La piccola Candy

di Gatto1967
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vitto, alloggio e un'adeguata educazione ***
Capitolo 2: *** abbandonate dentro due ceste ***
Capitolo 3: *** Te li sei guadagnati Candy ***
Capitolo 4: *** Cosa facevi all'ufficio postale Candy? ***
Capitolo 5: *** Non piangere bambina ***
Capitolo 6: *** per lei non ci sarà nessun principe azzurro ***
Capitolo 7: *** Voglio tornare a casa ***
Capitolo 8: *** una pezzente trovatella come te ***
Capitolo 9: *** come le mani di nessun bambino dovrebbero essere ***
Capitolo 10: *** io sono felice ***
Capitolo 11: *** potrei anche fare l'infermiera ***
Capitolo 12: *** sembrava cresciuta dal giorno del suo arrivo ***
Capitolo 13: *** ormai era abituata alle provocazioni ***
Capitolo 14: *** ce la farai a realizzare i tuoi sogni ***
Capitolo 15: *** non può essere stata Candy! ***
Capitolo 16: *** Un posto chiamato Casa di Pony ***
Capitolo 17: *** Questo posto ha sempre significato molto per te Candy ***
Capitolo 18: *** sempre la solita Candy ***
Capitolo 19: *** si sentì carica e fiduciosa ***
Capitolo 20: *** il lavoro non mi spaventa ***
Capitolo 21: *** Sento che tu mi sei davvero amico ***
Capitolo 22: *** nessuno sa cosa sia accaduto ***
Capitolo 23: *** senza darsi una risposta ***
Capitolo 24: *** sono la sua nuova infermiera ***
Capitolo 25: *** ubriacarti è una tua scelta ***
Capitolo 26: *** ti odierò per sempre ***
Capitolo 27: *** è successo qualcosa di molto brutto ***
Capitolo 28: *** la tua bontà è incancellabile ***
Capitolo 29: *** io sono già guarita ***
Capitolo 30: *** tutti noi cerchiamo di fare in modo che lei sia felice ***
Capitolo 31: *** un mondo migliore per tutti ***
Capitolo 32: *** Lo sguardo di Candy non si addolcì affatto ***
Capitolo 33: *** si stanno divertendo un mondo ***
Capitolo 34: *** Quindi adesso sai ***
Capitolo 35: *** Grazie di tutto! ***



Capitolo 1
*** Vitto, alloggio e un'adeguata educazione ***


La lussuosissima Lincoln nuova di zecca entrò nel cancello di villa Legan, e percorso rapidamente il viale, si fermò davanti alla scalinata d’ingresso della villa.

L’autista scese dal posto di guida e aprì la portiera posteriore dell’automobile. Ne scese una bambina bionda con lunghi capelli sciolti sulle spalle e un largo cappello in testa, che dimostrava circa dodici o tredici anni di età. Portava con sé una piccola valigia che sembrava fatta di cartone.

-Grazie signor Crusher.-

-Non c’è di che Candy. Vieni con me, la signora Legan ti aspetta.-

La visione della villa sembrò levare il fiato alla bambina, non aveva mai visto una casa così grande. Le sembrò quasi un castello delle favole, quelle favole che Miss Pony e Suor Maria le leggevano quand’era più piccola. 

Candy seguì l’autista, un uomo fra i trenta e i quaranta, lungo le scale che portavano all’ingresso della villa. Una volta varcata la porta di casa la bambina rimase di stucco: non avrebbe mai pensato che una casa potesse essere tanto lussuosa.

Seguì il signor Crusher lungo una scalinata e poi attraverso un corridoio finché l’uomo si fermò davanti ad una porta e bussò.

-Avanti.- disse una voce di donna da dentro la stanza. Crusher aprì la porta e dalla stanza uscì una musica.

-Buongiorno signora Legan. Ho portato qui la bambina.-

La signora Legan, una donna di circa quarant’anni, di bell’aspetto e vestita elegantemente spense la radio alla sua destra e squadrò la piccola Candy con aria altezzosa.

-Buongiorno signora Legan.- disse la bambina accennando un inchino

-Io sono Candice White, molto lieta di conoscerla.-

La signora Legan non rispose, non subito almeno. 

Candy non sapeva che pensare.

-E così tu sei Candy…- decisamente non aveva l’aria accomodante.

-Cosa ti hanno spiegato alla Casa di Pony Candy?-

-Miss Pony mi ha detto che dovrò lavorare in questa casa signora, e in cambio avrò… vi… vi…-

-Vitto, alloggio e un’adeguata educazione Candy. Questo ti ha detto Miss Pony.-

-Sì signora, mi ha detto proprio questo.-

In quel momento entrò nella stanza un’altra bambina.

-Ciao mamma! Ho finito di studiare, posso andare a giocare in giardino?-

-Candy, ti presento mia figlia Elisa. Elisa, questa è Candy, la bambina di cui ti abbiamo parlato.-

-Ah sì, l’orfanella.-

Nonostante l’atteggiamento altezzoso di Elisa, Candy la salutò con cordialità.

-Ciao Elisa! Sono contenta di conoscerti.-

-Ma… come ti permetti?-

-Quando ti rivolgi a mia figlia devi chiamarla “signorina Elisa”. Cerca di tenerlo bene a mente Candy!-

Candy si mortificò. Nessuno l’aveva mai trattata così.

-Mi scusi… signorina… starò più attenta in futuro.-

-Lo spero per te orfanella!-

-Elisa, porta Candy con te in giardino. Lei sarà la tua cameriera personale, falle conoscere la casa.-

La ragazzina squadrò Candy con uno sguardo accigliato, sembrava non ispirargli simpatia.

-Vieni con me.- le disse poi facendo cenno di uscire dalla stanza.

-Vai pure con mia figlia Candy. Lei ti farà vedere la casa mentre le cameriere porteranno la tua valigia nella tua stanza.-

-Va bene signora Legan.-

Candy seguì Elisa reprimendo a stento le lacrime.

 

Uscite in giardino Candy e Elisa incontrarono un altro ragazzo, un po’ più grande di loro. Non doveva avere comunque più di quattordici anni.

-Neal hai visto? Questa è l’orfanella!- Elisa parlava di Candy come se lei fosse un cagnolino che non capisse le sue parole.

-Come ti chiami orfanella?-

Candy stava quasi per scoppiare a piangere ma si fece forza.

-Vuoi rispondere? Mio fratello ti ha fatto una domanda!-

-Mi chiamo Candy… signore.-

Neal squadrò la bambina da capo a piedi, poi sogghignò.

-Vieni Candy, ti facciamo vedere una cosa.-

I due fratelli si misero a correre intorno al perimetro della casa e Candy li seguì.

Sul retro della villa c’era un piccolo stagno pieno di piante acquatiche e di canne di bambù.

-Ti piace Candy? L’estate noi ci facciamo spesso il bagno qui dentro.- disse Neal con aria quasi accomodante.

-Avanti!- la invitò Elisa –Vieni a vedere meglio.-

Candy si fece avanti in mezzo allo spazio fra i due fratelli Legan, e in men che non si dica si trovò a mollo dentro lo stagno: Neal l’aveva spintonata.

Le risate dei due ragazzini in piedi davanti a lei le fecero montare dentro un sentimento prima di sconforto e poi di sempre crescente rabbia.

-Non puoi dire che non siamo buoni padroni Candy!- sghignazzò Neal 

-Permettiamo ai nostri servi di fare il bagno nella nostra stessa acqua!-

Candy lasciò che le lacrime le scorressero lungo il viso, ma allo stesso tempo diede sfogo alla sua rabbia.

-Questo non lo sopporto!-

In men che non si dica saltò addosso all’arrogante ragazzino e lo stese a terra riempiendolo di schiaffi in faccia.

Elisa chiamò aiuto frignando e alcuni servitori della villa accorsero separando i due ragazzini.

 

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Capitolo 2
*** abbandonate dentro due ceste ***


-Non avresti dovuto raccogliere la provocazione di quel farabutto, Candy.- disse la ragazza che la stava accompagnando nella sua stanza. 

-è un prepotente d’accordo, ma in questa casa lui e la sorella sono i padroni. La madre gli dà sempre ragione e il padre non c’è mai, e quando c’è si disinteressa completamente delle cose di casa. Nessuno prenderà le tue difese Candy.-

Candy sembrava determinata a non mandare giù quel rospo.

-E allora me ne andrò.-

-Hai un posto dove andare?-

La bambina sembrò riflettere, in teoria poteva tornare alla Casa di Pony. Miss Pony e Suor Maria l’avrebbero sicuramente accolta di nuovo con loro, ma poi pensò alle condizioni in cui versava l’orfanotrofio: spesso e volentieri i bambini saltavano i pasti e lei era la più grande, non poteva continuare a stare lì. Con una bocca in meno da sfamare forse le due donne che l’avevano cresciuta, avrebbero anche potuto cavarsela.

-No.- rispose abbassando la testa –Non ho un posto dove andare.-

-Dai retta a me Candy: lavati, cambiati d’abito e poi vai dalla signora Legan a scusarti. Vedrai che quei due prima o poi si stuferanno di te e ti lasceranno in pace.-

-Tu da quanto tempo lavori qui dentro?-

-Da due anni, i primi tempi sono stati duri, ma poi le cose sono migliorate. D’altronde il lavoro in questa casa mi serve per aiutare i miei genitori a mantenere i miei fratellini.-

-Come ti chiami?-

-Già è vero: non mi sono presentata. Io sono Dorothy Riker e ho quindici anni.-

-Sono contenta di conoscerti Dorothy, spero che diventeremo amiche.-

-Ma certo Candy!-

-Credo proprio che seguirò il tuo consiglio e andrò dalla signora Legan.-

 

Candy bussò alla porta dove aveva incontrato l’altezzosa signora, e alla risposta di quest’ultima entrò.

La signora Legan stava seduta sulla sua poltroncina accanto alla radio, e i suoi figli le stavano accanto.

-Ah, sei tu!- Fu l’aspra risposta della donna.

-Signora Legan, io… sono venuta a scusarmi del mio comportamento.-

Lo sguardo accigliato della signora Legan sembrò trapassarla da parte a parte.

-Senti orfanella, forse è meglio se ti metti in ginocchio per chiederci scusa!- disse Neal

La piccola Candy ebbe un sussulto, ma la signora Legan prese inaspettatamente le sue difese.

-Avanti Neal, non esagerare. In fondo Candy si è scusata spontaneamente. Per stavolta lasciamo correre, non credo proprio che la piccola Candy si lascerà andare come ha fatto oggi. 

E poi un’altra cosa ragazzi: questa bambina ha un nome, quando vi rivolgete a lei usate quello, sono stata chiara?-

I due perfidi ragazzini sembrarono sconcertati dal fatto che la madre li avesse messi in riga, mentre Candy tirò un sospiro di sollievo, forse la signora Legan non era così cattiva come sembrava.

-Bene Candy, puoi ritirarti. Come da accordi presi con la Casa di Pony, domani mattina seguirai le stesse lezioni private di mia figlia Elisa in questa casa, e poi dovrai essere al suo servizio per alcune ore stabilite. Hai capito bene?-

Il tono della signora non era certo accomodante.

-Si signora Legan, la ringrazio di nuovo signora.-

Dopo aver accennato un inchino Candy si voltò e uscì dalla stanza.

 

Cenò insieme alla variegata servitù di casa Legan, in una stanza spoglia e disadorna proprio di fianco alla cucina, non prima che i Legan avessero terminato la loro cena e si fossero ritirati ad ascoltare la radio nella stanza al piano di sopra.

-I Legan sono originari di Chicago.- spiegò il signor Picard, il giardiniere della villa –Il signor Legan e sua moglie si trasferirono a vivere qui a Lakewood sul finire degli anni ’20 al seguito di un’altra ricca famiglia con la quale sono imparentati, gli Ardley. 

Chicago era una città molto turbolenta durante il proibizionismo, le sparatorie in strada erano all’ordine del giorno, e le due ricche e potenti famiglie decisero di trasferirsi qui soprattutto per tenere i loro eredi al sicuro e lontani dai pericoli di quella città.-

Candy sembrava assaporare ogni boccone del cibo che aveva davanti. –Sei affamata Candy!- le disse allegramente Dorothy

-Oh sì, all’orfanotrofio non abbiamo mai avuto tanto cibo a disposizione!-

La parola orfanotrofio fece sussultare i presenti

-Sei un’orfana Candy?- le chiese la cuoca, la signora Laforge, una signora che sembrava aver passato da un pezzo i cinquanta.

-Si signora, sono stata abbandonata da piccola e sono cresciuta in un orfanotrofio nell’Indiana.-

-Ti… trattavano bene all’orfanotrofio Candy?- chiese con quanto più tatto poteva la stessa signora Laforge.

-Si certo! Miss Pony e Suor Maria sono due persone fantastiche! Per me sono state due autentiche mamme, ma sono povere, non hanno molto denaro a disposizione, e spesso noi bambini ci trovavamo a saltare i pasti.-

Le persone lì riunite ascoltavano commosse, con loro la vita era stata spesso dura e ingenerosa, ma con quella bambina sembrava essersi particolarmente accanita.

-Quanti anni hai Candy?-

-Ne ho tredici. In realtà non posso saperlo con certezza ma Miss Pony dice che quando ci trovarono sembravamo avere non più di tre mesi, e da questo dedussero che eravamo nate intorno a Maggio.-

-Vi ritrovarono?-

-Sì, venimmo trovate in due, abbandonate dentro due ceste fuori dall’orfanotrofio, io e un’altra bambina. Poi lei venne adottata e io rimasi sola. Alla Casa di Pony ero la più grande e così quando è capitata questa opportunità non mi sono sentita di dire di no. 

Senza di me ci sarà una bocca in meno da sfamare…-

Dorothy piangeva e non era la sola. Ora capiva quello che aveva pensato Candy quando qualche ora prima le aveva chiesto se avesse un altro posto dove andare.

 

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Capitolo 3
*** Te li sei guadagnati Candy ***


Nei giorni successivi Candy entrò nei ritmi della sua nuova vita. Alla mattina doveva alzarsi presto per servire la colazione ai Legan nella sala da pranzo, poi una volta sparecchiata la tavola seguiva le stesse lezioni della “signorina” Elisa fin quasi all’ora di pranzo.

Dopodiché doveva aiutare le cameriere ad apparecchiare la tavola e servire il pranzo ai padroni di casa. Una volta consumato anche lei il suo pasto insieme alla servitù aveva diritto a un paio d’ore di riposo in cui poteva fare quello che voleva, e lei trascorreva questo tempo gironzolando nei dintorni, arrampicandosi sugli alberi, rotolandosi nell’erba.

Finito il suo tempo libero, la bambina doveva assistere la “signorina” Elisa e successivamente aiutare la servitù a preparare la cena e a servirla in tavola.

A volte si sedeva vicino allo stagno sul retro della villa pensando con nostalgia alla Casa di Pony, a Miss Pony e Suor Maria, ai bambini, i suoi fratellini e sorelline.

A volte avrebbe voluto volar via di lì e tornare da loro, ma sentiva di non poterlo fare, per un po’ avrebbe dovuto rinunciare alla sua libertà.

 

Un giorno la signora Legan la chiamò nella stanza dove amava passare molto tempo ad ascoltare la radio.

-Mi ha fatto chiamare signora Legan?- chiese ossequiosamente Candy una volta entrata nella stanza.

-Sì Candy, avvicinati per favore.-

La signora prese una busta dal tavolino accanto a lei e la porse alla bambina. 

-Questi sono per te Candy. È il tuo stipendio mensile.-

Candy era incredula: dei soldi, dei veri soldi tutti per lei?

-Signora io… la ringrazio…-

-Te li sei guadagnati Candy. Lavori sodo devo ammetterlo.-

Candy era incredula: sebbene il tono di voce fosse assolutamente neutro e la signora la guardasse a malapena in faccia, quelle erano le prime parole gentili che si sentiva dire da quando era arrivata in quella casa.

-Con permesso signora, io… tornerei alle mie faccende…-

-Vai pure piccola, ci vediamo a cena.-

Uscita dalla stanza Candy era raggiante e volle assolutamente uscire in giardino per sfogare la sua gioia. 

 

-Toh, guarda l’orfanella Neal.- disse Elisa al suo degno fratello maggiore.

-Sembra raggiante, chissà che le è preso…-

-La mamma le ha dato il suo stipendio, e per una miserabile come lei quei quattro soldi devono essere davvero tanti!-

-Pensa come ci resterebbe male se qualcuno glieli rubasse…-

I due fratelli sogghignarono perfidamente.

 

Dopo aver cenato con la servitù Candy rientrò nella sua stanza, si spogliò per mettersi a letto. Era talmente stanca che non si avvide di urtare il semplice tavolo dove appoggiava le sue cose.

Fra queste c’era un barattolo dove aveva messo i suoi soldi, i suoi primi soldi. Il barattolo cadde per terra, ma dentro non c’era niente.

Candy si inginocchiò per raccogliere il barattolo, e constatò che i suoi soldi erano spariti.

Incapace di qualunque reazione razionale, Candy uscì in lacrime dalla sua stanza per entrare di botto in quella di Dorothy.

-Candy che succede?-

Candy non riusciva ad articolare alcun suono e Dorothy l’abbracciò così che lei diede libero sfogo al pianto.

 

Poco dopo Candy e Dorothy sedevano sul letto di Candy.

-Sei sicura di aver messo i soldi in quel barattolo?-

-Sì, ne sono sicura. Sono venuta apposta in cucina per chiedervi un barattolo vuoto ricordi?-

Dorothy sembrò pensarci su.

-Candy, mi dispiace dirtelo, ma molto probabilmente i tuoi soldi sono stati rubati.-

-Ma… chi? E perché, maledizione. Perché!!!-

-Non lo so Candy, non lo so. Una volta è successo anche a me. Da allora mi sono fatta più furba e ho imparato a nascondere bene i miei soldi prima di portarli all’ufficio postale.-

-All’ufficio postale?-

-Certo Candy, io spedisco tutti i miei soldi a casa, alla mia famiglia. Faccio un vaglia telegrafico, lo sai cos’è?-

Candy fece cenno di sì. Una volta aveva accompagnato Suor Maria all’ufficio postale vicino alla Casa di Pony proprio per fare un vaglia telegrafico per pagare un debito con un fornitore.

-E… dove nascondi i tuoi soldi Dorothy?-

-Ah, non te lo dirò mai!- le disse l’amica con tono quasi divertito

-Ti consiglio però di far lavorare la fantasia, un barattolo appoggiato sul tavolo è il posto più scontato del mondo dove nascondere del denaro!-

Candy sembrò riflettere alle parole di Dorothy.

 

Il giorno dopo un’assonnata Candy arrivò in ritardo alla lezione del precettore di Elisa, e quest’ultima si divertì a canzonarla perfidamente.

-Ben svegliata Candy, non insegnano la puntualità negli orfanotrofi? O magari hai passato la notte a far bagordi con i soldi del tuo stipendio?-

Candy sentì un odio feroce montare dentro di lei: erano stati loro! Neal ed Elisa!

Quei due riccastri viziati!
Avevano tutto dalla vita e si erano divertiti a levare a lei quel poco che aveva!

 

Dopo pranzo Candy godette le sue consuete due ore di pausa, e col morale sotto le scarpe si diresse allo stagno. Si sedette per terra e cominciò a piangere sconsolata. 

Non era giusto! Lei lavorava tutto il giorno come un somaro e quei due perfidi ragazzini la derubavano per divertimento. Probabilmente Neal aveva voluto vendicarsi degli schiaffoni presi il primo giorno, proprio lì, allo stagno.

-Ehi, bastarda!-

La sgradevole voce era proprio quella di Neal, accompagnato dalla sua degna sorella.

-Come ti sei permesso di chiamarmi Neal!!!!-

Gridò alzandosi in piedi con la faccia congestionata dal pianto e deformata dall’odio.

-Hai sentito? Mi ha chiamato Neal!-

-E troppo onore ti faccio, miserabile ladro!-

Neal accusò il colpo.

-Ma come ti permetti schiava!-

Candy mollò un poderoso schiaffone all’arrogante ragazzo, uno schiaffo talmente forte che lui cadde per terra.

-IO NON SONO LA TUA SCHIAVA! E tu farai bene a tenerti alla larga da me, bamboccio debosciato!-

Poi se ne andò correndo

-Quella sfrontata!- berciò Elisa –Come si è permessa! Andiamo subito a dirlo alla mamma!-

-Calma sorellina, calma. La mamma la caccerebbe via e per noi il divertimento sarebbe finito… lasciamola stare per ora…-

 

Nei giorni successivi Candy si aspettava chissà quale rappresaglia da parte dei due Legan, ma non accadde nulla.

Piano piano la bambina sembrò superare la rabbia per l’accaduto e decise di far tesoro dei consigli di Dorothy. Sempre su consiglio dell’amica decise di non parlare con nessun altro dell’accaduto.

Con i Legan tornò a essere formale e ossequiosa e non reagì più agli insulti e alle perfide battutine dei due rampolli.

Ogni mattina, quando arrivava a lezione, Elisa non mancava di stuzzicarla a proposito della sua provenienza e sia lei che l’insegnante di turno facevano finta di niente.

Sei insegnanti si alternavano in quelle lezioni, e il loro atteggiamento nei confronti della piccola Candy era difforme. Qualcuno aveva preso in simpatia la bambina, qualcun altro ostentava assoluta indifferenza e gli altri le dimostravano un atteggiamento altezzoso, quasi a mostrarle disprezzo per il suo status di orfana.

 

Una sera, rientrando nella sua stanza per andare a dormire, Candy trovò un topo morto sul suo letto e cacciò un urlo spaventoso che fu udito in tutta la casa.

I servitori accorsero, e il maggiordomo, il signor McCoy, portò via l’animale mentre Candy piangeva abbracciandosi a Dorothy. Due cameriere le cambiarono il letto e portarono via le lenzuola sporche, così che Candy poté mettersi a dormire.

 

La mattina successiva, finita la lezione con la signorina Scott, mentre stava per recarsi verso la cucina, Candy si sentì chiamare da Elisa.

-Sì signorina?-

-Senti Candy, forse faresti bene a tenere un gatto nella tua stanza.- le disse la perfida ragazzina prima di saltellare via sghignazzando.

Candy rimase lì, con i pugni stretti e gli occhi pieni di lacrime. 

Era stata lei! Quella perfida strega maledetta! Bastarda e vigliacca come il fratello!

Dopo aver sparecchiato la tavola, Candy uscì dalla casa, e correndo e piangendo uscì dal cancello dirigendosi verso la campagna circostante. Inciampò e continuò a piangere fino a esaurire tutte le sue lacrime. Non si era mai sentita più sola di così.

 

Quando fu stanca di piangere si alzò e vide davanti a sé un cancello contornato di rose. Lo stemma su quel cancello la fece sussultare: lei aveva già visto quello stemma.

 

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Capitolo 4
*** Cosa facevi all'ufficio postale Candy? ***


Arrivò il giorno in cui Candy percepì il suo secondo stipendio e adesso sapeva cosa fare. Ringraziata e salutata la signora Legan con un inchino Candy uscì dalla stanza e, constatato di essere sola, si nascose la busta con i soldi dentro la camicetta, e poi si diresse in cucina per dare una mano a organizzare il pranzo.

Quando fu l’ora del suo intervallo quotidiano, uscì di corsa dalla casa e dal giardino prendendo la direzione del paese di Lakewood. 

La cittadina era abbastanza distante dalla villa dei Legan ma Candy non poteva certo usufruire della lussuosa automobile dei suoi padroni, così percorse la strada a un passo deciso e spigliato arrivando in vista delle case in meno di mezz’ora.

 

Chiedendo informazioni a un passante trovò facilmente l’ufficio postale e vi entrò.

Per sua fortuna l’ufficio era quasi vuoto e Candy si diresse verso il primo sportello libero.

-Cosa posso fare per te piccola?- le chiese l’impiegato, un uomo sui quarant’anni evidentemente intenerito e incuriosito dall’insolita cliente.

-Buongiorno signore. Devo fare un vaglia telegrafico a questo indirizzo.- rispose lei porgendo una busta all’uomo, 

-E inoltre vorrei anche spedire quella lettera allo stesso indirizzo.-

-Va bene piccola, e… dove sono i soldi che devi spedire?-

Candy tirò fuori la busta dopo essersi sbottonata la camicetta, suscitando così prima la sorpresa e poi l’ilarità nei presenti.

-Sei prudente! Ma… non credi che dovresti allacciarti la camicetta adesso?-

Candy diventò di mille colori prima di riallacciarsi la camicetta. Poi prese la ricevuta del versamento dall’impiegato allo sportello e uscì dall’ufficio postale.

 

-Ciao.-

Candy si girò, la voce apparteneva a un ragazzo di circa sedici o diciassette anni di età.

-Ciao ma… ci conosciamo?-

-Tu stai dai Legan vero?-

-Si signore, lavoro come cameriera presso la famiglia Legan… ora mi ricordo! Lei è venuto la settimana scorsa in visita ai signori.-

-Si certo, insieme a mio fratello Archibald. Siamo venuti a trovare nostro zio Raymond, che è sempre in viaggio per affari.-

-E io vi ho portato il tè, e per poco non ve l’ho rovesciato addosso.-

Il ragazzo ridacchiò.

-Già, proprio così. E a momenti mia zia e quella vipera della figlia non ti hanno mangiata viva!-

-Ci sono abituata! La signora Legan è una persona severa, ma non è una cattiva padrona. Sono i figli quelli che non si sopportano!-

-Puoi dirlo forte piccola! Anch’io non ci vado d’accordo. Stai andando a casa?-

-Si signore, anzi sarà meglio che mi avvii, fra meno di un’ora devo stare al servizio di sua cugina.-

-Oh andiamo! “Signore” dillo a tuo nonno! Io mi chiamo Alistear Cornwell, ma puoi chiamarmi Stear, come fanno tutti.-

-Grazie Stear, io mi chiamo Candice White, ma puoi chiamarmi Candy.-

-Vieni Candy, ti accompagno con la macchina.-

-Wow che bello! Così mi risparmio una camminata!-

Poco dopo Stear e Candy sedevano su una macchina che sembrava aver visto tempi migliori.

-Quanti anni hai Candy?-

-Tredici e tu?-

-Io ne ho diciassette, ma come mai lavori così giovane?-

-Vengo da un orfanotrofio nell’Indiana. I Legan mi hanno offerto di lavorare per loro e dal momento che l’orfanotrofio dove vivevo se la passava male ho accettato.-

-Come ti trovi dai Legan Candy?-

-Insomma… ho già detto che la signora Legan non è cattiva in fondo, è solo molto rigida. I figli invece… in certe giornate sembrano non avere altro scopo nella vita che rovinarla a me, ma ormai ho imparato a ignorare le loro cattiverie.

In compenso vado molto d’accordo con la servitù, sono brave persone che mi vogliono bene.-

Stear era visibilmente commosso, anche lui era stato molto solo nella sua vita, con quei genitori sempre in giro per il mondo e lui e suo fratello affidati alla zia Elroy, ma quella bambina…

-Posso chiederti cosa facevi all’ufficio postale Candy?-

La bambina arrossì

-Tu eri lì dentro? E... mi hai vista mentre…-

Stear proruppe in una risata

-Si ti ho vista, cosa nascondevi Candy?-

Candy pensò che non era bene raccontare i fatti suoi a uno sconosciuto ma sentì di potersi fidare di quel ragazzo.

-Ho spedito i soldi del mio stipendio alla Casa di Pony.-

Stear non aveva parole.

-Tu dove abiti Stear?-

-Abito alla villa degli Ardlay poco distante dalla casa dei Legan Candy.-

-è la villa del cancello pieno di rose?-

-Sì è quella…- lo sguardo del ragazzo esprimeva un dolore profondo e Candy lo percepì.

Ormai erano giunti in vista proprio del cancello delle rose, e davanti al cancello c’era un ragazzo vestito molto elegantemente che fece cenno a Stear di fermarsi. Candy lo riconobbe, era l’altro ragazzo venuto in visita dai Legan la settimana prima.

Stear fermò la macchina.

-Candy, ti presento mio fratello, Archibald Cornwell.-

-Onorata signore.-

-Ma quale “signore” Candy! Chiamami Archie.-

-D’accordo Archie.-

-Stear, so che sei appena stato in città, ma dovremmo tornarci, la zia Elroy ha bisogno di una medicina che non abbiamo in casa.-

-Va bene.- sospirò Stear –Dammi solo il tempo di riportare Candy a casa...-

-Oh non preoccuparti Stear! La casa dei Legan è qui vicino e io ho buone gambe! Grazie del passaggio, sei stato gentilissimo! Ci vediamo presto!-

E prima che i due ragazzi potessero dirle qualcosa, la piccola Candy era già scomparsa dietro la curva che portava alla villa dei Legan.

 

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Capitolo 5
*** Non piangere bambina ***


Candy piangeva sconsolata: Annie, la sua dolce e cara Annie se n’era appena andata dalla Casa di Pony. Era stata adottata da una ricca famiglia, che però di lei non aveva voluto saperne a causa del suo temperamento troppo vivace e mascolino.

Dopo che la macchina aveva lasciato la Casa di Pony portando via per sempre la cara Annie, Candy era scappata via, in cima alla collina vicina all’orfanotrofio.

Poi si era messa a piangere ai piedi del grande albero, dove amava tanto arrampicarsi. Aveva pianto tanto, senza nemmeno accorgersi della pioggia che aveva iniziato a cadere.

Poi la pioggia era cessata, si era trattato di un breve piovasco. Candy giaceva a terra a faccia in giù.

Una voce sembrò risuonarle in testa proveniente dal mondo dei sogni.

-Non piangere bambina.-

Aveva alzato gli occhi e aveva visto lui: un bellissimo ragazzo biondo vestito in modo strano, sembrava un principe. Aveva con sé uno strano oggetto…

 

Candy si svegliò di soprassalto. Sentì chiudersi la porta della sua stanza e accese il lumino sul comodino vicino al suo letto.

La stanza era vuota.

Il barattolo vuoto sul tavolo era caduto per terra. Si alzò dal letto e andò a raccoglierlo. Si avvide così che l’armadio dove teneva le sue poche cose era semichiuso, eppure lei era sicura di averlo chiuso per bene. 

Lo aprì e si avvide che i suoi vestiti erano stati spostati.

Un sogghigno si dipinse sul suo volto:

-Stavolta vi ho fregato, brutti bastardi!- disse a mezza bocca.

Poi strinse la croce che portava al collo, quella croce che Miss Pony e Suor Maria le avevano regalato il giorno che aveva lasciato la Casa di Pony. Il pensiero delle due buone donne che l’avevano allevata, la fece piangere.

-Perdonatemi, ma non ci riesco proprio ad amare il mio prossimo, non quando vedo tanta cattiveria.-

Poi si rimise a letto.

 

Il giorno dopo, subito dopo le lezioni quotidiane, Candy fu convocata dalla signora Legan nello studio del marito.

Candy entrò nella stanza, insieme alla signora c’era anche suo marito che in quei giorni stava a casa.

-Mi ha fatto chiamare signora?-

-Si Candy, siedi pure.-

La bambina si sedette un poco intimorita, che accidenti volevano da lei?

Fu il signor Legan a parlare

-Candy, tu conosci Archibald e Alistear Cornwell?-

-Si signore, sono i vostri nipoti che vivono alla villa degli Ardlay.-

-Come e quando li hai conosciuti?-

-Beh, li ho visti la prima volta qui in casa vostra, erano venuti a trovarvi e per poco non gli rovesciai il tè addosso.-

L’uomo sorrise intenerito.

-Poi ieri, durante il mio intervallo quotidiano, sono stata in città all’ufficio postale e al ritorno Stear… voglio dire, il signor Alistear, mi ha gentilmente dato un passaggio, e quando siamo arrivati davanti alla villa degli Ardlay mi ha presentato anche Archie… voglio dire…-

Il signor Legan rise.

-Ascolta Candy. Se hai fatto amicizia con Archie e Stear sono solo affari tuoi, se loro stessi ti hanno detto di chiamarli Archie e Stear, tu chiamali Archie e Stear.

Mia moglie è molto soddisfatta del tuo lavoro anche se forse non te lo dirà mai, e  come passi il tuo tempo libero non ci riguarda.-

-Grazie signore.-

-Sai che Sabato prossimo gli Ardlay danno un ricevimento a casa loro?-

-Si signore, ne ho sentito parlare.-

-Archie e Stear ti vogliono alla festa.-

-Ah certamente, anche altri miei colleghi sono stati convocati per servire a quel ricevimento, sarò lieta di dare una mano.-

-No Candy, mi hai frainteso: tu sei stata INVITATA. Verrai con noi al ricevimento come ospite.-

Candy rimase di stucco

-Io… invitata… al ricevimento… degli Ardlay?-

-Si, proprio così Candy.- 

confermò la signora Legan.

-Ma… io non ho un abito adatto… io…-

-Non ha molta importanza.- rispose il signor Legan -Potremmo chiedere a Elisa di prestarti uno dei suoi, avete più o meno la stessa taglia, ma potrai venire anche vestita in modo più informale. Siamo pur sempre nel 1937 e i tempi stanno cambiando.-

-Va… va bene signori… ora con permesso io tornerei al mio lavoro…-

-Un’altra cosa Candy.- la fermò la signora Legan –Hai detto che ieri sei stata in città da sola a piedi. Posso chiederti il perché?-

Candy esitò un istante, poi ritenne opportuno di rispondere.

-Dovevo andare all’ufficio postale per fare un vaglia telegrafico alla Casa di Pony.-

I signori Legan inarcarono gli occhi per lo stupore.

-Un… vaglia telegrafico alla Casa di Pony?-

-Sì signora, ho spedito il mio stipendio a Miss Pony e Suor Maria, a me bastano vitto, alloggio e un’adeguata educazione.

Con permesso signori.-

Dopo un breve inchino la bambina uscì dallo studio. 

 

La “signorina” Elisa ingoiò a stento il rospo, ma causa ingiunzione paterna, dovette rassegnarsi e imprestò a Candy uno dei suoi vestiti.

Per tutto il periodo che precedette il ricevimento a casa degli Ardlay, fra le due ragazze l’aria fu particolarmente tesa: sembrava quasi che Elisa non avesse altro scopo nella vita che rispondere male a Candy e cercare di metterla in cattiva luce. 

Persino Neal ebbe presto a noia quel gioco di dare fastidio a Candy sempre e comunque.

Per sua fortuna Candy aveva imparato a non raccogliere le provocazioni dell’arrogante coetanea e tutto seguitò a filare liscio.

 

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Capitolo 6
*** per lei non ci sarà nessun principe azzurro ***


Venne infine il giorno del ricevimento a casa degli Ardlay. In quei giorni Candy si era informata sul conto di quella importante famiglia. Anche gli Ardlay venivano da Chicago, ed erano imparentati sia pure alla lontana con i Legan.

Le loro origini erano scozzesi o irlandesi, fra i servitori di casa Legan giravano voci contradditorie in merito, ma si sapeva di sicuro che erano una famiglia ricca e influente, con le mani in pasta nei consigli d’amministrazione di molte banche e società finanziarie. 

Il capofamiglia era un tale William Ardley, uno strano personaggio amante della solitudine che stava sempre in viaggio per affari e che a casa non si vedeva mai. Correva voce che anche l’anziana signora Elroy, che spesso veniva in visita dai Legan, seguisse da vicino gli affari di famiglia.

Si diceva anche che le due famiglie avessero in progetto di tornare a vivere a Chicago, città dove si concentrava la maggior parte dei loro interessi.

Candy era preoccupata da quella prospettiva: che diavolo avrebbe fatto se i Legan non l’avessero portata con loro a Chicago? Ma gli altri servitori la tranquillizzarono, esisteva un accordo preciso fra la famiglia Legan e la Casa di Pony, i Legan erano a tutti gli effetti, i tutori di Candy e dovevano prendersene cura. Quindi Candy poteva star sicura che sarebbe stata condotta a Chicago in caso di trasferimento.

 

La lussuosa macchina dei Legan entrò nel cancello delle rose. Il signor Crusher parcheggiò la macchina seguendo le indicazioni di uno dei servitori degli Ardlay, così che gli occupanti della vettura scesero da essa.

Candy si sentì chiamare a gran voce, erano i suoi amici Stear e Archie,

-Ciao Stear! Ciao Archie!-

-Ciao Candy! Benvenuta!- La salutò Archie

Stear fischiettò nel vederla

-Caspita Candy, che eleganza!-

Lei arrossì.

-Grazie Stear, questo vestito mi è stato imprestato dalla signorina Elisa, è stata molto generosa con me.-

I due fratelli si scambiarono una fugace occhiata come a dirsi “Sì, come no?”. Ben conoscevano il carattere e l’arroganza dei cugini.

-Anche voi ragazzi, siete davvero eleganti. Sembrate quasi…-

Avrebbe voluto dire “il mio principe della collina”, ma si trattenne.

-Sembriamo quasi… cosa?-

Candy sorrise 

-Niente Stear, non farci caso. Sono davvero molto belli i vostri kilt scozzesi.-

-Tu conosci i kilt Candy?-

-Si certo, i signori Legan mi permettono di seguire le stesse lezioni che segue la signorina Elisa, e proprio pochi giorni fa abbiamo parlato della Scozia. E poi… tanti anni fa avevo visto un ragazzo vestito come voi…-

 

-è una cornamusa, uno strumento tipico della Scozia.- le aveva spiegato il principe.

-Adesso te lo faccio sentire.- 

E aveva suonato per lei una musica popolare scozzese.

-Sembra un suono di lumache che strisciano.- aveva cinguettato la piccola Candy suscitando l’ilarità del ragazzo e ridendo anche lei.

-Lo sai che sei più carina quando ridi che quando piangi?-

 

Sulla parete dietro a Stear, Candy vide una fotografia appesa al muro, e rimase di stucco. 

-Cosa guardi Candy?- le chiese Stear

-Quella fotografia…-

Stear e Archie sembrarono rattristarsi.

-Chi è quel ragazzo?-

-Quello è nostro cugino, Anthony Brown.- spiegò Archie con tristezza.

-Io l’ho già visto.-

I due fratelli squadrarono Candy con curiosità.

-Tanti anni fa, ne avrò avuti otto, incontrai quel ragazzo vicino all’orfanotrofio dove sono cresciuta. Indossava anche lui un costume scozzese e suonava la cornamusa.-

-Avresti incontrato Anthony?- l’espressione di Archie esprimeva stupore.

-Sì certo, era proprio lui, adesso immagino che sarà più grande di quella foto.-

-Candy, è impossibile.- disse Stear

-E perché?-

-Quella fotografia è dell’anno scorso, quando Anthony aveva quindici anni. Quando tu ne avevi otto Anthony ne avrà avuti al massimo undici.-

-Beh, allora non poteva essere lui. Ma dov’è adesso?-

I due ragazzi si incupirono ancora di più.

-è morto tre mesi fa, cadendo da cavallo.- fu la risposta di Stear che non riuscì a fermare una lacrima.

-Io… io… mi dispiace ragazzi… sono una stupida… io…-

-Figurati Candy.- la tranquillizzò Archie –Non potevi saperlo.-

 

Poco dopo Candy e i suoi amici sedevano a un tavolino all’aperto sorseggiando un bicchiere di spumante.

Candy aveva raccontato ai due ragazzi la storia del “principe della collina”, così come lo aveva soprannominato lei.

-Non so chi fosse quel ragazzo, ma sicuramente non poteva essere Anthony.- commentò Archie dopo aver sentito il racconto della sua piccola amica.

-E chi era allora? Questo ragazzo aveva un fratello maggiore?-

-Non che noi si sappia.- rispose Stear –Anthony era figlio unico, sua madre morì quando lui era piccolo e suo padre si è sempre disinteressato a lui preferendo viaggiare per mare. Così Anthony è cresciuto qui insieme a noi sotto la tutela della zia Elroy. Anche i nostri genitori sono sempre in viaggio…

Anthony era un appassionato di botanica… le rose del cancello… le coltivava lui.-

Candy provò pena per quei ragazzi, lei non aveva mai conosciuto i suoi genitori, loro sì, ma era come se non li avessero.

-Ragazzi, non mi presentate la vostra giovane amica?-

La voce apparteneva a una distinta signora di una certa età arrivata alle spalle di Candy.

Lei si alzò e anche i suoi amici.

-Zia Elroy, questa è Candice White, una nostra amica che lavora presso la famiglia Legan.-

-Onoratissima signora Ardlay.-

-Che lavoro svolgi presso i Legan Candice?-

-La prego, mi chiami Candy come fanno tutti. Sono la cameriera personale della signorina Elisa.-

-Una cameriera? E perché i Legan hanno portato una cameriera a questo ricevimento?- la signora sembrava infastidita e Candy non sapeva bene come comportarsi. Per fortuna i suoi amici intervennero.

-L’abbiamo invitata noi zia.- spiegò Stear –Abbiamo conosciuto Candy qualche giorno fa e abbiamo pensato di invitarla qui.-

-Sei molto giovane.-

-Ho tredici anni signora.-

-Da dove vieni Candy?-

-Vengo da un orfanotrofio nell’Indiana. I signori Legan mi hanno presa a lavorare per loro.-

-Sei un’orfana… ma hai anche buone maniere.-

-La ringrazio signora. La famiglia Legan mi permette generosamente di studiare insieme alla signorina Elisa.-

La signora sembrò squadrare Candy per un lunghissimo istante.

-Vi lascio alla vostra conversazione ragazzi, divertitevi.-

Così detto girò le spalle e se ne andò.

-Complimenti Candy!- disse Archie –Hai fatto una buona impressione sulla zia e non è per niente facile! La zia è una brava donna, per noi è stata come una madre, ma ha anche una certa… puzza sotto il naso.-

Candy pensò alla signora Legan e alla “signorina” Elisa: anche loro non scherzavano mica in fatto di “puzza al naso”

-Già, me ne intendo di nasi… puzzosi…-

I tre amici risero insieme.

 

Poco dopo, nel salone della villa iniziarono le danze e Candy poté ballare alternativamente insieme ai suoi amici. Era la prima volta in vita sua che ballava, e il suo stile non era proprio aggraziato, così che pestò di una volta i piedi a entrambi i suoi cavalieri.

Ma poi nel corso della serata sembrò quasi imparare l’arte del ballo, così che gli invitati la videro destreggiarsi con grazia fra le braccia dei suoi amici.

I commenti dei presenti non erano sempre benevoli, molti di loro vedevano di malocchio quella cameriera che osava fraternizzare con i rampolli di una delle più importanti famiglie degli Stati Uniti.

Lo sguardo della signora Elroy era impassibile ma sembrava lasciar trasparire una sorta di compiacimento, quasi avesse preso in simpatia quella bambina orfana.

 

Elisa schiumava dalla rabbia: il fatto che quell’antipatica le rubasse la scena non le andava proprio giù.

-Quella sfrontata!- si sfogò con il fratello

-Lasciala stare Elisa! Che si goda la sua serata di gloria, da domani tornerà a essere la Cenerentola di casa nostra e per lei non ci sarà nessun principe azzurro.-

La perfida ragazzina sogghignò alle parole del fratello.

 

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Capitolo 7
*** Voglio tornare a casa ***


I giorni successivi furono molto duri per Candy, la “signorina” Elisa divenne sempre più insopportabile, e in più di un’occasione Candy avrebbe voluto suonargliele. 

La bambina però era troppo intelligente per raccogliere quelle provocazioni, capiva benissimo che gliene sarebbero derivati solo guai, ma un giorno i due perfidi fratelli gliela combinarono davvero grossa.

 

Quella mattina la signora Legan l’aveva convocata nello studio, e le aveva consegnato una lettera per lei.

-è una lettera della Casa di Pony!- cinguettò lei al culmine della felicità –Grazie signora Legan! La leggerò oggi pomeriggio!- e se ne andò via quasi saltellando sotto lo sguardo divertito che la signora Legan celava a stento dietro la sua consueta maschera di impassibilità.

 

-Toh, guarda la plebea Neal!-

-Credo che sia arrivata posta per lei, prima Dorothy ha portato la corrispondenza alla mamma, e ho visto il nome della nostra servetta su una delle buste.-

-Sicuramente la leggerà nel suo intervallo. Questo mi dà un’idea…-

 

Infatti nel pomeriggio, dopo aver finito il suo lavoro in cucina, Candy andò a sedersi in riva allo stagno e si mise a leggere la sua lettera.

 

“Carissima Candy.

Io e Suor Maria ti siamo infinitamente grate per averci mandato i tuoi soldi, ma non vogliamo che tu lo faccia.

Tu lavori duramente per quel denaro e quei soldi devono restare a te.

Siamo contente che tu ti trovi bene con i Legan, ma se così non dovesse essere vogliamo che tu sappia che le porte della nostra casa saranno sempre aperte per te…”

 

All’improvviso qualcuno le strappò la lettera di mano. Lei alzò lo sguardo e incrociò quello ferocemente sogghignante di Neal Legan.

-Rendimi subito quella lettera Neal Legan!-

Tuonò lei alzandosi in piedi

-Hai sentito Neal? Ti ha chiamato per nome! Ma come si permette questa serva?-

Lei si avventò su Neal ma lui fu lesto a schivarsi.

-Ti ridarò questa stupida lettera a patto che tu me lo chiedi per favore e mi chiami signor Legan.-

La piccola Candy fremette, ma si decise a ingoiare anche quel rospo.

-Per favore signor Legan, mi renda la mia lettera…- 

Davanti alle sue lacrime un compiaciuto Neal sembrò deciso a restituirle la lettera, ma ecco che dalla tasca del vestito di Candy cadde qualcosa.

-E questa cos’è?- starnazzò Elisa dopo aver raccolto l’oggetto caduto per terra

-A chi l’hai rubata questa spilla?-

-Non l’ho rubata… quella spilla è mia…-

 

Mentre rideva insieme a quel ragazzo con il costume scozzese e la cornamusa, Candy si sentì chiamare.

-Questa è Suor Maria. Mi sta cercando, aspettami qui per favore.-

-Candy! Dove ti sei cacciata accidenti a te!-

-Eccomi Suor Maria! Sono qui!-

-Perché non sei tornata a casa quando ha cominciato a piovere?-

-Mi scusi Suor Maria, non mi ero accorta che stava piovendo e poi c’era quel ragazzo…-

-Quale ragazzo?-

Candy si voltò e il “principe” era sparito.

Vide qualcosa che scintillava per terra, lì dove prima c’era il ragazzo.

Si chinò e vide una spilla a forma di aquila con una lettera A in rilievo…

 

-La prego signorina… quella spilla non l’ho rubata… me la ridia… per favore…-

-Lo sai cos’è questo simbolo? È l’emblema della famiglia Ardley! Come fai ad averla tu?-

-Eddai Elisa, finiamola! Glie l’avranno regalata Archie e Stear.-

Elisa buttò la spilla per terra e Neal fece lo stesso con la lettera.

La povera Candy si inginocchiò per raccogliere la spilla e la lettera, e i due perfidi fratelli dopo averla squadrata con disprezzo, se ne andarono lasciandola lì in lacrime.

Raccolte le sue cose Candy si alzò e corse via uscendo dal cancello e dirigendosi verso la campagna aperta.

-Non voglio più stare in questa casa- singhiozzava –Non voglio!-

Corse a lungo con gli occhi offuscati dalle lacrime fino a che le resse il fiato, e quando si fermò si accorse di essere in riva a un fiume.

 

-No, non devo piangere… se piango vuol dire che hanno vinto loro… me ne andrò di qui… ma non piangerò più… non piangerò…-

Si sentiva stanca, spossata, avvilita come mai si era sentita, e sì che di brutti momenti in quella casa ne aveva passati.

Nella testa le risuonarono le parole che Miss Pony le aveva scritto “le porte della nostra casa saranno sempre aperte per te…”.

-Si, voglio tornare a casa, alla mia casa… non voglio più stare in questo posto…-

Si sentì mancare e perse i sensi, cadendo esanime nelle acque del fiume.

 

Aprì gli occhi, e avvertì il calore di un fuoco da campo vicino a lei. Ormai era scesa la notte.

-Dove… sono?-

-Finalmente ti sei svegliata! Mi hai fatto preoccupare lo sai?-

Candy riuscì a sollevarsi e vide un uomo vicino al fuoco, un giovane uomo biondo con barba e baffi.

-Chi sei? Cosa faccio qui?-

-Io mi chiamo Albert, passavo vicino al fiume e ho visto che stavi per annegare. Così mi sono buttato in acqua e ti ho portato a riva. 

Un altro po’ e non avrei potuto fare niente, poco più a valle c’è una cascata e se ci fossi finita dentro saresti stata perduta.-

-Grazie… per avermi salvato la vita Albert…-

-E tu come ti chiami?-

-Io sono Candice White, ma puoi chiamarmi Candy, come fanno tutti.-

-Come sei caduta nel fiume Candy?-

-Sono svenuta e ci sono caduta dentro.-

-E che ci facevi in riva al fiume?-

-è una lunga storia Albert.-

-Facciamo così: ho appena finito di cucinare questi gustosissimi fagioli, mentre mangiamo me la racconti, ok?-

 

Poco dopo mentre mangiavano, Candy raccontò al misterioso Albert le sue traversie presso i Legan.-

-Accidenti che gran bastardi questi Legan!- esclamò Albert suscitando un sorriso nella piccola Candy.

-In realtà la signora Legan non è una cattiva padrona, un po’ severa questo sì, ma a modo suo è una persona giusta. Sono i figli i veri bastardi, quelli non si sopportano proprio!-

-Già, ma anche i genitori che non li riempiono di schiaffi hanno le loro colpe.-

-Comunque non voglio più tornare in quella casa.-

-E dove andrai Candy? Hai un posto dove andare?-

-Posso tornare all’orfanotrofio dove sono cresciuta.-

-Tu stessa hai detto che non è proprio vicino, e un viaggio da sola a piedi può essere molto pericoloso per una ragazzina come te.-

-E cosa dovrei fare? Tornare in quella casa a farmi tormentare da quei due maledetti?-

-Potresti cercare un altro lavoro qui a Lakewood, o al limite potresti pagarti un viaggio più sicuro con i soldi dei prossimi stipendi. Quello che voglio dirti Candy, è di non fare mosse avventate capisci?-

Candy annuì, il suo nuovo amico aveva ragione.

-Prima, quando ti ho adagiata per terra, ti è caduta questa.-

Albert aprì la mano rivelando la spilla del “principe della collina”.

Proprio in quel mentre udirono delle voci che la chiamavano.

-Archie! Stear! Questi sono i miei amici che mi stanno cercando!-

-Bene, sarà meglio che vada allora, riprenditi la tua spilla Candy.-

-Perché te ne vai Albert? Resta!-

-è meglio che non mi vedano, io… è lunga da spiegare, ma preferisco non farmi vedere da quelle persone.-

-Albert io…-

-Ci rivedremo Candy, ti prometto che ci rivedremo presto.-

Così detto il misterioso Albert sparì nella boscaglia, proprio un istante prima che qualcuno emergesse dagli arbusti alle spalle di Candy.

-Ah, ti abbiamo trovata finalmente!-

Candy si rabbuiò

-Cosa vuole da me signor Legan?-  

-Avanti Candy! Lo so che abbiamo esagerato e mi dispiace, ma adesso torniamo a casa.-

-Quella non è la mia casa signor Legan!-

-Va bene, se te ne vuoi andare sono sicuro che la mamma ti aiuterà, ma adesso che pensi di fare? Dormire in mezzo al bosco?-

-Nostro cugino non ha tutti i torti Candy.-

La voce era quella di Stear, emerso insieme a suo fratello dalla boscaglia.

-Torniamo indietro, e domani a mente fredda avremo modo di parlare- le disse di nuovo Neal Legan. Non lo aveva mai visto così accomodante.

Infine la piccola Candy si convinse: da sola non poteva andare da nessuna parte.

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Capitolo 8
*** una pezzente trovatella come te ***


-Quello che hai fatto ieri è gravissimo Candy!-

La voce della signora Legan seduta vicino alla sua radio era tagliente come una lama.

-Neal ed Elisa hanno ammesso di aver esagerato, e io posso anche riconoscere di aver lasciato troppa mano libera ai miei figli, ma ti rendi conto che se ti fosse successo qualcosa noi Legan ne saremmo stati ritenuti responsabili?

Cosa avrebbe detto la Casa di Pony se tu fossi annegata in quel fiume?-

-So di aver fatto una cosa sbagliata signora, e sono pronta ad andarmene da questa casa se lei lo vorrà.-

-Non è così semplice ragazza. In base agli accordi presi con il tuo orfanotrofio noi siamo a tutti gli effetti i tuoi tutori legali, e non possiamo cacciarti via tanto facilmente!-

-Posso andarmene io, Miss Pony e Suor Maria sono sempre disposte a riprendermi con loro.-

La signora sembrò pensarci su per un istante.

-Ascoltami Candy, per questa volta lasciamo correre. Ti prometto che non permetterò più ai miei figli di trattarti in quel modo. Sei una brava ragazza e una buona lavoratrice, mi dispiacerebbe perderti. 

Continuerai a seguire le lezioni private insieme a mia figlia, ma non sarai più addetta al suo servizio personale. Lavorerai in cucina, dove aiuterai la signora Laforge, che ne dici? 

In fondo devi ammettere che in questa casa non ti abbiamo trattato male, e qui hai anche degli amici.-

Candy sembrò pensarci su, la signora Legan non aveva tutti i torti. Gli unici a trattarla male in quella casa erano stati i due rampolli, e se lei prometteva di tenerli a bada perché non crederle?

-Va bene signora, mi rendo conto di aver sbagliato anch’io e me ne scuso. Accetto la sua proposta.-

-Molto bene Candy, raggiungi pure mia figlia per la vostra lezione, poi da oggi stesso lavorerai a tempo pieno in cucina, e continuerai a godere le tue due ore di pausa.-

-La ringrazio signora.- disse Candy inchinandosi.

 

Da quel giorno le cose migliorarono sensibilmente per la piccola Candy. Con Neal ed Elisa i rapporti erano freddi, per non dire glaciali, ma almeno quei due odiosi rampolli la lasciavano in pace, la signora Legan aveva mantenuto la sua parola.

Certo, il nuovo lavoro in cucina era faticoso, ancora più che stare appresso a quell’odiosa “signorina“ Elisa ma Candy era contenta.

I domestici le volevano bene, la signora Legan la rispettava, i due odiosi la lasciavano in pace, e i suoi amici Archie e Stear la venivano spesso a trovare e qualche volta la portavano con loro in città con la macchina.

 

Passò così un mese e Candy si sentiva felice, le cose giravano per il verso giusto.

Un giorno la signora Legan la chiamò.

-Candy, oggi pomeriggio verranno a trovarci ospiti importanti che si tratterranno qui per una notte. Tu sarai addetta al loro servizio, ho già avvertito la signora Laforge.-

-Ai suoi ordini signora.-

-Devo chiederti di rinunciare alla tua pausa quotidiana, solo per oggi Candy. E ti chiedo anche di rinunciare alla lezione di domani mattina, potrai recuperarla con calma.-

-Ma certo signora, non c’è nessun problema. Posso chiederle chi sono queste persone?-

-Sì certo, sono la signora Brighton e sua figlia Annie.-

A Candy sembrò che il cuore le si fermasse.

 

La macchina si fermò proprio davanti alla rampa d’ingresso alla casa e uno dei servitori di casa Legan si precipitò ad aprire la portiera.

Candy rimase senza fiato a vedere la giovane ragazza dai lunghi capelli neri che ne scese.

Non si trattava di un’omonimia, era proprio lei, Annie, la sua cara Annie.

 

-Non ti dimenticherò mai Annie.-

-Nemmeno io Candy. Giuro che ti scriverò tutti i giorni.-

Poi Annie era salita sulla macchina dei signori Brighton, i suoi genitori adottivi, e la macchina era partita lasciando la piccola Candy con gli occhi pieni di lacrime a guardare un pezzo della sua vita andarsene per sempre.

 

Naturalmente nessuna lettera era mai arrivata da parte di Annie, e Candy infine aveva continuato la sua vita alla Casa di Pony, fino al giorno in cui la famiglia Legan le aveva proposto di andare a lavorare per loro.

La signora Legan accolse le due ospiti con un largo sorriso e con fare caloroso.

-Signora Brighton, benvenuta nella nostra casa! Anche a te Annie! Ma come sei cresciuta! L’ultima volta che ti ho vista eri alta la metà.-

La ragazza sorrise stringendo la mano della signora, ma appariva a disagio.

-Vi presento Candy, una delle nostre migliori cameriere, sarà a vostra disposizione per tutto il tempo della vostra permanenza. Candy, per cortesia, accompagna le nostre ospiti nella loro stanza.-

Candy non si muoveva, come imbambolata

-Candy?- disse la signora accigliandosi così che lei si scosse

-Certo signora, mi scusi. Prego Signora Brighton, signorina, vogliate seguirmi.-

Guidò le due importanti ospiti lungo le scale e il corridoio del piano superiore fino alla stanza loro riservata.

-Siamo arrivate, questa è la vostra stanza.- disse Candy aprendo la porta e introducendo la sua cara Annie e la madre adottiva nella stanza.

-Lì c’è il bagno, e quello è l’armadio dove sistemerò le vostre cose appena le portano in stanza.-

-Per carità Candy.- le disse la donna sorridendole. –Non disturbarti, resteremo solo una notte e le poche cose che abbiamo con noi possiamo sistemarcele da sole.-

-Come desidera signora. Farò subito portare il vostro bagaglio.

La signora Legan vi aspetta nel salone per un tè appena vi sarete sistemate.-

Dopo essersi profusa in un inchino Candy uscì dalla stanza diretta al piano di sotto. Sulla scala incontrò Elisa, era dal giorno dell’incidente al fiume che le due ragazze praticamente non si parlavano.

-Sai Candy? La signorina Brighton è un’orfana, i suoi genitori l’hanno adottata.-

Candy fremette: che voleva quella vipera?

-Oh, ma lei era di buona famiglia, i suoi genitori naturali erano persone molto ricche, non era mica una pezzente trovatella come te.-

Guardando la perfida ragazzina allontanarsi ridendo di lei, Candy ebbe un moto di rabbia e provò un sincero desiderio di cospargerla di miele e darla in pasto alle formiche rosse.

Non cambierai mai brutta bastarda, fu il poco cristiano pensiero che le attraversò la mente. 

 

Per tutto il pomeriggio Candy fu impegnata a servire e riverire le due Brighton e mantenne un contegno sempre professionale e distaccato, anche se in ogni istante doveva combattere contro l’impulso di correre ad abbracciare quella che per molto tempo aveva considerato come una sorella.

Vederla poi così felice, così serena e così distaccata con lei, la faceva star male, ma fu abile a dissimulare la tempesta di sentimenti che si agitava dentro di lei.

 

Quella sera Candy servì la cena alle ospiti rimanendo sempre in piedi e immobile pronta a obbedire a ogni richiamo della padrona di casa. Neal evitava il suo sguardo, dal giorno dell’incidente al fiume il ragazzo sembrava aver cambiato atteggiamento verso di lei, sembrava quasi volerla rispettare.

Elisa invece le riservava ogni tanto occhiate irrisorie e malevole, quasi avesse intuito lo stato d’animo della piccola Candy.

 

La cena finì, e mentre Candy aiutava a sparecchiare la tavola, i Legan e le loro ospiti si accomodarono su un divano in una stanza attigua.

Su richiesta della signora Legan Candy portò il tè, e Annie le chiese dov’era il bagno.

-Venga signorina, la accompagno.-

Chiesto e ottenuto il permesso di alzarsi, Annie seguì Candy lungo un corridoio e, accertatasi che fossero sole, rivolse a Candy una frase non proprio benevola.

-Se dirai da dove vengo ti odierò per sempre Candy!-

Candy si girò verso la ragazza dai capelli neri e il suo sguardo esprimeva dolore e sgomento. Annie invece aveva un’espressione dura, intimidatoria.

Candy non disse una parola, non ne era in grado. Riuscì solo ad abbassare lo sguardo in segno di sottomissione.

 

Anche il giorno successivo Candy fu completamente a disposizione delle Brighton, fino al momento della partenza che avvenne subito dopo pranzo. 

Prima di salire in macchina la signora Brighton si avvicinò a Candy che aveva appena caricato il bagaglio.

-Ti ringrazio Candy, sei stata davvero gentile ed efficiente.-

“gentile ed efficiente” Candy sentiva di stare per scoppiare, ma si limitò a fare un inchino e ringraziare la signora, che le diede qualcosa in mano: una banconota da un dollaro.

-Ma Signora, io…-

-Tieniti quel dollaro Candy!- le disse la signora Legan –Te lo sei guadagnato!-

-Grazie Signora Brighton. Vi auguro buon viaggio. Signorina…-

 

Quando la macchina uscì dal cancello Candy si sentì esausta, la tensione di quelle due giornate si faceva sentire.

-Ritirati pure Candy!- le disse la signora Legan –Hai lavorato sodo questi due giorni e ti esento anche dal tuo lavoro in cucina. Ripresentati per l’ora di cena.-

-La ringrazio signora.-

 

Si incamminò a testa bassa in direzione del cancello, e camminò senza pensare a niente, fino ad arrivare al fiume, nello stesso punto in cui un mese prima era caduta in acqua.

Cominciò a piangere, prima sommessamente e poi singhiozzando. Cadde in ginocchio sull’erba continuando a piangere, e appoggiò le mani a terra.

Qualcuno arrivò da dietro.

-Ehi Candy, vuoi buttarti nel fiume un’altra volta?-

Lei si voltò

-Albert!-

Si alzò e corse ad abbracciare il suo amico continuando a singhiozzare.

 

Poco dopo sedevano insieme sulla riva del fiume, Candy aveva appena raccontato tutto.

-Mi dispiace Candy, mi dispiace veramente tanto, ma cerca di passare oltre.

Vedi Candy, le persone a volte sono come navi in mezzo al mare, si incrociano, magari fanno un pezzo di strada insieme, e poi si perdono di vista.

Capisco che per te questi due giorni siano stati duri, ma non pensarci più. La tua amica Annie ti ha rifiutato, ma è stata lei a perdere qualcosa, credimi.-

-Grazie Albert, mi sei stato di grande aiuto anche stavolta. Sento che io e te abbiamo molto in comune.-

-Lo credo anch’io Candy.-

-Dove vivi Albert?-

-Vivo qui, nel bosco…-

Candy era sconcertata, chi era quell’uomo? Perché sembrava nascondersi a tutto e tutti? Era forse un fuorilegge? 

-Adesso devo andare Candy, ma quando avrai bisogno di me io ci sarò.-

-Come farò a trovarti Albert?-

-Sarò io a trovarti Candy, te lo prometto.-

Poi Albert si alzò e sparì nella boscaglia.

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Capitolo 9
*** come le mani di nessun bambino dovrebbero essere ***


Passò qualche giorno dalla mortificante esperienza con Annie, e Candy riprese i suoi ritmi quotidiani: le lezioni private, il lavoro in cucina, i pomeriggi passati a bighellonare qua e là.

Una mattina, dopo la sua solita lezione, Candy fu convocata dalla signora Legan nel suo studio. Quando fu entrata non fece in tempo a pronunciare il suo canonico “mi ha fatto chiamare signora Legan?” che sentì il cuore fermarsi 

-Suor Maria!- davanti a lei c’era proprio Suor Maria, la buona Suor Maria che per lei era stata come una madre.

Dimentica del bon ton e di ogni forma di autocontrollo, la piccola Candy corse ad abbracciare la sua Suor Maria e a singhiozzarle in petto sotto lo sguardo turbato della signora Legan. 

Alla fine rimaneva sempre una bambina bisognosa di essere trattata come una bambina e non come un’adulta in miniatura.

La signora Legan le concesse la giornata libera in modo da poter stare con Suor Maria, e Candy la portò allo stagno dietro la casa.

 

-Dimmi la verità Candy, come ti trovi qui?-

-Abbastanza bene sorella. All’inizio ho avuto dei problemi con i “signorini” Neal ed Elisa, ma adesso va tutto bene.

La signora Legan è severa ma anche giusta e generosa.

I domestici mi vogliono bene e ho anche due cari amici che abitano qui vicino.-

-Sì, Archie e Stear, la signora Legan mi ha raccontato, ma sei sicura che vada tutto bene?-

-Sì sorella, va tutto bene. Certo, avrei preferito essere adottata, ma almeno qui ho da mangiare e un tetto sulla testa e non peso più sulla Casa di Pony.-

-A questo proposito Candy, io e Miss Pony non vogliamo che tu ci mandi i tuoi soldi.-

-Sempre meglio darli a voi che farmeli rubare!- si lasciò scappar detto Candy.

-Farteli rubare? Che storia è questa?-

 

Candy non poteva nascondersi e raccontò tutto a Suor Maria.

-E tu pensi che siano stati quei due bambocci viziati a rubare i tuoi soldi?-

-Sì lo penso. È una cosa di cui sono più che capaci, ma la prego: non dica niente alla signora Legan. Mi dispiacerebbe sinceramente dovermene andare di qui.-

La buona suora sembrò pensarci su.

-D’accordo Candy, continua pure a mandarci i tuoi soldi, ma sia ben chiaro: noi non spenderemo neanche un centesimo di quel denaro e metteremo tutto da parte, quei soldi sono tuoi e quando sarai più grande ti troverai un piccolo gruzzolo da parte.-

-Sorella io…- cominciò a piangere.

Lo sguardo di Suor Maria cadde sulle mani di Candy, mani segnate dal duro lavoro, screpolate, ferite, come le mani di nessun bambino dovrebbero mai essere.

Nemmeno lei riuscì a trattenere le lacrime e prese quelle mani fra le sue baciandole con tutto l’amore di cui si sentiva capace.

 

Suor Maria e Candy rimasero insieme tutto il giorno, mangiarono insieme alla servitù e trascorsero il pomeriggio in città accompagnate dai soliti Stear e Archie. Con loro e con Suor Maria Candy non era più la cameriera compassata e discreta della famiglia Legan, ma tornava a essere una bambina gioiosa e piena di voglia di vivere.

Di ritorno dalla città Suor Maria dovette andarsene, e la signora Legan la fece accompagnare alla stazione dal signor Crusher.

Prima di salire in macchina Suor Maria si fece promettere da Candy che in occasione dell’Estate ormai imminente, sarebbe andata alla Casa di Pony per una breve vacanza.

La signora Legan si impegnò a concedere a Candy almeno due settimane di vacanza così che il saluto di Suor Maria fu un arrivederci a presto, molto presto.

Nel vederla allontanarsi con la macchina dei Legan, Candy provò la stessa stretta al cuore che aveva provato con Annie, solo che Suor Maria non si vergognava di volerle bene.

 

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Capitolo 10
*** io sono felice ***


La macchina dei Legan si fermò davanti alla Casa di Pony e Candy ne scese a razzo come a volersi beare di quell’aria amica.

Si fermò lì, con le braccia aperte, incapace di trattenere la commozione davanti a quella casa che per lei significava amore, famiglia, felicità.

Miss Pony, la cara Miss Pony, uscì dal vecchio edificio e corse incontro alla sua bambina, che non vedeva da diversi mesi.

Il loro abbraccio fu lungo e commosso e Candy si lasciò andare a un pianto di felicità.

 

Il signor Crusher posò per terra la semplice valigia di Candy.

-Allora siamo d’accordo Candy. Tornerò a prenderti fra due domeniche.-

-D’accordo signor Crusher, la ringrazio e ringrazi per me i signori Legan per avermi messo a disposizione la loro macchina.-

-Sai Candy, credo proprio che ci mancheresti se tu non tornassi più.-

Candy sorrise

-Tornerò signor Crusher. Dai Legan non mi trovo così male in fondo.-

 

Partita che fu la lussuosa automobile dei Legan, Candy entrò in casa: era tutto come lei lo aveva lasciato. 

-Dove sono i bambini Miss Pony?-

-Sono a giocare sulla collina e Suor Maria è con loro, ma dimmi di te Candy…-

Candy parlò a lungo con quella donna cui tanto doveva. Raccontò le sue traversie ma anche le sue gioie. Dai Legan non si trovava male ora che Neal ed Elisa la lasciavano in pace, ma quel posto per quanto potesse darle sicurezza, un tetto sulla testa e qualcosa da mangiare tutti i giorni, non era casa sua. La sua casa era lì, in quell’edificio vecchio e sgangherato, dove due donne meravigliose si prendevano cura di bambini sfortunati come lei.

 

-Ascolta Candy, se non vuoi tornare dai Legan  puoi sempre stare con noi. Alcuni bambini sono stati adottati e noi abbiamo qualche donazione in più, ce la caveremo vedrai.-

Non c’era niente che Candy avrebbe desiderato di più, tornare a casa, a casa sua, dove poteva essere se stessa, dove poteva essere libera.

-Non posso Miss Pony. Sarei la bambina più grande qui e voi avreste difficoltà a mantenerci tutti. Lì ho un lavoro, ho “vitto, alloggio e un’adeguata educazione”- disse queste ultime parole scimmiottando il modo di fare altezzoso della signora Legan.

-E poi lo ha visto anche lei, i domestici mi vogliono bene, e lì ho anche degli amici. Stia tranquilla Miss Pony, io sono felice.-

Proprio in quel momento Candy si sentì chiamare: era la voce di Suor Maria di ritorno dalla collina insieme ai bambini.

Anche con lei l’abbraccio fu lungo e commosso, e anche lei cercò di convincere Candy a restare, ma alla fine le due donne si convinsero che la piccola Candy aveva la sua vita a Lakewood, e che tutto sommato non stava male.

Ovviamente furono irremovibili quando Candy cercò di convincerle a usare i soldi che lei gli mandava: quei soldi erano di Candy e loro li avrebbero soltanto custoditi!

 

Subito dopo pranzo, dopo aver aiutato le sue mamme a sparecchiare e riordinare, Candy si intrattenne con i bambini. Erano una dozzina, la più piccola, Daisy, aveva solo sei anni. Il più grande era John, che lei conosceva bene, e che ora aveva quasi dieci anni.

C’erano due bambini che non conosceva, evidentemente arrivati da poco. Uno si chiamava Jimmy e l’altro Bob. Avevano entrambi perso da poco i genitori e probabilmente per questo motivo erano un po’ scontrosi e irascibili, e litigavano spesso con gli altri bambini.

Candy capì che non poteva intromettersi più di tanto nelle questioni dei bambini, e ricordò con tanta nostalgia le litigate che faceva con Tom ed Annie.

Il solo pensiero di Annie la fece lacrimare e Suor Maria la vide mentre piangeva con la faccia rivolta al sole che tramontava.

-Si tratta di Annie.- le aveva risposto Candy quando la buona suora le aveva chiesto cosa avesse.

Suor Maria era trasalita: erano passati anni da quando Annie se n’era andata e pensava che ormai Candy avesse rimosso quel pur doloroso ricordo.

Ebbe un moto di rabbia quando Candy le raccontò il doloroso incontro di qualche mese prima.

-Quella piccola ingrata! Tu la difendevi sempre, le stavi sempre vicino e lei…- ma poi riuscì a controllarsi.

-Ascoltami Candy, non devi più pensare a lei. Non sei tu che l’hai persa, ma è lei che non ti merita!-

Candy alzò gli occhi pieni di lacrime in direzione della sua benefattrice, e Suor Maria poté vedere in quegli occhi una nuova determinazione.

-Lo so.- rispose semplicemente.

 

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Capitolo 11
*** potrei anche fare l'infermiera ***


La vacanza di Candy era a metà del suo corso, e lei si sentiva troppo felice di stare in quel luogo che l’aveva vista bambina, con le sue benefattrici e quei bambini che poteva ben considerare i suoi fratellini e sorelline.

Riuscì anche a far dare una calmata ai due nuovi arrivati, Jimmy e Bob, e instaurò con tutta la comitiva, un clima cameratesco.

Sarebbe sicuramente tornata a Lakewood, ma era anche sicura che un giorno avrebbe fatto ritorno lì, alla Casa di Pony, e si figurò come futura aiutante di Miss Pony e Suor Maria. 

Vincendo la timidezza ne parlò proprio con loro, e Miss Pony le disse sorridendo:

-Candy cara, è ancora presto per decidere cosa farai veramente nella vita. Adesso questa casa ti sembra il posto più bello del mondo, ma magari un giorno non sarà più così.

Avevi ragione quando dicevi di voler tornare a Lakewood, lì hai un lavoro e ricevi un’istruzione. Fra qualche anno potrai prendere con calma le tue decisioni, e se il tuo desiderio sarà ancora quello di tornare qui a fare l’insegnante di questi bambini noi ne saremo felicissime.-

Candy abbracciò l’anziana donna, quanto conforto e sostegno le avevano recato quelle sagge parole…

-Miss Pony, qualunque cosa farò nella vita, dovunque andrò io… io le vorrò sempre bene…-

 

Nel tardo pomeriggio passò alla casa la dottoressa McFadden, medico del villaggio vicino. Conosceva Candy fin dal giorno in cui era stata abbandonata lì davanti alla Casa di Pony, l’aveva curata e seguita in tutte le fasi della sua vita, e ovviamente le era affezionata.

-Non sapevo fossi tornata Candy.-

-Sono qui solo per una vacanza, domenica prossima tornerò a Lakewood.-

-Come ti trovi a Lakewood Candy?-

-Abbastanza bene dottoressa, certo la casa dei Legan non è la Casa di Pony, ma non ci sto male. Lavoro e studio, cosa può volere di più una ragazza senza famiglia e senza soldi come me?-

La dottoressa abbracciò quella ragazzina non riuscendo a trattenere una lacrima.

-Sono venuta a vedere come sta Miss Pony. La settimana scorsa, prima che tu arrivassi aveva una brutta tosse.-

-Non mi hanno detto niente, comunque non mi sembra che stia male. Venga, la accompagno.-

 

La dottoressa visitò accuratamente l’anziana gestrice dell’orfanotrofio, e la trovò perfettamente ristabilita.

-Candy, posso farti una proposta?- disse la donna una volta finita la visita.

-Mi dica pure dottoressa.-

-La mia infermiera è fuori per un paio di giorni, ti andrebbe di sostituirla?-

Candy non si aspettava quella proposta e nemmeno Miss Pony.

-Ma Candy, tu sei qui in vacanza e domenica prossima devi tornare a Lakewood!-

-è vero ma… accetto la sua proposta dottoressa. Sarà sempre un’esperienza in più e lavorare non mi spaventa davvero!-

-Allora siamo d’accordo, ti aspetto domani mattina alle 8.00 al mio ambulatorio in paese, ti ricordi dov’è vero?-

-Certo dottoressa, a domani allora!-

 

Il giorno dopo Candy si presentò all’ambulatorio della dottoressa McFadden e per tutto il giorno lavorò sodo, come non faceva nemmeno dai Legan.

Mentre facevano l’intervallo per il pranzo, lo sguardo della dottoressa cadde sulle mani di Candy e ne rimase colpita. Come poteva una bambina di tredici anni avere le mani segnate in quel modo?

Vincendo a stento un groppo che le stava montando in gola la dottoressa chiese a Candy:

-Posso chiederti che lavoro fai dai Legan?-

-Quando sono arrivata ero una specie di “dama di compagnia” per la figlia dei Legan, la “signorina” Elisa.-

La dottoressa parve visualizzare le virgolette intorno al sostantivo, e si fece un’idea sufficientemente chiara della situazione.

-In realtà ero la sua sguattera personale, poi per fortuna, la signora Legan mi ha assegnata alla cucina. Do una mano alla cuoca, servo a tavola, apparecchio e sparecchio, lavo i piatti, cose così.

Ma non deve pensare che io stia male dai Legan. La signora è formale e severa, ma è una persona giusta, i figli ormai mi lasciano in pace, e poi ci sono i domestici che mi vogliono bene, e ho anche degli amici. Archie e Stear sono parenti dei Legan ma non sono come i cugini: sono gentili e generosi con me. Spesso e volentieri mi portano in città con la macchina, e poi c’è anche Albert.-

Anche se non riusciva a stare dietro al fiume di parole che sgorgava dalla bocca della vivace ragazzina, la dottoressa si era fatta un’idea chiara della situazione.

-Pensi davvero di tornare lì Candy? Perché non rimani alla Casa di Pony?-

-Ci ho pensato, ma sarei soltanto d’impiccio per Miss Pony e Suor Maria, e poi lì ricevo anche una buona istruzione, seguo le stesse lezioni private della signorina e tutto sommato non posso lamentarmi. Quando sarò più grande potrò decidere meglio cosa fare della mia vita. Potrei davvero tornare qui e affiancare Miss Pony e Suor Maria, o magari chissà, potrei anche fare l’infermiera!-

Era una frase buttata lì per caso, ma la dottoressa pensò che Candy avrebbe potuto essere davvero una buona infermiera.

 

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Capitolo 12
*** sembrava cresciuta dal giorno del suo arrivo ***


-Grazie Candy, sei stata veramente preziosa per me.-

La dottoressa McFadden piangeva commossa mentre stringeva con le mani le spalle di Candy, e anche Candy piangeva.

-Non avevo mai visto nascere un bambino.-

La dottoressa le sorrise e l’abbracciò teneramente. Quei due giorni erano passati rapidi ma erano stati intensi. 

Sapevano entrambe che Candy doveva tornare a Lakewood, per il momento la sua vita era lì, ma in quel momento avrebbero davvero voluto che il tempo si fermasse e la piccola Candy potesse continuare a lavorare nell’ambulatorio della dottoressa McFadden.

 

-Tieni Candy, questi sono per te.-

Candy sgranò gli occhi: quella cifra equivaleva a una settimana del suo stipendio a casa Legan!

-Dottoressa… io…- 

-Te li sei guadagnati Candy, e mi dispiace di non poterne dare di più. Consegnali a Miss Pony e Suor Maria. Loro li custodiranno per te.-

 

La Lincoln del ’37 entrò nella tenuta dei Legan e si fermò proprio davanti all’ingresso della villa.

Candy scese con uno sguardo carico di malinconia. 

-Bentornata Candy!-

La voce era quella di Dorothy.

-Ciao Dorothy! Sono felice di vederti!- disse abbracciando l’amica.

-Sai, adesso tocca a me andare in vacanza, e non vedo l’ora! La signora mi ha concesso tre settimane di vacanza, potrò tornare a casa finalmente!-

-Sono felice per te Dorothy! La signora Legan è severa ma sa anche essere generosa. Quando parti?-

-Parto domani mattina. Ho il treno molto presto. Candy, mi dispiace ma temo che dovrai coprire anche il mio lavoro durante la mia assenza.-

-Figurati Dorothy! Sarò felice di farlo, tu sei la mia migliore amica e cosa non si fa per gli amici…-

-Grazie Candy! Grazie!-

-Ora vai a prepararti, io vado dalla signora.-

 

-Bentornata Candy.-

Dietro il suo consueto atteggiamento austero, la signora sembrava tradire una nota di contentezza nel rivedere quella bambina.

-Grazie signora.- rispose lei con il consueto inchino –Sono contenta di rivederla.-

E contenta lo era davvero, non poteva certo dire che quella donna avesse nel suo cuore lo stesso posto di Miss Pony e Suor Maria, ma era pur sempre un riferimento importante nella sua vita.

-Dorothy ti ha informata che da domani sarà lei ad andare in vacanza?-

-Si signora, me lo ha appena detto. Sono pronta a sostituirla nel suo lavoro. Con il suo permesso vado a sistemare le mie cose e a cambiarmi d’abito.-

 

Da quel giorno la piccola Candy lavorò anche per Dorothy, e rinunciò anche al suo intervallo quotidiano. Le lezioni private erano sospese durante l’Estate così che Candy lavorava dalla mattina presto fino alla sera tardi, guadagnandosi la muta ammirazione della signora Legan e le consuete irrisioni della “signorina” Elisa, irrisioni cattive e vigliacche che ormai Candy aveva imparato a ignorare.

Un giorno però Elisa si superò in cattiveria.

 

-Candy dovresti farmi un favore, il nostro stalliere è in vacanza e dovresti accudire i nostri cavalli. Nel pomeriggio io e mio fratello vorremmo fare una cavalcata.-

-Ma signorina, io non so niente di cavalli.-

-Ah davvero? Ma che strano, visto che lavori come un somaro pensavo che te ne intendessi di equini.- e se ne andò con una perfida risata che sembrò scavare come un coltello nella carne viva di Candy.

Trattenendo a stento le lacrime la piccola Candy raggiunse la stalla e vi entrò.

-Candy!-

Si voltò e vide un volto amico.

-Albert, sei tu!-

Corse ad abbracciarlo abbandonandosi al pianto.

 

-Coraggio Candy! Ormai dovresti aver imparato a farti scivolare addosso le cattiverie di quella bastarda.-

Le disse lui dopo aver ascoltato il suo racconto.

-Lo so, io stessa a volte mi do del somaro, non è quello il punto. Quelle sono solo parole. Piuttosto è la cattiveria che mi dimostra quella maledetta a ferirmi. Io non le ho fatto niente, perché ce l’ha tanto con me?-

-Elisa è una ragazza perfida, una che si diverte a dominare gli altri. Ce l’ha con te perché sei il suo opposto: sei una ragazzina buona e generosa. Sei fuori posto qui Candy.-

-Comincio a pensarlo anch’io, nella vita potrei fare tante cose, tutte migliori di questa.-

-Cosa ti piacerebbe fare Candy?-

-Sai Albert, ho appena trascorso una breve vacanza alla Casa di Pony e per un paio di giorni ho assistito la dottoressa del villaggio, ho pensato che mi piacerebbe fare l’infermiera. È un lavoro duro ma certo più soddisfacente che fare la serva per quelle carogne.-

Albert sorrideva, alla sua piccola amica faceva bene sfogarsi un po’

-Intanto però devo accudire questi dannati cavalli, sennò chi la sente la bastarda?-

-Ti aiuto io Candy, me ne intendo di cavalli, e poi… adoro gli animali.-

 

Poco dopo, quando Albert se ne fu andato, entrò Neal

-Cosa fai qui Candy?- sembrava sinceramente sorpreso.

-Sua sorella mi ha chiesto di accudire i vostri cavalli e allora…-

-Mia sorella non capisce niente! Stavo venendo a farlo io! Tu hai già tanto lavoro in casa. Comunque ti ringrazio Candy.-

Candy era stupefatta: nei mesi passati quel ragazzo le aveva creato mille problemi, ma adesso sembrava cambiato, maturato.

-Dovere signore. Con il suo permesso rientro in casa.-

Neal la guardò allontanarsi. Quella ragazzina sembrava cresciuta dal giorno del suo arrivo in casa Legan, e dentro di lui sentì come un formicolio.

 

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Capitolo 13
*** ormai era abituata alle provocazioni ***


Infine Dorothy tornò dalle sue vacanze, l’Estate passò in fretta e su Lakewood calò l’autunno.

Candy rientrò nei suoi normali ritmi di lavoro e riprese le consuete lezioni private insieme alla signorina Elisa. 

Più volte anche il solo guardarla le faceva montare dentro un odio feroce, e aspettava sempre con ansia le sue due ore di intervallo pomeridiano per potersi isolare da tutto e tutti in cerca di pace.

 

Anche l’autunno marciava veloce verso la sua fine e si apprestava a diventare inverno, e l’inverno avrebbe presto portato con sé le feste di Natale.

Inevitabilmente l’avvento delle feste natalizie portava un carico di lavoro aggiuntivo per i domestici di casa Legan e anche per quelli di casa Ardley. Le due ricche famiglie non si accontentavano di festeggiamenti sobri e dimessi, proprio no. Anche le ricorrenze religiose dovevano essere un’occasione di ostentazione di sfarzo a tutti i costi. 

Per la vigilia gli Ardley e i Legan stavano organizzando un ricevimento congiunto che si sarebbe tenuto a casa degli Ardley, e proprio da lì Candy stava tornando quando rientrando nella villa, vide due macchine della Polizia parcheggiate davanti casa. Entrata in casa Elisa le ingiunse con il suo solito tono arrogante di recarsi nel salone insieme a tutti “gli altri servi”, disse senza preoccuparsi minimamente di celare il suo disprezzo.

Candy ormai era abituata alle provocazioni di quella strega, e resistette molto facilmente alla tentazione di saltarle addosso e riempirle la faccia di schiaffi.

 

Arrivata nel salone delle feste Candy trovò tutta la servitù disposta su più file davanti a una signora Legan dall’aria particolarmente accigliata.

Accanto alla signora c’erano un uomo in abito borghese e quattro poliziotti in divisa.

-Dove sei stata Candy?- le disse un po’ più bruscamente del solito.

-Sono stata alla residenza degli Ardlay signora Legan, a consegnare quelle fatture che lei mi ha dato stamattina.-

-Già è vero, prendi posto vicino agli altri Candy.-

Candy si mise in piedi vicino a Dorothy e la signora Legan cominciò a parlare.

-Come alcuni di voi già sanno, la scorsa notte è avvenuto un fatto molto grave in questa casa: è stato commesso un furto. 

Ignoti ladri hanno trafugato alcuni dei più preziosi gioielli miei e di mia figlia Elisa.

Oltre l’indubbio valore economico, quei gioielli avevano un enorme valore affettivo per la mia famiglia.

Le porte e le finestre di casa erano, come di consueto chiuse dall’interno, e così anche il cancello d’ingresso alla proprietà. Il che porta a pensare che il ladro fosse già presente in casa, o se veniva da fuori, avesse un complice qui dentro.-

Un silenzio di tomba accolse le parole della signora, parole che sembravano addirittura aver riecheggiato nei saloni e nei corridoi della villa.

-Vi conosco personalmente uno a uno e mi risulta davvero difficile credere che uno solo di voi possa aver commesso un’azione tanto esecrabile, ma mi trovo costretta a porre all’autore di tale azione un’alternativa: o confessa seduta stante il suo delitto o darò mandato alle forze di polizia qui presenti di operare un’accurata perquisizione della casa. 

Se il colpevole confessa e restituisce immediatamente il maltolto non esiterò a perdonarlo e potremo far finta che non sia accaduto nulla, ma se non confessa e viene scoperto sarà immediatamente licenziato e denunciato.-

Dopo lo stupore iniziale Candy ricordò alcune voci che correvano fra i servitori di casa Legan. Molti di loro, lei compresa, avevano subito piccoli furti, ma nessuno ne aveva mai parlato apertamente con i padroni di casa. Un po’ perché i furti erano di piccola entità, un po’ perché non pensavano che i signori se ne sarebbero occupati. Così molti di loro depositavano i soldi dello stipendio in banca o li spedivano altrove così come faceva sempre anche Candy.

-Bene.- riprese la signora dopo un lunghissimo istante di silenzio. –La perquisizione inizierà immediatamente. 

 

La perquisizione durò fino a notte fonda, e Candy e gli altri domestici ebbero ordine di non muoversi dal salone fino a operazioni ultimate, addirittura ebbero il permesso di andare in bagno solo dopo che un bagno vicino al salone fu accuratamente perquisito.

Erano le due di notte quando l’ispettore Shatner che comandava le operazioni tirò le somme davanti ai domestici e ai padroni di casa.

-La perquisizione ha dato esito negativo. Dentro questa casa non sono stati trovati gioielli o altri beni eventualmente trafugati.

Tuttavia rimane ferma la mia convinzione che il ladro avesse un complice qui dentro. Nessuna finestra, nessuna porta presenta segni di scasso quindi è logico desumerne che una porta o una finestra siano state aperte dall’interno e poi richiuse dopo che i gioielli sono stati portati fuori.

Per ovvi motivi possiamo escludere dalla lista dei sospetti la signora Legan e i suoi figli, quella notte non c’erano ospiti in questa casa, quindi il complice interno del ladro non può che essere uno di voi.

Ho parlato con la signora Legan, la sua offerta di perdono è ancora valida sempre che il colpevole confessi e consenta il totale recupero della refurtiva.

Le mie indagini continueranno e nei prossimi giorni verrete tutti interrogati. Conto sulla vostra più totale collaborazione.-

 

I poliziotti se ne andarono, e il personale della cucina, Candy compresa, organizzò una sommaria cena per tutti. Quando i padroni di casa se ne furono andati a dormire Candy li seguì a ruota.

-Sono troppo stanca per aver voglia di mangiare.- rispose a Dorothy che le chiedeva perché non si sedesse insieme a loro.  

 

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Capitolo 14
*** ce la farai a realizzare i tuoi sogni ***


Il furto a casa Legan finì su tutti i giornali dello stato del Michigan e oltre. Fu calcolato che i gioielli rubati avevano un valore di poche migliaia di dollari, quindi non fu un gran danno per la facoltosa famiglia che teneva i suoi beni più preziosi dentro comode cassette di sicurezza, ma il clamore suscitato dal fatto fu enorme: per settimane i giornali e i salotti “bene” sembrarono non parlare d’altro e la signora Legan era semplicemente furibonda.

Ormai mancava poco al Natale, e i preparativi per il ricevimento in casa Ardley erano nel pieno. Anche a Candy fu chiesto di prestare servizio al ricevimento, e lei accettò. In fondo la gratifica promessa dalla signora Legan era generosa e per la piccola era un’occasione in più per stare con i suoi amici Archie e Stear anche se non da invitata.

Quella serata l’avrebbe trascorsa lavorando, ma andava bene così. 

Il signor Legan era rientrato da Chicago e si sarebbe trattenuto fino a Natale. 

 

Candy era stanchissima anche quel giorno. Stava rientrando da casa Ardley ed era tutto il giorno che trottava come un somaro.

Alla villa degli Ardlay aveva incontrato i suoi amici Archie e Stear. 

-Sai Candy? Con l’anno nuovo partiremo per l’Inghilterra. Andremo a studiare a Londra per un po’.- le avevano detto 

-E non potreste studiare qui in America?- aveva chiesto lei indubbiamente preoccupata dalla prospettiva di perdere i suoi amici.

-Sì potremmo.- aveva risposto Archie, -ma è stata la zia Elroy a volere così, lei dice che potremo così allacciare relazioni con la nobiltà e la grande borghesia inglese.- 

-Oh mamma!-

-In realtà credo che voglia farci cambiare aria per un po’. Ti abbiamo parlato di nostro cugino Anthony, ricordi?-

-Si certo, quel povero ragazzo morto cadendo da cavallo all’inizio dell’anno.-

-La verità è che non abbiamo ancora superato il trauma della sua morte, per noi era come un fratello, e credo che la zia Elroy e lo zio William siano d’accordo nell’allontanarci per un po’.-

-Mi dispiace perdervi ragazzi.-

Anche a loro dispiaceva allontanarsi da Candy, le volevano bene e sapevano che dopo la loro partenza sarebbe stata molto più sola.

-Coraggio Candy, noi non vogliamo certo invecchiarci a Londra e vedrai che torneremo presto. E poi… tu non sei sola Candy!-

 

Queste ultime parole di Stear l’avevano colpita. No, lei non era sola: aveva tanti amici sia lì a Lakewood fra la servitù di casa Legan che a La Porte dove un giorno sarebbe tornata.

Le venne in mente il discorso del suo amico Albert sulle navi che si incrociano in mare aperto e un groppo le montò in gola. Possibile che con Archie e Stear dovesse finire lì?

D’altronde appartenevano a due mondi diversi, loro erano i rampolli di una ricca famiglia che controllava banche e società di almeno un paio di stati, e lei cos’era? Un’orfana senza mezzi e senza famiglia, forse destinata a fare la serva per tutta la vita.

Sicuramente loro non l’avrebbero mai guardata con lo stesso disprezzo con cui l’aveva guardata Annie, ma certo non poteva pensare di essere la loro grande amica per sempre! 

 

Mancava poco al cancello della villa dei Legan quando si sentì chiamare.

-Ciao Candy!-

-Ciao Albert!-

Gli incontri con il suo amico dei boschi erano diventati abituali, ogni tanto lui appariva e poi sembrava sparire nel vuoto.

-Stai tornando a casa?-

-Si Albert, ma quel posto non è casa mia, non lo è mai stata.-

-Pensavo che le cose andassero meglio per te in quella casa.-

-Infatti è così, a parte le battutine velenose che Elisa mi fa ogni tanto, non ho motivi di lamentarmi. Certo, dopo la faccenda del furto la signora è diventata ancora più rigida, ma se rigo dritto va tutto bene.-

-E allora che c’è che non va?-

La risposta di Candy fu veemente

-Non è questo che voglio fare Albert! Non voglio stare tutta la vita a chinare la testa davanti a persone come Elisa Legan! Vorrei davvero tornare a La Porte, studiare da infermiera, poter parlare con le persone senza tutti quegli stupidi formalismi da ricchi!-

Perse alcune lacrime dagli occhi.

-Ti capisco Candy, ti capisco molto bene!-

-Adesso poi Archie e Stear partiranno per l’Europa, e saranno altre due navi che non rivedrò più…-

Albert si commosse: quanta intelligenza e sensibilità in quella sfortunata bambina.

Le mise una mano sulla spalla. 

-Coraggio Candy! Sei una ragazzina forte e sono sicuro che ce la farai a realizzare i tuoi sogni!-

Lei si asciugò gli occhi 

-Sarà meglio che vada adesso, sennò chi la sente la signora Legan?-

-Ciao Candy!-

La vide entrare nella villa dei Legan e provò anche lui un groppo in gola.

 

Arrivata nella villa Candy vide una macchina della Polizia ferma davanti casa.

-Oh mio Dio, non ci faranno stare un’altra notte svegli???-

-Sembra abbiano avuto una soffiata sul furto.- le disse il signor Picard che passava lì vicino.

Entrò in casa e riconobbe l’ispettore di polizia che quella notte aveva guidato la perquisizione.

-Eccola, è lei!- disse Neal indicandola.

-è lei la signorina Candice White?- chiese l’ispettore squadrando Candy in un modo che le mise soggezione. 

Anche gli altri presenti nel salone d’ingresso la guardavano in modo strano.

-Si signore sono io.-

-Mi segua.-

Ma che sta succedendo? Si chiese la piccola Candy.

Arrivarono davanti alla sua stanza, e il poliziotto la fece entrare.

-Prego signorina: entri.-

Il tono perentorio e severo dell’uomo non lasciava spazio a repliche e Candy entrò nella stanza trovandovi altri poliziotti

-C-che co-cosa succede?- chiese spaventata.

Un poliziotto le mostrò un anello, e un altro poliziotto le fece vedere una collana. Riconobbe quei gioielli: appartenevano a Elisa.

-Dove… dove avete trovato quei gioielli?-

-Hai anche il coraggio di chiederlo?- la aggredì Elisa

-Sono stati trovati qui, fra le sue cose, ben nascosti in cuciture interne dei suoi abiti signorina.- le spiegò l’ispettore –Davvero molto abile, i miei complimenti signorina White!-

-Ma… ma cosa state dicendo? La mia stanza è stata perquisita quella notte…-

-Già, ma i miei uomini non hanno pensato a scucire i suoi abiti signorina. Non è tutto: dentro il suo cuscino abbiamo trovato questi.-

L’uomo mostrò a Candy una mazzetta di banconote.

-Sono cento dollari! Una bella sommetta per una semplice cameriera no?-

-Quei soldi non sono miei! E quei gioielli…-

-Candy!- la voce della signora Legan le suonò come una coltellata in pieno petto –Sei immediatamente licenziata e abbiamo provveduto a denunciarti!-

Candy cadde in ginocchio

-No… no signora Legan! Mi ascolti la prego! Io non ho rubato niente! La prego mi ascolti!-

Continuò a urlare mente due poliziotti la sollevarono di peso prendendola per le braccia e portandola via sotto gli occhi increduli e addolorati della servitù di casa Legan. 

 

La piccola si divincolava e strillava ad ogni passo, così che i due uomini non riuscirono più a tenerla e lei riuscì a liberarsi.

Corse via schizzando in quei corridoi che lei conosceva a memoria e che nessuno aveva pensato a presidiare e bloccare.

-Ferma! Dove credi di andare!- le gridarono i poliziotti da dietro, ma lei era troppo spaventata per realizzare che avevano ragione. Anche uscendo dalla villa dove pensava di andare la piccola Candy?

Arrivò più veloce di una saetta al portone d’ingresso della villa e scappò in lacrime in direzione del cancello.

-Albert! Aiutami Albert!- gridava come se il suo misterioso amico avesse chissà quale superpotere per trarla d’impiccio.

Inseguita dai poliziotti che se l’erano lasciata scappar via, Candy uscì dalla villa entrando nella vicina boscaglia.

 

Nella sua rocambolesca fuga era passata vicino a Neal Legan, ma lui non aveva minimamente accennato a fermarla e all’inviperita sorella che gli chiedeva conto del suo comportamento rispose:

-è stato tutto troppo veloce. Non ho potuto nemmeno rendermi conto di quello che succedeva.-

-Hai fatto bene Neal!- disse sua madre –Poteva essere armata!-

i poliziotti si guardarono trattenendo a stento una risatina.

-Avete idea di dove possa essersi diretta? C’è qualche posto qui intorno che frequenta particolarmente?-

Chiese l’ispettore

-Tutti i giorni godeva di due ore d’intervallo e amava molto bighellonare nella campagna circostante. Frequentava anche la villa degli Ardlay, un po’ per le commissioni che le affidavo, un po’ perché aveva fatto amicizia con i due ragazzi Cornwell che vivono lì.-

-I miei uomini l’hanno sentita chiamare un certo Albert mentre fuggiva. Avete idea di chi sia?-

-Non ne ho idea.-

-Potrebbe essere il suo complice. In ogni caso la farò cercare non può essere andata lontano.-

-Potrebbe essere tornata alla Casa di Pony.-

suggerì Elisa 

-Cos’è la “Casa di Pony”?-

-è l’orfanotrofio da dove viene.- spiegò la piccola vipera credendo di fare chissà cosa.

-Quell’orfanotrofio è a La Porte, nello stato dell’Indiana, non è proprio dietro l’angolo.-

Aggiunse la signora Legan come a voler zittire l’importuna figlia.

-Certamente non può arrivarci da sola e a piedi. La troveremo.-

Sì, magari per farvela scappare di nuovo, pensò la signora Legan.

 

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Capitolo 15
*** non può essere stata Candy! ***


La giornata era grigia e fredda e sembrava preannunciare l’imminente caduta della neve. Neal Legan tornava da una passeggiata in riva al vicino lago Michigan, teneva le mani in tasca e lo sguardo basso.

Poco prima di arrivare sulla strada che lo avrebbe condotto al cancello di casa, due figure gli si pararono davanti a bloccargli la strada.

-Che volete da me?-

I due, che lo squadravano con aria non proprio benevola, erano i suoi cugini Stear e Archie.

Archie lo afferrò per il bavero del cappotto

-Ehi, ma che diavolo fai? Sei impazzito?!!!-

-Siete stati voi vero?!!!! Voi avete nascosto quei gioielli nei vestiti di Candy!!!-

Neal si divincolò e riuscì a liberarsi dalla presa del cugino.

-Ma di cosa stai parlando! Cosa avrei fatto io?-

-Noi non crediamo che Candy sia una ladra!- disse Stear –Crediamo che sia stata incastrata!-

-E da chi? Da me? Perché avrei dovuto farlo?- perse una lacrima dagli occhi –Cominciava persino a piacermi…-

Cominciò addirittura a singhiozzare e i cugini poterono avvertire nelle sue parole l’accento della verità.

-Non l’ho incastrata io, se davvero qualcuno l’ha fatto. E non è stata nemmeno Elisa se credete questo! Quel giorno è sempre stata con me e comunque checché ne crediate non ne sarebbe capace.
Non pensate che possa essere stata davvero lei a rubare quei dannati gioielli? Magari per vendicarsi delle angherie che le abbiamo fatto passare…-

-è assurdo Neal. Non può aver fatto una cosa del genere…-

La voce di Archie aveva perso la sua inflessione rabbiosa, sembrava voler consolare sé stesso e gli altri.

-Anch’io non la faceva capace di un’azione così, ma i fatti parlano chiaro: quei soldi, quei gioielli cuciti così bene dentro…- Neal si fermò, sembrava aver capito qualcosa.

-Venite con me, andiamo a parlare con mia madre.-

 

-è così mamma! Non può essere stata Candy!-

-Come puoi dirlo Neal! Posso anche capire che quella ragazzina non ti sia indifferente, è normale, ma quei gioielli sono stati trovati cuciti dentro i suoi vestiti, un lavoro molto abile fra l’altro…-

-è questo il punto mamma!-

La signora Legan sgranò gli occhi, aveva capito dove voleva andare a parare il figlio.

-Ma insomma, volete spiegarci?- sbottò Stear

-Una volta le chiesi di imparare a cucire dalla signora Laforge, volevo affidarle del lavoro di sartoria, sarebbe stata anche una cosa in più da sapere per lei. Beh, quando la vidi con le mani piene di punture di ago le dissi di lasciar perdere.-

-Ma allora…-

-Candy è completamente negata per i lavori di sartoria!- concluse Neal –Quindi non può essere stata lei a cucire quei gioielli dentro i suoi abiti!-

-Maledizione!- imprecò Archie –Ma allora chi l’ha incastrata, e perché?!!!-

 

L’ispettore Shatner aveva ascoltato con interesse l’esposizione dei signori Legan

-Signori, quanto avete detto non dimostra l’innocenza di quella ragazzina: potrebbe aver avuto un complice in casa, o magari potrebbe aver imparato a cucire a vostra insaputa. Piuttosto io mi preoccupo per la sua incolumità.-

-Che vuol dire ispettore?- chiese il signor Legan.

-Ormai siamo in inverno, e la temperatura è a dir poco rigida. Se quella ragazzina non ha un posto dove rifugiarsi…- esitò come a cercare di soppesare ogni parola che avrebbe detto, ma poi capì che non c’era verso di rendere la cosa più o meno accettabile.

-…se quella ragazzina ha dormito all’aperto… non scommetterei un solo centesimo sulla sua pelle!-

Tutti i presenti rimasero scioccati da quella possibilità: finora nessuno l’aveva presa seriamente in considerazione.

-Quando aveva il suo intervallo quotidiano Candy amava bighellonare nei dintorni.- disse la signora Legan. –Le piaceva il bosco, e spesso mi raccontava di aver fatto lunghe passeggiate in riva al fiume.-

-Questo non ci dà molte speranze signora.-

-In teoria no, ma forse c’è un posto dove potrebbe aver trovato rifugio.-

 

Candy aprì gli occhi come risvegliandosi da un lunghissimo sonno. Sbadigliò e si stiracchiò, si sentiva debole ma stava bene.

-Dove sono?- disse a se stessa

Era dentro una stanza, la luce del giorno penetrava da un’ampia finestra e poteva sentire il calore di un fuoco che crepitava lì vicino a lei.

Sulla parete opposta della stanza c’era un camino acceso, e vicino al camino una porta d’ingresso alla stanza. La stanza non sembrava molto curata, anzi era in evidente stato di abbandono.

-Dove sono? Come sono arrivata qui? Che… che sta succedendo?-

La smorfia dipinta sul suo viso tradiva la paura che sembrava stringerla. Qualcuno entrò nella stanza, un uomo biondo con barba e baffi. 

Candy gridò.

-Calma Candy! Sono io, Albert! Non mi riconosci?-

Lei si addossò alla parete tremando come una foglia.

-Candy, ti senti bene?- chiese lui avvicinandosi con cautela alla bambina terrorizzata.

-Sono Albert, il tuo amico Albert, ti ricordi di me?-

-Non… non fatemi del male vi prego… dove siamo… chi siete voi…-

Albert sgranò gli occhi, stava cominciando a capire.

-Come ti chiami piccola? Te lo ricordi?- le chiese con quanta più delicatezza potesse.

Lei cominciò a singhiozzare.

-No! Non mi ricordo niente! Non so chi sono! Aiutatemi vi prego! Aiutatemi! Ho paura! Ho tanta paura!-

Albert la abbracciò piangendo con lei: Candy aveva perso la memoria!

 

Un altro uomo entrò nella stanza. 

-Vedo che la piccola si è svegliata!-

-George ti prego, vai a chiamare di nuovo il dottor Nimoy, Candy si è svegliata, la febbre è passata, ma lei…- non ce la fece a controllarsi e cominciò a piangere come un bambino.

-…ha perso la memoria!-

L’uomo chiamato George ebbe uno sguardo carico di dolore: quanta sfortuna poteva accanirsi contro quella povera bambina!

 

-Sulla testa ha i segni di un’evidente contusione.- concluse il dottor Nimoy dopo aver visitato la bambina che poi si era addormentata.

-Probabilmente deve essere caduta e ha battuto la testa.-

-Dottore, potrà guarire dall’amnesia?-

-Difficile dirlo. Possiamo sperare che sia uno stato post-traumatico provvisorio, ma potrebbe… non recuperare mai più la memoria, mi dispiace veramente tanto.-

-Ma c’è qualcosa… che possiamo fare?-

-Potrebbe farle bene tornare negli ambienti a lei familiari, qualsiasi particolare, qualsiasi persona che lei conosceva potrebbe suscitarle uno shock tale da farle recuperare la memoria. Ma se non sapete da dove viene…-

-Capisco dottore… la ringrazio…-

 

-Non possiamo certo riportarla dai Legan!- considerò con amarezza Albert una volta che il dottore se ne fu andato.

-E cosa vorresti fare? Tenerla nascosta qui?-

-No, certo che no, non avrebbe nessuna speranza di guarigione. Ma c’è un posto dove potrebbe guarire, e non è certo il carcere minorile dove la spedirebbe quella maledetta famiglia…-

 

La macchina della Polizia, seguendo le indicazioni della signora Legan, percorse tutta la strada sterrata nel bosco che conduceva fino alla piccola cascata. Sarah Legan ricordava bene cosa c’era vicino a quella cascata, da giovane appena sposata, ci aveva passato dei bei momenti. Quella casa ormai era abbandonata da parecchi anni, dalla morte della povera Rose Ardlay, ma Sarah pensò che Candy nei suoi vagabondaggi potesse averla scoperta.

-Eccola, la casa è quella.-

Infatti la vecchia villa abbandonata sorgeva lì, davanti a loro. Era stata costruita sul finire dell’ottocento da qualche antenato degli Ardlay.

La macchina si fermò davanti alla villa e i poliziotti e Sarah Legan ne scesero. Si avvicinarono alla porta d’ingresso e l’aprirono, non era certo chiusa a chiave. 

La villa aveva due livelli, non era particolarmente grande e i poliziotti la perlustrarono rapidamente.

-Qualcuno è stato qui di recente.- conclusero dopo una rapida perlustrazione. 

-Nella stanza di sopra c’è un camino, e la cenere che c’è dentro è ancora calda.-

-Non è detto che sia la bambina che cerchiamo.- aggiunse l’ispettore.

-Tuttavia vale la pena di fare una perlustrazione nei dintorni.-

 

Neal guardava il fiume scorrere davanti a lui. Quello doveva essere il punto in cui Candy era caduta qualche mese addietro, almeno stando alle sue descrizioni. Neal provò una sincera ansia all’idea che quella ragazzina potesse essere caduta in acqua. Allora, stando al suo racconto, qualcuno l’aveva salvata e poi si era dileguato nel bosco, ma stavolta poteva anche non essere stata così fortunata.

Si girò per tornarsene a casa sperando per il meglio, quando vicino alla sponda del fiume vide qualcosa per terra.

Ebbe un tuffo al cuore: lui conosceva quell’oggetto, lo avevo già visto!

-No…- sibilò a mezza voce mentre le ginocchia gli si piegavano.

-No…- cominciò a piangere, quell’oggetto era la stessa spilla che una volta aveva visto cadere dalla tasca di Candy, la spilla degli Ardlay!

 

Con gli occhi pieni di lacrime gridò il nome di Candy.

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Capitolo 16
*** Un posto chiamato Casa di Pony ***


La macchina attraversò rapidamente il centro abitato di La Porte, e prese una strada bianca che conduceva all’orfanotrofio che cercavano.

George e Albert sedevano avanti, mentre la piccola spaurita Candy sedeva dietro avendo con sé nient’altro che i vestiti che indossava. 

A dire il vero Albert e l'altro uomo avevano provveduto a comprarle un cappotto e qualche altro capo di vestiario. L'occhio esperto di George aveva ben individuato la taglia della bambina, e non c'era nemmeno stato bisogno di farla scendere dalla macchina durante una sosta effettuata qualche ora prima.

Lo sguardo della bambina era spaurito, timoroso. Ben lontano dalla giovialità che tutti conoscevano in lei.

Aveva deciso di fidarsi di quei due uomini davanti a lei, se avessero voluto farle del male l’avrebbero già fatto, ma dove la stavano conducendo?

L’uomo chiamato Albert le aveva raccontato di averla raccolta svenuta vicino al fiume dove probabilmente aveva sbattuto la testa. Poi l’aveva portata nella casa vicino alla cascata, una casa che occupava abusivamente e dalla quale erano dovuti scappare in fretta e furia prima che arrivasse la Polizia.

Le aveva detto anche di averla conosciuta qualche mese prima, che lavorava presso una famiglia della zona che però l’aveva appena licenziata. Le aveva anche detto di sapere da dove provenisse, da un posto chiamato “Casa di Pony”.

 

-Siamo arrivati signor Albert?- si decise a chiedere

-Sì Candy.- rispose girandosi verso di lei. –Fra pochi minuti dovremmo essere arrivati a destinazione. Vedrai che stare in questo posto ti farà bene Candy.-

-Riacquisterò la memoria?-

-Sono sicuro di sì Candy.- rispose Albert sforzandosi di apparire il più sereno e tranquillizzante possibile, ma dentro si sentiva morire. Sapeva benissimo che era possibile che Candy non riacquistasse mai più la memoria.

Cominciò a nevicare, il Natale era vicino ormai.

Davanti a loro videro un cartello in legno con su scritto “Pony’s Home”, e poco distante c’era quella che doveva essere la Casa di Pony.

Scesero dalla macchina e Candy sentì particolarmente freddo, non solo il freddo termico, ma anche quello della solitudine, si sentiva sola, sperduta.

 

Dalla casa uscì una donna in abito monacale

-Candy! Oh Candy, come sono felice di vederti! Sei venuta a trascorrere il Natale con noi! Ma dov’è il tuo bagaglio?-

La bambina non rispondeva, anzi appariva apatica, tutt’altro che contenta di trovarsi lì.

-Candy, tesoro… che cos’hai?-

Albert prese il coraggio a due mani, proprio nel momento in cui anche Miss Pony e alcuni dei bambini più grandi si affacciavano dalla porta.

-Sorella, devo darle una brutta notizia: Candy ha avuto un incidente e ha battuto la testa… ha perso la memoria.-

Quelle parole sgranarono gli occhi a tutti i presenti e Suor Maria si sentì quasi mancare.

Si inginocchiò davanti alla sua bambina sussurrando un “no” che da flebile voce divenne un grido disperato.

In lacrime urlò il suo nome mentre l’abbracciava.

 

Mancavano pochissimi giorni a Natale e ormai i preparativi per il ricevimento degli Ardlay e il successivo ricevimento per l’ultimo dell’anno che doveva tenersi proprio dai Legan fervevano.

Neal Legan non riusciva a dormire quella notte, e decise di fare due passi nei corridoi della villa. Fin da piccolo quello era uno dei suoi divertimenti preferiti, la notte invece di dormire spesso giocava a fare l’esploratore.

Certo, in quel momento il suo stato d’animo non era certo quello del bambino giocoso, bensì si sentiva cupo e depresso, nonché tormentato dai sensi di colpa.

Se solo l’avesse trattata meglio, se fosse stato più gentile con lei, forse lei… avrebbe potuto… volergli bene…

Passando davanti a quella che era la sua stanza scoppiò a piangere. Quante volte di notte era entrato nella sua stanza per ammirarla…

 

Sentì un rumore provenire dalla stanza, e per un istante provò l’assurda speranza che fosse lei.

Poi recuperò la freddezza e la padronanza di sé e volle andare a fondo. Chi c’era nella stanza di Candy? E che ci faceva lì?

La porta della stanza si aprì lentamente con un lieve scricchiolio, e una figura emerse dalla stanza. Anche nel buio del corridoio appena smorzato dalla luce della luna che filtrava attraverso le vetrate, Neal riconobbe la sagoma davanti a lui.

-Dorothy!- 

Al che la figura sobbalzò rientrando nella stanza che era stata di Candy. Neal entrò nella stessa stanza e accese la luce.

-Signor Legan! Mi ha spaventata a morte!- Diceva la verità, aveva il cuore che le batteva a mille.

-Che cosa facevi nella stanza di Candy?- la voce e l’espressione di Neal non erano proprio accomodanti.

-E lei signor Legan? Viene a spiare Candy anche se lei non c’è più?-

-Non cambiare discorso Dorothy! Cosa facevi qui dentro? Cosa tieni in mano?-

-Niente! Si faccia gli affari suoi!-

Per nulla intimorito Neal afferrò il braccio di Dorothy e torcendolo costrinse la ragazza a mollare la presa. Un anello cadde per terra. Neal lo riconobbe: era un anello di Elisa.

 

Dorothy sedeva in lacrime su una sedia nella stanza dove la servitù di casa Legan consumava i pasti. Era stata ammanettata, e i poliziotti la stavano interrogando davanti ai padroni di casa.

-Sì… sono stata io a rubare quei gioielli… e anche… denaro contante…-

-Dove li hai nascosti? Alla prima perquisizione non abbiamo trovato nulla.-

-In giardino dentro l’incavo di un albero… vicino allo stagno…-

-E poi hai avuto l’idea di incastrare la tua collega.-

Dorothy si vergognava particolarmente di quest’aspetto della sua impresa criminale, e si limitò ad annuire.

-Perché Dorothy!- sbottò Neal –Candy era tua amica, ti voleva bene!-

-Mi serviva… un capro espiatorio. Solo così avrei avuto mano libera… Così ho nascosto una parte dei gioielli e del denaro rubato nei vestiti di Candy, e ho fatto avere… una soffiata alla Polizia…-

-E cosa stavi facendo stanotte in camera sua?-

-Quella stanza ormai è vuota, ci ho nascosto gli altri gioielli che ho… rubato. Li troverete sotto il pavimento muovendo un paio di mattonelle… poi vi farò vedere… 

Avevo appena preso un anello, domani lo avrei venduto in città a un ricettatore…-

 

La lucidità di Dorothy nel mettere in atto la sua impresa criminosa era sconcertante: non solo aveva allontanato i sospetti da sé incastrando la povera Candy, ma si era procurata un nascondiglio sicuro per la refurtiva, anche se fosse stata trovata incidentalmente, nessuno avrebbe potuto accusare lei.

Se non fosse stato per le curiose abitudini notturne di Neal, il suo piano poteva anche riuscire.

 

Trattenendo a stento l’impulso di picchiare la sua ormai ex-cameriera, Neal uscì dalla stanza rabbiosamente.  

 

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Capitolo 17
*** Questo posto ha sempre significato molto per te Candy ***


Il giorno di Natale c’era il sole su La Porte e sulla Casa di Pony, e un’apatica e malinconica Candy volle uscire all’aperto dopo pranzo. I bambini la invitarono ad aiutarli nella costruzione dei loro pupazzi di neve, ma lei declinò l’invito.

Quei bambini le dimostravano affetto, ma lei non ricordava niente di loro, non si sentiva in grado di ricambiare l’affetto di nessuno.

 

-Non prendetevela bambini.- disse loro Suor Maria. –Candy non sta bene, ma vedrete che prima o poi tornerà la Candy di sempre. Continuate a giocare, io la raggiungo.-

Candy salì il pendio che portava alla collina e al grande albero. Un tempo solo la vista della collina sia pure innevata, e del grande albero che i bambini della Casa di Pony immaginavano essere il loro papà, avrebbe suscitato in Candy fiumi di ricordi, tutti intrisi di felicità, ma in quel momento la mente della bambina era dello stesso colore di quella neve: un bianco che richiamava il nulla.

 

Raggiunse la cima della collina e si fermò sotto il grande albero.

-Questo posto ha sempre significato molto per te Candy.-

-Ah sorella, è lei.- la buona suora l’aveva seguita fino in cima nonostante la fatica che provava a camminare sulla neve alta.

-Candy, non riesco nemmeno a immaginare come ti devi sentire, ma posso assicurarti che qui sei fra persone che ti vogliono bene, qui sei a casa!-

-Se questo posto è casa mia, cosa ci facevo in quella villa abbandonata? È parecchio lontana da qui. Come ci sono arrivata?-

Suor Maria esitava commossa: come faceva a dire a quella bambina che faceva la serva presso una famiglia ricca e che era ricercata per furto?

-Prima mi stavo guardando le mani…- Suor Maria cercò di trattenere le lacrime, ma invano.

-Gli altri bambini non le hanno così rovinate… loro le hanno lisce, pulite… Mi dica la verità sorella: io sono una delinquente?-

-No Candy, no! Non devi neanche pensarlo! No!- gridò Suor Maria abbracciando la sua piccola Candy e piangendo con lei.

-Mi dica la verità la prego… non voglio mettere in pericolo quei bambini… me ne andrò via…-

-Piccola testarda!- esclamò Suor Maria con gli occhi pieni di lacrime. 

–Se tu fossi una delinquente, ti preoccuperesti così per quei bambini? 

Vieni qui Candy, sediamoci su quel sasso. Ti racconterò tutto.-

 

George e Albert sedevano insieme nella casa abbandonata vicino alla cascata.

-Così Candy è stata scagionata.-

-Sì è così, a questo punto tenerla nascosta non ha più senso.-

-No certo, ma la lasceremo lì. Avviserò la Polizia e anche i miei parenti che Candy è viva, ma non dirò loro dove si trova. Quella bambina deve essere lasciata in pace, se Archie e Stear vorranno andare a trovarla ce li porterò io, ma i Legan devono stare lontani da lei, e anche la Polizia.-

-Intendi uscire allo scoperto Albert?-

-Direi che è anche ora che il signor William Albert Ardley prenda il suo posto nel mondo, sono stanco di vivere nascosto.-

-Non posso che condividere questa tua scelta, e credo che anche la signora Elroy sarà d’accordo.-

 

-Però, che gran bastardi questi Legan!-

-Ma… Candy! Dove hai imparato queste parole?-

-Io… non lo so…-

La suora rise: quella era la sua Candy! In quel momento si sentì sicura che la bambina sarebbe guarita prima o poi, e se anche disgraziatamente non avesse mai recuperato la memoria, almeno sarebbe tornata quella di un tempo.

-Quindi per colpa di quella gente, io adesso mi ritrovo accusata di furto e ricercata dalla Polizia!-

-Vedrai che tutto si risolverà, il tuo amico Albert ha detto che avrebbe sistemato la cosa.-

-Chi è quell’uomo? Lei lo sa sorella? Sembra una persona buona ma non so niente di lui… beh, a dire il vero non so niente di nessuno io, nemmeno di me stessa!- sorrideva a fare queste considerazioni e Suor Maria la abbracciò sorridendo e piangendo insieme.

-Scendiamo Suor Maria, voglio aiutare quei bambini a fare i loro pupazzi di neve!-

Candy scese di corsa dal pendio e Suor Maria rinfrancata la seguì a passo lento e misurato.

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Capitolo 18
*** sempre la solita Candy ***


-Sei sicuro del passo che stai per compiere William?-

La voce della zia Elroy non tradiva alcuna emozione, come di consueto. 

-Si zia.- rispose il giovane William Albert –Sono stanco di vivere nascosto ai miei stessi parenti. Ho passato anni lontano da casa, a studiare e prepararmi per questo, e adesso voglio prendere il mio posto nella famiglia Ardley.-

-Bene William. Ho parlato con George e anche lui pensa che tu sia pronto per le tue nuove responsabilità, ovviamente per i primi tempi sarai affiancato dallo stesso George e da altri membri anziani della famiglia, ma gradualmente potrai entrare a pieno titolo nel tuo ruolo di capofamiglia degli Ardley.-

-C’è un’altra questione che vorrei discutere con te zia.- 

-Di che si tratta?-

-Di quella bambina… Candy…-

-Credimi William, mi dispiace tantissimo per quello che le è capitato. Ma tu dicevi che è al sicuro…-

-Si, l’ho portata all’orfanotrofio dove è cresciuta, la Casa di Pony.-

-Certo, è il posto più logico dove lei possa sperare di guarire.-

-Ho deciso di adottarla.-

La zia Elroy perse per un istante la sua abituale imperturbabilità e sgranò gli occhi.

-Che cosa vuoi fare?-

-Hai capito bene zia, mi sono informato e ho le caratteristiche prescritte dalla legge per poter chiedere l’affidamento di quella bambina.-

-Ascoltami bene William. Sei sicuro che sia la cosa giusta? Tu sarai molto impegnato negli anni a venire, e lei adesso ha bisogno di qualcuno che le stia vicino, che la aiuti ogni giorno, tu pensi di poterti fare carico di una cosa del genere? 

Lo so, potresti affidarla a uno stuolo di servitori, ma è questo di cui lei ha bisogno in questo momento?-

Albert sembrava riflettere mentre guardava fuori dalla finestra: sua zia non aveva tutti i torti. Candy era al sicuro lì alla Casa di Pony, quelle due donne l’avrebbero aiutata e sostenuta meglio di come avrebbe potuto fare lui, almeno per il momento il suo posto era lì.

-Lasciala lì per ora, puoi sempre sostenere e sovvenzionare quell’orfanotrofio, e quando la bambina starà meglio, si potrà pensare con più calma e obiettività al suo futuro.-

 

Candy era triste quel giorno. Lì alla Casa di Pony stava bene, le sembrava di viverci da sempre ed era sicura che se aveva una speranza di guarigione, questa andava riposta in quel luogo.

Tuttavia, da quando il suo amico Albert l’aveva portata lì alternava momenti di serenità a momenti di tristezza. A volte nonostante il freddo pungente della stagione invernale, saliva in cima alla collina di Pony e si metteva a piangere.

Suor Maria e Miss Pony le avevano raccontato che da sempre quella collina significava moltissimo per lei, e Candy sentiva che era vero.

A volte scrutava con lo sguardo ogni angolo, ogni arbusto, ogni sporgenza del terreno, come in cerca di qualcosa o di qualcuno.

 

Quel giorno vide qualcuno muoversi verso di lei.

Dal sentiero che dalla Casa di Pony saliva fin lassù, Candy vide tre uomini muoversi verso di lei.

-Ciao Candy!- la salutò uno di loro, un giovane uomo biondo un po’ più grande degli altri due.

Lei rimase interdetta: non riconosceva quell’uomo ma la sua voce le suonava familiare.

-Signor Albert!- esclamò contenta di rivedere quell’uomo a cui doveva la salvezza. 

Corse verso di lui ad abbracciarlo.

-Sono contenta di rivederla signor Albert!-

-Ma quale “signor Albert”! Io sono il tuo amico Albert! Mi chiamavi sempre così quando stavi dai Legan.-

-Sarà, ma io non me lo ricordo. Ti sei tagliato la barba, lo sai che sembri più giovane?-

-Ti ringrazio Candy! Posso presentarti Archie e Stear? Tu li conoscevi prima… dell’incidente.-

-Lieta di conoscervi signori…-

I due fratelli si sentirono morire nel vedere che la loro piccola amica non li riconosceva.

-Ciao Candy!- la salutò Stear –Siamo venuti a salutarti, noi siamo in partenza per l’Inghilterra.-

-Per… l’Inghilterra?-

Archie sorrise tristemente

-Sì, te ne avevamo parlato… andremo lì per un periodo di studi. Staremo fuori per non più di due anni, e quando torneremo… vorremmo vederti guarita Candy.-

-Lo spero anch’io...-

-Ce la farai Candy- le disse Albert –Ne sono sicuro.-

 

Poco dopo sedevano dentro la Casa di Pony a bere un caffè caldo preparato da Suor Maria.

I tre ragazzi avevano riportato a Candy le sue cose che erano rimaste a casa dei Legan, compresa la sua piccola valigia che sembrava di cartone, ma la vista di quelle cose non aveva suscitato niente nella mente della bambina.

Mentre sorseggiavano i loro caffè, i tre ragazzi informarono la loro piccola amica circa le novità che la riguardavano.

-Così sono stata scagionata dall’accusa di furto.-

-Sì Candy, è così.- le spiegò Albert –e la famiglia Legan ci manda a dire che se un giorno lo vorrai, potrai tornare a stare da loro.-

-Da quello che mi ha raccontato Suor Maria… non credo proprio che quel posto faccia per me!- commentò lei con ironia.

-Ci mandano a dirti che gli dispiace tantissimo per l’accaduto.- Aggiunse Archie.

-Beh, non so che farmene delle loro scuse!-

disse sprezzantemente la piccola Candy.

I tre ragazzi si scambiarono uno sguardo carico di tristezza: non era quella la Candy che avevano conosciuto, anche se sicuramente lei aveva ragione nel dire che casa Legan non faceva per lei.

-Parlatemi di questa… Dorothy.- chiese Candy lasciando interdetti i suoi amici.

Fu Archie a rispondere alla curiosità di Candy

-Beh… Dorothy lavorava per i Legan da un paio d’anni prima che ci arrivassi tu. La sua famiglia è dell’Illinois, e lei mandava tutti i suoi soldi a casa, sembra che fosse la prima di nove figli.-

-Quindi se ha rubato, lo ha fatto per necessità.-

-Non vorrai giustificarla!- disse Stear

-No certo… ma…-

-C’è poco da dire “ma” Candy, quella ragazza non solo ha rubato, ma ha anche fatto ricadere la colpa su di te! Non merita scusanti!-

-No non le merita, ma non mi sento di odiarla…-

Suor Maria tratteneva a stento le lacrime, era sempre la solita Candy!

 

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Capitolo 19
*** si sentì carica e fiduciosa ***


I giorni, le settimane, i mesi passarono via sulla Casa di Pony e sulla piccola Candy. L’inverno finì e la neve si sciolse scoprendo prati in fiore ed erba verde. 

Anche la primavera avanzò e si avviò a diventare estate.

Suor Maria e Miss Pony avevano il loro da fare nel seguire i loro piccoli ospiti, e Candy si prodigava nell’aiutarle, e in lei si faceva nuovamente strada l’idea di rimanere alla casa di Pony come aiutante delle due direttrici. 

Le due donne si preoccupavano però del fatto che Candy non accennasse nemmeno a migliorare e capirono che c’era una decisione da prendere per il bene della loro bambina.

–Ti abbiamo già raccontato di come la dottoressa McFadden ti prese a lavorare con sé prima… dell’incidente?- le disse un giorno miss Pony.

-Si Miss Pony, me lo avete raccontato, e anche la dottoressa.-

-Allora manifestasti l’intenzione di studiare da infermiera, ovviamente non te lo puoi ricordare, ma secondo me dovresti pensarci. Dovresti darti altre possibilità nella vita, poi se un giorno il tuo desiderio fosse quello di tornare qui a fare il nostro stesso lavoro, noi ne saremo felici, ma vorremmo che facessi questa prova. Sai, io ho fatto l’infermiera quand’ero giovane, e una mia compagna di studi e di lavoro dirige una scuola per infermiere a Chicago. Vorrei che tu ci pensassi e poi dopo l’estate potresti trasferirti e studiare lì.-

-Ma ci saranno delle spese da sostenere, e io non ho soldi.-

Miss Pony si alzò per aprire un cassetto da un mobile dietro di lei. Ne estrasse una cartellina che porse a Candy. Lei la aprì e visionò rapidamente i documenti contenuti all’interno della cartellina.

-Da dove vengono tutti questi soldi?- chiese lei sgranando gli occhi per la sorpresa.

-Quando lavoravi dai Legan ci mandavi sempre i tuoi stipendi. Tu volevi che noi li spendessimo per la Casa di Pony, e invece te li abbiamo messi su un conto corrente intestato a tuo nome. Ora è arrivato il momento di usarli.-

-Ma… guadagnavo così tanto dai Legan?-

-Beh, non proprio. Parte di quei soldi vengono da alcuni… donatori.- i donatori in questione erano Albert e i Legan.

-Quindi volete che me ne vado…-

-No Candy, no…- le disse Miss Pony con la morte nel cuore –Vogliamo che trovi la tua strada… vogliamo che tu sia felice.-

 

Candy rimase impassibile, poi si alzò per uscire dalla stanza.

-D’accordo Miss Pony, ci penserò.-

 

-Sicura che sia una buona idea Miss Pony? Candy non sta bene e mandarla via di qui…-

-Candy non sta affatto migliorando, dobbiamo prendere in seria considerazione l’idea che potrebbe non riacquistare mai più la memoria. Voglio che abbia altre esperienze nella vita, voglio che il suo mondo non si esaurisca fra le quattro mura di questa casa. Forse cambiare ambiente, impegnarsi nello studio le farà bene. 

A Chicago poi c’è il signor Ardley che l’aiuterà, e Candy potrà trovare la sua strada nella vita. E se questa strada un giorno la riporterà qui, ne sarò felice.-

 

Uscita dalla casa Candy passò accanto ai bambini che giocavano, e indifferente ai loro richiami, prese la salita che portava alla collina di Pony. Il suo sguardo sembrava perso nel nulla e impiegò molto più del tempo necessario ad arrivare in cima.

Arrivata sotto il grande albero, Candy guardò in alto, verso la sua cima. Nei giorni scorsi ci si era arrampicata insieme ai suoi piccoli amici e aveva guardato il panorama oltre il grande albero, provando una sensazione che non avrebbe saputo definire, ma che solo in quel momento comprendeva: una sensazione di vuoto.

Sentiva crescere dentro di sé la consapevolezza che restando in quel luogo, al quale pure si sentiva legata, non avrebbe mai colmato quel vuoto, non avrebbe mai dato un vero significato alla sua vita.

Miss Pony aveva ragione.

Il sole cominciava ad abbassarsi all’orizzonte, puntando verso ovest, e in quella direzione c’era Chicago, c’era il suo amico Albert, c’era la possibilità di una nuova vita e, forse, di una guarigione insperata.

 

Ormai aveva deciso.

 

In lacrime guardò il sole, ma non lo vide tramontare, lo vide sorgere su una nuova vita, e si sentì carica e fiduciosa, così come le avevano detto che era sempre stata. 

 

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Capitolo 20
*** il lavoro non mi spaventa ***


La ragazza con la valigia che sembrava di cartone si fermò davanti alla scalinata di ingresso del Saint Joseph Hospital di Chicago.

Sembrava confusa, per quanto poteva saperne era la prima volta che si recava in una grande città, e la vista di quell’edificio così imponente la mise ulteriormente in soggezione.

Trasse un bel respiro e stringendo il crocefisso che portava al collo si disse:

-Coraggio Candy! Hai fatto tanta strada per venire fin qui, adesso prendi in mano la tua vita!-

Salì la scalinata d’ingresso ed entrò nell’edificio.

Individuata la reception si rivolse all’infermiera di turno.

-Buongiorno, ho un appuntamento con la direttrice della scuola per infermiere. Il mio nome è Candice White, vengo da La Porte nell’Indiana.-

L’infermiera, una donna sui trenta, guardò alcuni fogli che aveva sul banco della reception.

-Sì… White… Ok Candice, l’ufficio della direttrice è… aspetta un momento: Flanny!-

-Si signora Spiner, mi dica.-

A rispondere all’infermiera era stata una ragazza dai lunghi capelli neri, forse un po’ più grande di Candy come età.

-Fammi un favore, accompagna questa ragazza dalla direttrice, è una nuova allieva.-

-Senz’altro signora.- rispose la ragazza

-Ciao, io sono Flanny Hamilton, seguimi, ti accompagno dalla direttrice. Spero che diventeremo amiche.-

Senza rispondere Candy raccolse la sua valigia dicendo semplicemente:

-Andiamo. Ti seguo.-

Flanny e l’infermiera al bancone si scambiarono uno sguardo come a dire “espansiva la ragazza!”, poi Flanny si incamminò seguita dalla nuova arrivata.

 

In breve, percorsi un paio di corridoi che si intersecavano, le due ragazze arrivarono davanti ad una porta con appesa una targa, e sulla targa c’era scritto “Direttrice”. Flanny bussò e dall’interno della stanza si udì distinto un “Avanti”.

Candy avvertì una strana sensazione, come se quella scena l’avesse già vissuta, ma durò appena una frazione di secondo.

-Buongiorno signora direttrice, ho accompagnato una nuova allieva, la signorina…-

-Ti sei già scordata il suo nome Flanny?-

La ragazza fece un risolino imbarazzato.

-Temo di sì, signora direttrice.-

-Allora te lo ricordo io, lei è la signorina Candice White, proveniente da La Porte nell’Indiana. Sarà la tua compagna di stanza.-

-Ne sarò lieta signora direttrice. Ti aspetto fuori Candice.-

-Chiamami pure Candy, mi chiamano tutti così.-

-D’accordo Candy.-

Flanny uscì dalla stanza lasciando Candy da sola con la direttrice. Miss Pony le aveva detto che la direttrice Mary Jane Frakes era stata una sua compagna di studi, quindi doveva avere più o meno la sua età, eppure aveva un portamento giovanile.

-Si accomodi signorina White.- le disse indicando una sedia.

-Dunque… ho qui la lettera che mi ha scritto Miss Pony… 

La mia amica la riempie di elogi, mi dice che lei è una bravissima ragazza, abituata a lavorare sodo, ecc. ecc.- 

Il tono della donna non era molto accomodante, e anche questa circostanza sembrò provocare un fremito nel cervello di Candy.

-Tuttavia il fatto di essere raccomandata dalla mia amica di gioventù non le dà diritto ad alcun percorso preferenziale signorina, se ne rende conto?-

La risposta di Candy fu decisa

-E neanche lo voglio signora direttrice.-

La direttrice si alzò e si girò verso la finestra.

-Miss Pony mi scrive della sua amnesia, mi creda signorina, mi rincresce davvero tanto e spero che lei possa ritrovare al più presto il suo passato.-

-La ringrazio signora direttrice, naturalmente conto sulla sua discrezione.-

-Naturalmente signorina, non c’è neanche da dirlo. Le sue compagne di studi non sapranno niente da me circa la sua condizione, ma altrettanto naturalmente vorrei che lei si sottoponesse a una visita da parte di alcuni specialisti che abbiamo qui in ospedale. Devo essere sicura che lei sia in grado di svolgere il delicato lavoro che l’attende.-

-Certo signora direttrice, capisco perfettamente.-

-Bene signorina, può andare. Flanny la accompagnerà alla vostra stanza. Da domani inizierà a seguire le lezioni in aula e il tirocinio in corsia. La attende un duro lavoro.-

-Il lavoro non mi spaventa signora direttrice.- 

La direttrice si soffermò a guardare le mani di Candy: no, il lavoro non la spaventava.

-Un’ultima cosa: Flanny, la sua compagna di stanza, è una ragazza molto espansiva e chiaccherona, a volte può sembrare anche invadente, ma è una bravissima ragazza e un’ottima studentessa, credo proprio che andrete d’accordo.-

-Ne sono certa signora direttrice.-

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Capitolo 21
*** Sento che tu mi sei davvero amico ***


I giorni seguenti furono intensi per Candy, e lei si adattò rapidamente ai nuovi ritmi imposti dagli studi e dal tirocinio che svolgeva in corsia. Scoprì che Flanny non era poi così insopportabile, era sì una gran chiaccherona, ma era simpatica, e la sua vicinanza le faceva bene.

 

Un giorno mentre stava rilevando le temperature ai pazienti del suo reparto, proprio Flanny la chiamò.

-Candy, c’è una visita per te in sala d’aspetto. La caposala ti autorizza a prenderti una breve pausa.-

-Grazie Flanny, finisco qui e…-

-Non preoccuparti Candy, finisco io qui, vai pure.- disse la ragazza prendendo la cartellina dalle mani di Candy

-Grazie Flanny.- rispose lei accennando un timido sorriso.

 

Arrivata in sala d’aspetto Candy vide un giovane uomo biondo vestito elegantemente che si girò verso di lei a sentirla entrare.

-Candy!- 

-Albert!-

Prima di abbracciarsi si rivolsero un largo sorriso, era la prima volta che Candy sorrideva dal suo arrivo a Chicago.

Dopo che si furono sciolti dall’abbraccio Candy disse all’amico

-Albert, non ho molto tempo…-

-Lo so piccola, e non intendo distoglierti dal tuo lavoro, vorrei solo sapere quando avrai una giornata libera.-

-Tutte le domeniche Albert! Noi siamo allieve e la domenica non facciamo né lezione, né tirocinio.-

-Molto bene, ti verrò a prendere domenica mattina alle 10.00 in punto, d’accordo?-

-D’accordo Albert! Mi farà piacere avere un momento per parlare, non ti ho ancora ringraziato per avermi salvato la vita.-

-In realtà una volta l’hai fatto.-

-Già, ma non me lo ricordo.-

Albert sorrise alla sua piccola amica.

-Ci vediamo domenica allora!-

 

Uscita dalla sala d’aspetto Candy tornò al suo reparto ed entrò nella stessa stanza dove vide entrare Flanny.

-Buongiorno signori!- 

Disse con voce squillante e con un largo sorriso che nessuno le aveva mai visto sul volto da quando era arrivata a Chicago.

-Buongiorno a lei signorina!- le rispose uno dei pazienti.

-Io penso ai pazienti a destra, tu a quelli di sinistra, ok?-

Flanny assentì senza capire cosa fosse successo, ma contenta che la sua collega e compagna di stanza apparisse così allegra.

 

-L’iceberg s’è sciolto!- Fu il poco carino commento di uno dei pazienti quando Candy uscì dalla stanza, e gli altri pazienti risero, mentre Flanny diede un pugno in testa all’uomo.

 

Quella domenica sia Candy che Albert arrivarono puntualissimi al loro appuntamento fuori dall’ospedale, e Albert le fece fare un sommario giro turistico della città, prima di portarla a pranzo in un locale molto lussuoso, un luogo dove Candy non sarebbe mai potuta entrare, non da cliente.

-Albert, chi sei tu? Io di te non so niente… beh neanche di me a dire il vero…-

Albert sembrava sollevato dall’ironia della sua piccola amica, Miss Pony aveva visto giusto: cambiare aria le aveva fatto bene.

Ormai Albert non aveva più motivo di nascondersi e raccontò la sua storia a Candy.

-Vedi Candy, il mio nome completo è William Albert Ardlay, e sono il “signor William” di cui sicuramente hai sentito parlare quando stavi dai Legan, anche se non puoi ricordartelo.

I miei genitori morirono che ero molto piccolo, e io andai a stare con la zia Elroy, che è la sorella di mio padre. Poco tempo dopo anche mia sorella Rose morì. Lei era la madre di Anthony, quel ragazzo morto cadendo da cavallo, ricordi? Te ne abbiamo parlato alla Casa di Pony.-

Una famiglia iellata, pensò Candy dentro di sé.

-In teoria io ero l’erede del patrimonio di mio padre e avrei dovuto subentrargli nel ruolo di capofamiglia degli Ardlay, ma per ovvi motivi non potevo farlo. 

La zia Elroy decise di affidarmi a un tutore, quel George che tu hai conosciuto.-

-L’uomo che ci ha accompagnato alla Casa di Pony.-

-Proprio lui. Crebbi lontano da casa, e insieme a George studiai e mi preparai al mio futuro ruolo.

Quando ti sei risvegliata nella casa nel bosco, io ti dissi che la occupavo abusivamente, ma non era così, quella casa appartiene agli Ardlay, semplicemente volevo portarti via prima che arrivasse qualcuno, magari la Polizia capisci?-

-Sì capisco, mi avrebbero portata al carcere minorile.-

-Sì Candy, e non potevo permetterlo.-

-Perché tua zia ti allontanò da casa?-

-Lo fece per due motivi: per farmi cambiare ambiente e darmi modo di superare il trauma per la morte dei miei cari, e per tutelare gli affari di famiglia. Gli Ardlay hanno un patrimonio considerevole, e se si fosse saputo che l’erede designato della famiglia era un bambino, gli speculatori avrebbero avuto buon gioco nel destabilizzare il clima intorno alla famiglia stessa. Così fece mettere in giro la voce che il signor William fosse un anziano signore amante della solitudine sempre in viaggio per affari.

Ovviamente gli affari di famiglia furono presi in mano da lei e dai membri anziani della famiglia.-

Candy non era sicura di aver capito bene tutto il racconto del suo amico ma capì fin troppo bene che quel ragazzo non aveva avuto una vita facile. Loro due si somigliavano più di quanto potesse sembrare.

-Come stanno… Archie e… Stear? Dico bene?-

Albert sorrise

-Certo Candy, dici bene. Sono in Inghilterra e si stanno dando da fare. Anche loro dovranno assumersi le loro responsabilità.-

-Salutali per me, anche se non ricordo niente di quando stavo dai Legan, sento di poter avere fiducia in loro.-

-Lo farò Candy. Piuttosto vorrei che tu contassi su di me per ogni necessità che tu possa avere.-

-Va bene Albert, lo farò. Sento che tu mi sei davvero amico.-

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Capitolo 22
*** nessuno sa cosa sia accaduto ***


Il tempo passava e Candy studiava con profitto. Le materie la appassionavano, il suo rapporto con i medici, le colleghe infermiere e i pazienti era ottimo.

Il suo umore era variabile, a volte allegra e addirittura un po’ “sbadatella”, altre volte seria e musona.

Di nuovo arrivò Dicembre, e l’imminente clima natalizio, con tanto di freddo pungente e ornamenti appesi ovunque, misero la malinconia addosso a Candy.

Albert capiva fin troppo bene cosa passava nella testa della sua non più tanto piccola amica, e anche la direttrice Mary Jane e i medici che l’avevano in cura capivano benissimo cosa stesse provando quella ragazzina, ma le sue colleghe non sapevano niente di lei e una sera nella saletta infermiere si ritrovarono tutte insieme a parlare delle feste di Natale, mentre Candy e Flanny riordinavano fasciature e medicinali dentro un armadietto.

-E tu che farai a Natale Natalie?-

-Credo proprio che tornerò a casa mia nell’Iowa, è un bel viaggetto ma ne vale la pena. E tu Judy?-

-Io resterò a Chicago, saranno i miei a venire qui.-

A forza di “E tu che fai?”, la domanda fatidica rimbalzò fino alle affaccendate Flanny e Candy.

-Io non tornerò a casa, non vado molto d’accordo con i miei e preferisco restare qui, magari chiederò di poter dare una mano in corsia.-

-Ma che tristezza Flanny! Piuttosto esci, vai a spasso per Chicago, questa è una città bellissima e noi non abbiamo molte occasioni per visitarla.-

-Ci penserò Judy.- il tono neanche troppo velatamente seccato di Flanny voleva esprimere un concetto del tipo “Fatti gli affaracci tuoi brutta impicciona!” La petulante ragazza lo avvertì, e prese di mira la taciturna Candy.

-E tu Candy? Cosa farai a Natale? Torni a casa o resti a Chicago?-

-Io? Non… non ho ancora deciso Judy.-

Anche il tono di Candy era perentorio, di chi non vuole essere seccato.

-Sai Candy? Nessuno ti ha mai sentito parlare della tua famiglia, è davvero così terribile?-

-Stai esagerando Judy!- Flanny si era voltata verso la collega con un’espressione corrucciata che raramente le si vedeva in volto. –Se Candy non vuole parlare della sua famiglia avrà le sue ragioni, non la scocciare!-

-Va bene, va bene, abbiamo qui la principessa ereditaria al trono d’Inghilterra…-

Il volto di Candy si deformò in una maschera d’odio, sembrava sul punto di esplodere.

-Io non ho famiglia! Sono cresciuta in un orfanotrofio nell’Indiana! Soddisfatta adesso Judy?!!!-

Flanny e le altre allieve rimasero di stucco ma Judy continuò imperterrita a stuzzicare la collega. Quella smorfiosetta piena di lentiggini non la soffriva proprio: così bella da ottenere la simpatia e l’amicizia di tutti, mentre lei invece…

-Quindi sei un’orfanella…-

-Judy! Se non chiudi subito quella boccaccia io…- stavolta Flanny si era proprio arrabbiata.

La parola “orfanella” provocò un formicolio nel cervello di Candy, sentiva che qualcuno l’aveva già chiamata così, con lo stesso disprezzo nella voce, ma chi? Quando?

Si diresse verso la perfida collega. Quando le fu vicino le mollò uno schiaffo che fece trasalire tutte le ragazze presenti.

-Hai ragione Judy, sono un’orfanella… e vuoi sapere un’altra cosa? Sono anche una smemorata! Non ricordo niente del mio passato: HO PERSO LA MEMORIA! Ecco perché non ne parlo mai! Non mi ricordo niente! Non mi ricordo niente…-

Le lacrime scorsero copiose sul volto di Candy, e anche le altre ragazze accusarono il colpo. Flanny le mise una mano sulla spalla.

-Mi dispiace Candy… è terribile…-

Lei riuscì a balbettare un ringraziamento poi uscì dalla saletta in lacrime.

 

Poco dopo sedeva sconsolata su una panchina del giardino dell’ospedale, finché sentì una mano posarsi sulla sua spalla.

-Flanny.-

La ragazza le si sedette accanto.

-Quando è successo Candy?-

-Un anno fa, proprio in questi giorni. Allora lavoravo a Lakewood, nel Michigan, presso la famiglia Legan. Facevo la serva in casa loro. Un giorno vennero rubati dei gioielli e del denaro contante, e io venni accusata del furto.-

-Ricordo quella storia! I giornali ne parlarono molto! Del furto venne accusata una giovane cameriera.-

-Ero io quella cameriera, ma non ero colpevole, ero stata incastrata. Il vero colpevole aveva nascosto della refurtiva fra le mie cose. La polizia voleva portarmi al carcere minorile, io mi spaventai e scappai via.-

-Riuscisti a scappare alla polizia?- chiese Flanny con un mezzo sorriso come a voler stemperare la drammaticità del racconto di Candy.

-Sì, mi hanno raccontato che riuscii a divincolarmi e a liberarmi dalla stretta di ben due uomini e scappai verso il bosco.

Poi nessuno sa cosa sia accaduto, ma probabilmente caddi e battei la testa, comunque al mio risveglio non ricordavo nulla.-

-Mi dispiace tanto Candy.- disse Flanny abbracciando l’amica e piangendo con lei.

-Il mio amico Albert, quel giovane che la domenica mi viene a prendere fuori dall’ospedale e che tu hai visto più di una volta, mi riportò alla Casa di Pony, l’orfanotrofio dove sono cresciuta, pensando che un ambiente a me familiare mi avrebbe fatto bene, ma finora non è stato così.-

-Sono sicura che guarirai Candy, e se così non dovesse essere hai comunque una vita intera da vivere.

Penso proprio che il lavoro ti aiuterà.-

-Lo penso anch’io. Dai torniamo al lavoro.- disse Candy alzandosi e tendendo la mano all’amica.

 

-Quello che è successo è di una gravità inaudita!- tuonò la direttrice rivolta a Candy e Judy. -Due allieve infermiere che si insultano e si prendono a schiaffi! Ritenevi tutte e due espulse da questa scuola!-

-Non lo faccia direttrice, la prego!- piagnucolò Judy –Candy non ha fatto niente, sono stata io a insultarla! Cacci via me, se vuole… la prego!-

La direttrice squadrò severamente e a lungo le due ragazze.

-D’accordo, per stavolta lasciamo correre, ma che non si ripeta più! Sono stata chiara?-

Anche Candy si lasciò andare a un pianto liberatorio.

-Grazie signora direttrice…- riuscì a dire quasi sottovoce -…e grazie anche a te Judy…-

La ragazza l’abbracciò

-Perdonami Candy…-

-Ma certo Judy… certo che ti perdono…-

-Lei signorina Judy, è sospesa dalle lezioni per due giorni. Può andare. Lei Candy resti, voglio parlarle.-

Uscita una Judy in lacrime ma sollevata, la direttrice fece sedere Candy.

-Intanto voglio che sappia che non l’avrei mai espulsa, l’ho detto solo per indurre Judy a prendersi le sue responsabilità. Sapevo come sono andate le cose nella saletta delle infermiere. Flanny mi ha raccontato tutto.-

Peggio di un telegrafo quella ragazza, pensò Candy leggermente indispettita.

-Poi vorrei spezzare una lancia in favore di Judy. È una brava ragazza anche se non sembra.-

-Sono sicura che Judy è una bravissima ragazza. Si è presa tutte le colpe per scagionarmi e credo proprio che d’ora in poi saremo ottime amiche.-

-Infine vorrei sapere come sta. In un colpo solo sono venute fuori le sue origini di orfana e la sua amnesia.-

-Mi sento sollevata signora direttrice. Sa, quando Judy mi ha insultata dandomi dell’orfanella, ho sentito qualcosa dentro di me. Come se avessi già vissuto quella situazione.-

-Forse quando faceva la cameriera in casa dei Legan?-

-Lei sa che ho lavorato dai Legan?-

-Sì, Miss Pony mi ha informata, e mi ha detto anche dello spiacevole episodio del furto. Non se la prenda a male, è ovvio che io voglia sapere il più possibile sulle ragazze che frequentano la mia scuola.-

-Certo, lo capisco.-

-Sa signorina, penso che se vuole recuperare il suo passato dovrebbe affrontarlo.-

-Cioè, cosa dovrei fare?-

-La famiglia Legan è qui a Chicago, lo sa?-

-Sì, lo so.-

-Credo che… dovrebbe prendere contatto con loro.-

 

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Capitolo 23
*** senza darsi una risposta ***


Arrivò infine il giorno di Natale, e Candy fu invitata a trascorrere la giornata a casa della famiglia Ardlay. Albert la venne a prendere in macchina, e lei uscì dall’ospedale indossando un elegante abito che l’amico le aveva regalato qualche giorno prima.

Infermiere e medici di turno fischiettarono d’ammirazione nel vederla così elegante, e la stessa direttrice Mary Jane si complimentò.

-Si diverta signorina.- le disse poco prima che lei uscisse dall’ospedale.

 

Arrivarono alla residenza degli Ardlay in pochi minuti e Candy rimase un po’ in soggezione davanti all’imponente palazzo che le si parava davanti.

Nell’indovinare i pensieri dell’amica Albert le disse:

-Ti capisco Candy, anche a me questo palazzo mette in soggezione.-

-Albert, leggi nel pensiero per caso?-

Lui rise

-Non occorre essere un telepate per capire cosa ti passa per la testa Candy! Coraggio: entriamo.-

Il maggiordomo, un uomo vicino ai sessant’anni salutò confidenzialmente Candy.

-Il signor O’Brien ti ha conosciuto a Lakewood Candy.-

-Mi dispiace signor O’Brien, ma io non ricordo nulla.-

-Lo so Candy, lo so.-

Lo stesso maggiordomo li annunciò alla signora Elroy che li ricevette in sala da pranzo.

-Benvenuta Candy.- la accolse la signora con un largo sorriso

-Onoratissima signora.- 

-So che non te lo puoi ricordare, ma noi ci siamo già incontrate più di un anno fa a Lakewood, in occasione di un ricevimento nella villa che abbiamo lì.-

-A quell’epoca se non sbaglio, lavoravo per la famiglia Legan.-

-è esatto Candy. Facesti conoscenza con i miei nipoti Archie e Stear, loro ti presero in simpatia e ti invitarono al ricevimento. Allora io e te parlammo per un po’ e tu mi facesti una buonissima impressione.-

Candy arrossì e sorrise

-La ringrazio signora, lei è veramente gentilissima. È un peccato che io non ricordi nulla di quel periodo.-

-Sono sicura che un giorno recupererai la memoria Candy.-

-è la mia più grande speranza signora Ardley.-

-Sai, anche oggi mi stai facendo una buona impressione Candy, sei una ragazza di origini umili, vivi una situazione di forte disagio, eppure le buone maniere non ti fanno certo difetto.-

-Grazie signora. Penso che il merito vada tutto alle due donne che mi hanno cresciuta, inoltre mi è stato detto che i Legan mi facevano studiare.-

-è così Candy.-

Entrò di nuovo il maggiordomo.

-Domando scusa per il disturbo, ma sono arrivati i signori Legan.-

Candy sussultò, i Legan erano lì?

 

La famiglia Legan al completo entrò nel salone e Candy rimase impassibile. Quei volti, quelle persone non le dicevano niente, ma quello che le era stato raccontato su quello che i Legan le avevano combinato lo ricordava bene.

-Ciao Candy. Sono felice di rivederti.- La voce della signora sembrava esprimere più sensazioni: da una parte sincera contentezza nel rivederla, dall’altra il rammarico per come erano andate le cose fra di loro.

-Vorrei poter dire altrettanto signora.- disse Candy porgendo la mano alla donna –Ma purtroppo non ricordo nulla del periodo in cui… lavoravo per lei.-

-Lo so Candy, lo so.-

Anche il signor Legan strinse la mano a Candy, ma il suo fu un atteggiamento molto più formale e distaccato, sembrava quasi stesse trattando una pratica bancaria.

-Questi sono i miei figli Candy, Neal ed Elisa.-

-Ciao Candy!- la salutò calorosamente Neal.

-Molto lieta di conoscerla signor Legan.- il tono di Candy, per quanto rispettoso tradiva una certa insofferenza verso quel ragazzo. Suor Maria glie ne aveva raccontato delle belle sul suo conto.

-Signorina Elisa…-

Elisa esitava a stringere la mano di Candy, limitandosi a uno sguardo certo non benevolo nei confronti della sua ex-cameriera personale. Si decise solo dopo aver incrociato lo sguardo corrucciato di sua madre, dello zio William e della zia Elroy.

Strinse la mano della bionda allieva infermiera senza dire una sola parola.

-Bene accomodiamoci, il pranzo sarà servito fra pochissimi minuti.- annunciò la zia Elroy.

I commensali presero posto e il pranzo poté avere inizio.

-Abbiamo saputo che studi da infermiera Candy.- disse Neal mentre le cameriere servivano il primo piatto.

-Sì signor Legan, è esatto. Su consiglio di Miss Pony e della dottoressa del villaggio di La Porte, ho deciso di intraprendere questa professione.-

 

La conversazione a tavola seguì questo filone, poi mentre i servitori provvedevano a sparecchiare, gli ospiti si sedettero sul divano a sorseggiare un bicchiere di champagne e a continuare la conversazione.

 

-Siamo felici di vedere che stai meglio Candy.- le disse la signora Legan -Noi… siamo molto dispiaciuti di quello che è successo lo scorso anno a Lakewood.-

Candy rimase un po’ imbarazzata, non sapeva bene come gestire quella situazione.

-Candy, tu sai cosa è successo lo scorso anno vero?-

-Sarò sincera signora.- disse lei dopo aver posato il bicchiere sul tavolino davanti a lei. –Mi è stato raccontato che ho avuto… un po’ di problemi quando lavoravo per voi, e so cosa è successo lo scorso anno a Lakewood. Una cameriera rubò gioielli e denaro a casa vostra e io venni ingiustamente accusata del furto.

La polizia stava per portarmi via, io riuscii a scappare, mi persi nel bosco e probabilmente caddi battendo la testa.

Quando mi risvegliai non ricordavo più niente, né quello che era successo e nemmeno chi ero.-

Seguì un silenzio imbarazzatissimo.

-Sarei una bugiarda se dicessi di trovarmi a mio agio signora, ma sappiate che non vi considero colpevoli di quello che mi è successo, è stato solo un incidente, un assurdo incidente. Ora il mio desiderio più grande è di trovare uno scopo nella vita, e penso proprio di essere sulla strada giusta.-

-Sono sicura che ce la farai Candy, e voglio che tu sappia di poter contare sulla famiglia Legan per qualsiasi necessità, economica o meno.-

-Sì, ci manca solo di dare dei soldi a questa orfanella!- la voce aspra e sgradevole era quella di Elisa Legan, al che la pesante mano paterna si abbatté sulla sua guancia fra lo sconcerto generale e l’incredulità della stessa Elisa: mai i suoi genitori avevano alzato le mani su di lei!

L’arrogante ragazza scappò via in lacrime sfuggendo all’umiliazione, e Candy sentì risuonarle nel cervello la parola “orfanella”.

 

Dopo le scuse di rito la giornata continuò come da copione, e dopo qualche ora Candy volle tornare in ospedale.

Si sentiva stanca, svuotata. Cosa mai avrò fatto a quella ragazza per farmi odiare così tanto, si chiedeva senza darsi una risposta.

 

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Capitolo 24
*** sono la sua nuova infermiera ***


Il giorno di Natale passò e Candy riprese il suo servizio e i suoi studi in ospedale. 

A Flanny e alle altre sue colleghe non raccontò completamente cos’era successo in casa Ardlay, si limitò a raccontare che era stata una giornata cordiale ma noiosa. Quei formalismi da ricchi non facevano proprio per lei.

In realtà quell’esperienza l’aveva demoralizzata, ma non intendeva fiaccarsi: i suoi pazienti avevano bisogno di lei.

Un pomeriggio alla fine del suo turno in corsia, fu chiamata in sala d’attesa. Sarà Albert, pensò recandosi al piano terra.

Entrata in sala d’attesa trovò un'altra persona che non si sarebbe mai aspettata, davanti a lei c’era Neal Legan.

 

-Buonasera signor Legan.-

-Ti prego Candy, chiamami Neal.-

-Non mi sembra opportuno.-

-Dai Candy! Non fare così la sostenuta: sono venuto a scusarmi con te per il comportamento di mia sorella, e anche per il mio.-

-Non capisco signor Legan. Il suo comportamento dell’altro giorno è stato impeccabile.-

-Non parlo dell’altro giorno Candy, ma dell’anno scorso, quando stavi da noi.-

-Io non ricordo niente di quel periodo signor Legan. Ma se lei riconosce di essersi comportato male e mi fa le sue scuse, non ho nessuna difficoltà ad accettarle.-

Neal le porse la mano sorridendole e lei ricambiò il sorriso stringendo la mano del ragazzo.

-E chiamami Neal, per favore.-

-D’accordo Neal.-

-Sai… ero venuto anche per restituirti questa.-

Neal mise una mano nella tasca della giacca e ne estrasse una spilla, una strana spilla con uno stemma raffigurante la lettera “A” stilizzata.

-Cos’è Neal?-

-Questa spilla è tua Candy, non so come tu l’abbia avuta ma ricordo che ci tenevi tanto. L’hai persa il giorno… dell’incidente.-

-Questo è lo stemma degli Ardlay. Come facevo ad averla io?-

-Te l’ho detto Candy: non lo so. So solo che era tua.-

Candy sentiva la sincerità nella voce di quel ragazzo e gli sorrise mentre prendeva la spilla.

-Volevo anche invitarti a un ricevimento per la fine dell’anno a casa nostra…-

-Ti ringrazio Neal, ma non mi sembra opportuno. Non so perché tua sorella sembri avercela tanto con me, ma non vorrei trovarmi in altre situazioni spiacevoli. Credo proprio che festeggerò il nuovo anno con un paio di colleghe, avevamo in programma di andare in piazza a vedere i fuochi d’artificio.-

-Ti capisco Candy e mi dispiace tanto, ma non insisto. Allora ti auguro buon anno, e spero che questo anno nuovo ci porti la notizia della tua guarigione.-

Candy perse una lacrima.

-Lo spero anch’io Neal, e grazie della visita.-

 

Fuori dall’ospedale Neal era atteso da William Albert.

-Allora? Com’è andata?-

-Come previsto. Ha accettato le mie scuse ma ha declinato l’invito per l’ultimo dell’anno.-

-Già, al suo posto anch’io avrei detto di no. Che diavolo ci viene a fare? A farsi insultare da tua sorella?-

-Mi dispiace tanto zio.-

-Coraggio Neal. Non è colpa tua.-

 

Arrivò l’anno nuovo e Candy fu sempre più impegnata con gli studi e il lavoro. Il mese di Gennaio passò in fretta e così anche quello di Febbraio. 

La sua vita proseguiva tranquilla e metodica. Aveva le sue amiche infermiere, i suoi “amici ricchi” come li chiamava Flanny, e tutta una vita e un mondo avanti a sé. Tornò a essere la Candy ottimista e felice di un tempo, anche se lei non la ricordava quella Candy.

 

Un piovoso giorno di marzo la direttrice Mary Jane e il dottor Leonard, direttore dell’ospedale, la convocarono nella stanza di quest’ultimo.

-Prego signorina, si accomodi.- le disse proprio il dottor Leonard

-Posso chiederle come sta signorina?-

-Sto bene la ringrazio dottore, moralmente sto molto meglio rispetto a quando sono arrivata, certo la mia memoria non torna e forse non tornerà più, ma almeno ho una vita davanti a me.-

-Sono lieto di sentirla parlare così. L’ho convocata per una questione di lavoro. So che lei è ancora un’allieva e non sarebbe pronta per compiti di una certa delicatezza, ma questo caso…-

Candy attendeva, di che stava parlando il direttore?

-…Ha sentito parlare del “paziente inglese”?-

-Sì, quel ragazzo vittima di un incidente stradale. Si dice che sia orribilmente sfigurato.-

-Oh, in realtà le sue ferite non sono così gravi e non crediamo davvero che resterà deturpato.- intervenne la direttrice Mary Jane

-Il suo problema è un altro.-

-E quale sarebbe?- chiese Candy 

-Quel ragazzo è affetto da amnesia.-

Candy rimase in silenzio.

-Capisco che quanto le ho detto la turbi signorina e mi dispiace tantissimo, ma abbiamo pensato a lei perché in questo ospedale è forse l’unica in grado di capire veramente cosa quel ragazzo stia passando.-

Dopo un lungo attimo di silenzio Candy domandò:

-Ma se quel ragazzo non ricorda nulla, come fate a dire che sia inglese?-

-Anzitutto la pronuncia, e poi nella sua macchina venne trovato un passaporto inglese. Purtroppo le sue pagine erano bruciate, quindi non sappiamo chi fosse, supponiamo sia inglese.- spiegò il dottor Leonard. -Purtroppo anche la targa della macchina era distrutta, così non è stata possibile alcuna identificazione.-

-Signorina.- riprese la direttrice Mary Jane –Quando lei ha perso la memoria più di un anno fa, si è comunque ritrovata circondata da persone che la conoscevano e le volevano bene. Ciò nonostante si sentiva sperduta, sola, disperata, come lei stessa mi ha raccontato. Immagini come deve sentirsi quel ragazzo.-

Questi erano argomenti che facevano presa sul cuore generoso di Candy.

-D’accordo. Accetto l’incarico.-

 

Candy entrò nella stanza. Il “paziente inglese” dormiva. Le bende dal volto gli erano state levate così che Candy poté constatare che la direttrice aveva detto il vero: quel ragazzo non era affatto deturpato, anzi era proprio un bel ragazzo. Doveva avere pochi anni più di lei, all’incirca la stessa età dei due nipoti di Albert.

I capelli erano lunghi, di un castano scuro, e i suoi lineamenti erano rilassati, tranquilli.

Candy posò il vassoio con il cibo sul comodino di fianco al letto, e in  quel mentre il ragazzo si svegliò.

-Buongiorno signore.-

-Chi… chi è lei?-

-Sono la sua nuova infermiera signore, il mio nome è Candice White, ma può chiamarmi Candy.-

-è molto giovane signorina…- constatò il ragazzo mettendosi in posizione retta con la schiena addossata al muro.

-Sono un’allieva infermiera signore.-

-Sì, che ha appena smesso di poppare il latte dalla madre!-

-Ma… come si permette?!-

-Io mi permetto quello che mi pare e piace. Per favore esca dalla mia stanza.-

Candy rimase senza parole, e fu sul punto di cantargliene quattro a quel maleducato, ma poi si ricordò di come si era sentita lei quando aveva perso la memoria, e lasciò perdere.

-La sua cena è nel vassoio signore! Tornerò più tardi a riprenderlo. Con permesso!-

Rimasto solo il “paziente inglese” ebbe uno scatto di rabbia e fece volare in aria il vassoio e il suo contenuto.

 

-Mi dispiace che il suo approccio con quel ragazzo sia stato così complicato.- la direttrice cercava di tranquillizzare Candy –Se vuole posso sostituirla.-

L’espressione di Candy tradì una nuova determinazione della ragazza.

-No signora direttrice, prima ho qualcosa da dire al nostro “paziente inglese”. -

 

Candy entrò nella stanza del “paziente inglese”. Il ragazzo stava seduto sul letto tenendosi le tempie strette fra le mani.

-Ancora lei signorina? Ma che vuole da me?-

Candy raccolse un cuscino che giaceva sul pavimento, probabilmente tirato via dal ragazzo, si avvicinò al paziente e glie lo sbatté in faccia.

-Ma che diavolo fa? È impazzita?-

-Forse signore! Magari mia madre non mi ha dato la poppata quotidiana e ho dato di testa!-

-D’accordo signorina, prima non mi sono comportato bene e mi dispiace ma adesso vorrebbe andarsene?-

-Certo, perché lei pensa di guarire da solo senza l’aiuto di medici e infermiere!-

-Non ho detto questo! Dico solo che nessuno ha idea di come mi sento in questo momento!-

-Beh, io invece un’idea ce l’ho!-

-Complimenti signorina! E come diavolo fa a sapere come si sente un uomo che ha perso la memoria? Un uomo che è come se fosse nato da pochi giorni?-

-Perché anch’io ho un’amnesia!!! Anch’io ho perso la memoria!-

Il “paziente inglese” cambiò espressione rivelando un misto fra stupore, dolore e vergogna.

 

Poco dopo seduta sul letto accanto al giovane paziente, Candy gli aveva raccontato brevemente la sua storia.

-Mi dispiace tantissimo Candy. Sono stato veramente un cafone con te.-

-Acqua passata giovanotto! Adesso devi solo pensare a ristabilirti.-

-Candy, tu come fai ad accettare questa cosa? Come fai a pensare che forse non recupererai più il tuo passato?-

-Anzitutto spero ancora di recuperarlo. Ogni tanto ho come dei “flash”, momenti in cui sono sicura di aver già vissuto una certa situazione, e poi mi limito a impegnarmi nello studio e nel lavoro signor…

Già: come dobbiamo chiamarti?-

-Ah non so davvero, scegli tu Candy, qualsiasi nome andrà bene.-

-Beh, in questi casi si usano nomi tipo John Doe o John Smith.-

-Oh mio Dio! Cerca di essere più originale!- disse il ragazzo sorridendo.

-Ti andrebbe “JimBob”?-

Lui rise.

-Originale lo è davvero! Ma chi sarebbe JimBob?-

-Jim e Bob sono due bambini della Casa di Pony, l’orfanotrofio di cui ti ho parlato. Hanno perso da poco tempo i genitori, e quando sono arrivati alla Casa di Pony erano difficili e intrattabili, almeno così mi è stato raccontato, sai è avvenuto prima del mio incidente.-

-Ah grazie, non mi sembra molto lusinghiero, comunque JimBob mi piace.-

-Ok! Allora fino a quando non guarirai, tu sei JimBob.-

-E tu sei “Tuttalentiggini”, d’accordo?-

-Fai poco lo spiritoso ragazzo! Ricordati che dipendi da me!- disse lei prendendo il cuscino dalle braccia di “JimBob” e sbattendoglielo nuovamente in faccia.

-Ci vediamo poi, quando ti porterò la cena.-

-A dopo “Tuttalentiggini”!-

 

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Capitolo 25
*** ubriacarti è una tua scelta ***


Nei giorni successivi “JimBob” migliorò sensibilmente. L’amicizia con Candy giovò al suo umore e alla sua salute, e i medici ostentarono un cauto ottimismo. 

In realtà speravano che anche Candy potesse trarre giovamento da quell’esperienza, era più di un anno che la ragazza aveva perso la memoria e, nonostante il suo temperamento ottimista e positivo, la sua situazione non accennava a un miglioramento.

 

Una sera Albert e Neal insistettero per portare a cena fuori Candy e Flanny, e loro nonostante dovessero alzarsi presto la mattina successiva, accettarono.

-Stavolta però vogliamo offrire noi ragazzi!-

-Avanti Candy!- le disse Neal –Con rispetto parlando, nel ristorante dove andiamo di solito non potreste pagare nemmeno un antipasto.-

-No davvero, ma conosciamo un posto qui vicino dove fanno degli ottimi panini e servono della buonissima birra! È uno di quei posti dove si mangia in piedi o seduti su uno sgabello.-

-Conosco quel posto.- disse Albert –E per me va bene.-

-Ok. Proviamo questo posto. Certo se mia madre e mia sorella sapessero che ho mangiato in un posto tanto “plebeo”… dovrei portarcele.-

Candy rise pensando alla signora Legan e a sua figlia che mangiavano panini da “Arnold’s”

-Potrebbe essere un’idea Neal, magari portateci anche la signora Elroy!-

 

La serata fu piacevole, sembrava quasi che Candy non avesse mai avuto nessun incidente per quanto era allegra e disinvolta. Con quei ragazzi stava bene e loro a volte le raccontavano episodi del suo passato nella speranza di suscitarle qualcosa.

-Così ti avrei dato uno schiaffo talmente forte da farti cadere per terra…-

-Già, e mi hai anche chiamato “bamboccio debosciato” e “miserabile ladro”, non che non me lo sia meritato intendiamoci.-

-Perché ti avrei dato del ladro?-

-Me lo sono chiesto anch’io, avrò anche avuto tutti i torti del mondo, ma non ti avevo certo rubato qualcosa. Poi ci sono arrivato.

Negli interrogatori seguiti al suo arresto Dorothy ha confessato di averti rubato il tuo primo stipendio, e probabilmente tu hai creduto che fossimo stati noi… in effetti ci avevamo pensato a farti anche quella cattiveria, ma poi lasciammo perdere. Se fossimo stati scoperti non l’avremmo passata liscia.-

-Dorothy ha rubato anche…-

-Sì e ti prego di non giustificarla in alcun modo! Posso anche starci che abbia rubato a noi, ma non accetto che abbia potuto farlo a te!-

Candy si dispiacque sinceramente per quello che aveva appreso, e per superare quell’attimo di malinconia cambiò decisamente argomento.

-Sapete che in ospedale c’è un altro smemorato come me?-

-In che senso Candy?- chiese Albert

-C’è un paziente affetto da amnesia, proprio come me. Credo che mi abbiano assegnata a lui con la speranza di un reciproco giovamento.-

-è una buona idea Candy, chissà magari potreste recuperare la memoria insieme, o comunque confrontarvi e trarre reciproco stimolo per vivere comunque le vostre vite.-

-Lo penso anch’io, certo è un ragazzo difficile, credo proprio che anche prima dell’incidente avesse un bel caratteraccio. Comunque non è cattivo, ed è anche un bel ragazzo!-

-Come ha perso la memoria?-

-Ha avuto un incidente stradale poco fuori Chicago, la sua macchina si è schiantata contro un palo del telegrafo. Doveva andare bello forte, perché la macchina è andata distrutta, persino la targa non era più riconoscibile. 

Per fortuna lui è stato sbalzato fuori dalla macchina e si è salvato pur perdendo la memoria.

È stato trovato un passaporto inglese nella macchina, praticamente distrutto, così che non è stato possibile identificarlo. Lo hanno soprannominato il “paziente inglese” e io l’ho chiamato JimBob, come due bambini della Casa di Pony.-

-“Il paziente inglese”… sembra il titolo di un film.- commentò Neal

- Spero proprio che guarisca o perlomeno che si riesca a identificarlo di modo da trovare i suoi parenti. 

Io nella mia sfortuna sono stata fortunata! Avevo te Albert, avevo la Casa di Pony e ho potuto comunque ricostruire la mia vita, ma quel povero ragazzo…-

Flanny si lasciò sfuggire una lacrima di commozione e prese la mano dell’amica sorridendole.

-Hai detto che è inglese vero?- chiese Albert con l’aria di aver individuato la possibile soluzione di un problema.

-Beh, ho detto che è molto probabile che lo sia. Anche la sua pronuncia sembra inglese, un medico dice di riconoscerci l’accento di Londra.-

-So a cosa stai pensando zio, ma è impossibile.-

-Perché Neal? Pensaci bene… Potrebbe anche essere arrivato fino a Chicago, magari a tappe successive…-

-Già… potrebbe essere…-

-Potrebbe essere cosa ragazzi? Avete un’idea su chi possa essere quel giovane?-

-Sto pensando a un nostro amico inglese scomparso da qualche settimana. Descrivici il tuo paziente Candy.-

-Dunque… dimostra intorno ai 17-18 anni… alto più o meno come voi… porta lunghi capelli castano-scuro… decisamente di bell’aspetto… ha un modo di fare piuttosto brusco…-

Neal e Albert sbarrarono gli occhi.

-Portateci da lui ragazze!-

 

Il giorno dopo Albert e Neal si recavano in ospedale, e con il permesso dei medici entrarono nella stanza di “JimBob”.

Lui era in piedi vicino alla finestra, si girò verso la porta che si era aperta.

-Che succede Tuttalentiggini? Hai portato visite?-

-Terence!- esclamarono a una voce Albert e Neal

-Chi è… Terence?-

-Sei tu Terence!- esclamò Albert

-Ti ricordi di me? Sono William Albert Ardlay e lui è Neal Legan! Ci siamo conosciuti qualche mese fa a un ricevimento che tua madre ha dato a New York. Ricordi?-

-Quella sera ti ubriacasti e facemmo pure a cazzotti! Tu vomitasti sul pavimento, ricordi Terence?-

-Neal…-

-Oh avanti zio, buttargli in faccia la verità gli farà bene!- 

Il ragazzo si portò le mani alle tempie, si sentiva la testa scoppiare.

Candy lo sorresse mentre rischiava di cadere.

-Chiamate subito un medico!- disse imperativamente ai suoi amici e questi uscirono subito dalla stanza mentre Candy aiutava “Jimbob” alias Terence a sedersi sul letto.

 

Un’ora dopo Terence dormiva nel suo letto e Candy e il dottore che lo aveva in cura uscirono dalla stanza.

-Tutto a posto signori, il signor Granchester ha riacquistato completamente la memoria. Evidentemente la sua amnesia era passeggera.-

Candy abbassò gli occhi e il medico indovinando il suo stato d’animo le si rivolse con uno sguardo compassionevole.

-Mi dispiace signorina, non volevo essere indelicato. Sono sicuro che anche lei riacquisterà presto la memoria.-

Asciugandosi gli occhi Candy sorrise al medico.

-La ringrazio dottore, ma io sto bene così. Ormai mi sono abituata a questa condizione. Vivo la mia vita con serenità e questo è l’importante.-

 

Poco dopo Candy e i suoi amici sedevano al bar dell’ospedale, e Albert spiegava alla sua piccola amica chi era il ragazzo di cui si era presa cura in quei giorni.

-Il suo nome è Terence Graham Granchester, ed è il figlio del duca di Granchester e della famosa attrice Eleanor Baker. Lo abbiamo conosciuto qualche mese fa a un ricevimento che sua madre ha dato a New York. Tu stavi ancora alla Casa di Pony. 

Il primo approccio che avemmo con lui non fu migliore di quello che ci hai avuto tu, quasi ci facemmo a pugni.-

Proprio un bel tipo, pensò Candy.

-Poi nei giorni successivi che ci fermammo a New York avemmo modo di conoscerlo meglio, e ci fece l’impressione di un ragazzo solo, molto solo.

I suoi genitori hanno divorziato quando era piccolo, e lui ha passato infanzia e adolescenza diviso fra entrambi. 

La scorsa estate pare che abbia violentemente litigato con il padre e la sua seconda moglie e si è definitivamente trasferito in America a New York. sembra che stia provando a calcare le orme materne e a diventare attore.-

-Ma se abita a New York che ci faceva a Chicago?-

-Questo non lo sappiamo, ma intanto dobbiamo avvertire la madre. Se ho ben capito è più di un mese che manca da casa.-

-A casa ho l’indirizzo di quella donna zio, entro sera possiamo mandare un telegramma.-

 

Più tardi Candy portò la cena a Terence che riposava a letto, ma era ben sveglio.

-Come va Terence?-

-Sai, mi ero abituato al nome che mi avevi dato: “JimBob” era un nome carino.-

Candy ridacchiò.

-Preferisco il tuo vero nome. Ho saputo che sei di famiglia nobile.-

-Non me ne parlare Candy!- disse lui mettendosi a sedere per cenare.

-Sai che sono anche erede al trono d’Inghilterra? Certo, sono parecchio indietro nella linea di successione, per mia fortuna.-

-Non ti ci vedrei come “re d’Inghilterra”.- gli disse lei ridendo.

-Già, un re d’Inghilterra che si ubriaca e fa incidenti con la macchina non sarebbe molto credibile.-

-Ubriacarti è una tua scelta, sta a te smettere di farlo.-

-Non è così semplice.-

Candy non ritenne opportuno di infilarsi in una discussione con quel ragazzo, in fondo non erano affari suoi.

-I nostri comuni amici Albert e Neal hanno mandato un telegramma a tua madre, forse già domani sarà qui.-

-Ne farei volentieri a meno di lei e delle sue prediche…-

In un altro momento Candy si sarebbe inferocita ad una frase del genere: che ne sapeva quel bamboccio di cosa significasse non avere nessuno al mondo? Ma non gli sembrava il caso di infierire su una persona ancora convalescente.

-Adesso devo andare, passerò dopo a ritirare il vassoio.-

Uscì dalla stanza sbattendo la porta sotto lo sguardo stupito di Terence.

-Che ti prende Tuttalentiggini?- si chiese il ragazzo con un sorriso.

 

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Capitolo 26
*** ti odierò per sempre ***


Dopo qualche giorno Terence fu dimesso. Sua madre, l’attrice Eleanor Baker lo venne a prendere per riportarlo a New York. 

La donna si profuse in mille ringraziamenti per il personale medico che aveva assistito il figlio ed ebbe parole particolarmente calorose proprio per Candy.

 

Nel vedere andar via quel ragazzo, che pure sapeva appartenere a un altro mondo rispetto al suo, Candy provò una stretta al cuore. Chissà se un giorno il destino le avesse concesso di poterlo rincontrare, o se il signor Granchester era solo un’altra nave incontrata in mare aperto.

Sussultò a quel pensiero: dove aveva sentito quell’espressione?

 

-Sai che la prossima settimana tornano Archie e Stear?-

Disse Albert mentre guidava diretto verso il Lago Michigan.

-Davvero? Sono contenta. Anche se non ricordo praticamente nulla di loro, dai vostri racconti so che sono stati molto carini con me.-

-Puoi dirlo forte Candy! Ti volevano bene e ti hanno aiutata in un periodo difficile della tua vita.-

-Come mai tornano così presto? Ricordo che dovevano stare in Europa per due anni.-

-Sì è così, ma in Europa tira una gran brutta aria.-

-L’ho sentito dire: La Germania ha invaso la Cecoslovacchia.-

-E non solo: corre voce che possa invadere la Polonia e in quel caso Inghilterra e Francia non staranno a guardare.-

-Oh mio Dio, non scoppierà un’altra Grande Guerra?-

-Cosa sai della Grande Guerra Candy?-

-Io… non so neanche perché mi è venuta in mente…-

-L’hai studiata quando eri dai Legan. Seguivi le stesse lezioni private di Elisa.-

-Si questo lo sapevo già. Quindi vuol dire che… la memoria mi sta tornando?-

-Sono sicuro che la memoria ti tornerà Candy.-

E quando ti tornerà saprai… pensò Albert.

 

Due settimane dopo Archie e Stear erano tornati a casa e subito vollero organizzare una giornata da trascorrere con la loro piccola amica di un tempo, anche se lei ancora non si ricordava di loro.

La prima domenica che ebbero a disposizione era una domenica di primavera inoltrata, e i due ragazzi invitarono Candy a casa loro con tanto di beneplacito della zia Elroy, che fra l’altro doveva assentarsi per un impegno “mondano”.

 

-Ciao Candy! Bentrovata!- dalle voci di Archie e Stear trasparivano contentezza e commozione, e anche Candy fu contenta di rivedere quei due ragazzi, anche se nella sua mente si ricordava di averli visti una volta soltanto.

-Candy, lascia che ti presenti la mia fidanzata Patricia O’Brien, ci siamo conosciuti a Londra a un ricevimento.- disse Stear dopo essersi sciolto dall’abbraccio con Candy.

-A dire la verità ci siamo rotolati addosso mentre tentavamo di ballare.- disse la ragazza inglese ridendo.

-Stear mi ha parlato tantissimo di te Candy, sono davvero felice di conoscerti.-

-Il piacere è tutto mio signorina O’Brien.-

-Oh andiamo, ma quale signorina! Puoi chiamarmi Patty, ho soltanto diciassette anni, non sono mica tua nonna!- le disse strizzandogli l’occhio da dietro gli occhiali.

Candy sorrise compiaciuta, la fidanzata di Stear era davvero simpatica!

-Candy, questa è Annie Brighton, una mia carissima amica. Vive qui a Chicago.-

Amica, non fidanzata. D’altronde la ragazza dai lunghi capelli neri sembrava decisamente troppo giovane per essere la fidanzata di un giovanotto come Archie: dimostrava più o meno la stessa età di Candy.

-Molto lieta signorina.- disse porgendo la mano alla ragazza davanti a lei, ma inaspettatamente questa rimase rigida.

-Annie, che succede?- chiese Archie.

Candy ebbe un’intensa sensazione di deja-vu, aveva già vissuto quella situazione. 

All’improvviso nel suo cervello risuonarono semplici e terribili parole “…ti odierò per sempre…” diceva proprio quella ragazza “…ti odierò per sempre…” “…per sempre…”

Perché quelle parole? Cosa le aveva fatto lei? Possibile che avesse qualche grave colpa nei confronti di quella ragazza?

 

Sotto gli occhi increduli e spaventati dei presenti Candy perse i sensi e cadde a terra svenuta.

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Capitolo 27
*** è successo qualcosa di molto brutto ***


Quando riaprì gli occhi Candy era sdraiata su un letto e si sentiva dolorante a un fianco. Vicino a lei c’era Patty, la fidanzata inglese di Stear.

-Candy! Finalmente ti sei ripresa! Come stai?-

-Patty… cosa è successo?-

-Sei svenuta così, all’improvviso.-

-Quella ragazza… Annie…-

Patty abbassò lo sguardo, sembrava mortificata.

-è successo qualcosa di molto spiacevole Candy.-

-Ho visto quella ragazza… era come un flash… lei diceva che… mi odiava… ma perché?-

Patty sembrava non avere il coraggio di rispondere.

-Ti prego Patty, aiutami a rialzarmi.-

Patty la aiutò ed insieme tornarono nella sala dove stavano Archie e Stear. Anche i due ragazzi sembravano mortificati.

-Candy, noi non sappiamo come scusarci…- disse un avvilito Archie.

-Ma che cosa è successo? Chi è quella… Annie?-

-Non voglio più saperne di lei! È stata inqualificabile!- Archie era tanto furioso quanto avvilito.

-Insomma, mi volete dire cos’è successo?- 

Fu Albert a rispondere.

-Vieni con me Candy, ti racconterò tutto. Poi deciderai tu cosa fare.-

 

Uscirono in giardino e si sedettero su una panchina sotto un albero. Albert sembrò quasi prendere fiato prima di cominciare a parlare.

-Candy, poco fa quando hai perso i sensi è successo qualcosa di molto brutto.-

 

Candy giaceva a terra svenuta, i suoi amici erano allibiti, e Annie Brighton fece un gesto assurdo, impensabile: prese un bicchiere a calice posto su un tavolino vicino a lei e lo tirò addosso alla ragazza svenuta a terra.

-Maledetta!- gridò sferrandole un calcio nei fianchi e scappando via in lacrime.

Archie la inseguì e la raggiunse bloccandola.

-MA CHE TI E’ PRESO MALEDIZIONE!!!-

La ragazza era in lacrime

-Chiedilo a lei Archie! Tutti hanno sempre amato più lei di me! Anche tu!-

-MA DI COSA STAI PARLANDO ACCIDENTI A TE! QUELLA RAGAZZA STA MALE! HA PERSO LA MEMORIA CAPISCI?!!!!!-

Annie non stette a sentire oltre e scappò via dalla porta davanti ai servitori allibiti e imbarazzati.

-Signori.- disse Archie rivolto ai dipendenti di casa Ardley –Vi chiedo cortesemente di non fare parola ad anima viva di quello che avete visto oggi. Non ve lo ordino, voi siete liberi di fare quello che volete, semplicemente ve lo chiedo.-

I servitori assentirono imbarazzati: dalle loro bocche non sarebbe uscito nulla.

 

-Ma… ma perché? In nome di Dio, perché?-

-Candy, tu conoscevi Annie Brighton prima dell’incidente, capisci?-

-Va bene, la conoscevo. Ma cosa posso averle fatto per farmi odiare così?-

-Proprio niente Candy, tu non le hai fatto niente.-

In breve Albert le raccontò di quella volta che dopo la visita di Annie Brighton e di sua madre a casa Legan, lei scappò nel bosco e si confidò con lui.

Alla fine del racconto Candy appariva particolarmente avvilita.

-Perché… perché vergognarsi di venire dalla Casa di Pony? Io non ricordo nulla degli anni trascorsi lì, ma è un posto meraviglioso… quei bambini… le due donne che si prendono cura di loro… sono tutte persone fantastiche…-

-TU sei una persona fantastica Candy! Miss Pony e Suor Maria mi hanno raccontato cose bellissime su di te! Annie non merita il tuo amore e il tuo rispetto. 

Archie ha chiesto ai dipendenti di tacere su quanto accaduto, ma io non mi sento di chiedere lo stesso a te.-

Candy sembrò pensarci su.

-Non dirò niente. Se rivedrete quella… Annie… rassicuratela. Dalla mia bocca non uscirà niente, né su quello che è successo oggi, né sulle sue reali origini.

Ora però vorrei che mi accompagnaste in ospedale.-

-Certo Candy, come vuoi.-

 

Il giorno dopo Candy ricevette una visita in ospedale, mentre stava attraversando la corsia del suo reparto, vide davanti a sé Patty, la fidanzata di Stear.

-Ciao Candy.-

-Ciao Patty, cosa fai qui? Non puoi stare…-

-Tranquilla, ho raccontato che dovevo parlare con i medici del tuo reparto a proposito di un parente ricoverato.- disse strizzando l’occhio

-Patty! Puoi mettermi nei casini lo sai?-

Un colpo di tosse dietro di lei la fece girare

-Signora direttrice, adesso faccio accomodare la signorina…-

-Non si disturbi signorina White, le concedo venti minuti di pausa. Non uno di più.-

-Grazie signora direttrice.-

 

Scesero in giardino e si sedettero su una panchina.

-Sai Candy? Stear mi ha parlato tantissimo di te, credo di essere anche un po’ gelosa.-

-Ma cosa dici? Io e Stear siamo solo amici posso assicurartelo…-

-Lo so.- le rispose lei prendendole la mano –E lui tiene tantissimo alla tua amicizia, non levargliela. 

Lui e Archie ti vogliono bene, continua a essergli amica, e concedi anche a me di esserti amica.-

Candy si mise a piangere

-Io… io… non mi ricordo niente di questa amicizia… non mi ricordo…-

-Lo so Candy, lo so, e noi vorremmo solo aiutarti. Permettici di farlo.-

In lacrime Candy abbracciò la sua nuova amica Patty.

 

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Capitolo 28
*** la tua bontà è incancellabile ***


Dopo il brutto episodio con Annie la vita di Candy riprese come prima e meglio di prima. I suoi amici furono encomiabili con lei, e lei si sentiva felice come non mai. 

Patty si rivelò un’amica eccezionale, cominciarono a frequentarsi anche da sole e il loro rapporto diventò molto confidenziale.

 

Arrivò l’Estate e gli amici di Candy vollero regalarle una vacanza alla Casa di Pony, e Patty si offrì di andare con lei. 

Candy era raggiante: erano mesi che non vedeva la Casa di Pony!

 

Le due ragazze percorrevano la strada che portava alla casa portando ognuna il suo bagaglio, e sudando neanche fossero nel deserto.

-Quella è la collina di Pony, dove i bambini vanno sempre a giocare, mi è stato raccontato che io passavo giornate intere su quella collina. Nella bella stagione stavo sempre a correre, rotolarmi sull’erba e arrampicarmi sul grande albero, quello che i bambini chiamano Papà Albero. D’inverno invece salivo in cima e poi mi lasciavo scivolare sulla neve fino alla casa.

E poi…-

-E poi?- Patty era intenerita e commossa nell’ascoltare l’entusiasmo che filtrava da ogni poro della sua giovane amica.

-E poi? E poi non so… non ho nessuna memoria delle cose che ti sto raccontando… ma so che questo posto per me significa casa, amore, protezione. E sono sinceramente felice quando posso tornare qui.-

-Sono sicura che un giorno ricorderai tutti gli eventi di cui parli Candy…-

-Lo spero tanto Patty, ma anche se questo non fosse… io sarò felice se potrò avere accanto un’amica come te.-

Patty sorrise, e in quel mentre la Casa di Pony appariva da dietro il profilo della collina.

 

Poco dopo Candy abbracciava i suoi fratellini e sorelline sotto lo sguardo commosso di Miss Pony, Suor Maria e Patty.

-No bambini, non ho recuperato la memoria, non ricordo ancora niente, ma sapete una cosa?
Vi voglio bene lo stesso!!!-

 

-Miss Pony, Suor Maria, voglio presentarvi Patricia O’Brien, una mia carissima amica nonché fidanzata del mio amico Stear che voi avete conosciuto.-

-Onoratissima di conoscervi.- disse Patty con un inchino. –Candy mi ha parlato tantissimo di questo posto e di voi.-

-Siamo felici di conoscerla signorina O’Brien. Le amiche di Candy sono sempre le benvenute qui.- rispose Miss Pony

-Vi prego, chiamatemi Patty.-

-Come desideri Patty. Prego accomodatevi in casa, sarete stanche.- disse Suor Maria introducendo le ragazze in casa.

L’ambiente della casa era esattamente come Candy lo aveva descritto, semplice e accogliente, povero e dignitoso.

C’era qualcosa che strideva però con le descrizioni di Candy e la stessa Candy se ne accorse.

-Ma… quel muro… era umido, c’era una piccola crepa…-

-Il signor Ardlay e la signora Legan hanno finanziato i lavori che erano necessari da tempo Candy, e che noi non potevamo mai fare.-

-Albert… e la signora Legan… hanno fatto questo?-

-Sì Candy, ma non solo: ci sovvenzionano in continuazione. Adesso i bambini non saltano più i pasti come succedeva quando c’eri tu con noi.-

-Saltavamo… i pasti?-

-Certo Candy, fu per questo che accettasti la proposta dei Legan di andare a lavorare per loro. Dicevi che senza di te avremmo faticato di meno a mantenere i nostri bambini. E ci mandavi anche i soldi che guadagnavi.-

-Non ricordo niente di tutto questo…-

-Il fatto che tu non lo ricordi, non lo cancella Candy. La tua bontà è incancellabile bambina mia…- concluse Miss Pony appoggiando le mani sulle spalle della sua protetta.

 

Patty era in lacrime. Perché la sfortuna si accaniva così sui più buoni?

 

-Quella vipera! Non osasse farsi vedere qui che la prendo io a calci!- La voce di Suor Maria era un temporale con fulmini e saette che sembravano uscirle direttamente dalla bocca.

Patty aveva voluto raccontare alle due donne il bruttissimo episodio di qualche mese prima, approfittando del fatto che Candy dormiva nella stanzetta assegnata a loro due.

Anche Miss Pony faticava a controllare la rabbia.

-Non capisco come sia potuto succedere: Candy e Annie sono cresciute come sorelle…-

-Miss Pony, sorella, non pensate che anche Annie possa essere una vittima? Vittima di un condizionamento familiare pesante…-

-Oh non cerchi di giustificare quella serpe! Candy la proteggeva sempre, l’aiutava in tutto e per tutto e lei…-

-Coraggio… Candy non è sola, ha tante persone che le vogliono bene e sono sicura che la sua sarà una vita felice, che recuperi o no la memoria.-

-Grazie Patty…- disse Miss Pony in lacrime -…per voler bene alla nostra Candy…-

 

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Capitolo 29
*** io sono già guarita ***


La vacanza di Candy e Patty alla Casa di Pony durò due settimane, poi Patty volle ritornare a Chicago dal suo amato Stear e Candy la seguì: anche lei aveva nostalgia di Chicago, dell’ospedale, dei suoi amici, dei suoi studi.

Suor Maria e Miss Pony furono tristi nel veder andare via la loro bambina, ma felici perché lei era felice. Si fecero promettere che sarebbe tornata per Natale, e lei assicurò che avrebbe fatto il possibile.

Durante il viaggio di ritorno Patty lesse un giornale comprato in stazione e si incupì, quel giornale riportava notizie preoccupanti dall’Europa. La politica espansionista della Germania non accennava a cambiare e adesso Hitler sembrava aver messo gli occhi sulla Polonia. La vecchia questione del “corridoio di Danzica” era il pretesto per allungare le mani sull’intera nazione, e le due potenze alleate della Polonia, ovvero Francia e Gran Bretagna non sembravano proprio intenzionate a stare a guardare. 

 

I timori della stampa internazionale e dei governi europei si concretizzarono ben presto: il 1° settembre 1939 la Germania invase la Polonia dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale.

 

L’autunno inoltrato si apprestava a diventare inverno, e Candy camminava infreddolita per le strade di Chicago. Aveva finito il suo turno in ospedale e aveva deciso di fare una passeggiata in città prima di mettersi a studiare, ma il freddo pungente la stava facendo ripensare quando da lontano vide la sua amica Patty diretta verso una piccola chiesa dall’altra parte della strada. Attraversò la strada per raggiungerla e la salutò.

-Sono contenta di vederti Candy. Mi accompagni in Chiesa?-

-Certo volentieri!-

-Vorrei pregare per la pace.-

-è una bella preghiera, mi unirò volentieri a te.- le rispose con un sorriso.

Entrate in chiesa le due amiche si inginocchiarono per pregare. Dopo qualche minuto di silenzio Patty si rivolse alla sua giovane amica.

-Sai Candy? Fra non molto dovrò partire per l’Europa.-

-Cosa? E perché? Lì c’è la guerra!-

-Lo so, e ci sono anche i miei genitori e mia nonna. Inoltre non posso restare troppo a lungo in questo paese se non ho un lavoro o se non sono sposata con un cittadino americano.-

-Questo non credo sia un problema.- disse Candy con un pizzico di malizia.

Patty sorrise ostentando un leggero imbarazzo.

-Oh, in realtà io e Stear non abbiamo ancora parlato di questa possibilità. Credo che lui potrebbe farmi presto una proposta in tal senso, ma per me è una cosa prematura.

Non che io non ami Stear, è un ragazzo meraviglioso, ma adesso vorrei tornare nel mio paese, stare vicino ai miei.

E poi questa maledetta guerra… penso di dover fare la mia parte Candy…-

-In che senso? Vorresti… combattere?-

Patty rise.

-No, certo che no Candy! Ma potrei lavorare nelle acciaierie di mio padre, o magari per qualche ente governativo o militare. Ho un diploma da segretaria sai?-

Candy rimase interdetta, e la sua voce ebbe l’inflessione del pianto.

-Mi… mi mancherai Patty!-

-Anche tu Candy… mi mancherai tantissimo… ma ci rivedremo presto e ti scriverò spessissimo!-

Si abbracciarono commosse

-E poi quando tornerò per sposare Stear, voglio trovarti guarita! Intesi mia bella e bionda infermiera?-

-Io… io sono già guarita… grazie al vostro amore, alla vostra amicizia… io vivo felice…-

 

Nonostante i tentativi di Stear di convincerla a restare, Patty partì per Londra per la metà di Dicembre.

Candy ne fu particolarmente triste: quello era il secondo anno che lei aveva perso la memoria, e adesso perdeva anche la sua amica.

 

In Europa proseguiva la “strana guerra”, come la soprannominavano i francesi, una guerra dichiarata ma non combattuta fra la Germania da una parte e Francia e Regno Unito dall’altra. Certamente nessuno si illudeva che quello stato di cose durasse in eterno, prima o poi la guerra sarebbe diventata effettiva.

 

Quando Candy tornò dalle vacanze di Natale alla Casa di Pony, Albert la andò a prendere alla stazione di Chicago.

-Ti ricordi di Terence, Candy?-

-Terence… Terence… sicuro! Il mio collega di… smemoratezza! Ho letto di lui sul giornale: sembra che stia diventando un bravo attore! Ne hai notizie?-

-Ci invita alla prima dello spettacolo che si terrà a Brodway il prossimo mese. Si tratta del Macbeth di Shakespeare, lui farà una piccola parte, ma reciterà pur sempre su uno dei palcoscenici più importanti degli Stati Uniti! 

Ha invitato anche te.-

-Me?!?!? Oh mio dio, ma perché?-

-Come sarebbe a dire perché? Sei stata la sua infermiera! Vuoi leggere la lettera che mi ha mandato?-

Albert prese un foglio di carta piegato in quattro dalla tasca del giaccone e lo porse a Candy che lo lesse d’un fiato.

-Ma che spirito di patata!-

Albert rise.

-“infermiera dalle tante lentiggini” non ti è piaciuto vero?-

-Decisamente no! Ma verrò volentieri, sempre che in ospedale mi diano il permesso…-

-Te lo daranno sicuramente Candy! La prima sarà di Sabato, noi partiremo il Venerdì mattina e torneremo la domenica notte, così che il lunedì sarai già al lavoro.-

-Mi fa piacere che si sia ricordato di me, a suo tempo mi era sembrato parecchio snob.-

-Invece è un ragazzo semplice, come te. Nei miei frequenti viaggi di lavoro a New York ho avuto modo di incontrarlo spesso e di conoscerlo meglio. Siamo diventati grandi amici.-

-Notizie di Patty?-

-Si certo, ha scritto a Stear, e come sempre ha allegato una busta anche per te. Stear l’ha già recapitata in ospedale alla tua compagna di stanza.-

-Bene, più tardi la leggerò.-

 

Nella sua lettera Patty scriveva di lavorare come segretaria e dattilografa nel palazzo del governo di Londra, lo stesso dove abitava e lavorava anche Winston Churchill, era indaffaratissima e anche molto preoccupata per il futuro. 

Dopo l’invasione della Polonia e la dichiarazione di guerra di Francia e Regno Unito alla Germania, si era entrati in una fase di stallo, come se le potenze impegnate stessero raccogliendo le loro forze, ma era solo questione di tempo…

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Capitolo 30
*** tutti noi cerchiamo di fare in modo che lei sia felice ***


New York era una città animata e piena di gente indaffarata, ancora più di Chicago, e Candy ne rimase impressionata.

Era stanchissima per il viaggio, ma lo stesso sembrava volersi mangiare con gli occhi ogni particolare, ogni dettaglio di quelle strade scintillanti.

Anche il freddo pungente colpì Candy. Lei era abituata al freddo invernale ma New York in quel periodo sembrava un concentrato di correnti fredde provenienti direttamente dal circolo polare.

 

Arrivati in albergo Candy e Albert si sistemarono nelle due stanze che il giovane magnate aveva prenotato.

Candy era incredula: quella stanza avrebbe potuto ospitare da sola tutti i bambini della Casa di Pony, e nel bagno gli stessi bambini avrebbero potuto farci il girotondo per quanto era spazioso.

Si fece la doccia, si cambiò d’abito e raggiunse Albert nella hall dell’albergo.

-Dimmi la verità Albert, ma quanto costa questo albergo?-

Il suo amico proruppe in una sonora risata.

-Non dartene pensiero Candy! Niente che gli Ardlay non possano sostenere.-

-Chi stiamo aspettando Albert? Prima mi hai detto che qualcuno doveva venirci a prendere per cena.-

-Parla di me mia bella e lentigginosa infermiera di Chicago?- risuonò una voce dietro di lei

-Ma… come si permette?... Terence!-

Senza un preciso motivo che giustificasse tanta espansività Candy abbracciò il suo vecchio paziente, “JimBob” come lo aveva soprannominato lei.

-Anch’io sono contento di rivederti Candy… non ti ho mai ringraziato abbastanza per quello che hai fatto per me…-

La voce del giovane aspirante attore era sinceramente commossa.

-E… tu? Come…-

Candy sorrise

-Non ho ancora recuperato la memoria, ma sto bene lo stesso. Ormai mi sto abituando all’idea che la mia amnesia possa essere permanente.-

-Mi dispiace Candy…-

-Non preoccuparti per me Terence! Io ho tante persone che mi vogliono bene e mi aiutano.-

Vincendo l’impulso di piangere Terence si staccò dall’abbraccio della sua ex-infermiera.

-Coraggio! Andiamo a cena fuori! Un certo ristorante italiano ci aspetta. Ho prenotato un tavolo per tre. 

Ovviamente ho già pagato io!-

 

Il ristorante aveva una bellissima vista sul fiume Hudson, e la città di New York, la “Grande Mela” dava davvero un bello spettacolo di sé.

Candy non aveva mai assaggiato la cucina italiana e si abbuffò di tutte le pietanze che le venivano servite, sotto lo sguardo divertito dei suoi amici.

 

-Sei emozionato Terence? Non capita tutti i giorni di recitare in un famoso teatro di Broadway!-

-In effetti no Albert, ma sai, io spero tanto che questa diventi la mia routine, spero tanto di poter fare questo lavoro nella mia vita.-

-Perché non dovresti riuscirci Terence?- gli chiese Candy

-Ci sono tante incognite Candy… e poi… questa guerra…-

-Cosa c’entra la guerra?-

-Io sono cittadino inglese Candy, e credo proprio che a breve partirò per l’Europa.-

-Oh mio dio… ma… devi proprio Terence?-

-Temo proprio di sì Candy. Confido solo nel fatto che questa guerra finisca presto. Finora la Germania di Hitler ha fatto la voce grossa con i piccoli e deboli paesi dell’Europa orientale. Figurati che la Polonia si è opposta ai carri armati tedeschi con la cavalleria… Ma contro Francia e Inghilterra sarà un’altra musica.

Sento di dover andare Candy, lo capisci vero? Non posso stare a guardare.-

Candy non riusciva a parlare, l’immagine di Terence e quella di Patty le si sovrapponevano nella mente, e per vincere l’impulso di mettersi a piangere si alzò, con la scusa di dover andare in bagno.

 

Allontanatasi la sua giovane amica, Terence si rivolse ad Albert.

-Dimmi la verità Albert: c’è speranza che Candy possa guarire?- 

Albert appariva triste

-Ho parlato con i medici del suo ospedale, ogni tanto la sottopongono a una serie di visite, e secondo loro c’è fondato motivo di ritenere che l’amnesia di Candy possa essere permanente.-

Entrambi abbassarono lo sguardo

-Lei ovviamente non lo sa, e la cosa le viene edulcorata in mille modi. Tutti noi cerchiamo di fare in modo che lei sia felice…-

-Sono sicuro che lo è… grazie a voi…-

 

Il giorno dopo Terence era troppo impegnato con le prove del suo spettacolo per poter far da cicerone ai suoi amici, e fu Albert a far fare un giro turistico della città a Candy.

Candy era raggiante: New York, una delle città più famose degli Stati Uniti si dispiegava lì, davanti a lei, con le sue meraviglie. 

Albert era felice di vederla così, ma anche triste pensando a quando la trovò nella radura in riva al fiume…

 

Lo spettacolo di Terence fu un successo strepitoso. Lui faceva una parte modesta, il re di Francia nel Macbeth non era certo una parte da protagonista, ma tanto serviva a lanciarlo in quel mondo scintillante che era il teatro. 

Senza dimenticare le nuove possibilità offerte dal cinema, un’arte emergente nella quale Terence avrebbe potuto dire la sua.

Ora però, quella maledetta guerra che si stava combattendo al di là dell’Oceano rischiava di sconvolgere anche la sua vita.

 

Dopo lo spettacolo Candy e Albert si recarono nei camerini accompagnati da Eleanor Baker, la madre di Terence, e poco prima di entrare ne videro uscire una ragazza, un’attrice della compagnia ancora in costume di scena, che piangeva sconvolta.

-Ancora quella Susanna!- Sbottò Eleanor –Dovrebbe aver capito che…- troncò la frase appena in tempo. Non voleva che i suoi ospiti fossero turbati da questioni private.

-Albert! Candy!- Terence era felice che i suoi amici fossero lì.

-Congratulazioni primadonna!-

-Non prendermi in giro Candy! La mia era una particina lo sai.-

-Sì certo, ma li ho sentiti bene gli applausi del pubblico, erano tutti per te!-

-Candy ha ragione figliolo, questa particina è solo l’inizio.-

Dentro di sé Terence si incupì, senza volerlo dare a vedere né a sua madre né ai suoi amici. E se quell’inizio si fosse presto trasformato in una fine?

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Capitolo 31
*** un mondo migliore per tutti ***


Il giorno dopo Candy e Albert dovettero tornare a Chicago: Albert era atteso dai suoi impegni lavorativi e Candy dai suoi studi di infermiera.

Poco prima di salire sul treno Candy prese istintivamente le mani del suo amico inglese e gli rivolse uno sguardo carico di emozioni.

Terence ricambiò quello sguardo, e fu solo il rumore della motrice che si apprestava a muoversi che li distolse dalle loro tacite emozioni. Candy doveva salire sul treno e tornare alla sua vita.

 

Arrivarono a Chicago che era già notte e Albert chiamò un taxi che passava di lì per accompagnare Candy al suo ospedale, e farsi portare lui alla residenza degli Ardlay.

Rientrata nella sua stanza Candy dovette fare bene attenzione a non svegliare Flanny che già dormiva, e nel massimo silenzio si spogliò e si mise a letto.

Lo sguardo di Terence sembrava attraversare il tempo e lo spazio per fissarsi ancora su di lei.

 

L’inverno finì e la primavera avanzava. 

Candy aveva iniziato una fitta relazione epistolare con il suo nuovo amico, e quella relazione per quanto virtuale, fu solo uno degli stimoli che la giovane allieva infermiera aveva per fare sempre meglio e sempre di più.

Provò un sincero dolore quando il suo lontano amico attore le scrisse di essere partito per il fronte.

 

Dall’Europa giunsero nuove notizie sulla guerra, dopo mesi di stallo e di attesa, la “strana guerra” aveva lasciato il posto alla guerra vera.

Contro ogni previsione la Germania aveva clamorosamente sbaragliato i suoi nemici conquistando la maggior parte del suolo francese e assediando le forze inglesi a Dunkerque.

 

-Terence non può essere a Dunkerque Candy.- cercò di rassicurarla Albert –è partito da poco tempo, forse sarà appena arrivato in Inghilterra, ammesso che ci sia arrivato. E se da Dunkerque non arrivano notizie diverse temo proprio che questa guerra sia già finita nel peggiore dei modi.-

 

Il “due alberi” di Richard Grandchester era stracolmo, ben oltre la sua capacità. Almeno quaranta soldati fra inglesi e francesi, stavano stipati come sardine in piedi sulla coperta o nella stiva.

Suo figlio Terence gli fece un segnale da poppa e lui avviò il motore dell’imbarcazione.

Con quel carico il motore avrebbe consumato ben presto il carburante, ed era impensabile oltrepassare la Manica in quelle condizioni. Per fortuna gli incrociatori della Reale Marina Britannica stazionavano poco al largo delle coste di Dunkerque, sarebbe stato sufficiente raggiungerli e quei soldati sarebbero stati immediatamente trasbordati. 

Era già il terzo viaggio simile che i due Granchester facevano quel giorno, e probabilmente per quella giornata sarebbe stato anche l’ultimo.

Mentre dirigeva la prua della sua imbarcazione verso gli incrociatori Richard Granchester non poteva fare a meno di pensare a suo figlio. Non lo vedeva da due anni, da quando era scappato dal costoso collegio dove lo aveva messo a studiare, per raggiungere sua madre in America. Di recente aveva anche esordito come attore, lo aveva letto sui giornali, e se lo era ritrovato il giorno prima al molo del porto di Londra dove teneva ormeggiata la “Eleanor”.

-Vengo con te papà.- gli aveva detto semplicemente, e senza altre parole era salito bordo di quella barca che ancora portava il nome di sua madre.

Il loro rapporto era sempre stato distaccato, formale, privo di ogni inflessione affettiva, ma in quei due giorni padre e figlio si erano sentiti vicini come non mai.

Richard era sicuro che ci fosse un futuro per loro, come padre e figlio.

 

Terence guardava la costa francese allontanarsi dalla sua vista fino a diventare una striscia sottile, e per quanto quel paese non significasse niente per lui, provò un sincero desiderio di dare il suo contributo affinché potesse tornare al più presto un paese libero, libero dall’occupazione e dall’influenza di un nemico ingabbiato in una ideologia mostruosa.

Finita l’evacuazione delle truppe franco-britanniche da Dunkerque, Terence si sarebbe arruolato nell’esercito di Sua Maestà, ormai aveva l’età per farlo.

Suo padre avrebbe nicchiato un po’, perfettamente comprensibile da parte sua, ma alla fine lo avrebbe appoggiato, ne era sicuro.

Mentre l’imbarcazione stracolma si avvicinava agli incrociatori, Terence guardò il sole che a occidente si apprestava a sparire in mare. Oltre quella sottile linea all’orizzonte c’era l’America, c’era sua madre, c’era la sua vita da attore… e c’era Candy…

Gli sembrò di vederla davanti al disco del sole con il suo inconfondibile sorriso e i suoi capelli biondi, sciolti e liberi sulle spalle.

Perché pensava a Candy?

Perché si scopriva a desiderare la presenza di quella ragazzina?

Perché si sentiva un groppo in gola pensando a lei?

Quanto tempo sarebbe passato prima che potesse rivederla?

Avrebbe combattuto quella guerra anche per il futuro di Candy e di tanti ragazzi come lei, un mondo senza la piaga del nazismo sarebbe stato un mondo migliore per tutti, anche per lei.

 

Da qualche giorno i bombardamenti di quella che veniva già chiamata la “Battaglia d’Inghilterra” avevano preso di mira anche i quartieri di Londra e la popolazione civile. 

Patty O’Brien stava recandosi al lavoro attraversando una città sconvolta che viveva nel terrore di nuove azioni nemiche.

Molti consideravano quella fase dell’offensiva tedesca come un punto cruciale non solo della campagna contro l’Inghilterra, ma della stessa guerra.

Se la Germania fosse riuscita a fiaccare la resistenza dell’aviazione britannica, a quel punto sarebbe iniziata l’invasione di terra, e un’eventuale conquista della capitale avrebbe significato la fine della guerra. 

Se invece la campagna aerea fosse fallita, non solo l’Inghilterra, ma l’intera Europa soggiogata dalle truppe di Hitler poteva organizzare una controffensiva.

Quei pochi giorni erano decisivi per le sorti dell’Inghilterra e dell’Europa intera.

All’improvviso Patty sentì le sirene dell’allarme: un nuovo attacco era in corso. Sentì i motori degli aerei rombare minacciosi sopra di lei e cercò un rifugio.

Dal portone di un palazzo alla sua sinistra una donna le fece cenno di sbrigarsi, che aspettavano soltanto lei, e lei si diresse di corsa verso quel portone. Era a pochi metri dalla salvezza quando sentì un bambino che piangeva alla sua destra, non era molto distante e poteva farcela. 

Deviò dal suo percorso e raggiunse quel bambino, poi di corsa si diresse di nuovo verso il portone.

Poi l’esplosione. Una bomba era caduta a poca distanza da lei e la deflagrazione l’aveva presa in pieno scagliandola a terra in direzione del palazzo che stava cercando di raggiungere. 

Fece scudo al bambino con il suo corpo, e sentiva che quella era l’ultima cosa che le era concesso di fare nella sua vita.

Mentre alcune mani la afferravano portandola tardivamente al sicuro pensò al suo amato Stear, dall’altra parte dell’oceano, e pensò anche a una ragazzina buona e sfortunata che le aveva colpito il cuore.

Con uno sforzo sovrumano riuscì a mormorare:

-Stear… amore mio… Candy… mia piccola amica…-

 

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Capitolo 32
*** Lo sguardo di Candy non si addolcì affatto ***


Candy era distrutta. La commemorazione che si era tenuta in casa Ardley era stata un momento dolorosissimo. Patty era stata seppellita nella sua Inghilterra, nella tomba di famiglia in un cimitero di campagna, e in America era arrivata solo la notizia della sua morte. Uno Stear annientato dal dolore aveva pronunciato un discorso straziante e Candy aveva pianto come una fontana ricordando quella ragazza inglese, poco più grande di lei che tanta amicizia le aveva dato.

 

Rientrata in ospedale, era andata direttamente nella sua stanza, dove Flanny l’accolse con un abbraccio. In quel momento Candy aveva tanto bisogno di calore umano e comprensione, e Flanny lo avvertì.

Dall’indomani la vita sarebbe ripresa, come prima e più di prima, anche in memoria della dolce Patty, ma in quel momento era giusto fermarsi un po’.

 

Anche quell’inverno passò e arrivò la Primavera. 

Per Candy si avvicinava il giorno dell’esame finale per diventare infermiera diplomata, e la sua vita era tutta presa dallo studio. Anche le domeniche le passava studiando, quell’esame rappresentava per lei il raggiungimento di una meta agognata, significava sapere cosa avrebbe fatto nel proseguo della sua vita, significava dare alle persone che le volevano bene un motivo per essere orgogliose di lei.

Era un periodo davvero faticoso per la non più tanto piccola Candy. Per quanto il giorno preciso della sua nascita fosse sconosciuto, stava comunque per compiere diciassette anni, ed era diventata una bella ragazza, non tanto alta, niente affatto formosa, ma comunque bella e simpatica.

Ogni tanto riceveva lettere dal suo amico Terence impegnato sul fronte occidentale europeo. Ormai il mito dell’invincibilità tedesca si era infranto ma la guerra appariva ancora incerta. Le forze in campo sembravano equivalersi, e solo l’entrata in guerra di giganti come l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti avrebbe potuto cambiare concretamente il corso delle cose.

Nessuno dei due paesi però sembrava seriamente intenzionato a impegnarsi in quella guerra che come dimensioni e numero di vittime rischiava di diventare peggiore della Grande Guerra del ’15-’18.

 

Mentre prestava servizio in corsia, Candy fu chiamata dalla sua caposala. 

-Signorina, hanno consegnato questo biglietto per lei.-

-Grazie signora Scott!-

Lesse rapidamente il biglietto 

“Carissima Candy.

Quando avrai finito il tuo turno di lavoro avrei tanto desiderio di vederti.

Ti aspetterò fuori dall’ospedale.

A.”

 

Quella “A.” la fece pensare ad Albert, o magari ad Archie, anche se loro in genere firmavano sempre per esteso i biglietti con cui le chiedevano di vederla dopo il lavoro.

Ormai Stear Archie e Neal erano impegnati a fondo nelle attività familiari, e portavano avanti contemporaneamente i loro studi universitari.

Albert dal canto suo era sempre più impegnato nel suo ruolo di capofamiglia degli Ardlay e di presidente della Banca di Chicago.

Candy quindi non riusciva a immaginare chi potesse chiederle di vederla dopo il lavoro.

Fu comunque felice di prendersi una pausa, lavoro e studio la stavano fiaccando e lei temeva di crollare da un momento all’altro.

Finito il suo turno Candy si cambiò d’abito e uscì dall’ospedale. Davanti alla scalinata d’ingresso c’era un piccolo giardinetto con tanto di panchina, e sulla panchina sedeva una ragazza vestita molto elegantemente. 

Nessun altro in giro. Ma dove si saranno cacciati? Si chiese Candy.

La ragazza si alzò e attraversò la strada andandole incontro.

-Ciao Candy.-

Candy guardò la ragazza dai lunghi capelli neri e il suo sguardo si incupì. 

-Cosa vuole da me signorina Brighton? Prendermi a calci un’altra volta?-

Annie Brighton fece fatica a sostenere lo sguardo della sua amica di un tempo, ma si fece forza.

-No Candy, voglio solo chiederti perdono.-

Un lungo istante di silenzio seguì questa frase. Lo sguardo di Candy non si addolcì affatto, anzi.

-Non mi aspetto che tu mi perdoni, ma spero solo che un giorno tu possa ricordarmi come la tua sorellina della Casa di Pony.-

Candy fece una risatina nervosa, quasi isterica.

-IO NON RICORDO NIENTE SIGNORINA!-

I suoi occhi persero lacrime amare, così come gli occhi di Annie Brighton.

-Ho perso la memoria quattro anni fa… e non l’ho più recuperata… lei è stata capace di prendermi a calci, di urlarmi che mi odiava… e adesso… e adesso…-

Qualcosa cambiò nello sguardo di Candy e lei si portò le mani alle tempie e sembrò perdere l’equilibrio. Annie corse subito a sostenerla.

-Candy! Candy! Aiuto! Voi dell’ospedale! Venite subito!-

 

Quando riaprì gli occhi Candy era sdraiata su una barella del Pronto Soccorso, una di quelle barelle che lei stessa trascinava spesso da un capo all’altro dell’ospedale.

Accanto a lei una premurosa Flanny chiamò subito il medico di turno.

-Dottoressa Kelly, venga subito: Candy è rinvenuta.-

-Stai giù Candy!- le ordinò la dottoressa –Sei svenuta in mezzo alla strada e devi ringraziare la tua amica se non sei caduta rischiando di sbattere la testa un’altra volta.-

-Qua-quale amica?-

-Annie Brighton.- rispose Flanny –Ci ha detto di essere una tua carissima amica.-

-Quella non è…- si fermò un momento sbarrando gli occhi, come se visualizzasse qualcosa avanti a sé.

-Do-dov’è adesso?- 

-è qui fuori. Vuoi che la chiamo?-

-Sì per favore… falla venire.-

 

Poco dopo Annie entrava nella saletta del Pronto Soccorso e Candy si fece aiutare a mettersi seduta.

-Candy io… ho mentito alla signorina…- disse parlando di Flanny –Lo so che tu non mi consideri un’amica dopo quello che ti ho fatto… volevo solo sincerarmi che tu stessi bene…-

La ragazza davanti a Candy piangeva e Candy dopo un lungo istante di silenzio le rispose:

-Sì Annie sto bene, sta tranquilla. È vero: sono ancora molto arrabbiata con te non posso negarlo, ma vedi… prima quando sono svenuta… ho avuto come un flash.-

La dottoressa Kelly e Flanny sbarrarono gli occhi in segno di sorpresa.

-Ti ho vista quand’eri bambina, eri tu ne sono sicura, la tua faccia non è cambiata granché.

C’ero anch’io, e anch’io ero bambina. 

Eravamo in piedi una davanti all’altra ed eravamo tristi.

Credo che fossimo sulla collina di Pony.

Non ricordo altro, né prima né dopo la scena che ti ho descritto, ma sapevo che io ero Candy e tu Annie, capisci? Non ricordo ancora il mio passato ma adesso SO CHI SONO: io sono Candy!

Ricordo che ero triste, anche se non so perché, ma ricordo… che ti volevo bene.-

Annie corse ad abbracciare Candy e lei ricambiò l’abbraccio in lacrime.

 

-Quello che è successo è molto positivo Candy.- disse la dottoressa Kelly, sta ad indicare che potresti davvero recuperare la memoria. Adesso però voglio che vai nella tua stanza e ti riposi ragazza! Prenditi un paio di giorni di riposo assoluto. Ci penserà Flanny ad aggiornarti sulle lezioni, intesi?-

-Tranquilla dottoressa, ci penserò io a farla stare buona questa testona! A costo di tenerla legata e imbavagliata!-

-Non servirà Flanny.- rispose Candy con un sorriso –Mi sento talmente svuotata che sarò felice di starmene a riposo. Annie, mi accompagneresti nella mia stanza?-

 

Ovviamente Annie fu felice di esaudire la richiesta della sua amica ritrovata, e arrivate nella stanza che Candy divideva con Flanny si intrattenne un po’ con lei.

-Quando ti sarai ripresa voglio che tu sia ospite a casa mia. Voglio passare un’intera giornata a parlarti dei vecchi tempi. Vedrai che la memoria ti tornerà presto.-

-Ti ringrazio Annie, so che hai buone intenzioni, ma fra non molto dovrò sostenere l’esame finale per il diploma di infermiera, capisci?-

-Aspetteremo il tuo diploma allora, e lo festeggeremo insieme…

Sai Candy? Quello che hai “sentito” nel tuo “flash” è giusto: noi ci volevamo davvero tanto bene e soffrimmo quando dovemmo separarci. La scena che hai descritto credo risalga al giorno prima che io partissi per andare dai Brighton… ci abbracciammo e ci mettemmo a piangere.

Io ti promisi che ti avrei scritto, ma non mantenni la parola… potrai mai perdonarmi Candy?-

-Ehi dico! Senza l’arrabbiatura di poco fa non avrei avuto quel flash…-

La parola “arrabbiatura” fece scattare una molla nel cervello di Annie, come se avesse avuto un’idea.

-Ascolta Candy: quando avrai sostenuto il tuo esame vorrei che io e te andassimo alla Casa di Pony, anche se temo che Miss Pony e Suor Maria vorranno spararmi a vista, se sanno di quello che ti ho fatto…-

Candy ridacchiò

-Lo sanno, ma non preoccuparti: ci metterò una buona parola, anzi gli scriverò subito una lettera e ti consiglio di fare lo stesso.-

-Lo farò.- promise solennemente Annie.

 

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Capitolo 33
*** si stanno divertendo un mondo ***


Venne il giorno dell’esame, e Candy lo superò a pieni voti, risultando fra le primissime del suo corso. L’evento fu festeggiato degnamente dagli amici di Candy. Lei e Flanny vennero invitate nel più costoso e riservato ristorante di Chicago. Flanny si sentiva a disagio, dietro l’esteriorità della ragazza socievole e affabile si nascondeva una persona timida e riservata che aveva accettato l’invito solo perché Candy l’aveva letteralmente implorata.

 

Sostenuto l’esame le due amiche presero servizio stabilmente come infermiere diplomate nello stesso ospedale dove avevano studiato, e dovettero preoccuparsi di cercare una sistemazione fuori dall’ospedale, essendo i loro alloggi destinati alle studentesse fuori sede.

Annie le aiutò a trovare una sistemazione in un appartamento vicino all’ospedale che venne loro affittato ad un prezzo più che abbordabile.

 

Dopo qualche settimana Candy chiese una decina di giorni di vacanza, desiderava recarsi alla Casa di Pony insieme ad Annie. Miss Pony e Suor Maria avevano risposto alle loro lettere esprimendo felicità per la loro rappacificazione e invitandole ad andarle a trovare al più presto.

La direzione dell’ospedale concesse i giorni richiesti per l’inizio di Agosto, e Candy passò l’Estate fremendo. Quanto desiderava rivedere quelle due donne e salire sulla collina di Pony insieme all’amica ritrovata!

Venne infine il giorno della tanto attesa partenza per l’Indiana.

 

-Candy, ti ricordi di Clean?-

Candy distolse lo sguardo dal paesaggio che scorreva davanti a loro man mano che il treno avanzava verso la sua meta.

-Ricordare?-

-Oddio, scusami Candy: sono una cretina!-

Candy ridacchiò.

-Non preoccuparti Annie, credo proprio che dovrò farci l’abitudine. Dai, raccontami tu di… Clean.-

Rinfrancata dal buon umore dell’amica Annie iniziò il suo racconto. 

–Devi sapere che da piccole litigavamo sempre coi nostri compagni, in particolare con Tom che poi venne adottato da una famiglia di rancheros. Un giorno facendo a sassate con loro rompemmo una finestra della casa.-

-Facendo a sassate?- disse Candy ridendo –E chi eravamo? Le figlie di Al Capone?-

-Quelle sarebbero state meno pericolose di noi credimi. Comunque scappammo via e ci nascondemmo nel bosco dietro alla collina di Pony per sfuggire alla giusta ira di Suor Maria.

Lì trovammo un cucciolo di procione ferito e sanguinante e lo portammo con noi alla Casa di Pony per curarlo. Suor Maria ovviamente ci perdonò la nostra marachella e ci permise di curare il piccolo procione che chiamammo Clean.

Clean rimase con noi qualche giorno, poi una volta guarito tornò nel bosco libero come l’aria. Quanto piangemmo quella volta…-

-Trovò il suo posto nel mondo, proprio come stiamo facendo noi.-

 

Era una considerazione che mise un po’ di malinconia addosso alle due amiche.

 

-Candy, credi che Archie potrà mai perdonarmi per quel giorno che…-

-Se ti ho perdonata io perché non dovrebbe farlo lui?-

-Forse… ma non credo che potrà mai interessarsi a me…-

-Senti senti… ti piace il bel biondino appassionato di moda?-

-Oh Candy, cosa dici?-

Candy rise di nuovo

-Dico che sei arrossita come un peperone Annie! Comunque se il nostro modaiolo preferito dovesse farti problemi… vedrò di metterci una buona parola. Poi il resto starà a voi.-

 

-E…- Annie esitava a pronunciare quei due nomi -… miss Pony e Suor Maria… potranno mai…- perse anche una lacrima nel dire questa cosa

-Ma cosa dici Annie?

Miss Pony e Suor Maria ti hanno già perdonata!

Erano arrabbiate certo, come lo ero io, ma adesso è tutto a posto! Vedrai che ti accoglieranno a braccia aperte!-

Annie abbracciò l’amica ritrovata dando libero sfogo alle lacrime e lasciandosi cullare dalle sue carezze.

-Sai qual è il vero problema Annie? Che TU non riesci a perdonarti. È vero, mi hai fatto delle cose brutte, ma sei venuta da me a chiedermi perdono, e adesso cerchi solo di aiutarmi. Cosa dovresti fare di più?

Devi perdonarti Annie, devi farlo per te stessa e per gli altri!-

-Lo farò Candy…- rispose lei inghiottendo le sue lacrime -…lo farò per te… mi capisci?-

 

Il treno proseguì la sua corsa, e quando poi Annie si addormentò lo sguardo di Candy cadde sul giornale accanto a lei che un passeggero sceso alla stazione precedente aveva dimenticato sul treno.

Le consuete notizie di guerra provenienti dall’Europa destavano sincere preoccupazioni in Occidente: le armate tedesche e italiane sembravano non trovare ostacoli nella loro avanzata in Unione Sovietica, e sul fronte occidentale le sorti del conflitto erano in bilico.

Il pensiero di Candy andò a Terence, dalla sua ultima lettera lo sapeva impegnato sul fronte africano.

Conosceva appena quel ragazzo, ma aveva a cuore la sua sorte.

 

Arrivarono alla Casa di Pony il giorno seguente di prima mattina, e a Candy si allargò il cuore. Annie si commosse a rivedere quel luogo dove aveva trascorso i primi otto anni della sua vita e che poi aveva vigliaccamente rinnegato.

 

C’era qualcosa di strano nella Casa di Pony, e Candy lo avvertì subito. Era come se… mancasse qualcosa.

Poi capì: i bambini, mancavano i bambini! A quell’ora avrebbero dovuto essere tutti all’aria aperta a giocare, e invece la casa sembrava deserta.

Una Suor Maria raggiante corse incontro a Candy abbracciandola e piangendo di gioia.

Poi si accorse di Annie che non osava farsi avanti. Nel frattempo anche Miss Pony uscì dalla casa per abbracciare Candy.

Lo sguardo di Suor Maria era assolutamente neutro, come se la ragazza dai lunghi capelli neri non significasse assolutamente nulla per lei. 

Candy guardava la scena con uno sguardo preoccupato. Possibile che quella buona donna portasse rancore ad Annie?

-Sorella… Miss Pony…-

-Signorina Brighton…-

Annie si asciugò una lacrima dal viso.

-Io… io… spero che possiate perdonarmi per quello che…ho fatto a Candy…- 

Suor Maria sorrise commossa e allargò le braccia

-Vieni qui piccola Annie… vieni ad abbracciarmi figlia mia!-

Annie in lacrime corse fra le braccia della buona suora sotto lo sguardo intenerito e commosso di Candy.

 

-Dove sono i bambini?- chiese Candy mentre sorseggiava il caffè preparato da Miss Pony.

-Sai Candy, in paese da qualche tempo c’è un istituto di suore cattoliche come me. Quelle donne ci hanno preso in simpatia e spesso e volentieri portano i bambini a fare gite nei dintorni. Noi non possiamo certo permetterci di portarli in vacanza.-

-Sono contenta sorella.-

-Raccontaci del flash di memoria che hai avuto Candy.- disse Miss Pony –Siamo molto interessate a sapere quello che hai ricordato.-

Candy descrisse la breve scena che aveva visto nella sua mente.

-Annie ha ragione. Tu hai descritto una scena risalente al giorno in cui lei fu adottata dai Brighton.- commentò Suor Maria. –Quando vi comunicammo la notizia tu Candy scappasti via in lacrime verso la collina e Annie ti rincorse. Dopo un po’ arrivai anch’io e vi trovai in piedi l’una davanti all’altra, proprio come hai descritto tu. Poi scoppiaste a piangere…-

-Anche se non recupererò mai del tutto la memoria mi basta recuperare i miei sentimenti, le sensazioni che ho provato per chi mi voleva bene. E con Annie ci sono riuscita.-

-Candy perché non provi a salire sulla collina di Pony?- propose Miss Pony –Magari potresti ricordare altre cose.-

-Buona idea. Mi accompagni Annie?-

-Veramente… sono un po’ stanca e vorrei riposarmi un po’.-

-Va bene.- disse Candy alzandosi –Andrò da sola.-

Mentre Candy usciva dalla casa per salire sulla collina Annie la guardava con tristezza.

-Miss Pony, Suor Maria, siamo sicure che…-

-è stata una tua idea Annie.- le disse Miss Pony come per tranquillizzarla. -Comunque vadano le cose Candy è forte e supererà anche questa vedrai…-

 

Arrivata in cima alla collina Candy si guardò intorno come a cercare riferimenti, immagini del passato. Riconobbe il punto in cui tanti anni prima lei e Annie stavano ferme in piedi l’una davanti all’altra.

Poi si girò nella direzione in cui poteva vedere la Casa di Pony, e allargò le braccia lasciando che dai suoi occhi sgorgassero lacrime di tristezza: come avrebbe voluto recuperare i suoi primi tredici anni e mezzo di vita!

Sicuramente erano stati anni duri, difficili, ma anche felici.

Sulla superficie di un cielo appena rigato da striature bianche, le sembrò di vedere la sagoma della dolce Patty, e le lacrime sgorgarono ancora di più.

-Che fai? Guardi la casa da pezzenti dove sei cresciuta?-

Trasalì nel sentire la sgradevole voce che pronunciava quelle orribili parole e si girò di scatto.

-Elisa Legan! Che diavolo ci fai qui?-

-Ma… come ti permetti?-

Quelle parole sembrarono catapultare Candy in un altro luogo, in un altro tempo, e nel suo cervello risuonarono altre sgradevoli parole pronunciate da un’altra sgradevole voce. 

“Quando ti rivolgi a mia figlia devi chiamarla “signorina Elisa”.”

“Signorina Elisa” 

“Signorina Elisa”

Quel “signorina Elisa” sembrava rimbombarle addosso da ogni direzione

-Quando ti rivolgi a me devi chiamarmi “signorina Elisa”. Mi hai capito bastarda di un’orfana?-

La voce era di nuovo quella di Elisa Legan.

Candy cadde in ginocchio portandosi le mani alle tempie. Era furiosa con quella ragazza… furiosa come non si era mai sentita in vita sua.

-E-Ecco, così devi stare davanti a me schiava!-

-Io… io… IO NON SONO LA TUA SCHIAVA!-

Con un’espressione di odio feroce dipinta sul volto Candy saltò addosso a Elisa scaraventandola a terra e riempiendola di sonori schiaffoni in faccia.

Dopo il primo attimo di sconcerto Elisa rifilò un pugno in faccia a Candy facendola barcollare all’indietro e facendole sanguinare il naso.

Anche Candy rimase sconcertata dalla reazione di Elisa, e le due ragazze si guardarono con espressioni non proprio benevole. Sul volto sanguinante di Candy si disegnò un sorriso cattivo e carico d’odio.

-Bene… adesso ci divertiamo schifosa bastarda incarognita!- disse asciugandosi il sangue dalla faccia. Poi saltò addosso alla sua peggior nemica ma stavolta lei non si fece cogliere di sorpresa, e le due ragazze cominciarono a suonarsele di santa ragione.

 

-Candy! Elisa! Siete impazzite?!!! Fermatevi subito!-

La voce angosciata era quella di Sarah Legan che risaliva di corsa lungo il pendio della collina accompagnata da Suor Maria, da Annie e da suo figlio Neal.

-Separiamole!-

-E perché mai mamma?-

-Ma… Neal! Sei impazzito anche tu?!!! Dobbiamo fermarle prima che si facciano male!-

-Guardale bene: si stanno divertendo un mondo! Sono anni che non sognano altro che di darsele di santa ragione, e tu vorresti privarle del loro più grande divertimento? 

Quando avranno finito saranno troppo stanche per avere voglia di litigare ancora.

Lasciamole in pace e torniamo giù.-

Annie assentì.

-Neal ha ragione. Lasciamole stare.-

Suor Maria e Sarah Legan sembrarono convincersi, e a malincuore lasciarono le due ragazze ai loro maneschi giochi.

 

Non avrebbero mai saputo dire quanto durò la loro lotta, ma alla fine Candy ed Elisa giacevano a terra una di fianco all’altra, esauste e sanguinanti.

-Di un po’ Candy, da quanto tempo sognavi di picchiarmi?-

Chiese Elisa mentre cercavano di mettersi sedute appoggiandosi a Papà Albero.

-Quando lavoravo per te, una volta sognai di darti in pasto alle formiche rosse!-

Elisa sgranò gli occhi.

-Cosa hai detto?-

Candy la guardò e per la prima volta vide in quello sguardo la sincerità.

-Ho detto che… ho recuperato la memoria piccola bastarda! Sono guarita!-

Cominciarono a singhiozzare e si abbracciarono.

-Candy… potrai mai perdonarmi?-

-Ma certo che posso, riccastra dei miei stivali! Mi hai fatto infuriare al punto tale che ho recuperato la memoria! Adesso so chi sono, e lo devo a te…-

-A dire il vero è stata un’idea di Annie.-

-Ma che lurida cagnetta rognosa!-

Elisa rise

-Quel giorno che all’ospedale hai avuto quel flash perché ti eri arrabbiata con lei, ha pensato che forse arrabbiarti con me poteva farti bene!-

-E aveva ragione…- commentò Candy ridendo.

-Ma adesso dimmi: cosa ti ha fatto cambiare atteggiamento nei miei confronti?-

-Ti ricordi quel giorno che mio padre mi schiaffeggiò a casa degli Ardlay?-

Candy fece cenno di sì.

-Candy, devi sapere che mio padre è sempre stato un padre assente e distratto.

Non c’era mai, sempre in viaggio per lavoro, e quando c’era si chiudeva nel suo studio perché “aveva da fare”.

È stata mia madre a occuparsi della nostra educazione, anche se ci dava mano libera su tutto. Temeva che potessimo incattivirci ancora di più.

Per farla breve, quello schiaffo è stato il primo gesto di attenzione che ho ricevuto da mio padre.

Da quel giorno lui sembrò capire i suoi sbagli e fu più presente con noi.

Qualche volta mi ha portata con lui nei suoi viaggi d’affari sai? Mi presentava come sua figlia e mi chiedeva consigli! A me!

Era bello avere un padre presente e attento… e per la prima volta in vita mia… pensai a quanto doveva essere brutto… non avercelo affatto. Solo che… non osavo avvicinarmi a te… mi vergognavo troppo!- 

Candy piangeva commossa. Elisa Legan non era quella carogna che aveva sempre pensato, era una ragazzina sola, come lei.

-Poi un giorno Annie è venuta a trovarmi, sai io e lei ci frequentiamo da anni, e mi chiese di te, della mia “cameriera bionda”.

Non sapevo delle sue origini, ma capii subito che parlava di te.

Io le dissi quel poco che sapevo e le chiesi perché si interessasse a te.

Lei si mise a piangere e mi disse che tu eri la sua sorellina e che ti aveva tradita, mi raccontò tutto di voi due e io feci lo stesso, le raccontai tutto quello che ti avevo combinato. Insieme decidemmo che dovevamo contattarti, aiutarti, farci perdonare da te…

Quel giorno all’ospedale c’ero anch’io. Mi ero nascosta dietro un albero, pensammo che rivedere anche me sarebbe stato uno stress troppo pesante per te, e quando poi ti portarono dentro l’ospedale Annie mi disse di non entrare.

Quando uscì mi raccontò l’accaduto e mi disse della sua idea.

Ovviamente dovevamo aspettare che tu avessi dato il tuo esame, non volevamo certo crearti altri stress!

Annie ebbe anche l’idea di mettere in atto il suo piano qui, alla casa di Pony, su un terreno a te amico.

Se il nostro tentativo non avesse funzionato almeno miss Pony e Suor Maria ti avrebbero trattenuta dall’uccidermi!-

Si abbracciarono di nuovo, poi Candy accennò ad alzarsi.

-Dai, torniamo giù. Saranno preoccupati per noi.-

Ammaccate e doloranti le due ragazze si alzarono in piedi e sostenendosi a vicenda si incamminarono lungo il sentiero che conduceva alla casa che adesso Candy poteva ricordare in tutti i suoi particolari.

-Ci tengo che tu sappia una cosa Candy.-

-E sarebbe?-

-Io… non le penso le cose orribili che ho detto prima…-

-Lo so Elisa, lo so…-

-Questa casa, questi bambini, è tutto… meraviglioso… e se ho fatto a botte con te è stato solo… per aiutarti…-

Candy sorrise commossa.

 

-Siete state inqualificabili!- tuonò senza troppa convinzione Sarah Legan mentre medicava la ferita al naso di Candy. Nel frattempo Suor Maria faceva la stessa cosa con gli occhi pesti di Elisa.

-Avanti mamma! Non abbiamo fatto niente di male! E poi… Candy ha recuperato la memoria anche grazie ai miei schiaffoni!-

Candy rise.

-A dire il vero sai quando ho ricordato tutto? Quando mi hai dato quel pugno sul naso!-

-Veramente?-

-Quando mi hai insultata chiamandomi “schiava” ho ricordato noi tre vicini al vostro stagno, ma solo quando mi hai colpita al naso ho ricordato tutto! 

Poi ti sono saltata addosso dopo averti chiamato “schifosa bastarda incarognita”, intuivo la trappola che mi avevate teso ma desideravo troppo suonartele!-

-Ma dove hai imparato queste parole Candy!- Tuonò Suor Maria –Certo non in questa casa!-

Candy sogghignò 

-Lei dice sorella?-

-Questa poi… credo proprio che dovrò fare un bel discorsetto ai bambini sulle parolacce e sulle lingue lavate col sapone!-

-Non ci credo neanche se lo vedo sorella!-

-E dovrei cominciare proprio con te piccola peste!- disse la buona suora mettendosi a piangere e correndo ad abbracciare la sua bambina di un tempo.

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Capitolo 34
*** Quindi adesso sai ***


Più tardi Candy ed Elisa salirono di nuovo sulla collina di Pony, mentre Neal era sceso in paese a telegrafare la buona notizia della guarigione di Candy allo zio William alias Albert. Lui poi l’avrebbe riferita a tutti gli amici e conoscenti di Candy.

-Mi dispiace veramente tanto per tutte le cattiverie che ti ho combinato Candy.-

-Andiamo! In fondo è merito tuo se sono guarita!-

-Quindi da adesso io e te siamo amiche, non è vero?-

-Certo che siamo amiche! E quando torneremo a Chicago inizieremo a frequentarci e a uscire insieme! Devo portarti in un posto dove si mangiano panini buonissimi.-

-Intendi dire da Arnold’s?-

-Tu conosci Arnold’s?-

-Si certo, una volta Neal ci ha portate a mangiare lì, a me e mia madre. Facemmo le schizzinose ma sai una cosa? Si mangiava benissimo!-

 

Poco dopo le due ragazze sedevano di nuovo con la schiena addossata a Papà Albero, e Candy raccontò a Elisa la storia del principe della collina.

-E tu dici che quel ragazzo somigliava così tanto al povero Anthony?-

-In realtà di quel povero ragazzo io ho potuto vedere solo una fotografia, quindi non potrei giurarci che fossero due sosia, però la somiglianza era forte! Tu hai idea di chi potesse essere?-

-Non ne ho la più pallida idea! Forse un qualche cugino o parente degli Ardlay, o magari era uno sconosciuto che casualmente somigliava ad Anthony.

Piuttosto, a proposito di uomini…-

Candy rimase sbigottita: lei ed Elisa che parlavano di certe cose?

-…tu che ne pensi di mio fratello?-

-Ma cosa dici Elisa? Neal è un caro ragazzo e non gli porto certo rancore per quelle sciocchezze di quando eravamo piccoli, ma non ho mai pensato a lui come…-

-Lui era cotto di te lo sai?-

-Intendi… quando stavo da voi?-

-Esatto!-

-Beh, non voglio avere l’aria di rinfacciare niente, ma aveva uno strano modo di dimostrarlo!-

-Dai! Lo sai bene che dopo che rischiasti di morire annegata nel fiume lui ti portò rispetto! Credo proprio che fosse innamorato perso di te!-

-Un amore infantile.-

-Una volta mi ha confessato che di notte veniva nella tua stanza ad ammirarti mentre dormivi.-

Si portò la mano alla bocca come consapevole di aver detto qualcosa che non doveva.

-CHE COSA FACEVA?-

-Boccaccia mia!- disse Elisa dandosi un pugno in testa 

-Avanti Candy, era un ragazzino e in fondo non faceva niente di male!-

-Vorrei ben vedere!-

Risero insieme 

 

-A parte mio fratello, c’è qualcuno che ti interessa?-

-Da qualche tempo sono diventata amica di Terence Granchester.-

-L’attore? Certo che punti in alto tu!-

-In realtà l’ho visto poche volte, era stato ricoverato al mio ospedale per un’amnesia e mi avevano assegnata a lui nella speranza di un reciproco giovamento. In effetti lui guarì, mentre io…-

-E poi l’hai rivisto?-

-Sì, qualche mese dopo mi invitò a New York a vedere un suo spettacolo. Da allora abbiamo cominciato a scriverci.-

-Ne sei innamorata?-

-Ma cosa dici? Sì è un bel ragazzo e non mi è indifferente, ma lo conosco appena.-

-So che è andato in guerra.-

-Si, sta in Africa, nell’ultima lettera che ho ricevuto mi diceva che avevano da poco liberato l’Etiopia dagli italiani.-

-Sì l’ho letto. Per fortuna questa guerra non ci riguarda Candy.-

-Tu credi? Se Hitler dovesse vincere la guerra per l’Europa inizierebbero tempi duri, e anche qui in America potremmo risentirne.-

-Non credo che Hitler possa vincere, è vero: in Russia finora ha dilagato, ma… ti ricordi le lezioni che seguivamo insieme?-

-Certo che le ricordo.-

-Ricordi come finì la campagna di Russia di Napoleone?-

-Sì, le truppe francesi furono stroncate dal “generale Inverno” della Russia e dovettero ripiegare.-

-Beh, l’inverno russo è vicino e i tedeschi potrebbero finire come Napoleone.-

Candy non auspicava certo la morte di migliaia di soldati tedeschi, ma in cuor suo si augurò che Elisa avesse ragione.

 

Il giorno dopo i Legan dovevano partire, Neal doveva rientrare al lavoro a Chicago, e anche Elisa era attesa da impegni di studio. Al mattino Neal e Candy salirono sulla collina.

-Un uccellino mi ha detto quello che facevi di notte quando abitavo da voi!- disse lei incrociando le braccia e con un tono di voce fintamente arrabbiato.

Lui arrossì.

-Già, un uccellino dai capelli rossi immagino. Avanti Candy, non facevo niente di male.-

-Entrare nella stanza da letto di una ragazza mentre lei dorme lo chiami “niente di male”?-

-Sai Candy, da piccolo mi piaceva scorrazzare per casa di notte, mentre tutti dormivano, mi immaginavo le storie fantastiche che leggevo sui libri, storie di pirati, di avventure, e io ero l’eroe nel tetro maniero.-

Candy sorrise intenerita.

-Talvolta pensavo che nei corridoi si aggirassero il Conte Dracula o il mostro di Frankenstein.-

-Oh mamma!- rise Candy –Già quella vostra casa di Lakewood sembra la dimora di un romanzo gotico, poi ti ci mettevi anche tu con queste fantasie…-

-Anche quando fui più grande mantenni questa abitudine, e una sera passai davanti alla tua stanza. La porta era socchiusa e io entrai.

Restai lì a guardarti mentre dormivi illuminata dalla luce della luna.

Lo so, non era una cosa bella, ma non mi è mai venuto in mente di fare… qualcosa di male…-

Candy gli prese le mani

-Neal, in questi anni di malattia sei stato encomiabile con me. Di te non voglio ricordare il ragazzino pestifero che mi tormentava, voglio ricordare il ragazzo che poi imparò a rispettarmi e che fu gentile con me quando ne avevo bisogno.-

-Candy, io non pretendo niente da te.-

-Lo so Neal… lo so… io… non so se davvero potrei provare qualcosa per te, mi capisci? Ma voglio che tu sappia che comunque vadano le cose io ti voglio bene…-

Neal non poté fare a meno di abbracciarla piangendo.

 

Subito dopo pranzo i Legan partirono 

-Quando tornerete a Chicago vi voglio rivedere subito. Capito bene ragazze?-

-Vuoi che ci scambiamo un’altra scazzottata Elisa?-

-Dio me ne scampi! Una mi è bastata e avanzata!-

Risero insieme mentre si abbracciavano.

Poi fu la signora Legan a voler abbracciare Candy.

-Abbi cura di te ragazza mia… abbi sempre cura di te…- In quell’abbraccio e in quel tono di voce sembrava esprimersi un rimpianto profondo, per ciò che poteva essere e non era stato. 

 

Troppo tardi l’altezzosa signora aveva capito quanto quella ragazza avrebbe potuto significare per lei e per la sua famiglia.

 

Quando la macchina partì, Candy si sentì un po’ malinconica.

Annie le strinse le spalle.

-Coraggio Candy! Sei guarita e hai trovato un’altra amica.-

Candy sorrise e abbracciò Annie

-Grazie di tutto Annie.-

 

Quello stesso pomeriggio arrivò un’altra macchina, Candy era curiosa: era raro vedere tante macchine alla Casa di Pony mentre Annie sembrava già sapere di chi si trattava.

-Albert!- gridò Candy correndo ad abbracciare il suo amico di sempre.

Lui non riuscì a trattenere le lacrime.

-Quindi adesso sai.-

-So cosa Albert?-

 

Candy arrivò al fiume sconvolta e in lacrime. Non voleva andare in prigione, lei non aveva fatto niente! 

Udì un rumore dietro di lei e si sentì perduta: l’avevano trovata!

Dalla fitta vegetazione che delimitava la radura in riva al fiume emerse il suo amico Albert.

-Albert! Aiutami Albert! Non voglio andare in prigione! Non voglio!-

Gridò la bambina con la voce strozzata correndo ad abbracciare il suo amico.

-Ma che stai dicendo Candy? Perché dovresti andare in prigione?-

-Non voglio andare in prigione! Io non ho fatto niente!-

-Sei scappata Candy? Vieni con me, andiamo a chiarire la cosa.-

-No! No! Non voglio andare in prigione!-

Ma che diavolo stava dicendo? Se solo si fosse calmata. Si chinò su di lei e le strinse le spalle.

-Ascoltami Candy! Non puoi stare nel bosco! Con questo freddo non sopravviveresti nemmeno una notte. Vieni con me.-

-No! No! No!- 

Gridava con voce sempre più strozzata e isterica, non c’era scelta: doveva farla calmare, capirci qualcosa. Le diede uno schiaffo, ma lei imprevedibilmente perse l’equilibrio e cadde a terra battendo la testa contro qualcosa.

Il panico si disegnò sul volto di Albert mentre cadeva in ginocchio vicino al corpo della sua piccola amica.

Candy aveva battuto la testa contro un sasso, proprio come Anthony!

-Candy! Candy!- 

Le sentì il polso e batteva regolarmente, la bambina era solo svenuta.

Non poteva portarla indietro finché non avesse capito cosa diavolo era successo, così la sollevò fra le braccia e la portò con sé alla casa nel bosco.

 

-Ricordi Candy? È stata colpa mia se hai perso la memoria.-

-Ma cosa dici Albert? È stato un incidente! Io ero come impazzita, DOVEVI farmi calmare!-

-Quindi… non mi porti rancore?-

-Rancore? A te? Ho appena salutato Elisa Legan come una cara amica, figurati se posso portare rancore a te!

Tu mi hai sempre aiutata nei momenti più bui della mia vita.

Sei stato amico, fratello maggiore, mi hai salvato la vita due volte! Come posso avercela con te? COME?!!!!-

Si abbracciarono piangendo.

 

Dopo che ebbero pranzato insieme ai bambini della Casa di Pony e si furono intrattenuti con loro, Albert si alzò e disse a Candy:

-Raggiungimi fra qualche minuto sulla collina.-

Annie ridacchiava sotto i baffi.

-Ehi dico! Mica vorrete farmi fare a pugni un’altra volta!-

Albert rise di cuore

-No tranquilla Candy! E poi quella è stata un’idea di Annie. Aspetta un po’ e poi sali sulla collina.

Mentre Albert si dirigeva verso il pendio della collina, Candy squadrò sospettosamente Annie che continuava a ridacchiare.

-Non mi fido più di te lo sai?-

Annie si alzò ad abbracciare quell’amica che era tornata a considerare una sorella. 

-Sta tranquilla Candy: non posso certo dirti che noi non soffriremo più nella nostra vita, ma posso assicurarti che nel momento del bisogno mi avrai sempre vicina.-

 

Dopo qualche minuto Candy salì sulla collina e non vi vide nessuno.

-Albert?- chiamò senza ricevere risposta

-Albert?- di nuovo silenzio

-Ehi insomma! Che scherzi sono questi?-

Poi sentì un suono, un suono che le diede un altro flash.

Vide quel ragazzo che somigliava tanto al cugino di Archie e Stear, e poi vide… Albert… vestito allo stesso modo che suonava la stessa cornamusa.

-A-Albert?-

-Lo sai che sei più carina quando ridi che quando piangi?-

 

Ora era tutto chiaro: Albert e Anthony erano zio e nipote, e si somigliavano tantissimo: Albert era il “principe della collina”!

Prese dalla tasca del suo vestito la spilla, la spilla con l’emblema degli Ardley, e la frappose fra sé e il “principe”.

Fu come se solo in quel momento tutto il suo passato le si svelasse nella mente e davanti agli occhi. Fu come se solo in quel momento potesse dirsi veramente e completamente guarita.

 

Corse ad abbracciare il suo “principe” ridendo e piangendo insieme.

 

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Capitolo 35
*** Grazie di tutto! ***


8 dicembre 1941

Quattro anni fa perdevo la memoria, un evento che mi ha segnata per sempre, inutile negarlo.

Anche se sono guarita, grazie agli inghippi delle mie amiche Annie ed Elisa, quello che ho passato in quei tre anni e mezzo che ho vissuto senza neanche sapere chi fossi, lo porterò sempre con me.

Oggi è arrivata la notizia che il Congresso degli Stati Uniti ha dichiarato guerra al Giappone, inevitabile dopo l’improvviso e inatteso attacco di ieri a Pearl Harbor.

Così anche il mio paese è entrato in quella che ormai è una guerra mondiale, mai vista prima come dimensioni. Persino la Grande Guerra del ’15-’18 impallidisce al confronto e l’esito finale è tutt’altro che scontato. 

Tremo all’idea che i miei amici possano partire per il fronte, ho già perso una carissima amica per questa guerra e non vorrei davvero piangere altri morti. 

Sono mesi che non ricevo lettere dal mio amico Terence, “JimBob” come lo chiamavo io. A suo tempo gli scrissi di essere guarita, di aver ritrovato il mio passato, ma non ho mai ricevuto risposta. Come devo interpretare questo silenzio?

Flanny intende arruolarsi come crocerossina, lei ha l’età per farlo, io non ancora.

Ho cominciato a scrivere questo diario per fissare i miei ricordi, è stato un consiglio dello psicologo che mi segue, e io l’ho messo in pratica.

Voglio ricordare tutte le cose belle e le cose brutte che mi sono successe e che hanno fatto di me quella che sono.

Comunque vada la mia vita d’ora in poi, in questo momento mi sento solo di dire grazie.

 

Grazie ai miei genitori dovunque siano, chiunque siano, per avermi dato la vita.

Grazie alle due donne meravigliose che mi hanno cresciuta.

Grazie ai miei fratellini e sorelline.

Grazie alla mia professione, che mi dà uno scopo nella vita, qualcosa di cui sentirmi felice e orgogliosa.

Grazie a chi mi ha voluto bene e anche a chi mi ha voluto male.

Grazie anche alla mia amnesia che mi ha insegnato quanto sia importante avere cose belle da ricordare.

Grazie a tutti!

Grazie di tutto!

 

FINE

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