nuovo.

P.S. Noi siamo in ospedale. Strawberry è entrata in travaglio, sta per partorire”.

Lo rilesse un paio di volte, tanto per essere sicuro di non aver frainteso le parole.

“Buon rientro in patria, signore” la ragazza gli consegnò il tutto e gli sorrise gentile.

Lui osservò prima lei e poi il cellulare.

“Grazie, ma per stavolta rimango qui”.

Si fece largo tra la folla e tirandosi dietro la valigia corse verso l'uscita.

Aveva lasciato lì la macchina, poi Kyle avrebbe mandato qualcuno a ritirarla.

Caricò la valigia al meglio e mise a moto.

La manovra che fece per uscire dal parcheggio non era del tutto corretta, ma non gli importava. Aveva cose più importanti a cui pensare.

“Scusi!”, urlò alla signora che per poco non investì andando di retromarcia.

Il traffico di Tokyo era sempre intenso.

Sbuffò fermo al semaforo. Era quasi sicuro che quelli che avrebbe incontrato sarebbero stati tutti rossi.

“Eddai”, batteva gli indici sul volante in segno di nervosismo.

Quando scattò il verde riprese la marcia velocemente.

Non era abituato a guidare così quando stava in auto.

Qualche altro metro più avanti e dovette fermarsi nuovamente. Una macchina sostata in doppia fila non permetteva di far defluire il traffico.

“Accidenti a me e quando non ho preso la moto ieri” sbuffò spazientito.

“Ma ti muovi a togliere quella maledetta macchina!?”, urlò contro l'uomo che stava bloccando l'intero traffico.

“Ma dico io, è una cosa normale! Muoviti!”. Continuò.

Il tizio salì in macchina e riprese la marcia ignorandolo.

“Cafone del cavolo”, lo superò cambiando marcia e sfrecciò dritto.

Era consapevole di essere in città e anche un tantino fuori limiti.

Gli avrebbero sicuramente mandato la multa a casa.

Ma in quel momento nemmeno ci pensava.

Arrivò davanti all'ospedale quasi un'ora e mezza dopo.

Aveva beccato altri tre semafori rossi e altri due guidatori inesperti.

Non era giornata.

Parcheggiò e bloccò la macchina con la chiusa centralizzata.

A passo svelto arrivò nella hall dell'ospedale e poi, chiedendo informazioni, salì al terzo piano della struttura.

“Ryan!” Kyle lo vide ancora prima di varcare la soglia. “Pensavo fossi partito”.

“Eccomi qui amico. Il volo era in ritardo e tu mi hai scritto esattamente qualche secondo prima che mi imbarcarsi”.

Il moro sorrise. “E' destino”.

“Non credo nel destino, lo sai. Lei dov'è?”.

“Stanza 104”.

“Non ha ancora...?”.

“Oh no, già fatto”.

“Ah” fece lui semplicemente.

“Che c'è? Vai da lei”.

Il biondo scosse la testa. “C'è Mark con lei, meglio lasciarli soli”.

“Secondo me ci dovresti andare”, fece spallucce Kyle rimanendo vago.

L'amico lo guardò aveva una sguardo strano, come se gli volesse nascondere qualcosa.

Ma non gli chiese nulla, qualsiasi cosa fosse voleva scoprirla da sola.

Un po' più avanti trovò le ragazze a chiacchierare tra di loro e sorridersi a vicenda.

Paddy commentava quanto piccolo e paffutello fosse quel bimbo.

“Ciao Ryan, ma non eri andato via?”. Lo salutò Mina.

Lui alzò le spalle “eccomi qui”. Fissò la porta chiusa qualche metro più avanti.

“E' così carino!” esclamò Paddy.

“E' un maschietto?”.

Lory annuì e gli sorrise. “Un bellissimo maschietto”.

“E' tutto sua madre” commentò Pam a braccia conserte.

Gli venne spontaneo sorridere. Lo immaginava già, non aveva bisogno di vederlo. Paffuto come la sua mamma con le guance rosso acceso.

Vide Mark uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle.

Le ragazze si allontanarono trascinandosi via Paddy che a tutti i costi voleva essere la prossima ad entrare per vedere come stava l'amica.

I due uomini si scambiarono uno sguardo e si avvicinarono.

Il biondo lo salutò con un cenno di testa.

“Va da lei” gli disse senza ricambiare il saluto.

“Dovresti esserci tu”.

Il moro scosse la testa, “Non credo”.

Ryan parve confuso.

“Entra e scoprirlo da solo. Io adesso devo andare”.

Non gli andava di chiedergli dove era diretto, se sarebbe tornato. L'unico pensiero fisso al momento era quella buffa ragazza che tanto amava.

Mosse qualche passo in direzione della porta e prima che potesse abbassare la maniglia, Mark lo fermò: “mi sono sempre chiesto cosa lei vedesse in te che io non avevo”.

Ryan lo guardò senza rispondere.

“Ma forse semplicemente non ero io il suo destino”. Concluse. “Buona fortuna amico”. Gli porse la mano in segno forse di saluto, rispetto o chissà cos'altro. Ryan non riuscì a decifrare quel gesto ma gliela strinse e poi lo vide allontanarsi.

Prese un bel respiro e abbassò la maniglia. Provava mille emozioni diversi ma non era capace a descriverne nemmeno una.

Era un misto tra ansia e gioia, tra paura e voglia di dire tutto ciò che pensava.

Ma quando la vide tutto svanì. Sorrise alla scena che gli si presentò davanti: la rossa sdraiata supina sul letto con la sua creatura tra le braccia. Gli lasciava piccoli baci sul capo.

Era davvero minuscolo.

“Ryan??” si tirò leggermente su. “Credevo che tu fossi partito. Io pensavo che non ci fosse e che...”.

Lui alzò gli occhi al cielo. Non stava mai zitta.

“Ti ho visto sai?!” strillò piano per non spaventare il bambino.

“Stai zitta?” iniziò ad avvicinarsi. “Sono qui per te”.

Lei parve confusa.

“Non so dove andrà a finire questa storia ma una cosa è certa: non ti lascio più. Me ne sono andato già una volta e ho rovinato tutto. Adesso basta scappare”. Si sedette sul letto accanto a lui.

“Non mi interessa se questo bambino non è mio. Ci sono mille coppie in questa situazione. Io voglio te, voglio stare con te”.

Lei sorrise e le scese una lacrima.

“Perché ti amo” le asciugò quella piccola lacrima lasciandole una carezza sul volto.

“Anche io ti amo” mormorò lei.

Il biondo le sorrise e abbassò gli occhi sul bambino.

Sobbalzò leggermente quando esso aprì i suoi. Gli sembrò di guardarsi allo specchio, quei occhi azzurro cielo erano proprio i suoi.

Guardò la rossa.

“Non lo sapevo nemmeno io...”. Mormorò lei.

Rimase senza parole per un tempo troppo lungo, osservando quel bambino.

“Lui è...” deglutì, aveva forse paura a dirlo ad alta voce? “è mio?” lo sussurrò così piano che quasi nemmeno lui si udì.

Lei annuì: “io ho fatto male i calcoli. Adesso tu sarai arrabbiato con me e io lo capisco se non ci vuoi e...” un baciò le bloccò le parole.

“Sta zitta stupida” poggiò la fronte sulla sua. “Ti ho appena detto che ti amo e che voglio stare con te. Non potrei mai lasciarvi. Vi voglio entrambi”.

Lei sorrise ancora e lo abbracciò forte col braccio libero.

“Posso?”, indicò il bambino.

“Certo”.

Lo prese in braccio delicatamente come se avesse paura di romperlo.

Provava un amore così grande che ebbe paura per il suo cuore. Temeva che sarebbe scoppiato da un momento all'altro.

“E' permesso??”. Paddy si era appena affacciata.

“Venite dentro” diede il consenso Straw.

Entrarono tutte insieme e a turno presero il bambino in braccio.

“Come lo chiami?” chiese Lory.

Strawberry osservò il biondo. “Se per qualcuno va bene lo vorrei chiamare James”.

Il ragazzo perse un battito mentre Kyle sorrideva.

“Come... il mio papà?”.

Lei annuì.

“Okay...” mormorò prendendolo di nuovo in braccio. “Piccolo James”.

“Credo che gli piaccia” disse Mina.

Dentro la stanza si era creato un clima a loro tutte familiare, di felicità e amicizia.

Poco dopo si erano uniti anche i genitori di lei. E informati della novità, Shintaro aveva fatto i salti i gioia; perché ''quel carciofo non era adatto a fare il padre''.

In realtà, anche se non lo avrebbe mai ammesso, voleva davvero bene a Ryan.

 

 

 

BUON SALVE A TUTTIII!!

Sono tornata! Finalmente con quello che è il penultimo capitolo.

Il prossimo sarà penso più breve e anche ultimo.

Spero davvero che vi piaccia!

Comunque per quanto riguarda il traffico di Tokyo e il guidare in modo anormale, non credo che lì sia così...

Io sono siciliana, quindi qui da me se non litighi con le persone per strada non riesci a guidare serenamente ahahahah!

Un po' come ho descritto sopra!

Detto ciò spero davvero che sia di vostro gradimento.

Un bacio grande a presto!

P.S. Ho voluto creare un comportamento maturo da parte di Mark, senza scenate o altro. Arreso all'idea che non può competere con il nostro biondino ù.ù

P.S.S. Scusatemi gli errori in tal caso ce ne sono sempre alcuni che non riesco a vedere purtroppo!

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Capitolo 9
*** Epilogo. ***


Salveee, avevo già pubblicato questo capitolo ma purtroppo sbadatamente ho lasciato il PC aperto e mio fratello di 10 anni non so cosa cavolo abbia premuto e lo ha letteralmente eliminato! Me ne sono resa conto subito per fortuna altrimenti guardate voi che pasticcio!

Per chi lo ha già letto vi ringrazio in anticipo per avermi seguito anche in questo mio ultimo delirio, per chi invece dovesse ancora leggerlo... beh, buona lettura!

 

 

Epilogo

 

 

“Straw, il maglione quello blu dov'è?!”.

“Secondo cassetto!”.

Silenzio.

“Non c'è!”.

strawberry sospirò esausta e posò il pesante libro che aveva in mano.

Salì la rampa di scale e si diresse nella sua-nella loro-camera da letto.

“Questo cos'è?”. Tirò fuori il maglione blu di cashmere, il preferito del ragazzo.

“Non c'era due secondi fa” borbottò lui facendole alzare gli occhi al cielo.

Il biondo guardò la sveglia digitale poggiata sul comodino, segnava le 20.30 di sera e loro erano già in ritardato.

Stavolta non per colpa della rossa.

“Ti rendi conto che ultimamente sei tu quello che fa tardi e non io?”.

Ryan la ignorò infilando l'indumento e risistemandosi i capelli con le mani.

“Non è vero, è capitato solo oggi”. La corresse lui ammirando la sua fidanzata fasciata dal vestito rosso fragola che le aveva regalato qualche settimana prima. “Tu sei bellissima”.

Lei sorrise e lo abbracciò da dietro mentre insieme si guardavano attraverso l'enorme specchio dell'armadio.

“Kyle ci ucciderà se facciamo tardi” gli ricordò lei.

“E' la vigilia di Natale, siamo tutti più buoni”. Poggiò le proprie mani su quelle della ragazza. “E poi sarà così preso a giocare con James che non se ne renderà nemmeno conto”.

Lei scosse la testa. Da quando quel piccolo angelo era entrato nelle loro vite, Kyle era letteralmente andato fuori di testa. Passava con lui ogni ora libera e quasi supplicava i genitori di lasciarglielo qualche ora in più al giorno.

Come quella sera, era venuto a prenderlo di pomeriggio e lo aveva portato con sé, dando così del tempo ai due ragazzi di fare le cose con calma. Ma in realtà sapevano benissimo che era solo una scusa per sequestrare loro figlio e tenerlo tutto per sé.

Dal canto suo, il bambino si divertiva a rimanere con Kyle. Era sereno e lo trovavano sempre sorride.

“E' lo zio, cosa ti aspettavi?”.

“Già” disse lui. Anche se effettivamente non avevano legami di sangue, Kyle e Ryan erano da sempre stati come due fratelli.

“Adesso però muoviti o ti uccido”, lo minacciò la ragazza staccandosi da lui. “Ti prendo i calzini” scorse dall'altro lato del letto.

“No aspet-” non ebbe il tempo di fermarla.

Aprì il cassetto e rimase immobile per qualche secondo e poi tirò fuori una scatolina di velluto blu e se la rigirò tra le mani.

“Cos'è?” chiese al biondo guardandolo negli occhi.

“Lo sai benissimo cos'è” il ragazzo le tolse delicatamente la scatolina dalle mani. “Non volevo che lo trovassi così, quindi mi ero ripromesso di toglierla da lì ma poi mi sono dimenticato e...” la aprì, “l'ho comprato quasi subito dopo la nascita di James”. Confessò.

Lei fissò lo splendido anello in oro bianco che le si presentava davanti. Era di modeste dimensioni, ma bellissimo. Brillava tantissimo riflettendo la luce del lampadario, e lui sapeva quanto amasse le cose che brillavano.

Il ragazzo attese una qualsiasi reazione ma non arrivò.

“Ascolta io...” lo richiuse. “Non ti voglio spaventare, okay? Te lo avrei chiesto a tempo debito. Capisco che è tutto affrettato: il bambino, la convivenza e adesso anche questo e...”

“Sì”. Mormorò lei, interrompendolo.

“Cosa?”, per un attimo ebbe il timore di aver capito male.

“Sì. Ho detto sì”. Si avvicinò a lui di qualche passo. “Sì”.

Il biondo la abbracciò issandola da terra. “Solo Dio sa quanto io ti ami” le sussurrò all'orecchio prima di rimetterla giù. E poi si schiarì la voce.

“Che fai?” lo vide mettersi dritto con le spalle e poi prendere un bel respiro.

Will you marry me?”.

La rossa gli prese il viso tra le mani: “Yes, I want to marry you”. E lo baciò con trasporto allacciandogli le braccia al collo.

Dovettero staccarsi di controvoglia mentre lui le infilava l'anello al dito l'orologio digitale segnava già le 21.00.

“Andiamo da nostro figlio, adesso?”. Gli chiese lei.

“Andiamo da nostro figlio” acconsentì lui, infilandosi gli ultimi indumenti mancanti al suo outfit.

 

Se c'era una cosa che il moro sapeva fare bene oltre cucinare, quella era rendere accogliente un posto.

Aveva addobbato tutto il caffè con lucine di tutti i colori e un enorme albero di Natale pieno di palline colorate.

“Oh, ce l'avete fatta!” li sgridò Mina non appena la coppia varcò la soglia.

“Stavolta non è colpa mia” alzò le mani la rossa. “E' il signorino qui che non trova mai nulla”.

“Sei tu che tocchi le mie cose”. Si difese il biondo.

“Non so come Kyle abbia fatto a sopportarti tutti questi anni, ma credo che sia felicissimo che tu te ne sia andato” lo beccò lei.

“Dai su, evitate di litigare anche oggi” sbuffò Mina facendoli accomodare.

Si erano riuniti tutti lì per passare una serena serata insieme, non di certo per spargere sangue sugli addobbi natalizi.

Ma in fondo, si dicevano, erano solo Ryan e Strawberry. Se non litigavano per più di dieci minuti, c'era qualcosa che non andava.

Strawberry andrò dritta in cucina dove-come previsto- trovò Kyle giocherellare con il bimbo.

“Dov'è l'amore di mamma?” la rossa lo prese subito in braccio tra le risatine del piccolo. “Grazie per averlo tenuto, Kyle”. Gli sorrise.

“Ma figurati, è sempre un piacere lo sai” le sorrise gentile.

“Buon Natale amico mio” il biondo gli diede un veloce abbraccio affettuoso prima di dedicare la sua attenzione al figlio.

“E tu, cosa hai combinato tutto il pomeriggio eh?” lo baciò ripetutamente sulle guance piene.

Il piccolo emetteva versi incomprensibili, aveva solo nove mesi ma sembrava capire tutto al volo.

“Un altro paio di mesi e questo pupo parlerà meglio di tutti noi, fidati di me”. Disse Kyle.

“Almeno ho la certezza che non sia deficiente come la madre”.

“Ehi! Io sono qui!”.

“Lo so, my love”.

In cucina fece capolinea Paddy che gettò un urlo che fece sobbalzare tutti.

“OH MIO DIO COS'E' QUELLO?!”, tirò a sé la mano di Strawberry guardando l'anello.

“Paddy!!”.

Inutili furono i tentativi dell'amica di non farsi trascinare dall'altra parte del locale, ritrovandosi presto circondata da tutte le ragazze che le rivolgevano mille domande.

“Alla fine hai fatto il grande passo” Kyle poggiò una mano sulla spalla dell'amico.

Lui annuì. “Sono felice, Kyle”.

“Lo so, piccolo, si vede”.

Lui rise leggermente, non avrebbe mai smesso di chiamarlo piccolo; ma in fondo la cosa gli piaceva.

James continuava a giocare con le pieghe del maglione del padre mentre lui lo osservava più innamorato che mai.

Lanciò un'occhiata veloce alle ragazze e incrociò lo sguardo di Pam che, dall'altro lato della sala, gli sorrideva sincera.

Perché sì, sapeva che non sarebbe stato tutto rose e fiori. Sapeva che da quel giorno fino al resto della sua vita avrebbe avuto delle responsabilità.

Ma non gli importava. Era pronto a tutto.

Non si era mai sentito così felice in vita sua.

E qualsiasi cosa il destino gli avrebbe riservato, lui era pronto ad affrontarla. Insieme alla sua famiglia.

Ryan non aveva mai amato particolarmente il natale; ma quell'anno, si era detto, era diverso.

E chissà, forse avrebbe imparato ad amare anche quella festività.

Perché tra i sorrisi delle sue amiche, del suo migliore amico, della donna che amava e del suo bambino, finalmente sorrideva anche lui.

 

 

 

BUON SALVE A TUTTI!!

Siamo arrivati alla fine di questa avventura. Ammetto che un po' mi mancherà però mi da sollievo averla portato al termine!

Spero davvero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto. A me particolarmente.

Ringrazio davvero tutti coloro che l'anno seguita fin dall'inizio, un grazie dal cuore. Davvero, siete fantastici!

Un bacio enorme a tutti voi.

Mi sento un po' malinconica ma dettagli!

Grazie mille ancora! A presto, un enorme bacio!

 

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