L'artista

di Sabriel Schermann
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***














immagine-per-Giada

 

 

 

 

 

Tutto mi dice che sto per prendere una decisione errata,
ma anche gli errori sono un modo di agire.
Cosa vuole il mondo da me? Che non corra i miei rischi?
Che torni da dove sono venuta, senza avere il coraggio di dire di sì alla vita?

 (Paulo Coelho – Undici Minuti)

 

 

 

 

 

Una ragazzina dalla pelle ambrata e un giovane dai capelli biondi si esibivano al centro della piazza principale del loro quartiere, davanti ai passanti.
La ragazza faceva acrobazie e il giovane, truccato di bianco e con un grosso naso da clown, presentava un avvincente spettacolo di giocoleria.
Un’uniforme a rombi colorata gli ricopriva l'intero corpo.
Le palline da tennis gli scivolavano tra le mani come se scottassero e in pochi secondi realizzò un numero degno di arte circense.
La ragazzina, stordita dalle continue giravolte, si fermò un attimo a osservare un passante immobile di fronte a loro, ipnotizzato dalla loro arte; ma subito quello fuggì via frettoloso, come scoperto nel bel mezzo di un'azione illecita.
Interdetta, la giovane sbirciò nella piccola scatola colorata posta davanti a sé, senza scoprire più di qualche centesimo.
Il sole stava per tramontare e la gente si affrettava a tornare a casa.
Lei osservava ognuno avviarsi veloce verso la sua meta, quando il suo sguardo raggiunse, quasi all'altro estremo della piazza, un uomo di mezz'età poggiato alla parete di una casa, intento ad osservarli.
I capelli grigi erano leggermente mossi dal vento, la mano frugava impaziente in una tasca.
Pochi secondi dopo ne estrasse un pacchetto di sigarette, se ne portò una alla bocca e la ragazza fece in tempo a vedere la fiamma dell'accendino brillare davanti agli occhi prima che una voce la distraesse dai propri pensieri.

«
Noël, che stai facendo? Ormai è tardi, dobbiamo tornare a casa».
La voce proveniva dal ragazzo accanto a lei, l'aspirante circense.

«
E anche oggi non abbiamo concluso nulla» continuò lui rassegnato, raccogliendo la scatolina ai loro piedi.
Si conoscevano da più di tre anni e da un paio di mesi, quasi ogni pomeriggio, andavano in piazza ad esibirsi, con la speranza di racimolare qualche moneta.

«
Non è vero» obiettò la ragazza, «guarda» aggiunse, facendosi scivolare sul palmo i pochi centesimi raccolti.
Il giovane la scrutò con aria interrogativa, schiudendo gli occhi alla luce del sole all'orizzonte.

«
Oh certo, sicuramente con questi soldi potremo pagarci la scuola!» borbottò, facendole segno di tenersi il denaro.
«S
iamo ricchi!» bofonchiò il ragazzo in un tono neanche lontanamente soddisfatto, eseguendo un assemblé¹ distorto.
La ragazza sorrise, raggiungendolo.

«
Prima o poi ce la faremo» sussurrò più che altro a se stessa, tornando a guardare il punto in cui vide quell'uomo.
Ma, con sua sorpresa, era già sparito, lasciando dietro di sé soltanto una sigaretta mezza spenta.

«
Ci vediamo domani, d’accordo?» disse il ragazzo, fissandola negli occhi.
Lei annuì, voltandosi per tornare a casa, senza accorgersi che lui non si era voltato a sua volta, ma era rimasto lì a fissarla fino a quando non scomparve in mezzo alla folla.

 

~

 

Quando Noël tornò a casa quella sera, la prima cosa che vide fu la schiena della madre spostarsi veloce accanto ai fornelli.
Mosse timidamente un passo in avanti e il suo sguardo cadde accidentalmente sul tavolino accanto al divano, in cui una foto di famiglia campeggiava in tutta la sua bellezza.
Noël rimase quasi ipnotizzata dal fascino della madre: i suoi capelli erano scuri e lucenti, gli occhi azzurri sembravano incantare l'autore della foto.
Poi posò lo sguardo su di lei, sulla donna reale che armeggiava in cucina, osservandola meglio.
Sembrava che la vecchiaia si fosse impossessata di sua madre prima ancora che lei stessa potesse accorgersene.
Mentre saliva per la scala stretta che portava al piano superiore, sentì una voce borbottare: «Dovresti smetterla di stare fuori fino a tardi!».
La ragazza provò a difendersi, pur sapendo di non avere scampo: «Ma sono solo le sei e mezza, mamma!».
Sentì la donna ribattere, ma non comprese ciò che disse, decidendo di lasciar perdere.
Si gettò a peso morto sul letto, scaraventando le scarpe da qualche parte nella stanza e chiuse gli occhi.
Pensò a Denis, ai suoi compagni di scuola, a quell'uomo misterioso che li fissava assorto.
Si chiese che cosa stesse facendo in quel momento, e istintivamente se lo immaginò con una sigaretta in mano e il fumo che fuoriusciva lentamente dalle labbra.
Pensò a quella volta che, girovagando per le strade di Montmartre con sua madre, notò un quadro di un artista di strada decisamente inquietante.
Raffigurava due sposi classici per torte nuziali, con l’unica differenza della testa mozzata dello sposo.
La consorte teneva un mazzo di fiori rosa in mano e la sua espressione pareva rilassata, ma lui sulle mani penzolanti sui fianchi aveva il proprio sangue, così come sul collo spezzato.
Della testa non c’era alcuna traccia.
Il sangue proseguiva fino all'interno della camicia, aperta al primo bottone, poi soltanto la normalità.
Quando sua madre lo vide le coprì gli occhi con i palmi, borbottando qualche cosa sulla decenza e il buon gusto.
Ma Noël non le diede ascolto: nonostante lo stile cupo e tetro del pittore, a lei quel quadro piacque forse più di tutti quelli che aveva visto fino ad allora.
Oltre a una leggera angoscia, le trasmetteva anche un profondo senso di naturalezza, una sensazione di vita e di morte, di qualcosa che inizia ed è destinato a terminare, come tutte le cose.
Dopo la cena, Noël salì in soffitta, come ogni sera.
Quel piccolo ammasso di oggetti dimenticati era il suo nascondiglio preferito, nonché il luogo perfetto per riflettere su qualcosa che non sapeva nemmeno lei con certezza.
Tutto o forse niente.
Forse lo amava soltanto perché sul tetto c'era il vetro, e poteva osservare la luna splendere nel cielo e le stelle farle compagnia.
Ma quella sera, non c'era luna a illuminarla.
Il buio si era impossessato della volta celeste, e lei semplicemente rimase lì, nell'oscurità, a pensare a qualcosa che la facesse evadere dalla realtà di quell'ombra minacciosa.

 

~

 

Il giorno seguente, durante una calda mattinata di giugno, Noël si incamminava per andare a scuola.
Quando arrivò, il cancello era ancora serrato e gruppi di ragazzi più o meno grandi di lei si erano formati ai lati della lunga tettoia che lo proteggeva durante le giornate di pioggia.
La ragazza si sedette svogliata in un angolo del muretto, guardandosi intorno spaesata.
Quella era la sua città natia, quelle erano la sua scuola e le strade in cui era cresciuta, ma lei non si era mai abituata a tutto ciò.
Si sentiva un'estranea in tutta quella familiarità, una straniera.
Aveva sempre percepito questa sensazione e sapeva che avrebbe continuato a sentirla forse per sempre.
Sua madre le aveva spesso raccontato di quando, circa vent'anni prima, lei e suo padre emigrarono da Breslavia, in Polonia, in cerca di lavoro, di benessere e soprattutto di una vita dignitosa.
Ambientarsi in una nazione straniera quando non si conoscono né la lingua né la quotidianità degli abitanti è difficile e a volte estremamente demoralizzante.
Lei arrivò quattro anni dopo, quando Paweł ed Ewa avevano trovato ormai un lavoro stabile ed erano riusciti, almeno in parte, a tralasciare la loro origine e le proprie abitudini per adeguarsi alla vita della capitale di un Paese lontano.
Quando scostò lo sguardo sulla strada, notò una ragazzina osservarla curiosamente.
Non l'aveva mai vista prima, non conosceva il suo nome né la sua età, ma quando i loro sguardi si incrociarono, la vide sorridere e avvicinarsi sempre più.
Stava quasi per allontanarsi, quando la giovane la salutò cordiale.
Così si ritrovò a rispondere al saluto prima che lei stessa potesse accorgersene.

«
Il mio nome è Samira» disse la ragazza porgendole la mano con un brillante sorriso sulle labbra.
Il suo viso era scarno e un tempo doveva essere stato rotondo, i capelli castani le ricadevano morbidamente sulle spalle.

«S
ono nuova qui. Sono arrivata tre giorni fa da Nancy²» continuò la giovane, senza spostare lo sguardo dal viso di Noël.
Lei sorrise distratta, infilandosi le mani nelle tasche piene di brandelli di fazzoletti.
Un mormorio di stupore arrivò improvvisamente alle sue orecchie, costringendola a voltarsi.

«
Wow! Io sono stato a Nancy una volta!».
Noël osservò il suo amico stupita. Le labbra di Samira si aprirono in un nuovo sorriso.
Poi la campanella della prima ora suonò, e la conversazione rimase sospesa nell'aria.
Mentre la nuova arrivata si affrettava verso la porta d'entrata, lo sguardo di Noël si soffermò su Denis.
Osservò le sue labbra, più rosse del solito, e le guance imporporate nonostante la pelle lattea e il caldo asfissiante.
Il ragazzo indossava dei pantaloni verdi lunghi fino al ginocchio e una camicia bianca con le maniche corte.
Dal colletto spuntava una collanina di caucciù; Noël non aveva mai capito il motivo per cui il ragazzo non volesse mostrarla.
Tutt’a un tratto, una frase le uscì ribelle dalle labbra:
«Non mi avevi mai detto di essere stato a Nancy».
Il ragazzo sfuggì al suo sguardo:
«Beh, mica posso dirti: “Ei, sai che sono stato a Nancy?”. Mi prenderesti per pazzo».
«
Tu non preoccuparti di quello che potrei pensare io».
Denis sorrise, percependo una punta di gelosia e forse invidia nella voce della ragazza, ma decise di non farci caso.
Così si incamminò verso l'entrata, varcando il cancello e lasciandola indietro.
Questa volta fu lei ad osservare la sua schiena fino a quando il ragazzo non varcò il portone di vetro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

¹ Salto della danza classica, eseguito inizialmente con una sola gamba, atterrando infine su entrambe.

² Comune francese nel dipartimento della Meurthe e Mosella, al confine con la Germania.

 

 

 

 

 

Disclaimer: Questa storia è stata scritta nel 2014, durante la mia lunga pausa da EFP; sono state fatte delle mere modifiche estetiche, ma a livello stilistico non è stato modificato quasi nulla.
I crediti per l’immagine non mi appartengono; ulteriori creazioni del proprietario potete trovarle sul suo profilo Instagram.


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



Camminando per le strade che portavano al centro di Montmartre, Noël lasciò che la sua mente vagasse verso l'ignoto, verso qualcosa di piacevole ma anche estremamente pericoloso.
Qualcosa che avrebbe potuto costarle tutto e non darle nulla in cambio.
Passò davanti al cimitero, e notò distrattamente una piccola folla formarsi davanti all'entrata, probabilmente a causa di un imminente funerale, o forse di uno appena concluso.
Uomini e donne vestiti di nero, alcune con cappelli eleganti, altri con scarpe colorate decisamente stonanti.
Nel mezzo della folla, però, c'era un buco occupato da un bambino con un orsacchiotto in mano.
Lui non era ben vestito come gli altri, e quando si volse verso di lei, Noël fu sicura di vedere una macchia sul suo viso, come un livido rossastro.
I capelli del bambino erano chiari e lucenti alla luce del sole, ma i suoi occhi erano inquietanti.
Le ricordava il protagonista di un quadro che sua madre acquistò tempo prima per pochi soldi, sostenendo che “due bambini donano un'aria di ospitalità e accoglienza all'interno della casa”.
La tela, posta al centro del corridoio, raffigurava due fanciulli, un maschio e una femmina: la bambina indossava un vestitino azzurro estivo e guardava assorta qualcosa davanti a sé.
Il bambino invece era voltato dalla parte opposta, e il suo sguardo aveva evidentemente catturato qualcosa di inquietante.
Se fosse stato per le due figure e il paesaggio sterrato sullo sfondo, Noël avrebbe apprezzato quella tela; ma dietro la porta semiaperta alle loro spalle una figura sfocata era appena visibile, come nascosta, nera e rosseggiante.
Le uniche caratteristiche comprensibili erano i capelli e le mani.
Queste ultime erano sfumate, come in movimento, e sembravano voler afferrare il bambino, più vicino.
I capelli invece erano di un colore verde petrolio e parevano dotati di vita propria, perché formavano una figura incomprensibile sopra la testa di quell'essere.
Peccato che sua madre non si fosse accorta di quel piccolo dettaglio.
Le gambe e i lunghi vestiti delle persone attorno a lui coprivano quasi interamente il giovane, ma Noël sapeva che la stava guardando.
Così, imbarazzata, si avviò di nuovo verso il centro, fino a quando non arrivò alla Basilica del Sacro Cuore.
Senza nemmeno rendersene conto, la sua mente tornò a pensare a Denis: erano giorni che non lo vedeva né lo sentiva.
Si sedette lentamente in un angolo della scala, lontano dai turisti.
Si maledisse perché la sua mente vagava e rifletteva sempre troppo, spesso più di quello che avrebbe dovuto.
Denis era apparentemente molto diverso da lei, più estroverso ed espansivo e pareva che tutto per lui fosse estremamente semplice.
Nessuno lo obbligava a stare con lei. Non c'era nessun vincolo.
Poteva andarsene quando voleva.
E Noël sapeva che quando lui voleva qualcosa, se la prendeva e basta.

 

~

 

Montmartre, Parigi, settembre 2010


Una bambina di undici anni camminava lentamente verso la scuola.
Era il primo giorno e quella mattina aveva litigato con la madre, insistente sul fatto che doveva imparare ad essere autonoma e ad andare a scuola da sola.
Frequentare la scuola media significava anche questo.
Ricordava ancora quando, tre anni prima, il primo giorno di scuola dovette andare senza nessuno.
Erano appena tornati in Francia dalla Polonia, sua madre doveva lavorare e suo padre era troppo ubriaco per poter presenziare al primo giorno di scuola della figlia.
Arrivò con un quarto d'ora di anticipo, nonostante l’edificio fosse lontano dal suo quartiere, e per quindici minuti rimase lì ad osservare i bambini che presto sarebbero diventati i suoi nuovi compagni.
Per quindici minuti sperò che dalla terra sotto ai suoi piedi si aprisse un varco, risucchiandola e riportandola a Breslavia, dalla nonna Sofia, dagli zii e dai cugini.
Il soggiorno era durato soltanto dieci giorni, ma erano stati indubbiamente i giorni più felici della sua vita.
In quel momento, in piedi davanti al cancello della sua nuova scuola, aveva odiato i suoi genitori, quei bambini e perfino se stessa.
Avrebbe voluto scomparire per sempre, oppure ricomparire in un'altra parte del mondo sconosciuta, ricominciando tutto daccapo.
E tre anni dopo, mentre si avviava a passo lento verso la scuola, si stupì di ricordare esattamente ogni sensazione che provò stando lì a fissare quegli odiosi e insopportabili marmocchi.
Era certa che quella mattina sarebbe arrivata nuovamente in anticipo e avrebbe provato ancora una volta quella sensazione di disagio ed emarginazione.
E improvvisamente si chiese per quanto avrebbe continuato a sentirla, per quanto tempo sarebbe ancora andata a scuola e semmai ci fosse stato anche un solo attimo, nella sua vita, in cui si sarebbe sentita appagata e felice.

 

~

 

Ormai erano le undici e mezzo del mattino di un sabato di giugno troppo normale per essere ricordato; Noël, invece di rientrare a casa, si diresse verso il locale della città, giusto per mettere qualcosa dentro il suo stomaco vuoto e affamato.
Si allontanò dalla Basilica e ripercorse la strada davanti al cimitero, ma ciò che vide fu soltanto un cancello grigio, opaco anche al sole, e poco oltre un vuoto sentiero di pietra.
Quando arrivò, si sedette ad un tavolino accanto al vetro, aspettando che qualcuno le rivolgesse attenzione.
Riusciva quasi a scorgere la casa di Denis da quella postazione.
Le persiane della cucina erano aperte, ma la porta di vetro interna era chiusa, coperta da tende color avorio.
Fece in tempo a vedere una donna bionda e robusta uscire sulla terrazza quando, improvvisamente, una voce la distrasse: «Cosa desidera, signorina?».
Una ragazza di circa vent'anni era comparsa davanti a lei, così alta che sembrava sovrastarla.
I suoi capelli erano neri e i suoi occhi così grandi da causare un certo disagio a chi li incontrava.

«
Una spremuta, grazie» mormorò Noël un po' imbarazzata, abbassando lo sguardo.
Appena la donna si girò, una ragazzina di quindici anni dalla pelle chiara prese posto accanto a lei.

«
Samira» mormorò, con un accenno di irritazione nella voce.
Aveva ancora un'espressione stupita quando la ragazza le chiese il motivo per cui si trovava lì.
Noël avrebbe voluto ribattere con la stessa domanda, ma si trattenne, rammentando ciò che le aveva detto Denis l'ultima volta che lo aveva fatto con lui.

«
Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda» aveva detto con voce seria e calma, «è maleducazione».
Così la ragazza fu costretta a rispondere con la verità.

«
Avevo fame».
Samira la guardò con i suoi grandi occhi castani pieni di vita.
Noël aveva fame, ma anche tanta paura.

«
Come sta Denis?».
Non era riuscita a impedirsi di porgerle quella domanda.

«
Avete parlato?» continuò, giusto per non far intendere alla ragazza che il giovane fosse il suo unico pensiero.
«
Oggi non l'ho visto» sussurrò Samira, «Ma mi ha parlato molto di te» aggiunse, con un lieve sorriso.
La ragazza fu compiaciuta nel sentire quell'ultima frase, ma non si godette appieno quella soddisfazione.
Pensò che fosse il minimo che Denis potesse fare, ma in quel momento, un'altra domanda si faceva strada nella sua mente: se non era con lei, allora dov'era Denis?


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***



Quando uscirono da scuola, Denis e Samira si ritrovarono praticamente uno di fronte all'altro.
In dieci minuti, Denis scoprì che Samira abitava di fronte ad un piccolo locale, poco lontano da dove lui e Noël erano soliti esibirsi il pomeriggio.
Dopo averla salutata, sulla strada di casa, gli tornò alla mente una scena avvenuta qualche giorno prima.
Anche se Noël non se n'era accorta, aveva notato anche lui l'uomo che li osservava intento a fumare, appoggiato ad una casa dall'altra parte della piazza.
Prima di andarsene, aveva rivolto loro un ultimo sguardo, scomparendo poi dietro le case a schiera.
Quando la ragazza scomparve tra la folla, Denis decise di seguirlo, e ciò che scoprì lo lasciò a bocca aperta.
Dietro l'ultima casa, una villetta rosa poco lontano dalla piazza, c'era quello che assomigliava in tutto e per tutto a una bottega.
Non sapeva se l'uomo fosse entrato lì dentro, ma non aveva saputo resistere alla curiosità di vedere che cosa ci fosse all'interno.
La porta era aperta e non c'erano insegne né volantini che facessero presupporre che quello fosse un luogo frequentato da qualcuno.
Appena varcò la soglia, osservando l'ampio spazio dinanzi a sé, il suo pensiero andò a Noël.
Era sicuro che sarebbe impazzita se l'avesse visto.
C'erano quadri ovunque: appesi alle pareti, su cavalletti alti e bassi, tele grandi e più piccole.
In un angolo nascosto dell'atelier c'erano altre tele, tutte dipinte con colori sgargianti e allegri, ancora incomplete.
Denis pensò che quel laboratorio appartenesse al proprietario di qualche galleria, o comunque a qualcuno abbastanza famoso da poter vivere dipingendo.
Fece un passo in avanti, e il suo spazio visivo aumentò.
Un quadro particolare attirò la sua attenzione, ma si accorse ben presto che si trattava di ben tre quadri, che, uniti insieme, formavano un'unica figura.
Un piccolo spazio di parete bianca li separava l'uno dall'altro.
Si trattava di un tramonto sul mare con colori ad olio.
Il cielo colorato dal sole era stato dipinto di un arancione vivo e la schiuma del mare era bianca e azzurrina sulla spiaggia: una barca solitaria faceva capolino in lontananza, dove l’acqua era più scura e pericolosa.
Il sole era già scomparso dietro le onde, ma sembrava aver lasciato sulla sua scia una luce immensa.
Per un attimo, Denis chiuse gli occhi, immaginando di essere lì, potendo quasi percepire sui piedi nudi il solletico della schiuma e la sua delicatezza.
Quando il ragazzo riuscì a distogliere lo sguardo dal quadro, lo posò su un’altra tela, altrettanto affascinante: il profilo di una donna si estendeva per tutta la sua lunghezza, a eccezione del filo di sfondo grigio appena visibile sulla parte inferiore del quadro.
Era voltata di schiena e sembrava riversa sul pavimento.
Tuttavia, non sembrava morta e non c'era alcuna traccia di sangue.
Poteva essere deceduta naturalmente, svenuta o semplicemente addormentata.
I capelli erano biondi come paglia, e il suo corpo nudo sinuoso e sensuale.
Le gambe erano piegate l'una sull'altra, i glutei sodi, la vita e i contorni del corpo dipinti divinamente.
Denis pensò che non avrebbe fatto fatica ad immaginarla anche dal lato opposto.
Ogni particolare sembrava avere un senso; l'unica caratteristica che non poteva conoscere era il viso.
Era coperto dai capelli, che si riversavano sulla superficie fredda come un corpo esausto si accascia al suolo.
La donna era semplice, non indossava gioielli né fermagli.
Estasiato da tutta quella bellezza e con una leggera paura di essere scoperto, Denis lasciò il laboratorio, con la promessa di tornare.
Il giorno seguente non ne parlò con Noël, né con nessun altro.
Il sabato arrivò e passò in fretta, e dopo di esso un altro ancora.
Quando, quella mattina, vide un filo di sole illuminare la parete della propria camera da letto, intuì che i genitori dovessero già essere in piedi.
Lasciò vagare la sua mente tra ricordi recenti e passati, gioie e dolori, fino ad arrivare a quel giorno nella bottega.
Si rammentò dei due quadri e della miriade di altre pitture che aveva visto.
Aveva sbirciato anche in quelle ancora da terminare, ma non aveva capito quasi nulla, perché ne mancava una buona parte.
Si chiese a chi appartenesse quell'atelier così ordinato, chi avesse pitturato quelle tele così belle, e chi fosse quella donna senza veli nell'ultima tela che aveva avuto il coraggio di osservare.
Poi, un pensiero che non avrebbe voluto pensare gli invase la mente: i capelli biondi divennero rossi, la pelle lattea diventò più scura.
La differenza tra la donna del quadro e quella della sua fantasia era che, questa volta, Denis poteva immaginare chiaramente il suo viso e tutte le sue espressioni.
Con la sua immaginazione sognò di sfiorare quelle gambe, quel ventre e di poter stringere quei seni, torturarli con baci leggeri e passionali, comprimerli tra i denti.
Quando un rumore lo riscosse dai suoi pensieri erotici, se ne vergognò lievemente, domandandosi come poteva provare un tale desiderio per qualcuno che fino a quel momento aveva considerato soltanto un'amica.
Così, mentre due ragazze chiacchieravano in un modesto locale di Montmartre a pochi passi dalla piazza principale, un ragazzo dai capelli d'oro camminava frettoloso verso la parte opposta della città, oltre le case.
Forse, soltanto per scoprire una verità che non aveva il coraggio di accettare.

 

~

 

Creutzwald, Mosella, aprile 2004 

Era una notte buia e rigida a Creutzwald, e Denis aveva freddo e sonno.
Sapeva che presto avrebbe dovuto svegliarsi per prendere il treno diretto a Parigi.
Non era mai stato nella capitale, era nato e cresciuto lì, in quel piccolo comune poco lontano da Nancy, in quella baracca che sua madre si ostinava a chiamare casa.
Era un piccolo edificio di legno, gelido ma accogliente, con il necessario per vivere.
Negli ultimi anni sua madre aveva faticato molto per riservargli una minuscola cameretta, con un letto, un comodino e una lampada ad olio.
Ma gli spiragli delle finestre mezze rotte d'inverno non risparmiavano nessuno, e spesso in tutte le stanze della casa – che erano soltanto tre – si congelava.
Quella notte Denis era irrequieto, e non aveva voglia di restare solo.
Pensò a suo padre, Julian, di cui sua madre parlava spesso.
Di suo padre Denis sapeva soltanto che era tedesco, e che probabilmente era tornato in Germania prima della sua nascita.
Molte volte si domandava il motivo per cui avesse lasciato sua madre, una donna così bella quanto testarda.
Nathalie, una ragazza magra e minuta sui trentacinque anni, quella notte dormiva profondamente quando Denis cominciò a piangere sommessamente nel suo letto.
Sentiva le lacrime bruciargli gli occhi e scendere velocemente sulla federa del cuscino, inzuppandola.
Aveva pensato ad una bugia da poter raccontare alla madre per poter dormire con lei: avrebbe potuto dire che aveva visto uno spirito, meglio se quello di suo padre, entrare nel suo letto o comparire oltre il vetro della finestra.
Anche se suo padre non lo conosceva affatto.
Fantasticava di frequente su come fosse il suo volto e ogni volta compariva qualcosa di nuovo, qualche particolare in più.
Si alzò lentamente, camminando scalzo lungo i centimetri che lo separavano dalla donna, infilandosi poi silenzioso nel suo letto.
Si strinse alla sua vita, avvolgendosi le braccia calde intorno al corpo.
Sentiva il suo respiro leggero vibrare nell'aria ed era sicuro che se ci fosse stata un po' di luce, avrebbe potuto vedere il suo ventre alzarsi e abbassarsi ritmicamente.
Sembrava che Nathalie non l'avesse sentito, ma si mosse un poco, avvicinandolo a sé.
E solo in quel momento, con i pensieri avvolti nella bugia di un fantasma, Denis si addormentò.
Sognò un uomo e una donna su un treno diretto a Parigi.

 

~

 

Quando Noël arrivò a casa quel giorno, era ormai pomeriggio e si era preparata ad una lunga ramanzina della madre e, se avesse avuto sfortuna, anche da parte di entrambi i genitori.
Quando aprì la porta, tuttavia, ci fu soltanto silenzio.
Fece due passi in avanti, entrando in soggiorno, sbirciando dentro la cucina.

«
Mamma?» provò a chiamare.
Lo ripeté un paio di volte, per poi convincersi che non ci fosse davvero nessuno in casa.
Aveva fame, ma aveva avuto appena i soldi necessari per acquistare una spremuta.
Ne aveva bevuto soltanto un sorso quando un uomo entrò tranquillo, appoggiandosi al balcone.
Fece appena in tempo a vedere la cameriera avvicinarsi a lui quando Samira la tirò per un braccio, facendola alzare bruscamente.

«
Andiamo» le sussurrò, e Noël fu costretta a lasciare una moneta – tutto ciò che aveva – sul tavolo prima di correre fuori, lontano dal locale.
Sconcertata e irritata, la ragazzina alzò un po' la voce quando le chiese cosa diavolo le fosse passato per la testa.

«
È mio padre» disse Samira agitata e affannata dalla corsa.
«
Quell'uomo» aggiunse, «è mio padre».
Noël la osservò sorpresa: l'uomo con la sigaretta in mano nella piazza era suo padre?
Stentava a crederci, ma decise di farlo.

«
Mio padre è un pittore» iniziò Samira, «qui ha molte più opportunità di lavoro».
Arrivate al centro del piazzale, la ragazzina si guardò intorno, come alla ricerca di qualcosa.
Poi invitò Noël a seguirla.

«
Vieni con me» disse, svoltando dietro le case a schiera.


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***



Quando Denis arrivò davanti alla bottega, sbirciò subito l'interno del laboratorio: la porta era di nuovo aperta e sembrava lo invitasse a entrare: era una tentazione a cui faceva fatica a rinunciare.
Così varcò nuovamente l’ingresso, accertandosi che non ci fosse nessuno.
All'interno il silenzio regnava su tutto e, appena entrato, il giovane si trovò la tela del tramonto davanti agli occhi.
Questa volta però, prese coraggio e si addentrò al centro della grande stanza; da lì poteva vedere quasi tutte le tele esposte.
Il suo sguardo catturò in un attimo una moltitudine infinita di colori, miscugli di tinte, tele enormi e altre minuscole.
Nonostante molte non le avesse viste precedentemente, gli sembrava di conoscerle tutte a memoria.
In particolare, si mise ad osservare un quadro più piccolo degli altri, appeso all'apice di una parete.
Era troppo in alto per essere notato da un occhio che non sapesse dove cercare, ed era troppo piccolo per essere osservato bene dal centro della stanza.
Così Denis si avvicinò un poco, scoprendo ad ogni passo particolari unici: si trattava di un quadro ambientato in un bosco, al centro un bambino suonava un pianoforte.
La foresta occupava quasi l'intero quadro e solo un piccolo spazio era riservato al pianista.
I colori andavano dal giallo paglia al verde militare, e ciò dava alla tela un'atmosfera estremamente enigmatica.
Gli alberi erano spogli di ogni foglia e nonostante quasi tutto il quadro pullulasse di vegetazione, solo i rami superiori erano visibili.
Il musicista era una figura confusa e sfocata, intrappolata dentro una foresta di tronchi sottili.
I tasti del pianoforte erano appena visibili, e il terreno su cui era poggiato sembrava privo di erba e arbusti.
Soltanto all'orizzonte, sfumato, si vedeva ogni tanto qualche spiraglio di luce.
Sembrava che nonostante la nudità dei fusti, i raggi del sole non riuscissero a penetrare in quella foresta.
Denis si chiese perché un quadro così bello era stato appeso così in alto, in un posto inosservato e nascosto.
Un improvviso rumore di passi arrivò alle sue orecchie, provocandogli un brivido lungo la schiena.
Così, spaventato e turbato, Denis si nascose in un'altra stanza, oltre una porta chiusa.
E se avesse incontrato qualcuno?

 

~

 

Quando Noël sentì la chiave girare nella toppa della serratura, il cuore prese a batterle forte.
Aveva dimenticato di essere sola in casa, ed era stesa sul letto con il diario in mano, dopo aver mangiato abbondantemente.

C'era una volta una ragazza che aveva visto la strada dei sogni..., iniziava la frase, e a mostrarglielo era stata proprio la sua peggior nemica...
Ma subito smise di scrivere: una figura alta e barcollante irruppe nella stanza, accomodandosi accanto a lei.

«Ciao p
apà» mormorò Noël quando l'uomo incontrò il suo sguardo, tentando di sbirciare tra le pagine aperte.
L'odore stantio dell'alcol raggiunse subito l’olfatto della ragazza.
Il padre le sorrise assente, chiedendole che cosa stesse scrivendo.
Lei non rispose, piegando il diario sulla pancia, in modo da nasconderlo dal suo sguardo invadente.

«
Hai bevuto?» gli chiese, forse sapendo già la risposta.
La matita spuntata rotolò sul pavimento.
«
Solo un po'» rispose il padre, fissandola negli occhi.
Poi la strinse inaspettatamente in un caloroso abbraccio, e Noël sentì per la prima volta il suo cuore battere come quello di un uomo.
Stettero così per qualche minuto, fino a quando non la lasciò andare, rompendo il silenzio.

«
Pisz» sussurrò, «scrivi, Noël».
Poi si alzò e se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé.
Interdetta, la ragazza tornò a scrivere, pensando a quel pomeriggio, a ciò che aveva visto nella bottega del padre di Samira.
Pensò a come avrebbe reagito Denis alla vista di tutte quelle tele meravigliose.
Pensò a ciò che avrebbe detto se avesse saputo che ora Samira era diventata anche sua amica.
Sarebbe stato felice? Oppure questo l'avrebbe in qualche modo infastidito?
Quella ragazza non era poi così antipatica.
Si chiese dove fosse stato il giovane per tutto quel tempo, se fosse tornato a casa.
E soprattutto, si promise di tornare nella bottega, ma decise che per il momento non gli avrebbe detto nulla.
Non ancora.
Sarebbe stato il suo segreto.
E continuò a scrivere.

...aveva visto un mondo, un mondo fatto di tele e di sogni impossibili, di colori e di desideri.

 

~

 

Il rumore dei passi si fece sempre più vicino, fino a quando Denis non comprese che probabilmente c'era qualcun altro nel laboratorio oltre a lui.
Stette accovacciato in un angolo per una decina di minuti, fino a quando il rumore non cessò, tornando da dove proveniva.
In preda al terrore di essere scoperto, il ragazzo si era rifugiato dietro una porta bianca e, immobile, era rimasto ad ascoltare.
Se quella porta fosse stata aperta, per lui sarebbe stata la fine.
Il cuore gli batteva forte in petto e la paura era talmente intensa da non osservare nemmeno per un attimo l'ambiente circostante.
Così si alzò lentamente, inspirando ed espirando come dopo un’estenuante corsa, rendendosi conto che ciò che aveva visto fino a quel momento non era per nulla un laboratorio.
La vera bottega era in quei venticinque metri quadri di stanza piena di tele intatte, pennelli puliti e colori di ogni tipo.
In un barattolo vide un po' di pittura, forse preparata apposta con due tinte diverse.
In un angolo si trovavano due sedie attigue coperte da dei veli da sposa con delle cornici di legno poggiateci sopra.
Le setole dei pennelli erano morbide e pulite sotto il suo tocco, i colori chiusi nei propri barattoli.
Dentro una scodella azzurra c'erano vari aggeggi per scrostare, tinteggiare, ripulire.
Tuttavia, fu quando volse lo sguardo che rimase stupefatto: quattro sedie sorreggevano quattro tele, di cui tre parevano terminate.
Al centro, una tela vergine, bianca come cotone.
Denis cominciò ad osservarle in ordine, avvicinandosi stupefatto.
La prima tela raffigurava un uomo e una donna nudi e abbracciati nel bel mezzo di un atto sessuale.
La donna aveva i capelli lisci e castani, la testa reclinata all'indietro.
La sua bocca era semiaperta e le mani strette sulle spalle del compagno.
L'uomo la guardava assorto, e Denis non capì se perso nel piacere o nella bellezza della donna.
Aveva il petto scolpito e le mani stringevano le cosce dell'amante, posta di lui.
Erano seduti su un semplice sgabello di legno e l'atmosfera chiara e luminosa faceva presumere fosse giorno.
Gli occhi della donna erano chiusi, e i suoi capelli sembravano svolazzare in un vento immaginario.
Sembravano persi entrambi nel piacere più puro.
Denis notò con stupore che le unghie delle mani della donna erano dipinte di rosso.
Chiunque avesse ritratto quelle figure, aveva fatto sicuramente un buon lavoro, curando ogni dettaglio.
L'ultimo quadro a destra invece raffigurava una donna sdraiata su un letto, completamente denudata, eccetto i genitali, coperti da un lenzuolo sottile.
I suoi occhi erano chiusi e pareva addormentata.
I capelli erano sepolti sotto la testa, e non si riusciva a distinguerne il colore.
Il corpo era sottile e ossuto, il seno tondo e magro, le braccia scarne e le cosce smilze.
Al lato destro della tela, una poltrona di legno, un lembo di una tenda bianca e un'ombra, probabilmente di un'altra donna.
Forse anche lei spoglia di ogni vestito: si potevano notare chiaramente i contorni del seno e del viso nell'oscurità.
Sembrava avere qualcosa di affilato in mano, simile ad un coltello o una lama.
Anche quel quadro, come quello appeso alla parete nel laboratorio accanto, inquietava notevolmente chi lo osservava.
Il pittore doveva avere una visione molto ristretta dell'amore e del sesso: una visione quasi sadica, come se l'affetto non potesse esistere senza dolore, senza pena, anche fisica.
Il secondo quadro a destra, quello che Denis aveva riservato per ultimo, rappresentava invece una donna allo specchio.
Il suo corpo nudo era visibile di schiena: la sua pelle era scura e abbronzata, il suo corpo fragile come lo stelo di un fiore.
Specchiarsi nuda pareva sembrare naturale alla ragazza.
A differenza delle altre due tele, non c'era malizia né erotismo nei suoi movimenti.
Tutto in lei sembrava estremamente naturale e autentico.
Denis pensò che potesse avere la sua età, ma la sua espressione riflessa era molto triste.
I suoi occhi erano scuri come la chioma, ma questa sembrava cadere sotto il suo tocco.
Per un attimo, Denis immaginò quei quadri esposti in una grande galleria ai piedi della Torre Eiffel, indovinando le espressioni di chi li osservava e li acquistava.
Osservò qualche secondo la tela bianca, vedendoci di sfuggita un'immagine riflessa.
Poi aprì lentamente la porta, e, accertatosi che non ci fosse nessuno, uscì di fretta, pensando di aver visto tutto ciò che ci fosse da vedere.
Non credeva che presto sarebbe tornato ancora.


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***



Siccome la madre non era andata a salutarla quando era tornata, Noël pensò che fosse arrabbiata con lei.
Così, dopo mille ripensamenti, uscì di fretta dalla propria stanza, riponendo il diario e la matita nel cassetto della scrivania.
Andò dritta verso le scale, bloccandosi al primo scalino.
Un suono di singhiozzi trattenuti sembrava provenire da qualche parte della casa: Noël poteva udirli chiaramente da quella postazione.
Pareva un pianto silenzioso, o almeno tale voleva essere,
Uno strascico di lamenti sussurrati, rimasti prigionieri forse troppo a lungo nella gola del disperato.
Noël non ci mise molto a capire di chi si trattasse e da dove provenissero.
Tornò nella propria stanza a passi lenti, senza chiudere la porta.
Era sicura che al piano di sotto non ci fosse nessuno e che tutte le persone presenti nella casa erano nella camera da letto di fianco alla sua, a trattenere dei singhiozzi che, se liberati, Noël era sicura sarebbero stati feroci e insostenibili.
Chiuse piano la porta, prendendo nuovamente il diario tra le mani.

A volte la chiamavo senza sapere, e quando sentivo rimanevo lì, probabilmente soltanto per darle il tempo di asciugarsi l'ultima lacrima.

 

~

 

Creutzwald, Mosella, aprile 2004
 

Quella mattina la madre lo svegliò presto e, appena aprì gli occhi, Denis la vide già abbigliata e acconciata, chiedendosi quando aveva avuto il tempo di fare tutto ciò.
Con voce impastata dal sonno e gli occhi chiusi, aveva chiesto alla donna se potesse dormire ancora un po', ma lei lo scrollò con forza, ordinandogli con voce irritata di tirarsi in piedi e mangiare in fretta qualcosa, poiché quella mattina avrebbero avuto molto da fare.
Tempo dopo, ripensandoci, Denis si chiese se non glielo avesse domandato soltanto per rimanere ancora in quel letto, respirando il suo odore e sfiorando i capelli che erano rimasti incollati al cuscino.
Sapeva che non ci sarebbe stato nulla da fare quella mattina.
Si alzò, accorgendosi di aver dormito con gli abiti giornalieri; ma non se ne curò, pensando che non aveva più importanza.
Non li avrebbe indossati più.
Si sciacquò il viso con l'acqua raccolta il giorno prima, e ne bevve un sorso.
Andò in cucina e staccò due o tre morsi di pane.
Era duro e secco, e Denis non aveva fame.
Seduto su una sedia, osservò la madre armeggiare sul tavolo e per la prima volta provò un’ira intensa verso di lei.
Pensò che forse suo padre aveva fatto bene a lasciarla sola, perché non si meritava altro.
Sistemandogli la chioma chiara, la madre gli venne accanto, guardandolo negli occhi.

«
Diventerai un grande uomo» gli disse, e lui avrebbe voluto sputarle in faccia il pane che ancora aveva in bocca.
Nel suo sguardo non c'era amore, e Denis non si ricordava nemmeno l'ultima volta che la donna gli avesse fatto qualche carezza o dato qualche bacio.
Quando chiuse la porta della loro povera casa di Creutzwald, il bambino pensò che non l'avrebbe vista più nella sua vita.
Si sbagliava. L'avrebbe rivista cinque anni dopo, in televisione, in un servizio che parlava di una donna morta suicida nella sua piccola e povera casa di campagna, molto lontano da Parigi e da Montmartre.
Secondo gli investigatori la donna si era impiccata legando una corda al soffitto, senza un apparente motivo.
La trovarono i suoi datori di lavoro, i proprietari della miniera di carbone poco lontano dall’abitazione.
Quel freddo giorno di aprile, Denis e sua madre ci misero un po' a raggiungere la stazione, e quando arrivarono, Sarah e Benjamin erano già là, con un sorriso enorme stampato sulle labbra.
Non ci fu un solo momento in cui Denis mise in dubbio il loro affetto, ma a sua madre pensò tante volte, male e bene; ebbe infiniti ripensamenti, ogni volta più profondi.
Dopo otto anni smise di pensarci, ma sapeva che, anche se era morta, lei era sempre lì, nella sua memoria, pronta a domandargli chi fosse veramente e se avesse mai avuto dei dubbi sui propri genitori adottivi.
E a suo padre, non pensava più spesso nemmeno a lui.
L'immagine che aveva creato di lui col tempo svanì come vapore nell'aria.
Sarah e Benjamin non sapevano dove vivesse la madre, né come si chiamasse.
Quel giorno, prima che il treno partisse, la donna si accovacciò dinanzi a lui come quella mattina in cucina, questa volta senza osservarlo negli occhi.
Si tolse la collana che portava al collo e la mise al suo.
Era un po' lunga per un bambino come lui, ma la tenne sempre, giorno e notte, per otto lunghi anni.
Anche quando scoprì della morte della madre, anche quando conobbe Noël.
La nascondeva sotto la maglietta, non voleva che nessuno la notasse.
Era come una sorta di segreto, con la sola funzione di ricordargli chi fosse e da dove venisse. Qualcosa in cui gli altri non c'entravano nulla.
Probabilmente l'aveva perdonata.
Forse l'aveva fatto solo cinque anni dopo, o forse non l'aveva mai odiata davvero.
C'era solo una cosa che, nonostante tutto, Denis non riusciva a dimenticare: il momento in cui lei alzò lo sguardo e, fissandolo con i suoi occhi castani e vuoti, gli disse soltanto una parola, l'ultima che il bambino avrebbe sentito pronunciare dalle sue labbra.

Vivi.
Quella parola non smise mai di far parte della sua memoria, e tempo dopo decise che era giunto il momento di metterla in atto.
Dopo il telegiornale, quella sera, Denis si infilò nel letto e pianse.
Gettò lacrime salate, le sentiva bruciargli gli occhi, scendere sulle guance, nella gola, lasciando scie infuocate al loro passaggio.
Non piangeva da anni e non lo aveva fatto nemmeno quando la vide scomparire lentamente a bordo di un treno.
Prese in mano il ciondolo della collana, inondandolo di lacrime, portandoselo alle labbra e cominciando a baciarlo.
Erano baci lievi, leggeri, ma portavano con sé dolore e nostalgia, assenza e anche un po' di tristezza.
Dentro di sé sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter rivedere anche solo per un breve istante quei capelli castani appartenenti alla donna che si era impiccata nella stessa casa in cui era venuto al mondo.
E quando comprese che davvero non avrebbe potuto farlo più, un moto di malinconia lo invase ancora una volta, liberandolo solo qualche ora dopo in un sonno turbato e irrequieto.
Quella collana di gomma naturale sarebbe stata l'unica cosa che lo avrebbe legato alla sua famiglia per sempre.

 

~

 

Un'altra settimana passò in fretta e finalmente la scuola terminò.
Noël era riuscita a scampare al rimprovero della madre, che non disse nulla quando la vide comparire dietro la porta della propria camera.
Il giorno prima aveva intravisto Samira fuori dalla scuola, ma sembrava avere molta fretta e non la fermò.
Nonostante fosse giugno inoltrato, la ragazza indossava un cappellino leggero e i capelli sembravano essere stati completamente rinchiusi all'interno.
Quell'ultima settimana avevano passato molto tempo insieme, e Noël non aveva più dubbi sul fatto che fosse una ragazzina in gamba e di buon animo.
A volte la vedeva con Denis, ma quasi le piaceva osservarli mentre parlavano.
Talvolta si avvicinava in una postazione in cui era sicura non potessero notarla.
Osservava le labbra carnose del ragazzo, gli occhi azzurri e piccoli luccicare ai raggi del sole.
I capelli che, con il riflesso della luce, parevano quasi rossi, nonostante fossero chiarissimi.
E il suo viso, la mascella prominente che tanto avrebbe voluto baciare.
Le piaceva tutto di lui, e più cresceva, più sentiva di desiderarlo profondamente.
Pensò che prima di morire avrebbe dovuto assolutamente assaggiare quelle labbra rosee, sfiorarle e lambirle ancora, fino ad arrossarle.
Semmai lo avesse avuto, gli avrebbe indubbiamente lasciato i segni del proprio passaggio.
Quel sabato mattina Noël uscì di nuovo a stomaco vuoto, incamminandosi verso la piazza, sollevando lo sguardo, osservando la Basilica del Sacro Cuore.
Era alta e imponente sopra di lei: quel giorno lassù doveva fare molto caldo.
Attraversò la piazza, andò oltre le case; si chiese che cosa stesse facendo Denis in quel momento.
Pensò che avrebbe dovuto parlargliene. O forse no.
Forse era meglio così.
Quando oltrepassò anche l'ultima casa rosa, vide che la porta del laboratorio era aperta.
Così ci sbirciò all'interno, e, non trovando nessuno, entrò.
Quadri di tutte le dimensioni si stagliavano innanzi ai suoi occhi, imponenti e profondi.
La volta prima si erano fermate soltanto dieci minuti, ma aveva avuto modo di osservarne la maggior parte.
Ma, ora che li rivedeva, le pareva di non averli mai visti prima.
Ad ogni sguardo scopriva qualcosa di nuovo, un particolare che precedentemente non era riuscita a cogliere.
Forse era la solitudine, o forse la paura di essere scoperti.
Soprattutto il quadro del tramonto, le pareva bellissimo: poteva quasi sentire la schiuma dell'acqua sulle dita, il rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia, la sabbia sottile che si deformava sotto al suo tocco.
Sognò di camminare lungo la battigia, da sola, per la prima volta.
Sognò il sole svanire dietro l'immensità blu, e il colore del mare confondersi con il celeste del cielo pronto ad accogliere la notte.
Sognò di restare lì, sdraiata sulla sabbia, con un ragazzo biondo accanto e di potersi tuffare nuda con lui.
Ma un rumore improvviso le ricordò che era soltanto un sogno ad occhi aperti.


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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***



«Ciao» sentì dire Noël ad una voce sconosciuta alle sue spalle.
Il cuore prese a batterle forte e la paura si impossessò di lei come potrebbe farlo con qualcuno che è appena stato colto nel bel mezzo di un'infrazione gravissima.
Quando si volse, però, ciò che vide fu soltanto il volto di un uomo sorridente.
I capelli grigi sembravano incollati al capo, la pelle era scura e consumata dal sole, ma gli occhi erano pieni di vita, grandi e vivaci.
Ebbe l'impressione di averlo già visto da qualche parte.

«
Ti piace?» chiese l'uomo con voce roca, senza smettere di sorridere.
Lei si avvicinò: «Moltissimo».
I loro sguardi si incrociarono per qualche istante.

«
L'ho dipinto qualche anno fa, quando ero ancora a Nancy.
Lì non c'è il mare e un giorno avevo tanta voglia di vederlo».
L'uomo non si accorse che Noël stava trattenendo il respiro. Aveva occhi soltanto per il quadro.
«
Così decisi di dipingerlo io stesso; in questo modo avrei potuto vederlo ogni volta che avessi voluto».
L'uomo sorrise ancora, senza mostrare i denti.

«
Non ti sembra di essere davvero su quella spiaggia?» le chiese con occhi allegri.
La ragazza annuì timidamente: credeva di aver appena compiuto un reato, invece lo sconosciuto pareva non essere per nulla infastidito dalla sua presenza.
Poi le rivolse un ultimo sorriso, prima di spalancare una porta bianca che si confondeva con la parete.
Lei lo fermò a metà strada.

«
Allora...non è arrabbiato?» gli domandò con apprensione.
L'uomo si volse, ma questa volta la sua espressione era molto seria.

«
Perché dovrei esserlo?» sussurrò, «se ti piacciono, è giusto che li guardi».
Fece una pausa, sbattendo le palpebre.

«
È giusto che, almeno qualche volta, tu faccia quello che ti va di fare».
Poi scomparve dietro la porta.
Noël rimase impietrita e sorpresa dalle parole dell'uomo.
Pensò che a volte basta soltanto osservare le cose da un altro punto di vista, e tutto può cambiare.
Avrebbe potuto entrare in quella bottega ogni volta che avesse voluto.
In fondo, glielo aveva detto lui.
Mentre se ne andava, improvvisamente ricordò: i suoi occhi, la fiamma dell'accendino e il fumo della sigaretta, settimane prima nella piazza.
Poi si arrestò, rimanendo immobile sulla soglia, con occhi spalancati.
La prima volta che aveva messo piede nella bottega era stato grazie a Samira.
E ricordò che la ragazzina aggiunse che era di suo padre.
Il cuore cominciò nuovamente a batterle forte e la testa a girarle pericolosamente.
Dopo un attimo in cui tutto le parve buio, Noël riprese a riflettere e varcò la soglia con un avvincente sorriso stampato sulle labbra.
Ora sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
Bastava soltanto percorrere la strada dei sogni.

 

~

 

Quando Noël vide sua madre, quella domenica mattina, le sembrò un fantasma con le occhiaie e i capelli troppo lunghi per una donna di soli quarant'anni.
Le andò vicino, la salutò, percependo un odore di alcol e sigaretta uniti insieme, creando una mistura decisamente disgustosa.
Si sedette al tavolo e ingoiò due ciambelle con la ricotta, sorseggiando del latte dal sapore così forte da lasciarle un disgustoso retrogusto in bocca per tutta la mattinata.
Quel giorno lo passò a casa, disegnando sul suo diario.
Abbozzò una strada sterrata contornata da alberi verdeggianti e rigogliosi, e intorno al sentiero dei sassi, ciascuno con delle parole incise sulle estremità.
Molte non erano nemmeno visibili, ma nelle pietre più vicine si potevano leggere chiaramente dei nomi: Sofia, Jan, Marek e Stefan, e infine, negli ultimi più vicini Paweł ed Ewa.
Poi disegnò una ragazza dai capelli rossi, immobile al principio del sentiero.
Era voltata di schiena e il viso non era visibile, ma Noël avrebbe giurato che ci fosse un velo di timore negli occhi.
Forse aveva soltanto paura di intraprendere quella strada.
Forse perché non voleva allontanarsi dalle pietre più vicine.
Alla fine del sentiero si intravedeva un cartello di legno.
Ci mise tutta la mattina a disegnarla.
La chiamò “La strada dei sogni”.

 

~

 

Quando Denis incontrò Samira quel giorno, notò subito un'aria stanca sul suo volto.
I suoi occhi non brillavano più al sole, i capelli erano meno lucenti del solito.
A osservarli bene, erano proprio diversi; persino il colore pareva cambiato.

«
Ti devo mostrare una cosa» gli disse impaziente la ragazza, conducendolo oltre la piazza.
Il cuore di Denis perse un battito ad intraprendere quella strada.
Ad ogni passo, un ulteriore velo di sudore gli imperlava la fronte.
Bastava arrivare fino alla casa rosa per scorgere la bottega.

Ancora due passi, pensò, solo due passi e ci siamo.
Poi oltrepassarono anche quella, e le paure di Denis si placarono.

«
Benvenuto nell'atelier di mio padre» annunciò la ragazza con un sorriso stanco.
Denis rimase immobile sulla soglia, fissandola con sguardo allibito.

«Tranquillo, p
uoi entrare» lo rassicurò, «tutti possono entrare qui» sorrise.
Poi lo spinse dentro, mostrandogli gran parte delle tele.
Denis le conosceva molto bene, ma ascoltare la loro storia era interessante. Il padre di Samira aveva cominciato a dipingere all'età di tredici anni.
«I suoi genitori erano appassionati di pittura e un giorno lo portarono a Parigi, in una galleria alle rive della Senna.
Lui passò ore ad osservare i quadri degli artisti della galleria, cercando un senso alle loro opere, un significato particolarmente affascinante, ma raramente trovò qualcosa che lo affascinò.
Alloggiarono due giorni a Montmartre, e lui ebbe modo di notare anche gli artisti della strada per la Basilica.
Sarebbe rimasto ore e ore a guardarli dipingere, mescolare i colori, spennellare cautamente per dar vita anche solo al minimo dettaglio» spiegò la giovane.
Quell'anno, il padre di Samira si innamorò di moltissime tele.
Sentiva l'eccitazione e la commozione degli artisti di strada scorrere nelle vene e nelle loro opere.
Poteva quasi toccare il loro tormento interiore, e il loro orgoglio di mostrarlo al mondo.
Quando tornò a Nancy, provò a dipingere.
Nel’arco di un paio d'anni, raffigurò sulla parete della propria stanza da letto un quadro bellissimo.
Di giorno lo nascondeva dietro al comodino e i genitori non se ne accorsero mai.
Non volle mai mostrarlo a nessuno e, nonostante l'avesse terminato ormai da molto tempo, era sempre insoddisfatto e lo ritoccava in continuazione.
Poi, un giorno abbastanza vicino a quel sabato, volle andarsene da quella casa e ordinò che tutto venisse distrutto.
Ma prima che la palla demolitrice buttasse giù il muro, Samira fece in tempo a vederlo, anche se per pochi istanti.
Quando uscì, si chiese perché volesse distruggerlo.
Non capì, ma non chiese mai una spiegazione.
Farlo avrebbe significato confessare ciò che aveva visto, e sapeva che lui non glielo avrebbe mai perdonato.
Improvvisamente, osservandola mentre raccontava, Denis si chiese perché Samira non parlasse mai della madre.
Pensò alla donna del terzo quadro nella stanza accanto.
Poteva essere lei quella donna misteriosa? Oppure la ragazzina era stata soltanto un errore di gioventù?
Lui non conosceva suo padre, ma se lo immaginò con una sigaretta in mano, a dipingere quella tela bianca nel laboratorio accanto.
Immaginava le mani sudate scorrere sul pennello sporco di colore, e un po' di cenere cadere sulla tela.
Quando se ne andarono, il ragazzo lanciò un'occhiata al quadro appeso alla parete in alto, come per controllare se fosse ancora al proprio posto.
Era sicuro che Samira non fosse a conoscenza della sua esistenza; il suo campo visivo non l'avrebbe contemplato comunque.
Così se ne andò con la figlia di un pittore misterioso, oltre la casa rosa, verso la piazza.
Sapeva che sarebbe tornato.
Ma, questa volta, non avrebbe più osservato nulla.


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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***



Noël non sapeva come aveva avuto il coraggio di farlo.
Forse, ne aveva semplicemente sentito il bisogno, quella notte in soffitta.
La luna splendeva nel cielo e la illuminava nel suo minuscolo angolo dietro la porta.
Stette soltanto qualche minuto, poi tornò al piano di sotto, nella sua camera, preparando uno zaino in silenzio.
Poi tornò in soffitta per prendere il suo diario, ma improvvisamente le cadde dalle mani, sbattendo violentemente a terra, aprendosi in due.
La ragazza rimase immobile qualche secondo ma, non sentendo alcun rumore, lo raccolse e cercò di ripiegare la pagina rovinata.
Nell'angolo piegato c'era una piccola scritta blu, minuscola ma leggibile: non mi avete mai conosciuto.
Lo chiuse violentemente, riponendolo di nuovo a terra, esattamente al centro della stanza; non lo avrebbe portato con sé, ma lì sarebbe stato al sicuro.
Poi scese le scale a passi felpati, afferrò delle banconote dal portafoglio della madre e uscì silenziosamente di casa.
Non ci ripensò nemmeno un secondo. Non si volse.
La luna piena illuminava il suo viso serio e determinato, e gli occhi brillavano; quell'espressione, per chi la conosceva, poteva fare persino paura.
Era un'espressione pericolosa.
L'espressione di qualcuno che ha tutta l'intenzione di prendersi ciò che vuole, a qualsiasi costo.
Passò davanti al cimitero, davanti al locale, alla casa di Denis, ma non si volse mai.
Sapeva che avrebbe soltanto trovato persiane serrate e un tavolino solitario al centro dell'ampia balconata.
Percorse silenziosamente la strada degli artisti e quando arrivò alla Basilica, non si trattenne a guardarla.
Sapeva che sarebbe stata sempre la stessa, bianca e imponente davanti a Montmartre.
Osservò la città illuminata dall'alto: il fiume da lì sembrava infinito e la notte donava una luce particolare alla torre.
Parigi sembrava non dormire mai. Niente in quel posto avrebbe mai avuto fine.
Ma lei sarebbe presto andata via da lì. Era l'unica soluzione concepibile.
Prima però, avrebbe fatto un ultimo viaggio: avrebbe visitato ciò che le interessava e l'avrebbe fatto da sola. Era elettrizzata da questo pensiero.
Un sorriso quasi malvagio si allargò sulle sue labbra. Finalmente era libera, libera e sola, come non lo era mai stata prima.


~


Non avendo fatto colazione quel giorno, dopo essere usciti dalla bottega, Denis e Samira si diressero al locale di fronte alla casa della ragazza.
Il giovane ordinò una tazza di cappuccino e, mentre addentava un biscottino alla cannella, Samira gli fece delicatamente notare un fatto interessante.
«La scorsa settimana sono venuta qui con Noël e mi ha chiesto di te».
Denis smise di masticare e fissò la ragazza negli occhi.
«Sembrava molto preoccupata. Innervosita da qualcosa, direi».
Effettivamente, non parlavano più come una volta e anche lui aveva notato dei cambiamenti in lei.
«Io non so niente» si affrettò a rispondere, ingoiando rumorosamente.
Denis aveva intuito che la ragazza aveva altro per la testa: si erano allontanati moltissimo l'uno dall'altra e, anche se non glielo aveva detto espressamente, mai come allora aveva sentito la sua mancanza.
«Credo che tu le piaccia» sussurrò Samira all'improvviso.
Lui continuò a mangiare, senza particolare stupore.
Non ci aveva mai pensato prima e stentava a crederci.
Ma il discorso terminò lì e Denis vide la ragazza stringere gli occhi, come se le dolesse qualcosa.
La vide toccarsi il petto. Il pomeriggio lui la portò fino alla Basilica e lei lasciò scorrere il fiume sotto il suo sguardo che, per un attimo, tornò a brillare. Ormai era sera ed era ora di tornare a casa.
Solamente qualche ora dopo, su quella collina sarebbe tornata una giovane in fuga.
Avrebbe preso il traghetto e avrebbe attraversato la Senna in solitudine, così come aveva programmato, abbandonando Montmartre per sempre.
O almeno così credeva.


~


Quando arrivò davanti alla Torre Eiffel, Noël rimpianse di non aver preso il suo diario.
Avrebbe voluto scrivere, disegnare osservando i turisti camminare incerti e ammirare il panorama anche a quell'ora della notte.
Sapeva che quella era soltanto una torre di ferro rimasta lì per sbaglio, par hasard, avrebbe voluto dire.
Sapeva che avesse addirittura negato l'accesso a Hitler.
E improvvisamente, davanti ai suoi occhi scorsero veloci delle immagini, le grida, il caos della storia che la Francia aveva ospitato, come sul nastro di un film: la belle époque, la Prima Guerra Mondiale, la Seconda e i deportati ebrei, il Velodromo dove vennero rinchiusi, le sfilate, come le chiamavano i nazisti, nelle strade verso i campi.
E se fosse stata una di quegli ebrei? Quanti bambini e ragazzini della sua età erano morti in quei campi? E nei treni? E per le strade?
Aveva soltanto avuto fortuna, era nata nel momento giusto.
Suo padre era un mezzo alcolizzato, suo madre una donna depressa e infelice e lei una ragazzina a metà strada, incerta sul proprio futuro come tutti gli adolescenti e incapace di realizzare i propri desideri: ma che cos'era questo davanti alla devastazione di una guerra, magari a causa di una bomba, oppure di una pallottola di qualche cecchino?
Niente.
Niente
, pensò.
Un vuoto le si formò in gola, e gli occhi le si fecero lucidi.
Avrebbe voluto riabbracciare la madre e il padre, chiedere loro scusa per ciò che aveva fatto, per ciò che era e non era stata.
Si sforzò di non piangere e le lacrime non scesero.
Si chiese che cosa stessero facendo in quel momento, se fossero preoccupati o sollevati.
Forse non si erano nemmeno accorti della sua assenza.
Prima o poi ci si accorge della mancanza di chiunque, le disse una volta Denis.
Oh, Denis.
Era scappata soltanto da qualche ora e già le mancava così tanto.
Istintivamente, se lo immaginò da bambino, un bambino biondo, debole e fragile e le venne un'immensa voglia di abbracciarlo, di piangere tra le sue braccia, di consolarlo.
Lui era sempre allegro e spontaneo con lei e lei era sempre stata quasi arrogante con lui.
Ma, nonostante tutto, lui aveva deciso di restare.
Avrebbe tanto voluto dirgli che gli voleva bene, che non lo voleva lasciare andare.
Ma sapeva che non ne avrebbe mai avuto il coraggio.
Così rimase lì, accovacciata su una panchina di fronte alla Torre, con le lacrime a pungerle gli occhi, in una notte senza luna che sarebbe stata presto dimenticata.


~


Quando prese il pennello in mano, Denis non resistette alla tentazione di toccarne la liscia peluria.
Era morbida e delicata sotto i suoi polpastrelli e quasi gli dispiacque intingerla nella pittura.
Ma aveva un progetto in mente.
Aveva raccolto un po' di colori e dell'acqua e si era seduto su una sedia davanti alla tela bianca del laboratorio nascosto della bottega.
Come al solito non c'era nessuno e la porta era aperta.
Così Denis si mise comodo e cominciò a dipingere.
Intinse il pennello nel bianco, cominciando dal fondo: dipinse un sottile margine, poi immerse il pennello sporco in un colore grigio scuro, dipingendo i due estremi inferiori della tela: ne uscì un colore simile a quello di una nuvola carica di pioggia.
Fu quando intinse il pennello nel colore rosso che la porta del laboratorio si spalancò scoprendo una figura esile dai capelli grigi e gli occhi chiari.
Le rughe erano visibili sul suo viso e sembravano cedere al peso della pelle.
Lo sguardo era stanco e la chioma unta ma, quando lo notò, le labbra gli si aprirono in un debole sorriso.
Denis si alzò bruscamente con il cuore in gola, prima di essere fermato: «Resta pure» gli disse lo sconosciuto, dirigendosi verso il grande tavolo al centro della stanza. «Non sapevo proprio che cosa dipingere su quella tela. È come se le immagini avessero smesso improvvisamente di trasmettermi la loro poesia» aggiunse, afferrando un piccolo pennello.
Denis era rimasto sbigottito e immobile per tutto il tempo, fino a quando l'uomo non prese la maniglia della porta, con l'evidente intenzione di andarsene.
Allora ebbe il coraggio di parlare.
«Posso...?»
Il ragazzo non riuscì a terminare la frase e lui rimase sulla soglia, con la mano ancora stretta alla maniglia.
Si guardarono per qualche istante, quando l'uomo si diresse verso il giovane, fermandosi a pochi centimetri dal viso, con aria minacciosa.
Denis notò che impugnava il pennello come un'arma.
«Non permettere mai a nessuno di fermarti quando vuoi fare qualcosa» sussurrò.
Il ragazzo lo guardò perplesso, sempre più confuso da quell'assurda situazione.
Quella frase sarebbe valsa anche davanti ad una violazione di proprietà, a un omicidio oppure una rapina? Era questo che credeva quell'uomo?
Poi lo vide distogliere lo sguardo, puntandolo sulla tela bianca.
«Non capisco» disse calmo, «che cos'è?»
«
Non l'ho ancora finito».
Denis si passò una mano fra i capelli dorati.
L'uomo lo guardò con l'espressione di un matematico che ha appena trovato la soluzione all'enigma a cui lavora da giorni.
«Lei è il padre di Samira?» osò poi il ragazzo.
Il corpo dell'uomo si tese bruscamente e Denis vide il suo sguardo vagare da una parte all'altra della tela: avrebbe giurato che, in realtà, sapesse bene che cosa dipingere.
«
Tu conosci mia figlia?» Lo guardò finalmente negli occhi e Denis quasi si pentì di averlo domandato.
Il giovane asserì, osservandolo dirigersi nuovamente verso la porta.
«Aspetti, mi dica almeno come devo chiamarla!»
«
Non avrai bisogno di chiamarmi. Quando avrai bisogno di me, io sarò qui» rispose lo sconosciuto, chiudendosi la porta alle spalle.
E Denis rimase lì, con un pennello ormai secco tra le mani, in una bottega che aveva il volto di quell'uomo.


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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***



La notte Noël dormì su una panchina scomoda, poco lontano dal Campo di Marte, il giardino su cui si innalza la torre simbolo della Francia.
Fece molta fatica ad addormentarsi e non ebbe il coraggio di chiudere gli occhi.
Sembrava che la torre la sovrastasse e che volesse rimproverarla per ciò che aveva avuto il coraggio di fare. Lo stesso successe i giorni seguenti; la notte faceva freddo, anche se era giugno, e anche se cercava di reprimerla, Noël aveva una paura immensa.
Vagando solitaria per Parigi per la prima volta, aveva preso pienamente coscienza di ciò che era e soprattutto di ciò che erano le proprie possibilità, ma sapeva di non poter tornare indietro. Aveva compiuto una scelta e avrebbe dovuto pagarne le conseguenze.
Ma la vera e propria angoscia doveva ancora arrivare.
Quel giorno, diretta a nord – est di Parigi, passò davanti al cancello chiuso di una biblioteca e se non fosse stato per quella strana ragazza non se ne sarebbe nemmeno accorta: una donna sui trent'anni, alta e snella e con una sigaretta in mano passeggiava avanti e indietro di fronte all'entrata, evidentemente aspettando che si aprisse.
Di tanto in tanto si portava la sigaretta alle labbra e inspirava, i capelli morbidi sciolti sulle spalle, il vestito rosa svolazzante.
Nonostante non facesse nulla di particolare, Noël pensò possedesse una classe che aveva visto in poche persone fino ad allora. Possedeva la grazia di una dama reale, la bellezza vera e profonda di chi ha vissuto una vita densa di emozioni e di chi è pieno di saggezza.
Poi il mozzicone si spense e lei lo gettò a terra, schiacciandolo energicamente con una suola.
Improvvisamente, senza che entrambe se ne rendessero conto, i loro sguardi si incrociarono e la ragazzina le sorrise leggermente, forse per giustificare la sua curiosità, o forse no.
Ma la donna si voltò dall'altra parte, camminando dandole le spalle, e Noël continuò per la sua strada. Si allontanò un poco e si volse, vedendola concentrata su un cartello del cancello ancora serrato.
D'improvviso, provò un'enorme paura di quella donna. Paura delle persone come lei, così perfette.
E se da adulta fosse diventata così? Che cosa avrebbe fatto, e che cosa sarebbe successo?
Poi si mise quasi a correre, allontanandosi il più possibile da lì, da quella donna, da Parigi.
Il mattino dopo si sarebbe svegliata molto presto e si sarebbe messa subito in viaggio.
Voleva andare al Quartiere Latino. Prima però, avrebbe fatto una sosta al Pantheon e alla Sorbona.
Poi avrebbe continuato a percorrere la strada dei sogni.

 

~

 

La mattina del giorno seguente Denis tornò alla bottega, riprendendo il lavoro da dove lo aveva interrotto.
Erano tre giorni ormai che non sentiva Noël ed era preoccupato. Non era mai passato così tanto tempo senza che si sentissero.
Così quel pomeriggio decise di andare a casa sua: quando arrivò, suonò due volte prima che una donna dagli occhi rossi e stanchi e i capelli in disordine gli venisse incontro.
Ewa attraversò rapidamente il vialetto e, senza nemmeno salutarlo, gli fece una domanda che lo lasciò perplesso: «Dov'è Noël?»
I suoi vestiti erano semplici e sembrava che non si fosse mossa di casa da qualche giorno. I suoi occhi si assottigliarono alla potente luce del sole.
«Pensavo che lei lo sapesse» rispose Denis, «sono qui per questo».
La donna lo guardò come se possedesse una risposta, qualsiasi essa fosse, e solo allora il ragazzo notò un piccolo ciondolo azzurro al suo collo, un cuore decisamente stonante in quel contesto.
Poi, una frase.
«È scomparsa ieri» mormorò la donna sul punto di piangere. «Ieri mattina non c'era e nemmeno ieri sera è tornata a casa!»
Denis rimase un attimo sconcertato. Tutto intorno a loro era immobile.
«Perché non chiama la polizia?» riuscì soltanto a domandare il giovane. La donna non rispose e lo guardò supplichevole, con le lacrime agli occhi e una mano chiusa a pugno sulla bocca.
Lui la guardò intensamente e in quel momento le fece un'immensa tenerezza: sembrava una bambina innocente e Denis poteva sentire le parole volare nell'aria: Salvami.

 

~

 

Quella sera Noël aveva molta fame: era quasi un giorno intero che non metteva nulla sotto i denti. Decise di entrare in un modesto locale poco lontano dal Pantheon e prese posto accanto alla finestra.
Sapeva di non poter resistere ancora per molto. Sapeva che, se avesse voluto sopravvivere, sarebbe dovuta tornare a Montmartre e allora chissà che cosa sarebbe successo.
Tentò di guardare fuori: le luci del locale erano forti e luminose e i loro riflessi le impedivano di ammirare il paesaggio esteriore. Di tanto in tanto vedeva qualcuno passare e entrare, e le parole si accumulavano le une sopra le altre creando soltanto tanto rumore.
I soldi le sarebbero bastati ancora per qualche giorno; poi avrebbe dovuto cavarsela completamente da sola.
Spostando lo sguardo, vide un uomo e una donna eleganti sedersi al tavolo di fianco al suo e due giovani ridere spensierati al tavolo anteriore.
Tutti sembravano divertirsi, tranne lei: pensava di essere scappata per trovare la sua strada, ma in realtà era tutto un gioco.
Tutte le strade sono uguali: non conducono da nessuna parte.
Una musica classica la distrasse dai suoi pensieri. Ci volle un po', ma la melodia zittì tutti e in pochi minuti all'interno del locale ci fu completo silenzio.
La sua visuale si spostò sul piccolo palco al centro del locale, dove una figura alta e muscolosa si ergeva in tutta la sua bellezza.
Ma un attimo dopo la musica terminò, dando inizio ad un'altra: la figura iniziò a muoversi e a ballare e ben presto tutti rimasero ipnotizzati dalla sua danza. Una benda bianca gli copriva gli occhi e i suoi piedi si muovevano veloci scalzi sulla sabbia sparsa sul palcoscenico.
Sembrava un grande angelo che danzava al cospetto di Dio.
I muscoli erano scolpiti sul suo petto e Noël rimase incantata dall'atmosfera che era riuscito a creare quel ragazzo in poco tempo attorno a sé. Quando la danza terminò, l'uomo scese dal palco e scomparì dietro i pesanti tendoni rossi, la musica terminò e il brusio rianimò il locale.
Era stato magnifico. Anche se era durato poco, tutti ne erano rimasti conquistati. Quel giovane pareva sceso dal cielo apposta per illuminare Parigi e farla sognare con la sua grazia.
Fissò il palco ancora qualche minuto, sperando che tutto a un tratto lo sconosciuto ricomparisse e ricominciasse la sua danza.
Improvvisamente, si ricordò una frase di Burroughs: la cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili.
Da quel momento in avanti avrebbe fatto soltanto ciò che le andava di fare.
Nient'altro.

 

~

 

Śródmieście, Breslavia, agosto 2007

Una bambina dai capelli rossi e un nastro rosa sulla testa rise rumorosamente alle parole della nonna. Camminando, poteva vedere le case a schiera rosse, verdi e blu accostate le une accanto alle altre.
Lontano, alla fine della strada, un breve rivolo d'acqua scorreva, azzurro e pulito in una giornata limpida come quella di agosto di quell'anno.
Per la strada, la bambina guardò incuriosita alcuni gnomi di ferro con ai piedi delle insegne, ma non riuscì a leggere ciò che ci fosse scritto, perché la nonna la trascinò subito verso il fiume.
Ne vide altri, ma ancora non sapeva che erano il simbolo di Breslavia per eccellenza e che ce ne sarebbero stati ovunque sul loro cammino.
La donna teneva stretta la manina della bambina raccontandole la sua storia, e lei gradiva immensamente tutto ciò.
Camminando lungo il fiume, raccontava della Seconda Guerra Mondiale, di come la Polonia fosse stata rasa al suolo dalle bombe, di come lei fosse riuscita fortunatamente a sopravvivere. Le raccontò di suo padre, che un giorno partì per Varsavia e non tornò più.
Nonna Sofia possedeva una fattoria con un immenso terreno e la bambina, durante quel breve soggiorno aveva avuto modo di accarezzare la lana soffice delle pecore, farsi leccare le mani dalle capre, imparare a mungere le mucche e raccogliere le uova delle galline.
Ogni mattina il gallo la svegliava col suo canto squillante e ogni volta che scendeva le scale per la colazione la nonna era già in piedi, pronta per lavorare. In dieci giorni le insegnò a cucire, a ricamare e a piantare i semi delle verdure nel terreno.
Quando era in sua compagnia Noël era felice e spensierata. Furono giorni magnifici per lei.
La casa della nonna era grande, e a lei era stata affidata la vecchia camera dell'unico fratello di sua madre, Michał. Lui ora viveva in un'altra città e la sua stanza era quasi vuota, a eccezione del piccolo armadio, il letto e una fotografia sul comodino.
Era la foto di un uomo con i capelli completamente bianchi e gli occhi grigi come pietre levigate dalle onde del mare; il naso era storto e le labbra parevano secche e consumate dal tempo.
Nella foto, l'uomo aveva la bocca socchiusa, ma non sembrava un sorriso ciò che aveva dipinto in volto: pareva più un ghigno di stupore, come se l'autore della foto l'avesse immortalato di sorpresa, senza alcun preavviso.
Nell'angolo inferiore dell'immagine si intravedeva il lembo di una maglia azzurra, forse un maglione di lana.
«Nonno Stefan...»
L'anziana donna si sedette sul letto. «Sfortunatamente tu non l'hai mai conosciuto, tesoro».
Emise un lieve sospiro: «È stato un bravo marito e un buon padre».
In quei giorni, Noël aveva avuto modo di conoscere anche i suoi cugini, Marek e Stefan.
Marek aveva quattordici anni e spesso se ne stava in disparte, con gli adulti. La bimba non riusciva a capire se lo facesse solo per sentirsi grande o perché veramente si annoiava con loro.
Un giorno la nonna le chiese di raccogliere le ultime pesche dal grande albero, esattamente al centro del suo terreno, poco lontano dalla casa.
Marek fu l'unico a volerla accompagnare; camminarono l'uno di fianco all'altro, osservando il cielo al confine del campo verde e improvvisamente lui le chiese come si vivesse in Francia, se fosse diverso e migliore.
Noël farfugliò qualcosa e il cugino sembrava non avere voglia di insistere.
«Vuoi andartene da qui?»
Invece di raccogliere i frutti, il ragazzo si accasciò ai piedi della pianta. Lei lo imitò, senza ripetere la domanda.
Stettero in silenzio per quelli che parvero minuti, quando finalmente Marek rispose con un sospiro rassegnato.
«Tak. Sì, Noël».
Lei comprese e non rispose. Restarono a guardare l'orizzonte fatto di grano e campo e cielo.
Cielo azzurro come quello di Montmartre.
«E dove vorresti andare?»
Il ragazzo esitò. «Non lo so. Via e basta».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note d'autrice:

Rileggendo ed editando questo capitolo mi sono resa pienamente conto di quanto scrivessi male sei anni fa ^^''
Per cui ora mi rivolgo ai lettori che mi seguono: notate delle differenze sostanziali tra questa storia e le più recenti? Quali sono secondo voi?
Non abbiate paura di offendermi, sono curiosa!


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