All to Be niCe

di steffirah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1 - Protection ***
Capitolo 2: *** Day 2 - Kiss ***
Capitolo 3: *** Day 3 - Kemonomimi/Fairytale/Sinoalice ***
Capitolo 4: *** Day 4 - T-shirt date/T-shirts ***
Capitolo 5: *** Day 5 - Modern (Human) AU [Pt. 1] ***
Capitolo 6: *** Day 5 - Modern (Human) AU [Pt. 2] ***
Capitolo 7: *** Day 5 - Modern (Human) AU [Pt. 3] ***
Capitolo 8: *** Day 6 - Lunar tears ***
Capitolo 9: *** Day 7 - Restart ***



Capitolo 1
*** Day 1 - Protection ***


1. [P]rotection


 
Ora che la pace era tornata sulla Terra, 2B e 9S stavano esplorando i boschi assieme ai loro Pod, affinché il secondo potesse fare ulteriori studi sulla fauna e la flora locale. Si avventurarono più verso l'interno della selva, e mentre lui raccoglieva nuove informazioni, lei seguiva il passaggio di qualche animale occasionale.
Superando le zone trafficate da alci e cinghiali, s'erano ritrovati in un'area più verde con basse piante suddivise in raggruppamenti; esse avevano larghe fronde costituite da foglie sottili, che assumevano così una forma simile a lunghe piume d’uccello, e si aprivano come se sbocciassero di tanti petali verdi. Riconoscendole, 9S le definì ‘felci’.
Vi erano tutt’attorno numerose varietà di arbusti, alcuni fioriti, e proprio su questi volavano quelle che 2B identificò come ‘farfalle’. Sui tronchi degli alberi ad essi adiacenti piccoli scoiattoli scattavano verso le loro tane, trasportando con sé noci e nocciole, che a detta di 9S dovevano servire come scorte per l'inverno a venire. Le raccontò che, sebbene non andassero in letargo, potessero trascorrere interi periodi soltanto dormendo senza cibarsi, e proseguì parlandole di altre razze di animali letargici, come ghiri e marmotte, del perché avvenisse quella condizione di ibernazione e così via.
2B lasciò che la sua voce in sottofondo le cullasse e distendesse la mente, mentre i suoi occhi seguivano senza troppa attenzione il percorso effettuato da una di quelle farfalle, dalle ali turchesi. La vide entrare in un cono di luce, a malapena visibile da dove si trovavano, e fece segno a 9S per attirare la sua attenzione, prima di avviarsi in quella direzione.
Superò pochi arbusti e alberi, prima di ritrovarsi in una radura circolare. Sempre seguendo quel leggero volo irregolare si approcciò ad una robusta quercia, che con la sua ampia corolla quasi faceva scomparire quella che una volta aveva dovuto essere una casetta in legno - forse un rifugio. Vi girò intorno, pietrificandosi, notando dove l'insetto si fosse adagiato.
Fu raggiunta in fretta anche da 9S, che vedendola tanto immobile e cerea si voltò nella stessa direzione. La visione che si ritrovò innanzi lo sconcertò. Quella farfalla nei cui confronti sembrava aver mostrato un certo interesse 2B s'era posata sulla spalla di uno dei due androidi lì deposti. Non c'era bisogno che i visori li aiutassero a capire chi fossero, perché lo sapevano già, entrambi.
Unità YoRHa, tipologia Battaglia, modello 2. Unità YoRHa, tipologia Scanner, modello 9.
Fissarono quegli altri se stessi senza riuscire a pronunciarsi, mentre i Pod, più distaccati di loro, analizzarono la situazione. A quanto pareva entrambi erano stati sconfitti durante un combattimento e qualcuno ne aveva dovuto spostare qui i corpi. Qualcuno li aveva volontariamente avvicinati.
Quel che colpì maggiormente i due androidi fu che, nonostante il muschio si fosse ormai abbarbicato quasi ovunque sulle loro precedenti carcasse, era ancora evidente dalle loro espressioni e dalle loro pose rilassate che fossero deceduti in maniera serena. Perché seppure con le schiene poggiate contro il tronco le loro teste erano lievemente inclinate, in modo tale che fossero appoggiati l'uno all'altra; le loro spalle erano vicinissime, le loro mani erano congiunte, e sul loro viso - privato di visore - vi era un sorriso pago.
Non possedevano ricordi di una situazione simile, in cui venivano battuti, visto che ogni volta la loro memoria veniva resettata mantenendo, nel caso di 2B, solo le informazioni di base o necessarie al futuro. Si scambiarono quindi un muto sguardo, decidendo di indagare a tal riguardo.
Per cominciare si recarono al Campo della Resistenza, con l’intenzione di chiedere a qualcuno lì se avesse visto A2, dopo che i Pod, dando voce ai loro dubbi, supposero che potesse essere stata opera sua.
Prevedibilmente la trovarono a parlare con la leader della Resistenza, Anemone. Era una consolazione vedere che finalmente avessero riallacciato i rapporti e si fossero ritrovate, essendo state una volta compagne di una battaglia distruttiva.
Quando i due vi si avvicinarono le sentirono parlare di nomi e 2B ebbe una sorta di sensazione definita, dagli umani, ‘di déjà-vu’.
“Quindi, ti va bene se d’ora innanzi comincio a chiamarti ‘Yuri’?” la punzecchiò Anemone, mentre A2 storceva la bocca.
“Fa’ come ti pare” replicò nel suo solito tono scorbutico.
“Come mai le assegni un nome?” si interessò immediatamente 9S, infilandosi nella conversazione.
Anemone gli rispose in maniera fin troppo affabile. Da quando s'era conclusa quella guerra millenaria, qualcosa sembrava essere cambiato in ciascuno di loro: avendo le loro vite preso nuove svolte, dovevano trovarsi dei nuovi obiettivi, delle nuove ragioni di sopravvivenza.
“Il capitano della mia squadra, Rose, diede un nome a tutte noi e quando incontrammo i modelli YoRHa promise che, alla fine della guerra, avrebbe trovato anche per loro dei nomi.”
“Rose, Anemone, Yuri… Sono fiori, vero?” osservò, e lei annuì, proponendo:
“Ne vorreste uno anche voi?”
9S e 2B si scambiarono uno sguardo, interrogandosi a vicenda, ma prima che gli potesse venire qualche malsana idea lei intervenne, rivolgendosi direttamente all'androide identica a lei.
“A2, ti stavamo cercando. Dovremmo chiederti una cosa.”
Il vecchio modello 2 non se lo fece ripetere e approfittò di quella distrazione per rimandare la questione del nome, non sentendosi ancora totalmente pronta ad essere ribattezzata, perché sentiva che ci fossero ancora delle piccole questioni in sospeso.
Li seguì, pertanto, verso il bosco, finché non cominciò a provare un certo disagio capendo dove la stessero conducendo.
Si arrestarono di fronte a quell’albero centenario e lei prontamente guardò la versione viva di loro, pronunciando secca: “2B dovrebbe già sapere che con voi ho combattuto più volte.” Al suo cenno di conferma proseguì: “Quando eri collegata alla mia memoria, non hai visto quel che accadde al nostro ultimo incontro?”
Scosse la testa, spiegando: “Non mi sono rimasti dati a riguardo. So solo che ho condiviso i miei ricordi con te, ma credo che una volta che ci siamo separate quelli che ti riguardano siano affievoliti sempre più, fino a quasi sparire.”
A2 allora esalò un lungo sospiro, andando a sedersi sulla soglia della casetta, cominciando a raccontare una storia di tanto tempo fa.



 
■■■□■ A2’s Story
 
 
 
Stavo rivivendo quello stesso episodio per la settima volta. Per questo, ormai, sapevo che cosa fare.
Conoscevo i loro punti deboli, sapevo dove colpirli. Sapevo che, facendo fuori prima lo Scanner, l’Esecutrice avrebbe annullato i limiti che ne moderavano la forza, rendendo quel combattimento più eccitante.
Tuttavia, dato che quella storia s'era ripetuta troppe volte allo stesso modo, mi domandai cosa sarebbe successo se fosse capitato il contrario.
Forse era stupido da parte mia, perché era lei la guerriera tra i due, eppure sentivo che anche in lui ci fosse del potenziale. D’altronde in passato anche il numero 21… Anche il numero 21 aveva dimostrato la sua eroicità. Quelli di fronte a me erano modelli avanzati, no? Quindi non avrebbero potuto far altro che venire incontro ai miei desideri.
Non che io volessi realmente sconfiggerli, ma non avevo scelta: oramai della mia vita era un mero ‘uccidi o sarai uccisa’. In realtà ero giunta ad un punto in cui non mi sarebbe dispiaciuto morire, ma dovevo portare avanti la volontà dei miei compagni caduti… e, in ogni caso, nessuno era ancora riuscito a battermi in maniera definitiva.
Dovevo, in ogni caso, vendicarmi, sia delle biomacchine, che del Comando; per questa ragione, anche con questi due androidi, riuscivo a non farmi scrupoli.
Come al solito, lasciai che il modello Scanner numero 9 si illudesse di avere una possibilità di vittoria. Era sadico da parte mia, ma era anche per concedere loro un po’ di spazio, affinché esponessero le loro conoscenze e abilità, in attesa che mi mostrassero qualcosa di nuovo.
Ciò non accadde e, un po’ delusa, ricambiai il suo attacco hacker, mettendolo fuori combattimento.
Attesi che si accasciasse al suolo, portandosi le mani alla testa, urlando con rabbia, imprecandomi persino contro.
Sorrisi leggermente divertita dinanzi a quel linguaggio poco gentile, sentendolo provenire proprio da quel burattino intriso di cortesia.
Lo lasciai a terra a contorcersi e spostai la mia attenzione sul modello creato a mia immagine e somiglianza, notando che, nonostante si mantenesse fredda, le sue dita stringevano convulsamente l'impugnatura della sua arma. Non vedeva l'ora di ammazzarmi, era ovvio.
Le permisi quindi di attaccarmi e ci scambiammo diversi colpi, finché non cominciai a stancarmi e decisi di farla finita, una volta per tutte.
Riuscii a disarmarla e atterrarla, distruggendone i circuiti interni, così che non riuscisse a rialzarsi. Mi avvicinai e le dissi addio, pronta a trafiggerla, sennonché inaspettatamente il suo partner riuscì con chissà quali energie a rialzarsi, facendole da scudo col proprio corpo, gridando: “No, 2B!”
Quella denominazione, ‘B’, mi era nuova.
Era però troppo tardi. Non sarei riuscita a fermarmi, neppure volendo, così la mia spada trapassò lo Scanner e, attraverso lui, si conficcò nell’ossatura di lei.
Pensai che, a scapito di quello che mi ero prefigurata, magari sarebbe stato più piacevole per entrambi poter morire insieme. Dopotutto era la settima volta che li affrontavo e mi ci ero quasi… non affezionata, abituata, forse, ai loro modi di fare e al loro tipo di rapporto, distante tanto quanto vicino. Distaccati inizialmente, per poi essere pronti a tutto alla perdita dell'altro. Era un tipo di legame che ancora non riuscivo a comprendere, ma se anche solo vagamente era simile alla mia perdita del numero 4… allora forse potevo capirli.
Li trafissi, pertanto, fino all'elsa, per poi estrarre con noncuranza la lama. Per il contraccolpo i loro corpi ricaddero sul terreno e io li fissai, impassibile, consapevole che le loro funzioni vitali stavano per spegnersi definitivamente.
Eppure, sorprendendomi, con qualche ultima forza rimanente, lei riuscì a pronunciare in maniera bizzarra il suo nome, al cui suono lui mostrò un sorriso. Provò a sollevarsi di qualche centimetro, per poter arrivare all'altezza del suo viso, mostrandogliene la serenità. Inspiegabilmente, anche sul viso di lei comparve quella stessa espressione di conforto.
Non ne capivo il senso. Mi aspettavo dolore e sofferenza da parte di entrambi, e invece sembravano non aver desiderato altro che giungesse quel momento.
“2B…” rantolò quindi lui, strisciando con le dita fino a raggiungere la sua mano, per posarle palmo contro palmo. “Grazie. È stato… un onore… combattere… con te…”
Furono le sue ultime parole, prima di ricadere verso il suolo, il sorriso perennemente stampato sul suo volto.
Lei chiuse le palpebre, mostrandosi altrettanto felice, e mentre le loro guance scivolavano l'una accanto all'altra pronunciò a malapena:
“Nine… ze… è stato… un piacere… morire… con… te…”
E così, entrambi si annullarono.
Rimasi a fissarli per lunghissimi istanti, sbigottita. Era la prima volta che dinanzi ai miei occhi avveniva una scena simile.
Guardando le loro carcasse unite, cominciai a comprendere cosa aveva di speciale il loro rapporto. Riconobbi che avessero lottato con tutte le loro energie fino alla fine, anche a costo del sacrificio, per cui decisi che stavolta dovessi onorarli a dovere.
Ignorandone il peso, li trasportai uno alla volta fino ad una zona tranquilla, sgombra di macchine. Trovai una radura poco distante e qui li adagiai, fianco a fianco. Quasi se ne fossero resi conto le loro teste scivolarono l'una contro l'altra. Non sapevo se possedessi un ‘cuore’, ma in ogni caso qualcosa in me parve stirarsi. Mi inginocchiai dinanzi a loro, congiungendo le loro mani, proprio come nei loro ultimi istanti, e in maniera quasi inconsapevole pregai che, la prossima volta in cui ci fossimo visti, potesse andare diversamente.
 
 
 
■■■□■
 
 
 
Finito il suo racconto, A2 li lasciò, concedendo loro del tempo per assimilare le nuove informazioni.
Rimasti soli con quell'altra versione di loro stessi li contemplarono a lungo, ripensando a quello che avevano fatto.
Qualsiasi cosa, pur di proteggere la persona che amo, pensò 9S, trattenendo un sorriso nel riconoscere che ancora oggi non ci avrebbe riflettuto due volte prima di agire di conseguenza.
È sempre stato così avventato, ma almeno mi ha dato la possibilità di vedere esaudito un mio desiderio…, rifletté 2B, sperando tuttavia che situazioni simili non dovessero più ripetersi. L'avrebbe protetto sul serio stavolta, anche dai suoi folli istinti.
Furono richiamati alla realtà dai Pod, che consigliarono di onorare le salme ponendovi dei fiori, com'era costume. Si diceva bisognasse anche accendere dei ceri, ma non avendone a disposizione si accontentarono di raccogliere gli anemoni e le primule che crescevano lì attorno e crearne due piccoli bouquet, che posarono sul loro grembo. Imitando quel che faceva 9S, 2B giunse le mani in preghiera, sperando che quella loro vita non fosse stata troppo effimera ed avessero vissuto qualche momento di gioia. Eppure si felicitò del fatto che anche un'altra versione di loro stessi avesse la possibilità di restare per sempre fianco a fianco.
Quando riaprì gli occhi si accorse che 9S già si era rialzato, e le porgeva una mano per fare altrettanto. Sapeva di non aver bisogno del suo aiuto per rimettersi in piedi, ciononostante la accettò e ne approfittò per non lasciare la presa.
Si allontanarono così da quel posto, segnandolo sulla mappa nell'eventualità di un ritorno, magari a distanza di un anno, per commemorarli.
Magari, per allora, avrebbero appreso di più.
Magari, per allora, avrebbero continuato a proteggersi a vicenda, senza più mettere in gioco le loro vite.

Magari, per allora, il loro futuro sarebbe diventato una gioiosa garanzia.










Angolino autrice:
Buonasera a tutti! E' la prima volta che pubblico in questo fandom, con un "ritardo" di due anni perché solo di recente ho avuto la fortuna di avvicinarmi a questo gioco che non posso neppure più chiamare tale, visto che ormai lo considero un capolavoro per tutto quello che è riuscito a lasciarmi dentro. 
Ad essere onesta, non ero molto sicura di potermi "permettere" di pubblicare qualcosa in questa categoria, non avendoci giocato in prima persona; ciò non toglie che sia stata una trama immensa, che mi ha appassionato e coinvolta tanto da farmi riguardare tutto il gioco per due volte (sia in inglese che in giapponese), leggere la novel, guardare e ascoltare e piangere per gli script e i concerti. Sento che mi manca ancora qualcosa, visto che con NieR è tutta una continua sorpresa, una continua scoperta; ciononostante non sono riuscita a trattenermi e appena mi è stata offerta un'opportunità ho sentito la necessità di scriverci su. L'ho fatto principalmente per me stessa, per non dimenticare tutte le emozioni che mi ha fatto provare (quando mi dicevo che non dovevo provarne, e invece ci sono cascata alla grande), ma poi mi sono resa conto che c'è qualcuno a cui, magari, avrebbe fatto piacere leggere queste storielle. E se questo qualcuno ha anche letto la novel, noterà che mi sono ispirata a quel formato.
Voglio confessare anche un'altra cosa: per lo più mi sono rifatta alla "versione giapponese" del gioco, quindi molti termini non ho proprio idea di come siano stati resi in italiano. Se potete sorvolare su questo dettaglio, ve ne sarei grata (ciononostante, se volete farmi presente la giusta terminologia, ne sarei più che lieta!).
In questa prima one-shot ho usato diversi stili di scrittura, passando dalla terza alla prima persona con A2 (sarà abbastanza presente anche nelle prossime, da qui il titolo di cui presumo sia piuttosto palese il senso), e nella parte in prima persona ho utilizzato il tema. Ho scritto che è la settima volta che la storia si ripete, ma effettivamente non credo si sappia con certezza quante volte sia accaduto e ho pensato che 7 potesse essere un buon numero, considerando varie circostanze.
Oh e... "purtroppo" ho la tendenza a dare molto spazio alle emozioni. Ho cercato di contenermi, davvero, come potevo, sforzandomi di restare quanto più "in character" possibile. E spero di esserci riuscita.
Perfetto, immagino di essere stata abbastanza logorroica.
Detto tutto ciò, mi auguro che possano essere letture piacevoli, nonostante la sofferenza quasi onnipresente.
Grazie a chiunque penserà di dare un'occhiata, sappiate che a rendermi contenta basta il pensiero che ci siano altre persone che conoscono questo mondo tremendamente agonizzante e contemporaneamente fantastico, che sicuramente avrà lasciato tanto anche nella vostra vita.
Steffirah


P.S. : Yuri significa "giglio" in giapponese.

 

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Capitolo 2
*** Day 2 - Kiss ***


2. [K]iss


 

“2B…”
“9S… perdonami…”
La sua bocca, esalava il suo ultimo respiro.
Il suo corpo, sprofondava verso il fondo del mare, sparendo nel suo impassibile blu, abbracciato da miriadi di bollicine.
“2B, apri gli occhi…”
No, non voglio. Non voglio guardare!
“2B, apri gli occhi!” lo sentì ripetere in maniera più nitida, quasi le parlasse direttamente all'orecchio.
Fece come diceva, sforzandosi di rientrare nella modalità desta. Se lo trovò chino su di sé, manifestando una profonda preoccupazione. Era insopportabile.
“Va tutto bene?” domandò, e solo allora si accorse che le stava accarezzando i capelli. “Stavi avendo un incubo?”
“Un ricordo…” replicò appena, sentendosi sempre più distrutta.
La realtà. Quella era la realtà.
Lo vide meditare per un po’, prima di proporre: “Desideri che te lo cancelli?”
Prese in considerazione quell'idea, per un brevissimo istante. Non aveva mai trovato il coraggio di farlo da sola, perché in un modo o nell'altro era qualcosa che la teneva legata a lui. Ma se fosse stato lui a farlo…
Scosse la testa, mettendosi seduta. Non poteva cancellare il loro passato, né il loro presente, né il loro futuro. Non c'erano altre possibilità. Non c’era via di fuga. Non c’era speranza.
Mostrandosi fredda, si allungò ad afferrare le sue bende scure, volendo quantomeno celare tutto quel che provava, come faceva sempre. Ma stavolta lui glielo impedì. Stavolta prese la sua mano, prese il suo viso, fece sì che si voltasse verso di lui, e le posò un piccolo bacio su una guancia.
Lei ne riconobbe l’azione, rievocando quella volta in cui ne aveva sentito parlare tra colleghe androidi, in una precedente vita di 9S. Erano tutte entusiaste per la nuova scoperta; la voce si diffuse in fretta, lui le ascoltò più interessato di quanto potesse mai esserlo lei e poi, quasi per scherzo, col suo solito tono da burla le domandò: “Vogliamo provarci?”
Considerando il significato celato dietro quel gesto, considerando il veto imposto su emozioni e sentimenti, glielo negò. E anche se lui si imbronciò, non insistette. Fu allora che la sua mente fu attraversata da una supposizione che le provocò un certo fastidio: e se, poiché lei si era rifiutata, ci avrebbe provato con qualcun altro?
Da quando quel dubbio s’era insinuato in lei lo tenne d'occhio più del solito, ma quel minuscolo timore rimase costante, finché alla fine non decise di metterlo in atto lei stessa, nel modo più brutale che potesse, andando contro il suo stesso significato, pur aggrappandosi a quell'amore che…
Amore… proibito.
Sollevò lo sguardo su di lui, fingendo indifferenza.
“9S, che stai facendo?”
“Ho letto che può aiutare a sentirsi meglio. Gli umani lo facevano spesso, per infondere conforto, e io sono qui per darti supporto, no?”
Sorrise come al solito, illuminando tutto attorno a sé, e ora che poteva anche vedere quei suoi occhi cristallini era tutto peggio.
Lui non aveva idea. Non aveva idea di quello che aveva fatto. Non aveva idea di quello che stava per fare.
“Ora, ti va di raccontarmi che tipo di ricordo era?”
Avrebbe potuto accontentarlo, tanto la sua memoria presto sarebbe stata resettata. Ma avrebbe potuto essere tanto crudele?
“Ci sono cose che è meglio non sapere” rispose meccanicamente, recitando una battuta che conosceva a perfezione.
Lui parve pensarci su e si appoggiò meglio al suo letto, scrutandola più da vicino.
“È un ricordo che riguarda noi?”
Non chiedere più di così, ti prego…
Si ritrasse, incapace di sostenere quello sguardo, quella curiosità.
“In passato ti ho fatto del male?”
“No” negò immediatamente, struggendosi. Era esattamente l'opposto.
“Allora… è un ricordo delle volte in cui mi hai ucciso?”
Si pietrificò, sentendosi mancare il respiro. L'aveva scoperto di nuovo.
“Sono un modello E…” ricordò, più a se stessa che a lui.
“È il tuo dovere, lo so.”
“È…”
Era terribile. Un compito terribile, che ogni volta non voleva portare a termine. Persino la prima volta era stato difficile. Si illudeva che andando avanti sarebbe diventato più semplice, mentre invece… invece era sempre peggio. Sempre più arduo.
“Giusto così.”
Lo fissò incredula, chiedendosi da dove uscisse tutta quella calma. Le altre volte in cui aveva capito non sembrava mai tranquillo, com’era ovvio che fosse.
“Non hai… paura di me?”
“Non potrei mai avere paura di te.” Le sorrise con dolcezza, prima di ridacchiare. “Anche se c'è da ammettere che per qualsiasi nemico tu sia un avversario temibile. Ma io non sono un tuo nemico e, in ogni caso, non potrei mai… Non riuscirei mai a temerti.”
“Non mi detesti?” rincarò, non credendoci. Non lo riteneva normale.
“Sarebbe impossibile.” Tornò a mostrarle quel sorriso, drizzandosi al suo fianco. Osservò per qualche minuto il soffitto, rilasciando un inudibile sospiro. “L'unica cosa che detesto è doverti sempre spingere a tanto.”
“Non è colpa tua.”
Era creato per essere così. Per essere curioso. Per ficcare il naso dappertutto. Era necessario, per raccogliere informazioni in maniera efficiente. Tutti i modelli Scanner erano così, ma 9S era… era diverso. Lui aveva una scintilla in più, una vitalità in più, che lo differenziava dai suoi simili, e lei ogni volta doveva portargliela via.
Non rispose a quello, ma stavolta 2B si accorse che tremava.
“E l'unica cosa di cui ho paura… è che non riesca più ad incontrarti. Da un lato sarebbe meglio, ti libererei da questa condanna, ma dall'altro il pensiero di non rivederti più è insostenibile.”
Non vederlo più, anche per lei sarebbe stato insostenibile. Non importava quante volte dovesse soffrire e farlo soffrire, agognava la sua vicinanza, sempre, costantemente.
“Se questa è la nostra ultima sera, almeno in questa vita, voglio mostrarti una cosa. Non è detto che in futuro lo saprò.”
2B si domandò, inevitabilmente, se quella pacata serenità non fosse forzata. Se non stesse facendo un tentativo solo per lei, per risollevarla.
“9S…”
Ignorandola si accucciò sul suo letto, gattonando fino alla finestra di quella piccola e vecchia stanza, una delle poche rimaste intatte in quell’edificio abbandonato dove avevano trovato rifugio. Ne scostò la tenda, facendole segno di accostarsi a lui.
Strisciò quindi al suo fianco, provando a mettersi comoda e dimenticare quello che sarebbe successo di lì a poco.
“Guarda” le disse, indicando verso il cielo.
2B sollevò lo sguardo, seguendo il suo indice, notando che lo spostava in più direzioni.
“Per ogni stella che vedi, se le unisci puoi creare una costellazione.”
“Costellazione?”
Che strano, quel termine sembrava rievocarle qualcosa di distante, di antico, di concluso.
“Sì, è un artificio dell'uomo che nasce da qualcosa di già esistente, di naturale. In epoche antiche gli uomini, osservando il cielo notturno, s’accorsero che vi fossero delle stelle che sembravano distinguersi in qualche modo, formando delle figure fisse facilmente riconoscibili. Col tempo, a questi ‘disegni astrali’ cominciarono ad associare storie di personaggi. Si trattava in realtà di una mera convenzione, spesso utilizzata per potersi direzionare identificando la posizione di una stella nel cielo. Ad esempio, quella stella più luminosa è la stella polare, fa parte della costellazione dell’Orsa Minore e molti navigatori vi si affidavano per conoscere la traiettoria da seguire e la direzione in cui si muovevano, basandosi sulla sua altezza angolare per determinare la latitudine, calcolandola attraverso uno strumento chiamato ‘sestante’. Queste costellazioni venivano poi tracciate su delle mappe e vi si davano nomi presi in gran parte dalla mitologia greca, come Ercole o Pegaso, altre furono legate ad invenzioni del periodo, come l’Orologio, mentre le dodici costellazioni che seguono il percorso del Sole compongono i segni zodiacali. Quella lì a forma di W è Cassiopea. Nei miti Cassiopea era nota per la sua vanità e sposò Cefeo, re d’Etiopia, il cui nome fu assegnato alla costellazione collocata vicino ad essa, quella che sembra una punta di matita. Pare che siano le uniche due costellazioni dedicate ad un marito e una moglie.”
Proseguì a raccontarle le storie dietro quelle costellazioni, quasi fino al sorgere del sole.
Lei lo ascoltò con interesse, assimilando tutto, assicurandosi di non lasciarsi sfuggire neppure un particolare, che fosse una parola, che fosse il tono della sua voce, che fosse il modo in cui le sue iridi luccicavano per il piacere di poterlo condividere con lei.
Quando si interruppe 9S sentì la stanchezza prendere il sopravvento e si appoggiò alla sua spalla, sospirando. Prese una sua mano, portandosela al viso, poggiandoci la guancia contro.
“Va tutto bene, 2B.”
Conclusasi quella notte che avrebbe sperato potesse divenire infinita, 2B cominciò a sentire il peso di quel che stava per accadere.
Non voglio non voglio non voglio.
“Andrà tutto bene. Non ti perderò, ti ritroverò. Perché tu sei la mia costellazione, 2B.”
Non sorridermi così, non dirmi queste cose, ti prego, ti prego…
“Quindi… puoi farlo. Anche adesso.”
No no no no no!
“Io sono pronto.”
Io no!
Percepì il suo corpo oscillare, a malapena accorgendosi che i suoi condotti lacrimali si erano attivati.
“2B…”
9S la richiamò con dolcezza, stringendola delicatamente a sé, stendendosi sul suo letto. Chiuse gli occhi, ascoltando i suoi singulti, desiderando sparissero.
“2B, non piangere. Non è la fine.”
Continuò a parlarle con calma, per quanto lui stesso non desiderasse allontanarsi da lei, ma era vero quello che aveva detto. Si sarebbero rincontrati. Avrebbero ricominciato. E in futuro avrebbe cercato di stare più attento, per non farle rivivere simili traumi.
Deciso che fosse giunto il momento, prese le sue tremule mani, accompagnandole sul proprio collo. Lei si sollevò di poco, scuotendo la testa, il suo viso un torrente di lacrime agonizzanti. Lui stesso guidò le sue sottili dita, affinché facessero pressione attorno alla sua pelle, e si sforzò di sorridere, fino a che questa sua vita non avesse avuto termine.
“2B, per favore. Sorridimi.”
Lei strinse i denti, ma si decise ad andare incontro a quel suo ultimo desiderio. Tese le labbra verso l'alto, e lui parve rilassarsi. Le sue mani già sapevano cosa fare e le lasciò agire in maniera automatica, concentrandosi sui suoi occhi. Ne vedeva la sofferenza celata dietro la calma e la pace. I suoi occhi…
Si fece più vicina per giungervi parallela, le sue lacrime gli caddero sulle gote. Il sorriso di 9S si stese di poco, mentre con un ultimo sforzo provava ad asciugarle una guancia. Ma era ormai al limite, e lei non poteva più sopportarlo. Soprattutto perché piccole lacrime avevano cominciato a scivolargli giù verso le tempie.
Non voleva vederlo così, mentre fingeva di stare bene. Voleva illudersi che stesse bene. Ma voleva anche che stesse realmente bene.
Per questo chiuse le palpebre, privandosi della vista, e si abbassò sul suo viso, poggiando le labbra sulle sue.
Anche stavolta rubandogli il respiro.
Anche stavolta rubandogli la vita.

L'amore, era proibito. Eppure era proprio in quei momenti in cui lo perdeva, in cui gli era più vicina che mai, che ci pensava di più.
9S, ti amo. Ti amo, così tanto.









 

Angolino autrice:
Buongiorno! Finalmente riesco ad aggiornare (quasi non ci credo di essere libera). 
Passando subito alla storia - cercherò di essere più breve e meno logorroica - immagino sia piuttosto palese che mi sia ispirata ai primi due script del NieR Music Concert: The Memories of Puppets ("A repeating prayer" e "Project YoRHa", spero li abbiate ascoltati/letti/visti anche voi). Ho immaginato qui due delle 47 volte in cui... oh cielo, non riesco neppure a parlarne. Diciamo, "2B ha dovuto portare a termine il proprio compito" (come se ciò potesse alleggerire il tutto, solo rileggendola ho ricominciato a piangere come la prima volta). Dal secondo script, invece, ho ripreso quella parte in cui Zinnia parla delle costellazioni. Inoltre, voglio far notare che, pur avendo parlato di un "sorgere del sole", questa storia è ambientata nel "Regno dell'oscurità" (si chiama così in italiano? Insomma, la parte della Terra in cui è costantemente notte), quindi più che a un'alba vera e propria è un riferimento all'ora in cui il sole si leva. 
Bel modo per usare il tema "kiss", neh? Avrei potuto scrivere qualcosa di più leggero, e invece l'angst mi scorre nelle vene. 
Auguro a tutti una buona settimana, e intanto mi auguro di riuscire ad aggiornare più velocemente d'ora in avanti. 
Saluti da Steffirah

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Capitolo 3
*** Day 3 - Kemonomimi/Fairytale/Sinoalice ***


3. [K]emonomimi / [F]airytale / [S]INoALICE


 

Quando 2B riaprì gli occhi si ritrovò avvolta dal buio più assoluto. Era come se fosse circondata da pareti di petrolio, che andavano estendendosi all'infinito. Provò a camminare per capire dove fosse la fine di quello spazio sconosciuto, mettendo i sensi all'erta. Nulla si udiva eccetto il rumore dei suoi tacchi, che riecheggiavano ad ogni passo che faceva.
Tentò di mettersi in contatto con Pod 042 e l’Operatore 6O, ma non ottenne alcun segnale in risposta.
Non poté far altro che avanzare, cercando di svelare quel mistero, finché non udì un rumore simile ad una corda che veniva tirata, seguito da un fruscio di tende e due voci di bambini che parlavano velocissimi, in sincrono: “Benvenuta nella Library, un mondo dimenticato, imprigionato da storie di eterne morti e rinascite! Da questo momento in poi la tua storia non sarà più la stessa!”
Si mise in posizione d'attacco, ma non fece in tempo ad afferrare la spada che fluttuava alle sue spalle che il suolo sparì da sotto i suoi piedi. Precipitò nel vuoto e, d'istinto, gridò, atterrando sul proprio sedere. Si lamentò massaggiandoselo, bloccandosi nel percepire qualcosa di poco familiare.
Guardò dietro di sé, trovandosi una coda grigia e pelosa che sembrava appartenere ad un gatto attaccata al fondoschiena. Si chiese che brutto scherzo fosse e chi lo avesse architettato, provando a staccarsela, ma dovette necessariamente fermarsi, essendosi attivati i sensori del dolore.

Lasciò perdere, meditando intanto sul come vendicarsi, e si rimise in piedi, pulendosi dalla polvere prima di proseguire in mezzo a quelle lastre variopinte. Specchiandosi casualmente in uno di questi rosoni, scorse anche delle orecchie da gatto ai lati della sua testa. Strinse le labbra, imbarazzata, ringraziando il cielo che nessuno potesse vederla in quello stato, e cominciò a correre nel corridoio, affrettandosi a cercare una via d'uscita. Non appena vide comparire dinanzi a sé un'intensa luce accecante accelerò, saltandovi dentro.
Una volta che si fu abituata a quei bagliori si guardò intorno, notando con sconcerto due cose: invece di essere tornata al Bunker si trovava in un posto del tutto sconosciuto, che non poteva in alcun modo analizzare, essendo priva sia del Pod che del visore. Inoltre, a un lato del paesaggio boschivo che si apriva dinanzi ai suoi occhi fluttuavano delle scritte che non riusciva ad interpretare. Se almeno 9S fosse stato con lei…
“2B, che stai facendo?”
“9S!” esclamò sollevata, voltandosi verso gli alberi, subito pietrificandosi. “… 9S?”
“Sì?”
Sollevò un dito verso le sue orecchie e coda da coniglio, attonita: “Quelle cosa… cosa…?”
Lui la fissò confuso.
“Qualcosa non va?”
2B scosse il capo, giungendo ad una conclusione.
“Sto sognando.”
“Non stai sognando.”
Stavolta la voce di 9S le giunse dalle spalle. Si voltò di scatto e lo trovò comodamente seduto sulla porta da cui, evidentemente, era entrata, dondolando le gambe all'aria, con orecchie e coda da volpe.
“Se non sconfiggi le principesse non potrai esaudire il tuo desiderio.”
“Desiderio?”
Io ho un desiderio?
“Potrai trovare il tuo creatore.”
“Il mio… creatore?”
Si sentiva terribilmente spaesata. Era quello ciò che desiderava?
“Per scoprire di lui devi prima salvare il principe e baciarlo” la istruì, con fare da maestrino.
Lo fissò alzando un sopracciglio, chiedendosi di cosa stesse parlando, ma prima che potesse replicare l'altro 9S le corse vicino, afferrandola per un braccio per attirare la sua attenzione, mettendole fretta.
“Non abbiamo molto tempo, se non ci sbrighiamo le altre principesse potrebbero anticiparti!”
Osservò quello sguardo sinceramente impensierito, serrando le labbra. Non ci stava capendo molto, ma…
“È l'unica tua possibilità per uscire di qui!”
A quelle parole non esitò più, ordinando: “9S, fammi strada.”
La versione di lui coniglio le aprì il percorso, preoccupandosi di girarsi più volte per assicurarsi che non si perdesse tra le righe e le pagine, mentre quella volpe li seguiva con un sorrisetto ambiguo. Nell’accorgersene fu colta da un brivido, sentendo che qualcosa di importante non le era stato detto.
Dovettero fermarsi in diverse tappe e, grazie alle indicazioni di streghe con sembianze animali, si ritrovarono ad affrontare varie fanciulle, ciascuna pericolosa a modo suo. Soprattutto Cinderella, Gretel e Red Riding Hood, erano state delle vere e proprie piantagrane psicopatiche, particolarmente difficili da battere.
Fatto sta che, dopo aver superato quegli ostacoli, 2B giunse finalmente al castello; esso era completamente formato da cubi, come se fosse fatto di dati, e su di esso vi erano sempre quelle infauste iscrizioni in linguaggio sconosciuto.
2B avanzò con decisione, seppure continuava a portarsi dietro quello strano presagio che, come uno strascico che le gravava sulle spalle, la accompagnava dalla partenza. A mano a mano che procedeva diventava sempre più opprimente, sempre più angosciante. Tali sensazioni peggiorarono nel momento in cui cominciò ad avere l’impressione che quel mondo le si stesse chiudendo poco alla volta addosso, come se a spingerne le pareti fosse il cielo stesso. Sentì il peso della punizione divina che si portava con sé anche tramite quelle oscure parole, che le filtravano nella mente, incolpandola di ogni sua singola azione.
Scombussolata da tutto ciò, esitò dinanzi all'ultima porta di quell'apparente labirinto. I due 9S gliela aprirono con fare teatrale, informandola che lì la attendesse il principe, insieme alla verità, e alla libertà.
Mise da parte qualsiasi indugio ed entrò impettita nella stanza, sperando di porre una fine a tutto quel nonsenso quanto prima. Si arrestò ai piedi di un letto sfarzoso, pietrificandosi. Lì sopra, al centro di fiori bianchi a lei tremendamente familiari, riposava 9S, immobile, con le mani intrecciate sul petto, pallido e freddo, come se fosse morto.
Che cosa significa…?
Udì la porta sbattere alle sue spalle e si voltò, pronta all'ultima battaglia.
“Sei tu il mio ultimo avversario, 9S?” domandò stoica, celando ad arte la propria instabilità.

Strinse con tutte le sue forze l'elsa della spada, furiosa, con loro e con se stessa. Non poteva piangere, non poteva lasciare che l’angoscia prendesse il sopravvento, non poteva permettere alle emozioni di vincere.
“Pin-pon, indovinato~” cantilenò il 9S volpe, sembrando deliziato all'idea.
“2B, mi dispiace” mormorò invece il coniglio, con aria mortificata. Ciononostante anche lui le puntò la katana contro, sorridendo tristemente. “È così che deve andare.”
2B digrignò i denti, non attendendo oltre. Ne aveva abbastanza, di tutto. Prima l'avrebbe fatta finita, e meglio sarebbe stato per quel suo finto, ostinato, malandato cuore.
Si scagliò contro di loro, attaccandoli contemporaneamente. I due 9S si difesero bene, ma per quanto lei si sentisse spossata non sarebbero mai stati alla sua altezza. Per questo zittì il loro continuo blaterare, pensando unicamente a brandire la spada, coprendo quella loro familiare voce coi colpi che infliggeva. Il liquido che costituiva il loro sangue schizzava dappertutto, macchiandole i vestiti e la pelle, ma lei cercava di non farci caso, ripetendosi sempre le stesse parole, agendo per dovere, chiudendoli fuori dalla sua mente e dal suo cuore.
Prima li uccido e prima me ne libero, più sarò rapida e meno soffriremo, prima li uccido e prima me ne libero, più sarò rapida e meno soffriremo, credevo in te ma tu mi hai mentita, però la prima a mentire sono stata io stessa, e forse per questo dovremmo semplicemente ucciderci a vicenda, ma per quanto io desideri morire non posso ancora permettertelo, ho un compito da eseguire, un compito da eseguire, un compito da Eseguire
Il primo cui inferse il colpo di grazia fu il 9S coniglio, il più docile e meno combattivo dei due. Anche nello spirare egli le sorrise, pronunciando in mezzo al sangue che gli bloccava la gola e gli scivolava giù in un rettilineo rivoletto fino al mento: “Sono sempre… felice… di morire… per mano tua…”
Troppo simile, troppo simile, troppo reale!
2B si chiuse nuovamente nel suo senso di dovere, ma stavolta le frasi insinuanti di 9S volpe riuscirono a raggiungerla. Forse perché stava cominciando a stancarsi, forse perché le sue velenose parole erano crudelmente veritiere.
“Sei un'esecutrice, 2B, e non sai neanche perché lo fai” la derise, ricevendosi un altro colpo.
“Sì che lo so!”
Lui rise più forte, in maniera quasi folle: “No, non lo sai! Non ne hai proprio idea! Segui gli ordini che ti vengono dati, senza ragione!”
“La ragione c'è!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola e alle sue risate crescenti gli trapassò la cassa toracica, non sopportandolo più.
Estrasse la lama con violenza e il suo corpo cadde all'indietro su quel pavimento a scacchiera; la sua risata andò affievolendosi gradualmente mentre si portava faticosamente una mano al petto, recitando con un'ultima traccia di sarcasmo: “Gloria... all'Umanità…”
Ansante, 2B si allontanò da quelle pozze di vermiglio, appoggiandosi fiacca ad una colonna. All'improvviso udì una musica sinistra, cui si aggiunse come il rumore di marionette che battevano i denti, in una muta risata. Dei fili trasparenti apparvero dal soffitto, attorcigliandosi attorno ai cadaveri inermi e scomposti dei due 9S, tirandoli via, prima di coprire quella cruda scena calando un sipario scarlatto.
2B rimase a fissare tutto ciò turbata e sconvolta, ma si diede subito una scossa. Doveva assolutamente andarsene di lì, prima di rischiare di impazzire.
S'approcciò al letto, allungandosi verso 9S, sfiorandogli il viso con una mano, con una delicatezza tale che era come se temesse che potesse infrangersi in mille pezzi da un momento all'altro.
“9S… è veramente questa la mia storia? Non c'è modo di cambiarla? Non avrebbe dovuto essere diversa?”
Strinse l'altra mano in pugno, notando che quei candidi fiori così simili ai gigli andavano tingendosi di rosso, bagnandosi del suo sangue. Non era quello che voleva, non era quello che desiderava.
Chiuse gli occhi, poggiando la fronte contro la sua, cominciando a sentirsi persa.
“Il te volpe mi ha detto che tu saresti stato la mia via di uscita. Che tu mi avresti fatto scoprire la verità, che mi avresti fatto trovare il mio creatore. Ma queste cose, non mi interessano.”
Una lacrima le sfuggì mentre si chinava maggiormente verso di lui, sussurrando: “Io voglio soltanto disfarmi di questa maledizione, sciogliermi dalle catene di questo perpetuo castigo e trovare la libertà, con te.”
Posò le labbra sulle sue e, nello stesso momento, tutto, compreso loro stessi, sfavillò e si sfibrò, in una distruzione di dati.









 

Angolino autrice:
Buonsalve! E con questa, si conclude il trio delle shot più crude, dolorose e angoscianti (le prossime hanno toni più leggeri).
In teoria, avrei dovuto scegliere uno dei tre temi del prompt, ma essendo indecisa ho finito col mescolarli. Quindi kemonomimi lo ritrovate nelle orecchie e code di animali, fairytale nella "solita" favoletta illustrata (in cui però i buoni sono i cattivi e viceversa, ecco perché le streghe danno consigli, pur guidandola verso un finale tragico) e SINoALICE nell'ambientazione (seppure nemmeno a questo io abbia mai giocato, ho solo visto un po' l'inizio e la collaborazione con Automata, ma mi ci sono
staccata). In particolare, ho citato come personaggi Cinderella, Gretel e Red Riding Hood, che come immagino sappiate sono associate a "Depravazione", "Delusione" e "Violenza". Per diverse ragioni, sembravano le più azzeccate con ciò che ho finito col trattare. Potete comunque considerare questa shot come un sogno o un'AU, a libera interpretazione. 
Il fatto che ci siano due (in realtà tre) 9S dovrebbe essere una rappresentazione dei vari "caratteri" che lui ha. Immagino siano anche piuttosto palesi le corrispondenze con le sue due personalità predominanti (buona e furba) e non ci sia bisogno di spiegare altro. Così come non credo di dover aggiungere nulla sui "fiori bianchi simili ai gigli", no? Ma se siete curiosi e volete saperne di più su tutto quello che mi ruotava in testa quando l'ho scritta, chiedete pure.
Detto ciò, vi auguro un buon inizio di settimana!

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Capitolo 4
*** Day 4 - T-shirt date/T-shirts ***


4. [T]-shirt date / [T]-shirts


 

Approfittando di una fresca giornata plumbea, straordinaria in quell'autunno che li aveva sorpresi con le sue elevate temperature, 9S propose a 2B di acquistare, una volta per tutte, la famigerata t-shirt cui aveva accennato molto tempo prima e mantenere finalmente la promessa che si erano scambiati di fare shopping insieme.
Da poco avevano scoperto che un’androide proveniente da un’altra base satellitare avesse aperto un emporio in un altro centro commerciale, che si trovava in un quartiere poco distante dalla città sommersa. Lì, a detta di Anemone, ella si occupava di sartoria, e aveva replicato prettamente accessori e capi d’abbigliamento umani, basandosi su fonti trovate da una biomacchina. Pareva che le due si considerassero come parte di una sola famiglia e portassero avanti quel business insieme.
Mentre si recavano verso la periferia della città, seguendo le coordinate segnate sulla mappa, 9S si augurò ad alta voce: “Magari riusciamo a trovare delle ‘matching t-shirt’.”
“Cosa sono?”
“Sembra che siano magliette uguali o che, per frasi o illustrazioni stampate su di esse, si completano a vicenda. Le coppie in passato avevano la tendenza ad acquistarle” spiegò, contenendo a stento l'eccitazione, sia per tale eventualità che per la situazione di per sé. Finalmente, stava trascorrendo un po’ di tempo da solo con 2B!
Da quando si erano risvegliati era un continuo viavai tra i vari androidi, per capire la situazione e decidere il da farsi. Ovviamente, qualcuno occasionalmente aveva chiesto loro dei favori e non avevano avuto modo di tirarsi indietro, per i benefici che ne derivavano. E ora poteva spendere tutti quei soldi ottenuti, per rendere felice 2B!
“Dubito che le troveremo” osservò lei pragmatica.
“Non essere così negativa, non si può mai sapere!”
Poteva essere scettica quanto voleva, non sarebbe riuscita a far scemare il suo entusiasmo.
Alla fine, più che darle un vero e proprio regalo – considerando come la pensava sui regali non voleva rischiare di farla arrabbiare, per quanto gli sarebbe piaciuto riuscire a farle una sorpresa, giusto per vedere la sua espressione – avrebbe fatto scegliere a lei quello che desiderava e lui gliel’avrebbe acquistato. Così, indirettamente, sarebbe stato un regalo, sicuramente voluto.
Gongolò all'idea, non accorgendosi che 2B intanto lo guardava in un misto tra confusione e imbarazzo.
“9S.”
“Sì?”
Si voltò totalmente verso di lei, mostrandole tutta la sua felicità. Gli parve di vederla sorridere per un brevissimo istante, prima che assumesse la sua solita aria seria.
“Non è comodo camminare così.”
Spostò lo sguardo sul suo braccio, notando che vi stava aggrappato e la stava praticamente trascinando. Si scusò immediatamente e sollevò le braccia ridacchiando, grattandosi imbarazzato dietro la nuca.
“Scusami, mi sa che mi sono lasciato trasportare dall’euforia.”
Lei mormorò un lunghissimo “Mmmmh…”, prima di prendere la mano che fino a poco prima la teneva e stringerla. “Così è meglio” decretò, aprendo lei stavolta la strada.
Per lo stupore 9S rimase qualche passo indietro, ma subito dovette affrettarsi per attenersi alla sua camminata rapida.
“Sei sicura?”
“Sì, c'è maggiore equilibrio.”
In tal caso, non aveva più nulla da ribattere. Non che a lui dispiacesse tenerle la mano, anzi.
Giunti dinanzi al nuovo edificio, 9S se ne stupì della grandezza. Ci si poteva perdere lì dentro! Chissà che tipo di negozi ospitava in passato!
Cominciarono la ricerca dal pianoterra, ma non ottenendo alcun buon riscontro salirono tramite quelle che una volta avevano dovuto essere scale mobili – ormai corrose e quasi del tutto inghiottite dal muschio – al piano superiore. Attraversarono un corridoio tra edera, piante rampicanti con foglie tendenti a sfumare dal verde al rosso e liane che creavano una sorta di cortina, finché gli occhi di 9S non caddero su qualcosa di bianco, che a poca distanza spiccava in mezzo a tutto quel grigio.
“Ah!” esclamò indicandolo, correndo in quella direzione. “2B, forse ci siamo!”
Entrarono in quella stanza, anche se ormai non la si poteva neppure più definire tale, visto che le pareti erano quasi crollate, dalle mura la vernice s'era staccata e scurita, e non vi erano né porte né finestre. Tutto era dominato dal verde, il giallo, il rosso e il marrone di quella natura lussureggiante, e forse essa stessa era ciò che permetteva alla struttura di reggersi ancora in piedi, sostenendola con i suoi grossi fusti. Notarono che c’erano molti tavoli capovolti o spezzati, ma i rami stessi di un albero avevano creato una sorta di cupola attorno a una piccola sezione in un angolo più centrale. Lì, sulla corteccia, c’era una specie di banchetto, dietro il quale stava seduta una piccola biomacchina che diede loro il benvenuto, invitandoli a vedere e provarsi tutto quello che volevano, approfittando degli sconti del giorno.
9S non si fece pregare e prese da uno degli scaffali ancora in piedi un pezzo di stoffa bianca, aprendolo. Lo identificò immediatamente come una ‘maglietta a maniche corte’. I suoi occhi si illuminarono e, accorgendosi che il tessuto fosse più sottile e leggero – e sembrava anche molto più facile da strappare – di quello da loro indossato, provò ad analizzarlo, finché non notò un’etichetta all’interno dello scollo su cui vi erano varie informazioni, sulla texture, la taglia, la provenienza, la metodologia di lavaggio e stiramento.
“Meticolosi” osservò tra sé, sbirciando in direzione della biomacchina. Doveva assolutamente farsi dare le informazioni che aveva, in un modo o nell’altro.
Non udendo parola da 2B sollevò lo sguardo, notando solo in quel momento che si era spostata al lato opposto per fare lo stesso, passando da una maglia all’altra con aria poco convinta. La osservò dilettato, finché non la vide sollevare il viso verso di lui, voltando una t-shirt. Su di essa era rappresentato il disegno di uno scoiattolo con una ghianda tra le zampe.
“Carina” commentò, immaginandosela già addosso a lei. Sarebbe stata adorabile.
“Ti somiglia.”
“Oh, grazie – No aspetta, cosa?”
Spalancò le labbra, incredulo, chiedendosi cosa mai potesse avere in comune con uno scoiattolo.
Lei emise appena un risolino, nascondendosi con la maglia in questione, prima di abbassarla di poco per mostrargli l’ilarità che le sollevava gli angoli delle labbra.
“La proveresti?”
“Non se ne parla.”
“Oh, come vuoi.”
La rimise al suo posto con noncuranza, facendo come per andarsene.
Per questo 9S immediatamente contrattò: “E va bene, la indosso! Se però prendi anche qualcosa per te!”
Lei tornò a rovistare, trovando un’altra maglietta a maniche corte con su una scritta in nero, tracciata in un carattere sobrio.
Nice” lesse. “Suona come Nines. Dovresti -”
“2B.” Alzò gli occhi al cielo, sospirando esasperato.
Lei si imbronciò, bofonchiando mentre se la stringeva al petto: “D’accordo, se non la vuoi tu la prendo per me.”
“Perché?”
“Perché così ti avrò sempre vicino.”
Detto ciò si chinò al reparto sottostante, notando che lì ci fossero gonne e pantaloncini. Ne prese uno a caso e senza aggiungere altro si allontanò verso delle tende che supponeva essere camerini.
9S restò lì pietrificato, finché non scomparve. Si ripeté quelle parole nella sua testa, percependo le sue pulsazioni accelerare progressivamente. Fortuna che i Pod avessero deciso di andare a pescare, piuttosto che stare dietro a loro.
Prese un respiro profondo, vedendo se ci fosse un qualche pantalone che potesse andargli bene, e ne trovò uno lungo, di un tessuto chiamato ‘dènim’. Di qualcosa che potesse identificare come ‘matching t-shirt’, tuttavia, non ve n’era traccia.
Un po’ dispiaciuto andò anche lui a cambiarsi, passando prima dalla biomacchina per chiedere se potesse passargli i dati che aveva ottenuto sugli umani. Già stava pensando di procedere con la manomissione, nel caso in cui si fosse rifiutata, ma sorprendentemente fu piuttosto collaborativa. Addirittura, dopo averli condivisi con lui, gli raccontò di sua spontanea volontà che un giorno aveva servito una regina, divenuta la sua migliore amica, ma che alla morte di questa fu costretta ad andare via. Fortunatamente, ora aveva trovato una sorellina con cui portare avanti il negozio.
Mentre si cambiava, 9S pensò a quanto quella biomacchina dai modi cortesi e quieti gli ricordasse Pascal. Aveva detto che la regina era la sua ‘migliore amica’. Sembrava che soprattutto tra le adolescenti o tra le bambine umane si venisse a creare questo forte legame d’amicizia, che portava a prediligere una persona più di ogni altra. Se fossero stati bambini, forse avrebbe potuto dire di se stesso che 2B era la sua migliore amica. Oppure sarebbe stato inadeguato?
Mentre ci rimuginava riemerse dalla tenda, cercando il primo specchio a grandezza umana che trovava. Girò distrattamente attorno ad un pilastro e si arrestò di botto, trovando già 2B a specchiarsi. Si voltava a destra e sinistra, per controllare come le stava alle spalle.
“9S” esordì, accorgendosi di lui, guardandolo con schiettezza. “Sembrano essere della mia misura. Penso li prenderò. Dietro come mi vanno?”
Fece un breve giro su se stessa e lui la fissò senza battere ciglio, da capo a piedi. Il suo sguardo scivolò dalle sue gambe coperte unicamente dalle calze, salendo fino alle sue cosce, mani e braccia nude, per poi soffermarsi su quei pantaloncini e quella t-shirt che sembravano essere stati cuciti apposta per lei. Non riusciva più a processare nulla, si sentiva soltanto come se da un momento all’altro tutte le sue funzioni vitali potessero cessare di funzionare.
Non ricevendo alcuna reazione da lui 2B vi si avvicinò, scrutandolo da vicino.
“Nines?”
“T-ti stanno benissimo” farfugliò appena, voltandole le spalle.
“Mmh?” Non comprendendo le sue azioni si spostò davanti a lui, aggrottando le ciglia. “Grazie. Anche tu ci stai bene” ricambiò, ignara delle impetuose emozioni che lo stavano sconvolgendo.
Il punto era che, a volte – o meglio, molte volte, 9S si rendeva conto della bellezza di 2B. Che fosse per un suo raro ma genuino sorriso. Che fosse per un particolare sguardo che gli rivolgeva, quando gli regalava la vista delle sue iridi. Che fosse per un minimo gesto, ad esempio quando si portava i capelli dietro un orecchio, o persino quando si stiracchiava e si allenava – seppure non ce ne fosse bisogno, ma a lei piaceva tenersi occupata in quel modo. Forse non se ne rendeva neppure conto, ma nei modi di fare, nei modi di parlare, quanto più imparavano, tanto più somigliava ad una donna umana. Stava acquisendo anche una certa grazia ed eleganza nei movimenti, tanto che a volte 9S sarebbe stato tentato di inginocchiarsi dinanzi a lei e farle un cosiddetto ‘baciamano’. E quando si accorgeva di tutte queste cose tendeva ad andare in tilt. Si sforzava di non darlo a vedere, ma dentro di sé si sentiva sconquassato – forse, anche lui stava diventando sempre più simile ad un uomo umano – e l'unica soluzione era svignarsela con qualche scusa e raffreddare il sistema prima di andare in cortocircuito, occupandosi di qualsiasi faccenda che non riguardasse 2B.
Questa, sempre più perplessa, toccò una sua guancia, allarmandosi nel testare la sua temperatura.
“9S, sei caldo! Non sarà per effetto di qualche virus, vero?”
“No, non è questo il caso.”
Le sorrise per tranquillizzarla, facendosi un po’ indietro, sottraendosi al suo tocco.
“Ad ogni modo, prenderò anche io questi vestiti, ma sappi che questa maglia la metterò solo in tua presenza.”
“Va bene” assentì, decidendo di credergli. “In tal caso ti scelgo qualcos’altro.”
“No, grazie, me lo scelgo da solo.”
Tornò in fretta al reparto prima che potesse provare ad insistere e vincere, scappando dal suo potere eccezionalmente persuasivo. Ricontrollò in quella che aveva capito essere una sezione maschile, scrutinando tutto con attenzione, finché non trovò altre due maglie meno illustrate, di cui una a maniche lunghe e con un cappuccio, della stessa misura. Se le poggiò su un braccio, annunciando che andava a provarsele, e visto che gli stavano decise che le avrebbe prese.
Tornò indietro dopo aver indossato nuovamente gli stivali, portandosi dietro abiti nuovi e vecchi, scegliendo di restare con l’altra t-shirt blu elettrico. Nel negozio trovò 2B nelle sue stesse condizioni, con le mani piene di stoffe bianche e nere. Mai che fosse andata a scegliere qualcosa di colorato.
La biomacchina mostrò loro dove appoggiare tutto e ripiegò i vestiti con cura, ponendoli in una busta dalla parvenza resistente. Mentre 9S pagava il dovuto notò che, avendo mantenuto il nuovo outfit, gli stivali alti creavano un contrasto eccessivo e troppo appariscente su 2B, per cui domandò se fosse possibile acquistare anche delle calzature.
“Al piano superiore” li informò il robottino con gentilezza, porgendo loro gli acquisti fatti. “C’è la mia sorellina.”
Pertanto salirono ancora e, scandagliando l’area, 9S si accorse che parti del soffitto erano crollate, portando alla formazione di crepe da cui filtravano i deboli raggi del sole insieme a sottili rivoli d’acqua, permettendo al tenue colore del cielo di irradiarsi e riflettersi dappertutto. Includendo le foglie e qualche animaletto che talvolta si mostrava, quella vittoria della natura aveva il suo fascino.
Proseguirono per un po’, finché stavolta non fu 2B a trovare per prima ciò che cercavano e dirigersi lì. Entrarono ed entrambi rimasero stupiti nel trovarsi dinanzi un’androide dall’aspetto giovane, fin troppo giovane, con addosso abiti che sembravano appartenere ad un’epoca lontanissima per quanto erano ingombranti. C’era una predominanza di fiocchi, trine e merletti dorati. I suoi capelli erano sollevati in un’elaborata acconciatura, quasi scultorea, e aveva con sé un piccolo ventaglio e un parasole, entrambi di pizzo bianco.
“Oh, finalmente degli ospiti!”
Ospiti? Non sarebbe stato più adeguato definirci clienti?
9S si scambiò un’occhiata confusa con 2B, la quale scrutava con sospetto la piccola androide.
“Avete già incontrato la mia Marie-Jeanne? Non è fantastico quello che ha scoperto? Quello che ha trovato? Non sono bellissimi gli abiti che confeziona?” E detto ciò fece una piroette, mostrando il vaporoso abito rococò che la avvolgeva, rendendone la figura ancora più minuta.
“Non è pesante?” domandò quindi 9S, dando voce a uno dei tanti dubbi che lo assillava, notando di quanti strati di stoffa sembrava comporsi.
“Per niente! È leggero come una piuma, hehe! Ah, ma non vi aspettate di ricevere qualcosa del genere, questi abiti sono soltanto miei.”
“Non ci interessa, siamo qui solo per le scarpe” tagliò corto 2B, trascinando per il braccio un 9S immerso nei suoi pensieri. Era la prima volta che vedeva un androide dall’aspetto tanto bambinesco e così altezzoso. Stando alle informazioni appena ricevute, quelli erano abiti settecenteschi. Ce n’era solo un’immagine nei dati, ma era incredibile come fossero riuscite a ricrearli con tanta accuratezza. Dove avevano trovato i materiali?
Arrestandosi all’ombra di un arbusto, 2B gli tirò un orecchio, attirando la sua attenzione.
“Ahi, ahia 2B! Cosa c’è?”
Si massaggiò la zona colpita lamentandosi, mentre lei incrociava le braccia, voltandogli le spalle.
“Niente. Presta attenzione.”
“A cosa?” chiese spaesato, domandandosi se lei gli avesse parlato e non l’avesse sentita.
Senza dargli delucidazioni si avvicinò impettita verso un paio di scarpe nere, lo prese e si accomodò su un robusto ramo.
Mentre si toglieva gli stivali 9S, ancora un po’ stranito dalla sua precedente azione, le si accovacciò innanzi, osservando quelle scarpette dall’aria semplice, che riconobbe come un modello ‘ballerina’. Si accorse che fossero senza tacco e, comparandole con quello degli stivali, quasi gli vennero le vertigini. Un pensiero attraversò la sua mente e non riuscì a tenerselo per sé. Era forse a quello che doveva prestare attenzione?
“2B, non ti fanno male i piedi a portare sempre quelle scarpe alte?”
“No, non provo dolore. A volte è stancante, se camminiamo o corriamo a lungo, ma non è insopportabile. Sono designate apposta per il combattimento.”
“Stancante” ripeté tra sé, ignorando tutto il resto. Sapeva già che il loro abbigliamento dovesse attenersi al loro ruolo e, per questo, era essenziale che fosse quanto più confortevole possibile; ciononostante si chiese se non gli stesse mentendo per non allarmarlo. Per accertarsene, approfittando del fatto che avesse tolto anche le calze, prese un suo piede tra le mani, tastandolo con delicatezza, assicurandosi che non ci fossero anormalità.
In reazione ci mancò poco che ricevesse un calcio in faccia dalla sua gamba libera, ma fortunatamente 2B riuscì ad evitarlo, irrigidendosi. Lui la guardò interdetto e lei sviò lo sguardo, portandosi una mano al petto. Si sentiva scoppiare.
“Scu-scusami, non me lo aspettavo” balbettò, nervosa, chiedendosi cosa fosse quella bizzarra percezione.
“Scusami tu, non ti ho avvisato.” Le rivolse un sorriso gentile, prima di tornare a controllarla. “Dammi qualche secondo.”
A livello esterno non vi erano segni, per cui ne analizzò i parametri sullo schermo olografico, risollevato nel constatare che non stesse mentendo e tutto rientrasse nella norma.
“Fatto” dichiarò lasciandola e lei senza perdere tempo calzò le nuove scarpe, alzandosi in piedi per provare a camminarci.
Si risollevò anche lui e quando tornò a sfilare, letteralmente, nella sua direzione, 9S si accorse che così erano entrambi della stessa altezza. Proprio come poco prima. E come tutte le volte in cui erano seduti.
“Sono comode” giudicò 2B con approvazione. “Le prenderò.”
Approfittando del suo imbambolarsi corse a pagarle lei stessa, decidendo di tenersele ai piedi e mettere tutto il resto in un’altra busta, congedandosi in fretta.
Riprendendo per mano 9S lo condusse all’esterno, interrogandolo con aspettativa: “Cos’altro prevede un appuntamento in cui si fa shopping?”
Non ricevendo risposta si voltò, vedendolo ancora in trance. Gli si pose innanzi a braccia conserte, in attesa di una spiegazione. Sul serio era rimasto tanto colpito da quell’androide?
“Ho capito che è carina, però… non è colpa mia se ho un aspetto adulto...” borbottò, gonfiando le guance.
“Eh? Carina? Chi?”
Quasi cadesse dalle nuvole, 9S piegò la testa su un lato.
“Lo sai di chi sto parlando.”
Ci pensò su, sgranando poi gli occhi. Non poteva essere!
“… 2B, sei forse gelo-”
“No” negò prontamente, voltando il viso da un lato, non lasciandolo neppure finire.
“Pensi che possa piacermi?”
“Solo perché ha un vestito più bello.”
Spostò il viso al lato opposto, continuando a sfuggirgli.
“Oh? Quindi ti piacerebbe un vestito del genere?”
“Sì. No, non sto dicendo questo.” Lo guardò, sentendosi esausta. Fu allora che rimase a bocca aperta, trovandolo a labbra serrate, come se si stesse trattenendo. “N… 9S, non ridere!”
Una mezza risata se la fece scappare, scusandosi immediatamente mentre lei gli tirava dei colpetti sul braccio.
“Però 2B, a volte sei veramente tonta” ridacchiò, posandole le mani sul viso, prima che potesse fraintendere e reagire – già la vedeva pronta a mostrarsi offesa. “Quando lo capirai che per me esisti soltanto tu?”
A quelle parole, 2B si pietrificò. Si sentì messa a nudo. Si sentì imbarazzata. Si sentì come se avesse palesato le sue debolezze. E pensò che quelle erano proprio le parole che voleva ricevere.
Incapace di rispondere si morse un labbro, prendendogli le mani e abbassandogliele. Solo allora si rese conto che si trovavano alla stessa altezza. Quella situazione, per quanto rara, non le dispiaceva, perché poterlo guardare direttamente in viso, senza dover abbassare la testa ogni volta, le sembrava più… efficace. La sua fronte era perfettamente parallela alla sua, come lo erano i loro occhi al di là delle bende nere, i loro nasi, le loro labbra. Contrariata dal fatto che però non potesse vederlo direttamente si liberò del visore, lasciandolo scivolare sulle buste posate a terra. Lo vide chiudere le palpebre mentre gli sfilava anche il suo dal capo, spettinandogli la frangia, per poi sbattere le ciglia e spostare lo sguardo su di lei.
Immergendosi in quegli occhi che le erano sempre sembrati tanto veri, e forse anche troppo sinceri, provò l'impulso di abbracciarlo. Normalmente, le veniva da farlo sempre per un senso di perdita. Per evitare che qualcosa di brutto potesse accadergli. Lo faceva in maniera protettiva, avvolgendolo del tutto tra le sue braccia, quasi volesse fare di se stessa un bozzolo impenetrabile che potesse tenerlo al sicuro.
Quella situazione era diversa, anche se non riusciva ad identificarne bene l’origine. Fatto sta che ne avvertì chiaramente la differenza: adesso doveva sollevare e non abbassare le braccia, perché i loro corpi combaciavano alla perfezione, e pur sapendo che i modelli YoRHa fossero tutti della stessa altezza, non aveva mai pensato di volersene accettare. Invece che tra i suoi capelli e le sue spalle poggiò le mani sulla sua schiena, arrivando a poter strofinare il viso contro il suo collo, per una volta non sul suo capo. Spostò lo sguardo di lato per seguire la linea del suo volto, osservando ogni centimetro del suo profilo. Senza neppure rendersene conto sollevò la mano destra, toccandone la mascella con la punta dell'indice, finendo sui capelli che gli coprivano l'orecchio. Glieli spostò visto che la solleticavano, poggiandosi meglio a lui.
“Nines” sospirò appagata. Quel piccolo momento tutto loro, era bellissimo.
9S, dal suo canto, stava per raggiungere di nuovo condizioni critiche. Era come se il suo più grande desiderio di tanto tempo fa si stesse finalmente avverando, perché era tutto lì vicino a lui, era tutto lì, a portata di mano. Lo strusciare della stoffa dei vestiti di 2B, che sfregavano i suoi. Il suo petto che premeva perfettamente contro il proprio. La percezione tanto intensa del corpo e del calore di 2B. La voce di 2B, accanto al suo timpano. Il respiro di 2B, sulla sua ricettiva pelle.
Non sapeva cosa fare. Non sapeva come agire, eccetto restare fermo e ricambiare l'abbraccio, sforzandosi di non lasciar trapelare nulla, ancora una volta. Forse era lui a reagire in maniera sbagliata, esagerata, forse davvero qualche circuito era malfunzionante, perché lei sembrava essere tanto tranquilla, mentre invece lui -
“Nines, cos’altro facevano le coppie umane?”
“Cosa facevano?” le fece eco, ridestandosi dai suoi impuri pensieri.
Gli si staccò di poco, guardandolo con genuino interesse.
“Durante gli appuntamenti. Facevano questo genere di cose?”
“Ah, certo! Passeggiavano mano nella mano o abbracciati, facevano diverse attività per lo più divertenti, mangiavano insieme qualcosa di buono, visitavano qualche posto, organizzavano picnic, si recavano a vari eventi e spettacoli, e così via. Ad esempio compravano gelati, andavano al parco divertimenti o al cinema o -”
“Cinema?”
Rispondendo alla sua crescente curiosità le spiegò quel che sapeva a riguardo, mentre uscivano dall’edificio, riuscendo pian piano a sbollire.
Quando furono fuori, all’ombra di un enorme ginkgo, 2B si fermò, contemplando tutte quelle possibilità. Ne erano tantissime ed era certa che 9S avrebbe voluto provarle tutte. In fondo, anche a lei sarebbe piaciuto poter fare tutte quelle cose che facevano i loro creatori, insieme a lui.
A tale prospettiva stese le labbra in un sorriso, dinanzi al quale 9S si sentì per un attimo perduto. Era così meravigliosa, col vento leggero che le smuoveva i capelli, avvolta da tutto quell’oro irradiato dalle foglie….
Pensando ad un’altra cosa tipica degli appuntamenti, si chinò a raccogliere una piccola dalia con la corolla che variava da un caldo rosa a un pallido arancio, facendogliene dono. Le espresse così tutta la sua ammirazione, tutta la sua gratitudine e, con essa, sperava anche di riuscire a trasmetterle quel sentimento che lo scaldava sempre in sua presenza.
Il sorriso di 2B si allargò mentre accettava quel fiore, portandoselo accanto alle labbra, mormorandone sui petali un muto ringraziamento.
Intrecciò le dita a quelle di 9S, domandando: “Dove andiamo adesso?”
“Dovunque vuoi andare” concesse, lasciando decidere a lei questa volta.
Ci pensò su, guardando le buste che avevano con loro.
“Posiamo prima queste e poi decidiamo” propose, avviandosi verso quella che era diventata la loro casa.
Ancora non aveva scelto tra le diverse alternative suggerite da 9S, ma di una cosa era certa: ovunque sarebbero andati, lei ne sarebbe stata felice. Perché l’unica cosa che contava, era che potessero stare insieme.








 

Angolino autrice:
Buonasera (e buonanotte)! Se trovate errori, sappiate che sto pubblicando tra veglia e sonno. Mi auguro almeno che questa sia una bella favoletta prima della nanna - sono consapevole che è piuttosto dolce rispetto alle precedenti, ma come mi sembra di avervi già detto ho provato a darmi una regolata, ed è stato vano. In particolare, da questo day in poi, le cose hanno cominciato a sfuggirmi di mano e ho rovesciato un barattolo di zucchero.
Voglio solo dirvi che qui, come avrete notato, mi sono ispirata a diverse cose (gioco e side quests, lore, interviste e quant'altro) e ho voluto inserire "nuovi colori". La cosa buffa è che c'è anche un fiore, di cui ho scoperto in seguito il significato (buffo perché mi capita spesso di scegliere un fiore e scoprire che ben si addice a quello che voglio trasmettere). Mi scuso, come sempre, per la terminologia, se dovesse essere errata. 
E con questo vado a dormire.
Goodnight!

P.S: la biomacchina si chiama Marie-Jeanne, dal nome di Rose Bertin, stilista della regina Maria Antonietta. 

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Capitolo 5
*** Day 5 - Modern (Human) AU [Pt. 1] ***


5. [M]odern (Human) Au



 
■■■□■ 2B's Story



“La vincitrice è 2B!”
Guardai verso il display sulla parete, mantenendomi inespressiva. Come al solito, ero arrivata prima.
Accettai la medaglia d’oro, accennando appena ad un sorriso, vedendo a malapena il pubblico che mi applaudiva ed elogiava.
Come al solito, mi chiesi inevitabilmente lui cosa stesse facendo in quel momento.
Fissai dritto nello schermo di una telecamera, domandandoglielo con gli occhi: “Mi stai guardando adesso, in tv? Forse su internet? Hai almeno idea di chi io sia? Mi riconosci?”
Automaticamente scesi dal podio, avvicinandomi alla mia fiera allenatrice, Madame White, e alla mia migliore amica, Sybil, che entusiasta correva a porgermi dei fiori.
“2B, sei stata meravigliosa!”
“Grazie.”
Accettai quel bouquet variopinto, rivolgendomi a Madame White, che pure mi sorrideva con orgoglio.
Venne a darmi un flebile abbraccio, prima di allontanarsi di poco, lasciandomi soltanto una mano su una spalla mentre tornavamo verso gli spogliatoi.
Prima che potessi andare a cambiarmi mi trattenne, esordendo con: “C'è una notizia che devo darti.”
La fissai in attesa e lei cacciò fuori la sua cartellina, osservandone il foglio che aveva davanti.
“Considerando i tuoi risultati, pensavo di mandarti a Tokyo.”
“A Tokyo?” ripetei stupita. Addirittura in un altro Paese?
“Esatto. Lì c'è una delle mie migliori allieve, Iris, che forse conosci come A2.”
Annuii a quel nome e rievocai tutte le sue vittorie. La consideravo, da bambina, come la mia più grande rivale; poi, a lungo andare, divenne un modello da seguire e raggiungere, se non persino superare. C'era una sorta di tacita competizione tra di noi, sebbene non ci fossimo mai trovate faccia a faccia come avversarie. Forse dipendeva anche dal fatto che lei fosse mia sorella; ma questo era un segreto che conoscevamo soltanto noi due.
“Io stessa sono stata istruita da un sensei lì e, vista tutta la strada che hai fatto, vorrei raccomandarti.”
“È una vostra decisione” ribattei noncurante. “Per me è indifferente.”
Dentro di me, tuttavia, ne gioii. Per quanto il nostro non fosse il migliore dei rapporti, sarebbe stato bello rivederci. E, forse, in quel luogo tanto distante, sarei riuscita a trovare anche lui.



 
■■■□■



Mi fermai dinanzi alla mia nuova casa. Si trattava, in realtà, di un dormitorio associato ad una facoltosa università, cui ero stata iscritta. La mia allenatrice, che per lungo tempo era stata una madre per me, ci teneva che oltre alle mie capacità motorie sviluppassi e sfruttassi anche quelle cognitive. Non che fossi molto portata negli studi, la mia qualità principale era la forza fisica, non mentale; anzi, la mia mente era decisamente debole. Tuttavia ci teneva a vedere brillanti risultati anche in quel campo e, per rincorrere quell'obiettivo, ce l'avrei messa tutta, al fine di non deluderla.
L'aspetto positivo era che Sybil mi aveva seguita in questa impresa. Non che non me l'aspettassi. Da quando avevo cominciato il liceo, quindi quattro anni fa, eravamo diventate amiche e da allora non ci eravamo mai separate. Meglio dire che lei mi si avvicinò, lei si interessò di me, lei provò a farmi uscire dal mio guscio e scoprì - facendolo scoprire anche a me stessa - che dietro quella mia freddezza, quel mio essere scorbutica e talvolta persino aggressiva nel modo di pormi, si celava una fragile timidezza che mi rendeva insicura. A sua detta, quella facciata era uno scudo che avevo innalzato attorno a me per impedire a chiunque di vedere quanto invece mi sentissi sola, abbandonata, triste e nostalgica.
Fu la prima e fortunatamente unica persona nella mia vita che tentò e riuscì a psicoanalizzarmi, capendo così tanto di me, persino più di quanto mi ci raccapezzassi io stessa.
Ero chiusa in me, un lupo solitario; preferivo vivere da sola, lavorare da sola, perché così m’ero abituata a fare, crescendo. Tuttavia, qualcosa, o meglio, qualcuno mi mancava.
In realtà, si trattava di più di una persona. E una, quella legata a me dal sangue, stavo per incontrarla.
Lasciai alla voce allegra di Sybil riempirmi i pensieri, mentre parlava della nuova facoltà che aveva scelto. Ovviamente aveva optato per biologia e non c’era da sorprendersi, considerando la sua grande passione per la botanica; il suo sogno era occuparsi di una serra che avrebbe ospitato ogni tipologia esistente di fiore e prendersene cura, insieme a qualcuno che amava, nella sua bella casetta immersa nel verde, con un enorme giardino e tanti gatti.
Per quanto mi riguardava, non avevo un sogno. Non c’era nulla di particolare che volessi fare, se non continuare a lottare e a vincere, facendomi riconoscere sempre di più. Volevo che tutto il mondo parlasse di me, così da essere certa che, ovunque lui si trovasse, sapesse di me. Sapesse che ancora esistevo. Sapesse che lo aspettavo.
Forse era quello il mio sogno: incontrarlo e dirgli, per una buona volta, quel che provavo per lui, per non dover più vivere di rimpianti. Scoprire come stava conducendo la sua vita, senza più dovermi interrogare e preoccupare a riguardo. Essere certa che anche lui fosse vivo, da qualche parte nel mondo.
Notando che si fosse fatta ora, lasciai perdere il continuare a disfare la valigia e salutai Sybil, spettinandole quei capelli color grano abilmente divisi in due spesse trecce, ricevendomi un mini rimprovero, ma anche un “In bocca al lupo”.
Annuii ringraziandola e uscii, dirigendomi al dōjō indicatomi da Madame. Non distava molto da lì, per raggiungerlo mi bastava camminare per una quindicina di minuti.
Una volta arrivata cominciai a sentire l'ansia salire, quasi come prima di una gara, se non peggio. Come al solito me la tenni dentro ed entrai, guardandomi intorno. Avanzai verso la palestra, seguendo quella voce ferma così distante che dava indicazioni, facendo le veci dell’anziano sensei. Mi affacciai in quella sala con specchi, notando che stesse allenando dei ragazzi più giovani di noi. Attesi accanto all'ingresso finché non li lasciò riscaldarsi e, notandomi, mi si avvicinò, ponendosi alla mia destra.
Entrambe fissavamo dinanzi a noi, il suo unico saluto fu: “Erika, ti trovo bene.”
Mormorai una sorta di risposta, aggiungendo: “Congratulazioni per l’avanzamento di grado.”
Mugugnò un ringraziamento, al che non resistetti più alla tentazione di guardarla. Come avevo già appurato dallo schermo, rispetto a quando eravamo bambine s'era fatta allungare i capelli, talmente tanto che, pur tenendoli legati in un’alta coda, essi le sfioravano il fondoschiena. In questo modo, nonostante i nostri visi praticamente uguali, poteva essere più facile distinguerci; in passato, quando portavamo lo stesso taglio, gli unici che ci riuscivano erano i nostri genitori e lui…
“Sei cambiata” osservai, leggermente risollevata.
Si voltò a scrutarmi, a braccia conserte.
“Tu, invece, sei rimasta identica.”
Feci spallucce insieme ad un piccolo sorriso, incapace di dare spiegazioni. D'altronde, era fatto apposta. Nonostante lo sviluppo, avevo cercato di mantenere sempre il mio viso pulito da eccessivo trucco e i capelli con lo stesso taglio corto, da 15 anni. Per essere riconoscibile.
“È per lui, vero?”
Colta in flagrante, chinai di poco la testa, stringendo i pugni ai lati del corpo.
“Lo trovi stupido?” mormorai appena, vergognandomi di me stessa.
“Sì e no.” La guardai sorpresa, aspettandomi soltanto la prima. “È che…” Sviò lo sguardo, osservandosi una ciocca più corta che si arrotolava su un dito. “Me ne andai prima di voi, quindi non so effettivamente come s'è sviluppato il vostro rapporto. Ma ho sentito dell'incidente e non vorrei che ti stessi riempiendo di false speranze.”
“Non importa” ribattei prontamente, guardandola determinata, per quanto dentro di me una simile ipotesi fosse insostenibile. “Lo troverò, ad ogni costo, che sia anche la sua tomba. Fino ad allora, resterò come sono.”
Mi fissò a lungo, il suo sguardo un misto di apprensione e disapprovazione. Sospirò, dicendo: “Fa’ come ti pare, ma non pentirtene.”
Dopodiché mi fece segno con una mano di seguirla e quando lo feci e restammo sole mi cinse tra le sue braccia, stringendomi fortissimo. Non c'era bisogno che lo dicesse perché lo sentii nel suo gesto tanto inusuale. “Mi sei mancata tantissimo.”
Anche a me sei mancata tantissimo, sorellona, pensai, lasciando a qualche lacrima scivolare sul mio viso e bagnare la sua spalla.
Almeno noi due, ci eravamo ritrovate.



 
■■■□■



Il lunedì successivo ebbe inizio la mia nuova vita accademica.
Nel cortile di quell'incommensurabile istituto che brulicava di studenti le strade mia e di Sybil si separarono. Augurandomi una piacevole giornata - e facendomi segno col telefono che quanto prima mi avrebbe contattata (già prevedevo la carrellata di messaggi che mi avrebbe mandato) - si allontanò. Senza essere chiassosa come lei mi limitai a salutarla con una mano, prima di seguire la mappa e dirigermi verso la mia facoltà.
Da quanto mi avevano detto al momento dell'iscrizione, sarei stata assegnata a uno dei migliori studenti, che mi avrebbe funto da tutor. Presunsi che dovesse essere un senpai, ossia uno studente più grande di me, ma mi fu spiegato che lo avrebbero scelto a sorteggio tra quelli coi risultati più alti nei test di ammissione. Sembrava avere il suo senso che fosse del primo anno e, d'altro canto, sentivo che quella fosse una richiesta implicita di Madame, per assicurarsi che ci fossero effettivamente dei miglioramenti nei miei voti - ed eventualmente continuare a tenermi d'occhio. A Paesi di distanza, neppure mi aveva totalmente abbandonata.
Mi sentii sollevata nel comprendere che, nonostante la lontananza, c'era qualcuno, una figura più grande, una figura materna, che avrebbe continuato a vegliare su di me e su cui, eventualmente, avrei potuto contare.
Mi incamminai verso i sentieri fioriti, attraversando un vialone pieno di ciliegi (qui chiamati ‘sakura’), spostando lo sguardo dalla strada alla mappa e viceversa. Ad un certo punto, tuttavia, mi arrestai. Mi voltai indietro, colta da una strana sensazione. Era come se fossi stata appena attraversata da un fulmine, ma non doloroso, anzi più… più roseo, più piacevole, composto da scintille di speranza.
Guardai col cuore in gola oltre delle siepi dai fiori bianchi, affacciandomi appena, scoprendo così che accanto ad un albero era seduto un ragazzo. Un ragazzo dai capelli lisci e candidi, che sembrava totalmente immerso nella lettura di un libro, finché non sobbalzò al suono del suo telefono - probabilmente una sveglia che lui stesso aveva impostato - e borbottando tra sé qualcosa in giapponese - se avevo capito bene, doveva esserci la parola ‘ritardo’ in mezzo - si sollevò di scatto, filando via mentre metteva trafelato tutto in borsa.
Rimasi lì pietrificata, osservandolo scomparire proprio nell'edificio di management verso cui ero diretta. Risi tristemente tra me, sentendomi un'idiota.
Che sciocca, non poteva essere lui. Tra tanti Paesi, perché avrebbe dovuto finire proprio in Giappone? Se così fosse stato, allora forse era scritto nel suo nome…
Non dovevo illudermi. Avevo visto unicamente la sua schiena e, anche se mi sembrava lui, non doveva necessariamente essere lui.
Presi un respiro, incamminandomi, portandomi una mano sul cuore sperando decelerasse finché, lanciando un’occhiata all'orologio, non mi accorsi di quanto si stesse facendo tardi.
Accelerai, raggiungendo in pochi lunghi passi la segreteria per prendere le mie cose e farmi poi dare indicazioni sul luogo in cui mi sarei riunita al mio tutor. Non era lontano, mi bastava uscire dalla stanza, superare il corridoio, e una volta giunta in fondo attenderlo nel cortile sul retro.
Quando arrivai lì lui mi aveva anticipata. Fissava con aria assorta il cielo, prima di guardare il terreno calciando qualche sassolino.
Pensavo che quella di pochi attimi prima fosse stata una mia impressione, soltanto perché sembrava così simile al nostro primo incontro. A quel giorno in cui io e Iris eravamo state assegnate a quell'orfanotrofio ed esplorando quell'aeroso giardino insieme a Zinnia, il nostro unico vero padre, lo trovammo seduto a ridosso di un albero con un libro tra le gambe.
Zinnia, che in qualità di genitore aveva scelto i nostri nomi, prendendoli dai fiori che, secondo lui, più ci rappresentavano, ce lo introdusse a distanza. Lo aveva battezzato Kiku, che in giapponese significava ‘crisantemo’, per quel simbolo di vita che portava con sé, essendo sopravvissuto a molte difficoltà, nonostante la sua giovane età.
Lo ammiravo, colpita da quanto sembrasse rapito dalla lettura di un testo che, tutt'oggi ne ero convinta, non sembrava rivolto ad un bambino di quattro anni. Doveva essere una specie di genio, possedere un qualche talento. E mentre pensavo a tutto questo lui sollevò lo sguardo, incontrando direttamente i miei occhi, incatenandomi sul posto con quelle profonde iridi blu. Mi dedicò un piccolo sorriso cortese, prima che venisse approcciato da altri bambini che gli chiesero di giocare a nascondino.
Fummo poi introdotti dopo poco, in casa, quando c’erano tutti. Inizialmente io e Iris eravamo un po’ diffidenti, ma Kiku non si lasciò scoraggiare. Insieme a Zinnia, lui fu la prima persona cui concedemmo l'accesso al nostro gelido cuore. E anche dopo che mia sorella se ne andò, nonostante avessi una nuova famiglia, lui aveva sempre rappresentato qualcosa in più per me. Occupava nel mio cuore un posto che scavalcava tutti e che non sarebbe mai stato superabile da alcuno.
E ora, un ragazzo presumibilmente della nostra età, con quegli stessi capelli che sembravano fili di cotone, quelle stesse iridi incorniciate da ciglia nerissime, e quella stessa bocca larga e sottile che soleva chiamare costantemente il mio nome, mi guardava pieno di sorpresa.




■■■□■ 9S’ Story



In un caldo giorno di primavera mi fu annunciato che mi era stata assegnata una nuova studentessa. Non sapevo ancora molto di lei, se non che veniva dall'America, dove era campionessa di aikido e lotta libera. Aveva persino partecipato alle Olimpiadi un anno, ottenendo la medaglia d’oro. Il suo nome da atleta era 2B, un nome che, proprio come la nostra campionessa in Giappone, A2, mi apportava una certa nostalgia.
Spinto dalla mia incessante ed inguaribile curiosità avevo cercato qualche informazione su di loro, leggendo tutte le riviste che ne parlavano, in entrambe le lingue. Non trovai molto in realtà, soprattutto per quanto concerneva le loro vite private. L’unica cosa che sapevo per certo, osservando il loro comportamento tramite un monitor, era che i loro atteggiamenti fossero simili. Così come lo erano in maniera eccezionale anche i loro lineamenti. Chissà se si prendevano a modello a vicenda, sebbene nessuna avesse mai fatto alcun riferimento pubblico all'altra. Chissà se erano in qualche modo imparentate. Oppure, chissà se si trattava di una mera coincidenza e semplicemente, come è credenza, erano due delle sette sosia che si dice ci siano nel mondo per ciascuno di noi. In tal caso, non vedevo l'ora di trovare anche il mio.
Ma era una coincidenza anche il fatto che i loro nomi fossero nomi di fiori, come il mio, e neppure a farlo apposta rispecchiassero i miei preferiti? Soprattutto l’erica, aveva sempre avuto un impatto calmante su di me, che fosse per la visione di tanti fragili fiorellini bianchi e rosati che, uniti, si facevano forza l'un l'altro, elevandosi verso il cielo, o che fosse col loro buon profumo, che sapeva d'un passato obliato. Spesso trovavo piacere e giovamento nell’addormentarmi all'ombra di quegli arbusti, e allora facevo sempre sogni malinconici. Di solito vedevo riflessi argentei o indaco, ghiaccio e lillà, bambole di porcellana in abiti gotici e quant'altro. Non sembravano avere molto senso, erano mere impressioni, visioni astratte, mentre quel che più mi colpiva erano le mie sensazioni, perché sembravano così vere. Come se non li stessi sognando, come se quell’assurda realtà la stessi vivendo.
Col passare del tempo, tuttavia, in questi sogni cominciò a comparirmi anche ‘2B’. Forse mi stavo impegnando troppo in quella ricerca, talmente a fondo che le avevo permesso di accedere al mio inconscio e riportare a galla qualcosa di sopito in me, che ancora non ero riuscito del tutto a decifrare.
C’era una cosa che avevo capito di me, ed era che non fossi in grado di amare. Affezionarmi, sì, voler bene anche, come lo si voleva ad amici e ad una famiglia, ma niente di più. Mia sorella, Tamae, una ragazza seria - molto più di me -, talvolta piuttosto severa e legatissima alla famiglia, ci aveva provato più volte a farmi aprire da quel punto di vista. Mi aveva punzecchiato, mi aveva presentato sue amiche, mi aveva mostrato film e fatto leggere libri che parlassero di quel sentimento, ma non riuscivo proprio a provare nulla di simile.
Capivo che la sua fosse una preoccupazione da sorella maggiore. Una sorta di senso di responsabilità, un “devo vegliare su di te, assicurarmi che sarai in grado di fare le scelte giuste, e che troverai qualcuno con cui trascorrere il resto della tua vita”.
La ringraziavo per tutto questo impegno, per quanto fosse vano. Quasi dieci anni insieme e lei neppure una volta mi aveva visto né innamorato né invaghito di qualcuno. Soltanto interessato per piccole cose, ma per il resto c'era stata completa apatia, e lei non se n’era mai fatta capace.
Mi aveva presentato così tante ragazze, alcune oggettivamente bellissime, ma a parte trattarle con gentilezza e rifiutarle al momento opportuno non riuscivo a fare di più. Non riuscivo ad apprezzarle davvero. C'era sempre qualcosa che mi disturbava e non capivo mai se provenisse da loro o da me, anche perché spesso si mescolava ad un inspiegabile senso di colpa. Mi convincevo che fosse il fatto che, seppure non volontariamente, le ferissi; ma sentivo che c’era qualcosa di più, una muta accusa priva di voce e parole che mi portavo dietro sin da bambino.
Forse, avevo anche paura. Paura del futuro, paura di quello che ne sarebbe stato di me e di un ipotetico ‘noi’.
Paura di essere preso in giro, di essere ingannato, pugnalato alle spalle e abbandonato. Paura di poter essere io stesso a farlo con la persona che avrei amato. Paura che tale ignominia, tale peccato, fosse intrecciato al mio DNA e non me ne sarei mai liberato. Paura di ferire e rimanere ferito.
Tali timori, uniti a quel senso di colpa opprimente, erano ciò che mi bloccavano.
Tutto derivava dalla scoperta del mio passato: dopo che mi fu rivelato che i miei genitori non fossero miei consanguinei - cosa che già sospettavo, quindi la presi abbastanza bene - cominciai ad indagare sulle mie vere origini.
Le ragioni per cui mi avevano mentito a riguardo erano le seguenti: avendo perso la memoria al momento dell'adozione, mio padre e mia madre preferirono evitare che subissi ulteriori danni dandomi notizie che avrebbero potuto rivelarsi traumatiche, anche a costo di riempirmi di false illusioni di felicità. Tamae se la prese più di me per quell'inganno, in realtà, mentre io, sebbene mi sentissi un tantino risentito, non ne feci un dramma. Piuttosto, cominciai a domandarmi sempre di più sul cosa avessi fatto in passato. Cosa ne era di me. Chi fossi davvero.
Quello che scoprii non fece che rievocare brutti ricordi che, con molta fatica, dovevo ammetterlo, ero riuscito a rigettare nel dimenticatoio. Talvolta sembravano voler tornare a galla, ma riuscivo a sopprimerli. Con un po’ di sforzo, riuscivo a respingerli, a fingere che non esistessero.
Non potevo accettarli, perché non sembrava esserci stato niente di bello nella mia vita.
La mia madre naturale mi aveva dato alla luce quando ancora era una ragazzina, dopo un rapporto finito male. Lui era stato arrestato per aver accoltellato un uomo, lei non sapeva più che fare e, non potendosi assumere da sola quel peso che rappresentavo, decise di gettarmi via.
E ancora oggi avevo il terrore che questa violenza, che questa perfidia, facessero parte di me. D'altronde, esse scorrevano nel mio sangue. Ma noi eravamo frutto di ciò che ci metteva al mondo o di ciò che ci cresceva nel mondo? In cuor mio, rispondevo e mi convincevo che la risposta giusta fosse la seconda. Così ci sarebbe stata speranza anche per un individuo non voluto, come me.
Fortunatamente fui trovato da un passante, il quale mi portò ad un orfanotrofio gestito dal signor Zinnia. Si diceva che fosse un uomo amorevole, giusto e corretto con tutti i bambini che accoglieva, cresceva ed educava, insieme a sua moglie. Pareva che avessero l'abitudine di chiamare i loro figli con nomi di fiori e da qui Kiku, ‘crisantemo’, che in America, dove ero cresciuto, portava con sé un nefasto messaggio di morte. Era una mera consolazione che fossi poi finito in Giappone, dove aveva un significato più positivo.
In ogni caso, di quell'orfanotrofio non v'erano più tracce. I proprietari erano morti in un incendio, così come anche molti dei bambini, mentre io fui uno dei pochi sopravvissuti. Dai documenti ufficiali delle indagini, scoprii che il fuoco s’era sviluppato dall'interno, partendo dal camino. Lessi che c’era la possibilità che non si fosse trattato di un incidente e un po’ considerando i miei natali, un po’ tenendo conto del fatto che io sembrassi essere in uno stato delirante dopo aver visto i miei genitori ardere vivi, e anche che, in quei pochi ricordi che si destarono, i bambini parevano rivolgermi tutti sguardi d'accusa, mi convinsi che fossi stato io il colpevole.
Secondo il resoconto di uno psicologo mi trovavo in uno stato alterato in cui non riuscivo più a distinguere la realtà dalla finzione, probabilmente come conseguenza del trauma vissuto; suggerì pertanto che venissi ricoverato per un certo periodo e poi, una volta che mi fossi sentito meglio, che cambiassi aria e fosse trovata per me una famiglia vera, che potesse farmi sentire realmente a casa.
Tutta quella fortuna, tutta quella felicità, tutto quell’affetto, io… li meritavo davvero?



 
■■■□■



Giunse finalmente il giorno in cui avrei conosciuto 2B. Ero intrepido di poterla incontrare sul serio, dal vivo. Talmente elevati erano i miei gradi di eccitazione che la notte prima non ero riuscito a chiudere occhio.
Eppure, nonostante non vedessi l'ora di trovarmi faccia a faccia con lei, di poterla finalmente guardare in viso a tu per tu, quella mattina finii col perdere tempo. Arrivai in realtà in anticipo, per cui mi tenni impegnato con la lettura di un testo di Tolstoj - ultimamente mi stavo avvicinando anche ad altre lingue, sperando di impararne il più possibile. Cosa che, in ogni caso, sembrava riuscirmi senza molta difficoltà. Purtroppo però, al solito, ero talmente concentrato da perdere la cognizione del tempo e fu una fortuna che, prevedendolo, avessi programmato una sveglia sul cellulare, per invogliarmi a darmi una mossa.
Così mi alzai in fretta, con una vaga sensazione di essere osservato, ma lasciai perdere, correndo verso il luogo d'incontro scelto dal polo didattico. Non volevo di certo far aspettare una ragazza, sarebbe stato poco cavalleresco da parte mia, e ci avrei fatto una figuraccia. Almeno il nostro primo incontro doveva essere ‘decente’.
D'altronde, 2B era una persona che ammiravo e rispettavo. Nonostante fosse sempre breve e concisa nelle sue interviste, ero colpito da quel suo essere diretta. Guardava sempre dritto nella telecamera, senza mostrare alcuna vergogna. Sembrava così sicura di sé, eppure non era presuntuosa e non si dava delle arie. Avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per vantarsi, vista la sua bravura, ma mostrava invece un'umiltà senza pari. Quando riceveva complimenti non rispondeva niente, talvolta accennava ad un “grazie”, e in quel suo modo di fare leggevo una timidezza che le impediva di essere totalmente spavalda. Non aveva un temperamento energico e pimpante, come le altre atlete. Lei era calma, silenziosa, pacata, e anche mentre lottava, per quanto fosse combattiva, non si faceva sfuggire nulla. La sua espressione restava impassibile, concentrata su quel che faceva, i suoi respiri erano controllati, i suoi movimenti erano puliti e leggiadri, simili a quelli di A2, e contemporaneamente completamente diversi. Perché nonostante sembrassero due gocce d'acqua c'era qualcosa in 2B: che fosse una sottile dolcezza nel suo sguardo, che fosse quella lieve malinconia mista a determinazione che bruciava in quelle iridi quasi trasparenti, che fosse la delicatezza con cui si poneva e muoveva, non sapevo dirlo. A2, semplicemente era più… più algida, più enigmatica, più aggressiva nel combattimento, più disinteressata. Neppure lei riuscivo bene a delinearla, ma qualcosa le mancava che potesse richiamare il mio interesse come invece riusciva a fare 2B. Forse, dipendeva anche dal fatto che avrei avuto l’occasione di parlarci, nella vita di tutti i giorni, e anche per un periodo lunghissimo.
Cominciai a sudare freddo, sperando di essere degno di quel ruolo. Di poterle tornare utile, di essere d'aiuto, di riuscire a supportarla, di renderle la vita all'estero più semplice, di farla sentire a suo agio, di riuscire a sostenerla in qualsiasi campo.
Mi aggiustai la borsa a tracolla, irrequieto, notando che ormai mancava poco. Spostai lo sguardo dalle nuvole al suolo, temporeggiando, finché con la coda dell'occhio non mi accorsi di una sagoma a poca distanza da me. Presi un respiro, internamente divertito dal fatto che non avesse fatto neppure il minimo rumore, quatta come un gatto, e mi voltai, mostrandomi cordiale.
Così, finalmente incontrai i suoi occhi, e mi sentii folgorato. Erano veramente chiarissimi, un miscuglio di un pallido celeste e glicine, un colore mai visto prima su nessuno. I suoi corti capelli avevano dei riflessi argentei, più brillanti di quanto apparissero in televisione; quello era un altro colore inconsueto, eppure, come i miei rari capelli tanto biondi da sembrare bianchi come la neve, sembravano naturali. Per la prima volta li portava sciolti, accompagnati unicamente da un frontino nero, per cui potei notare quanto le incorniciassero il viso in una maniera mozzafiato, impeccabile, adorabile, carezzandole quei tratti che, improvvisamente, divennero più morbidi e gentili di quanto ricordassi dall'immagine che ne avevo indirettamente visto.
Per un attimo ad essa si frappose una visione di lei più piccola, che mi lasciò spaesato. Sbattei le palpebre, sentendomele pizzicare, con un'inspiegabile nostalgia che quanto più la guardavo tanto più si acuiva.
Mi accorsi, intanto, che il suo sguardo sembrava un misto di incredulità e shock, come se avesse appena visto un fantasma, oppure una persona che cercava da tempo. Sgranò occhi e labbra, e mi parve di vedere persino delle lacrime bagnarle le iridi.
Per quanto la sua reazione mi sembrasse incomprensibile, dentro di me una qualche corda si tese. Per la prima volta, alla presenza di qualcuno, i miei battiti cardiaci accelerarono. Per la prima volta il sangue mi confluì alle guance, facendomi arrossire. Forse dipendeva dal modo in cui mi guardava, come se ci credesse e non ci credesse, come se volesse gettarsi tra le mie braccia e se lo avesse davvero fatto, per una ragione che andava ben oltre la mia stessa ragione, l'avrei accolta volentieri e non l'avrei più lasciata.
Mi resi conto, tuttavia, che a parte fissarci ed essere investiti entrambi da assurde emozioni non ci eravamo ancora scambiati neppure una parola, per cui mi schiarii la gola prima di rivolgermi a lei in inglese, dedicandole un sorriso che sembrava nascermi direttamente da quel cuore impazzito.
“Ciao! Come avrai immaginato, sono lo studente che ti è stato assegnato come tutor per quest’anno. Mi chiamo Kiku, ma gli amici mi chiamano Nines, quindi puoi farlo anche tu.”
“Nine...z” sussurrò con un filo di voce, suscitandomi una minuscola risata per come suonava. Nessuno lo aveva mai pronunciato a quel modo, eppure anche in esso trovai un vago senso di familiarità.
“Va bene anche Ninez.”
In realtà non avevo idea delle origini di quello strano soprannome, del chi me lo avesse affibbiato e per quale ragione lo avesse fatto. Ciononostante, mi veniva automatico pronunciare quella frase, ogni volta che mi presentavo a qualcuno.
“È un piacere conoscerti, Erika-san” ripresi, prendendola in giro senza che neppure me ne accorgessi. “O preferisci che ti chiami 2B-san?”
Mi stupii di me stesso: la stavo punzecchiando, stavo ammiccando e, così facendo, era come se stessi flirtando con lei. Cosa che non avevo mai fatto con nessuno prima.
Lei tuttavia, non ne parve per niente scalfita. Fece qualche passo in avanti, giungendomi perfettamente di fronte, e in tal modo mi accorsi che mi superava di poco in altezza.
Fu poi lei a sorprendermi, replicando “Per te sono 2B, solo 2B” prima di prendere il mio viso tra le mani e posare le labbra sulle mie, lasciandomi senza fiato, in preda ad un batticuore che temevo potesse farmi esplodere da un momento all'altro.
Pensai che in quell'istante lei avesse rubato tutto di me, ma in effetti, lei aveva rubato tutto di me già al nostro primo vero incontro.










 
Angolino autrice:
Buonasera! Era da un po' che volevo aggiornare, ma non ho mai trovato tempo. *gonfia le guance* Ciononostante oggi me lo sono ritagliata apposta, anche perché è il 22/09. Poteva esserci data migliore per pubblicare?
Su questo day avrei così tanto da dire, ma mi limiterò alle informazioni principali. Prima di tutto devo avvisarvi che è diviso in tre parti, quindi se volete sapere come finisce questa storia dovete portare pazienza e sperare che riesca ad aggiungere gli altri due capitoli quanto prima. Tuttavia, sappiate che non è necessario e se volete potete anche ignorare o saltare i prossimi due - solo che così facendo vi perdete alcune spiegazioni e chiarimenti.
Per quanto riguarda la trama e l'ambientazione, ho cercato di essere abbastanza fedele all'opera originaria (nella scelta dei luoghi, i Paesi in cui hanno vissuto, le lingue che parlano, le esperienze, le scelte lavorative, gli studi, gli hobby e così via). Ciò vale anche per i nomi: naturalmente quello di Zinnia è rimasto tale e, come sarà palese, Mme. White è il Comandante. Credo sia chiaro il fatto che ho preso tantissimo dallo script "Project YoRHa", tra cui i nomi dei fiori (Erika, Iris - da leggere alla inglese, "airis" - e Kiku) e l'incendio. I nomi del gioco li ho lasciati attraverso degli escamotage (successivamente capirete anche il perché di Ninez) e voglio condividere con voi una mia piccola intenzione, con l'ultima dichiarazione di 2B: pensandola in inglese, sarebbe "For you I'm 2B, just 2B". Quel "Just to be", "solo essere", è piuttosto importante.
Poi, altri nomi che appaiono sono Sybil (6O) e Tamae (21O). Ammetto che volevo inserire più personaggi (Pod compresi), ma poi non sarei più riuscita a risolverla solo in tre capitoli.... Sappiate però che proprio perché è una storia molto ampia, ci sono un po' tutti. E voi che leggete siete liberi di immaginare quello che desiderate. 
Detto ciò, spero che questa AU vi piaccia :3 
Au revoir!

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Capitolo 6
*** Day 5 - Modern (Human) AU [Pt. 2] ***


5. [M]odern (Human) AU [pt. 2]




 
■■■□■ 2B's Story



Quel ragazzo dai tratti gentili e puerili, lo avevo trovato.
Quel ragazzo che avevo sempre amato, da così tanto tempo, da anni di cui avevo perso il conto, era lì, davanti ai miei occhi. Era lì, a portata di mano. E sentivo che se ne avessi allungata una non sarei stata più in grado di ritrarla.


Dopo essermi ravveduta da quella mia azione molto istintiva, mi resi conto di averlo lasciato piuttosto costernato. Mi sentivo imbarazzata, certo, ma avevo atteso così a lungo quel momento che non ero riuscita a trattenermi. E poi, si trattava di un tacito messaggio: “Ora che ti ho ritrovato, non ti lascerò andare più.”
Superando almeno in parte l'impaccio lui sembrò prenderla sul ridere; si grattò una guancia e sviò il viso in fiamme, chiedendomi se in America si usasse salutare così.
Negai tranquilla, ma poi con un tonfo al cuore mi accorsi che non aveva idea di chi io fossi. Non aveva idea di quello che era il nostro rapporto. Un mio timore s'era avverato, ed ero certa che fosse una conseguenza dell'incidente di 10 anni fa. Ma era anche una consolazione: lo preferivo vivo e smemorato, piuttosto che morto. Non potevo essere certa di riuscire a ridestare i ricordi sopiti in lui, se ancora ve n'era traccia, ma potevo almeno fare un tentativo e, nel caso in cui si fosse rivelato fallimentare, costruire nuovi ricordi da quel momento in poi. Non tutto era perduto, c'era ancora speranza per noi.
Ad ogni modo, non mi scusai per le mie azioni, anzi gli rivelai che lo avessi fatto con intenzione e piacere - imbarazzandolo ulteriormente. Non mi sembrava fosse stato così timido da bambino, al contrario, era sempre stato piuttosto vivace e spigliato; ma anche quel nuovo lui era bellissimo.
Osservandolo quotidianamente, rimasi dell’opinione che ogni singola cosa di lui fosse interessante. Sia il suo carattere bonario che la sua vasta mente erano attraenti, ed evidentemente non ero l’unica a pensarlo, visto che era quasi sempre circondato da gente: mi accorsi, infatti, che gran parte degli studenti lo salutavano e si rivolgevano a lui, per una questione o per un'altra. Sembrava sempre stra-impegnato, eppure riusciva quotidianamente a ritagliarsi del tempo per me e a starmi vicino, anche non fisicamente scrivendomi per chiedermi come stessi, come fossero le lezioni, se stessi trovando difficoltà o avessi qualche dubbio. In caso affermativo lui era subito pronto ad aiutarmi e, per questo, spesso ci attardavamo insieme oltre le lezioni per fare qualche ripasso o farmi dare qualche lezioncina sulla lingua, nonostante la maggior parte delle mie classi fosse in inglese.
Ogni giorno lo guardavo con attenzione, in maniera anche piuttosto palese visto che tutti se ne accorsero, compresa Sybil che cominciò a pressarmi per ricevere informazioni su di lui. Una sera, prima che rincasassimo, ebbe modo di conoscerlo e subito parve prenderlo in simpatia. Non che fosse difficile con Ninez, lui era… amabile. Bastava guardarlo in viso per pensare: “Quella persona, non potrei mai essere in grado di odiarla.” Oppure, per farlo, bisognava possedere radici cattive nel profondo del cuore, perché era inammissibile.
Dopo averci parlato, quando restammo sole in camera la mia migliore amica ne volle sapere di più su di noi, conscia che ci fosse dell'altro. Esordì con: “Siete troppo in sintonia, sembrate fatti l'uno per l'altra! Scommetto che già vi conoscevate, quindi sputa il rospo!”
Mi stupii ancora di quella sua acutezza, ma decisi comunque di raccontarle della nostra infanzia insieme. Lei nel sentirlo si mostrò iper-entusiasta. Come sempre fece il tifo per me, in questo caso per noi, e mi disse che se avessi avuto bisogno di consigli per conquistarlo o di occasioni per stare da soli, avrebbe saputo ricavarmene. La ringraziai per il pensiero, ma declinai. Potevo, anzi, dovevo riuscire a fare tutto da sola.
Per i mesi a venire continuai a studiare i suoi comportamenti e atteggiamenti, cercando altre differenze col Ninez del mio passato.
Quando cominciava a parlare era difficile farlo finire e quasi sempre si mostrava totalmente coinvolto in una conversazione, a meno che non si trattasse di un argomento frivolo o di una qualche richiesta che non suscitava il suo interesse, e allora sapeva anche essere petulante e lagnoso. Quel suo modo di fare capriccioso e bambinesco mi faceva ridere, ma tentavo sempre di non rivelarmi. Non ancora, almeno.
Il suo essere propenso ad aiutare il prossimo neppure era una novità, così come non lo era il suo ficcanasare. Nemmeno il fatto che gli altri tendessero a dipendere su di lui o avesse tante amicizie mi sorprese, solo che forse, a differenza di quando eravamo piccoli, in me era avvenuto un cambiamento e stavo diventando più… possessiva. Perché finché parlava con persone adulte o ragazzi lo osservavo serena, ma nel momento in cui erano delle ragazze ad avvicinarglisi tendevo a farmi tesa e rabbuiarmi. Mi infastidivo nel vederlo conversare allegramente anche con loro e quando tornava da me con quel suo splendido sorriso affabile avrei solo voluto afferrarlo per il choker e baciarlo davanti a tutto il campus. Ma mi trattenevo, per educazione e buonsenso, e anche per non turbarlo e rischiare di farmi detestare, limitandomi a fare delle osservazioni mordaci, che mio malgrado non riuscivo a tenere per me.
Una di quelle situazioni si era ripetuta un pomeriggio, mentre eravamo su una panchina nel cortile della scuola a tentare di dialogare in giapponese - con me che talvolta fallivo, facendolo ridere divertito (a volte ammettevo che lo facevo apposta per sentire il caro suono della sua risata), dopodiché mi rispiegava una determinata regola anche più volte, dimostrando la pazienza di un Buddha. Mi piaceva starlo ad ascoltare e apprendere sempre cose nuove, ma poi quel piccolo momento magico che stavamo vivendo andò in frantumi con l'approcciarsi di una ragazza dai corti capelli biondi, che sembrava poco più grande di noi.
Mi salutò di sfuggita prima di dire “Lo rubo per qualche secondo” e portarselo via, prendendolo per un braccio prima che lui potesse replicare qualunque cosa o io potessi reagire. Alla vista di quel contatto, sapendo quanto i giapponesi fossero poco propensi a manifestarsi apertamente, stavo per scattare in piedi e riafferrare Ninez, per riportarlo da me. Ciononostante, con un'enorme forza di volontà riuscii a piantare i tacchi a terra, senza spostarmi neppure di un centimetro.
Mi irrigidii e li seguii con lo sguardo, per non perderli di vista. Si arrestarono ad una breve distanza, giusto per essere sicuri che da lì non li sentissi. Cominciò a parlare lei, portandosi le mani sui fianchi, e dal suo modo di fare pareva che gli stesse facendo una predica. Lui si scompigliò i capelli e si guardò le punte dei piedi, con aria di scuse. Per un attimo temetti che fosse la sua ragazza e che lo stesse rimproverando per averla trascurata, passando tutto il suo tempo libero con me. Mi sentii abbattuta perché, in tal caso, io avrei dovuto tirarmi indietro, essendo arrivata dopo. Eppure, detestavo quell'idea. Avevo sempre voluto Ninez, soltanto Ninez, nessun altro che Ninez. Come potevo accettare di rinunciare a lui, dopo tutto quell'anelare? Era lui ad avermi spinta avanti, era lui ad avermi resa quel che ero, era il ricordo di lui che aveva illuminato le mie giornate, era il pensiero che avremmo potuto tornare a stare insieme che mi faceva vivere.
Rifiutai quindi di arrendermi senza neppure provare a combattere, ma in ogni caso non potevo mettermi a fare scenate senza avere conferme sui miei dubbi. Così li tenni d’occhio come un falco, finché lui non reagì come se si vergognasse, portandosi le mani sul viso. Percepii i palpiti del mio cuore accelerare, avrei proprio voluto essere lì in quel momento e abbracciarlo per quanto era adorabile; ma la ragazza, in un impeto di gioia - almeno così sembrava - si lanciò su di lui, mettendo in atto quel mio piccolo desiderio. Strinsi i pugni sulle ginocchia, fino a che non mi si fecero bianche le nocche, e sentii il sangue ribollirmi nelle vene. Digrignai i denti e, a mio scapito, chinai la testa, frustrata.
Ero combattuta, perché da un lato mi dicevo che non avessi alcun diritto di sentirmi tanto gelosa, mentre dall'altro mi contraddicevo ricordandomi che, invece, era un mio diritto, perché io venivo prima. Venivo prima di tutti, anche se lui non se lo ricordava. E se, ormai, per lui, quel buio passato fosse un momento lontano, che non gli riguardava più? A quella supposizione mi raggelai. Se lui non mi voleva, allora io non avevo più alcun senso…
“2B.”
Sollevai il viso di scatto al suono della sua voce, sperando di non rivelare nulla.
Inizialmente pareva piuttosto fiacco, ma repentinamente la sua espressione mutò, divenendo apprensiva. Si allungò verso di me, posando la mano sulla mia fronte, domandando: “Non hai la febbre, vero? Sei pallidissima.”
Gli tolsi io stessa la mano per scuotere il capo, in segno di negazione, e anche per il pretesto di tenergliela per poco.
Insistette ancora per accertarsene e provai a rassicurarlo come potevo, sebbene persino alle mie orecchie la mia voce sembrasse molto cupa, e s'abbassò maggiormente quando mi accorsi che quella donna era al suo fianco e mi fissava, anzi, mi scrutinava, come se mi stesse studiando.
Sostenni il suo sguardo, guardandola dritto in quegli occhi cerulei, senza battere ciglio. Mi sentivo irritata, al punto che strinsi tanto la mano di Ninez da infilare le unghie nella sua pelle. Me ne accorsi solo perché gli sfuggì un lamento e io mi voltai prontamente verso di lui, pentita. Fortunatamente le portavo corte, quindi gli avevo a malapena fatto dei segnetti, e lui stesso mi disse di lasciar perdere, ma non riuscivo a perdonarmi. Fare del male a Ninez, era l'ultima cosa che volevo. Già da piccoli ci capitò e, considerando quanto si fosse ferito a causa mia, ero terrorizzata all'idea di poter ancora essere fonte di dolore.
Non potendo neppure mettergli la mano al fresco, sotto a dell'acqua, mi limitai a lasciarvi dei flebili bacetti. Era il nostro piccolo rituale per far sparire il dolore: avevamo all'incirca sette anni, lui lo aveva letto in un libro e dato che presi una botta vicino al gomito mi ci diede un bacino. Immediatamente mi sentii meglio e cominciammo a fare sempre così tra di noi. Era la nostra ‘cura speciale’. Ma lui certamente non ne aveva idea.
Un po’ mesta sollevai lo sguardo, trovandolo con gli occhi lucidi e le guance purpuree. Si morse un labbro, sviando lo sguardo, forse per sfuggire dall'imbarazzo, e notai si fosse portato l'altra mano sul cuore, quasi temesse potesse volargli via. Piegai la testa su un lato, chiedendomi cosa significasse quella reazione, essendo quelli nuovi aspetti di lui, ma le mie riflessioni furono interrotte da una risata deliziata.
Ninez scattò immediatamente, rivolgendosi alla ragazza alla sua sinistra in maniera focosa: “Non osare prendermi in giro davanti a 2B.”
“Non lo faccio, tranquillo.”
Continuò a ridacchiare spettinandogli i capelli, al che non nascosi un'occhiataccia. A quel punto ne avevo abbastanza, per cui mi misi in piedi, guardandola con ostilità, lanciandole un muto avvertimento. Da donna a donna ero certa che lo avesse captato, ma lei rispose con un ghigno trionfante.
“Mi piace, è combattiva.”
Le sue parole mi spaesarono, per cui sollevai un sopracciglio, interrogativa.
“Tamae, non deve piacere a te” borbottò Ninez, imbronciandosi.
“Uno: sì che deve piacere anche a me. Siamo una famiglia, no?”
Una famiglia…, mi ripetei in testa, senza fine.
Una volta, noi eravamo stati una famiglia. Avessi potuto tornare indietro, avessi potuto dirglielo allora che non doveva rinunciare a me, avessi potuto portarlo con me…
“Due: quante volte devo ripeterti di chiamarmi onee-san, mmh?”
“Sì sì.”
“E basta un ‘sì’, te lo dico sempre.”
“Sì” enfatizzò, scocciato.
Seguivo le loro battute cominciando a sentirmi confusa, non riuscendo a decriptare il loro rapporto. Sembravano andare d'accordo, troppo d'accordo, proprio come…
“Erika-chan, sono lieta di conoscerti finalmente. Nines s'è sempre rifiutato di presentarci perché mi trova insopportabile.”
“Non sei insopportabile” ribatté prontamente. “Sei solo sboccata, potresti farmi fare brutte figure!”
“Ma lo senti? Spero non sia tanto scostumato anche con te.”
“Tamae!”
“È sempre educato” replicai, difendendolo. “È cortese e paziente, sempre disponibile ogni volta che ne ho bisogno. Mi mette sempre a mio agio e…” Tacqui, consapevole di non poter proseguire.
Illumina costantemente il mio cammino. È la fonte di ogni mio sorriso, di ogni mia gioia. È la persona che amo, persino più di me stessa.
Lei mi ascoltò attenta per poi annuire e fare un breve inchino.
“D'ora in avanti, abbi cura del mio otouto.”
Detto ciò spettinò anche i miei capelli e si allontanò, tutta contenta.
Con un mega sospiro Ninez si riaccomodò al suo posto, sembrando sfiancato.
“Mia sorella è un consumo eccessivo di energie.”
“Tua sorella?” ripetei risedendomi alla sua sinistra, ricevendo conferma ai miei dubbi.
Si voltò a guardarmi, rivolgendomi un timido sorriso.
“Non siamo fratelli di sangue, ma la sento come se fosse vera.”
Stavolta non riuscii a trattenere un sorriso, sentendomi sì sollevata, ma non solo per il fatto che non ci fosse una rivale. Aveva trovato qualcuno che, in mia assenza, potesse proteggerlo e prendersi cura di lui.
“Oh, un giorno dovrei presentarti i miei genitori!” rifletté ad alta voce e dal modo in cui si illuminò il suo sguardo capii che fosse stato un pensiero improvviso, spontaneo. “Potrebbero piacerti, sai, perché a differenza di Tamae sono molto discreti e quieti.”
“Mi piacerebbe” accettai, riportandolo sulla frase pronunciata poco prima. “Ad ogni modo, non importa che non siate veramente fratelli. Penso che sia una cosa stupenda trovare qualcuno che, seppure non abbia con te un legame di sangue, riesce ad occupare un ruolo tanto importante nella tua vita.”
“E un posto speciale nel tuo cuore” aggiunse, guardandomi dritto negli occhi, facendomi trasalire.
Quella frase, fu l'ultima che gli rivolsi. Non fui diretta sui miei sentimenti, ma glieli lasciai intendere.
Ninez, non dimenticarlo mai: tu occuperai per sempre un posto speciale nel mio cuore. Per sempre.”
Dopo qualche secondo sbatté le palpebre, quasi si stesse riprendendo da un sogno ad occhi aperti, ed emise immediatamente una risatina intrisa di disagio.
“Perdonami, a volte sembro dire cose incomprensibili. La mia mente funziona in maniera un po’ bizzarra, tu non darci peso.”
Scossi la testa, non resistendo più. Mi trattenevo troppe volte e poi succedeva che, a forza di riempirmi di azioni non fatte e cose non dette, finivo per strabordare.
Gli carezzai pertanto una guancia, sollevandomi di poco per riuscire a lasciargli un bacio tra i capelli, giusto al centro della testa. Nell'incontrollabile desiderio che potesse guarire e, finalmente, ricordarsi di me.




 
■■■□■ 9S's Story



2B era, probabilmente, tutto ciò che avevo sempre desiderato. Tutto ciò che avevo sempre aspettato e sperato di trovare, un giorno. Tutto ciò che volevo nella mia vita e che sentivo bastarmi.
Tale supposizione si consolidò un’afosa mattina di tarda estate, in cui non avevamo lezioni, per cui ne approfittai per mantenere la promessa fatta, portandola a casa mia. In realtà la scusa ufficiale era continuare ad insegnarle la lingua nazionale, ma per me era un mero pretesto per stare insieme, anche fuori dalle mura accademiche. E qualcosa mi suggeriva che lo stesso valesse per lei.
Non mi spiegavo ancora tutta quella familiarità che ci univa. Già dal nostro incontro, nonostante le sue azioni improvvise che mi avevano colto in contropiede, c'era stato un particolare agio tra di noi. Era come se fossi semplicemente abituato a vederla tutti i giorni, come se fosse del tutto naturale e consueto per me salutarla al mattino o alla sera, parlarle durante l’arco della giornata, scherzare con lei, insegnarle cose nuove, stare insieme anche in silenzio, osservare il suo modo serio di interagire con gli altri e la sua impassibilità nel rispondere ai loro giochi, quando invece a me non negava mai un sorriso. Un sorriso che potevo vedere soltanto io.
Quante meno persone c'erano attorno a noi tanto più lei si rilassava, tanto più sembrava far crollare quella maschera di sicurezza e durezza, appoggiandosi a me, che fosse fisicamente o emotivamente. Ero certo che lo concedesse soltanto a me. Non ne sapevo bene la ragione, ma sebbene inizialmente fossi pieno di interrogativi col tempo li lasciai divenire un flebile mormorio di sottofondo, decidendo invece di godermi semplicemente quei momenti e lasciarmi guidare non dal raziocinio, bensì dal mio cuore finalmente vivo.
Era per 2B che sembrava aver cominciato a palpitare e, per 2B, era anche disposto a correre, fare acrobazie e saltare. E come il mio cuore sembrava persino pronto ad esplodere per lei, così io stesso mi sentivo pronto a tutto. La aiutavo, perché volevo, non perché era un compito assegnatomi dall'università. La sostenevo in tutto, le domandavo se ci fossero problemi nella vita fuori dall'accademia, consapevole che potesse essere difficile abituarsi ad una nuova quotidianità, soprattutto se tanto diversa da quella originaria. Fortunatamente non sembrava avere problemi, forse anche perché con lei s'era trasferita una sua cara amica, Sybil, e mi spiegò che, nell'eventualità, poteva far riferimento ad A2, che lei stessa mi rivelò essere sua sorella - come già sospettavo.
Ero lieto di sapere che aveva numerosi punti di appoggio, che non dovesse muoversi alla cieca e cominciare partendo da zero, ma in ogni caso le assicurai la mia disponibilità, per qualunque cosa.
Una volta, mentre ne parlavamo, mi sfuggì in un tono che stupì persino me stesso, per quanto sembrasse vezzoso: “Se vuoi posso anche fungerti da guida turistica. Potrei portarti a qualche festival, o al lunapark, o a fare shopping, o al mare, o nelle città più belle e ricche di storia.”
Lei mi lasciò finire prima di piegare la testa su un lato, accigliandosi: “Ninez, è un appuntamento?”
Mi spiazzò a tal punto con quella domanda che divenni incapace di risponderle. Era ciò che le stavo proponendo?
Tergiversai, prima di sussurrare appena, indeciso: “Se tu vuoi…”
“Voglio” rispose prontamente, lasciandomi basito.
A questo il cuore mi fece un balzo in testa e sentivo che un sorriso enorme stesse prendendo forma sul mio viso.
“È una promessa?” mi accertai, e lei annuì, con una certa solennità.
Mi dissi, in ogni caso, che non dovessi illudermi. 2B era americana, era cresciuta con altri valori, con altre ideologie, con altri costumi che io soltanto vagamente ricordavo d’aver vissuto. Io ero stato educato ‘alla giapponese’ e il fatto che per me ogni singola cosa, per quanto piccola, assumesse una tale importanza, non significava che lo stesso valesse per lei.
Comunque, quella promessa la mantenemmo ben presto, quando la portai al Tanabata matsuri. Fu una piacevole serata, la migliore della mia vita, costellata dalla calma e la serenità. Lei era stupenda, avvolta in un yukata floreale del colore della notte, coi capelli raccolti e intrecciati a dei fiori bianchi. Sicuramente era opera di Sybil, cionondimeno la riempii di complimenti, che lei ricambiò subito in maniera breve e concisa. Ci inoltrammo poi tra la folla, passando da una bancarella all'altra mentre le raccontavo delle origini di quella festività e ogni volta che non capiva qualcosa gliela spiegavo come meglio potevo, per rendere tutto il più chiaro possibile. Tra una chiacchiera e l'altra la convinsi ad assaggiare nuovi sapori e sembrò apprezzarli, la invitai a partecipare a giochi mai fatti prima e ne uscì vincente. Lei era così, era vittoriosa, e quella vittoria l'aveva ottenuta anche su di me. Soprattutto quando, dopo lo spettacolo pirotecnico, fissò a lungo le stelle attraverso le nubi, prima di guardarmi e chiedermi: “Ninez, credi che si siano trovati?”
“Sono sicuro che si siano ricongiunti” confermai con certezza.
Lei rispose al mio sorriso con una pacata serenità e si appoggiò alla mia spalla, emettendo un mormorio felice. Non aggiunse altro, ciononostante compresi che c'era qualcosa che tentava di trasmettermi, non con le parole, ma con i gesti. E forse una parte di me l'aveva già ricevuto.
Forse per questo, stavo cambiando.
Mi ero accorto che non fossi più indifferente all'amore e a tutto ciò che vi ruotava attorno. Mi ero accorto che, in assenza di 2B, continuavo a pensare a lei, a cercare lei, ovunque mi trovassi. Talvolta persino in casa sognavo ad occhi aperti, sospiravo nell'immaginarmela costantemente al mio fianco e a detta di Tamae - che mai era sembrata tanto fiera e contenta di me - quelli erano i sospiri di un ragazzo innamorato. La mia, in generale, divenne l’espressione di un ragazzo innamorato, ogni volta che qualcosa concerneva 2B. E io sentivo che d’amore si trattasse, proprio perché non lo avevo mai sperimentato prima. Proprio perché non m’era mai successo prima.
Il mio cuore s’involava ogni volta che la vedevo, anche se soltanto da lontano, e quando camminavamo fianco a fianco mi sentivo leggero, come se fluttuassimo su delle nuvole. Mi sentivo costantemente felice, finché non mi accorgevo che qualcosa oscurava il suo sguardo rattristandolo, e allora mi allarmavo, mi impensierivo, mi crucciavo, sentendomi fisicamente male all’idea che lei potesse soffrire. Ci furono dei giorni in cui si accentuò la sensazione che la fonte di quella velata sofferenza potessi essere io stesso, perché mi guardava, e sebbene mi sorridesse v’era quella mestizia nel suo sguardo, mista ad una sorta di rassegnazione. Non sapevo cosa avessi potuto commettere di sbagliato, ma se le domandavo cosa la rattristava lei o taceva o cambiava argomento, dandovi poca importanza.
Riflettei sulle mie azioni: non mi sembrava di comportarmi male, ero sempre abbastanza educato e anche quando lei mi prendeva per mano o mi abbracciava ricambiavo con delicatezza, sperando di carezzare così sia il suo corpo che il suo spirito, perché avevo la sensazione che tutte le volte in cui lo faceva fosse per la ricerca di un tacito conforto. Un conforto che speravo essere in grado di procurarle. In altre occasioni mi si avvicinava maggiormente, per lasciarmi un piccolo bacio, e io a quello avvampavo e sembravo quasi smettere di funzionare, perché mi faceva sentire amato e protetto e non capivo se fosse realmente così o mi stessi semplicemente riempiendo di illusioni e sogni. Perché ogni momento trascorso con lei era troppo bello, talmente bello da non sembrarmi reale.
Gli unici veri contatti fisici che partivano da me, invece, erano delle occasionali carezze che mi concedevo. Inizialmente ero restio a farlo perché, nonostante lei sembrasse non porsi tutti i miei problemi, mi accorsi che non le piaceva farsi toccare.
Lo sperimentai in maniera indiretta notandola in corridoio con una sua compagna di corso. Stavo per andare a salutarla, quando due ragazzi usciti dalla sua stessa aula si avvicinarono a loro. Uno di essi riuscì a mettere un braccio attorno alle spalle della sua amica, nonostante l’evidente insofferenza sul viso di lei; l’altro tentò di fare altrettanto con 2B, senza risultato, perché lei prontamente, prima ancora che lui potesse anche solo sfiorarla, afferrò il suo polso e con uno scatto felino lo bloccò contro il muro, lanciandogli un avvertimento in tono sufficientemente alto da farsi sentire dalle persone circostanti: “Non osare toccarmi.”
In seguito a quell’evento vissi un miscuglio di emozioni. Ero passato da una sorta di avversione che mi aveva fatto stringere i pugni per l’impulso di allontanare quanto prima quel tizio da 2B, avevo attraversato il sollievo per la sua forza che le permetteva di vivere soltanto ciò che lei stessa sceglieva, per poi giungere allo sconforto: s’era fatta sentire apposta perché voleva fosse un messaggio chiaro a tutti. E tra quel pubblico c’ero anche io.
Per questo mi astenni dal toccarla in alcun modo, sebbene a volte mi risultasse istintivo e non riuscivo proprio a trattenermi.
La prima volta fu per sostenerla quando inciampò in un sassolino, ma non appena assicuratomi che avesse ritrovato l’equilibrio la lasciai e lei, a parte ringraziarmi, non disse altro. La consolazione fu che non mi rimproverò, ma io lo stesso mi ammonii a far sì che non si ripetesse.
Malgrado ciò, ci ricascai.
Era un giorno di vento e pioggia, in giugno; non essendo abituata alla stagione delle piogge, 2B non aveva portato con sé un ombrello e così fu sorpresa da un acquazzone scoppiato proprio quando dovevamo vederci, dopo le lezioni. Le corsi incontro nell’accorgermi che a malapena riusciva a ripararsi con la borsa e la coprii immediatamente con l’ombrello, domandandole se avesse preso freddo, correndo al riparo sotto la grondaia più prossima a noi. Lei scosse la testa mentre cercava un asciugamano dal borsone della palestra - che aveva portato auspicalmente con sé, avendo poi gli allenamenti con sua sorella. Una volta trovato se lo passò sulle punte e lo strofinò con vigore sul capo, ringraziandomi per averla riparata, mentre io la fissavo in apprensione, sperando non le venisse un raffreddore o la febbre.
Vedendo che non replicavo nulla sollevò lo sguardo e allora, accorgendomi che una ciocca di capelli le si era appiccicata sulla guancia, l’unica azione che ebbi la forza di compiere fu allungare una mano per spostargliela dal viso, riportandogliela dietro l’orecchio. Mi sentivo in realtà un po’ incantato, non stavo pensando, non stavo riflettendo, e mi attardai con le dita tra quei capelli umidi e disordinati. Glieli carezzai, tornando poi sulla sua pelle, esitando a pochi centimetri dalle sue labbra.
Osservavo imbambolato tutto il suo angelico viso, notando poco prima che li serrasse che i suoi occhi fossero lucidi, che aveva stretto quelle labbra carnose e che le sue gote fossero più rosse del solito, come se fosse in preda ad un incontrollabile batticuore, come me. Oppure quella reazione, per quanto adorabile, era una dimostrazione di disagio e a tale supposizione immediatamente mi staccai da lei, scusandomi, consapevole che le desse fastidio.
Lei prese un breve respiro, quasi avesse trattenuto il fiato, e tornò a guardarmi con uno strano luccichio in quelle iridi che, in assenza di sole, sembravano più grigie che mai. Mi tenne incatenato ad esse mentre negava con la testa, spiegando: “È vero che non sopporto essere toccata, ma con te è diverso Ninez. Tu mi tranquillizzi, che sia con la tua presenza, che sia con uno sguardo, che sia anche soltanto con la tua voce.”
A quella dichiarazione mi parve quasi di toccare il cielo con un dito, ma l’unica cosa che fui in grado di fare fu nasconderle quel mio sorriso stupido, asciugandole io stesso i capelli. Poiché la facevo dondolare da una parte all’altra le scappò una rara risata, che alle mie orecchie superò persino il rumore della pioggia battente, alleggerendomi il cuore.
Per quanto fossero brevi quei momenti insieme, in cui esistevamo soltanto noi due, li consideravo eternamente speciali. Inoltre, sapere che per lei io fossi diverso diede un nuovo significato a tutto, sia alle sue azioni che alle mie reazioni. Ecco perché non mi stupii affatto quando cominciai a diventare iperprotettivo. La questione era semplice, volevo proteggerla, e a scapito di ciò che avevo sempre negativamente pensato di me stesso, sentivo che sarei stato in grado di riuscire a diventare il suo scudo. Non che lei ne avesse avuto effettivamente bisogno, cavandosela perfettamente anche da sola, ma già solo il pensiero di poter fare qualcosa per lei mi riempiva di orgoglio. E se quel qualcosa consisteva nel ‘salvarla’ dall’orda di ragazzi che ci provava con lei, ci trovavo ancora più soddisfazione.
2B era oggettivamente una bella ragazza. Sebbene ‘utsukushii’ sembrasse descriverla abbastanza come aggettivo, lo trovavo tuttavia riduttivo. A differenza degli altri che la definivano ‘bijō’, infatti, io sarei passato direttamente a ‘kirei’, perché lei era stupenda, sia dentro che fuori. Aveva un bel portamento, particolare, fiero e altero; esso la rendeva affascinante, le donava un’aria matura, ma incuteva anche un certo timore che teneva lontani gli altri. Cionondimeno non impediva ai più coraggiosi di farsi avanti e lei puntualmente li respingeva con durezza, senza mezzi termini, talvolta non permettendo neppure che portassero a termine la ‘confessione’, non nascondendo quanto la cosa la scocciasse. Intanto io, dentro di me, oscillavo tra fastidio e soddisfazione, facendomi grosse risate. Forse era quello il mio lato malvagio? Eppure era più forte di me e, scoprendo da un suo piccolo sfogo quanto le desse noia che i ragazzi ci provassero soltanto per il suo aspetto fisico, senza neppure sapere niente di lei, pensai a come risolvere quel problema.
Fu molto semplice, in effetti: mi bastò convincerla a non indossare più scarpe alte, così poteva perdere qualche centimetro e, quando camminavamo, riuscivo a coprirla agli sguardi altrui. Se mi accorgevo che qualcuno la fissava con insistenza mi frapponevo alla visione che questi ne aveva; fulminavo con lo sguardo la persona in questione, lanciandovi un muto avvertimento, e quella subito guardava altrove, con aria sconfitta. Mi facevo quindi più vicino a 2B, le nostre braccia quasi arrivavano a sfiorarsi, e quando mi voltavo la trovavo con un sorrisetto oscillante tra gratitudine e appagamento.
Pensavo di starmi comportando come un fratello maggiore, cosa che senza che lo sapessi per lei ero già stato, ma alcuni miei amici mi presero in giro per il fatto che, col mio essere ‘possessivo’, avessi eliminato la concorrenza. Non gradivo molto quel termine, faceva passare me per egoista e rendeva 2B una sorta di oggetto, quando io non la consideravo tale e mai l’avrei fatto. Tuttavia parzialmente mi resi conto che un fondo di verità c’era, perché stavo effettivamente diventando egoista. Mi dava fastidio se altri uomini guardavano 2B. Mi dava fastidio se altri uomini parlavano con 2B. Mi dava fastidio se altri uomini apprezzavano 2B. E quel fastidio crebbe talmente tanto che, incontrollabilmente, divenne una sorta di odio che mi sforzavo di reprimere come potevo.
Ciononostante, qualche scazzottata non me la risparmiai, uscendone vincente. Fu come risultato di ciò e grazie a mia sorella - che se ci si metteva sapeva fare più paura di me - che molti si tirarono indietro, ritenendo che ‘non ne valesse la pena’. Buon per me, in ogni caso, perché così potei riuscire nel mio intento e assicurare una vita quieta a 2B, libera da una malvagità nutrita di falsità e luridi secondi fini.



 
■■■□■



Come già detto, quel giorno di metà agosto avevo deciso di far conoscere 2B al resto della mia famiglia. Tamae sembrava averla ormai apprezzata e approvata, prendendola in simpatia, definendola già parte di noi. Da quando la aveva conosciuta - sebbene fosse avvenuto in maniera inaspettata e un tantino improvvisa - mi assillava chiedendomi quando avessi intenzione di farmi avanti con lei e confessarle i miei sentimenti. Non era facile quanto lo faceva sembrare lei perché sì, era vero che a volte prendevo in giro 2B, facendo l’allusivo apposta, e mi comportavo da grande eroe, ma lei prendeva tutto sul serio e per questo provavo un profondo rispetto nei suoi confronti. Un rispetto che mi impediva di farmi avanti. Quindi non era come credeva mia sorella, ossia che temessi che lei potesse rifiutarmi, come aveva fatto con tutti. Non avevo quel timore, perché sentivo che nel nostro caso sarebbe stato diverso.
Avrei voluto trascorrere il resto della mia vita insieme a 2B e una parte di me s’era persino convinta che in una precedente vita eravamo stati effettivamente insieme, altrimenti non mi spiegavo tutte quelle sensazioni e quei déjà-vu che vivevo con lei. Ma per quanto la amassi, c’era anche qualcos’altro che mi bloccava. Era quel senso di colpa che tornava, stavolta in maniera differente: stavolta sembrava ripetermi “chiedile scusa”, sebbene non capissi per quale ragione. Quanto più quella voce si faceva insistente tanto più mi convincevo d’aver commesso un errore imperdonabile con lei, anche se in maniera inconsapevole. Ecco perché prendevo tempo e intanto i mesi passavano senza che io riuscissi ad essere del tutto onesto.
Volevo, in ogni caso, che anche i miei genitori vedessero quanto fosse fantastica, la conoscessero e come me stesso e Tamae si invaghissero di lei. Non che ci fosse bisogno di attendere, per questo. La accolsero immediatamente come se fosse una loro figlia e, sebbene mi accorsi che 2B fosse più tesa di come l’avessi mai vista, persino più delle competizioni, non ci mise molto a rilassare i muscoli. Bastò il pranzo perché lei, in maniera pacata, rispondesse alle loro discrete domande, per poi porgerne altrettante. Non mi sfuggì, ed ero certo di non essere l'unico, che tutte ruotavano attorno a me.
Lei ascoltava tutto quello che le veniva detto con una certa contentezza, finché verso la fine del pasto Tamae non diede voce alla questione che mi stava assillando: “Erika-chan, come mai tutto questo interesse per Nines?”
Quasi mi strozzai col cibo - come al solito era troppo diretta -, ma 2B semplicemente posò le bacchette sul poggia hashi, guardandomi.
“Perché…” Ero sicuro che stesse per dire una cosa diversa da quella che poi proferì, in quanto repentinamente spostò lo sguardo su mia madre e mio padre, sorridendo loro. “Sono contenta che abbia trovato dei genitori come voi.”
Entrambi fecero le lacrime agli occhi, anche Tamae sorrise raddolcita, quasi avesse voluto sentirsi dire proprio una cosa simile. Io, invece, la fissai sentendomi la gola serrata.
Di colpo ebbi una certezza: 2B doveva sapere del mio passato.



 
■■■□■ 2B's Story



Quel giorno Ninez mi aveva invitata a pranzo a casa sua. Mi ero già decisa da un po’ di parlargli, di dirgli la verità, e quella mi sembrava l'occasione più propizia.
Durante il pasto ascoltai tutte le nuove informazioni su di lui che mi seppero dare i suoi genitori, dopodiché pronunciai quella frase, sentendomi veramente lieta all’idea che, come me, anche lui avesse potuto trovare qualcuno che lo amava.
Sapevo del suo tragico passato. Zinnia stesso me lo raccontò, prima che me ne andassi. Mi spiegò cosa ne era stato dei suoi veri genitori, cosa avevano fatto, e dinanzi ad una simile crudeltà provai talmente tanta rabbia che desiderai averli davanti e riempirli di botte. Ero sempre stata così, pronta alla rissa, ecco perché avevo cominciato a dedicarmi alle arti marziali. Per dar libero sfogo a tutte le mie forti, impetuose emozioni negative. Anche mia sorella era così, quindi non c'era molto da sorprendersi se avevamo preso la stessa strada.
Come lei mi ero sempre sentita una paladina della giustizia, ma finché Iris mi era accanto lasciavo che svolgesse il suo ruolo di sorella maggiore, sia con me che con gli altri nostri fratelli e sorelle acquisiti; quando poi se ne andò, per quanto mi rattristasse essere separata dall’unica persona che fosse sempre stata insieme a me, sin dalla nascita, potei finalmente divenire la spada di Ninez. Potei finalmente proteggerlo.
Ecco perché quando in passato si ferì a causa mia, mi sentii quasi morire. Eravamo piccoli e quella fu la prima volta in cui mi ammalai; ciononostante non ne volevo sapere di restarmene a letto e decisi di scendere al piano di sotto, ignorando i continui rimproveri di Ninez. Mentre gli assicuravo di sentirmi bene mi girò violentemente la testa: il mondo oscillò e si contorse davanti ai miei occhi, facendomi perdere l’equilibrio. Stavo per cadere dalle scale, ma lui prontamente mi spinse sul pianerottolo, sostituendosi a me nella caduta, ruzzolando giù per vari scalini. Quando me ne feci capace gridai il suo nome, allungando una mano verso di lui, non ricevendo risposta perché aveva perso i sensi. Mi rialzai per correre da lui, e al contempo anche i nostri genitori accorsero, chiedendomi cosa fosse successo. Glielo spiegai tra lacrime e singhiozzi, mentre loro prontamente lo accompagnavano in infermeria. Era una fortuna che nostra madre fosse una dottoressa, così si prese buona cura di lui e nonostante si fosse sfregiato tutta la parte esterna della gamba destra, dal ginocchio alla caviglia, riuscì a curarlo e a farlo guarire in un tempo relativamente breve.
Mi ordinò in realtà di riposare io stessa, scoprendo che avessi la febbre, ma anche se mi mostravo docile in sua presenza ogni volta che si allontanava andavo a sedermi accanto a Ninez, scusandomi ripetutamente, incapace di perdonarmi. Non ero l’eroina che avrei voluto essere. Non ero in grado di mantenere la promessa che gli avevo fatto.
Quando avevo cinque anni lessi una fiaba illustrata. Dinanzi ad un’immagine con un cavaliere ed una dama ebbi un lampo di genio e corsi da Ninez, mostrandogliela, recitando: “Giuro solennemente che ti proteggerò, a costo della mia stessa vita!”
Lui sgranò gli occhi e mi prese il libro dalle mani, scoppiando poi a ridere: “Ma Erika, dovrebbe essere il contrario!”
“No” ribattei risoluta, argomentando: “Sono più grande, più alta e più forte di te, e tu sei il mio principe. È un dovere proteggerti.”
Sebbene inizialmente insistesse che i ruoli dovessero essere invertiti, rifiutandosi di assumere quello da donna, alla fine si arrese alle mie volontà. Iris non sembrava capire quel giochetto - o meglio, fingeva di non capire, dichiarandosi indifferente a quelle cose infantili. Fatto sta che era veritiera la mia versione, per cui provavo un’immensa soddisfazione ogni volta che recitavamo quelle parti e, dopo aver combattuto e sconfitto nemici immaginari, prendevo in braccio Ninez come una principessa, senza alcuno sforzo - anche perché, sin da bambino, era sempre stato piuttosto mingherlino. Lui si imbarazzava tantissimo, io invece sorridevo appagata, fiera di me stessa per riuscire a proteggere la persona per me più cara al mondo. E invece, quella volta avevo fallito.
Ninez, quando si riprese, mi ripeté più volte di non farmene una colpa, ma fu un’esperienza che volente o nolente mi segnò, facendomi diventare ancora più attenta ai dintorni e a me stessa di quanto lo fossi in precedenza.
E quella stessa percettività che avevo sviluppato col tempo mi fece capire che, ormai, mi fossi rivelata.
Mi sentii risollevata: finalmente avrei potuto dirgli tutto. D’altronde, eravamo stati insieme per un periodo che sostenevo sufficiente, avevamo riallacciato un buon rapporto e sebbene temessi un po’ la sua reazione, ero certa che non sarebbe arrivato ad odiarmi per aver taciuto. Lo conoscevo bene e lui non era quel tipo di persona da covare rancore; no, molto probabilmente se la sarebbe presa con se stesso, e io avrei dovuto assolutamente evitarlo.
Così, dopo pranzo, mentre i suoi accoglienti genitori si preparavano per aprire il negozio - stando a quanto m’avevano detto possedevano un bellissimo negozietto d’antiquariato, con oggettistica di fattura sia occidentale che orientale - e Tamae pure andava a cambiarsi prima di andare alle lezioni di danza, Ninez mi fece fare un giro della casa. Trattandosi di un’abitazione tradizionale mi insegnò nuovi termini per le varie parti che la componevano, dandomi delle delucidazioni a riguardo, e io lo ascoltai con interesse, apprendendo e memorizzando. Aveva tutto un’aria quasi surreale e pacificante, soprattutto quel giardino fatto di pietre, sassi e qualche sporadica pianta. Ricordava veramente la corrente marina e io mi feci sfuggire: “Forse l'hanno voluto così perché anche tu vieni dall’oceano.”
A questo tacque, fissandomi con le sopracciglia aggrottate. Parve innervosirsi, visto che si passò ripetutamente una mano su e giù per il braccio, vizio che si portava dietro da sempre. Come quello di tirare calcetti all’aria per manifestare tedio o disinteresse, che avevo scoperto ancora mantenesse.
Guardai automaticamente i suoi piedi, facendo scivolare gli occhi su quella cicatrice più pallida.
Presi un respiro, indicandogliela.
“Ninez, come… come te la sei procurata?”
Lui stava per rispondere, ma poi tacque, guardandomi smarrito. Si portò una mano alla fronte, scuotendo la testa, mormorando in tono cupo: “Cadendo dalle scale.”
Annuii, sentendomi un po’ in colpa per quello che stavo facendo.
“Come facesti a cadere dalle scale?”
“Sarò inciampato.” Fece spallucce, prima di fissarmi con una certa intensità. “O almeno è quello di cui vorrei essere sicuro. Non lo so, 2B. Tu hai una risposta?”
Sorrisi con amarezza, capendo che ormai era fatta.
“Aspettiamo che i tuoi escano” suggerii, tornando a guardare le rocce.
Lo sentii sospirare, ma pur senza guardarlo dai fruscii della stoffa capivo che era talmente irrequieto da non riuscire a stare fermo.
Pregai mentalmente che si sbrigassero e, fortunatamente, dopo pochi minuti si congedarono augurandoci buono studio, ricordando a Ninez di offrirmi qualcosa più tardi e fare una pausa. Dopo poco se ne andò anche Tamae, minacciandomi quasi di aspettarla per cena.
Rimasti soli ci rivolgemmo uno sguardo, decidendo in silenzio di sederci in veranda, dove tirava un venticello fresco che faceva tintinnare i ‘fuurin’. Mi posi perfettamente di fronte a lui e aprii la borsa, estraendone una busta da lettere, stringendola tra le mani. La mia idea era mostrargli il mio tesoro più prezioso, ma era appropriata all’affrontare un argomento tanto delicato?
“2B” mi richiamò, la sua voce più ferma di quanto mi aspettassi. Sollevai lo sguardo e lessi la paura nei suoi occhi, al di là della quale mi ingiunse: “Sii diretta, come sempre.”
Gli sorrisi grata, come sempre.
Gli porsi la busta e mentre lui la apriva, un po’ confuso, ma agitato, com’era evidente dalle sue mani tremanti, pronunciai d’un fiato: “Noi due ci conosciamo da quando avevamo quattro anni. Io e mia sorella venimmo adottate dopo di te, perché tu crescesti insieme a Zinnia e Primrose. Fosti il loro primo vero figlio, visto che ti ebbero sin dai tuoi primi giorni di vita, e come tale ti crebbero, rivolgendoti sempre una particolare attenzione. Avevano però anche altri bambini, che divennero i nostri fratelli e sorelle maggiori.”
Tacqui, notando che aveva estratto le fotografie che avevo portato con me. Mi allungai in avanti, indicandogliele, spiegando: “È tutto ciò che mi resta. Dopo l'incendio non è rimasto più niente, ma fortunatamente Zinnia mi permise di portare queste con me. Questi siamo io, tu e mia sorella.” Toccai la prima che ci ritraeva tutti e tre, lui che battibeccava con A2 e io che tentavo di riappacificarli. Ridacchiai, sottolineando: “Non andavate esattamente d'accordo, come avrai notato. Al contrario, noi due, eravamo migliori amici.” Presi la seconda fotografia, scattataci di nascosto da Zinnia, mentre ci eravamo entrambi appisolati sul divano nel salone, con le pance piene dopo esserci rimpinzati di gelato. Avevamo tutti e due espressioni beate mentre dormivamo testa contro testa e, sebbene io mi portassi più grande di lui, Ninez mi cingeva a sé con un braccio, facendomi sembrare minuscola.
Rievocai quel giorno, sorridendo ai ricordi di tutte le marachelle che combinavamo, di quanto io inizialmente fossi seria e volessi evitarle ma lui mi convinceva ad attuarle, giusto per ridere un po’ insieme a Zinnia e sua moglie, che ci adoravano anche per questo.
Ripresi il respiro, chiedendomi come potessi raccontargli tutto andando in ordine, ma non riuscii a pronunciarmi ad oltranza notando le lacrime che sfuggivano dai suoi occhi, bagnando il suo flebile sorriso.
“E poi?” domandò in tono roco, stringendomi il cuore.
Chinai il capo pentita.
“La ferita alla gamba, è colpa mia.”
Gli spiegai l’accaduto e lui subito scosse la testa, ripetendo le stesse parole di anni fa: “Non è colpa tua, 2B. Sono io ad essere imbranato.”
Mi morsi le labbra, sentendomele tremolare. Per quanto fosse cambiato, non era cambiato affatto.
Guardò la terza foto asciugandosi gli occhi con una mano, supponendo: “Questa era la nostra famiglia, vero?”
Assentii, con un groppo in gola.
“Sembra numerosa” commentò con aria triste.
Mi feci più vicina a lui, col cuore stretto in una morsa.
“Come ti senti?”
Ci impiegò un po’ a rispondere, sussurrando con un sospiro: “Non lo so. Sono sempre stato convinto che il mio passato fosse pieno di dolore, ma stando ai tuoi racconti non sembra così. E non mi sembra vero, perché avevo cominciato a fare sogni popolati da una versione di te bambina, ma credevo che… fossero sogni, appunto. La mia vita può mai essere stata così serena?”
“Lo è stata, Ninez.” Gli asciugai le lacrime, scusandomi con lo sguardo. “Perdonami se non ti ho detto tutto subito, ma non credevo che avessi dimenticato, ed ero così sollevata d’averti rivisto che ho agito senza riflettere. Io… io temevo che fossi morto anche tu nell’incidente.” Senza più riuscire a controllarmi scoppiai a piangere, scuotendo la testa. “In realtà, sentivo che non potesse essere così. Per questo ero divisa tra una sofferenza atroce e una vaga speranza, quella di rivederti. Per questo sono sempre rimasta me stessa, ho cercato di cambiare il meno possibile, sia dentro che fuori. Per questo sono diventata famosa, nella speranza che tu mi vedessi, che eventualmente mi venissi a cercare o capissi che, in un modo o nell’altro, se non l’avessi fatto sarei stata io a trovarti, ad ogni costo. Per questo ti ho aspettato per tutta la vita, anche se alla fine avessi trovato la tua tomba. E per questo ero veramente, veramente sollevata di vederti sano e salvo, in carne ed ossa, e -” Mi interruppi, perdendomi tra i miei singhiozzi. “Perdonami, se non sono riuscita a dirtelo.”
“2B, non fare così…”
Mi accorsi, nonostante tutto, della sua voce dilaniata, il che non faceva che farmi ulteriormente male.
“Dispiace a me” pianse, stringendomi tra le sue braccia, con una tale forza da lasciarmi senza fiato. “Dispiace a me, d’averti dimenticata. Come ho potuto farti questo? Tu sei… sei la persona per me più importante al mondo! E come pensavo, lo sei sempre stata! Ho dimenticato proprio te, te! E proprio tu hai dovuto stare tutto questo tempo al mio fianco, con la triste consapevolezza che io non ricordassi nulla e non avessi idea di chi tu fossi. Deve aver fatto così tanto male, 2B. Non oso neppure immaginare quanto tu abbia sofferto, ma mi dispiace, mi dispiace così tanto di essere io la causa.”
Sgranai gli occhi, sconvolta. Si stava immedesimando in me? E come temevo, si stava accusando!
Tirai su col naso, abbracciandolo con tutte le mie forze.
“Ninez, non pensarla così, ti prego. Anche se non ricordi nulla, non mi importa. Io voglio soltanto stare con te, nient'altro.”
“Ma ti ho ferita, ti ho fatto del male…”, singhiozzò sulla mia spalla, tremando.
“Non è così!” Mi allontanai di poco, afferrandolo per le spalle con quel poco di fermezza che mi era rimasta. “Non è così.” Spostai le mani sulle sue guance, asciugandogli le lacrime, sforzandomi di fare un sorriso. “Ho un unico desiderio, Ninez, da sempre, ma dieci anni fa ho fallito nel dirtelo. Ora che ci siamo ritrovati e che sai, anche se non ti ho ancora spiegato tutto, devo necessariamente rivelartelo. Ninez, anche tu sei la persona più importante della mia vita. E occupi un posto principale al centro del mio cuore.”
Nuove lacrime bagnarono le sue iridi cobalto, scivolandomi tra le dita, risparmiando quelle sue labbra ora stese in un piccolo sorriso.
Come al nostro nuovo incontro mi avvicinai al suo viso, chiudendo gli occhi, e, a un centimetro dalle sue labbra, glielo dissi in giapponese, così che potesse assumere un significato ancora più vero, ancora più profondo.
Aishiteru, Ninez.”










 
Traduzioni/spiegazioni:
- otouto = fratellino
- con "lingua nazionale" si intende il giapponese
- il Tanabata matsuri è un festival celebrato annualmente tra luglio e agosto (equivalente al Qixi festival cinese) che celebra il ricongiungimento delle divinità Orihime e Hikoboshi, rappresentanti le stelle Vega e Altair, separate dalla Via Lattea. Vi racconterei tutta la leggenda, ma in effetti penso annoierebbe (e comunque la si può facilmente trovare su internet)
- yukata = kimono estivo, di cotone 
- utsukushii (美しい) è un aggettivo che si può tradurre come "bello". Da questo aggettivo viene preso il kanji per formare la parola bijo (美女), che letteralmente significa "bella donna". Nines fa una differenza con "kirei", termine che va oltre la bellezza puramente estetica
- hashi = bacchette (quelle che si usano per mangiare)
- i fuurin sono quei tipici campanellini che si vedono d'estate appesi in veranda 
- Primrose, se non è chiaro, è la moglie di Zinnia
- aishiteru = ti amo

P.S.: se qualcuno vuole saperne di più sulla scelta di vocabolario, può chiedere :3

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Capitolo 7
*** Day 5 - Modern (Human) AU [Pt. 3] ***


5. [M]odern (Human) AU [Pt. 3] 



 

■■■□■ 9S's Story



La verità era venuta a galla, e mai avrei potuto credere che potesse essere tanto meravigliosa, tanto piena di luce, tanto impregnata di gioia, tanto intinta di amore.
Farmi raccontare tutto in un unico giorno era impossibile, per questo io e 2B ci organizzammo diverse volte per vederci da soli, in modo tale che lei potesse continuare a narrarmi di quella nostra vita insieme.
Una sera di metà settembre, in seguito ad una gara, ci demmo appuntamento anche con A2 e cenammo tutti e tre al suo appartamento. Per me, fu la prima volta che la vedevo di persona. Almeno in quella mia ‘nuova vita’. Pensare che vivevamo nella stessa città aveva dell’incredibile, ma Tokyo era immensa, quindi non era poi così poco plausibile non incontrarsi mai.
In ogni caso, 2B me la presentò come se sul serio ci stessimo conoscendo per la prima volta. Mi mostrai cordiale e anche lei fu piuttosto educata, sebbene per la maggior parte del tempo se ne stesse in silenzio e, paradossalmente, dovessi essere io a riempire quei vuoti.
Tuttavia, verso metà pasto non riuscii più a sostenere quella situazione gravosa, per cui, anche a costo di farla parlare senza fine, le domandai del nostro passato. Inutile dire che fu una pessima idea, anche perché a quanto pareva aveva solo lamentele da rivolgermi, che 2B abilmente abbelliva con parole diverse. Ad esempio, A2 mi diceva “Eri una pappamolle” e immediatamente 2B interveniva con “Vuole solo dire che eri sempre tranquillo, mentre noi eravamo iperattive e non stavamo ferme un attimo”. Proseguì in questo modo per diverse portate, finché non ne ebbi abbastanza di quell’insolenza e cominciai a risponderle a tono. Qualcosa scintillò in quegli occhi di ghiaccio, un ghigno sbilenco attraversò il suo volto.
“Mi stai sfidando, 9S?”
Quello sembrava fosse stato il mio ‘nome’, prima che venisse trasformato in ‘Nines’.
“Fatti sotto.”
La fissai truce e lei non se lo fece ripetere due volte, spostando i piatti per posare il gomito destro sul tavolo e farmi segno per invitarmi ad imitarla.
2B m’aveva detto che, nel nostro battibeccare, spesso io e A2 finivamo col gareggiare in modi diversi. Se si trattava di giochi d’intelletto solitamente vincevo io, ma quando si trattava di forza bruta sembrava imbattibile.
Mi misi in posizione e afferrai la sua mano, mettendo tutta la forza che possedevo in quel braccio. Strinsi i denti e cominciai a sudare, mentre sembrava che lei non si stesse neppure sforzando. Mi chiesi se quella donna fosse veramente umana o avesse subìto una qualche mutazione genetica. Forse era un robot, perché lo trovavo veramente impossibile. D’accordo, non ero poi così forte, ma almeno a braccio di ferro non potevo perdere! Sarebbe stato vergognoso, ci avrei fatto una pessima figura davanti a 2B! Mi concentrai al massimo, riuscendo a spostare di poco la sua mano, ma non ebbi il tempo di esultare per quel poco che ecco che mi batté.
Strepitai frustrato, mentre lei rideva maleficamente, per poi incrociare le braccia e guardarmi con superiorità.
“Hai sviluppato una maggiore resistenza, ma non sei ancora all’altezza della mia sorellina.”
“Cosa?!” esclamai sbigottito, offeso. Non poteva dire sul serio!
“A2, basta, per favore…”
Mi voltai verso 2B, trovandola con lo sguardo basso e le mani sul viso in fiamme. Le afferrai una manica, tirandogliela per farmi guardare.
“2B, tua sorella è ingiusta! Sappiamo tutti che non riuscirò mai a batterla. Nessuno ci riuscirà mai!” mi lagnai, sperando che questa dura realtà non mi condannasse sul serio.
Parve che ebbi toccato un tasto dolente perché si fece rigida, abbassò le mani con movimenti quasi meccanici e assottigliò gli occhi nel voltarsi verso di me, pietrificandomi.
“Mi stai sottovalutando?”
“No?”
Sbattei le ciglia, confuso, e lei poggiò con lo stesso impeto di A2 il gomito sul tavolo, bruciando di competitività.
“Io posso batterla!” proclamò convinta, al che sua sorella fischiò, accettando la sfida.
Ci vollero diversi minuti prima che si giungesse ad una conclusione. Riconobbi che s’erano impegnate entrambe, ma poi l’alcool - che qui non avrebbe ancora dovuto bere, essendo minorenne - ebbe la meglio su 2B e poco ci mancò che, del tutto sfiancata, sbattesse con la testa sul tavolo. Io e A2 la afferrammo al volo, restando entrambi senza parole, ma poi lei scoppiò a ridere e io la seguii dopo poco, non aspettandomi che una ragazza tosta e all’apparenza robusta come 2B potesse ubriacarsi tanto facilmente.
A2 mi disse allora che potevo pure andarmene perché l’avrebbe fatta dormire nella sua stanza, ma io comunque ci tenni ad accompagnarla fin lì. La adagiai con delicatezza sul materasso, coprendola per bene, e le posai un lieve bacio sulla fronte dopo averle spostato quella lunga frangia, augurandole sogni d’oro.
Quando uscii dalla camera trovai A2 poggiata alla parete opposta a braccia conserte, con lo sguardo rivolto al soffitto.
“Sei sempre stato così.”
“Così come?” domandai rassegnato, preparandomi psicologicamente all’ennesimo insulto di quella lunga serata.
“Così caring” rispose sorprendendomi, abbassando lo sguardo su di me.
“I-in che senso?” balbettai, incredulo.
“Ti sei sempre preso cura di lei, quanto faceva Primrose, se non addirittura di più. Ma sicuramente più di quanto sia mai riuscita a fare io stessa.”
Sospirò pesantemente mentre io la guardavo corrugando la fronte, non capendo dove volesse arrivare.
Mi fece segno di seguirla in soggiorno e lì ci accomodammo su un divano a tre posti, alle due estremità, faccia a faccia.
“Conosci la nostra storia?”
“Per sommi capi.”
Lei fece un cenno di comprensione, cominciando a raccontare del loro passato senza che me lo aspettassi.
“2B non se lo ricorda perché era troppo piccola. Ammetto che anche i miei ricordi ormai stanno sfumando, ma tre anni di differenza mi sono tornati utili per crescere più in fretta di quanto dovessi. Subito dopo la sua nascita, nostra madre morì a causa di varie complicazioni dovute al parto. Nostro padre ci aveva già lasciate pochi mesi prima in un incidente sul lavoro, ed eravamo rimaste soltanto noi due, una bambina di nome Iris e un’infante senza nome. L’ospedale ci tenne per un certo periodo, ma non potevano di certo mantenerci lì per sempre. Non avevamo molti parenti prossimi, i più vicini erano i nonni, ma ormai erano anziani e non potevano assumersi la responsabilità di crescere due bambine così piccole. Ciononostante ci accettarono e provarono ad educarci come poterono. Diedero persino un nome a 2B, Jasmine, come i fiori che crescevano nel loro giardino; un giardino che scoprii essere anche pieno zeppo di iris bianchi, e da lì compresi venisse anche il mio nome. Per circa quattro anni vivemmo tutti insieme, ma ben presto anche loro ci abbandonarono e non ci rimase più nessuno. Pur avendo appena compiuto sette anni, ormai fungevo sia da madre che da sorella maggiore per 2B. Assunsi anche il ruolo di padre per lei, ma quello dei nonni mi sembrava troppo, e con la loro perdita ebbi il mio primo crollo emotivo. Da lì in poi cambiai radicalmente, chiudendomi in me stessa, diffidando di chiunque, ed educai 2B ad essere come me. Ci volle un po’ prima che un avvocato ci rivelasse che i nonni avevano già fatto domanda all’orfanotrofio gestito dal signor Zinnia e sua moglie, affidandoci alle loro cure. Prima di lasciare la nostra vecchia casa decisi che, almeno mia sorella, avrebbe dovuto avere la possibilità di vivere una nuova vita, diversa da quella con cui era nata. Le dissi di cancellare il suo nome, di dimenticarlo, e sostituirlo con uno nuovo, in codice. Da qui ha origine 2B e il mio, A2. ‘2’ perché eravamo soltanto noi due le ultime sopravvissute, eravamo l’una la famiglia dell’altra e se fossimo sempre rimaste insieme avremmo avuto la forza necessaria per sopravvivere. Per me fu lei stessa a scegliere la lettera ‘A’, perché era la prima dell’alfabeto, essendo io più grande di lei. Per se stessa scelse la ‘B’, che veniva subito dopo, e mise il numero in mezzo, per legarci per sempre. Accettai quel suo modo di ragionare con fierezza e quando poi raggiungemmo l’orfanotrofio chiesi a Zinnia di mantenere il mio nome, trovandone invece uno nuovo per mia sorella. Così che quella parte triste di lei, senza una vera e propria identità, senza una concreta famiglia, potesse definitivamente sparire.”
La ascoltai fino alla fine, ripensando a quello che mi aveva spiegato 2B su quei nomi in codice. A sua detta erano quelli i loro veri nomi, e dato che io ero diventato il loro migliore amico ne dovevamo scegliere uno anche per me. Sarebbe stato sensato un C3 o qualcosa del genere, a quel punto, ma andò diversamente perché proprio in quel momento stavamo facendo un gioco di ruolo in cui A2, in virtù del suo nome e delle sue preferenze, s’era scelta il ruolo da attaccante, 2B aveva preferito essere un modello da battaglia e io, per adeguarmi e poterle essere di supporto in campo, avevo scelto quello di scanner. Da qui la ‘S’, cui poi s’antepose il numero 9 perché era il giorno in cui ci eravamo incontrati, che coincideva col giorno in cui s’erano trasferite. ‘9S’ significava anche ‘Nove settembre’. Divenne poi Nines per una questione più pratica, essendo difficile da pronunciare secondo gli altri bambini che giocavano con noi, e ‘Ninez’ per un fallito tentativo di 2B di dirlo come loro.
Da allora, per loro, divenni 9S o Ninez, e Kiku, il bambino annoiato che sì, giocava, ma preferiva sprofondare il naso nei libri per conoscere il mondo, lasciò spazio ad un bambino pieno di vitalità. Quindi, se ero quel che ero, lo dovevo soprattutto a loro.
“Se 2B è 2B è soltanto grazie a te” A2 fece eco al mio pensiero, rivolgendomi per la prima volta delle parole positive.
Non sapevo dire se fosse contenta o meno della cosa, sembrava andare contro se stessa per ammetterlo, ma alla fine sospirò, toccandosi pensosamente le unghie.
“Come ti dicevo, sei sempre riuscito in quello in cui io ho fallito. Sebbene non fosse un tuo dovere, eri tu che rimboccavi le coperte a 2B. Eri tu che le pulivi il viso quando si sporcava col cibo o le soffiavi il naso dal moccio. Eri tu che le disinfettavi le ferite, le mettevi i cerottini colorati, le davi i ‘bacini sulla bua’. Eri tu che ti offrivi di asciugarle i capelli. Talvolta glieli spazzolavi persino, e lei soltanto a te lo concedeva, perché se chiunque altro ci avesse provato, me compresa, si sarebbe ribellata con tutta se stessa, lamentandosi che le facessimo male. Invece, di te diceva che fossi delicato. Riuscisti così ad essere tutto, al mio posto. Fosti un padre, una madre, un fratello maggiore e una sorella maggiore. Divenisti poi persino il suo principe, sebbene io avessi qualche difficoltà ad immaginarti come faceva lei in groppa ad un cavallo bianco con un mantello fluttuante. Considerando comunque tutte queste cose, unendole alla mia indole solitaria, io stessa chiesi a Zinnia di trovarmi dei nuovi genitori. Soltanto per me, perché 2B aveva te. E quando la notte prima della mia adozione 2B mi promise che sarebbe divenuta una donna forte e valorosa, come me, che sarebbe stata felice, che non avrebbe mai pianto, e che poi mi si sarebbe ricongiunta ad ogni costo, con te al suo fianco, mi spinse per la prima volta sull’orlo delle lacrime. Feci tuttavia finta di niente, domandandole perché dovessi esserci anche tu, e lei con tutta l’innocenza del mondo mi rispose: ‘Anche lui è la tua famiglia, A2. Soprattutto perché un giorno diventerà mio marito.’ Non volevo credere alle mie orecchie, eppure dalla sua espressione cristallina capii che facesse sul serio. E conoscevo la mia sorellina, sapevo che, una volta presa una decisione, non importava quante peripezie avesse trovato sulla sua strada, avrebbe proceduto fino in fondo, raggiungendo il traguardo.”
Fece una pausa, posandosi le mani sulle ginocchia, sollevando gli occhi nei miei.
“Neh, 9S. Le cose non sono molto cambiate, vero?”
Scossi il capo, insicuro del come potesse uscirmi la voce in quel momento.
“Continuerai a prenderti cura di lei?”
“Lo farò sempre” assentii, con sicurezza.
Lei si stese in un sorriso, il primo che vedessi sul suo viso, mentre mi chiedeva: “E saresti veramente disposto a diventare suo marito?”
Sorrisi a mia volta, privo di dubbi.
“Certo, ce lo siamo già promessi.”
A questo sollevò un sopracciglio, scuotendo la testa.
“Dovevo immaginarlo” mormorò tra sé, prima di allungarsi verso di me, avvolgendomi le sue braccia attorno.
“Grazie” mormorò, piena di emozione contenuta.
Chiusi gli occhi, ricambiando quel nostro primo e forse ultimo abbraccio, facendo un cenno col capo. Non c’era bisogno di ringraziarmi, perché era ovvio che lo avessi fatto. Amavo 2B da sempre. Amando lei, per quanto normalmente non la sopportassi, dovevo necessariamente accettare ed amare anche A2. Ma come per tutte le cose che ci riguardavano, non era tanto una questione di dovere, quanto di volere.



 
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La promessa di matrimonio che avevo accennato a A2 mi fu raccontata da 2B proprio pochi giorni prima. A quanto pareva avevamo otto anni, ed era un giorno ben specifico di agosto: la notte di San Lorenzo. Su un giornale avevo letto insieme a Zinnia che per due giorni ci sarebbero state le stelle cadenti e lui mi spiegò che in tale occasione si usasse esprimere un desiderio. Anche io e 2B volevamo farlo, ma non sapevamo con precisione cosa desiderare. Ci riflettemmo a lungo, finché poi durante la visione di un film d’amore che si concludeva con la scena di un matrimonio ricevemmo la nostra risposta.
Quella stessa notte uscimmo di soppiatto, portandoci dietro delle coperte. Salimmo fino alla cima della collinetta e ne stendemmo per bene una sull’erba, prima di sederci lì sopra. Attendemmo in silenzio di vedere le prime stelle cadere, esprimendo i nostri piccoli desideri. Dopodiché ci inginocchiammo uno dinanzi all’altro, e mentre lei univa le margheritine che aveva portato con sé stringendone gli steli in un pugno le posi l’altro lenzuolo sul capo. Fu quella la prima volta in cui pensai, di lei, che fosse bellissima. Fu quella la prima volta in cui, guardandola negli occhi, mi sentii avvampare. E a quanto pareva l’imbarazzo cominciò a sopraffare anche lei stessa.
Ciononostante esso non ci impedì di mettere in atto il nostro rito, così tirando fuori quegli anelli che quel pomeriggio avevo costruito intrecciando un filo di lana rossa, sapendo della leggenda del filo rosso del destino, presi la mano sinistra di 2B, infilandole quello cui avevo aggiunto una perlina bianca per distinguerlo dal mio mentre recitavo i voti sentiti in televisione.
“Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.”
Feci scivolare l’anello fino in fondo e lei, con solennità, ripeté quelle stesse parole, imitando le mie azioni; dopodiché attorcigliò i nostri anulari e mi sorrise con dolcezza, aggiungendo: “Staremo per sempre insieme, e ti proteggerò costantemente.”
Ricambiai il suo sorriso, stringendo il dito attorno al suo, promettendo: “Un giorno farò in modo che si realizzi sul serio.”
Il suo sorriso si allargò e, ricordando poi come procedeva la cerimonia, recitammo insieme la parte in cui venivamo proclamati marito e moglie sotto la testimonianza di Dio, del cielo e della terra. Le abbassai di poco il velo e posai le labbra sulle sue, suggellando il tutto con un bacio.
Fu un bacetto molto breve e casto, a stampo, a malapena percepibile, eppure bastò per farci arrossire all'inverosimile e sorridere come due idioti.
Quella, probabilmente, fu la notte più magica trascorsa all’orfanotrofio. Al punto tale che, quando la rivissi nella mia mente, mi sembrava quasi impossibile che non fosse un frutto del mio mondo onirico.
Stava succedendo che, quanto più 2B mi raccontava di noi, tanto più sognavo ricordi. Da quando mi ero avvicinato a 2B mi succedeva sempre più spesso, ma sebbene inizialmente avessero contorni più sbiaditi, ultimamente stavano diventando molto più definiti e concreti, quasi tangibili.
Così avevo cominciato a sognare di quelle volte in cui, bighellonando per il boschetto, mi fermavo per raccogliere ghiande - a quanto pareva avevo quella bizzarra fissa di collezionarle, ma ben presto 2B scoprì con piacere che lo facevo per lasciarle, successivamente, nelle tane degli scoiattoli.
In altri sogni, ambientati in primavera, ci sedevamo sul prato e creavamo coroncine di fiori, scambiandocele. Le sue erano sempre più imprecise, ma più colorate e a più dimensioni, visto che mescolava fiori di tutte le grandezze, senza fare distinzione. Aveva poi quella peculiarità di lasciarvi anche le foglie, rizzandole tanto verso l’alto da farle diventare appuntite, esclamando dopo che me le poneva sul capo: “Mio principe, con questa corona la proclamo mio re.”
Mi faceva troppo ridere con quella scenetta, sebbene sapessi che per lei non fosse soltanto una farsa. Per questo, quando le ponevo sui capelli la mia sottile coroncina fatta di roselline rosate, la ringraziavo in qualità di mio cavaliere, accontentandola. Dentro di me, però, continuavo a vederla come la mia delicata principessa guerriera, forte sì, ma da proteggere ad ogni costo.
C’erano poi altri ricordi che riguardavano i nostri compleanni. Di me non si sapeva di preciso quando fossi nato, ma si scelse come data il 30 gennaio, giorno in cui fui portato in quell’enorme giardino curato da Zinnia. Grande fu la mia sorpresa quando scoprii che anche 2B fosse nata in quello stesso periodo, il 7 gennaio, proprio pochi giorni prima di me.
Ad ogni modo, per ogni nostro compleanno avevamo la consuetudine di fare un certo rituale. Lei mi regalava un disegno o una letterina, e oggi mi rammaricavo di non possederne più alcuna. Dopo aver saputo tutto da lei, compreso il fatto che l’incidente, per quanto lei ne sapesse, fosse stato realmente tale e che quindi non dovevo farmene una colpa, ce l’avevo ancora più a morte col fuoco che s’era portato via tutta quella meraviglia, tutta quella bellezza, tutto ciò che mi era caro. Eppure, in parte, dovevo anche ringraziarlo, perché se non fosse avvenuto non era certo che avessi avuto modo di conoscere la mia nuova famiglia.
Al suo compleanno, invece, le regalavo dei dolcetti a forma di robottini che io stesso le preparavo - col tempo sembrai migliorare, mentre il primo tentativo pareva fosse uscito decente solo grazie all’aiuto di Primrose -, insieme ai fiori che portavano il suo nome. Nel giardino, infatti, cresceva molta erica, e forse perché ancora nessuna bambina aveva quel nome lo avevano assegnato a 2B. Era una pianta sempreverde e, fortunatamente per noi, quella che cresceva lì era bianca, proprio come quella bambina albina, ed emanava un piacevole profumo. Sapevo che significasse solitudine, ma anche affetto e protezione. Mi sembrava davvero perfetta per lei, così come perfetto era il gelsomino. Due nomi, portavano con loro tutta la sua essenza.
Ma alla fine, non importava che nome avesse: 2B era semplicemente 2B.



 
■■■□■



In autunno, oltre ai corsi e ai nostri periodici incontri divisi tra lezioni e rievocazioni di ricordi, io e 2B cominciammo anche ad uscire insieme.
Come le avevo promesso le feci visitare diverse città approfittando dei nostri giorni liberi, la portai a vari matsuri e a divertirsi a Disneyland. Fu piuttosto buffo andare sulle montagne russe con lei che restava impassibile e io, invece, che gridavo senza freno. Quando scendemmo ridevo troppo per quanto fosse stato divertente ma lei mi fissava apprensiva, domandandomi invece se come risultato non mi venisse il mal di gola o restassi senza voce – al punto tale che mi diede delle caramelline al miele ed eucalipto per prevenirlo. Non potevo crederci che la prendesse così, per cui la rimproverai bonariamente, invitandola a rilassarsi e godersi semplicemente il momento, senza ragionare o mostrarsi sempre tanto indifferente.
Fortunatamente parve riuscirci dopo poco, e ogni volta che qualcosa sembrava attirare la sua attenzione, che fosse un palloncino, una t-shirt, un accessorio per capelli - compreso un frontino con le orecchie da Topolino - glielo acquistavo. Mangiammo crêpes strapiene di panna, frutta e cioccolato e, come in passato, lei si imbrattò quasi tutta, senza curarsene. Ridendo di quel suo essere adorabilmente infantile la pulii con dei fazzoletti, prendendola in giro, e lei si immusonì, sporcando per dispetto anche me. Non che mi dispiacesse, se poi finiva col leccarmi la guancia o il naso, ed era veramente una fortuna che scegliessimo sempre di stare in zone più solitarie, perché se ci fosse stata più gente sarei probabilmente morto dall’imbarazzo.
Quelli erano tutti problemi che, in ogni caso, lei non sembrava porsi.
Già dalla seconda volta in cui mi aveva baciato aveva cominciato ad abbracciarmi o prendermi per mano anche in pubblico, ignorando le persone circostanti, rendendo ufficiale qualcosa che fino ad allora era stato ufficioso ma prevedibile da tutti.
Sul piano fisico, tuttavia, attendevo di scoprire di più su di noi, perché mi sembrava una mancanza avere ancora dei buchi neri nella mia testa, che lei invece aveva pieni di colore. Mi sentivo incompleto e attesi che lei potesse riempirli il più possibile, prima di decidermi a farmi finalmente avanti. Mi dispiaceva farla aspettare tanto; capivo che lei non sentisse un impellente bisogno di ricevere una risposta da parte mia, ma sentivo ingiusto continuare a tacere e dimostrarle quello che provavo soltanto con piccole azioni. Allo stesso tempo, non volevo mettermi fretta, perché mi sentivo ancora ‘indegno’, o meglio, immeritevole.
Fortunatamente, col passare del tempo e lo scorrere dei giorni lei mi colmò sempre più di vecchi e nuovi ricordi, sicché l’occasione per poter essere sincero poté palesarsi ben presto.
Era il principio dell’inverno e pioveva a dirotto. Stavamo studiando a casa mia attorno al kotatsu quando, d’un tratto, 2B sobbalzò ad un tuono. Si interruppe con la matita a mezz’aria, fissando il vuoto, per poi scuotere la testa e tornare a fare quello che stava facendo. La scrutai impensierito e all’improvviso, quasi fossi stato attraversato io stesso da un lampo, ricordai da solo della sua paura dei fulmini. Da piccoli lei cercava di non darlo a vedere e io semplicemente prendevo la sua mano, dicendole che così avrei ‘afferrato e inghiottito la sua paura’. Scoprii poi che quella era anche una fobia di A2, sebbene anche lei si mostrasse stoica e impassibile durante i temporali, e quando indagai più a fondo lei mi rivelò che fosse perché un fulmine aveva causato il cortocircuito che aveva ucciso il loro vero padre. 2B, tuttavia, non poteva saperlo non essendo ancora nata, a meno che non se lo fosse fatto scappare qualcuno. Io presunsi che potesse essere semplicemente un’involontaria influenza che la sorella maggiore aveva esercitato sulla minore.
Fatto sta che anche in quel momento, al suo secondo sobbalzo e stringere le dita attorno alla penna, posai una mano sulla sua, carezzandogliela in maniera terapeutica.
“Vogliamo fare altro?”
Prese un respiro profondo, guardandomi poi interrogativa. “Altro?”
Annuii, proponendo: “Potremmo giocare alla Play, guardare un film, cucinare qualcosa, ti potrei leggere una storia o -” Mi interruppi, realizzando solo in quel momento che eravamo totalmente soli in casa. Che ci sarebbero volute ore prima del ritorno dei miei genitori e di mia sorella e che quella poteva essere la mia occasione. L’occasione di dirle finalmente tutto ciò che provavo.
“O?”
Piegò la testa su un lato e io deglutii a fatica, col batticuore. Non sarebbe stato molto romantico forse, non quanto lei avrebbe sperato, ma dovevo ricambiare anche a parole, una volta per tutte.
“2B, sono certo che tu lo sappia già, ma devo dirtelo.” Lei attese che proseguissi e io presi un profondo respiro, usando precisamente i suoi stessi vocaboli per dirle: “Ti amo, 2B.”
La vidi schiudere le labbra, quasi non ci credesse, e fare le lacrime agli occhi. Mi lasciò interdetto.
“P-perché reagisci così?”
“Scu-scusami, è che non me lo aspettavo!” Si portò una mano al petto prima di coprirsi il volto, mugugnando felice. Era la prima volta che la vedevo reagire in maniera tanto eccessiva, tanto spontanea, tanto palese. “Che vergogna…”
Arrossii alla pari di un’aragosta, borbottando: “Dillo a me, ho dovuto raccogliere tutto il mio coraggio.”
Lei ridacchiò e quando tolse le mani trovai i suoi occhi umidi e le sue gote rosse. Mi si fermò il cuore dinanzi al sorriso celestiale che mi rivolse, mentre mi rispondeva: “Ti amo anche io, Ninez.”
Sorrisi a mia volta, chiudendo gli occhi, poggiando la guancia contro il suo palmo, sentendomi come in paradiso. Mi beai della sua voce, del suo profumo, del suo calore, soprattutto dopo che venne ad abbracciarmi, e dopo che le nostre labbra si incontrarono, si incontrarono, si incontrarono, e i nostri corpi si scoprirono, si intrecciarono e si unirono, facendomi capire che il paradiso ancora dovevo esplorarlo.


Da quel momento in poi, cantammo del nostro immenso ed eterno amore.



■■■□■ 2B's Story



“Mamma, mamma!”
Mi voltai prontamente verso quella voce squillante, ritrovandomi una bambina dagli occhi grigi e i lunghi capelli biondissimi che le oscillavano ad ogni movimento mentre correva verso di me, frustandole il viso. Mi abbassai alla sua altezza mentre esclamava gioviale: “Guarda zia A2 cosa mi ha regal- Ah!”
Sobbalzai vedendola inciampare nei suoi stessi piedi e mi feci subito in avanti, così che cadesse sulle mie ginocchia.
Tirai un sospiro di sollievo, fingendo aria da rimprovero: “Insomma, Vera, quante volte ti ho detto di stare attenta?”
Lei ridacchiò scusandosi, per niente pentita. Chissà se quel tratto l’aveva preso da me o da Ninez.
Mentre ci ragionavo su ripeté “Guarda!” mettendomi sotto il naso una scatola con una molletta per capelli su cui vi era un fiocchetto rosa. “Posso mettertela?”
Assentii, rialzandomi con lei in braccio per permetterglielo, e mi incamminai domandando: “Che stavi dicendo su A2?”
“Che zia me li ha regalati!”
Parlava al plurale?
“Fatto!” esclamò pimpante, sollevando le braccia.
“Come mi sta?”
Mi fissò a lungo, pensierosa, prima di borbottare: “Mmh, sei bellissima come sempre, ma non buffa.”
“Avrei dovuto essere buffa?”
“Per far ridere Sasha! Papà c’è riuscito!”
Confusa andai in veranda, dove sapevo per certo che avrei trovato Ninez a giocare con Sasha sul dondolo. Sorrisi tra me nel sentirlo pronunciare filastrocche e fare versetti e pernacchie, seguito dalle risate cristalline del piccolo.
A pochi passi da loro Vera mi fece segno di voler scendere per correre dal padre, prendendogli il viso con ben poca delicatezza - ecco una caratteristica che sicuramente aveva ereditato da me - per voltarlo dalla mia parte.
“Guarda!”
Trattenni a stento una risata, prima nell’incontrare la sua espressione sorpresa, poi nel notare come i suoi occhi luccicassero nel vedermi e tutto il suo volto si illuminasse con un sorriso enorme, facendo risaltare ancora più quel fiocco azzurro che aveva in testa.
“2B, bentornata!”
“Sono a casa.”
Mi sedetti anch’io sull’altalena, prendendo in braccio Sasha per salutarlo, e proprio mentre gli lasciavo un bacino sulla fronte e lui mi posava la manina su una guancia A2 si presentò sul retro, posandosi le mani sui fianchi.
“Allora Vera, ti muovi?”
“Sì signora!”
Si mise sull’attenti, facendo come per andarsene, ma la trattenni per un attimo, giusto il tempo di toglierci quelle mollette ed inserirle ai lati dei suoi capelli, per tirarglieli indietro affinché non le dessero noia durante la pesca.
“A2, se si dovesse fare male -” cominciò a minacciarla Ninez, sennonché come al solito mia sorella non lo fece finire che completò cantilenante:
“Ci penserà 2B, lo so.”
“Hey!”
Ninez si imbronciò, ma lei lo ignorò e ci fece un cenno di saluto, mentre Vera afferrava l’altra sua mano e ci salutava felicemente, chiacchierando vivacemente con lei.
“La adora” commentò quando furono lontane, non sembrandone molto lieto.
Cullai per un po’ Sasha e abbassai la voce, notando si stesse appisolando.
“E non ne sei contento?”
“Certo che ne sono contento” sbuffò, guardandomi con le sopracciglia aggrottate. “Ma non sembra anche a te che stia diventando sempre più simile a lei?”
Parve sconvolto da quella supposizione e io semplicemente ridacchiai sotto i baffi, scuotendo la testa.
“A me sembra la fusione perfetta di noi.”
Dato che Sasha era crollato mi misi in piedi per portarlo nella sua culla, così che stesse più comodo.
Ninez mi seguì, domandandomi in tono basso come fosse andata la giornata a lavoro. Risposi brevemente che fosse impegnativo come sempre in ufficio, chiedendogli altrettanto.
Usciti dalla stanza blaterò entusiasta di quanto fosse stata interessante la lezione di quel giorno e di quanto si felicitasse che i suoi studenti gli mostrassero ogni volta tutte le loro attenzioni. Non molto tempo dopo il mio trasferimento in Giappone ed essere stato mio tutor, una volta finito il suo compito aveva deciso di abbandonare gli studi manageriali e dedicarsi all’insegnamento. Decisamente, sembrava molto più adatto a lui.
Lo ascoltai sollevata, anche mentre andavamo in camera nostra. Qui lui proseguì a narrarmi di un piccolo aneddoto capitato proprio quella mattina, mentre mi aiutava a togliermi la collana, finché senza preavviso non mi avvolse le braccia attorno, posandomi le labbra sul collo. Il cuore mi fece un balzo nel petto, per la sorpresa e l’emozione.
Mi riempì di tanti piccoli baci e io mi sentii sempre più rintronata, mentre cercavo di appigliarmi a qualcosa di concreto.
“N-ninez, aspetta… non ho neppure fatto ancora il bagno…”
A questo mi rivolse un ghigno furbo tramite lo specchio.
“Indovina chi ci ha già pensato?”
Lo ringraziai tacitamente, valutando il fatto che fossimo relativamente ‘soli’, visto che A2 s’era portata via Vera per il solito week-end al lago e Sasha sembrava dormire come un ghiro.
Mentre ci pensavo su fu più rapido di me a bendarmi gli occhi, prima ancora che potessi reagire.
“Ninez, cosa -?”
“Ho una sorpresa per te.”
Sentivo che lo avesse fatto apposta a parlarmi direttamente nell’orecchio e a spingermi mettendo la mano giusto al centro della mia schiena, in un punto che lui conosceva troppo bene. Ma a parte la pelle d’oca che mi tradiva feci finta di nulla, lasciandomi guidare da lui.
Dai nostri spostamenti compresi che mi stesse conducendo verso il bagno e dopo pochi passi cominciai ad avvertire un buon odore.
“Vaniglia?” domandai stupita, inspirandolo a pieni polmoni.
Mormorò un consenso e si arrestò, accingendosi a togliermi con prudenza le forcine dai capelli, mentre io continuavo ad annusare l’aria.
“E qualcos’altro di floreale. Rose?” aggiunsi convinta.
“Il tuo olfatto è pazzesco” ridacchiò, stirandomi i capelli con le dita, prima di posarmi le mani sulle spalle e massaggiarmele. “Sei stanca?”
“Non molto.”
Stavo per aggiungere che il bagno lo avrei fatto volentieri, sennonché la voce mi morì in gola visto che le sue mani s’erano infilate sotto la mia camicetta.
“Ninez…” provai a richiamarlo, sentendomi mancare l’aria. Faceva più caldo lì o mi sbagliavo?
“Sì, 2B?”
L’aveva fatto di nuovo, con quel suo tono stucchevole. Rabbrividii e mi appigliai alle sue braccia, neppure io stessa capendo se volevo fermarlo o farlo proseguire nel suo percorso.
Mi leccò apposta dietro l’orecchio, altro mio punto debole, e mi sfiorò il petto con la sua solita delicatezza e precisione, mentre l’altra sua mano mi scivolava giù al centro dell’addome, fino al ventre. Mi sentii le gambe molli e vacillai, per cui lo spinsi via e mi tolsi la benda, ansante.
“Era tutto pianificato, vero?”
Lo trovai ridente, che si manteneva la pancia e copriva la bocca, ma ben presto mi mostrò soltanto un sorriso, ammettendo: “Sì, ma perché è un giorno importante.”
“Un giorno importante?”
Pensai a che data fosse e lui allungò una mano, facendomici poggiare la mia sopra, guidandomi verso la vasca. Sgranai occhi e bocca dinanzi a quelle piccole candele luminescenti al buio, che riuscivano, nonostante la fioca luce, ad illuminare tutti quei petali e quelle corolle di rose rosse.
“È il nove settembre” mi ricordò, facendomi provare una stretta al cuore.
Come avevo potuto non farci caso?
“Ci conosciamo da 25 anni, ci tenevo che fosse speciale anche stavolta.”
Dopo 15 anni ci eravamo ritrovati. Dopo 20 anni mi fece la prima sorpresa, organizzando un picnic sul lungomare, lasciando la piccola Vera dai nonni.
Erano già trascorsi 5 anni… Il tempo, con lui, sembrava volare.
“Ninez, grazie…” sussurrai commossa, sfiorandogli le dita. “Faresti il bagno con me?”
Si stese in un sorriso enorme, annuendo, baciandomi quella stessa mano sinistra.
Ci spogliammo così di tutto, tranne che di quegli anelli dorati che ci univano, e giocando con l’acqua e coi fiori ripercorremmo i sentieri delle nostre memorie.










 
Angolino autrice:
Ed eccoci alla fine di queste "three-shots".
Come avete notato, il gioco l'ho inserito come un gdr (poteva mai mancarci?); quindi, tra i bambini potrebbero esserci gli altri personaggi. 
Per quanto riguarda i termini giapponesi, i matsuri sono i festival e il kotatsu è quel tavolino basso riscaldato su cui viene posta una coperta o un futon in inverno. 
Qui ho inserito due nuovi nomi per i figli, Vera (da Veronika) e Sasha. Quando ho dovuto pensarli volevo qualche nome russo che contenesse la B (V in russo) e S, che richiamasse i fiori ma anche la loro storia. E così mi sono venuti in mente Veronika (nome di un fiore, significa "portatrice di vittoria/colei che conduce alla vittoria") e Sasha (diminutivo di Alessandro, quindi "protettore degli uomini"). Dovevano essere nomi positivi e dolci, per certi sensi (almeno qui volevo creare un'AU più felice di ogni altra cosa).
Detto questo, spero tanto che sia piaciuta questa piccola saga.
A presto! 

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Capitolo 8
*** Day 6 - Lunar tears ***


6. [L]unar tears



 
Da quando avevano riaperto gli occhi, da quando la pace aveva cominciato a regnare sulla Terra, 2B e 9S trascorrevano i loro giorni in maniera tranquilla, cercando di godersi finalmente quella calma tanto agognata.
Un giorno di marzo, mentre rovistava nella propria borsa, 9S scoprì di possedere ancora la chiave consegnata loro da Emil. Mentre correva a mostrarla a 2B rifletté sulla sua triste storia, dispiacendosi. Era un peccato che per lui fosse andata a finire così, ma almeno pareva che fosse riuscito a ricongiungersi coi suoi vecchi compagni.
Gli era immensamente grato per aver mostrato loro quel posto segreto, in cui era tornato per poter piangere la morte di 2B. Si interruppe nei suoi passi, bloccandosi di fronte a quel ricordo. Non doveva più pensarci, lo sapeva, ma riflettendoci adesso, forse sarebbe stato meglio non tornarci, o lei avrebbe trovato…
“9S.”
La voce ferma di 2B lo fece tornare coi piedi per terra. Sobbalzò, guardandola ad occhi sgranati, trovandola a fissarlo poco convinta.
“Che ci fai fermo in mezzo al corridoio?”
“Ah, io…” ti stavo cercando, completò mentalmente.
Lei fece pochi passi in avanti, giungendogli perfettamente di fronte, analizzando tutto il suo viso.
9S guardò altrove, prima che potesse intendere qualunque cosa, ma 2B prontamente lo voltò verso di sé, tenendogli la testa ferma. Quando faceva così, era impossibile fuggire.
“Che cosa mi stai nascondendo?”
“Niente” rispose con un ghigno convincente, dal quale non si lasciò fregare.
“Dimmelo. Adesso” gli ingiunse in tono fermo, lanciandogli piccoli avvertimenti con lo sguardo.
“M-ma, niente di che” ridacchiò in maniera un po’ stupida, sperando di depistarla. “Volevo chiederti se ti andava di fare una passeggiata. Il cielo è sereno oggi, ci sono poche nuvole, l’aria è calda ma piacevole, e potremmo andare, non so, nelle zone della foresta, o al lunapark, o a pescare, o a fare shopping, o se preferisci possiamo farci assegnare qualche missione… Tutto quello che vuoi!”
Si stava agitando, ne era consapevole, così come era consapevole che pure lei se ne fosse accorta. E che Pod 153 desse voce al suo status emotivo-mentale non lo aiutava affatto.
“9S, prima di tutto regolarizza il respiro e calmati.”
Provò a fare come diceva, sebbene non fosse poi così semplice con lei che lo metteva tanto in soggezione, torreggiando su di lui.
Fortunatamente, però, lo lasciò, portandosi le dita al mento, con aria riflessiva. Si toccò poi i capelli, dedicandovi tutte le sue attenzioni – segno di timidezza, ormai lo aveva capito –, mentre borbottava: “In realtà, volevo chiederti una cosa.”
“Cosa?”
“... Hai… hai ancora con te la chiave che ci diede Emil?”
Restando inespressivo, 9S si sentì interiormente scoppiare. Com’era possibile che avesse formulato il suo stesso pensiero?!
Dato che taceva lo fissò di sottecchi, quasi rivolgendogli uno sguardo implorante. Negli ultimi tempi, aveva imparato anche ad assumere quelle espressioni. Chissà chi gliele stava insegnando. Era impossibile che fosse A2, quindi… Anemone? No, era più plausibile che fosse Jackass.
Sospirò, arrendendosi, cacciandola dalla tasca.
Lei schiuse le labbra in una ‘o’ perfetta, domandando: “Eri venuto a portarmela? Sapevi che volevo andarci?”
“No, io volevo andarci, solo che…”
Ci pensò su. In effetti, non sarebbe stata una cattiva idea tornarci insieme. Avrebbe potuto darvi un nuovo significato, non più come tomba di 2B, bensì come luogo di nascita. Di rinascita.
Annuì risoluto, prendendole la mano.
“Volevo portartici. C’è una cosa che devo mostrarti.”
Senza aggiungere altro si avviò con lei verso il centro della città, aggirarono la torre e raggiunsero il ponte. 9S si era sempre chiesto chi avesse avuto la malsana idea di ricostruirlo, ma d’altronde avrebbe anche dovuto ringraziare costui. Eccetto esso, non c’era altra via per raggiungere il centro commerciale, escludendo i terminali.
Sapeva che ormai il passato apparteneva al passato, eppure mentre lo attraversavano in un assordante silenzio, i suoi occhi andarono a posarsi proprio su quella parete rocciosa sulla sinistra. Si pietrificò, rivivendo per una frazione di secondo quella cruda scena che tentava con tutte le energie che possedeva di dimenticare.
“9S?”
Gli parve che tutte le parti interne che lo componevano venissero strette in artigli dalla corazza più dura dei diamanti, quasi spappolandole. Si sentì soffocare.
Oh… Nine...s…
Nella sua testa, la sua voce di quel giorno cominciò a ripetersi, all’infinito. Si portò le mani sulle orecchie, serrando gli occhi. Non voleva ascoltare. Non voleva vedere. Non voleva assistere a lei che -
“Nines!”
Sobbalzò, riaprendo di scatto le palpebre. 2B era lì, che occupava totalmente la sua visione. Lo guardava impensierita, e lui immediatamente si riscosse, sorpassandola, fissando lo sguardo sulla loro destinazione e concentrandosi su essa soltanto.
“Sto bene, non è niente.”
2B rimase un po’ indietro, rivolgendo lo sguardo ai loro Pod. Stavolta Pod 153 li informò che i valori di 9S fossero tornati nella norma, ma lei continuò a preoccuparsi. Proprio pochi secondi prima aveva detto che il segnale della sua scatola nera era divenuto irregolare, quasi fino a sparire.
Strinse i pugni e con essi i denti. Doveva essere più attenta. Doveva prestare maggiore attenzione a qualsiasi cambiamento che avveniva in 9S. Doveva proteggere la sua mente, da tutti gli spettri che la infestavano. Compresa lei stessa.
Lo seguì e in poche falcate lo raggiunse, spiando sul suo viso, trovandolo fisso sulla loro meta.
Dopo quel breve crollo, il pensiero di quello che aveva intenzione di fare tornò ad occupare tutta la mente di 9S e quanto più si avvicinavano a destinazione tanto più i suoi battiti cardiaci acceleravano. Si scambiò uno sguardo con Pod 153, implorando tacitamente silenzio. Per sua fortuna stavolta non lo rivelò.
Giunsero in quella piccola apertura tra gigantesche radici e arbusti, arrestandosi tra l’erba.
Seppure un po’ esitante, 9S utilizzò la chiave e, una volta dentro l’ascensore, mentre scendevano in profondità, quasi si sentì sudare. Strinse due lembi della sua giacca tra le dita, convinto che ormai 2B avesse capito che qualcosa non quadrava – tralasciando la sua instabilità emotiva.
Non appena le porte si aprirono la sorpassò, camminandole davanti. Si fece coraggio, guardando dritto dinanzi a sé.
“2B, dopo… Dopo la tua morte” la sua voce tremolò nel pronunciare quella turpe parola, ma si impegnò per non fermarsi. “Mi sono ritrovato a fare un favore a un membro della Resistenza. Mi aveva chiesto di trovare alcuni suoi compagni, ma erano tutti periti in battaglia. Seguendo le sue richieste, avevo raccolto ciò che rimaneva di loro e glielo avevo portato. Così facendo mi spiegò che avrebbe sotterrato quelle reliquie, in modo tale da rendere loro omaggio per i sacrifici fatti. Avrebbe pregato per loro e sulla loro tomba avrebbe posto dei fiori, com’era usanza fare nei rituali funerari umani, a simboleggiare il desiderio che le loro anime potessero riposare in pace.”
“…”
2B lo fissava tacita, restando alle sue spalle. Avrebbe voluto essere in grado di fare qualcosa per consolarlo, per confortarlo, ma non conosceva nessuna cura efficiente per una ferita come quella. D’altronde, neppure lei stessa era guarita totalmente.
“Dopo averlo scoperto venni qui, considerandolo come un posto perfetto affinché tu potessi trovare pace” proseguì senza interrompersi, fermandosi al centro dei fiori. “E portai con me quel poco che mi restava di te, per darti una degna sepoltura. Pur senza sapere con certezza se potessi osare dire di noi, esseri artificiali, di possedere un’anima o meno, ti augurai un buon riposo. Ti augurai di fare bei sogni. E ti dissi che presto ti avrei raggiunto. Quelli… erano i miei desideri.”
Mettendo da parte lo sconforto, 2B si pose alla sua sinistra, osservando la mazza piantata nel terreno, sulla cui estremità era legato il suo precedente visore. Vi si inginocchiò innanzi, sfiorandone le estremità con delicatezza, lasciando che un piccolo sorriso sbocciasse sul suo viso.
“Nines… Grazie.”
Rimasero per qualche minuto così, entrambi immersi in quell’atmosfera quasi magica, una con rinnovata serenità, l’altro con uno struggimento di cui non riusciva a liberarsi.
Quasi se ne fosse accorta, 2B si voltò di poco e vide l’agonia sul volto di 9S, attraversato dalle lacrime. Gli tese una mano, aspettando che la afferrasse, prima di portarlo a sedersi al suo fianco, in mezzo a quelle luci. Si allungò verso di lui, stringendolo tra le sue braccia, cullandolo sul suo petto.
“Sono qui” gli ricordò dolcemente, carezzandogli i capelli.
“Lo so.”
9S si morse il labbro, sperando di riuscire ad arrestare sia il tremore che il pianto, insieme a quell’angoscia annichilente.
“Sono qui” ripeté, e continuò a farlo, finché il suo corpo non parve rilassarsi. Stando ad occhi chiusi, percepì soltanto le sue braccia sollevarsi, quasi esitanti, per poi stringersi attorno a lei. In quella forza, sentì un “Non voglio più che tu vada via. Non voglio più perderti”.
Nemmeno io voglio più perderti.
Si staccò di poco, asciugandogli quei residui di lacrime che gli restavano sul viso, impregnandosene le punte dei guanti.
“Esprimiamo un nuovo desiderio, insieme” propose.
Lui riaprì le palpebre, annuendo, sentendosi ancora incapace di rispondere a dovere, troppo sopraffatto da quel dolore che aveva provato. Talvolta tornava a tormentarlo, ma non doveva perdersi in esso: come aveva detto lei stessa, 2B era lì. Poteva percepirne il calore. Poteva toccarla. Poteva sentirne la voce. Poteva vederne quel raro e rinnovato sguardo rilassato, privo di oscurità, di oneri, di doveri, di sconfitta, di presagi, di timori. Poteva godere di quel sollevato sorriso e di quegli occhi che, ora che era libera dalle catene che la tenevano imprigionata ad un compito eterno, potevano mostrare cura, devozione, amore.
“Nines” sussurrò, avvicinandosi a lui, posando con leggerezza le labbra sulle sue. Attese di sentirlo ricambiare con altrettanta morbidezza prima di distanziarsi di poco e sorridergli apertamente, non appena ritrovò il suo sguardo. “Il desiderio che volevo esprimere, era di trascorrere tutto il resto della mia esistenza con te.”
Nel sentire questo, sul viso di 9S si fece largo un caldo sorriso. Non staccando lo sguardo da quei suoi occhi trasparenti le prese le mani, togliendole i guanti, e lei, pur senza comprenderne l'intento, ripeté gli stessi gesti.
Successivamente 9S raccolse un fiore dal terreno, sciolse la benda dal ceppo e ne fece un fiocco sullo stelo, prima di fargliene dono. Mentre lei lo prendeva, posò sul suo palmo anche due piccoli anelli, luccicanti di quella stessa iridescenza che li circondava.
“Anche io, 2B.” Strinse delicatamente le dita attorno alla sua mano sinistra, spiegando: “Gli umani facevano questo rito chiamato ‘matrimonio’, per potersi legare per sempre a qualcuno. Era come una sorta di giuramento, una promessa che avrebbero trascorso il resto della loro vita con quella persona. Tu lo vorresti davvero, 2B?”
La guardò, pieno di emozione, e lei non attese neppure un attimo per rispondere: “Sì, lo voglio.”
A 9S parve di perdere un battito stavolta, nell’udirla pronunciare proprio quelle parole, le stesse di quell’incantesimo. Le sorrise felice, facendo scivolare l’anello che le spettava sul suo anulare, dopodiché lei fece altrettanto, porgendogli la stessa domanda.
“Lo voglio” confermò con sicurezza.
Intrecciarono le loro dita e si scambiarono un nuovo bacio per suggellare quella promessa, proprio mentre i Pod, prevedendolo – avendo studiato anch’essi quel genere di rituale insieme a 9S –, lanciarono prontamente su di essi del riso e petali di rose bianche che avevano portato con sé.
Così, furono totalmente avvolti da quel candore niveo, che in quell’amato momento risplendette più luminoso che mai, estinguendo tutte le ombre.

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Capitolo 9
*** Day 7 - Restart ***


7. [R]estart



 
Il 19 settembre dell’anno 11945, 9S finalmente si risvegliò. La gioia e il sollievo di 2B erano incommensurabili. In maniera del tutto incontrollabile lo cinse a sé, lasciando alla paura sfumare via per dare spazio a quel conforto ritrovato.
“2B…”
Era la sua voce. Era veramente la sua voce a chiamarla. E ricordava, ricordava chi fosse.
“Nines!”
Proseguì col suo pianto, incapace di smettere. Chissà, forse era perché, fino a quel momento, si era sempre controllata. Eccetto qualche momento di debolezza, era sempre riuscita a mostrarsi stoica, tirata, neutrale, impassibile, incurante. Ma dentro di sé, ogni volta sembrava che qualche corda si spezzasse. Ogni volta sembrava che qualche circuito si incendiasse. E stavolta, stavolta temeva di averlo perso per sempre.
Lo chiamò per nome, quel nome che lei stessa gli aveva assegnato, innumerevoli volte. Finché anche lui, capacitandosi che quello non fosse un sogno, né che fosse il cosiddetto Paradiso tanto bramato dagli Uomini, non fu in grado di reagire. E allora avvolse le braccia attorno alla sua schiena, permettendo anche alle sue lacrime di strabordare.
“2B, sei reale…” sussurrò ancora incredulo.
“Sono reale” confermò, tra un singhiozzo e l’altro.
“Sei davvero tu… Sei tu…”
A quella realizzazione la strinse maggiormente a sé, con tutte le sue forze. Era la sua 2B. Ed era viva.
La 2B che desiderava avere al suo fianco. La 2B che desiderava proteggere, costantemente. La 2B che amava.
Confermando, anche lei affondò il viso tra i suoi capelli, pensando le stesse cose di lui.
Era il suo 9S. Era il 9S che aveva conosciuto nell’arco di quell’anno, che aveva combattuto al suo fianco, che l’aveva supportata anche più di prima. Era il 9S con cui era riuscita a morire, per ben due volte. Era il 9S con cui era riuscita a non portare a termine il suo abominevole compito. Era il 9S che era riuscita a salvare, ribaltando le carte, contravvenendo a qualunque ordine.
Era stanca, così stanca, di tutto. Quell’ingiustizia. Quel dolore. Quel senso di colpa misto all’obbligo del dovere. Quell’abbandono. Quella solitudine. Quel terrore di commettere un peccato che mai sarebbe riuscita a scontare. Eppure, stando a quanto detto dai Pod, pareva che ormai tutto fosse finito.
Macchine distrutte, nessun Bunker cui tornare, nessun Comando da seguire.
Poteva essere realmente così? La pace professata in precedenza da 9S si era avverata?
… Potevano vivere sulla Terra, come se fossero stati umani?
Tornò con la mente al presente, chiedendosi come avesse potuto perdersi tanto tra i suoi pensieri, smarrendosi in un dedalo di speranze e timori. Non era mai accaduto prima, mai in maniera tanto intensa, e ciò la confondeva. Forse era la stanchezza, forse aveva bisogno di mettersi a riposo.
Udì 9S richiamarla in tono allarmato, per cui si sforzò di dedicargli tutte le sue attenzioni, concentrandosi su di lui. Fortunatamente, la visione che ne aveva era ancora chiara, quindi non doveva aver subito troppi danni.
“Che cosa ti sei fatta alle mani?!”
Le mani? Oh.
Chinò la testa, osservandosele, notando le pessime condizioni in cui si trovavano.
“Non è nulla di grave.”
“Sì che è grave!” ribatté con foga.
Nonostante neppure lui si sentisse nel pieno delle sue forze, era determinato a dare la precedenza a lei. Dopo che lei si fosse ripresa al 100%, si sarebbe occupato di se stesso; ma per il momento, 2B era più importante di ogni singola cosa.
La convinse – quasi costrinse – a stendersi ed entrare in modalità stand-by, mentre lui si occupava della manutenzione, assicurandosi che non fosse penetrato alcun virus. Era una delle sue paure più grandi adesso: che la storia potesse ripetersi, che potesse perderla di nuovo.
Se soltanto pensassi meno agli altri, e avessi più cura di te stessa…
Si impegnò in quello che stava facendo, per il bene di entrambi; la scansionò, assicurandosi che tutto fosse in regola, dopodiché la lasciò recuperare le energie, facendola dormire sulle sue gambe. Ebbe la premura di toglierle il visore per farla sentire più comoda, slegandosi anche il proprio, comprendendone l’inutilità per il momento. Sollevò quindi la testa, ascoltando quello che avevano da dire i Pod, facendosi narrare tutto ciò che si era perso.
Gli raccontarono così del loro distaccarsi dal sistema, del loro inimicarsi tutta la rete dei loro simili, per salvarli tutti e tre, A2 compresa. 9S si guardò istintivamente attorno, notando solo allora lo scenario che li circondava. E quella sostanza bianca che cadeva dal cielo, era forse neve? La analizzò per bene e si accorse fosse composta dai materiali residui dei corpi delle biomacchine. I detriti della Torre, sopravvivevano.
Ad ogni modo, 9S comprese perché avessero preso quella decisione e compiuto un’azione tanto rischiosa: quella doveva essere una dimostrazione del loro ‘affetto’, sentimento che lui stesso, in prima persona, aveva conosciuto, e continuava a provare.
Li lasciò proseguire senza porgere quesiti, scoprendo di tutte le vicissitudini che avevano accompagnato 2B per due estenuanti settimane, fino al suo risveglio. Quasi si sentì bloccare la gola al pensiero di quanto avesse fatto per lui, di quanto si fosse sforzata, di quanta fatica avesse richiesto il suo destarsi. Chissà se per lei non stava diventando un peso…
Notando che avesse una negativa influenza sulla sua mente si distrasse da quel sospetto, tenendosi occupato analizzando le ragioni per cui la sua memoria era nella Torre. Chiuse gli occhi, scavando nei ricordi, rievocando quegli ultimi momenti di vita.
Dopo aver ucciso ed essere stato ucciso da A2, aveva rivisto tutti: Adam, Eve, le due bambine in rosso, due robot stanti su due gambe, uno aveva con sé un secchio e ripeteva “Fratell0ne, fratell0ne”. Poi avevano lanciato un missile nello spazio, non per distruggere il server sulla Luna, bensì per creare un’arca… Un’arca che contenesse tutte le memorie delle biomacchine. Gli avevano proposto di seguirli, ma non poteva, perché lui non apparteneva a loro. Lui non apparteneva più a niente, né a nessuno, e non meritava redenzione per tutta la crudeltà che era stato capace di mettere in atto, quindi aveva scelto di restare. D’altronde, non ci sarebbe stata salvezza per lui, non ci sarebbe stato nulla ad attenderlo lassù… E alla fine, sembrava avesse fatto la scelta giusta.
Rimasto solo in quello spazio bianco, sospeso in un mondo che aveva perso ogni colore, ricordava di aver visto una luce argentea. I capelli di 2B. Poi la sua sagoma aveva preso forma, per quanto fosse avvolta dalla luminosità. Quel suo raro sorriso, le accendeva lo sguardo. Gli porgeva una mano e lui l’aveva afferrata. Aveva pronunciato quel nome che tanto gli era caro, e poi tutto si era sciolto, tutto si era mescolato, tutto era vorticato, tutto s’era rimpicciolito e disintegrato, fino a svanire. E il ricordo successivo era il suo pianto disperato, il suo chiamarlo convulsamente, il suo viso chino rigato da cascate di lacrime quando aveva riaperto gli occhi, finché non era riuscito a far uscire la sua voce e lei aveva sollevato la testa di scatto, abbracciandolo.
Allora aveva capito di essere ancora vivo. Era come risultato di quella sua scelta che i suoi ricordi erano rimasti sotterrati nella Torre? Non poteva esserne certo, ma forse era per proteggerli. Forse lo aveva fatto spontaneamente per metterli al sicuro, per impedire che qualcuno li trovasse e li distruggesse, che qualcuno glieli polverizzasse ancora una volta; perché i suoi ricordi con 2B erano il suo tesoro più prezioso, un effimero scrigno che chiunque avrebbe potuto portargli via in qualsiasi momento. Ma no, non lo avrebbe permesso. E forse per questo aveva protetto quel poco che restava che ancora li manteneva ‘in vita’.
E poi, che altro era successo? Il vaccino creato da quel cristallo arancione non sembrava aver sortito alcun effetto, quindi l’origine del suo risveglio doveva essere un’altra. Le loro scatole nere erano entrate in risonanza? Si erano chiamate a vicenda? Lei era in condizioni critiche, e per questo lui aveva fatto ritorno? Per salvarla?
Tali interrogativi sfumarono nel momento in cui si accorse che 2B stava per ridestarsi. Abbassò lo sguardo, giusto in tempo per vederla aprire le palpebre, e non appena scorse quei tanto familiari quanto estranei occhi d’un pallido celeste, simili a quel vasto cielo sopra di loro, le sorrise.
“Buongiorno, 2B.”
“9S… Buongiorno.”
“Come ti senti?” domandò mentre si rimetteva seduta.
Lei si osservò le mani, provando a muovere le dita, stendendole e piegandole. Annuì, guardandolo grata.
“Bene.”
“Prova a toccare qualcosa” suggerì, in attesa di un responso più pratico.
Notando le bende adagiate accanto a lui le prese, tastandole, e ne confermò la percezione.
Nel sentire ciò 9S tirò un sospiro di sollievo, prima di redarguirla con durezza: “Non essere più così avventata. Non appena ti fai anche un minimo taglietto, curati immediatamente. Promettimi che lo farai, che penserai di più a te stessa d’ora in avanti.”
2B lo fissò inizialmente impassibile, assimilando le sue parole, sorprendendosi di quel rimprovero inaspettato; poi scoppiò a ridere, senza che riuscisse a prevederlo né a prevenirlo, lasciandolo basito.
“Sei sempre così.”
Si portò una mano alle labbra, rievocando tutte le volte in passato in cui era già avvenuta una scena simile, anche se doveva ammettere che non aveva mai usato un tono tanto serio.
“N-Non ridere!”
Non voleva dire quello, perché era la prima volta che la vedeva ridere. Avrebbe voluto vederla sempre ridere, era bellissima, e gli alleggeriva lo spirito, se gli era concesso usare tal termine. Ma non in quel frangente.
“È naturale che io mi preoccupi per te.”
2B si sforzò di sopprimere il riso, guardandolo interrogativa.
“Perché devi darmi supporto?” suppose, al che lui scosse vigorosamente la testa.
“No, non perché devo, perché voglio.”
A quella dichiarazione schiuse le labbra, stupita, per poi cedere posto ad un piccolo sorriso.
Anche io voglio proteggerti, pensò, incapace di convogliarlo a parole.
“9S, tu stai bene?”
Lui confermò prontamente, accorgendosi che lei continuava a fissarlo, a scrutinarlo. Giusto, i Pod le avevano detto tutto.
Si vergognò di se stesso. Abbassò la testa, mortificato, mormorando: “Ero… impazzito, sì, lo so. Perché tu non c’eri. O meglio, c’eri, ma non c’eri. È stato terribile e ho perso il senno. Ho compiuto azioni di cui adesso mi pento, fatto pensieri deplorevoli, disgustosi, anche su di te, che lo ammetto, vorrei aver dimenticato. E confesso che ho il terrore che possa ripetersi, ma se tu sei qui mi sento…”
Scavò nel suo database, alla ricerca del vocabolo giusto. Calmo. In pace. Tranquillo. Completo. Sereno. Felice. Erano tutti veri, ma non erano quello che cercava, per cui improvvisò, sperando di rendere bene l’idea.
“In equilibrio.”
Non sentendola ribattere sollevò timidamente lo sguardo, timoroso di trovare disprezzo e delusione sul suo viso; e invece, quel che vi lesse, fu comprensione e mestizia.
“Anche io, 9S…” esordì in tono basso, un tono mai udito prima, testimonianza di un profondo pentimento. “Vorrei poter cancellare i miei peccati passati. Ti ho ferito, innumerevoli volte. Ti ho portato via la vita, e con essa le tue esperienze, i tuoi ricordi. Le tue esperienze con me, i tuoi ricordi con me… E per questo, ogni volta che ci ritrovavamo, tu non avevi idea di chi io fossi. Tu non mi riconoscevi mai, e io dovevo fingere, sempre, che anche per me fosse la prima volta. Mi obbligavo a non legarmi a te in alcun modo, e invece puntualmente ci ricascavo. Non so com’è stato al nostro primo incontro, ma so che abbiamo avuto troppi primi incontri, e che ad ogni primo incontro mi sembrava che qualcosa in me sparisse. Più passava il tempo, più esitavo nel portare a termine il mio compito, più volevo evitare che tu scoprissi oltre il dovuto e mi portassi ad eseguirlo, più mi dicevo che dovessi annullare qualsiasi emozione in tua presenza, più invece le provavo ed è diventato sempre più insopportabile, al punto che qualcosa in me si è rotto e… e ho cominciato a desiderare di non essere più il carnefice, bensì la vittima.”
9S avrebbe dovuto rimanere scioccato da quella sua confessione, ma per tutto il tempo restò concentrato nell’ascoltarla con attenzione. Un’ombra calò poi sul suo viso, mentre prendeva una sua mano, a malapena rendendosi conto di quanto stesse tremando.
“Non farlo mai più.”
2B spostò lo sguardo sulle sue dita strette attorno al suo palmo, bofonchiando contrita ma sicura: “Non ti farò più del male.”
“Non quello!” sbottò lui, guardandola in lacrime, sbigottendola. “Non pensare più che meriti la morte! Non sparire più! Non abbandonarmi più! Non essere cattiva con te stessa, non punirti, non condannarti! Non potevi farci nulla, lo so. Non potevi rifiutarti di eseguire gli ordini, e alla fine è colpa della mia curiosità, no? Sono io che ti ho indotta a fare ciò che non volevi, sono io che ti ho apportato sofferenza, non sono neppure riuscito ad essere la persona gentile che volevi che fossi… Quindi, ti scongiuro, smettila di colpevolizzarti!”
“9S, non è vero!” ribatté sconvolta, sia dalla sua reazione che dal suo stesso fervore. “Stare con te mi ha sempre resa felice! Non eri un fardello per me, non lo sei mai stato, e non lo sarai mai! Non pensare sia colpa tua, è nel tuo carattere essere curioso, non puoi farci nulla. Ed è uno degli aspetti che più mi piacciono di te, dovresti saperlo, per quanto sia stato proprio esso a condannarti. È bello osservarti, ogni volta che scopri qualcosa di nuovo. Il tuo viso si illumina e ti riempi di soddisfazione, esaltandoti quasi come farebbe un bambino. E ogni volta, a guardarti, per quanto provassi un leggero timore delle conseguenze, mi sentivo riscaldata. Stare con te, Nines, è sempre stato come avere la costanza di un sole nella mia vita.”
9S riconobbe istantaneamente quella frase. Quelle parole riecheggiarono nella sua mente.
I giorni trascorsi con te… erano come raggi di sole… nella mia… vita.
Il suo messaggio di morte. Le sue ultime volontà. Le lacrime si raccolsero nuovamente nei suoi occhi, a stento riuscì a non farle strabordare.
“Stare con te, 2B… è tutto ciò che mi rende vivo…”
Si asciugò con la mano libera, mentre lei lo fissava con una strana sensazione. Non le aveva mai detto qualcosa di simile, e per qualche ragione sembrava che le sue pulsazioni stessero aumentando. Decise di ignorarle, posando le dita sulle sue, accorgendosi per la prima volta che le mani di 9S erano lievemente più grandi delle proprie. Senza ragionare sulle proprie azioni, senza realmente decidere di farlo, le posizionò palmo contro palmo. Non si era sbagliata nei suoi calcoli, erano veramente un po’ più grandi. Come aveva fatto a non notare prima un simile particolare? In effetti, non aveva mai prestato attenzione a quel genere di frivolezze. E perché invece adesso vi dava importanza? Soltanto per sfuggire a quello che provava… Ma doveva ancora fuggire dalle sue emozioni?
Inspiegabilmente 9S intrecciò le dita alle sue. Tuttavia, non le dispiaceva. Si accorse che la sua temperatura sembrava più calda e lo guardò apprensiva, ma quei suoi occhi del colore dell’oceano stavolta esprimevano qualcosa che non era in grado decifrare.
“2B” esordì, con una certa risolutezza. “È evidente che noi due non riusciremo mai a perdonare noi stessi. Tuttavia, riusciamo a giustificarci e perdonarci l’un l’altro.”
Assentì, chiedendosi cosa volesse implicare.
“Allora affidiamoci l’uno all’altro. Liberiamoci di tutta la sofferenza, lasciamola al passato, e ricominciamo da zero.”
“Ricominciare… da zero?”
“Esatto. Questa è la nostra nuova vita, 2B. Ci è stata data un’altra occasione e non dobbiamo sprecarla, anche per mostrare gratitudine ai Pod. Cerchiamo di viverla appieno, senza rimpianti, senza dolore.”
2B permise alle sue parole di rifugiarsi nella sua mente, prima di approvare.


Quella sua positività, quella sua allegria, quella sua curiosità, quella sua spontaneità.
Di quei sorrisi intramontabili, ne avrebbe fatto la fonte della sua gioia.


Quella sua pacatezza, quel suo autocontrollo, quel suo altruismo, quella sua bontà.
Di quei rari sorrisi più meravigliosi del mondo stesso, ne avrebbe fatto la fonte della sua esistenza.


Non più per un compito, avrebbero continuato a vivere, l’uno per l’altra. Sarebbero andati avanti, non più proibendo alle loro emozioni di palesarsi. Avrebbero lasciato vincere quelle positive. E fianco a fianco, avrebbero osservato e vissuto la loro prima alba.










 
Angolino autrice:
Buon anno nuovo! 
Come vi sarete resi conto, ho immaginato per l'ultimo day il continuo dello script "Farewell" rappresentato durante il NieR Music Concert, ambientato dopo la ending E. 
All'inizio di questo 2020 si conclude questa raccolta... Perlomeno, con quest'ultimo prompt si lascia l'impronta di un nuovo inizio. E come sarà stato senz'altro migliore per 2B e 9S, mi auguro che possa essere migliore anche per voi tutti che avete letto.
Grazie infinite per essere giunti fin qui. 
Steffirah

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