Il mago svogliato

di Oktob3r
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cinquantasettesimo tentativo di fuga ***
Capitolo 2: *** Il duello (finito male) ***
Capitolo 3: *** Spremuta di Zyglit ***
Capitolo 4: *** Hienice, l'impavida amazone ***
Capitolo 5: *** Lei è mia moglie ***
Capitolo 6: *** Mi ha fatto arrabbiare ***
Capitolo 7: *** Il passato di Ferda ***



Capitolo 1
*** Il cinquantasettesimo tentativo di fuga ***


Era passata da poco l’ora della civetta quando Ferda uscì dalla propria stanza e imboccò il corridoio buio che conduceva al salone da pranzo dell’Accademia di Bran. Poco più in là c'era la scalinata di pietra lavica, l’atrio, l’ingresso monumentale e, finalmente, la libertà. Muovendosi con circospezione il ragazzo si ripromise di passare la diciassettesima primavera il più possibile lontano da quella follia di streghe, libri di magia base di 1500 pagine da studiare nell’arco di una notte, levatacce per seguire lezioni di alchimia alle 6 del mattino e via dicendo.

Quella vita non faceva proprio per lui.

Metro dopo metro percorse tutto il corridoio passando sotto le alte arcate a sesto acuto da cui pendevano lampadari di cristalli spenti da due ore circa. I suoi passi, per quanto cercasse di non fare rumore, risuonava sul pavimento di marmo a scacchiera.

Di solito lo riacciuffavano qui.

Raggiunta la scalinata di pietra lavica la discese in punta di piedi, un gradino alla volta.

Arrivato al pianterreno realizzò che quella era la prima volta che un suo tentativo di fuga arrivava così lontano. Alla sua destra cominciava, e procedeva per circa duecento metri, il lungo corridoio che portava alle aule e, in fondo, alle stanze delle streghe.

Qui, con la presenza di tutte quelle arpie con le orecchie drizzate e pronte a scattare al minimo rumore, il pericolo di venire scoperti era altissimo. Ferda si impose il silenzio più assoluto. Stava filando tutto liscio, l’ingresso dell’accademia era a portata di mano, bastava uno scatto.

Qualcosa lo colpì in testa.

Ferda alzò lo sguardo e vide madame Jungro che lo fissava di rimando con le braccia conserte. La professoressa stava camminando sul soffitto.

«Cosa le fa credere che questa volta andrà diversamente dalla 56 che l’hanno preceduta?» disse madame Jungro.

«Sì!» rispose Ferda abbandonando ogni proposito di silenzio e correndo verso l’ingresso. «Questa volta ce la farò!».

Qualcosa l’afferrò per le caviglie e lo strattonò facendolo cadere. Cadendo sbatté il naso, si girò sulla schiena e cercò di liberarsi ma la morsa invisibile che lo immobilizzava era troppo forte per un umano. Lyn emerse dal pavimento col suo sorrisetto strafottente e il suo volto da bambina crudele.

«Posso ucciderlo?» domandò Lyn. «Un colpo secco, non sentirà niente».

«No», rispose madame Jungro. «Serve alla Congrega».

«Che peccato», disse Lyn, avvicinandosi alla sua preda.

«Non può ucciderlo», precisò Madama Jungro. «Ma non ho detto che non può fargli del male, madame Berger».

Lyn si lasciò sfuggire una risatina e si sedette sul petto di Ferda..

«No», disse Ferda. «Aspetta un secondo».

Fu l’ultima cosa che disse prima di perdere i sensi.

 

Il risveglio di Ferda non fu piacevole. Lyn era seduta accanto a lui sul suo letto e stava coltivando una pianta sul suo alluce destro. Lyn era una bellissima ragazza, non c'erano dubbi, ma era completamente sadica. Non era la prima volta che faceva cose del genere, da quando madame Jungro l’aveva incaricata di sorvegliarlo entrava ed usciva come voleva dalla sua stanza e si divertiva a usarlo come cavia dei suoi esperimenti.

Dalla finestra sul cortile dell'accademia entrava una luce intensa e il cinguettio degli uccellini.

«Non hai proprio niente di meglio da fare che torturare me?» domandò Ferda.

«Dovresti essere contento», disse lei. «Se non ti ammazzo io lo farà qualche altra strega».

«Che differenza ci sarebbe?»

«Non ne ho idea», disse Lyn. «Non ho nemmeno idea del perché un incapace senza alcun talento come te stia in questa accademia».

Ferda si alzò e andò zoppicando in bagno, la piantina che cresceva sul suo alluce destro lo intralciava. Si voltò verso Lyn che lo osservava sorridendo e le sbatté la porta.

 

«Mi domando perché non ti ritiri?» domandò Lyn accompagnando Ferda verso l'aula di alchimia.

Quando entrarono nell'anfiteatro che serviva da aula per quella materia tutte le studentesse, streghe di quindici o sedici anni di altissimo livello, gli puntarono gli occhi addosso. E il loro non era lo sguardo di chi è contento di vederti.

Ferda si sedette al suo banco. Aveva la schiena incurvata dal peso dei numerosi tentativi di fuga falliti.

«Le vedi tutte queste streghe?» domandò Lyn sedendosi accanto a lui. «Hanno passato le pene dell'inferno per riuscire ad entrare in questa scuola. Tutte donne perché, nella storia della magia, non è mai esistito un uomo in grado di padroneggiare gli arcani. E ora eccoti qui, con questa faccia da pesce lesso e nessun talento per la magia. Cosa credi che stiano pensando tutte quante?»

«Cosa si mangerà a pranzo?» rispose Ferda.

«La vedi Roxana», disse Lyn indicando una strega in prima fila con dei magnifici capelli bianchi, sembrava delicata come una bambola di porcellana. «Sta pensando “dicono che l'intestino umano sia lungo abbastanza da raggiungere la Luna verde di Hub, questa notte gli aprirà la pancia e verificherò. Io ho dovuto accoppiarmi per quattro ore con un minotauro per acquisire abbastanza mana, lui invece non ha mosso un dito, è intollerabile”»

«Non si è mai accoppiata con un minotauro», disse Ferda.

«Con uno slime?»

«Smettila».

«Allora accoppiamoci noi», disse Lyn.

«Te l'ho già detto, non siamo bestie e non ci accoppiamo. Poi tu mi detesti, lo faresti solo per rubarmi tutto il mana e comunque sarebbe inutile perché io non ne ho nemmeno un grammo. Rassegnati».

Lyn fece il broncio: «Bugiardo, ti vuoi accoppiare con Roxana».

«Voglio solo andarmene via di qui».

Entrò madama Jungro e calò il silenzio. La professoressa si sedette dietro la cattedra, guardò la classe e sorrise: «Oggi ci eserciteremo sulla resistenza magica alle esplosioni. Un volontario l'abbiamo già».

Ferda deglutì a vuoto.

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Capitolo 2
*** Il duello (finito male) ***


«Non capisco perché ti ostini a non utilizzare i tuoi poteri», gli disse Lyn puntandogli contro la forchetta. «Se sei qui è ovvio che devi averne di incredibili, per il momento però ti sei limitato a cercare di scappare come un cretino».
«Non ho nessun potere», disse Ferda azzannando la sua bistecca al sangue.
La mensa dell’accademia, come sempre a quell’ora, era piena e tutti i tavoli erano occupati, ma le studentesse si guardavano bene dal sedersi nei posti liberi vicini a Ferda. Avevano paura di rimanere contagiate dalla sua “normalità”.
«È deprimente passare il mio prezioso tempo con te», disse Lyn osservando il giardino dell’accademia oltre la lunga vetrata che delimitava il lato sud della mensa.
«Puoi anche andartene», disse Ferda.
«Oh, cielo», disse Lyn. «Mi respingi così! Che ne sarà del nostro sogno d’amore! Non potrò mai coronarlo con te!»
Ferda la fissò per un istante in silenzio, poi riprese a mangiare.
«Ferda Braun», disse Roxane, poi prese il bicchiere d’acqua del ragazzo e glielo rovesciò in testa. «Non posso tollerare oltre la tua presenza in questa accademia».
Ferda la fissò interdetto e fradicio fino al colletto della camicia.
«Te l’avevo detto», disse Lyn. «Il minotauro…»
«Possibile che fosse vero?» disse tra sé e sé Ferda.
«Smettila di boffonchiare», disse Roxane. «Ti aspetto tra dieci minuti in giardino».
«Devo ancora finire di pranzare», protestò Ferda ignorando l’acqua e gocciolava dai suoi capelli nel piatto.
Roxane prese il suo piatto e lo rovesciò sul tavolo: «Ora hai finito».
 
Le studentesse si erano riunite tutte attorno alla grande quercia, il luogo storicamente deputato ai duelli all’interno dell’accademia. Da una parte dell’albero c’erano Roxane e il suo capannello di ammiratrici, tutte aspirante streghe di grandissimo talento; dall’altra parte Ferda e Lyn che se la rideva sotto ai baffi.
«Come pensi di fare?» gli domandò Lyn. «Questa volta sarà difficile portare a casa la pelle. Roxane è nelle top 10 della scuola, praticamente sei già morto».
«Non è la prima volta che una di voi squilibrate tenta di ammazzarmi», disse Ferda. «Mi inventerò qualcosa».
«Vuoi scappare?»
Ferda rimase in silenzio per un po’, poi distolse lo sguardo.
«Non ci posso credere», disse Lyn. «Pensi sul serio che basti scappare per sopravvivere a un mostro come quella? Sei un vero idiota».
«Spazzatura», urlò Roxane. «Cominciamo?»
«Ce l’ha con te», disse Lyn a Ferda.
«L’avevo intuito…» disse Ferda.
Le ammiratrici di Roxane si allontanarono e così pure fece Lyn. Ferda si guardò attorno e vide gli sguardi divertiti di tutte le studentesse lì raccolte. Quando servivano le professoresse non c’era mai, non che avrebbero fatto la differenza, non c’era nessuna regola che vietava i duelli all’interno dell’accademia, anzi era ben visti.
«Non possiamo discuterne un attimo?» domandò Ferda.
Roxane alzò il braccio destro e lo calò come una spada.
Si aprì una voragine ai piedi di Ferda, lui riuscì per miracolo a non caderci dentro.
La voragine si serrò di colpo come una tagliola.
Ferda si immaginò stretto in quella morsa e la cosa non gli piacque affatto.
«Perché opponi resistenza?» domandò Roxane. «Non sentirai niente, ci vorrà solo un attimo, vedrai».
Ferda decise di giocare la sua arma segreta: si voltò e piagnucolando cominciò a scappare.
«Attenta», urlò Lyn. «Vuole svignarsela!»
Davanti a Ferda si alzò un muro di roccia, a quel punto fu chiaro che la fama di maestra della magia della terra che si era guadagnata Roxane era del tutto meritata. Ferda si trovò con le spalle al muro, si voltò verso la sua avversaria che avanzava minacciosa verso di lui.
Valutò se fosse il caso di implorare pietà.
Roxane sollevò le braccia al cielo e dalla terra si staccarono un migliaio di zolle che lievitarono in aria a una decina di metri, quando lei calò le braccia le zolle schizzarono come proiettili verso Ferda che si coprì la testa come poteva ma finì investito da quella gragnuola di proiettili.
Implorare pietà sarebbe stato inutile.
«Un ultimo colpo», disse Roxane. «E addio spazzatura». Alzò ancora le braccia al cielo e nuovi proiettili di terra di alzarono dal suolo.
Ferda agì spinto dalla forza della disperazione e si mise a correre verso Roxane. Lei abbassò le braccia ma i suoi proiettili sbagliarono il bersaglio, prima che potesse fare altro si ritrovò Ferda a pochi metri di distanza. Innalzò una barriera di terra tra lei e il ragazzo, ma lui la sfondò e la atterrò con il suo peso.
«Levati subito di dosso», gli disse lei.
«Non vorrei farlo», disse lui. «Ma è l’unico modo per farti smettere».
Lei capì e sgranò gli occhi.
Lui la baciò.

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Capitolo 3
*** Spremuta di Zyglit ***



Le streghe sopravvissute alla quinta ondata si radunarono attorno a una quercia. Prima dell’inizio dello scontro erano in trentacinque, a fine giornata erano rimaste in cinque ed erano così terrorizzate da quanto avevano visto succedere alle loro compagne da essere a un passo dalla follia.
I demoni non avevano subito grosse perdite, per loro era stato più che altro un festino. Sbucarono dalla foresta con la bava alla bocca e i musi orrendi ancora sporche di sangue, pronti a gustare altra carne di strega.
 
Lyn e Ferda, seduti sul letto del ragazzo, osservavano stupefatti l’andirivieni interminabile di valletti che portavano nella stanza di Ferda mobili, sedie, armadi, vestiti, quello che madame Roxane aveva definito “il minimo indispensabile”.
«L’hai fatta grossa», commentò Lyn.
«Che altro avrei potuto fare?» disse Ferda. «Mi voleva ammazzare».
Roxane entrò nella stanza e guardò malissimo Ferda: «Spazzatura, d’ora in avanti quella sgualdrina deve girarti allargo. Intesi?»
«Ce l’hai con me?» domandò Lyn.
«Vedi altre sgualdrine qui?» rispose Roxane.
«È una domanda retorica?» disse Lyn.
«Idiota!» sbottò Roxane.
«Così ti piacciono le vecchie, eh?» domandò Lyn a Ferda.
«Non sono vecchia», precisò Roxane. «Tutte le donne della mia razza hanno i capelli bianchi fin dalla nascita».
«Toglimi una curiosità», disse Lyn. «Ma la storia del minotauro è vera?»
Roxane arrossì.
«Ah, non nega…» osservò Ferda.
«Te l’avevo detto», disse Lyn. «Comunque, per tua norma è regola madame taurophilia, io sono stata incaricata di evitare che questo imbecille scappasse dall’accademia. Sono qui solo per questo motivo, oltre ovviamente all’intenzione di accoppiarmi con lui per sottrargli tutto il mana che possiede e si rifiuta di usare».
«Non succederà», disse Roxane. «Ora la spazzatura deve prendersi le sue responsabilità».
«Non ti pare di esagerare», disse Ferda. «Ti ho dato solo un bacio».
Roxane e Lyn lo fulminarono con lo sguardo.
«D’ora in avanti io vivrò qui», disse Roxane. «E non voglio altre donne tra i piedi».
«Mi rifiuto», disse Ferda.
«Oh, quindi ricambi il mio interessamento puramente fisico?» domandò Lyn fingendosi commossa.
«No», disse Ferda. «Intendo dire che mi rifiuto di vivere nella stessa stanza con madame Roxane. Certo, devo ammettere che avere la possibilità concreta di fare sesso con un essere vivente di sesso femminile consenziente mi alletta e, probabilmente, non mi capiterà mai più nella vita ma, per qualche assurda ragione preferisco non avere legami di quel genere con voi squilibrate».
«Pensi di poter scegliere?» domandò Roxane.
«Ah, non smentisce…» osservò Lyn.
«Ho detto di no ed è no», disse Ferda.
 
Due ore dopo Ferda stava spolverando l’enorme libreria di Roxane. La libreria occupava metà della sua stanza.  Madame Roxane era stata chiara, non sopportava la polvere e quindi lui doveva pulire da cima a fondo la stanza. Il suo letto era stato sequestrato: lui avrebbe passato la notte sulla poltrona e doveva anche essere grato a Roxane per quella concessione.
Certo le condizioni della convivenza non era per nulla favorevoli, ma in fin dei conti Roxane era una delle ragazze più belle che avessi visto in vita sua e, a quanto pare, ora dovevano dormire nella stessa stanza per sempre.
Un momento, perché per sempre?
Il matrimonio delle streghe valeva solo per le streghe, per gli umani non era altro che un bacio, quindi Ferda non si sentiva per nulla obbligato nei confronti della sua nuova compagna di stanza.
Roxane uscì dal bagno con una lunga vestaglia e un asciugamano attorno ai capelli: «Hai sbirciato?»
«No», disse Ferda mettendosi sull’attenti.
«Bene», disse lei. «Se dovessi scoprire che fai una cosa del genere, senza avermi prima chiesto il permesso, ti farò stritolare dalla mia pianta carnivora. Ti ricordi quello che è successo due ore fa, vero?»
«Sì», disse Ferda portandosi istintivamente la mano ai genitali ancora doloranti. «Non succederà mai più».
«Sei ragionevole», osservò lei. «Ora vai alla caffetteria a prendermi una spremuta di Zyglit».
«Ma la caffetteria è chiusa».
«Non è un mio problema, ma diventerà un problema per te se non tornerai con il mio Zyglit».
 
Ferda attraversò la mensa vuota diretta in caffetteria.
Incrociò un gruppo di streghe che lo squadrarono con disgusto. Una di loro gli disse: «Nemico delle donne», e poi gli sputò addosso.
«Veramente molto femminile», osservò Ferda.
Le streghe si voltarono schifate. Non avevano tutti i torti, dal loro punto di vista quello che aveva fatto a Roxane era una specie di assalto sessuale. Inconcepibile per qualsiasi strega. Ancora Ferda non riusciva a capire come avesse fatto a non finire ammazzato, ma ormai era fatta, bisognava pensare allo Zyglit.
Arrivato alla caffetteria la trovò, come previsto, chiusa.
Notò in fondo al corridoio che portava al palazzo del rettore un certo movimento, una strega malconcia a cui mancava una gamba, stava parlando con madame Jungro. La strega malconcia scoppiò a piangere. Madame Jungro le disse qualcosa e lei si avvio verso il palazzo del rettore.
Madame Jungro si voltò verso di lui e lo fulminò con uno sguardo. Ferda non l’aveva mai vista tanto furente.
«È l’unica sopravvissuta della battaglia di Gurno», disse Lyn comparendo dal pavimento. «Delle altre abbiamo recuperato solo le ossa. Pare che lei sia sopravvissuta fingendosi morta e facendosi mangiare una gamba».
«Poveretta…» osservò Ferda.
«Sbrigati a liberare i tuoi poteri», disse Lyn. «O la stessa cosa capiterà ad altre streghe, magari anche a te». Gli lanciò due Zyglit e scomparve nel pavimento.

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Capitolo 4
*** Hienice, l'impavida amazone ***



Cinquantottesimo tentativo di fuga.

L’accademia di magia di Bran, 77 mila metri quadrati di terreno occupati da un edificio principale, il Protiron, grande abbastanza da contenere le stanze private delle 150 studentesse dell’accademia, 25 aule di studio, 15 laboratori, due palestre, una mensa e una caffetteria.

Accanto al Protiron, collegato dalla lunga galleria dei ritratti degli studenti più meritevoli dell’accademia, sorgeva l’Amarkion, la casa del corpo docente con la sua famosa sala da te e, naturalmente, le stanze delle 25 streghe che insegnavano all’accademia.

Per sette secoli a nessun comune mortale era mai stato permesso di accedere all’accademia di Bran, poi le streghe hanno sequestrato Ferda Braun.

Ripensando a quanto fosse sfortunato Ferda si inoltrò nel parco dell’accademia alla ricerca di un modo per poter evadere da quella prigione dorata. L'idea era tentare la fuga di giorno visto che di notte gli era sempre andata male. Il parco circondava gli edifici studenteschi ed era un incrocio tra un bosco e un labirinto.

Si diceva che diverse studentesse non fossero più rientrate dalle loro passeggiate nel parco, questo non preoccupava il corpo docenti: l’accademia si reggeva sul principio che se qualcuno non sopravviveva era meglio così, significava che non ce l’avrebbe comunque fatta.

Roxane era impegnata con un test nel laboratorio 9, Lyn era a lezione e quindi Ferda poteva tentare la fuga in santa pace.

Arrivato nella parte più remota del giardino, vicino al muro di cinta, Ferda sentì delle voci e si nascose per non essere visto. Due streghe stavano parlando tra loro. Ferda riconobbe una delle due, era Hienice, la stregha guerriera, un metro e ottanta di amazone, muscolosa, sempre pronta alla lotta e con la passione delle armi da taglio; l’altra era solo un personaggio di sfondo, più o meno come lui.

La comparsa abbracciò Hienice ma lei la respinse facendola cadere. La ragazza respinta si alzò e scappò via piangendo.

Una dichiarazione andata male, non c'erano dubbi. Capitava che, tra le studentesse dell'accademia, sbocciasse l'amore, non era vietato ma era ancora un tabù. Meglio non rimanere coinvolti in quella storia. Inoltre si trattava di Hienice.

Ferda cercò di non muovere un muscolo perché lei aveva una fama terribile, si diceva che avesse ucciso la sua compagna di stanza perché non sopportava il suo profumo.

«Puoi anche uscire da dietro quell’albero», disse Hienice. «O preferisci che ti venga a prendere io».

Ferda non si mosse e trattenne il respiro. L’albero dietro cui era nascosto si spezzò in due poco sopra la sua testa, era stato tagliato da un fendente disumano, la cima crollo a terra sollevando un polverone.

«Potevi uccidermi!» protestò Ferda dopo essersi ripreso dallo spavento.

Hienice lo fissava con uno sguardo tremendo, sorrideva come uno squalo prima di divorare la sua preda, appoggiata alla spalla destra teneva una spada grande come un tavolo, sembrava un demone: «Finalmente ci incontriamo unico uomo dell'accademia».

«Dove la nascondevi quella?» disse Ferda indicando la spada di Hienice.

«Vuoi vederla più da vicino?» disse lei sorridendo malignamente.

«No, grazie», disse Ferda voltandosi pronto a scappare. «Grazie di tutto, ora ti saluto».

«Se fai un altro passo ti taglio in due», disse Hienice. «Ho visto il tuo combattimento con madame Roxane, sei stato bravo. Considerando le armi che hai non avevi altra possibilità che renderla la tua donna».

«Grazie del complimento», disse Ferda. «Ora, se non ti dispiace…»

«Hai sentito tutto, vero?»

«Non ho sentito la dichiarazione di quella ragazza e soprattutto non ho sentito che l’hai respinta».

«Sei un imbecille, non è così?»

«Non posso negarlo».

«Non mi lasci altra scelta quindi», disse Hienice sollevando la sua spada.

«Non possiamo parlarne?» domandò Ferda. «Guarda, io ho una pessima memoria, tra cinque secondi non mi ricorderò nemmeno di averti vista. E poi a me non importa se ti piacciono le donne o gli uomini, non sono affari miei, non sono il tipo che andrebbe a mettere in giro strane voci. E poi chi vuoi che mi dia retta, lo sai che qui mi odiano tutti…»

«Basta così», disse Hienice. «Ho deciso, ti ammazzo». Gli puntò la spada contro pronta ad attaccare.

In quell’istante spuntò da un cespuglio un gatto bianco e grigio che si guardò attorno e, ignorando sia Ferda che Hienice, passò in mezzo a loro. Sembrava intenzionato ad andarsene ma cambiò idea, guardò Hienice e miagolò, poi le corse incontro.

Hienice gettò la spada a terra e scappò da Ferda, saltò tra le sue braccia e nascose la faccia contro il suo petto. Tremava come una foglia.

Il gatto li guardò incuriosito, poi se ne andò.

Ferda rimase per qualche lunghissimo minuto immobile con Hienice in braccio come se l'avesse appena sposata. Poi lei rimise i piedi a terra, si sistemò il vestito, raccolse la sua spada e se ne andò senza degnarlo di uno sguardo.

Ferda si sentiva esausto e decise che per quel giorno non era il caso di tentare di scappare.

 

Rientrato in camera sua andò in bagno, si chiuse la porta dietro, sbadigliando si slacciò i pantaloni, calò le mutande e vide Roxane seduta sulla tazza, le mutandine abbassate alle caviglie. I due si fissarono per qualche istante.

«Ferda», disse Lyn dall'altra parte della porta. «Sei qui?»

Ferda tirò su le mutande. Roxane era rossa in volto come un peperone, gli fece cenno di non fare rumore.

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Capitolo 5
*** Lei è mia moglie ***



«Non fiatare o ci scoprirà», sibilò Roxane alzandosi dal water e coprendo con la mano la bocca di Ferda.
Ferda annuì cercando di distogliere lo sguardo dal suo seno. Non capitava spesso a un semplice umano di vedere una Gorgone seminuda senza finire sgozzato o spellato vivo.
Per tutta la Diaspora le Gorgoni avevano messo in piedi un fiorente mercato di bambini umani, li usavano come condimento, per questo motivo al villaggio le usavano per spaventare i bambini. Stai attento o ti prenderà una Gorgone.
Ecco lì una Gorgone, un metro e sessanta per quarantacinque chili scarsi, i capelli bianchi, gli occhi viola, la pelle chiara come quella dei serpenti e addosso soltanto una canottiera e niente altro.
Ferda si coprì di nuovo gli occhi.
«Qui ci sono solo io», urlò Roxane. «Adesso gira i tacchi e vattene, sgualdrina!»
«Oh», disse Lyn dall’altra parte della porta. «Ti ho disturbato mentre stavi facendo i tuoi bisognini, scusa. Vado via subito, taurofila».
Si sentì la porta della stanza chiudersi e Roxane tirò un sospiro di sollievo, poi lanciò un’occhiata gelida a Ferda: «Non dimenticarti che qui sei l’unico umano, spazzatura».
Lyn aprì la porta del bagno e disse: «Oh, mio dio, che scena volgare!»
 
Una famiglia di draghi oscurò i due soli proiettando per un istante una lunga ombra sulla campagna attorno all’accademia di Bran. Ferda si sistemò lo zaino in spalla e guardò di nuovo perplesso Roxane, Lyn e Hienice.
«Ripetimelo di nuovo», disse a Lyn. «Dove stiamo andando».
«Al tuo villaggio», disse Lyn. «A indagare sulla sparizione delle donne del villaggio».
«E perché io sono qui con voi?» domandò Ferda. «Non potete andare da sole».
«Ha deciso Madama Jungro. Tu sei l’unico umano dell’accademia», spiegò Lyn. «Noi da sole non caveremmo un ragno dal buco. La tua amante, la Gorgone, li spaventerebbe a morte».
«E lei», bisbigliò Ferda riferendosi a Hienice. «Perché è qui?»
«Lei è la nostra guarda del corpo», disse Lyn. «Madama Jungro ha formato il party, se non ti sta bene avresti dovuto lamentarti con lei».
«L’ho fatto».
«E cosa ci hai guadagnato?»
«Preferirei non dirlo».
«Madama Jungro gli ha fatto provare la morte per folgorazione elettrica», disse Roxane.
«Tu come lo sai?» domandò Hienice.
«Me l’ha raccontato lui quando è tornato in camera», disse Roxane. «Piangeva come un vitello».
«Gli umani sono deboli», disse Hienice. «Che schifo».
«È vero», disse Lyn. «Fanno proprio schifo».
«Concordo», disse Roxane.
«Brave, mi fa piacere che siate tutte d’accordo», disse Ferda.

Camminarono per quattro ore passando attraverso il bosco di Lubert e la depressione del Mart il cui fondo era uno sconfinato tappeto di funghi odorosi. Attraversarono il torrente Brock che correva per centinaia di chilometri diventando un fiume impetuoso e tagliando in due la città di Parulo. A Parulo Ferda non aveva mai messo piede, nessun umano non in catene aveva mai messo piede nella capitale del regno.
La seconda estate era appena cominciata e prometteva di essere molto calda, i contadini ne sarebbero stati contenti per l’abbondanza di raccolti che di sicuro ci sarebbe stata. Questo ovviamente sempre ammesso che l’armata dei demoni non fosse arrivata a Bran prima di mietere il grano. In quest’ultimo caso sarebbero stati i contadini a venire mietuti.

Al tramonto videro, in lontananza, i tetti di paglia del villaggio e i pastori che stavano riconducendo le pecore nere nei loro recinti per la notte.
«Vai avanti tu», disse Lyn a Ferda. «Magari se vedono te non si spaventano».
Ferda obbedì e si mise alla testa del party. Discesero la collina che, da bambino, aveva risalito correndo migliaia di volte e si ritrovarono sulla strada di terra battuta che tagliava in un due il villaggio. Gli si fecero incontro i contadini armati di forche.
«Coraggio», disse Lyn a Ferda spronandolo a dire qualcosa.
«Perché sei tornato?» gli disse il capovillaggio, un vecchio di 3000 anni almeno. «Quando ti hanno portato via ci hanno detto di considerarti morto e oggi sei qui. Un morto che cammina».
«Siamo qui per un’indagine ufficiale», disse Ferda.
«Abbiamo già perso quattro donne», rispose il capovillaggio. «Non vogliamo perderne altri, andatevene».
«Siamo qui per impedire proprio questo», disse Ferda.
«Non vogliamo mostri in questo villaggio», disse il capovillaggio rivolgendosi alle compagne di viaggio. «Loro non possono entrare».
«Sono sotto il mio comando», disse Ferda.
«Cosa?» sibilò Lyn.
«Lei è la mia strega personale», disse Ferda indicando Lyn. «Lei la mia guardia del corpo», disse indicando Hienice.
«E quella Gorgone?» domandò il capovillaggio.
«Mia moglie».
«Un umano che comanda dei mostri!» disse stupito il capovillaggio. «Con uno addirittura ci vai a letto. Sei proprio cresciuto piccolo Ferda! Per me potete entrare». «Capovillaggio!» lo richiamò sua moglie. «Che c'è?» «Ti ha dato di volta il cervello?» disse lei. «Devi sentire il parere di tutti». Lui alzò gli occhi al cielo e fece cenno agli altri compaesani di avvicinarsi. Confabularono un po’ tra loro, poi il capovillaggio si fece avanti: «Va bene, potente entrare», poi si voltò verso la moglie e allargò le braccia come a dire "hai visto?". Lei strinse i pugni minacciosa.
«Quindi sarei la tua strega personale, eh?» gli domandò Lyn.
«E io la tua guardia del corpo», disse Hienice. «Ne hai di fegato…»
«Questa notte», sibilò Roxane che era rossa come un pomodoro. «Ti scuoio vivo».

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Capitolo 6
*** Mi ha fatto arrabbiare ***



Ferda era disteso sul letto e guardava fisso il soffitto della lussuosa capanna matrimoniale che il capovillaggio gli aveva imposto. Distesa accanto a lui c’era “sua moglie”, la gorgone e lui ancora non capiva perché lei non l’avesse obbligato a dormire per terra.
«Non ti fare strane idee», disse Roxane. «Anche se mi hai baciato, e significa quel che significa, non vuol dire che d’improvviso una strega di primissimo ordine come me si sia assoggettata al patriarcato di voi bestie umane».
«Per tua norma e regola neanche mi piaci», mentì Ferda.
«Ah sì?» disse lei sforzandosi di sorridere. «E, sentiamo, cosa ci sarebbe che non ti piace in me?»
«Sei piatta».
Lei scattò a sedere e si portò le mani al seno che si poteva di sicuro definire abbondante: «Sei cieco o sei idiota?»
«P–p–p–per me s–s–sei piatta», disse lui deglutendo a vuoto.
«Bugiardo».
«Racchia».
Lei lo afferrò per la collottola e lui cercò di liberarsi, nella colluttazione si avvicinarono ancora di più e si ritrovarono avvinghiati. Rendendosi conto entrambi dell’ambiguità di quella lotta si paralizzarono, i volti a pochi centimetri l’uno dall’altro. L’alito caldo della gorgone poteva preannunciare solo due cose: stava per divorarlo oppure stava per divorarlo.
Fuori si sentì un’esplosione e delle urla.
Ferda saltò fuori dal letto e, cercando di nascondere la sua evidente eccitazione, uscì fuori in mutande seguito da Roxane.
Un lampo illuminò il villaggio che era immerso nelle tenebre.
I paesani scappavano in preda al panico e all’isteria, a terra c’erano diversi cadaveri. Tra questi Ferda vide Lyn, distesa  in un bagno di sangue.
Hienice, con la mastodontica spada sguainata, fronteggiava un avversario avvolto in mille esplosioni di luce verde.
«Un demone», sibilò Roxane lanciandosi nella battaglia.
Ferda non fece in tempo a fermarla, vide Hienice proiettata in aria da un manrovescio del demone. L’amazzone cadde a terra proprio accanto a lui, aveva la faccia coperta di sangue. Roxane stava innalzando barriere di roccia che il demone sbriciolava come se fossero di sabbia, la raggiunse e l’afferrò per il collo.
Ora Ferda poteva vederlo bene, era una creatura alta cinque o sei metri, su una spalla teneva una donna del villaggio che probabilmente era svenuta o forse era morta. Il demone era un fascio di muscoli e nervi tesi e gonfi. Zampe caprine terminavano in zoccoli colossali, due corna ricurve spuntavano dal suo orribile cranio. Negli occhi non si leggeva nulla, né volontà di uccidere né altro, sembrava privo di anima.
Il demone strinse le dita e la testa di Roxane si piegò di lato, le braccia della gorgone penzolarono inerti. Il demone la leccò, poi la gettò via.
Hienice fece per alzarsi.
«Stai giù», disse Ferda prima di avanzare verso il demone con un unico pensiero in testa: ucciderlo.
Indicò Roxane, le fece cenno di alzarsi e la gorgone si ritrovò sollevata da terra come una marionetta. Si tastò incredula il collo di nuovo integro, poi crollò a terra e fissò Ferda con occhi enormi.
Lo stesso fece con Lyn che tossì sangue, poi guardò lo stomaco che era di nuovo al suo posto e infine Ferda.
Il demone lo vide avvicinarsi e raspò per terra con gli zoccoli come un toro in procinto di caricare. Ferda sentiva il sangue ribollire e non era certo di quel che stava facendo, forse si stava suicidando, forse alla fine il suo destino era di morire in quel villaggio polveroso in cui era nato.
Accadde tutto in un attimo.
Il demone lo colpì allo stomaco con un gancio che rimescolò i suoi organi interni. Oh, sono morto, pensò Ferda, ma le sue mani si mossero da sole ad afferrare il pugno gigante del mostro, le sue unghie affondarono in quelle della creatura.
Il braccio del demone si piegò in mille punti come un sacco di farina svuotato e il mostro indietreggiò schiumando. Gettò a terra la sua preda umana e cercò di colpire Ferda con l’unico pugno che gli rimaneva. L’umano alzò il bracciò destro al cielo e quindici cerchi di luce concentrici comparvero sopra la sua testa. Ferda abbassò il braccio e una freccia di energia attraversò i cerchi diventò sempre più grande fino a colpire il demone.
Una colonna di fiamme si alzò dal cadavere del mostro e incendiò il cielo notturno per una ventina di metri.
Hienice lo raggiunse e lo fissò terrorizzata senza sapere cosa dire.
Ferda sorrise: «È colpa sua, mi ha fatto arrabbiare».
Poi perse i sensi

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Capitolo 7
*** Il passato di Ferda ***


Il fuoco ardeva al centro del soggiorno del Capovillaggio. La sera era calata da poco e tutte le tracce dell’attacco al villaggio della notte precedente erano state rimosse. La moglie del Capovillaggio stava servendo la cena a suo marito e ai loro illustri ospiti, le streghe che li avevano salvati. Erano tutti seduti sul pavimento attorno al fuoco.
Quasi tutti.
Ferda era in un angolo del soggiorno.
In castigo.
«È il figlio di un demone», disse serafico il Capovillaggio indicando Ferda. «Non ve l’avevo detto?»
«Sciocchezze», disse Roxane. «Un umana non potrebbe mai partorire il figlio di un demone»
«Ma infatti è successo il contrario», disse il Capovillaggio. «Una demone ha partorito il figlio di un uomo».
Roxane e la altre streghe si voltarono incredule verso Ferda.
«Questo spiegherebbe molte cose…» osservò Lyn.
«E dove sarebbe la madre di questa spazzatura?» domandò Roxane indicando Ferda.
«Era meglio non resuscitarti…» bisbigliò Ferda.
«Silenzio, spazzatura», lo fulminò Roxane.
«Ah, la madre?» disse il Capovillaggio guardando il soffitto. «Volete vederla?»
«Capovillaggio!» disse sua moglie. «Ti sembra il caso?»
«Perché? Cosa c’è di male», disse lui. «Hanno diritto di vedere, si sono sacrificate per noi. Allora, siete curiose?»
Le tre streghe si scambiarono occhiate preoccupate. Poi annuirono.
«Va bene», disse il Capovillaggio. «Venite con me».
 
Il grande edificio che sorgeva al limitare del bosco era una rovina degli antichi, dei tempi in cui gli uomini governavano il mondo e le altre creature ancora dovevano risvegliarsi. In piedi rimaneva solo lo scheletro di ferro ricoperto di edera e piante rampicanti, il tetto era il cielo stellato.
Le tre streghe entrarono nell’edificio scortate dal Capovillaggio che faceva strada illuminando l’interno del palazzo con una torcia. Seguiva dietro tutti Ferda che borbottava in continuazione.
«Qui è nato il piccolo Ferda», disse il Capovillaggio indicando il grande spazio vuoto delimitato da pareti alte e telai di quelle che, un tempo, dovevano essere finestre. «E quella è sua madre».
Il Capovillaggio illuminò lo scheletro colossale di un drago. Era raggomitolato su se stesso, le ossa bianchissime luccicavano illuminate dalla torcia.
«Quella sarebbe sua madre?» domandò Hienice indicando il fossile.
«Piuttosto magra», osservò Lyn.
«Un momento», disse Roxane al Capovillaggio. «Ci stai prendendo in giro? Anatomicamente è impossibile che una creatura del genere si sia accoppiata con un umano».
«Be’», disse il Capovillaggio. «Signorina forse lei ha poca esperienza di questo genere di cose, ma quando si è presentata da noi la madre di Ferda aveva forma umana. Sembrava una donna bellissima, ma era chiaro che si trattava di un demone».
«Eh?» disse Roxane.
«Bruciava qualsiasi cosa semplicemente toccandola», spiegò il Capovillaggio. «Dove posava i piedi non rimaneva che cenere. Comunque quel giorno si è presentata al villaggio completamente nuda e con un bel pancione. Volevamo scacciarla, ma abbiamo capito subito che non ci saremmo mai riusciti perché lei era un demone e sembrava anche piuttosto forte e poi perché voleva il nostro aiuto».
«Perché?» domandò Hienice.
«Era ferita», disse il Capovillaggio. «Gravemente. La testa, vedete, buona parte del collo era ridotta malissimo, stava morendo. Ha scelto un villaggio di umani per mettere al mondo suo figlio. All’inizio non capivamo perché, poi è venuto fuori Ferda e abbiamo capito».
«E il padre chi sarebbe?» domandò Roxane.
Il Capovillaggio si strinse nelle spalle: «Non lo sappiamo. Poi, subito dopo aver partorito, la madre del piccolo Ferda è venuta qui a morire ed è tornata alla sua forma originaria».
«Perfetto, vecchio scemo», disse Ferda. «Non avevamo deciso di non dirlo a nessuno?»
«Idiota», disse il Capovillaggio. «Dopo questa storia strappalacrime queste tre faranno a gara per venire a letto con te!»
«Queste tre sono mostri», rispose Ferda. «Te ne sei accorto, vecchio erotomane?»
«Razzista!» strillò il Capovillaggio.
«Rincoglionito!» rispose Ferda.
«Chi sarebbe il mostro?!» protestò Roxane.
«A questo punto devo fare una confessione», disse Lyn arrossendo e indicando Ferda. «Aspetto un bambino, da lui».
«Smettila di dire scemenze…» disse Ferda.
«Umano», intervenne Hienice. «Ho deciso. Mi accoppierò con te».
«Hai visto?» disse il Capovillaggio indicando le tre streghe. «Io ho fatto dieci figli così, ascolta un cretino!»
«Noi due non eravamo sposati?» domandò Roxane inferocita.
Le tre streghe si guardarono in cagnesco, poi cominciò lo scontro.

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