Estate 2020 - Spin Off

di Il cactus infelice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Infetto ***
Capitolo 2: *** Bloodstream ***
Capitolo 3: *** Bambini ***
Capitolo 4: *** Cura ***
Capitolo 5: *** Il primo appuntamento ***



Capitolo 1
*** Infetto ***


Infetto

 

 

 

Teddy Lupin non era uno che si ammalava; al massimo qualche raffreddore che poteva facilmente curare con una pozione fatta da lui stesso. Ed era finito in Infermeria un paio di volte solo perché qualcuno aveva fatto esplodere un calderone e l’altra volta per essersi slogato il polso durante un duello al club dei duellanti. Una brutta caduta, decisamente.
Insomma, lui non si ammalava. Non gli piaceva ammalarsi, la malattia destabilizzava le persone e impediva di fare qualunque cosa. E lui era uno che faceva tante cose. Non aveva il tempo di ammalarsi.
Ma era già da un po’ ormai, da un mese circa, che non si sentiva affatto bene. Si alzava stanco, qualche volta di più e qualche volta di meno, le giunture gli facevano male, gli girava la testa e alle volte aveva persino la nausea. Un paio di volte aveva persino vomitato - di nascosto - e non se l’era nemmeno sentita di mangiare. Già verso le dieci di sera gli veniva un sonno micidiale.
Poi c’erano giornate in cui stava benissimo e allora collegava tutto allo stress per gli esami. Un paio di volte aveva anche pensato di andare da Madame Chips per chiederle qualcosa, giusto per rilassarsi in vista degli esami, ma la verità era che Teddy Lupin odiava l’infermeria. Ne era quasi terrorizzato.
Purtroppo però, quel mercoledì mattina, durante l’ora di Cura delle Creature Magiche, il suo malessere lo aveva colpito più di quello che poteva sopportare. Hagrid e i suoi compagni si erano sfocati di fronte ai suoi occhi, la radura aveva iniziato a girare attorno a lui e in un attimo non aveva visto più niente.
Black out totale.
Si era risvegliato in Infermeria e Madame Chips gli aveva ficcato tra le mani una pozione dicendo che era svenuto e che Hagrid lo aveva portato lì a braccia. Se non si fosse sentito morire interiormente per l’imbarazzo, avrebbe anche riso per la comicità della scena che gli si era dipinta negli occhi. 
La porta dell’infermeria si aprì di colpo e Teddy sperò che fosse Tania, la sua ragazza, venuta a trovarlo. Se la immaginava preoccupata. Invece erano Elijah e Vicky e abbassò lo sguardo quasi deluso. Non che non gli facesse piacere vedere i suoi migliori amici, ma… la ragazza era sempre la ragazza.
“Ehi, Teds”, lo salutò la piccola Weasley.
“Amico! Ci hai fatto prendere un coccolone”.
I due si sedettero sulle sedie accanto al letto.
“Mi dispiace”.
“Madame Chips ti ha detto che è successo?”
“Solo che ero svenuto”.
“E…”, nel tono di Vicky c’era dell’esitazione. “Sa come mai?”
Teddy scosse il capo.
“Comunque Hagrid si è davvero agitato. Dovevi vederlo, povero. Mi sa che appena esci di qui, dovrai andare a tranquillizzarlo”.
Teddy sospirò e si incurvò nelle spalle. Sperava davvero di uscire presto di lì.
“Mangi abbastanza, Teddy? Forse è per quello”, aggiunse Victoire con lo stesso atteggiamento che aveva sua nonna ogni tanto. Il ragazzo guardò di sottecchi il viso brufoloso dell’amica trattenendosi dal sbottare. Non capiva davvero che gli stesse succedendo, non era solito a questo tipo di reazioni e sapeva di non doversela prendere con Vicky.
“In effetti, stai mangiando poco ultimamente”, fece Elijah.
Teddy stava per dire che il cibo non c’entrava niente, quando Madame Chips tornò da lui e chiese ai suoi due amici di congedarsi. I ragazzi spostarono lo sguardo da Teddy all’infermiera, preoccupati, ma obbedirono senza troppe proteste, augurando pronta guarigione a Teddy.
Non appena la porta si chiuse, Madame Chips si sedette sul letto ai piedi del paziente e lo guardò con una strana espressione.
“Teddy”. 
Oh no, pensò il ragazzo mentre il suo cuore gli guizzava nel petto. Non va per niente bene. Le mani avevano iniziato a sudargli e il respiro era accelerato.
“Temo che dovrai andare al San Mungo. Li ho già avvisati e abbiamo collegato il camino dell’infermeria con il loro. Ti accompagno io. Poi lì ti raggiungeranno tua nonna e il tuo padrino. D’accordo?”
Teddy scosse il capo. No, non era affatto d’accordo.
“Che sta succedendo? La prego, me lo dica”.
Le labbra della donna si strinsero in una linea sottile e il suo sguardo si addolcì.
Stava andando sempre peggio.
“Lo diranno al San Mungo. Ma tu non ti devi preoccupare. Tua nonna ed Harry saranno lì ad aspettarti”.
Facile a dirsi! Come poteva non preoccuparsi? Non era mai capitato che un paziente ricoverato all’infermeria di Hogwarts dovesse essere trasportato al San Mungo. Qualcosa non andava, decisamente. Aveva qualcosa di grave.
Teddy faceva sempre più fatica a restare impassibile. Tutto dentro di lui si agitava, voleva piangere, voleva nascondersi sotto le coperte e non uscire mai più. Voleva solo… voleva tornare a seguire le lezioni, incantare i soprammobili del castello, far impazzire Gazza, andare ad Hogsmeade con gli amici.
C’erano gli esami e poi altri due anni ad Hogwarts e poi un lavoro e… Insomma, tutta una vita davanti. Una vita che Teddy stava vedendo sfumare sempre di più davanti ai propri occhi.
Ma non potè fare altro che obbedire all’infermiera. 

 

 

 

Per uno che odiava l’infermeria di Hogwarts finire all’ospedale non era il massimo per concludere una giornata.
Diversi medimaghi si erano affaccendati nella sua stanza, portando fialette, pozioni e praticandogli strani incantesimi. Gli avevano sorriso tutti, con molta calma, erano stati pazienti e gli avevano sempre chiesto se lo potevano toccare. Lui non aveva fatto domande, si era semplicemente chiuso in un mutismo quasi disperato. Il che era strano perché in classe faceva sempre domande, era sempre curioso. Ma non aveva il coraggio di chiedere nulla. 
Harry e Andromeda erano venuti, come promesso; Harry indossava ancora la divisa da Auror. Doveva essersi precipitato lì dal lavoro.
Come faceva a stare tranquillo?
Ora, steso sul fianco e rannicchiato, li vedeva dalla finestra parlare con uno dei medici. Non riusciva a sentire cosa si stessero dicendo e nemmeno a leggere il labiale. Harry era piuttosto impassibile, il volto serio, Andromeda continuava ad annuire portandosi le dita alle labbra di tanto in tanto.
Ma nessuno dei due piangeva, quantomeno. Forse era un buon segnale.
Finalmente, dopo diverso tempo in cui Teddy fece di tutto per non mettersi a piangere, li vide sparire dalla sua vista e subito dopo la porta della sua stanza si aprì. Harry e Andromeda gli si avvicinarono piano, entrambi con un sorriso dolce sulle labbra, quello del padrino appena accennato.
Teddy scattò a sedere e li scrutò con l’espressione più seria che possedesse. “Sto morendo, vero?” chiese subito.
Andromeda strabuzzò gli occhi. “Non essere così drammatico, tesoro!”
“E allora cosa?”
I due adulti si scambiarono un’occhiata come se si stessero facendo una muta domanda. “Vai tu”, disse Andromeda, calma, ma sembrava comunque un ordine. La donna sapeva benissimo che era Harry quello bravo a dare brutte notizie in tono rassicurante. Lei non ci sapeva fare.
L’Auror prese una sedia e vi si sedette sopra ma al contrario, con il petto appoggiato contro lo schienale; era la sua posizione da dobbiamo parlare. Andromeda invece si appoggiò con le mani sul bordo del letto, adagiandoci sopra gran parte del peso del proprio corpo.
Teddy si accomodò a braccia incrociate, fronteggiando il padrino, il cuore che ormai gli martellava nelle orecchie in maniera quasi assordante. Se non si sbrigavano a dirgli quello che avevano da dirgli sarebbe morto lì sul posto.
“Teds, ti ricordi quando parlavamo di tuo padre e ti dissi che lui soffriva di licantropia?”
Il ragazzo annuì piano. Si sentiva trattato come un bambino di cinque anni e non come un adolescente vicino alla maggiore età. Tuttavia non lo avrebbe interrotto, voleva sapere che diamine stava succedendo.
“Quando sei nato tu non avevi alcun sintomo, non soffrivi di licantropia. Pensavamo che i poteri di metamorphomagus di tua madre la avesse… eliminata”.
Ted socchiuse leggermente la bocca, un’improvvisa consapevolezza ora negli occhi. Non serviva il suo QI più alto della media per capire dove quella discussione stava andando a parare.
“A quanto pare invece i geni del lupo mannaro erano soltanto… assopiti. E sono venuti fuori ora”.
“Oh”, fu tutto quello che il ragazzo riuscì a dire, abbassando gli occhi sulle proprie mani. “Quindi… mi trasformerò durante la luna piena?” chiese.
Harry gli prese una mano con la propria grande e callosa, ma fu Andromeda a rispondere con urgenza. “Oh no, tesoro… o meglio… Non lo sappiamo. Ci sono ancora tante cose che non si sanno sulla licantropia, men che meno se è sempre ereditaria. Potresti anche non trasformarti mai, o potrebbe succedere all’improvviso”. 
Fantastico!, pensò Teddy, non sapere se e quando si sarebbe eventualmente trasformato in un lupo mannaro era proprio quello che serviva al suo curriculum di promettente studente di Hogwarts. Forse sarebbe successo nel suo dormitorio e avrebbe sbranato tutti i suoi compagni di stanza o magari mentre era con Vicky… solo il pensiero lo fece rabbrividire.
Harry parve notarlo perché disse: “Non devi preoccuparti. Ovviamente, prenderemo le giuste precauzioni. Parleremo con la McGranitt e lei farà in modo che tu continui a studiare ad Hogwarts. Nessun altro deve saperlo se tu non lo vuoi, d’accordo, piccolo? Potrai continuare con la tua vita, come prima. Non cambierà nulla”.
Teddy vide il padrino sorridergli incoraggiante ma non riuscì a sentirsene coinvolto. Lui non aveva quella voglia… quella voglia di fare il coraggioso quando tutto ciò che voleva fare era rannicchiarsi sotto le coperte e smettere di pensare.
“Se ti trasformerai”, aggiunse sua nonna che sembrava essersi molto legata a quel se, piuttosto che al quando.
“Vuoi che chiamiamo il dottore che te lo spiega meglio?” gli chiese.
Teddy annuì nuovamente. Era improvvisamente diventato difficile parlare.
Il medico arrivò e gli spiegò tutto, in termini più scientifici ma con una calma e una pazienza che il ragazzo aveva visto poche volte negli adulti che non fossero i suoi famigliari. Gli disse che non era chiaro se si sarebbe trasformato o meno, che non era possibile prevederlo, ma che di sicuro avrebbe sofferto durante le notte di luna piena e nei giorni poco precedenti e poco successivi: mal di testa, nausea, ossa doloranti, stanchezza… Erano i sintomi che Teddy aveva segnalato ai medici ed effettivamente aveva dovuto ammettere che c’erano state un paio di sere in cui era stato più male rispetto alle altre. Anche quella notte ci sarebbe stata la luna piena, per questo era svenuto in classe.
Quando era nato c’era stato un 50% di possibilità che sviluppasse il morbo del lupo mannaro ma non era successo e in apparenza sembrava essere tutto a posto; ma se in quel tempo le ricerche mediche fossero state un po’ più avanzate - come lo erano ora - qualsiasi medico avrebbe avvisato che non era il caso di festeggiare; certi geni ereditari si possono sviluppare anche dopo, e l’adolescenza è il periodo più propenso a questo tipo di cose.
La pozione antilupo era diventata più forte e avrebbe dovuto abituarsi a prenderla cinque giorni prima della luna piena tutti i giorni; non calmava tanto i sintomi ma avrebbe tenuto a bada il suo lupo nell’evenienza di una trasformazione.
Tutto questo, quell’approccio così scientifico e reale con la questione lo aveva aiutato un po’, ma soltanto un po’, perché alla fin fine non toglieva di torno il problema.
Sta di fatto che Teddy, dopo quel giorno, riprese sì la sua solita vita ad Hogwarts e rimase uno studente modello e il primo della scuola, ma dovette iniziare a trascorrere una notte al mese alla Stamberga Strillante - perché nessuno poteva dire se e quando si sarebbe trasformato e non potevano correre il rischio di avere un lupo mannaro che girava per Hogwarts - e ad abituarsi alle ondate di nausea, alla febbre e tutti gli altri malesseri che ne conseguivano.
Per un po’, soltanto per un po’, nella solitudine e nell’oscurità della Stamberga Strillante, Teddy si trovava a odiare suo padre qualche volta. Ma poi Harry imparò a trasformarsi in un Animagus - un grosso cervo con le corna maestose - e prese a dormire con lui nella Stamberga durante le notti di luna piena. E allora tutto divenne molto più sopportabile. 

 

*** 

 

 

 

Eccola qua, la prima delle oneshot/spin-off della mia fanfiction, Estate 2020. Questa è una di quelle storie che potete comprendere anche senza aver letto la serie madre, tuttavia, se vi va, vi invito a leggerla. Chi invece già mi segue e conosce la fanfiction, be’… vi ringrazio per avermi seguito anche qua : ) avrete notato che vengono accennate alcune cose che nella storia madre acora non ci sono. Piccoli spoiler, ma in realtà sono dettagli. 

Un bacio e lasciatemi qualche commento. 

 

C.

 

 

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Capitolo 2
*** Bloodstream ***


BLOODSTREAM

 

This is how it ends

I feel the chemicals

Burn in my bloodstream

Fading out again

(Bloodstream, Ed Sheeran)

 

Ginny intravide solo un paio di Converse dai lacci usurati e macchiati spuntare da dietro un cespuglio e inspirando ed espirando rumorosamente, cercando di farsi forza e coraggio, si incamminò in quella direzione, ogni passo che pesava come un macigno, il cuore che aumentava i battiti ad ogni colpo.
Non appena le Converse occuparono tutta la sua visuale, seguì la linea delle lunghe gambe rivestite in jeans macchiati, fino alla cintura, la camicia a quadri e poi il volto di Harry addormentato - svenuto - sotto un albero. Respirava ancora.
Capitava sempre più spesso, che dovesse andare a recuperarlo da qualche parte, spesso in mezzo a una strada o in un parco e una volta persino nella cella di una stazione di polizia babbana e ogni volta era terrorizzata di trovarlo morto, in overdose. Allora sì che non ci sarebbe stato più niente da fare.
Ci stava provando con tutte le sue forze, davvero, ma forse non era abbastanza. Perché non era abbastanza? Che cos’altro doveva fare?
Un mese intero aveva resistito prima di ricascarci di nuovo.
Si inginocchiò accanto al ragazzo, si morse il labbro inferiore, chiuse per un istante gli occhi e tirò fuori la bacchetta, non prima di aver controllato che non ci fosse nessuno. Era una via babbana dopotutto.
Poi lanciò un Aguamenti dritto sulla faccia di Harry.
Harry si svegliò di colpo scattando a sedere ed esalando un respiro strozzato, un singulto quasi. Si passò la manica della camicia sulla faccia grondante di acqua, e lentamente voltò la testa verso la figura di Ginny, ancora inginocchiata accanto a lui.
“Gin!” disse, la voce roca, percorrendo con gli occhi la zona in cui si trovavano. Com’era finito lì? Che cos’era successo? Perché Ginny era lì e lo guardava con quella strana espressione - un misto di delusione e rabbia e preoccupazione? Non era nemmeno sicuro di riconoscere il posto.
“Che… Che è successo?”
“Non lo so, Harry, dimmelo tu”.
Harry abbassò gli occhi sulle proprie mani, cercando una spiegazione, qualcosa da dire, qualsiasi cosa, ma nessuna parola gli usciva dalla bocca. I ricordi - sprazzi di ricordi - della sera prima lo stavano colpendo all’improvviso.
Aveva di nuovo deluso Ginny, l’amore della sua vita, i suoi amici, tutte le persone che tenevano a lui, aveva deluso sé stesso. E non capiva perché fosse ancora lì, a camminare su quel mondo che non si meritava. Aveva davvero pensato che l’altra sera sarebbe stata quella definitiva. Che finalmente se ne sarebbe andato.
Eppure la morte sembrava ancora non volerlo cogliere. Nemmeno Lei lo voleva. O forse voleva solo prolungare la sua sofferenza prima di prenderselo.
“Io-”, cominciò a dire, bloccandosi subito quando incontrò gli occhi castani di Ginny. Ogni cosa che avesse potuto dire gli sembrava ingiustificabile. “Mi dispiace”.
“Andiamo a casa”, lo interruppe lei alzandosi in piedi e porgendogli la mano.
Non sembrava arrabiata adesso, ma dal suo tono non si poteva dire cosa provasse. La verità era che Ginny a questo punto non sapeva nemmeno cosa provare. Preoccupazione sì, rabbia? Non ne era sicura. Delusione? No.
Se c’era un drogato a questo mondo che poteva essere compreso quello era Harry. Lei non lo avrebbe giudicato, non lo avrebbe cacciato via. Come poteva? Stava soffrendo e lei lo amava.
Ci avrebbe provato con più forza.
“Andiamo a casa”. 

 

*** 

 

L’idea per questo spin-off è nata da una scena di A Star Is Born (film già citato nella fanfic madre Estate 2020). Se qualcuno ha visto il film sicuramente lo avrà riconosciuto.
Questa oneshot è stata scritta di getto, ieri in serata mentre ascoltavo a ripetizione Bloodstream di Ed Sheeran (e vi consiglio di ascoltarla se non l’avete già fatto). 
Non so se vi aspettavate questo tipo di storia, ma dopo aver raccontato della dipendenza di Harry in Estate 2020, ho pensato che avere una scena a riguardo potesse essere interessante.
Ditemi cosa ne pensate e  per chi non ha letto il nuovo capitolo di questa domenica in Estate 2020, be’, corra farlo : )

Per chi invece si trova qui per caso e non ha idea di cosa sia Estate 2020, be’, probabilmente ci capirà poco o nulla di questa raccolta. Ma provate a dare un’occhiatina alla mia fic : )

Alla prossima,

C:

 

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Capitolo 3
*** Bambini ***


BAMBINI


Harry e Andromeda erano seduti nella veranda di Villa Conchiglia insieme a Bill e Fleur a godersi il té delle cinque e la rinfrescante brezza estiva dopo una giornata di calore asfissiante.
Gli adulti, seduti al tavolo pieno di tazzine e biscotti, osservavano - tenendoli d’occhio - Teddy e Vicky che giocavano vicino al bagnasciuga costruendo castelli e fortezze con i ciottoli della spiaggia.
Il fruscio del mare e la vista del cielo rosa-azzurro per il tramonto che fa da sfondo ai due bambini che giocano era l’immagine più rilassante a cui si potesse assistere.
E Merlino solo sapeva quanto Harry ne avesse bisogno prima della missione di quella notte. Perciò decise di goderselo pienamente.
“Como vanno i proparativi del motrimonio?” gli chiese Fleur servendosi dell’altro té.
“Direi abbastanza bene”, rispose Harry allungandosi all’indietro contro lo schienale della sedia.
“Strano che mia madre non ti stia facendo impazzire”, commentò Bill.
“Credo che Ginny stia tamponando la cosa”.
“Gin è sempre stata brava in quello. A tenere in riga la mamma, intendo”.
Harry ridacchiò e spostò lo sguardo sui bambini.
“Forse porché è l’unica figlia che ha avuto”, aggiunse Fleur.
“Per questo ora ha due nipoti femmine”.
Dopo quello scambio di battute i quattro rimasero in silenzio, l’attenzione rivolta ai bambini come fossero un’immagine incredibilmente rara da vedere. E forse lo era, per loro che per troppo tempo avevano assistito e combattuto alla guerra, che avevano visto morire persone che amavano; per Andromeda che aveva perso la famiglia che si era costruita dopo essere fuggita da una malata e abusiva; per Bill e Fleur che si erano innamorati anche se le stelle sembravano avverse e avevano continuato ad amarsi anche dopo aver perso un fratello amato; per Harry che non aveva mai avuto una famiglia che lo amasse e quando avrebbe potuto averla anche quella gli era stata portata via e che dopo la guerra aveva dovuto imparare a vivere di nuovo, da capo.
Teddy e Vicky erano il faro della speranza, la generazione che avrebbe conosciuto pace e serenità e che non si sarebbe mai vista portare via l’innocenza. Di Lord Voldemort e i Mangiamorte avrebbero saputo soltanto dai libri di scuola.
“Datemi pure della romantica, ma ve lo immaginate se un giorno si mettessero insieme?” scherzò Andromda.
Gli altri tre risero, ma poco potevano immaginare dell’amore che avrebbe unito i due amici in futuro. 


*** 


Questo spin-off si è scritto in meno di un’ora. Un piccolo estratto di scena quotidiana per allietare questo giovedì sera.
Ditemi che ne pensate.

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Capitolo 4
*** Cura ***


Questa one-shot ha una quantità di angst che fa paura persino a me, ma era da un po’ che volevo scriverlo.
Buona lettura e preparate i fazzoletti.


***  


CURA


“Oggi Ginny viene a trovarti, vero?”

Harry si mise più comodo sulla poltrona, le gambe piegate e le ginocchia strette al petto. Alzò lo sguardo sulla sua terapeuta, ma solo per una frazione di secondi, poi lo riabbassò di nuovo, riponendo il mento sulle ginocchia. 

Oh sì, oggi era il grande giorno. Finalmente dopo sei mesi avrebbe rivisto la sua ragazza. Era ancora la sua ragazza? O aveva deciso di andare avanti senza di lui? In fondo, lei era là fuori a godersi il mondo e lui rinchiuso lì dentro a combattere i propri demoni interiori. 

Non l’avrebbe biasimata se avesse deciso di lasciarlo e non venire. Ma gli avrebbe fatto male, quello sì. 

“Ti va di parlare di Ginny?” gli chiese ancora la sua terapeuta. 

Senza alzare gli occhi dal pavimento e senza abbassare le gambe, Harry disse: “No, non mi va”. 

“Okay”.

Silenzio. 

Si sentiva solo il ticchettio dell'orologio a cucù dell’ufficio di Christine. Ma chi diamine teneva un aggeggio del genere nel proprio ufficio? Harry lo avrebbe fatto esplodere o gli avrebbe tirato qualcosa addosso. Ma non aveva la bacchetta. Non ti lasciavano tenere la bacchetta in quel posto. 

“Vuoi che parliamo della tua infanzia? Parliamo di Dudley?”

Harry scosse il capo. Christine cercava a tutti i costi di tirargli fuori qualcosa, ma lui non aveva voglia di parlare, di affrontare quell’incubo che era stato il suo passato o il disastro che era il suo presente. La bomba che c’era nella sua testa. 

Gli avevano tolto tutto, le sue pillole e le sue siringhe, le uniche cose con cui riusciva ad andare avanti. 

E ora gli toccava affrontare il caos che si era accumulato nella sua testa, un macigno o un’inondazione di ricordi di persone che aveva visto morire, morire per colpa sua. 

“Harry”, chiamò Christine, piano, mettendo da parte il taccuino e protendendosi verso di lui, osservandolo come se si aspettasse che esplodesse da un momento all’altro. 

Ma Harry non ne aveva voglia, non aveva voglia di arrabbiarsi e urlare come avrebbe fatto un tempo - quando era più giovane e meno distrutto - non aveva voglia di parlare di se stesso o della sua maledetta infanzia. Aveva già percorso tutto quello, incontro dopo incontro, seduta dopo seduta, lì con Christine e negli incontri di gruppo. 

“Stavi andando bene”, disse Christine. 

Non mandare a puttane tutto ora. Questo non lo disse ma Harry sapeva che quelle erano le parole che dovevano accompagnare l’osservazione iniziale. 

“Oggi tocca al settimo passo, giusto?”

Harry annuì. Il settimo passo dei dodici passi che la riabilitazione da una dipendenza richiedeva. 

“So che ce la puoi fare. Ho fiducia in te”. 

Era un bene che Christine avesse fiducia in lui quando lui stesso non ce l’aveva?

Era stato così anche durante la guerra e aveva deluso tante persone. 

Era stanco. 


Harry arrivò nella sala delle visite senza neanche rendersene conto, i suoi piedi lo avevano portato lì in automatico. 

Non pensava davvero di trovarci Ginny e non voleva davvero trovarsi con un cuore spezzato in aggiunta a tutti i suoi problemi. 

Tuttavia perlustrò la stanza con occhi avidi, scorrendoli tra i vari pazienti e i loro cari che parlavano o si abbracciavano e la vide lì, seduta sul divano che si guardava attorno, sicuramente sentendosi un po’ fuori luogo e Harry poteva capirlo, quel posto non era per lei. Lei non doveva trovarsi lì, in quel posto per persone rotte.

Eppure non poteva fare a meno di sentirsi sollevato. Ginny non lo aveva dimenticato. 

Come se si fosse sentita il suo sguardo addosso, la ragazza alzò la testa e lo vide lì in piedi, fermo sulla soglia, a guardarla come un uomo innamorato. 

E lo era, un uomo innamorato.

Poi gli sorrise, un sorriso bello, puro, proprio come lo ricordava. 

Ginny era proprio come la ricordava.

Si trovò a sorridere anche lui ed era un vero atto di magia potente perché non pensava di essere ancora capace di sorridere.

“Harry”, sussurrò lei alzandosi di colpo quando lui la raggiunse vicino al divano. 

Poi si sedettero insieme, finalmente riuniti. 

Tutti e due si guardavano come se non credessero ai propri occhi. 

“Sei qui”, disse Harry, la voce roca per averla usata poco quel giorno.

“Certo che sono qui”, rispose lei stringendogli le mani. “Dove altro dovrei essere?”

A casa tua, non qui con me, ma con un altro uomo che può renderti felice, pensò Harry. Ma non lo disse. Non disse niente. 

“Sei mesi, ricordi? Ti ho promesso che sarei venuta a trovarti dopo sei mesi”, continuò Ginny quando non ottenne risposta.

Harry le strinse le mani incapace di dire qualunque cosa. Si aggrappava a quelle mani come a un salvagente. E lo erano, in quel momento. 

“Gin, io…”, cominciò Harry, ma si bloccò di colpo. Aveva le parole sulla punta della lingua ma non sapeva come dirle senza che sembrassero stupide. 

Ginny liberò una mano dalla presa e la portò sul suo viso asciugandogli una lacrima che stava scendendo. 

Harry non si era nemmeno accorto di star piangendo.

“Gin”, riprovo, spostando la mano della ragazza e stringendola di nuovo. 

“Cosa c’è, tesoro, cosa c’è?” 

Harry fissò gli occhi su Ginny. Quanto era bella. 

“Perdonami”, mormorò lui a bassa voce ma lei lo udì comunque.

“Oh, Harry, non hai nulla da farti perdonare. Non è colpa tua”.

Ora le lacrime di Harry scendevano copiose rendendogli difficile vedere, ma non aveva il coraggio di togliere le mani dalla stretta della ragazza per asciugarle. 

Eccolo lì, il settimo passo. Il perdono. Il perdono era il passo fondamentale perché ogni drogato era colpevole di qualcosa. 

“No, Gin, tu… Ho bisogno che mi perdoni. Ho bisogno che mi perdoni”. 

Ginny pensò subito che il suo ragazzo stesse dicendo cose a caso, ma poi la consapevolezza la colpi. Ne aveva bisogno, Harry aveva bisogno di quello. 

“Oh, tesoro, certo che ti perdono. Certo che ti perdono”, disse cercando di trattenere la commozione. 

Gli si avvicinò e appoggiò la propria fronte contro quella di Harry desiderando ardentemente baciarlo ma non sapendo se lui avrebbe voluto. 

Fu allora che Harry esplose; spostò le mani sui fianchi di Ginny, e lasciò che le lacrime gli cadessero senza freni, bagnandogli le guance e infrangendosi contro i pantaloni. 

“Sei qui, Gin, sei qui e io non ti merito. Tu meriti di essere felice e io sono solo…”.

“Shhh”, lo zittì lei portando le mani sulle sue scapole per spingerlo verso di sé e permettergli di affondare il viso nell’incavo del suo collo. Non voleva sentire quelle parole senza senso per lei.

“Non dire così. Io ti amo e non smetterò mai di amarti e tu meriti tutto l’amore è la felicità di questo mondo”, gli disse, stringendolo sempre più forte a ogni singhiozzo. Ginny raramente aveva pianto nella sua vita, reputandosi una ragazza forte e non incline alla commozione ma in quel momento si trovava davvero in difficoltà a trattenere le lacrime, proprio come Harry. 

E Harry, mentre lasciava andare anni e anni di dolore in quelle lacrime nell’abbraccio di Ginny, si sentì un po’ meno stanco. 


*** 

Che ne pensate? Fatemi sapere nei commenti.

C.


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Capitolo 5
*** Il primo appuntamento ***


IL PRIMO APPUNTAMENTO


Teddy si fermò con l’auto poco prima di risalire il viale di Villa Conchiglia; avevano fatto tardi e non voleva disturbare gli abitanti della casa con il rumore del motore.
Spense tutto, inserì il freno a mano e si girò verso Victoire seduta nel lato del passeggero. 

I due rimasero in silenzio per qualche momento sotto la tenue luce dell’auto. 

“Ti sei divertita?”
“Sì, molto. Grazie, Teddy. E grazie della cena”. 

Il ragazzo sorrise e le diede un bacio sulla fronte. “Prego”. 

“Pensi che diremo che stiamo insieme prima che io parta per Hogwarts?” domandò la ragazza.

“Lo dobbiamo fare?”
Vicky ridacchiò. “Che c’è? Hai paura che mio padre ti faccia del male?”
“No! Cioè… Forse?”
“Ma Teds, sai che i miei ti adorano”.

“Lo so. Però è diverso, ci hanno sempre visti come amici e ora... “. 

Vicky si tolse la cintura e appoggiò una mano sul viso del ragazzo, guardandolo dritto negli occhi ambrati. “Sono sicura che i miei apprezzeranno molto di più che io stia con te piuttosto che con qualcuno che non conoscono”. 

Teddy, a quella affermazione, rilassò le spalle. Forse era vero. Forse si stava facendo troppe paranoie. In fondo, Teddy e Vicky si conoscevano da quando erano molto piccoli, avevano sempre passato molto tempo insieme, anche prima di mettersi insieme. Non era diverso. Solo che ora c’erano molti più baci. 

“Comunque, mi mancherai quando sarai ad Hogwarts”. 

“Anche tu, Ted. Lo sai. Sarà una sofferenza senza di te e sarà anche… Strano”. 

“Ti verrò a trovare ad Hogsmeade”. 

“Ci conto!” 

I due si avvicinarono per quanto lo spazio nell’auto glielo permettesse e si baciarono appassionatamente. Restarono a scambiarsi piccoli baci a intermittenza, il silenzio interrotto soltanto dai loro respiri. 

“E’ meglio che vada”, disse infine la ragazza. 

“Ti accompagno fino a casa”. 

“No, non ti preoccupare. E poi, lo sai che mio padre ha l’udito fine, si sveglierà sicuramente”. 

“Sicura?”
“Sì”. 

Erano solo pochi passi quelli che separavano Victoire da casa sua, ma a Teddy non piaceva che camminasse da sola nella notte. Tuttavia, sapeva che non le piaceva quando insisteva troppo, quindi la lasciò fare come voleva lei.
Rimase però a guardare finché non la vide entrare dalla porta. Quindi, si rimise la cintura, riaccese la macchina e si allontanò. Mancava una settimana alla partenza di Vicky per Hogwarts e già gli pesava il cuore.


*** 


Ehilà! Eccomi qui.

Era da un po’ che non aggiornavo questi spin-off. Oggi, mentre studiavo, mi è venuta in mente questa scena e ho deciso di buttarla giù. Uno dei primi momenti della relazione di Teddy e Vicky, la mia coppia preferita di tutta la fanfic. 

Molto leggera e innocente, ma un po’ di romanticismo non impegnativo ci vuole. 

Che ne dite? Spero di avervi alleggerito un po’ la giornata.


Fatemi sapere,

C.


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