Viatico di Reginafenice (/viewuser.php?uid=1057053)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV parte seconda ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV parte prima ***
Capitolo 16: *** Capitolo XIV parte terza ***
Capitolo 17: *** Capitolo XV ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 20: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 21: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 22: *** Capitolo XX ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXV ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXVIII parte prima ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXVIII parte seconda ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXX ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
La celebrazione funebre commosse tutti gli uomini e le donne giunti nella piccola cappella privata a sud di Londra per dare l'ultimo saluto a un uomo dal valore umano tanto grande quanto quello imprenditoriale che lo aveva contraddistinto durante tutta la sua vita. Una dote, questa, che lo aveva portato a coltivare delle amicizie profonde con la maggior parte dei suoi colleghi e con chi, senza doppi fini, lo aveva accompagnato nei lunghi mesi della malattia restituendo l'amore ricevuto nell'unico modo possibile: standogli accanto fino alla fine.
Ray Penvennen aveva ceduto il suo posto come Presidente del Consiglio di amministrazione del Royal Cornwall Hospitals NHS Trust appena due settimane prima di morire, come se pensasse di avere ancora una possibilità di sopravvivere alla sua malattia, se non altro per continuare a dirigere con passione quel lavoro che aveva portato i suoi ospedali ad un grado di eccellenza senza precedenti in tutta la Cornovaglia.
Sulla soglia della porta, la bellissima Caroline lasciò che una lacrima le scendesse lungo la guancia davanti al triste spettacolo della bara di suo zio, pregando che tutto finisse al più presto e asciugandosi rapidamente gli occhi bagnati con il dorso della mano, grata del tempismo con cui la pioggia aveva deciso di cadere così fitta da impedire a chiunque di notare quella sua piccola debolezza.
L'unico punto di riferimento, il suo protettore, colui che le aveva insegnato ogni cosa l'aveva abbandonata lasciandola completamente disorientata. Ma Caroline Penvennen non aveva paura, o meglio questo era ciò che continuava a ripetersi con il desiderio di riuscire a crederci davvero sin da quando aveva osservato la sua elegante silhouette nera riflessa nello specchio della sua camera, appena prima di iniziare il corteo. Allora aveva realizzato che il passato aveva ormai esaurito il suo tempo e che quella che sembrava profilarsi come una nuova fase della sua vita si era da poco aperta con la terribile scoperta della sua solitudine futura.
"Signorina Penvennen, temo di doverle rubare qualche minuto." Harris Pascoe teneva tra le mani le ultime volontà testamentarie del suo cliente deceduto. Da vero gentiluomo offrì il suo ombrello a Caroline, consegnando alla giovane ereditiera anche la lettera che aveva con sé, prima che questa potesse fare la stessa fine del suo cappotto sotto il peso spietato della pioggia di novembre.
"La ringrazio Harris, le farò avere mie notizie non appena riuscirò a leggerla."
Caroline si congedò dall'anziano notaio e si allontanò dalla folla in tutta fretta, ma all'improvviso una mano le si posò gentilmente sulla spalla e fu costretta a interrompere il suo cammino.
"Mi dispiace molto per tuo zio..."
Bastarono queste parole a riportarla indietro di un anno, suscitando in lei delle emozioni alle quali non osò dare un nome. Se solo la nostalgia non fosse stata un sentimento così difficile da tollerare, forse avrebbe avuto il coraggio di mantenere lo stesso contegno con cui in passato si era separata da quella voce, invece di rimanere impietrita con il terrore di voltarsi e affrontare chi le stava parlando.
"Sono ancora così insopportabile, Caroline? Tanto da non riuscire nemmeno a sostenere il mio sguardo?"
"Niente affatto, ma ammetto di essere sorpresa di vederti qui." Si girò verso di lui con uno sforzo immane, ben celato dalla maschera di freddezza che le ricopriva il viso.
Il dottor Enyes rimase in silenzio, cercando di penetrare quegli occhi d'acciaio mentre il cuore gli batteva nel petto in maniera del tutto insolita. Anche lui si era imposto di mantenere un certo controllo, di non lasciare che la sensazione di rivedere il suo bel volto dopo tanto tempo potesse incidere sul suo umore e scombussolare la tranquillità che aveva raggiunto con tanta fatica nella sua quotidianità.
"Perché ti stupisce? Del resto il signor Penvennen è stato un mio paziente, malgrado il nostro rapporto si sia deteriorato irrecuperabilmente negli ultimi tempi."
"Certo, che sciocca sono stata a non ricordarmi della tua lealtà verso i tuoi pazienti! Scusami, sono sempre stata io quella cinica e senza sentimenti, ma questo non significa che anche gli altri debbano essere come me." Gli tese una mano con l’intenzione di salutarlo, ma Dwight non assecondò i suoi tentativi di fuga e riprese la conversazione, "Ho saputo che hai completato il tuo percorso universitario brillantemente, d'altronde come non aspettarselo da una come te. Cosa hai in programma, adesso che non devi più temere di perdere ciò che ti è di più caro?"
Caroline gli rivolse uno sguardo tagliente, "Al dire il vero, desidero andarmene al più presto via da qui."
"Perdonami, non era mia intenzione offenderti." Dwight arretrò di qualche passo, avendo percepito lo stato di frustrazione in cui si trovava Caroline. Ben presto, infatti, la giovane fece altrettanto ed entrambi capirono che era giunto il momento di salutarsi definitivamente.
Nel frattempo, sul volo Cambridge-Truro, il neo strutturato dottor Ross Poldark attendeva l’atterraggio sulla sua terra natale dopo aver trascorso le ore di viaggio a rimuginare su quanti cambiamenti lo avrebbero accolto al suo arrivo. Cinque anni erano passati in un lampo per lui, distratto dall’esperienza adrenalinica che aveva vissuto grazie all’addestramento come medico d’urgenza nelle zone di guerra dell’Iran, ma lo stesso non poteva dirsi per chi lo aveva aspettato a casa con la paura di poter ricevere in qualsiasi momento la notizia della sua morte. Certo, non avrebbe mai preteso che Elizabeth acconsentisse a mantenere una relazione del genere, sebbene lui le avesse promesso di tornare da lei ogni qualvolta avrebbe potuto, e aveva ottenuto conferma dell’intolleranza a questa vita da parte della sua fidanzata proprio il giorno della consegna del diploma, al termine del corso di specializzazione che lo aveva condotto prima in America a studiare ad Harvard e poi direttamente sul campo di battaglia in Medio Oriente, lontano da lei.
Un semplice messaggio era bastato a licenziarlo dalla sua vita e chissà cosa ne era stato di tutti quegli anni in cui gli aveva professato il suo amore con una veemenza tale da fugare ogni dubbio riguardo al contrario. Da quel giorno, Ross non aveva più avuto notizie di Elizabeth ma il suo cuore si ostinava ancora a domandarsi se davvero non si potesse fare più nulla per rimediare, magari attraverso un confronto diretto adesso che la distanza non sarebbe stata più un problema. E così stava tornando in Inghilterra, nella sua amata Cornovaglia, e ad aspettarlo in aeroporto suo cugino Francis lo avrebbe scortato fino a Trenwith, nell’attesa di decidere a quale ospedale inviare il suo curriculum e di conseguenza stabilirsi in una casa tutta per sé. Tuttavia, appena sceso dall’aereo, Ross ricevette una notifica da parte di Francis in cui si scusava per il ritardo con cui lo avrebbe potuto raggiungere se avesse deciso di aspettarlo. Ross, troppo stanco per trascorrere altre ore in aeroporto, declinò la sua offerta optando per affittare una macchina presso un’agenzia lì vicino e si mise in moto con un grande senso di aspettativa: forse l’idea di rivedere Elizabeth lo eccitava più di quanto gli costasse ammettere.
Arrivata finalmente nella suite dell’albergo in cui alloggiava, Caroline si tolse i tacchi e li scaraventò sul pavimento della stanza. Poi si buttò a peso morto sul soffice letto di piume d’oca e si abbandonò ad un breve sonno ristoratore, sperando di recuperare le forze per sostenere il resto della giornata. Era psicologicamente esausta, ma non così tanto da rimandare la lettura del testamento di suo zio. Infatti, quando fu di nuovo sveglia, non avendo alcuna voglia di occupare la mente con qualsiasi cosa avesse a che fare con l’incontro avvenuto al cimitero, estrasse un foglio di carta dalla busta leggermente umida che le aveva affidato Pascoe e iniziò a leggere:
‘Mia carissima nipote,
di tutte le cose che ci siamo detti prima che la morte ci separasse, silenziando per sempre la mia bocca e privandoci senza alcuna pietà della reciproca compagnia, soltanto di una cosa non ho avuto il coraggio di informarti. Quando ti ho impedito di continuare a vedere il dottor Enyes, ti ho privato di una delle gioie più grandi di questo mondo, per quello che i tuoi ideali romantici avranno facilmente potuto credere. Ma la verità è che l’ho fatto soltanto per garantirti un futuro stabile e pieno di soddisfazioni economiche. Quel caro ragazzo non ha le stesse ambizioni che io nutro per te, perciò temevo sarebbe riuscito a convincerti a seguirlo in un paese desolato del mondo per progredire nella sua carriera di medico, privandoti delle possibilità di un tuo avanzamento come manager all’interno dei miei ospedali. Ti prego di vedere la scelta di ricattarti attraverso la revoca del pagamento dei tuoi studi come l’unica arma che avevo per assicurati un bene più grande di quello che tu in quel momento potevi immaginare.
A te lascio la direzione del Consiglio, sperando che il tuo ritorno in Cornovaglia non rievochi i vecchi dissapori che ci sono stati tra di noi e non ti impedisca di adempiere al tuo dovere come mi aspetto da una mente geniale come la tua. Tuttavia, ti lascio anche la responsabilità di vivere senza il mio aiuto nel caso in cui scegliessi di fare altrimenti.
Perdonami se puoi,
il tuo orgoglioso zio Ray’
L’ultima cosa che avrebbe desiderato al mondo si trovava scritta tra quelle righe. Ritornare in Cornovaglia, vivere a due passi da lui e continuare a considerarlo poco più di un conoscente, mentre tutti i suoi sogni di andare a lavorare in America sfumavano di fronte alla scelta che suo zio le aveva offerto: accettare il ruolo di Presidente o rinunciare alla sua eredità e ripartire da zero, affidandosi esclusivamente al talento di cui disponeva. No, senza l’appoggio economico di suo zio non sarebbe mai arrivata fin dove avrebbe voluto.
Caroline gettò la lettera nel camino acceso, vergognandosi della sua codardia.
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
L’agenzia gli aveva
assicurato che la macchina messa a sua
disposizione godeva del rifornimento di benzina necessario per
attraversare
senza problemi l’intero tratto di autostrada che gli
interessava per arrivare
sino a Trenwith. Tuttavia, una volta acceso il motore, Ross si rese
conto che la spia
del carburante lampeggiava di una luce rossa piuttosto eloquente. Ormai
sarebbe
stato inutile lamentarsi e chiedere indietro i suoi soldi, visto che
quel pezzo
d’antiquariato era l’unico disponibile al momento e
non ci sarebbe stato
nient’altro di meglio da scegliere se non prima di
mezzogiorno.
Per fortuna, qualche ora prima del
decollo, Ross aveva
prelevato del denaro dal bancomat dell’aeroporto per disporre
di una certa
liquidità in caso ne avesse avuto bisogno per rimediare ad
emergenze come quella,
perciò non poté far altro che sperare che la
macchina lo conducesse almeno fino
alla stazione di servizio più vicina.
Dopo circa tre chilometri, si
materializzò alla sua vista
proprio quello che cercava, quasi fosse un miraggio.
Rallentò per svoltare a
sinistra e immettersi nella lunghissima coda di macchine che lo
precedevano,
cercando nella sua borsa da viaggio un paio di occhiali da sole per
proteggersi
da quella mattinata particolarmente luminosa.
A giudicare dal tempo, il suo ritorno
in Cornovaglia sembrava
già segnato da un inizio se non altro caloroso.
Così, preso dal buon umore,
aumentò il volume della radio e aspettò
pazientemente il suo turno, lanciando
di tanto in tanto uno sguardo al paesaggio che lo circondava, mentre
una
bellissima sensazione di sollievo si faceva spazio nel suo cuore
nostalgico.
“Ragazza, è da
due ore che aspetti qui! Si può sapere cosa
ne vuoi fare di quel randagio?”
Il proprietario del punto di
rifornimento sbraitò contro una
macchina accostata vicino al bar, richiamando l’attenzione di
molti degli
autisti in coda, tra cui Ross. La ragazza sostenne senza paura lo
sguardo
minaccioso dell’uomo, continuando ad accarezzare il pelo di
quel cane che non
voleva saperne di andare via da lì, chiaramente
traumatizzato anche a causa
della ferita che aveva su una zampa.
Di fronte alla testardaggine della
chioma rossa che faceva
capolino da dietro la macchina, il benzinaio reagì
afferrando un vecchio tubo d' acciaio con l’intenzione di
costringere il cane ad allontanarsi dalla sua
proprietà. Con la lingua che gli sporgeva da un angolo della
bocca, lasciò che
un suo dipendente lo sostituisse e si incamminò con
determinazione verso il
malcapitato.
Ross aveva osservato con attenzione
tutte le fasi di quella
scena assurda che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi, facendo il
tifo per
la ragazza, di cui riusciva a scorgere soltanto i bellissimi capelli rossi,
e il
meticcio che lei tentava di difendere disperatamente dalla violenza
dell’uomo. Ma,
quando intuì che la situazione avrebbe potuto degenerare, non esitò nemmeno un secondo
a precipitarsi fuori dall’automobile per disarcionare quel
bruto che si stava per
lanciare contro il cane.
Un urlo si levò nel
momento in cui l’arma mirò il suo
obiettivo. La ragazza si schierò in difesa del cane, pronta
a ricevere il colpo
lei stessa piuttosto che vedere soffrire ulteriormente
l’animale che aveva
appena salvato da un incidente potenzialmente mortale.
Il sacrificio le fu risparmiato. Ross
gettò via con un colpo
solo quell’arma improvvisata e insieme ad essa
l’uomo che la impugnava.
“Cosa diavolo hai fatto,
eh? L’avevo quasi preso quel figlio
di…”
La ragazza rimase quasi pietrificata,
con gli occhi ancora
protetti dalle mani che le nascondevano il viso, spiando con cautela
tra le dita ciò che succedeva a qualche metro di distanza da dove
si trovava. Dopo aver constatato che il
pericolo era scampato, aprì rapidamente lo sportello della
macchina e sistemò
sul sedile posteriore la povera creatura spaventata.
“Non avere paura, adesso
andiamo via da qui. Te lo
prometto.”
Ross prese la rincorsa per poterla
raggiungere prima che lei
entrasse in auto e partisse a tutta velocità,
“Aspetti! Posso fare qualcosa per
lei?”
“Oh, no. Ha fatto
già tanto, non credo sia il caso di
privarla ulteriormente del suo tempo.” La ragazza si
voltò verso di lui,
rivelando uno splendido paio di occhi azzurri. Era molto magra, ma non
troppo
esile ed emanava un carisma raro, attraverso delle espressioni e degli
atteggiamenti in cui Ross riusciva curiosamente a ritrovare una parte
di se
stesso.
Si guardarono intensamente, poi la
ragazza distolse lo
sguardo in preda all’imbarazzo.
“Mi scusi se l’ho
messa a disagio. E’ solo che…niente, scusi
di nuovo. La stanchezza inizia a farsi sentire.” Ross si
sporse per guardare
meglio la ferita sulla zampa del cane, togliendosi gli occhiali da sole
per
ispezionarla meglio. Era stata fasciata con una sciarpa dal tessuto
leggero, da
cui traspariva il colore del sangue ormai secco.
“Vedo che se la cava bene
con le fasciature. Mi dica, come
ha…?”
“Per prima cosa gli ho
messo su una museruola, precisamente
quella offertami da un signore che ha deciso gentilmente di aiutarmi
togliendola al suo
bulldog. Poi ho disinfettato la zona interessata con della semplice
soluzione
salina, sa la porto con me per via delle lenti… Dopo aver
irrorato anche un ago
da cucito che mi ritrovavo nella borsa, ho preso del filo interdentale
e ho
cucito i lembi di pelle. Infine ho protetto la ferita con la mia
sciarpa, e
questo è tutto.” Concluse con un sorriso
soddisfatto sulle labbra.
“Bene, ora si spiega tutto.
Lei è un medico, suppongo.”
“Un medico specializzando.
E pensare che oggi avrei dovuto
iniziare il mio tirocinio! Ma non importa, almeno qui sono stata
d’aiuto.”
Ross la incoraggiò,
“Si consoli pensando alle conseguenze
che questo inconveniente avrà su di me. Ovviamente
dovrò cercare un altro punto
di rifornimento, solo che non credo che la macchina
camminerà ancora per molto.”
“Potrei darle io un
passaggio, se vuole. Dove deve andare?”
“Lei conosce Trenwith? Non
è troppo lontano da qui.”
“Oh, certamente. Io abitavo
a Illuggan, conosco benissimo
quella zona.” Si interruppe, sforzandosi di ricordare un
dettaglio che in quel
momento sembrava volersi dileguare inconsciamente dalla sua
memoria… In realtà,
sentiva che quello non era il momento di rivangare il passato e che
tutto
sommato sarebbe stato meglio lasciarsi alle spalle anche quei pochi
ricordi
felici che si ostinava a tenere conservarti per poter ritornare ogni
tanto su
quelle scogliere solitarie dove da piccola si rifugiava per sfuggire
alle botte
di suo padre. A volte ci tornava col pensiero per ripararsi da un
altro tipo
di colpo, quello infertole dalla solitudine e dalla paura del futuro.
Solamente
quando il dolore subito, a causa del peso della povertà e
del vizio, aveva la
meglio sul suo umore, la lontananza da casa le appariva come una
benedizione e
il sentimento di tristezza decisamente più sopportabile del
bruciore alle
piaghe che le marcavano la schiena.
Anche la cicatrice disegnata su un
lato del viso di quello
sconosciuto raccontava una storia, probabilmente difficile come la sua,
che la intrigava
e intimoriva al tempo stesso. Non conosceva nemmeno il suo nome, ma era
sicura
di averlo già visto da qualche parte.
“Io mi chiamo Demelza
Carne, mi scusi se non mi sono
presentata prima. Allora, pronto per partire?”
Dopo aver spostato la macchina in
un’area di sosta e
trasferito i suoi bagagli in quella di Demelza, Ross prese posto sul
sedile accanto al suo. Dentro di lui sentiva che era esattamente di
questa svolta che
aveva bisogno per iniziare ad avvertire davvero il calore di casa e,
chissà,
magari Demelza lo avrebbe condotto persino più lontano di
quanto riusciva ad
immaginare.
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Al
Cornwall Hospital di Truro, Francis stava per dare inizio ad una
riunione straordinaria del Consiglio di amministrazione per discutere
con gli altri soci a proposito delle importanti novità
emerse dagli atti notarili del vecchio Ray, resi noti soltanto al
giovane Poldark il giorno stesso in cui egli aveva appreso della sua
morte.
Francis
ricopriva il ruolo di amministratore delegato della società
ospedaliera più famosa della Cornovaglia da quando suo padre
aveva lasciato nelle sue mani quell’incarico di grande
prestigio, con la speranza di riuscire a convincersi di aver sempre
sbagliato a giudicare il suo primogenito un completo inetto,
incapace di prendersi le sue responsabilità e mantenere alto
il buon nome della sua antichissima famiglia.
Quel
pomeriggio, Francis si rese conto per la prima volta di quanto poco
assomigliasse a suo padre. L’orgoglio dei Poldark di
Trenwith, l’esclusività delle relazioni sociali
che era costretto a mantenere anche quando sentiva di desiderare
qualcosa di più semplice, la dedizione agli affari
rappresentavano la gabbia da cui spesso aveva desiderato evadere.
Non
c’era da stupirsi, dunque, di quanto la sua morte fosse stata
una liberazione per Francis. Si, perché insieme a Charles
Poldark se ne erano andate anche tutte le grandi aspettative che egli
nutriva su di lui e i confronti, più o meno diretti, tra la
sua passività e l’intraprendenza di suo cugino
Ross. Adesso che stava per sposarsi, sentiva di aver raggiunto una
nuova maturità e fremeva dalla voglia di dimostrare a
chiunque quanto valore ci fosse in lui, a prescindere dal cognome che
portava. Era un vero Poldark, ma a modo suo.
Entrò
nella sala riunioni con in mano un comunicato da parte dei
rappresentanti della signorina Penvennen, “Aspettavamo tutti
con grande impazienza questo momento, dico bene?”
Sventolò
la busta immacolata davanti all’assemblea riunita in
religioso silenzio e rivolse un sorriso fiducioso ai membri del
Consiglio che lo fissavano seduti composti nelle loro postazioni,
disposte intorno a un elegante tavolo di cristallo.
Dall’espressione sui loro volti era piuttosto semplice
riconoscere chi tra di loro avesse più interesse degli altri
a scoprire quale svolta avrebbero preso le cose, quelli il cui
avanzamento sociale e lavorativo dipendeva tutto dalle parole che
Francis non aveva ancora pronunciato ad alta voce.
Tra
questi, George Warleggan spiccava prepotentemente. Il direttore
finanziario del Royal Cornwall Hospitals NHS Trust sperava di poter
godere finalmente dei frutti che le sue arti adulatorie, messe in atto
a più riprese con il signor Penvennen durante i
loro incontri professionali, avevano seminato con estrema perizia e
lungimiranza.
“Bene,
possiamo procedere. Confesso che quando mi è giunta la
notizia della morte del caro Ray, temevo che i nostri ospedali
avrebbero perso molto sotto una nuova direzione. Mi chiedevo se il suo
sostituto sarebbe stato disposto a continuare la stessa linea di
pensiero attuata con successo sino ad oggi…Certo, in quel
caso avremmo dovuto far valere le nostre opinioni, ma combattere contro
il Presidente si presentava come un’opzione di cui
avrei sicuramente voluto fare a meno. Perciò,
capirete la mia felicità quando ho saputo il nome di chi
è stato indicato come potenziale candidato al
ruolo.”
George
cambiò posizione sulla sua poltrona, in preda ad
un’eccitazione quasi incontenibile. Doveva essere lui, da
come ne parlava Francis era chiaro. Chi altri se non lui,
l’unico che godeva dell’ammirazione nazionale per la sua abilità nel fare denaro attraverso
la duplice attività di responsabile dei conti di
ben tre ospedali e proprietario della banca più influente di
tutta la Cornovaglia?
“Si
tratta di una persona il cui nome significa molto per noi. Beh,
possiamo anche dire che segna una certa continuità con il
passato pur proiettando nel futuro tutto il lavoro che abbiamo già
iniziato.”
I
membri si scambiarono cenni di curiosità crescente, mentre
Fancis continuava a tenerli sulle spine.
George
e suo zio Cary avevano ormai smesso di nascondere il luccichio che
brillava nei loro occhi e reso palese a tutti l’emozione che
provavano.
Ma
Francis, appoggiato ad uno spigolo del tavolo, dovette presto sgonfiare
ogni loro tronfia illusione. Iniziò a leggere ad alta voce,
“In nome della nostra cliente, comunichiamo al gentile
Consiglio che, secondo la clausola prevista nel testamento del defunto
Ray Penvennen, la signorina Caroline Penvennen rivestirà il ruolo di Presidente
del Consiglio di amministrazione con incarico immediato.”
“Che
ve ne pare? Io ne sono entusiasta!” Francis
sottolineò la sua contentezza attraverso la solita risata
che faceva quando era davvero esaltato da qualcosa, ma notò
che non tutti i presenti sembravano condividere con lui questo
spirito ottimistico.
“Quindi
le voci che giravano sulla lite tra zio e nipote erano
infondate?” Una voce si levò dal coro di
chiacchiericcio che riempiva sommessamente la sala.
“Mi
pare che questo comunicato le smentisca del tutto, George.”
“Suppongo
di sì.” Il giovane Warleggan tirò il
collo in avanti, poi scambiò una rapida occhiata con suo zio
e si tirò su dalla sedia con l’intenzione di
andarsene via.
Francis
intuì la fretta dei due Warleggan e si sbrigò a
dichiarare sciolta l’assemblea, ma prima di uscire
fermò il suo vecchio amico, trattenendolo per un braccio,
“Qualcosa non va? Avresti preferito un completo
estraneo?”
“Vedremo
in quanti mesi Caroline Penvennen riuscirà a distruggere la
memoria di suo zio. Io sono pronto ad assistere al suo fallimento, e tu
Francis?”
“Io
le do fiducia. E’ una ragazza in gamba, da quello che si dice
in giro.”
Se
George non gli avesse espresso con tanta chiarezza ciò che
pensava, Francis avrebbe potuto credere facilmente che la sua fosse la
normale reazione di un professionista spaventato. Tuttavia,
c’era qualcosa di nervoso nella calma apparente dei suoi
gesti che riusciva a trasparire nonostante lo sforzo per farlo sembrare
meno evidente.
Francis
non era sicuro che la sua sensazione fosse fondata, ma sospettava che
la stranezza dell’atteggiamento di George non avesse a che
fare esclusivamente con Caroline Penvennen.
Fuori
dall’ospedale, Elizabeth e Verity chiacchieravano sedute su
una panchina sorseggiando del buon caffè, in attesa di
essere scortate da Francis sino a Trenwith per dare il benvenuto a
Ross. Per quanto l’idea di rivederlo la terrorizzasse,
Elizabeth aveva scelto di apparire al meglio, sperando che
l’immagine di lei che Ross ricordava coincidesse con la
persona che si sarebbe ritrovato davanti. A Verity l’eleganza
della sua amica non stupì più del solito, dal
momento che non l’aveva mai vista diversa da così:
sembrava una bambola di porcellana, di una bellezza delicata e
irraggiungibile ma proprio per questo estremamente ambita anche da chi
non aveva ancora avuto l’onore di conoscerla personalmente.
“Non
riesco a trattenere l’emozione, Elizabeth cara! Mi
è mancato talmente tanto, che potrei scoppiare a piangere
quando lo rivedrò in carne ed ossa!”
Elizabeth
si limitò a farle un accenno di sorriso. Le sue guance erano
diventate incredibilmente scarlatte, ma per il resto nessuno avrebbe
potuto intuire lo sconvolgimento interiore che si celava dietro
l’apparente imperturbabilità del suo aspetto
esteriore, nessuno a eccezione di Verity.
“Certo,
deve essere dura per te. Eppure, qualcosa mi dice che non ne sei
completamente dispiaciuta, o sbaglio?”
“Sai
perfettamente che non è così. Un'insinuazione
del genere sarebbe ingiusta per Francis, per Ross e anche
per…”
“Andiamo,
Elizabeth! Sii onesta con te stessa, non c’è nulla
di male nel provare piacere a rivedere un amico!” Le prese
una mano ghiacciata e la riscaldò tra le sue.
“Ma tu
pensi che ci sia speranza per una sorta di perdono?” La paura di perdere la
stima di Ross stava tutta in quella domanda che Elizabeth fece a
Verity, mentre l’amica le fissava l’anello che
cingeva trionfante l’anulare della mano sinistra, sforzandosi
di nascondere la sua perplessità a riguardo. Elizabeth lo
captò ugualmente ma, anziché perseverare nel
tormentarsi sulla reazione di Ross alla notizia che presto avrebbe
dovuto dargli, preferì concentrarsi sui sentimenti positivi
che entrambi avrebbero provato nel riunirsi a Trenwith, proprio come i
vecchi tempi.
Francis
le salutò da lontano. Soltanto quando riuscì a
raggiungere la panchina sulla quale erano sedute, fu libero di
manifestare loro la sua immensa emozione; mostrò a Elizabeth
il contenuto del messaggio che aveva appena ricevuto, ponendole sotto
agli occhi lo schermo luminoso del suo smatrphone, e rivolse a sua
sorella uno sguardo pieno di commozione, prima di esclamare: “Ross
è tornato!” |
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
cap iv
Borse, zaini e valigie varie
occupavano esattamente metà del
sedile su cui si trovava il pelosetto, lasciando a Ross solo un misero
spazio
per sistemare la sua borsa a mano. Demelza era riuscita ad
incastrare il
suo bagaglio tra le altrettante innumerevoli cose che riempivano il
cofano
della macchina, continuando a scusarsi con lui per la
scomodità con cui avrebbe
dovuto affrontare il viaggio.
A Ross parve di stare in un
accampamento improvvisato,
eppure in tutto quel disordine non riusciva a non sentirsi a suo agio,
divertito dall’eccentricità che trasmettevano sia
l’arredamento dell’abitacolo che
la sua proprietaria. Con un po’di imbarazzo, Demelza si
voltò verso di lui per
sincerarsi che stesse effettivamente comodo come sosteneva e, anche se
sapeva
che lo aveva detto soltanto per essere gentile, le sembrò
che Ross non stesse
poi così male come credeva.
“Posso darti del tu?
Dovremo condividere un bel po’ di
strada insieme, quindi…” Scrutò il suo
sguardo mentre si allacciava la cintura
di sicurezza, come se avesse paura di aver detto la cosa sbagliata.
“Ti prego, non sono ancora
così vecchio!” Il sorriso con cui
Ross aveva accompagnato quella dichiarazione sortì
l’effetto sperato: fece
sciogliere Demelza e allentò la tensione tra di loro,
rendendoli un po’ meno
estranei.
“E allora qual è
il tuo nome, turista senza mezzi che ama fare
l’eroe?” Domandò lei alzando un
sopracciglio.
Ross scoppiò a ridere,
“Cosa ti fa pensare che io sia un
turista? Se è per via delle valige che mi porto dietro, mi
dispiace doverti
contraddire.”
“In realtà, ho
pensato che non fossi di qui per il semplice
fatto che, dal momento che tutti conoscono la brutta fama delle nostre
agenzie
per il noleggio delle auto, tu ti sei lasciato abbindolare proprio come
accade a quei poveretti. Ma non ti preoccupare, se non fosse stato per
la tua buona fede
non oso pensare cosa sarebbe potuto succedere.”
“Beh, meglio
così allora. Comunque, mi sembra che anch’io ne
abbia tratto dei vantaggi…” Entrambi sentirono i
brividi percorrere la loro
pelle, ma nessuno dei due azzardò aggiungere un commento a
quella frase. Dalla
prima volta in cui si erano visti, si era innescata
un’inspiegabile chimica tra
di loro e la reciproca attrazione per il fascino che contraddistingueva
la loro
persona era evidente dall’imbarazzo con cui reagivano ogni
volta che entravano
in contatto.
Nel frattempo, il cagnolino si era
appisolato sul sedile
proprio dietro di loro, appoggiando il musetto provato dalla sofferenza
e dalla
stanchezza sulla morbida pelle della valigia di Ross. Dallo specchietto
retrovisore, Demelza gettò un’occhiata su di lui e
non riuscì a non commuoversi
alla vista della pace che trasmettevano quegli occhietti chiusi in un
sogno decisamente
più felice della vita a cui i suoi padroni lo avevano
costretto, abbandonandolo
sul ciglio della strada. Aveva addosso ancora il collare quando lo
aveva
avvistato arrancare sanguinando verso di lei, ma prima di quel momento
nessuno
si era degnato di fermarsi per prestargli soccorso.
Voltandosi nella sua direzione, Ross
si accorse con stupore
dei suoi occhi lucidi e, sebbene si fosse ripromesso di non fare
domande
riguardo al motivo per cui non vivesse più a Illuggan,
qualcosa gli suggeriva
che lo stato d’animo in cui si trovava Demelza non era dovuto
soltanto alla
partecipazione emotiva per le disavventure del cagnolino ma a qualche
ricordo
spiacevole riconducibile al paese che aveva lasciato. Decise allora di
riportarle il sorriso mettendo su una ricerca per il nome da dare al
loro nuovo
amico, “Sai, non credo che sia molto educato da parte nostra
rivolgerci a lui
definendolo “cane”. Ognuno di noi ha un nome: tu
sei Demelza, io sono Ross, lui
invece chi potrebbe essere?”
“Lui è Garrick.
L’ho letto sulla medaglietta che teneva
appesa al collo quando l’ho trovato.”
Aprì il cruscotto
parallelo al sedile di Ross e ne estrasse
il collare a mo’ dì prova. Lo consegnò
nelle sue mani e riprese a concentrarsi
sulla brevissima strada che ancora mancava per raggiungere Trenwith.
“Mi dispiace molto. Pensare
che la tua famiglia si sia
stancata di te, che preferisca sbarazzarsi di qualcuno con cui si
è condivisa
una parte di vita piuttosto che sacrificare qualche comodità
in nome dell’amore
è qualcosa che ancora non riesco a
capire…”
“Non tutte le persone sono
fatte per dare amore. Forse è un
bene che loro l’abbiano capito, così adesso
Garrick potrà essere libero di ricominciare
una nuova vita, senza bisogno di scappare da chi non gli ha mai voluto
bene.”
Ross posò la sua mano su
quella di Demelza, che era ferma
sul cambio delle marce e fredda come il marmo, “E tu, posso
chiederti da cosa
stai scappando? Dove andrai quando mi lascerai a Trenwith?”
Prima di rispondere, Demelza si prese
un bel po’ di tempo
per riflettere su cosa dire. Erano due settimane che se n’era
andata di casa e
quella macchina rappresentava il suo alloggio attuale, almeno
fino a quando non
avrebbe iniziato a guadagnare. Il
motivo della
sua fuga? Avere l’ ambizione di disintossicarsi
dall’aria di ubriachezza che le
riempiva i polmoni da quando era piccola e dal peso della
responsabilità di
essere a tutti gli effetti una madre per i suoi fratelli, badando prima
a loro
che a se stessa. Ross lo avrebbe compreso? Lui, che
all’apparenza sembrava un
uomo abituato al lusso e sicuro del proprio status sociale.
“Posso solo dirti che
capisco benissimo cosa deve aver
provato Garrick. Nel mio caso è stata una scelta ben
meditata quella di
allontanarmi da casa, non semplice ma necessaria. Lo hai dedotto dalle
valigie,
vero?”
“Vuoi dire dopo aver
scartato l’ipotesi che fossi una
turista?” Ross ritirò la mano dalla sua, ma non
smise di contemplare il suo
bellissimo viso. Demelza ridacchiò di quella battuta
spiritosa che voleva richiamare
l’insinuazione che lei stessa gli aveva fatto in precedenza
per prenderlo un po’
in giro. Ormai erano giunti davvero in prossimità
dell’enorme cancello che
proteggeva la tenuta dell’antica famiglia dei Poldark, quando
Demelza decise di
accostare qualche metro prima e di fermarsi lì. Spense il
motore ed uscì fuori
dalla macchina, seguita a ruota da un Ross alquanto sorpreso.
“Non vorresti accompagnarmi
almeno fino al giardino? Mi
piacerebbe presentarti ai miei cugini e a mia zia Agatha, se per te non
è un
problema.” Sfilò dalla tasca interna del suo
giubbotto un pacco di sigarette e
ne offrì una a Demelza, che però
declinò con gentilezza.
“Sono solo una persona di
passaggio nella tua vita. Presumo
che non interessi a nessuno...”
“A me interessa moltissimo,
invece.” Fece il giro con
l’intenzione di ritrovarsela davanti e la guardò
per alcuni secondi, mentre
inalava il fumo della sua sigaretta. Quell’espressione doveva
aver fatto molte
conquiste, questo era ciò che Demelza aveva sospettato sin
dall’inizio,
considerata la sua stessa difficoltà a evitare di essere
colta in flagrante
mentre lo osservava più di quanto fosse opportuno.
“Potrei fare
un’eccezione e tenerti un pò compagnia, ma credo
che ci sia già qualcuno ad aspettarti…”
Indicò una
Lamborghini parcheggiata all’ombra della pianta centrale che
decorava il
giardino. Tuttavia Ross, sentita la prima parte del discorso, non perse
tempo a tirar fuori dalla macchina le sue valigie e svegliare Garrick
affinché
li seguisse.
Francis, Verity ed Elizabeth erano
arrivati da circa venti
minuti. Pur non essendo una brutta giornata, le due donne avevano
preferito
attendere l’arrivo di Ross al riparo dal vento, nel giardino
d’inverno. L’ora
del tè era vicina e la vecchia zia Agatha, comodamente
seduta sulla migliore poltrona
disponibile, decise di ingannare l’attesa intrattenendosi con
il suo passatempo
preferito: le carte.
Francis, da parte sua, non avendo
ereditato la stessa dose
di pazienza di sua zia, si liberò dal costume proprio
dell’etichetta british che
imponeva di aspettare le
cinque e al posto del tè consumò un bel bicchiere
di brandy francese,
sovvertendo anche in questo la tradizione. I domestici di Trenwith
predisposero
sandwich, tartine e scones farciti con burro e marmellata su dei
raffinatissimi
vassoi d’argento, mentre Elizabeth si pizzicava le guance e
si sistemava il
rossetto sulle labbra carnose, servendosi di uno specchietto da
borsa.
Dal momento che Elizabeth risultava
assorta nei suoi pensieri
e Francis era troppo occupato a spulciare i registri che si era portato
dall’ospedale,
Verity fu la prima ad avvistare alcuni movimenti sospetti nei dintorni
del
cancello.
“Francis, per caso Ross ti
ha detto che sarebbe venuto con
qualcuno? Mi sembra di intravedere una donna lì in
fondo…” Strizzò gli occhi
per vedere meglio.
Francis strappò un morso
da un toast al formaggio e si
avvicinò a sua sorella. Si mise dietro di lei e, grazie alla
statura non
propriamente alta di Verity, riuscì a spiare attraverso il
vetro, “Non che io
sappia, però sarei felice di sbagliarmi.”
Elizabeth si alzò di
scatto da dove era seduta: l’eventualità
che Ross potesse essersi messo con un’altra donna non
l’aveva mai sfiorata e adesso si sentiva messa in secondo piano, immeritatamente gelosa del fatto che lui fosse riuscito ad andare avanti senza di lei. Per
sua fortuna, fu la vecchia Agatha l’unica testimone di
quella reazione.
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Ross e Demelza avevano da poco
varcato la cancellata di
ferro di Trenwith, quando si imbatterono nel dolce viso di Verity che,
con le
lacrime agli occhi e il rossore sulle guance dovuto alla corsa che
aveva fatto
per precipitarsi ad abbracciare suo cugino prima di tutti gli altri,
diede loro
il benvenuto con un trasporto letteralmente travolgente. Ross esplose
in un
grido di gioia, la sollevò da terra e le fece fare un giro
in aria tenendola ben
stretta in vita, sotto lo sguardo divertito di Demelza.
“Oh, Ross! Non posso ancora
crederci!” I suoi singhiozzi,
mescolati alle risate di Francis, che si godeva la scena a qualche
metro di
distanza da semplice spettatore, trasmisero a chi non faceva parte
della
famiglia una sensazione di notevole contrasto.
“Come hai fatto a
riconoscermi tra tutte queste lacrime che
ti offuscano la vista?” Ross asciugò i suoi occhi
completamente bagnati e le
accarezzò una guancia. Quello tra Verity e Ross era sempre
stato un rapporto
speciale, ma la bellezza del sentimento che li univa aveva
provocato spesso non poche
gelosie da parte di Francis, il cui legame con suo cugino, seppur forte
e persino
più viscerale rispetto a quello che lui aveva con sua
sorella, mancava di una
dose di semplicità che rendeva naturale una confidenza del
genere. Alcune volte
succedeva che l’ammirazione di Francis per Ross si
trasformasse in invidia, quasi
fosse una risposta alla sua frustrazione perenne e al suo non sentirsi
mai all’altezza
della situazione.
Demelza si accovacciò per
accarezzare Garrick. Leggermente insicura
su come presentarsi a quella donna, preferì dedicare le
proprie attenzioni al
cane piuttosto che rivolgerle all’incontro che si stava
svolgendo in quel
momento tra due cugini che non si vedevano da anni e che,
probabilmente, avevano
sentito molto la mancanza uno dell’altra.
“Sono stata una vera
maleducata! Ma anche tu Ross, perché non
mi hai ancora presentato la tua ragazza?” Verity si rivolse a
Demelza con uno
sguardo pieno di tenerezza, poi si avvicinò a lei e attese
che almeno uno dei
due dicesse qualcosa. Ma né Ross né Demelza
riuscirono a liberarsi dall’imbarazzo
creato da quell’ equivoco dichiarato senza alcuna malizia. Si
guardarono e
scoppiarono a ridere, lasciando la povera Verity più che
perplessa.
Quando ebbe recuperato un briciolo di
serietà, Ross prese
sotto braccio sua cugina e le sussurrò in un orecchio,
“Ci conosciamo solo da
qualche ora. Demelza mi ha dato un passaggio in autostrada.”
Verity divenne paonazza e
abbassò lo sguardo sull’erba appena
calpestata dalle sue scarpe, “Mi dispiace, non avevo
intenzione di metterti a
disagio mia cara. Perdona anche la scenata a cui hai dovuto assistere,
ma faccio
appello alla tua clemenza confessandoti che sono cinque anni che
aspetto questo
momento!”
“Oh, non si preoccupi.
E’ lei che deve scusare me per aver
invaso l’intimità di questa occasione. Ho provato
a spiegarlo a Ross, ma forse
lui ne ha sottovalutato l’importanza.”
L’amabilità di Demelza l’aveva
già
conquistata. Dentro di lei, Verity pensò che fosse davvero
un peccato che quei
due si conoscessero a malapena da mezza giornata, ma niente avrebbe
potuto
impedire a Demelza di trattenersi ancora un po’.
“Demelza, non è
così che ti chiami?”
“Si, è
esatto.”
“Possiamo avere
l’onore di ospitarti per il tè? Sai, a
parte Ross, siamo tutti fin troppo abituati alla compagnia reciproca e
la zia
Agatha sarà entusiasta di fare una nuova
conoscenza.”
Prima che potesse rifiutare, Ross si
accinse ad aggiungere, “Ci
farebbe piacere presentarti al resto della famiglia. Noi Poldark siamo
molto testardi, quindi ti conviene accettare se non vuoi perdere un
altro
giorno di lavoro a discutere fino a domani mattina.”
Demelza rispose con un sorriso, ma in
realtà aveva un bel po’
di ansia. Inoltre, conoscere gli altri membri di quella famiglia, che
sembrava rivestire
una certa influenza nel panorama sociale cornico, le avrebbe fatto
sentire
tutto il peso della differenza che c’era tra la sua
condizione e la loro.
Accettò ma rimase incollata al braccio di Ross, un riflesso
involontario di cui
non si rese conto fino a quando divenne troppo tardi per potersi tirare indietro.
Fino ad allora, Francis aveva
deliberatamente scelto di non pensare
ai probabili ripensamenti che Elizabeth avrebbe potuto avere sul loro
imminente
matrimonio, una volta messa di fronte all’evidenza dei fatti.
Tuttavia, la
gioia di accogliere Ross da padrone di casa e condividere con lui gli
aspetti
più lieti della nuova fase della sua vita subì
una drastica svolta non appena egli
vide la sua promessa sposa partire alla ricerca di un amore che
probabilmente
non era ancora riuscita a dimenticare. Nonostante fosse stata proprio
Elizabeth
l’artefice della rottura della loro relazione, Francis
nutriva da sempre il
sospetto che l’unico motivo per cui ciò era
accaduto doveva essere rintracciato
nella sua paura di rimanere da sola nel caso in cui Ross avesse deciso
di restare
in America e arruolarsi definitivamente nell’esercito. No,
Elizabeth non era
fatta per quella vita e sicuramente si sarebbe pentita di aver
assecondato un
progetto di vita che non condivideva e che avrebbe arrecato
nient’altro che
infelicità ad entrambe le parti coinvolte. La situazione si
configurava come
troppo instabile per i suoi gusti e le sue ambizioni mondane.
Così, fermi ad aspettare
sulla soglia d’ingresso del
giardino d’inverno, Francis ed Elizabeth evitarono di
comunicare perché troppo
spaventati dalle dichiarazioni che sarebbero potute uscire dalle loro
bocche.
“E’ davvero
bella. Credo che a lui piaccia molto…” Elizabeth
pronunciò quelle parole a bassa voce, come se stesse
parlando tra sé e sé, ma Francis
non se ne rese conto e rispose che era pienamente d’accordo
con lei. Poi,
quando la tensione divenne quasi insopportabile, Verity urlò
loro da lontano
che sia lei che Ross sarebbero entrati in casa a lasciare le valigie in
una
delle stanze per gli ospiti e pregò Francis
affinché accogliesse e
intrattenesse Demelza nel frattempo, ignorando le proteste della
ragazza che avrebbe
preferito cento volte attendere con un po’ di pazienza
lì fuori oppure entrare
insieme a loro piuttosto che affrontare da sola la gabbia del leone.
Francis non se lo fece ripetere due
volte, “Oh,
naturalmente! Abbiamo una varia gamma di tè da scegliere.
Elizabeth è una grande esperta in fatto di
varietà di foglie di tè, quindi può
darti
un consiglio.”
“Certo, mi farebbe
piacere.”
Francis si domando se per caso Ross
le aveva parlato della sua precedente storia
d’amore con Elizabeth, mentre mostrava a Demelza la strada
per raggiungere il mini buffet allestito nel padiglione della villa.
Quella
ragazza emanava una solarità ipnotizzante, totalmente
diversa dall’algida
raffinatezza di Elizabeth, che secondo Francis ben si accordava alla
tenebrosa
e complicata personalità di Ross, quasi fosse il raggio di
luce necessario a
illuminare la parte più nascosta del cuore di suo cugino.
Elizabeth mise su un sorriso di
circostanza, nervosa almeno
quanto Demelza per la strana situazione in cui si trovavano. Si fece da
parte
per far passare entrambi e poi rimase in silenzio, aspettando che fosse
lei a
introdurre l’argomento.
Agatha si svegliò
improvvisamente dal torpore in cui era
sprofondata, anche a causa del piacevole calore emanato dal camino
acceso nella
stanza, e si sforzò di trovare qualche tratto riconoscibile
nell’etera fisionomia
di Demelza, ma ovviamente non ne trovò nessuno.
“Elizabeth, chi
è questo piccolo bocciolo? E dov’è
Ross?”
Francis si avvicinò alla sua vecchia prozia e
pensò a rispondere alle sue
domande, evitando di esporre la sua fidanzata a
quell’interrogatorio alquanto
imbarazzante per la sua attuale situazione.
“E’ una
piacevolissima giornata, non torvi cara?”
“Da quanto ricordo ce ne
sono state di decisamente peggiori,
ha ragione.” Demelza si rigirò una ciocca di
capelli intorno all’indice della
mano destra, incantata dalla bellezza della donna che si ritrovava
davanti. Elizabeth
aveva i lunghi capelli lucenti raccolti in uno chignon basso, con
qualche
ciocca che le ricadeva sulla fronte, un trucco leggero ma eseguito
magistralmente e un profumo sofisticato, tutto disperso sulla camicetta
di raso
blu che creava uno splendido contrasto con il pallore della sua pelle
diafana.
Ai piedi indossava un paio di decolleté in suede nere dal
tacco sottilissimo,
mentre dai lobi delle sue orecchie pendevano due zaffiri blu con taglio
a
smeraldo, circondati da piccoli diamanti perfettamente coordinati
all’anello di
fidanzamento scelto per lei da Francis. Gli orecchini erano un regalo
di Agatha
per la promessa sposa, preso direttamente dai gioielli di famiglia che
lei,
essendo l’unica donna Poldark della generazione precedente a
quella di Verity,
aveva ereditato dai suoi antenati.
“Posso farti una domanda,
Demelza?” Chiese Francis.
“A dire la
verità, non amo molto le domande. Spesso portano
a risposte scomode…Quindi dipende dal genere di domanda che
lei vuole farmi,
signore.”
“Ho avuto
un’epifania improvvisa. Se non ricordo male, ho
visto il tuo nome tra le domande di tirocinio in uno dei nostri
ospedali. Può
esserci del vero in questo?” Prese il malloppo di documenti
che si era portato
dall’ufficio e iniziò a sfogliarlo alla ricerca di
una conferma.
Demelza spiegò loro
ciò che era accaduto alla stazione di
servizio durante quella mattinata, dal salvataggio di Garrick
all’incontro casuale
con Ross, alla sua proposta di scortarlo fino a Trenwith come gesto di
gratitudine per averla difesa in quella circostanza, ma non aggiunse
nient' altro. Non
sapeva chi fossero quei Poldark e quale legame intercorresse tra il
loro nome e
quello dell’ospedale presso cui avrebbe dovuto lavorare,
perciò preferì non esporsi troppo.
“Domani spero di cominciare
senza alcun intoppo.”
Ross e Verity arrivarono proprio in
quel momento, ma fu
solo Verity ad entrare. Ross si bloccò davanti al vetro della
porta che rifletteva il
profilo di un fantasma, di fronte alla cui bellezza non riusciva ancora
a rassegnarsi. Francis si fiondò fuori e lo salutò
abbracciandolo forte: prima di procurarsi il suo odio,
attraverso la notizia del suo fidanzamento con Elizabeth,
preferì mostrargli quanto realmente ci tenesse a lui. Se questo sarebbe potuto servire a qualcosa, di certo Francis poteva solo sperarlo.
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
Caroline e George non ebbero modo di
conoscersi
personalmente fino al giorno del meeting di
presentazione, fissato dalla giovane ereditiera per il pomeriggio
successivo
alla giornata in cui Francis aveva esposto a tutti il comunicato che la
nominava
nuovo presidente del consiglio di amministrazione. A George serviva un
piano
d’azione per metterla in difficoltà sin da subito
ma, non avendo tra le mani
niente di davvero compromettente sul fronte professionale, fu costretto
a
rivolgersi ai suoi scagnozzi per sondare nell’ambito della
vita privata e
sentimentale della ragazza.
Le origini nobili di Caroline
fungevano da ulteriore motivo
d’astio per George, ma l’aspetto più
insopportabile di quella situazione era il
fatto di essere stato scavalcato da una donna, per giunta priva di
qualsiasi
tipo di esperienza. Come al solito, il nepotismo aveva prevalso sul
buon senso
della politica aziendale “non di parte” teorizzata
da molti e messa in pratica
da pochi. Non c’era spazio per un parvenu come lui nel
circolo elitario dei
“purosangue” che detenevano la maggior parte delle
azioni della società, e
questo George lo aveva sempre saputo fin dall’inizio.
Con le mani impegnate a contare i
soldi per poi pesarli
sulla sua bilancia personale, George continuava a pensare a quale fosse
la
soluzione migliore per non avere guai con la nipote di Penvennen, pur
tramando
contemporaneamente alle sue spalle.
“Credi davvero che quella
poppante riuscirà a farsi valere
nel nostro ambiente spietato? Anche se fosse la regina
d’Inghilterra, al giorno
d’oggi sono i soldi a contare e la capacità di
produrli, non una corona di
rubini appoggiata sulla testa!” Cary Warleggan
cercò di risollevare l’umore di
suo nipote.
“Ne sono convinto
anch’io, zio. Ma se solo potessi
accelerare i tempi…”
Cary fece una smorfia che espresse
perfettamente il suo
scetticismo a riguardo.
“Ho chiesto a Tom Harry di
accumulare informazioni sul suo
conto. Mi pare di ricordare che il forte litigio avvenuto tra lei e Ray
avesse
a che fare con vecchie questioni d’amore.”
Il grugnito di suo zio gli fu
sufficiente come risposta.
Cary decise, infatti, di cambiare argomento, “La settimana
prossima siamo stati
invitati al ricevimento per il fidanzamento ufficiale di Francis ed
Elizabeth,
avevo dimenticato di comunicartelo. Ecco l’invito, se ti
interessa.”
George tossì
automaticamente, poi allungò il collo in avanti
e si alzò dalla scrivania per prendere l’invito ed
esaminarlo con cura, “E’ un
vero peccato! Elizabeth non sa in che guaio si sta
cacciando…”
“In che senso?”
“Francis sta prelevando una
quantità spropositata di denaro
dalla nostra banca. Certo, in parte lo userà per il
matrimonio, ma non so
perché qualcosa mi dice che non gli serve solo per quello.
Conosci il suo vizio
per il gioco, no?”
“Suo padre aveva il vizio
del bere e del mangiare in
quantità disumane, suo zio Joshua quello di andare a
donnacce e fare debiti a
destra e a manca. E’ nel loro sangue!”
Cary ci pensò su per un
po’ prima di decidere se dargli
anche un’altra notizia, quella del ritorno di Ross Poldark,
ma giunse alla conclusione
che era meglio non mettere troppa carne sul fuoco. Riprese a leggere il
quotidiano sprofondando nel suo cinismo atavico verso tutto
ciò che riguardava
il mondo al di fuori della mura della sua preziosissima banca.
Caroline aveva iniziato a consultare
gli ultimi documenti
che erano giunti in possesso di suo zio nei mesi precedenti alla sua
morte.
Lettere di richieste per tirocini universitari, dimissioni e moduli di
trasferimento e poi anche curriculum di medici professionisti come
quello di
Ross Poldark.
Si trattava di un ottimo pretendente
al posto di primario in
chirurgia d’urgenza, con esperienza sul campo e referenze
eccezionali. Peccato
che Caroline lo avesse conosciuto quasi in un’altra vita,
attraverso la sua
amicizia con Dwight. Il suo codice morale le imponeva di essere
imparziale e
considerare l’assunzione di Ross come un bene per ospedale,
ma la sua parte più
intima, e forse anche quella più fragile, faticava a
consideralo un espediente
vantaggioso per il suo proposito di dimenticare ogni possibile
riferimento alla
vita a cui aveva dovuto rinunciare. Ne avrebbe discusso con gli altri,
per
quanto in cuor suo sapesse perfettamente cosa fare…
I Poldark, quei gentiluomini
aristocratici che si
divertivano a fare gli eroi! Quando Ross le aveva telefonato a Bath,
dove lei si
trovava per studiare economia grazie al sussidio assicuratole da suo
zio per l’ultimo
anno della specialistica, con l’obiettivo di convincerla a
cambiare idea,
Caroline lo aveva considerato una specie di paladino della giustizia e
difensore dell’amore, ancora troppo ingenuo nel suo
sopravvalutare il potere
dei sentimenti. Di lì a poco, anche lui avrebbe conosciuto
delle delusioni piuttosto
cocenti.
Quelle stesse ingiustizie, derivate
dal mondo che Ross si
era tanto impegnato a proteggere, rappresentavano per Caroline la prova
più
tangibile di quanto avesse fatto bene a non ascoltare il suo consiglio.
Come
Ross ed Elizabeth, anche lei e Dwight sembravano avere interessi
diversi, in
fondo. Quale senso aveva opporsi all’inevitabile, soltanto
per inseguire un
futile ideale d’amore?
A Trenwith, Ross dovette farsi un
grande coraggio per
sopportare la presenza di Elizabeth, dopo quello che era successo tra
di loro.
Una parte di lui non l’avrebbe mai perdonata per aver scelto
il modo più codardo
di cavarsela, affidando a un tristissimo messaggio il compito di
informarlo della
sua decisione di porre fine alla loro storia. Ma la sua parte
più sensibile al
fascino di quella donna non riusciva a mettersi l’anima in
pace e lasciare le
cose così come Elizabeth stessa aveva deciso
nell’ultimissimo contatto che
aveva avuto con lui. Ed ora si trovavano faccia a faccia, entrambi
incapaci di esternare
persino a loro stessi le proprie emozioni a riguardo.
“Ross, forse dovrei
togliere il disturbo…” Demelza si
accorse del suo mutismo e del disagio con cui le altre persone presenti
si
guardavano tra di loro, senza sapere come superare quel momento che
tuttavia sapevano
sarebbe arrivato prima o poi. La povera Demelza si mise la borsa in
spalla e
fece per andarsene, quando la mano di Ross la trattenne per il polso e
la
convinse ad aspettare. I suoi penetranti occhi neri la pregarono di non
lasciarlo lì da solo. Demelza pensò che fosse
strano che Ross preferisse avere
un’estranea al suo fianco piuttosto che un parente, ma sin da
subito si era creato
un feeling così forte
tra di loro da
farle credere che, in una situazione simile, anche lei avrebbe
fatto lo stesso.
“Ross,
io…” Elizabeth non riuscì a terminare
la frase che
una lacrima le scese lungo il viso di porcellana, rendendolo ancora
più pallido
di quanto già non apparisse normalmente. Per Demelza si
trattava di una
situazione surreale, perché non aveva la benché
minima idea di cosa avesse potuto
provocare quel tipo di reazione emotiva nella compostissima figura che
adesso
si era seduta sul sofà bianco vicino al camino e che
sembrava esercitare una forte
influenza su Ross.
Francis si riempì il
bicchiere con dell’altro brandy e lo mandò
giù tutto d'un fiato, mentre Verity lasciò che
fosse il suono della voce di
suo cugino a riempire il silenzio della stanza. Ross
accarezzò il braccio di
Demelza, come a volersi scusare per averla coinvolta in
quell’ imprevisto
tutto privato che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi, poi
andò a sedersi
al fianco di Elizabeth.
“Non mi aspettavo di
trovarti qui.”
“Io invece ho temuto per
giorni questo momento, perché ero
certa che sarebbe stato difficile per entrambi.”
“Io rispetto la tua scelta,
Elizabeth. Non posso dire che
essere lasciato con un messaggio mentre mi trovavo dall’altra
parte del mondo
sia stata un’esperienza piacevole, però sono
sopravvissuto. Spero solo che tu
non abbia avuto dei ripensamenti nel frattempo…”
Elizabeth si girò per la
prima volta dalla sua parte e lo
guardò dritto negli occhi. Il suo era uno sguardo misto di
sollievo e
risentimento, “Ne sono lieta Ross, ma avrei gradito una
risposta. Anche se devo
riconoscere che il tuo silenzio è riuscito perfettamente
nell’intento.”
Agatha si sollevò dalla
sua poltrona e camminò barcollando
verso di loro, ma prima di raggiungerli deviò e si
fermò vicino a Demelza. La
sua voce riecheggiò ad altissimo volume nella forma
di un
commento sulla freschissima bellezza di quella ragazza che non
aveva mai visto prima, mirando dritta al suo obbiettivo.
Elizabeth, infatti, fu costretta a ritornare alla realtà e a
prendere le
distanze dalla presenza sempre più vicina delle gambe di
Ross alle sue
ginocchia tremanti.
“I miei due nipoti hanno un
ottimo gusto in fatto di donne,
e non ci sarebbe alcun problema se non fosse che una di loro agita il
cuore di entrambi…”
“Zia, lascia che Elizabeth
finisca il discorso.” Francis rimase
di spalle, voltandosi il giusto indispensabile perchè le
sorde orecchie di
sua zia recepissero chiaramente il messaggio. Ma Elizabeth rimase
chiusa in se
stessa a lottare contro la paura di poter perdere definitivamente la
stima di Ross, e forse anche qualcosa altro.
“Ho bisogno di sapere se
c’è ancora speranza…” Ross le
prese
la mano e stampò l’impronta delle sue labbra sul
suo dorso candido, ma presto
si accorse che la risposta di Elizabeth non sarebbe potuta essere
più chiara
della luce del diamante che brillava sul suo anulare sinistro.
Annuì, rimproverandosi
per essersi aperto così tanto e aver lasciato trasparire le
sue
stupide idee romantiche riguardo una possibile riconciliazione con una
donna che adesso
stava per sposarsi con un altro. Che sciocco! Era rimasto appeso a un
filo per
tutto quel tempo, rifuggendo qualsiasi tipo di relazione,
più o meno seria, per
quasi un anno della sua vita nella vana speranza che succedesse un
miracolo e che Elizabeth
cambiasse idea.
“Mi dispiace doverti dare
questa notizia proprio oggi, ma sarebbe
stata solo una questione di tempo. ”
“Evidentemente non mi
reputavi all’altezza di un tale
compito. Ti ho dato mai l’impressione di vivere la nostra
relazione come una
cosa di poco conto? Ti sei sentita offesa in qualche modo?”
“No, Ross. Non mi hai
offesa in nessun modo, ma il mio posto
è al fianco di un uomo che sappia garantirmi
stabilità e sicurezza sotto ogni
punto di vista. Sii onesto e dimmi se saresti stato in grado di
offrirmi tutto
questo!”
Verity posò una mano sulla
spalla di Elizabeth e la
incoraggiò a svelargli l’identità del
suo futuro sposo. Ormai si era spinta
troppo in là per comunicare solo una parte della
verità.
“E adesso credo sia giunto
il momento…” Elizabeth si sollevò
con una grazia regale dal divano e fece rimbombare i passi dei suoi
tacchi sul parquet
fino al punto in cui si trovava un Francis ancora agitato, nonostante
avesse appena finito di far rifornimento di un’abbondante
dose di coraggio liquido. Si
presero sotto braccio, poi Francis le baciò una guancia.
Ross non disse nulla. Il suo
sconcerto era tale da lasciarlo
addirittura senza parole.
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Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
Francis ed Elizabeth si sarebbero
sposati a gennaio. O
almeno, questo era ciò che Demelza poteva leggere sulla
partecipazione di cui Francis
le aveva gentilmente fatto dono, sperando che quel gesto di genuina
apertura
verso quella che pensava fosse un'amica di suo cugino sarebbe
arrivato lì
dove le sue parole non sarebbero mai riuscite, cioè al cuore
di Ross.
Mentre le sue dita scorrevano lungo i
due nomi scritti a
mano su un semplicissimo foglio di carta, Demelza non poté
fare a meno di
notare con quale espressione Ross la stesse guardando: sembrava un
cucciolo
indifeso, ferito e abbandonato, proprio come Garrick quando lo aveva
trovato in
autostrada, appena qualche ora prima del loro incontro. Se solo avesse avuto una più ampia conoscenza del quandro
generale, ma soprattutto una maggiore intimità con il diretto interessato, avrebbe sicuramente pensato a un modo per fargli sentire ancora di più la sua vicinanza.
"Ross, ci dispiace aver
dovuto aspettare tanto tempo prima
di renderti partecipe della nostra
felicità…” Francis si separò
da Elizabeth e
cercò timidamente di avvicinarsi a lui.
“Certo, come se io avessi
mai potuto esserne felice! Mi stai
prendendo in giro, Francis? Cos’è che ti aspettavi
di preciso, forse che mi
mettessi a fare i salti di gioia e vi augurassi il meglio per il vostro
matrimonio?”
“No, ovviamente. Sapevamo
che avresti reagito così... Ma questo
non vuol dire che ci sia qualcosa di sbagliato nell’unione di
due persone che
si sono ritrovate dopo aver chiuso definitivamente le proprie relazioni
precedenti e che ora desiderano ufficializzare il loro amore e
condividerlo con
i loro cari, senza fare torto a nessuno.”
Ross si alzò di scatto da dove era seduto, “Dovrei credere dunque che
si tratta di amore?”
“Non hai il diritto di
avanzare una tale insinuazione, Ross!”
“Hai perfettamente ragione.
La donna che credevo di amare
non è altro che poco più di una sconosciuta per
me, un’estranea di cui non so
nulla e che finalmente mi sono reso conto di non aver mai imparato a
conoscere.” Disse queste parole rivolgendosi direttamente ad
Elizabeth, ma
nemmeno i suoi occhi lucidi riuscirono a placare la rabbia che lui
provava nei
suoi confronti. Ross era un uomo estremamente orgoglioso,
perciò non avrebbe
consentito a se stesso di mostrarsi troppo frustrato da quella
situazione e
soprattutto non aveva voglia di far capire ad Elizabeth quanto altro
dolore gli
avesse inferto, come se la dose dell’anno precedente non gli
fosse bastata.
Prese Demelza per mano e la condusse fuori dalla stanza,
nell’ampio giardino
dove Garrick si era intrattenuto sguazzando nelle pozzanghere, tra
l’erba
bagnata e i fiori mezzi chiusi, nonostante la ferita alla zampa. Il
sole stava
già tramontando, come le speranze di Demelza di tornare a
Truro in tempo per
cercare un posto dove passare la notte.
Ross fumò
un’altra sigaretta, sotto lo sguardo contrariato
di Demelza, che fremeva dal togliergliela dalla bocca per sbarazzarsene e
salvaguardare la sua salute. Ancora non sapeva che oltre il danno
c’era anche
la beffa, dal momento che Ross conosceva benissimo le conseguenze del
fumo
sulla sua salute, ma non era mai stato capace di liberarsi da quel
vizio, come
da tanti altri…
“Posso farti notare una
cosa?” Lo chiese con le braccia
incrociate sul petto, stringendosi nel suo cappotto per via del freddo
che
iniziava a sentire sulla pelle. Il suo sguardo contrariato vagava dalla
sua
bocca fumante alla sigaretta che teneva tra l’indice e il
medio.
Ross scosse la testa e, avendo
già intuito a cosa alludesse,
rispose, “Non credo di poterlo fare, sai. E’ un
aiuto a cui non posso
rinunciare in questo momento.”
“Quindi vivere
più a lungo è un’idea che non ti
alletta per niente? Beh, non
importa! Tanto sei solo uno di passaggio nella mia vita...”
Demelza lo guardò
con un sorriso che smontava la serietà del suo discorso, poi
aggiunse, “Comunque
non era questo che volevo dirti.”
Ross la guardò per cercare
di capire dove volesse andare a
parare, “Riguarda la scenata di qualche minuto fa? Sono
mortificato per averti
coinvolta in quella pagliacciata!”
“No, non riguarda nemmeno
questo.” Si appoggiò al tronco di
un albero, con le braccia dietro la schiena e la mente rivolta altrove.
Nel
frattempo Garrick si era acciambellato ai suoi piedi, approfittando di
un
posticino asciutto dove far riposare la sua
zampina.
“Sei un uomo intelligente,
quindi suppongo tu abbia capito
che non ho un posto fisso dove andare. Una volta che ci saremo
separati, tu avrai
questa bellissima casa con il camino acceso e un letto morbido pronto
ad
accogliere il tuo sonno, mentre io avrò solo la mia macchina
fredda e buia.
Devo farti proprio pena, non è vero?”
“Speravo che tu non ti
facessi pregiudizi su di me, visto
che sono l’esatto opposto di tutto quello che hai visto sino
ad ora. Trenwith non
è la mia vera casa, ma da quando è morto mio
padre Nampara è in stato di
abbandono e, visto che domani ho un importante colloquio di lavoro, ho
preferito
fermarmi dai miei cugini per questa notte. Purtroppo è stata
una scelta
sbagliata, come hai potuto vedere… Farei volentieri a cambio
con te, credimi!”
Mentre Ross parlava, Demelza si
accorse di non riuscire a
tenere il suo sguardo. Per fortuna il sole stava scomparendo giusto in
tempo
per coprire le sue guance, che diventavano rosse ogni qualvolta lui le
rivolgeva la parola. Anche Ross, da parte sua, si sentiva
inspiegabilmente felice
quando lei entrava accidentalmente in
contatto con il suo corpo, ma tentava di resistere
all’impulso di indugiare
troppo sui suoi occhi azzurri perché, per una strana
ragione, non voleva spingersi
oltre e riconoscere che quelli erano in realtà i sintomi
di una passione di cui non poteva ancora immaginare la portata.
“Ti chiederei di rimanere
qui stanotte, se non avessi paura
di essere frainteso.”
“Temi che potrei giudicarti
un impudente? Dopotutto mi hai dimostrato di essere un salvatore di cuccioli in
pericolo!”
Si misero a ridere rumorosamente, attirando l’attenzione di
quelli che invece si
stavano torturando la coscienza all’interno del giardino
d’inverno.
“Sono contenta di averti
fatto ridere. Prima eri così
imbronciato! Non sei tenuto a raccontarmi la causa del vostro
litigio,
ma spero sia una cosa recuperabile.” Gli tese la mano come se
stesse per
congedarsi da lui, disorientandolo giusto per un attimo.
“Ritorni a Truro,
allora…” I suoi occhi risalirono la
stretta delle loro mani fino alle labbra di Demelza, dischiuse in un
timido
sorriso.
“Certo, ma non prima di
domani. E’ ancora valida la tua
offerta?”
Ross cambiò radicalmente
espressione. Emise un sospiro di
sollievo e se ne andò verso la macchina, dopo averle
sussurrato in un orecchio la
risposta. Non spettava a lui ringraziarla, eppure Ross aveva
interpretato il
fatto che Demelza avesse accettato di condividere con lui un altro
po’ del suo
tempo come una gentilezza di cui sentiva di avere estremamente bisogno.
Trascorrere una notte a Trenwith, insieme ai suoi cugini e soprattutto
ad
Elizabeth, era una prospettiva al cui solo pensiero non poteva che
rabbrividire. Se non fosse stato per Demelza, avrebbe preferito
camminare a
piedi fino a Nampara e riposare tra le ragnatele della sua vecchia
camera da
letto. Ma la serata si annunciava decisamente più dolce di
quanto sia Ross che
Demelza avrebbero potuto prevedere fino ad allora, e di questo ne erano
entrambi
segretamente grati.
Prima che Demelza potesse sbattere le
ciglia, i suoi bagagli
erano già parcheggiati sulla soglia d’ingresso
della casa. Verity si allontanò
dal resto della sua famiglia per giungere sino a lei, entusiasta
dell’inaspettato
risvolto che la serata aveva preso, con Demelza pronta a distogliere
Ross da
pensieri negativi a cui lei stessa, in primis, non voleva concedere
troppo
spazio.
A dispetto di ciò che
pensava Ross, Verity comunicò a
Demelza la notizia che suo fratello avrebbe dormito fuori,
perché l’indomani
aveva un impegno importantissimo, e quindi anche
Elizabeth avrebbe
tolto il disturbo subito dopo cena.
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