Narciso

di serenamulone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eco ***
Capitolo 2: *** Eco ***



Capitolo 1
*** Eco ***


Narciso

/nar·cì·ṣo/

sostantivo maschile

Per antonomasia, persona innamorata di sé










 

Narciso osservò la sua immagine riflessa sullo specchio d'acqua limpido davanti a sé, ammirandone le meravigliose fattezze: le gote rosee leggermente scavate, i capelli e gli occhi scuri come la pece con riflessi color notte e stelle e costellazioni incastonate al loro interno, le sopracciglia folte e definite che rendevano il suo sguardo così enigmatico e ammaliante da far cascare ai suoi piedi chiunque, la carnagione chiara che ricordava il bagliore della luna, le labbra che in molte avrebbero voluto assaporare erano dello stesso colore dei fiori di loto ed apparivano soffici e morbide, le scapole sporgenti e le clavicole spigolose messe in evidenza dal suo fisico asciutto e allenato dalle continue corse nei boschi e il suo pomo d'Adamo che faceva su e giù mentre rifletteva.

Le ninfe di tutta la radura avrebbero ingannato, avvelenato ed ucciso per essere considerate degne della sua attenzione.

Narciso era bello, di una bellezza tale da togliere il fiato, da far sfigurare persino quella degli Dei. Se un pittore avesse deciso di immortalarlo lì, seduto su quella roccia, immerso nella quiete della foresta con solo il suo riflesso a fargli compagnia, non sarebbe stato capace di rendergli giustizia tramite l'uso dei suoi pennelli e colori, che sarebbero apparsi così smunti e spenti, non sarebbe stato in grado di ritrarre i suoi lineamenti che sfioravano la perfezione né di catturare quella sua espressione così lieta e serena, come se ogni parte del suo corpo appartenesse a quel posto. 

La natura si piegava al suo volere anch'essa affascinata dal suo strabiliante splendore. Il vento gli scostava delicatamente i capelli dal viso e il rumore dell'acqua che sgorgava dalla vicina sorgente collaborava nel creare quella strana ma incantevole armonia. Gli animali che lo circondavano lo osservavano con aria sognante e lei avrebbe voluto essere quel pettirosso, avrebbe voluto posarsi sulla sua spalla, scrutarlo da vicino anche a costo di rimanerne accecata.

Ma Eco non gli si avvicinava mai, lo guardava da dietro un albero, spaventata dall'interrompere quell'equilibrio perfetto, e in quel momento avrebbe voluto saper dipingere o scolpire nel marmo o nella pietra quella visione fiabesca per farla rivivere nel tempo, avrebbe voluto provarci consapevole di non poter racchiudere la sua perfezione in qualcosa di materiale.

Se in passato non fosse stata punita da Giunone a causa delle sue chiacchiere, se non le fosse stato vietato l'uso della parola e se non fosse stata condannata a dover ripetere solo le ultime parole che le venivano rivolte o che udiva, avrebbe cantato immense lodi a Mnemosine, figlia del Cielo e della Terra, dea della memoria, pregandola di far si che quella scena rimanesse impressa nella sua mente, conservata intatta in una teca di vetro nascosta nei meandri più reconditi per paura che qualcuno potesse rubargliela.

Ed Eco non si accorse di aver pestato un ramoscello, non si accorse del sangue che fuoriusciva dalla ferita e non si accorse di aver attirato la sua attenzione, non si rese neanche conto del suo sguardo su di lei fino a quando non alzò il viso e il panico e il terrore si manifestarono su di esso.

Il silenzio di quell'attimo scandito dai battiti accelerati del suo cuore, che ricordavano vagamente quelli di un cerbiatto preda di un lupo.

Rimase immobile in balia dei suoi occhi, come un marinaio in balia delle onde di un mare sempre più tempestoso.

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Capitolo 2
*** Eco ***


Eco cercò di indietreggiare, riprendendo il percorso delle sue orme, la cui traccia rimaneva sbiadita sul terreno. Avrebbe preferito sprofondare nel Tartaro o annegare nello Stige piuttosto che vivere quel momento. Si sentì sbagliata, fuori posto, la nota stonata in una melodia perfetta. Ma Narciso, quel Narciso che aveva osservato a lungo elogiandone i numerosi pregi ma tralasciandone erroneamente e volutamente i difetti, adesso era lì e la guardava in modo così intenso capace di farle mancare la terra sotto i piedi. Probabilmente se avesse avuto la possibilità di parlare senza alcune restrizione, avrebbe balbettato qualche frase incomprensibile cercando di scusarsi o di giustificare la sua presenza. Aveva interrotto il momento di armonia e quiete che sino a poco prima regnava nella radura. Narciso mosse un passo verso di lei ed Eco sentì il cuore uscirle dal petto. Si chiese se fosse normale per una comune ninfa provare un sentimento così forte, se inconsapevolmente avesse infranto qualche legge divina che riservava questo diritto solo agli dei o se qualcuno lassù nell'Olimpo si stesse prendendo in qualche modo gioco di lei. E i passi divennero due, tre, quattro, fino a quando non se lo ritrovò davanti in tutta la bellezza che Afrodite aveva deciso di donargli. Istintivamente le sue mani si avvicinarono al volto di lui, impaurite gli sfiorarono il naso, il contorno delle labbra, poi più sicure gli accarezzarono la mandibola, si adagiarono sulle spalle e vicino al collo. Per un singolo momento Eco pensò che lui le stesse dando la possibilità di entrare nel suo mondo fatto di incanti e sogni ma Narciso con indifferenza si scrollò di dosso le sue mani, come se in qualche modo quel contatto lo ripugnasse e le rivolse uno sguardo freddo che sembrava dirle di andarsene. Vattene, scompari gridavano i suoi occhi. In tutto il bosco esplose il rumore di qualcosa di delicato e fragile che si infrangeva contro la roccia, che si frammentava in cristalli sempre più piccoli e più taglienti, in grado di provocare ferite profonde e cicatrici inguaribili. La ninfa corse via lasciando a terra i pezzi del suo cuore infranto, la foresta la reclamò sentendo il suo dolore, la accolse fra le sue braccia pronta a consolarla, come una madre farebbe con il proprio figlio. Eco divenne parte integrante della natura, le sue ossa mutarono in pietra, con le sue lacrime si riempirono enormi laghi e fiumi, i suoi capelli divennero la chioma di un salice e di lei rimase solo il suono di quel grido che le era morto incastrato in gola. I giorni passarono e Narciso cercò di dimenticare l'accaduto, ma ogni volta che cacciava nella foresta pensava ad Eco ed ai suoi occhi colmi di disincanto e rammarico. Mosso dal rimorso si recò nuovamente nel luogo del loro incontro, si guardò intorno sperando di scorgerla tra gli alberi ma non la vide. Dopo aver appurato con tristezza che lei non ci fosse, il suo sguardo rimase incagliato sullo specchio d'acqua limpido, che sembrava ipnotizzarlo con le sue movenze armoniose e malinconiche, gli sembrò totalmente diverso dalla prima volta in cui ci si era specchiato, quasi come se qualcuno gli avesse fatto dono delle sue lacrime. Narciso non riuscì mai più a distogliere lo sguardo, dentro quella pozza d'acqua argentea sembrava vederci Eco. La stessa Eco che aveva allontanato incurante dei suoi sentimenti nei suoi confronti, la stessa Eco che si era avvicinata a lui osservandolo con amore, come nessuno aveva mai realmente fatto.

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